Programma Kawka

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2013/14

XXXIII STAGIONE CONCERTISTICA

DANIEL KAWKA direttore ISABELLE FAUST violino UMBERTO CODECÀ fagotto

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XXXIII STAGIONE CONCERTISTICA

DANIEL KAWKA

direttore artistico Giorgio Battistelli direttore principale Daniel Kawka direttore ospite principale Daniele Rustioni

ISABELLE FAUST

direttore violino

UMBERTO CODECÀ fagotto

GIAN FRANCESCO MALIPIERO

Sinfonia n.11 ‘Delle cornamuse” (1969)

BÉLA BARTÓK

Concerto n.2 in si maggiore per violino e orchestra op.112 Allegro non troppo Andante tranquillo Allegro molto ***

EDWARD ELGAR

GIOVEDÌ 15 MAGGIO 2014

Pisa, Teatro Verdi ore 21.00 VENERDÌ 16 MAGGIO 2014

Firenze, Teatro Verdi ore 21.00 concerto trasmesso in differita da SABATO 17 MAGGIO 2014

Cortona, Teatro Signorelli ore 21.15

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Romance in re minore per fagotto e orchestra op.62

JEAN SIBELIUS

Suite da ‘King Christian II’ op.27 Nocturne Elegie et Musette Serenade Ballade

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DANIEL KAWKA

Dal giugno 2011 è direttore principale dell’Orchestra della Toscana. È uno dei più richiesti direttori d’orchestra francesi sia per il grande repertorio che per la musica del XX secolo fino ad oggi. È ospite delle più prestigiose orchestre europee, tra cui Orchestre Philharmonique de Radio-France, Orchestre National de Lyon, de Lille, des Pays de la Loire, Orchestre National de France, Orchestra Nazionale Russa, Orchestre Philharmonique de Liège,

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Orchestra Sinfonica di Varsavia, Orchestre de la Suisse Romande, Orchestra Nazionale della Rai di Torino, Ensemble Intercontemporain, London Sinfonietta. Direttore principale presso la Filarmonica di San Pietroburgo, la sua attività lo ha condotto a dirigere le grandi formazioni sinfoniche in diverse tournée in Russia. Direttore musicale dell’Ensemble Orchestral Contemporain, nel 2003 ha fondato il Festival Philharmonique, orchestra sinfonica che lavora sulle grandi opere classiche, romantiche e moderne, coprendo così un periodo che va dal XVIII al XXI secolo. Il repertorio di Kawka, molto vasto, comprende opere liriche, sinfoniche e corali: costante la sua collaborazione con importanti gruppi corali, come il New London Choir, Maîtrise de Radio France, i Nuovi Solisti di Stoccarda, Ensemble Synergy Vocals. Invitato dai più grandi teatri d’opera ha diretto con grande successo, Divorzio all’italiana di Giorgio Battistelli al Teatro dell’Opera di Bologna nel giugno 2013, e lo scorso ottobre Ring di Richard Wagner in commemorazione del bicentenario della nascita del compositore tedesco; Kawka è uno dei pochi direttori d’orchestra francesi, insieme a Pier Boulez, ad affrontare questo grande ciclo wagneriano. Negli ultimi anni è stato conduttore

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delle opere liriche più importanti, alle quali si aggiungono i grandi affreschi romantici come il Requiem di Verdi, il Deutsche Requiem di Brahms, la Sinfonia Resurrezione di Mahler, Roméo et Juliette di Berlioz, nonché le Sinfonie di Beethoven, Debussy, Bruckner e Šostakovič. Tra le opere liriche ricordiamo Il Vascello fantasma di Wagner, The Turn of the screw di Britten, Don Giovanni di Mozart, Wozzeck di Berg, Il Castello di Barbablu di Bartók, San Francesco di Messiaen, Parsifal di Wagner, Le Vase de parfums di Suzanne Giraud (allestimento e libretto di Oliver Py). Dopo Pelléas et Mélisande di Debussy, andato in scena lo scorso aprile, i prossimi mesi lo vedranno impegnato

