COMUNITÀ MONASTICA DI MARANGO
LO SCANDALO DELLA SPERANZA
Cammini di risurrezione nel tempo di Avvento
Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena
Per i testi citati dal magistero della Chiesa e dai documenti dei pontefici
© Libreria Editrice Vaticana - Dicastero per la Comunicazione, Città del Vaticano
PAOLINE Editoriale Libri
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ISBN 978-88-315-5749-8
DOVE CI ATTENDE IL SIGNORE
L’Avvento è una dimensione permanente del cuore, un pellegrinaggio che spinge ogni giorno il credente a cercare sentieri di speranza e orizzonti di senso. Vivere l’Avvento è udire nuovamente la parola rivolta dal Signore ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti mostrerò» (Gen 12,1). È un’avventura dello Spirito che ci porta a scrutare nella notte, «dalle profondità degli abissi», i segni di un giorno che viene: «L’anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all’aurora» (Sal 130,6). Non è solo un breve spazio di tempo che prepara la venuta del Signore alla fine dei tempi o che preannuncia il Natale.
C’è un testo nella liturgia dell’Avvento che parla di «giorni che verranno», di «promesse di bene» che saranno realizzate, di nuovi germogli di giustizia che spunteranno in una terra arida e devastata (cfr. Ger 33,14-16 - 1a domenica di Avvento anno C).
Questo sguardo sul futuro ci permette di iniziare ogni giorno una nuova avventura, di orien-
tare i nostri passi e di dare un senso alla nostra fatica quotidiana, scrutando nel buio della storia i segni promettenti della presenza del Signore. Sì, nel mondo non c’è solo devastazione e violenza: ci sono anche semi buoni di pace e di giustizia, i segni del Regno. Ci sono i bagliori di un giorno nuovo. Questo giorno l’aveva già annunciato il profeta Isaia: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60,1).
Come molti altri, anche noi cristiani possiamo lasciarci cadere in un pessimismo di maniera, in una lettura solo superficiale dei fatti della storia, prigionieri delle nostre emozioni, degli interessi e della propaganda di chi detiene il potere, di devianti visioni religiose che vedono ovunque solo peccato e castigo.
Allora si diventa indifferenti o cinici. Si abbandona la fede o si entra nel circolo di una religiosità fatta di riti stanchi e ripetitivi, riti svuotati della forza dello Spirito, che è fuoco divorante, vento che scuote e risveglia, parola che è spirito e vita.
Possiamo allora domandarci: «Quando verrà il Signore, e ristabilirà ogni cosa?».
Il Signore è già venuto nella debolezza della nostra carne umana, e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi.
Viene ogni giorno nella Parola e nel Pane, nei segni sacramentali della Chiesa.
Viene nel povero e nello straniero, nel volto di chiunque grida la sua disperazione dall’abisso del mare o dalle macerie devastanti delle migliaia di bombe sganciate ogni giorno da ogni latitudine del pianeta. Sì, Cristo è là, ed è in questi terribili luoghi sacri che ci attende. Ci avverte ancora il profeta Isaia: «Ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi» (Is 9,4-5). La fragile piccolezza di un bambino sconfiggerà la superba prepotenza degli eserciti.
Certo, Cristo verrà un giorno nella manifestazione della sua gloria, e consegnerà il Regno al Padre suo, quando anche l’ultimo nemico, la morte, sarà sconfitto. Dire che «verrà nella gloria» significa che egli sarà «il perfetto compimento di tutte le cose» e che ogni realtà creata troverà in Cristo la sua bellezza e la sua perfezione (cfr. Ef 1,23). Quando egli verrà tutto sarà riconciliato e pacificato in lui, e Dio sarà tutto in tutti.
I vangeli sinottici, letti nella prima domenica d’Avvento nei tre cicli dell’anno liturgico, presentano tutti una visione apocalittica della storia. Leggiamo in Luca, che attinge dalla sua fonte, che è l’evangelista Marco:
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli (…), mentre gli
uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria (Lc 21,25-27).
Lo scrittore sacro tralascia i tragici eventi storici accaduti in terra palestinese, in particolare la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, al culmine della prima guerra giudaica (66-70 d.C.), e il suo orizzonte diventa ora universale e contemporaneo a chi legge, ponendoci di fronte a quella realtà drammatica che molti autori chiamano de-creazione, un ritorno al caos iniziale, quando «la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso» (Gen 1,1). Le parole dell’evangelista ci pongono di fronte alla nostra storia, così gravida di violenza e di morte, di paura e di angoscia. In molti oggi si chiedono se la nostra Terra avrà ancora un futuro. Papa Francesco scrive al n. 2 dell’esortazione apostolica Laudate Deum (2023): «Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando ad un punto di rottura».
