Il testamento della capra rossa

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Mario Delucchi

II testamento

della capra rossa

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In copertina La capra rossa su uno sperone di roccia alla Costa della Croce; sullo sfondo la frazione di Arogno denominata Beretta e, all'orizzonte, il monte Generoso.


Il testamento della capra rossa

Testo e illustrazioni di Mario Delucchi

Edizioni Svizzere per la GioventĂš N. 2241



Nota introduttiva per il lettore adulto

Questo racconto trae spunto da una leggenda presentata qualche anno fa al museo etnografico di Cevio, in occasione di una mostra sulla capra. Il testo originale, di poche righe, faceva curiosamente ri ferimento al villaggio di Arogno, che si trova all'imbocco della Valle d'Intelvi, e a una località boschiva sul versante del monte Sighignola chiamata Còst da Crós. Vien da chiedersi come mai questa leggen da, praticamente sconosciuta nel Sottoceneri, sia approdata in Vallemaggia, in quale epoca vi sia stata portata e da chi. A dire il vero, qualche parentela tra il rustico villaggio di confine e la Vallemaggia esiste fin da tempi remoti: già nel 1476 i figli di un certo Guglielmino detto Valmaxonus (di Arogno) stipulano un contratto di vendita con un abitante di Bissone; nel 1479 gli Arognesi sono rappresenta ti in una vertenza giudiziaria da un loro cittadino di nome Andrea di Valmaggia; settant'anni dopo, in un atto di compravendita, troviamo menzionati Beltramino Valmazoni e Domenico Del Deo di Vallemaggia, entrambi abitanti ad Arogno; dal 1600 in poi la famiglia Sartori, originaria di Cevio in Vallemaggia, si insedia stabilmente ad Arogno e sul finire dello stesso secolo l'artista Carlo Spezza di Aro gno abbellisce la chiesa di Fusio con vari stucchi. L'elenco potrebbe continuare. È quindi possibile che la diffusione della leggenda in una terra tanto discosta e lontana abbia origini antichissime, ma non si può neppure escludere che ciò sia stato determinato da un evento fortuito accaduto in epoca recente. Chissà! Qualche appassionato di storia locale potrebbe essere stimolato ad approfondire la ricerca. A noi la leggenda è servita soprattutto per proporre ai lettori più giova ni un racconto dalla trama semplice e un invito alla riflessione sulla vittoria della furbizia contro la prepotenza.


Il testamento della capra rossa Tanto tempo fa, nel villaggio di Arogno, viveva un pastore di nome Rocco.

Ogni mattina, prima dell'alba, Rocco prendeva corno e bisaccia e si avviava ver so la piazzetta della Frova1). Raspa, il suo cane, gli scodinzolava accan to, contento di essere di nuovo libero. Giunto alla Frova, Rocco dava fiato al suo corno e un suono lungo e monotono sci

volava fra le case, infilandosi fra le strette vie del paese. Allora le porte delle stalle si aprivano e le capre si avviavano ad una ad una, seguendo quel richiamo familiare. Sbucavano da ogni angolo e il suono del le loro campanelle riempiva di.vita il villag gio ancora immerso nel sonno. In meno di

mezz'ora, la piazzetta della Frova brulica va di capre.



Erano più di quattrocento2), quasi tutte dal mantello scuro, marrone o nero. Solo

pochissime erano bianche o chiazzate e una sola aveva il pelo di un bel colore ros so fuoco: per questo l'avevano chiamata Rossina. Rocco le conosceva tutte per nome: Nerina, Bianchina, Barbetta, Musetto, Mac-

chiolina e così via. Quando c'erano tutte, toglieva dalla bi saccia una manciata di sale ed esse si pre cipitavano verso quella mano amica. - Cià, eia, eia, diceva Rocco con voce cal ma. - Zina, Zina, bèee... cià, cià, cià!

E tutte capivano che era ora di incammi narsi verso i boschi. Rocco apriva uno dei quattro porton^ del paese, e la lunga processione cominciava a muoversi, con un lento ondeggiare di teste, di corna e di schiene ossute.



Raspa correva avanti e indietro e abbaiava instancabilmente alle capre che si ferma vano o che entravano negli orti.

