Come braci sotto la cenere - Estratto

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Laura Cappellazzo

COME BR ACI BRACI SOT TO SOTTO

L A CENER E LA CENERE

Romanzo

Ispirato a fatti realmente accaduti

Le foto dell’interno sono pubblicate per gentile concessione di AGESCI - Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani

PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2025

Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano

www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

ISBN 978-88-315-5788-7

Alle mie quattro fiamme: che possiate ardere sempre libere e alte e, se non ve lo permetteranno, che abbiate l’ardire della brace sotto la cenere.

E va più in su, più in là, controvento

È lotta dura ma tendi lo spago

E se sta a cuore a noi, non è vana

Speranza, cambierà, oltre la siepe va.

E il potere all’indifferenza

Indifferenza che al potere fa ladri

La terra ormai scossa dagli atomi pazzi

Denaro trionfante, schiaccia grida di madri.

E ancora, la grande corsa

Per gli stupidi armati razzi

In rialzo i profitti, più disoccupati

E c’è sempre chi dice: «State buoni, ragazzi!».

(dal canto Scouting for boys)

Agosto 1943

Ipossia *

Sisentiva soffocare. Le mancava l’aria. E non era per il caldo afoso di quello strano agosto. Era un’apnea che le veniva dallo stomaco, si espandeva ai polmoni, le saliva alla gola. Come se l’ossigeno si rifiutasse di entrare nel suo corpo, perché troppo pesante, perché troppo scarso. E una volta dentro fosse incapace di portare nuova energia, un poco di vitalità, uno slancio verso il respiro successivo.

L’ossigeno colloso e caldo presente nell’aria estiva di Roma si era mescolato alla polvere delle macerie dei quartieri bombardati alcune settimane prima. Era incredibile come il pulviscolo persistesse e continuasse a mischiarsi all’odore della distruzione e della paura. Nemmeno il venticello che scendeva la sera dai colli più a nord della città era ancora riuscito a ripulire l’aria. Era insufficiente a spaz-

* Carenza di ossigeno nei tessuti, tale da compromettere le funzioni dell’organismo.

zare via quella disperazione che – nessuno lo immaginava –era solo agli inizi.

Che la paura avesse un odore Giuliana lo sapeva bene.

Lo aveva imparato sulla Toscana , la nave ospedale della Marina Militare Italiana. A ventitré anni, quando tutto faceva presagire che di lì a poco Mussolini avrebbe messo l’Italia in una brutta situazione, se possibile peggiore di quella in cui già si trovava, Giuliana, invece di pensare al matrimonio, si era iscritta al corso di infermieristica. Lo aveva concluso brillantemente a giugno del 1940, giusto in tempo per entrare nel corpo delle Crocerossine e lavorare senza risparmiarsi in vari ospedali militari di Roma e poi a bordo della Toscana.

Di quell’esperienza ricordava gli spazi angusti, il caldo soffocante che in alcune occasioni imbottiva le cabine, la mancanza d’aria quando stava sottocoperta e la ricerca di cielo sul molo. Ma specialmente ricordava quando attraversavano le burrasche e intorno a lei tutto girava senza alcuna logica, e il mondo saliva e poi di botto scendeva, e i feriti vomitavano l’anima e loro, le crocerossine, non potevano far nulla per dare sollievo, perché quando il mare ruggisce non puoi certo metterti a ripulire il pavimento o a cambiare le lenzuola o a dare un sorso d’acqua per lavare la bocca. Devi solo attendere che la tempesta passi, che il mare si calmi, che le onde tornino a rimbalzare dolcemente sullo scafo della nave.

E poi ricordava bene l’odore della paura. Quella dei naufraghi, che recuperavano da navi attaccate dall’alto, dagli

aerei dei nemici, che oggi forse erano amici o alleati o chissà. Nessuno lo capiva, nessuno lo sapeva ancora. Quando prelevavano i naufraghi, per quanto fossero marinai, soldati addestrati a resistere in condizioni estreme, l’odore della paura era fortissimo. Si mescolava al freddo, all’urina, alla morte. Non avrebbe mai dimenticato gli occhi sbarrati colmi di terrore dei superstiti, il loro tendersi verso le funi di salvataggio, il loro aggrapparsi ai soccorritori, i denti che battevano incontrollabili, la pelle blu, i corpi inermi sbattuti dalle onde. Quando quell’assurda guerra fosse finita, se mai fosse tornata la pace in Italia e la vita avesse ripreso a scorrere normale e banale, Giuliana si augurava che mai e poi mai nel Mediterraneo succedessero ancora annegamenti, che le persone dovessero ancora morire in mare. Era la morte più terribile a cui lei avesse mai assistito.

