Catalogo Museo Archeologico di Taranto

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Fig. 57. Cratere, inv. 171080 (cat. 18.15), lato A.

Fig. 58. Cratere, inv. 171080 (cat. 18.15), lato B.

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L’incerta definizione nelle datazioni e nel significato ideologico del materiale ceramico figurato contribuisce inoltre a rendere meno chiara la lettura della documentazione archeologica e l’interpretazione dei corredi esaminati. In effetti mancano elementi esterni che possano assicurare la definizione temporale, almeno per alcuni contesti, in maniera da creare una rete di riferimenti per la determinazione della cronologia assoluta; il problema viene reso ancor più complesso dall’impossibilità di identificare chiaramente gli ambiti produttivi e le officine, la durata della loro attività e la capacità di diffusione, partendo esclusivamente da un’analisi di tipo storico-artistico come quella attuata da A.D. Trendall. Non si tratta di negare a priori la possibilità di esaminare con questo sistema alcuni aspetti della produzione ceramografica apula, ma di prendere coscienza del fatto che il suo sviluppo nella fase tarda, della quale lo stesso Trendall sottolineava il carattere seriale e ripetitivo, non permette facilmente il riconoscimento di mani e di gruppi

legati da affinità reali. Inoltre, il frequente richiamo tra esperienze produttive simili rende estremamente difficile la ricostruzione dei rapporti tra gruppi di produzioni, non permettendo di valutare se si tratta di forme di dipendenza cronologica, di imitazione, di sviluppo artigianale, o altro e impedendo per il momento di stabilire la durata delle singole manifatture eventualmente riconoscibili. Si tratta di problemi che anche nel caso di Rutigliano si verificano in maniera concreta e impediscono una chiara seriazione del materiale, rendendo difficile la stessa scelta del metodo di lavoro. Per questo motivo appare opportuno sottolineare soprattutto le difficoltà concrete della ricerca e le possibilità di confronto tra diverse forme di analisi. La base dello studio, comunque, non poteva prescindere dal confronto con il metodo “tradizionale”, storico-artistico, in quanto fornisce lo schema di definizione dell’intera esperienza produttiva e l’unica proposta organica della sua articolazione cronologica e artigianale.

Fig. 59. Cratere, inv. 171447 (cat. 33.6), lato B.

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Fig. 60. Cratere, inv. 172772 (cat. 85.13), lato A.

Fig. 61. Cratere, inv. 172772 (cat. 85.13), lato B.

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Il riferimento alla seriazione del Trendall ha subito messo in evidenza gli elementi comuni e caratterizzanti di alcuni gruppi di materiale, ma contestualmente ha anche obbligato ad una verifica delle

discriminanti prese in considerazione nella distinzione dei gruppi ricostruiti. Il primo livello è stato rappresentato dall’individuazione dei confronti stilistici possibili, che ha permesso di proporre un sistema di

tra Dario e Underworld P.

3, 172904 (fig. 53); 3, 172900; 14, 170983; 54, 172008 (figg. 54, 55)

Haifa G.

54, 172010 (fig. 62, 63); 54, 172009 (fig. 64); 54, 172006 (fig. 65)

dipendente da Underworld P.

Centaur G.

Liverpool G.

12, 170937 (fig. 56); 18, 171080 (figg. 57, 58); 33, 171447 (fig. 59); 33, 171457; 85, 172772 (fig. 60, 61) 54, 172013 (figg. 66, 67) 5 Dd, 173003 (fig. 68)

prossimi a Liverpool G.

54, 172001 (fig. 69b); 54, 172002 (figg. 70, 71)

Woman Eros G.

54, 172021 (figg. 73, 74)

Rochester G. Chevron G.

prossimi a Chevron G. T.P.S. G. Zurigo 2662 G.

Vaticano Z 3 e Z 4

Winterthur G.

Monopoli G.

tra Patera e Ganymede P.

intermedi tra Amphore G. e Stoke

prossimi a Arpi P.

Sakkos White G.

Kantharos G.

