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DIRITTO ECCLESIASTICO LIBERAMENTE TRATTO DA “LA PROFESSIONE DI AVVOCATO – PROVA ORALE” – XI EDIZIONE – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE

CAPITOLO PRIMO – IL DIRITTO ECCLESIASTICO: DEFINIZIONE, PRINCIPI E FONTI FONDAMENTALI 1. DEFINIZIONE Il diritto ecclesiastico è il complesso delle norme che, ispirandosi ai principi costituzionali di libertà e di eguaglianza religiosa, disciplinano con regimi giuridici particolari i rapporti dello Stato italiano con la Chiesa cattolica. Il diritto ecclesiastico in Italia, pertanto, si caratterizza: – come parte del diritto interno, in quanto si tratta di un complesso di norme che vige all’interno dello Stato; – quale ramo del diritto pubblico, poiché contempla diritti soggettivi pubblici spettanti a persone fisiche o giuridiche che operano nell’organizzazione statale. 2. PRINCIPI INFORMATORI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO ITALIANO I principi fondamentali del diritto ecclesiastico sono tre: a) libertà religiosa (art. 19 Cost.); b) eguaglianza religiosa (art. 8, 1° comma, Cost.); c) laicità dello Stato, cioè neutralità dello Stato rispetto al fenomeno religioso. 3. LE FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO Fonti del diritto sono gli atti e i fatti abilitati dall’ordinamento a produrre norme giuridiche. Per il diritto ecclesiastico esistono: A. Fonti di provenienza unilaterale statale. Esse si distinguono in: – fonti costituzionali (artt. 2, 3, 7, 8, 17, 18, 19, 20 e 33 Cost.); – fonti ordinarie generiche (artt. 629 e 831 c.c. e artt. 402, 406 e 724 c.p.); – fonti ordinarie specifiche [cd. “legge delle guarentigie”]; B. Fonti di provenienza unilaterale confessionale (diritto canonico); C. Fonti di provenienza bilaterale (L. 810/29 e L. 121/85, mediante le quali è stata data attuazione, rispettivamente, ai Patti Lateranensi ed al Nuovo Concordato).

CAPITOLO SECONDO – I PATTI LATERANENSI ED IL NUOVO CONCORDATO 1. L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE ED I PATTI LATERANENSI I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dall’art. 7 della Costituzione, il quale si compone di due commi: – il primo comma sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; – il secondo comma sancisce che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, la cui modifica, se non concordata dalle parti, richiede il procedimento di revisione costituzionale. –1–


DIRITTO ECCLESIASTICO I punti qualificanti dei Patti Lateranensi (11 Febbraio 1929) sono i seguenti: – riconoscimento della religione cattolica come religione di Stato; – una serie di privilegi per gli ecclesiastici; – preventiva approvazione dello Stato per le nomine di Vescovi e Parroci, e loro giuramento di fedeltà allo Stato; – regime di favore, finanziario e fiscale, per gli enti ecclesiastici; – riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso; – insegnamento della dottrina cristiana in tutte le scuole pubbliche, eccetto l’università. 2. IL NUOVO CONCORDATO Il concordato del 1929 è divenuto superato, sia perché la posizione di privilegio concessa alla Chiesa contrastava con i valori di eguaglianza espressi dalla nuova Costituzione repubblicana, sia perché non in sintonia con il Concilio Vaticano II. Pertanto, dopo laboriose trattative, esso è stato sostituito dal cd. “Nuovo Concordato”, stipulato il 18 Febbraio 1984. 3. I PRINCIPI DEL NUOVO CONCORDATO I principi fissati dal Nuovo Concordato possono così riassumersi: a) neutralità dello Stato in materia religiosa (art. 1); b) autonomia dell’organizzazione ecclesiastica (art. 3); c) abrogazione dei privilegi per gli enti ecclesiastici (art. 7); d) disciplina del matrimonio cattolico (art. 8). Lo Stato si limita a riconoscere effetti civili al matrimonio religioso, ma (a differenza dei Patti Lateranensi) le sentenze di nullità del matrimonio religioso pronunciate dai tribunali ecclesiastici non sono più indispensabili ai fini della cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico trascritto; e) istruzione religiosa (art. 9). L’insegnamento della dottrina cattolica continua nelle scuole, salvo il diritto di non avvalersene. 4. LA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA La Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) è una persona giuridica pubblica con sede a Roma di cui sono membri gli Arcivescovi e i Vescovi italiani di qualsiasi rito. Il suo presidente è nominato dal Pontefice, ed esistono varie conferenze episcopali regionali. Suoi compiti specifici sono: a) studiare i problemi che interessano la vita della Chiesa in Italia; b) dare orientamenti in ambito dottrinale e pastorale; c) mantenere i rapporti con le Pubbliche Autorità dello Stato italiano.

CAPITOLO TERZO – IL DIRITTO ECCLESIASTICO VIGENTE 1. CHIESA, SANTA SEDE, STATO CITTÀ DEL VATICANO Si distingue tra: a) la Chiesa. È la società dei battezzati che professano la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti e tendono alla realizzazione degli stessi fini spirituali, sotto la po–2–


