Fatti UN FENOMENO IN CRESCITA
Orti in città: più socialità
Sono un importante fattore di aggregazione e favoriscono il recupero degli spazi verdi nelle aree urbane. L’esperienza del Comune di Bologna dove si contano circa 2.700 zone ortive. Il successo dei corsi amatoriali. Zanetti
ANTONIO APRUZZESE
e produzioni sostenibili
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L’
orto è una passione vera. Che si tratti di appezzamenti urbani gestiti da pensionati e famiglie o di piccole aree verdi che spuntano da balconi e terrazze c’è sempre più gente disposta a prendere una zappa in un rapporto più diretto con la terra e i suoi frutti. Non si tratta neppure di una nicchia, magari un po’ snob, se è vero (dati Confeuro) che sono 7 milioni gli italiani che vi si dedicano, limitando i danni di quel progressivo abbandono di cui è vittima l’agricoltura. É un fenomeno che genera fermento. Per dirla con il Wwf gli orti «garantiscono cibo sano, diffondendo stili di vita sostenibili e possono diventare una rete viva in grado di aumentare la biodiversità nelle nostre città». Esistono, inoltre, mappe on line (a Bologna gramignamap.it, da un progetto di Giuseppina Aloe e Serena Conti) per capire quanto verde autogestito si nasconde fra palazzi e centri commerciali, comprese aiuole e community garden, perchè «questa ricchezza privata può trasformarsi in un patrimonio di risorse e relazioni», avvertono le curatrici del sito. L’orto di cui parliamo non è semplicemente innaffiare e coltivare, si tradirebbe una dimensione più vasta. Lo dimostra il progetto europeo Hybrid Parks (*) che vuole ottimizzare potenzialità e risorse di aree verdi e giardini, partendo proprio dai valori culturali ed ambientali degli orti urbani per arrivare alla costituzione di parchi: ibridi ovviamente. Dieci i Paesi rappresentati nel progetto e 16 partner, fra cui la Regione Emilia-Romagna con l’assessorato Programmazione territoriale e urbanistica. E intanto fioriscono i corsi, promossi anche da soggetti “insospettabili”. Così il colosso degli elettrodomestici Whirlpool, che nella sua sede italiana a Comerio (VA) ha riproposto il corso “L’orto in casa” per i suoi dipendenti: trentenni- quarantenni, per lo più neofiti. «Il riscontro avuto la dice lunga sul bisogno di riagganciare il rapporto con la terra. In un’epoca scandita dalla dimensione virtuale e da tempi sempre più frenetici, “sporcarsi le mani” può dare un contributo importante alla qualità della nostra vita», ha aprile 2013
Fra moda e necessità L’orto urbano è una realtà che presenta due facce: nei Paesi del centro e sud America è molto sviluppata e costituisce una forma di sostentamento; nel Vecchio Continente il fenomeno è, invece, più spesso una moda e un trait d’union fra generazioni. Spiega Giovanni Bazzocchi, tecnico ricercatore del dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Bologna. «Come in Spagna e in Grecia, da noi coesistono entrambi gli aspetti. L’orto in terrazza può essere anche una location per un aperitivo, ma in esperienze come quelle in via Gandusio a Bologna (vedi foto nel box) le finalità sono di ecosostentamento. Sicuramente è importante il carattere di trasversalità, con gli anziani che non lesinano consigli su come trattare la terra. E non manca qualche contrapposizione “ideologica”: le vecchie generazioni sono più legate agli insetticidi, mentre i giovani sono più sensibili ai trattamenti biologici». La necessità di riqualificare spazi abbandonati o degradati entro le città metropolitane per destinarli ad occasioni di socializzazione tra i cittadini orticoltori o di consumo a “km zero” con innegabili vantaggi anche economici ha suggerito la firma di un protocollo d’intesa nel febbraio scorso fra Italia aprile 2013
Nostra, Anci e Mipaaf. Si prevedono, tra l’altro, una mappatura dei terreni in aree urbane e periurbane inutilizzate e la creazione di uno spazio web dove i Comuni aderenti potranno censire i terreni disponibili e i progetti sugli orti urbani.
Non solo pensionati fra gli assegnatari Sulle aree ortive è da segnalare l’esperienza, ormai trentennale, del Comune di Bologna, inizialmente promossa per creare momenti di socializzazione e auto-organizzazione delle persone anziane. Attualmente si contano 20 aree per un totale di oltre 2.700 orti (su circa 14 mila in Emilia-Romagna e 18 mila in Italia).
Foto in basso: progetto pilota “Green Housing” realizzazione di un orto idroponico semplificato sul tetto di un edificio dell’edilizia popolare (via Gandusio, Bologna) per l’autoproduzione di frutta ed ortaggi.