37, 171573 (fig. 72)

5 Dd, 173005 (figg. 75, 76); 12, 170916 (figg. 77, 78); 12, 170917; 33, 171472;

3 Dd, 172894 (fig. 79); 5 Dd, 173010; 33, 171462; 37, 171566 (figg. 80, 81); 54, 172003 (fig. 69c); 54, 172004 (fig. 69a)

16, 171034 (fig. 82); 33, 171480; 50, 171948 (fig. 83b); 50, 171949 (fig. 83a); 54, 172036 37, 171569 18, 171159

27, 171301 (fig. 84); 66, 172326 (fig. 85); 69, 172373 (fig. 86a)

5 Dd, 172992 (fig. 86b)

6, 170759 (figg. 87, 88)

27, 171281 (fig. 89); 85, 172760

6, 170776 (figg. 90, 91)

6, 170775 (fig. 94)

6, 170774 (fig. 95)

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Fig. 62. Cratere, inv. 172010 (cat. 54.16), lato A.

Fig. 63. Cratere, inv. 172010 (cat. 54.16), lato B.

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Fig. 64. Hydria, inv. 172009 (cat. 54.15).

Fig. 65. Oinochoe, inv. 172006 (cat. 54.13).

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Figg. 66 e 67. Phiale, inv. 172013 (cat. 54.17), interno ed esterno.

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attribuzioni di massima, che vengono riassunte in forma tabulare. Su questa base si possono effettuare verifiche e osservazioni, che permettono di individuare due nuclei di materiali quantitativamente preminenti, il primo (A) con una prevalenza di vasi decorati in una manifattura prossima alla maniera del Pittore dell’Oltretomba (almeno 8 reperti), il secondo (B) comprendente ceramiche attribuibili al Gruppo dello Chevron o piuttosto prossime al suo stile decorativo e a quello del Gruppo T.P.S., strettamente collegato. Altri due nuclei meno consistenti invece trovano confronti, rispettivamente, con i prodotti dei Gruppi strettamente connessi tra loro del Centauro, di Liverpool, di Rochester e “Woman Eros” (C), oppure con i Gruppi del Vaticano Z 3 e Z 4 e Winterthur (D). Queste enucleazioni rispondono nel contempo ad una differente collocazione cronologica, secondo la proposta suggerita dal Trendall ed in linea di massima confermata dalle ricerche successive, con una distinzione tra una fase artigianale più antica, intorno al 330 circa (produzioni A e B), ed una più recente, verso il 320-310 (produzioni C e D). È evidente, inoltre, che nel panorama generale dell’artigianato apulo tardo, la committenza di Rutigliano si serve di fornitori artigianali omogenei e preferisce in maniera abbastanza compatta gli stessi settori produttivi, scegliendoli all’interno di un mercato che sembra fornire un’offerta abbastanza diversificata. Questi rapporti preferenziali risultano in genere caratteristici anche di altre committenze peucezie, sebbene in maniera non esclusiva, come notava lo stesso Trendall, esaminando ad esempio l’area di diffusione dei vasi “minori” associati con le officine dei Pittori di Gioia del Colle, di Dario e dell’Oltretomba 11. Passando ad un livello di dettaglio maggiore, si possono distinguere innanzitutto i contesti delle sepolture 3 Dd e 14, che sembrano presentare materiali e associazioni che li collocano nella fase più antica, forse ancora tra il 340 ed il 330 a.C. Entrambe hanno restituito uno (la tomba 14) o due (la tomba 3) depositi esterni, denunciando la possibilità che il materiale raccolto complessivamente in origine possa essere stato relativo a più di una deposizione. Inoltre, la tomba 3 presenta elementi certamente attribuibili a inumazioni maschili, mentre la 14 potrebbe aver ospitato nel sarcofago una sepoltura femminile. In entrambi i casi sono stati raccolti reperti molto vicini alla maniera del Pittore dell’Oltretomba, che risentono anche dell’esperienza

figurativa sviluppata dal Pittore di Dario, mostrando una discreta coerenza con i modelli di riferimento che non si ritrova nelle produzioni dei gruppi affini e derivati individuati dal Trendall. In una fase immediatamente successiva si pongono invece le tombe 12, 16, 33 e 50, in cui prevalgono ceramiche in qualche modo ricollegabili al Gruppo dello Chevron; in questo caso, comunque, si incomincia ad entrare nel merito del metodo di raggruppamento impiegato dal Trendall, che non presenta un sistema omogeneo di discriminanti, ma che spesso introduce criteri morfologici o ornamentali ad integrazione della ricerca stilistica generalmente utilizzata. È proprio il caso del Gruppo dello Chevron, che

Fig. 68. Oinochoe, inv. 173003 (cat. Dd 5.8).