Sullo sfondo e in contrasto con questo sconvolgimento cosmico, il Vangelo ci mostra un altro scenario: apparirà «su una nube» il Figlio dell’uomo, cioè Gesù risorto, nella sua manifestazione finale.
La nube ci ricorda gli episodi della trasfigurazione (cfr. Lc 9,34) e dell’ascensione al cielo del
Signore (cfr. At 1,9). Il verbo «vedere» suggerisce il carattere universale della manifestazione del Figlio dell’uomo, mentre la nube dice che questo Figlio dell’uomo proviene dal mondo di Dio. «Potenza e gloria» sono attributi divini e sottolineano che la signoria di Cristo sarà manifesta a tutti.
Mentre il mondo teme la fine e vive nell’angoscia e nel terrore, i discepoli del Signore, pur sperimentando le medesime prove e condividendo il dolore e la fatica di tutti, attendono nella speranza la sua venuta gloriosa: è lui il fine della storia. E attendono questa venuta edificando il Regno, lavorando in pace, praticando la giustizia, gettando con perseveranza e fiducia i semi fecondi di un mondo nuovo. Condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi»1 i discepoli di Gesù possono alzare la testa, non perché essi non prendono parte ai drammi della storia, ma perché in quest’ultima possono scorgere i segni fecondi di «cieli nuovi e terra nuova» anticipati dalla risurrezione di Gesù. Il Risorto viene per annunciare non una fine, ma un nuovo inizio, e chiede a noi di essere vigilanti. In tempo di crisi il Vangelo ci esorta a risollevarci e ad alzare il capo. Ci dice con forza che non la fine è vicina, ma la liberazione.
1 Concilio ecumenico Vaticano II, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (1965), 1.
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Piuttosto che lagnarci dei tempi cattivi, siamo invitati a osservare, a stare attenti a noi stessi e a ciò che accade intorno a noi, a discernere i segni dei tempi, a non appesantirci nelle preoccupazioni e negli affanni della vita. La storia della salvezza è sempre progredita attraverso minoranze creative; si è sempre radicata nella fedeltà di un piccolo resto che è rimasto fermo anche dinanzi alla violenza della persecuzione o a maggioranze ostili che gli si oppongono. Per questo dice il Signore: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui, egli porterà il diritto alle nazioni» (Is 42,1).
Vivere l’Avvento come esperienza dello Spirito è vegliare in ogni momento pregando, per avere la forza di non soccombere di fronte a ciò che accade, di opporre resistenza ai «giorni cattivi» che incombono sul mondo.
Il Vangelo ci dice: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino» (Lc 21,29-31).
ABRAMO, CERCATORE DI FUTURO
Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati.
Ef 1,17-18
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settanta-
cinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan.
Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei.
Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.
Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb.
(Gen 12,1-9)
COME UN PANE SPEZZATO
Come il tempo dell’Avvento segna l’inizio di un nuovo anno liturgico, parimenti potremmo dire che la storia di Abramo rappresenti un nuovo inizio: dalla storia dell’umanità maledetta che fa esperienza del peccato e rifiuta il progetto originario di Dio, come narrato nei primi undici capitoli della Genesi, alla storia di benedizione del popolo di Israele, a partire dal primo patriarca,
Abramo. Il progetto creativo di Dio si incarna nella storia e le sue promesse si realizzano attraverso la chiamata alla fede dei patriarchi. Un nuovo inizio che è totale e gratuita iniziativa di Dio («Il Signore disse ad Abram» - Gen 12,1) e ascolto da parte dell’umanità, ascolto che si fa azione («Allora Abram partì» - Gen 12,4) per l’efficacia della parola del Signore nella vita di Abramo.
Abramo è un uomo anziano («aveva settantacinque anni» - Gen 12,4), sua moglie Sara è sterile, suo fratello Aran è morto nella terra natale dei Caldei, Ur, e lo stesso è accaduto al padre Terach a Carran, dove si erano stabiliti. In questo contesto luttuoso avviene la chiamata di Abramo, un uomo vecchio, senza passato né futuro. Questa situazione fallimentare è il punto di partenza di un vero e proprio esodo del quale Abramo deve fare esperienza: un uscire da - per andare verso. Il cammino storico, da Carran verso la terra di Canaan, altro non è che il segno di un pellegrinaggio interiore, perché si trova Dio nella misura in cui si ritrova sé stessi. La storia di Abramo è la storia di uno sradicamento dalla sua situazione di possesso per un nuovo radicamento nella terra promessa: proiettato non verso qualcosa che non si conosce, ma verso qualcuno. Il luogo è Dio.
