Dio è felicità - Estratto

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Il Maestro di Nazaret allude tantissime volte alla felicità; allora perché non considerare i Vangeli come autentiche mappe per la caccia al tesoro della gioia piena? Quando le persone domandano a Gesù che cosa fare per essere felici, lui risponde coniugando il verbo amare. La felicità è la salute del cuore, armonia tra corpo e spirito, sono relazioni vissute. È la pienezza della gioia di cui abbiamo bisogno. È lasciarsi trasformare il cuore sulla misura di quello di Dio. È una scelta, è un cammino quotidiano per persone coraggiose. È amare e lasciarsi amare, mettendo in circolo energie in grado di cambiare il mondo. Qui e ora posso trovare in Dio la mia felicità. Siamo fatti per lui, ecco il segreto! Perché Dio è felicità.


Paolo De Martino

Dio è felicità


Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena

PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2023 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI) ISBN 978-88-315-5638-5


Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. È l’unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l’uomo. (Don Tonino Bello)



Introduzione

« Quando c’è la salute c’è tutto! ». Alzi la mano chi non l’ha detto almeno una volta. Eppure tutti sappiamo che una vita lunga e sana non ci basta: vogliamo una vita felice! Sappiamo che non basta essere sani per essere felici, per vivere con gusto ogni momento; occorre che ci sia qualcosa di grande, che renda la vita degna di essere vissuta. Il giovane ricco di cui parla il Vangelo, dopo aver chiesto la formuletta per ereditare la vita eterna, se ne andò via triste perché, amico lettore, è possibile essere ricchi e infelici.

Illusione Da sempre l’umanità è abitata da un sogno, lo stesso di Dio: essere felice! I desideri degli uomini e delle donne di oggi sono i desideri degli esseri umani di sempre. Sogniamo di poter costruire un’esistenza che abbia 7


il sapore della pienezza. Eppure ho l’impressione che il cristianesimo offra narrazioni pessimistiche e visioni apocalittiche sul futuro. Ma che cos’è la felicità? Ed è possibile essere felici? Jean-Jacques Rousseau sosteneva: « Tutti gli esseri umani vogliono essere felici; peraltro, per poter raggiungere una tale condizione bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità ». Oggi molti la identificano con il benessere psico-fisico, ma il dubbio è che si rincorra un’illusione, uno stato d’animo passeggero che si consuma in un periodo limitato di tempo, lasciando il gusto amaro del rimpianto e della malinconia. Nonostante questo, le persone non si sono arrese alla fatalità del dolore e hanno continuato ad andare alla ricerca della felicità: « Dio ha messo la felicità ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose » (Christopher McCandless).

Diritto Gli Stati Uniti hanno inserito il diritto alla felicità nella Dichiarazione d’indipendenza già nel 1776: 8


Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la vita, la libertà, e il perseguimento della felicità.

Esiste anche una giornata ad essa dedicata, istituita dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel giugno 2012, nella consapevolezza che « la ricerca della felicità è uno scopo fondamentale dell’umanità ». È stata, inoltre, riconosciuta la necessità di « un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone ». Il desiderio di felicità è diventato un diritto, ma oggi questo si è trasformato in un dovere e la strada per arrivarci è il successo. È proprio vero che chi ha successo è felice? E soprattutto… che idea abbiamo di felicità? Per tanti, oggi, è sinonimo di emozione. Abitiamo in una società fondata su pulsioni forti e sensazioni adrenaliniche, come se l’umanità esistesse solo grazie a ciò che “sente”. Riformulando la celebre frase di Cartesio potremmo dire: « Sento, dunque sono ». Questo spinge ad alzare sempre più l’asticella, alla ricerca di emozioni posi9


tive. Una domanda sorge spontanea: visto che la sofferenza busserà più volte alla nostra porta, sarà mai possibile essere felici? Ecco tornare la domanda dalla quale siamo partiti: che cosa cerchiamo quando aspiriamo alla felicità? E qual è la via da seguire?

