altereco ambiente 2014

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altereco anno 1 numero 1 maggio 2014 - Prezzo di copertina 10 â‚Ź

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ECOGEO s.r.l.

ANALISI E TECNOLOGIE D’AMBIENTE Sede: Via F.lli Calvi n° 2 - 24122 Bergamo Tel. 035 / 27.11.55 - Fax 035 / 23.98.82 P. IVA 03051330169 http://www.ecogeo.net R

LAB N° 1399 Laboratorio accreditato da ACCREDIA Norma UNI CEI EN ISO \ IEC 17025:2005

ECOGEO S.R.L. ha un’esperienza di oltre 40 anni nella depurazione delle acque. Il cuore della società è rappresentato dalla tecnologia avanzata (MBR) di sistemi di depurazione, che propone nei paesi del mondo dove attualmente opera: in particolare in Perù (Lago Titicaca), Africa, Indonesia, Emirati Arabi, Canada, Russia e Nord Europa. ECOGEO S.R.L. possiede un laboratorio accreditato di analisi, attrezzato con le più recenti apparecchiature. Il successo di ECOGEO S.R.L. nasce dalla sua straordinaria capacità di combinare gli elementi standard qualitativi del servizio e di modellarlo secondo richieste di esecuzione specifiche. La società ha assistito negli anni ad una vertiginosa espansione nel mercato italiano ed internazionale ed ha ampliato la propria offerta di servizi, mantenendo sempre immutata la sua consolidata filosofia vincente: “proporre al Cliente un servizio integrato nel pieno del rispetto della qualità globale”.


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Sommario maggio 2014

Proprietà OTTOLOBI editoria e comunicazione Via A.Caretta, 3 20131 - Milano t/f 02.36798297 www.ottolobi.it P.IVA 03559000983

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Editoriale

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La compensazione della CO² e il Life Cycle Assessment

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Trasformazione e valorizzazione delle ceneri da inceneritore e del carbone

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Cosa puoi fare tu per salvaguardare l’ambiente?

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Speciale Solarexpo: la conferma che il mercato italiano del solare riparte su nuove basi

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Life Cycle Assessment come strumento di Ecodesign

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L’innovazione sostenibile e il Life Cycle Thinking

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La sicurezza delle attività subacquee scientifiche

Pubblicità t/f 02.36798297 info@ottolobi.it 1


editoriale

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di Lorena Martinelli

La prima domanda della giornata è stata la stessa che mi sono posta, poi, iniziando a scrivere l’editoriale di questo primo numero: “c’era davvero bisogno di una nuova pubblicazione sull’ambiente? C’era ancora qualcosa di non detto riguardo le varie tematiche ambientali?” La risposta che mi sono data è stata quella di non focalizzarmi sugli argomenti da trattare ma sul modo in cui questi verranno trattati. La risposta alla domanda iniziale, quindi – al netto delle considerazioni sopra fatte -, è stata: indubbiamente sì! Lasciate che mi soffermi sul fatto che altereco non sarà una pubblicazione cartacea, forse troverete questa precisazione abbastanza inutile e scontata, ma non è proprio così. In quest’era digitale dove siamo circondati dalla tecnologia, cosa ci sarà mai di particolare in una pubblicazione digitale? Ho chiesto quindi a degli esperti quali siano gli effetti ambientali del “leggere stampato” e del “leggere digitale” i risultati sono stati molto interessanti perché, se è vero che una rivista stampata ha pressoché lo stesso impatto ambientale di una rivista digitale, è altrettanto vero che la differenza la fanno i contenuti. Ecco perché: lo studio ambientale è stato eseguito come analisi del ciclo di vita, questo è un metodo fondato per identificare l’impatto ambientale di un prodotto dalla culla alla tomba, vale a dire dall’estrazione delle materie prime alla produzione, all’uso fino alla gestione dei rifiuti. L’obiettivo principale di questo studio è l’impatto sul clima, noto come “carbon footprint – impronta di carbonio”. Il consumo di qualsiasi mezzo di comunicazione cau- sa emissioni di gas a effetto serra, sia le riviste stampate che la lettura su internet. Leggere una rivista cartacea in abbonamento o leggerla su internet genera la stessa bassa quantità di emissioni di gas effetto serra. Non è quindi essenziale che la rivista sia in formato online ma come questa viene strutturata, che fa la differenza. Leggere una rivista in formato elettronico non è necessariamente meglio per l’ambiente.

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Se il tempo di lettura è inferiore a 40 minuti al mese, l’impatto ambientale della rivista in formato elettronico è inferiore a 1 Kg di CO² equivalenti per anno. Per questo motivo altereco sarà una rivista snella che arriverà dritta la punto, cercando di informare il lettore nella maniera più chiara, precisa e in maniera “pulita”. Altro punto sul quale mi vorrei soffermare è che spesso si è sentito dire che, ciò che manca in Italia, sia una reale rete d’informazione ambientale sia dal punto di vista dei profili giuridici che degli adempimenti amministrativi. La rivista punterà soprattutto sui contenuti, sulle collaborazioni con gli esperti e l’interazione tra di loro. Vogliamo dare più informazioni ai lettori e farlo nel modo più continuo e professionale possibile. Vi invito quindi a inviarci i vostri quesiti e a sottoporci le tematiche che desiderate approfondire al nostro indirizzo di posta redazione@ottolobi.it in modo tale da affrontarle seriamente, insieme. Buona lettura. Lorena Martinelli

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LA COMPENSAZIONE DELLA CO2 E IL LIFE CYCLE ASSESSMENT Introduzione Le caratteristiche ambientali di un prodotto/servizio o di un’intera azienda diventano sempre più parametri di scelta che vengono presi in considerazione negli acquisti e nella scelta di fornitori. Il consumatore, attento in primo luogo al portafoglio, inizia a sentire una forte spinta verso il rispetto dell’ambiente, intuendo da una parte il forte collegamento tra efficienza e risparmio economico e dall’altra la possibilità di orientare il mercato verso un migliore uso delle risorse e verso comportamenti virtuosi che spingono le aziende a elevare i propri standard ambientali. Green marketing e coinvolgimento del cliente sono oggi elementi d’importanza strategica per molte tipologie di aziende: che esse operino sul mercato di massa, su un mercato di nicchia o su un mercato business to business, le imprese che vogliono innovare devono per forza alimentare la propria politica ambientale, estendendo il concetto di economia etica alla sostenibilità. Molti sono gli strumenti possibili per portare avanti la propria politica ambientale e migliorare la consapevolezza verde che i clienti hanno del proprio marchio, intraprendendo un percorso di efficienza e riduzione degli impatti ambientali. Alcuni strumenti implicano la modifica del proprio processo, ovvero tendono al miglioramento diretto delle prestazioni ambientali del proprio sistema produttivo

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o del prodotto/servizio offerto, altri sono di carattere compensativo. In questo articolo vogliamo affrontare le modalità e le caratteristiche di uno specifico sistema di carattere compensativo, ovvero la compensazione della CO² emessa.

Le emissioni di CO² I cambiamenti climatici, il surriscaldamento del pianeta - ovvero il cosiddetto global warming - lo scioglimento dei ghiacciai e in sostanza le modifiche all’ecosistema sono fenomeni ormai ampiamente comprovati da numerosi studi scientifici a carattere internazionale. La temperatura atmosferica terrestre è infatti determinata da un delicato bilancio energetico tra la radiazione catturata proveniente dal Sole e la radiazione infrarossa emessa dalla Terra, riscaldata appunto dal Sole. La Terra diffonde quasi la stessa quantità di calore che riceve, mantenendo in questo modo una temperatura pressoché costante. La quantità di radiazione terrestre che fuoriesce nello spazio è ridotta da diversi gas presenti naturalmente in atmosfera che assorbono i raggi infrarossi: questo è l’effetto serra. Una concentrazione crescente di questi gas in atmosfera sta portando a un riscaldamento globale come conseguenza di un aumentato effetto serra, trattenendo quindi sempre più calore all’interno dell’atmosfera terrestre.


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Il mercato dei titoli di CO² I gas maggiormente responsabili di questo surriscaldamento globale (gas serra) sono: vapore acqueo (H²O), diossido di carbonio (CO²), metano (CH4), ossido nitrico (N²O) e clorofluorocarburi (CFCs). Sebbene siano molti i gas ad effetto serra è la CO² che viene ormai globalmente individuata come metro di valutazione per misurare il livello di emissioni che comporta il riscaldamento atmosferico. Dalla stesura del Protocollo di Kyoto in poi (1997) la riduzione delle emissioni di CO² diventa il simbolo di questa battaglia verso la contribuzione al cambiamento climatico. Da queste considerazioni si sono negli anni sviluppate numerose possibilità per valutare, diminuire e/o compensare le proprie emissioni di CO².

Lo strumento della compensazione ha caratteri sia obbligatori che volontari. La Direttiva 2003/87/CE Emission Trading infatti obbliga grandi aziende che hanno notevoli emissioni, come ad esempio aziende estrattive o centrali termoelettriche, ad acquistare certificati verdi sul mercato, per compensare le proprie emissioni. Il concetto è quello di pagare la propria esternalità: inquinando provoco un costo sociale ed è quindi giusto che questo costo venga ripagato con degli investimenti verdi. Dopo l’apertura di questo mercato ETS obbligatorio dei titoli della CO², è stato aperto anche il mercato volontario, il quale ha valenza non solo europea, ma mondiale e ha un funzionamento completamente separato e indipendente dal mercato ETS.

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maggio 2014 ad esempio la quantità di CO² emessa dalla propria attività per un anno, utilizzando poi questo comportamento virtuoso per una specifica attività di pubblicizzazione e nel frattempo pagando realmente la propria esternalità.

Compensare le proprie emissioni

Il mercato volontario prende vita dalla realizzazione di progetti dedicati allo stoccaggio della CO² o alla realizzazione di progetti per la creazione di energia pulita. Per ognuno di questi progetti si calcolano le tonnellate di CO² stoccate o evitate dalla realizzazione del progetto e si trasformano queste tonnellate in titoli commercializzabili: acquistando uno di questi titoli si finanzia quindi direttamente la realizzazione del progetto vero e proprio. Questo mercato volontario è in forte crescita; basti pensare che il volume di acquisti annuo è pari circa a 204 milioni di dollari nella sola Europa e di 159 milioni di dollari negli Stati Uniti. Le piccole e medie imprese possono quindi anche loro contrastare i cambiamenti climatici attraverso differenti strumenti volontari, tra i quali appunto la compensazione delle emissioni, ovvero il cosiddetto carbon offset. Sostanzialmente quindi un’azienda può acquistare una quantità di CO², compensando

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Lo strumento di compensazione è abbastanza semplice nel suo funzionamento: specifiche organizzazioni investono il denaro fornito per la compensazione in attività e progetti mirati e documentati che hanno lo scopo di stoccare o evitare la produzione di altra CO². In particolare queste attività possono essere di due tipologie, come già accennato: rimboschimento di aree colpite dalla deforestazione o finanziamento di progetti relativi allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e volti al contenimento della domanda di energia. La prima delle due possibilità è quella al momento più conosciuta, poiché anche in Italia sviluppata da più tempo, ma è anche un sistema che risulta essere in parte superato, poiché vi sono due problematiche principali: l’albero piantato potrebbe non svilupparsi come valutato in via teorica e la CO² assorbita dall’albero è una quantità già immessa in atmosfera. Con questo sistema quindi si risana l’ambiente andando a depurare l’atmosfera di una quantità già emessa. La seconda possibilità invece è nata con lo scopo di evitare alla fonte la produzione di altra CO²: si basa quindi su una concezione scientifica più coerente con i meccanismi ambientali e porta a realizzare interventi duraturi nel tempo, mirati anche a modificare la coscienza sociale legata alla produzione e all’ uso di energia.


altereco ambiente Il concetto è quello d’intervenire in paesi con una crescente richiesta di energia e realizzare centrali elettriche che non immettono CO² in atmosfera. Acquistando uno di questi certificati, quindi, si contribuisce a finanziare un progetto che permette la creazione di parchi energetici basati sullo sfruttamento delle fonti rinnovabili, andando così a creare energia pulita ed evitando l’immissione in atmosfera di ulteriore CO²; in questo modo si garantiscono effetti benefici più a lungo termine, misurabili e soprattutto con un maggiore legame con la diminuzione dell’uso di combustibili fossili.

Certificazione e attendibilità Discriminante fondamentale in questo particolare settore lo gioca la credibilità di chi si fregia di questo tipo di servizio, ma ancor di più dell’organizzazione che lo può offrire. La tutela dell’ambiente è infatti un campo molto complesso e i meccanismi ambientali sono poco conosciuti ai molti. Fregiarsi quindi di una determinata certificazione in merito a un “migliorato impatto ambientale” può essere fortemente e facilmente contestabile incorrendo in casi di green washing e sanzioni da parte del Garante delle Comunicazioni: questa è la ragione fondamentale per cui un servizio di questo tipo deve essere messo in atto solo se basato su un approccio metodologico scientifico, quindi ripercorribile e giustificabile in ogni sua parte. Va da sé che, per una qualsiasi azienda che vuole intraprendere un percorso virtuoso di questo tipo, la scelta dell’organizzazione a cui affidarsi per l’adempimento del carbon offset rivesta un ruolo fondamentale.