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zioni valide a ripartire in maniera chiara i vari momenti della produzione 14. Del tutto infondato appare inoltre il collegamento tra l’iscrizione APX incisa su un cratere a campana attribuito al Gruppo dello Chevron e il ricordo di Archidamo 15, re spartano e condottiero mercenario dei Tarantini nella guerra contro Messapi e Peuceti morto nel 338 16 e quindi, contrariamente a quanto proposto, non può fornire alcun supporto per la datazione del reperto. Se mancano in sostanza chiari elementi di riferimento esterni per la sistemazione cronologica generale e di dettaglio, indicazioni maggiori sembrano fornire invece le analisi distributive, che mostrano un’ampia diffusione dei prodotti connessi al “circolo di Dario” nell’area peucezia (Conversano, Rutigliano, Monte Sannace, Matera, Montescaglioso). Proprio in considerazione delle numerose difficoltà incontrate nell’esame della fase produttiva tardo-apula, ed in particolare per la sistemazione dei vasi minori con decorazioni a semplice testa femminile, lo stesso Trendall avverte quindi che i raggruppamenti effettuati devono essere considerati una proposta del tutto provvisoria 17. Ciononostante, in

comprende solo crateri (discriminante morfologica) e li accomuna per la presenza di uno specifico motivo decorativo (discriminante ornamentale), lo chevron posto sull’orlo esterno del vaso. Si tratta di una scelta che permette unicamente il riconoscimento di un nucleo unitario di oggetti, che non impiega criteri utili ad individuarne i rapporti di produzione, nè su basi stilistiche, né su basi morfologiche e contestuali. Essa risponde invece ad un sistema di suddivisione generalmente adottato per le produzioni “minori” e seriali del tardo Apulo, che privilegia in effetti discriminanti puramente descrittive, suddividendo tutta la produzione in due sezioni principali, a seconda della presenza di scene figurate o di decorazioni costituite da teste isolate 12. In questo caso, infatti, i limiti del metodo stilistico nell’analisi di questa specifica produzione sono tali da indurre lo stesso Trendall a denunciare le difficoltà di distinzione, anche a livello molto generale, tra le esperienze figurative principali 13. La stessa definizione cronologica, strettamente connessa al riconoscimento dell’articolazione produttiva, priva delle necessarie verifiche contestuali non offriva a Trendall indica-

a

b

c

Figg. 69. Vasi, invv. 172004 (cat. 54.12) (a), 172001 (cat. 54.9) (b), 172003 (cat. 54.11) (c).

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Figg. 70 e 71. Skyphos, inv. 172002 (cat. 54.10), lati A e B.

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ossequio alle necessità di suddivisione stilistica, egli cerca di operare suddivisioni di dettaglio, anche all’interno dei singoli gruppi, proprio come nel caso del Gruppo dello Chevron, che per diversi aspetti può essere considerato un caso esemplare nell’analisi del metodo e delle finalità perseguite dall’Autore. In questo modo comunque emerge un’evidente contraddizione tra le incertezze e le difficoltà ripetutamente dichiarate ed il tentativo di riconoscere personalità artistiche individuali all’interno di “prodotti di bottega”, condizionati da un sistema artigianale che sviluppa fortemente la produzione seriale ed evidentemente ridimensiona in maniera sensibile il ruolo “artistico” dei decoratori. In queste condizioni appare in effetti privo di significato il tentativo di individuare la corrispondenza tra i singoli oggetti e i raggruppamenti del Trendall ad un livello di dettaglio che coinvolga i sotto-gruppi e le manifestazioni in vario modo correlate. Al contrario, può essere più produttivo analizzare in maniera complessiva il gruppo di vasi attribuibili ad un’esperienza decorativa o figurativa affine, per usufruire di informazioni meglio utilizzabili