Mappe Gesù di Nazaret allude tantissime volte alla felicità; allora perché non considerare i Vangeli come autentiche mappe per la caccia al tesoro della felicità? Essa sembra addirittura il motivo della sua venuta nel mondo: « Perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (Gv 15,11). Al giovane ricco, in cerca della vita eterna, Gesù chiede di percorrere la strada con lui (« vieni e seguimi »); Hans Urs von Balthasar commenta: « Solo chi è sicuro di poter rendere felici, può parlare così ».

Dolore Immagino la reazione di qualche lettore: come può il cristianesimo accreditarsi come una fede gioiosa, se il suo simbolo è una croce? Sia10


mo sinceri: l’idea di Dio quasi mai è associata alla felicità; è più facile legare la volontà di Dio alla sofferenza, al dolore. In verità è proprio la croce che dice fino a che punto Dio è amante della vita, fino a che punto Dio ama le creature. Per amore Gesù accetta di morire. La via della felicità è il “dovere dell’amore”, perché l’amore va sempre fino alla fine. È sulla croce che Cristo ne ha manifestato la misura. La cosa strana è che Gesù sia morto, non che sia risorto (era Dio!). Molto spesso pensiamo che la centralità della croce nell’esperienza cristiana consista in una sorta di attaccamento per la sofferenza. Chi vive in tale prospettiva ha completamente frainteso il messaggio evangelico. Il cristiano accoglie la croce, ma non la cerca. La devozione alla croce non è esaltazione della sofferenza, ma stupore per la gratuità di Dio che dona la vita. La dona attraverso ciò che dovrebbe uccidere. In fondo, è questa l’esperienza della felicità per noi: non un Dio che ci evita la croce, ma un Dio che ci dona felicità attraverso di essa. Non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. La felicità è sperimentare la luce nel buio. Etty Hillesum, giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz nel 1943, annotò nel suo diario: 11


Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore.

La croce ricorda l’immenso amore con cui siamo stati amati perché, come direbbe Agostino, « la misura dell’amore è amare senza misura ». Amico lettore, Dio ha dato la vita per te! Dio ti ama fino a morire! Tu sei la sua passione! Sì, tu vali la vita di Dio! Sorpreso? Che ci vuoi fare, lui è fatto così!

Amato I Vangeli raccontano di un Dio che ama follemente i suoi figli, li ha creati perché siano felici. Amico lettore, Dio ti ama gratis, non ti chiede nulla, non vuole nulla, non ha secondi fini se non la tua felicità. Dio ti ama non perché ha bisogno di te, ma ha bisogno di te perché ti ama. Per Dio siamo tutti figli unici! Non ci ama in maniera indistinta, come nessun genitore ama genericamente i figli. Dio ci ama singolarmente, 12


a uno a uno, proprio come ogni genitore ama ogni figlio in modo unico. Dio non ama l’umanità, Dio ama te come nessun altro, perché l’amore non generalizza mai. Dio ti ama indipendentemente dalle tue azioni, prima che tu agisca, prima di ogni tuo merito, che tu lo sappia o no. Dio ama senza attendere nulla dalle sue creature. Non si è felici con qualcosa, ma con qualcuno. La felicità cristiana è un cammino compiuto con qualcuno. Non è avere, ma amare e sentirsi amati. La sete di senso che portiamo nel cuore è una sete vera, totale. È il bisogno di amare e di sentirsi amati, perché è una relazione. Una pianta è fatta per il sole, anche se ha le radici sotto terra. Sei pronto per andare alla ricerca del segreto della felicità? Buon cammino…

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Felicità è… farsi prossimi (Lc 10,25-37)

Amico lettore, un dottore della Legge, una sorta di teologo del tempo, un giorno chiese a Gesù: « Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? ». È la domanda che alberga nel cuore di ciascuno, anche nel tuo. A che cosa serve correre, lavorare, fare attività, se poi non si sa dove si sta andando? Potremmo anche tradurre la domanda così: « Che cosa devo fare per essere felice? ».