Lei che si sentiva soffocare. Il caldo afoso. I ricordi delle cabine asfissianti. Gli annegamenti. Il tempo sospeso in cui era piombata Roma. Che cos’avevano in comune tutti questi frammenti di pensiero se non la mancanza d’aria, la mancanza di futuro?

Seduta in quel bel giardino elegante al riparo dal sole, Giuliana lasciava che i ricordi e le idee si mescolassero, cercando di ritrovare un po’ di lucidità. Erano strani quei giorni incerti. Da poco i quartieri meridionali e orientali di Roma, in particolare quello di San Lorenzo, erano stati bombardati. Uno shock per i romani, che mai avrebbero immaginato che la loro città, la Città Eterna, potesse esse-

re oltraggiata in quel modo. Tutti pensavano che i monumenti storici fossero una garanzia sufficiente a evitare un’invasione indiscriminata, un attacco spudorato come quello delle bombe. Presunzione dei romani che si sentivano protetti dall’arte, dalla storia, dalla presenza del Vaticano. Che si erano illusi che i nuovi padroni sarebbero arrivati in punta di piedi, chiedendo permesso, pulendosi le scarpe prima di entrare. E invece.

Invece il 19 luglio morirono in più di millecinquecento, la maggior parte civili. Furono undicimila i feriti, diecimila le case distrutte o rese inagibili. Quarantamila le persone costrette a trovare riparo, un tetto sotto cui stare, un rifugio. E tutti, tutti, avevano quell’espressione stupita in volto: «Roma… Hanno bombardato Roma… Sembrava impossibile, eppure…».

E ora i romani si sentivano indifesi, in balìa del caos. Non sapevano più chi ascoltare, a chi ubbidire…

Mussolini, quel 19 luglio, non era a Roma ma a Feltre. Era andato a incontrare Hitler per proporgli l’uscita dalla guerra. Hitler, da parte sua, lo aveva insultato e rispedito a casa.

Una settimana dopo, il 25 luglio, Mussolini venne cacciato dal governo e arrestato. A comandare misero Badoglio, il quale iniziò a trattare con gli americani e gli inglesi, che ora andavano chiamati Alleati.

Il 14 agosto, Roma venne dichiarata città aperta. Nessuno le doveva far più del male: né a lei né alla sua gente.

I tedeschi se ne dovevano andare e gli Alleati sarebbero entrati togliendosi gli scarponi all’ingresso, per non rovinare l’arredo urbano. Ma non fu così.

Infatti ecco quei giorni sospesi. In cui chi se ne doveva andare stava ancora là e chi doveva arrivare non si palesava. In cui la gente attendeva un ordine, qualcuno che confermasse che la guerra era finita, che il fascismo non esisteva più, e invece la realtà diceva tutto il contrario. D’altronde i romani credevano nell’arte, nella storia, nelle leggende della grande Roma… in cose che non si vedevano, insomma. Perché non credere allora alla fine della guerra? All’inviolabilità della loro città?

Giorni appesi a un filo sottile. Stesi sotto quel sole implacabile che bruciava anche la più piccola piantina di speranza. Stesi come si faceva con il bucato e le lenzuola, prima della guerra però. Perché ora nessuno più metteva ad asciugare i panni alle finestre o nei cortili: attiravano l’attenzione, attiravano gli spari, attiravano i ladri.

Giuliana non sopportava di attendere, stare appesa, aspettare che qualcuno decidesse per lei. Non lo aveva mai fatto e di certo non avrebbe iniziato ora, a ventotto anni. Aveva un’età per cui era ancora giovane e piena di forze, e allo stesso tempo poteva già considerarsi matura, una zitella agli occhi di molti, una testarda un poco strana per altri. Fino allora aveva vissuto in una realtà che poteva permettersi di ignorare l’esistenza del fascismo. Un lusso che in pochissimi avevano potuto concedersi. Era una privile-

giata, lo sapeva, perciò aveva scelto di utilizzare quel privilegio in favore di chi non ne godeva.

