gsh
Elisabetta Girelli
1
ANNO XXI
Due donne un carisma
Maddalena Girelli
marzo 2016
gsh Sommario 1) Anno Giubilare della Misericordia.........................................pag. 3 2) I Santi Bresciani volti della Misericordia...............................pag. 4 3) Dolcezza e Misericordia in S. Angela Merici..........................................pag. 6 4) Messaggio di Papa Francesco per la quaresima..............................................pag. 8 5) La perseveranza...............................................pag. 12
Pubblicazione sulla spiritualitĂ delle sorelle Girelli - Anno XXI, 2016, n. 1 a cura della Compagnia S. Orsola Via F. Crispi, 23 - 25121 Brescia Tel. 030 295675 - 030 3757965 Direttore Responsabile: D. Antonio Fappani
2
gsh Anno Giubilare della Misericordia Papa Francesco ha indetto l’anno giubilare della misericordia. L’11 aprile 2015 ha emanato il documento di indizione, dal titolo “Misericordiae vultus”. Ecco l’introduzione:
1.
Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (1.Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.
3
gsh 2.
Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.
3.
Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
I Santi Bresciani volti della Misericordia La bolla dell’anno giubilare è intitolata il “volto della misericordia”. Il volto è la porta della persona: di ingresso, perché attraverso di esso si percepisce qualcosa della sua interiorità; di uscita, perché coi lineamenti del volto fa conoscere come è disposto a mettersi in relazione con gli altri. Il volto delle persone che conosciamo identifica il volto come termine generico. Quando si parla del volto dei genitori, ai figli viene in mente il volto dei loro genitori. Se si parla del volto dei preti, viene in mente il volto del sacerdoti che conosciamo. Quale volto viene in mente quando si parla del volto della misericordia? La bolla afferma che occorre guardare al volto di Gesù: non nei suoi lineamenti fisici, ma nelle sue parole e nei suoi gesti. Oggi, nel nostro ambiente, famiglia, parrocchia, chi potremmo identi4
gsh ficare come volto della misericordia? Tutti abbiamo un po’ il volto della misericordia... o della condanna. Ciascuno di noi è il volto concreto della misericordia di Dio, se ripresenta le parole e i gesti di Gesù. I volti ufficiali della misericordia presentati dalla Chiesa sono quelli dei santi. In terra bresciana, negli ultimi 30 anni, sono stati dichiarati beati e santi, vari personaggi: dal papa Paolo VI, al vescovo Daniele Comboni, ai sacerdoti don Lodovico Pavoni, don Giovanni Battista Piamarta, don Arcangelo Tadini, don Mosé Tovini, alle suore Annunciata Cocchetti, Teresa Verzeri, Geltrude Comensoli, Maria Troncatti, Irene Stefani, al laico Giuseppe Tovini; senza dimenticare altri di meno recente riconoscimento come Santa Maria Crocifissa di Rosa, frate Innocenzo da Berzo, Bartolomea Capitanio, Vincenza Gerosa, e i vari servi di Dio, e venerabili bresciani, tra cui le sorelle Girelli. Tra questi santi così vicini a noi e comprensibili, possiamo mettere anche S. Angela, luminosa icona, senza tempo, della misericordia di Dio nella nostra città. I santi sono i volti concreti della misericordia di Dio nei loro ambienti di vita. Potrebbe essere utile riscoprire questi volti proprio in quest’anno giubilare; ciascuno è una vera predica di misericordia. Essi hanno vissuto la misericordia-carità negli ambienti che frequentiamo anche noi, oggi: le parrocchie, le associazioni, gli ospedali, le missioni, i luoghi di vita quotidiana; hanno vissuto le nostre stesse occupazioni. Non ci sono lontani. Il loro esempio è più comprensibile di tante parole sulla misericordia, che pur dettate dalla nostra buona volontà, non hanno, però, la vivacità concreta della carità in atto.
