Il visual nelle fanzine del contemporaneo Ornella Susca ↙
Il visual nelle fanzine del contemporaneo ↘ Ornella Susca ↙
Luglio 2022
Accademia di Belle Arti di Bari
Corso di Grafica d'Arte Laurea triennale
Tesi di laurea in Design per l'editoria
IS IT A ZINE?
Il visual nelle fanzine del contemporaneo Relatore chiar.mo Prof. Giancarlo Chielli Correlatore chiar.mo Prof. Paolo Azzella Tesi di laurea di Ornella Susca Anno accademico 2021-2022
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INTRODUZIONE
01 ALTERNATIVE PRESS
1.1 Fanzine, un’urgenza comunicativa. Il contributo dell’Alternative Press e delle sottoculture nella grafica odierna
1.2 Punk culture
1.3 Hip hop culture
1.4 Next step
Intervista ↘ VALERIA FOSCHETTI, LA FANZINOTECA E ASSOCIAZIONE “LA PIPETTE NOIR”
02 FANZINE O INDIE-MAG?
2.1 Un nuovo gusto estetico per un nuovo modus operandi
2.2 Graphic design is content
2.3 Il visual nelle fanzine del contemporaneo
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UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
3.1 Fanzine e sistemi di comunicazione social
3.2 Punti di vista
Intervista ↘ LORENZO CALECA, STUDIO VOLODJA E “POESIA NELLE STRADE”
Intervista ↘ ANDREA VENDITTI E “U_UZ3R”, TRA FANZINE E MAGAZINE CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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72 76 78 93 105 111 5
«Studiare questo design invisibile è importante quanto studiare il design documentato nelle riviste e insegnato nelle accademie.»
Tibor Kalman e Karrie Jacobs, "We're Here To Be Bad", 1990.
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INTRODUZIONE
Si premette che con i termini fanzine, zine e fanza si parla della stessa cosa.
Durante gli anni adolescenziali l’individuo crea le fondamenta per l’adulto del domani, e i luoghi che si calpestano influenzano le proprie attitudini ed interessi, di conseguenza si deduce che in anni di formazione frequentare contesti artistico-culturali o subculturali e di nicchia può condurre i propri passi verso alcune forme di espressione creativa spesso definite borderline o anticonvenzionali. Nel caso della sottoscritta l’imprinting con determinate realtà si riconduce agli anni scolastici del liceo artistico, dove tra i banchi di scuola sempre “sporchi” di disegni e tra qualche tag in più nei bagni e nei corridoi (rispetto ad un comune istituto superiore) può capitare di sentir nominare qualcosa chiamata “fanzine”. Ancora non si sa bene di cosa si tratta, ma al tempo stesso si avverte un’innata attitudine nel voler progettare qualcosa di estremamente economico e creativo per manifestare un pensiero, o perché no, per diffondere la propria arte. E così, tra un paio di dread colorati, piercing e lobi dilatati, calze a rete rotte e musica skatepunk sparata nelle orecchie si delinea inconsapevolmente la propria personalità, ed esclusi coloro per cui tutto ciò resterà un vago ricordo di stile ribelle adolescenziale capace di far sorridere i postumi, per altri sarà un segno, un tatuaggio indelebile, una cicatrice.
In altre parole, entrare a contatto con le cosiddette sottoculture e più generalmente con l’ambiente underground, inteso non in termini di contestazione ma riferendosi ad esperienze e attività fuori dall’ordinario scaturite dal basso che si sviluppano solitamente in contesti paralleli a quelli ufficiali, è un’esperienza in grado di lasciare
8 INTRODUZIONE
un’eredità creativa di stimoli e impulsi, che a partire dall’età adolescenziale può maturare nel corso degli anni, e così evolversi da una semplice questione stilistica ad una consapevolezza artistico-creativa in grado di far germogliare i semi piantati inconsciamente anni prima. Dunque a 16 anni e con determinati interessi non è raro trovarsi a fotocopiare presso la copisteria della propria città un foglio A4, un’unica pagina piegata a metà strabordante di illustrazioni a pennarello e contenuti testuali inseriti brutalmente in Illustrator, l’unico programma con cui si ha una confidenza basilare, chiaramente senza alcuna conoscenza in termini di impaginazione editoriale. Tutto ciò al fine di comunicare una scena con cui si è connessi, o semplicemente l’ambiente scolastico, un tentativo di realizzare qualcosa di personale e di diverso in un contesto dove si respira un’aria frizzante di arte, libertà di pensiero, idee e creatività in cui si potrà essere compresi dai propri simili.
Si tratta di un atto spontaneo ed istintivo di cui il giovane adulto del futuro in quel momento non è pienamente consapevole, poiché lo fa senza rimuginarci troppo su, e solo anni dopo ritroverà lo stesso foglio o pieghevole abbandonato in un cassetto contenente innumerevoli carte e disegni testimoni di quei medesimi anni volati via. Così il tempo scorre, si cresce e lentamente si abbandona l’eterna adolescenza vuota di responsabilità e pensieri, e tra uno studio e l’altro sempre in tema artistico e creativo, tra qualche lavoretto, prime esperienze e qualche tatuaggio in più sulla pelle, tutto pian piano torna, e i pezzi del puzzle si ricompongono. “Amori” passati si ritrovano, passioni non più coltivate si recuperano, nuove amicizie e nuove rei di conoscenze si formano e inaspettatamente quell’ingenua forma di comunicazione che all’epoca non aveva un nome o una precisa identità, adesso ritorna sotto una veste nuova, o meglio dire un nuovo termine la delinea sotto la veste di “fanzine”.
Pertanto, queste brevi righe di esplicita matrice emozionale e personale identificano l’oggetto in esame della ricerca: le fanzine, un prodotto editoriale autoprodotto e indipendente che si situa in canali altri, realizzato con strumenti
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economicamente alla portata di chiunque, libero nella veste grafica la quale non segue regole, vincoli o limitazioni, e che spesso si pone l’obiettivo di raccontare argomenti alternativi, non convenzionali e non istituzionali, il più delle volte scomodi o legati a contesti sottoculturali e quindi non idonei alle testate ufficiali del mainstream1. In verità il genere fanzinario si mostra ostile a qualsiasi tentativo di classificazione e argomentazione ben definita perché queste realtà o spazi cartacei solitamente non trovano luogo in contesti istituzionali. Pertanto, considerato che la fanzine non rientra in canali ufficiali di studio, neppure in contesti promotori di arte e di design quali le realtà accademiche, si evince una volontà ferrea nel raccontare questo territorio editoriale, con la consapevolezza che una narrazione delle zine intese come autoproduzioni non possa evitare di considerare il contesto sottoculturale a cui sono inevitabilmente legate.
Eppure l’obiettivo della ricerca non è approfondire tale scena editoriale indipendente in maniera esaustiva e nella sua totalità, ma è da circoscrivere, per volere della sottoscritta, all’ambito grafico, pertanto l’analisi in esame sulle fanzine è da intendersi come una discussione sul ruolo che occupa il visual design all’interno di questo contesto indipendente che, muovendo i suoi primi passi negli anni ’80 grazie al contributo delle culture nate dal basso quali il punk e l’hip hop trova i suoi lasciti nel contemporaneo, manifestando oggi uno sviluppo del genere in diverse rappresentazioni grafico editoriali dove il visual design occupa, in molte di queste, un ruolo centrale e rilevante, se rapportato all’estetica del passato per certi versi più istintiva.
La scelta della tematica dunque deriva da un quesito scaturito dall’esperienza visiva della sottoscritta, ossia comprendere perché oggigiorno da un lato vi sono ancora fanzine grezze, punk e più immediate e spontanee, e da un lato fanzine più curate nella loro veste grafica, più contemporanee e sperimentali dunque in termini di design, al fine di comprendere quanto questo confronto estetico incida sul messaggio e sull’essenza stessa di una fanzine, in uno scenario odierno in cui la zine
1. Francesco Ciaponi, “Introduzione”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p.16.
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mostra confini sottili con territori vicini, più inclini al mondo del mainstream e meno a quello delle autoproduzioni indipendenti. Si è preferito dunque restringere il campo di interesse sulla tematica, scegliendo consapevolmente di dare un risvolto grafico allo studio sulle zine, sia per un interesse personale in merito al panorama visivo e grafico a scapito di quello più storico legato all’argomento, e soprattutto perché si ritiene essenziale, sulla base degli studi fatti, il contributo grafico che le sottoculture citate in precedenza hanno inconsapevolmente dato al graphic design contemporaneo grazie a questi prodotti cartacei amatoriali, e quanto lo stesso immaginario grafico ed intento comunicativo di quegli anni si riflette oggi negli sviluppi e negli esiti differenti delle fanzine, anche in quelle più sperimentali.
Tuttavia per quanto concerne la metodologia di approccio e di studio alla ricerca si evidenzia una carente quantità di materiale inerente sulla tematica. Questo perché come si è detto, la fanzine sfugge per sua natura alle vie istituzionali. Ciononostante, una serie di testi di riferimento, più o meno ufficiali e più o meno davvero connessi e pertinenti allo studio in esame hanno illuminato la ricerca di notevoli approfondimenti e punti di vista, sia sul versante storico, sociale e divulgativo sia sull’aspetto visivo e grafico della materia. In particolare modo si sottolinea l’importanza del testo cardine per tutto lo studio, “Fenomenologia dell’editoria indipendente” dell’autore Francesco Ciaponi, il quale ha saputo raccontare l’argomento fanzinario (e non solo) in rapporto alla sua storia e al confronto con il contemporaneo anche in termini di visualità del prodotto editoriale, un resoconto fondamentale per tracciare le linee guida di questo percorso incentrato sul visual delle zine oggi. In aggiunta alle fonti qui citate e alle altre riportate accuratamente in bibliografia, la ricerca in questione si avvale di una serie di interviste a protagonisti interni alla scena delle fanzine e delle autoproduzioni in Italia, focali per la ricerca poiché queste personalità hanno saputo, più di qualsiasi testo usato come oggetto di approfondimenti, dare
pareri concordi e controversi con l’oggetto della tesi rapportando il visual nelle fanzine di oggi ad un piano concreto ed estremamente contemporaneo che non può distogliere lo sguardo dall’obiettivo stesso di una zine, ossia il fine comunicativo.
Nello specifico, ↘ Valeria Foschetti con la sua Fanzinoteca e associazione culturale “La Pipette Noir” ha suggerito perfettamente l’argomento della ricerca durante la sua intervista, creando un ponte visivo e grafico tra autoproduzioni del passato e autoproduzioni contemporanee, evidenziando allo stesso modo la centralità del messaggio e di un’urgenza comunicativa, concetti essenziali nel momento in cui si parla di zine sia ieri che oggi e al di là della componente visiva del prodotto editoriale. In un secondo momento, ↘ Lorenzo Caleca e il suo progetto editoriale indipendente Studio Volodja da un lato, e ↘ Andrea Venditti e la sua zine-non zine “U_UZ3R” hanno dato un risvolto pratico alle trattazioni dei capitoli di tale studio, mostrando diverse attitudini e obiettivi sia in termini comunicativi e progettuali che di design in merito all’output del prodotto finale, raccontando il contemporaneo delle zine da un’ottica strettamente personale mediante i loro progetti concreti presi in esame.
In ultimo, si intende illustrare come è articolata la ricerca e i capitoli delle pagine seguenti al fine di delucidare una visione globale sulla tematica prima dell’approccio ad essa in maniera più dettagliata. Il primo capitolo si concentra sul contributo grafico dell’Alternative press, ossia le autoproduzioni legate ai contesti sottoculturali e nati dal basso a partire dagli anni ’80 sino ai primi anni 2000. In maniera più minuziosa si approfondiscono in queste pagine le influenze grafiche del periodo e alcuni esempi di zine della punk culture e della hip hop culture al fine di esplicare determinate cifre stilistiche grafiche legate a questi contesti subculturali e tecnicismi editoriali della prima fase creativa del contesto fanzinario, rivendicando l’importante eredità che queste zine hanno dato al
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contemporaneo soprattutto in termini di design. Inoltre, nello stesso capitolo si manifesta l’importanza di fare cultura sulle zine e sull’Alternative press, valendosi dell’intervista a Valeria Foschetti per mettere un punto alla discussione ed introdurre il filo del discorso prettamente grafico del capitolo successivo.
Il secondo capitolo infatti sposta l’occhio della questione dagli anni 2000 in poi analizzando l’avvento del web e del desktop publishing con l’immediata conseguenza di un concetto di design it yourself, che dagli anni del punk ora diventa estremamente alla portata di tutti, un nuovo modus operandi che delinea un nuovo gusto estetico e grafico, concetto che permette di analizzare la teoria Graphic Design is content della studiosa Megan le Masurier in merito al mondo dei magazine indipendenti. Ecco che il secondo capitolo sviscera il nodo della questione, ossia se una fanzine caratterizzata da un visual più all’avanguardia e curato e dunque “meno punk” sia da considerarsi tale o se lo stesso progetto si affaccia invece più ai confini del mainstream e degli indiemag, differendo così dall’ambito fanzinario e dalla sua natura anticonvenzionale ed antistituzionale.
Pertanto in seguito ad aver distinto cosa sia una fanzine e cosa no, nonostante le difficoltà in termini di classificazione all’interno del contesto contemporaneo che può creare confusione per via della componente visuale e grafica la quale, come si è descritto, con l’avvento del nuovo millennio diventa più curata e studiata, il terzo capitolo riporta il fulcro della tematica prettamente al contesto fanzinario studiandolo nel suo approccio più contemporaneo, nello specifico argomentando il ruolo che assumono oggi i social network nella comunicazione di un progetto e avvalendosi degli interventi mirati e diretti dei progetti di Lorenzo Caleca e Andrea Venditti sotto forma di interviste. Entrambi i contributi rivelano, all’interno della ricerca, due diverse attitudini in merito alle zine del contemporaneo, rispettivamente una più underground che punta alla sostanza e al
messaggio comunicativo creando un legame indissolubile tra le zine e ambienti a cui questo mondo è legato, e una che in termini di output grafico-editoriale curato mira a territori altri, alla rimodulazione di un progetto nato dal basso e alla visualità del prodotto nella sua totalità.
E dunque, questa premessa è volta a sottolineare quanto la componente grafica di studio sulla tematica fanzinaria può essere in grado di raccontare la stessa materia sia nelle sue manifestazioni legate al passato, momento in cui la fanzine si è rivelata essenziale per la costruzione di identità culturali, e sia nelle sue espressioni più attuali e contemporanee, spiegando, specie grazie ai contributi degli intervistati, quanto una fanzine possa essere differente nel suo visual declinandosi verso una più o meno consapevole progettualità grafica, ma continua ad esistere perché da anni porta con se un intento e un messaggio in netto contrasto con la tradizione, con gli schemi predefiniti, con le regole, sottolineando così l’importanza di pensare un modo alternativo di concepire il prodotto editoriale e di manifestare un pensiero critico e personale.
12 INTRODUZIONE
01 ALTERNATIVE PRESS
1.1 Fanzine, un’urgenza comunicativa. Il contributo dell’Alternative Press e delle sottoculture nella grafica odierna
FANZINE
Decifrare un excursus storico sull’evoluzione di tutta l’editoria indipendente in ogni sua manifestazione grafica non è l’obiettivo di questa ricerca. La storia è accompagnata da una mole incredibile di fogli, volantini, esperienze cartacee borderline comunemente tradotte sotto la voce di editoria indipendente, che parallelamente viaggiano insieme alla cultura ufficiale e al mainstream. Qui si vuole porre il focus su un unicum del panorama editoriale indipendente e delle autoproduzioni, le fanzine. Per farlo, occorre dare delle pseudo-definizioni, tentando di renderle il minimo possibile schematiche o didascaliche (in quanto il fenomeno stesso è l’antitesi di confini e classificazioni terminologiche) seguendo una timeline che permetta di dare delle date significative al fine di ricostruire una sequenza logica degli eventi: 1930 e 1977, le quali saranno approfondite in seguito.
L’autore di “Notes from Underground, Zine and the politics of alternative culture” Stephen Duncombe definisce le zine, così spesso abbreviate in gergo:
«Prodotti editoriali non commerciali, non professionali e a piccola tiratura che i loro creatori producono, pubblicano e diffondono in omaggio a se stessi e alle proprie passioni.»
Etimologicamente, il vocabolo fanzine evidenzia una somma di parole inglesi, fans-magazines2, chiarendo il significato stesso del termine, ossia un prodotto editoriale simile ad un magazine, creato per un’urgenza comunicativa nei confronti di uno
2. Francesco Ciaponi,
specifico argomento, per il quale si coltiva interesse con altri fanatici. La patria natale di questo genere sono gli Stati Uniti, dove intorno al 1930 si pubblica la prima fanzine riconosciuta,“The Comet”, a tema Science Fiction rivolta ad appassionati di fantascienza. Non è un caso che la miccia verso questo nuovo genere totalmente anarchico esploda negli USA, che negli anni ‘60 diverranno terreno fertile di idee ed esperienze editoriali controculturali dando vita al fenomeno colorato dell’Underground Press e ai suoi tratti distintivi.
La fanzine nasce dunque come un contesto editoriale libero che risponde ad una determinata urgenza comunicativa, in grado di consentire a chiunque di esprimersi con scarsi mezzi economici e tecnologici a disposizione, senza regole e vincoli tipografici, senza ricavarne profitto, caratterizzata dall’essere dotata di un’ingente carica rivoluzionaria ed orizzontalità democratica. Ne consegue che l’editoria ufficiale, il mainstream, colma di obblighi e censure mediatiche, non è stata in grado di rappresentare i mutamenti socio culturali che nel corso del novecento hanno caratterizzato la storia. Dunque, è proprio la fanzine che, diffondendosi in una rete di esperienze interconnesse tra loro a partire dagli anni ’60, si presenta come lo specchio non mediato della società, in contrasto con ogni tipo di tradizione comunicativa.
Se gli anni ’60 sono stati accompagnati da una forte fiducia socio-politica nel futuro, a cominciare dal movimento hippie che dagli USA presto si diffuse in Europa e che in Italia
dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa
a oggi, Edizioni
“La nascita delle fanzine” in “L’editoria come libertà”, Fenomenologia
libera dal novecento
del Frisco, 2021, p.55.
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prese piede nelle fasi della controcultura e di lotta di questi anni, nel 1977 il no future segna un cambio di rotta3: disillusione, crisi economica e disoccupazione ingrigiscono lo scenario sociale, e con questo anche le sue manifestazioni cartacee.
Contrariamente alle aspettative, questo grigiore non si traduce in un appiattimento visivo, bensì l’opposto. Se l’Underground Press, ossia la stampa indipendente controculturale estera e italiana, è stata caratterizzata da considerazioni teoriche e politiche di portata maggiore e significativa rispetto al lato creativo e grafico, con il 1977 l’estetica delle riviste acquisisce un ruolo fondamentale prediligendo la visualità del prodotto alle parole, alla retorica e alla politica. L’editoria diventa un terreno di sperimentazione, e la fanzine il mezzo comunicativo privilegiato e più diretto4, da questo momento sino all’avvento dell’Alternative Press, panorama editoriale connesso ai fenomeni sottoculturali e al loro sviluppo. Per citare Franco Bifo Berardi in “La Scrittura orale”, in merito agli stampati di questo periodo sostiene che:
«Più originale dei contenuti […] si rivela il tipo di impaginazione, l’accostamento orizzontale, verticale, diagonale di testi appartenenti a sfere diverse […] l’uso sincronico di caratteri tipografici e scrittura a mano; abolita la linearità di successione delle parole, esse possono venire capovolte e costringere ad una lettura dinamica, a un movimento rotatorio del foglio che si ha tra le mani, presentarsi cancellate o piene di errori, frazionate da sbarre o lineette, deformate, ingigantite o rese pressoché illeggibili.»5
3. Francesco Ciaponi, “Il movimento del settantasette” in “L’underground in Italia”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p.147.
4. Francesco Ciaponi, “Oask?! Roma e le nuove tribù”, Underground ascesa e declino di un’altra editoria, Nuovi ritmi costa & nona, 2007, pp.180-183.
5. N. Lorenzini, La scrittura orale, Franco Bifo Berardi, V. Brividi, 2002, p.161.
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GUARDARE LA PAGINA
Prima di analizzare nello specifico il fenomeno dell’Alternative Press che congiunge le fanzine alle molteplici sottoculture giovanili dal ’77 ad oggi, occorre fare un appunto su come questo nuovo modo di concepire il prodotto editoriale, la fanzine, riconosca un forte impulso nella sua indole anti istituzionale e anti schematica alla storia delle avanguardie artistiche.
Già Marinetti nel 1913 sostiene in “Tipografia Futurista” una rivoluzione contro l’armonia tipografica della pagina6, spingendo al limite le possibilità visive di allora attraverso caratteri e pesi contrastanti, posizionamento creativo degli elementi di testo, inaugurando così una nuova tipografia volta a demolire la sintassi tradizionale, combattendo l’estetica decorativa e romantica in perfetta chiave ideologica futurista. Si inaugura dunque, un nuovo modo di concepire il prodotto editoriale7, che rompe definitivamente con la tradizione mainstream vigente e che mira ad un superamento del libro, inteso, già allora, come uno spazio fisico limitante per la parola (in particolare per la poesia), argomento che sarà frutto di discussioni teoriche per tutto il novecento. Se il Futurismo abbatte le regole e rompe gli schemi, l’avanguardia che però individua più punti di contatto con le fanzine è il Dadaismo. Nella natura effimera degli stampati di questo periodo (prima analogia con le zine) il dadaismo sperimenta le tecniche di produzione visiva del collage e del fotomontaggio8, chiave di lettura stilistica di ciò che sarà il filone punkzine e la sua estetica.
6. Francesco Ciaponi, “L’editoria del futurismo” in “Le avanguardie e l’editoria”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.30-33.
7. Alessia Muliere, Il libero libro futurista. I supporti, lo stile e la forma del libro futurista, settembre 2020.
8. Francesco Ciaponi, “L’editoria dada” in “Le avanguardie e l’editoria”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.34-35.
↙ Filippo Tommaso Marinetti, "Parole in libertà", 1913.
Tristan Tzara, "Le Coeur à Barbe", n.1, Parigi, 1922.
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16 01 ALTERNATIVE PRESS
Filippo Tommaso Marinetti, "Zang Tumb Tumb", Milano, 1914.
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Tristan Tzara, "Salon Dada" 1922.
In altre parole, le avanguardie muovono per prime un’idea importante e lungimirante, riqualificando la grafica come un oggetto da guardare, non solo da leggere. Portavoce di questa modernità a cui mirano le avanguardie in opposizione alla tradizione è il russo El Lissistzky, il quale pubblica nel 1923 un manifesto di riflessioni “Topografia sulla tipografia” su una rivista, non a caso d’avanguardia, “Merz”: «Le parole del foglio stampato vengono guardate, non udite.»9
Le avanguardie dunque, promotrici di teorie, lanciano un’idea di graphic design che influenzerà, da questo momento, tutte le maggiori correnti del novecento, ed è alle avanguardie artistiche che si può attribuire l’invenzione stessa del graphic design, come sostiene il designer e docente inglese Richard Hollis.10
9. Riccardo Falcinelli, “Avanguardie e modernità” in “Graphic design: una filosofia della pratica, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. XXXI-XXXII.
10. Robin Kinross, “Conversations with Richard Hollis” in Journal of Design History (I) 1992.
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Fanzine, un'urgenza comunicativa 17
ALTERNATIVE PRESS
L’Alternative Press muove dalla constatazione di una sconfitta a partire dal 1977 in cui i processi sociali giovanili si trovano nella condizione di reinventarsi. Il termine controculture con cui ci si riferisce a tali fenomeni sociali presuppone una posizione di contro rispetto ad una dominante, rendendo il termine “contro” riduttivo e surclassato da tutto ciò che passa per le vie ufficiali e standardizzate. Sarebbe più opportuno parlare di culture, o sottoculture (per distinguerle da tutto ciò che rientra nel mainstream) che scaturiscono dal basso e che al di fuori dei contesti istituzionali si sviluppano come vere e proprie tribù urbane, in maniera propositiva, con il fine primo di unire realtà e abbattere barriere, sin da prima dell’avvento di Internet. 11
Il ’77 porta con sé il merito di aver generato un tornado di esperienze sottoculturali diverse, prime tra tutte il punk, passando per il dark, l’hip hop, il grunge, la cultura rave e così via. Ancora oggi le sottoculture animano le generazioni, si sviluppano, nascono di nuove e si intersecano tra loro, con la differenza che oggi Internet in questa partita mediatica gioca un ruolo diverso rispetto agli anni passati. Tutto ciò che parte dal basso, l’underground e i suoi movimenti, si lancia con una spinta propulsiva a diffondere nuove idee, aggirando i confini tra legalità ed illegalità per promuovere un messaggio sociale contro lo status quo. La fanzine si mostra il modello comunicativo più efficace, in quanto anche lei nasce dal basso, e conoscere questi prodotti editoriali nelle loro diverse manifestazioni permette di apprendere la storia dei movimenti che li hanno creati e fatti circolare, diffondendo cultura.
Dopo la breve nota introduttiva, più esplicativa e didattica, ora si intende prendere in esame le sottoculture che più hanno dato alla grafica odierna in termini di sperimentazione visiva, il punk e l’hip hop. Prima di concludere, è però opportuno fare una riflessione in merito alla scelta del tema fanzinario come oggetto di questa ricerca.
Al di là di ogni definizione, resoconto storico, citazione e note bibliografiche, le fanzine resistono ed esistono, oggi, come un fenomeno vivo. La storia delle sottoculture permette di analizzare i processi che hanno spianato la strada su questo fronte comunicativo e creativo, considerando le innovazioni dal punto di vista grafico che hanno generato, ma la storia delle sottoculture si vive anche oggi, sempre dal basso e in tutti i contesti paralleli al mainstream. Una fanzine può nascere tra i banchi di un liceo, in un centro sociale, per strada, nella cameretta di un’adolescente, e a seconda dei mezzi e delle conoscenze di ognuno può prendere una diversa piega grafica, editoriale e mediatica. Il tratto distintivo che ciascuna fanzine continua a portare con sé negli anni è l’assenza di un profitto, casa editrice, redazione o identità ben definita, restando ai confini delle regole e ai margini della società per raccontare senza censura e senza freni le urla, i desideri, le mode e i sogni di ogni generazione. Per citare Luca Frazzi, esperto di punk e new wave, nonché fanzinario, quella delle fanzine è:
«Una realtà ancora sorprendentemente viva […] Gli anni del punk e del post punk sono il cuore, ma c’era chi faceva fanzine prima del punk e chi lo fa oggi, nonostante il mondo viaggi in direzione opposta.»12
11. Nicola del Corno e Marco Philopat, “Introduzione”, Università della strada, mezzo secolo di controculture a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia
2018,
Luca Frazzi,
Sniffando colla, fanzine musicali italiane, Le guide pratiche di rumore, gennaio
X,
pp. 7-19. 12.