Sua madre si chiamava Laura Ivancich ed era una nobile veneziana. Suo padre era stato Ranieri di Carpegna, funzionario del Banco di Roma e fratello del conte Mario Gabrielli di Carpegna. Ranieri era morto prematuramente nel 1917, quando Giuliana aveva solo due anni. Allora vivevano a Parigi; infatti Giuliana era nata lì, mentre suo fratello Nolfo, di due anni più grande, era nato a Roma. Zio Mario, alla morte del fratello, li aveva fatti rientrare a Roma e li aveva accolti senza indugio tutti e tre nella sua abitazione romana in corso Vittorio Emanuele. Giuliana si commuoveva ogni volta che ripensava allo zio e, adesso che si trovava a Roma per il riposo forzato dal servizio di crocerossina, le succedeva molto spesso.

Lo zio era stato un uomo buono, un secondo padre per lei e per molti altri ragazzini che lo avevano conosciuto e avuto come educatore. Lo zio, infatti, era stato colui che aveva importato, voluto, amato e strutturato il movimento scout in Italia. Fino all’ultimo respiro aveva donato tutto sé stesso a quell’ideale e aveva amato ciascuno dei ragazzi esploratori che lo avevano incontrato. Era diventato il padre di molti, il consigliere, la guida.

Mario e sua moglie Maria Manna Roncadelli si erano sposati tardi. Entrambi nobili di casata e di animo, avevano gioito immensamente all’arrivo inaspettato del figlio Bruno, cugino che Giuliana però non conobbe mai, dato

che morì a soli cinque anni. Mario e Maria allora riversarono tutto il loro amore di genitori sui ragazzi romani che partecipavano al movimento scout. Furono amati da tutti, e la quantità di persone presenti al funerale dello zio ne era stata la testimonianza.

Zia Maria morì nel 1937 e la loro casa rimase alla famiglia ridotta, costituita da Giuliana, Nolfo e dalla madre Laura. L’eredità più grande che zio Mario lasciò a Giuliana e a suo fratello, tuttavia, fu la nobiltà d’animo, la dedizione al prossimo, la cura e l’interesse per l’altro, specie per i giovani.

Nessuno obiettò quando Giuliana prese a rendersi utile presso la parrocchia di San Giovanni dei Fiorentini, occupandosi del catechismo e del coro. Nessuno si stupì nemmeno quando Nolfo a dieci anni volle entrare nel reparto scout Roma V. La sua esperienza ufficiale però fu breve, dato che l’anno successivo Mussolini rese illegale qualsiasi movimento giovanile che non fosse l’Opera Nazionale Balilla prima o la Gioventù Italiana del Littorio poi.

L’attività del Roma V proseguì clandestinamente, come quella di altri gruppi. Il Roma V in particolare si rese famoso per le attività giornalistiche, le imprese atletiche e un attento approfondimento del metodo scout, ancora in germe in Italia. Del Roma V facevano parte personalità che in futuro avrebbero segnato profondamente tutto il movimento scout, ma che per il momento Giuliana conosceva solo per essere grandi amici di suo fratello Nolfo. C’erano per esem-

pio Agostino Ruggi d’Aragona e Domenico (Mimmo) Maddalena, capi rispettivamente dei Galli e delle Aquile.

Giuliana ricordava benissimo le riunioni delle Aquile, di cui Nolfo divenne caposquadriglia, che avvenivano di nascosto proprio nella loro casa. Spesso chiedeva di parteciparvi da spettatrice, dato che, in quanto femmina, non le era permesso aderirvi. Ma Nolfo e i suoi compagni non badavano tanto a quelle sottigliezze e, a meno che non fossero attività troppo specifiche, Giuliana giocava liberamente con loro e cantava i loro canti, spesso intonandoli, data la sua predisposizione per la musica.

Le attività segrete terminarono nel 1931, ma solo perché sia Agostino sia Mimmo scelsero la vita consacrata: Agostino come domenicano, Mimmo nei gesuiti. Nolfo, e altri con lui, continuarono tuttavia l’opera clandestina, avvicinandosi sempre più a quel movimento di rifiuto dell’ideologia fascista che alla fine sfociò nella Resistenza.

