Il fiume

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Il fiume da I racconti di Dongio (1912-1914)

di Marcella Chiorri Principato illustrazioni di Sara Guerra

7S Edizioni Svizzere per la GioventĂš N.2193



Che cosa fosse successo in quel piccolo lembo di terra staccato dal mondo, Ottavia non avrebbe saputo dire.

Il cielo s'era così incollerito da giorni e giorni sulle ci me dei monti vestite di pini, sulle rocce grigio azzurre, sui prati verdi smeraldo, sulle casette variopinte e ci vettuole, che il pensiero correva al diluvio universale e l'ansia del cuore ne riproponeva angosciata l'interro gativo. Era un settembre precocemente autunnale.

Raffiche di vento sbattevano sui fianchi bassi dei mon ti ammassi di nuvole scure rotte da lampi sinistri, e un rumore sordo e continuo echeggiava nell'aria opaca,

per tutta la valle. Forse era il fragore del tuono, forse il rimbalzare del l'acqua densa del fiume sulle rocce del fondo, forse il rotolare dei massi rocciosi giù per i fianchi molli della montagna. Acqua e grandine. Grandine ed acqua.

Ottavia guardava la natura sconvolta con il naso e la fronte appiccicati ai vetri grondanti e la fantasia rin correva storie strane e paurose che i contadini del luo go andavano ripetendo proprio in quei giorni. Raccontavano come una volta il paese fosse stato se

polto sotto una frana e che solo il parroco del villag gio si fosse miracolosamente salvato: cento anni fa. Di cevano che fosse poi stato ricostruito poco più su, pro prio sotto quell'ammasso potente di rocce, nel luogo che parve più sicuro. Ma con quest'acqua, con questo vento, chissà...

Dicevano ancora come la piena del fiume, in tempi lontani, avesse spazzato via un paesetto dell'alta valle, come un fuscello...



Ifiumi alpini, si sa, non stanno a scherzare, quando li

coglie la piena! Si portano via un ponte con tutti i pi lastri e guai a chi ci capita in mezzo! IIfiume! Il ponte! Qualche ora prima, tra uno scroscio d'acqua ed un al tro, Ottavia era corsa con alcune ragazze paesane a

vedere la piena del fiume, lassĂš dove il ponte faceva da ingresso al paese, sostenuto da quattro arcate ro buste.

Ancora negli occhi c'era la visione di quell'acqua gialla e fangosa che gorgogliava schiumando intorno ai pila stri possenti, e vedeva rotolar via come fuscelli i maci gni massicci, i tronchi di albero divelti che passavano sobbalzando e sbattendo sotto le arcate, con una rapi ditĂ vertiginosa.

- Ferrovia mefi^ica Biasca-Actwarossa..

In primo piano il ponte della ferrovia costruito nel 1911 e sullo sfondo il ponte stradale costruito nel 1890.


Ai lati del ponte, uomini curvi, coperti con sacchi e te loni cerati, buttavano giù, anch'essi, tronchi d'albero, ancora fronzuti. -Perché fanno questo? - aveva chiesto. -Sperano di deviare la corrente che preme sui lati e

corrode i pilastri di sostegno. Se i pilastri cedono può crollare il ponte e allora l'acqua porta via il paese. Perché la forza del fiume, in quel punto, aveva scavato una curva e l'acqua giocava un mulinello pauroso. Annottava.

La tempesta aveva guastato gli impianti elettrici e mancava la corrente. In cucina erano accese due candele.

Il fratellino, nella culla, guardava il tremare delle fiammelle e trillava di gioia meravigliata. Il babbo e la matrigna tacevano. Si sentiva sordo e inquietante il rombo cupo del fiume e di quando in quando lo scoppio fragoroso del tuo no.

Nella strada voci roche di contadini si mischiavano al mugghiar del bestiame. -Dove vanno, babbo? -Portano le bestie in montagna, in salvo. Temono la piena del fiume. -E noi? -

Bussarono all'uscio. -Tenetevi pronti. Coricatevi vestiti. Se suona la cornet

ta, tre volte, bisogna fuggire sulla montagna. È il se gnale di allarme se il ponte minaccia di crollare. Ottavia si buttò sul letto con la candela sul comodino e i fiammiferi vicini, pronti.



