Politecnico di Bari | FacoltĂ di Architettura- xxi Laboratorio di Restauro B Prof. Carabellese I., Raffaele D.
Ipotesi di Restauro Chiesa del Carmine Conversano.
Capobianco Francesco Errede Francesco Pagliarulo Giovanna Serena Romagno Onofrio 1
A cura di:
Indice
Francesco Capobianco
1. Inquadramento e descrizione
2 Rilievo
1.1. Inquadramento storico e territoriale, 6 1.1.1 Conversano: vicende storiche, 6 1.1.2 Le fasi d’espansione del borgo antico, 7 1.1.3 Il Convento: vicende storiche, 8 1.1.4. Il Convento: ricostruzione planimetrica delle fasi costruttive, 9 1.1.5 Il Convento: relazioni Storico-Urbanistiche, 10
2.1. Rilievo fotografico, 24 2.1.1 Restituzione fotografica del carattere murario, 24
capobianco84@libero.it
Francesco Errede
francesco.errede@gmail.com
Giovanna Serena Pagliarulo janetpag@gmail.com
Onofrio Romagno
onofrio.romagno@gmail.com
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1.2.
L’esterno, 11 1.2.1 Descrizione e restituzione fotografica, 11 1.2.2 Dettagli e confronti, 12 1.2.3. Restituzione vettoriale e 3D, 15
1.3.
L’interno, 16 1.3.1 Descrizione e restituzione fotografica, 16 1.3.2 Dettagli e confronti, 18 1.3.3. Restituzione vettoriale e 3D, 20
2.2.
Materiali: studio e rilievi, 26 2.2.1 La pietra, 26 2.2.2 La malta, l’intonaco e lo stucco, 28 2.2.3 Gli organismi edilizi tradizionali, 29 2.2.4 Restituzione grafica del rilievo, 32 2.2.5 Restituzione vettoriale e 3D, 36
3. Il campanile
4 Il degrado
3.1. Il rilievo, 38
4.1. Rilievo e analisi del degrado, 42 4.1.1 L’esterno, 42 4.1.2 L’interno, 46
3.2. Studio e restituzione 3D, 39
4.2. Rimedi al degrado, 49
5 Il progetto 5.1. Studio e soluzione ai problemi dell’umidità, 56 5.1.1 L’umidità, 56 5.1.2 L’umidità d’invasione, 57 5.1.3 Tecniche di risanamento, 57 5.1.4 Conclusioni progettuali, 59 5.1.5 Restituzione vettoriale, 60 5.2. Il progetto , 61 5.2.1 Il progetto, 61 5.2.2 La croce , 62 5.2.3 L’illuminazione, 63 5.4 Restituzione grafica, 64 5.4.1 Il sagrato e la viabilità, 64 5.4.2 La croce, 65, 5.4.3 L’illuminazione, 66
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1. Inquadramento e descrizione 1 1.1. Inquadramento storico e territoriale 1.1.1 Conversano: vicende storiche 1.1.2 Le fasi d’espansione del borgo antico 1.1.3 Il Convento: vicende storiche 1.1.4. Il Convento: ricostruzione planimetrica delle fasi costruttive 1.1.5 Il Convento: relazioni Storico-Urbanistiche 1.2.
L’esterno 1.2.1 Descrizione e restituzione fotografica 1.2.2 Dettagli e confronti 1.2.3. Restituzione vettoriale e 3D
1.3.
L’interno 1.3.1 Descrizione e restituzione fotografica 1.3.2 Dettagli e confronti 1.3.3. Restituzione vettoriale e 3D
1. Inquadramento e descrizione
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1.1. Inquadramento storico e territoriale 1.1.1 Conversano: vicende storiche Centro fondato dagli Appuli, utilizzato successivamente dagli Japigi (X secolo a.C.) come base fra entroterra e mare per i loro traffici pastorizi. Ne sono testimonianza i resti delle antiche mura megalitiche. Col nome di Norba appare nella “Tabula Peutingerina”. Nel V secolo d.C. mutò il nome in Cupersanum. In epoca longobarda venne fondato il nucleo originario del castello; dominato dai bizantini dalla fine del IX secolo fino al 1054. In quest’epoca ebbe inizio la costruzione della Cattedrale (sec. XI) e l’insediamento dei Benedettini (metà secolo X). Sotto i Normanni, primo Conte fu Goffredo d’Altavilla, nipote di Roberto Guiscaldo, quindi la contea passò sotto diversi feudatari, tra cui Brienne, gli Enghien, i Lussenburgo, gli Orsini e da ultimo gli Acquaviva di Aragona, che la tennero dal 1456 al 1806. L’abitato in età medioevale (all’interno delle mura megalitiche) era caratterizzato da un nucleo principale a nord (costituito da castello, la cattedrale e il convento di S. Benedetto) e da un’edilizia minore ad un piano con terreno sul retro. Questa tipologia mutò ben presto per la scarsità di aree edificabili, con sopraelevazioni ed ampliamenti. Con la costruzione del convento di S. Francesco extra moenia (1289),
sotto il conte Ugo Brienne, a sud-est il paese espandeva un nuovo borgo, Castelvecchio, con asse viario centrale e blocchi residenziali paralleli con unità raggruppate secondo una successione a schiera. L’espansione databile tra il XIV e il XV secolo, venne delimitata da una murazione del primo nucleo e di tre porte, la Tarantina ad est (tutt’ora esistente), dal Casale a sud e dall’Orologio ad ovest (distrutte). Della murazione sopravvivono solo le due porte originarie: del Carmine (1598) e di Acquaviva (1601). Con i piani urbanistici del secolo XIX si assiste all’abbattimento nel 1828 della Porta Antica della Città e nel 1831 della Porta dell’Orologio con la creazione della piazza XX Settembre. La piazza era finalizzata ad un’integrazione dei tre Borghi con conseguente spostamento del baricentro Largo Vescovado. Sulla nuova piazza prospettano il municipio (ex convento di S. Francesco rinnovato in forme neoclassiche), la Torre dell’Orologio e il terrazzo-belvedere, costruito agli inizi del secolo sulle nuove botteghe a ridosso delle vecchie mura. La popolazione conta 578 abitanti nel 1532, 800 nel 1545, 1043 nel 1561, 1629 nel 1595, 1740 nel 1648, 1405 nel 1669. Nel 1691 è quasi distrutta dalla peste; nel 1802 conta circa 7500 abitanti.
Veduta di Conversano (G.B. Pacichelli 1703) La veduta esclude il monastero del Carmine sia dalla visione sia dalla lagenda. In effetti la vista a “volo d’uccello” pare ripresa proprio dal convento del Carmine, una scelta di esclusione che appare voluta. Questa veduta di Conversano rappresenta quindi una esemplare testimonianza di come il convento sia stato sempre trattato come un elemento esterno e indifferente al contesto urbano.
Il territorio di Convtersano nel 1874
Da: “Storia di Conversano dai tempi più remoti al 1865”, G. Bolognini. “Ricerche storiche su Conversano e dintorni”, V. L’Abbate. “La Chiesa e il Convento del Carmine a Conversano”, M. Esposito e L. Mitarotondo.
1.1.2 Le fasi d’espansione del borgo antico 1
Fase 1 - Epoca Pre-Romana, ipotesi del borgo pianificato
Fase 2 - Epoca Romana, ampliamento del borgo
Fase 3 - Epoca Pre-Medioevale, ipotesi del borgo
Fine 1000 A.C.
VII Sec. A.C. - 354 A.C.
354 A.C. - 410 D.C.
Fase 5 - Epoca BassoMedioevale, sviluppo del borgo di Fase 4 - Epoca AltoMedioevale, completamento della cittadella
Castelvecchio
Fase 6 - Espansione del borgo extra moenia
480 D.C. - 1054 D.C.
1054 D.C. - 1400 D.C.
1400 D.C. - 1700 A.C.
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1. Inquadramento e descrizione
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1.1.3 Il Convento: vicende storiche Il convento dei frati carmelitani a Conversano fu fondato nel 1617 ed originariamente intitolato a S. Leonardo. Dal 1625 una serie di donazioni, certamente superiori alle esigenze dell’esigua comunità, consentì il riassetto della struttura conventuale, mirato ad un adeguamento funzionale della preesistenza ed ad un suo ampliamento per accogliere la nascente comunità. Si ritiene di poter indicare il 1639 quale anno conclusivo dei lavori di ristrutturazione del convento e della sistemazione del largo ad esso antistante. Nel 1652 il convento veniva chiuso a seguito della “soppressione” emanata da l Papa Innocenzo X (dichiarò soppressi 217 Conventi Carmelitani in Italia). Dal 1652 al 1661 si intensificò il ruolo attivo dei frati, soprattutto impiegati nella ricerca di nuove adesioni ed appoggi influenti, in grado di inserirli stabilmente nel tessuto sociale della città. Certamente in questi anni maturò l’incontro con la contessa Isabella Filomarino Della Rocca che manifestò la sua intima adesione allo spirito ed alle necessità della comunità carmelitana. Ne derivò un impiego diretto, rivolto alla loro rinascita, che si concretizzò nella costruzione della Chiesa del Carmine, da lei sostenuta economicamente e portata a compimento nell’anno 1662. A memoria della sua morte, nella chiesa del Carmine ad oggi si conserva il ritratto della Contessa Isabella in abito “da terziaria”, realizzato con la tecnica del calco sulla maschera
mortuaria. Nel 1754, ufficializzata da Regio assenso, si affianca alla comunità dei frati la Congregazione del Carmine, come testimoniato da un’ atto notarile che sancisce lo statuto e le regole. Dopo questa data si può collocare l’inizio dei lavori di imbarocchimento che riguardano l’interno della chiesa. Questa esigenza d’ammodernamento può considerarsi la conseguenza della congregazione verso i carmelitani che, forse dopo una iniziale riluttanza, avevano offerto ai confratelli la possibilità di riunirsi nella loro chiesa, accettando di fatto una stretta convivenza non priva di difficoltà. Il ciclo dei lavori d’imbarocchimento forse si concluse nel 1767. E’ certo che gli stucchi, ancora oggi ammirabili all’interno del tempio, riportano alla seconda metà del XVIII secolo e all’incidenza della scuola napoletana, come stile di decorazione. Nel 1795 i frati concedono in enfiteusi temporanea alla confraternita un suolo attiguo alla chiesa, per la costruzione di un oratorio. Il 7 Dicembre 1804 nel nuovo oratorio della confraternita, il Padre Rettore Frà Giovanni Candela Carmelitano celebra la prima messa. A partire dal 19 settembre 1809 si attua il decreto di soppressione dei conventi. Dal 1845 al 1849 in occasione della riapertura del convento, furono eseguiti lavori di ristrutturazione sia attinenti al convento stesso che alla chiesa, per un ammontare complessivo di 2240 ducati e 63 grana.