Per iniziare con Dio è necessario vivere quell’imperativo rivolto al nostro padre nella fede: «Vattene» (in ebraico lek-leka). Va’ per te, per il
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tuo bene, va’ verso te stesso, verso la scoperta del progetto che Dio ha su di te, della tua vocazione più autentica. Una possibilità per Abramo di cambiare il proprio modo di essere secondo tre coordinate: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre» (Gen 12,1), lascia ciò che possiedi, la tua cultura, le tue dipendenze affettive per ricevere la benedizione di Dio. Permetti a Dio di poter operare nella tua vita, credi nella sua benedizione, credi che Lui voglia realizzare qualcosa di bello con te. Esci non verso la terra che desideri, ma «verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,2), la terra della vita alla quale si può giungere solo se si ha il coraggio di un ascolto obbediente, profondo, di una parola che ci rende capaci di dire di sì al Signore.
Abramo parte sulla parola di una promessa, si lancia verso un futuro che resta comunque incerto e oscuro, come ci ricorda la lettera agli Ebrei: «Per fede, Abramo (…) obbedì (…) e partì senza sapere dove andava» (Eb 11,8). Tutto è pro-messo da Dio, ovvero messo davanti ad Abramo. Promessa di Dio che è sempre più grande delle nostre piccole aspettative e così la vita di Abramo viene trasformata dalla forza benedicente del Signore, espressione di fecondità e prosperità: il piccolo paese natale si amplierà a una terra; la famiglia si allargherà all’umanità intera; la paternità avrà la prospettiva di un’intera nazione.
La famiglia del patriarca si mette in cammino e attraversa tutta la terra di Canaan, da nord a sud, in un continuo spostamento da un luogo all’altro.
La metafora del viaggio continua a descrivere la vita di fede. È una metafora radicale perché sfida il nostro pensiero contemporaneo di una rassicurante condizione stanziale, chiedendoci di rivedere il nostro rapporto con Dio: il Dio di Israele è un Dio del viaggio, un Dio itinerante che si sposta con il suo popolo. È colui che sempre si fa presente a ogni persona, anche se con modalità diverse: fuori della terra parla, mentre dentro di essa si fa vedere e spiega la visione con la parola: «Alla tua discendenza io darò questa terra» (Gen 12,7). In questa dinamica relazionale Dio è sempre colui che dona e l’uomo sempre colui che accoglie e risponde. Ogni chiamata chiede di essere vissuta da pellegrini, pronti a piantare la tenda dove la storia ce lo chiede, ma a levarla per andare altrove, per non mettere su casa su quel che piace e soddisfa. Il pastore caldeo di quattromila anni fa è partito senza tornare compiendo così un autentico esodo che lo porta sempre oltre. Egli ricerca sé stesso e la propria realizzazione altrove, nel mondo di un altro, che lo attira con delle promesse che non troveranno mai un compimento definitivo perché vengono continuamente rilanciate oltre le concretizzazioni.
Questa nuova storia inizia in un contesto privo di speranza; Dio sceglie di rivolgere ancora una
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volta la sua parola efficace e salvifica proprio a uomini e donne del tutto privi di possibilità. Il futuro è solo nelle mani di Dio. Chiediamo al Signore la grazia di rimanere fondati non tanto sulle nostre sicurezze, sulle nostre capacità, ma sulla speranza che scaturisce dalla promessa di Dio, come veri figli di Abramo. Quando Dio promette, porta a compimento quello che promette. È tempo di fidarci di Dio. Non c’è cosa più bella. La speranza non delude.
LA PAROLA SI FA STORIA
Paolo Dall’Oglio (1954), gesuita dal 1975, nel 1982 scopre le rovine di un antico monastero nel deserto siriano: Deir Mar Musa al-Habashi (Monastero di San Mosè l’Abissino). Nel 1984 viene ordinato prete nella Chiesa siro-cattolica, che ha giurisdizione sul monastero; iniziano i primi restauri. Nel 1991 comincia una nuova esperienza monastica, aperta all’ospitalità, all’ecumenismo, all’inculturazione nel contesto arabo-islamico e al dialogo con l’Islam. Dal 2011, sull’onda delle manifestazioni della primavera araba, che interessano anche la Siria, Dall’Oglio si impegna a favore della pace e di un graduale processo di democratizzazione. Per le sue posizioni, gli viene revocato il permesso di residenza e nel giugno 2012 è costretto a lasciare la Siria. Nel luglio 2013 riesce
a raggiungere Raqqa, nel nord del Paese controllato dall’opposizione al regime, probabilmente per favorire la liberazione di alcuni ostaggi. Il 29 luglio viene rapito e da quel momento non si hanno più sue notizie1. Per ricordare lui e il suo credo, riportiamo qui di seguito parte del suo testamento.