Quella mattina, Rocco imboccò il sentiero

che porta alla chiesetta di San Vitale, che da secoli se ne sta in cima al paese, sul l'antica strada che sale dal lago. Più a monte erano spuntati tanti rovi e i loro teneri germogli erano una vera ghiot toneria per il suo gregge. Mentre saliva il ripido sentiero del monte Sighignola, Rocco vedeva le case di Arogno farsi sempre più piccole, finché riuscì a distinguere solo il campanile. Ogni tanto si fermava per tagliare un gio vane ramo di castagno o di frassino, lo piegava attorno al tronco di una pianta e lo fissava con un legaccio. Seccando, i ra

mi avrebbero mantenuto la forma ricurva e Rocco ne avrebbe ricavato tanti bei col lari per le sue capre4). 8



Quando giunse alla Costa della Croce,

trattenne Raspa e il gregge si sparpagliò fra le rocce della montagna. Rocco si arrampicò su un grosso sasso che da qualche settimana era diventato il suo rifugio preferito. Da lì vedeva il monte Ge neroso, la pianura che si stende verso Co rno e, se non c'era foschìa, riusciva persi-

no a scorgere il lago di Lugano, laggiù, dopo Pugerna. Intorno a lui, le campanelle delle capre

riempivano l'aria di suoni diversi.

Il primo raggio di sole spuntò dietro al Ge neroso e la montagna si illuminò tutta.

Le goccioline di rugiada sospese alle fo glie parevano tante perline colorate spar se durante la notte da un mago mattac chione.

Rocco pensò di costruirsi uno zufolo. Da una pianta di sambuco tagliò un pezzetto di ramo non più lungo di una spanna. 10



Raschiò con cura la corteccia fino a ren derlo bianco e, con un bastoncino appun tito, spinse fuori il midollo, spugnoso e morbido. Poi, con la punta del coltello, fe ce alcuni buchi regolari, alla stessa distan za uno dall'altro. Infine chiuse le due estremità del tubetto con un legno adat to, lasciando una fessura per soffiarvi l'aria.

In meno di un'ora, lo zufolo era fatto5).

Rocco cominciò a suonare e una melodia

dolce si diffuse lungo il fianco della mon tagna e raggiunse le prime case del pae se. Il parroco, che si stava recando in chie sa per la prima messa, si fermò ad ascol tarla per qualche minuto, incuriosito e sorpreso. Le ore trascorsero veloci, mentre Rocco

continuava a suonare, orgoglioso del suo nuovo strumento. Non smise neppure

quando il sole scivolò dolcemente dietro 12


l'orizzonte e la montagna si tinse dei colo ri del tramonto. L'abbaiare insistente di Raspa lo riportò al suo lavoro. Si era fatto tardi e bisognava rientrare. Alcune capre

si erano spinte fin sotto la vetta del Sighignola, dove i dirupi si fanno pericolosi an che per le loro zampe allenate. Cominciò a radunare il gregge, usando il suo solito richiamo: - Cià, eia, eia! Zina Zina bèee,... cià, cià, cià!

Le capre, golose del sale, cominciarono ad avvicinarsi e Rocco si avviò con passo so stenuto lungo il sentiero. Raspa moltiplicò gli sforzi, fino a quando gli parve che nes suna capra fosse rimasta indietro, poi rag giunse il padrone, scodinzolando soddi sfatto del suo lavoro. La lunga fila comin ciò la discesa, mentre scomparivano an che le ultime ombre della sera. Alla Frova, le capre imboccarono vie diver se, seguendo l'invisibile richiamo della 13


stalla. Presto sarebbero state munte e il loro latte avrebbe nutrito tante famiglie,

aggiunto alla zuppa di riso, alla polenta o scaldato con un po' di caffè.

Rocco le guardò disperdersi dietro ogni angolo, mentre un dubbio cominciava a tormentarlo con sempre maggior insi stenza.

Per tutta la giornata non aveva visto la

Rossina e neppure durante il viaggio di ri torno. Di solito facevano l'ultimo tratto di strada insieme, fino alla stalla, situata di fronte a casa sua.

Affrettò il passo, mentre il timore che si fosse perduta nel bosco lo rendeva sem pre più inquieto. Giunto alla stalla, fece scorrere il catenac cio, aprì la porta e accese il moccolo di candela che portava sempre con sé. Nul la! La stalla era vuota e della Rossina non c'era traccia. 14



intanto, alla Costa della Croce, la Rossina si era arrampicata su uno sperone di roc cia che sporgeva a picco nel vuoto. Incurante del silenzio calato intorno a sé, brucava avidamente le tenere foglie dei cespugli di rosa canina. - Sono proprio stata fortunata a trovare questo posto, pensava. - Le mie compa

gne se ne sono già andate e non si sono accorte della mia assenza. Domani potrò tornare di nuovo qui e godermi tutto que sto ben di Dio. Continuò a brucare indi sturbata, fino a quando ebbe la sensazio ne di essere in pericolo. Senza sollevare il muso, roteò gli occhi a destra e a sinistra, muovendo le orecchie in tutte le direzioni per cogliere anche il minimo rumore. Niente, neppure un fruscio. Eppure nell'aria c'era un odore acre, pun

gente, che le dava un senso di paura.

