Generare luoghi di vita - Estratto

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Che cosa significa generare e rigene rare luoghi di vita? Significa abitare in modo nuovo l’ambiente, il territorio, la casa, liberando il desiderio di una reci procità troppo spesso repressa tra le mura dei nostri L’abitareappartamenti-tana.diventagenerativo quando accresce i legami fiduciari tra le perso ne, facendo riscoprire la bellezza della prossimità con l’altro; quando è in grado di favorire la famiglia, le decisioni lavo rative, la soluzione delle difficoltà nella gestione quotidiana del proprio tempo; quando permette di prendersi cura di se stessi, degli altri, del mondo che ci cir conda.Sitratta di una equilibrata commistione di spazi personali e di spazi comu ni, in cui ognuno mette a disposizione la propria unicità e si lascia trasformare da quella degli altri, accettando anche il ri schio di conflitti e incomprensioni. «Solo così potremo trovare la forza per vincere le nostre insicurezze, solo così potremo riconoscerci liberi».

#VOLERSI BENE 3

Johnny Dotti - Chiara Nogarotto Nuove forme dell’abitare LUOGHIGENERAREDIVITA Postfazione di Maria Claudia Peretti

PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2022 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Ai fratelli e alle sorelle di Cascina Caselle, dono prezioso per la mia vita. Johnny Dotti Alla mia mamma, per il suo infinito coraggio. Chiara Nogarotto

«In numerose lingue, vivere è sinoni mo di abitare. Chiedere “dove vivi?” si gnifica chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo.

Dimmi come abiti e ti dirò chi sei».IvanIllich «Casa è da dove unoThomasinizia».Stearns Eliot «Che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellez za è invisibile».

Antoine de Saint-Exupéry

9 Introduzione

Questo libro nasce dalle persone. Questo libro nasce dall’aver incrociato lo sguardo di desiderio di tante donne e tanti uomini. Il desiderio di un futuro diverso, fatto di un costante quanto impegnativo esserci l’uno per l’altro. Ci siamo ogni volta stupiti della forza e della tenacia di quello sguardo. Lo sguardo è quello di chi ha capito che l’uomo abita il mondo, non sta in un appartamento. Le abbiamo chia mate così, le nostre case: alloggi e appartamenti. Ne ab biamo fatto in questi ultimi cento anni persino un mer cato speculativo, enorme. È in questo modo che ci siamo separati, è in questo modo che ci siamo ritrovati soli. Abbiamo fatto come quell’anziano signore che a una festa, per tanti motivi, si ubriaca. Quando la festa volge al termine, si incammina sbandando verso casa. Una

una grande opportunità, perché con la pandemia questo lampione si è spento e il buio ci ha mo

un tratto, il signore viene notato da due giovani poliziotti di pattuglia, che si avvicinano domandandogli che cosa sia accaduto. «Ho perso la chiave di casa», as serisce l’anziano. Così, uno dei due gli chiede perché vada cercando la chiave proprio sotto il lampione, e la risposta convinta del signore è: «Perché qui c’è luce».

Dopo parecchio tempo, addirittura, il lampione si spe gne, ma lui prosegue imperterrito a cercare la chiave lì sotto.A

volta10 giunto sulla soglia d’ingresso, si accorge di non trovare più nelle sue tasche la chiave per aprire la porta. Il signore, anziano e un po’ ubriaco, torna quindi indie tro e si mette a cercare la chiave sotto un lampione, vici no a casa. Rimane lì per diverse ore, intento nella ricerca.