Nolfo, data l’appartenenza a una famiglia storicamente legata alle Guardie del Vaticano e la sua attitudine all’atletica, intraprese la carriera militare, diventando ufficiale del Regio Esercito nel 1938. Grazie alle due lauree conseguite precedentemente, in Giurisprudenza e in Lettere, poté da ufficiale ottenere anche il diploma di perfezionamento in Storia dell’arte e nel 1940 vinse il concorso per ispettore della Sovrintendenza alle Gallerie.

Da tempo, quindi, Nolfo viveva lontano da Roma, e nel 1940 si trasferì a Parma, dove rimase perché richiamato al-

le armi. Giuliana non lo vedeva da un lungo periodo, ma il loro legame era più forte che mai, rinforzato dalle poche quanto accalorate lettere che riuscivano a scambiarsi usufruendo di vie postali privilegiate e poco soggette ai controlli, in quanto legate alla famiglia reale.

Ricordare Nolfo non aiutò Giuliana a ritrovare la quiete. Al contrario, oltre al senso di oppressione per il futuro, ora la giovane donna sentiva anche il peso della nostalgia per ciò che era e non c’era più, andato perso tra le pieghe del passato e della storia.

«Finalmente quelle due petites flammes 1 si sono addormentate! Non ne volevano sapere di dormire perché c’eri qua tu!»

A scuotere Giuliana dalle sabbie mobili in cui era caduta fu la voce allegra dell’amica Josette.

«Mi dispiace, non volevo agitarle…»

«Ma non ti devi dispiacere, cara amica. Anche perché ho promesso loro che starai qua fino a che non si sveglieranno dal riposino! Così potrai intrattenerle con una delle tue favole che tanto adorano».

Josette era un’amica di lunga data. Tra lei e Giuliana c’erano sei anni di differenza, un matrimonio e due figlie, di cui una era figlioccia di Giuliana. Le univa un ambiente familiare molto simile, una formazione personale di respiro internazionale e al di fuori degli schemi del momen-

1 «Piccole fiamme».

to, e lo stesso desiderio di immaginare un mondo diverso da come veniva loro proposto.

Josette era nata al Cairo. Era una Cattaui De Menasce, ovvero membro di una delle famiglie ebree più ricche in Egitto. Era stata educata da una governante inglese, aveva studiato in Francia e nel 1920 si era trasferita in Italia. Era a Roma quando Matteotti fu assassinato: davanti alla croce malamente dipinta sulle mura del Lungotevere e ai fiori portati in omaggio nel luogo dove era stato ucciso, poi calpestati con disprezzo dalle guardie fasciste, capì con chiarezza che cos’era il fascismo e da quale parte voleva stare. Iniziò da lì, da quella croce e dai fiori strapazzati a terra, un suo cammino di trasformazione personale che la portò anche alla conversione al cattolicesimo.

Una volta conosciuto Manlio e i suoi ideali, non esitò a sposarlo. Manlio Lupinacci era un liberale antifascista e giornalista impegnato, e spesso Josette lo accompagnava alle riunioni politiche, cosa che a volte lo metteva in imbarazzo, dato che, tra i due, era lei l’anima più progressista e innovatrice, che non esitava a proporre obiettivi per il futuro apparentemente stravaganti come il voto alle donne.

Giuliana e Josette si intendevano anche perché entrambe possedevano un temperamento determinato e volitivo. Tutt’e due avevano grandi sogni e ampi orizzonti, che amavano condividere e immaginare insieme. Da quando Giuliana era in congedo, ne approfittava per trascorrere del

tempo con le sue amiche più care che abitavano a Roma, e Josette era una di queste.

«Hai di nuovo quello sguardo…», azzardò Josette sedendosi sui gradini di pietra, di fianco all’amica.

«Ah, ah, ah… Quale sguardo?»

«Non provare a negare l’evidenza, mademoiselle Carpegna. Sai che con me non funziona! Hai gli occhi come braci…»

«Va bene, va bene…», ammise Giuliana alzando le mani in segno di resa. Poi le appoggiò nuovamente sulla pietra fresca e, stirando un poco la schiena, provò a confidarsi ad alta voce.

«Tu che sei più preparata di me in queste cose… come pensi che andrà ora?»