DIRITTO ECCLESIASTICO testà del Romano Pontefice e dei Vescovi a lui collegati. Possiede sovranità originaria e capacità soggettiva pubblica e privata; b) la Santa Sede. Identifica il Sommo Pontefice, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri organismi della Curia Romana (can. 361 c.i.c.); c) la Curia Romana. Costituisce il complesso dei dicasteri mediante i quali il Pontefice esercita il suo alto ufficio (can. 360 c.i.c.); d) lo Stato Città del Vaticano. È il territorio su cui, in base ai Patti Lateranensi, lo Santa Sede ha sovranità. 2. LO STATO CITTÀ DEL VATICANO: ELEMENTI Lo Stato Città del Vaticano possiede tutti gli elementi caratteristici delle persone statali, e cioè: a) territorio. È costituito da Piazza San Pietro in Roma e dai circostanti palazzi del Vaticano; b) popolo. È costituito da coloro che ivi hanno stabile residenza, da coloro che a ciò siano autorizzati dal Pontefice, e dai Cardinali di Roma; c) sovranità. Si tratta del potere d’imperio assoluto, che spetta al Sommo Pontefice (che è un monarca elettivo). 3. L’ORDINAMENTO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO Con Motu proprio del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il 22 Febbraio 2001 è entrata in vigore la nuova Legge Fondamentale dello Stato Città del Vaticano. Suoi punti salienti sono: – il Sommo Pontefice ha la pienezza dei poteri legislativo (ma lo esercita tramite una Commissione cardinalizia, in carica un quinquennio), esecutivo (è esercitato dal Presidente della Commissione) e giudiziario (è esercitato dagli organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello Stato, ma il Pontefice può avocare a sé qualsiasi causa, senza gravame); – la rappresentanza dello Stato all’estero appartiene al Sommo Pontefice, che la esercita tramite la Segreteria di Stato. 4. RAPPORTI CON LO STATO ITALIANO L’esiguità del territorio dello Stato della Città del Vaticano, e soprattutto la sua posizione di enclave, cioè di Stato circondato interamente dal territorio dello Stato italiano, comportano che la sovranità, l’indipendenza effettiva e, al limite, la le sue stesse possibilità di sopravvivenza dipendano dallo Stato che lo circonda. Esistono, pertanto, obblighi reciproci, vale a dire: A. obblighi dello Stato italiano. Si riferiscono alla dotazione di acque, al collegamento ferroviario, telegrafico, telefonico, postale, alla consultazione preventiva per eventuali trasformazioni urbanistiche nella zona e all’esenzione dai diritti doganali e daziari; B. obblighi della Santa Sede. Si riferiscono all’apertura al pubblico di Piazza San Pietro e all’assoggettamento ai poteri di polizia delle Autorità italiane (fino alla scalinata della basilica, in ogni caso; oltre, solo su richiesta delle Autorità vaticane); C. rapporti di diritto penale. A richiesta della Santa Sede, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che commessi nella Città del Vaticano. La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che rifugiatesi nella Città del Vatica–3–


DIRITTO ECCLESIASTICO no, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati; D. esecuzione in Italia delle sentenze emanate dai tribunali dello Stato Città del Vaticano. Si applicano, al riguardo, le relative norme del diritto internazionale, nonché le norme interne comuni italiane (per la materia civile, gli artt. 64–71 L. 218/95; per la materia penale l’art. 12 c.p. e gli artt. 730–745 c.p.p.). 5. POSIZIONE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE Lo Stato della Città del Vaticano si presenta, nei confronti degli altri soggetti del diritto internazionale, come vero e proprio “Stato”, cioè quale istituzione che provvede autonomamente alla sua organizzazione ed attività e che stringe, con gli altri soggetti di diritto, atti internazionalmente rilevanti. Esso, inoltre, gode della condizione di stato neutralizzato: si trova, cioè, in quella condizione giuridica permanente per la quale ha il diritto di non essere offeso da operazioni belliche di altri Stati e il dovere di non porne in essere.

CAPITOLO QUARTO – LE PERSONE FISICHE NEL DIRITTO ECCLESIASTICO. IL CLERO 1. NOZIONE DI ECCLESIASTICO Gli appartenenti alla Chiesa cattolica possono essere divisi in due categorie: – i fedeli laici, cioè i battezzati non insigniti dell’ordine sacro; – gli ecclesiastici, cioè i chierici, che svolgono particolari funzioni nella Chiesa e formano il “clero cattolico” e gli “appartenenti agli istituti di vita consacrata” (sia chierici che non chierici). La qualifica di fedele è irrilevante per il diritto (art. 3 Cost.); gli ecclesiastici hanno un preciso status giuridico, con privilegi e limitazioni. Esiste, inoltre, la nozione di ministro di culto, valida in relazione a tutte le confessioni religiose. Essa è piuttosto vaga, e pertanto soccorre la dottrina, la quale fa riferimento al cd. “criterio funzionale normale” (una precisa capacità attribuitagli: art. 609 c.c.) e al “criterio funzionale di fatto” (prescindendo da una precisa investitura). 2. LA CONDIZIONE GIURIDICA DEGLI ECCLESIASTICI La condizione di ecclesiastico conferisce un particolare status, che comporta: A. esenzioni. Sacerdoti, diaconi e religiosi che hanno preso i voti hanno la facoltà di ottenere l’esonero dal servizio militare e non sono tenuti a dare a magistrati o altra Autorità informazioni conosciute per ragione del loro ministero (art. 4 N.C.); B. incapacità. I ministri di culto non possono essere giudici popolari, sindaci, consiglieri comunali, notai o avvocati; C. capacità speciali. I ministri di culto (alla presenza di due testimoni ultra–sedicenni) possono ricevere testamento in caso di pubblica calamità (art. 609 c.c). 3. POSIZIONE PATRIMONIALE Il Concordato del 1929 prevedeva un sistema beneficiale di retribuzione a favore degli ecclesiastici. Esso è stato soppresso con l’istituzione di nuovi enti, tutti dotati di personalità giuridica. Si tratta di: –4–