La confraternita del Carmine, in virtù della legge n.753 del 3/8/1862, dal 1863 venne amministrata dalla Congregazione di Carità con detta “Opera Pia”. L’eccessiva soppressione del convento, nonché l’inizio del graduale distacco dalla sua destinazione originaria, è testimoniato dall’impiego di spesa stanziata dall’Opera Pia nel bilancio preventivo per l’anno 1864. Fino alla seconda metà dell’Ottocento il quadro relativo al complesso del Carmine denuncia uno stato di abbandono. Il 9 febbraio 1885 il Comune dichiara l’oratorio pericolante e chiede alla congregazione di esprimersi con urgenza sulla riparazione da farsi o sulla sua demolizione. Il 5 aprile l’oratorio verrà parzialmente demolito. Circa la data dell’effettiva demolizione dell’oratorio non si hanno notizie precise; risulta peraltro allegata ad un documento del 1921 una planimetria nella quale si riscontra ancora la presenza dell’oratorio, in dimensione apparentemente ridotta. Oggi l’oratorio non è più presente.
Pianta catastale del comune di Conversano (1874-78); archivio di stato Bari.
Pianta delle consistenza del complesso del Carmine (1885)
1.1.4 Il Convento: riscostruzione planimestrica delle fasi costruttive
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Ricostruzione storica piano terra dal 1809 al 1907. - Arch. G. Mastronardi
Ricostruzione storica piano terra dalle origini al 1809. - Arch. G. Mastronardi
Ricostruzione storica piano terra dal 1913 al 1960. - Arch. G. Mastronardi
Ricostruzione storica piano terra dal 1960 al 1980. - Arch. G. Mastronardi
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1. Inquadramento e descrizione
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1.1.5 Il Convento: relazioni StoricoUrbanistiche La città di Conversano subì, nella seconda metà del XVI secolo, un consistente fenomeno d’inurbamento. Infatti, mentre nel 1532 contava 573 fuochi, nel 1595 ne raggiunse il numero di 1629. Tale consistente aumento demografico comportò la creazione, tra il XVI e XVII secolo, di un nuovo sobborgo ad ovest della città, denominato Castel Nuovo, attribuito al Conte Adriano Acquaviva D’Aragona. L’impianto urbano fu imposto secondo un tracciato ortogonale che segnava isolati di forma rettangolare di uguale profondità e lunghezza variabile. La nuova urbanizzazione venne opportunamente cinta da mura e dotata di soli due accessi esterni: secondo l’asse nord-sud la Porta di Acquaviva; secondo l’asse est-ovest la Porta di Turi. L’insediamento conventuale carmelitano si collocò a stretta distanza dalla cinta muraria, lungo la direttrice della via di Turi, costituendo di fatto la prima emergenza extraurbana rispetto al nuovo polo di sviluppo della città. L’ordine carmelitano si fondava, in origine, su una regola che imponeva una vita contemplativa ed ermetica. Questa regola condizionò la localizzazione dei monasteri e la loro struttura interna. Era considerato sito privilegiato quello lontano dai centri urbani ed a diretto contatto con il territorio agricolo, unica fonte di sussistenza. Il complesso conventuale si sviluppa lungo la via di Turi, secondo un principio
d’aggregazione seriale, individuabile nella successione di volumi, ciascuno in diretta comunicazione con l’asse viario. Il quadriportico del chiostro apre l’allineamento del fronte sulla strada, ponendo su di essa l’ingresso principale del convento. Di seguito si sviluppa il corpo dei servizi, con l’annesso “cortilerustico” dotato di pozzo e cisterna. Seguono due locali adibiti a “stalla e pagliera”, affiancati dal “trappeto”. Alle spalle del trappeto si estende un “giardino chiuso” delimitato da un alto recinto. Il fronte interno di questa struttura seriale prospetta internamente sull’ampio “orto” a diretto servizio della comunità. Lungo il fronte orientale del convento, si attesta la chiesa del Carmine, il cui fronte principale è arretrato rispetto a quello stradale, definendo l’omonimo largo. L’aula, ad impianto rettangolare, si estende fino al limite del fronte secondario del convento, emergendo oltre tale allineamento con il corpo del transetto e dell’abside, cui si attesta lateralmente il corpo della sagrestia. L’asse viario “Strada Turi” assume per il convento una primaria importanza, in quanto elemento di comunicazione fondamentale per la gestione dei rapporti economici legati alla proprietà terriera. Pur non essendo nota la modalità d’acquisizione del sito si ritiene possa essere casuale la sua vicinanza al centro urbano. La casualità di tale localizzazione si manifesta nella negazione di visuali prospettiche verso la città, alla cui vista si espongono i prospetti secondari. I fronti principali si affacciano sulla strada
di Turi, mentre l’arretramento della chiesa, con la seguente affermazione del largo ad essa antistante, accentua un’indipendenza spaziale di tutto il complesso architettonico nei confronti della città.
1.2 L’esterno 1.2.1 Descrizione e restituzione fotografica Una caratteristica distintiva delle visuali prospettiche della Parrocchia del Carmine è l’uso della pietra calcarea lasciata a vista. Tale scelta di apparecchiatura muraria è anche frequente, in differenti tipi di lavorazioni, nelle chiese di S. Francesco di Paola, S. Chiara, S. Giuseppe e SS. Cosma e Damiano coeve e situate nel territorio di Conversano. Altro elemento comune è rappresentato da una differenziazione gerarchica dei vari fronti di ciascun edificio. Dal confronto tra i vari manufatti emerge una stessa logica che prevede una parete di fondo continua su cui si stagliano netti elementi decorativi. Una diversa lavorazione della pietra tesa ad una maggiore espressività è riservata al facciata principale, per ovvie ragioni di decoro e rappresentatività.
Prospetto Nord Lo schema compositivo della facciata principale si schematizza nella sovrapposizione di un triangolo isoscele
su di un quadrato, con un asse di simmetria verticale che ordina la dislocazione degli elementi decorativi sul fronte suddiviso in tre fasce verticali. Ciascuna fascia laterale è una nuda parete composta da filari regolari di pietra squadrata. Nelle due fasce laterali, una nicchia con alveolo ed esedra, scavata al centro della compatta struttura muraria, ne accentua il carattere plastico di spessore; il suo contorno, delineato da una cornice scanalata, emerge come valore cromatico nel continuo della sua trama, come nella chiesa di S. Chiara. Nella fascia centrale, lungo l’asse di simmetria, il tema del vuoto contrapposto al volume pieno si esalta ed amplifica. L’elemento murario si svuota gradualmente nella sequenza di aperture che vanno dalla nicchia, che occupa l’intera altezza del timpano, al finestrone posto all’intradosso dell’architrave del fronte fino a giungere al portale d’ingresso. L’eleganza della facciata, austera nel suo rigore compositivo, si esalta nel sapiente equilibrio dei suoi particolari decorativi. Pinnacoli di forma tronco piramidale ornano ciascun vertice del timpano, racchiuso da un cornicione che sottolinea gli spioventi e la base orizzontale. Un’analoga cornice, di spessore minore, profila il lembo superiore ed inferiore dell’architrave su cui si alternano quattro metope, privi di fregi, in lieve aggetto sulla superficie della trabeazione. Il fusto longilineo d’ogni parasta, costituito da blocchi lapidei squadrati e sovrapposti, spicca da un plinto sostenuto dallo
zoccolo di fondazione; i quattro elementi verticali si collegano superiormente all’architrave con un capitello di tipo tuscanico. Alla sommità di una bassa gradinata di pietra, dal caratteristico profilo mistilineo, si apre il portale d’ingresso alla chiesa del Carmine. La cornice d’inquadramento, arricchita da vari ordini di scanalature, segnala l’attacco dei piedritti alla soglia d’accesso con dadi d’appoggio quadrati. Superiormente è posta l’architrave, stretta lateralmente da due esili mensole a voluta che sostengono la base del timpano. Il timpano è costituito da un frontone triangolare interrotto e spezzato, che include, in corrispondenza dell’apice mancante uno stemma dall’effige consueta, attribuibile alla casata dei Filomarino della Rocca. Termina in alto la fascia centrale del fronte, il finestrone rettangolare con architrave e cornice in aderenza alla trabeazione sul lieve aggetto del lembo inferiore. Stipiti ed architrave del finestrone sono inquadrati da una cornice a nastro, liscia, che si rastrema in corrispondenza della soglia. All’intradosso della soglia è collocato un cartello in pietra contenente l’iscrizione INDULGENZA PLENARIA.
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Prospetto Est Il fronte laterale, di dimensioni pari al doppio del fronte principale, è tripartito da quattro paraste innalzate su di un plinto di base e sormontate da un capitello tuscanico. Sul fianco, le paraste assumono la funzione di elementi strutturali; i pannelli murari sono quindi semplici elementi di tompagno costituiti da ricorsi irregolari di conci lapidei sbozzati, localmente irrigiditi da ricorsi in blocchi di pietra squadrata. Allineate alla quota del finestrone di facciata, sei aperture si dispongono a coppia su ciascuna delle tre campate scandite da sostegni verticali. La cornice che cinge ciascun finestrone è composta da conci squadrati ancorati alla tessitura muraria a conformare arco e piedritti. Disomogeneità riconoscibili nella tessitura muraria evidenziano la traccia di preesistenti aperture. Il campanile inglobato nel corpo di fabbrica lungo il fianco orientale della chiesa tra la quarta
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1. Inquadramento e descrizione
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cappella e il transetto, emerge come una torretta a pianta quadrata. E’ sormontato da una copertura a bulbo con all’apice un globo da cui emerge una croce di ferro.
Prospetto Sud Il fronte posteriore della chiesa è costituito da una superficie piana articolata in due ali simmetriche, corrispondenti alle cappelle laterali ed un corpo centrale rialzato coincidente con il transetto. Nell’ambito definito da queste superfici s’innesta il catino semicircolare dell’abside a sottolineare lo spazio dell’aula centrale del tempio. Nella parete dell’abside è collocata una grande finestra con arco a sesto ribassato priva di cornice.
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Coperture Le coperture, pur essendo occultate alla vista dell’osservatore, rispecchiano la differenziazione dei volumi costituenti il corpo di fabbrica. Realizzata con embrici lapidei, la copertura dell’aula centrale e del transetto è della tipologia del tetto a due falde: assume un originale forma tronco conica nella copertura dell’abside. I deambulatori sono coperti da una tipologia a terrazzo, di recente pavimentazione.
1.2.2 Dettagli e confronti La facciata Lo schema compositivo della facciata principale si schematizza nella sovrapposizione di un triangolo isoscele su di un quadrato, con un asse di simmetria verticale che ordina la dislocazione degli elementi decorativi sul fronte. Il timpano, a vela triangolare, si salda alla sottostante parete quadrata mediante l’innesto di un architrave, tale suddivisione è segnata dalla presenza di quattro metope in leggero rilievo che introducono la più estesa tripartizione della facciata. Il fronte quindi è scandito da quattro paraste che lo dividono longitudinalmente in tre partiture di eguale dimensione, distinguibili in una una fascia centrale e due laterali simmetriche.
