In copertina: Simboli dei quattro evangelisti e mistico agnello, Pergamo di Ruggero Nicodemo da Guardiagrele (1150), chiesa di Santa Giusta, Località Bazzano (AQ), foto Archivio Paoline.
I quattro Vangeli sono il centro del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana. Essi non sono nati da interessi di autori privati, né sono destinati a una lettura privata. Sono stati scritti nella Chiesa e sono destinati alla lettura ecclesiale. Il punto di partenza da cui provengono i Vangeli è il Vangelo di Gesù, quello che Gesù proclamava lungo le strade di Galilea e che Marco per primo sintetizzò con queste parole: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo » (1,15). La vita e le parole di Gesù sono il punto di partenza della tradizione evangelica o, meglio, l’attestazione dei discepoli della prima ora che come testimoni oculari hanno potuto udire e vedere quanto Gesù ha detto e i segni che egli ha compiuto. Noi oggi conosciamo la parola e i gesti di Gesù soltanto grazie alla mediazione della loro testimonianza e alla formulazione del loro racconto. Tale testimonianza apostolica non solo è fedele alla fonte, ma è anche arricchita da quella « più completa intelligenza » derivata ai testimoni oculari perché « ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità » (Dei Verbum 19). Gianantonio Borgonovo
nuova versione ufficiale della cei
I Vangeli
Roberto Di Diodato, sacerdote della Società San Paolo, fotografo, regista e produttore cine-televisivo, è direttore editoriale di Multimedia San Paolo. Ha realizzato per Telenova e TV 2000, la televisione satellitare dei vescovi italiani, importanti serie televisive, tra cui Il cammino di Dio con l’uomo (2003) e Vangeli (2010). Come fotografo è autore dell’apparato iconografico del volume Il mondo della Bibbia (2006). Attualmente è il critico cinematografico del mensile Vivere in armonia.
I Vangeli
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Gianantonio Borgonovo, presbitero della diocesi di Milano, ha conseguito la specializzazione presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e presso l’Università Ebraica di Gerusalemme (1980-1981). Docente presso la Sezione parallela della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale nel Seminario di Milano e dal 1991 presso la Sede centrale di Milano, è dottore ordinario della Biblioteca Ambrosiana, all’interno della quale ricopre gli incarichi di direttore della Biblioteca e direttore della Classe di Studi sul Vicino Oriente. E’ collaboratore delle Paoline in qualità di condirettore della collana I libri biblici/ Primo testamento.
Introduzione e commento di Gianantonio Borgonovo Foto di Roberto Di Diodato
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Una nuova edizione dei quattro Vangeli nella versione della Conferenza Episcopale Italiana del 2008, strutturata in modo originale per accompagnare il lettore in un’« esperienza intellettuale e religiosa » che lo apre a « scenari di comprensione del tutto nuovi e sorprendenti ». Un lavoro a due mani: da una parte il contributo del biblista Gianantonio Borgonovo, che ha curato l’introduzione al Vangelo quadriforme, cioè ai quattro Vangeli canonici (secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni), e ai Vangeli apocrifi. E ancora, le note introduttive a ogni singolo Vangelo con brevi indicazioni sulla storia coeva, il contesto religioso del giudaismo, alcune sottolineature sui passi controversi, l’approfondimento teologico delle pagine più significative. A completare l’opera, l’apparato iconografico, curato da Roberto Di Diodato, che illustra l’ambiente geografico in cui si sono svolte le vicende narrate nei Vangeli, i volti e i costumi della gente che vive oggi in Palestina, la bellezza degli affreschi conservati nelle chiese e nei monasteri dell’isola di Cipro, immagini poco conosciute, che divinizzano nei colori e nelle forme l’umanità di Cristo Signore. Un volume per conoscere meglio i Vangeli, tenendo conto che « l’autore dei Vangeli rimane sempre lo stesso Gesù, protagonista della storia della salvezza, il Figlio mandato da Dio Padre a rivelare agli uomini l’ultima e definitiva parola di amore ».