DIRITTO ECCLESIASTICO Istituti per il sostentamento del clero. Possono essere diocesani o interdiocesani. Sono stati previsti dal nuovo codex iuris canonici in base al Concilio Vaticano II, e sono stati riconosciuti dallo Stato italiano; – Istituto centrale per il sostentamento del clero. È gestito dalla C.E.I., e integra le risorse elargite dai precedenti. Tali enti operano le ritenute IRPEF e pagano i contributi previdenziali e assistenziali. Le loro entrate sono costituite da: – una quota parte della somma che annualmente lo Stato versa alla Chiesa cattolica italiana tramite la C.E.I.; – erogazioni liberali ricevute da persone fisiche; – una quota parte degli eventuali avanzi di gestione degli istituti diocesani. –

4. LA PREVIDENZA SOCIALE DEL CLERO Gli ecclesiastici godono di una tutela previdenziale generale in quanto cittadini, e di una particolare in quanto sacerdoti. Sotto il secondo punto di vista, per gli ecclesiastici esiste un apposito Fondo previdenziale, gestito dall’INPS, le cui prestazioni sono: – la pensione di vecchiaia. Al riguardo vige il limite di età pari a 68 anni, oppure 65 anni di età e 40 di contributi, e il requisito contributivo minimo è di 13 anni; – la pensione di invalidità. Si ottiene con almeno 5 anni di contributi; – la pensione ai superstiti. Si ottiene con almeno 5 anni di contributi. 5. LA CONDIZIONE GIURIDICA DEGLI ECCLESIASTICI NEL DIRITTO PENALE L’Autorità giudiziaria dà comunicazione all’autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici. Se il ministro di culto è soggetto attivo del reato, ciò può rilevare: – come aggravante (art. 61, n. 9, c.p.); – come elemento costitutivo (abusi in materia elettorale). Se il ministro di culto è soggetto passivo del reato, ciò può rilevare: – come aggravante (art. 61, n. 10, c.p.); – come elemento costitutivo (artt. 403, 2° comma, e 406 c.p. [vilipendio]). Il ministro di culto è pubblico ufficiale quando: – riceve testamento (art. 609 c.c.); – certifica, ai fini della trascrizione, l’avvenuta celebrazione del matrimonio canonico; – è delegato dall’ufficiale di stato civile durante l’assistenza alla celebrazione del matrimonio acattolico. 6. IL POTERE DISCIPLINARE DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA: L’ART. 23 DEL TRATTATO LATERANENSE Le sentenze e gli altri provvedimenti in materia spirituale o disciplinare emanati da Autorità ecclesiastiche nei confronti di ecclesiastici e religiosi hanno efficacia in Italia dalla loro comunicazione alle Autorità italiane (art. 23 N.C.). Ciò va interpretato in armonia con i diritti costituzionalmente garantiti, ma sul punto, tuttavia, permangono forti dubbi di costituzionalità.

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DIRITTO ECCLESIASTICO CAPITOLO QUINTO – GLI ENTI ECCLESIASTICI 1. LE FONTI In materia di enti ecclesiastici, la norma fondamentale è costituita dal combinato disposto degli artt. 20 Cost. e 7 N.C., i quali stabiliscono che il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di un’associazione o di un’istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali; lo Stato si impegna a riconoscere, su domanda dell’Autorità ecclesiastica, la personalità giuridica degli enti ecclesiastici. 2. NOZIONE DI ENTE ECCLESIASTICO La legge non fornisce una definizione precisa di ente ecclesiastico; la dottrina prevalente adotta il criterio criterio genetico, considerando ecclesiastici gli enti sorti da un provvedimento canonico. 3. PRESUPPOSTI PER IL RICONOSCIMENTO DELL’ENTE ECCLESIASTICO Gli enti ecclesiastici possono acquistare personalità giuridica se: a) sono dotati di riconoscimento canonico; b) hanno sede in Italia; c) hanno fini di religione o di culto. Per talune categorie di enti, inoltre, occorre anche il requisito della “sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini” o della “necessità ed evidente utilità” dell’ente stesso, cioè la sua rispondenza alla esigenze religiose della popolazione. 4. IL PROCEDIMENTO DI RICONOSCIMENTO Per ottenere il riconoscimento è necessaria un’esplicita e formale domanda al Ministro dell’Interno, la quale deve essere proposta o da chi rappresenta l’ente secondo il diritto canonico, previo assenso dell’Autorità ecclesiastica competente, o direttamente da quest’ultima. Il riconoscimento della personalità giuridica è concesso con decreto del Ministro dell’Interno, previa istruttoria amministrativa (facente capo alla Prefettura). Una volta ottenuto il riconoscimento, gli enti ecclesiastici devono iscriversi nel registro delle persone giuridiche istituito presso le Prefetture. 5. REVOCA, TRASFORMAZIONE ED ESTINZIONE DEGLI ENTI ECCLESIASTICI Il riconoscimento può essere revocato quando ne cessino i presupposti: la revoca viene effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, sentita l’Autorità ecclesiastica. Nel caso in cui un ente riconosciuto subisca trasformazioni, anch’esse devono essere approvate mediante decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro dell’Interno. L’ente ecclesiastico può estinguersi: a) naturalmente, se abbia cessato d’agire per lo spazio di cento anni (can. 120 c.i.c.); b) con un provvedimento di soppressione da parte della competente Autorità ecclesiastica.