Vi sono strumenti che godono di credibilità internazionale per la verifica della serietà di chi vende carbon offsets, ovvero fondazioni o società che si occupano della compravendita di certificati verdi con sistemi approvati dalle maggiori associazioni ambientaliste come Greenpeace e WWF. Questi sistemi certificano la provenienza dei titoli di CO² impiegati per la compensazione, sorvegliando sullo svolgimento dei progetti associati e fornendo informazioni dettagliate sullo stato di avanzamento degli stessi. Ancor prima di arrivare all’acquisto certificato dei titoli di CO², effettuando la vera e propria compensazione, maggiore rilevanza deve essere data al tipo di calcolo e quantificazione dei propri impatti ambientali da compensare e alla comunicazione che si vuole fornire a clienti, investitori e concorrenti.

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Il Life Cycle Assessment Calcolare gli impatti creati dalla propria azienda o dal proprio prodotto / servizio può essere effettuato tramite differenti modalità, che implicano risorse variabili ma forniscono anche risultati con attendibilità diverse: più crescono le risorse impiegate nel calcolo, maggiore è l’attendibilità del risultato e maggiori sono gli impieghi che si possono fare del risultato stesso. Lo strumento scientifico che ha ricevuto maggiore consenso è sicuramente il Life Cycle Assessment, in italiano Analisi del Ciclo Vita. Lo scopo principale della metodologia LCA è quello di valutare gli impatti sull’ambiente e il consumo di energia e materie nella realizzazione di un prodotto/servizio, considerando tutte le fasi della vita del prodotto/servizio stesso, partendo quindi dall’approvvigionamento, lavorazione e distribuzione delle materie prime, passando poi alla fabbricazione del prodotto/ servizio, alla sua distribuzione e utilizzo, fino a giungere alla fase di smaltimento come rifiuto. Si tratta di una metodologia complessa, che si basa sul supporto di mezzi informatici, banche dati internazionali condivise e costantemente aggiornate, metodologie scientifiche e indicatori ambientali univocamente riconosciuti, che permettono di trasformare i dati relativi alle fasi di vita del prodotto/servizio in impatti sull’ambiente. Molteplici sono gli usi che si possono fare di uno studio di LCA, vista l’elevata solidità del risultato ottenuto: - scientifico: lo scopo può essere il confronto tra due differenti tipologie di prodotto che svolgono la medesima funzione oppure il confronto tra diversi processi produttivi che portano al medesimo risultato. Questo

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tipo di analisi può essere utile ad esempio per dimostrare i miglioramenti delle performance ambientali (minori impatti, minori risorse, minori scarti etc.) nell’introduzione di un nuovo prodotto, nella modifica del proprio ciclo produttivo, o nell’introduzione di una nuova metodologia di lavoro; - progettuale: lo scopo principale è in questo caso quello di sviluppare e migliorare il prodotto (Eco-design) e i metodi di produzione, andando a capire dove si hanno più grandi margini di miglioramento delle performance ambientali e dei consumi di risorse ed energia, traendo così anche benefici economici; - certificazione ambientale: per ottenere determinati tipi di certificazione ambientale basati su dichiarazioni ambientali di prodotto, come ad esempio l’EPD (Environmental Product Declaration), è necessario svolgere uno studio LCA che consideri tutte le fasi di vita del prodotto/ servizio (studio LCA “from cradle to grave”). Questo risultato può anche essere impiegato per calcolare la propria impronta di carbonio da compensare o per ottenere altri tipi di certificazione ambientale come l’Ecolabel.


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Conclusioni Sempre di più il cliente di ogni settore risulta essere maggiormente attento al servizio fornito, valutando qualità e livello di innovazione ricevuto. Dimostrare la propria efficienza, pubblicizzare la propria cura dell’ambiente e fornire servizi ecosostenibili risultano essere tra le attività che maggiormente premiano gli operatori sul mercato, donando ai servizi stessi un indiscusso carattere di innovatività, premiato dal consumatore che sempre meno ammette sprechi e sempre più comprende i meccanismi ambientali. Le aziende hanno d’altra parte a disposizione nuovi strumenti per attrarre clienti, dimostrando il loro impegno nella tutela dell’ambiente, a volte riducendo

gli impatti, a volte compensandoli con strumenti come il carbon offset. Massimo Granchi, Riccardo Bozzo mtm consulting s.r.l. Progetto GreenNess www.green-ness.com info@green-ness.com

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TRASFORMAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE CENERI DA INCENERITORE E DEL CARBONE Dal 1987 Contento Trade ricerca, sviluppa e produce processi e impianti per l’innovazione tecnologica di vari comparti industriali (edilizia, agroindustria, metallurgia, ligneo, conciario ecc.) e il miglioramento della loro compatibilità ambientale. Ha sviluppato in particolare una serie di tecnologie che permettono di chiudere il ciclo produttivo senza creare rifiuti solidi o liquidi, generando invece nuovi prodotti dotati di proprio valore aggiunto. Progetto Life WBRM Contento Trade, Stazione sperimentale del vetro, IFTH, CTG spa Italcemennti group, KEMA. Molti aspetti dei residui vetrosi da combustione sono stati studiati per scopi differenti: miglioramento dei processi di combustione, dell’impatto sull’ambiente, delle loro proprietà in funzione delle differenti applicazioni. In questo modo si è accumulato un notevole background tecnologico in un elevato numero di settori. Le proprietà chimiche e fisiche delle ceneri da carbone (ceneri volanti, ceneri pesanti, ceneri da gassificazione) sono assai ben documentate e le loro variazioni dipendono principalmente dal tipo di carbone utilizzato e dalla tecnica di combustione impiegata. A causa della precipitazione di elementi inizialmente evaporati durante il trattamento termico sulla superficie delle particelle solidificate delle ceneri, la struttura delle ceneri volanti si compone normalmente di un guscio esterno reattivo che avvolge una più abbondante matrice interna vetrosa costituita da Si-Al.

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Questo guscio contiene la gran parte degli elementi a più elevata valenza ambientale come Se, As, Cd, Mo, Zn, Sb, V, Cr ed S. I residui da MWI sono molto meno omogenei e meno vetrificati delle ceneri da carbone. Questo fatto è causato dalle variazioni del materiale incenerito e dalla temperatura di combustione relativamente bassa (+850°C). Test standardizzati di cessione e diffusione consentono di determinare la qualità ambientale di questi residui sia in forma granulare che sfusi. Il comitato Tecnico Europeo CEN292/WG2 sta attualmente sviluppando delle norme Europee su questi aspetti. Il processo WBRM comporta la produzione di fibre vetrose a partire da rifiuti industriali e ceneri da inceneritore di rifiuti urbani. WBRM consente di trasformare delle miscele di ceneri di rifiuti urbani (MWI), ceneri di combustione del carbone e polveri da abbattimento fumi di fonderia (SM), in fibre


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vetrose lunghe che possiedono buone caratteristiche meccaniche e un’alta resistenza chimica. Le tecniche d’impiego possono essere definite come “aggiunta ad altri materiali” o “sostituzione di altri materiali”. Un gran numero di queste applicazioni è stato sperimentato in tutto il mondo e alcune sono state ben caratterizzate appartenendo ormai alla pratica comune. In forma legata: additivi per cemento e calcestruzzo, fabbricazione di laterizi, fabbricazione di pietra artificiale (ardelite), produzione di materiali refrattari, additivi e sostitutivi in ceramica. In forma non legata: materiali sfusi per i sottofondi di strade e ferrovie, materiale di riempimento per scavi minerari, ammendanti dei suoli, etc. I processi che hanno sino ad ora raggiunto la scala industriale non sono economicamente autosufficienti e richiedono un contributo finanziario per i produttori delle polveri. Inoltre, tutti i processi considerati necessitano di un considerevole contenuto di metalli pesanti nelle polveri (almeno il 20% in peso di ZnO) per mantenere la propria validità economica. Molte polveri SM e quasi tutte quelle provenienti da processi a ossigeno non raggiungono questo limite: per questa ragione - e a causa della forte incidenza dei costi di trasporto delle polveri agli impianti di riciclaggio - il metodo di smaltimento tuttora più impiegato per questa tipologia di rifiuti risulta essere la discarica. La principale innovazione del processo WBRM riguarda da una parte la produzione di fibre vetrose di alta qualità ed elevato valore aggiunto per mezzo di una tecnologia innovativa e pulita, dall’altra la valorizzazione di una possibile alternativa per il riciclaggio delle ceneri, in special modo per l’intero

Tessuto non tessuto WBRM

quantitativo di ceneri MWI a un costo ambientale nettamente inferiore rispetto ai metodi al momento disponibili sul mercato. Le fibre ottenute da rifiuti secondo questa tecnologia possiedono caratteristiche molto positive quali: la presenza di metalli pesanti - come zinco e ferro - nella struttura vetrosa, migliora la stabilità chimica delle fibre ottenute creando uno strato protettivo che riduce la velocità della reazione silice-alcali e incrementando la durabilità del cemento fibrorinforzato ottenibile; la presenza di ossidi di metalli pesanti può migliorare le capacità di adesione delle fibre alla matrice polimerica utilizzata nell’industria dei materiali compositi (resine termoindurenti come il poliestere o resine termofondenti come il polipropilene, la poliammide, etc.); la presenza di composti metallici può inoltre influenzare le proprietà elettriche (resistenza inferiore) e condurre a una migliore conducibilità termica delle fibre.

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Fibre e vetro WBRM

Anche l’approccio globale verso il problema della gestione delle ceneri MWI è di per sé stesso innovativo, in quanto accanto alla completa eliminazione - per combustione - della frazione organica inquinante e dal recupero dei componenti vetrificabili, prende in considerazione anche il recupero della frazione anionica (cloruri e solfati), che può essere valorizzata nell’industria dell’alluminio, riutilizzando il calore generato durante il processo di produzione delle fibre. In questo modo è possibile ridurre i consumi di materie prime e risorse in differenti comparti industriali ed è possibile ottimizzare il consumo energetico per minimizzare le emissioni nell’ambiente: si tratta realmente di una tecnologia pulita innovativa. Un’altra applicazione estremamente interessante per le fibre WBRM consiste nel rinforzo dei conglomerati bituminosi destinati all’uso stradale. Le fibre, specialmente quelle metalliche, consentono anche di migliorare l’aderenza con la matrice cementizia, limitando l’apertura della fessura e garantendo risorse di resistenza meccanica anche in relazione a

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Conglomerato bituminoso fibrorinforzati WBRM

valori di apertura di fessura significativi a livello progettuale.

Progetto Life COSMOS Colloidal Silica Medium to Obtain Safe inert: the case of incinerator fly ash. Contento Trade, CSMT, Università degli Studi di Brescia - Dipartimento di Ingegneria Meccanica ed Industriale, TEKNIKER. Le ceneri leggere derivanti dalla combustione di rifiuti urbani rappresentano un delicato problema ambientale perché contengono molti tipi di inquinanti in proporzioni variabili e perché si disperdono facilmente nell’ambiente, inquinando rapidamente acque e suoli. Attualmente vengono raccolte presso gli impianti di produzione e trasportate per molte migliaia di chilometri per essere depositate in appositi siti minerari. Il processo Cosmos rappresenta un semplice trattamento di inertizzazione producendo un nuovo prodotto base, il filler Cosmos e


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CENTRO RICERCHE dal 1987

Via Vieris 11 33050, Terenzano (UD) Tel.: +39 0432 562665 Fax: +39 0432 562649 contento@contentotrade.com 5 www.contentotrade.com


maggio 2014 dei nuovi materiali compositi innovativi con esso ottenuti. Esempi di aree produttive interessate al progetto sono: la produzione di cemento, di conglomerati bituminosi, di strade e di materiali da costruzione sottoposti a prescrizioni tecniche specifiche. Il riutilizzo di ceneri volanti inertizzate consentirà una riduzione dell’anidride carbonica prodotta dalla produzione di materie prime, come calcare alla produzione di calcestruzzo. Le prestazioni ambientali dei filler Cosmos sono state testate positivamente in laboratorio e le proprietà meccaniche dei materiali compositi ottenuti hanno fornito ottimi risultati per i settori come cemento, plastica, gomma.

Progetto Life Cosmos-Rice Contento Trade, CSMT gestione, Università Degli Studi di Brescia, A2A s.p.a., Regione Lombardia Sulla base dei promettenti risultati riconosciuti dalla Commissione Europea che ha finanziato il progetto Cosmos originario, il progetto Cosmos-Rice si propone di dimostrare che il risultato ottenuto può essere migliorato utilizzando principalmente cenere ottenuta dalla pula/ lolla del riso (RHA) come precursore del gel di silice, ovvero: inertizzare cenere volante MSWI, utilizzando cenere da lolla di riso (una cenere da materiali di scarto) o semplicemente lolla di riso trattata, come fonte della silice, cosa che comporta minori costi economici e ambientali. Obiettivo finale di questa ricerca è la valutazione delle prestazioni reali dei nuovi materiali ottenuti dal trattamento, così come dei mercati attuali e potenziali per i prodotti finali.