Conversano, Chiesa del Carmine
Conversano, Chiesa di S. Francesco da Paola
Il campanile Tra le tipologie dei timpani barocchi, è individuabile il motivo a “pagoda” o a “baffo” come il più diffuso nell’edilizia religiosa del comune conversanese. Elementi decorativi, come la metopa scanalata con terminale “a punta di lancia” posta all’apice delle paraste del campanile, dichiara una presenza di originaria marca stilistica fanzaghiana. Questi particolari decorativi sono ricorrenti, applicati con diverse varianti, in molte facciate di chiese e palazzi conversanesi. Il campanile della chiesa del Purgatorio, costruito nel 1734 (data scolpita alla sommità della torre) è opera dell’architetto Vito Valentini di Bitonto. Di forma quadrata è costituito da due piani, ognuno dei quali ha alte finestre arcate e balaustrate. E’ concluso a cornice sagomata e contornato da cuspide piramidale. Il campanile di San Giacomo, incorporato nella muratura del presbiterio fino all’ altezza della chiesa, si sopraeleva isolato da questa. E’ diviso da cornici spartipiano in due ordini di stile romanico: il primo ha bifore eleganti per slanciare e colonnine con capitelli su cui sono girati i doppi archetti compresi a loro volta in un soprarco cieco; le bifore del secondo, invece, più semplici, sono delimitate inferiormente da ringhiere di ferro. Nel XVIII sec. fu sovrapposta una cupoletta barocca a forma di cipolla rigonfia, aperta in ogni lato da oculi ellittici.
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Conversano, Chiesa del Carmine Bari, Chiesa di San Giacomo
Palo del Colle, Chiesa del Purgatorio
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1. Inquadramento e descrizione
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Il portale Carattere comune alle facciate e ai portali del barocco nella provincia di Bari è un’ipomodulazione. Si tratta di una versione contenuta del barocco, ricca di spunti manieristici. Si può notare, infatti, che come nella chiesa del Carmine (fig. 6) e nella chiesa di San Cosma e Damiano (fig. 7) il timpano triangolare è interrotto e spezzato, solo nel primo caso accoglie il blasone. Al contrario nelle chiese di Santa Chiara e di San Francesco da Paola il timpano è ancor meno strutturato: triangolare con un frontone non decorato. Al di sotto vi è posato l’architrave definito lateralmente da due mensole sempre in stile manierista che sorreggono la base del timpano. L’architrave della chiesa della di Santa Chiara e della chiesa del Carmine presentano iscrizioni, nel secondo caso l’epigrafe riporta la dedica: In honorem Deiparæ Virginis de Monte e Carmelo Exc. ma D. Isabella Philomarino Conversano Comitissa Templvm hoc a fvndamentis extramxit MDCLXII. In ognuno dei casi a confronto, il portale è bordato da una cornice d’inquadramento, strobata e decorata con vari ordini di scalanature; i portali, tutti lignei, nel caso dellta chiesa del Carmine e di quella di Santa Chiara sono inoltre decorati con rispettivamente ventotto e venti medaglioni, quadrati e rettangolari. La soglia d’accesso è segnata dall’attacco di piedritti con dadi d’appoggio quadrati ed è sempre dotata di un gradino; solo per la chiesa del Carmine e per quella di San Cosma e Damiano è anticipata da
una scalinata.
Conversano, Damiano.
Chiesa
di
San
Cosma
Conversano, Chiesa del Carmine.
Conversano, Chiesa di Santa Chiara.
e Conversano, San Francesco da Paola.
1.2.1 Restiuzione vettoriale e 3D 1
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1.3 L’interno
1. Inquadramento e descrizione
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1.3.1 Descrizione e restituzione fotografica La pianta La pianta della chiesa, di forma rettangolare allungata, è del tipo ad aula unica. L’invaso dell’aula è delimitato lateralmente da due strette ali che ne accompagnano lo sviluppo longitudinale, concluso sul fondo dal cantino semicircolare dell’abside. All’omogeneità dell’insieme planimetrico, si contrappone un gioco articolato di volumi; infatti, il sistema delle volte segna volumetricamente le due aree principali del tempio. L’invaso dell’aula è coperto da una volta a botte unghiata, mentre, ortogonalmente ad esso, si sviluppa un volume rettangolare sormontato da una volta a botte a sesto rialzato, impostata sulla quota di colmo della precedente copertura. L’elemento di raccordo tra questi due ambienti spaziali è costituito da un arco-diaframma, di sotto al quale si erge la monumentale cortina dell’altare maggiore, che ne occupa l’interluce, costituendo il fulcro prospettico principale dell’intera visione del tempio.
Parallelamente allo sviluppo dell’aula, le due ali laterali sono interrotte dalla successione di setti murari trasversali; questi, occupandone la breve profondità, scandiscono l’ampiezza del fronte lungo la navata centrale. Tale scansione di setti determina, lungo ogni ala laterale, una serie di quattro cappelle seguite in successione da due fuori modulo consistenti in un restringimento della campata antistante l’altare maggiore ed in una dilatazione di quella successiva. Quest’ultima, non visibile all’osservatore, ricade nella zona di servizio della chiesa vicino alla sacrestia e conclude lo sviluppo di ciascun’ala laterale.
Ogni cappella è definita dai setti murari portanti su cui posa l’arcone a tutto sesto della volta e del fondo. Lateralmente, nei setti portanti, sono aperti dei varchi di passaggio che segnano una continuità di percorso fra le cappelle. L’ultima campata, posta al termine della successione ritmica delle cappelle, è diversa dalle precedenti in quanto mostra, su ambedue i lati dell’aula, un fronte costituito da una parete continua. In essa si collocano: in basso, una nicchia contenente una statua; superiormente,
un piccolo palco semicircolare in aggetto sul filo della parete (la cantoria); a sinistra dell’altare maggiore una nicchia che contiene l’organo.
Lungo entrambe le ali laterali dell’aula, allineato all’estradosso delle arcate delle cappelle, si snoda l’impalcato della sovrastante galleria. Conforme all’articolazione del volume sottostante, ogni campata del deambulatorio è composta dal prolungamento dei setti laterali che sostengono l’arcone a sesto rialzato della volta; in essi s’aprono i varchi d’attraversamento. Sulla parete di fondo della galleria, in corrispondenza di ciascuna campata, si apre una finestra centrale. Tali aperture oggi sono visibili solo lungo il fianco orientale della chiesa. Generato dalla proiezione delle unghie della volta d’aula, il fronte della galleria è definito da una successione di arcate a
sesto acuto che ne delimitano le singole specchiature. Al centro di ciascuna di esse, si apre una finestra rettangolare che conduce, nell’aula, la luce proveniente dalla parete di fondo della galleria. Di maggiore dimensione è il finestrone centrale aperto sulla controfacciata del tempio, corrispondente a quello esterno ed allineato all’imposta dalle bucature presenti lungo le ali laterali. Un accentuato contrasto chiaroscurale tra le superfici ed un sensibile dinamismo delle loro linee d’intersezione, sono gli elementi di forza dominanti nella composizione dello spazio interno del tempio.
Le decorazioni Alla severità delle linee della facciata esaltate dall’ipermodularità delle lesene corrisponde la sontuosità dell’interno, fastoso esempio di barocco in Puglia. L’oro dello sfolgorante altare maggiore ligneo ben si collega agli intensi ritmi luministici dettati dai bianchi ricchi e capricciosi stucchi sulla volta e sulle pareti, su cui ancora aurei arredi lignei (cantorie e pulpito) si stagliano come preziosi elementi di raccordo con la
continua serie degli altari lignei dorati. Quello che colpisce in questa chiesa è l’unità scenografica barocca dettata dal sapiente armonico combinarsi di decorazioni seicentesche ( gli arredi lignei) e settecentesche (gli stucchi). E tale felice combinazione sembra concretizzarsi ancor più nel coro ligneo, in cui i dossali seicenteschi vengono effigiati con immagini settecentesche di santi.
L’altare a portelle Spazialmente l’altare maggiore rappresenta il centro ideale dell’ambiente architettonico, provocando l’inizio di quel processo di tensione spaziale tipica del mondo barocco. Certo è che questa tipologia di altare collegato alle pareti laterali con le due portelle, a guisa di sipario tra la zona della celebrazione della messa ed il coro, rientra a pieno nei canoni dettati dalle norme del Concilio di Trento, che disponevano la separazione delle due zone, con la creazione a volte, anche ex novo, della zona del Coro (eliminando antiche absidi) alle spalle dell’altare
maggiore. L’altare nel dettaglio può essere ricondotto ad una tipologia molto semplice, con il volume stereotomico dell’altare a scandire una profondità che catalizza lo sguardo verso il centro dove si trova l’immagine sacra della Madonna del Carmine. Al di sotto, sempre al centro, troviamo il tabernacolo, ed è proprio con l’inserimento di questo che si moltiplicano i volumi, con l’inserimento di più gradini. L’aspetto teatrale della grande “macchina d’altare” è sottolineanta dalle due portelle laterali, sovrastate ognuna dalla statua di un santo carmelitano (privo di didascalia identificativa della loro identità) e decorate di deliziosi battenti. Questi sono articolati, nella parte superiore, da grate lignee con cartiglio con iscrizioni: “Porta paradisi” e “Ianua coeli” e, nella parte inferiore, da un pannello dipinto con un sipario che si apre su due puttini che additano un cartiglio con lo stemma dei carmelitani a sinistra ed un’altro stemma a destra.
Il coro ligneo Raffinato si offre in tutta la sua bellezza al nostro sguardo appena varchiamo le portelle dell’altare maggiore. Asseconda la semicircolarità dell’abside con il vistoso effetto coloristico del verde marmorizzato ed oro che si dispiega lungo i battenti laterali d’ingresso, gli scanni, i dossali e i nitidi profili dei pellicani, che fanno da divisorio fra sedie e sedile. Complementari a tale cromia sono le telette dei Santi Carmelitani, applicate sui dossali del coro. Sul dossale del Vescovo vi è l’immagine della Vergine del Carmine ed in asse in alto lo stemma dei carmelitani.
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Il grande baldachino aereo Uno spettacolare “Padre Eterno” si staglia sul fastigio dell’altare, debitamente incorniciato da volute mistilinee e puttini, sorreggenti il grande “baldacchino aereo” che pur simulando un cielo stellato, da cui dipende la raggiante colomba dello Spirito Santo, si pone come “corona imperiale” alla venerata e miracolosa immagine della Madonna della Bruna. 17
1. Inquadramento e descrizione
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1.3.2 Dettagli e confronti L’altare maggiore L’altare ligneo è diffussisimo in Terra di Bari e Capitanata. Della grande quantità di questi manufatti abbiamo testimoninaza sopratutto grazie alle Sante visite. L‘altare maggiore si sviluppa spesso come retablo sull’intera parete divisoria col restante coro e presenta diversi elementi costanti. Sono frequentemente dotati di grandi tabernacoli a tempietto, sono ornati sulle volute di originali busti di anime purganti, sono tuccati di color oro e sono collocati in arconi rivestiti interamente da racemi dorati. Pochi altari lignei isolati sopravvivono ai vari ammodernamenti. Possiamo notare come la tipologia rispecchia lo schema consueto: immagine sacra centrale, fiancheggiata da una coppia o da due coppie di colonne su plinti con fusto per un terzo decorato a racemi, per il resto scanalato o percorso da viticcio, al di sopra timpano spezzato lineare o curvilineo, ai lati volute ad intaglio. Insieme a queso tipo di altare si diffonde quello a retablo e quello a unica immagine centrale con articolato gioco di colonne, due o tre per lato.