50 più 50,
2022, p.7.
A destra: ↗ Punk che gratta i trasferelli, illustrazione di Ornella Susca, 2022. 18 01 ALTERNATIVE PRESS
Fanzine, un'urgenza
comunicativa 19
20 01 ALTERNATIVE PRESS
↖ A sinistra: "Xerox", n.3, Milano, 1979.
1.2 Punk culture
NO FUTURE
Il 1977 è l’anno zero. L’anno che segna la fine della controcultura politica, rossa, militante, in cui i giovani sprofondano in un abisso chiuso, personale e individualista. Non si può parlare di fanzine senza considerare il fenomeno punk e l’impronta che questo ha dato alle autoproduzioni e al graphic design. Se la data 1930 segnava la nascita delle fanzine come genere di nicchia per gli appassionati di fantascienza, il 1977 fa di questo fenomeno editoriale il portavoce di una scena culturale nata dal basso e il testimone di una forza identitaria senza rivali prima di allora.
Il punk nasce in una nuova condizione antropologica del mondo occidentale, il Postmoderno13, che si verifica a partire dal momento in cui l’advertising e la globalizzazione si immettono violentemente nelle vite dell’uomo moderno mutando gli scenari e le prospettive future. Post-moderno appunto, una nuova condizione sociale dopo la crisi e il tramonto della modernità segnato dal capitalismo maturo. Sono notevoli i legami tra i due fenomeni, si può dire che punk e postmoderno siano interconnessi nell’intento comune di creare un nuovo panorama estetico, ricercando nuovi mezzi, strumenti, stili e gusti in netto contrasto con il carattere politico-utopico degli anni precedenti e l’ideologia avanguardista modernista, che in ambito grafico associamo alle teorie novecentesche del good design e dell’International style. Se fino ad ora la controcultura si era mostrata come una via parallela alla cultura dominante, il punk viaggia completamente in antitesi su un binario opposto, promuovendo un’attitudine nichilista e disillusa volta a cancellare e demolire qualsiasi aspetto rientri nei canoni del sistema. Il punk muove da una sconfitta, non immagina un’alternativa al presente vigente o al futuro prossimo, non sogna un mondo migliore, piuttosto logora da dentro il sistema cercando di abbatterlo con le sue stesse mani e con i suoi stessi mezzi, non lotta, non si scontra, ma promuove una cultura assestante che si afferma in modo iconico, e che per la prima volta concepisce lo “stile” non come semplice apparenza, ma come stile di vita e modo di stare al mondo, dal modo di vestire e presentarsi, alle idee, sino al design.14
13. Francesco Ciaponi, “L’arrivo del Punk” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.159-162.
14. Riccardo Falcinelli, “Postmodernismo e antimodernismo” in “Graphic design: una filosofia della pratica, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXVI.
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IMPULSO D.I.Y.
Ogni fenomeno culturale ha suoi linguaggi di riferimento e tecnologie che si sviluppano in modo parallelo ad esso e che favoriscono il suo sviluppo. Per il punk tale legame tra fenomeno culturale-tecnologia-linguaggio si mostra interessante, poiché se sino a questo momento i fogli e le autoproduzioni avevano avuto modo di esistere e di divulgarsi attraverso il ciclostile, dal 1977 e con il punk entrano in gioco nuove possibilità e potenzialità tecniche.
Il mimeograph15, duplicatore di stencil, conosciuto in Italia appunto come ciclostile, ossia la macchina progettata per duplicare testi a basso costo attraverso la pressione di inchiostro su carta (che poteva avvenire con l’ausilio di alcool, a manovella o in maniera elettrica) era dagli anni ‘60 riconosciuto come il mezzo perfetto per la produzione di editoria underground, in quanto permetteva la stampa di piccole tirature a basso costo. Il ciclostile lo si trovava frequentemente in uffici, parrocchie, sindacati, e per usarlo bisognava necessariamente passare per questi luoghi16. Ma da questo momento storico in poi, l’analogico inizia a lasciar spazio alla tecnologia elettronica che pian piano entra nelle case degli uomini e nei più svariati contesti lavorativi, portando con sé nuove possibilità tecniche. Una prima novità si identifica nella macchina da scrivere Selectric dell’IBM, caratterizzata da testine sferiche sostituibili che finalmente permetteva la combinabilità di diverse font, ma la tecnologia in assoluto preferita del punk è una e una sola: la fotocopiatrice.17
L’azienda Xerox, madre della fotocopiatrice omonima nata negli anni ’60, finalmente rende questo mezzo gradualmente accessibile al pubblico a partire dagli anni ’70, così la xerografia incontra il punk (o viceversa) in un connubio perfetto dove la fotocopiatrice rappresenta da un lato
l’accessibilità democratica e dall’altro un completo distacco con il passato, essendo la prima tecnologia elettronica in netta opposizione alle tecniche analogiche di stampa e riproducibilità tecnica.
Come analizzato da Riccardo Falcinelli in “Filosofia del graphic design”: «Xerox, nata come macchina da ufficio, diventa inaspettatamente un sistema di creazione visuale». E così, sempre per l’autore, si consente finalmente sul piano pratico, dunque su carta, quel “decostruzionismo” teorico rivendicato dal punk nei confronti della società.
La fotocopiatrice designa per il movimento punk la massima libertà di espressione consentendo la sperimentazione di nuove tecniche che da questo momento diverranno capisaldi del movimento. In primo luogo, la fotocopiatrice promuove l’estetica del bianco e nero che da subito affascina tutto il movimento ponendosi in netto contrasto ideologico con il rosso comunista e con il pensiero dominante. Inoltre, da un versante più tecnico, il processo di fotocopiatura consente ai giovani punk di sperimentare con le sfumature di contrasti ottenute dal mezzo permettendo così notevoli soluzioni grafiche semplicemente spostando il foglio di matrice durante il processo di scansione.
15. Francesco Ciaponi, “L’editoria come libertà”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p.43.
16. Riccardo Bertoncelli, “Prima, gli anni di Freak” 50 più 50, Sniffando colla, fanzine musicali italiane, Le guide pratiche di rumore, gennaio 2022, p.74.
17. Francesco Ciaponi, “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.158.
A destra: ↘ "T.V.O.R.", n.4, Milano, 1984. 22 01 ALTERNATIVE PRESS
Tutto ciò promuove l’estetica D.I.Y. Do It Yourself, che nasce con il punk e che da questo momento muove ogni tipo di autoproduzione contemporanea. Pertanto, in seguito ad aver analizzato parzialmente il fenomeno e la sua tecnologia favorita, occorre specificare che è proprio la fanzine il linguaggio che torna a rivestire un ruolo centrale con il movimento punk. Fiorisce e si diffonde presto, una quantità immensa di fanzine sperimentali ed espressive, caratterizzate dal campionamento, dalla scomposizione, dai fotomontaggi e dai collage nati con il Dada, e che adesso diventano cifre stilistiche di una cultura in espansione.
PUNKZINES
Parlare di punk, come in questo caso, potrebbe risultare la cosa meno punk al mondo, ma occorre riconoscere che ai non addetti ai lavori tutto ciò potrebbe risultare una mera questione “stilistica” di ribellione giovanile in bilico tra una cresta colorata e una spilla da balia conficcata nella guancia, dunque bisogna dare dei riferimenti storici al fine di comprendere al meglio il movimento. La patria natale è Londra dove verso il 1975 le fanzine iniziano a diffondere la musica, lo stile e le idee del movimento18. Ed è la città di Londra a fare “scuola” al punk che verrà e a ciò che poi, con il dovuto ritardo, sarà la lezione assimilata dall’Italia. Qui nascono le prime fanzine, caratterizzate tra il ’76 e il ’77 dall’insolito formato A5 e realizzate senza molta attenzione o cura, riportando tutti i pilastri grafici in tipico stile punkzine, tra i quali errori di battitura, cancellature, volontà di destrutturare qualsiasi regola grafica e tipografica, estetica citazionista di forme del passato a cui si attribuiscono nuovi significati. Prodotti amatoriali, perfettamente imperfetti e assolutamente non pubblicabili in qualsiasi canale ufficiale, caratterizzati da un layout caotico e da un’ottica partecipativa ed inclusiva che invita chiunque a collaborare con la rivista, inviando materiale, disegni, articoli o foto.
18. Francesco Ciaponi, “Le riviste punk in Inghilterra” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.162-168.
24 01 ALTERNATIVE PRESS
Non vi sono gerarchie, ma un coinvolgimento attivo, la fanzine è di tutti ed è fatta da tutti, o per lo meno da chiunque vi voglia partecipare. Non bisogna dimenticare che sono proprio gli anni ’70 che, a prescindere dal punk, danno per la prima volta voce cartacea all’ambito musicale, favorendo la nascita di nuovi generi ed interessi che si manifestano sulle autoproduzioni del tempo. È il periodo in cui l’editoria musicale inizia a suscitare curiosità promuovendo nuovi strumenti nati dal basso e nuovi stili di vita19. Ecco che la politica, si può sostenere, scompare quasi del tutto dalle menti di queste nuove generazioni, invertendo così le proporzioni che sino a quel momento avevano determinato le tematiche delle testate underground.
In assoluto, la fanza inglese più celebre nonché riconosciuta dagli esperti come prima pubblicazione punk è “Sniffing Glue” di Mark Perry, noto per essere un giornalista emerso grazie all’ambito sottoculturale e all’editoria indipendente. Così in Inghilterra nasce nei medesimi anni, sulla base dell’esempio di Perry e grazie alle fanzine, una generazione di grafici e fotografi inglesi per merito del punk e per aver contribuito a questi prodotti editoriali, i quali sono riusciti a dotare un movimento sottoculturale di una forza identitaria riconoscibile. Le fanzine punk si pongono così per la prima volta attive e creative nella costruzione di un’identità culturale, che potremmo definire riportando le parole di Oderso Urbini:
«Forme di espressione creativa, di informazione e di intrattenimento non convenzionali dei movimenti di dissenso, che perseguivano l’idea di una comunicazione sporca, disturbata e dissonante rispetto allo standard comunicativo, e quindi estranee ad ogni logica di mercato, riprendendo spesso tecniche di matrice situazionista […] l’obiettivo è stato fare dell’utilizzo creativo un’arma a disposizione di tutti nella quotidianità per comunicare il proprio disagio.»20
19. Francesco Ciaponi, “Freak e Get Ready è la musica ribelle”, Underground ascesa e declino di un’altra editoria, Nuovi ritmi costa & nona, 2007, p.153. 20. Oderso Rubini, “1977! La rivoluzione è finita abbiamo vinto!” 50 più 50, Sniffando colla, fanzine musicali italiane, Le guide pratiche di rumore, gennaio 2022, p.76. Punk culture 25
NERO ICONICO E IL CASO T.V.O.R.
Enzo Mansueto, docente di lettere presso il liceo artistico G. De Nittis di Bari nonché musicista degli Skizo, esperto di sottoculture e autentico punk barese dal giorno zero, ricorda, nel suo intervento in “Lumi di Punk”, l’avvento del punk in Italia:
«[…] in molte faccende, qui a Bari, bisogna considerare il ritardo medio nazionale e aggiungervi, più o meno, un triennio. Anche se a sentire le testimonianze del resto dello stivale, in quanto a no future non eravamo poi così indietro…Insomma, se l’anno seminale del punk, dalle parti di Kings Road […] fu il 1975, le cose in Italia cominciarono appena a muoversi nel 1977, a latere del movimento, quando Londra stava già bella che bruciando […]»21
In altre parole, l’eco del punk giunge in Italia tra il ’77 e il ’78, e anche qui le fanzine diventano il mezzo di comunicazione privilegiato, inteso come terreno di sperimentazione o come sostiene Francesco Ciaponi, una perfetta “performance cartacea”22. Finalmente anche in Italia si trasforma la realtà giovanile e le fanzine punk si diffondono: un enorme laboratorio di cultura diretta23, che spinge dal basso proiettando un’identità collettiva tutta forbici, colla, ritagli, borchie e urla. Realizzare una fanzine era semplice, economico, alla portata di tutti, e sicuramente la forte impronta inglese aveva insegnato il come fare, ma soprattutto come non-fare ed andare contro qualsiasi sintassi grafica.
È importante sottolineare che il cuore e l’anima pulsante del punk sono i concerti, la musica, contesti di cui parlare e a cui andare per, letteralmente, rompersi le ossa sotto un palco scatenandosi nel pogo. La forza e l’energia di queste situazioni, seppur non si possano esprimere banalmente a parole né tantomeno immortalare in un flash fotografico, trovano la loro carica espressiva nelle autoproduzioni del periodo, e tra tutte, è doveroso ricordare la fanzine italiana per antonomasia, “T.V.O.R.” acronimo di “Teste Vuota Ossa Rotte”.24 “T.V.O.R.”, fanzine tra ideologia punk e proto hardcore uscita in soli cinque numeri tra il 1981 e il 198525, considerata da Jello Biafra, cantante dei Dead Kennedys, come una tra le più belle punkzine al mondo, rivendica il merito di aver costituito in Italia l’estetica dello shock visivo punk rispetto alla cultura dominante. Una fanzine italiana che nulla ha da invidiare alle fanze estere e che in soli cinque numeri ha saputo gettare le basi per decine di autoproduzioni HC a seguire. Nota per aver rivendicato un’autonomia del visual prevalentemente fotografico rispetto ai contenuti testuali e articoli, dando grande spazio in pagine al vivo interamente dedicate a scatti di alta qualità “rubati” da riviste estere, senza curarsi minimamente del copyright (in seconda di copertina si cita che “tutte le foto che appaiono su T.V.O.R. sono state vilmente e schifosamente rubate nel più abbietto dei modi da altri giornali, libri, fanzine ecc… con il valido aiuto di numerosi loschi individui ai quali va il nostro più sentito ringraziamento”).
colla, fanzine musicali italiane, Le guide pratiche di rumore, gennaio 2022, p.53.
21. Enzo Mansueto, “Dai wogs alla Giungla (1979-1984)”, Lumi di punk, la scena italiana raccontata dai protagonisti, Marco Philopat, Agenzia X, 2006, p.85. 22. Francesco Ciaponi, “Le riviste punk in Italia” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp.176-177. 23. Angela Valcavi, “Punk e autoproduzioni”,Università della strada, mezzo secolo di controculture a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, pp. 116-118. 24. Andrea Capriolo, “Punk in bianco e nero, più nero che bianco”, L’edicola che non c’è, la stampa underground a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, pp. 103-104. 25. Luca Frazzi, “T.V.O.R. 1981-1985”, 50 più 50, Sniffando
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Ma soprattuto il no future si identifica, in questa autoproduzione, nell’estetica del nero iconico26. L’utilizzo di una carta nero lucida, pregiata per gli standard del periodo, scelta appositamente dai “redattori” di “T.V.O.R.” Stiv “Rottame” Valli e Marco “Maniglia” Medici dei Crash Box, dona alla rivista un’impatto grafico innovativo ed identitario. Il tutto, chiaramente corredato da una mole ingestibile di cut up creativi, testi incasellati e griglie destrutturate volte ad ospitare inserti, grafici e fotografici, dal forte taglio satirico attinente alla tecnica, tipicamente underground e proveniente dal mondo del comix, del dètournement (detournare personaggi noti del periodo sotto diverse vesti inusuali al fine di far pronunciare loro frasi scomode o inappropriate, per raggirare il sistema mass mediatico con i personaggi che esso stesso propone al pubblico)27 26. Andrea Capriolo, “Teste Vuote Ossa Rotte” in “Punk in bianco e nero, più nero che bianco”, L’edicola che non c’è, la stampa underground a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, pp. 117-123. 27. Francesco Ciaponi, “Insekten Sekte e Puzz, fumetti d’amore e di rivolta”, Underground ascesa e declino di un’altra editoria, Nuovi ritmi costa & nona, 2007, p. 151. ↙ Alcuni estratti di "T.V.O.R.", n. 2- 4, Milano, 1982-1984. Punk culture 29
Questa visualità del prodotto editoriale al limite tra leggibilità di testi bianchi su fondo nero e avanguardia grafica dal taglio sperimentale, che “stupra” la pagina in maniera violenta, è esplicata da Marco Philopat in “l’Edicola che non c’è” come: «Fotografie sforbiciate a spigoli, illustrazioni in sovrapposizione al testo rampicante, titoli a pennarellone, loghi dell’assurdo e simboletti inventati, il tutto sistemato su pezzi di carta strappata e poi incollati su un fondo rigorosamente nero come un buco astrale.»
“T.V.O.R.” contribuisce in questo modo a diffondere e far circolare notizie sulla scena italiana anche all’estero, prendendo parte con la sua risonanza stilistica alla nascita di nuove scene del movimento e dando grande impulso a quella che sarà poi l’editoria dark italiana, la quale farà del nero la propria icona “sacra”. Il punk segna la rottura con tutto, ma questa voragine nel terreno secco e arido di una gioventù arrabbiata e senza speranze apre nuove crepe e diramazioni, facilitando la strada a nuovi generi, stili, movimenti. E a questa molteplicità di stili segue, in maniera direttamente proporzionale, una molteplicità di fanzine28 che, dai concerti passando per nuovi argomenti e tematiche sociali, andrà a costituire l’eredità del punk incanalata nelle nuove sottoculture dagli anni ’80 in poi, giungendo sino ad oggi e conservando un lascito culturale preziosissimo. Per citare ancora una volta Marco Philopat:
«[…] il punk ha saputo lanciare dei precisi segnali che sono andati a influenzare le forme di lotta del futuro, ma anche la musica, l’editoria, la grafica, l’estetica, il look, il concetto di identità giovanile e di tribalità sociale, la relazione fra generi e il senso di appartenenza in relazione a una scena ben definita.»29
28. Angela Valcavi, “Punk e autoproduzioni”, Università della strada, mezzo secolo di controculture a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, p. 118. 29. Marco Philopat, “Il virus del punk a Milano (1977-1984)” in Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi, 1, 16 ottobre 2017. https://rivista.clionet.it/vol1/philopat-il-virus-del-punk-a-milano/ A destra: ↗ "T.V.O.R.", n.5, Milano, 1985. ↙ "Fame", n.0, Milano, 1982. ↘ "Amen", n.5, Milano, 1986. 30 01 ALTERNATIVE PRESS
Punk culture 31
1.3 Hip hop culture
NUOVI GENERI
Come sostenuto dall’autore Francesco Ciaponi in “Fenomenologia dell’editoria indipendente”: «le fanzine non sono state inventate dal punk, vi sono cresciute attorno». Pertanto, è possibile affermare che il punk ha gettato il seme di questa forma di comunicazione, e i suoi frutti sono stati poi raccolti dalle nascenti sottoculture, le quali hanno appreso e seguito la lezione dello spirito D.I.Y. Dagli anni ’80 ai 2000 si assiste a una nascita di generi e sottogeneri in simultanea con lo sviluppo tecnologico, che da sempre, come è stato esaminato per il punk, favorisce il progresso culturale permettendo nuove capacità di comunicazione. Ne consegue che, ancora una volta, le fanzine siano state il mezzo ideale per esprimere ed imprimere su carta un bisogno comunicativo giovanile.30
Intorno agli anni ’60 in America, nello specifico a New York, si inizia a parlare di hip hop, un nascente fenomeno sottoculturale che detiene le proprie radici nella black culture americana31, e che intorno agli anni ’70 esplode in tutte le sue manifestazioni, tra cui lo style writing. Si parla di un fenomeno in espansione che dal South Bronx newyorkese, lì dove si organizzano le prime jam in edifici dismessi o abbandonati, diventa ben presto, riportando le testuali parole di Rae Primo (writer milanese e artista contemporaneo che ha dedicato un intero podcast sull’argomento ed in particolare sulle pubblicazioni editoriali a questo correlate): «uno dei movimenti culturali e popolari di più vasta portata della storia».32
Questi eventi, le jam, oltre ad essere comunicate attraverso il passaparola (un mantra comune tuttora in abito underground sin dagli anni ’90 della rave culture) iniziano a diffondersi grazie alle fanzine e ai flyer, volantini autoprodotti che annunciavano gli eventi. Gli elementi stilistici chiave delle fanzine punk continuano ad essere un punto di riferimento per le nuove generazioni di fanzinari, fotografie rubate, ritagliate, incollate, fotocopiate, ma a questi si aggiunge una nuova tecnica che, nonostante fosse già accessibile dagli anni ‘60, diventa centrale per la cultura hip hop: il letraset. Si parla di lettere trasferibili a secco (dry transfer o “trasferelli” in Italia) immessi nel commercio dalla società Letraset, che consentivano facilmente ed in maniera economica la composizione tipografica, ma in particolare modo agevolavano disallineamenti, layout alternativi e manipolazione del lettering. 33
30. Francesco Ciaponi, “I sottogeneri: Surf Skate e Rap” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 182.
31. Francesco Ciaponi, “Rap” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 187.
32. Rae primo, podcast Culture Coach, Episode 1, “The International Graffiti Times (N.Y.C. 1984)”.
33. Riccardo Falcinelli, “Postmodernismo e antimodernismo” in “Graphic design: una filosofia della pratica, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXVI.
32 01 ALTERNATIVE PRESS
I
LAYOUT DI PHASE2
In ambito hip hop, flyer e fanzine del periodo hanno un comune denominatore: PHASE2, giovane artista e writer del Bronx noto per la sua produzione grafica che, a partire dal 1981, conta la progettazione di una moltitudine di loghi, cover design e flyer per jam americane e oltreoceano, anche qui in Italia, dove soggiornò negli anni ’90. É notevole come tra i manuali di design, anche i più importanti, nessuno riconosca o menzioni la personalità di PHASE2 e il merito che ha avuto nel creare la cosiddetta “estetica hip hop”, soprattutto in termini di design innovativo. PHASE2 nei suoi layout, che si tatti di flyer per jam o di progetti più articolati, ha contribuito a creare dei riferimenti visivi attualissimi rompendo la progettazione a griglia, spingendo al limite la leggibilità degli impaginati e adottando il sans serif type per la composizione tipografica, carattere di stampo modernista che fino a quel momento non aveva mai assunto un posto di rilievo nel settore delle
Nell’intervista rilasciata per “Eye on Design” pubblicata il 16 luglio 2019, PHASE2 sostiene che il suo processo creativo sia stato nettamente influenzato dal proprio bagaglio visivo, attinente alla cultura hip hop e allo style writing, e che per quanto concerne l’aspetto grafico, l’equilibrio compositivo dei suoi lavori è strettamente connesso all’aspetto analogico di essi, dove il righello e qualsiasi oggetto quotidiano avente una data forma (piatti, bicchieri ecc…) creano la struttura portante del layout grafico. Osservando infatti in maniera analitica, è possibile notare nei suoi layout la quadrettatura del foglio di partenza, riferimento spaziale per un utilizzo sapiente di letraset e righello, documentazione di una grafica antecedente a qualsiasi programma di impaginazione tipografica, come InDesign!34
Jerome Harris,
on Design,
Bronx,
34.
Eye
“In the Late ’70s in the
PHASE 2’s Party Flyers Created a Visual Hip-Hop”, 16 luglio 2019. https://eyeondesign.aiga.org/in-the-late-70s-in-the-bronxphase-2s-party-flyers-created-a-visual-language-for-hip-hop/ 33
Tali soluzioni di impaginazione del tutto innovative permettono di approfondire il masterpiece dello style writing, la fanzine “IG Times”, uscita in 15 numeri dall’84 al ’92 e riconosciuta oggi come la prima e più rara pubblicazione indipendente in tema style writing. Nata dall’idea di un fotografo outsider al movimento, David Shmidlapp, dall’86 la direzione artistica del progetto è affidata a PHASE2, con il quale cambia totalmente anche il layout del progetto. Si parte dunque da una zine carica di contenuto testuale, e con l’avvento di PHASE2 presto questa passa ad un formato mappa pieghevole, più sperimentale e agevole da trasportare, sino alla posterzine formato XL dove le foto di “pezzi” sui treni si sovrappongono tra loro creando un collage fittissimo da osservare nei minimi dettagli, testimone di un movimento in fermento. Inoltre con l’avanzare dei numeri, “IGT” si conferma come una pubblicazione internazionale, creditando contributi provenienti dall’estero e allacciando legami sempre più diretti con altri continenti e nazioni, tra cui l’Italia stessa. Rae Primo nel suo podcast, episodio n.5, afferma in merito alla direzione artistica di PHASE2 che:
«I layout erano su formato doppio rispetto alla pagina chiusa, questo permetteva al direttore artistico di lavorare su larga scala e di progettare tutto con più ossigeno […] e qui PHASE ribadisce: But pictures don’t enforce culture! Non solo le foto bastano a rafforzare una cultura, infatti lui approfondisce attentamente il discorso culturale, lasciando molto spazio dedicato alla cultura a 360°.»35
35. Rae primo, podcast Culture Coach, Episode 5, “The International Graffiti Times (N.Y.C. 1984-1994)”. ↘ "IG Times", n.12, New York, 1991. 34 01 ALTERNATIVE PRESS
DA TRIBE AL COMPUTER
Si evince che parlare in maniera sintetica ed essenziale di queste pubblicazioni importanti possa risultare superficiale e riduttivo a chi queste pubblicazioni ha avuto la possibilità di sfogliarle, di assaporare l’odore della carta e divorarle con i propri occhi, ma è altrettanto vero che dilungarsi su questo aspetto, molto settoriale e incline a determinati interessi, potrebbe portare tale ricerca fuori strada ed indirizzarla a determinati campi ristretti. L’intento era invece porre il focus su un tipo di pubblicazione e di cultura nata dal basso che, allo stesso modo del punk, ha saputo guardare in maniera lungimirante per il suo tempo storico in termini di grafica e di design, tanto da essere riconosciuto come un riferimento visivo per la cultura, in questo caso hip hop, che da quel momento si è sviluppata ed evoluta sino ai giorni nostri. Il fenomeno nato in America ha avuto la sua portata internazionale giungendo anche in Italia, il cui suolo e la voce generazionale del periodo ha dato luce a fanzine altrettanto importanti quali “TRIBE”, una fanzine “tricolore” nata nel 1991 che ha saputo raccontare una scena qui agli albori con il fine di documentarla, diffonderla e far sì che potesse evolversi, e si può dire che ci sia riuscita a tutti gli effetti.