Come l’anziano, anche noi ci siamo ubriacati. Lo abbiamo fatto per almeno cent’anni: fuggendo da costrizioni sociali ataviche, abbiamo trasgredito e goduto del la vita. E, come lui, anche noi immaginiamo di trovare la chiave sotto la luce del lampione, che negli anni abbia mo chiamato specializzazione, funzionalismo, efficien tamento.Oggiabbiamo

strato ciò che il riverbero della luce artificiale non ci permetteva di scorgere: il viso dei due giovani. Ora, dobbiamo farci accompagnare, fidandoci delle loro parole: «Forse, la chiave l’hai persa da un’altra parte». Ammet tiamo di essere ubriachi, di non potercela fare da soli. Usciamo dalla pretesa di avere la risposta, condividendo la domanda. Con chi vogliamo vivere? Con chi vogliamo ridere? Con chi vogliamo piangere? Con chi vogliamo morire?Unnuovo

modo di abitare la vita, i luoghi, la casa: ecco che cosa è urgente e importante. Un modo che, ripensandoci, tanto «nuovo» non è. Si tratta di riscoprire una condizione esistenziale costitutiva di ciascuno di noi, ovvero il nostro essere persona, il nostro essere sociali, il nostro essere relazione. Nasciamo da qualcuno, l’ombelico lo testimonia in modo indele bile sulla nostra stessa pelle; siamo catapultati in un mondo stracolmo di gente; viviamo la nostra quotidia nità in un continuo contatto con l’altro. È inevitabile, proprio perché costitutivo. Nel tempo invece ci siamo allontanati, rinchiudendo ci – segregandoci – nei nostri appartamenti, alla ricerca di un’autonomia assoluta. Non abbiamo riconosciuto

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che12 ciò che chiamavamo «indipendenza» era in realtà lo spettro di qualcosa di ben più oscuro: l’individualismo. Per quaranta, cinquant’anni, abbiamo immaginato che chiudere la porta del nostro appartamento, lascian do al di là l’altro, il diverso, potesse in qualche modo proteggerci da ciò che ci spaventava. Abbiamo pensato che quella fosse la soluzione ai nostri problemi. E invece, guarda un po’, da questa parte della porta, dentro il nostro apparentemente perfetto appartamento, ci siamo resi conto di essere completamente soli. Ci sia mo accorti che nei nostri accoglienti alloggi per decine di anni non abbiamo accolto proprio nessuno. Anzi, ci siamo ben guardati dal farlo, perché il film nella nostra testa ci raccontava che l’estraneo di fuori era una minaccia da cui bisognava difendersi. È il momento. Usciamo, dunque, dalla luce del lam pione, fiduciosi di ritrovare la chiave della nostra casa. Incamminiamoci

nel buio, osiamo, rischiamo. Mentre stiamo ultimando la stesura di questo libro, è scoppiata la guerra in Ucraina: un’ulteriore prova della difficoltà umana ad attraversare i conflitti, inevitabili in ogni relazione, senza ricorrere alla violenza. Questo più

recente spaccato della nostra storia sta spostando nuovamente gli equilibri e sarà importante aggiornare dati e analisi alla luce di una valutazione, oggi prematura, delle dinamiche in corso. Tuttavia, non viene a modifi carsi l’esito di quanto trattato, anzi si rende ancora più necessaria e urgente una riflessione di senso e significa to sulla centralità delle forme di relazione.

Il nostro grazie va a Flavio Capovilla, Alberto Dadda, Antonio D’Ovidio, Matteo Sana, Ivan Vitali, compagni di viaggio con cui abbiamo realizzato in questi ultimi anni tante azioni concrete; a Fabrizio D’Angelo, Andrea Rapaccini e a tutte le persone impegnate nell’ecosistema della Generatività Sociale per l’ispirazione e il sostegno nella ricerca di vie e soluzioni; alla Cooperativa Sociale Namasté, laboratorio di riflessione e opportunità per sperimentare; agli abitanti di Generavivo Bergamo via Guerrazzi e alle famiglie del progetto di Villongo per il coraggio nei percorsi intrapresi.

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Come preda di un perenne stato di minaccia che impone di funzionare, l’essere umano si trova in una situa zione di angoscia esistenziale. Viviamo il presente in una corsa continua, come se rallentare fosse solo una perdi ta di tempo – e, dunque, di capitale – e una sconfitta che non siamo pronti ad accettare. Percepiamo l’operatività come il metro di giudizio della nostra esistenza e delle nostre capacità: vogliamo sempre essere al massimo del la forma (mentale, fisica, emotiva) per ottenere il meglio dalle nostre prestazioni. Non sono ammessi errori; non sono consentiti ritardi; non c’è spazio per la debolezza. Ci imponiamo di cogliere tutto, di non perdere nessuna occasione. Spesso, strumentalizziamo l’altro per i nostri scopi di autorealizzazione.