Napoli, S. Maria della Nova. Pescocostanzo, Gesù e Maria.
Il coro Prima del Concilio di Trento era un organismo architettonico chiuso in se stesso all’interno della navata, dopo con le “Insructiones fabbricae ecclesiasticae” diventa un elemento in secondo piano confinato al perimetro absidale e l’altare maggiore acquista importanza. Questo cambiamento prevede addirittura l’abbattamento di antichi absidi e il prolungamento dell’area presbiteriale. A seguito di fenomeni di corrosione o solo per scelte di gusto, i cori intarsiati sono rari, al contrario, sono di notevole quantità i cori lignei intagliati. Questi “nuovi” cori si adeguano all’abside e sono accomunati dalla presenza iconografica di stemmi familiari, santi e beati sui dossali degli stalli.
Napoli, S. Maria degli Angeli delle Croci.
Napoli S. Maria di Costantinopoli.
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Roma, S. Agostino.
Putignano, Carmine.
Conversano, Chiesa del ligneo (sec. XVII-XVIII).
Carmine.
Coro
Conversano, Chiesa del Carmine. Coro ligneo, particolare dei profili dei pellicani (sec. XVII).
Gli stucchi A metà del settecento persumibilmente si stuccava la chiesa del Carmine, appartenente allo stesso ordine di quella di Bitonto disegnata dall’Arch. Valentino. Gli stucchi di Conversano presentano elementi di grande raffinatezza: le continue volute che determinano la sinuosità delle cornici, l’una legata all’altra nella volta e raccordate anche ai profili delle unghie della volta stessa con
piccoli festoni. In ogni unghia si apre una finestra, con cornice mistilinea in stucco e testina di puttino alato centrale,. Dalla testina parte a scendere un ricchissimo cartiglio allungato, a sua volta collegato con la cornice mistilinea del vano-porta di collegamento fra ogni cappella. Un elemento ritmico di eccezionale eleganza che scandisce il susseguirsi delle cappelle. Vibra, sotto la luce, la parete controfacciata col grande lunettone, con la finestra dalla cornice mistilinea a più volute e con un ricco cartiglio superiore, che si ripropone al di sotto del cornicione marcapiano, al disopra della bussola d’ingresso. La decorazione in stucco è ancora presente in un numero notevole di chiese, siano esse di nuova fondazione che ammodernate in epoca barocca, per la maggior parte databili al ‘700, con pochi esemplari seicentesche. Le decorazioni in stucco, infatti, leggere e relativamente economiche, hanno subito mutamenti, alterazioni, distruzioni, più di ogni altro manufatto.
Il pulpito Si presenta addossato ad uno dei pilastri di divisione fra la terza e la quarta cappella sinistra, in legno intagliato, dipinto dorato, ascrivibile al XVII secolo. Il pulpito è poligonale, ha otto lati, quattro quadrati e quattro rettangolari. É sormontato da un baldacchino di analoga forma con dentelli pensili all’interno con cielo stellato e la Colomba dello Spirito Santo. Si imposta su di una base piramidale, poggiante su una mensola con foglie di acanto. La base, scandita in più parti da un motivo continuo ad ovoli, presenta una decorazione dipinta in oro a girali. Il pulpito rientra a pieno nell’ambito della decorazione tardo-seicentesca. I pulpiti seguono i criteri della decorazione e della forma del tardorinascimento e del barocco; sono spesso seguiti “à pendant” di cori lignei e delle cantorie. Di pianta rettangolare o ottagonale, sono nel maggiore dei casi scanditi da coppie di colonne angolari delimitanti nicchie o da lesene decorate, presentano una base ad imbuto e baldacchino.
Conversano, Chiesa del Carmine.
Conversano, Chiesa del Carmine.
Organo e cantoria In corrispindenza della quinta cappella tamponata, sia nel lato sinistro che destro della chiesa, si erge pensile una cantoria semicircolare tutta intagliata e dorata. Solo quella del lato sinistro è dotato di organo. La tecnica dell’intaglio e la scansione spaziale del prospetto di entrambe le eguali cantorie ci rimandano al vicino pulpito ligneo: infatti ritroviamo anche gli stessi riquadri con simile motivo decorativo. L’organo, di dimensioni medie, a muro, è datato 1773. La forzata ed antiestetica inclinazione in avanti della cimasa testimonia come non fosse quella la sua originaria collocazione.
Conversano, Chiesa del Carmine. Da: “La Chiesa e il Convento del Carmine a Conversano” M. Esposito e L. Mitarotondo
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1.3.1 Resituzione vettoriale e 3D
1. Inquadramento e descrizione
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1. Inquadramento e descrizione
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2. Rilievo 2.1. Rilievo fotografico 2.1.1. Restituzione fotografica del carattere murario 2.2.
Materiali: studio e rilievo 2.2.1 La pietra 2.2.2 La malata, l’intonaco e lo stucco 2.2.3 Gli organismi tradizionali 2.2.4. Restituzione grafica del rilievo 2.2.5 Restituzione vettoriale e 3D
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2.1. Rilievo fotografico
2. Rilievo.
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2.1.1. Restituzione fotografica del carattere murario
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2.2. Materiali: studio e rilievo
2. Rilievo.
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2.2.1 La pietra LadefinizioneMaterialiLapideiNaturaliindica genericamente le pietre usate dall’uomo in architettura, scultura e come materia prima per la produzione di materiali lapidei artificiali, quali intonaci, stucchi, laterizi, ecc. Più specificamente i geologi usano il termine roccia per indicare un aggregato di minerali, costituente la parte solida della terra, con composizione (chimicomineralogica), struttura e aggregazione indipendente dalle altre unita’ petrografiche vicine. Il termine pietra viene usato più’ propriamente per le rocce compatte impiegate in architettura e scultura. In base al processo genetico le rocce sono distinte in ignee, sedimentarie e metamorfiche: rocce ignee formatesi per solidificazione di un magma; rocce sedimentarie formatesi per compattazione e cementazione di un deposito; rocce metamorfiche formatesi da rocce preesistenti, attraverso cambiamenti che avvengono allo stato solido, provocati da forti pressioni e alte temperature, ma senza che la massa fondi. I paramenti murari da noi esaminati sono composti da rocce sedimentarie, le quali si distinguono in funzione del tipo e dell’origine del sedimento in: rocce detritiche o clastiche, rocce di deposito chimico e rocce organogene; di queste ultime fanno parte i calcari porosi e compatti. Caratteristiche meccaniche I materiali lapidei naturali e artificiali sono materiali rigidi: sottoposti a sforzi meccanici che superano i valori delle
loro caratteristiche di resistenza essi si fratturano in maniera più o meno estesa in funzione delle modalità di applicazione dello sforzo. Tuttavia, se si misurano le deformazioni prodotte dagli incrementi di un carico a compressione, applicato su un campione, cioè se si registra la curva sforzo/deformazione, si può osservare che il materiale ha un comportamento nonlinearmente elastico per valori abbastanza lontani dal carico di rottura. Poi, per un breve intervallo, mostra un comportamento di tipo plastico, e infine subisce la rottura. Questo comportamento è dovuto al fatto che inizialmente la forza applicata provoca l’avvicinamento delle pareti dei capillari, almeno di quelle orientate più o meno perpendicolarmente al carico; segue una zona di comportamento elastico poi, quando il carico è sufficiente a produrre lo slittamento delle pareti cristalline e lo sfaldamento dei cristalli, si verifica una zona di deformazione plastica, alla quale segue, infine la rottura. Se si inverte l’applicazione dello sforzo a prima della rottura si registra una piccola deformazione permanente dovuta agli sfaldamenti prodotti, che sono irreversibili. E’ stato inoltre verificato che, quando il carico è sufficientemente lontano dal valore a rottura ed è applicato per un tempo sufficientemente prolungato, la deformazione permanente può essere vistosamente macroscopica. E’ questo il caso della deformazione indotta dalla dilatazione lineare termica e quello che a volte si osserva in lastre marmoree piuttosto sottili ed allungate, che si deformano a causa del loro stesso peso. In genere i materiali vengono posti in opera
correttamente ed in maniera tale da non dover sopportare carichi che eccedono la loro resistenza, neanche quando sono imbibiti di acqua. Tuttavia può accadere che per cause varie si creino condizioni che portano allo sviluppo di fratture nella massa lapidea e che questa si trovi sottoposta anche a sforzi di trazione e flessione inizialmente non previsti. Oltre agli sforzi applicati dall’esterno, il materiale deve anche resistere a quelli, soprattutto di trazione, che si possono sviluppare all’interno della rete capillare come conseguenza di processi di dilatazione di minerali argillosi espandibili o di crescita di cristalli di ghiaccio o sali. Questi processi sono particolarmente pericolosi, se si considera che la resistenza a trazione di un materiale rigido è notevolmente inferiore (fino a 1/50) alla sua resistenza a compressione. Degrado: tipologia dei fattori Quando la temperatura di un materiale lapideo bagnato scende al di sotto di 0° a pressione ambiente, l’acqua liquida presente nei suoi pori comincia a solidificare. Il processo avviene con la formazione di piccoli cristalli di ghiaccio che man mano si vanno accrescendo a spese dell’acqua ancora liquida. Il valore delle tensioni che si verificano all’interno della struttura porosa può produrre la fratturazione del materiale, che diverrà più poroso, potrà assorbire più acqua e diverrà sempre meno resistente agli sforzi provocati dai cicli di gelo-disgelo. Il fenomeno viene spiegato ipotizzando il seguente meccanismo in più fasi. Tutta l’acqua presente in un
materiale (o nella sua porzione più vicina alla superficie) si trasforma in ghiaccio, ad esempio durante un periodo notturno. Nel successivo periodo diurno la temperatura sale sopra 0°C per alcune ore e la parte più superficiale del ghiaccio fonde. Nel periodo notturno che segue, la temperatura scende nuovamente e incomincia a formarsi nuovo ghiaccio nella parte di materiale più superficiale, che si raffredda per prima. Tra il nuovo strato di ghiaccio superficiale che si sta formando e quello più profondo formatosi in precedenza, resta intrappolata una porzione di acqua liquida. La pressione sviluppata dai cristalli di ghiaccio in crescita verrà trasmessa idraulicamente dall’acqua liquida a tutta la zona dove essa è presente. Tale zona diviene il luogo di concentrazione degli sforzi prodotti dalla formazione del ghiaccio. Il fenomeno si può ripetere ciclicamente molte volte, in funzione delle variazioni termiche esterne e in corrispondenza di questa concentrazione di sforzi si possono produrre fratture del materiale, con distacco di porzioni più o meno parallele alla superficie esterna.