Josette sospirò:

«Difficile dirlo. Tutti sperano che la guerra finisca presto, ma la verità è che non c’è certezza alcuna. In teoria americani e inglesi dovrebbero prendere il comando di Roma e dell’Italia, ma il quando è un mistero. In teoria i tedeschi dovrebbero andarsene, ma in pratica siamo ancora territorio occupato. In teoria il Vaticano con la sua presenza dovrebbe proteggerci, nella pratica nessuno si attende una presa di posizione politica da parte del Papa. Quindi, vedi? Sappiamo la teoria, ma la pratica non la sa nessuno…».

«Nella pratica aumentano i morti innocenti, le malattie e la fame soprattutto…», commentò Giuliana.

«Stai continuando ad aiutare le suore con i feriti? Ma non ti dovevi riposare?»

«Il riposo è un lusso che nemmeno noi ci possiamo permettere ora, cara Josette. Quando vedo in quali condizioni mi arrivano certi bambini… mi vergogno persino di aver fatto colazione».

La voce di Giuliana si incrinò un poco, ma la giovane riuscì a trattenersi. Mostrarsi debole era un qualcosa che proprio non sopportava, nemmeno se di fronte aveva un’amica fidata.

«Giuliana, tesoro, sei stata tu a mostrarmi come un privilegio personale avuto per nascita possa diventare fonte di aiuto e di conforto per altri! Non abbatterti proprio ora!»

«No, no… grazie, Josette. Certe lezioni di zio Mario non le dimenticherò mai, tranquilla! È stato lui il mio maestro in questo. Quello che intendo dire è che mi preoccupa la situazione dei bambini, dei ragazzini… e delle ragazzine!

Josette, non c’è nessuno che si stia occupando di loro, se non quando si ammalano o sono feriti. Ma se la guerra finirà, e Dio voglia sia il più presto possibile, come affronteranno questi ragazzini il nuovo futuro?»

Giuliana fece una pausa per raccogliere su un dito un piccolo insetto che passava tra i fili d’erba. Le venne da sorridere: se ci fosse stato zio Mario lì con lei avrebbe saputo dirle nome e caratteristiche precise di quel piccolo sgorbietto nero e lucido che sgambettava tra le sue dita.

«Sai, Giuliana, molte volte mi sono posta la stessa domanda. Guardo le mie figlie giocare e crescere, e mi chiedo che cosa stia riservando la vita per loro. Con varie scuse e temporeggiamenti sono riuscita a non iscriverle alla GIL 2 , ma se il fascismo non cessa di esistere e il nazismo ne prendesse il posto… per quanto ancora riuscirei a scamparla? A evitare loro di sorbirsi una dottrina che insegnerebbe a odiare, a disprezzare, a utilizzare il nome di famiglia con arroganza e non con magnanimità?»

«Sì… e loro partono da una situazione privilegiata.

Ma pensa a tutte quelle ragazze che non hanno una famiglia, un rango o un nome che le possa proteggere… qualcuno vicino che abbia la forza di mostrare loro altre idee, altre possibilità, altri futuri. Quale generazione avremo dopo di noi? Sarà in grado di affrontare le sfide della ricostruzione? O avrà troppa paura? O troppo rancore?…»

«… O troppa fame?», concluse Josette.

Le due amiche stettero un poco in silenzio. Il piccolo insetto nero era scomparso dalla loro vista. Al suo posto un paio di lucertole si muovevano rapide in cerca di cibo.

Giuliana riprese il discorso.

«In questi giorni in cui sarei a riposo…»

« Saresti , hai detto bene…», la canzonò Josette.

2 Gioventù Italiana del Littorio.

Giuliana abbozzò un sorriso.

«Esatto: in questi giorni in cui sarei a riposo, sto pensando molto a quale sia il mio posto, il mio compito in questo momento. Sono stata in prima linea: a curare feriti e salvare dispersi in mare. Il mio stato di salute mi impedisce di proseguire per questa strada e allora mi chiedo: dove mi metto ora? Perché, di starmene con le mani in mano, non se ne parla proprio!»

«Be’, mi spiace dovertelo dire io, ma qui sulla terraferma sembra non esserci molta scelta per donne come noi, in questo momento», rispose cupamente Josette.

«Che intendi dire?»

«Che le signore perbene, quelle come noi che, certo, hanno una casa, da mangiare, da lavarsi, sono però sempre esposte. Dài, diciamocelo, non è facile nemmeno per noi la vita! È vero, può anche darsi che non ci manchino i beni materiali, ma siamo continuamente spiate, controllate e misurate da ogni angolazione. Che siano ufficiali, governanti, ministri o alti prelati, tutti pretendono da noi un atteggiamento equilibrato e condiscendente… verso tutti!