Aveva sonno ma non poteva dormire.

Vedeva gli uomini coperti con i teloni cerati curvi sul l'acqua, attenti.

Vedeva il ponte nero, gigantesco sui pilastri esili, cor rosi...

La pioggia scrosciava sulle persiane chiuse. Il campanile lontano batteva ogni tanto i rintocchi. Di tratto in tratto sprazzi di luce bianca filtravano im provvisi tra gli spiragli delle persiane e poi a intervalli a volte brevissimi a volte lunghi, scoppiava un fragore assordante che si perdeva giù nella valle in brontolii prolungati e minacciosi. Che sia questa la fine del mondo? Eppure il sonno la vinse. Un suono lungo, acuto, metallico le fece fare un sob balzo improvviso.

5Ì0S.

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Dongio: la chiesa di San Luca e Fiorenzo 11760-63

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Si trovò seduta sul letto e la mente confusa, lontana,

ancora perduta negli abissi del sonno pesante, si di sperava di non capire.

Poi una luce improvvisa le disse: II fiume! L'allarme! Saltò dal letto, afferrò i fiammiferi, accese la candela, mentre un'altra volta il suono ora distinto, acuto come

un lamento disperato le attanagliò il cuore più che la mente. Chiamò: -Fru Fru... Fru Fru... -

poi afferrò il micio spaurito, accoccolato tra le pieghe della coperta, e si trovò in corridoio. Forse di là non avevano sentito, non si erano svegliati.

Picchiò all'uscio della camera paterna. -Papa, papa... la cornetta... -

mentre il suono lamentoso, acuto, insistente, le marto riava il cuore, ancora una volta.

Il padre in maniche di camicia comparve sull'uscio. -Abbiamo sentito. Ma che sveltezza! Aiuta la mamma a prendere la roba. Ma lascia quel gatto! Che cosa vuoi farne?-No. Fru Fru no! -

La matrigna, arruffata, con il bimbo in braccio che strillava di gioia davanti alle fiammelle tremanti delle candele, le porse un fagotto. -Prendi, e sta' attenta di non perderlo. Lascia quel gatto. Ci manca anche il gatto, ora! -No. Il micio no. -

Se lo strinse dentro le pieghe del soprabito e la bestio la innocente parve comprendere che la si voleva pro teggere da un pericolo. Accoccolò il muso fin sotto l'a scella di Ottavia e se ne stette lì, quieta, quieta.



Il fratellino intanto strillava. Scesero le scale buie e si trovarono sull'unica strada. -Di qua... di qua... - disse qualcuno.

Infilarono un sentiero senza, vedere e senza capire,

guidati da voci che si chiamavano reciprocamente. -Dottore, per di qua... venga... c'è un fosso... ci sono

tre gradini...-

Ottavia seguiva senza pensare. Lampi rapidi, di quan do in quando, aiutavano l'orientamento. Ad un tratto qualcuno disse: -Attenti! C'è acqua!...

Guazzarono tastando con i piedi il terreno. Mio Dio! Il fiume! L'acqua era alta. Vi si affondava fin quasi al ginocchio. -E adesso come si fa? -Ma io ho il bambino. Non posso passare! - gemette la matrigna.

Una famiglia del paese.

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-Mi sono caduti gli occhiali. Non ci vedo! - esclamò il padre.

Ma non ci si vedeva lo stesso, anche con gli occhiali. -Aspetta, papa. Vado avanti. Vedo se si può passare.

10la so la strada. Se arriviamo di là, c'è il sentiero che porta su, e siamo salvi. -

Ottavia passò innanzi e si teneva il fagotto ben saldo e 11micio stretto sul petto che, povera bestia, sembrava di marmo. -Per di qua, babbo, c'è meno acqua. Sta' attento! Ci sono dei sassi. Ecco, adesso si sale. Riuscirono, come Dio volle, a superare l'avvallamento

del terreno colmo di acqua e si trovarono ai piedi della salita. Un'ombra di uomo, un fantasma intabarrato e incap

pucciato si tirava dietro a fatica una recalcitrante ca pretta.