Hip hop culture 35
“TRIBE” segue perfettamente la linea stilistica enunciata da “IGT” nei layout caotici, analogici e assemblati da foto provenienti in questo caso da tutta Italia. Fanzine dall’estetica bianco e nera con unico elemento patinato dato dal piatto di copertina a colori, e che presto riesce ad incanalare la sua rete di diffusione nei primi negozi di streetwear a Firenze e nelle grandi città, aumentando di getto il numero di interesse e, conseguentemente, di tirature. Tutto ciò porta agli anni della Golden age dell’hip hop italiana, il ’96 e il ’97, annate in cui i numeri della rivista si riempiono di una mole ingestibile di fotografie, il formato cambia da verticale a orizzontale per garantire maggiore spazio compositivo, i collage, i letraset e le foto sempre più fitte di questa autoproduzione superano finalmente i confini nazionali. “TRIBE” riesce, o comunque contribuisce, a far sviluppare ed evolvere una scena raccontando dalle origini del bombing al fenomeno dei treni, testimonianza di uno passaggio notevole per gli intenditori. Tutto ciò conduce la rivista ad un cambio di rotta che porta alla sua progettazione al computer.
È evidente che con gli anni 2000 alle porte ci si affaccia ad un nuovo modo di concepire il prodotto editoriale, in particolare modo se indipendente e autoprodotto, e che le acque si stanno muovendo, qualcosa sta cambiando. Gli esiti di questo progetto sono riassunti dall’intervento di Sergio Maramotti su “L’edicola che non c’è”, a proposito del writing e l’hip hop di “TRIBE”:
«La fanzine, che coprì almeno due se non tre generazioni, non ebbe il ricambio generazionale nella redazione […] parallelamente, l’utilizzo di Internet per la condivisione di materiali fotografici sembrò lo sbocco naturale per un’esperienza di questo tipo. La rivista cessò quindi le sue pubblicazioni nel 1999, proseguendo online il suo progetto con il sito “wildstylers.com”, a oggi non più attivo.»36
36. Sergio Maramotti “Nascita di una tribù, il writing e l’hip hop di Tribe”, Università della strada, mezzo secolo di controculture a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, pp. 172-173.
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A sinistra e nella pagina precedente:
Alcuni estratti di "Tribe", n.1-2-4, Milano, 1991-1994.
1.4 Next step
NUOVE STRADE
Dal 2000 in poi si assiste così a un fenomeno binario: da un lato, molte pubblicazioni si interrompono, dall’altro, molte di queste scelgono la nuova opzione del digitale e di Internet per continuare ad esprimersi e a divulgare contenuti in maniera alternativa ai canali tradizionali, contenendo così i costi legati al mondo della stampa. Tuttavia, in ambito delle autoproduzioni si verifica una svolta, dovuta allo sviluppo tecnologico e alla progressiva consapevolezza che le nuove generazioni a cavallo tra i ’90 e i 2000 acquisiscono. Le fanzine, così come in questo capitolo si è avuto modo di approfondire e conoscere nella loro natura grezza, sporca, impulsiva e amatoriale, si volgono con l’avvento del nuovo millennio verso un progressivo salto di qualità, avvicinandosi sempre più al mainstream e a prodotti editoriali più “patinati”, caratterizzati dunque da un senso estetico grafico ed editoriale più accurato37. Ne consegue che con l’avvento dell’era digitale e la dematerializzazione dei contenuti nel flow di internet, le fanzine resistono, mutando forma, ma tenendo ben saldo l’obiettivo di sempre, a riguardo Valeria Nicole Saviano nel suo intervento in “L’edicola che non c’è” afferma che:
«Le autoproduzioni degli ultimi anni designano una linea continua; che è quella di riappropriazione. Di uno spazio cavo tracciato attorno a sé per l’espressione.»38
MAKE CULTURE
Non di meno, questo breve excursus su alcuni dei movimenti subculturali e le loro fanzine, semplici prodotti stampati portavoce di innovazioni stilistiche in termini di visualità del prodotto, si pone con l’obiettivo di mostrare e rivendicare l’enorme impatto che una serie di movimenti di nicchia, dal punk, all’hip hop, sino alla rave culture e così via, hanno dato al graphic design odierno. In tal senso si ritiene che un modo esemplare per porre un punto al discorso sia citare il caso di “Hardcore Fanzine: Good and Plenty”, un libro pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Draw Down Books
37. Francesco Ciaponi, “Rap” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp. 191-192.
38. Valentina Nicole Savino, “La rinascita degli anni dieci”, L’edicola che non c’è, la stampa underground a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, p. 207.
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intento a celebrare sette numeri di “Good and Plenty”, fanzine hardcore punk pubblicata dal 1989 al 1992.
Con il contributo di graphic designers ed educatori quali Ian Lynam, Nate Pyper, Briar Levit, Ali Qadeer, Gabriel Melcher, Kristian Henson, il focus del progetto editoriale è incentrato sull’aspetto grafico e tipografico che caratterizza la sintassi grafica di questa e di tante altre punkzine in un’era pre-Internet. In un articolo del 20 novembre 2019 tratto da “Eye on Design”39, Ian Lynam, insegnante di design coinvolto nel progetto, definisce le zine:
«Un perfetto esempio educativo per spiegare il type design, il design editoriale, la sperimentazione grafica, un esempio della nozione postmoderna di designer inteso come autore, il ché si verifica nel momento in cui TU scrivi i testi, ti procuri le fotografie, intervieni sull’aspetto tipografico, ti occupi di sintetizzare in chiave grafica il contenuto e in seguito, stampi da solo questo piccolo prodotto […] imparare dalle zine aiuta anche a costituire un’analisi storico sociale sulle subculture e a comprendere l’impatto estetico che la filosofia DIY ha tuttora nel graphic design, elementi che qualsiasi manuale di graphic design non menziona.»
Ragion per cui sarebbe opportuno incrementare la cultura di questi “spazi cartacei” i quali hanno espresso in passato, con i loro mezzi e conoscenze, un forte senso di urgenza comunicativa nei confronti di una community fisica e reale, in modo totalmente diverso dal contemporaneo, dove il concetto di community si relaziona a spazi virtuali quali i social network (e per comunicare a volte basta un click seduti sulla propria sedia o una semplice storia su Instagram). Inoltre, “Hardcore Fanzine” evidenzia l’indelebile segno che le fanzine hanno lasciato nei designers in relazione al loro approccio comunicativo e all’output del prodotto finale. Si evince quanto, per molti designers odierni, l’aver prodotto zine amatoriali in fase giovanile sia stato significante nell’acquisire skills grafiche, fotografiche, editoriali, seppur all’epoca non fosse quello l’obiettivo in mente, ma semplicemente comunicare con gente come loro e con simili interessi. Il mind blowing, ossia l’esplosione dell’Io e della mente che ha accompagnato i mutamenti socio culturali di ogni produzione e autoproduzione culturale40, specie di quegli anni, ha dato un notevole impulso all’editoria, alla stampa e al layout grafico, dunque si auspica che il graphic design possa riconoscere le sue radici in questo fenomeno, specie nel suo impulso in termini di visualità editoriale e sperimentalismo.
39. Emily Gosling, Eye on Design “This Is Hardcore—The Huge Impact of a Niche Movement on Graphic Designers Today”, 20 novembre 2019. https://eyeondesign.aiga.org/this-is-hardcore-the-huge-impact-of-a-niche-movement-on-graphic-designerstoday/
40. Francesco Ciaponi, “Conclusioni. Di cosa si è parlato?”, Underground ascesa e declino di un’altra editoria, Nuovi ritmi costa & nona, 2007, pp.186-187.
and Plenty", Draw Down books, 2019.
Fanzine:
↖ ↘ "Hardcore
Good
40 01 ALTERNATIVE PRESS
Allo stesso modo di chi produce zine, ieri come oggi, c’è chi si occupa di archiviarle, conservarle e mostrarle al pubblico, promuovendo così una cultura del settore fanzinario e delle autoproduzioni qui in Italia. In questo progetto di ricerca ci si è occupati di intervistare Valeria Foschetti, portavoce del suo progetto Fanzinoteca e associazione culturale “La Pipette Noir”, uno spazio fisico ospitato presso le sedi della biblioteca Zara di Milano e aperto un sabato al mese al fine di ospitare eventi, presentazioni, laboratori, offrendo così la libera consultazione dell’ archivio41. Il suo intervento è stato centrale al fine di ricostruire un ponte e un filo logico nel settore delle autoproduzioni, da un punto di vista contenutistico, di finalità ultima e di progettazione grafica ed editoriale.
Valeria Foschetti è stata in grado di aprire un panorama sulla tematica raccontando l’argomento
in modo estremamente interno e coinvolto personalmente, lei che le autoproduzioni le vive e le ha vissute sulla propria pelle, muovendo i primi passi come ziner hardcore tra i banchi del suo liceo sino ad aprire il proprio spazio fisico culturale dedicato ad esse. Così, parlando con il cuore in mano, ha sottolineato un concetto cardine di tutta la ricerca, ribadito diverse volte sino ad ora: la fanzine nasce da un’urgenza comunicativa, esiste per questo, indipendentemente dai linguaggi grafici e dalla forma estetica che può assumere. 41. Valentina Nicole Savino, “La rinascita degli anni dieci”, L’edicola che non c’è, la stampa underground a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, pp. 206-207.
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VALERIA FOSCHETTI, LA FANZINOTECA E ASSOCIAZIONE
“LA PIPETTE NOIR”
VF: È veramente interessante che diverse persone discutano tesi su questo tema, fa capire che è un discorso che abbraccia più persone, la cui comunicazione ultimamente è diventata più capillare a tal punto da riuscire ad entrare nelle istituzioni. Il fatto che ci siano docenti che abbracciano questo ambito, e che ci siano molti più libri a riguardo adesso anche in Italia, è un fattore indicante che l’interesse sul tema sta aumentando. A mio avviso la fanzine è il metodo di espressione più contemporaneo e più libero che ci possa essere dal punto di vista di un’urgenza comunicativa. Per chi ha voglia di raccontare qualcosa, questo è il mezzo migliore. Oggi è notevole l’evoluzione che si è verificata dal punto di vista del design e di editoria autoprodotta, specie per quanto riguarda le tecniche di stampa, ed è interessante questa connessione creatasi tra chi fa fanzine, e l’evoluzione della stampa intorno alla persona che le produce. I mezzi che potevano essere un tempo la xerografia, la fotocopiatrice, ed il ciclostile ancora prima, ora sono stati sostituiti dalla possibilità di fare stampe pazzesche in offset o stampa digitale anche online, ne puoi fare tante e di diverso tipo, a colori, cose pazze, con carte incredibili. Poi se hanno costi contenuti e sono anche distribuite con costi bassi, fa di loro a tutti gli effetti delle fanzine. Tutto ciò, fa il “contemporaneo delle zine”, altrettanto interessante da analizzare, perché sì...
... i ragazzi oggi fanno ancora fotocopie, ma si rivolgono a servizi di stampa tipografica per garantire comunque una certa qualità.
OS: Sulla base di quanto hai detto, noto una differenza stilistica data sicuramente dalla facilità di produrre qualcosa anche online, di conseguenza si verifica una sperimentazione diversa rispetto al passato, dove le tecniche a disposizione erano prevalentemente analogiche. Personalmente continuo a preferire quel lato analogico che da sempre accompagna il contesto delle fanzine, poiché il loro essere “grezze” le caratterizza. D’altra parte, quando diventano molto curate, patinate, assumono le sembianze di vere e proprie riviste (nonostante dal punto di vista editoriale siano comunque progetti meritevoli ed interessanti) …
VF: È verissimo, la differenza c’è. La componente artigiana di un tempo faceva sì che tu prendevi delle parole da un giornale, le ritagliavi, facevi collage per creare titoli, utilizzando la macchina da scrivere per i contenuti testuali e correggendo gli sbagli con il bianchetto, questo perché spesso non c’era la voglia né tantomeno l’intento di creare un contenuto perfetto esteticamente, l’attenzione era proprio sull’argomento! Negli ultimi dieci anni le fanzine e le autoproduzioni sono meno contenutistiche e più formate da immagini, grafiche ed infografiche, questa parte visiva è aumentata tantissimo, legata sicuramente a quella che è la comunicazione di oggi, la quale purtroppo fa sì che le persone nei contenuti si perdano via, non hanno interesse a leggere una zine come quelle degli anni 90. Però dobbiamo
INTERVISTA 42 01 ALTERNATIVE PRESS
sempre pensare al significato delle parole, “fanzine” è fanatic magazine, ossia un magazine (perché oggi usiamo comunemente questo termine) che racconta un mondo che non veniva rappresentato dall’editoria canonica, e quindi qualcuno ha detto: «Allora lo faccio io!» Nel ‘27 gli appassionati di fantascienza avevano pochissime pubblicazioni, e han detto: «Ok, qua facciamo qualcosa». Ci son storie anche di donne, segretarie che sul lavoro battevano a macchina per fare questo tipo di racconti, creando così le prime fanzine. Si evince che l’urgenza era un’altra, era comunicare, anche attraverso immagini perché attenzione, ci sono sempre state, però diversamente da oggi.
OS: Oggi viviamo in un mondo di immagini, quindi l’aspetto visivo è predominante rispetto a quello dei contenuti… la fanzine più old school ha un suo fascino amatoriale e sicuramente “racconta” di più, che differenze noti dal punto di vista contenutistico, rispetto al passato?
VF: È innegabile, le differenze ci sono, ma dipende da dove guardiamo. Ad esempio le fanzines musicali, che contengono da sempre più argomenti, dall’intervista, alla rubrica, agli articoli di approfondimento, esistono tuttora e con loro anche questa mole di contenuti. Sono anche quelle che trovi difficilmente sui social, come Instagram che invece lavora per immagini, e che potrai invece trovare per lo più a festival dedicati all’autoproduzione. Ci sono molti scrittori e scrittrici che con il loro incredibile talento danno luce a racconti interessantissimi, ma che contestualizzando con il nostro territorio Italiano, non sono molto pubblicati e venduti, siamo sempre un po’ restii su questo discorso a meno che non si tratti di autori già noti.
Chi scrive dunque, ha spesso delle difficoltà in termini di pubblicazione, ecco perché emergono tantissime fanzinesdi racconti di qualunque natura. Per rispondere alla tua domanda, è vero che è cambiato, abbiamo sicuramente una grandissima onda di artisti che abbracciano l’illustrazione e la grafica per comunicare un concetto o per dare un certo messaggio, ma ci sono altri creativi che ancora danno molta rilevanza al testo.
OS: È interessante la tua osservazione: tutto ciò che è instagrammabile passa su Instagram, tutto ciò che è parlato e più denso di contenuti, non lo trovi su questi canali bensì in altri contesti. Cosa puoi dirmi sul fare cultura sull’autoproduzione qui in Italia, oltre le micro realtà indipendenti dei centri sociali o piccole situazioni che, ad esempio, qui al Sud Italia, scarseggiano e faticano ad esistere? (mi viene in mente il “Caco Fest” che si tiene a Bari ogni anno)
VF: Al Sud c’era anche il “Ratatà Festival”, un contesto però molto dedicato all’immagine, quindi vi potevi trovare zine di racconti illustrati ma in particolare modo fumetti, che appunto sono per antonomasia il racconto per immagine. A Roma c’è il “Crack!” molto noto, per quanto riguarda Milano c’è sempre stato “AFA festival”, il “Filler D.I.Y.”, direi anche “Sprint”, festival di micro editoria che strizza non uno bensì due occhi alla grafica, e spesso le produzioni che sono lì sono appunto molto interessanti e belle da quel punto di vista editoriale… ancora abbiamo “Fruit Exhibition” a Bologna, che esiste da tanti anni ed abbraccia un po’ tutti gli ambiti. Dipende anche dalle edizioni e dagli ospiti presenti di anno in anno, fattori i quali fanno sì che un festival poi si orienti più alla grafica, o alla stampa artigianale, dove puoi trovare moltissime zine in risograph o serigrafate, e così via.
↘ Valeria Foschetti, la Fanzinoteca e associazione “La Pipette Noir”
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Da un punto di vista estetico, in questi eventi puoi trovare fisicamente diversi esempi che mostrano il lato contemporaneo delle autoproduzioni. Il bianco e nero forse una volta caratterizzava le zine, oggi non più. Siamo liberi, uso questa parola perché molto in voga, c’è un essere “fluidi”, non necessariamente dei blocchi fissi che ogni tanto si incontrano o scontrano, ma un contesto dove l’interscambio e l’interdisciplinarità sono protagonisti attivi.
Secondo me, e questa è una mia personale convinzione, va pensata la zine come lo specchio della contemporaneità, la zine è fatta esclusivamente da persone che vivono un certo tipo di società, che non hanno vincoli morali o etici, non c’è proselitismo, ma c’è appunto, e scusami se lo ripeto, questa urgenza di comunicare. Cosa c’è di più contemporaneo di qualcuno che è completamente svincolato da una serie di regole, anche editoriali, e che dice la sua? Credo fermamente che questa sia davvero l’espressione più democratica, aperta e libera che si possa analizzare.
OS: Le tue parole fanno trasparire quanto tu sia legata alla tematica. Mi interessa particolarmente l’aspetto emotivo che c’è dietro la questione perché penso possa spiegare molte cose in maniera diretta, e mi piacerebbe chiederti qual è stato l’approccio che tu hai avuto alle fanzine.
VF: I miei primissimi approcci son stati al liceo. Noi facevamo una zine, si parla degli anni ‘90, quindi era un altro tipo di periodo, dove era molto importante avere dei collettivi in ambito scolastico,
vere e proprie fucine di idee e creatività. Tutto ciò esiste ancora oggi immagino, ma vi è di sicuro una diversa gestione. La zine è stata il tipo di espressione prima che ci è venuta in mente, e che di conseguenza abbiamo realizzato subito, perché appunto si frequentavano certi luoghi, dai centri sociali ai concerti… poi dipende anche dove si viveva, perché c’era chi era più fuori dal centro della città, e dunque dal “mondo”, per cui diventava più difficile frequentare certi posti, e in quel caso si parlava di scambi. Ci si scriveva, ci si mandava mille lire per avere la stampa o per rimborsare la stampa fotocopiata di una certa zine o la copia di una cassetta, vi era una commistione di argomenti, le zine principalmente parlavano di musica, o di fumetti. Il potere economico era bassissimo, io avevo una paghetta ridicola (paradossalmente oggi i miei nipoti hanno la carta di credito) e dunque ne conseguiva che se volevi fare qualcosa, lo strumento per forza di cose era la fotocopiatrice del liceo o di qualche amico che aveva il genitore impiegato in un ufficio. La zine nasce in questo contesto di divertimento. Oggi i ragazzi si prendono molto sul serio, una cosa che ammiro molto perché significa credere in qualcosa con serietà, ma noi da ragazzi eravamo molto più superficiali, la componente del gioco dietro questi progetti era il 99%, poi c’era l’1% di serietà, almeno parlando a mio nome e di quei quattro “scappati di casa” che facevano ciò. Poi negli anni la cosa è continuata, ho iniziato ad acquistare zine e a frequentare posti dove le potevo trovare, come librerie indipendenti, negozi di dischi o di certo tipo… solo dopo è successo che, avendo avuto
La
Pipette Noir INTERVISTA 44 01 ALTERNATIVE PRESS
la fortuna di viaggiare ho incontrato nuove realtà, veri e propri archivi di fanzine gestiti da ragazzi molto giovani, ma con più esperienza di me. Pian pianino ho inquadrato l’archiviazione come un tema importante, perché trovare qualcosa, ad esempio, degli anni ‘70, che apparteneva ad un periodo dove qualcuno si metteva in gioco ancor prima di me con delle notevoli criticità dal punto di vista tecnologico e di disponibilità, mi affascinava. Da lì, ho cominciato a raccogliere questo materiale e a condividerlo, frequentando dei mercatini dove mi portavo dietro le mie zine come forma di intrattenimento, come quando vai dal parrucchiere e trovi le riviste da leggere. E ti dico che questa cosa piaceva, dopo un po’ di tempo ho colto l’occasione di aprire uno spazio, un piccolo laboratorio che mettesse a disposizione di tutti la mia modesta collezione personale. Ho notato da subito una grande partecipazione, che per me è “grande” anche se si presenta solo una persona, perché stiamo parlando di una cosa che parte dal piccolo. Se fai una cosa col cuore non pretendi che ci sia una folla da stadio, vuoi che entri anche solo una persona che creda come te in quello che fai e che ti da quella energia volta a farti andare avanti. Ho fatto anche delle scelte personali e lavorative che mi permettono di dare spazio e tempo a questo progetto, che è gratuito, autofinanziato e sostenuto da me. Quello della “Fanzinoteca” è un progetto attivo da circa 7 anni, ma c’è tutto il mondo precedente fatto di persone meravigliose che mi hanno accompagnata in questo percorso. Devo dire che quando parli con chi fa fanzines da tanti anni, capisci quanta cultura e conoscenza hanno da condividere. Dopo anni sono ancora con la mascella a terra, perché è un argomento che non si esaurisce mai, non finisci mai di imparare, è fatto
dalle persone per le persone, non per la gloria. Chi lo fa per la gloria, ha tutto il diritto di farlo, anzi ben venga se questo porta un riconoscimento o risultato economico, ma deve nascere tutto dal cuore e dalla passione. Io ho fatto fanzine di fotografia e collage (esclusi gli esperimenti precedenti) però la mia natura è essere promotrice del lavoro altrui, non perché svaluti il mio, ma perché resto meravigliata ogni volta, non riesco ancora ad annoiarmi, a non sorprendermi dinanzi a meravigliose produzioni cartacee di persone che fanno qualcosa e che ci danno tanta ricchezza, perché poi la zine, e soprattutto la memoria della zine, è conservare un tesoro culturale immenso, e mi auguro che prima o poi questo tesoro venga anche riconosciuto in maniera ufficiale.
OS: Come hai detto, è una cosa che impari con le persone, io ad esempio in questo momento sto apprendendo dal tuo contributo. Secondo me le fanzine sono molto legate anche ad un aspetto sottoculturale che le contraddistingue…
VF: Vero. Ci sono libri molto interessanti a tal proposito, come quello di Francesco Ciaponi “Underground, ascesa e declino di un’altra editoria”, un lavoro eccellente che riesce a raccogliere determinate zines e riviste dove la sottocultura a cui lui fa riferimento, è un sottobosco nel quale le zines viaggiavano pari passo. Lui non parla proprio di zines, ma da qualcosa da cui le zines in seguito hanno attinto, o viceversa, per via di una commistione tra gli argomenti. Qui sorge un’ulteriore riflessione interessante, secondo me noi in Italia abbiamo un po’ attinto dall’estero, abbiamo sempre chiamato questa mole di materiale come opuscoli, libretti, riviste… la parola vera e propria “fanzine” è entrata poi con il movimento punk.
↘ Valeria Foschetti, la Fanzinoteca e associazione “La Pipette Noir”
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C’erano anche prima, solo non si chiamavano così. L’assunzione di un termine anglofono la reputo rilevante all’interno di un contesto di studio su una popolazione, evidentemente perché tale termine racchiude bene in un’unica parola, il significato. Però l’assunzione del termine fa sì che noi poi dobbiamo tradurlo in qualche modo nella nostra realtà. Dunque utilizzare la parola fanzine, porta con sé anche una responsabilità, mantenere se non altro un’identità ideologica che c’è dietro. Il fatto che siano ancora un po’ grezze, “sporche”, è la molecola cardine che conserva il vero lato core della zine. Questa è la parte che ancora persiste come componente pura del termine che noi abbiamo assimilato, e che poi ovviamente nel tempo si è evoluta, aggiornata.
OS: Possiamo dunque dire che oggi esiste un confine labile tra una fanzine hardcore e tra una fanzine più contemporanea che, da diversi punti di vista, si allontana dalla componente primordiale legata a questo termine?
VF: Sì. Purtroppo non ho molto sotto mano al momento, ma come esempio pratico posso citarti questa zine realizzata da dei ragazzi che oggi fanno fumetto, il cui spirito è quello autentico, non pensano che questo progetto sia la loro scalata
verso il successo, lo fanno perché semplicemente a loro piace fare fumetti e disegnare. Questo è ancora oggi lo spirito puro che può esserci dietro una zine. Poi ci sono invece altri casi come quello di Kristyna Baczynski, un’illustratrice che ha creato una serie di fanzine dedicate alle erbe spontanee stampate in risograph, una tecnica di stampa importante e più costosa (la cui scelta è motivata anche dall’inchiostro naturale e dalla resa cromatica di un certo tipo)… ma tu questa come la chiami? Io la chiamo fanzine, lei la chiama fanzine. Ecco, l’esempio in questione è una sintesi perfetta di queste due strade, che però convivono perché vanno nella stessa direzione, solo che in un caso abbiamo della capacità tecnica e artistica e una conoscenza di determinati strumenti tale per cui queste possibilità sono utilizzate al meglio, come nel caso di Kristyna Baczynski, che si sente più rappresentata da questo tipo di fanzine. I ragazzi citati prima, hanno invece altre competenze, altre conoscenze e altri linguaggi espressivi.
OS: Pensando al futuro, quali sono le tue osservazioni sulla tematica e come pensi possa coesistere con lo sviluppo tecnologico e i nuovi spazi, non-luoghi, dediti alla manifestazione di pensieri e identità?
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VF: Ti rispondo con degli esempi pratici. Negli anni 2000, con i blog e l’avvento di Internet chi faceva zine spesso si convertì al digitale. La cosa curiosa è che coloro che iniziarono a fare dei contenuti sui blog, dei veri ziner che avevano ancora nel cuore tutto il background cartaceo, alla fine iniziarono a fare delle edizioni stampate intese come special editions. Questo perché l’amore per la carta poi rimane, persiste, nessuna cosa sostituisce l’altra. Anche qui, come il discorso dei due tipi stilistici di zine, coesistono due realtà, una cartacea e una digitale. Sta poi alla creatività di chi fa zine scegliere se avvalersi di entrambe, o soltanto di una. Una possibilità che stanno usando molto gli ziner è l’opzione del download, con cui gratuitamente o con un piccolo contributo puoi scaricare la tua zine e stamparla a casa! Io resto molto legata alla carta, soprattutto nella lettura, ma i due mondi non vanno a sostituirsi perché i social, utilizzati come un portfolio per promuovere il proprio lavoro, hanno oggi un’importanza fondamentale. Non hai bisogno oggi di preparare una valigia e partire per apprendere cose nuove, questo ha fatto sì che solo attraverso i social io sia venuta a conoscenza di fantastiche nuove realtà. Non sono una purista vecchia scuola che critica ciò, per me i social sono importanti, ma dipende dall’utilizzo. Nel mondo delle fanzine e dell’editoria indipendente i social e le piattaforme digitali sono un aiuto, ma non una sostituzione, una cosa non eliminerà l’altra.