Correndo a perdifiato

15 Realtà1

Chi non riesce a stare al passo, perché magari ha difficoltà oggettive oppure semplicemente attraversa un mo

Identifichiamo noi stessi come macchine che devono funzionare. Ne deriva la volontà di rimanere sempre ai vertici, sempre attivi, anche oltre le proprie possibilità. Ne sono una prova la quota di ansiolitici e antidepressi vi consumati in Italia (circa 49 milioni di confezioni di psicofarmaci l’anno, con particolare incidenza nelle donne e al crescere dell’età) 1, la spesa pro capite per il gioco d’azzardo (nel 2019, gli italiani hanno giocato 110 miliardi e 542 milioni di euro, ovvero 1830 euro a testa, compresi i neonati) 2 e le molteplici forme di dipendenza 1 Cfr. Eurispes, Rapporto Italia 2021, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2021; Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali, L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2020, Agenzia Italiana del Farmaco, 2021 (www.aifa.gov.it. Per il link diretto di questo e dei successivi documenti repe ribili online si veda la bibliografia).

2 Dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Libro blu 2019, 2020 (www.adm.gov.it.).

mento16 di affaticamento, viene considerato un perdente. Nel panorama produttivo contemporaneo, chi va più lentamente degli altri diventa automaticamente uno scarto che deve essere messo in disparte: ci si deve adeguare agli standard, pena l’esclusione e l’invisibilità. La debolezza è vissuta come una mancanza, e questa percezione è avver tita in particolare dai più fragili, che si ritrovano a vivere la propria condizione con apprensione e senso di colpa.

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Non dobbiamo funzionare senza limiti. Possiamo, invece, esprimere il nostro desiderio e il nostro potenziale: l’essere umano ha per sua natura una spinta ad andare oltre sé, sulla scorta della consapevolezza di essere parte di un mondo ricco e complesso nel quale po ter contribuire e offrire le proprie capacità. Esattamente dentro le vite più tradite e sfasciate c’è la novità in grado di trasformare e migliorare se stessi e il mondo. Non co struire muri, ma aprire nuove strade; non guardare al passato con nostalgia, ma concedersi al tempo in dive nire; sentire di nuovo il gusto dell’essere in relazione con l’altro, oltre l’individualismo.

Diamo invece una direzione alla nostra corsa conti nua. È fondamentale fermarci, guardarci intorno, orien tarci; sapere che ci saranno deviazioni che non avevamo previsto; essere consapevoli che avremo bisogno di chie dere indicazioni, di affidarci a persone sconosciute, ma anche che in alcuni momenti non riconosceremo più la strada e saremo costretti a tornare indietro.

che fanno capolino tra i problemi della società moderna: un percorso di adattamento a una realtà in cui la nostra volontà di potenza non vuole che la propria fragilità sia mostrata agli altri, mai; in cui persino la morte diviene un difetto tecnico.

18 Gonfi come rane

A pensarsi invincibile e potente, l’individuo è giunto a immaginare che l’unico orizzonte di vita possibile fos se quello di alimentare incessantemente la propria vo lontà di Un’energiapotenza.in crescita continua, che dal punto di vista sociale e politico ha dato forma al capitalismo tecno-ni chilista. Come la rana della favola di Esopo che, credendo di essere la più forte di tutti gli animali, per superare in grandezza il bue ha voluto gonfiarsi fino a scoppiare.

Proprio per far fronte alle innumerevoli domande dettate da una realtà in costante espansione si è imposto un modello, apparentemente semplificatore, basato sulla standardizzazione, la razionalizzazione e l’iperspecia lizzazione dei processi. In questo modo, le persone sono diventate cieche, da un lato di fronte a ciò che è multidimensionale, trasver sale (l’esistenza, dunque), dall’altro di fronte all’essenziale. Una struttura iperspecializzata tende a separare la complessità in frammenti e a rendere unidimensionale la vita. Pertanto, per sua natura, non è in grado di com prendere il tessuto sociale, fondato sull’interconnessione tra la parte e il tutto.