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Filler Cosmos

Cosmos-Rice utilizza un processo innovativo di estrazione al fine di ottenere gel di silice (biosilice) dalle ceneri della pula del riso. Il processo è basato su un trattamento innovativo per la testurizzazione di strutture vegetali chiamato decompressione istantanea controllata (dic). La tecnologia inoltre utilizzerà la pula del riso incombusta come fonte di biosilice allo scopo di estrarre e valorizzare altri composti disponibili nella pula di riso (della sua parte organica). I primi risultati dimostrano che il prodotto inerte così ottenuto (il cosiddetto Cosmos, nome che sarà mantenuto anche per gli inerti prodotti con tecnologia CosmosRiso) mostra buone proprietà meccaniche quando impiegato come filler. Inoltre, l’uso di inerti industriali ridurrà il consumo di risorse naturali – che è uno degli obiettivi ambientali principali della UE. La produzione del nuovo inerte potrebbe risultare strategica per l’Europa, dove più del 20% delle risorse impiegate è importato.


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COSA PUOI FARE TU PER SALVAGUARDARE L’AMBIENTE? La Dott.ssa Marina Gualandi, nell’intervista che ci ha gentilmente concesso, fa il punto della situazione sui progetti presenti e futuri della Fondazione Ambienta.

«I valori della cultura ambientale non possono limitarsi alla salvaguardia delle risorse: noi investiamo nei progetti educativi per aiutare le future generazioni a diventare naturalmente consapevoli». Fondazione Ambienta

Come è possibile, secondo lei, contribuire ad aumentare la cultura ambientale in Italia? Ciascuno di noi, attraverso scelte individuali e collettive, può contribuire a diffondere una cultura del rispetto dell’ambiente, del risparmio energetico, del riciclo e - più in generale - di tutti quei comportamenti in

grado di conciliare fattivamente sviluppo industriale e cultura ambientale. Questo è un tipo di percorso condiviso anche da altre realtà, non ci prendiamo certamente il merito di aver scoperto questo modo di operare, certo è che Fondazione Ambienta ha scelto di farlo accantonando lo scopo commerciale per puntare esclusivamente su una finalità educativa, insegnando cioè ai bambini le regole per migliorare il futuro. Come è nata Fondazione Ambienta? La prima pietra viene posta da Ambienta con un fondo d’investimento per società

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maggio 2014 ambientali. Tutto è nato perché si è avvertito da parte di molti - per primo il presidente Nino Tronchetti Provera da subito sempre molto partecipe - un desiderio sincero d’affiancare al profit una realtà no-profit. Il nostro progetto si basa sull’ottimo rapporto che si è instaurato tra noi e le scuole. Ed è proprio questo il motivo che, secondo noi, rende il progetto vincente, permettendogli di rinnovarsi anno dopo anno. Lavoriamo infatti con bambini dagli 8 ai 10 anni. Che tipo di progetti sta portando avanti la Fondazione? Il progetto si chiama TONDO COME IL MONDO, un’avventura un po’ folle, soprattutto ripensando a quando abbiamo deciso di partire concretamente. Ricordo che inizialmente non avevamo a disposizione neppure le strutture adeguate, ma questo non ci ha fatto desistere,

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anzi. Ho lavorato molto con il no-profit e devo dire - onestamente - che è un piacere per me farlo. Si tratta di testi che vengono diffusi nelle scuole. La tiratura è di 50.000 copie suddivise in kit da 25 per classe. Ogni kit contiene il libro, un manifesto che viene affisso in aula, più una guida che serve alla maestra per decidere come gestire il progetto. Questo, infatti, non è il medesimo per ogni classe, ma dipende dalla stato attuale degli alunni, dai programmi e percorsi che svolgono insieme all’insegnante. Capita che alcuni abbiano già affrontato degli argomenti piuttosto che altri. Per questo motivo il libro è fatto a sezioni dove sono presenti tutti i temi e può essere utilizzato dalle terze fino alle quinte in modo assolutamente autonomo. Ogni classe, quindi, con l’aiuto della maestra può autogestirsi. E’ un percorso a lunga durata, che non si esaurisce di anno in anno.


altereco ambiente Oltre al progetto che viene portato avanti dalle classi, c’e anche un concorso a loro dedicato. In che cosa consiste? Proprio così, al testo si affianca un concorso che premia i migliori manufatti, ovviamente si intende i più creativi e non quelli qualitativamente perfetti, data l’età dei partecipanti. Teniamo soprattutto al fatto che siano i bambini a contribuire concretamente alla realizzazione e non le maestre. Vengono così scelte dieci classi nell’arco dell’anno. La giuria è composta da membri di Ambienta insieme a quelli di Giunti Educational, che è poi l’editore. Mi spiego meglio: ogni anno viene scelto un tema su cui lavorare. 40 classi vengono selezionate, inizialmente, dal solo Giunti e le 10 migliori dalla giuria descritta precedentemente. Ai vincitori vanno dei gadget, ovviamente a sfondo ambientale, e la Dott.ssa Gabetti - autrice del libro e straordinaria comunicatrice offre, per l’anno successivo, una settimana di laboratorio nella classe che ha vinto. Cristina Gabetti, giornalista esperta di tematiche ambientali, spiega in modo semplice e divertente i comportamenti corretti da adottare nella vita di tutti i giorni, vuole aiutare i bambini a comprendere l’importanza di amare la natura e l’ambiente, di imparare a gestire e risparmiare le risorse del pianeta, con nozioni spiegate semplicemente e in forma ludica. A tal fine, il libro si avvale delle belle ed efficaci illustrazioni di Piero Corva. Per la realizzazione editoriale la Fondazione ha scelto la Casa Editrice Giunti di Firenze, riconoscendo la serietà e la qualità di realizzazione nel campo dell’editoria per la scuola e per l’infanzia. Siete una realtà molto giovane, anche

se già con numeri molto positivi alla mano. Come vi siete mossi inizialmente? Il primo anno il progetto è partito da otto grandi città: Milano, Roma, Bologna, Firenze, Padova, Torino, Napoli e Palermo. L’anno successivo abbiamo avuto una lista di 900 richieste. Decisamente una vittoria per il progetto. Questo ci ha portati a considerare seriamente di stampare più copie del libro, poi abbiamo saggiamente deciso di continuare con questi numeri, ritenendo questa la formula vincente per far continuare serenamente il nostro progetto.

Al cartaceo avete affiancato anche una parte “virtuale”, di cosa si tratta? Il sito TONDO COME IL MONDO è nato due anni fa ed è in continua evoluzione. E’ partito con piccoli giochi, con delle newsletter dalle tematiche ambientali allo scopo di poter entrare maggiormente nell’ambiente famigliare.

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maggio 2014 Il progetto multimediale nasce nel 2013 dalla fondamentale esigenza di raggiungere un target multiplo di utenti: i bambini, gli insegnanti e le famiglie. Il sito mantiene la stessa struttura del testo, ovvero quella della divisione per tematiche: aria, acqua, terra, energia e riciclo, con un carattere però non didascalico, ma interattivo con giochi, test, quiz e laboratori. L’accesso al sito avviene attraverso una registrazione: questo ci permette di monitorare le adesioni e di raccogliere preziosi suggerimenti anche per progetti futuri. Altra strumento importante è quello della newsletter che viene inviata mensilmente agli utenti. Oltre a mantenere vivo l’interesse degli iscritti, mira ad approfondire i contenuti del sito con aggiornamenti, novità e curiosità in campo ambientale. Possiamo quindi dire che testo e sito vanno a completarsi vicendevolmente. Questo binomio cartaceo - online fa si che la tematica non tocchi più 50.000 bambini ma 150.000 soggetti, calcolando i genitori, ma potrebbero tranquillamente essere di più. In ogni caso numeri molto importanti. Non per nulla la Fondazione Ambienta ha ottenuto il bollino dal Ministero dell’Ambiente. Abbiamo inoltre chiesto di poter introdurre l’argomento nelle scuole tramite una materia specifica che possa diventare obbligatoria. E’ un processo già di per sé molto difficile, lo diventa ancora di più in questo periodo, caratterizzato da una certa instabilità politica. Qual è il rapporto tra l’Italia e gli altri paesi europei? In Italia chi fa, fa bene!, anche se c’è chi porta avanti questi tipi di progetti affiancando soprattutto un discorso commerciale, il

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nostro progetto è totalmente gratuito e credo che questo ne avvalori maggiormente lo scopo. C’è comunque, in generale, una sensibilità in crescita. La gente è molto attenta e interessata all’argomento. Di certo il bambino può essere un veicolo che non solo agisce a nome suo ma fa anche da tramite inserendo l’argomento nel contesto famigliare. Rimanendo all’interno dei nostri confini, nota delle differenza di richiesta o d’interesse tra le varie regioni? Ci sono delle differenze nelle varie zone d’Italia. Ci sono delle regioni, come il Trentino e la Toscana, dove questi argomenti vengono portati avanti mediante percorsi interni, quindi sono molto più freddi riguardo la nostra proposta.


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Altre regioni, invece, sono più interessate, magari alcune - come la Lombardia - lo sono perché le maestre sono avide di conoscenza e vogliono trasmetterela anche all’alunno. In altre zone, come per esempio quelle del sud, l’argomento interessa proprio perché mai trattato e quindi è un’ottima base di partenza per i bambini. I vostri progetti futuri? Ambienta sta ragionando anche per la partecipazione a Expo2015. C’è bisogno però di trovare una chiave di volta che permetta di agganciare un progetto e un argomento così importante e interessante, quale il nostro, con le tematiche dell’EXPO. Siamo in ogni caso fiduciosi e certi che riusciremo a trovare il modo di collaborare. Come riuscite a portare avanti la Fondazione, soprattutto in un periodo economico sfavorevole come quello che stiamo vivendo oggi? La Fondazione Ambienta si rivolge a tutti indistintamente con modalità diverse, per cui essendo no profit deve essere sostenuta con delle donazioni sia dai privati cittadini, sia dalle aziende, sia con

il 5x1000. Ovviamente il nostro augurio è che la gente sia sempre più vicina a questi progetti. Ringraziamo anche voi di Alter Eco che ci avete permesso di parlare della Fondazione e dei suoi progetti, sulle vostre pagine. Invitiamo tutti a sostenete “Tondo come il mondo”, il nostro progetto di educazione ambientale destinato ai bambini delle scuole primarie di tutta Italia, che in soli 4 anni ha raggiunto oltre il 10% dei bambini tra gli 8 e i 10 anni.

Per saperne di più sulla Fondazione visita il sito: www.fondazioneambienta.it Per i nostri progetti educativi visita il sito: www.tondocomeilmondo.it VIA LARGA, 2 - 20122 MILANO – ITALIA TEL 02 7217461 - FAX 02 72174 646 segreteria@fondazioneambienta.it

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A SOLAREXPO LA CONFERMA CHE IL MERCATO ITALIANO DEL SOLARE RIPARTE SU NUOVE BASI “La significativa affluenza di visitatori, per di più quest’anno particolarmente profilati dal punto di vista professionale afferma Luca Zingale, direttore scientifico dell’evento - è un chiaro segnale della fiducia che il mercato interno stia ripartendo. In parallelo, le aziende dovranno mantenere un forte orientamento verso l’estero, dove la domanda di energia verde è in crescita esponenziale. Abbiamo la soddisfazione di veder riconosciuto che il concept multitecnologico di Solarexpo-The Innovation Cloud ha saputo anticipare la tendenza del mercato verso l’integrazione di tutte le tecnologie energetiche innovative. Per sostenere la ripartenza del mercato abbiamo messo a disposizione dei professionisti un programma convegnistico all’avanguardia, offrendo un panorama completo dello stato dell’arte tecnologico e dei nuovi modelli di business”. Opinioni comuni fra gli espositori sono la percezione del rilevante numero di visitatori, e la loro ottima preparazione professionale, fattore essenziale in un mercato delle tecnologie energetiche in profondo mutamento. Nicola Cosciani, amministratore delegato di Fiamm Industrial Batteries, ha dichiarato: “In una fase di ridimensionamento del solare dopo la fine degli incentivi abbiamo notato che c’è un settore ancora vivo e dinamico che intende rilanciarsi anche integrando nei sistemi a fonti rinnovabili i sistemi di accumulo, per accrescere l’autoconsumo. Solarexpo-The Innovation

Cloud ha saputo valorizzare questo passaggio tecnologico - fotovoltaico più storage - dando un ottimo segnale al mercato, rimarcato anche dal successo del convegno sugli accumuli organizzato con RSE. Da notare poi che, oltre a Fiamm, erano moltissime le aziende espositrici che offrivano questa opzione tecnologica”. “Una nuova e interessante clientela tecnica ha visitato il nostro stand. Operatori che stanno allargando e aggiornando il loro business: non più solo fotovoltaico, ma integrazione tra tecnologie”, ha dichiarato Peter Hinteregger di IDM, produttore austriaco di pompe di calore elettriche. Per Andrea Milan di Connet “stiamo assistendo ad una logica evoluzione del business del fotovoltaico, finalizzato a un uso più ottimale dell’energia. In questa fiera si è capito che il futuro sarà nella gestione della domanda di energia elettrica, attraverso soluzioni tecnologiche innovative”. “Il passaggio da un modello di business basato sugli incentivi a uno imperniato sull’autoconsumo dell’elettricità verde autoprodotta richiede un cambio di mentalità. In questo l’Italia è di fatto un paese pioniere. Ma è la qualità del pubblico di questi tre giorni a Solarexpo che ci dà la garanzia di un buon sviluppo futuro del fotovoltaico in Italia”, hanno dichiarato Alvaro Garcia-Maltras e Sandra Valverde della major cinese Trina.