OS: Far cultura sulle autoproduzioni permette di conoscere un mondo di nicchia a chi è del tutto estraneo e di approfondire la tematica a chi come me nutre un interesse a riguardo ma ha sete di scoprirne di più. Il progetto Fanzinoteca organizza spesso eventi, in cosa consistono?
VF: Una volta al mese invito delle persone a parlare del proprio progetto poiché penso che l’esperienza diretta di ascoltare qualcuno che si autoracconti serva tantissimo, non solo a promuovere il proprio lavoro, ma ad aiutare il pubblico ad arricchirsi e ad apprendere determinati aspetti sul tema, non meno su cose pratiche a partire dall’idea, l’aspetto della cura editoriale e della stampa, come raggiungere quell’obiettivo, come proseguire determinate strade, le collaborazioni consigliate e i festival presenti sul territorio. Le persone invitate sono tutte generose di parole e di consigli, quindi gli incontri sono preziosi, sono molto riconoscente per queste persone che in maniera del tutto gratuita si sono presentate per regalarci qualcosa di unico.
OS: Che tipo di pubblico e di partecipazione noti in questi incontri?
VF: La partecipazione è eterogenea. Ogni incontro avendo argomenti diversi, porta con sé persone diverse. Partecipano spesso gli addetti ai lavori, che siano illustratori, grafici, o gente legata al mondo editoriale, anche fotografi. Quando poi il progetto è conosciuto e ha già un grande impatto social, lì si presenta metà Milano e si creano situazioni molto interattive. Il discorso Covid purtroppo ha inciso negativamente su questa situazione in termini di scarsa partecipazione agli incontri. Ciononostante si sono creati dei contesti che hanno avuto tanto seguito nonostante il numero contingentato degli ospiti consentito, questo perché quando i ragazzi che vengono si prendono sul serio, trasformando ciò che fanno con passione nel loro lavoro, è fantastico, e noi ne beneficiamo assolutamente.
↘ Valeria Foschetti, la Fanzinoteca e associazione “La Pipette Noir”
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OS: Un incontro al mese per un settore di questo tipo, è già un traguardo, sicuramente il contesto milanese lo permette in termini di partecipazione attiva e feedback…
VF: Sì, così come ci sono altre realtà più grandi. Sono stata di recente in Francia, a un’ora da Bordeaux, con persone che fanno questo lavoro di archiviazione dagli anni ‘80, e sono addirittura sostenuti dal comune per portare avanti il loro archivio contenente più di 60.000 autoproduzioni. Hanno pubblicato anche un libro Fanzinorama, dove puoi trovare parte delle loro autoproduzioni e dei loro collaboratori. All’interno del loro immobile poi, oltre all’archivio, godono di uno spazio per le mostre, uno per la stampa artigianale usufruibile con prenotazione e tesseramento, ed uno spazio concerti con negozio di dischi adibito anche alle presentazioni più grandi. Quando vedi questo, chiaramente vuoi fare questo, vuoi che anche ciò che fai a Milano raggiunga questa portata. Il sostegno economico di un’istituzione rende il tutto estremamente più facile e gestibile.
OS: Sei l’unica che in Italia si occupa di archiviazione in questo settore?
VF: No, c’è anche la “Fanzinoteca” di Forlì di cui Gianluca Umiliacchi ne è il presidente, la loro collezione è immensa. A Milano c’è anche “Compulsive Archive” di Giulia Vallicelli, un archivio con molto materiale a tema queer punk. Questi sono gli archivi più noti, purtroppo nel Sud Italia, a mio avviso non ci sono realtà mirate all’archiviazione e alla libera consultazione di fanzine e autoproduzioni.
OS: La collezione presente all’interno dell’archivio quante produzioni conta attualmente? Aumenta negli anni?
VF: Adesso sono circa 2200 zine. Abbiamo delle buone donazioni e anche io continuo ad acquistarle. Si può considerare come una collezione piccola, paragonandola a quella della “Fanzinoteca” di Forlì, che ne conta 15.000. È vero anche che se consideriamo gli anni sul territorio, rientriamo in una buona media, ti da già un’idea panoramica di quella che può essere la produzione cartacea indipendente. Chiaramente, più un archivio è ampio, più hai anche fonti di ispirazione.
OS: Un’ultima domanda a cui di sicuro hai già risposto, ma a cui ora ti chiedo una risposta secca, di getto. Secondo te, qual è l’intento comunicativo di una fanzine, perché esiste?
VF: È nella nostra natura. Esiste perché prima o poi sarebbe dovuta venir fuori, è venuta fuori negli anni ‘20, ma sarebbe potuta venir fuori in qualunque altro momento in cui l’uomo e la donna iniziano a pensare, a ragionare, ad avere delle idee e dei pensieri critici.
È dunque, una forma di liberazione, per me la zine nasce per liberare e condividere il proprio pensiero, e qualcuno prima o poi ha deciso di mettere giù questi pensieri, in questo caso su carta.
INTERVISTA 48 01 ALTERNATIVE PRESS
02 FANZINE O INDIE-MAG?
2.1
Un nuovo gusto estetico per un nuovo modus operandi
DAL CICLOSTILE AL DESKTOP PUBLISHING
Gli anni ’80 e ’90 delle sottoculture sono stati fecondi di una folla di autoproduzioni cartacee nelle quali la tecnologia sviluppatasi di pari passo ha giocato un ruolo fondamentale. È stato oggetto di approfondimenti come il passaggio dal ciclostile dell’Underground Press alla xerografia e il letraset negli anni dell’ Alternative Press abbia contribuito ad una serie di giochi analogici di ritagli, stampe grezze e fotografie incollate, per manifestare pensieri e per comunicare senza barriere e senza vincoli con le proprie “creature simili”. Il caso di “TRIBE” verso la fine dei ’90 preannunciava una svolta, una questione con la quale tutte le pubblicazioni, indipendenti o mainstream, avranno presto fatto i conti a cavallo dei 2000.
In molti hanno sostenuto fermamente che la democratizzazione del web, che da questo momento irrompe nelle case di tutto il mondo, avrebbe surclassato la carta, decretandone così la sua fine.42 D’altronde era giustificabile pensare ciò per una generazione che prima di tutti, prima di noi nativi digitali, ha avuto l’imprinting iniziale con il mondo di Internet che sino ad allora era sconosciuto, e con la nuova posizione che l’essere umano avrebbe presto assunto nell’espressione e condivisione della sua vita davanti al mondo intero, concretizzando così ciò che il filosofo e scrittore Guy Debord, già 30 anni prima, definisce nel suo omonimo saggio come “società dello spettacolo”.
Insomma, se le sorti della carta erano già state stabilite a priori, la storia in realtà ha preso poi un percorso differente. Da un lato i social network comandano sempre più
la spettacolarizzazione delle nostre vite, Internet ha sancito un nuovo modo di reperire informazioni di qualsiasi genere, costituendo così una piattaforma virtuale a portata di tutti dove trovarvi di tutto, ma dall’altro, paradossalmente, si è continuato a scrivere su carta, portando avanti una tradizione intramontabile. Sui piatti della bilancia mediatica, l’imporsi della materialità cartacea è un concetto ben esplicato da Francesco Ciaponi, di cui si riportano le testuali parole:
«Si può sostenere insomma che la carta si pone negli ultimi decenni del panorama dell’editoria indipendente - ma anche in quella mainstreamcome notizia in se stessa, perché al contrario di ciò che viene pubblicato sul web che, contrariamente a quanto si pensi, può essere rimosso in qualsiasi momento o comunque perso nell’infinità dei contenuti digitali del flusso (flow), la carta con la sua materialità esprime, un concetto opposto. […] ecco quindi spiegato molto bene a cosa servono i prodotti editoriali, oggi più che mai: a dare profondità alle cose che ci passano per gli smartphone ogni minuto e a bloccarle per sempre […]»43
Analizzando così il settore editoriale indipendente e delle autoproduzioni, dai magazine alle fanzine, potremmo riassumere le tecnologie che dal 2000 in poi sposano questo settore in tre punti: desktop publishing, print on demand, e-commerce44. Questi punti identificano la chiave di lettura di tutto ciò che dall’avvento del digitale conduce tale panorama editoriale ad oggi.
42. Francesco Ciaponi, “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, pp. 193-194.
43. Francesco Ciaponi, “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 195.
44. Francesco Ciaponi, “Analisi dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 203.
50 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Nello specifico, il desktop publishing (il cui termine è stato coniato nel 1958 da Paul Brainerd, fondatore di Aldus corportation e creatore di Page Maker, primo software di impaginazione “casalingo”45) si mostra come il sistema di stampa costituito da un personal computer, una stampante laser, un software editoriale di impaginazione, una rilegatrice da tavolo46. In sostanza, la possibilità di progettare, stampare e rilegare un prodotto editoriale comodamente dalla scrivania della propria stanza, fattore che evidenzia un notevole distacco dall’approccio grafico-editoriale analogico dell’Alternative Press e dai tempi della fotocopiatrice o del ciclostile reperibili in uffici altri. Riportando l’intervento di Muriel Cooper in merito alla questione:
«Il desktop publishing è un fenomeno di transizione che ha trasformato l’industria delle arti grafiche perché ha messo i mezzi di produzione nelle mani dei professionisti, e anche in quelle dei non professionisti.» 47
Il secondo punto analizza la possibilità del cosiddetto print on demand, una pratica editoriale online adottata da diverse case editrici, o dai singoli interessati, che permette di realizzare uno stampato per piccole tirature su ordinazione, in modo tale da stampare un numero limitato di copie (singole o ristampe), perciò garantendo ingenti risparmi ed eliminando tedianti passaggi intermedi48. In ultimo, ma non per rilevanza, la gestione dell’e-commerce ha permesso di valicare i problemi che da sempre legavano il mondo delle autoproduzioni alla loro distribuzione, che spesso avveniva sottobanco o attraverso il passaparola, di conseguenza ha permesso a prodotti editoriali come le fanzine di superare confini geografici e nazionali, raggiungendo un pubblico sempre più vasto a costi ridotti, amplificando la portata culturale di questi prodotti e creando una rete di connessioni e scambi sempre più vasta.
Esaminando il testo di Francesco Ciaponi si ritiene essenziale la sua considerazione finale riguardo la tendenza, da lui definita contraria e non-convergente, che i magazine indipendentie le fanzine assumono in merito alla collisione mediatica, tesi teorizzata da Henry Jenkins in “Convergence culture” nel 2006:49
45. Riccardo Falcinelli, “Desktop Graphics” in “Graphic design: una filosofia della pratica”, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXX.
46. Enciclopedia Treccani, voce “desktop publishing” https://www.treccani.it/enciclopedia/desktop-publishing/
47. Riccardo Falcinelli, “Computer e design, Muriel Cooper” in Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, p. 209.
48. Enciclopedia Treccani, voce “Print on demand” https://www.treccani.it/vocabolario/print-on-demand/
49. Henry Jenkins, Cultura convergente, Apogeo Education, Milano, 2014.
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«[…] si può sostenere che più il mainstream sperimenta nuove forme di integrazione e ibridazione fra media digitali e cartacei, più gli indipendenti sembrano focalizzare tutta la loro attenzione sul prodotto cartaceo classico trasmettitore di specifiche sensazioni date dalla qualità e dalla tattilità della carta, dal formato (dimensione, forma, rilegatura) dall’integrazione di parole, immagini e spazio come espressione grafica specifica della stampa e, in generale, dalla funzione stessa della rivista pensata e vissuta come oggetto materiale. Tutti elementi ovviamente non traducibili nell’esperienza della lettura digitale.»50
D.I.Y. DESIGN IT YOURSELF!
Oggi tutti possediamo un computer e può sembrare ovvio immaginare di creare presentazioni, curriculum, piccoli video, stampati, o addirittura improvvisarsi graphic designer all’occorrenza, si può dedurre che se i fanzinari della Golden age punk avessero avuto tali mezzi tra le mani avrebbero potuto rompere qualsiasi sintassi esistente e creare autoproduzioni inimmaginabili ai confini con il più attuale sperimentalismo odierno. Si parla di un confronto tra giovani che nelle loro mani possedevano solo forbici, colla, letraset e un mucchio di idee, e giovani che oggi hanno questo e molto altro in un semplice programma di impaginazione, che ti permette con un solo click di posizionare griglie, righelli, tornare indietro con un banale Cmd+Z e pensare ripetutamente sul posizionamento o il colore di un elemento all’interno del campo visivo. Il digitale ha segnato una rivoluzione non solo grafica, bensì sociale.
Riccardo Falcinelli all’interno del suo testo “Filosofia del Graphic design” in merito al desktop publishing, questa “editoria da scrivania”, afferma che la possibilità di produrre digitalmente un progetto editoriale, una rivista, una fanzine da casa: «non si tratta soltanto di un diverso modo di procedere, è anche il presupposto di un nuovo gusto».
Ciò a cui l’autore fa riferimento è la teoria “Computers and design” enunciata dall’art director Muriel Cooper, la quale già a cavallo dei ’90 sostenne fermamente che il computer sia un medium creativo che, ponendosi
Francesco
50.
Ciaponi, “Analisi dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 204. 52 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Un nuovo gusto estetico per un nuovo modus operandi
direttamente nelle mani del designer, consente di pensare e fare le cose in un certo modo, definendo un nuovo modo di ragionare e di intendere gli standard di comunicazione visiva.51
In realtà il desktop graphics, ossia la grafica conseguente alla nuova tecnologia del personal computer, ha semplicemente proseguito una strada spianata dalla destrutturazione figlia delle fotocopiatrici, del movimento punk, dell’hip hop e di tutto ciò che si è mosso sottoterra, creando fermento per onde stilistiche in voga oggi. La grafica sporca, punk, grunge, contro le regole, sembra sia diventata con l’ausilio del computer una “sporcatura” deliberata52, legittimata e ricercata intenzionalmente, manifestando una visualità del prodotto che, se è nata con le autoproduzioni e le sottoculture, oggi si ritrova facilmente in campi quali la moda e la pubblicità, ossia nel mainstream.
Sempre Falcinelli, nel medesimo testo, rivendica la centralità che ha acquisito oggi il type design, non solo da un punto di vista saggistico e teorico constatatile dalla mole di libri sull’argomento che si possono trovare online o in una comune libreria, ma sotto un aspetto legato al quotidiano. L’autore infatti considera che la tipografia oggi non è più solo un argomento per gli addetti ai lavori, ma coinvolge tutti nel momento in cui scegliamo una font per scrivere la propria tesi di laurea, per fare una storia su Instagram, o per adempiere a qualsiasi funzione riguardi chiunque possieda un Pc.53
Gli sperimentalismi grafici del collage e del fotomontaggio nati con le avanguardie storiche e “consumati” dalle sottoculture, oggi non solo sono facilmente realizzabili anche con un semplice smartphone, ma sono compresi e assimilati in un comune linguaggio grafico che si è delineato e imposto nella società contemporanea. Se agli esordi del punk questi azzardi grafici e stilistici si ponevano in netto contrasto con le tendenze moderniste e pulite, non di meno con il gusto commerciale di massa vigente, oggi non creano scandalo, bensì piacciono e vengono abusati nei più svariati contesti, anche in termini diversi dal graphic design.
51. Riccardo Falcinelli, “Computer e design, Muriel Cooper” in Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, p. 203.
52. Riccardo Falcinelli, “Desktop Graphics” in “Graphic design: una filosofia della pratica”, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXIX.
53. Riccardo Falcinelli, “Desktop Graphics” in “Graphic design: una filosofia della pratica”, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXXII.
A sinistra: ↖ Il titolo di questo progetto presente in prima di copertina, esempio di "sporcatura deliberata" nell'era del desktop publishing.
53
Ecco che questo nuovo modus operandi, questa nuova strada aperta dal web e dal digitale, ha portato con se nuove cifre stilistiche, una nuova consapevolezza estetica alla portata di tutti in maniera direttamente proporzionale agli iPhone di ultima generazione, spostando, riformulando e disarticolando i luoghi in cui si fa graphic design.54
In altre parole tutto ciò che un tempo richiedeva l’intervento manuale e diretto di un ragazzino che con la sua mente in fervore creativo realizzava la propria fanzine, sporcandosi le mani in maniera inconscia e dilettante, oggi si può fare con un click e lo possono fare tutti. Sempre con l’intento di esplicare il concetto nella maniera più diretta possibile si riportano ancora una volta le parole dell’autore Riccardo Falcinelli:
«La grafica è insomma ovunque, anche lì dove i grafici non ci sono più […] a cominciare dai movimenti D.I.Y. (design it yourself) che propongono una presa di coscienza artigianale del design da usare nella vita quotidiana. E seppure questo comporta la diffusione di molti artefatti amatoriali, allo stesso tempo sta producendo una maggiore consapevolezza estetica da parte del pubblico della comunicazione, ossia dei cittadini tout court.»55
Dunque, aver analizzato il nuovo gusto estetico in relazione al nuovo modo di produrre qualcosa in era digitale dal 2000 ad oggi, permette di capire quanto ciò incida sulla mentalità comune, sugli standard qualitativi (poiché in un mondo circondato da immagini il gusto comune si è elevato a immagini sempre più “di qualità”), e conduce la tesi enunciata collegandola al mondo delle autoproduzioni e dell’editoria indipendente, focus della ricerca. Il confronto con il passato è utile per ricostruire step importanti e cucire un filo generale del discorso, ma soprattutto fa sì che si comprenda come si è arrivati, oggi, ad un contesto in cui anche in un centro sociale, in un festival di autoproduzioni locali, si possono trovare facilmente stampati di qualità, caratterizzati da una certa cura estetica e attenzione grafico-editoriale, non più semplicemente “improvvisata”.
54. Riccardo Falcinelli, “Presente e futuro del graphic design” in “Graphic design: una filosofia della pratica”, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXXIX.
55. Riccardo Falcinelli, “Presente e futuro del graphic design” in “Graphic design: una filosofia della pratica”, Filosofia del graphic design, Einaudi, 2022, pp. LXXIX.
54 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Pertanto occorre approfondire il ruolo che occupa il visual e il graphic design nelle fanzine e nei magazine indipendenti del contemporaneo, al fine di distinguere cosa rende ancora autentico un aspetto, quello più grezzo legato al mondo delle zine, e cosa contraddistingue l’altro, in un’analisi comparativa che metta in luce differenze e punti in comune, evidenziando il confine labile, vigente oggi, tra underground e mainstream, e più nello specifico, tra fanzine e magazine indipendenti.
Un nuovo gusto estetico per un nuovo modus operandi
2.2 Graphic design is content
MEGAN LE MASURIER E LA TEORIA DEI MAGAZINE INDIPENDENTI
Inevitabilmente, il discorso portato avanti sino ad ora apre un confronto tra due poli distinti: l’apice dell’underground antagonista e la sua produzione di fanzine da un lato, in netto contrasto con il mainstream commerciale dall’altro. Nel mezzo però, vi è un punto di contatto tra i due mondi rappresentato dai cosiddetti indie-mag, o magazine indipendenti. Le fanzine ampiamente discusse nel capitolo precedente, sono intese come un prodotto editoriale amatoriale creato per esprimere una forte urgenza comunicativa con i propri simili. I magazine indipendenti si mostrano, invece, come riviste periodiche delle quali la distribuzione è spesso diluita nel tempo, caratterizzate da essere redatte in maniera più strutturata rispetto al prodotto fanzine, ma la cui redazione è meno organizzata e numerosa rispetto alle riviste mainstream, e che ultimamente mostrano sempre più interesse verso metodi e modalità di produzione editoriale tradizionale. Una perfetta coordinata mediana.56
Megan Le Masurier, docente presso l’Università di Sidney di cui è parte del dipartimento Media and Communication, nonché esperta e studiosa di editoria, in una sua pubblicazione “Independent magazine ad the rejuvenation of print” ha approfondito quelli che a suo avviso sono i criteri cardine basilari per definire, o meglio identificare, la natura del magazine indipendente, al fine da distinguerlo dalle pubblicazioni mainstream. Per prima, lei stessa stabilisce che tale oggetto di studio non possa essere circoscritto in maniera definita, affermando, in un suo intervento per “Independence - 12 interviews with magazine maker” che:
«[…] it is clear that independent magazines are not singular entity. It is useful to imagine them as ranging across a spectrum, where zine mark the border at one end and mainstream niche magazines mark the other.»57
56. Francesco Ciaponi, “Teoria dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 197.
57. Pietro Cedone, “L’emergente fenomeno dell’editoria grassroots periodica” in Grassroots magazine: il fenomeno odierno dell’editoria periodica indipendente, Tesi di Laurea presso Politecnico di Milano, Milano, 2017, p. 87.
destra:
2021.
A
↗ "U_UZ3R", Fluid issue, Trani,
56 02 FANZINE O INDIE-MAG?
57
È chiaro dunque che si sta per argomentare un mondo diverso dalle zine, che costituiscono l’oggetto di questa ricerca, con le quali vi sono però determinati punti contigui, e l’analisi di Le Masurier permette di comprenderli nelle loro sfaccettature. Dunque, chiedendosi cosa sia davvero indipendente in un mondo colmo di pubblicazioni oscillanti tra il profumo della carta stampata e l’immaterialità digitale, Megan Le Masurier individua quattro punti di attenzione: motivazione, proprietà, provenienza dei finanziamenti, ruolo del direttore o art director.
Il primo criterio evidenzia, nella realtà dei magazine indipendenti, un forte punto di contatto con la realtà delle zine, in quanto la motivazione intima e personale diviene anche qui la molecola generativa del prodotto editoriale. Chi si cimenta in una simile avventura parte sempre da un’impulso strettamente soggettivo che spinge a pensare, a creare, a realizzare e a comunicare. Ergo, non vi sono analisi di mercato o legate a un qualsiasi profitto economico che muovono la realizzazione di un indie-mag, inoltre il concetto di profitto stesso, diretta conseguenza della produzione, non è mai identificato come scopo primario.
Il secondo criterio riguarda la proprietà del prodotto e dell’azienda. Nella sua natura, tale assunto di “proprietà” segna un confine tra il mondo mainstream e indipendente, in quanto il prodotto editoriale indipendente non presuppone l’esistenza di un’azienda o proprietà definita. E nel momento in cui si sancisce una proprietà definita all’interno del panorama degli indie-mag, o delle zine, automaticamente gli si sta escludendo da tale categoria. Basti citare esempi quali il caso di “Vice”, nata come fanzine in Canada nel 1994, oggi nota a tutti come una media company di livello nazionale. Chiaramente, nessuno la conosce come zine, e ciò esplica da sé il concetto di proprietà legato al prodotto magazine58
Terzo criterio: source of founding, finanziamenti. Per usare le parole di Paolo Iabichino, il quale ha dedicato un intero libro al tema dell’advertising e dell’invertising, ovvero una sua proposta volta a riqualificare la pubblicità, dotandola di nuova identità ed invertendo il suo senso di marcia qualificandone il settore creativo, egli definisce appunto la pubblicità come un «agente inquinante»59. L’autore si riferisce ad ogni ambito del quotidiano in cui l’advertising bombarda le strade, le piattaforme virtuali, e così via, ma approcciando tale discorso al settore dei media indipendenti si evince quanto questi in particolare, provino ostilità e disagio nei confronti della pubblicità. Il confronto è palese poiché i mainstream magazine possiedono una quantità smisurata di spazi pubblicitari al loro interno, in una proporzione inversa rispetto alle pubblicazioni indipendenti. Ne consegue che, il rifiuto totale o parziale di finanziamenti esterni, dunque di inserzioni pubblicitarie, ostacola il percorso di produzione di un indie-mag, il quale potrà seguire una produzione molto scaglionata nel tempo, o addirittura cessarla. Si tratta, però, come si può intuire, di una scelta etica.
L’ultimo criterio è, per la sottoscritta, il punto peculiare che permette di allacciare il discorso dei magazine indipendenti a quello delle fanzine, identificandolo come un filo comune nella teorizzazione di questi prodotti di nicchia sulla base della tendenza degli ultimi anni: il ruolo del direttore, o meglio dire dell’art director. In queste pubblicazioni si evince quanto le due competenze vadano ad allinearsi, lasciando maggiore spazio all’ala creativa, ecco perché la direzione artistica di tali prodotti editoriali acquisisce una rilevanza notevole all’interno della testata, soprattutto se confrontata con le testate mainstream più soggette a vincoli e regole editoriali di impaginazione e progettazione grafica.
58. Pietro Cedone, “L’emergente fenomeno dell’editoria grassroots periodica” in Grassroots magazine: il fenomeno odierno dell’editoria periodica indipendente, Tesi di Laurea presso Politecnico di Milano, Milano, 2017, p. 89.
59. Paolo Iabichino, “Il tabù della pubblicità” in “Abbasso la pubblicità”, Invertising ovvero, se la pubblicità cambia il suo senso di marcia, Guerrini Next, 2019, p.28.
58 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Graphic design is content
Ecco che per la studiosa Le Masurier, i magazine indipendenti stabiliscono la loro identità, appunto “indipendente” seguendo il mantra del Graphic Design is content. Nel testo di Francesco Ciaponi, in merito alla teoria dei magazine indipendenti e su questa precisa questione, si riportano le parole esplicative di Jay David Bolter:
«L’apparato iconografico contribuisce alla ridefinizione del periodico, che non si accontenta più di diffondere informazione verbale, ma vuole anche proporre esperienze visive […] frattanto, nell’attuale design tipografico e grafico per la stampa, il testo verbale non esercita più l’antica supremazia, né è stato puramente e semplicemente rimpiazzato dalle immagini.»60
60.
↖
"Archivio Contemporaneo", Visioni Parallele Creative Studio, Roma, 2021.
Visioni
Francesco Ciaponi, “Teoria dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 202.