Domande Questo esperto della Torah vuole mettere alla prova Gesù, vuole verificare la sua conoscenza scritturistica e la sua fedeltà o meno alla tradizione. Il dottore della Legge usa il verbo greco kleronomeo che letteralmente significa 15


« avere ciò che è giusto che mi tocchi ». Questo dottore identifica la fede con le regole, discute di Dio ma non ne è coinvolto. Un esperto della Legge pone una domanda sulla Legge. Per lui la felicità deriva dal mettere in pratica delle norme. Molte persone, nei secoli, hanno proiettato su Dio l’immagine del genitore severo, piegandosi a norme assurde pur di essere “in regola” con lui. Ancora oggi mi capita di incontrare gente terrorizzata dalla paura di sbagliare, di aver trasgredito, insomma di non essere adeguata. Lo scopo della vita non è rispettare delle leggi, ma vivere amando, altrimenti vivremo da schiavi e non da figli. Abbiamo creato generazioni di esseri umani frustrati, perché la domanda fondamentale era: « E se Dio non vuole? E se è sbagliato? E se commetto peccato? Ma è veniale o mortale? ». Gesù, in maniera furba, fa a quell’uomo un’altra domanda: « Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? ». Il dottore risponde: « Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso ». Che cosa devo fare per essere felice? La risposta di Gesù è semplice: ama! Ama te stesso, 16


le persone che hai intorno e Dio. L’unica cosa che ci rende felici è imparare ad amare. Il dottore della Legge è all’angolo e, per uscirne, chiede: « E chi è mio prossimo? ». Come faccio a decidere chi sono gli altri da amare? Era un argomento dibattuto tra gli esperti della Scrittura perché, per un ebreo, “prossimo” era un altro ebreo, al massimo un convertito. Era tenuto ad amare semplicemente altri ebrei. Ma Gesù lo porta su un altro livello: l’amore non fa differenze. Il prossimo non è etichettabile. Il dottore della Legge non può capire. La domanda è sbagliata, ecco perché Gesù gli racconta una parabola, uno dei racconti più brevi al mondo in cui è racchiuso il senso della storia umana. Amico lettore, sarai felice quando cambierai il tuo sguardo sulla realtà, quando cambierai la domanda.

Uomo Un uomo scende da Gerusalemme a Gerico. Nessun aggettivo. È l’essere umano, ogni persona. Ogni strada va da Gerusalemme a Gerico, metafora del viaggio della vita. Di lui non si sa nulla, se non il suo cammino, lungo ventisette 17


chilometri, con un dislivello di mille metri. Una strada conosciuta per la sua pericolosità. Trovarsi in un’imboscata era una possibilità concreta. Nella vicenda dell’uomo incappato nei briganti leggiamo la “parabola” della nostra storia, segnata da fallimenti e sconfitte. È la metafora dell’esistenza: nel nostro percorso, prima o poi, qualcuno ci bastonerà, ci spoglierà e ci lascerà mezzi morti. Ci capiterà di ritrovarci soli con noi stessi. L’unico modo per evitare questa esperienza sarebbe non rischiare, non vivere, rimanere nella nostra Gerusalemme e restare spettatori. Ma starsene in casa vuol dire morire. Quest’uomo, in tutta la storia, non dice una sola parola, non chiede aiuto, non ringrazia, non fa nulla. Se qualcuno non intervenisse, l’uomo della parabola morirebbe. Può accadere che in alcuni periodi siamo talmente provati dagli eventi da non avere né preghiere né desideri né forza per reagire.

Caso « Per caso » passano tre personaggi. Tutto ciò che è “per caso” non rientra nei nostri programmi, nell’agenda che abbiamo stabi18


lito. È giusto avere un programma, un orizzonte nel quale muoverci, ma le cose davvero importanti possono entrare per caso nella nostra giornata e sconvolgere i nostri progetti. A volte non riusciamo a leggere la realtà, perché cambia troppo rapidamente e chiede occhi nuovi, ma bisogna sempre partire dalla concretezza. Amico lettore, nella vita accadono eventi che non capisci, di fronte ai quali i tuoi progetti cambiano. Pianifichi, ma poi le situazioni si presentano in un modo imprevedibile. A questo punto puoi metterti in gioco oppure passare il tempo a rimuginare su ciò che sarebbe potuto accadere. C’è sempre un segno, bisogna solo saperlo leggere. Spesso sono persone nelle quali ti imbatti e che Dio mette sulla tua strada. Alcune hanno sapore d’infinito.