Dobbiamo starcene ferme immobili, far finta che vada tutto bene e annuire a chiunque apra bocca. Soprattutto se è un maschio».

Mentre parlava, Josette si era alzata in piedi e aveva preso a mimare i movimenti di una marionetta che sorrideva forzatamente e agitava la mano in segno di saluto, inchinandosi bruscamente a destra e a sinistra.

«Oh, mio Dio, ma è terribile!», scoppiò a ridere Giuliana.

«Vedi? Mi dai ragione, quindi», sbottò Josette, tornando a sedersi di colpo vicino all’amica.

«E siamo osservate anche dalla gente, che guarda a noi per vedere come ci comportiamo, se diamo cenno di cedimento o se sbagliamo un passo. Da un lato ci guardano come punti di riferimento in mezzo a tutta questa confusione, dall’altro sono pronti ad accanirsi su di noi se inciampiamo…»

«Adesso però esageri…», la rimproverò dolcemente Giuliana.

«Ah! Non credere, mon amie , non credere… A volte penso che le ragazze del popolo, o le borghesi, abbiano molta più libertà di noi».

«Libertà di prenderle dai mariti senza fiatare? Libertà di venire importunate continuamente dai soldati? Libertà di veder soffrire i propri figli senza poterci fare nulla? Di che libertà stai parlando, Josette?»

«Della libertà di agire. Manlio mi ha detto che molte ragazze stanno collaborando con il movimento antifascista: portano informazioni, aprono le proprie case alle riunioni clandestine… Qualcuna di loro sarebbe anche disposta a usare le armi se si rendesse necessario…»

«Mio Dio, Josette! Mi stai dicendo che l’alternativa per noi donne è stare zitte in un angolo o scegliere di agire la violenza?»

«Ti sto dicendo quello che vedo… nient’altro…»

«Be’, allora, cara amica mia, ci inventeremo una terza via».

«Chi? Io e te?», scoppiò a ridere Josette.

«Sì, io e te. Se fosse necessario». Giuliana era seria e negli occhi le ardeva una scintilla che Josette riconobbe subito.

«Quegli occhi mi parlano di guai, mademoiselle…»

«Io le chiamerei più avventure, ma chère…»

«Di che avventure state parlando?»

Una vocina sonnolenta interruppe lo scambio tra le due amiche. Alessandra e Chiara, le figlie di Josette, si tenevano per mano sull’uscio di casa, con il visino ancora pieno di sonno. La più piccola aveva una bambola di pezza in braccio, mentre la maggiore si strofinava un occhio con la manina.

«Oh, voi due! Siete già sveglie!», protestò Josette, alzando le braccia al cielo.

«Dài, venite in braccio alla zia!». Giuliana aprì le braccia e le due bimbe le si sedettero in grembo, di corsa.

«Zia! Che bello che tu sia ancora qua! Ce la racconti un’avventura?»

Giuliana si mise a ridere, adorava quelle bambine.

«Ma certo! Vi racconterò un’avventura di quel mattacchione di mio fratello Nolfo durante il periodo della Giungla Silente!»

«La Giungla Silente?», fecero eco le bambine, senza più traccia di sonno negli occhi.

«Sì, la Giungla Silente. Vi siete accorte che da quando c’è la guerra gli uccellini hanno smesso di cantare? Ebbene, quando i cannoni, le pistole e le urla dei soldati si fanno sentire fortemente, gli animaletti del bosco, della foresta e della giungla tacciono. Si nascondono, frastornati da tanta violenza. E in silenzio continuano a fare le loro cose: ad accudire i cuccioli, a cacciare, a vivere insomma. In silenzio, per non farsi scoprire. Questa è la Giungla Silente. E anche molte persone agiscono come le bestioline e continuano a fare cose di nascosto, in silenzio, anche se la guerra o un comandante arrogante le ha rese proibite».

«Davvero?», chiese Alessandra incuriosita.