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D'un tratto capì di non essere sola, ma or

mai era troppo tardi. Due occhi di fuoco la stavano osservando e da una bocca spa lancata sporgevano lunghe zanne, lucenti e aguzze. Un grosso lupo nero era immo

bile all'inizio dello sperone roccioso e le impediva ogni via di fuga. La povera Rossina sentì il sangue gelare dalla paura. Era in trappola. Da ogni par te c'era il vuoto e nell'unico punto in cui avrebbe potuto passare c'era quella belva minacciosa. Il lupo la squadrò da capo a piedi, pregustando un lauto banchetto. -Allora, bella capretta, sei pronta a riem pire la mia pancia? Ho veramente una fa me... da lupo! Ma non temere, non ti fa

rò soffrire. Ti mangerò in un solo bocco ne!

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Sapendo di non avere alcuna via di scam po, la Rossina fece ricorso alla sua furbi zia.

-Ti prego, lupo, lasciami almeno recitare le mie ultime volontà. Se proprio devo morire, vorrei lasciare quel poco che ho a chi continuerà a vivere. Ti supplico, lascia mi fare testamento!

Il lupo, colto di sorpresa da quella propo sta, sembrava indeciso. -Ma guarda che cosa va a pensare una

capra in punto di morte! Il testamento! Quando lo racconterò in giro nessuno mi crederà! Tuttavia, non avendo nulla da perdere, volle mostrarsi generoso e acconsentì.

-Va bene, capretta, ma sbrigati, che ho fame, borbottò.

La Rossina incominciò. -Lascio i miei occhi... ai bambini ciechi, affinchè possano di nuovo vedere le bel20


lezze del mondo; ...lascio le mie orecchie ...ai sordi, affinchè possano ancora senti

re il suono delle campane; ...lascio il mio naso alle persone che hanno perso l'olfat to, affinchè possano nuovamente sentire il profumo dei fiori; ...lascio la mia lingua a chi non può più parlare; ...lascio i mei

denti ai poveri vecchietti, affinchè possa no di nuovo masticare...

Il lupo, intanto, cominciava a spazientirsi. L'attesa stava durando più del previsto e

già si pentiva di aver accettato la proposta della capra. -Ti vuoi sbrigare?, ringhiò. -Hai promesso, lupo, e ora non puoi ti

rarti indietro. Lascia che io finisca in pace il mio testamento, ribattè la Rossina, e ri prese ancora più lentamente di-prima: -Lascio ...il mio mantello ...ai poveretti,

affinchè non soffrano più il freddo; ...la scio la mia coda ...a Rocco, il mio pastore, 21


affinchè si ricordi sempre della sua capret ta preferita; lascio ...il mio cuore ...ai miei

padroni, che mi hanno sempre voluto bene...

Il lupo, annoiato da quella filastrocca che non finiva mai, cominciava ad appisolarsi. Le sue palpebre si erano fatte pesanti e un

lungo sbadiglio lo indusse a sdraiarsi più comodamente sul muschio morbido e fre sco. Chissà per quanto ne aveva ancora quella capretta impertinente! - Lascio la mia barba al parrucchiere di

Arogno, affinchè la regali a chi è senza pelo; ...lascio le mie zampe agli zoppi, af finchè tornino a camminare; ...lascio la

mia campanella ...alla prossima capretta che nascerà in paese; ...lascio il mio latte ai neonati, così cresceranno sani e forti; ...lascio le mie ossa agli animali della montagna, affinchè...

Gli occhi del lupo, nel frattempo si erano 22


Il lupo, annoiato da quella filastrocca che non finiva mai, comincia va ad appisolarsi. Le sue palpebre si erano fatte pesanti e un lungo sbadiglio lo indusse a sdraiarsi piĂš comodamente sul muschio mor bido e fresco.

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chiusi e alla Rossina sembrò perfino di sentirlo russare. Per maggior sicurezza at tese ancora alcuni secondi in silenzio, poi pensò che fosse giunto il momento di concludere il suo testamento. -Lascio le mie corna ...a un lupo grosso e

sciocco che si è lasciato imbrogliare da una piccola capretta rossa! E spiccando un gran balzo scavalcò il lupo

e si precipitò a rotta di collo lungo il sen tiero per Arogno. Corse come mai aveva

fatto in vita sua, con il cuore in.gola per la paura, finché il bosco finì e si trovò sulle balze dei Ronchi. Era ormai buio quando Rocco sentì belare e grattare la porta della stalla sotto casa sua. Aprì la finestra e la Rossina sollevò gli occhi verso di lui come per dirgli: -Sono tornata sana e salva, amico mio. A

volte vale di più essere furbi che prepo tenti! 24



Rocco la guardò felice. Chissà dov'era sta ta fino a quell'ora! Dalla Costa della Croce6) giunse un lungo ululato minaccioso. - Dev'essere tornato il lupo, pensò Rocco.