5
gsh Dolcezza e Misericordia in S. Angela Merici Elisabetta Girelli scrisse la biografia di S. Angela Merici. In una pagina descrive i sentimenti di dolcezza e di misericordia della santa, che sono utili indicazione per disporre l’animo all’accoglienza del prossimo. “Non era solo l’esempio, che attirava intorno a S. Angela tante anime desiderose di imparare da lei a virtù; ma ancora un dono tutto suo di dolcissima amabilità, che innamorava di sé tutti coloro, che le si accostavano. Era Angela di statura piuttosto piccola, di tempra robusta, ma estenuata dalla continua penitenza, di forme delicate, di carattere festevo1e, e la purità dalla mente mostrava nella letizia della sua faccia. L’aspetto avea grave e divoto; ma congiunta ad una certa serenità abituale, che non perdette né alterò mai neppure nella vecchiaia, e rendeva molto grata la sua compagnia. I suoi ragionamenti erano pieni di saggezza, umili, semplici ed efficaci. I gesti e gli atti suoi erano quali si conveniva ad una Vergine, che doveva essere maestra verginal verecondia. “La sua umiltà, scrive il Bellintani, congiunta con singolar penitenza non aveva per nulla quell’austero conversare, che è usato vedersi negli astinenti. Angela era graziosa nel suo parlare, amabile ne’ suoi costumi; e tutti onorando e a tutti sottoponendosi li attraeva con molta destrezza alla emendazione della loro vita ed a profitto della virtù”. “Erano dardi infocati le sue parole, soggiunge il Cozzano, e condite con sì bella grazia, che chi le udiva era costretto ad esclamare: Quivi è Dio”. Se poi alcuno le faceva qualche servigio, parevale di non poterlo mai abbastanza ringraziare, e diceva con umiltà: Dio sia quello, che vi dia la dovuta mercede. Si è detto a ragione che per guadagnare una grande influenza sui cuori la santità sola non basta, ma conviene secondo la sapiente lezione dell’Apostolo, che ella si rivesta di viscere di misericordia, di bontà, di umiltà, di modestia e di pazienza. Queste virtù formarono per così dire il carattere di S. Angela, che Dio particolarmente destinava ad adoperarsi in vantaggio del 6
gsh prossimo. Oh! quanto è bella tale impronta di amabilità, che risplende nella nostra Fondatrice. È una viva immagine di quella benignità infinita, con cui il Divin Salvatore compì la sua missione in terra accarezzando i pargoli, accogliendo i miseri, e beneficando tutti quelli che ricorrevano a Lui. Sant’ Angela non ebbe solo in sè stessa questo spirito di soavissima carità, ma si adoperò a trasfonderlo nelle sue Vergini desiderosa di renderle quasi calamite celesti per guadagnare anime a Dio. Io dovrei ricopiare da capo a fondo la Regola, se volessi mettere sott’occhio tutte le esortazioni di S. Angela in questo particolare. Da ogni pagina, anzi da ogni parola spira la soavità dell’amore: la carità è sempre il pensiero dominante d’ogni sua esortazione, consiglio e comando. Sforziamoci dunque di essere quali ci vuole la nostra Santa “piene di Carità!”. Lungi da noi quel tratto severo e sprezzante, che non sa compatire le debolezze del pros simo, e si eleva censore delle sue stesse virtù. Lungi quello zelo indiscreto, che non vede mai le opere altrui perfette abbastanza, e cerca il bene con superbia ed ira. Onoriamo tutti colla debita reverenza e quando pur dovremo esortare e correggere il prossimo, facciamolo con quella santa amorevolezza, di cui S. Angela ci diede continuo esempio in tutta la vita”.
7
gsh Messaggio di Papa Francesco per la quaresima “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13) Le opere di misericordia nel cammino giubilare. 1. Maria, icona di una Chiesa che evangelizza perché evangelizzata.
Nella Bolla d’indizione del Giubileo ho rivolto l’invito affinché «la Quaresima di quest’anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (Misericordiae Vultus, 17). Con il richiamo all’ascolto della Parola di Dio ed all’iniziativa «24 ore per il Signore» ho voluto sottolineare il primato dell’ascolto orante della Parola, in specie quella profetica. La misericordia di Dio è infatti un annuncio al mondo: ma di tale annuncio ogni cristiano è chiamato a fare esperienza in prima persona. È per questo che nel tempo della Quaresima invierò i Missionari della Misericordia perché siano per tutti un segno concreto della vicinanza e del perdono di Dio. Per aver accolto la Buona Notizia a lei rivolta dall’arcangelo Gabriele, Maria, nel Magnificat, canta profeticamente la misericordia con cui Dio l’ha prescelta. La Vergine di Nazaret, promessa sposa di Giuseppe, diventa così l’icona perfetta della Chiesa che evangelizza perché è stata ed è continuamente evangelizzata per opera dello Spirito Santo, che ha fecondato il suo grembo verginale. Nella tradizione profetica, la misericordia ha infatti strettamente a che fare, già a livello etimologico, proprio con le viscere materne (rahamim) e anche con una bontà generosa, fedele e compassionevole (hesed), che si esercita all’interno delle relazioni coniugali e parentali.