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INCENTIVI SMART E COMPETENZE IBRIDE “In Italia si sta tornando a considerare il fotovoltaico come una soluzione redditizia per l’autoproduzione e il risparmio energetico; questo porta ad un ripensamento dell’offerta e sta contribuendo ad una nuova ottica di integrazione tra le tecnologie”. L’intervista di Luca Zingale, direttore scientifico di Solarexpo-The Innovation Cloud del mensile Aicarr Journal. Dopo il Vº conto energia il mercato del Fotovoltaico ha cambiato fisionomia, aprendo la strada a tecnologie elettriche di nuova generazione. Luca Zingale, direttore scientifico di Solarexpo – The Innovation Cloud, analizza questa evoluzione. A.J. Con la fine degli incentivi il settore del FV italiano si è a dir poco ridimensionato. Sembra che la nicchia degli impianti in autoconsumo sia l’unica strada per fare FV in Italia adesso. Questo ha riavvicinato il mondo del FV a quello dell’edilizia? L.Z. Mi lasci dire subito che il termine della stagione del conto energia non significa affatto la fine degli incentivi, perché il FV può beneficiare appieno delle detrazioni fiscali del 50%: uno strumento che in varie applicazioni risulta addirittura più conveniente del quinto conto. Parlando di impianti a elevato autoconsumo non parlerei poi di “nicchia” perché oltre a tutto il settore residenziale (nel quale la grid parity si sta velocemente estendendo dal Sud al Centro-Nord, il che costituirà un nuovo propellente per il mercato) vanno considerati gli impianti su edifici terziari e industriali fortemente energivori e caratterizzati da profili di carico stabili. Ma è verissimo che in Italia si

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sta tornando a considerare il FV come una soluzione redditizia per l’autoproduzione e il risparmio energetico, abbandonando le logiche puramente finanziarie di produzione per cessione alla rete. Questo porta a un ripensamento dell’offerta e sta contribuendo fortemente alla nuova ottica di integrazione tra le tecnologie di cui parlavamo. La strada obbligata di massimizzare l’autoconsumo dell’energia prodotta rende indispensabile nella progettazione del fotovoltaico una valutazione organica impianto-profilo d’utenza. Il che apre la strada a un intero “paniere” di tecnologie elettriche di nuova generazione. A partire dalle pompe di calore, passando per l’illuminazione a led e i piani di cottura a induzione, per puntare in modo crescente ai sistemi di accumulo. Il tutto con controllo demotico dei carichi elettrici e il governo da parte di inverter intelligenti. Apparati sempre più in grado di fornire servizi avanzati alla rete di distribuzione, rendendola a sua volta sempre più “smart”.


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Ritiene che le aziende del comparto propongano soluzioni tecnologiche tali da stimolare una domanda che vada oltre gli obblighi di legge o gli incentivi? In realtà gli obblighi di rinnovabili negli edifici vigenti, essendo applicati solo sul nuovo (o su ristrutturazioni integrali sopra ai 1.000 metri quadrati), hanno un effetto relativo nello spingere la domanda, anche a causa della congiuntura attuale. Le molte soluzioni presenti sul mercato per l’efficienza energetica e le rinnovabili negli edifici godono di una domanda sostenuta soprattutto dai risparmi che riescono a garantire a famiglie e ad aziende, oltre che da incentivi quali le detrazioni fiscali, il conto termico (che deve ancora decollare pienamente), la proroga del Piano casa in quasi tutte le regioni italiane. Va poi acceso un faro sulla grande novità dell’obbligo di efficientamento di un minimo del 3% all’anno del patrimonio edilizio pubblico, a partire dal gennaio 2014, dettato dal recepimento della Direttiva europea sull’efficienza energetica.

Nell’ultima edizione di Solarexpo Innovation Cloud sono state numerose le proposte di accumulo energetico. Possiamo ritenerla una tecnologia matura e pronta per essere recepita dal mercato? Obiettivamente i prezzi sono ancora alti ma l’interesse è forte. Secondo un recentissimo studio ANIE installare una batteria per un impianto FV residenziale migliorerebbe il bilancio economico di circa 150-170 euro l’anno mentre, in uno scenario di diffusione spinta, gli accumuli potrebbero portare al sistema elettrico italiano benefici per oltre 500 milioni di euro l’anno. La tendenza è chiara: già diverse aziende di installazione hanno iniziato ad offrire pacchetti FV con accumuli inclusi, mentre stanno arrivando sul mercato diversi modelli di inverter con accumulo integrato. Affinché il mercato degli accumuli in Italia decolli basta che inizino a scenderei prezzi, cosa che accadrà presto. Un recente report IHS ad esempio prevede un calo del 45% in 5 anni, anche grazie all’effetto della domanda tedesca, spinta dall’incentivo introdotto.

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Le politiche di sostegno sono ancora fondamentali nel mondo delle rinnovabili e dell’efficienza? Cosa chiedono gli operatori alla politica? Le tecnologie che non sono ancora mature, se promettenti, devono essere sostenute finanziando la ricerca e lo sviluppo precompetivo. Per tutte le tecnologie più mature resta valido il principio dell’incentivazione, in primo luogo per farci raggiungere gli obiettivi europei del 20-20-20 (fra i quali quello dell’efficienza appare a rischio). E poi per diminuire la bolletta energetica del Paese e quella delle famiglie, delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. Dando un preciso contributo anticiclico e — mi lasci aggiungere — un forte messaggio di ottimismo al Paese. Ci sono due richieste comuni che vengono dagli operatori di tutte le tecnologie: semplificare le procedure amministrative e avere un quadro normativo chiaro, stabile che consenta di avere un orizzonte di medio periodo certo. Si tratta al contempo di lavorare su sistemi di sostegno anch’essi sempre più “smart”, a partire da una piena comprensione del loro ritorno per lo Stato anche in termini di gettito fiscale. Cosa intende con “sistemi di sostegno sempre più smart”? Per fare solo un esempio il FV chiede misure di liberalizzazione completa del mercato elettrico anche “a valle”, che consentano di sviluppare i nuovi modelli di business non incentivati, come la vendita diretta di elettricità attraverso i “sistemi efficienti d’utenza” (SEU) e le reti private (RIU) fra le quali rientra il grandissimo mercato dei condomìni. Per tutto ciò si attende una regolazione dal 2008. Un altro esempio di incentivazione di nuova generazione: per molti interventi di efficienza energetica, pur essendoci una chiara convenienza

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economica In questa fase di dura recessione del Paese, permane la difficoltà delle famiglie e delle imprese ad accedere al credito: in questo caso basterebbero misure come fondi di garanzia. Quali sono secondo Lei i migliori esempi di ibridazione tecnologica? Sono diversi, per citarne solo uno parlerei della domotica, che sposa le innovazioni dell’IT e della sensoristica (fortemente evolutasi sul fronte wireless) per gestire in modo integrato tutte le diverse tecnologie che entrano in gioco in un edificio ad alta prestazione energetica. La domotica è il segmento di mercato che più incarna questo spirito. Com’è il panorama delle aziende da questo punto di vista? È un settore giovane e molto promettente, nel quale stanno nascendo diverse interessanti esperienze italiane. Pur trattandosi di soluzioni applicate soprattutto nelle nuove costruzioni o nelle ristrutturazioni di grandi edifici — un handicap in questo contesto economico — si prevede che nei prossimi anni il mercato decolli. Le ultime stime IHS segnalano una crescita a livello mondiale del 150% entro il 2017. Il volume di affari dovrebbe salire a un tasso medio annuo del 20%, passando da 12,6 miliardi di dollari nel 2012 a 31,6 miliardi nel giro di soli 5 anni e nello stesso periodo la percentuale delle soluzioni domotiche sul totale delle tecnologie impiantistiche per gli edifici passerà dall’8 al 14%. Dopo una fase storica iniziale in cui era più legata ad un concetto di “lusso”, a spingere la domotica adesso è soprattutto il risparmio energetico che permette di ottenere, così come la possibilità di spingere concetti di autoproduzione di energia rinnovabile negli edifici, fino agli NZEB.


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FV E SISTEMI DI ACCUMULO: COSA SI STA FACENDO IN ITALIA? In Italia costi alti e normativa ancora da definire frenano per ora il boom delle batterie, soluzione ideale per massimizzare l’autoconsumo da fotovoltaico. Ma ce chi ha già iniziato a muoversi. La fase uno della rivoluzione energetica mondiale si può dire sia consistita nell’inserire a forza, grazie a finanziamenti pubblici, una quota di nuove fonti rinnovabili nei vecchi sistemi elettrici. Scopo, abbassarne i costi industriali delle fonti pulite e dimostrare che il vecchio mantra “non potranno che essere fonti marginali” non aveva fondamento. La fase due consisterà nell’adattare le reti elettriche, in modo che possano funzionare con percentuali crescenti di fonti non programmabili, come il solare e l’eolico, superando progressivamente il bisogno del back up da parte di fonti fossili. Tecnologia simbolo di questa nuova fase sono gli accumuli di elettricità. Questi, nella forma di batterie collegate alla rete, secondo un studio pubblicato a fine dicembre dalla società di ricerche IHS, conosceranno un vero boom, salendo da una installazione di circa 200 MW nel 2013, a una di 6 GW nel 2017, per arrivare nel 2020 a 40 GW di potenza totale installata nel mondo. Parte di queste batterie si useranno per rendere programmabile la produzione di grandi impianti eolici o FV (in California si stanno già introducendo obblighi a riguardo e in Italia servirà per far accedere questi impianti al futuro mercato

del dispacciamento), parte serviranno per evitare sovraccarichi in tratti sensibili delle reti (come sperimenta Terna in Italia), e parte finirà nelle case e nei capannoni, per massimizzare l’autoconsumo di energia fotovoltaica, rendendo disponibile di notte quanto accumulato di giorno. La cosa sembra allettante per gli utenti del fotovoltaico, ma in Italia per ora tutto sembra tacere. O quasi. “Nel rapporto che abbiamo fatto per l’Energy & Strategy group del Politecnico di Milano (vedi qui, ndr) – spiega a QualEnergia.it l’ingegner Simone Franzò - abbiamo analizzato tecnologia e convenienza dello storage concludendo che è proprio l’uso a livello di utenti finali ad avere più possibilità di crescita nel prossimo futuro, anche se, al momento, il costo dei piccoli accumulatori è ancora troppo alto per garantire, in assenza di incentivi specifici come quelli tedeschi, un recupero dell’investimento in tempi appetibili per le famiglie e ancor meno per le imprese. Ma il prezzo delle batterie, anche grazie alle auto elettriche, sta scendendo, e la soglia della convenienza la si dovrebbe raggiungere entro 2-3 anni”. Conferma Marco Pigni di Fiamm, il più grande costruttore italiano di batterie: “E’ vero, i costi sono ancora alti, tanto che

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per adesso abbiamo venduto le nostre batterie zebra al sodio-nickel, che offrono le stesse prestazioni del litio, ma usando materiali meno rari e più sicuri, solo a Terna e per sistemi staccati dalla rete o con rete poco affidabile. Ma l’aumento della nostra produzione dovrebbe portare a un calo drastico dei prezzi, del 3050% entro 3-4 anni, e allora recuperare il prezzo dell’accumulatore tramite il maggior autoconsumo dovrebbe richiedere meno di 10 anni”. Ma a frenare l’uso di batterie sono anche le incertezze normative. “Il GSE ha escluso la possibilità di usare sistemi di accumulo per gli impianti FV incentivati - ricorda Luca Zingale, direttore scientifico di SolarexpoThe Innovation Cloud - mentre per il nuovo si attende da anni un regolamento tecnico. A dicembre l’Aeeg ha presentato una bozza di consultazione, che dovrebbero portare

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a una normativa entro il 2014. Per questo il mercato italiano dei piccoli accumuli per ora è quasi fermo. Nonostante ciò a Solarexpo-The Innovation Cloud 2013 si sono già viste varie proposte di storage e ancora più numerose se ne vedranno quest’anno, dal 7 al 9 maggio a Milano. Sono sicuro che la possibilità di abbinare batterie e solare avrà un grande successo in Italia, paese dall’elettricità molto cara, rendendo più conveniente l’installazione nei tanti casi in cui l’utente è fuori casa durante il giorno, e aiutando, con l’aumento della quantità di energia risparmiata, quelle imprese che sceglieranno i SEU come mezzo per tagliare il costo dell’energia. Non trascuriamo poi la componente psicologico-politica dell’accumulo, che molti aspettano come mezzo per rendersi il più possibile indipendenti dalle grandi società energetiche”.