I Vangeli nuova versione ufficiale della cei
Introduzione e commento di Gianantonio Borgonovo
Foto di Roberto Di Diodato
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Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena
PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2011 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino
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MATTEO
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per leggere matteo
«L
ibro della genesi di Gesù, Messia, figlio di Davide, figlio di Abramo ». L’inizio del Vangelo secondo Matteo non può passare inosservato, soprattutto per coloro che hanno già avuto modo di ascoltare e meditare il Vangelo secondo Marco. Se gli autori del primo e del secondo Vangelo provengono – com’è possibile – dalla medesima comunità di Antiochia di Siria, l’affermazione di Matteo è da interpretare come una critica del gruppo giudeo-cristiano di fronte al tentativo di Marco di parlare del messianismo di Gesù di Nàzaret a prescindere dalle sue origini giudaiche. Al contrario, Matteo dedica ad esse in modo particolare i cosiddetti « Vangeli dell’infanzia ». Per Matteo è soprattutto importante radicare Gesù di Nàzaret in una genealogia che parte da Abramo e attraversando il tempo cruciale di Davide (inizio della monarchia di Giuda) e di Ióiakin (ultimo re di Giuda riconosciuto come tale), arriva sino a Gesù e con lui si interrompe, perché da lui parte una nuova discendenza non più nella carne, ma nello Spirito. Annota Matteo, alla fine dell’albero genealogico da lui ricostruito: « In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici » (1,17). Le consonanti del nome ebraico « dawid », la d, la doppia v e la d, indicavano anche i numeri 4-6-4, la cui somma, 14, coincide con il numero delle generazioni, e quindi rappresenta una sequenza numerica perfetta. Non stupisce tanto il fatto che Luca dia una genealogia diversa, risalendo da
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Gesù sino ad Adamo: è l’interesse teologico dei due evangelisti e non la precisione anagrafica a guidare la loro ricerca. L’intento di Matteo è di scoprire che Gesù è veramente il Messia figlio di Davide e l’ebreo figlio di Abramo. L’intento di Luca è invece di sottolineare che Gesù è il centro della storia dell’umanità, il nuovo Adamo da cui parte una nuova umanità. I primi due capitoli di Matteo, come anche i primi due capitoli del Vangelo di Luca, fungono da cornice teologico-narrativa della vicenda di Gesù. L’interesse dei due evangelisti in questa specie di prologo non è principalmente cronachistico, sebbene tutte e due rispettino con grande precisione i pochi dati tramandati dalla memoria collettiva delle prime comunità. E cioè: - Gesù è figlio di Giuseppe e di Maria, concepito da Maria in modo straordinario, prima che i due andassero a vivere insieme, ma dopo la scrittura del contratto matrimoniale; - Gesù è nato a Betlemme, perché Giuseppe abitava là, secondo Matteo, o perché si è dovuto spostare là per quel censimento che « fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria »; - Gesù fu allevato comunque a Nàzaret, ma per ragioni diverse tra i due evangelisti. Il centro d’interesse fondamentale dei cosiddetti « Vangeli dell’infanzia » è, infatti, di illuminare la nascita e gli avvenimenti dei primi anni della vita di Gesù. Gli evangelisti partono da una doppia prospettiva: l’adempimento delle Sacre Scritture d’Israele e l’anticipo di quanto avverrà negli ultimi giorni della vita di Gesù. Matteo accompagna ciascun episodio di questi racconti con una citazione del Primo Testamento. La citazione può essere precisa, e allora egli cita espressamente il libro biblico da cui proviene: « ciò avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Geremia… ». Oppure può essere generica: « … ciò avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta… ». Dall’altra parte, Matteo anticipa nei « Vangeli dell’infanzia » il racconto della passione di Gesù. Per esempio quando, nei racconti dei magi, Erode chiede ai sacerdoti e agli scribi dove sarebbe dovuto nascere il re dei Giudei. O ancora
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Mosaico della mappa di Gerusalemme. Madaba. Giordania
quando i magi si prostrano davanti al bimbo e a sua madre, anticipando la scena della prostrazione degli Undici Apostoli sul monte di Galilea. Deve essere comunque ricordato quel poco di storicamente preciso, benché implicito nel racconto evangelico: il rapporto tra l’ancoramento nella storia e il suo profondo valore simbolico. Uno di questi pochi elementi certi è la data di nascita di Gesù. È noto a tutti che i calcoli di Dionigi il Piccolo, monaco del VI secolo, hanno portato a conclusioni leggermente errate, se è attendibile – come sembra, a partire dai dati offerti da Matteo – che Erode il Grande sia morto quando Gesù era già nato.