Personaggi I primi due sono un sacerdote e un levita. I sacerdoti svolgevano il loro ministero di culto nel tempio, a Gerusalemme, mentre i leviti erano i custodi del tempio e collaboravano con i primi. Nella parabola troviamo, quindi, due uomini che oggi diremmo “di Chiesa”, il fior fiore 19


della società giudaica; eppure passano oltre. Luca non spiega la ragione per cui proseguano il cammino senza fermarsi. A proposito dei motivi che li hanno spinti a quella scelta si sono versati fiumi d’inchiostro: il sangue li avrebbe resi impuri (però non stanno andando al tempio), il malcapitato non era annoverato nella categoria di “prossimo”, oppure stava per morire, e i sacerdoti non potevano toccare i morti. Tuttavia nessuna ragione regge umanamente dinanzi all’urgenza della situazione. I due rappresentanti della religione sono così identificati nel proprio ruolo che hanno perso contatto con se stessi, con il proprio sentire: il ruolo ha ucciso la loro anima. Nessuno dei due si ferma. Nessuno dei due si occupa in nessun modo dell’uomo mezzo morto. Non fanno alcun male, ma certo omettono di fare qualcosa. Forse avranno pensato che Dio sarebbe intervenuto a salvarlo, dimenticando che Dio interviene solo attraverso i suoi figli, attraverso di me, attraverso te che stai leggendo. Siamo noi la risposta di Dio al dolore del mondo. Il sacerdote e il levita s’illudono di poter amare Dio senza amare le creature. Amico lettore, la Legge e il culto possono essere un grande inganno. Non sentirti a posto perché credi: il pericolo di una religiosità vuota 20


è sempre in agguato. Incontri Dio sulla tua strada verso Gerico. A dire il vero c’è anche un terzo personaggio, spesso ignorato, che non fa una bella figura: l’albergatore. Anche il suo ruolo gli impedisce di provare amore, compassione. Il ruolo può uccidere il cuore. Questi personaggi sono simbolo di coloro che, evitando le persone, non troveranno mai Dio, perché l’essere umano è la via verso l’Assoluto: « Percorri l’uomo e raggiungerai Dio » (Agostino).

Compassione C’è solo una persona libera e non prigioniera del proprio ruolo: un samaritano. Come personaggio chiave entra in scena un eretico, un peccatore odiato da tutti. Di lui si afferma qualcosa che non si dice degli altri due: « Ne ebbe compassione ». La compassione è il meno zuccheroso dei sentimenti, è « soffrire insieme », vivere il dolore dell’altro, prendere su se stessi il destino di chi ci sta accanto. Il samaritano sa che nulla di ciò che è umano gli può essere estraneo. Il verbo splanchnizomai, « avere compassione », contiene il termine « viscere » (splanchnon), 21


l’utero materno. Luca traduce in greco la parola ebraica rachamim, impiegata nell’Antico Testamento per descrivere l’immensa tenerezza che Dio prova per gli esseri umani, l’amore che Dio ha per loro. È quell’emozione che ti tocca, che ti fa male, ti fa vibrare. Come poteva tirare dritto il samaritano? Il sacerdote e il levita sono giustificati dalla regola che lo permette. Hanno ragione; ma il cuore? La verità è che non hanno sentito vibrare nulla. La compassione è una conquista, una scelta, non è istinto. Al centro non c’è il mio sentire, ma il dolore dell’altro. La differenza tra i due religiosi e il samaritano è l’aderenza alla realtà, il saper vedere il presente così com’è. Il rischio della nostra vita è perdere di vista la realtà.

Decalogo Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: « Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno ». 22


Ecco allora il nuovo decalogo, i nuovi comandamenti per ogni persona, credente o atea: 11. lo vide; 12. ne ebbe compassione; 13. gli si fece vicino; 14. gli fasciò le ferite; 15. gli versò olio e vino; 16. lo caricò sulla sua cavalcatura; 17. lo portò in un albergo; 18. si prese cura di lui; 19. tirò fuori due denari; 10. al ritorno salderà.

