Stefano Cavallotto, già docente di Storia del Cristianesimo nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata e di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense, insegna come docente invitato nella specializzazione di Teologia Interconfessionale della Facoltà Teologica della medesima università, occupandosi di Umanesimo-RiformaControriforma, Epoca dei Lumi e Secolo XX (con particolare attenzione al Concilio Vaticano II). anežka žáková ha studiato Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, la Libera Università degli Studi Maria SS. Assunta di Roma e l’Università degli Studi di Trento. Al centro della sua ricerca la storia della filosofia medievale e Jan Hus, ma anche il dissenso politico e culturale del XX secolo nei Paesi comunisti e la saggistica riguardante la storia ceca e slovacca.
In copertina: Holbein, Jan Hus (1859), Incisione. © Everett Collection / Shutterstock.
LETTURE CRISTIANE DEL SECONDO MILLENNIO 65
Jan Hus
« FIGLIOLA, ASCOLTA » Dalla Riforma suggestioni per donne e uomini di ieri e di oggi Introduzione e note di Stefano Cavallotto e Anežka Žáková Traduzione di Anežka Žáková
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Sigle
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The Bohemian Reformation and Religious Practice (Praga) Migne, Patrologia Latina M. Luther, Werke (Kritische Gesamtausgabe), Weimar 1883ss. M. Luther, Werke (Briefwechsel), Weimar 19301985.
Introduzione generale Jan Hus testimone della verità e riformatore della Chiesa a cura di Stefano Cavallotto
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CENNI BIOGRAFICI E CONTESTO ECCLESIALE TRA XIV E XV SECOLO
Carriera universitaria ed ecclesiastica Nato tra il 1370 e il 1372 probabilmente a Husinec (da cui il nome Hus, che in ceco significa “oca”) non lontano da Prachatice nella Boemia meridionale, Jan, pur provenendo da un’umile e povera famiglia di contadini, frequenta da ragazzino la scuola della sua città. Alla fede cristiana si forma dietro la spinta educatrice della madre e partecipando come cantore al coro della chiesa parrocchiale. Da giovane intraprende la carriera universitaria a Praga, dove frequenta la Facoltà delle Arti nell’Università Carolina1, conseguendo il dottorato nel 1396 e successivamente la docenza. Studi universitari che, privo di mezzi economici, sostiene industriandosi, per qualche ricompensa finanziaria, a copiare per il suo maestro Křišt’án opere manoscritte e alloggiando probabilmente in qualità di famulus2 di qualche suo docente in uno dei collegi universi-
1 È il più importante istituto universitario a Praga al tempo di Hus, fondato nel 1348 da Carlo IV di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1355 alla morte (1378). Dominato inizialmente dalla componente accademica e culturale tedesca, ben presto passa alla direzione del circolo riformatore nazionalista dei docenti boemi, a cui si ispira Jan Hus quale decano della Facoltà delle Arti. 2 Nel senso di segretario amanuense di un docente universitario, il quale per tale servizio assicurava allo studente una ricompensa finanziaria. Cfr. A. Žáková, Jan Hus fra tradizione e rivoluzione, Aracne, Roma 2017, 25.