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Dal momento che Erode è morto il 13 marzo del 750 dalla fondazione di Roma, ovvero nel 4 a.C., un giorno di eclisse lunare secondo Giuseppe Flavio, Gesù deve essere nato almeno qualche mese prima di tale data. Ma c’è un ulteriore elemento da tenere presente. Nel I secolo, in terra di Giudea i due calendari più diffusi erano il calendario giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C., e il calendario ebraico, che era un calendario lunisolare. La tradizione della Chiesa di Oriente e i Padri dei primi secoli collocavano la data di nascita di Gesù il 6 gennaio (del calendario giuliano). La tradizione della Chiesa di Roma in Occidente, già prima del IV secolo, collocò la nascita di Gesù il 25 dicembre. Non si devono però invertire i termini della questione. Il 25 dicembre non fu scelto per soppiantare la festa pagana della luce nel solstizio invernale, bensì assunse i caratteri della festa della luce vittoriosa, perché la data del 25 dicembre cadeva proprio nelle vicinanze della festa pagana. Le due date del 6 gennaio e del 25 dicembre sono in realtà la stessa data. Gesù sarebbe nato infatti il 25 del mese di tèvet del calendario ebraico, che corrispondeva in quell’anno all’arco di tempo che va dal tramonto del 5 al tramonto del 6 gennaio del calendario giuliano. Il 25 dicembre sarebbe una trascrizione non scientifica del tèvet ebraico, che cade in inverno come il mese di dicembre latino. Ebbene, attorno alla data della morte di Erode vi è un solo anno in cui il 25 di tèvet coincide astronomicamente con il 5-6 gennaio: è l’anno 5 a.C.! Gesù sarebbe dunque nato un giorno quinto, cioè un giovedì, il 25 di tèvet del 3756 dalla creazione del mondo, secondo il calendario ebraico, ovvero il 6 gennaio del 748 dalla fondazione di Roma. La struttura portante del Vangelo secondo Matteo è data dai cinque discorsi che l’evangelista pone sulla bocca del Maestro: il discorso della montagna nei capitoli 5, 6 e 7; il discorso della missione nel capitolo 10; il discorso delle parabole nel capitolo 14; il discorso della comunità nel capitolo 18; e infine il discorso escatologico nei capitoli 24-25. Il materiale di questi discorsi proviene in parte dal vangelo di Marco, ma soprattutto dalla ricca tradizione di testi che circolava nella chiesa di Antiochia e che noi oggi chiamiamo convenzionalmente Q, iniziale del tedesco Quelle, « Fonte ».
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Non mancano naturalmente pagine proprie di Matteo, come le parabole che concludono il discorso escatologico, già presente in Marco. A questo riguardo, il cappello introduttivo delle parabole proprie di Matteo sembra essere quasi una formula fissa: « Il regno dei cieli è simile a… ». Questa formula richiama il centro della prima predicazione di Gesù in Galilea, ma esprime anche la novità della parola di Gesù, che vuole portare a comprendere lo stile della signoria di Dio nella storia degli uomini. Il fatto che i discorsi siano cinque, fa subito pensare alla Tôrâ, ai cinque libri del Pentateuco. Tuttavia, non si deve pensarli come una nuova Tôrâ, come se la Parola del Maestro dovesse sostituire la Legge di Mosè. Al contrario, per Matteo Gesù non è venuto « ad abolire la Tôrâ o i Profeti », « ma a dare pieno compimento »: « In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Tôrâ, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli » (Mt 5,17-19). Matteo non pensa a una sostituzione. Egli intende proporre un ritorno alla profonda ispirazione originaria della Tôrâ e degli oracoli profetici. È in questa luce che bisogna leggere anche le famose « antitesi matteane » del discorso della montagna: « Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico ». La contrapposizione non sta tra il testo scritturistico citato e la parola di Gesù, ma tra le interpretazioni degli scribi e l’interpretazione dell’unico « Maestro », che vuole andare al cuore del comandamento. Questo è sottolineato dalla frase conclusiva del « discorso della montagna »: le folle rimangono stupite delle parole di Gesù perché « egli insegna come uno che ha autorità e non come i loro scribi ». Il Maestro vuole riportare Israele e tutte le nazioni al cuore dell’alleanza nuova, che il Dio dei profeti e il Padre suo hanno preparato sin dalla fondazione del mondo per tutti i popoli, con la mediazione di Abramo e della sua discendenza. È molto significativo che l’evangelista narri il cambio di comportamento già nella vita stessa di Gesù. Sarà una donna, e per di più straniera, a far cambiare il modo di agire del rabbì di Galilea: « Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia
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figlia è molto tormentata da un demonio”. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. Egli rispose: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: “Signore, aiutami!”. Ed egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. “È vero, Signore”, disse la donna, “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le replicò: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita » (Mt 15,22-28). Molti e decisivi sono i testi propri o le aggiunte del primo evangelista. Tra essi spicca l’ampliamento della confessione di fede di Pietro, che Marco aveva già collocato nei pressi di Cesarèa di Filippo. Matteo aggiunge un testo proprio, sfruttando la localizzazione di tale città nei pressi delle fonti del Giordano, ove sorgeva anche un santuario al dio della natura Pan e ove si credeva che vicino vi fosse una delle entrate agli inferi, le famose « bocche degli inferi ». È un’aggiunta molto discussa dal punto di vista testuale, tanto che alcuni vorrebbero datarla molto dopo la composizione del primo Vangelo, che sarebbe da porre attorno agli anni ’80 del I secolo. Tuttavia, proprio l’ambientazione nei pressi delle « bocche degli inferi » rende il testo più legato all’ambiente galilaico originario: « Gesù disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù gli disse: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” » (Mt 16,15-19). Addirittura in due contesti diversi, Matteo aggiunge una propria clausola a un detto di Gesù riportato anche da Marco e da Luca. Tra le « antitesi » del discorso della montagna si legge: « Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di pornèia, la espone all’adulterio,
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e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio » (Mt 5,32). E ancora, nel capitolo 19, nel contesto della discussione sulle possibili cause di ripudio: « Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima (pornèia), e ne sposa un’altra, commette adulterio » (Mt 19,9). Il problema – come si intuisce – è di capire in che cosa consista la pornèia di cui parla Matteo. Pornèia è un vocabolo di significato molto ampio nella cultura giudaico-ellenistica dell’epoca. Ma una illuminazione ci può venire proprio tenendo conto del contesto della comunità di Antiochia, di cui ci parlano anche gli Atti degli Apostoli. Tale comunità era composta di due gruppi diversi di « cristiani » (così furono chiamati i discepoli di Gesù proprio in quella città siriana). Vi erano coloro che provenivano dal giudaismo ed erano ancora osservanti della Tôrâ, soprattutto per quanto riguarda la purità e l’impurità matrimoniali; e vi erano coloro che invece provenivano dal paganesimo, ai quali non fu più chiesto – dopo l’aspro confronto di Gerusalemme – di osservare le determinazioni giudaiche dei comandamenti. Ma un problema di purità matrimoniale, come l’incesto, avrebbe potuto portare la comunità alla spaccatura, non permettendo più di mangiare insieme e quindi di celebrare insieme l’eucaristia. Ecco allora la parola di Gesù che viene applicata da Matteo alla nuova situazione venutasi a creare nella comunità di Antiochia. Per poter continuare a vivere insieme l’eucaristia era necessario che le unioni matrimoniali considerate incestuose da parte giudaica venissero rescisse. Più che una eccezione, questa è una considerazione pastorale di estrema importanza: è più importante continuare ad essere una sola comunità e celebrare insieme l’eucaristia che non rispettare pedissequamente una parola attribuita a Gesù con ben altro valore. E allora, coloro che si trovano sposati con legami giudicati dalla parte giudaica come un « incesto » – questo sarebbe il senso di pornèia – devono di fatto rescindere la loro unione matrimoniale, perché essa non rientra nei casi contemplati dalla parola di Gesù. Il discorso escatologico di Gesù si conclude con tre parabole, originali di Matteo, sebbene la seconda, la parabola dei talenti, abbia una qualche somiglianza con la parallela parabola di Luca delle monete d’oro (Lc 19,11-27): la parabola
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delle dieci vergini (Mt 25,1-13), la parabola dei talenti (Mt 25,14-30) e la parabola del giudizio in misura della misericordia vissuta (Mt 25,31-46). Trapela da queste pagine, proprie di Matteo, l’urgenza di dare senso al tempo presente dell’attesa per una comunità che ormai pensava al ritorno del Signore come a una realtà molto lontana. Il ritorno del Signore non è una questione di brevi istanti, ma una dimensione costante della vita del credente. L’aveva in certo modo già previsto anche l’apostolo Paolo scrivendo alla prima comunità di Tessalònica, presa da un entusiasmo superficiale, che nell’attesa spasmodica del Signore glorioso era degenerata in atteggiamenti di pigrizia o di assopimento: « Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri » (1Ts 5,4-6). Anche la comunità di Matteo ha bisogno di comprendere che il tempo vissuto in attesa del ritorno glorioso del Signore risorto non è svuotato di senso, ma deve essere riempito di misericordia: « … ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi » (Mt 25,35-36). Bisogna attendere con le lampade pronte e con olio sufficiente, come fanno le dieci vergini prudenti. Occorre vivere con la scaltrezza di far fruttare il più possibile il dono ricevuto, perché « voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa » (Mt 5,13-15). Nella scena della croce, Matteo segue il racconto di Marco senza molte variazioni. Le poche varianti introdotte diventano quindi molto importanti. Tra tutte emerge l’aggiunta propria del primo evangelista al momento della morte di Gesù. Matteo – seguendo altra fonte o la propria ispirazione – scrive: « … la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti » (Mt 27,51-53).