Una lezione che ci insegna, dunque, a fare attenzione: questa energia profonda non costituisce necessariamen te un male, perché è la miccia in grado di innescare la spinta a proiettarsi al di fuori di sé. Verso cosa? Qui, for se, cadiamo in errore. Dovremmo piuttosto domandar ci: verso chi? E trasformare così un’inquietudine famelica in desiderio creativo, incanalando positivamente l’energia verso l’altro. Nel mirino

Nel nostro secolo, questo sistema si è dimostrato più volte intrinsecamente debole: al crescere della trasversa lità delle questioni, il meccanismo si è puntualmente spezzato. Così siamo stati travolti da quattro shock nell’arco di un ventennio (l’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, la crisi finanziaria nel 2008, la pandemia da Coronavirus nel 2020, la guerra in Ucraina nel 2022) e ci siamo ritrovati inermi.

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Lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle con la pande mia: essere connessi alla rete è divenuto, per certi versi, vitale. Forze di causa maggiore ci hanno costretti a rinchiuderci nei nostri appartamenti e, in modo quasi pa radossale, hanno relegato ogni possibilità di contatto

umano20 agli strumenti digitali. Il lavoro è divenuto smart, la scuola si è trasformata in didattica a distanza, la relazione è passata alle videochiamate. Ne sono rimasti esclusi in molti, per ragioni generazionali, territoriali, sociali.Inun mondo digitale, ne ha tratto vantaggio la sem plicità di comunicazione: per brindare con un amico è bastato accendere la videocamera. Ne è rimasta ferita la comunità, che non può prescindere dal corpo, dall’in contro, dalla prossimità, dalla condivisione di un luogo.

Se la rete moltiplica esponenzialmente i contatti, questi durano però il tempo di un soffio. Per coltivare e custo dire legami profondi e duraturi, per sviluppare un reale senso di appartenenza, per riconoscersi nel volto dell’altro, serve qualcosa di più.

Ecco dove intercorre la distanza tra community e comunità, tra piazza virtuale e reale: l’esistenza non è ri ducibile a modelli, l’altro non è un target. Per questo, la tecnologia deve essere ricondotta a mero strumento: non deve in alcun modo saturare l’esistenza, ma essere a ser vizio delle esigenze. Ci siamo espansi a dismisura e, per farlo, abbiamo immaginato di dover rescindere ogni tipo di legame.

Emerge, dunque, la necessità di un cambio di para digma per le risposte ai bisogni concreti: non più solo soluzioni individuali, attuate mediante l’erogazione di servizi di ispirazione conformistica, ma realtà di condi visione e di convivialità che seguano i principi della gran de tradizione mutualistica e solidale italiana.

Abbiamo vissuto sopra le righe, credendo di essere potenza infinita. Fino al momento in cui ci siamo accorti dello sbaglio, ritrovandoci sempre più materialmen te ricchi, sempre più obesi, sempre più isolati. Ci siamo resi conto di essere mortali.

Significa cambiare immaginario: riscoprirsi non in dividui ma persone, nodo di relazioni; fare esperienza del nostro essere al contempo singolari e plurali, del nostro essere comunità, non community. Se dal nostro sentirci individui sono nati gli alloggi e gli appartamenti, riconoscere la nostra illusione e cambiare direzione. Immunizzati

Irrompendo in modo inatteso nelle nostre vite e in molte occasioni, purtroppo, nelle nostre case, l’arrivo del virus ci ha costretti a fare i conti con la paura, ma modi ficandola radicalmente nel senso e nel significato.