altereco ambiente In realtà c’è chi non ha atteso le normative: “E’ dal 2009 che, con la collaborazione dell’Università di Ancona – racconta a Qualenergia.it Roberto Mattioli, dirigente vendite dell’anconetana Energy Resources stiamo sperimentando, con ottimi risultati, sistemi di accumulo in famiglie e aziende. Il nostro approccio è stato quello di inserirli in un quadro complessivo fatto anche da impianti a rinnovabili, efficienza energetica, domotica e mobilità elettrica. Paradossalmente, però, ora che abbiamo il know-how e i dati della ricerca, la crisi del settore, la stretta creditizia e l’incertezza normativa, ci rendono difficile procedere con lo sviluppo dei prodotti”. Il gigante Power One, secondo costruttore mondiale di inverter, non ha evidentemente di questi problemi. “Tra sei mesi - ci spiega Paolo Casini, direttore marketing dell’azienda che ha la sua sede principale in Toscana - metteremo in vendita il nostro nuovo inverter per fotovoltaico da 3,6 e 4,6 kW, con accumulo modulare al litio da 2, 4 o 6 kWh, secondo necessità. Il suo uso dovrebbe già essere conveniente in Italia, Germania e Gran Bretagna, dove, l’alto e crescente costo dell’elettricità, sui 20 anni di vita di un impianto, e con un cambio delle batterie dopo 10, dovrebbe assicurare una redditività media del 5-6%. Naturalmente, all’inizio, contiamo di venderne soprattutto in Germania, grazie agli incentivi, ma siamo sicuri che appena le normative saranno pronte e magari i prezzi degli accumulatori, che costituiscono il 70% del costo di questo prodotto, scenderanno, saranno richiesti anche in Italia. Per una nostra famiglia media, infatti, già la versione da 2 kWh, dovrebbe consentire di passare da un autoconsumo medio del 30% a uno del 70%, velocizzando di molto il recupero dell’investimento. Soprattutto se, come

nel nostro caso, il sistema di accumulo contiene anche software per ottimizzare l’uso dell’elettricità durante la giornata, per esempio dialogando con elettrodomestici intelligenti e programmando il loro uso in base anche alla prevista produzione solare”. Ma esiste anche una soluzione di accumulo, che aggira ogni problema normativo. Ci hanno pensato sia Solon Italia che Albasolar, un’azienda piemontese di impianti fotovoltaici. “Da alcuni mesi – ci racconta Alberto Giacosa di Albasolar - stiamo offrendo sistemi di accumulo abbinati ai nostri impianti, dove i pannelli ricaricano la batteria, ma non immettono elettricità in rete. Finché la batteria è carica l’utente usa la sua energia, quando questa termina si apre il collegamento alla rete. E’ un sistema che interessa chi consuma molto in ore non diurne”. Soliberty di Solon, presentato a ottobre, si basa su un concetto simile, con batterie al piombo (meno care di quello al litio, ma anche meno longeve) da 3,3 fino a 10 kWh, utilizzabili sia da chi ha impianti incentivati (con accumulo che fa da back up alla rete di casa), che nuovi (con accumulo connesso direttamente ai pannelli). Alla Solon promettono di far aumentare l’autoconsumo dell’elettricità solare fino al 90%, senza immissione in rete dalle batterie. Il lato negativo di questi sistemi è che l’eventuale eccesso di elettricità solare, se la batteria è già carica, non può essere venduto in rete. Ma è uno svantaggio che può essere mitigato dalla giusta combinazione di potenza dell’impianto solare e capacità dell’accumulatore.

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LA POTENZIALITÀ DEI SEU PER IL MERCATO DEL FOTOVOLTAICO ITALIANO. COMUNICATO GIFI-SOLAREXPO Con i Sistemi Efficienti di Utenza si apre una nuova stagione per il fotovoltaico italiano. Un modello di business che permette di vendere l’energia producendola direttamente sull’edificio del cliente, garantendogli un risparmio in bolletta. Prosegue in Italia lo sviluppo di una nuova stagione di mercato per il fotovoltaico post-incentivi. Con la pubblicazione della delibera dell’Autorità per l’Energia – molto attesa da parte degli operatori e che ha chiarito alcuni punti critici fondamentali, cui seguiranno entro fine marzo le regole operative da parte del GSE - diventa praticabile una nuova strada per fare solare senza incentivi: quella di vendere l’energia producendola direttamente sul tetto del cliente, grazie ai Sistemi Efficienti di Utenza, o SEU. Si tratta di sistemi alimentati da impianti a rinnovabili o da cogenerazione ad alto rendimento, con potenza fino a 20 MWe, gestiti da un solo produttore, che può essere anche diverso dal cliente finale, realizzati all’interno di un’area di proprietà o nella piena disponibilità del cliente stesso. Configurazioni che danno un vantaggio economico perché, essendo l’energia prodotta e consumata all’interno del SEU esente dagli oneri della rete di trasmissionedistribuzione e dagli oneri generali di sistema, consentono al cliente di garantirsi elettricità a tariffe inferiori rispetto a quella prelevata dalla rete pubblica e al produttore di venderla a un prezzo superiore a quello del mercato elettrico. Si rende così possibile, in un’ampia varietà di situazioni,

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fare fotovoltaico non incentivato, ossia in grid parity. Lo scorso 24 febbraio a Milano ANIE-GIFI, Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, ha organizzato sul tema un seminario di studio sul quadro regolatorio, gli aspetti tecnici e quelli legali-fiscali dei “Sistemi Semplici di Produzione e Consumo”, fra i quali primi per importanza i SEU. “L’applicazione dei SEU rappresenta una grande opportunità che permetterà a molte aziende di pagare meno l’energia elettrica, rendendole più competitive. Autoconsumo e generazione distribuita potranno trovare finalmente il loro dovuto sviluppo a beneficio del sistema elettrico, abilitando allo stesso tempo l’ammodernamento della rete”, ha detto Emilio Cremona, presidente di ANIE-GIFI. “Il fotovoltaico in autoconsumo e questi nuovi modelli di business hanno un notevole potenziale, specie in un mercato con buona irradiazione solare e alti costi dell’elettricità, come quello italiano”, spiega Luca Zingale, direttore scientifico di SOLAREXPO-THE INNOVATION CLOUD, da 15 anni l’evento fieristico di riferimento per il fotovoltaico e le altre tecnologie dell’energia intelligente.


altereco ambiente esso residenziale, terziario o industriale che coinvolga anche altre soluzioni: dalle

I clienti ideali? Quelli con un profilo temporale di consumo che coincida il più possibile con la produzione dell’impianto fotovoltaico, come ad esempio centri commerciali e supermercati, che consumano molta elettricità nel corso delle ore diurne. Ma anche molte aziende industriali non necessariamente “energivore” secondo la definizione classica, ma per le quali l’energia elettrica è una voce importante dei costi di produzione, e quindi della loro competitività complessiva. Con i SEU, in effetti, non si tratta solo di installare un impianto, ma di realizzare un intervento su misura per il cliente, studiandone i consumi e abbinando il fotovoltaico ad altre soluzioni che ottimizzino il profilo in rapporto alla produzione del solare. E’ qui che entra in gioco il rapporto tra il solare e le altre tecnologie energy smart. “Sempre di più l’impianto FV dovrà essere concepito all’interno di un intervento organico sui consumi di un utente – sia

pompe di calore per la climatizzazione, all’illuminazione efficiente, ai sistemi di building automation, fino alla ricarica per veicoli elettrici, il tutto supportato da sistemi di accumulo dell’elettricità autoprodotta. Tecnologie che sono il cuore della nostra esposizione che si terrà a maggio”, ha spiegato Luca Zingale. “Questo nuovo modo di fare fotovoltaico realizza appieno il concetto di ‘Innovation Cloud’, la ‘nuvola’ della generazione distribuita e delle applicazioni energetiche innovative tra loro integrate, ha concluso il direttore scientifico di SOLAREXPO-THE INNOVATION CLOUD. Su questi nuovi modelli di business molte aziende del fotovoltaico possono basare la loro ‘ripartenza’ dopo la chiusura della stagione del conto energia. A patto però di sapersi adattare al cambiamento: fare solare vorrà dire sempre meno vendere un prodotto e sempre di più fornire un servizio: al centro ci dovrà essere il cliente con i suoi consumi, da analizzare e rimodellare in maniera intelligente. Servono quindi aggiornamento continuo sulle novità e capacità di integrare competenze professionali diverse. Di queste sfide per la filiera industriale e professionale italiana del solare si parlerà dal 7 al 9 maggio a Milano, a partire dall’evento di apertura di SOLAREXPO 2014, “Il fotovoltaico in Italia alla sfida del mercato”, che vedrà la presenza anche di ANIE-GIFI, e poi in una serie di eventi tecnici e di formazione professionale nell’arco dei tre giorni di manifestazione.

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LE TECNOLOGIE LOW-CARBON PER EDIFICI A CONSUMO QUASI-ZERO. L’INTERVISTA DI INGENIO A LUCA ZINGALE Fotovoltaico, SEU, domotica ed edilizia a bassissimo consumo di energia saranno tra i protagonisti dell’edizione 2014 di Solarexpo-The Innovation Cloud. Riportiamo l’intervista a Luca Zingale pubblicata sul portale di informazione Ingenio. Nella stagione del post-incentivi, le imprese del fotovoltaico hanno l’esigenza di guardare con decisione all’integrazione fra tecnologie innovative. Il fotovoltaico entrerà in una fase nuova, quella dello sviluppo autopropulsivo. Cosa comporta questa trasformazione? Nel fotovoltaico che si regge sulle proprie gambe senza incentivi, quello in grid parity, il vantaggio economico è dato dalla differenza tra il costo di prodursi l’elettricità ‘dietro al contatore’ con il sole, e quello di acquistarla dalla rete pubblica, con i relativi oneri e imposte. Più che mai, dunque, la parola d’ordine è massimizzare l’autoconsumo, cioè utilizzare direttamente la quota più ampia possibile dell’energia prodotta dall’impianto. Progettisti e installatori in questa nuova fase devono trasformarsi quasi in energy manager: non si vende più semplicemente un impianto ma un servizio di efficientamento energetico. Installare un impianto fotovoltaico ora diventerà sempre di più parte di un intervento organico sui consumi: si tratta di gestirli in modo da coprirne la maggior parte possibile con la produzione del solare. In quest’ottica è quasi indispensabile interagire con altre

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tecnologie, come ad esempio le pompe di calore, che spostano i consumi per il riscaldamento dal gas all’elettricità, la ricarica dei mezzi elettrici, i piani cottura a induzione, gli inverter intelligenti, i sistemi di domotica e, last but not least, i sistemi di accumulo. I ‘sistemi efficienti di utenza’ (SEU) possono rappresentare una strada praticabile per fare solare senza incentivi? In cosa consistono questi sistemi? Secondo la definizione normativa, i SEU sono sistemi alimentati da impianti a rinnovabili o di cogenerazione ad alto rendimento, con potenza fino a 20 MWe, gestiti da un solo produttore, anche diverso dal cliente finale, direttamente connessi tramite un collegamento privato all’unità di consumo e realizzati all’interno di un’area di proprietà del cliente stesso. In parole più semplici, sono quel modello di business che rende possibile vendere l’energia elettrica al cliente andando a produrla direttamente a casa sua: ad esempio posso installare un impianto FV sul tetto di un capannone e vendere all’attività commerciale che lo occupa l’energia prodotta a un prezzo fisso inferiore a quello della rete. Essendo questa prodotta e consumata all’interno del SEU e


altereco ambiente quindi esente da oneri di rete e di sistema, il cliente può garantirsi elettricità a tariffe inferiori a quelle della rete pubblica e il produttore può vendergliela a un prezzo superiore a quello del mercato elettrico all’ingrosso, avendo margini sostenibili. Con l’ottima producibilità solare e gli alti costi retail dell’elettricità che abbiamo, questi modelli di business sono guardati con grande interesse in Italia. Permettono ai clienti di tagliare la bolletta e agli operatori del fotovoltaico di fare impianti non incentivati. Si tratta di un modo di fare fotovoltaico più complesso e sfidante rispetto ai modelli del passato basati sugli incentivi, ma la strada è di certo praticabile e ora che, dopo la pubblicazione a dicembre dell’attesa delibera dell’Autorità in materia, il quadro normativo è più definito in molti vi si stanno incamminando. L’obiettivo primario della Direttiva 2010/31/UE e quindi del Dl.63/2013 è la trasformazione dell’intero comparto edilizio in “Edificio ad Energia Quasi Zero” (Near Zero Energy Building NZEB), imponendo a tutti gli Stati membri di fissare i requisiti minimi di prestazione energetica per gli edifici esistenti e nuovi, garantire la certificazione energetica e disciplinare i controlli sugli impianti. Il rilancio della riqualificazione energetica di un patrimonio edilizio nazionale largamente inefficiente e di intere aree urbane degradate potrà garantire occupazione e ridurre i consumi energetici? Certo, in un contesto come il nostro la strada che può portare a maggiori risultati dal punto di vista energetico, ma anche di ricadute economiche e occupazionali, è quella di intervenire sull’esistente. Da questo punto di vista abbiamo visto gli importanti risultati ottenuti in questi anni con le detrazioni fiscali per l’efficienza

energetica negli edifici: dati aggiornati all’anno scorso parlano di oltre 1.400.000 interventi, per circa 18 miliardi di euro di investimenti, con la creazione di oltre 50mila posti di lavoro all’anno nei settori coinvolti, soprattutto nelle migliaia di piccole e medie imprese nell’edilizia e nell’indotto. Risultati che avrebbero potuto essere ancora più importanti, anche a fronte di sgravi meno generosi, se la misura fosse stata resa strutturale e le fosse stato dato fin dall’inizio un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, anziché gli innumerevoli stop-and-go che abbiamo visto. Un grande potenziale di efficientamento, il cui sfruttamento è poi incentivabile dal conto termico, è poi nell’edilizia pubblica: intervenire su i consumi degli edifici pubblici, oltre a dare il buon esempio al privato, è anche un ottimo modo per migliorare nel medio periodo i bilanci di enti locali e pubblica amministrazione. La nuova edilizia a bassissimo consumo di energia (nella prospettiva prossima ventura della sfida degli edifici a consumi “quasi-zero”) comporterà grande innovazione nella progettazione, nei materiali e nelle soluzioni impiantistiche. Siamo pronti per questa sfida?

