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Introduzione
Durante la pandemia, a causa del Covid-19, molti hanno perso il gusto e l’olfatto. È stata una sensazione, a detta di chi l’ha provata, molto strana e particolare.
Non sentire gli aromi, i profumi, non rendersi conto dello sbocciare della primavera o del lindore della casa, così come non sentire, sotto il palato, il gusto, la fragranza e la bontà di ciò che veniva preparato in cucina con amore, ha consegnato una situazione di annientamento davanti alla quale si doveva solamente attendere.
Abbiamo fatto l’abitudine a una situazione sconveniente, divenuta normale.
Mangiare si deve (e lo si faceva anche senza gusto). Gustare è un dono. Come, credo, educare i preadolescenti e gli adolescenti in genere.
Un dono che, come d’incanto, può ritrovarsi senza gusto. Perché quei piccoli che abbiamo coc- colato e avuto in braccio fino a ieri sono cresciuti – forse troppo rapidamente – e in questo momento ci sembrano «altri» rispetto a come li abbiamo visti finora.
Un dono che, da regalo, può trasformarsi in sopportazione e rischia di far perdere quel treno che corre a una velocità differente dalla nostra. Ma corre.
E rischiamo di perderlo, paradossalmente, nel momento in cui la loro vita sboccia e s’irrobustisce, e germogliano da loro i «perché» della vita, spesso nemmeno gentilmente, ma con violenza e rabbia.
Il papà, come d’incanto, diventa semplicemente «Aldo» o «Dino», che – a detta loro – è anche «un nome da vecchio» e «non capisco come abbiano fatto a dartelo quando sei nato!».
Fino a ieri c’era il bigliettino che diceva: «Sei forte, papà, come te non ce n’è un altro», si erano fatti i disegni alla scuola dell’infanzia e il papà e la mamma erano stati adorati nei lavoretti della scuola primaria. Da oggi, anche sotto tortura, negherebbero di aver scritto quel biglietto o inviato quell’sms o, se proprio l’hanno scritto, è stata una debolezza che va smentita. E anche velocemente.
La mamma perde la sua dolcezza e diventa «madre», nello slang usato dai figli adolescenti con il quale la bombardano, senza che lei capisca agganci e riferimenti. Rimpiange i baci, gli abbracci, le coccole di un tempo, ma si deve rassegnare al fatto che, attorno a sé, i figli adolescenti hanno messo chilometri di filo spinato per difendersi da ogni effusione d’affetto. In più, spesso, ridacchiano, prendono le distanze, mostrando di non aver bisogno di lei e di volersi staccare in fretta dalla radice che li ha generati. Anche lo Spirito Santo, disceso nella cresima, qualche anno prima, si ritrova come «disoccupato» negli adolescenti, che non comprendono più il funzionamento della vita. E cerca alleati nei genitori, negli educatori e negli insegnanti, negli allenatori sportivi, negli adulti in genere, perché tutti e sette i suoi doni, imparati con più o meno cura dai ragazzi, ai tempi delle medie, possano attivare il principio di funzionamento in coloro che li hanno ricevuti. E si ha ragione di dire, da parte di genitori, educatori e insegnanti: «Che fatica!», oppure «Mi si è stravolta la vita!».
L’educazione si gioca tutta qua. In questa partita tra adulti e adolescenti. Nel presente dei ragazzi, in questo campo di vita, con un tempo che è partito e non si ferma, nel quale giocare e disputare la gara.
La partita è bella, comunque. Anche se non sembra. E ci invita a camminare, non a fermarci, stanchi e senza provare gusto, come i due di Emmaus. La partita è bella e invita a riaccendere la miccia, dentro il cuore, nostro e loro, riattivando il desiderio di portarli a meta, facendoli crescere e camminare con le loro gambe.
Ce lo chiedono, anche se costa fatica. Chiedono di vivere. Cosa non scontata. Oggi, in mezzo a tanta morte, è profetico che gli adulti siano sentinelle di luce, di speranza e di nuove possibilità. Aprano strade creative e innovative nelle quali gli adolescenti si rendano conto della grazia e della possibilità che hanno a disposizione. Dicano, più con gli atteggiamenti che con le parole, che la partita educativa è possibile. Ancora. Adesso.
I ragazzi chiedono di vivere felici, cercando di comprendere e intuire dove possa essere quella fe- licità, e chiedono a modo loro di fare un tratto di strada insieme, senza paure e timori, con coloro che, almeno in parte, l’hanno trovata e scelta.
Chiedono di vivere, felici e contenti. La felicità è la condizione per vivere. La gioia un risultato che fa presagire una pienezza. In questa logica, adolescenti e adulti possono camminare per essere doni, gli uni per gli altri, spalle su cui appoggiarsi, occhi per leggere il tempo, forza per riprendere il cammino.
Giocare insieme nel campo della vita.
Lasciamo che queste pagine scorrano nel nostro cuore.
Non sono consigli per gli acquisti. Sono parole che chiedono ospitalità.
E poi traduzione nella vita.
Come ognuno sarà capace di fare nel difficile, esaltante compito di educare.
E se il gusto è stato perso, piano piano verrà riacquistato.
Anche nella fatica di cambiare, noi adulti per primi, marcia e movimenti, parole e atteggiamenti. La partita non la giochiamo da soli. È al plu- rale. E gli adolescenti non sono i nostri avversari, ma i nostri atleti.
A loro chiediamo, con amore e pazienza, di giocare. Tutta quanta la partita.
È la loro. Ma in campo ci siamo anche noi.