Più in là, ma quasi non si vedeva, una donna aveva per mano un bambino. Cominciarono a salire. Non c'era più acqua in terra, era tutta in cielo. Furono su a salti e a tastoni. Il fiume lontano, rumoreggiava pauroso. A volte un lamento prolungato, quasi umano, straziava le orecchie e il cuore. I contadini dicevano che era qualche mucca

portata via dalla corrente del fiume. Una casetta sconclusionata, con l'uscio semi squassato si fece loro incontro. Entrarono. C'era intorno una disperata miseria.

In un angolo, sopra un lurido pagliericcio, una vecchia si lamentava senza senso. Sulla terra nuda, bagnata,

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due assi mezzo sfasciate sostenevano una tavola tarla

ta e zoppa. Dal soffitto la lampada ad olio, primitiva, spandeva chiazze di ombre indefinite e di luce scarsa giallo rossiccia.

Un lamento di bimbo fece volgere Ottavia che scorse nell'angolo piĂš scuro della stamberga un povero letto, ma un vero letto, e una donna con il petto scoperto, che allattava. In terra, su poca paglia, era sdraiata una mucca.

Gli ospiti, al giungere della piccola comitiva, neppure si volsero.

La vecchia continuò il suo lamento, la donna il suo al lattare.

Ottavia e i familiari stettero sull'uscio interdetti. Pareva quello un mondo di pietra. Il babbo chiamò: - Ehi, buona donna... -

II fiume e il paese di Dongio all'inizio del secolo.

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La risposta fu un grugnito seguito dal lamento della vecchia. -Che sia un sogno? - pensò Ottavia.

Ma la pioggia, impazzita, li spinse a forza in quella ca verna preistorica, senza commenti.

-Ci rifugiamo qui, finché si potrà scendere di nuovo. Abbiate pazienza. -

La donna si tirò un po' da parte sul letto, senza rispon dere, e fece segno di metter giù il bambino. -Che sia muta? - pensò Ottavia.

La mucca diede un lungo, lamentoso muggito e fece fare alla fanciulla un salto indietro sui piedi del babbo che imprecò. Il fratellino frignava. Era tutto inzacche rato.

La matrigna si mise a ripulirlo su quel povero letto che per materassi aveva sacchi ripieni di foglie secche. Il

Una veduta di Dongio.

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fratellino, appena sfasciato, si liberò di tutto quello che gli rimaneva dentro, e non restò altro da fare che mettersi le mani nei capelli senza sapere da qual parte cominciare a ripulire. Come Dio volle, anche quel com

pito fu assolto abbastanza decorosamente. Giungeva intanto dell'altra gente grondante, fradicia. Qualcuno disse: - Se si potesse accendere un po' di fuoco!.. -

La donna, muta, lasciò il bimbo sul letto e scese. I piedi erano scalzi.

Si avviò verso un angolo, aprì una specie di porta e ne trasse fuori delle fascine. Si avvicinò ad un altro ango lo che nessuno aveva notato, nella semi oscurità, e che parve a tutti un camino, e attizzò il fuoco. Si voltò poi, e sulla bocca grande, ma non brutta, c'era come un'ombra di sorriso. - Che strana donna... - pen sò Ottavia. - Non è vecchia, non è brutta, ma sembra di un altro mondo. -

La lampada appesa al soffitto, mossa dal vento che fa ceva un mulinello d'aria nella stamberga, gettava sul viso della donna che si muoveva, ombre allungate e strane, si che la fisionomia pareva ad ogni movimento, cambiare.

Nell'osservare quei lineamenti di cui la mobilità delle luci non permetteva di afferrare il senso, Ottavia senti va crescere dentro di sé un'agitazione che quasi era paura.

Risorgevano nella sua fantasia vecchie storie di stre ghe, di fate, di luoghi incantati e magici... La donna comparve ancora con un gran recipiente col

mo di latte e lo depose in terra. Guardò Ottavia e sor-

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rise. Ottavia restò interdetta, incantata, e poi anch'es sa sorrise, ma di un sorriso nuovo, che veniva dal cuo re, largo, pieno, sensitivo.