↘
Parallele
59
È pertanto evidente che questo upgrade del senso estetico comune riscontrabile nell’ottica di massa ormai abituata a vivere tra le immagini, argomento esaminato nei precedenti paragrafi, e che come si è visto è anche il frutto di un rifiuto verso la banalità delle immagini di scarsa qualità come suggerito dall’analisi di Iabichino, si riflette nella cura della veste grafica e tipografica delle pubblicazioni indipendenti, diventandone così un fattore vincente di questo panorama editoriale. Ma se ciò designa la linea editoriale dei magazine indipendenti, cosa distingue questi ultimi dalle zine?
Vi sono molti punti tangenti tra i due mondi, primo tra tutti risulta la volontà, delle fanzine così come dei magazine indipendenti, di essere progetti settoriali ben definiti, riferendosi non a un pubblico ibrido come quello del mainstream, che spesso si mostra come un calderone di tematiche e argomenti in base alla wave del momento, ma a target ben identificati i quali hanno in mente specifici interessi, dunque a una circoscritta comunità di riferimento e di nicchia61. Inoltre, si può facilmente sostenere che il mantra Graphic Design is content analizzato per il settore delle riviste indipendenti ormai abbracci anche l’ambito delle fanzine, o per lo meno una parte di esso. Le fanzine, intese come realtà editoriali ancora più piccole degli indie-mag, manifestano oggi un senso estetico diverso rispetto al passato. La componente artigianale che ha caratterizzato la nascita della fanzine e il suo sviluppo negli anni dell’Alternative Press persiste come un elemento centrale di questi prodotti, ma il fattore visuale in linea alle tendenze grafiche dell’ultimo periodo esige adesso anche qui un ruolo primario, divenendo così il graphic design un contenuto autonomo all’interno delle pubblicazioni stesse.
Sul piano terminologico, i due volti di questa medesima medaglia raffigurante il panorama dell’editoria indipendente, prendono però due nomi differenti: esoeditoria e grassroots. L’etimologia del termine di derivazione greca esoeditoria sottolinea il prefisso “eso” significante qualcosa che esiste al di fuori, esternamente. Pertanto con il termine esoeditoria si fa riferimento a ciò che editorialmente si è costruito, sviluppato e diffuso al di fuori di contesti ufficiali o istituzionali, a tal proposito Patrizio Perlini in “Riviste
Nicola Stradiotto
ESOEDITORIA E GRASSROOTS
61. Megan Le Masurier, “Independent magazines and the rejuvenation of print” in International Journal of Cultural Studies 15 (4), University of Sidney, Australia, 2012. Forward Festival
60 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Graphic design is content
Esempio di esoeditoria:
"Old skull", Nicola Stradiotto e Sudio Volodja, 2021.
d’arte e d’avanguardia. Esoeditoria degli anni Sessanta e Settanta” chiarisce come parte di questa categoria:
« […] tutte quelle esperienze editoriali autogestite, autofinanziate e autonome che hanno prodotto sostanzialmente libri, riviste, piccoli cataloghi, manifesti e volantini.»62
Si mostra come il settore fanzinario, con la sua carica anarchica e destrutturante, con la sua natura effimera e colma di idee e il connubio con l’ambito sottoculturale, rientri perfettamente in questo gruppo, mettendo in luce le differenze con le produzioni comunemente definite grassroots. Se è vero che una cosa esclude l’altra, il termine grassroots, di natura anglofona, fa riferimento all’editoria periodica indipendente e contemporanea, Independent Press, ai confini con il mainstream (molte pubblicazioni possono nascere come indipendenti per poi piegarsi ad assumere le sembianze di testate più inclini ai canali ufficiali), che mira sull’avanguardia grafica63 assumendo così le sembianze di prodotti editoriali ricercati, alla moda e riservati a pochi, non per la massa.
Pertanto si può sostenere facilmente che, i due contesti, con le opportune differenze, viaggiano nella stessa direzione. Dunque, in termini di visualità del prodotto, concetto che muove le fanzines a partire dai tempi del loro contributo al punk, e che si collega, come si è potuto approfondire, all’analisi di cosa sia l’Independent Press oggi, si può asserire che attualmente il confine tra i due mondi esiste, ma è molto sottile. Ciò è anche dovuto alla possibilità che i progetti editoriali concepiti in una determinata maniera, assolutamente anarchica e al di fuori di qualsiasi regola, possano nel tempo mutare forma, ed è vero che se i settori creativi sono da sempre interscambiabili, la classificazione in schemi rigidi risulta contraria all’indole stessa dell’arte e del design specie se si mostra un’indole anti convenzionale e fuori dagli schemi.
Nonostante i vari punti in comune, esiste però qualcosa che fa sì che il termine fanzine continui ad esistere e ad essere assimilato dalle generazioni che ci sono e che verranno, ed in particolare, essendo oggetto di questo progetto di ricerca, occorre tornare sul binario fanzinario per poter al meglio raccontare gli sviluppi e gli esiti grafici odierni sul fronte comunicativo e in particolare modo grafico.
62. Francesco Ciaponi, “Terminologia” in “Introduzione”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 14.
63. Francesco Ciaponi, “Terminologia” in “Introduzione”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 17.
↗
Esempio di editoria grassroots: ↖ "Forward Magazine", Issue 3 Digital Eyes, Vienna, 2020.
61
2.3 Il visual nelle fanzine del contemporaneo
LA RIMODULAZIONE PROGRESSIVA DI UN PROGETTO EDITORIALE
L’argomentazione teorica di un nuovo scenario grafico ed editoriale in linea con una percezione visiva comune più evoluta è essenziale al fine di comprendere cosa sia successo dagli anni 2000 e l’avvento del digitale sino ad oggi. Ma ponendo nuovamente il focus sull’oggetto della ricerca, le fanzine, sarebbe opportuno allacciarsi al discorso menzionando le parole, ancora una volta, di Luca Frazzi:
«La fanzine è una cassa di risonanza. Oggi meno diffusa che in passato e più simbolica che effettiva, ma è bello sapere che qualcuno non fa calcoli e preferisce le fotocopie ai social. Per vezzo? Per snobismo? Anche. Intanto però quei fogli graffiati che macchiano le dita continuano a circolare, ed è già tanto.»64
Dunque è vero che la fanzine continua ad esistere, nella sua natura grezza così come in forme più curate, ed è notevole come la considerazione di Luca Frazzi evidenzi anche una sorta di “voga” nell’intento di emulare dei prodotti cartacei del passato. Si potrebbe aggiungere che sì, da un lato traspare una tendenza generale nel voler pensare a tutti i costi un prodotto fanzinario (in quanto la concreta realizzazione è, come si è visto, oggi più che mai alla portata di tutti), ma specie oggigiorno in ambito sottoculturale, e in tutto ciò che nasce dal basso, si verifica una naturale tendenza alla mutazione. Quindi una fanzine di oggi, può tranquillamente diventare un indie-mag domani, e un podcast dopodomani. È una negazione della natura di questo settore? No, è invece il flusso naturale delle cose. Apparentemente potrebbe sembrare il discorso di questo paragrafo discordante dall’approfondimento sulle fanzine del contemporaneo, ma in
verità potrebbe delucidare un loro aspetto altrettanto attuale, correlato spesso anche al design. Parlare di punk o di hip hop, solo per citare due ambiti sottoculturali ormai noti alle masse, anche solo per concetti stereotipati legati a tali mondi, non si pone oggi come un elemento di novità. Questo perché, come dichiarato da Lorenzo Vitelli in merito al processo di mercificazione delle subculture: «[…] niente è più commerciale della dissonanza, del disordine, della pretesa di essere contro. L’ambiente underground fu messo alla luce dei riflettori, il faro del mainstream illuminò laddove covava la protesta. La contestazione divenne panegirico, l’insubordinazione preghiera.»65
Ecco che la tendenza naturale delle sottoculture ad essere assimilate dalla cultura di massa, spesso per esiti commerciali in quanto l’underground è purtroppo, sempre vendibile economicamente, (basti citare il grande fenomeno di Camden Town a Londra, una spettacolarizzazione turistica del punk nella forma meno anticonformistica e più consumistica che possa esserci) si mostra come un fenomeno spontaneo, un risultato evidente della società contemporanea in cui viviamo, il che si riflette poi anche negli ambiti creativi, tra cui la musica, la moda e in questo caso l’editoria, a cui questi processi di nicchia sono inevitabilmente legati.
Ne consegue che spesso, un progetto editoriale nato come fanzine, indipendente, auto prodotto, fiorito dal basso e slegato da qualsiasi dinamica economica, può nell’arco della sua esistenza essere soggetto a una trasformazione, affacciandosi magari più al mainstream e slegandosi così dal contesto underground.
64. Luca Frazzi, “Prima, durante e dopo il punk” in 50 più 50, Sniffando colla, fanzine musicali italiane, Le guide pratiche di rumore, gennaio 2022, p.74. 65. Francesco Ciaponi, “Conclusioni”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 226.
62 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Si potrebbe definire questo fenomeno come una progressiva rimodulazione del progetto editoriale, che segue lo stesso processo delle sottoculture incanalate all’interno del mainstream. Questo però, come suggerito da Francesco Ciaponi nell’analisi conclusiva del suo testo di riferimento, non deve essere inteso in maniera ostile:
«Il fulcro del dibattito infatti va spostato dal peccato originale, dalla presunta “colpa” insita in tale passaggio, all’accettazione definitiva e pacifica che di vera colpa non si tratti [..] risulta necessario comprendere davvero come questa progressiva rimodulazione del progetto editoriale sia - in alcuni casinaturale e non comporti in sé nessun giudizio in merito alla genuinità del progetto stesso.»66
D’altronde, si è dimostrato come il corso della storia ha fatto si che, per i motivi esaminati in precedenza, cambiasse anche la forma del prodotto editoriale stesso, sia che si tratti di un magazine indipendente o che si parli di una fanzine creata istintivamente da un gruppo di ragazzini. Pertanto, spesso questa rimodulazione del progetto editoriale va intesa anche dalla progettazione del design di esso. È stato citato nel primo capitolo di questa ricerca il caso di “Hardcore Fanzine: Good and Plenty”, una fanzine hardcore punk riqualificata ad oggetto di design grafico sotto forma di prodotto editoriale a tutti gli effetti. È solo un esempio, ma vi sono una
mole indefinita di fanzine del passato, legate ad ambiti sottoculturali, che oggi persistono in modalità diverse, o canali diversi. È il caso anche di “Taking Over - The Book”, una raccolta editoriale dei 15 numeri stampati a partire dal 2002 di una free fanzine sulla scena writing bolognese di inizio millennio67, si parla quindi di fanzine amatoriali in formato A5 fotocopiate in bianco e nero, alle quali è stata data una nuova veste editoriale al fine di promuoverne, così, anche la cultura legata dietro questo mondo e dietro questo progetto grafico di tutto rispetto.
In conclusione, è totalmente nella norma che un progetto editoriale o un’autoproduzione possa cambiare forma, sviluppare nuovi metodi e sperimentazioni adesso ancora ignote, avvalersi della tecnologia per una comunicazione più capillare, come ad esempio l’uso di QRcode e simili, poiché come si è visto, proprio in una era segnata dal digitale la carta persiste per lasciare un segno più indelebile, che può soltanto assumere diverse sembianze o svilupparne di nuove. Per citare ancora una volta Ciaponi:
«Da qui il rapporto fra il soggettoautore e il suo più grande alleato: la carta. È infatti ancora su questo profondo legame che si baserà gran parte dell’editoria indipendente del futuro, sia pur con metodi e sperimentazioni tutte da scoprire, come nel caso della transmedialità […]»68
66. Francesco Ciaponi, “Conclusioni”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p.
Piede di Porco, podcast periodico di recensioni e chiacchiere su pubblicazioni underground, puntata 1, 24 febbraio 2021
Francesco Ciaponi, “Conclusioni”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 227.
Taking Over The Book
225. 67.
https://www.youtube.com/watch?v=Wng9NHtdUug 68.
63
↖ ↘Copertina ed Estratto di "Taking Over - The Book", Italia, 2020.
64 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Il visual nelle fanzine del contemporaneo 65
FANZINE: ESTETICA DELLA POOR IMAGE
Giunti a tal punto della trattazione ci si chiede come mai il genere delle fanzine non sia conosciuto in larga scala, e tantomeno non gli sia riconosciuto il giusto merito in termini di impatto sociale e di design all’interno dei canali più istituzionali. Descrivere cosa sia una fanzine risulta essere sempre un’impresa ardua, e spesso non si trovano le parole giuste per farlo, riducendo la questione a un semplice “piccolo magazine sottoculturale” o “rivista alternativa di nicchia”, e così via. Questo perché, genere fanzinario a parte, la cultura di massa esclude dalla trattazione teorica e di studio tutto ciò che non circola in canali ufficiali. Conoscere in merito alle sottoculture o alle fanzine è sfortunatamente un privilegio solo di chi in queste cose le vive, o vive determinati luoghi e contesti sociali che danno ampio spazio a tali produzioni culturali.
L’analisi di Francesco Ciaponi considera come, a partire dagli anni ’80 si sia verificata una sorta di “ristrutturazione estetica” dei media volta a celare, in parte, il sistema visuale non commerciale e non patinato, e dunque:
«Considerate quindi troppo marginali per avere qualche appeal commerciale, queste immagini che rimandano all’estetica punk o comunque ad uno stile anti convenzionale, lentamente sembrano essere scomparse non solo dalle librerie, ma dall’intero panorama culturale, salvo poche eccezioni […]»69
Il confronto tra fanzine e magazine indipendenti, che come si è visto ha mostrato molti legami e termini di paragone, è al tempo stesso in grado di rivelare la grande differenza tra le due cose: il magazine indipendente traspare come oggetto artigianale, di particolare interesse, curato in
ogni minimo dettaglio dall’aspetto editoriale sino al visual e type design. Contrariamente, la fanzine si avvicina più a un libro d’artista, per sua natura old school, misterioso, sfuggente, il cui tentativo di classificazione risulta spesso, come si è visto, fallimentare in quanto imprigiona il termine steso in griglie estetiche rigide70
Dunque la fanzine, che sia ancora fotocopiata come negli anni ’80 e ’90, che sia ben rilegata o realizzata in serigrafia, dimostrando dunque un notevole interesse in ambito editoriale tradizionale, o che addirittura si mostri contemporanea in termini di graphic design, al passo con gli stili del momento, resta comunque una pubblicazione borderline che si identifica in ciò che lo storico dell’arte Hito Steyerl definisce come estetica della poor image. È proprio lui infatti che nel suo intervento “in Defense of the Poor Image”, sostiene che:
«Queste immagini rivelano le condizioni della loro emarginazione sociale nella nostra contemporaneità; sono povere perché non viene assegnato loro alcun valore all’interno della società delle immagini patinate […] complessivamente, le immagini povere presentano un’istantanea della condizione della comunità che le produce, con le sue nevrosi, paranoie e paure, così come la loro immediata e sensoriale identità visiva che rimanda […] alla naturale esigenza espressiva non mediata.»71
Lo studioso nella sua analisi fa riferimento a tutti gli ambiti in cui l’estetica della poor image a suo avviso si manifesta, trattando in particolare modo il cinema piuttosto che l’editoria, ma si può comprendere quanto tale definizione si pieghi a ben rappresentare l’ambito fanzinario delle autoproduzioni.
69. Francesco Ciaponi, “Conclusioni”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 232.
70. Alejandrina Solares in Arte| Meer, Il libro d’artista e gli spazi alternativi per l’arte. Al di là delle categorie,, 8 aprile 2014 https://www.meer.com/it/8495-il-libro-dartista-e-gli-spazi-alternativiper-larte
71. Hito Steyerl, In Defense of the Poor Image, 11-2009 https://www.e-flux.com/journal/10/61362/in-defense-of-the-poor-image/
66 02 FANZINE O INDIE-MAG?
E ciò è dimostrato dalla questione che, nonostante il fermento verso la capacità comunicativa di una fanzine continui a crescere manifestandosi in forme diverse, probabilmente chiedere cosa sia una fanzine a un adulto o presentare la tematica in vesti ufficiali, risulterà ancora oggi un atto spinoso e denso di incomprensioni.
Ma per captare quanto questa estetica associata all’errore, all’imprecisione, alla creatività nel senso più lato del termine sia ancora estremamente attuale è bene analizzare ciò che oggi identifica una fanzine sul panorama editoriale. Dunque, il motto Graphic Design is content da un lato, e il lato grezzo, sporco e punk dall’altro, ancora oggi nel 2022 si mostrano come gli ingredienti per poter realizzare una fanzine nel modo più “imperfetto” che ci sia. Pertanto, seguendo questa “ricetta”, una fanzine più di design possederà un determinato sapore estetico, se invece questa si mostrerà più punk, probabilmente ne avrà un altro. Ma si parla, ancora oggi e a distanza di anni, della stessa cosa.
↘ "Asfalt Tango", collana "i fattincasa", Lorenzo Caleca, Studio Volodja, 2021.
Il visual nelle fanzine del contemporaneo
67
VISUALITÀ DEL PRODOTTO EDITORIALE
Nel 1981 Bruno Munari all’interno del suo testo “Da cosa nasce cosa” sperimenta le possibilità di comunicazione visiva del materiale editoriale con l’esperienza dei cosiddetti “libri illeggibili”, proseguendo così l’idea (preannunciata dai futuristi e messa poi in atto nello stesso periodo storico dalle esperienze sottoculturali) che l’atto di guardare e sfogliare la pagina di un prodotto editoriale sia un’esperienza estetica e narrativa. Ne consegue che il materiale con cui si fa un libro e da cui questo è composto (dalla carta al formato, la rilegatura, il colore, i bianchi, i margini, la numerazione di pagina e così via), al di là della componente testuale stessa, è un linguaggio visivo autonomo in grado di comunicare.72
Il motto Graphic Design is content, cosa vuol dire davvero?
A partire da questa premessa e circoscrivendo il fulcro della questione esclusivamente all’ambito fanzinario, non si può evitare di riferirsi all’esperienza soggettiva dell’atto di acquistare o realizzare una fanzine. Come si è visto, una fanzine è un prodotto editoriale di carattere talmente semplice e fattibile che permette di essere realizzato da chiunque anche con scarsissimo potere economico. Fondamentalmente, oggi basta un computer, un programma di impaginazione grafica editoriale e una stampante o fotocopiatrice (se si vuole conservare ideologicamente il lato più hardcore della tematica). Spesso capita, specie in realtà accademiche e contesti artistico-culturali di conoscere qualcuno che decide di avventurarsi in simili progetti, dunque inevitabilmente si viene a conoscenza e a contatto con essi, scoprendo con i propri occhi le diverse nature in cui questi si possono manifestare.
Ebbene, in questo momento della ricerca non si intende approfondire singole esperienze di zine e analizzarle specificatamente, ma dare alcuni input rispondendo a delle domande basilari, che possono esplicare la natura di una zine oggi in merito alla sua componente grafica e visuale. Se dunque una fanza risponde alla necessità di comunicare senza fronzoli e regole grafico-tipografiche, si potrebbe fare un’eccezione alla regola rispondendo anche qui in maniera più diretta, sintetica e comprensibile:
Purtroppo viviamo più per pubblicare una storia su Instagram che per vivere davvero il momento, dunque le immagini non solo occupano il nostro feed social, ma le nostre vite. Ne consegue che l’estetica di un prodotto, come si evince dagli approfondimenti trattati in precedenza, ne è diventata una componente fondamentale. In altre parole, spesso siamo portati ad acquistare un magazine indipendente o una fanzine solo per il suo valore estetico, subordinando ad esso la fruizione degli stessi contenuti73. In maniera ancora più sintetica, se vieni dal basso e vuoi essere letto, serve un visual accattivante.
73. Francesco Ciaponi, “Analisi dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 210-211.
Falcinelli, “Un libro illeggibile, Bruno Munari” in Filosofia del graphic design, Einaudi,
72. Riccardo
2022, p. 177.
68 02 FANZINE O INDIE-MAG?
Una fanzine deve essere autenticamente grezza e sporca per essere chiamata tale? No. Una fanzine per essere chiamata tale deve, come unico requisito, comunicare e nascere dal basso. Oggi si è manifestata una sorta di “moda” nei confronti di questo genere, che spinge anche magazine indipendenti più inclini al mainstream a denominarsi in questa maniera, ma nulla esclude che si potrebbe realizzare, con le giuste competenze, un impaginato editoriale “patinato” dai contenuti grafici all’avanguardia e stamparlo in tiratura limitata, non avrà una veste punk ma se questo non è strettamente legato a un profitto e allo stesso tempo vuole comunicare qualcosa di personale è comunque da considerarsi una fanzine.
Si potrebbe affermare ciò per il mondo dei magazine indipendenti, come sostenuto dal blog Frab’s Magazines di Anna Frabotta, realtà culturale ma anche shop online e fisico specializzato in materia di editoria indipendente. Infatti i magazine indipendenti sono comunque soggetti a un profitto economico e a regole editoriali più strutturate, di conseguenza qualsiasi azzardo hardcore ne costituirebbe un rischio, in quanto i pilastri del settore indie-mag sono proprio i contenuti e il design74. Il mondo delle fanzine non ha standard definiti, ma analizzando il versante grafico di questi prodotti si potrebbe affermare che vi sono delle tendenze stilistiche le quali in qualche modo costituiscono un filo conduttore comune.
In termini dunque di visual design, il mondo fanzinario si può dire che segua degli standard qualitativi?
74. Frabs’ magazines, “Spartiacque qualitativo” in Independent magazine trends 2022. Cosa ci aspettiamo nel mondo delle riviste indipendenti nel 2022, 30 dicembre 2021. https://www.frabsmagazines.com/blogs/frabs-blog/i-magazine-indipendenti-nel-2022 Il visual nelle fanzine del contemporaneo 69
Pertanto, quali stilemi visivi si riscontrano oggi nelle fanzine più curate nel loro design? In tema di indie-mag si potrebbe approfondire il discorso legato alla carta e alla rilegatura, ma in ambito fanzinario occorre soffermarsi al graphic design. Sempre riportando i contenuti dell’articolo “Independent magazine trend 2022” sul blog di Frab’s Magazines, (dove si fa particolare riferimento al settore degli indie-mag, ma i trend in questione sono facilmente rapportabili al contesto fanzinario in quanto l’oggetto del discorso è il design grafico in senso lato) si può dedurre che l’estetica bianco e nera tipicamente punk oggi risulta anacronistica in un mondo fatto di immagini a colori. Ecco dunque che nelle pagine delle fanzine più contemporanee emerge l’esplosione dell’elemento cromatico, anche fluo e serigrafato, il type design più estremo, sinuoso, curvo e ai limiti della leggibilità, nonché un ampio uso della fotografia in pagine colme e alle volte caotiche75. In altri termini, la destrutturazione punk persiste a modo suo anche nel 2022.
In ultimo, la visualità del prodotto editoriale, anche se si tratta di fanzine, ha un costo? Aveva un costo misero quando i giovani punk negli anni ’80 si scambiavano le fanzine fotocopiate a poche lire, e lo stesso succedeva quando volevi chiedere una copia di “IG Times” dall’altra parte del mondo. È giusto che la fanzine abbia un costo che sia anche soltanto volto a coprire le spese di produzione poiché, come detto svariate volte, il profitto non è mai tra gli obiettivi di un’autoproduzione. Un misero guadagno può solo spronare i fanzinari a crearne di più, ma a tal proposito è doveroso riportare le parole di una conoscenza della sottoscritta il quale alla domanda: «Quanto costa la tua zine?» si è sentito in dovere di rispondere: «5 euro, farla costare di più mi sembra davvero un’esagerazione.»
75 Frabs’ magazines, “Design e grafica: il senso estetico degli indie-mag” in Independent magazine trends 2022. Cosa ci aspettiamo nel mondo delle riviste indipendenti nel 2022, 30 dicembre 2021.
https://www.frabsmagazines.com/blogs/frabs-blog/imagazine-indipendenti-nel-2022
Allora, nonostante possa far sorridere, è anche un po’ questo che va a stabilire in maniera più o meno vaga quali siano i confini tra una fanzine strettamente underground e qualcosa che già guarda oltre, magari in termini di fama e riconoscenza futura.
70 02 FANZINE O INDIE-MAG?
03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
3.1 Fanzine e sistemi di comunicazione social
DAI BLOG A INSTAGRAM
È sempre sconveniente seguire una narrazione noncronologica degli eventi, ma al fine di annunciare lo sviluppo più contemporaneo delle zine, si ritiene opportuno fare un unico e doveroso salto indietro nel tempo, ricordando una vicenda cruciale per l’evoluzione delle fanzine nella loro comunicazione e rete di diffusione. Stando alle analisi apportate nei capitoli precedenti, gli anni 2000 furono decisivi per la sorte di molte autoproduzioni, non a caso le stesse che cessarono di proseguire con la strada cartacea si convertirono presto ai blog e al digitale. Si potrebbero menzionare diversi casi, tra cui “Decoder”, nota autoproduzione milanese cyberpunk che in prossimità del nuovo millennio fu tra le prime sul suolo nazionale ad optare per il web. Il loro blog procedette per sei o sette anni, in merito alla scelta del web Sara Molho nel suo intervento su “L’edicola che non c’è” sostiene che: «Il blog di “Decoder” […] potendo essere aggiornato quotidianamente è uno strumento più in linea con una realtà sempre più costellata dalle relazioni virtuali, veicolo di una comunicazione che passa dalla rete e non più dai canali tradizionali […]»76
Quanto si evince circa la sorte di molte fanzine o prodotti editoriali indipendenti dalla fine dei ’90 agli anni ‘10 del nuovo millennio, si può allo stesso modo sostenere anche per le piattaforme di cultura sulla tematica, le quali in maniera previdente hanno saputo guardare alla rilevanza di Internet come rete di diffusione culturale. Caso esemplare risulta essere, per il settore dei magazine indipendenti, “Magculture”, blog inglese fondato nel 2006 a Londra da Jeremy Leslie, medesimo autore del testo “Magculture: New Magazine Design”, ad oggi blog, negozio fisico, studio di design, podcast e soprattutto risorsa, grazie alla sua comunicazione capillare e multimediatica, per tutti coloro che sono interessati a design editoriale e alle nuove tendenze grafiche in materia.77
76. Sara Molho, “Corpi tecnologia e reti. Il cyberpunk di Decoder”, L’edicola che non c’è, la stampa underground a Milano, Moicana centro studi sulle controculture, Agenzia X, 2018, p. 147.
77. Francesco Ciaponi, “Cultura dei magazine indipendenti” in “Gli anni duemila”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 217.