per studiare i problemi connessi alla cronologia e al sistema commerciale e produttivo. Operando in questo senso, risulta evidente come a volte la difficoltà nel riconoscere riferimenti specifici si possa tradurre in un vantaggio nel momento in cui contribuisce a definire un’area produttiva comune, permettendo di esemplificare una proposta di ricostruzione che nell’esasperata ricerca dell’individuazione particolare disperde gli elementi utili ad una comprensione del fenomeno. In sostanza, identificando gli elementi comuni si possono riconoscere comportamenti e consumi eventualmente omogenei, come avviene ad esempio nel caso in esame per il nucleo di tombe che contiene reperti certamente pertinenti al Gruppo dello Chevron (crateri delle tombe 12 e 5), vasi attribuibili nonostante si tratti di forme diverse dal cratere (tombe 12, 33), ceramiche prossime ed affini (tombe 3 Dd, 5 Dd, 33, 37, 54) e manufatti assegnabili a Gruppi o sotto-gruppi correlati, come il T.P.S. (tombe 16, 33, 50, 54). Le associazioni con il resto degli oggetti, comprese le altre produzioni a figure rosse, permettono di verificare le differenze compositive che segnalano la durata delle manifatture di riferimento, che nel caso di questo ambito identificabile in parte con il Gruppo dello Chevron sembrano attive per un lungo periodo di tempo, come aveva già intuito il Trendall. L’inizio si pone quindi in un momento in cui perdura la produzione legata ai grandi atelier dei Pittori di Dario e dell’Oltretomba e il termine si registra in concomitanza con l’affermazione dell’artigianato più corsivo delle fasi inoltrate del tardo-apulo, in un arco complessivo che in via ipotetica può continuare ad essere collocato all’incirca tra il 340 ed il 320 a.C. Un’attenzione particolare deve essere rivolta all’analisi delle deposizioni plurime, che, come si è visto, contribuiscono a rendere più difficilmente leggibili le tendenze di sviluppo; un esempio concreto in questo senso può essere fornito dalla tomba 54 che all’interno accoglie quattro deposizioni, due raccolte parzialmente entro fosse, le altre due sovrapposte e ancora in connessione anatomica. In questo caso, nonostante le difficoltà di attribuzione degli oggetti, è evidente la loro pertinenza ad un arco cronologico ampio, che secondo le cronologie vigenti dovrebbe essere compreso grosso modo tra il 335 ed il 320 a.C. La tomba 54 in questo caso diviene anche un documento del momento di passaggio alla fase più avanzata, come la tomba 85, con tre deposizioni e

Fig. 72. Oinochoe, inv. 171573 (cat. 37.7).

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quindi anch’essa utilizzata per un arco di tempo abbastanza ampio, e in misura diversa come le tombe 5 Dd, 18 e 37, con materiali attribuibili ai Gruppi di Liverpool (T. 5 Dd), Rochester (T. 37), Zurigo 2662 (T. 37), Vaticano Z 3 e Z 4 (T. 18), Monopoli (T. 5 Dd). Si tratta di prodotti legati alla fase più corsiva e seriale della produzione apula, secondo Trendall sviluppi del periodo intorno al 320 a.C., in genere dipendenti dalle esperienze dell’area artigianale del Pittore di Gioia del Colle e del Gruppo dello Chevron, per cui non si può escludere anche un’attribuzione alle fasi più recenti delle medesime officine. La fase più avanzata sembra attestata dalle tombe 6, 27, 66 e 69, che hanno restituito ceramiche attribuibili a Gruppi in genere considerati successivi al 320, in attività probabilmente ancora verso il 310 a.C. Sono sempre produzioni “minori”, uniformi nella forma e nelle raffigurazioni, che richiamano i prodotti del Gruppo Winterthur (T. 27, 66, 69), le ceramiche intermedie tra il Gruppo delle Anfore e il Pittore Stoke-on-Trent (T. 27, ma anche 85), le tipi-

che decorazioni prossime all’attività dei Pittori della Patera e di Ganymede (T. 6) o quelle dei Gruppi del Sakkos bianco e del Kantharos, questi ultimi strettamente collegati con l’artigianato ed il consumo della vicina area daunia di Canosa. Come si è ricordato, le definizioni cronologiche di questi due ultimi nuclei di deposizioni sulla base delle proposte di Trendall sarebbero da porsi, rispettivamente, negli anni intorno al 320 (T. 5, 18, 37 e 85) e nel periodo immediatamente successivo, con un’estensione almeno fino al 310 a. C. (6, 27, 66 e 69). Questi riferimenti, spesso assunti in maniera acritica in numerosi cataloghi di materiale decontestualizzato come datazioni sicure ed assolute, sono chiaramente indicate dallo stesso Trendall come proposte, analogamente all’intero sistema cronologico del tardo Apulo, del quale l’Autore non nasconde le numerose difficoltà. Solo il confronto sistematico tra i risultati desunti dall’esame delle diverse necropoli e dei differenti contesti può permettere di discutere la possibilità di attribuire datazioni assolute alle cronologie relative di volta in volta elaborate, evitando

Figg. 73 e 74. Lebes, inv. 172021 (cat. 54, 21), lati A e B.

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Fig. 75. Cratere, inv. 173005 (cat. Dd 5.9), lato A.

Fig. 76. Cratere, inv. 173005 (cat. Dd 5.9), lato B.

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