Il grande raduno

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Bianca Pitzorno, Ursula Bucher

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Il grande raduno

di Bianca Pitzorno illustrazioni di Ursula Bucher

7S Edizioni Svizzere per la GioventĂš N. 2242



PREFAZIONE II Grande Raduno dei Cow Boy l'anno scorso ha compiuto tren tacinque anni. Infatti è stato pubblicato per la prima volta nel 1970. Per me quella pubblicazione è stata un avvenimento molto importante, che in un certo senso ha cambiato tutta la mia vita. Nel 1970 infatti non pensavo ancora che da grande avrei fatto la scrittrice. Non ero una ragazzina: ero già laureata in Lettere Antiche e mi ero specializzata in Cinema e Televisione presso una Scuola Superiore (oggi si direbbe che avevo preso un Master). Però ero alle mie prime esperienze di lavoro. Ero stata assunta da pochi mesi come funzionaria presso la sede di Milano della RAI, la televisione pubblica italiana, e consideravo la scrittura un hobby da coltivare quasi per gioco nel tempo libero. Mi dedicavo con passione a questo hobby fin da quando ero una bambina delle elementari, ma non pensavo che potesse mai diventare l'attività principale della mia vita; l'arte alla quale avrei dedicato tutto il mio ingegno e dalla quale avrei ottenuto soddi sfazione, notorietà e apprezzamenti; il lavoro che mi avrebbe dato da vivere. Semplicemente mi piaceva molto raccontare sto rie.

E tra gli ascoltatori più attenti delle mie storie c'erano i bambini che conoscevo, i miei nipotini e i figli dei miei amici. Ho scritto ascoltatori e non lettori, perché molti di questi bambini erano ancora piccoli e non sapevano leggere. Però mi piaceva scrivere per loro. Confezionavo in casa dei libretti in copia unica, col testo scritto a mano in stampatello (non possedevo ancora


una macchina da scrivere), e cucivo insieme le pagine con ago e filo. Disegnavo e coloravo io stessa anche le illustrazioni. Era un gioco, e nel 1970 capitò che dedicassi questo gioco a un bambino di tre anni e mezzo col quale passavo molto tempo perché era figlio di una coppia di amici che abitavano nel mio stesso quartiere. Si chiamava Martino, ed era un tipetto sveglio, al^egro, molto indipendente per la sua età. Gli piaceva guardare alla televisione una serie di telefilm intitolata Bonanza che raccontava di una famiglia di cow-boys. Piaceva anche a me e spesso la guarda vamo insieme, e poi continuavamo a parlarne inventando nuove avventure per i suoi personaggi. Un giorno i genitori di Martino gli regalarono una sorellina, e come capita a molti fratelli maggiori, anche lui andò in crisi. Adesso tutte le attenzioni erano per la nuova arrivata. Martino era geloso, diventò triste, insicuro. E tornò alla fonte di sicurezza di quando era anche lui piccolo come la sorellina e che aveva già abbandonato da tempo: il ciuccio. Appena sveglio se lo cacciava in bocca e cominciava a ciucciare furiosamente. Farglielo togliere anche solo per mangiare era una lotta. Se lo perdeva, era una tragedia. Una volta suo padre dovette andare nel cuore della notte per tutta Milano in cerca di una farmacia aperta per comprargliene uno nuovo, perché il vecchio non si trovava (poi si scoprì che era rotolato sotto un armadio) e, senza ciuccio. Martino piangeva a dirotto e non riusciva a addormentarsi. All'inizio noi adulti considerammo questa abitudine con un sor riso, ma a lungo andare cominciammo a preoccuparci. Anche perché Martino stava per cominciare la Scuola Materna, e teme vamo che le maestre e gli altri bambini lo avrebbero deriso per


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Bianca Pitzorno a Sala Capriasca 1970.

quel ciuccio che gli tappava la bocca e gli impediva persino di parlare.

Quando guardavamo Bonanza Martino non faceva più i soliti commenti, perché era occupato a masticare la gomma del ciuc cio, ma era sempre affascinato dal rude mondo del Far West. Così mi venne l'idea di raccontargli una storia ambientata in quel mondo, e della quale fosse lui stesso protagonista. E ci misi dentro il suo problema: l'impossibilità di separarsi dal ciuccio. Così nacque // Grande Raduno dei Cow-Boys, che prima fu rac contato a voce (e molto apprezzato), poi fu scritto, illustrato, cucito, rilegato, e finì sullo scaffale dei giocattoli di Martino. Che


se lo faceva leggere e rileggere, e di notte lo teneva sotto al cuscino.