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DIRITTO ECCLESIASTICO CAPITOLO SESTO – IL PATRIMONIO ECCLESIASTICO: ENTRATE DI DIRITTO PUBBLICO ED ENTRATE DI DIRITTO PRIVATO 1. IL PATRIMONIO ECCLESIASTICO Secondo la dottrina, il patrimonio ecclesiastico può definirsi come quel “complesso di beni mobili ed immobili che l’ordinamento statuale riconosce sottoposto al potere dell’Autorità ecclesiastica, anche qualora questi siano di proprietà di terzi, per il raggiungimento dei propri fini”. I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del codice civile, qualora non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano (art. 831, 1° comma, c.c.). 2. LE FONTI DEL PATRIMONIO ECCLESIASTICO Le fonti da cui derivano i beni patrimoniali della Chiesa sono dette entrate ecclesiastiche. Esse possono essere di diritto pubblico o privato. 3. ENTRATE DI DIRITTO PUBBLICO Sono entrate di diritto pubblico: A. le imposte ecclesiastiche. Le uniche imposte ecclesiastiche che la legge riconosce sono le cd. “decime dominicali”, vale a dire quelle somme che il proprietario di un immobile deve versare periodicamente a titolo di corrispettivo della cessione in proprietà di un immobile ecclesiastico; B. le tasse ecclesiastiche. Lo Stato riconosce alla Chiesa il diritto di esigere il pagamento di tasse come corrispettivo dei servizi resi all’obbligato da uffici ecclesiastici [es. somme percepite in occasione dell’amministrazione dei sacramenti]; C. le erogazioni dello Stato a favore della Chiesa. A decorrere dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche può essere destinata in parte a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione della Chiesa cattolica. 4. LE ENTRATE DI DIRITTO PRIVATO Sono entrate di diritto privato: A. le oblazioni dei fedeli. Si tratta delle offerte che i fedeli spontaneamente versano alla Chiesa. Esse sfuggono alla regolamentazione del diritto statuale in quanto considerate “donazioni di modica importanza”; B. le disposizioni per l’anima (art. 629 c.c.). Sono le disposizioni testamentarie con cui un soggetto dispone un lascito a favore di enti ecclesiastici per ottenere in cambio la celebrazione di messe in proprio favore o in favore della propria famiglia. Il lascito può essere effettuato: – direttamente, con un legato a favore dell’ente ecclesiastico; – creando una fondazione di culto; – prevedendo tale prestazione come onere testamentario; C. i redditi patrimoniali. Sono le rendite che gli enti ecclesiastici ricavano dai loro beni grazie ai frutti, naturali o civili, dei beni stessi. Si è soliti definirle come “entrate interne”.

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DIRITTO ECCLESIASTICO CAPITOLO SETTIMO – L’AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO ECCLESIASTICO 1. LA GESTIONE DEL PATRIMONIO ECCLESIASTICO “L’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico”; “gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche” (art. 7, n. 5, N.C.). 2. GLI ACQUISTI DEGLI ENTI ECCLESIASTICI In seguito all’abrogazione dell’art. 17 c.c. ad opera della legge cd. “Bassanini”, gli enti ecclesiastici possono acquistare diritti reali immobiliari senza necessità di autorizzazione governativa (prima essa serviva ad evitare concentrazioni patrimoniali in soggetti privi di un scopo prettamente economico [cd. “manomorta”]). 3. IL REGIME TRIBUTARIO Agli effetti tributari, gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza e di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione e di culto svolte dagli enti ecclesiastici soggiacciono alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.

CAPITOLO OTTAVO – IL MATRIMONIO 1. IL DIRITTO MATRIMONIALE ITALIANO E L’ART. 34 DEL CONCORDATO Sino al Concordato del 1929, l’unica forma di matrimonio valida, per l’ordinamento giuridico statuale, era quella del “matrimonio civile” regolato, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, dalle leggi dello Stato e posto in essere alla presenza di un organo dello stesso. Il diritto matrimoniale italiano si fondava, quindi, su due principi fondamentali: – l’esclusività (e quindi l’obbligatorietà) del matrimonio civile (disciplinato, con effetto dal 1° Gennaio 1866, dagli art. 55–129 c.c. del 1865); – l’irrilevanza del matrimonio canonico, considerato un atto esclusivamente religioso senza valore giuridico. Con la stipulazione dei Patti Lateranensi si giunse ad una nuova regolamentazione giuridica del matrimonio, con l’unificazione dei due riti, civile e religioso. Pertanto, il matrimonio canonico divenne rilevante anche agli effetti civili, purché trascritto nei registri dello stato civile. L’art. 34 del testo del vecchio Concordato, infatti, così recitava: “Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili”. Dall’esame dell’intera disposizione emergono alcuni punti basilari che diversificavano il sistema matrimoniale cd. concordatario da quello del codice civile del 1865: – l’istituto del matrimonio civile fu conservato, ma da obbligatorio divenne facoltativo; –8–