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Come testimoniano le innovazioni che abbiamo visto in questi anni a SolarexpoThe Innovation Cloud, siamo di fronte ad un settore, quello dell’edilizia efficiente e delle rinnovabili negli edifici, che guarda sempre al miglioramento tecnologico. I fronti fecondi sono diversi e tutti ben rappresentati nella nostra fiera: nuovi materiali, fonti rinnovabili integrate nell’edificio, domotica e altri ancora. Certo, l’innovazione per svilupparsi ha bisogno di una cornice normativa che fissi obiettivi sul medio-lungo termine e strumenti di sostegno per raggiungerli: da questo punto di vista la meta fissata dall’Europa degli edifici a consumo quasi nullo è un grande stimolo che andrebbe accompagnato da politiche nazionali tempestive, magari anche sotto forma di incentivi all’innovazione. La domotica è il segmento di mercato che attualmente sposa meglio il concetto di tecnologia ibrida. Esistono già altri esempi? Come ha detto lei, la domotica è il segmento di mercato che meglio incarna l’ibridazione tra le tecnologie, dato che, grazie al contributo dell’information technology e della sensoristica, coordina tutte le altre soluzioni per la casa energy-smart. Altro ambito la cui essenza è l’ibridazione tecnologica è quello delle soluzioni per la smart grid, con la quale peraltro la domotica si interfaccia. La rete intelligente, coordinando grazie all’IT varie soluzioni che vanno dalle rinnovabili, agli impianti convenzionali, agli accumuli anche sotto forma di ricarica di veicoli elettrici, fino agli strumenti di gestione della domanda, fa su scala più grande quello che la domotica fa in casa. Ma l’ibridazione tra tecnologie è ormai ovunque: prima abbiamo fatto l’esempio del FV in autoconsumo, che dà il meglio se abbinato ad altre tecnologie

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come le pompe di calore o gli accumuli, un altro esempio sono gli NZEB, un obiettivo raggiungibile solo con l’integrazione di diverse tecnologie. Le barriere disciplinari tra le varie tecnologie cadono e l’integrazione è la chiave per la sostenibilità energetica negli edifici: questo è il motivo per cui con The Innovation Cloud abbiamo trasformato il nostro evento in una piattaforma multitecnologica per l’efficienza energetica e le tecnologie rinnovabili. La direttiva europea sugli NZEB, gli edifici a consumo quasi-zero, pone uno sfidante obiettivo in termini di prestazioni da raggiungere, ma non dà indicazioni preferenziali in termini di tecnologie. Con quali tecnologie si possono raggiungere tali obiettivi? Come detto l’obiettivo non è raggiungibile se non adottando un mix di soluzioni fatte su misura per il singolo progetto e alla zona climatica considerata. Ingrediente base sono tutte le tecnologie che permettono di ridurre al minimo i consumi, cioè quelle per l’efficienza energetica vera e propria, come i materiali isolanti, le superfici trasparenti a bassa trasmittanza, i sistemi di illuminazione e gli elettrodomestici a basso consumo etc. Su questo fabbisogno energetico ridotto entrano in gioco combinandosi tra loro le varie soluzioni per prodursi l’energia in casa e in modo pulito: solare termico, riscaldamento a biomasse, pompe di calore, anche quelle geotermiche, fotovoltaico, sistemi di accumulo e altre ancora. A coordinare l’intero sistemaedificio possono poi intervenire soluzioni di domotica, un mercato quello degli home energy management system che non a caso, secondo recenti previsioni, passerà dai 512 milioni di dollari a livello mondiale del 2013 a 2,8 miliardi al 2020.


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LIFE CYCLE ASSESSMENT COME STRUMENTO DI ECODESIGN di Beatrice Bortolozzo Carta d’identità Nome:

LCA (Life Cycle Assessment), in italiano Analisi del ciclo di vita.

Data di nascita: i primi studi di LCA risalgono agli anni ’60, quando alcune grosse

aziende statunitensi cominciarono a interessarsi alla riduzione del consumo di risorse. Tra i primi studi vi sono quelli condotti dall’US Environmental Protection Agency, mentre rimane storico lo studio pubblicato nel 1971 da Coca Cola Company per il confronto tra vetro, plastica e alluminio. Spesso viene citato come primo studio di LCA condotto, ma è possibile che sia stato preceduto da studi scandinavi.

Cosa studia:

misura l’impatto ambientale di un prodotto o servizio lungo il suo intero ciclo di vita.

A cosa serve:

può essere utilizzata a scopo di ecodesign per migliorare prodotti esistenti o realizzare prodotti o servizi a ridotto impatto ambientale.

La Life Cycle Assessment è una metodologia scientifica che permette la valutazione quantitativa dell’impatto ambientale di un prodotto, servizio o processo industriale lungo il suo intero ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime attraverso la produzione, il trasporto, l’uso, fino al fine vita, ovvero dalla culla alla tomba.

Strategia ambientale, eco design, comunicazione Questa metodologia è dalle norme ISO 14040 descrivono il quadro i principi e i requisiti. a qualche anno fa in

standardizzata e 14044, che di riferimento, Relegata fino ambiti tecnici

all’interno di reparti di ricerca e sviluppo, sempre più spesso la LCA rappresenta uno strumento utilizzato da dirigenti a supporto di strategie ambientali, da responsabili dello sviluppo di nuovi prodotti come strumento di ecodesign e da esperti di comunicazione a supporto delle strategie di marketing.

Ciclo di vita e impatti ambientali La LCA sviscera la complessità dei processi coinvolti nel ciclo di vita del prodotto, identificandoli uno a uno e individuando, per ciascuno, le risorse utilizzate (es. acqua, materie prime etc.) - detti input - e le emissioni in aria, acqua e suolo - chiamati output.

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Tale analisi permette di calcolare gli impatti ambientali che possono essere raggruppati in tre categorie principali: danni alla salute umana, danni alle risorse, danni agli ecosistemi. I danni alla salute umana vengono calcolati in termini di anni in meno di vita o in anni di malattia. Fa parte di questa categoria - ad esempio - la tossicità umana. I danni agli ecosistemi vengono misurati in termini di perdita di specie in una determinata area nel corso di un anno. Di questa categoria fanno parte l’eutrofizzazione, caratterizzata da un livello troppo elevato di nutrienti nell’ambiente, oppure l’acidificazione che causa danni tra cui le piogge acide che deteriorano gli edifici, etc. Il danno alle risorse è legato ai costi necessari per estrarre in futuro le fonti non rinnovabili; tali costi aumentano a causa della riduzione delle risorse stesse.

Come si svolge uno studio di LCA? Uno studio di LCA si compone di 4 fasi: 1 - definizione degli obiettivi e campo di applicazione. In questa fase vengono definite le finalità dello studio, l’unità funzionale per la quale si misura l’impatto ambientale, i confini del sistema - ovvero i processi da considerare - il fabbisogno di dati e i relativi assunti; 2 - inventario, ovvero la quantificazione dei dati relativi ai flussi in entrata e in uscita per ciascun processo del ciclo di vita del prodotto; 3 - valutazione degli impatti. Le informazioni

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ottenute nell’analisi dell’inventario vengono classificate e aggregate nelle diverse categorie d’impatto; 4 - interpretazione dei dati, a cui si possono accompagnare delle raccomandazioni per migliorare il prodotto o il servizio analizzato.

I vantaggi Attraverso uno studio di LCA è possibile misurare l’impatto di un prodotto nel suo complesso ma anche quello delle diverse fasi del suo ciclo di vita, oltre che avere a disposizione una serie di indicatori ambientali che evidenziano tematiche specifiche. La Life Cycle Assessment rappresenta quindi uno strumento che, successivamente necessita di essere messo in pratica attraverso strategie ambientali e piani d’azione concreti.


altereco ambiente La prospettiva è quella di attuare una politica di ecodesign per migliorare le prestazioni ambientali dei prodotti esistenti. Fondamentale sarebbe la realizzazione di nuovi prodotti con un impatto ridotto, per i quali possono essere individuati processi più efficienti o materiali più adatti al particolare uso, oltre che una riduzione di sprechi, un packaging migliore o soluzioni completamente nuove, anche attraverso innovazioni di rottura. Considerare l’intero ciclo di vita di un prodotto permette di non cadere nel tranello di migliorare un solo aspetto o problema ambientale a scapito di altri; questo approccio è infatti orientato al miglioramento dell’intero sistema. L’applicazione di questa metodologia stimola il coinvolgimento di tutta la catena di fornitura e l’attivazione di un circolo virtuoso tra gli attori coinvolti. La LCA può essere di supporto in una politica di green procurement o acquisti verdi, aiutando a individuare i prodotti con le migliori prestazioni ambientali. La pubblica amministrazione può inoltre utilizzare la Life Cycle Assessment per sviluppare sistemi di servizi più efficienti o migliorare quelli esistenti, ad esempio per la raccolta dei rifiuti o la mobilità. Con il crescente interesse per le tematiche ambientali anche il marketing si è trasformato. È ormai prassi comune che le aziende comunichino i propri impatti ambientali. Un fenomeno purtroppo non raro è descritto dal neologismo greenwashing, ovvero “darsi una mano di verde”. Ciò si verifica quando un’azienda cerca di far apparire i propri prodotti o servizi come sostenibili, fornendo informazioni non rispondenti a realtà, allo scopo di migliorare la propria immagine. La LCA

permette, al contrario, di supportare scientificamente le asserzioni ambientali, anche attraverso una serie di marchi ecologici di prodotto che richiedono necessariamente lo svolgimento di uno studio di LCA (es. la certificazione EPD – Environmental Product Declaration) o che sono basati sul concetto di ciclo di vita (es. ecolabel europeo).

Un esempio Immaginiamo di applicare la LCA ad un prodotto comune che ciascuno di

noi possiede: una semplice maglietta di cotone. Nella fase relativa alle materie prime, l’analisi parte dalla preparazione del terreno per la coltivazione del cotone, comprendendo quindi il lavoro dei diversi macchinari, la semina, l’utilizzo ad esempio di pesticidi e acqua, fino al raccolto. Nella fase di coltivazione, il cotone risulta essere particolarmente impattante poiché necessita di considerevoli quantitativi d’acqua e

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maggio 2014 prevede tradizionalmente l’utilizzo di pesticidi, fertilizzanti, defolianti in dosi massicce. Sembra che oltre il 20% dei pesticidi utilizzati a livello mondiale sia destinato proprio alla coltivazione del cotone.

La lavorazione del cotone comprende la filatura per trasformare le fibre in filato, la sbiancatura e la tintura. Durante questa ultima fase vengono usate diverse sostanze chimiche altamente impattanti che finiscono in grandi quantità anche nelle acque di scarico, con il rischio di contaminazione delle falde. In questa fase viene considerato, - oltre all’elevato uso di acqua - anche l’uso di energia elettrica.

La nostra t-shirt, finalmente pronta, viene piegata in una busta in plastica e successivamente - in una scatola di cartone contenente un certo numero di magliette per la spedizione. Per tutti gli imballaggi previsti si analizzerà l’intero ciclo di vita: per la busta in plastica si partirà dal petrolio mentre per la scatola in cartone dall’albero e - per entrambi - si seguiranno tutti i processi fino allo smaltimento.

La nostra maglietta può ora essere spedita al negozio nel quale l’acquisteremo. Poiché molto probabilmente è stata fabbricata in Cina o in India, dovremo tenere conto del trasporto via camion, nave e di ulteriori spostamenti su ferrovia o camion anche in Europa. Per ciascuno dei mezzi utilizzati verranno considerati non solo consumi ed emissioni degli stessi ma anche la pur piccolissima parte del ciclo di vita del mezzo imputabile al trasporto della nostra maglietta.