Un giorno, con mia grande soddisfazione, appena sveglio, invece di cacciarsi il ciuccio in bocca come al solito, Martino lo legò col suo nastro al pomo del lettino e gli disse: - Aspettami. Ci vediamo stasera. e non lo cercò per tutto il giorno. La sera, al momento di andare a letto, gli augurò la buona notte senza toccarlo, l'indomani lo lasciò dov'era e nei giorni seguenti gli dedicò soltanto qualche sguardo distratto. L'ossessione per il ciuccio era finita, ma il libricino continuava ad essere letto e riletto.

Fu a quel punto che venni a conoscenza del concorso indetto dalle Edizioni Svizzere per la Gioventù che cercava nuovi testi da pubblicare negli opuscoli per i piccoli. A informarmene fu il mio amico Bixio Candolfi, che avevo cono sciuto qualche anno prima, quando ero stata invitata al Festival del Cinema di Locamo per fare parte della Giuria dei Giovani. Ormai avevo molti amici in Canton Ticino, e di tanto in tanto collaboravo ai programmi per bambini della Televisione della Sviz zera Italiana. Avevo anche dei nipotini italo svizzeri: Maria Elena e Alessandra Azara-Remy e Silvia, Lucas, Sara e Sibilla AltepostCareddu, ai quali raccontavo le mie storie e che più tardi ispire ranno molti dei miei libri. Presentai dunque II grande raduno dei cow-boys al concorso, e vinsi uno dei premi, che consisteva appunto nella pubblica zione del testo in un opuscolo da colorire. È sempre una grande emozione quando vedi le tue parole stam pate in un vero libro, e non in un fascicolo casalingo confezio nato a mano in copia unica. È un'emozione vedere la pila delle


copie e sapere che a leggere la tua storia non saranno soltanto i tuoi amici, ma moltissimi lettori sconosciuti. Questa esperienza mi dette coraggio, e qualche anno dopo accettai la sfida di un direttore di collana e scrissi in pochi mesi Sette Robinson su un'isola matta che fu pubblicato dall'edi tore italiano Bietti nel 1973. Questa volta non era un opuscolo, ma un romanzo di 150 pagine, col dorso spesso e la copertina rigida. Ebbe un buon successo tra i lettori, e buone recensioni dai critici. Tanto che l'editore mi chiese subito un secondo romanzo e l'anno dopo pubblicò Clorofilla dal cielo blu (dal quale negli anni Ottanta la RTSI trasse una serie di cartoni ani mati che tutti i bambini svizzeri conoscono). Dopo Clorofilla scrissi e pubblicai altri romanzi, col ritmo di un titolo all'anno, finché mi resi conto che questa era la mia vera vocazione, l'attività che preferivo a tutte le altre. Così nel 1977 detti le dimissioni, lasciai la RAI, e mi dedicai esclusivamente alla scrittura.

Da allora ho pubblicato più di quaranta libri (alcuni dei quali per adulti), che sono stati tradotti in moltissime lingue, anche in alcune che usano un alfabeto diverso dal nostro come il greco, il giapponese, il cinese e il turco. L'anno scorso ho raggiunto il fraguardo di due milioni di copie vendute solo in Italia e in Canton Ticino. Tra i miei libri più famosi posso citare L'incredibile storia di Lavinia, Ascolta il mio Cuore e La bambinaia francese. Perii mio lavoro di scrittura l'Università di Bologna nel 1996 mi ha conferito una laurea ad honorem, e l'Università di Milano mi ha chiesto di insegnare Letteratura per ragazzi agli studenti di Scienze della Formazione. Sono passati trentacinque anni, e posso fare un bilancio della


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i Bianca Pitzorno, foto di Daniela Zedda 2004

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mia vita e del mio lavoro. Un bilancio che risulta confortante e positivo. E sono riconoscente a quel primo semino piantato nel 1970 con II Grande Raduno dei cow-boys. Forse, se non avessi visto stampata la storia che avevo scritto per aiutare un piccolo amico a superare un problema, non avrei mai scoperto che volevo davvero fare la scrittrice.