DIRITTO ECCLESIASTICO –

restò di competenza dello Stato la determinazione degli effetti civili del matrimonio; – lo Stato non lasciò interamente alla Chiesa la disciplina della formazione del vincolo coniugale, ma conservò un proprio ruolo, sia pure simbolico, rappresentato dalle pubblicazioni all’ufficio di stato civile e dalla lettura degli articoli del codice civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi; – rimase di competenza dello Stato la tenuta dei registri dello stato civile al fine di determinare lo status (di libero o di coniugato) delle persone; – vennero riservate alla competenza dell’Autorità ecclesiastica le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio cd. “rato e non consumato”. Successivamente ai Patti Lateranensi, per l’applicazione di quanto sopra, fu emanata la legge n. 847 del 27/05/1929, comunemente indicata come “Legge matrimoniale”. Essa deve considerarsi tuttora in vigore per quella parte non implicitamente abrogata da quanto disposto dall’art. 8 degli Accordi di Villa Madama del 18 Febbraio 1984. 2. LA DISCIPLINA DEI CULTI AMMESSI Quasi contemporaneamente alla stipula dei Patti Lateranensi fu introdotto nella nostra legislazione un nuovo “tipo” di matrimonio, detto “acattolico”, onde consentire che anche i seguaci degli altri culti ammessi nello Stato potessero celebrare il matrimonio davanti ai rispettivi ministri, previa l’osservanza delle formalità di cui alle relative norme statali. Per le confessioni acattoliche che hanno stipulato le intese previste dall’art. 8, 3° comma, Cost. vige un particolare tipo di matrimonio affine a quello concordatario. 3. IL MATRIMONIO IN SEDE DI REVISIONE DEL CONCORDATO Nell’art. 8 degli Accordi di Villa Madama del 18 Febbraio 1984 si è voluta concentrare tutta la disciplina dell’istituto del matrimonio concordatario: esso, quindi, viene a sostituirsi all’art. 34 del Concordato del 1929 e alla sua citata legge di applicazione. Nella prima parte è sancito il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio contratto secondo le norme di diritto canonico (è sparito l’accenno al matrimonio quale sacramento) a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile: senza la trascrizione, il matrimonio rimane un rapporto puramente religioso. Nella seconda parte dell’articolo è stata decretata la fine della riserva di giurisdizione ecclesiastica in materia di cause di nullità del matrimonio canonico con effetti civili. Da questo momento le parti sarebbero libere (dal punto di vista giuridico, s’intende, non certo da quello canonico) di avvalersi, per ottenere la cessazione degli effetti civili, della procedura concordataria o della legge sul divorzio. La sentenza dei tribunali ecclesiastici potrà essere resa esecutiva nell’ordinamento italiano con le modalità e alle condizioni previste per tutte le altre sentenze non italiane. 4. CONCLUSIONI Da quanto detto si può agevolmente dedurre che al momento, in Italia, il matrimonio come atto (costitutivo della famiglia) può essere regolato o dal diritto civile o dal diritto canonico, secondo che le parti scelgano: – il matrimonio civile, celebrato davanti all’ufficiale di stato civile; – il matrimonio canonico (o concordatario), celebrato davanti al ministro del culto cattolico, secondo la disciplina del diritto canonico, e regolarmente trascritto nei registri dello stato civile. –9–


DIRITTO ECCLESIASTICO Il matrimonio come rapporto, invece, è regolato unicamente dal diritto civile. La disciplina del rapporto matrimoniale è, cioè, unica. È bene ricordare che il matrimonio celebrato dal ministro di un culto acattolico non costituisce una terza forma di matrimonio: il ministro del culto agisce in tal caso come persona delegata dall’Autorità dello Stato; pertanto, il matrimonio così celebrato è un matrimonio civile totalmente sottoposto alla legge dello Stato. 5. GENERALITÀ PROCEDIMENTALI Perché il matrimonio concordatario produca i suoi effetti civili, l’ordinamento statuale ha previsto il compimento di una serie di atti precedenti e successivi alla celebrazione stessa. La successione delle fasi di questa procedura può così sintetizzarsi: – pubblicazioni civili; – eventuali opposizioni; – celebrazione del matrimonio (forma di manifestazione del consenso); – trascrizione. 6. LE PUBBLICAZIONI La celebrazione del matrimonio canonico con effetti civili deve essere preceduta dalle pubblicazioni; a tal riguardo, l’art. 6, 2° comma, L.m. prescrive che la richiesta delle pubblicazioni oltre che dalle persone indicate nell’art. 96 c.c. (ambedue gli sposi o la persona che ne ha da essi ricevuto speciale incarico) deve essere fatta, all’ufficiale di stato civile, anche dal parroco davanti al quale il matrimonio sarà celebrato. L’atto di pubblicazione deve restare affisso alla porta della casa comunale per almeno otto giorni: il tribunale, però, può ridurre detto termine “per gravi motivi” o, per “cause gravissime”, dispensare del tutto dalle pubblicazioni (art. 100 c.c.). L’ufficiale di stato civile ha l’obbligo di effettuare in ogni caso la pubblicazione regolarmente richiesta, salvo che egli consti: – l’esistenza di un impedimento, non dispensato dall’Autorità ecclesiastica; – l’esistenza di uno degli impedimenti alla trascrivibilità del matrimonio canonico previsti dall’art. 8 N.C. 7. OPPOSIZIONI AL MATRIMONIO, CERTIFICATO DI NULLA OSTA Lo scopo della pubblicazione è quello di rendere noto che sta per celebrarsi un matrimonio, affinché chi è a conoscenza d’un qualsivoglia impedimento possa renderlo noto e le persone previste nell’art. 102 c.c. (i genitori, il tutore e il curatore, il Pubblico Ministero, etc.) “possano fare opposizione”. La presentazione dell’opposizione non sospende automaticamente la celebrazione del matrimonio, ma il presidente del Tribunale, ove ne ravvisi l’opportunità, può sospendere la celebrazione sino a che sia stata rimossa l’opposizione. Se all’ufficiale di stato civile non sia stata notificata alcuna opposizione, e nulla osti al matrimonio, egli deve rilasciare un certificato che ciò attesti, trascorsi tre giorni successivi alla pubblicazione (art. 7, 1° comma, L.m.). In caso contrario, l’ufficiale di stato civile deve astenersi dal rilascio del certificato e dare comunicazione al parroco dell’opposizione notificatagli (art. 7, 2° comma, L.m.). 8. CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO: FORMA DELLA MANIFESTAZIONE DEL CONSENSO La celebrazione del matrimonio canonico deve essere effettuata secondo le disposizioni del diritto canonico (v. canoni 1108 e ss. c.i.c.). – 10 –