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Le preoccupazioni degli italiani pre-pandemia ce le racconta l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, che nello scenario del 2019 indicava il prevalere della cosiddet ta «insicurezza globale» – legata a timori ambientali come inquinamento, distruzione dell’ambiente e della natura, ma anche relativi ai cibi di cui ci nutriamo, alla globalizzazione, alla paura di atti terroristici, dello scop pio di nuove guerre e di catastrofi naturali – e che vede va come «frequentemente preoccupati» per almeno uno di questi aspetti il 75% dei rispondenti. A seguire, l’in sicurezza economica (62%), in particolare per quanto concerne il non avere o perdere la pensione (37%), il non avere abbastanza soldi per vivere (36%) e il perdere il lavoro (34%). Al terzo posto, in continua seppur lenta discesa dal 2012, era il timore legato alla criminalità (38%), sia sottoforma di criminalità organizzata (34%) sia di micro-criminalità. Altre preoccupazioni di carat tere generale di particolare rilevanza riguardavano l’in stabilità della politica (54%) e il futuro dei figli (51%) 3. La percezione di insicurezza è stata per molti anni un dato in costante aumento, ma il rapporto 2019 eviden 3 Cfr. Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, La banalità della paura. La voro, percezioni e insicurezze in Europa, Demos & Pi - Fondazione Unipolis, 2019 (www.demos.it).

ziava una fase di assestamento: un processo di stabilizzazione, letto come una sorta di metabolizzazione – una banalizzazione – della paura. Un timore che, presente da molto tempo e in modo persistente, aveva in qualche misura prodotto assuefazione. Tuttavia, un adattamento non interpretabile positivamente: non l’inizio di una fa se di segno opposto, in cui la società assume caratteristi che tali da permettere un maggior senso di tranquillità; piuttosto, un’abitudine pericolosa a una condizione ri tenuta irreversibile. Un sentimento di timore che era impossibile consi derare eccezionale perché proposto e riproposto in ma niera continua all’interno dello scenario socio-politico, caratterizzato soprattutto da urla e agitazione volte ad alimentare il consenso attraverso l’offerta di un principio di ribellione a un nemico comune e, dunque, di un senso di appartenenza. Ruolo chiave quello dei media, ininterrottamente impegnati nella trasmissione di no tizie ansiogene, mediante l’utilizzo di un linguaggio emergenziale e allarmistico, per catturare l’attenzione degli spettatori e generare audience: un movimento in grado di orientare considerevolmente l’opinione pub blica, agendo sui sentimenti individuali e, conseguen temente, sulla percezione dei fenomeni da parte delle

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Le varie insicurezze hanno raggiunto i minimi delle 4 Cfr. Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, Una nuova resilienza, Demos & Pi - Fondazione Unipolis, 2020.

Poi,paura».improvvisamente, tutto è mutato. L’insicurezza –la paura – è tornata a fare capolino in modo repentino e inedito, con l’arrivo del virus. Così, tra febbraio e apri le del 2020, l’insicurezza globale ha toccato punte dell’80% tra gli intervistati, mentre quella economica è cresciuta di 11 punti percentuali; dal mese di aprile, una nuova attenuazione: le preoccupazioni si sono spostate sul futuro, dei figli, della famiglia 4. Lentamente, abbiamo iniziato a incontrare il virus ovunque, a vederlo riproposto in ogni ambito. È così che il Covid ha cominciato a oscurare tutte le paure che avevano da sempre caratterizzato lo scenario nazionale. Senza il potere di farle scomparire, le ha in qualche modo nascoste dietro un velo, confinate in un angolo, per accaparrarsi il ruolo principale. Tutto il resto è dive nuto «secondario», quasi «minoritario», in una condi zione di provvisorietà continua e di grande incertezza.

persone.24 Si tratta della cosiddetta «spettacolarizzazione della

25 rispettive serie storiche: l’insicurezza globale è calata al 70%, quella economica al 53%, quella legata alla criminalità al 30% 5. In un tempo che è stato chiamato «sospeso», le ripre se sono state finora solamente a singhiozzo. Come guar dare l’orizzonte, quando mancano i punti di riferimento per osservarlo? Potremmo forse ammettere di esserci persi e fare affidamento sugli altri.

5 Cfr. Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, Il virus dell’insicurezza, lo scudo della scienza, Demos & Pi - Fondazione Unipolis, 2021.