Ci sono persone ritenute impure, disprezzate, che sanno “usare misericordia”. Non hanno bisogno di appellarsi alla legge di Dio o alla loro fede, ma semplicemente, in quanto umani, sanno vedere e riconoscere il bisogno dell’altro e si prendono cura di lui. Mi piace l’accuratezza con cui Luca descrive le attenzioni del samaritano. Piccoli gesti, di una bellezza profonda, che anticipano i bisogni del ferito. Lo straniero versa sulle sue ferite olio e vino, consolazione e gioia. Vedere, avere compassione, fermarsi, farsi vicino, fasciare, caricarsi; sono questi i verbi dell’amore. 23


La compassione è il contrario dell’indifferenza, è compromissione con la vita di chi “casualmente”, come dice il Vangelo, incrociamo sulla nostra strada. La compassione è in perdita. Infatti il samaritano perde tutto quello che dà: olio, vino, tempo e soldi. « Compatire », voce del verbo amare gratuitamente, senza affanno per i risultati. È amare inutilmente, da servi inutili. Attenzione: inutili siamo noi, non il servizio. « In-utile » in origine significa « senza un utile », « senza pretese ». In tal senso l’amore è inutile, senza un fine. Amico lettore, il tuo servizio ha bisogno di gratificazioni, successi e applausi? Se è così, sei ancora alla ricerca di una ricompensa. Sai perché dobbiamo servire senza attenderci nulla? Perché Dio è il grande servo, e servire ci rende somiglianti a lui. Essere servo inutile è liberante, non trovi? Riconoscere la gratuità del tuo agire ti libera dall’ansia, perché se tutto dipendesse da noi, ci distruggeremmo con i sensi di colpa e vivremmo da frustrati. Essere servi inutili vuol dire fare la propria parte fino in fondo sapendo di non essere Dio; vuol dire sapere che ci sono forze più grandi di noi e che non possiamo cambiare la testa degli altri; significa mettere tutta la passione che possiamo nelle cose che faccia24


mo, lasciando alle persone che incontriamo le proprie responsabilità. Fa’ in modo di “sentire” il dolore di chi ti passa accanto, perché la morte non ti trovi già morto spiritualmente.

Prossimo Gesù chiede al dottore della Legge e a noi: « Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo? ». Ecco la domanda che porta alla felicità. Non chiederti chi amare, ama! Per essere felice fatti prossimo, abbi cura di chi hai vicino senza stabilire perimetri di appartenenza. L’amore è l’unica ricchezza che si moltiplica donandola. La vera domanda da farsi è: come posso diventare prossimo? Il samaritano ha capito che le persone da amare non le scegliamo a tavolino, ma sono quelle realmente presenti davanti ai nostri occhi. Se qualcuno ci incrocia, non è per caso. La sua presenza ci costringe a non andare oltre, ad amarlo anche se avrebbe tutti i requisiti per farci passare oltre. Il prossimo non può essere rinchiuso in una definizione, perché è colui che ognuno di noi decide di rendere prossimo avvicinandosi a lui. 25


Ciò che rende felici non è appartenere a una religione piuttosto che a un’altra, ma farsi prossimi dell’essere umano, cioè fermarsi dinanzi allo sguardo di chi chiede aiuto. La tua felicità non dipenderà solo dal tuo credere o non credere in Dio, ma dal tuo “credere” in chi ti passa accanto. Nessuno può dirsi estraneo alle sorti degli altri. Non ci si sceglie il prossimo, ci si fa prossimi perché Dio ama nascondersi nella realtà. Quando, nei Vangeli, le persone domandano a Gesù che cosa fare per essere felici, lui risponde coniugando il verbo amare. Se ognuno si farà buon samaritano di coloro che incontrerà, tutti avranno un buon samaritano pronto a risollevarli. L’esperienza di essere amati gratuitamente riempie di senso l’esistenza; tutta la durata dei nostri giorni è racchiusa in un verbo: amare. Amico lettore, oggi, domani e sempre non stancarti di amare, perché è l’unico progetto che abbia un senso. Non è un obbligo, ma una necessità per vivere. Vuoi essere felice? Prenditi cura delle ferite di chi ti sta vicino, non passare oltre, non dirti che non è compito tuo. Nessuno può dire: « Io non c’entro ». Percorriamo tutti la stessa strada. Un sorriso, una parola e una piccola attenzione possono essere espressioni di prossimità, colme della presenza di Dio. 26