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nella registrazione di due grandi cicli di lieder mahleriani accompagnando la voce solista del baritono Vincent Le Texier e, alla guida dell’orchestra OSE, nei due Concerti per pianoforte di Ravel. Daniel Kawka fa parte di quella generazione di direttori d’orchestra per i quali la “specializzazione” è solo un mezzo ulteriore di approfondimento stilistico e la nozione d’epoca sparisce a favore di un approccio più illuminato all’insieme delle opere. Questa commistione di repertori, con una predilezione tuttavia per la musica francese, italiana e tedesca dà un’idea della vastità del territorio musicale percorso da Kawka a capo di grandi formazioni sinfoniche e liriche, con le quali collabora regolarmente in veste di direttore ospite.

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ISABELLE FAUST

Il suo suono possiede passione, slancio e elettricità, ma anche un disarmante calore e dolcezza che svelano improvvisamente gli aspetti più intimi del lirismo. (New York Times) Isabelle Faust affascina i suoi ascoltatori con un’interpretazione basata su una conoscenza approfondita del contesto storico delle opere che interpreta. Dopo aver vinto il prestigioso concorso ‘Leopold Mozart’ e ‘Paganini’ in tenera età, è stata presto invitata a suonare con le orchestre più importanti del mondo, tra cui i Berliner Philharmoniker, l’Orchestra of the Age of Enlightenment, la Boston Symphony Orchestra, e la NHK Symphony Orchestra

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di Tokyo. Si esibisce in un repertorio che spazia dalle opere di Bach a compositori contemporanei quali Ligeti, Lachenmann, e Widmann. Esplorando sempre nuovi orizzonti musicali, è ugualmente coinvolta come musicista da camera o come solista con importanti orchestre e ensemble d’epoca. Nel corso della sua carriera, ha avuto l’opportunità di essere diretta dai più grandi, quali Frans Brüggen, Mariss Jansons, Giovanni Antonini, Philippe Herreweghe e Daniel Harding. Ha instaurato un rapporto particolarmente stretto con Claudio Abbado negli ultimi anni, esibendosi al suo fianco in diversi paesi e registrando con l’Orchestra Mozart (Harmonia Mundi) i Concerti per violino di Beethoven e Alban Berg. Incisione, quest’ultima, premiata da numerosi riconoscimenti, quali il Diapason d’or, una Echo Klassik, il Gramophone Award 2012 e il giapponese Record Academy Award. Ha registrato poi, sempre per Harmonia Mundi, le Sonate di Beethoven per pianoforte e violino, con il suo partner di recital Alexander Melnikov (Diapason d’Or e Gramophone Award), e le Sonate e Partite di Bach per violino, aggiudicatesi il Diapason d’Or de l’année. Nel 2012 è stata insignita del premio Abbiati della critica italiana. Suona la ‘Bella Addormentata’ Stradivari (1704), gentilmente prestato a lei dalla L-Bank Baden-Württemberg. Per la prima volta sul palcoscenico dell’ORT

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UMBERTO CODECÀ

Fagottista, si forma nella sua città natale presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, per poi perfezionarsi a Vienna e Salisburgo con i più grandi nomi del fagotto, quali Klaus Thunemann e Milan Turkovic. Vincitore in alcuni tra i più importanti concorsi internazionali tra cui “A.Ponchielli” di Cremona il “S.Gazzelloni” di Pavia, si presenta ad ogni recital con brani del repertorio barocco, classico, ma soprattutto, novecentesco e contemporaneo italiano ed internazionale. È stato primo fagotto nelle più prestigiose orchestre ed istituzioni europee tra cui La

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Fenice di Venezia, il Covent Garden di Londra, il Regio di Torino, il Comunale di Bologna e l’Orchestra della Svizzera Italiana, e dal 1994 è primo fagotto dell’Orchestra della Toscana.