↗ Feed Instagram "La Fanzinoteca La Pipette Noir". ↙ Feed Instagram "Studio Volodja". Aelle Magazine 72 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
Ad oggi però, nel 2022, il discorso dei blog risulta essere ormai obsoleto. Nessuno ha interesse a leggere ingenti quantità testuali specie attraverso uno schermo, e ribadendo ancora una volta il concetto di visualità del prodotto, tutti preferiscono vedere qualcosa che non gli richieda più di 5 secondi di attenzione. Ecco che, se in passato nel settore delle autoproduzioni i blog sono stati centrali per costruire una rete di cultura, oggi il loro ruolo è rivestito dai social network, ed in particolare da Instagram.
Non è un caso che vi siano addirittura fanzine degli anni ’90 (le quali dopo prime esperienze sui blog e la crisi della carta cessarono le loro pubblicazioni in maniera definitiva), che oggi hanno riavviato la loro rete di informazione sottoculturale grazie ad Instagram. È il caso di “AELLE”, nata nel 1991 come fanzine italiana hip hop e che presto si convertì ad una rete più mainstream adottando per la sua distribuzione ufficiale i punti vendita Foot Locker78, la quale ha recentemente iniziato a “distribuire” gratuitamente vecchi contenuti provenienti dai numeri delle riviste, in maniera visiva e a portata di tutti sul feed del proprio profilo Instagram.79
Pertanto, riprendendo il filo del discorso in merito all’aspetto più contemporaneo manifestato dalle zine oggi, è doveroso approfondire il peso che assume un social network quale Instagram nel far conoscere e diffondere produzioni culturali che, avvalendosi di questo canale per presentarsi, continuano al tempo stesso a stampare su carta seguendo le diverse strade stilistiche enunciate in precedenza, e a diffondere così il proprio messaggio comunicativo.
78. Francesco Ciaponi, “Rap” in “L’editoria punk”, Fenomenologia dell’editoria indipendente, un’analisi storica della stampa libera dal novecento a oggi, Edizioni del Frisco, 2021, p. 192. 79. Piede di Porco, podcast periodico di recensioni e chiacchiere su pubblicazioni underground, puntata 6, 5 aprile 2022 https://www.youtube.com/watch?v=eoZp42JPQME ↙ Feed Instagram "U_UZ3R". ↘ Feed Instagram "Aelle Magazine". 73
FEED A.K.A. PORTFOLIO
In un mucchio di spazzatura digitale sarebbe difficile venire a conoscenza di produzioni culturali nate dal basso, nell’ipotesi in cui queste non utilizzassero Instagram come biglietto da visita. Certamente si riconosce che tale criterio non è adottato e condiviso da tutto il settore delle autoproduzioni, poiché la parte di esso più militante e anticonformista la si trova ancora unicamente in contesti “altri” quali centri sociali e bancarelle, ma si può affermare che almeno una parte di questo settore condivida oggi tale posizione. La stessa Valeria Foschetti, nell’intervista rilasciata per questa ricerca, afferma quanto attualmente non si possano scindere i due aspetti, fanzine e mondo social, e ammetare l’importanza che può assumere la visibilità Instagram non solo non ti rende “meno punk”, ma potenzialmente può essere una grande risorsa per il proprio messaggio culturale e la portata che questo può avere in termini di ricezione.
Nella loro tesi di ricerca in merito al senso per la Generazione Z del magazine cartaceo in relazione al contesto dei social network, Edoardo Sebastiani e Marcello Sponza esprimono che:
«I format dei social network hanno consentito agli utenti, soprattutto i più giovani, di esprimere se stessi attraverso forme creative funzionalmente più sintetiche e meno didascaliche. Per esempio un social come Instagram ha portato gli utilizzatori a esprimersi sempre più attraverso le immagini e abbandonando il racconto verbale che già con Twitter era stato sintetizzato per il minor numero di caratteri utilizzabili.»80
Ne consegue che nelle nuove generazioni si delinea un modo di comunicare attraverso
Instagram del tutto intrinseco nella propria natura. Le piattaforme social sono dunque intese come luoghi ideali e fecondi per poter comunicare, attraverso l’uso sapiente delle immagini, la propria creatività, che si tratti di arti grafiche o di arti dello spettacolo. Il feed Instagram, che sia personale o correlato a determinati progetti, non è un insieme casuale di immagini, è un piano editoriale ben progettato mirato a seguire un preciso intento comunicativo. Si pubblica una determinata foto o storia per mostrare chi sei e far sì che questo sia percepito in modo chiaro dai tuoi simili. In un certo senso si potrebbe quasi azzardare che ciò sia da intendersi come un’evoluzione della finalità e urgenza comunicativa enunciata della fanzine, sin dagli albori di questa manifestazione editoriale.
Pertanto, la generazione dei nativi digitali abbatte le barriere mediatiche promuovendo così un’ideale di sharing dei contenuti. Ergo, se fai qualcosa ti conviene mostrarlo, e Instagram si pone come il non-luogo perfetto e gratuito per farti conoscere. Sempre in merito al loro studio sul caso, Edoardo Sebastiani e Marcello Sponza affermano:
«Malgrado la polarizzazione dei contenuti a livello di gusti e opinioni, i social network hanno contribuito invece alla creazione di uno spazio unico e condiviso per la fruizione di contenuti di differente tipologia (di tipo musicale, fotografico, video o letterario) favorendo così un’interconnessione tra i mezzi di espressione artistica e creativa e stimolando l’utente all’utilizzo e alla creazione.»81
Tali assunti si mostrano, nel settore fanzinario, come i presupposti per mostrare progetti editoriali di diverso genere nati dal basso,
81. Edoardo Sebastiani, Marcello Sponza, “Necessità espressiva di una generazione, il prodotto cartaceo come media da riscoprire per i giovani” in Un magazine cartaceo dedicato alla generazione Z in risposta alla polarizzazione dei social network, Tesi di Laurea presso Politecnico di Torino, Torino, 2021, p. 23.
80. Edoardo Sebastiani, Marcello Sponza, “Necessità espressiva di una generazione, il prodotto cartaceo come media da riscoprire per i giovani” in Un magazine cartaceo dedicato alla generazione Z in risposta alla polarizzazione dei social network, Tesi di Laurea presso Politecnico di Torino, Torino, 2021, p. 22.
74 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
in maniera assolutamente gratuita e fruibile da chiunque. Il feed Instagram dunque, ossia l’insieme d’immagini volte a mostrare in una griglia quadrata la sintesi visiva del proprio profilo, si pone in questo caso come un portfolio conoscitivo. Cosa vi è di più contemporaneo di un progetto cartaceo spontaneo volto a distribuire “fogli di carta”, ma che per farsi conoscere adotta sapientemente una successione di immagini sul proprio feed? In altre parole è come inviare un curriculum, lasciare un biglietto da visita, con la sottile differenza che, in questo caso, non solo la gente non è costretta a cercarti e a leggere di te, ma sei tu a gestire i contenuti che vuoi mostrare, a bombardare mediaticamente il tuo pubblico con i messaggi che vuoi diffondere, e a promuovere così il nome del tuo progetto.
Alla luce del motto Graphic Design is content relazionato all’ambito delle zine si deduce dunque che, se queste non avessero una comunicazione social fatta per immagini, probabilmente il prodotto editoriale stesso non potrebbe avere un eco importante, e molta gente, tra cui la sottoscritta, difficilmente potrebbe essere attratta da determinate autoproduzioni. É evidente dunque che il tema trattato nel capitolo precedente in merito alla componente visiva del prodotto editoriale trovi la sua più concreta manifestazione contemporanea nella comunicazione di una fanzine e della rilevanza di Instagram all’intero di questo scenario.
Ma al fine di dimostrare le tante parole che si sono susseguite all’interno di questa ricerca, è necessario adesso porre la giusta attenzione sul piano concreto e reale delle fanzine, analizzando progetti di gente che per davvero dedica la sua vita a tale ambito culturale o che semplicemente ama divertirsi nel sperimentare questa semplicissima forma di comunicazione. Ebbene, calibrando la questione al lato positivo dei social, risulta palese che senza l’ausilio di Instagram certe realtà non si potrebbero conoscere e raccontare con tanta semplicità, e che se le zine conservano, almeno idealmente, un loro lato hardcore e underground, questo non sarà compromesso da un tipo di comunicazione parallelo, ma altrettanto libero e prospero di creatività.
sistemi
studiovolodja u_uz3r ↘ Post Instagram "U_UZ3R". ↗ Post Instagram "Studio Volodja". Fanzine e
di comunicazione social 75
3.2 Punti di vista
TERRITORIALITÀ
Giunti a tal punto della ricerca si intende sfidare sul piano pratico la teoria che il Sud Italia sia completamente estraneo al fervore creativo e all’attività culturale che invece si può riscontrare nelle grandi metropoli del nostro paese. Certamente questo assunto è stato (o così si spera) superato da un bel po’ nell’ideologia comune, e lo dimostrano la notevole quantità di artisti e creativi provenienti dal Meridione e operativi in Italia o all’estero, però risulta palese che spesso, nel voler raccontare al meglio una scena creativa (in qualsiasi ambito questa si declini) si ricorre volentieri ad esempi esteri o estranei alla propria realtà territoriale.
Pertanto, non si vuole così sminuire progetti dalle più svariate inclinazioni grafico editoriali riscontrabili sia in Italia che in altre nazioni, bensì si intende porre l’accento sulle proprie radici dando così visibilità a meritevoli progetti del Sud Italia, nativi pugliesi, in grado di auto raccontarsi ed esplicare così personali punti di vista sul panorama contemporaneo delle zine. Non è infatti una novità che dal Sud spesso si scappa per conoscere nuovi mondi ed opportunità, per aprire i propri occhi verso orizzonti più ampi, ma è anche vero che se nasci al Sud inevitabilmente vi resti legato, e dunque si intende qui dare luce a realtà e personalità interessanti e di tutto rispetto collocate dietro l’angolo del proprio paese piuttosto che cercarle disperatamente altrove, partendo dalla supposizione che Milano sia meglio di Bari, di Taranto, di Trani e così via.
E dunque, da questa argomentazione si affronta adesso l’analisi diretta, sotto forma di interviste, tra due diversi progetti in ambito di autoproduzioni che entrambi reclamano le loro radici nel caldo terreno pugliese. Aprendo così un confronto tra le differenti declinazioni che una fanzine può assumere oggi in termini di visualità del prodotto, intento comunicativo e finalità, si troverà un riscontro pratico alle tesi mosse sino a questo momento in concrete zine di natura differente tra loro.
76 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
In ultimo, è opportuno specificare che al fine di preservare l’integrità delle opinioni e delle personalità legate ai diversi progetti presi in esame, il linguaggio riportato sarà il più possibile diretto e fedele alla comunicazione degli intervistati, in quanto si ritiene che una ricerca sulle fanzine non possa prescindere dalla natura stessa di esse, che come si è potuto analizzare è semplice, diretta e in grado di puntare al fulcro del messaggio senza vincoli, mezzi termini e giri di parole accademici. Perciò la presenza di termini dialettali o giovanili non è da ritenersi inopportuna, ma è da relazionarsi all’oggetto della ricerca, la fanzine, che consente a chiunque di esprimersi con i propri mezzi e con totale assenza di regole imposte a priori.
77
INTERVISTA 78 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
Sin dalle prime idee sugli sviluppi ed esiti di questa ricerca, colui che tra i primi è stato considerato come punto di riferimento centrale per l’argomentazione di essa è stata la personalità di Lorenzo Caleca.
Attualmente residente fuori Puglia ma con il cuore tarantino, muove i primi passi nel settore delle zine durante gli anni dell’università caricandosi così di un bagaglio culturale (ma anche di fanzine) di tutto rispetto, mostrando se stesso senza bisogno di maschere o di costruire una finta versione della sua persona. Essendo molto legato alla tematica, Lorenzo si è reso subito disponibile nel raccontare il proprio progetto editoriale indipendente Studio Volodja incentrato sulla pubblicazione di zine, nonché la sua personale ricerca “Poesia nelle strade”.
Ciò che lui racconta si mostra come uno specchio del lato più core delle zine in un periodo storico fatto principalmente di apparenza e meno di sostanza, rivendicando l’importanza di un preciso messaggio che sappia mirare al bersaglio comunicativo, parlando così di uno scenario contemporaneo delle fanzine che non può scindersi troppo da determinati contesti sottoculturali e da determinati ambienti a cui questo genere è inevitabilmente, da sempre, legato.
Così, senza mezzi termini e da un’ottica estremamente partecipe, ha saputo spiegare ciò che da anni fa per passione (e non per lavoro) ossia le zine, i suoi pensieri sul lato grafico di esse e sulla visibilità dei social, illuminando lo studio sì sulla progettazione grafica e la visualità del prodotto, ma soprattutto sull’essenza di una zine e su cosa la contraddistingue oggi da territori confinanti.
↘
LORENZO CALECA, STUDIO VOLODJA E “POESIANELLESTRADE”
OS: Noto che hai prodotto diverse fanzine e continui a farlo, si deduce che vivi la questione in maniera strettamente personale.
LC: Il discorso fondamentalmente è che a me piace da un lato la fotografia, è una mia passione, e dall’altro non mi vergogno di dirlo, io so’ cmbagn, sono cresciuto in determinati ambienti e secondo me di base c’è un discorso di linguaggio comune tra le due cose. Mai come ora non mi vergogno di ciò e lo dico chiaramente.
OS: Concordo con te sulla questione che la zine non si può scindere da certi ambienti, vi resta sempre in qualche modo legata… se vuoi, parla della tua esperienza personale a riguardo.
LC: Nel senso, la fanzine la puoi “addolcire” quanto vuoi, per fare un esempio concreto con Studio Volodja ho prodotto fanzine, tra cui un’ultima, “Ovunque Proteggi” per un ragazzo di Gioia del Colle, Raffaello Iacovazzi detto “Lello”, dove ho fatto specifiche scelte in merito alla carta e alla realizzazione. È bello fare le zine fotocopiate però parlando di fotografia, determinate scelte tecniche, (ad esempio sul tipo di carta da utilizzare) sono un fattore che dà importanza al prodotto fotografico. Ad esempio, andando ad utilizzare carta riciclata come in questo caso, tu stai lanciando un messaggio che va a sottolineare le tematiche ambientali che, wagnu, sono importanti e per quel poco che possiamo, badiamoci. Negli anni ho fatto anche roba un po più grezza, fanzine fotocopiate schiette, però sui prodotti fotografici ci tengo a mettere più cura, mantenendo sempre determinati aspetti, come il numero
di pagina che tendenzialmente ometto per valorizzare la fotografia, in modo da sfogliare liberamente le pagine senza per forza seguire un ordine, insomma come ti pare. Tornando alla questione principale ti spiego più o meno come è nato questo progetto, ossia Studio Volodja, che poi fondamentalmente sono io. All’università avevo un’associazione con cui si collaborava finanziati dal consiglio degli studenti e insieme realizzavamo un minimo di pubblicazioni. Noi avevamo una fanzine stampata su fogli A3 piegata, simile ad un giornale quindi un po’ più grande, abbiamo anche stampato un paio di libri con racconti degli studenti perché ci tenevamo a dar voce a persone che altrimenti si sarebbero tenuti queste cose nel proprio cassetto, il nostro scopo era dunque fare da intermediari tra i soggetti e una possibile pubblicazione. In ambito universitario incontri spesso gente più attiva, e di conseguenza stimoli e idee nascevano insieme, così dopo “grandi momenti di condivisione” si proponevano idee sensate. Dopo aver pubblicato due racconti degli studenti, uscì l’idea di creare una fanzine perché non riuscivamo ad avere abbastanza spazio, e allora abbiamo detto: «Wagnu, prendiamo quello che ci passa per la testa, lo mettiamo su carta e lo diamo in giro, poi chi vuole, vuole». Chiaramente non circolavano troppo gli smartphone quindi riuscivi più facilmente a comunicare in questo modo, era poi un discorso legato molto alla persona, poiché dovevi sempre andare e dargliela tu, quindi se malauguratamente questa andava a casa, la accartocciava e la buttava, magari la ritrovava dopo un
Pagina precedente:
↖ "Jonian, the waste", Lorenzo Caleca, Studio Volodja, 2021.
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po’ e pensava: «Questa me l’ha data Lorenzo»… così dopo un po’ magari ci si beccava ti diceva: «Oh compa’ ho letto quella cosa, sono d’accordo» oppure, meglio ancora: «Secondo me lì avete scritto una cavolata». Da qui si cominciava a parlare, nascevano idee, e si cominciava a dire: «Vieni, vediamo, facciamo!». Da qui, questa roba di fare le grafiche (che poi le facevo io) con un determinato stile, è continuata. Inizialmente con degli amici dovevamo fare un disco, la cui grafica doveva ricalcare un certo linguaggio, fotocopiato, in bustina di plastica, richiamando determinati loghi tra cui “Puglia Hardcore”, “Azione Antifascista” e così via… bianco e nero perché doveva costare poco, ed in quel caso il progetto si chiamava Studio Retaggio, che era poi il nome del gruppo che avevamo. Dopodiché sono stato fermo qualche anno, ho finito l’università, sono stato in Germania e sono tornato da lì con un pacco di foto, e poi negli ultimi anni un po’ prima del Covid-19 ho pensato di fare uscire qualcosa di fotografico. Ho trovato quindi uno di quei siti che ti dicono di caricare il tuo libro in PDF, e quando qualcuno lo ordina tu in quel momento paghi la stampa e la spedizione…
OS: Il tuo primo progetto personale è nato quindi in questo modo, a cavallo della pandemia?
LC: Sì, facendomi impaginare il tutto da un amico carissimo (ma sai bene che quando chiedi i favori agli amici, te li fanno quando e come dicono loro senza poterci mettere troppo del tuo). Ecco perché a un certo punto ho deciso di scaricare un programma (non
di grafica) open source, e chiudendomi un mese a casa ho detto: «Fammi vedè un po’ come si impagina» e nel momento in cui ho ottenuto dei primi buoni risultati ho capito che potevo realizzare la mia prima fanzine. E dopo la prima, la seconda, da qui ho conosciuto persone tra cui Lello, avevamo anche qui un collettivo, Sprocket Holes (che poi non era il nome del collettivo vero e proprio ma il nome dato al gruppo inizialmente che poi è rimasto… gli “sprocket” sono i buchi di avanzamento del rullino che fanno girare la rotella che carica lo scatto perché l’idea era proprio andare avanti insieme e muovere qualcosa) e c’era sempre l’idea di proporre del materiale legato alla fotografia. Questo collettivo nasce poi perché anziché mandare infiniti whatsapp a gente diversa, ho pensato che era meglio creare un gruppo fatto di persone dove in mezzo tutti parlavano di fotografia in maniera molto spontanea. Insomma volevo fare una fanzine e ho trovato persone con cui farla, doveva essere una cosa one shot e poi invece sono usciti cinque numeri… dopodiché ci siamo persi, perché come in tutte le cose fatte in gruppo si creano determinate dinamiche, e ci devi star dietro.
Studio Volodja nasce per fare delle fanzine, magari realizzeremo anche libri fotografici ma non li chiameremo fanzine, non avranno il formato A5, la scelta della carta sarà diversa, però ecco lo “studietto” nasce per stampare zine di fotografia in modo tale da far girare le foto, anzi direi certe foto e in certi ambienti. Il motto dello studio è una frase di Majakovskij: «Dalle nere finestre hanno distribuito gialle carte accese», pertanto un altro mio sogno
Studio Volodja
INTERVISTA 82 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
è quello di realizzare ciò che un tempo si sarebbe chiamato pamphlet, dei veri e propri libricini fotocopiati di testo al fine di veicolare dei messaggi. Si parla di roba che dovrà essere per forza di cose stampata su carta, poiché il canale Internet è saturo all’inverosimile, il testo lo devi leggere tra le mani.
Non a caso la carta è l’assunto base della comunicazione di McLuhan, Il medium è il messaggio, quindi tu lo fai su carta per veicolare un determinato messaggio, e così stai comunque andando a dare un’impronta diversa rispetto a qualsiasi altra cosa. Perlomeno questo è il mio punto di vista.
OS: Penso che la riflessione che hai fatto in merito a McLuhan si relazioni anche all’ambito stesso delle zines… nel momento in cui tu realizzi una fanzine su carta e la stampi è perché stai cercando di trasmettere un messaggio in maniera diversa, altrimenti le stesse cose le diresti in un’altra maniera.
LC: Bravissima. Ci sono anche le e-zine online, io pure ne ho fatta una proprio per esser sfogliata al computer, non la stampo perché non ho interesse a stamparla. Così come quelle di carta se le vuoi te le devi ordinare, quelle online te le sfogli e non hanno senso di esistere su carta. Ogni cosa deve avere comunque il suo canale e il suo supporto.
OS: Mi trovo d’accordo con il tuo punto di vista. Hai detto che al momento avete realizzato una serie di cinque zine prettamente fotografiche, come si è sviluppato concretamente il percorso di Studio Volodja?
LC: Praticamente eravamo tutta gente con cui vuoi o non vuoi avevamo avuto a che fare, ci siamo messi in un circuito comune e allora ho detto: «Vabbè ma come parliamo tra di noi?» Quando uno entrava nel gruppo si presentava, senza bisogno del mio intervento, e così poteva mostrare ciò che faceva. La fanzine non era altro che questo, 7-8 foto, una foto profilo, una paginetta, massimo due per i più prolissi in cui si diceva: «Ciao io sono Lorenzo, scatto in digitale e in analogico o come mi pare, fotografo perché mi piace raccogliere questo ecc..». Era proprio una presentazione, inizialmente in queste prime fanzine eravamo in 6 o 7, e da questi il gruppo si è ingrandito, un numero non bastava più, abbiamo dovuto fare il secondo numero…così qualcuno ha iniziato a dire: «Voglio esserci anche io!», e quindi abbiamo stampato una terza zine, poi una quarta, alla fine ne abbiamo fatte 5, non siamo riusciti ad esserci tutti per motivi vari, si spera di farne una sesta in futuro… Però il discorso è anche questo, non puoi fare sempre tutto da solo non essendo questo un lavoro (e soprattutto non voglio che lo sia, ci tengo a metterlo in chiaro). Però ecco il discorso delle fanzine è proprio fare una cosa in cui la gente dice: «Io ci tengo a dare questo messaggio, ma non so come fare» e allora io dico: «Beh, io ci ho sbattuto la testa prima di te risolvendo in questa maniera, ti posso far vedere ciò che ho fatto, o meglio ancora te lo faccio e in cambio ti chiedo soltanto di mettere il logo mio». Poi in alcuni casi, come la zine di Lello che credo sia un prodotto validissimo, ci tenevo a legare il logo dello studio (come prima uscita non mia) comunque a determinati prodotti,
↘ Lorenzo Caleca, Studio Volodja e “Poesianellestrade”
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infatti è uscita la sua e ho anche coprodotto una zine di un altro ragazzo, Nicola Stradiotto, fanzinario di vecchia data nonché vecchio punk anche lui. In questo caso entrambi facevamo fanzine, in un’occasione ad un festival ho esposto il mio banchetto e ci tenevo a non avere solo roba mia, quindi per mezzo di un amico che distribuiva quelle di Nicola, vidi ciò che faceva questo ragazzo e chiesi direttamente a lui se potevo mettere le sue zine sul mio banchetto. Ovviamente lui era felice, ci ho tenuto a spiegargli determinate cose tra cui che il banchetto è antifascista, ci si muove in un certo modo e non ci troverà mai al tale “festival di editoria” ma al massimo a quello dedicato alle zines e così via… Avendo una comunione di intenti e valori, parlavamo circa la
stessa lingua, a un certo punto Nicola mi ha chiamato dicendo che aveva una nuova autoproduzione proponendomi di spartirci a metà le copie. Io gli ho detto subito sì, senza esitazioni.
OS: Da ciò che dici si evince una constatazione interessante. Ciò che tu produci con Studio Volodja può trovarsi in certi luoghi, e non in altri. Questo penso che sia valido un po’ per tutto il panorama delle zine, o almeno per quelle che conservano in parte l’attitudine originaria con cui sono nate.
LC: Sì perché di base ora come ora c’è una confusione incredibile, quindi io personalmente nei miei lavori resto di questa opinione. Non è obbligatorio che tu a un certo punto dica: «Chi ha fatto questa fanzine è antifascista» no, non è una frase che bisogna
"Sprocket Holes", n.1, Studio Volodja, 2020.
"Sprocket Holes", n.2, Studio Volodja, 2020.
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necessariamente inserire nei lavori che fai (anche perché poi un po’ si sa) però mai come ora c’è bisogno di chiarezza, momento in cui alcuni movimenti dell’altra parte cercano di mimetizzarsi o nascondersi assumendo comportamenti e modi degli antagonisti, dall’estetica sino a per dire, la storia dei gruppi (a Roma esiste il rap fascista, che è un paradosso), penso sia una mistificazione unica.
OS: Si tratta di un’assimilazione di determinati linguaggi da certi contesti che mostrano un’attitudine completamente inversa…
LC: Esatto, quindi per evitare determinate cose, mi baso sul linguaggio e sulla trasparenza, mettendo in chiaro subito i miei punti di vista, poi sta a te capire ed eventualmente seguirmi. Pero ecco di base la comunicazione è quella, io metto sul tavolo ciò che ho da dire, poi mi aspetto una risposta. Nell’ambiente delle nuove zine tra cui quelle più “fighette” ho notato una diversa attitudine, della serie che ti vien detto: «Oh che bella questa cosa!» poi ti copiano l’idea buona sparlando di te in giro, è un mondo pur sempre pieno di gente invidiosa…
OS: A tal proposito mi interessava approfondire il tuo punto di vista sulle fanzine che hai definito più “fighette”. È uno spunto che mi è stato suggerito da Valeria Foschetti della Fanzinoteca e associazione “La Pipette Noir”, la quale mi ha spiegato che oggi in situazioni di festival dedicati alla tematica, o banchetti vari, non trovi più solo zine fotocopiate come una volta, ma anche stampati di un certo “valore” artistico. In rapporto alle tue autoproduzioni e alla linea grafica che tu scegli di mantenere, come relazioni questo discorso all’intento comunicativo di una fanzine?