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tari cittadini. Ben presto si rivela studente diligente e ambizioso, ma anche compagno socievole e attratto dalla vita alquanto spregiudicata degli studenti praghesi, amante del ben vestire, malgrado la ristrettezza economica, e soprattutto incline al vizio del gioco degli scacchi, a cui dedica tempo e interesse; frivole passioni di cui più tardi, da predicatore e riformatore severo e intransigente, si vergognerà esplicitamente e stigmatizzerà come errori di gioventù. Senza con ciò dimenticare, però, in questi anni un altro eccesso di senso opposto della sua personalità: nel 1393, ottenuto il baccalaureato e ancora ben lontano dallo spirito critico degli anni successivi che lo porterà alla condanna della pratica delle indulgenze, intraprende un pellegrinaggio al castello di Vyšehrad e qui, per pagarsi un’indulgenza, dà quel poco denaro che possiede3. Quale studente universitario si trova in mezzo a una realtà accademica, per altro comune a tutta l’Europa della seconda metà del ’300, fortemente conflittuale per controversie ideologiche interne e tensioni nazionalistiche. Nel caso del suo ateneo, mentre i professori tedeschi, sempre in posti di comando, sostengono prevalentemente il nominalismo e combattono duramente il pensiero di John Wyclif (1328-1384)4, i cui scritti sono da poco giunti in Boemia, viceversa i colleghi cechi, seppur tenuti sistematicamente in minoranza, propugnano le tesi dell’ecclesiastico inglese e, sulla questione degli universali, difendono Cfr. Žáková, Jan Hus, 26. Ecclesiastico e riformatore inglese, John Wyclif, negli anni della grande crisi della cristianità occidentale, causata dell’esilio avignonese del papato (1309-1377) e dall’inizio (1378) del grande Scisma d’Occidente, predica la povertà evangelica, rigetta la concezione gerarchica della Chiesa, elimina alcuni sacramenti e nega anche la presenza reale di Cristo nell’eucaristia. Fondatore del movimento dei Lollards, per la prima volta traduce in inglese il testo della Bibbia, aprendo a una visione nazionalistica della realtà cristiana; visione, che, tramite i suoi scritti, trova grande accoglienza nella società e nella Chiesa boema. Il concilio di Costanza nel 1415 lo condanna come eretico. Per un approfondimento dell’influsso di Wyclif su Hus vedi pp. 27-29. 3 4
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la corrente filosofica del realismo. Verso questi ultimi si schiera ben presto il giovane Hus e intorno al 1390 entra a far parte dell’accademico « circolo riformatore boemo »5. Ottenuto il titolo di magister regens nel 1398, e velocemente cresciuto di popolarità nel mondo accademico, è eletto decano della Facoltà delle Arti nel 1401. Sedotto, confesserà più tardi, dalla carriera ecclesiastica, lo stesso anno si fa ordinare sacerdote e dà inizio al curriculum teologico e all’attività di predicatore. Suoi autori preferiti sono Agostino, Ambrogio, Anselmo, Gregorio e Giovanni Crisostomo, oltre alle Sentenze di Pietro Lombardo, al Decretum Gratiani e soprattutto agli scritti di John Wyclif. È proprio lo studio della teologia dopo l’ordinazione che lo porta a familiarizzare con la Sacra Scrittura, provocandogli un cambiamento profondo, una sorta di guarigione dalla visione mondana dell’ufficio sacerdotale e accademico. Nel 1402 è incaricato a succedere al teologo riformatore Štěpán da Kolín (1360-1406)6 come predicatore nella Cappella di Betlemme7, sede di grande 5 Gruppo di accademici cechi, tra cui Stanislav da Znojmo e Štěpán da Páleč e, più tardi, lo stesso Hus, docenti all’Università Carolina, i quali, affascinati dalla proposta riformatrice di Wyclif, ne leggono e spiegano gli scritti e ne diffondono il pensiero teologico con una notevole accentuazione nazionalistica. 