Causa ulteriore del degrado dei materiali lapidei è rappresentata dall’inquinamento atmosferico. I processi di combustione
sono responsabili della produzione di molti inquinanti. Il carbone e il petrolio greggio contengono discrete quantità di sostanze organiche solforate. L’uso di questi materiali come combustibili per le attività sopra accennate dà luogo alla formazione di sottoprodotti solforati, in particolare il biossido di zolfo SO2. Una volta immesso nell’aria, esso si ossida trasformandosi in acido solforico e solfati attraverso percorsi chimici diversi: in fase gassosa, nell’acqua liquida delle nuvole e nelle goccioline degli aerosol, sulle superfici solide con le quali viene in contatto e dalle quali può venire assorbito. Il processo di ossidazione è piuttosto lento e rende possibile il trasporto dell’ SO2. Quando l’acido solforico risultante dall’ossidazione viene in contatto con le superfici dei materiali esposti esso può attaccarli chimicamente provocando danni molto gravi; in particolare, sui substrati calcarei, o che contengano carbonati di calcio come componenti minori, il prodotto della trasformazione è il gesso, solfato di calcio bi-idrato, un sale molto più’ solubile della calcite e che può trasformarsi ciclicamente nella fase emiidrata per riscaldamento a temperature superiori a circa 40°C. Altro fattore è il biodeterioramento, l’alterazione irreversibile provocata da esseri viventi, sia microscopici sia macroscopici. Gli organismi viventi possono essere raggruppati in due grandi categorie in funzione in funzione della fonte di carbonio loro necessaria: autotrofi che utilizzano, grazie al pigmento clorofilliano, la CO2 dell’aria, per la sintesi del più semplice principio nutritivo organico; eterotrofi che utilizzano sostanze
organiche già esistenti e le scindono in funzione delle loro esigenze vitali Caratteristiche e analisi dei materiali CAMPIONE: 1 - FACCIATA PRINCIPALE NORD Elemento architettonico: Paramento murario Materiale: Lapideo naturale (pietra da taglio) Tipologia e genesi: Calcare compatto di origine sedimentaria Colore: Bianco Pezzatura e lavorazione: Conci medi pseudoisodomi Dimensioni medie: Larghezza 200-400 mm Lunghezza 150-500 mm Altezza 200-300 mm Trattamento: Naturale Posa in opera: Apparecchiatura in corsi regolari orizzontali Data di riferimento: 1662 Stato di conservazione: Molto buono
CAMPIONE: 2 - FACCIATA PRINCIPALE NORD Elemento architettonico: Modanatura Materiale: Lapideo naturale (tufo) Tipologia e genesi: Calcare poroso di origine sedimentario Colore: Beige Pezzatura e lavorazione: Conci variabili con lavorazione ad ascia e scalpello Dimensioni medie: Larghezza variabile Lunghezza variabile Altezza variabile Trattamento: Naturale Posa in opera: Apparecchiatura in corsi orizzontali regolari Data di riferimento: 1662 Stato di conservazione: Discreta
CAMPIONE: 3 - FACCIATA LATERALE EST Elemento architettonico: Parasta Materiale: Lapideo naturale (pietra da taglio) Tipologia e genesi: calcare compatto di origine sedimentaria Colore: Bianco Pezzatura e lavorazione: Conci grandi isodomi Dimensioni medie: Larghezza 300-350 mm Lunghezza 200-650 mm Altezza 250-300 mm Trattamento: Naturale
Posa in opera: Apparecchiatura in corsi orizzontali regolari Data di riferimento: 1662 Stato di conservazione: Molto buono
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CAMPIONE: 4 - FACCIATA LATERALE EST Elemento architettonico: Paramento murario Materiale: Lapideo naturale (pietra da taglio) Tipologia e genesi: Calcare compatto di origine sedimentaria Colore: Bianca Pezzatura e lavorazione: Conci piccoli e medi sbozzati Dimensioni medie: Larghezza variabile Lunghezza variabile Altezza variabile Trattamento: Naturale Posa in opera: Apparecchiatura muraria caotica Data di riferimento: 1662 Stato di conservazione: Buono
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2. Rilievo.
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CAMPIONE: 5 - FACCIATA LATERALE EST Elemento architettonico: Basamento Materiale: Lapideo naturale (pietra da taglio) e cemento Tipologia e genesi: calcare compatto di origine sedimentaria Colore: Bianco Pezzatura e lavorazione: Conci piccoli e medi sbozzati Dimensioni medie: Larghezza variabile Lunghezza variabile Altezza variabile Trattamento: Rivestimento cementizio impermeabilizzante Posa in opera: Apparecchiatura muraria caotica Data di riferimento: 1662 - 1980 (rivestimento) Stato di conservazione: Discreto
CAMPIONE: 6- COPERTURA Elemento architettonico: Rivestimento Materiale: Lapideo naturale (pietra di cursi) Tipologia e genesi: Calcare compatto di origine sedimentaria Colore: Beige Pezzatura e lavorazione: Chiancarelle medie e piccole isodome Dimensioni medie: Larghezza 250 mm Lunghezza 350 mm Altezza 50 mm
Trattamento: Naturale Posa in opera: Apparecchiatura in cosi orizzontali regolari Data di riferimento: 1980 Stato di conservazione: Ottimo
Le Cave
Aree di estrazione della pietra calcarea:
Aree di estrazione dei calcareniti
2.2.2 La malata, l’intonaco e lo stucco La malta La malta è un conglomerato costituito da una miscela di legante (ad esempio cemento e/o calce), acqua, inerti fini (ad esempio sabbia) ed eventuali additivi, il tutto in proporzioni tali da assicurare lavorabilità all’impasto bagnato e resistenza meccanica allo stato asciutto, dopo la presa e l’indurimento. La malta viene utilizzata nella realizzazione di murature, per collegare e tenere uniti altri materiali da costruzione, cui la malta fresca si adatta aderendovi tenacemente fino a dare una struttura monolitica ad indurimento avvenuto. In realtà’ la principale funzione della malta di allettamento, soprattutto di quella a base di calce, non è quella di incollare i mattoni o le pietre tra loro, bensì quella di distribuire il carico delle parti sovrastanti sull’intera sezione orizzontale del muro, compensando le asperità delle superfici d’appoggio dei blocchi, in particolare di quelle irregolari della pietra. Le malte idrauliche come le malte pozzolaniche o malte a cocciopesto, erano note già ai tempi dei Fenici e vennero perfezionate dai Romani che con esse costruirono e resero impermeabili i sistemi di adduzione dell’acqua quali acquedotti e cisterne. Questa tecnologia è alla base anche delle mura a sacco romane e con essa è stato possibile realizzare la volta del Pantheon di Roma, che però tecnicamente è costituita da calcestruzzo, visto che oltre all’aggregato fine contiene anche un aggregato grossolano. Una malta è un materiale composito e conseguentemente
manifesta proprietà variabili in funzione della natura dei suoi componenti. Il fenomeno di irrigidimento delle malte è dovuto a due processi: la presa e l’indurimento. La presa interessa tipicamente soltanto il legante, mentre l’indurimento può riguardare esclusivamente il legante, in questo caso l’aggregato ha semplice funzione di inerte, oppure essere legato all’interazione tra legante e aggregato che in questo caso si dice reattivo. In base al tipo di indurimento le malte possono essere distinte in due diverse famiglie: le malte aeree che fanno presa ed induriscono soltanto se messe a contatto con l’aria, le malte idrauliche che possono dar luogo alle reazioni di indurimento, quindi dopo aver fatto presa, anche non a contatto con l’aria. In base a questa prima classificazione si vede che le malte di calce possono avere sia comportamento aereo che idraulico in funzione della natura dell’aggregato. In particolare le malte aeree di calce aerea induriscono tramite la reazione di carbonatazione, ovvero la trasformazione dell’idrossido di calcio della calce in carbonato di calcio. In queste malte l’aggregato funge da scheletro inerte, riduce il ritiro della malta in seguito alla perdita d’acqua del legante, migliora le proprietà meccaniche e favorisce la carbonatazione dell’intero strato di malta. Anche queste malte manifestano una buona resistenza all’acqua e all’umidità, grazie alla bassissima solubilità del carbonato di calcio che funge da legante, si mantengono in generale sufficientemente traspiranti e sono state utilizzate per secoli per l’ottenimento di intonaci interni ed esterni anche di straordinaria durabilità.