«Certo! Mio fratello per esempio! Nel 1937 era vietato fare qualsiasi cosa divertente che c’entrasse con un gruppo di ragazzi chiamati scout. Nolfo era stato uno scout e aveva continuato a fare attività, giochi, studi e ricerche con i suoi compagni anche in mezzo alla Giungla Silente. Ecco, nel 1937 viene indetto il Jamboree , una grande festa internazionale di tutti gli scout del mondo. Mio fratello ci voleva andare assolutamente, anche se in Italia gli scout ufficialmente non esistevano più. Bene, allora si mette d’accordo con un suo amico di nome Umberto e partono in bicicletta! Ma sapete dov’era questa festa? A Vogelenzang, nei Paesi Bassi! Vi immaginate? In bicicletta fino a lì! Che matti! Certo, c’è da dire che Nolfo era famoso all’università per le sue imprese sportive, ma ci vollero giorni per arrivare fin lassù!»

«E ci riuscì?», chiese Chiara impressionata.

«Certamente! Pensate, tra centinaia di scout si ritrovarono in cinque italiani. Nolfo in particolare fece amicizia con Kelly, nome di copertura, che veniva da Milano con il suo amico Baden, altro nome di copertura, un sacerdote che era stato qua a Roma a studiare e che aveva conosciuto altri amici religiosi di Nolfo. Questi due erano riusciti ad andare fino a Vogelenzang grazie a passaporti falsi! E a Milano avevano organizzato un gruppo scout di nome Aquile Randagie! Che personaggi! Divennero tutti amici e fu una grande festa… Riuscirono persino a incontrare di persona il fondatore degli scout: sir Baden-Powell! Mio fratello era così felice che dice di non essersi nemmeno accorto di pedalare, al ritorno. Gli pareva di volare! Proprio come le Aquile!»

«Oh, che bella storia, zia!», esclamò Chiara.

«Potremo andare anche noi a una festa così bella? Come quegli scout?», chiese Alessandra.

«Io lo spero tanto, piccola, lo spero tanto…», rispose Giuliana con il volto sognante.

I. Agosto 1943 - Ipossia pag. 9

» 27 II. Agosto 1943 - Combustione » 29

» 50 III. Settembre 1943 » 52

di Giuliana » 65

IV. Novembre 1943 » 67

» 82

V. 28 dicembre 1943 » 84

Matilde » 103

VI. 3 gennaio 1944 » 105 Una donna sul Ponte Milvio » 123

VII. Aprile 1944 » 125

» 147

VIII. Luglio 1944 pag. 149

Adele » 165

IX. Settembre 1944 » 167

Salva » 185

X. Dicembre 1944 » 187 La Principessa » 196

XI. 10 giugno 1945 » 198

Marcelle » 210

XII. Aprile 2024 » 212 Maria Rosa » 221

Nota dell’autrice, con una riflessione e tanti ringraziamenti » 223

LIBRI LIBERI

Nella collana trovano casa testi di differente genere, forma e confezione che fanno di valori umani e cristiani il loro riferimento e la loro forza. Narrazione, inedito e profondità dicono il tenore dei libri che la collana raccoglie.

1. Nella notte , di Inga Nalbandian, a cura di Letizia Leonardi

2. L’angelo, la mosca e l’anima , di Ferruccio Parazzoli

3. Donne di sabbia , di Laura Cappellazzo

4. Torna da me , di Valentina Barbera

5. Jaap e la collina dei sogni , di Pierpaolo Piangiolino

6. Per un’altra strada. La leggenda del Quarto Magio. Romanzo , di Mimmo Muolo

7. La trattoria del cardinale. Brevi storie di convivialità e fede , di Sabrina Vecchi

8. Nostalgia di casa. Romanzo , di Ernesto Di Fiore

9. La Casa dei Coriandoli. Romanzo , di Giorgio Comini

10. Madri e maree , di Laura Cappellazzo

11. Ho attraversato il fuoco. Ispirato a una storia vera , di Fernando Muraca

12. Un amore di nonna , di Elena Mora

13. La brigata Fiori Selvatici. Romanzo , di Laura Cappellazzo

14. Dove non canta più il cielo. Romanzo , di Luigi Mariani

16. Le tre vite di Goli. Romanzo. Ispirato a una storia vera , di Laura Cappellazzo

17. Ribellarsi alla notte. Una storia di Natale. Romanzo, di Mimmo Muolo

18. Come braci sotto la cenere. Romanzo. Ispirato a fatti realmente accaduti , di Laura Cappellazzo

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