6 Nato a Kolín, nella Boemia orientale, e conseguita la laurea in Arti liberali presso l’Università Carolina, Štěpán passa allo studio della teologia. Nel 1392 è eletto decano della stessa Università e successivamente Rettore. Dal 1396 svolge nella Cappella di Betlemme a Praga il ministero della predicazione (incarico che nel 1402 lascia a Jan Hus), acquistando così, anche per numerosi scritti teologici pubblicati, notorietà nel movimento riformatore boemo. Sostenitore delle posizioni di Wyclif, pur non condividendole tutte, ispira nella direzione del riformatore inglese il pensiero e l’azione di Jan Hus. 7 È una Cappella fondata nel 1391 a Praga esplicitamente per la predicazione in lingua ceca. Acquista così una valenza particolare per la vita spirituale e intellettuale dei cittadini praghesi, svolgendo anche un ruolo di collegamento tra l’iniziale movimento di riforma boemo e gli accademici riformatori dell’Università Carolina. Dal 1402 al 1413 vi predica con assiduità e grande seguito Jan Hus. Dopo la morte del martire boemo diventa
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prestigio spirituale per la città di Praga. Destinata alla cura pastorale della popolazione ceca, per cui vi si predica nella lingua parlata dalla gente8, tale sede è soprattutto legata al “circolo riformatore” dei docenti dell’Università Carolina, sorto intorno alla figura di Jan Milíč da Kroměříž (1325ca.-1374)9, predicatore, riformatore e asceta intransigente, nemico di ogni simonia e rilassatezza morale. Jan da “convertito” e nuovo titolare del pulpito aderisce alla linea dei predicatori boemi sostenitori di un rinnovamento della Chiesa e nei suoi discorsi attacca la corruzione e la mondanizzazione dell’istituzione ecclesiastica, invocando una radicale conversione al Vangelo e all’imitazione di Cristo umile e povero. A tale proposito occorre ricordare che se la realtà boema, in cui il giovane prete porta avanti gli studi e il ministero della predicazione, è in forte fermento teologico e nazionalistico, ancor più problematico, e per certi versi catastrofico, si presenta in questo periodo il contesto generale della cristianità europea. monumento alla sua figura e al suo pensiero e sede per gli incontri del movimento hussita. 8 Nella Praga della seconda metà del ’300 il ricorso all’uso della lingua ceca da parte di docenti universitari e di predicatori boemi intende essere il segno di un primo ma deciso distacco – dovuto anche alla crescente ostilità tra re Venceslao IV e gli Stati tedeschi, sostenuti dal papa di obbedienza romana Bonifacio IX – dall’ortodossia latina e tedesca degli insegnamenti teologici e filosofici ufficiali, ma anche uno strumento di comunicazione religiosa e pastorale allargata a un pubblico più vasto. Una svolta, questa dell’adozione in ambito accademico e religioso della lingua parlata, che inizia già con la traduzione in ceco delle Sacre Scritture, effettuata dal predicatore e riformatore Tomáš Štítný (1333ca.-1401ca.). 9 Prete cattolico e scrittore ceco, Milíč è anche un prestigioso predicatore a Praga, impegnato alla scuola di Waldhauser in una riforma morale del clero e del popolo cristiano. Accusato di eresia e attaccato dal clero boemo, è riabilitato nel 1367 dal papa avignonese Urbano V. A Praga fonda un punto di accoglienza detto “Nuova Gerusalemme”, centro della sua attività, e si impegna con zelo per il recupero delle prostitute, trasformando le case di tolleranza in ferventi comunità cristiane. Con la predicazione e con scritti di carattere pastorale ravviva l’aspirazione alla riforma che l’hussitismo cercherà di realizzare.