2. L’alleanza di Dio con gli uomini: una storia di misericordia.
Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più dram8
gsh matici quando l’infedeltà spezza il legame del Patto e l’alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d’amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli. Sono proprio le immagini familiari - come nel caso di Osea (cfr Os 1-2) - ad esprimere fino a che punto Dio voglia legarsi al suo popolo. Questo dramma d’amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In Lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la «Misericordia incarnata» (Misericordiae Vultus, 8). In quanto uomo, Gesù di Nazaret è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti. E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni ebreo dallo Shemà, ancora oggi cuore dell’alleanza di Dio con Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per guadagnare l’amore della sua Sposa, alla quale lo lega il suo amore incondizionato che diventa visibile nelle nozze eterne con lei. Questo è il cuore pulsante del kerygma apostolico, nel quale la misericordia divina ha un posto centrale e fondamentale. Esso è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 36), quel primo annuncio che «si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi» (ibid., 164). La Misericordia allora «esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere» (Misericordiae Vultus, 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa.
3. Le opere di misericordia.
La misericordia di Dio trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo e animando 9
gsh quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato «che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (ibid., 15). Nel povero, infatti, la carne di Cristo «diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura» (ibid.). Inaudito e scandaloso mistero del prolungarsi nella storia della sofferenza dell’Agnello Innocente, roveto ardente di amore gratuito davanti al quale ci si può come Mosè solo togliere i sandali (cfr Es 3,5); ancor più quando il povero è il fratello o la sorella in Cristo che soffrono a causa della loro fede. Davanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero. Esso arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa (cfr Lc 16,20-21), il quale è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione. Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo. E quest’accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro, che rende indifferenti al 10
gsh destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli. Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali - consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare - toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest’ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell’attesa della sua venuta. Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l’intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l’umile serva del Signore (cfr Lc 1,38). 11
gsh La perseveranza In un tempo così confuso e contraddittorio come è il nostro, il vescovo Monari invita a trovare il filo di orientamento per la fede e per le opere e lo indica nella perseveranza, come afferma in questa omelia, tenuta nella festa dei Santi Faustino e Giovita, patroni di Brescia (15 febbraio 2016). “Quand’ero giovane prete mi accadeva di provare disagio di fronte ad alcune critiche. Il vangelo, si diceva, contesta le grandezze mondane; la Chiesa, invece, è felicemente insediata nella società e gode di privilegi; tra il vangelo della croce e la Chiesa del potere c’è un abisso invalicabile. Oggi, su questo versante, sono più tranquillo; questo problema è superato, e alla grande, dai fatti. Nella società attuale i cristiani non godono di troppa stima. C’è chi li considera dogmatici che hanno rinunciato all’uso della ragione e coi quali perciò non si può parlare, chi li considera ipocriti che nascondono i loro vizi con una dottrina morale esigente che non praticano, chi li considera superati e incapaci di cogliere il moto di liberazione progressiva dell’uomo che sta procedendo vittorioso con le trasformazioni del diritto e le innovazioni della tecnologia… Insomma, i cristiani non sono sulla cresta dell’onda e forse il calo delle vocazioni rispecchia anche questa situazione culturale. Siamo avviliti, allora? Abbiamo nostalgia dei bei tempi passati in cui potevamo dettare gli indirizzi alla vita sociale? Riprendiamo il messaggio delle tre letture che abbiamo ascoltato: il profeta Zaccaria viene messo a morte nel cortile del tempio perché ha