Le malte idrauliche a base di calce aerea invece prevedono l’utilizzo di un aggregato reattivo, quale la pozzolana naturale o il cocciopesto. La caratteristica comune a tutti gli aggregati reattivi è il contenuto di ossidi acidi, di alluminio e soprattutto di silicio, capaci di reagire in presenza d’acqua con l’idrossido basico di calcio per formare gli stessi composti che si ottengono per indurimento di una calce idraulica. Questa reazione avviene dunque all’interfaccia tra legante e aggregato, garantendo una straordinaria aderenza tra la sabbia e il legante, che porta ad una drastica riduzione della porosità’ della malta. Questa ridotta porosità e l’elevata aderenza tra aggregato e legante rendono le malte idrauliche a base di calce aerea rispetto a quelle aeree: meno permeabili all’acqua; meccanicamente più’ resistenti; meno dilavabili e quindi più durabili. L’intonaco L’intonaco è uno strato di rivestimento protettivo delle murature. Esso, oltre alla funzione protettiva, assume, talvolta, una funzione estetica. L’intonaco è tradizionalmente una malta composta da una parte legante (indurente) che ingloba sabbia di dimensione granulometrica selezionata con diametro massimo generalmente non superiore ai 2 millimetri. Negli intonaci moderni, inoltre, sono presenti sostanze additive aggiunte con lo scopo di modificare le caratteristiche dell’intonaco. Gli intonaci si distinguono in base al legante usato: intonaco a base di calce, dove l’unico legante è la calce idrata; intonaco calce-cemento, dove
il legante è una miscela di calce idrata e cemento portland, con prevalenza di calce; intonaco cemento-calce, dove il legante è una miscela di calce idrata e cemento portland, con prevalenza di cemento; intonaco a base di gesso, dove il legante è esclusivamente gesso. La sabbia utilizzata nell’intonaco può essere calcarea o silicea, di provenienza fluviale (naturale) o derivante da macinazione. L’intonaco, più correttamente detto corpo d’intonaco, forma un rivestimento compatto composto di più strati, ognuno con caratteristiche e funzioni diverse, che va a coprire la muratura con spessore generalmente compreso tra 1,5 e 2 centimetri; in casi particolari lo spessore può raggiungere anche i 10 centimetri. Il primo strato a contatto con la muratura si chiama rinzaffo o abbozzo; esso ha il compito di ponte di adesione tra il corpo d’intonaco e la muratura; viene applicato in maniera non uniforme fino al rivestimento del 60-80% circa della muratura: con la sua granulometria grossolana crea delle zone ruvide che serviranno da aggrappante per gli strati successivi. Tra i vari strati dell’intonaco, il rinzaffo è quello che presenta le più elevate resistenze a sollecitazioni fisiche. Il secondo strato e’ definito arriccio o arricciato o intonaco rustico, ha una granulometria media (circa 1,5 millimetri di diametro massimo) e viene applicato in spessori che variano da 1,5 a 2 centimetri, rivestendo così il ruolo di vero e proprio scheletro di tutto il sistema intonaco. Il suo principale compito è di uniformare la superficie delle murature, andando ad eliminare tutti gli eventuali difetti di planarità
e verticalità, e, dato lo spessore, di barriera protettiva nonché di struttura portante per gli strati successivi. L’ultimo strato, detto intonachino o velo (la sua applicazione è generalmente definita stabilitura) ha solitamente due funzioni: proteggere l’intonaco e renderlo esteticamente gradevole. Ha una granulometria fine, di diametro massimo inferiore agli 800 micron, ed il suo spessore di applicazione è inferiore ai 3 millimetri. Nell’antichità quest’ultimo strato era solitamente realizzato con colorante, acqua e calce, mentre oggi vi sono numerose tipologie di pitture ed intonaci protettivi già rifiniti. Lo stucco Lo stucco è un impasto finissimo a base di gesso o cemento usato in edilizia per il rivestimento e la decorazione di muri e soffitti e nell’arte. Viene impiegato per dare un aspetto più gradevole a superfici grezze quali calcestruzzo, legno o metallo. Lo stucco lucido o stucco romano viene impiegato con pigmenti vari per imitare le superfici marmoree. La composizione può essere molto variabile, facendo del termine stucco una categoria di materiali più che un prodotto specifico. A volte sono aggiunti additivi acrilici o fibre di vetro per aumentarne le caratteristiche di resistenza e lavorabilità. Storicamente lo stucco consisteva in un impasto a base di calce spenta stagionata e polvere di marmo. Ricca di carbonato di calcio. Lo stucco permette anche di realizzare figure tridimensionali e statue. L’architettura barocca e rococò ha fatto largo uso di stucchi in palazzi e chiese, per realizzare
sovrapporte, cornici tra pareti e soffitti e per contornare aree. Permette inoltre di creare una estensione tridimensionale alle pitture (bassorilievi) e ai trompe l’oeil. Alcune miscele (prevalentemente a base di gesso) sono adatte per uso interno, non tollerando l’umidità, mentre altre sono impiegate per decorazioni esposte alle intemperie. Nell’uso moderno le decorazioni in stucco sono spesso prefabbricate su lastre che vengono successivamente applicate in sede. Lo stucco mescolato con resine e colle viene utilizzato in edilizia anche come elemento di giuntura tra due elementi architettonici e come elemento per la rasatura di pareti in cartongesso o gesso rivestito. 2.2.3 Gli organismi tradizionali La regola d’arte La nomenclatura dei muri di pietra naturale è formata da muri di pietrame informe, muri di pietrame grossolanamente lavorato, muri in pietra squadrata. Per l’intera casistica la regola dell’arte si applica alla ricerca degli espedienti utili al miglior comportamento meccanico delle pareti, e si guardi per questo all’uso di legature trasversali utili al monolitismo della parete, e alla corretta messa in opera degli elementi lapidei, ivi compresi quelli particolarmente irregolari da sembrare posti in getto, ma che invece sono aggregati a mano, assestati con martelli di legno e messi a contrasto reciproco con l’uso di scaglie calcate negli interstizi tra pietra e pietra, il tutto in presenza di ottima malta. Per i muri di pietrame informe, infatti, è determinante la qualità della malta che è chiamata a svolgere il ruolo di legante.
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2. Rilievo.
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Il tipo murario si compone di pietrame di sassi, pietrame comune di cava, ciottoli e scheggioni di pietra. L’irregolarità del pietrame rende inopportuna la ricerca di qualsiasi rigore geometrico nella disposizione degli elementi e neppure agevola l’organizzazione delle commessure verticali affinché non si trovino allineate le une alle altre. Le prescrizioni della regola dell’arte pertanto si riducono alla necessità di localizzare nelle angolate le pietre più’ grosse e regolari e nel disporre gli elementi lungo giaciture tendenzialmente orizzontali. Le pietre vanno sovrapposte sulla faccia più’ regolare, resa tale anche con qualche grossolana e circoscritta lavorazione superficiale in corso d’opera. La corretta composizione del muro impone che sia garantito il frequente collegamento tra i due versanti della sezione muraria, pertanto si pongono in opera alternativamente e in strati sovrapposti, il numero maggiore possibile di elementi di punta, di lunghezza tale da occupare frequentemente il centro della sezione muraria. Per la buona esecuzione della struttura è fondamentale la cernita del materiale affinché il pietrame possa essere agevolmente disposto cosi’ da lasciare il minor numero di interstizi da occludere con scaglie di pietra e malta. L’irregolarità delle componenti lapidee, inoltre, impone di realizzare frequenti piani di posa orizzontali utili alla miglior giacitura delle pietre. Tali ripianamenti si realizzano ad altezze tendenzialmente costanti comprese tra i novanta centimetri e il metro e venti in dipendenza delle dimensioni medie del pietrame e si realizzano ricorrendo ancora
a scaglie di pietra e malta da localizzare ad arte tra gli elementi più grandi. La presenza di tali pietre minute non arreca nocumento alla stabilità dell’apparecchio murario in presenza di buona malta cui far dipendere la coesione del muro. Non disponendo di pietre di dimensioni sufficienti a realizzare il collegamento dei due paramenti attraverso il nucleo, è consuetudine ricorrere alla posa in opera di listature di mattoni (due o tre corsi alla distanza di circa un metro e cinquanta) a realizzare una struttura formata di strati alternati di pietrame e mattoni. Tale fisionomia strutturale rappresenta la consuetudine in ambiente romano, dall’antico opus mixtum sino ai numerosi esempi otto novecenteschi realizzati con brani di muratura di pezzame di tufo intervallata, ogni ottanta centimetri di sviluppo in altezza della parete, da un doppio filare di mattoni. Nei muri di pietrame grossolanamente squadrato gli elementi lapidei sono caratterizzati da un livello superiore di lavorazione preliminare alla posa in opera, e questo consente, agevolmente e con la dovuta precisione, l’osservanza delle regole costruttive descritte sino ad ora: la migliore qualificazione geometrica degli elementi lapidei facilita la realizzazione di ricorsi di altezza omogenea, con giacitura orizzontale e i cui elementi componenti hanno disposizioni corrette soprattutto per quanto attiene l’efficace sfalsamento dei giunti verticali. In questo tipo murario, tuttavia, altre attenzioni vanno rivolte all’uso corretto del materiale lapideo: esso, generalmente, è costituito da pietre di cava a struttura stratificata che non tollerano
giaciture di esercizio diverse da quelle del loro letto naturale pena lo sfaldamento e la rottura. Si chiamano pietre da taglio o conci, le pietre naturali tagliate e ridotte a forme geometriche regolari, e di dimensioni tali da presentare un peso troppo considerevole per poter essere trasportate e maneggiate da un solo operaio. Si chiamano conci tutti i massi lavorati di un volume maggiore di 0,40 m. Le pareti devono essere tagliate al vivo, piane o centinate secondo il bisogno e lavorate in modo da presentare facce di paramento regolari con scabrosità non maggiori di 0,01 m. Per la struttura dei muri con tali massi, è necessario che tanto la faccia superiore ed inferiore, ossia i letti della pietra, quanto le facce laterali o fianchi e quelle apparenti o di paramento, siano perfettamente piane e lavorate, affinchè ciascuna pietra si trovi isolatamente in posizione di equilibrio, minima risulti la larghezza delle commessure e massima la solidità e la bellezza della muratura. - E’ conveniente che i conci siano messi in opera in modo che i loro letti di naturale giacitura nelle cave riescano normali alla direzione delle forze cui sono soggetti. - E’ necessario che le facce di ciascuna pietra formino tra loro angoli retti od ottusi e mai acuti, come più’ deboli e facili a rompersi sotto l’azione degli sforzi che devono sostenere. - E’ più robusta, meno difficile e meno dispendiosa l’esecuzione di una muratura in pietra concia, quando le diverse facce di una pietra sono piane o tutt’al più’
sviluppabili o rigate. - E’ necessario che dalla sovrapposizione dei conci risultino commessure orizzontali continue e commessure verticali interrotte. - E’ necessario evitare che alcuna parte della muratura posi in falso. La disposizione delle pietre è regolata dalla loro dimensione e dalla grossezza del muro. Eccezion fatta della struttura ad opera incerta o ciclopica, per cui possono impiegarsi massi di qualunque forma poliedrica, i conci sono comunemente ridotti alla forma di parallelepipedi rettangoli, con dimensioni in relazione alla qualità della pietra e alle pressioni alle quali sono soggetti, e tali che la lunghezza è raramente superiore al quintuplo dell’altezza. Per i casi di una struttura meno regolare la lunghezza della pietra può essere al più tripla dell’altezza, e la larghezza doppia dell’altezza. Le pietre con base troppo larga sono stabili se il loro spessore non e’ troppo debole; le pietre cubiche sarebbero le più resistenti se potessero solidamente combinarsi e concatenarsi tra loro. I conci si dispongono per filari di altezza costante. Si deve procurare che le pietre poggino sulla più larga delle loro facce, e secondo il letto di cava. La giacitura dei conci deve risultare normale alla direzione delle forze cui sono sottoposti. Le commessure verticali devono essere discontinue. Collocati i conci di un filare al loro preciso sito, se ne rinzeppano tutte le commessure verticali con malta diluita con 1/5 circa del suo volume di latte di calce. Questa malta si versa a più’ riprese per riempire i vani prodotti dal suo asciugamento, e vi si introduce facendola
penetrare dovunque mediante una sottile stecca dentata di ferro. Se la muratura in pietra concia serve solo da rivestimento a un muro di struttura ordinaria, bisogna realizzare un buon collegamento fra le due parti che compongono la struttura, per questo la coda di due conci contigui deve essere diversa.
Analisi apparecchiature murarie
Medodi e tecniche della lavorazione del calcare compatto e del tufo in base alla dimensione dei conci da realizzare. 2
Da: L. ZEVI (a cura di), Il manuale del restauro architettonico, Mancosu, Roma, 2001
Apparecchiatura muraria del prospetto laterale (Est)
Apparecchiatura muraria della facciata (Nord)
Tipologia muraria dell’antichità secondo la trattatistica premoderna. Sone illustrate le murature arcaiche “Ciclopiche” (1), le murature isodome e pseudoisodome tipiche dell’antichità greca e romana (2-4), le murature miste e imbottite ascrivibili al magistero dell’antichità romana (5-8) Da: G. A. Breymann, Trattato generale di costruzioni civili.