Bianca Pitzorno


Questa è la storia di un piccolo cow boy di nome Martino.

Martino abitava nella prateria insieme al suo cavallo Jip in una piccola casetta di tronchi, sotto una grande quercia.

La prateria era la stanza dei giochi, Jip era un cavallo a dondolo e la mamma tutte

le sere piegava la casetta di tronchi e la conservava nel ripostiglio delle scope.

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La grande quercia poi stava in un vaso e

veniva innaffiata tutti i giorni. Il suo nome era ficus. Ma per Martino faceva proprio lo stesso.

Lui era un coraggiosissimo cow boy e cavalcava per la prateria su Jip facendo roteare il lazo e sparando per aria con le sue pistole.

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Qualche volta cadeva anche di sella e un giorno gli avevano dovuto mettere persino un cerotto sul naso. Martino era un cow boy senza paura.

Un pomeriggio arrivò alla casetta di tronchi un piccione viaggiatore, con un

biglietto legato attorno ad una zampina. Era l'invito per Martino a recarsi al grande raduno dei cow boys, che si sarebbe

tenuto quella notte sulle rive del fiume solitario.

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Subito Martino si mise a strigliare il suo Jip finché lo vide bello lucido e pulito. Gli pettinò la criniera con la spazzola della mamma e poi gli legò attorno al collo un piccolo nastro celeste.

Poi indossò gli stivali con gli speroni, il giubbotto di pelle di daino con le frange, i blue jeans con le bretelle (altrimenti gli cadevano giù) e annodò attorno al collo un bellissimo fazzoletto rosso.

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Quando la mamma venne a dargli il bacio della buona notte fece finta di nulla e si nascose tutto sotto le coperte, ma appena

lei fu uscita, balzò rapido in sella a Jip e cavalcò nella notte attraverso la prateria verso la valle del fiume solitario.

Nel cielo splendevano le stelle, piĂš bella di tutte la cometa dell'albero di natale, e i fiori di cactus mandavano un buonissimo odore, come di torta al cioccolato. Da tutte le direzioni arrivava il rumore

degli zoccoli dei cavalli di tutti i cow boys del Far West che galoppavano verso il grande raduno.

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Cavalca, cavalca. Martino e Jip arrivarono sulle rive del fiume solitario. Qui ardeva un grande fuoco che rischiarava la notte, e attorno alla fiamma sedevano i cow boys sulle loro coperte arrotolate;

Anche Martino scese di sella, legò Jip ad una staccionata e andò a sedere con gli altri attorno al fuoco.

Poi prese la chitarra che il suo papa gli aveva regalata per il compleanno e cominciò a cantare una canzone che diceva così:

Ascoltatemi, amici cow boys cavalcare so come voi,

so acchiappare al galoppo i vitelli e domare i puledri ribelli. 10sono il prode Martino,

11coraggioso Martino!

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Quando ebbe terminato, tutti i presenti applaudirono, poi un altro, che si chiamava John Wayne, cantò un'altra canzone e dopo fecero un bel coro tutti insieme,

mentre i cavalli nitrivano nel buio per dimostrare la loro approvazione.

Quando ebbero finito di cantare mangiarono

fagioli e bistecche di bisonte arrostite sulla brace e bevettero Whisky e Tequila. A Martino John Wayne dette un bel bicchiere di latte. Questo si chiamava fare un bivacco.

Raccontavano storie di assalti alle diligenze e antiche leggende di pellirosse.

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Martino aveva una sorellina che era una pellerossa, ma non l'aveva portata al raduno, perchĂŠ i raduni sono cose per soli uomini.

Tutti erano allegri e contenti e Martino si divertiva un mondo.

A questo punto però accadde una cosa molto spiacevole. Quando si era preparato per andare al raduno Martino si era dimenticato di lasciare a casa il succhiotto, con cui, di solito, andava a dormire. Si vergognava molto, perchÊ ormai aveva quasi cinque anni, ma senza non riusciva proprio ad addormentarsi.

Ora, alla luce del fuoco, John Wayne vide il succhiotto e si mise a ridere.