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Affresco della discesa di Gesù agli inferi. Chiesa di Stavros tou Agiasmati. µ Platanistasa. Cipro
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In verità, questa aggiunta presenta qualche difficoltà: non tanto per la descrizione del terremoto, ma per il fatto che quei « corpi di santi » risorgano prima di Cristo stesso. L’evangelista è comunque attento a segnalare che, benché usciti dai loro sepolcri, essi entrarono nella città santa e apparvero a molti, ma solo dopo la risurrezione di Gesù. Questa notazione cronologica ci porta a pensare che l’evangelista abbia attinto la scena da una qualche tradizione precedente. Infatti, abbiamo la possibilità – almeno ipotetica – di comprendere a quale tradizione si rifaccia Matteo. Il punto di partenza è l’oracolo, contenuto nel capitolo 37 di Ezechiele, sulle ossa secche e lo spirito invocato perché possano rivivere; un oracolo che il profeta aveva proclamato per dare fiducia a un popolo distrutto e ridargli una speranza di rinascita politica e sociale. Ma il simbolo usato dal profeta è diventato più importante del contenuto stesso dell’oracolo: « Perciò profetizza e annuncia loro: “Così dice il Signore Dio (Adonai): Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore (Adonai), quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete » (Ez 37,12-14). Tra la pagina di Ezechiele e quella di Matteo sta una tradizione interpretativa compatta che, almeno in ambito farisaico, aveva già una rilettura risurrezionista di questo tipo. Si possono addurre due importanti documenti a questo riguardo. Nella sinagoga di Dura Europos, in un affresco che dovrebbe risalire al 265 d.C., uno dei pannelli ancora visibili riporta la raffigurazione della visione di Ezechiele con una descrizione che si avvicina molto alle parole di Matteo: i corpi escono dai sepolcri della valle di Giosafat ed entrano processionalmente nella città Santa, sul lato orientale del tempio. Anche il Talmud babilonese attesta che « nel sabato che cade nei giorni intermedi della festa di pasqua, si legge come brano della Tôrâ il capitolo 33 di Esodo. Mentre come haftarâ, ovvero come pagina profetica, si legge il capitolo 37 di Ezechiele » (appunto, il racconto delle « ossa secche »). Questa testimonianza è molto importante perché dovrebbe risalire anch’essa al III secolo d.C. Essendo però una testimonianza liturgica, essa risale certamente a un periodo precedente.
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L’interpretazione riportata da Matteo si inserisce nella tradizione farisaica, che interpretava il brano del capitolo 37 del profeta Ezechiele come promessa di risurrezione e non solo di rinascita per un popolo distrutto. Il Signore crocifisso e risorto è davvero l’Emmanuele, il Dio-con-noi, adempimento definitivo di tutte le Sacre Scritture. E se il velo del tempio si è strappato in due al momento della morte in croce di Gesù, un velo è subito di nuovo posto sul corpo del risorto, tanto è vero che alcuni degli Apostoli sino alla fine rimangono incerti se fare la prostrazione davanti al maestro che apertamente si presenta a loro come il Figlio dell’uomo glorificato: « Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28,16-20). I magi provenienti dall’Oriente avevano anticipato la prostrazione di tutte le genti davanti al Signore Gesù, a indicare la loro convocazione insieme con Israele per diventare tutti insieme discepoli dell’unico maestro. La missione di cui i discepoli sono incaricati non è di fatto un testardo e volontaristico proselitismo, ma la chiamata a unità di tutti i popoli sotto il segno dell’unica e medesima beatitudine del Regno dei cieli. Guidate dal Figlio dell’uomo, tutte le genti possono sentire sotto la signoria di Dio la propria chiamata a diventare « il vero Israele », sebbene in tempi di dura perseveranza. Sino alla fine dei tempi, il Figlio dell’uomo glorificato camminerà a fianco dei poveri, di quelli che sono nel pianto, dei miti, di quelli che hanno fame e sete della sua azione salvifica, di coloro che fanno misericordia, dei puri di cuore, degli operatori di pace, dei perseguitati a causa del Vangelo, per ripetere che Dio è dalla loro parte. L’annuncio è anzitutto per i discepoli. Ma le beatitudini del « discorso della montagna » sono rivolte anche a tutta la folla, perché sono la sintesi dell’Evangelo di Gesù.