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note di sala di Gregorio Moppi

GIAN FRANCESCO MALIPIERO

(Venezia 1882 – Treviso 1973) Sinfonia n.11 ‘Delle cornamuse’ (1969) durata: 11 minuti circa

Una laboriosità instancabile e assai feconda accompagna la lunga esistenza del veneziano Gian Francesco Malipiero, il più longevo e oggigiorno il più negletto esponente della «Generazione dell’Ottanta», ossia di quel gruppo di compositori italiani nati intorno al 1880 (comprendente anche Alfredo Casella, Ildebrando Pizzetti e Ottorino Respighi) che si proponeva di restituire respiro internazionale alla nostra musica strumentale dopo secoli di dominio melodrammatico. Per far ciò i quattro ritenevano di dover resuscitare l’illustre tradizione strumentale italiana del Sei-Settecento e riappropriarsi del patrimonio musicale popolare, tuttavia nel rifiuto deciso di intenti archeologici e sentimentalismi nostalgici e mirando invece ad ancorare tali recuperi alle espressioni estetiche più avanzate dell’avanguardia europea. Malipiero declina questa regola d’azione in maniera personale. Al principio influenzato dall’impressionismo francese, in seguito rapito dall’espressionismo tedesco, coniuga poi questi due mondi con la

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riscoperta delle sonorità, delle armonie, delle architetture dell’italianità barocca e prebarocca (a sua cura è la pubblicazione degli opera omnia di Monteverdi e determinante fu l’impulso da lui offerto alla moderna ripresa d’interesse per Vivaldi), cosicché il suo stile viene a definirsi per mezzo di una scrittura tesa e raggrumata che procede non secondo una logica di sviluppo continuo alla maniera dei compositori classici e romantici, ma per rapide illuminazioni, per giustapposizioni di idee, di sezioni, per sovrapposizione di oggetti sonori, giocando perciò sulla contrapposizione di timbri, registri e motivi più che sulla loro integrazione. L’ultima delle sue sinfonie, l’undicesima (curioso che Malipiero sia arrivato a un tal numero, dato che aveva stabilito di non oltrepassare il sette), è anche la più breve. Scritta nel 1969, in quattro movimenti, deve il suo titolo Delle cornamuse al fatto che oboe, corno inglese e fagotto, suonando insieme, rammentano appunto la voce di cornamuse. Come in un concerto grosso barocco tale trio solistico contrasta con l’orchestra intera,

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tuttavia qui di arcaizzante non vi è nulla, se non una certa imbastitura formale basata sull’antagonismo tra gruppi strumentali, tra pieni e vuoti; per il resto dall’opera trasuda un sinistro groviglio metallico lividamente novecentesco.

BÉLA BARTÓK

(Nagyszentmiklòs, Transilvania 1881 – New York 1945) Concerto n.2 in si maggiore per violino e orchestra op.112 durata: 32 minuti circa

Gli studiosi sono soliti suddividere la produzione matura di Béla Bartók in tre fasi creative delle quali il radicamento profondo nel melos popolare costituisce il comune denominatore. Nella prima (1908-18) il compositore ungherese assimila elementi melodici, ritmici, formali ricavati dal folklore dei paesi danubiani alla cui indagine scientifica si era dedicato contemporaneamente al collega e amico Zoltán Kodály. Bartók avrebbe scritto in seguito: «Lo studio di tutta questa musica contadina era per me di decisiva importanza, perché esso m’ha reso possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte, e la più pregevole, del materiale raccolto si basava sugli antichi modi ecclesiastici o greci, o perfino su scale più primitive […] Mi resi conto allora che i modi antichi ed ormai fuori uso nella nostra musica d’autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo. L’impiego siffatto della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal