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Tutti gli altri cow boys guardarono e ne furono meravigliati. Come? Un coraggioso cavaliere della prateria andava ancora a

letto con il ciuccio? Erano tutti molto indignati e dicevano che non avrebbero dovuto invitarlo al raduno. Il povero Martino sarebbe voluto sprofon

dare per la vergogna e si pentiva amaramente di non aver smesso prima

quell'abitudine da lattante.

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Ma, vedendolo così avvilito, il più vecchio dei cow boys, quello che al cinema parla sempre con una voce stridula, lo consolò dicendo che anche lui, da giovane, aveva

succhiato il pollice fino alla prima elemen tare, ma poi un indiano aveva minacciato di tagliarglielo, e così aveva smesso.

Martino guardò preoccupato il suo succhiotto, ma poi pensò che era sempre meglio farselo portar via da un indiano,

piuttosto che farsi taglire un dito. Così decise una volta per tutte di smettere di portarlo a letto, e lo legò alla staccionata con il nastro celeste che aveva tolto

dalla criniera di Jip.

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Era ormai notte alta, e tutti i cow boys, avvolti nelle loro coperte, dormivano attorno al fuoco del bivacco, col capo posato sulla sella.

Anche Martino cercò un posticino al caldo vicino a John Wayne e si distese cercando di addormentarsi. Temeva che non ce

l'avrebbe fatta; invece dopo un poco i suoi occhi si chiusero. Il cow boy Martino dormiva pacificamente come se fosse stato nel suo letto.

Appeso al nastro celeste il succhiotto, ormai vecchio e sformato, dondolava alla brezza notturna del Far West.

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L'autrice Nata a Sassari nel 1942 Bianca Pitzorno vive e lavora a Milano. Si è laureata in Lettere Antiche a Cagliari e prima di dedicarsi alla scrittura si è occupata di archeologia, di teatro e di programmi tele visivi per adulti e per ragazzi per la Rai e per la Televisione della Svizzera italiana. È considerata la più importante autrice italiana per l'infanzia e i suoi romanzi sono tradotti in molte lingue. La vita di tutti i giorni, le relazioni fra le persone all'interno della famiglia, della scuola, del mondo del lavoro, sono la sua fonte principale di ispira zione, così come la guerra fra grandi e piccoli, tra gli adulti e i bam bini, fra i maschi e le femmine, fra i potenti e i deboli. Fra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo L'incredibile storia di Lavinia, Streghetta mia, La bambina col falcone, Clorofilla dal cielo blu, Tornatras, Extraterrestre alla pari, La bambinaia francese. La sua car riera di scrittrice è nata con le Edizioni Svizzere per la Gioventù che nel 1970 pubblicarono II grande raduno dei Cow-Boy; libretto che a distanza di 35 anni ripubblichiamo con un'introduzione dell'autrice e con nuove illustrazioni.

L'illustratrice Ursula Bucher è nata a Roveredo (GR) nel 1977. Si è diplomata pres so il CSIA di Lugano e alla scuola d'illustrazione Emile Cohl a Lyon. Vive e lavora a Lugano dove da due anni si occupa di grafica e d'il lustrazione; la passione della sua vita. Disegnare le da bellissime sen sazioni e le permette di rimanere sempre un po' bambina. Quando illustro - dice - entro in un mondo in cui la realtà corri sponde alla mia fantasia e dove anche la più eccentrica bizzarria diventa pura normalità. Per le Edizioni Svizzere per la Gioventù ha illustrato il libretto Megabit e il grande libro di metallo di Anna Lavatelli.


Bianca Pitzorno, Ursula Bucher II grande raduno Serie: Racconti da 6 anni

Martino è un bambino che nei suoi giochi immagina di essere un cow boy come quelli che vede alla televisione. Immagina di essere forte, audace, indipendente come loro, un uomo rude che dorme sotto le stelle usando la sella come guanciale. Ma c'è un piccolo dettaglio che rischia di rovinare la sua grande avventura. Da quando gli è nata una sorellina, Martino ha ricominciato a usare anche lui il ciuccio come se fosse ancora un bebé...

In particolare, non può farne a meno al momento di andare a letto. Come reagiranno

gli uomini rudi della prateria, quando Martino si presenterà al grande raduno dei Cow e vorrà partecipa al bivacco col ciuc

Edizioni Svizzere per la Gioventù www.sjw.ch E-Mail: office@sjw.ch


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