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I quattro Vangeli sono il centro del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana. Essi non sono nati da interessi di autori privati, né sono destinati a una lettura privata. Sono stati scritti nella Chiesa e sono destinati alla lettura ecclesiale. Il punto di partenza da cui provengono i Vangeli è il Vangelo di Gesù, quello che Gesù proclamava lungo le strade di Galilea e che Marco per primo sintetizzò con queste parole: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo » (1,15). La vita e le parole di Gesù sono il punto di partenza della tradizione evangelica o, meglio, l’attestazione dei discepoli della prima ora che come testimoni oculari hanno potuto udire e vedere quanto Gesù ha detto e i segni che egli ha compiuto. Noi oggi conosciamo la parola e i gesti di Gesù soltanto grazie alla mediazione della loro testimonianza e alla formulazione del loro racconto. Tale testimonianza apostolica non solo è fedele alla fonte, ma è anche arricchita da quella « più completa intelligenza » derivata ai testimoni oculari perché « ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità » (Dei Verbum 19). Gianantonio Borgonovo
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Roberto Di Diodato, sacerdote della Società San Paolo, fotografo, regista e produttore cine-televisivo, è direttore editoriale di Multimedia San Paolo. Ha realizzato per Telenova e TV 2000, la televisione satellitare dei vescovi italiani, importanti serie televisive, tra cui Il cammino di Dio con l’uomo (2003) e Vangeli (2010). Come fotografo è autore dell’apparato iconografico del volume Il mondo della Bibbia (2006). Attualmente è il critico cinematografico del mensile Vivere in armonia.
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Gianantonio Borgonovo, presbitero della diocesi di Milano, ha conseguito la specializzazione presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e presso l’Università Ebraica di Gerusalemme (1980-1981). Docente presso la Sezione parallela della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale nel Seminario di Milano e dal 1991 presso la Sede centrale di Milano, è dottore ordinario della Biblioteca Ambrosiana, all’interno della quale ricopre gli incarichi di direttore della Biblioteca e direttore della Classe di Studi sul Vicino Oriente. E’ collaboratore delle Paoline in qualità di condirettore della collana I libri biblici/ Primo testamento.
In copertina: Simboli dei quattro evangelisti e mistico agnello, Pergamo di Ruggero Nicodemo da Guardiagrele (1150), chiesa di Santa Giusta, Località Bazzano (AQ), foto Archivio Paoline. E 0
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Introduzione e commento di Gianantonio Borgonovo Foto di Roberto Di Diodato
Una nuova edizione dei quattro Vangeli nella versione della Conferenza Episcopale Italiana del 2008, strutturata in modo originale per accompagnare il lettore in un’« esperienza intellettuale e religiosa » che lo apre a « scenari di comprensione del tutto nuovi e sorprendenti ». Un lavoro a due mani: da una parte il contributo del biblista Gianantonio Borgonovo, che ha curato l’introduzione al Vangelo quadriforme, cioè ai quattro Vangeli canonici (secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni), e ai Vangeli apocrifi. E ancora, le note introduttive a ogni singolo Vangelo con brevi indicazioni sulla storia coeva, il contesto religioso del giudaismo, alcune sottolineature sui passi controversi, l’approfondimento teologico delle pagine più significative. A completare l’opera, l’apparato iconografico, curato da Roberto Di Diodato, che illustra l’ambiente geografico in cui si sono svolte le vicende narrate nei Vangeli, i volti e i costumi della gente che vive oggi in Palestina, la bellezza degli affreschi conservati nelle chiese e nei monasteri dell’isola di Cipro, immagini poco conosciute, che divinizzano nei colori e nelle forme l’umanità di Cristo Signore. Un volume per conoscere meglio i Vangeli, tenendo conto che « l’autore dei Vangeli rimane sempre lo stesso Gesù, protagonista della storia della salvezza, il Figlio mandato da Dio Padre a rivelare agli uomini l’ultima e definitiva parola di amore ».
Lo stile di vita dei discepoli deve rendere visibile l’amore di Dio per tutti gli uomini e le donne di ogni tempo, di modo che tutti « rendano gloria al Padre che è nei cieli » (Mt 5,6): « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (Mt 5,3-12).
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