fatto il grillo parlante: ha accusato re e popolo di avere abbandonato il Signore, li ha messi davanti alle loro responsabilità. Il vangelo avverte i discepoli che la loro vita non sarà una serie di successi ma di prove sia a livello sociale (saranno flagellati nelle sinagoghe e denunciati davanti alle autorità civili) sia a livello familiare (soffriranno i contrasti tra fratelli, tra genitori e figli); arriva a dire, il vangelo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome.” Solo a questo punto viene la parola di speranza: “ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.” È qui che volevamo arrivare. Per la festa dei nostri patroni è stato scelto, quest’anno, il tema della perseveranza. Di questo parla il vangelo collegando la promessa della salvezza alla perseveranza e cioè alla capacità di 12
gsh rimanere saldi nella fede in mezzo alle tribolazioni, soffrendo con pazienza le accuse ingiuste, i giudizi, gli scherni. Perseveranti, dunque: così ci vuole il vangelo e così dobbiamo cercare di essere. Abbiamo una vita sola ma dobbiamo essere disposti a perderla pur di testimoniare Gesù Cristo e il vangelo; dobbiamo essere così convinti del valore vangelo che gli insuccessi non ci smuovano dal nostro posto di combattimento. “Con questo o su di questo” dicevano le madri spartane consegnando lo scudo ai figli che andavano in guerra: dovranno tornare o vincitori con lo scudo o morti sopra lo scudo; ma guai ad abbandonare lo scudo e fuggire. L’immagine è un po’ retorica se la rapportiamo a noi; non lo è, però, se viene riferita ai tanti cristiani rapiti e uccisi in Iraq, in Siria, in Mali, in Nigeria… Davanti a questi nostri fratelli dobbiamo inchinarci con rispetto: hanno pagato a caro prezzo la loro appartenenza a Cristo; sono perseveranza vivente, la misura del valore della fede. Ma noi? Noi, grazie a Dio e al nostro paese, non subiamo persecuzioni; abbiamo però un contesto culturale che ci diventa sempre più estraneo e credo non sia difficile capire che questo comporta sofferenze, dubbi, timori. Volete qualche esempio? Noi siamo convinti di dovere proteggere ogni forma di vita umana dal concepimento, ma viviamo in una società in cui lo Stato pratica regolarmente l’aborto, in cui si fanno crescere embrioni umani per usarli nella ricerca scientifica. Pensiamo, con Ippocrate, che l’arte medica debba servire solo a far vivere l’uomo e ci viene detto che l’arte medica deve imparare anche a far morire l’uomo quando la vita non appare più degna di essere vissuta. Crediamo nella famiglia come vocazione fondamentale della persona umana sessuata e ci troviamo in una società in cui la famiglia è un’alternativa accanto ad altre forme di convivenza. Affermiamo il significato procreativo della sessualità in una società in cui il sesso è piuttosto praticato, tanto da sembrare quasi un dovere, ma la procreazione è opzionale, bisognosa di giustificazione. Diciamo che ci si sposa per sempre e che la fedeltà è un impegno serio in una società dove il desiderio del momento è insindacabile e ha diritto di prevalere sulla promessa del passato e sul progetto del futuro. Potrei continuare con gli esempi, ma credo siano sufficienti per comprendere che in questa società i cristiani non si sentono del tutto a casa loro. Tristi per questo? risentiti? Per niente! Abbiamo sempre detto che il mondo non è casa nostra ma una tenda nella quale dimoriamo provvisoriamente e 13
gsh adesso lo sperimentiamo davvero; abbiamo detto che la testimonianza vera non si fa con le parole, ma con uno stile di vita alternativo e adesso siamo costretti a praticarlo; abbiamo insegnato che l’amore tende, per il suo stesso dinamismo, verso l’oblatività, quindi il sacrificio di sé e adesso la necessità del sacrificio di sé ci si impone nella trama stessa della vita quotidiana. Noi amiamo questo mondo e amiamo gli uomini di questo tempo. Proviamo a volte l’impulso a chiuderci sdegnosamente in noi stessi e sottrarci alla responsabilità per il mondo esterno, ma sappiamo che è una tentazione cui dobbiamo opporci. E se anche dovesse capitarci di dimenticarlo ce lo ricorderebbe sempre papa Francesco con il suo martellante ritornello: Chiesa in uscita, chiesa dei poveri, chiesa ospedale da campo, chiesa della misericordia e della tenerezza di Dio. E allora riprendiamo vigore e camminiamo “tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, come dice il Concilio citando sant’Agostino. Ci sostengono le parole consolanti di Paolo nella seconda lettura: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” Da Dio ci viene, come un dono