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2.2.4. Restituzione grafica del rilievo Prospetto nord
2. Rilievo.
2
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Prospetto sud
Prospetto est
2
Sezione longitudinale
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2. Rilievo.
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Sezione trasversale
2
Pianta coperture
Sezione pianta, mt +1.00
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2.2.5 Restituzione vettoriale e 3D Spaccato assonometrico
2. Rilievo.
2
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3. Il campanile 3.1. Il rilievo 3.2. Studio e restituzione 3D 3
3.1. Il rilievo
3. Il Campanile
3
Pianta +1,00 mt
Prospetto nord
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Prospetto est
Prospetto sud
3.2. Studio e restituzione 3D
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Prospetto ovest
Sezione assonomestrica
Vista assonomestrica
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3. Il Campanile
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Esploso assonometrico 40
4 Il degrado 4.1. Rilievo e analisi del degrado 4.1.1 L’esterno 4.1.2 L’intetrno 4.2. Rimedi al degrado 4
4.1. Rilievo degrado 4.1.1 L’esterno
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e
analisi
del
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Prospetto Est
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Prospetto nord
Prospetto sud
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4.1.2 L’interno
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Sezione trasversale
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Sezione longitudinale
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Pianta +1,00 mt
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5 Il progetto 5.1. Studio e soluzione ai problemi dell’umidità 5.1.1 L’umidità 5.1.2 L’umidità d’invasione 5.1.3 Tecniche di risanamento 5.1.4 Conclusioni progettuali 5.1.5 Restituzione vettoriale 5.2. Il progetto 5.2.1 Il progetto 5.2.2 La croce 5.2.3 L’illuminazione 5.4 Restituzione grafica 5.4.1 Il sagrato e la viabilità 5.4.2 La croce 5.4.3 L’illuminazione
5.1. Studio e soluzione ai problemi dell’umidità 5.1.1 L’umidità I meccanismi attraverso i quali l’acqua giunge ad un edificio sono molteplici::
5. Il progetto
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Acqua di struttura È l’acqua presente nei legami chimici della struttura cristallina di ogni materiale lapideo. È quindi strettamente connessa al materiale stesso e non va considerata nel calcolo del contenuto di acqua del materiale in quanto non ha rilevanza nelle manifestazioni di degrado. Umidità di costruzione È rappresentata dall’acqua utilizzata durante gli interventi di edificazione e ristrutturazione per la preparazione delle malte e degli intonaci. È un tipo di umidità che poco interessa in quanto tende ad evaporare al termine dei lavori stessi.
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Umidità di igroscopicità Tutti i materiali lapidei, a causa della loro porosità, assorbono umidità, sotto forma di vapore, dall’aria che li circonda. La quantità di acqua assorbita dal materiale per igroscopicità dipende dalla pressione parziale del vapore contenuto dall’aria, dalla porosità e dalla caratteristica del materiale. Prendendo come modello un solido poroso ideale, il processo di assorbimento di acqua inizia con la formazione sulla superficie di uno strato monomolecolare ricoperto, in successione, da altri strati analoghi
che si distribuiscono sulla superficie del poro formando degli anelli: in questa situazione l’acqua liquida costituisce la fase discontinua, mentre la miscela di aria e vapore rappresenta la fase continua. Raggiunto un dato contenuto di umidità nel materiale, gli anelli iniziano a coalescere aggregando progressivamente le particelle di acqua disperse nella miscela aria-vapore, rendendo continua, all’interno dei pori anche la fase liquida. Nella pratica, il fenomeno dell’igroscopicità non risulta generalmente pericoloso. Umidità meteorica Si tratta dell’acqua proveniente dalle precipitazioni meteoriche. Escludendo le superfici di copertura dell’edificio, le parti maggiormente interessate sono le superfici verticali contro le quali il vento spinge l’acqua meteorica che viene quindi assorbita orizzontalmente attraverso la porosità del materiale. La penetrazione è dovuta principalmente all’azione capillare e quindi alle caratteristiche porosimetriche e fisiche del materiale; quest’ultima avviene principalmente attraverso le fessure presenti sulla superficie. L’infiltrazione può penetrare nello spessore murario al massimo per 6-7cm e la muratura si asciuga in pochi giorni per effetto dell’evaporazione. Solo in presenza di fessure passanti nel paramento murario, l’acqua meteorica assorbita può raggiungere la superficie interna. Le acque meteoriche, se non adeguatamente raccolte, possono imbibire il terreno circostante l’edificio
e, attraverso il meccanismo della risalita capillare, essere assorbite dalle murature. Umidità di condesazione È causata dal passaggio allo stato liquido del vapore contenuto nell’aria ambiente e dal suo successivo deposito sulla superficie del manufatto. Quando l’aria ambiente viene in contatto con una superficie che si trova ad una temperatura inferiore a quella di rugiada ha luogo la condensazione: il vapore in eccesso si trasforma in liquido sotto forma di goccioline di acqua. Nelle costruzioni più antiche, che presentano maggiori spessori murari il fenomeno si manifesta con maggiore intensità nelle stagioni intermedie in quanto le pareti restano, per la loro grossa inerzia termica, a temperature diverse rispetto all’aria. In primavera l’aria si riscalda molto più velocemente della parete, mentre in autunno si innesca il fenomeno contrario: l’aria incomincia a raffreddarsi mentre la parete si mantiene ancora calda. Umidità di assorbimento capillare In questo caso il fattore scatenante è la presenza di acqua nel terreno adiacente al manufatto che la assorbe a causa della porosità del materiale che lo costituisce. Molto sinteticamente, i fattori che insieme concorrono ad innescare l’assorbimento capillare sono l’interazione chimica e fisica tra il materiale costituente il manufatto e la molecola di acqua e il tipo di porosità del materiale. Ambedue determinano la
prevalenza delle forze di adesione che attivano la migrazione del liquido lungo le pareti dei pori capillari del materiale in senso orizzontale e verticale. Una volta innescato il fenomeno della risalita, nel caso di un’alimentazione costante di acqua dal terreno, potrebbe portare l’acqua ad una altezza considerevole. In pratica, una struttura muraria a contatto con un terreno umido raggiunge un equilibrio derivante dal bilancio idrico tra la quantità di acqua assorbita per capillarità e quella persa per evaporazione. La riduzione dell’altezza massima del fronte umido è conseguente alla prevalenza dei fenomeni di evaporazione su quelli di assorbimento. È per tale ragione che, in genere, le murature esposte a nord presentano fronti di risalita più alti rispetto a quelle esposte a sud. L’origine dell’acqua presente nel terreno ha un’influenza fondamentale sull’estensione del danno. Se l’acqua proviene dalla falda freatica la risalita interesserà tutto il perimetro murario con contenuti di acqua simili per tutti i setti murari e altezze del fronte di risalita pressoché costanti in ogni periodo dell’anno. Se, invece, la presenza di acqua nel terreno è dovuta ad acque disperse, la risalita si localizza in modo differenziato lungo il perimetro dell’edificio e le altezze del fronte di risalita sono generalmente variabili nel tempo.
5.1.2 L’umidità d’invasione Negli edifici più datati si riscontra spesso un tipo di umidità denominata umidità d’invasione. Essa solitamente si presenta distribuita irregolarmente, in maniera stazionaria o progressiva nel tempo. Negli edifici più vecchi l’invasione può avvenire: - dal sottosuolo; - dall’aria per condensazione; - dalla presenza di materiali igroscopici; - da infiltazioni;
Capillarità Oltre il danno igienico, l’acqua di capillarità produce in alcuni elementi costituenti il muro un processo di demolizione specifica, in altri casi un processo di deturpazione interna togliendo il pregio decorativo.
Come mostrato in figura il tubo capillare agisce contro la legge dei vasi comunicanti in quanto l’acqua sale.
5.1.3 Tecniche di risanamento Le principali tecniche di risanamento si possono classificare in 3 sistemi:
Notiamo che l’invasione umida segue la via più breve (A), oppure (B) quando il materiale è più assorbente della malta. Mentre segue la via più lunga (C), percorrendo una traiettoria più corta, quando il materiale risulta anticapillare. Le pietre naturali da costruzione a differenza dei laterizi capillari, non hanno tutti lo stesso diametro, perciò la quantità d’acqua assorbita diminuisce con l’altezza.
Sistemi di allontanamento dell’acqua dalla parete Riguardano le sole pareti perimetrali e tendono ad escludere il contatto Muratura-Acqua, mediante la realizzazione di drenaggi, intercapedini o vespai. Per proteggere dall’umidità, la soluzione migliore è ovviamente quella di incanalare l’acqua piovana e di allontanarla dall’edificio con canali di gronda, pluviali e canalizzazioni di scarico. E’ possibile intervenire prevedendo sistemi di allontanamento e/o intercettazione dell’acqua, eliminando cioè la fonte stessa di umidità; tali sistemi sono rappresentati da: Barriera verticale impermeabile con distanziatore ventilante, Barriera verticale porosa con raccolta d’acqua e ventilazione. L’intercapedine è realizzata mediante la costruzione di una nuova parete controterra, distanziata da quella dell’edificio, in modo da creare un vano lungo tutta la parete soggetta a umidità dotato inferiormente di cunetta per la raccolta dell’acqua e coperto da una soletta di calcestruzzo armato. La sua efficacia è in genere molto elevata, ma dipende dalla ventilazione del vano e dalla possibilità di smaltimento dell’acqua eventualmente raccolta al suo interno.
L’indice di risalita dipende dallo spessore della struttura muraria e dalla ventilazione cui è esposta, per tale motivo la presenza di una intercapedine che favorisce la ventilazione riduce sensibilmente la risalita dell’acqua all’interno delle murature.
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Idonei interventi di risanamento consistono nella realizzazione di uno scavo approfondito fino a portare alla luce l’intera parete da proteggere e nella successiva applicazione di un sistema di impermeabilizzazione. Il successivo reinterro della zona scavata deve avvenire con materiale permeabile al fine di creare una zona di drenaggio dell’acqua, munita di tubazioni di raccolta e di smaltimento in pozzi perdenti o, se possibile, nella rete fognaria.
Sistemi di sbarramento nei confronti della risalita capillare Riguardano le pareti perimetrali e le tramezzature e si basano sul principio di evitare la risalita capillare realizzando un taglio nella parete, operato mediante: la riduzione della sezione capillare assorbente (metodo edilizio); l’inserimento all’interno della parete di materiali anticapillari (quali la pietra), di materiali impermeabili (quali le lamine metalliche piane o ondulate), di materiali plastici (quali i poliesteri), di manti bituminosi o in vetroresina, di malte cementizie (metodo meccanico); l’iniezione all’interno della parete di formulati chimici atti ad inibire la risalita capillare dell’umidità (metodo chimico). Il metodo edilizio è certamente tra i più antichi e si realizza riducendo la sezione capillare con una serie di aperture ad arco. Tale metodo è evidentemente oneroso e difficile, modifica fortemente l’equilibrio statico dell’edificio e la sua immagine architettonica; pertanto esso risulta di limitata applicabilità. Il metodo meccanico ha anch’esso origini antiche e nelle prime realizzazioni sperimentate su edifici veneziani prevedeva un procedimento manuale di “cuci e scuci” consistente nella sostituzione del materiale poroso umido con materiale anticapillare lungo l’intero basamento dell’edificio. L’intervento è senz’altro molto laborioso e oneroso e risulta realizzabile solo in murature regolari di spessore limitato.