Per fortuna la Rossina non l'ha incontrato.

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Note relative al testo

1.La denominazione Fróo è stata italianizzata in Frova per una più facile decodificazione da parte dei giovani lettori cui il testo è destinato. Analoga traslazione è stata fatta per Costa della Croce, che nella toponomastica del territorio di Arogno figura con la denominazione Còst da Crós.

2.All'inizio del Novecento, ad Arogno vi erano tre mandrie: quella di Pugerna, quella di Arogno-paese e quella di Ruvèrs (San Michele-Beretta-Canova-Bogo). Ognuna contava circa quattro cento capi. Poi, attorno al 1930, il loro numero si ridusse a 120130 capi per mandria e, dopo la seconda guerra mondiale, a 8090. Il pastore veniva nominato in base a un pubblico concorso e il suo compenso mensile era di un franco per capra, almeno fino al 1939. Il mattino suonava il corno, le porte delle stalle si aprivano ed egli si avviava verso la zona di pascolo stabilita. Verso la metà di ottobre le capre cessavano di dare latte e di conseguenza veni vano lasciate in montagna, sempre sorvegliate. Ogni due settima ne il pastore le riportava in paese, fino a quando veniva la neve. Le capre la sentivano in anticipo e rientravano da sole: un segna le meteo che avrebbe fatto invidia all'Osservatorio di Locamo Monti.

Lo stemma comunale raffigura ancor oggi la testa di un bel capro sormontato da una stella rossa di significato ignoto, quasi a voler testimoniare l'importanza che la capra ebbe per gli abitanti del vil laggio. 3.All'inizio dell'Ottocento, il villaggio di Arogno veniva chiuso mediante quattro portoni (Calfarée, Canàa, San Rocco e ai Ronchi), la cui manutenzione veniva messa a concorso ogni dieci anni (verbale del Municipio 12 .4.1807).

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4.Un tempo, i collari delle capre si costruivano con polloni di casta gno, frassino o nocciòlo che venivano piegati attorno ai tronchi degli alberi affinchè prendessero la necessaria curvatura. Alle estremità della parte piegata a U venivano praticati due fori attra verso i quali si inseriva un'asticella che ne bloccava l'apertura.

5.Con il legno di sambuco privato del midollo si può effettivamen te costruire uno zufolo funzionante.

6.1 luoghi menzionati nel racconto (Còst da Crós, Pugerna, San Vitale, monti Sighignola, Crocetta e Generoso) sono descritti nel libro dello stesso autore dal titolo Arogno, i luoghi e la loro storia. Edizioni Fontana 2004.

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L'Autore Fra i suoi ricordi di allievo, Mario Delucchi conserva alcuni titoli di intramontabili libretti delle Edizioni Svizzere per la Gioventù, letti a scuola, su quei vecchi banchi in legno con la ribalta che si usavano un tempo. Divenuto docente di scuola elementare utilizza a sua volta i libretti ESG come supporto per l'insegnamento e ne apprez za l'utilità e la qualità. Li ripropone successivamente anche nella scuola maggiore, nella quale insegna per otto anni, poi, nella fun zione di direttore e di ispettore, ne promuove la creazione e la diffu sione. Quando assume la carica di responsabile delle scuole elemen tari nel Dipartimento dell'istruzione e della cultura presiede per numerosi anni la Commissione di redazione di lingua italiana, dedi candosi principalmente alla pubblicazione di libretti finalizzati alla conoscenza della nostra regione. Terminata l'attività professionale, continua la sua collaborazione come autore. Fra le sue pubblicazio ni ricordiamo: Raccontami Alma (1999), Un ponte sul Ceresio (2000) e Bricolle e scarpe di pezza (2003).


Mario Delucchi II testamento della capra rossa Serie: Racconti / II nostro Paese da 9 anni

Una capretta dal mantello rosso si attarda alla Costa della Croce, sul monte Sighignola sopra Arogno, per brucare le tenere foglie di rosa canina. Un lupo la sor prende e la poveretta, fingendosi ormai rassegnata a finire nella sua pancia, lo supplica di lasciarle almeno recitare le sue ultime volontĂ . Il lupo acconsente e si sdraia paziente ad aspettare. Ma il testamento non ai e cosĂŹ...


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