LC: Di base per me già un prodotto fresco come “Ovunque Proteggi”, la zine di Lello, teoricamente lo reputo borderline al contesto di fanzine. È una fanzine perché vi è un messaggio di un ragazzo da far girare, connotato in determinati contesti per cui abbiamo l’elemento della fotografia a pellicola, la ricerca urbana… siamo invece un po’ al di fuori dal contesto fanzine per la cura del prodotto (c’è da dire che anche se non è una fotocopia costa ugualmente poco). “Contenitori”, un’altra mia fanzine, nasce invece come un progetto fotocopiato, sempre di stampo fotografico ma basato in questo caso sui profili di Instagram, ricorrevamo infatti al QR code, e se volevi vedere le foto “sparavi” il QR code e te le vedevi sul profilo social, creando un minimo di interattività. Era dunque una vera e propria fanzine fotocopiata di cui tenevamo anche molto basso il prezzo, tieni conto 2 euro e 50 compresi di spese di spedizione… anzi, se fossi stato a Lecce, dove le copisterie hanno prezzi più bassi, la potevamo dare pure a 1 euro, la potevamo addirittura regalare!
OS: Quanto hai detto sul prezzo misero legato alle zine è un discorso che si può rapportare a progetti editoriali chiamati “fanzine” che però si vendono a costi ben più alti. Mi riferisco a prodotti che magari si propagandano fanzine quasi fosse una moda, però nei fatti non sono proprio la stessa cosa, o mostrano un sottile confine con cosa sia definibile ancora come zine e cosa no in termini di attitudine.
LC: A tal proposito a Roma vive un ragazzo polacco che tratta solitamente foto di nudo e che collabora con una realtà fotografica indipendente, il quale faceva delle fanzine che salivano anche a 20 euro, erano dei dummy
Caleca, Studio Volodja
↘ Lorenzo
e “Poesianellestrade” 85
girati a fanzine per il concetto, per dire una cosa autoprodotta ma chiamata in questa maniera. In teoria il bello della fanzine è che non ci sono dei canoni, la puoi chiamare come vuoi. Fanzine di base significa fanatic magazine, fatto dai fan di un argomento…sotto questo punto di vista tutto può essere fanzine. Secondo me alla base ci deve essere sempre un messaggio da comunicare, perché se questo viene meno il tuo progetto è solo un prodotto artistico, e parliamo proprio di tutt’altra cosa. Ora non sto dicendo che la fanzine non sia un prodotto artistico, però deve avere un orientamento in termini di comunicazione. Se tu con la fanzine non vuoi dire nulla, vuoi solo veicolare delle immagini, è un catalogo, non so neanche io come chiamarla perché i confini sono veramente sottilissimi. Ecco io ti posso dire che ci sono delle cose che sono fanzine, quello che non è fanzine è molto difficile da definire. Addirittura io stesso ho fatto della roba che ai tempi ho chiamato fanzine, come il volume sulle banane, quello non è una fanzine, è una raccolta di foto ma il messaggio in questo caso viene meno, sono foto stampate e acchitate in un modo “carino”, brutalmente detto fanzine perché di solito faccio fanzine è vi ho dato questo taglio. Però a mio avviso non è una fanzine, se vuoi la fanzine posso citarti “Porrozine”, una roba punk di vecchia scuola, che è proprio LA FANZINE. Parlando di cose un po’ più moderne posso citarti “Dust ’n’ Dirt” fatta da un ragazzo sardo che vive a Bologna e che rispetta l’ottica delle zines, dalle foto alla recensione di dischi agli articoli sul punk e sulla cultura.
Certo, una roba solo fotografica può essere una fanzine, come per il discorso di “Ovunque Proteggi”, però quella delle banane io lo so che non lo era.
OS: Ti ho fatto questa domanda perché se una persona frequenta determinati contesti prima o poi delle zine viene a conoscenza, per quanto mi riguarda il mio imprinting lo ebbi negli anni del liceo artistico. Pero ho notato che negli ultimi 5-3 anni le fanzine sono esplose in un’accezione diversa e molti prodotti sembra che quasi vogliano chiamarsi “zine” ma poi magari sono altro o guardano verso scenari diversi…
LC: Mi trovi d’accordo, è da un po’ che molti chiamano zine cose che poi non lo sono, posso solo confermartelo…
OS: Però da questo fronte Valeria Foschetti, la quale vede spesso progetti di diversa natura in ambito di autoproduzioni, mi ha fatto notare che oggigiorno se uno stampato vuole comunicare qualcosa, il “come” questo prodotto viene realizzato è secondario. Anzi, in particolare modo ci si discosta dal concetto primordiale di fanzine se ciò tu lo fai in vista di un ipotetico guadagno o come fonte di popolarità, spostandoti così più verso l’ambito dei magazine indipendenti i quali sono anche venduti in altri contesti e canali di distribuzione.
LC: Sì, se un progetto poi si distanzia troppo io per primo ti dico: «Compa’, questa cosa proprio non c’entra niente». Il concetto stesso di fanzine viene meno se tu hai l’intento e la possibilità, anche economica, di stampare qualcosa di più “ciccione”.
Raffaello Iacovazzi "Ricoverocoatto"
INTERVISTA 86 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
OS: In merito a questo discorso inerente al contemporaneo delle zine noto che tu, in maniera assolutamente legittima, usi molto Instagram per diffondere le tue pubblicazioni. Come intendi il mondo di Instagram e dei social relazionato al contesto delle fanzine?
LC: Allora “come intendi il mondo di Instagram” è una bella domanda e mi tocca fare nonno Simpson. Premettendo che io ho 36 anni, ai tempi di quando ero ragazzino capisci bene che avere 18 anni a Taranto significava che a livello di cultura, interessi, dischi ecc… ciò che arrivava era sempre quello che altri ti portavano da fuori. Insomma, prima su Internet non trovavi queste cose. Con il tempo sono arrivati i cosiddetti social, che io reputo utili, e volerli boicottare a
tutti i costi è un capriccio. Esistono, usiamoli, però ecco poi non ci fai la zine sfogliabile, magari ci metti dei contenuti in merito al tuo progetto ma sempre riservando al prodotto cartaceo una diversa importanza. Alla fine è tutta pubblicità, per quanto riguarda “Contenitori”, io andavo ad attaccare i volantini nei bagni dei locali che frequento, mentre per “Ovunque Proteggi” o altra roba ho deciso di farla girare su Instagram perché ci permette di raggiungere anche a distanza gente che altrimenti sarebbe difficile. E poi, i social sono sempre social, oggi va Instagram, prima c’era Whatsapp o Facebook, vanno e vengono. Le fanzine invece continuano ad andare avanti da anni, Instagram tra qualche anno che ne sai, magari collassa, anzi dal mio punto di vista di ex studente
"Sprocket Holes", n.3, Studio Volodja, 2020.
"Sprocket Holes - Summer on a solitary beach", Studio Volodja, 2020.
↘ Lorenzo Caleca, Studio Volodja e “Poesianellestrade”
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di scienze della comunicazione
Instagram è già in curva di discesa. I social a mio avviso lasciano il tempo che trovano, si mostrano utili qualora tu sai che c’è altra gente che fa ciò che fai tu, o vi è interessata, allora tu carichi lì ciò che fai perché altrimenti dovresti prendere la briga di far tutto di persona, e come si è visto negli ultimi anni è anche stato un po’ difficile. Poi ad esempio personalmente su Instagram non faccio altro che non faccio già nella vita vera, io so’ accussì, non sono un “personaggio” sui social.
OS: È però logico che, al di là delle immagini e della componente visiva, il messaggio che una zine porta con sé Instagram non lo può trasmettere… altrimenti queste non esisterebbero e nel 2022 nessuno continuerebbe a stampare fogli di carta.
LC: Sì, le zine vanno avanti negli anni, sono come i dischi autoprodotti, oggi magari non ha senso comprare un cd se lo stesso disco puoi sentirlo in streaming su Spotify, però magari se vai a un concerto il cd te lo compri.
↘ "Murismo Due", Lorenzo Caleca e Matteo Romano, Studio Volodja.
INTERVISTA
È lo stesso meccanismo, e tornando al discorso dei social penso che la fanzine sia più forte perché i social li piegherai sempre al prodotto vero e proprio, che poi è la fanzine stessa.
OS: Tornando a te e a ciò che mostri su Instagram, come spieghi, da un punto di vista prettamente inerente alla tua ricerca fotografica e che poi si riflette anche nelle tue zine, la scelta frequente di un’estetica in bianco e nero?
LC: Questa è una questione per cui anche i miei colleghi mi prendono in giro, io fotografo principalmente in bianco e nero perché credo, almeno da un mio punto di vista, di voler dare importanza al soggetto. Fotografo anche a colori, ma preferisco il bianco e nero perché credo che in questo modo puoi evidenziare le differenze di luce e i contrasti, dando così importanza al soggetto distogliendolo dal resto. Ci sono delle cose che però preferisco fotografare a colori, come i paesaggi della Bassa verso il Po… però di base fotografo la strada, e la strada non è fatta di spettacolarizzazioni ma vi sono più soggetti, di conseguenza uso il bianco e nero proprio perché io punto al soggetto. In particolare a me interessa raccontare come nel 2022 esistano ancora situazioni di disagio, come la presenza di un barbone sulla strada, e credo che il bianco e nero risalti maggiormente questo aspetto.
OS: Da questo spunto sulla strada e il disagio sociale che hai dato, deduco che il tuo messaggio sulla “Poesia nelle strade” sia questo, giusto?
LC: Sì anzi è l’anti poesia, “Poesia nelle strade” è ironico, non c’è niente di poetico in quello che faccio, fotografo principalmente quello che non va bene o che fa storcere il naso al benpensante medio.
La vera “poesia nelle strade” è il viverla, il che significa anche trovarsi in certe situazioni che siano ad esempio la tossicodipendenza. Se io per dirti fotografo una siringa, spesso alcune persone mi dicono: «Madonna, e proprio la siringa dovevi fotografare?» e io capisco che okay, ho fotografato pur sempre una siringa, ma dietro questo bisogna capirne il perché. La gente non si deve scandalizzare per la siringa in sé, ma si deve scandalizzare per il fatto che nel 2022 si creino ancora situazioni di squilibrio che portano la gente a consumare eroina in contesti che “casualmente” sono sempre contesti marginali. A mio avviso è questa la vera vergogna e qualora fotografo una siringa sto dicendo: «Mba’ non ti scandalizzare, non guardare il dito, guarda la luna!» Si tratta di un discorso molto provocatorio. “Poesia nelle strade”, che è un nome bellissimo e che ovviamente non ho inventato io, l’ho “rubato” da un sito che diceva: «Questo autunno cambia il mondo la poesia è nelle strade». Non faccio mai mistero da dove ho preso questo nome eh, è una citazione tratta da Majakowskij a Mirafiori, pubblicata su GIAP, il blog dei Wu Ming: https://www. wumingfoundation.com/giap/
OS: Al momento è l’unica ricerca che porti avanti, o c’è altro in corso?
LC: Il progetto principale è “Poesia nelle strade”, che si declina principalmente in fanzine e fotografia su pellicola, ma il concetto è sempre quello. In merito alla ricerca, io scatto molto con il cellulare perché è la tecnologia della nostra epoca, ma mi piace anche ibridare i diversi media. Con le fanzine ho un registro diverso che non è lo stesso per la pellicola, di base lancio lo stesso messaggio ma declinato di volta in volta in forme diverse.
↘ Lorenzo Caleca, Studio Volodja e “Poesianellestrade” 89
La ricerca è, o meglio vorrebbe essere dire: «Oh raga’, io faccio questo perché mi voglio esprimere così» e quindi prima o poi qualcuno sente che tu gridi un certo messaggio, magari si avvicina, si interessa e ti chiede di più. Tu butti semplicemente degli ami, se qualcuno abbocca bene, e noto che qualcuno che abbocca c’è sempre e sono gli stessi che ti dicono: «Ho visto quello che fai, troviamoci, becchiamoci!» Ad esempio c’è un ragazzo di Roma, Francesco Coccoli, che ha fatto un libro sul Rojava, il quale nel momento in cui io ho fatto uscire il mio primo libro fotografico (che a un certo punto ho fatto sparire ma tornerà come fanzine) mi ha contattato dicendomi che con le sue foto di ritorno dal viaggio in Rojava avrebbe voluto farci qualcosa. Lui ha scelto subito la forma del libro, perché è un prodotto editoriale più di spessore di una fanzine che merita una diversa attenzione e cura. Noi ad esempio ci siamo conosciuti su Instagram, e lui oltre al libro realizza pure delle fanzine, come una sui bianchi e neri di Roma, “Roma Amor”, e ancora un’altra, “Cemento”, chiaramente non sono zine fotocopiate anzi si tratta di prodotti curati, dai formati anche particolari con rilegatura in brossura. Rientrano nelle “fanzine” perché comunque lui racconta la strada, che tornando ad una delle prime domande, è sempre una tematica che strizza l’occhio a certe persone e a certi discorsi. Alla fine poi in ambito di zine, tutto si riallaccia a determinati contesti, torna sempre quasi tutto.
OS: È evidente dai diversi esempi che citi, quanto tu ne sappia su ciò che si muove nell’ambito delle fanzine soprattutto in Italia… cosa ne pensi del panorama fanzinario odierno?
LC: Alla fine è una cosa che mi interessa, quindi ci sguazzo tranquillamente dentro. Guarda, ti riciclo una risposta data in precedenza, ci sono fanzine e fanzine. Penso che la scena fotografica sia molto viva, penso che la scena indipendente sia molto viva, però credo che ci sia poco messaggio, potrebbe esserci di più ed essere più definito. Il messaggio non si è perso, ma c’è molta confusione, devi stare con le orecchie molto più tese per recepirlo al meglio. Mi scappano sempre ste’ citazioni quasi colte, però, la sai la storia della Torre di Babele, della Bibbia? Beh, gli uomini, che prima erano molto più uniti, ad un certo punto si credettero così importanti che provarono a costruire una torre per arrivare a Dio, il quale ad un certo punto disse: «A me la volete fare?» Praticamente fece crollare la torre e nel suo crollo cadde anche il mito umano. Bisognerebbe cominciare non dico a uniformarci, ma a parlare proprio di linguaggi e a mettere i “puntini sulle i”. A mio avviso è facile dire: «Io fotografo me stesso perché in questo modo voglio rappresentare la società contemporanea» ma secondo me non è così, o fotografi te, o rappresenti la società contemporanea, devi decidere cosa fare perché solo in questo modo ti puoi rivolgere a una certa persona che può recepire il tuo messaggio.
Lorenzo Caleca “Poesianellestrade”
A destra: ↗
"Ovunque Proteggi", Raffaello Iacovazzi, Studio Volodja, 2022.
INTERVISTA 90 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
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Lorenzo Caleca, Studio Volodja e “Poesianellestrade”
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Contrariamente, se ti rivolgi a tutti, è normale che devi fare una cosa universale, ma è impossibile che questo piaccia a tutti e che da tutti sia compreso, è quindi inutile. Affina il messaggio e rivolgiti a determinate persone, se poi ti accorgi di non avere una platea, addrizza il tiro, però riferendoti sempre a un preciso punto di partenza.
OS: Hai risposto a mille domande risolvendo diversi punti in un’unica questione. Sentirti argomentare la tematica è molto interessante.
LC: Ti ho detto, è una cosa che mi piace. Non vorrei nemmeno che diventasse un lavoro perché probabilmente comincerei ad odiarla. Credo che continuerò a fare questo nel tempo, magari migliorandomi per capire ancora di più dove puntare, così specializzandomi. Poi se le fanzine vanno avanti dagli anni ’80 circa un motivo ci sarà, una delle prime punkzine riportava i disegni delle varie componenti di una chitarra con la scritta: «Questa è una nota» oppure: «Questo è un accordo», e alla fine diceva: «Adesso forma una band». Una cosa talmente semplice e immediata con un messaggio fortissimo. Ecco perché continuerò a farlo, a sbatterci la testa tra alti e bassi, magari farò qualche libro fotografico ma una roba così schietta come la fanzine ci sarà sempre. Inoltre, mi piacerebbe pubblicare determinate tesi di laurea. Negli anni ho avuto modo di vedere ricerche di tesi di amici o conoscenti su roba incredibile, che hanno il potenziale per diventare progetti bellissimi ma che spesso restano chiusi in confini
molto accademici, dove alle volte i docenti stessi ti dicono di mettere dei tagli. Potrei farti mille esempi, ma in sintesi vorrei ripubblicare tutte queste tesi chiedendo a queste persone di farle pubblicare senza i tagli accademici, così come dovevano essere concepite inizialmente, spiegando e sottolineando che si tratta di tesi di laurea con tanto di riferimenti bibliografici e di ricerche. Chiaramente in questo caso non si tratta più di zine, ma di veri e propri libri di ricerca pubblicabili con casa editrice.
Vedi poi il discorso delle fanzine… il circuito ufficiale ti impedisce certe cose? E allora noi ci facciamo un circuito nostro. Tu non mi fai dire certe cose? E io te le dico comunque, poi vediamo… cosa devi fare? Mi devi censurare? Qual è l’arma a un messaggio? La repressione.
E chiù dde quand ne teniam c ccos a ma fa?
INTERVISTA 92 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
Un collettivo di 5 ragazzi decide in periodo pandemico di realizzare e stampare un progetto editoriale a Trani con l’obiettivo di dare spazio a giovani artisti e creativi pugliesi, nasce così “U_UZ3R”.
Durante gli studi avanzati si è constatato quanto oggi si delinea un confine sottile tra fanzine e magazine, e le interviste ai protagonisti di questo settore hanno saputo dare importanti riflessioni a riguardo. Pertanto, in seguito ad aver analizzato una panoramica delle zine e il lato più core di esse legato alla loro essenza e al messaggio comunicativo, e ad aver compreso quanto sia complesso stabilire cosa sia una fanzine e cosa no, è stato necessario, in seguito, porre l’attenzione sull’altra faccia della medaglia più tendente al contesto grassroots, dunque su progetti che usano il mantra della visualità del prodotto e del Graphic Design is content (chiave del secondo capitolo di questa ricerca) come essenza stessa del progetto editoriale.
Anche in questo caso, “U_UZ3R” si mostra una zine che grazie alla sua comunicazione social è riuscita a raggiungere gli occhi e le orecchie di una moltitudine di gente, tra cui la sottoscritta, ecco che Andrea Venditti, giovane visual designer pugliese nonché portavoce del progetto, non ha esitato a raccontare “U_UZ3R” con sincerità, definendola lui stesso una fanzine ma anche un magazine, o forse, più un magazine che una fanzine.
INTERVISTA 94 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
In conclusione a questa ricerca l’analisi di “U_UZ3R” si pone come un caso centrale ed esemplare di un istinto comunicativo genuino che si lancia, o per lo meno non chiude le porte, a territori nuovi, altri, più organizzati e strutturati, distanti dal settore fanzinario.
L’obiettivo dell’intervista non è stabilire se “U_UZ3R” sia o meno una fanzine o se in futuro diventerà un magazine di grosse tirature e portata più ampia, ma analizzare un contesto di limite in grado di esplicare una parte di ciò che oggi costituisce lo scenario contemporaneo delle zine, nelle loro diverse e infinite manifestazioni. E dunque, cambia la forma, si valuta la rimodulazione di un progetto, ma ciò che resta è l’intento e l’indole di divertimento che spinge dei giovani a creare un prodotto editoriale, una zine, e se questi ragazzi sono, come nel caso di Andrea e dei suoi colleghi legati al mondo del graphic e visual design, la fanzine sarà inevitabilmente lo specchio di questa estetica, destrutturando i confini.
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ANDREA VENDITTI E “U_UZ3R”, TRA FANZINE E MAGAZINE
OS: Per prima cosa vorrei chiederti, com’è nata l’esperienza di “U_UZ3R”?
AV: Allora, fondamentalmente l’idea di creare questo magazine/ fanzine (dico magazine perché, come ovviamente tu avrai avuto modo di scoprire, il nostro si allontana un po’ da quelle che sono le fanzine abituali, perché la mia formazione da architetto e graphic designer ha portato su una linea editoriale più “curata”) nasce perché eravamo ancora in pandemia, tutti rinchiusi in casa privi di stimoli e di cose belle da fare, e ho pensato insieme agli altri (siamo in 5) che servisse un output per noi creativi, qui in Puglia, dove poter raccontare il proprio lavoro, ciò che facciamo e che ci porta ad esprimere le nostre creatività in campi artistici dalla fotografia, alla scrittura, il videomaking, la composizione musicale ecc… L’idea era quella di creare una sorta di spazio, che per ora è quello fisico del magazine, ma che vorremmo portare anche online, con un sito web e anche un portale, dove far confluire idee, progetti e creatività. Fra di noi ci siamo io e la mia collega Sara che ci occupiamo principalmente di grafica in quanto siamo graphic designer, Fabrizio si occupa prevalentemente di fotografia, e poi ci sono altri due ragazzi, Luca si occupa di comunicazione e musica, Gianni invece scrive e fa anche lui musica. Quindi è una roba molto eterogenea, non abbiamo una redazione improntata sull’editoria.
OS: È nato tutto in termini di “gioco” in qualche modo…
AV: Sì, anche perché eravamo lì privi di stimoli da parte del mondo esterno, essendo rinchiusi in quarantena, lockdown ecc… quindi per darci anche una motivazione nel fare cose belle, nel volerci stimolare a vicenda, abbiamo pensato di creare questa realtà, questo magazine, questa fanza.
OS: Come mai avete deciso di creare qualcosa di propriamente cartaceo?
AV: Personalmente a me piace molto collezionare magazine e fanzine, trovo questo mondo molto interessante, e dall’altra parte nel mio lavoro, quello di graphic designer, io mi occupo principalmente di identità aziendali (brand identity), e spesso il mio lavoro non riceve un output fisico, quello che io faccio, i progetti a cui lavoro, finisce spesso sui social o siti web. È raro che io riesca a lavorare con la carta stampata, che trovo sia una cosa bellissima. Questo trend al contrario per cui magari non si stampa più spesso, c’è tanto digitale e si fanno tante cose in digitale, era anche un modo per ritornare, se vogliamo, alla produzione cartacea, alla stampa e a qualcosa di più tangibile che ti rimanga. Anche questo discorso quindi ci ha fatto optare per questo tipo di soluzione. Poi romanticamente il fatto di avere su uno scaffale qualcosa di progettato, realizzato e stampato da te è qualcosa che ci allettava.
OS: Hai fatto un’importante riflessione, ossia che lavorando come graphic designer ti trovi spesso a progettare qualcosa di immateriale, quindi questa opzione è stata un modo per dire: «Beh, sai che ti dico, al diavolo tutto, ora faccio una cosa mia!»
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AV: Sai com’è, uno lavora tanto con i social, progetti i contenuti per le pagine e queste cose qui, e sono tutte cose che nell’arco di due settimane spariscono dal feed o dalle storie, sono contenuti volatili. L’idea di avere qualcosa di tangibile, è molto bella.
OS: Tornando a una domanda iniziale, hai detto che “U_UZ3R” sì, è una zine, ma al tempo stesso è anche un ibrido tendente molto al concetto di magazine (questo confine sottile tra le due cose è il fulcro della mia ricerca), dunque perché avete deciso di chiamare il progetto “zine”,delineando così un allineamento verso il mondo delle fanzine?
AV: Ti spiego un po’. Noi inizialmente volevamo fare una fanzine, qualcosa di un po’ più sporco e grezzo se vogliamo, senza dare troppa importanza alla carta che sceglievamo,
all’impaginazione, alla produzione ecc… Una volta scelto il tema, che l’ultima volta era quello di “fluido”, quello che abbiamo fatto è stata una sorta di call, abbiamo visto il feedback ricevuto e ci siamo resi conto che la maggior parte del materiale che ci è stato regalato dagli artisti che hanno contribuito era tanta roba, era molto bello. Quindi l’idea di fare una produzione interna nostra, una fanzine autoprodotta che viene fatta a casa nel proprio studio senza disporre di stampanti particolari e senza porre troppa attenzione alla tipologia di stampa, nel momento in cui ci siamo resi conto dei lavori che stavamo ricevendo abbiamo pensato che sarebbe stata una cosa che non gli avrebbe reso tutta la giustizia che noi volevamo, e sarebbe stato un passo falso.
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Inizialmente volevamo fare una roba più artigianale e casalinga, però nel momento in cui abbiamo ricevuto tutti questi contenuti, abbiamo visto che la qualità poteva avere un output più “pettinato”, ci siamo detti: «Perchè no?!» Io e la mia collega Sara abbiamo comunque esperienza in ambito di cataloghi e brochure, e quindi abbiamo pensato che anche questo progetto potesse avere una simile cura progettuale. Ci sentiamo comunque vicini a quel mondo, a livello di tematiche e approccio, semplicemente quello che noi abbiamo cercato di fare è stato darle una veste più grafica.
OS: In realtà mi hai illuminato, perché non avevo mai riflettuto sul fatto che la scelta grafica e tecnica del progetto ruota intorno agli artisti che vi hanno contribuito. Effettivamente un progetto di stampo diverso non avrebbe reso giustizia ai protagonisti creativi di questa issue.
AV: Quello che noi abbiamo pensato è che se l’avessimo prodotto noi internamente, probabilmente tutto lo sforzo delle persone che hanno contribuito a livello grafico e artistico poteva essere non dico vanificato, ma sicuramente non valorizzato quanto avremmo voluto. L’idea era proprio di valorizzare il lavoro di artisti, graphic designer, illustratori, fotografi che ci hanno regalato la loro interpretazione del fluido, e quindi non volevamo che ciò non avesse poi il giusto output. Abbiamo quindi preferito la tipografia, parlare con chi è del settore e chiedere: «Allora noi vogliamo fare sta roba, vogliamo fare tot. copie, quanto ci costa?»
OS: Effettivamente anche la scelta della carta stessa da un sacco rilievo a ciò che c’è dentro le pagine, tra l’altro molte di queste persone che hanno contribuito le conosco e mi ha fatto molto piacere vedere i loro lavori
all’interno del progetto. Stavo riflettendo proprio adesso, qui con te, che vi è il legame con la fanzine perché tu stesso hai detto che gli artisti coinvolti hanno regalato a “U_UZ3R” del materiale. Non vi è un’ottica di commercio dietro la questione, e lo sharing di contenuti e materiale da parte dei creativi coinvolti è da sempre alla base delle fanzine, a cominciare da quelle dalla veste più punk e grezza.