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rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica». Nella seconda fase (1920-38) l’avvenuta assimilazione e interiorizzazione di questa linguaggio musicale arcaico (però vivo nelle campagne) permette a Bartók di reinventarlo a suo modo, trasfigurandolo entro sonorità volta a volta violente e percussive o spettralmente visionarie. Intanto non mancano di colpirlo le nuove tendenze in atto nella musica europea, la poetica neoclassica e il metodo dodecafonico. La terza fase stilistica di Bartók coincide con i suoi ultimi anni durante i quali, stabilitosi negli Stati Uniti allorché la situazione politica in Ungheria era diventata insostenibile a causa della dittatura fascista dell’ammiraglio Horthy, vengono bandite le contrapposizioni timbriche troppo marcate e recuperato il senso della melodia. Il Concerto per violino (oggi noto come secondo, anche se il primo, di trent’anni precedente, non venne mai eseguito né edito vivente l’autore) è una delle ultime opere su cui Bartók lavorò prima dell’espatrio. Venne composto tra l’agosto 1937 e il dicembre 1938 su richiesta dell’amico violinista Zoltán Székely, sovente suo partner cameristico oltre che concertista in proprio e leader del Quartetto Ungherese. Dapprima Bartók voleva approntargli un ampio pezzo in un solo movimento strutturato come un tema con variazioni, ma Székely

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insistette nel richiedere un Concerto vero e proprio nei tradizionali tre movimenti. Lo ottenne: di vaste dimensioni, difficile da suonare, assai articolato nella forma (un carosello di episodi mutevoli nell’umore, nel passo, nel colore) e di scrittura raffinatissima, artificiosa. Il primo movimento, «Allegro non troppo», ha l’impianto ritmico e il temperamento di un verbunkos, la danza ungherese che nel Sette e Ottocento era eseguita in occasione del reclutamento militare. E contorni schiettamente ungheresi mostra il tema principale del violino che riverbera il suo spirito sull’intero Concerto. Dove, per giunta, l’elemento popolare si coniuga a un accentuato cromatismo dei profili melodici: per esempio nel secondo tema di questo movimento forgiato su una serie di dodici note con l’intenzione di dimostrare a Schönberg e ai suoi seguaci che si possono costruire temi dodecafonici senza bisogno di rinnegare la tonalità. L’idea originaria delle variazioni, Bartók la riversa nell’«Andante tranquillo»: al tema pudico, di natura popolareggiante, ne fanno seguito sei. Segnato dall’idea di variazione è anche l’«Allegro molto» conclusivo, a proposito del quale Bartók spiegò a Székely che non si trattava d’altro che di una libera trasformazione dei motivi presenti nel movimento d’inizio. La premiére del Concerto si ebbe ad Amsterdam il 23 marzo 1939 con l’Orchestra del Concertgebouw, Székely solista, Willem Mengelberg sul podio; negli States, dove arrivò nel ‘43, fu a lungo il più eseguito tra i lavori di Bartók.

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EDWARD ELGAR

(Broadheath 1857 – Worcester 1934) Romance in re minore per fagotto e orchestra op.62 durata: 6 minuti circa

Decisivo il ruolo di Edward Elgar nella storia musicale inglese. Infatti per merito suo, tra Otto e Novecento, la Gran Bretagna riuscì a riconquistare un posto al sole in Europa dopo un secolo e mezzo di sostanziale stagnazione creativa. Elgar si fece le ossa da autodidatta nel nativo Worcester: fino ai trent’anni trascorse in provincia la sua carriera di freelance suonando l’organo in chiesa, applicandosi anche al violino, al piano e al fagotto in un quintetto amatoriale di fiati, scrivendo e dirigendo pezzi d’occasione per bande, salotti e funzioni liturgiche. Un apprendistato lungo e versatile che deposita un fondo di eclettismo nei suoi lavori maturi, dove il decoro accademico di superficie svaria da una scrittura ora brillante, ora intimistica e sottile, fino al kitsch vittoriano. Un’adattabilità stilistica, la sua, improntata a una poetica di moderato tradizionalismo che procede da un approccio al comporre di tipo pragmatico, da artigiano dedito alla progettazione di lavori comunicativi, strutturalmente solidi. La Romanza in re minore per fagotto e orchestra op.62 (di

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cui esiste anche una versione d’autore per violoncello) prese forma tra il 1909 e il 1910 assieme al Concerto per violino con cui condivide alcune idee musicali. E’ una pagina minuta dal tratto elegante e mansueto dedicata a Edwin James, fondatore e primo fagottista della London Symphony Orchestra.