Parve che tra quelle due creature così stranamente di verse, fosse corsa un'intesa, una grande, stranissima intesa. La donna ancora andò e ancora comparve vicino ad

Ottavia e le porse una ciotola. Ottavia raccolse il latte bianco, puro e lo bevve d'un fiato con gli occhi incan tati su quel viso scarno, dove solo gli occhi brillavano, di vita o di febbre, chissà? Poi bevvero gli altri. Il fuoco attecchiva. Parecchi si tolsero calze e scarpe e le posero intorno alla fiamma per farle asciugare. La vecchia in un angolo ogni tanto si lamentava. La donna si era sdraiata ancora sul letto.

Di fuori una luce scialba cominciava a filtrare dall'u scio. Schiariva. La pioggia era cessata.

Passò il tempo e nessuno seppe dire quanto. Poi si sentirono voci forti di uomini e rumore di aggeg gi-Siamo salvi. Siamo riusciti a far deviare la corrente. Il

ponte è su per miracolo, sopra un filo di pilastro - dis se la voce rude di un montanaro che entrò sbuffando e buttò in un angolo zappe, picconi e badili. -Potete tornare, non c'è più pericolo. -

Rifecero il fagotto e si avviarono questa volta per la discesa.

Alla luce del giorno il sentiero che si arrampicava sui dirupi del monte parve a loro impossibile.

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Ma come avevano potuto percorrerlo così nella notte,

in quella notte, senza rompersi l'osso del collo? La matrigna chiese: - Chi sono quei contadini che ci hanno ospitato? -

- Lui è boscaiolo. La vecchia è tanto vecchia che è di ventata scema, anche per gli stenti e la fatica^e la donna, la moglie, è tisica, poveretta... -

Ottavia sentì il cuore saltarle nel petto, come se voles se fuggire, e le gambe le si piegarono. Vide Michele, Elvezia...

Appena giunse nella casa, salì di corsa nella sua came ra, si chiuse dentro e si buttò sul letto vestita. Voleva dormire. Voleva tuffarsi nella vita. Forse aveva sognato.

La montagna sopra il paese di Dongio con i boscaioli al lavoro.

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L'autrice Marcella Chiorri Principato, nata a Cantiano nelle Marche nel 1902, scoprì proprio in Val di Blenio il suo amore per l'arte e la letteratura. Giunse a Dongio nel 1912, perché il padre Amilcare, farmacista, ebbe in gestione, per qualche anno, la farma cia del paese. Qui Marcella incominciò a disegnare e a scrive re; qui le nacque il fratellino Filippo e incontrò la sua prima grande amicizia: Elvezia. La vita la riportò presto in Italia, a Milano, ma Dongio rimase per sempre il luogo ideale della sua infanzia. Divenne maestra, si sposò con Salvatore Principa to, col quale condivise l'impegno politico nella lotta partigiana antifascista. Il fratello Filippo rimase disperso sul fronte orientale nella Seconda guerra mondiale e ciò ispirò il solo ro manzo di Marcella: // difficile ritorno (1971). Scrisse racconti, poesie, commedie, articoli su riviste. Morì a Milano nel 1980.

L'illustratore Sara Guerra, dopo essersi diplomata presso l'Istituto europeo di design di Milano, ha aperto a Lugano lo studio d'illustrazio ne e grafica L'alga Blu. Un originale campo d'applicazione che distingue questa giovane N^stratrice è la decorazione di sottopassaggi, da sempre vissuti come luoghi insicuri e poco attrattivi. Con le sue illustrazioni crea un ambiente totalmen te diverso, pieno di luce e di colori, un luogo che ispira alle gria e che di conseguenza ne incita l'utilizzo. Ne è un esempio il sottopassaggio di Paradiso che porta al lago: attraversando lo si possono ammirare le nove illustrazioni tematiche affisse alle pareti e si ricava l'illusione di essere uno spettatore che osserva la vita sottomarina che si svolge in un acquario.

Fotografie d'epoca messe a disposizione dall'Archivio Donetta, Corzoneso Fotografie dell'autrice messe a disposizione dal prof. Massimo Castoldi



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