Tutti siamo bastonati. La vita, più o meno faticosa, prima o poi ci colpisce, provocando dolori a volte insopportabili. È consolante sapere però che Gesù di Nazaret, come buon samaritano, versa sulle nostre ferite olio e vino, consolazione e gioia, e ci porta nell’« albergo », la sua Chiesa. Felicità è amare coloro che ti hanno salvato. Fatti prossimo, fatti samaritano, sii tu il prossimo che vorresti incontrare. Impara l’amore dall’amore ricevuto.

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Indice

Introduzione Illusione Diritto Mappe Dolore Amato

pag. 7 » 7 » 8 » 10 » 10 » 12

Felicità è… farsi prossimi (Lc 10,25-37) Domande Uomo Caso Personaggi Compassione Decalogo Prossimo

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15 15 17 18 19 21 22 25

Felicità è… restare svegli (Lc 12,35-48) Svegli Attesa Vegliare Attenzione Speranza

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29 30 33 35 38 40


Felicità è… dare un bicchiere d’acqua (Mt 25,31-46) Separazione Benedetti Quando? Segreto Maledetti Maturazione

pag. 43 » 43 » 44 » 47 » 49 » 52 » 54

Felicità è… non preoccuparsi (Mt 6,24-34) Calma Guardare Confidare Cura Cercare Domani

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57 58 62 64 65 66 67

Felicità è… dire grazie (Lc 17,11-19) Lebbrosi Sofferenza Cammino Fiducia Vedersi Grazie Meraviglia

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71 71 73 74 76 78 79 81

Felicità è… scoprire la bellezza del vivere (Mc 9,2-10) In disparte Capanne Luce

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Trasfigurazione Bellezza

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Felicità è… lasciarsi amare (Gv 13,1-15) Stupore Giuda Piedi Grembiule Pietro Accogliere

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99 99 103 104 105 107 110

Felicità è… avere pazienza (Mt 13,24-30) Seme Zizzania Campo Giudizio Pazienza

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113 113 114 118 120 122

Felicità è… amarci come lui ci ama (Gv 15,9-17) Umano Libero Incondizionato Comandamenti Amati Gioia Come Amici

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127 127 129 130 131 133 134 136 138

Felicità è… avere un padre (Lc 15,11-32) Storia Figli

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141 141 143


Minore Maggiore Padre Festa Finale Felicità è… l’incontro di due desideri (Lc 19,1-10) Gerico Zaccheo Scendere Casa Desideri

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155 155 156 159 161 164

Felicità è… sognare in grande (Lc 10,1-12.17-20) » Settantadue » Messe » Agnelli » Leggeri » Pace » Guarite » Nomi »

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Felicità è… vivere di Dio (Mt 5,3-10) Beati Folle Povero Progetto Felicità

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181 181 185 186 188 189

Conclusione

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Paolo De Martino, insegnante di religione, è sposato e ha due figli. Ha conseguito il baccalaureato in Filosofia presso l’Università Pontificia Salesiana e in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. È socio aggregato dell’ABI (Associazione Biblica Italiana). Ordinato diacono permanente nel 2015, è responsabile del Settore Apostolato Biblico della diocesi di Torino. Attraverso incontri, conferenze e social network promuove la conoscenza della Bibbia e l’ascolto della parola di Dio.

In copertina: © elisa.beta / Shutterstock € ,0

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226I 12

« Una volta un alunno mi ha chiesto: “Prof, Gesù sognava?”. Durante i miei studi teologici nessun docente si è mai soffermato sul tema. Mi è venuto spontaneo rispondere: “Certamente! Il suo più grande sogno, lo stesso del Padre, è che gli esseri umani siano felici” ».

ISBN 978-88-315-5638-5


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