AV: Sì, ci tengo a fare una piccola precisazione. Il nostro progetto è completamente non-profit, quello che noi abbiamo ricavato dalla vendita del primo numero lo abbiamo tutto reinvestito nel secondo, a cui stiamo lavorando in questo momento. Il nostro progetto è senza scopo di lucro, proprio perché lo stiamo facendo per passione, non abbiamo intenzione di farci un guadagno su questa cosa. Noi all’inizio abbiamo fatto un crowdfunding per sostenere le spese di stampa del primo numero, siamo riusciti a mettere su un po’ di soldini e tutto quello che poi abbiamo ricavato dalla vendita è tornato in rotazione per un fondo cassa al fine di una prossima stampa, e anche per ciò che abbiamo comprato in termini di attrezzature (magari serviva il tavolo o roba per i banchetti ecc…). Perché noi poi “U_UZ3R” lo abbiamo portato un po’ in giro l’anno scorso, siamo andati a qualche festival e queste cose qui…
OS: Me lo ricordo, infatti anche aver fatto conoscere il progetto in certi luoghi, dalla bancarella al festival dell’ex Caserma Rossani, contesti che ruotano tutti intorno a uno stesso ambito, fa trasparire che il progetto non mostra secondi fini dietro.
AV: Assolutamente. Ma anche perché secondo me per fare una cosa del genere a livello professionale serve una redazione a tutti gli effetti e un team più folto. Come ti ho detto stiamo lavorando adesso al secondo numero e ci siamo resi conto che all’interno
INTERVISTA 98 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
del nostro collettivo, noi siamo in 5, solamente io e Sara siamo quelli che concretamente possono impaginare, dall’altra parte c’è chi si deve occupare della redazione degli articoli, deve scrivere, deve contattare… Diventa, se vogliamo, a tutti gli effetti un lavoro questa cosa.Avendo già un lavoro e facendo questa cosa per passione, capisci bene che comunque toglie tanto tempo. Quindi se l’avessimo voluto fare come lavoro avremmo dovuto lasciare qualche altro lavoro alle spalle. Noi lo stiamo facendo per passione e per voglia di farlo, i tempi dunque sono molto allungati, però ci teniamo a portare avanti questo progettino.
OS: Il fatto stesso che un nuovo numero già “bolle in pentola” non è una cosa scontata, perché il progetto poteva cessare con un unico numero e invece sta continuando, significa che la cosa vi piace davvero.
AV: Sì perché l’idea era di fare proprio (magari parlo di magazine a questo punto) un magazine che fosse annuale, pubblicando ogni volta un numero diverso con un tema diverso che racconti sempre l’ambiente Puglia da differenti punti di vista. Il secondo numero a cui stiamo lavorando sarà meno improntato sulla questione visual e più sulla questione testuale, abbiamo contattato più scrittori e scrittrici e meno illustratori e illustratrici, sarà più discorsivo. Volevamo più avvicinarci al mondo delle “Torazine”, che chiaramente penso tu conosci, e a quel tipo di impostazione riguardo i contenuti, mantenendo sempre una linea grafica più progettata ma con
più contributi testuali, più articoli, più inchieste, insomma più scritto.
OS: Continuerà comunque ad esserci l’elemento chiave degli artisti e dei creativi?
AV: Certo, diciamo che uno degli ostacoli che stiamo trovando per questa seconda uscita è continuare a mantenere la questione strettamente relativa alla Puglia. Come puoi immaginare, chi ha contribuito al primo numero sono stati in tanti ed erano artisti e artiste più o meno vicini al nostro territorio, zona BAT, Bari, nord barese e sud barese… più o meno eravamo tutti di queste parti. Quello che noi stiamo cercando di capire è se ci sono (e ovviamente ci sono) altri creativi e creative nelle altre province, noi vorremo arrivare a Foggia, Taranto Lecce, Brindisi. Perché sì, vogliamo fare una roba pugliese ma se dovessimo fermarci ai nostri contatti più vicini, forse potremo arrivare a 3 zine e alla quarta non sapremmo più chi chiamare. Per quanto ci sono artisti e artiste che ci piacerebbe ricontattare per questo numero, preferiremo includere gente diversa.
OS: Nel momento in cui ti discosti dal centro barese si deve creare anche una rete di contatti diversa…
AV: Sì infatti stiamo anche facendo una sorta di operazione di scouting su Instagram, cerchiamo contatti di contatti, qualcuno che si avvicini alla nostra estetica, al nostro obiettivo, per vedere se in tal modo può funzionare questa cosa.
Andrea Venditti e “U_UZ3R”, tra fanzine e
U_UZ3R ↘
magazine 99
INTERVISTA 100 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
OS: Hai accennato a Instagram, e dato che io vi seguo già dallo scorso anno mi ricordo che, prima ancora uscisse il numero cartaceo, usavate molto il social per la comunicazione del progetto. Come si relaziona per voi l’uso di Instagram per un progetto stampato, cartaceo, e che quindi gira poi in maniera totalmente diversa?
AV: Okay, allora quello di Instagram è chiaramente un mezzo, uno strumento fondamentale secondo me, “purtroppo” per qualsiasi cosa che uno fa, produce e crea in questo momento storico. Quindi l’idea di avere un profilo Instagram era ovviamente propedeutica a poi l’uscita del magazine fisico. Quello a cui ci è servito Instagram era creare hype sul progetto, fare in modo che si iniziasse un po’ a parlare di questa cosa, attraverso immagini e video, creando un po’ curiosità, movimento e fervore sul progetto che da lì a poco avrebbe visto la luce. Abbiamo così creato una piccola campagna di lancio, io in primis ho fatto i classici video-selfie in cui dicevo: «Stiamo per pubblicare questo magazine, ci servono dei soldini per pubblicarlo, se vuoi fare una donazione c’è il crowdfunding». Banalmente, il ruolo che Instagram ha giocato è stato quello di comunicare ciò che stavamo facendo. Poi ovviamente ci sono state tante persone che ci hanno scritto e che grazie a Instagram hanno acquistato il magazine.
OS: Io sono tra quelle persone venute a conoscenza del progetto grazie a Instagram, la comunicazione che si è creata è diventata così capillare da raggiungere più persone affinché potessero conoscere il progetto e poi magari acquistarlo se questo suscitava loro interesse…
AV: Sì, poi Instagram se vogliamo ci da una mano a coprire interamente l’idea di “U_UZ3R”, che è quella di avere un portale sia fisico che virtuale. Grazie ai repost, grazie alle pubblicazioni di artisti e artiste che hanno contribuito, chi magari non compra il magazine segue la pagina e riesce comunque a scoprire queste persone coinvolte nel progetto. Noi abbiamo fatto dei repost di tutti coloro che ci hanno dato una mano alla creazione del primo numero in modo tale da dare anche un output, una vetrina a loro stessi. Magari uno non si compra il magazine, non ha modo di scoprire che, ad esempio una persona “X “ha fatto una fotografia, una serie per il primo numero di “U_UZ3R”, poi però finendo sul profilo di Instagram vede: «Ah! C’è “X”, fammi vedere chi è e cosa fa!». L’idea generale era creare una sorta di coscienza di massa su quello che facciamo, sul nostro lavoro…
OS: Trasmettete così un messaggio positivo volto a far vedere e far conoscere chi è della Puglia e “fa cose”, di conseguenza anche l’uso di Instagram è molto utile a questo proposito…
AV: Sì, poi purtroppo o per fortuna, il primo numero lo abbiamo stampato veramente in tiratura limitatissima, erano solo 100 copie ma principalmente per una questione di costi, se devo esserti sincero. Avendo comunque un budget limitato, e inoltre a tutti coloro che hanno contribuito noi abbiamo regalato una copia del magazine, alla fine ne erano rimaste anche pochine, quindi i numeri sono finiti, e sono finiti presto.
↘ Andrea Venditti e “U_UZ3R”, tra fanzine e magazine 101
Se il nostro obiettivo è quello di far conoscere e raccontare i creativi pugliesi, con poche copie, almeno abbiamo la pagina Instagram che può dare visibilità a queste persone!
OS: Volevo chiederti, tu hai parlato di “U_ UZ3R” come un progetto situato a metà strada tra fanzine e magazine, e che al momento si distribuisce attraverso canali di nicchia. Voi pensate che il progetto in futuro possa assumere forme e declinazioni diverse?
AV: Allora, io non ti nascondo che ne abbiamo parlato tra di noi. Personalmente, ci vedo un piccolo potenziale anche grazie ai feedback dopo l’uscita del primo numero. Si può dire che sia stato una sorta di esperimento, abbiamo visto come interfacciarci con questo mondo, abbiamo capito un po’ di cose, abbiamo stampato la nostra prima pubblicazione, è andata bene, ci è piaciuta, è piaciuta… a quel punto ci siamo detti: «Okay raga, allora questa
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cosa potrebbe funzionare, potrebbe essere una cosa bella da portare avanti!». Quindi non ti nascondo che stiamo cercando di capire in che modo questa cosa potrebbe evolversi, nel senso che ci piacerebbe mettere su una piccola redazione, dare al progetto una forma più strutturata, a livello di team, di persone che ci sono dentro, di flusso di lavoro e di organizzazione, proprio perché sarebbe bello che questa cosa diventasse sistematica e anche quasi “automatizzata”. Ossia cercare di capire con i giusti tempi e la giusta organizzazione di cosa vogliamo parlare e come vogliamo farlo, con dei canali anche più “seri” come magari un sito web dove poter a tutti gli effetti produrre e distribuire questo magazine annuale. Fare in modo anche che siano gli artisti stessi ad arrivare a noi, e non noi agli artisti e artiste, affinché questa cosa giri e raggiunga altra gente, che questa gente magari ci può dare una mano e può diventare parte del prossimo numero. Inoltre, una cosa che in realtà noi abbiamo provato a fare l’anno scorso, ma che per mancanza di tempo non siamo riusciti a portare avanti, era veramente pensare a un numero annuale del magazine, e poi (mi fa ridere questa cosa) nel corso dell’anno, fare due fanzine, o una fanzine. Cioè, avere il progetto principale che si chiama “U_UZ3R”, e poi la sua versione fanza chiamarla “LO_OZ3R”! Cercare dunque di fare, nel format che noi
conosciamo della fanzine, un prodotto più “semplice” con lo stesso format di “U_UZ3R” ma con un output grafico e di stampa meno impegnativo.
E quindi “U_UZ3R” come magazine, che esce annualmente, e “LO_OZ3R” come fanzine che esce ogni tanto.
OS: Fantastico! Oltretutto posso dirti che l’ipotesi di realizzare magazine e fanzine insieme non è molto comune, per voi sarebbe un punto a favore che richiama anche l’intento iniziale con cui il progetto è nato.
AV: Esatto, noi siamo partiti che volevamo fare una cosa punk, e ci credevamo, volevamo proprio farla così! Poi sono successe queste cose, sono arrivate queste bombe a mano di contributi, e ci siamo detti: «Raga, ne vale la pena così?” Alla fine siamo comunque contentissimi di ciò che è venuto fuori, però proprio perché volevamo fare una roba più grezza abbiamo detto: «Dai, pensiamo di fare una cosa su due livelli». L’idea c’è, ci gasa tutti, solo che tra lavoro e tempo…
OS: Io penso che questo sia un bel risvolto che potete dare a “U_UZ3R”, e chiamare questa declinazione del progetto “LO_OZ3R” è incredibile!
AV: “LO_OZ3R” è proprio carino! Infatti la pensavamo con le due “o” al posto delle due “u”, tipo “LO_OZ3R”!
↘ Andrea Venditti e “U_UZ3R”, tra fanzine e magazine
2PDX studio A destra: ↗ "U_UZ3R", Fluid Issue, Mockup, Trani, 2021.
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OS: In ultimo, per quando riguarda la tua professione e lo studio 2PDX, da quanto va avanti e cosa puoi dirmi in merito?
AV: Lo studio io l’ho aperto con Sara insieme ad altre due persone che però non centrano con “U_UZ3R”, e lo abbiamo aperto due anni fa. Io ho sempre lavorato come freelancer negli ultimi 5 anni, e poi un annetto per uno studio qui a Bari. Poi pandemia, smart working ecc… non ce la facevo più a stare a casa, e abbiamo preso uno studio. Al momento siamo ancora 5 freelancer che però lavorano insieme sotto lo stesso tetto. Una sorta di collettivo anche questo. Io penso che nella nostra zona, qui, di lavoro da fare ce n’è tanto. Ci sono tante realtà che hanno bisogno di questo tipo di lavori, semplicemente non c’è ancora
una vera coscienza nel voler affidare determinati lavori a persone che lo fanno in modo competente piuttosto che al classico “cugino che anche lui lo sa fare”. Grazie a una rete di contatti che io negli anni mi sono costruito arrivano progetti da Margherita di Savoia, Giovinazzo, Bari, ora stiamo lavorando anche per un progetto a Torino e uno a Firenze. Fortunatamente grazie ai contatti e al passaparola c’è sempre da lavorare! Di cose da fare qui ce ne sono, soprattutto secondo me ciò che riguarda un buon lavoro di comunicazione (e per “buon” intendo un lavoro fatto con criterio non per forza “bello”, il bello magari è anche soggettivo), di grafica, di rebranding, di visual design, è un ambiente che si sta muovendo e che si sta evolvendo in questi anni.
È solo l’inizio insomma. �
INTERVISTA 104 03 UNO SCENARIO CONTEMPORANEO
CONCLUSIONI
Formulare delle conclusioni si mostra un percorso arduo.
Lo studio in questione non si è mai posto come obiettivo primario quello di voler essere esaustivo nel raccontare o descrivere a 360° la tematica. Per farlo occorrerebbe disporre di determinati mezzi e conoscenze che non possono essere ridotti ad una tesi di laurea triennale, e sicuramente personalità esperte del settore fanzinario, come quelle citate o intervistate all’interno di tale ricerca, potrebbero delucidare ogni riferimento mosso sino a questo momento con commenti più mirati e approfonditi. Pertanto si considera che è l’esperienza (visiva e di ricerca) nel settore delle zine a giocare un ruolo imprescindibile nell’ambizione di voler parlare di esse. Ecco che questa ambizione, rapportata allo studio in oggetto, si è modulata nel corso dei capitoli all’aspetto visuale di una zine, al suo contributo creativo in termini di design e all’analisi delle manifestazioni estetiche che questa può assumere. E anche in questo caso più circoscritto, l’impresa non è risultata meno ostica.
Come si è visto, il banale intento di descrivere una fanzine nella sua essenza è complesso, ma si auspica che da queste righe sia emerso che un foglio di carta piegato e spillato che intende parlare di qualcosa, che vuole comunicare un messaggio, può essere considerato una zine. Tuttavia stando a questo assunto, ogni foglio spillato potrebbe essere associato a una zine, eppure non è così. Le parole di Lorenzo Caleca delucidano la questione: «Io ti posso dire che ci sono delle cose che sono fanzine, quello che non è fanzine è molto difficile da definire.» Si può essere concordi con questa affermazione perché si evince che dare
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rigide classificazioni è complicato, e come si è visto l’aspetto grafico e il visual design di una zine può rimarcare confini labili tra il settore fanzinario e il mondo dei magazine indipendenti. Eppure ciò che si può fermamente sostenere è che dagli anni ’80 a questa parte si continua a pensare alle zine e di conseguenza a realizzarle diffondendo questa forma di comunicazione. Voler comunicare con i propri simili è un istinto umano, e la fanzine si pone in questo scenario come un istinto comunicativo trasposto su carta.
Riprendendo il filo del discorso, l’analisi in esame ha trattato la fanzine non dai suoi esordi, seppur citandoli, ma dal momento in cui le sottoculture si sono poste rilevanti in questo quadro al fine di volersi raccontare e di voler comunicare usando il medium cartaceo al massimo del suo potenziale espressivo. È questo il punto di non ritorno che segna inevitabilmente un cambio di rotta all’interno di un contesto, quello dell’editoria indipendente, ponendo il mezzo nelle mani di giovani menti in esplosione capaci di far scoppiare una “bomba di carta” che non è più solo politicizzata e antagonista come negli anni dell’Underground press, ma al contrario da questo momento si veste di creatività destrutturante e sperimentalismi ineguagliabili per il loro tempo storico grazie alle fanzine del periodo, aventi un eco così potente da essere ancora oggi attuali. I casi di zine trattati nel primo capitolo come “T.V.O.R.” o “IG Times” sono esempi, pochi fra i tanti che si potrebbero argomentare, testimoni di un cambiamento mosso dal basso e combattuto con forbici e colla quali armi, che conduce gli anni ’80 delle native sottoculture agli anni 2000 del digitale, dove le fanzine resistono ma mutando la loro estetica.
Ecco che il design grafico trova un posto di rilievo nel secondo capitolo, analizzando differenze e analogie che dal 2000 e in seguito all’avvento del web la fanzine mostra con il suo contesto di limite più vicino al mainstream, il mondo dei magazine indipendenti. La teoria vincente, chiave di lettura del settore delle autoproduzioni cartacee odierne, è quella del Graphic design is content, a partire da cui si è tentato di tracciare un disegno di massima sul panorama contemporaneo delle zine in relazione al contesto dei social network con cui
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queste oggi si interfacciano, argomentando il tutto con esempi concreti e centrali per il terzo capitolo quali le interviste ad alcuni protagonisti della scena pugliese che hanno saputo raccontare diverse attitudini e approcci in termini di output e messaggio all’interno di uno stesso contesto fanzinario. Ciò che è emerso è che ci sono fanzine e fanzine, e che ciò che Valeria Foschetti ha definito come il «contemporaneo delle zine» è un contenitore fluido di autoproduzioni diverse, un concetto importante quanto il passato e la storia delle fanzine, poiché indipendentemente dalla forma l’elemento immutabile di questo tipo di esoeditoria è sempre, da sempre, un’urgenza, ossia quella di comunicare.
Dunque le fanzine, che come si è visto persistono negli anni nelle diverse declinazioni estetiche e forme progettuali, non sono soltanto prodotti editoriali amatoriali oscillanti tra estetica punk e layout grafico all’avanguardia, bensì mostrano un contenuto, le fanzine raccontano. Per studiare ed apprendere sulle fanzine, oltre a leggere i pochi testi che vi sono sulla tematica, è da manifestare la necessità di osservarle nella loro essenza, comprenderle, captare il messaggio, identificare l’intento, sfogliare le pagine e odorare la carta, stupirsi dinanzi al loro design che, sia nella spontaneità che nella ricercatezza grafica, è capace di comunicare qualcosa. Pertanto si reputa che giunti alla conclusione di questa ricerca il concetto fondamentale da sottolineare (rispetto al resoconto di sintesi sulle opinioni avanzate nel corso della tesi) è l’importanza di fare cultura sulle zine in modo tale da poter imparare da esse in termini di comunicazione e di visual design, in quanto lo scenario delineato nei capitoli precedenti rivela un’effettiva carenza di consapevolezza sulle fanzine in merito alla loro carica creativa e al loro contributo alla grafica contemporanea.
Ebbene, non si ritiene che ognuno debba necessariamente realizzare la sua personale zine (o per lo meno non è questo l’obiettivo), però si comprende come potenzialmente ognuno di noi potrebbe farlo, e questo gioverebbe sia in termini di creatività che di libertà espressiva. Se si intende (e così è da intendersi alla luce degli studi fatti) la zine come un territorio editoriale libero e un potente mezzo comunicativo dove nessuno può imporre regole dall’alto, ogni personalità creativa dovrebbe almeno una volta interfacciarsi con il concetto di D.I.Y. inteso come design it yourself volto a sperimentare la visualità di un prodotto editoriale cartaceo, da intendere sia nel suo aspetto analogico, prassi negli anni dell’Alternative press, sia in un’accezione contemporanea associando la teoria del design it yourself alle potenzialità dei mezzi di impaginazione e di grafica che si usano abitualmente oggi e che sono alla portata di tutti.
Attualmente le fanzine non sono “roba da manuale” di cui si può apprendere attraverso libri di testo universitari, non sono oggetto di studio di cui parlare durante lezioni di graphic design, neppure se queste sono tenute dal docente più esperto (salvo che questo non sia, ad esempio, un vecchio punk). Non si può googlare “come fare una fanzine” o imparare a farlo tramite corsi online o video Youtube, allo stesso modo in cui non si può comprendere una sottocultura o qualsiasi movimento sociale nato dal basso leggendo esclusivamente su Internet o su Wikipedia ciò che si menziona a riguardo. Le fanzine appartengono ad un altro universo con cui si può entrare a contatto solo se tu decidi di coltivare un interesse sulla tematica, frequentando dei contesti che aprono le porte a forme di comunicazione altre e non convenzionali, e solo se chi racconta questo universo cartaceo è in qualche modo interno alla tematica o personalmente coinvolto.
Ciononostante sarebbe opportuno parlarne di più e incrementarne la cultura anche in contesti ufficiali ed istituzionali affinché si possa ampliare il raggio di gente che potenzialmente
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può venire a conoscenza del fenomeno, allo stesso modo comprendendo quanto questo, per sua natura, non sia classificabile in gabbie definite o presentabile in vesti ufficiali, ma sia da intendersi come una forma di comunicazione creativa fluida ed elastica estremamente alla portata di tutti. Conoscere la storia “ufficiale” dalle correnti artistiche e grafiche sino agli artisti e ai designer più celebri è importante, ma conoscere la storia fatta da persone comuni, da ragazzi, da culture nate dal basso e da fogli fotocopiati e scambiati in luoghi non istituzionali come uno skatepark o un centro sociale è altrettanto importante, e ad affermarlo sono diversi designer i quali si sono battuti in questo argomento al fine di riconoscere una maggiore importanza al fenomeno delle fanzine, come si è potuto esaminare nel primo capitolo citando l’intervento di Ian Lynam, insegnante di design coinvolto nel progetto “Hardcore Fanzine: Good and Plenty”.
Definire i bordi e i limiti di un determinato spazio, e in editoria questo spazio si identifica nella carta, fa sì che il fermento giovanile con la sua carica esplosiva esca dai bordi, rompa le griglie, distrugga le imposizioni, ed in grafica, i layout. Un pratico esempio di una forma editoriale strutturata e regolamentata è la tesi di ricerca come conclusione di un percorso universitario, una gabbia graficotipografica sottoposta a regole e norme redazionali che variano di università in università, la quale spesso condiziona la progettazione e il mind blowing di uno studente che non sempre si trova preparato ed allenato a scavalcare questo muro. Non è questo un caso, si ricorda che il bambino è istruito sin dai suoi primi anni di vita a colorare nei bordi un disegno predefinito e scelto dal suo insegnante, e invece bisognerebbe comprendere che i bordi di un disegno e i margini e le righe di una pagina sono importanti in quanto guide, ma talvolta uscire dai bordi e rompere le righe e le regole è la mossa vincente per esplorare le proprie potenzialità e per creare qualcosa di nuovo.
Si considera che questo stesso progetto di tesi non si discosta di molto dall’immaginario comune e dalla critica mossa, perché le parole e le azioni viaggiano su strade ben
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diverse, ma ad ogni modo, alla luce del contributo che uno studio sulle fanzine come forma di comunicazione ha potuto dare, risulta che l’elemento mancante o posto in secondo piano nei progetti di tesi e di ricerca, specie in un’istituzione di formazione artistica quale l’Accademia di Belle Arti, è la componente creativa la quale, se la si vuole relazionare all’attività di uno ziner, è l’ingrediente principale da cui bisognerebbe apprendere. Probabilmente imparare dalle zine e sperimentare con esse contribuirebbe ad allenare la propria mente ad uscire da schemi mentali predefiniti, a trovare soluzioni elastiche e fluide di progettazione, a formare una cultura visiva in continuo aggiornamento, ma soprattutto a saper comunicare un determinato messaggio. E spesso queste skills, da reputare fondamentali per il futuro di ogni giovane adulto e creativo, l’istituzione non le insegna o le insegna sotto forma di regole che spesso si assecondano senza davvero comprenderle a fondo, a partire da un banale esame sino poi alla tesi di laurea.
Contrariamente, nel momento in cui si fa una cosa per svago, senza guardare a un esito, a un voto, a un profitto o a un interesse specifico, e nel momento in cui ciò non si pone come un lavoro imposto dall’alto, ci si può permettere di sperimentare, di sbagliare e di apprendere anche dai propri errori, essenziali per costruire un bagaglio di esperienza creativa. I casi Studio Volodja e “U_UZ3R” consentono di capire, anche se in limitata scala, quanto il mondo delle fanzine sia estremamente attuale e vivo, quanti input può dare in termini di creatività, quanti stimoli ed intenti dalle diverse attitudini dialogano in piccoli stampati cartacei, e quanto questi possono comunicare con semplicità un preciso messaggio. E se un domani non si proverà a realizzare per passatempo una zine, si consiglia allora di sfogliarne alcune, e ci si augura che tale studio sia servito ad accendere un lume sulla questione,
tentando di raccontare la fanzine all’interno di uno scenario contemporaneo in cui si deve molto alla lezione dell’underground che oggi prosegue però su binari diversi dal passato, sui quali viaggiano sempre più treni con destinazioni diverse, i quali alle volte possono incontrarsi metaforicamente alla stessa fermata, in termini di visual design o di intenzione.
A favore di questa tesi volta a rimarcare l’importanza di una fanzine all’interno di uno scenario sociale e comunicativo, ma in particolare modo visivo e grafico, molti ziner punk degli anni ’70-‘80 oggi sono grafici o fotografi di tutto rispetto, e lo sono grazie alle fanzine che all’epoca erano per loro un semplice output ricreativo e di distrazione senza impegno. E dunque, ribadendo che le fanzine si collocano nello scenario contemporaneo come estremamente attuali quanto essenziali allo sviluppo dell’estro creativo in linea alle tecnologie dei propri tempi, si pone un punto finale al discorso citando un’ultima volta l’ex fanzinario Luca Frazzi:
«[…] le fanzine sono il sale dell’underground e l’underground è il nostro ossigeno. […]
Da noi si scrive, taglia, incolla e fotocopia da quasi 60 anni. Il succo è: ho una cosa da dire e la dico con i mezzi che ho a disposizione.»
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Si ringrazia la partecipazione attiva degli intervistati per la loro disponibilità e per il loro contributo fondamentale alla stesura di questo progetto di ricerca, i quali hanno gentilmente rilasciato non solo interventi ma anche materiale visivo di supporto per lo studio in questione. Nello specifico, si ringrazia la collaborazione di ↘ Valeria Foschetti ↘ Lorenzo Caleca ↘ Andrea Venditti (assieme ai ragazzi di “U_UZ3R”). �
EDITORE:
Ornella Susca
ART DIRECTION
& GRAPHIC DESIGN:
Ornella Susca
COVER DESIGN: Ornella Susca
CONTRIBUTI:
↘ Valeria Foschetti
↘ Lorenzo Caleca
↘ Andrea Venditti
FONT:
Apfel Grotezk Fegular
Apfel Grotezk Fett
@Collletttivo
STAMPA:
Copynet s.r.l. Bari
Finito di stampare in data 20 Luglio 2022.
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