DIRITTO ECCLESIASTICO Durante il suo corso, è stabilito che il ministro di culto (di regola il parroco o un suo delegato) davanti al quale è celebrato il matrimonio debba spiegare agli sposi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile (attualmente, artt. 143, 144 e 147) riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi. Successivamente alla celebrazione, viene compilato l’atto di matrimonio in doppio originale; esso deve essere redatto in lingua italiana e contenere tutte le indicazioni previste dall’art. 9 L.m., nonché la menzione dell’eseguita lettura dei prescritti articoli del codice civile. Subito dopo, e, in ogni caso, non oltre cinque giorni dalla celebrazione, uno dei detti originali deve essere trasmesso dal parroco all’ufficiale di stato civile per la trascrizione. 9. LA TRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO L’art. 8, n. 1, N.C. stabilisce che “il matrimonio contratto secondo le norme del diritto canonico ha effetti civili dal momento della celebrazione, quando l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile”. La trascrizione, quando l’originale trasmesso dal parroco entro i cinque giorni dalla celebrazione contenga tutte le indicazioni prescritte, deve essere compiuta dall’ufficiale di stato civile entro ventiquattro ore dal ricevimento e, nelle successive ventiquattro ore, deve esserne data notizia al parroco (trascrizione tempestiva). L’ufficiale di stato civile deve sempre eseguire la trascrizione, anche se abbia eventualmente notizia di qualcuna delle circostanze che, a norma dell’art. 12 L.m., la impediscano (art. 11 L.m.); è previsto in tal caso, però, che egli debba prontamente informarne il Procuratore della Repubblica il quale, ove occorra, può impugnare la trascrizione ai sensi dell’art. 16 L.m. La trascrizione può essere effettuata anche dopo il termine previsto. Al riguardo, si parla di “trascrizione tardiva”, la quale presenta le seguenti caratteristiche: – può essere richiesta in ogni tempo, e quindi il diritto di richiederla deve considerarsi imprescrittibile; – può essere richiesta soltanto dai due coniugi, o anche da uno solo di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro; – i contraenti devono aver conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione del matrimonio (canonico) a quello della richiesta di trascrizione; – la trascrizione tardiva non pregiudica i diritti legittimamente acquisiti dai terzi. La trascrizione non può aver luogo: a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione (art. 84 c.c.); b) quando sussista fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile (l’essere uno dei contraenti interdetto per infermità di mente, la sussistenza fra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti civili, la sussistenza di impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta). La trascrizione, tuttavia, è comunque ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di annullamento o di annullabilità non potrebbe essere più proposta. Un problema affrontato in dottrina e giurisprudenza è quello del se l’effettuazione della trascrizione del matrimonio canonico, ai fini del conseguimento degli effetti civili, sia condizionata o meno alla volontà delle parti. In materia due teorie si contendono il campo, quella dell’automatismo degli effetti civili, e quella dell’autonomia della loro volizione. Oltre che nei casi di impedimenti rilevanti per la trascrizione, e di cui si è parlato precedentemente, non sono trascrivibili (pur essendo validi per il diritto canonico) e come tali non producono effetti civili: – 11 –


DIRITTO ECCLESIASTICO – il matrimonio segreto, celebrato, in presenza di gravi ed urgenti ragioni, segretamente dinanzi al parroco e a due testimoni; – il matrimonio coram solis testibus, una particolare forma di matrimonio canonico, celebrato dinanzi ai soli testimoni; – il matrimonio in periculo mortis, celebrato in imminente pericolo di vita di uno dei nubendi (una parte della dottrina lo considera, però, trascrivibile); – il matrimonio celebrato all’estero, secondo il rito canonico (ferma restando la sua rilevanza come matrimonio civile celebrato all’estero). 10. ESCLUSIVITÀ DELLA GIURISDIZIONE ECCLESIASTICA FINO ALL’ACCORDO DEL 18/02/1984 L’art. 34, 4° comma, Conc., aveva introdotto una riserva esclusiva di giurisdizione in materia matrimoniale a favore dell’Autorità ecclesiastica. Tale riserva era di carattere assoluto, nel senso che riguardava tutti i matrimoni contratti secondo la disciplina canonica e trascritti in Italia nei registri dello stato civile. L’Accordo di revisione del Concordato, siglato in data 18 Febbraio 1984, ha segnato la fine della riserva di giurisdizione ecclesiastica in materia di cause di nullità del matrimonio canonico con effetti civili. L’art. 8, n. 2, del documento in parola stabilisce, infatti, che “le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d’Appello competente, quando questa accerti: – che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa, trattandosi di matrimonio celebrato in conformità del presente articolo; – che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; – che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Sul punto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 1824/93) ha affermato che, con l’Accordo del 1984, deve considerarsi abrogata implicitamente, ai sensi dell’art. 13, la disposizione contenuta nell’art. 34 del Concordato del 1929, che sanciva il carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale. Infatti, l’art. 8, n. 2, dell’Accordo di revisione riproduce, sia pure con rilevanti modificazioni, le disposizioni dell’art. 34 relative alla delibazione, ma non anche quella contenente la riserva di giurisdizione ai tribunali ecclesiastici delle cause concernenti la nullità del matrimonio. Di conseguenza, l’eventuale concorso tra giurisdizione italiana e giurisdizione ecclesiastica andrà risolto mediante il criterio della prevenzione. 11. IL PROCESSO MATRIMONIALE CANONICO – IL SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA Per le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio canonico trascritto agli effetti civili, si applicano le disposizioni previste nel libro VII del Codice di diritto canonico, e in particolare quelle relative ai processi matrimoniali (canoni 1671-1707). Poiché i provvedimenti dell’Autorità ecclesiastica in materia di nullità di matrimonio sono destinati a produrre effetti civili, l’ordinamento statuale chiede che venga garantito che tali provvedimenti abbiano i requisiti di legittimità secondo il diritto canonico. – 12 –