Indice Introduzione pag. 9 1. Realtà » 15 Correndo a perdifiato » 15 Gonfi come rane » 18 Nel mirino » 19 Immunizzati » 21 2. Prospettiva » 27 Sterilizzati » 27 Improduttivi » 29 Sofferenti cronici » 31 Isolati » 36 Il futuro che ci viene incontro » 39 3. Nuove forme dell’abitare » 41 Questioni di edilizia » 41 Uomini in tana » 45 Un nuovo immaginario. Condividendo il pane » 47 Armonia » 49 Dopo lunghe riflessioni » 54 Oggi è (ancora) possibile? Nidi e nodi » 59

4. Abitare oggi pag. 67 Abitare la Terra » 67 Abitare il territorio » 69 Abitare il quartiere » 72 5. Abitare generativo » 77 Generare » 77 Possibilità » 82 Lettera: Da spazio a luogo (C. Taverna) » 95 Postfazione: Dall’io al noi (M.C. Peretti) » 103 Bibliografia » 109 Piccola guida bibliografica » 115 Piccola guida sitografica » 120

Il pianeta soffre e ce lo fa capire in molti modi: cambiamenti climatici, impoverimento di popoli e territori, inquinamento.

Servono nuove pratiche, nuovi atteggiamenti, nuove abitudini. Questo libro è un invito a passare in rassegna le azioni della nostra giornata-tipo, dalla mattina alla sera, per renderci conto di quante occasioni di cambiamento essa possa offrire. E si tratta di cambiamenti a km 0, dal momento che non è necessario fare cose straordinarie, ma semplicemente impegnarci nell’ordinario, cioè nel quotidiano.

La nostra vita si svolge sempre più nella dimensione online. «Virtuale è reale» è un modo per ricordare che piattaforme social e chat non sono una simulazione della realtà, ma la realtà stessa dei rapporti interpersonali, e che le parole che usiamo hanno sempre conseguenze.Perquesto, scegliere uno stile comunicativo non aggressivo e rispettoso dell’altro, basato sui dieci principi del Manifesto della comunicazione non ostile, assicura la continuità di buone relazioni e si traduce in qualità del vivere quotidiano.

Chiara Nogarotto, sociologa, si è laureata in Scienze sociali e organizzative e in Politiche pubbliche presso l’Università Cattolica di Milano. Ha perfezionato gli studi alla East Carolina University (NC), sviluppando com petenze nell’ambito dell’innovazione sociale e del governo del territorio, con particolare interesse in materia di quartieri sicurizzati e rigenerazione urbana. In È.one abitarègenerativo si occupa di comunicazione, co-proget tazione e attivazione di comunità di abitanti e reti locali.

Italia Impresa Sociale, oltre che amministra tore delegato di On! Impresa Sociale. Attual mente è presidente di È.one abitarègenerativo e della Fondazione Communia, nonché socio volontario della Cooperativa Sociale Nama sté. Docente a contratto all’Università Catto lica di Milano, è autore di numerosi libri, fra i quali: Giuseppe siamo noi (con M. Aldegani, 2017, nuova ed. 2021); Con:dividere (2018); Educare è roba seria (2018); L’Italia di tutti (con A. Rapaccini, 2019).

©

Johnny Dotti è pedagogista e imprenditore sociale. Da molti anni vive in una comunità di famiglie a Carobbio degli Angeli (BG). È stato presidente del Consorzio CGM e di Welfare

Immagine di copertina: FLORABELA / Shutterstock

#volersibene

AbiTAre GenerATivo per fare di ogni luogo il posto migliore dove abitare € 11,00 15V 3 ISBN 978-88-315-5507-4

L a logica abitativa degli ultimi decenni, ba sata sul mercato degli appartamenti, ha favorito la solitudine e l’isolamento, alimentan do l’individualismo. Ora ci si è resi conto che le persone abitano il mondo, non stanno in un appartamento.Ètempodisondare nuove forme dell’abitare: luoghi di vita che mettano al centro le rela zioni e sappiano conciliare la dimensione della casa con quella del lavoro, della cura, dell’educazione, della cultura.

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