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JEAN SIBELIUS

(Hämeenlinna 1865 – Järvenpää 1957) Suite da ‘King Christian II’ op.27 durata: 24 minuti circa

Jean Sibelius è il primo, e il più grande, compositore finlandese della storia. Riconosciuto da subito figura di riferimento per la sua patria, che dal 1897 gli elargì vita natural durante una sovvenzione statale al fine di sollevarlo da qualsiasi incombenza lavorativa che non fosse la stesura di nuove opere. Alle quali si applicò fino al 1926. Dopodiché diradò di molto la sua attività creativa fino a smettere definitivamente di scrivere nel giro di pochi anni, un po’ per ragioni di salute (fra le quali l’eccessiva dipendenza dall’alcool), un po’ perché consapevole dell’inattualità del suo lessico pervicacemente tonale, ancorato a una sensibilità ormai antiquata. D’altronde, forse, per lui non sarebbe stato possibile far più di quanto aveva ormai fatto: uno stato giovane come la Finlandia, che stava a poco a poco costruendo la propria identità collettiva anche grazie all’espressione artistica, necessitava di una musica capace di parlare a chiunque con chiarezza e spontaneità – tanto più che fino ad allora musica d’arte non ne era mai penetrata in quelle terre. Importava

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la comunicazione piuttosto che la ricerca del nuovo. E Sibelius l’aveva compreso, al punto da fondare la sua poetica sull’idea dell’«acqua pura», cioè su sincerità d’eloquio e immediatezza di significati raggiungibili attraverso l’elaborazione di un immaginario sonoro evocativo di scenari naturali e saghe mitologiche, contraddistinto da un’ispirazione nostalgica, intimistica, e da una tinta decisamente nordica. Le musiche di scena per il dramma storico in cinque atti Re Cristiano II di Adolf Paul sono opera di un Sibelius che ha già piantato alcune pietre miliari nel suo catalogo (come il poema sinfonicocorale Kullervo tratto dal Kalevala), ma che in questo caso, più che declinare in suoni il suo ideale nazionalistico, preferisce volgersi al linguaggio passepartout della tradizione tedesca su cui si è formato. Amico di Sibelius, lo svedese Paul (1863-1943) trascorse gran parte della vita a Berlino. Nella sua pièce in svedese - la lingua della classe dominante in Finlandia - mette in scena le vicende di Cristiano II, sovrano di

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Danimarca, Norvegia e Svezia dal 1513 al 1523, anno in cui complicazioni in politica interna ed estera lo condussero dapprima all’esilio, poi alla lunga prigionia impostagli dai successori fino alla morte avvenuta nel 1559. Cuore della storia è la relazione tra il re e una giovane borghese di origini olandesi, Dyveke Sigbritsdatter, che fu sua amante per oltre un decennio finché nel 1517 una congiura di palazzo non la tolse di mezzo con il veleno. Il Cristiano II venne presentato con gran successo al Teatro Svedese di Helsinki il 24 febbraio 1898. Dalle musiche per la rappresentazione Sibelius ricavò una fortunata suite sinfonica in cinque numeri. Il primo, «Notturno», sonorizzava una scena d’amore tra re Cristiano e Dyveke. L’«Elegia» per soli archi veniva eseguita come preludio avanti il dramma. L’arcaizzante «Musette» nella finzione scenica era suonata sotto la finestra di Dyvecke da un gruppo di pifferi e zampogne che Sibelius rende per mezzo di fagotti e clarinetti. La «Serenata» introduceva l’atto terzo e il minuetto che le è collegato accompagnava, all’apertura del sipario, una festa danzata a corte. La «Ballata» era un intermezzo che voleva restituire in note l’animo turbato del re.