DIRITTO ECCLESIASTICO A tal uopo, l’art. 34, 5° comma, Conc., stabiliva che le sentenze di nullità di matrimonio, “quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti”. L’art. 8, n. 1, del Nuovo Concordato richiede che le sentenze di nullità matrimoniali siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo (cioè la Segnatura). Il Tribunale della Segnatura emana decreto comprendente l’attestazione che la sentenza è conforme ai requisiti di legittimità. 12. IL PROCEDIMENTO DI DELIBAZIONE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE PRIMA E DOPO LA RIFORMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO EX L. 218/95 L’art. 34, 6° comma, Conc., prevedeva che la Corte d’Appello, dopo aver ricevuto le sentenze definitive di nullità del matrimonio, assieme ai relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura, provvedesse (d’ufficio), “con ordinanza emessa in camera di consiglio, a rendere esecutivi tali provvedimenti agli effetti civili, ordinandone l’annotazione nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio”. Ai sensi dell’art. 8, n. 2, del Nuovo Concordato, invece, il procedimento potrà instaurarsi solo su domanda delle parti o di una di esse. La domanda va proposta con atto di citazione o con ricorso se le parti sono concordi nel chiedere l’annullamento del matrimonio agli effetti civili. Fino a quando almeno uno dei coniugi non dava impulso al procedimento di delibazione innanzi alla Corte d’Appello, la sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio canonico non sortiva alcun effetto nel diritto italiano. A seguito della riforma del diritto internazionale privato ex L. 218/95, è previsto l’automatico ingresso e riconoscimento delle sentenze straniere nel nostro ordinamento, salvo alcune eccezioni espressamente previste. Il giudizio di delibazione è quindi eventuale ed eccezionale, purché vi siano i requisiti previsti dall’art. 64 L. 218/95, la cui presunzione semplifica il lavoro del giudice (chiamato a compiere la relativa valutazione nel solo caso di contrasto tra le parti). 13. EFFETTI DELLE DECISIONI ECCLESIASTICHE CIRCA LA NULLITÀ DEI MATRIMONI L’efficacia della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato nullo il matrimonio canonico, e che la Corte d’Appello ha reso esecutiva, retroagisce alla data di celebrazione del matrimonio. In tale caso, però, l’art. 18 L.m. prevede che è applicabile la disposizione dell’art. 128 c.c. circa il “matrimonio putativo”: la Corte d’Appello può, nella provvedimento inteso a rendere esecutiva la sentenza canonica, attribuire a favore del coniuge che ne abbia diritto, e che ne faccia richiesta, una provvisionale sulle indennità spettantigli a norma degli artt. 129 e 129–bis c.c., rimandando le parti avanti al giudice competente in primo grado per la decisione su tali questioni (art. 8, 2° comma, n. 2, N.C.). 14. LA DISPENSA ECCLESIASTICA CIRCA IL MATRIMONIO RATO E NON CONSUMATO In base al Codice di diritto canonico, il matrimonio valido tra battezzati si dice solamente rato, se non è stato consumato; si dice rato e consumato se i coniugi “hanno compiuto tra loro, in modo umano, l’atto per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura e per il quale i coniugi diventano una cosa sola” (can. 1061). Mentre il matrimonio rato e consumato è indissolubile, nel senso che “non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte” (can. 1141), il ma– 13 –


DIRITTO ECCLESIASTICO trimonio rato e non consumato “può, per una giusta causa, essere sciolto dal Romano Pontefice, su richiesta di entrambe le parti o di una delle due, anche se l’altra fosse contraria” (can. 1142). La normativa concordataria del 1929 (art. 34) consentiva che anche il provvedimento canonico di scioglimento del matrimonio canonico (trascritto) rato e non consumato acquistasse valore, a seguito di determinati adempimenti, nel diritto italiano. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 18 del 02/02/1992 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme concordatarie che “prevedono che la Corte d’Appello possa rendere esecutivo agli effetti civili il provvedimento ecclesiastico con il quale è accordata la dispensa dal matrimonio rato e non consumato”. 15. LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI Secondo l’art. 19, 2° comma, L.m., incombe al magistrato civile l’obbligo di “comunicare all’Autorità ecclesiastica la sentenza di separazione, quando sia passata in cosa giudicata”; a tal uopo, il n. 93 della Istruzione S. Congr. Sacramenti stabilisce che “le sentenze ed i provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi, emessi dall’Autorità civile, purché non siano contrari alla legge divina o ecclesiastica, hanno valore anche nel foro canonico”.

CAPITOLO NONO - LE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA 1. GENERALITÀ, LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE E LIMITI COSTITUZIONALI: ART. 8, 2° COMMA, COST. La posizione giuridica delle confessioni religiose diverse dalla cattolica trova oggi la sua principale fonte di regolamentazione nell’art. 8 della Costituzione. Il 1° comma di tale articolo prevede l’eguale libertà di “tutte le confessioni religiose” innanzi alla legge, riferendosi a tutti i culti, compresi quelli non cattolici. Nel comma successivo, il legislatore costituente ha sancito la libertà di organizzazione delle confessioni acattoliche, che si estrinseca nella possibilità, offerta a tali confessioni, di organizzarsi autonomamente, secondo un proprio statuto, e di autodeterminarsi anche nei confronti dello Stato. Tale potere di autodeterminazione incontra il limite dell’”ordinamento giuridico italiano”, con il quale detti statuti non devono essere in contrasto: gran parte della dottrina è concorde nel ritenere che questo limite debba individuarsi nell’ordine pubblico e nel buon costume. 2. I RAPPORTI TRA LO STATO E LE RAPPRESENTANZE DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA: LE INTESE L’art. 8, 3° comma, Cost., stabilisce che i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica siano regolati “per legge” dello Stato e che tale legge sia emanata “sulla base di intese” con le rappresentanze delle confessioni. Fino ad oggi, lo Stato italiano ha provveduto a firmare intese con otto confessioni religiose. Peraltro, bisogna rilevare che manca ancora oggi un intervento legislativo volto ad abrogare le disposizioni contenute nella legge sui culti ammessi (L. 24 Giugno 1929, n. 1159), le quali, limitando la libertà delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e non stipulatarie di intese, creano nei loro confronti delle discriminazioni contrarie ai principi contenuti nella Costituzione. – 14 –