HORTICITY, “COLTIVARE” BALCONI E TERRAZZE Riportare all’interno delle città spazi verdi e produzioni agricole sostenibili, progettando orti su tetti, balconi e terrazzi. Queste le finalità di Horticity che nasce nel 2006 a Padova. Tre i settori di attività: promozione dell’orticoltura urbana; diffusione di pratiche di orticoltura sostenibile; realizzazione di prodotti per la coltivazione “fuori suolo” di frutta ed ortaggi. Su quest’ultimo punto Horticity sperimenta e realizza sistemi idroponici (senza terra, ndr), ottenuti semplificando le tecnologie impiegate di norma nelle coltivazioni intensive di serra, per adattarle alla piccola produzione domestica. Inoltre Horticity promuove attività formative per la cultura dell’autoproduzione di frutta ed ortaggi. Nel 2013, insieme al dipartimento di Scienze agrarie dell’ateneo di Bologna, è referente italiano nell’ambito del progetto europeo “Hortis”, in collaborazione con le Università di Bologna, Cartagena (Spagna), Budapest (Ungheria) e Workstation, la più grande organizzazione di orti urbani autogestiti di Berlino. Il corso inizierà a metà maggio per un totale di 80 ore. La frequenza sarà gratuita e rivolta a operatori sociali e disoccupati (www.hortis-europe.net). Horticity partecipa infine a progetti internazionali di sviluppo dell’orticoltura comunitaria in aree urbane e periurbane dell’America Latina, Africa ed Asia.
Horticity
detto Giuseppe Geneletti, dirigente dell’azienda. Ma altri esempi non mancano. Associazioni e i centri sociali - come il Vag61 di Bologna - propongono quasi sempre lezioni di orticoltura. Così anche il centro di accoglienza La Rupe di Sasso Marconi, sempre nel Bolognese, dove un primo corso (gratuito) ha fatto immediatamente il pieno di iscritti (25), di ogni età e professione, con quattro lezioni teoriche e un’appendice pratica. «A coloro che desideravano continuare a praticare orticoltura, abbiamo proposto uno scambio umano e relazionale con le persone ospiti nel nostro centro e che vivono situazioni di disagio. Insomma un po’ di terra in cambio di una mano a chi ha bisogno: ognuno contribuendo come poteva», dice Danila Mongardi, vice presidente della Rupe. Anche la cooperativa Dulcamara (ad Ozzano dell’Emilia) ha curato in passato la progettazione di molti corsi sul tema. Nel 2012, ad esempio, al Sana in collaborazione con l’Aiab, oppure in sinergia con il comune di Castel San Pietro Terme (orti sui balconi) e ancora con la Provincia di Bologna. «In questi ultimi mesi però - sottolinea il presidente Matteo Pantosti - abbiamo rallentato l’offerta, sia perché una buona proposta non si articola su meno di una quarantina di ore e con costi non indifferenti in quanto si tratta di docenze di alta specializzazione, sia perché la gente si arrangia con Internet e o chiede un supporto all’amico che ha un piccolo orto».
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Ogni area è suddivisa in piccoli appezzamenti di 30-50 mq. La materia è demandata ai quartieri e un nuovo regolamento ha esteso i criteri di assegnazione a tutti i residenti: il compimento dei 60-65 anni per donne e uomini è solo una priorità, mentre vengono riservate quote per progetti didattici e colturali e per le famiglie numerose. Un modello che è stato seguito da molti comuni dell’hinterland, come Casalecchio di Reno, dove a fine febbraio sono stati messi a bando 256 orti, di cui una dozzina destinati a nuclei familiari con figli minori e altrettanti per iniziative di interazione sociale e culturale. Dal Comune fanno sapere che si tratta di un’esperienza sperimentale che ha riscosso successo e che in futuro potrebbe essere consolidata. Che poi l’orto sul davanzale sia sinonimo di mangiar sano, questo è ancora da dimostrare. Qualcuno ci ha provato e i risultati non sono proprio confortanti. La ricerca arriva da un gruppo di studiosi del dipartimento di Ecologia dell’Università tecnica di Berlino, in collabora-
zione con l’orto botanico dell’Università di Khmelnitsky, in Ucraina (riportata sulla rivista on line “Intersezioni”). Nel cibo coltivato in città la presenza di metalli pesanti è in concentrazioni maggiori rispetto a quello proveniente dalle campagne o che arriva sugli scaffali dei supermercati. Ad esempio, nei pomodori i valori del cadmio e del nickel sono risultati rispettivamente undici volte e quasi cinque volte superiori a quelli riscontrati nei prodotti commercializzati nei supermercati, mentre la bietola coltivata contiene sei volte più zinco di quella acquistata nei negozi. Una nota positiva è data dalla presenza di edifici e di ampie masse di vegetali situati tra la coltivazione e le strade che sbarrano la strada ai metalli. * Progetto Hybrid Parks/programma IVC. Cofinanziato dall’Unione europea. Gennaio 2012-dicembre 2014. http://www.hybridparks.eu/project/ Info: bfucci@regione.emilia-romagna.it