Le tecniche si diversificano in base a diversi principi di azione: chiusura dei pori e dei capillari con effetto consolidante; riduzione del potere di assorbimento dei capillari con effetto idrofobizzante; impregnazione a lenta infusione (senza pressione); impregnazione a iniezione (con pressione).
Sistemi di evacuazione dell’acqua contenuta nella parete Riguardano le pareti perimetrali e le tramezzature e vengono realizzati attraverso l’utilizzo di intonaci macroporosi o mediante la tecnica dell’elettrosmosi. Per incrementare la capacità evaporativa superficiale vengono impiegati intonaci macroporosi. I materiali edili (laterizio, pietra, cemento, malta, intonaco) sono costituiti da una struttura porosa con pori molto piccoli interconnessi (capillari) e macropori che favoriscono l’evaporazione dell’acqua assorbita; aumentando il numero di macropori si realizza un incremento della capacità evaporativa. Gli intonaci macroporosi realizzano una superficie di scambio evaporativa più estesa rispetto alle dimensioni geometriche della parete; essi si ottengono miscelando ai componenti tradizionali particolari additivi porogenischiumosi, quali calcide, calce idraulica, calce pozzolanica. La scoperta del fenomeno dell’elettrosmosi risale al secolo scorso: si può provocare il passaggio di un liquido conduttore attraverso un mezzo poroso saturo sottoponendolo ad una leggera differenza di potenziale elettrico. I metodi che si basano sull’elettrosmosi tendono a realizzare una inversione di polarità, costituendo il polo negativo (catodo) nel sottosuolo ed il palo positivo (anodo) nella parete da risanare, al fine di favorire una inversione nella direzione di migrazione dell’acqua. L’elettrosmosi può essere: attiva o passiva.
5.1.4 Conclusioni progettuali Risulta doveroso precisare che a fini didattici, abbiamo supposto sul nostro manufatto, uno stato di degrado superiore riguardante il fenomeno dell’umidità. L’analisi delle tecniche di risanamento ci ha permesso di individuare nella realizzazione di un intercapedine, la soluzione ottimale. Tale intervento è stato preferito, in quanto non direttamente “invasivo” nei riguardi dell’intera apparecchiatura muraria e, sicuramente, il più duraturo.
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5.1.5 Restituzione vettoriale
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di una grande croce in pietra in continuità con le tecniche costruttive tradizionali e l’ utilizzo dei materiali locali, in memoria della sua antenata.
5.2. Il progetto 5.2.1 Il progetto Il progetto ha come obiettivo quello di restituire alla chiesa del Carmine la dignità di un tempo. Durante la nostra analisi fotografica e di rilievo, ci siamo imbattuti nella conoscenza di numerose personalità del luogo, che probabilmente incuriosite o affascinate dal nostro modo di fare, ci hanno fornito numerose ed importanti informazioni sulla chiesa. Una delle più interessanti riportava la presenza di un’ antica croce lapidea sita difronte il prospetto principale, probabilmente fino agli inizi della seconda parte del XX secolo. Di singolare interesse, la testimonianza che narra come la croce in questione, facesse parte di un gruppo di quattro croci (probabilmente tappe di un ‘antica processione) collocate in prossimità di altri edifici religiosi: Convento di Santa Maria Dell’ Isola; Convento di San Francesco D’Assisi, e probabilmente la chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
Oggi sopravvive solo quella del Convento di San Francesco D’ Assisi (Fig. sopra). Si tratta di una croce in pietra alta circa 2,5 m (basamento compreso) costituita da tre blocchi lapidei di forma parallelepipeda di eguale sezione. Tale croce è incastrata e sostenuta da un basamento costituito da tre gradini di forma cilindrica aventi stessa altezza ma diametro decrescente dal basso verso l’alto. Il nostro intento è stato quello di riproporre, in fase di progetto, la presenza della croce atta a rimodulare lo spazio del sagrato della chiesa e a riportare nuova luce sulla coscienza storica della città. Tali fini vertono sulla progettazione
Ci siamo serviti delle regole dell’ arte stereotomica aggiornate con le moderne tecnologie informatiche che ci consentono di ottenere geometrie più complesse ed elevate prestazioni statico-costruttive. Una volta fissata l’idea della grande croce lapidea ci siamo resi conto che il progetto non poteva fermarsi solo al sagrato, ma doveva iniziare ad assumere anche una dimensione urbana. Abbiamo voluto progettare una sorta di percorso pedonale di collegamento tra la “Porta del Carmine” del centro storico e l’ omonima chiesa, in modo da evidenziare l’antico percorso che la popolazione percorreva per raggiungere la chiesa Carmelitana extra moenia. Fulcro visivo di tale percorso è proprio la grande croce lapidea che orizzontalmente funge anche da cerniera tra la pavimentazione longitudinale del percorso e la pavimentazione modulata della piazza da noi riprogettata. La piazza si basa sulla ripetizione ritmata di un semplice modulo di forma rettangolare ottenuto dall’ intersezione di due proiezioni ortogonali tra loro: una, definita dalla larghezza della facciata della chiesa; l’altra, definita dalle paraste che scandiscono il prospetto laterale. Il materiale usato per la pavimentazione è la pietra leccese fatta eccezione per
i ricorsi più scuri in pietra vulcanica (porfido). Un’ alberatura disposta ad L va a sottolineare visivamente la pertinenza della piazza vera e propria da quella del percorso. La costruzione della piazza determina una modifica dell’attuale viabilità. Attualmente lo spazio in questione è occupato da un piccolo isolato adibito a parcheggio (Piazza Moro). Con la progettazione della piazza, questo spazio viene eliminato e il traffico diretto da via Matteotti in direzione via Rosselli, viene deviato verso sudovest fino a via Raffaello Sanzio. Per velocizzare questo passaggio abbiamo ipotizzato una variante nei sensi di marcia, rendendo via E. De Amicis a doppio senso, (consentendo i parcheggi solo su un lato della carreggiata anziché su entrambi), mentre attualmente è percorribile solo in direzione ovest. In generale la viabilità della zona non dovrebbe essere particolarmente compromessa dall’intervento, in quanto data la continua espansione dell’abitato, la maggior parte del flusso automobilistico si sta concentrando sempre più verso le mediane più esterne al centro.
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5.2.2 La croce La croce stereotomica da noi progettata presenta le stesse proporzioni di quella originale, ma con una sezione quadrata alla base di 55 cm di lato, per un’ altezza di 6, 60 metri. La pietra scelta è la pietra leccese in quanto rispondente a caratteristiche di grande omogeneità e compattezza: la sua densità è di 1,73 Kg/dm^3; la sua resistenza a compressione è 20,4 MPa. La croce si compone di 5 conci verticali ed uno orizzontale connessi da 5 giunti spaziali. La superfice di contatto tra i giunti è molto complessa, essa trae ispirazione dalle soluzioni adottate dal professor Claudio D’Amato per la costruzione dell’obelisco Alexandros in occasione della mostra ‘Città di Pietra’ tenutasi a Venezia durante la 10. Mostra internazionale di Architettura. Come nell’obelisco Alexandros, la forma della superfice di contatto tra i giunti s’ispira all’anatomia, in particolare all’articolazione del ginocchio. Le connessioni previste tra i giunti spaziali sono dure, realizzate con malta di resina epossidica ad alta resistenza e compressione e non per mezzo di materiali “tampone” come la calce. La connessione tra i giunti risulta quindi perfetta, poiché la messa in opera della malta epossidica è realizzata con controforme. La malta incollata alla pietra agisce come una “cartilagine” e distribuisce le forze in modo omogeneo nella struttura eterogenea della pietra.
Ciò evita le fessure e le schegge durante i montaggi e gli smontaggi. L’intera opera è precompressa attraverso l’utilizzo di un cavo zenitale post-teso di acciaio armonico avente testata di ancoraggio nel basamento in cemento armato ed una testata di tiro in corrispondenza dell’ultimo concio. C’è quindi l’ambizione di mettere in evidenza le qualità dei giunti spaziali uniti alla tecnologia della pietra armata per aumentare la resistenza del materiale in caso di sisma o di qualunque movimento. I conci in pietra leccese prevedono una lavorazione articolata in tre fasi: la prima è quella dell’estrazione dei blocchi dalla cava; la seconda è quella del calcolo e proiezione delle geometrie di inviluppo dei singoli conci; la terza fase è quella del taglio dei blocchi.
5.2.3 L’illuminazione Nella progettazione dello spazio pedonale che circonda la chiesa ci siamo preoccupati di definire le tipologie di impianti luminosi da adottare per la valorizzazione della chiesa e piazza adiacente.
Per l’illuminazione della chiesa abbiamo scelto dei fari ad incasso (1), posti in corrispondenza delle paraste che scandiscono la facciata ed il prospetto laterale per illuminarle con luce radente, valorizzando quindi la ritmicità delle lesene con luce proveniente dal basso. Le lampade scelte sono di tipo LED, esse permettono una restituzione cromatica fedele alle peculiarità del monumento, grazie a parametri quali la temperatura di colore, che può arrivare a circa 8000 K (questa tonalità permette di enfatizzare il materiale lapideo pur mantenendo uno spettro del visibile simile alla luce diurna). Anche parametri come l’efficienza luminosa, il coefficiente di manutenzione, la durata delle lampade, sono caratterizzati da valori molto elevati, con conseguente
risparmio energetico ed economico. Il parametro che ha guidato tale progettazione è stato soprattutto quello della percezione del visitatore, al fine di permettergli di ammirare il monumento anche nelle ore serali, fornendogli una chiave di lettura coerente con le peculiarità intrinseche dell’oggetto architettonico e con l’intenzionalità estetica del progettista originario.
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Il campanile merita un discorso a parte. Per valorizzare la plasticità barocca della struttura abbiamo previsto “spots” (2), ovvero 4 fari a fascio stretto (30°) posti sui quattro lati, atti a garantire una “illuminazione d’accento” su tutti gli elementi che lo compongono. in altri termini, il campanile è stato sì valorizzato, senza, tuttavia, cedere alla tentazione dell’illuminazione meramente scenografica. La valorizzazione del monumento nelle ore serali è stata contemperata con la necessità di non stravolgere il portato della collettività, che del campanile, ha introiettato un’ immagine relativa alle ore diurne e alla più familiare luce solare. 63
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5.4 Restituzione grafica 5.4.1 Il sagrato e la viabilitĂ
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5.4.3 L’illuminazione
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