DIRITTO ECCLESIASTICO 3. FONTI Il quadro delle fonti disciplinanti la materia delle confessioni acattoliche risulta estremamente variegato. Da un lato, infatti, si collocano le norme costituzionali (artt. 8, 19 e 20), indirizzate a tutte le confessioni religiose; dall’altro, e solo con riguardo alle confessioni acattoliche che hanno stipulato intese con lo Stato (ex art. 8, 3° comma, Cost.), trovano applicazione le disposizioni contenute nelle rispettive leggi di attuazione. 4. I MINISTRI DI CULTO DELLE CONFESSIONI ACATTOLICHE Possono definirsi ministri di culto, in base alla legge italiana, tutti coloro che, nell’ambito di una qualunque confessione religiosa, posseggono una potestà di magistero sui fedeli. La nomina dei ministri di culto delle confessioni religiose acattoliche che non abbiano stipulato intese con lo Stato italiano deve essere approvata con decreto del Ministro dell’Interno (art. 3 L. 1159/29); la mancata approvazione governativa impedisce che possano essere riconosciuti effetti civili agli atti propri del relativo ministero. 5. ENTI ECCLESIASTICI DELLE CONFESSIONI ACATTOLICHE Anche le confessioni religiose diverse dalla cattolica possono istituire enti con finalità di culto in senso lato. Quanto alla disciplina cui detti enti sono soggetti, un trattamento sicuramente più favorevole, sia sotto il profilo del riconoscimento della personalità giuridica che sotto quello dei controlli legati alla loro attività, risulta riservato alle confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato le intese di cui all’art. 8, 3° comma, Cost. 6. CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO CON EFFETTI CIVILI Il matrimonio celebrato innanzi a ministri di confessioni religiose diverse dalla cattolica (correntemente denominato “matrimonio acattolico”) produce, dal giorno della celebrazione, a seguito dell’iscrizione nei registri dello stato civile, gli stessi effetti del matrimonio celebrato davanti l’ufficiale dello stato civile. Si noti che, secondo la dottrina prevalente, il matrimonio acattolico non costituisce un “tipo” a sé di matrimonio (accanto a quello civile e a quello concordatario), ma è solo una forma particolare dello stesso matrimonio civile.

CAPITOLO DECIMO - L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLA CHIESA 1. L’ORGANIZZAZIONE ECCLESIASTICA L’insieme delle persone che partecipano della potestà della Chiesa va sotto il nome di “organizzazione ecclesiastica”. Il principio generale che vige in materia è quello della gerarchia, per effetto del quale le persone e gli organi inferiori sono posti in condizione di subordinazione rispetto a quelli superiori. Il primo e principale soggetto della suprema autorità della Chiesa è il Romano Pontefice, cioè il Vescovo della Chiesa di Roma: egli è al vertice di tutta la gerarchia ecclesiastica, sia di ordine che di giurisdizione, avendo potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale su tutta la Chiesa. In materia di fede e di morale il Pontefice è Maestro e, quando – 15 –


DIRITTO ECCLESIASTICO (ex se o in Concilio) definisce “ex cathedra“ le supreme verità di fede e di morale, gode dell’infallibilità. Quando, per morte o rinuncia, si rende vacante la sede apostolica, bisogna procedere all’elezione del Pontefice; eleggibile è ogni fedele cattolico maggiorenne, ma viene eletto sempre un Cardinale. L’elezione compete al collegio dei Cardinali, riuniti nel cd. conclave, riunione plenaria e solenne. La violazione del segreto del conclave comporta la scomunica. L’elezione canonica è perfetta dal momento in cui il Cardinale Decano annunzia il risultato della votazione. Il secondo soggetto della “suprema e piena potestà sulla Chiesa universale” è rappresentato dal “Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo”. Il Concilio ecumenico (cioè universale) è l’assemblea di tutti i Vescovi del mondo. Le disposizioni conciliari (approvate dal Pontefice) sono considerate vere e propri atti normativi di diritto oggettivo ed hanno, dunque, forza obbligatoria. Il Sinodo dei Vescovi è l’”assemblea dei Vescovi” i quali, scelti dalle diverse parti del mondo, si riuniscono periodicamente: – per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi; – per prestare aiuto, con il loro consiglio, al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica; – per studiare i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel mondo. I Cardinali di Santa Romana Chiesa, detti anche Padri Cardinali o più semplicemente Cardinali, sono i più alti collaboratori del Romano Pontefice. Nell‘insieme, formano un collegio di natura particolare denominato correntemente “Sacro Collegio”, che funziona, sia pure ufficiosamente, come “senato” del Pontefice, ed ha personalità giuridica. Compito principale del Collegio cardinalizio è l’elezione del Romano Pontefice. Il Concistoro è l’assemblea, di regola segreta, nella quale i Cardinali si riuniscono per ordine del Romano Pontefice e sotto la sua presidenza. È l’organo attraverso il quale si realizza la collaborazione dei Cardinali col Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale; esso può essere ordinario e straordinario. 2. LA CURIA ROMANA Col nome di Curia Romana si intende il complesso di uffici o dicasteri mediante i quali il Sommo Pontefice esercita il suo alto ufficio nel governo della Chiesa Universale. La compongono: – la Segreteria di Stato, che ha il compito di collaborare con il Pontefice sia nella cura della Chiesa Universale, che nei rapporti con i Dicasteri della Curia Romana; – le Congregazioni, vale a dire Commissioni di Vescovi che hanno il compito di trattare gli affari della Chiesa e le varie pratiche (attualmente ne esistono nove); – i Tribunali, cioè il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e la Rota Romana (quest’ultimo è l’unico tribunale della Santa Sede competente in materia di cause matrimoniali); – altri organismi vari, per lo più denominati “Consigli“. – 16 –


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