Una volta pronto il tessuto viene avviato alla fabbricazione dei diversi indumenti, tra cui la nostra maglietta di cotone, che viene realizzata nella fase di confezionamento taglio e cucitura -, per la quale vengono ad esempio considerati l’utilizzo di energia elettrica e gli scarti. Nel momento in cui entriamo in possesso del nostro capo, questo ha già un trascorso al quale spesso non pensiamo, e tutte le componenti che ne hanno reso possibile

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altereco ambiente la fabbricazione sono state a loro volta realizzate in paesi - addirittura continenti - diversi. L’analisi del suo impatto fino ad ora ha già portato a incrociare molti diversi cicli di vita. La fase d’uso non è tuttavia da sottovalutare poiché, soprattutto nell’abbigliamento, ha un impatto considerevole dato dal lavaggio, dall’asciugatura e dalla stiratura. Lo studio Apparel Industry Life Cycle Carbon Mapping di qualche anno fa evidenziava che, in quanto a emissioni di gas serra, le fasi più impattati del ciclo di vita sono il lavaggio e l’asciugatura. L’asciugatrice è particolarmente energivora, poiché un carico consuma 5 volte più energia di un carico nella lavatrice.

Il nostro ciclo si conclude con il fine vita della maglietta che può - ad esempio - essere la donazione, il riciclo, l’incenerimento.

Negli ultimi anni, sulla base di diversi studi di LCA, sono nate molte iniziative per ridurre l’impatto del ciclo di vita dell’abbigliamento. È possibile intervenire a livello di produzione con coltivazioni biologiche di cotone o coltivazioni meno impattanti come ad esempio la canapa, tinture naturali, asciugature al sole, lavaggi a basse temperature o - come suggerisce il WWF in un recente video lavaggi meno frequenti della maglietta che usiamo. Ci sono però anche altre possibilità di intervento: dalla donazione dei propri capi di abbigliamento quando non li usiamo più per allungarne la vita; l’acquisto di capi vintage e quando non sono più utilizzabili - la trasformazione in oggetti diversi, sia in casa che attraverso il riciclo in strutture preposte. Infine, anche la tecnologia può venire in aiuto della sostenibilità: tessuti che si sporcano meno, macchie che “scivolano via”, tessuti che non fanno sudare, che asciugano in fretta o che non necessitano di essere stirati. Oppure tessuti - di cui ho letto recentemente che cambiano di colore potendo quindi essere usati in occasioni diverse. Fare ecodesign significa accettare una serie di vincoli nell’utilizzo delle risorse, dei processi, della produzione, utilizzando indicatori scientifici come guida alle proprie scelte. Il segreto è non considerarli come limiti ma come opportunità per intraprendere nuovi percorsi e imparare a innovare in modo inaspettato.

Beatrice Bortolozzo bortolozzo@to-be.it www.to-be.it www.ciclodivita.it

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L’INNOVAZIONE SOSTENIBILE E IL LIFE CYCLE THINKING di Mario Iesari – GREENACTIONS

ed Emanuela Scimìa – PE INTERNATIONAL

Discutendo su come rilanciare l’economia nazionale in modo sostenibile, si tende a privilegiare le condizioni che favoriscono l’innovazione come condizione necessaria. In realtà la relazione causa effetto è rovesciata: è l’innovazione ad avere bisogno - oggi - della sostenibilità per ottenere gli effetti più significativi sullo sviluppo economico. Iniziamo definendo l’innovazione sostenibile che riguarda l’introduzione di beni, servizi, tecnologie, modalità organizzative e modelli di business che determinano: a) la maggiore soddisfazione per chi usufruisce della nuova soluzione b) la riduzione della pressione ambientale lungo l’intero ciclo di vita del bene o del servizio; c) il miglioramento delle condizioni di vita dei corpi sociali coinvolti; d) la sostenibilità economica di lungo periodo per tutti gli stakeholder. In che modo la sostenibilità entra nella cultura d’impresa e riesce a produrre risultati positivi non solo in termini di riduzione degli impatti ambientali e sociali ma anche di incremento della capacità di innovare? Sulla base della nostra esperienza e di quella di centinaia di aziende nel mondoo, questo avviene grazie all’adozione del Life Cycle Thinking; cioè della visione che incorpora la valutazione delle opportunità e dei rischi d’impresa nella consapevolezza dei loro impatti lungo l’intera filiera produzione – distribuzione - consumo.

LCA: metodologia aziendale

e

cultura

Come noto, solo misurando un fenomeno si riesce a intervenire per migliorarlo. La metodologia di gran lunga più conosciuta e affermata per quantificare l’impatto ambientale di un prodotto, processo o modello di business è il Life Cycle Assessment (LCA), che permette di misurare gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto. Una recente ricerca di mercato voluta da PE INTERNATIONAL e condotta da Green Research su di un campione di aziende internazionali, offre un’ampia panoramica sulle opportunità perseguite dalle aziende che utilizzano la metodologia LCA. Processi di produzione. Le aziende possono utilizzare l’LCA per identificare le fasi del processo di produzione che hanno il maggior impatto ambientale e concentrare le attività di ottimizzazione su quest’ultime. Gestione dei rifiuti. L’LCA può essere utilizzata per scegliere tra diversi approcci di gestione dei rifiuti. Per esempio: il riciclaggio non è detto dis sempre superiore all’incenerimento, l’LCA confronta in modo quantitativo i reali benefici di uno scenario di fine vita rispetto a un altro. Sviluppo di prodotto e imballaggio. Le aziende ricorrono ai metodi di LCA nel design di prodotti e del loro imballaggio. L’LCA può supportare la selezione di materiali con minor impatto

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maggio 2014 selezione di materiali con minor impatto ambientale. Essa può guidare lo sviluppo di design che genera un impatto inferiore nella fase di utilizzo o che sia più semplice da recuperare/ riciclare. Obiettividisostenibilità. Un’organizzazione con obiettivi di sostenibilità interni o esterni può adottare l’LCA per valutare l’impatto di processi individuati per il loro raggiungimento. Questo può dare indicazioni preliminari sulla necessità di ricalibrare determinati obiettivi interni, come conseguenza ad esempio del lancio di nuovi prodotti o processi. Green marketing. L’LCA può essere utilizzata anche con finalità di comunicazione. Un’analisi rigorosa e scientificamente consolidata, condotta secondo gli standard internazionali, dà o spunto alla comunicazione riguardo a performance e sviluppo ambientale verso i clienti. Le LCA sono basi per le dichiarazioni ambientali di prodotto, mezzi di comunicazione che stanno assumendo un ruolo sempre più importante. Gestione dei rischi e delle strategie. Alcune aziende effettuano l’LCA per capire meglio la loro dipendenza da materie prime critiche, la disponibilità di risorse alternative e il loro impatto, oltre che l’esposizione a eventuali interruzioni della catena di fornitura. La stessa ricerca ci informa sui vantaggi che possono essere ottenuti dall’integrazione della metodologia LCA nei sistemi di gestione aziendali. Costi ridotti. La comprensione del costo dell’intero ciclo di vita può rivelare che gli approcci che sembravano in apparenza meno costosi sono in realtà più onerosi. In un’ottica dell’intero ciclo di

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vita le aziende sono in grado di definire strategie congrue per la riduzione dei costi. Possono identificare le opportunità per ottimizzare la produzione di rifiuti e di conseguenza dei costi di smaltimento. Aumentare i ricavi. L’LCA può comunicare i benefici ai clienti e permettere l’acquisizione di nuovi mercati. Rispondere alle domande dei clienti. Dato che un sempre maggior numero di aziende cercano di comprendere e ridurre il loro impatto ambientale nell’intero ciclo di vita, vi è anche un aumento delle richieste di supporto verso i fornitori. Accade sempre più spesso che le aziende ricevono richieste da parte dei loro clienti d’informazioni dettagliate sugli impatti ambientali. Accesso ai mercati. Alcuni prodotti necessitano una LCA per poter essere inseriti con successo sul mercato. I marchi ambientali, come la Green Seal negli Stati Uniti e l’Ecolabel dell’UE, richiedono una LCA. In più, in Francia la legislazione denominata Grenelle 2 prevede per i prodotti di consumo la necessità di ottenere la Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD) basata sulla LCA. Potenziamento del brand. La condotta di una valutazione del ciclo di vita offre al produttore una comprensione approfondita degli impatti dei suoi prodotti. Dimostra l’impegno di capire questi impatti e propone suggerimenti per ridurli. Base quantitativa per la sostenibilità aziendale. Una metodologia rigorosa come l’LCA diventa essenziale in una realtà che voglia minimizzare gli impatti ambientali. Per questo le iniziative di sostenibilità partono da obbiettivi basilari che coinvolgano gradualmente l’intera


altereco ambiente struttura aziendale. L’LCA abilita le società a prendere decisioni basate sui fatti riguardo alla distribuzione delle risorse, a capire le conseguenze delle loro azioni, a evitare di spostare impatti da una fase del ciclo di vita a un’altra e a ottenere riferimenti per benchmarking interni o esterni. Quanto riportato nel grafico ci conferma

che numerose possono essere le motivazioni che spingono le aziende a utilizzare il modello LCA e quindi ad approcciare il Life Cycle Thinking. Adesso vediamo più da vicino in che modo l’attenzione alla quantificazione degli impatti ambientali lungo l’intera catena del valore finisce per stimolare l’innovazione e la competitività.

Figura 1 I benefici dell’LCA

Figura 2 LCA in Apple - Green Reserach -

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Innovazione modello di Business Secondo alcune ricerche di mercato, l’introduzione dei valori ambientali nelle strategie aziendali determina una maggiore propensione all’innovazione nei modelli di business (le modalità organizzative e strategiche attraverso le quali l’azienda crea e mantiene valore); il tipo di innovazione che provoca i maggiori effetti positivi sulla competitività. Questa maggiore propensione deriva dalla necessità di guardare al business da un’angolazione diversa che prende in considerazione non solo i cancelli della fabbrica ma l’intera filiera di produzione e consumo e che guarda alle funzioni svolte dal prodotto-servizio per soddisfare il consumatore/utilizzatore nel medio lungo periodo. Considerazioni queste che sono presenti nel Life Cycle Thinking. I risultati di una ricerca del MIT Sloan e Boston Consulting Group ci informano che le aziende in grado di ottenere i migliori risultati economici dai loro progetti di sostenibilità sono quelle che innovano il proprio modello di business. Un cambiamento radicale della value proposition e del modello operativo che arriva grazie alla decisione di porre la ricerca della sostenibilità al centro dei propri orientamenti strategici. La General Electric da alcuni anni realizza il report “Barometro dell’Innovazione“ rivolgendosi a un campione di aziende operanti nei principali mercati internazionali, dal quale emerge che le sfide poste dalla globalizzazione dei mercati e dalle crisi economiche e ambientali, rendono necessario un approccio ancora più di “sistema” al tema della competitività. L’innovazione del modello di business trova particolari realizzazioni nei confronti di

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processi di riprogettazione della filiera e dello stesso sistema di offerta attraverso la dematerializzazione e la condivisione o addirittura nella trasformazione di un prodotto in un servizio. Poiché il massimo delle opportunità vengono colte ragionando in termini di ciclo di vita di prodotto, diventa essenziale favorire le collaborazioni all’interno delle filiere di fornitura, produzione e commercializzazione. Stanno quindi nascendo consorzi e forme di cooperazione con fornitori - e magari concorrenti - aiutati dalle piattaforme digitali per la cooperazione e la condivisione di contenuti. In questi contesti la collaborazione diventa un valore superiore alla stessa tradizionale riservatezza dei vantaggi industriali. Gli esempi sono molti, uno dei quali è dato dalla filiera automobilistica Honda, Nissan, Hyundai e Subaru. Questi rappresentano gli ultimi produttori di automobili in ordine di tempo, aggiuntisi al gruppo Suppliers Partnership for the Environment un’organizzazione nata dalla collaborazione di General Motors, Ford e Chrysler con EPA, l’agenzia per la protezione dell’ambiente americana. Insieme ai loro fornitori hanno introdotto innovazioni in grado di ridurre l’impatto ambientale della filiera automobilistica senza rinunciare alla creazione di valore. In questo momento, della partnership descritta in precendente, fanno parte oltre 40 aziende che operano insieme alle società automobilistiche nei settori della chimica, della tecnologia, della componentistica e del riciclaggio. Un altro esempio ci viene da Nike: il famoso brand dell’abbigliamento sportivo ha deciso di costituire una società di venture capital il cui nome rimanda all’obbiettivo perseguito dal


altereco ambiente “Sustainable Business & Innovation Lab”. Si tratta di aiutare le startup che intendono operare nel campo dell’innovazione tecnologica applicata alla sostenibilità. Infine Unilever ha recentemente annunciato l’apertura di una piattaforma on line destinata a tutti coloro che sono disponibili ad aiutare l’azienda nel trovare le soluzioni tecnologiche necessarie a raggiungere i suoi ambiziosi obbiettivi. Primo fra tutti quello di ridurre il suo impatto ambientale pur in presenza di una dimensione raddoppiata dei volumi di vendita. L’approccio del Life Cycle Thinking richiede la capacità di guardare non solo alla vendita di un prodotto o di un servizio ma anche al suo impiego, alle funzioni e ai costi sia monetari che ambientali generati lungo il suo intero ciclo di vita. In alcuni casi - come nell’edilizia - si parla di decenni, in altri comunque di anni. Questo approccio porta frequentemente a passare dalla progettazione di un prodotto a quella di un prodotto/servizio, e/o a privilegiare l’idea dell’accesso a quella del possesso. Nel primo caso esempi già concretamente attuati sono quelli in cui il produttore, anche di un bene banale come i rivestimenti per superfici - ad esempio le quadrotte di moquette di Interface -, non vendono più il solo prodotto ma forniscono la gestione del rivestimento in un contratto pluriennale che prevede attività di manutenzione e anche di sostituzione. In questo modo il fornitore è motivato a contenere al minimo tutti i costi del processo - anche il consumo di materiale - quindi di materie prime. Stessa valutazione, quella dei costi complessivi valutati nel lungo periodo, può motivare la scelta e la relativa

offerta dell’accesso ai servizi erogati a un bene di consumo durevole piuttosto che al suo possesso. Gli esempi sono sempre più frequenti specie per quanto riguarda i beni di consumo durevole.