Ognuno di noi è legato alla sua Chiesa, ognuno ha una tradizione e quella tradizione è molto importante per lui. Bene, sono pronto a rinunciare all’appartenenza alla mia tradizione per servire Gesù in qualsiasi parte del mondo? Pietro rinunciò e andò, Matteo rinunciò e andò, Tommaso rinunciò e andò lontano. Tra le loro caratteristiche, gli apostoli avevano quella di andare con ciò che avevano, ma erano disposti a perdere qualsiasi cosa per seminare il Vangelo in una nuova terra alla quale sceglievano di appartenere più che alla terra da cui erano usciti.
Questo è per amore di Cristo, questo è il Cristo che è uscito da Dio e che esteriormente sembrava aver perso le sue caratteristiche e qualità, ma in realtà le ha vissute nella loro essenza, assumendo la forma di servo, nel farsi simile a noi, diventando uno di noi e in mezzo a noi, in una terra, in un luogo, nelle contingenze, nelle circostanze. L’apostolo rinuncia e parte, si fa povero e si arricchisce con le ricchezze dei popoli. Questo è l’apostolo.
È molto difficile per una persona molto radicata lasciare le sue radici e partire come apostolo. Per
1 Cfr. F. Peliti, Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa. Un deserto, una storia, Effatà, Cantalupa (TO) 2022.
questo motivo, Gesù potrebbe aver dovuto scegliere i suoi discepoli tra i pescatori. Non poteva prendere i suoi apostoli dai grandi studiosi del Tempio, che sono troppo attaccati per andare da qualsiasi parte.
Per quanto riguarda i giovani che stavano sulla riva, li prese e li plasmò sul desiderio del suo cuore e li lanciò nel mondo intero.
I monaci del monastero di Mar Musa sono tutti sradicati, in un certo senso, dalla radice e dall’origine. Il siro-ortodosso scopre che tutto il rito è in arabo e c’è una grande cura per i musulmani, e rimane sorpreso. Così come l’assiro, che vive un rito diverso in termini di linguaggio spirituale e religioso, e tanto più una persona di rito latino. Quanto al bizantino, gli manca qualcosa della ricchezza della grande e raffinata liturgia. Anche il siro-cattolico è sradicato, perché è passato da una Chiesa che si occupa di sé stessa a una Comunità monastica che si prende cura di tutti.
Ognuno di noi è stato sradicato dalla propria radice, in un modo o in un altro, perché questa Comunità ha una missione, e noi apparteniamo alla nostra missione, non alle nostre radici2.
PREGHIAMO
Dio misericordioso, che in Abramo ci hai dato il padre dei credenti,
2 P. Dall’Oglio, Il mio testamento, Centro Ambrosiano, Milano 2023, pp. 149-151.
tu hai voluto che nella sua discendenza fossero benedette tutte le genti della terra: guarda al popolo dell’alleanza e delle promesse e al popolo delle profezie che ti invoca quale Misericordioso, e fa’ che al più presto, attraverso la rivelazione di Gesù Cristo, si faccia l’unità di quanti credono in te, unico Dio, benedetto nei secoli dei secoli.
(Dalla liturgia del Monastero di Bose)
Indice
Prefazione pag. 5
PRIMA SETTIMANA
DI AVVENTO
Dove ci attende il Signore » 13
Abramo, cercatore di futuro » 19
Mendicanti di luce » 29
Il sogno di una speranza per tutti » 39
SECONDA SETTIMANA
DI AVVENTO
Vivere nella storia, abitare le domande » 51
Un sogno nelle visioni notturne » 59
La sapienza dei poveri » 69
Sentinelle del mattino » 77
TERZA SETTIMANA
DI AVVENTO
L’Avvento di Cristo è il cammino umano » 89
Dio visita il suo popolo sulle vie della pace » 97
Un anziano dal cuore giovane » 107
Chi ci separerà dall’amore? » 115
QUARTA SETTIMANA DI AVVENTO
Per una Chiesa ospitale pag. 125
Sperare tramite l’amore » 135
Cristo è la nostra pace » 145
Un cielo e una terra nuovi » 153
Bibliografia » 163