immeritato, la giustizia; nel Signore risorto abbiamo un intercessore che trattiene la condanna. Tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada, per quanta paura ci facciano - e ce la fanno davvero - non sono in grado di privarci dell’amore di Cristo; sostenuti da questo amore perseveriamo nella fede e continuiamo a camminare nell’amore fraterno. Ma i dubbi rinascono sotto altra forma: comportandoci in questo modo siamo perseveranti o siamo solo cocciuti, ostinati? Siamo fedeli a un vangelo che merita fiducia e fedeltà, o stiamo arroccandoci in difesa di rudere archeologico? Siamo attenti a capire che cosa sta succedendo attorno a noi, o stiamo invece nascondendo la testa sotto la sabbia? Ci facciamo spesso queste domande e non abbiamo risposte risolutive. Alcune cose, però, sembrano chiare a cominciare dalla convinzione che lo stile della società attuale non ha futuro. È una società che lamenta la contrazione delle spese sociali ma spende una quota sempre maggiore delle sue ricchezze per rispondere a desideri individuali; proclama di voler ampliare gli spazi di libertà e moltiplica le forme di disagio psicologico, i casi di dipendenze; inquina per guadagnare di più, poi deve spendere di più per disinquinare; s’illude, aumentando le pene, di far diminuire i reati ma poi deve depenalizzare i reati perché non riesce a infliggere tutte le pene; non vuole fare figli naturalmente ma impegna 14
gsh enormi risorse economiche e psicologiche per fare figli tecnologicamente. Insomma è una società incoerente, che vuole infantilmente la botte piena e la moglie ubriaca; e lo sa anche, perché i fatti sono sotto gli occhi di tutti, ma non ha nessuna voglia di cambiare perché la soddisfazione dei desideri dei singoli è diventata l’unica giustificazione della sua esistenza. È una società triste che fa fatica ad amare la vita e perciò si attacca avidamente ai piaceri che possono distrarla dalla durezza della vita. È una società malata che sarà costretta a cambiare direzione di marcia se vuole sopravvivere. Non tornerà indietro, ma dovrà per forza trovare qualche valore non di pura facciata, che giustifichi la fatica di vivere, limiti l’individualismo e fondi il progetto di una società più umana. Per questa società più umana la comunità cristiana vuole impegnarsi. Noi speriamo nella vita eterna; ma sappiamo che l’unico modo per entrare nella vita eterna è vivere bene la vita nel tempo, farla diventare prassi di giustizia e di amore. Non rinunciamo all’uso dell’intelligenza; sarebbe un’offesa a Dio che ce l’ha data - l’intelligenza - non perché la castriamo ma perché la usiamo correttamente. Non mortifichiamo i desideri che Dio ha posto nel cuore umano; al contrario, cerchiamo di armonizzarli perché contribuiscano a edificare una personalità equilibrata e non divisa in se stessa. La fede, cioè la convinzione che il mondo è nato dall’amore di Dio e dall’amore è sostenuto nella sua esistenza, è per noi fonte di libertà di fronte a tutti i condizionamenti - paure e seduzioni - che assediano la vita dell’uomo. E mettiamo in conto anche la croce - cioè il sacrificio generoso della vita - come unica forza capace di portare il peso del male e far crescere, al suo posto, il bene. Questo è il contributo che la comunità cristiana può dare alla società in cui vive. A questo impegno e responsabilità sappiamo di dovere rimanere fedeli; e chiediamo umilmente il dono della perseveranza perché sappiamo che solo “chi persevererà fino alla fine sarà salvo”.
Questo piccolo foglio, che quest’anno compie 20 anni di edizione, porge ai suoi lettori gli auguri migliori di Santa Pasqua.
VWX 15
s hVenerabili Preghierag alle Sorelle Girelli per ottenere grazie!
Elisabetta Girelli
Maddalena Girelli
O SS. Trinità, sorgente di ogni bene, profondamente Vi adoro e, con la massima fiducia, Vi supplico di glorificare le vostre fedeli Serve Venerabili Maddalena ed Elisabetta Girelli e di concedermi per loro intercessione la grazia... Padre nostro, Ave Maria e Gloria N.B.: 1) Chi si rivolge al Signore con la suddetta preghiera, specie in caso di novena, affidi la propria intenzione all’intercessione di entrambe le venerabili sorelle. 2) Ottenendo grazie per intercessione delle Venerabili Serve di Dio Maddalena ed Elisabetta si prega darne sollecita comunicazione a: Compagnia S. Orsola - Figlie di S. Angela - Via Crispi, 23 - 25121 Brescia. Chi desiderasse avere questo inserto da distribuire in Parrocchia, può richiederlo telefonando allo 030.295675. Supplemento a “La Voce della Compagnia di S. Angela. Brescia”, marzo 2016, n. 1
16