L’innovazione di prodotto L’innovazione di prodotto viene facilitata dalla integrazione del Life Cycle Thinking nel sistema manageriale d’impresa grazie all’approfondita conoscenza delle alternative disponibili per contenere gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita del prodotto e di conseguenza dei vantaggi economici e di mercato che in questo modo si riescono a cogliere.

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Non dimentichiamo che la sostenibilità è sostanzialmente un tema di efficienza (riduzione degli input a parità di output) e che spesso una soluzione sostenibile è anche più sicura, più confortevole per il suo utilizzatore e comporta una riduzione di costi. Di particolare interesse a tale proposito è l’esperienza in corso di Johnson&Johnson che, con l’aiuto di PE INTERNATIONAL, ha dato vita al percorso di Earthwards, sistema di valutazione degli impatti ambientali che accompagna il processo d’ideazione, sviluppo e commercializzazione dei nuovi prodotti dell’azienda americana. Il programma Earthwards® si prefigge di lanciare, entro il 2015, almeno 60 prodotti premiati per aver ottenuto miglioramenti significativi delle prestazioni ambientali. Anche prodotti che non ottengono un riconoscimento beneficiano dalla partecipazione al programma poiché vengono sottoposti ad un processo di valutazione e potenziale miglioramento. La vasta gamma di prodotti farmaceutici di Johnson&Johnson offre l’opportunità di un potenziale significativo di riduzione degli impatti, basti prendere in esame la complessità e la lunga durata di vita di questi prodotti. PE INTERNATIONAL ha guidato Johnson&Johnson nell’identificazione di sette categorie di materiali su cui concentrare gli sforzi, in modo di poter raggiungere l’obiettivo aziendale di ridurre gli impatti ambientali. I prodotti premiati dal programma Earthwards® ottengono tale riconoscimento se hanno ottenuto un miglioramento almeno in tre delle seguenti categorie: materiali, imballaggio, riduzione del consumo di energia, riduzione di consumo d’acqua, riduzione di rifiuti, impatto positivo o beneficio sociale, innovazione di prodotto.

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Il progetto Earthwards® prevede quattro passi. I primi due sono richiesti per tutti i nuovi prodotti di Johnson&Johnson, gli ultimi due riguardano solo quelli che hanno raggiunto miglioramenti significativi nell’ottica dello sviluppo sostenibile e che mirano ad un riconoscimento di Earthwards®. Soddisfare i prerequisiti. I team fanno una serie di domande per valutare i rischi e assicurare la conformità con gli standard normativi di prodotto di riferimento. Monitoraggio del ciclo di vita. Il team esamina il prodotto e identifica i suoi impatti attraverso una valutazione dell’intero ciclo di vita dall’estrazione delle materie prime al fine vita. Identificare i potenziali miglioramenti. Il prodotto che presenta un miglioramento in tre o più categorie può ottenere il riconoscimento di prodotto Earthwards®. Verifica. Il team di prodotto presenta i risultati a un gruppo di verifica per decidere se il prodotto merita il riconoscimento Earthwards®.

L’informazione ai consumatori e la trasparenza Quanto maggiore sarà la domanda da parte dei cittadini, della pubblica amministrazione e delle imprese di soluzioni innovative e sostenibili, tanto


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da parte dei cittadini, della pubblica amministrazione e delle imprese di soluzioni innovative e sostenibili, tanto più le stesse imprese saranno sollecitate a investire in nuovi sistemi di offerta in grado di rispondere a questa domanda di mercato. Diventa quindi di fondamentale importanza il tema della consapevolezza e dell’informazione del consumatore chiamato a scegliere fra soluzioni diverse - spesso confuse - utilizzando nuovi criteri e a modificare i propri comportamenti. Non va dimenticato che nel caso dei beni di largo consumo il 60% dell’impatto ambientale viene determinato dalle modalità di uso di tali beni da parte dei consumatori. Le imprese quindi devono innovare la modalità di comunicare le caratteristiche della loro offerta ed in particolare le performance ambientali di prodotti e servizi. Il Life Cycle Thinking - e le informazioni messe a disposizione dalle valutazioni del ciclo di vita del prodotto - permettono di basare la comunicazione con tutti gli stakeholder, in particolare con i consumatori, sulla trasparenza, la completezza e la correttezza dell’informazione. Non solo, la conoscenza approfondita dei temi ambientali e sociali connessi al ciclo di vita del loro prodotto, permette alle aziende di impiegare le modalità comunicazionali che si stanno dimostran-

do più corrette ed efficaci per la comunicazione green. Ci riferiamo in particolare alle piattaforme dei social media e allo story telling. Le prime permettono di avviare un dialogo con le comunità di interessi (i consumatori, i cittadini, la pubblica amministrazione) sulla base della parità e della trasparenza; la seconda offre, in particolare ai consumatori, la quantità di informazioni necessarie per entrare in temi oggettivamente complessi come quelli legati alla valutazione degli impatti ambientali in modo coinvolgente e con l’obiettivo finale di poter incidere su fenomeni di grande portata anche in virtù delle loro scelte di consumo e di uso di prodotti e servizi. In conclusione. L’innovazione rappresenta il motore essenziale dello sviluppo economico qualitativo. Oggi la capacità innovativa è spinta ed esaltata dalla necessità di garantire anche soluzioni sostenibili. L’innovazione sostenibile è resa possibile grazie, in particolare, alla diffusione in azienda e nelle organizzazioni che offrono soluzioni alle esigenze della popolazione, del Life Cycle Thinking. La visione e le conoscenze connesse all’approccio Ciclo di Vita stimolano l’innovazione del modello di business e quella di prodotto e offrono contenuti per una comunicazione più efficace e coerente.

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PE INTERNATIONAL ITALY E GREENACTIONS INSIEME PER L’INNOVAZIONE E LA SOSTENIBILITA’ Greenactions e PE INTERNATIONAL Italy collaborano per aiutare le aziende del nostro paese ad approfittare delle opportunità della Green Economy. Le unisce la consapevolezza, basata sulla propria esperienza e su quella di molte aziende piccole e grandi, che la cultura della sostenibilità ed i suoi modelli operativi favoriscono l’innovazione, la riduzione dei costi, la conquista di nuovi mercati e il rafforzamento del brand. PE INTERNATIONAL Italy è la branch italiana di PE INTERNATIONAL, azienda leader mondiale di servizi e strumenti software per le funzioni aziendali orientate alla sostenibilità, processo che Greenactions è in grado di accompagnare mettendo a disposizione le competenze necessarie per l’analisi del business, la riduzione degli impatti ed il green marketing. GreenActions offre anche un supporto metodologico ed operativo al cliente nella introduzione in azienda del Lean Thinking che, aiutando la organizzazione nella sistematica rimozione degli sprechi in tutti i processi aziendali, rappresenta un approccio innovativo per il conseguimento dell’obiettivo di minimizzare gli impatti ambientali. Per quanto riguarda la comunicazione delle performance ambientali Greenactions può vantare competenze specifiche nello sviluppo di piani di comunicazione basati sulle piattaforme di social network, i cui valori (trasparenza e condivisione) e processi sono particolarmente coerenti con quelli di green marketing.

Per informazioni e contatti rivolgersi a Mail : mario.iesari@greenactions.it – phone:3351302303


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LA SICUREZZA DELLE ATTIVITÀ SUBACQUEE SCIENTIFICHE Il 25 marzo 2014 si è tenuto il convegno di presentazione delle Buone prassi per lo svolgimento in sicurezza delle attività subacquee di ISPRA e delle Agenzie Ambientali. L’importanza delle buone prassi e gli interventi al convegno. Si è tenuto a Genova, il 25 marzo scorso, il Convegno di presentazione delle Buone prassi per lo svolgimento in sicurezza delle attività subacquee di ISPRA e delle Agenzie Ambientali. Organizzato da ARPA Liguria con la collaborazione dell’Acquario di Genova, il convegno ha impegnato per l’intera giornata esperti e organizzazioni interne ed esterne al Sistema delle Agenzie di Protezione Ambientale in una importante discussione sul documento elaborato dal Centro Interagenziale Igiene e Sicurezza sul Lavoro di ISPRA e validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro ai sensi dell’art. 6, comma 8, lettera d) del D.lgs. 81/08.

attività di monitoraggio ambientale del mare.

L’iniziativa è stata aperta dal saluto di Claudia Gili, Direttore Scientifico Acquario di Genova e da quello del Direttore INAIL della Liguria Alessandra Lanza e dall’intervento del Direttore Generale di ARPA Liguria Roberto Giovanetti, il quale ha richiamato l’attenzione su un prodotto tecnico scientifico che non ha eguali nel panorama nazionale della prevenzione in materia e che sarà un utile indirizzo per tutto il Sistema delle Agenzie costiere e per ISPRA nell’organizzazione e promozione delle

Successivamente alla presentazione, si sono susseguiti numerosi interventi di esperti che hanno arricchito e notevolmente implementato lo scenario tecnico operativo attraversato dalle buone prassi.

All’intervento del DG di ARPAL, ha fatto seguito quello di Massimiliano Albertazzi, coordinatore del Tavolo di Lavoro composto da RSPP, ASPP, dirigenti e tecnici delle Agenzie ambientali di Toscana, Emilia Romagna, Campania, Marche, Sicilia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, che ha illustrato i contenuti delle Buone Prassi valorizzando il contesto di supporti istituzionali coordinato da Contarp INAIL che ha visto protagonisti il Sistema Agenziale, ISPRA, AIOSS, ISSD, CIR, AiFOS, condiviso con le associazioni sindacali CGIL, CISL, UIL, nella loro elaborazione.

Ha iniziato Gabriella Mancini di Contarp INAIL che ha sottolineato le fasi salienti del percorso che ha portato alla redazione delle buone prassi sottolineando come la validazione sia avvenuta a seguito di specifiche e puntuali valutazioni e

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maggio 2014 un datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 del Codice Civile; - Pasquale Longobardi del centro Iperbarico di Ravenna che ha relazionato sugli aspetti di sorveglianza sanitaria specialistica per gli operatori scientifici subacquei; - Massimo Ponti che ha richiamato l’attenzione sulla mancanza di una legislazione specifica per le attività subacquee scientifiche e ha ricordato come il riconoscimento da parte del Ministero del lavoro delle Buone Prassi sia un passo significativo verso la normazione del settore.

test effettuati sul campo sia in termini di attività tecnico amministrativa che in immersione. Due sono stati i casi studio illustrati e presi a modello nel Convegno: quello relativo alle esperienze di ARPAT con le relazioni del RSPP Stefano Gini e del Responsabile del Settore Biodiversità Marina Fabrizio Serena e quello di ARPA EMR illustrato dalla Responsabile Struttura Tematica Oceanografica Daphne Carla Ferrari. A seguire gli interventi di: - Cinzia Frascheri, sindacalista, storica e stimata espressione della sicurezza nel mondo del lavoro, che ha ricordato come l’applicazione delle buone prassi rientri a pieno titolo fra gli obblighi di

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Nel pomeriggio i lavori sono ripresi con: - l’interessante contributo del Direttore Regionale dell’INAIL della Toscana Bruno Adinolfi che ha sollevato il problema di una adeguata e corretta gestione della sicurezza attraverso la programmazione e la progettazione della prevenzione. In questo senso, destando un qualche stupore in platea, ma anche un diffuso consenso, ha richiamato la questione dei ritardi sulla preparazione dell’Expo 2015 come emblematica delle possibili evidenze emergenziali connesse; - l’intervento di Massimo Ponti che, trattando di formazione, ha richiamato l’attenzione sulla mancanza di una legislazione specifica per le attività subacquee scientifiche e ha ricordato come il riconoscimento da parte del Ministero del lavoro delle Buone Prassi sia un passo significativo verso la normazione del settore; - l’intervento del Tenente di Vascello della capitaneria di porto di Genova che ha raffrontato le buone prassi per l’attività subacquea scientifica con le procedure che regolano le immersioni militari.



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ambiente


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