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VIOLINI PRIMI

Daniele Giorgi * Andrea Tacchi * Paolo Gaiani ** Angela Asioli Gabriella Colombo Francesco Di Cuonzo Alessandro Giani Susanna Pasquariello Marco Pistelli Gianluca Stupia VIOLINI SECONDI

Chiara Morandi * Marian Elleman ** Stefano Bianchi Patrizia Bettotti Alessio Cercignani Marcello D’Angelo Paolo Del Lungo Chiara Foletto

CONTRABBASSI

Amerigo Bernardi * Gianpietro Zampella * Luigi Giannoni ** FLAUTI

Fabio Fabbrizzi * Angela Camerini OBOI

Alessio Galiazzo * Flavio Giuliani *

TIMPANI

Morgan M.Tortelli * PERCUSSIONI

Andrea Bindi Michele Vannucci PIANOFORTE/CELESTA

Sara Danti * ARPA

Cinzia Conte *

CLARINETTI

Marco Ortolani * Emilio Checchini FAGOTTI

Paolo Carlini * Umberto Codecà * Davide Maia CORNI

VIOLE

Stefano Zanobini * Caterina Cioli ** Elena Favilla Alessandro Franconi Agostino Mattioni VIOLONCELLI

Luca Provenzani * Andrea Landi * Augusto Gasbarri ** Stefano Battistini Giovanni Simeone

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Andrea Albori * Paolo Faggi * Alberto Bertoni Eolo Pignattini TROMBE

Donato De Sena * Guido Guidarelli *

*prime parti **concertino

TROMBONI

Stefano Bellucci * Rodolfo Bonfilio Sergio Bertellotti

ISPETTORE D’ORCHESTRA E ARCHIVISTA

Alfredo Vignoli

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CONTATTI FONDAZIONE ORCHESTRA REGIONALE TOSCANA

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PROGRAMMA DI SALA A CURA DI

Ufficio Comunicazione ORT PROGETTO GRAFICO

TEATRO VERDI

Via Ghibellina, 99 - 50122 Firenze Biglietteria Via Ghibellina 97 - 50122 Firenze orari dal lun al sab 10-13 e 16-19 festivi chiuso tel. (+39) 055 212320 fax. (+39) 055 288417 www.teatroverdionline.it info@teatroverdionline.it

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Kidstudio.it IMPAGINAZIONE

Mattia Vegni FOTO

Marco Borgreve (copertina) Marco Borrelli (3,4) STAMPA

Nuova Grafica Fiorentina (Firenze)

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Direttore generale

Marco Parri

Direttore servizi musicali

Paolo Frassinelli

Direttore comunicazione

Riccardo Basile

Ufficio sviluppo e fundraising

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Amministrazione

Simone Grifagni Cristina Ottanelli

FONDAZIONE ORCHESTRA REGIONALE TOSCANA

Ufficio del personale

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Consiglio di Amministrazione Claudio Martini Presidente Daniela Misul Vicepresidente Marco Bertini Marta Blasi Stefanelli Ricciotti Corradini Rita Cucè Alda Giannetti Giancarlo Nutini Giulio Cesare Ricci Adriano Tintori Riccardo Zucconi Collegio dei Revisori dei Conti Roberto Giacinti Presidente Rino Cacciamani Paolo Formichi

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Stefania Tombelli | Direzione Generale Tiziana Goretti | Direzione Artistica Ambra Greco | Area Comunicazione Simona Capristo | Play It! Servizi tecnici Orchestra

Francesco Vensi Angelo Del Rosso

OspitalitĂ e sala Teatro Verdi

Fulvio Palmieri Paolo Malvini

Palcoscenico Teatro Verdi

Alfredo Ridi - Walter Sica Carmelo Meli - Sandro Russo Alessandro Goretti

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