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La grave crisi della cristianità europea nel XIV secolo Dal 1378, infatti, la Chiesa d’Occidente soffre di uno scisma grave. Due papi, Urbano VI (1318ca.-1389) di Roma e Clemente VII (1342-1394) di Avignone, si scomunicano a vicenda e due obbedienze, la romana e l’avignonese, spaccano l’Europa cristiana, ormai tutta sotto interdetto, in due aree religiose contrapposte e reciprocamente ostili, provocando gravi divisioni tra i regimi politici, le Chiese, le diocesi, gli ordini religiosi, i santi. Lacerazione che si acuisce ancor di più in seguito al cosiddetto “conciliabolo” di Pisa del 1409. L’assemblea pisana, che i cardinali delle due obbedienze, tornati alla ragionevolezza e staccatisi dall’atteggiamento irremovibile dei rispettivi pontefici, Gregorio XII (1335ca.-1417) e Benedetto XIII (1328-1423), convocano allo scopo di superare la spaccatura e soprattutto avviare una necessaria e radicale riforma della Chiesa nel vertice e nelle membra, deponendo i due papi ed eleggendo il nuovo pontefice Alessandro V (a cui l’anno dopo succede Giovanni XXIII), di fatto finisce per trasformare la Chiesa occidentale in un “mostro tricefalo” con tre papi ostinati a non cedere e tre obbedienze ecclesiali (romana, avignonese e pisana) in conflitto tra loro. Una piaga, lo scisma, le cui radici possono essere ravvisate già nelle vicende del papato di Bonifacio VIII (12301303) – basti ricordare gli assunti dottrinali della bolla Unam sanctam del 1302)10 – e, soprattutto, nei nuovi asset10 Con questo documento, nato dal grave conflitto tra il papa e Filippo IV il Bello circa il diritto, rivendicato del re di Francia, di poter disporre dei beni temporali della Chiesa, Bonifacio VIII intende affermare i fondamenti dottrinali del potere papale sulla base di una visione ierocratica: l’autorità dottrinale, spirituale, disciplinare e amministrativa del pontefice romano e della sua curia è somma nella Chiesa; l’autorità religiosa è superiore a ogni potere civile e fuori della Chiesa non c’è salvezza. Cfr. testo della bolla in H.
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ti giuridici e istituzionali introdotti durante il lungo “esilio avignonese” (1309-1377). Sono anni, questi, in cui papato e curia, oltre ad adeguarsi all’influenza secolare con una vita allegra e sfarzosa in linea con qualsiasi corte reale, attuano profonde trasformazioni e orientano il governo della Chiesa verso una notevole centralizzazione, con forti strutture finanziarie e burocratiche. Concretamente è messo in atto un efficientissimo sfruttamento fiscale del patrimonio ecclesiastico con relativa occupazione di cariche a detrimento grave dei doveri pastorali e, nella dirigenza ecclesiastica, causa della perdita di spessore morale e di capacità di guida spirituale. Risiedendo, poi, nel successore di Pietro, secondo l’Unam sanctam, anche la pienezza amministrativa, papa e governo centrale giungono a imporre la loro piena autorità fiscale su ogni incarico ecclesiastico, per cui dalla metà del ’300 quasi tutti i benefici concistoriali sono obbligati a versare alla sede petrina ogni tipo di tributi. Le guide delle Chiese locali non sono più elette dal clero delle varie diocesi, ma nominate dallo stesso pontefice dietro pagamento di forti somme di denaro da parte degli aspiranti interessati. Da qui la paralisi progressiva della forza spirituale e interiore di pontefici e vescovi, sempre meno in grado di esercitare adeguatamente il loro ufficio dottrinale e pastorale. È in tale contesto di attaccamento al denaro, connesso spesso alla simonia e al nepotismo, che dilaga il fenomeno delle indulgenze, pagate dai fedeli per espiare i propri peccati o quelli dei propri defunti. Ora negli anni della grave spaccatura nella Chiesa Occidentale (1378-1417)11 questi e altri abusi accrescono Denzinger - A. Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Roma 1965, 1467-1470. 11 Un effetto dell’esilio avignonese è la caduta dell’autorità papale in una grave crisi durata quarant’anni (1378-1418), causa di una profonda lacerazione della cristianità occidentale. Dapprima due papi (a Roma e Avignone) e poi tre, dopo il conciliabolo di Pisa del 1409, si contendono il soglio pontificio, scomunicandosi a vicenda e creando di fatto tre Chiese contrapposte
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notevolmente, provocando rapidamente la scomparsa di ogni fiducia nella gerarchia e il progressivo allontanamento dei fedeli dall’istituzione ecclesiastica, sempre più avvertita come presenza ostile e venale, oltre all’acuirsi tra quanti deplorano la situazione di una forte opposizione tra l’ecclesia carnalis e l’ecclesia spiritualis (libera da legami politici e dal potere) e tra principio giuridico e principio spirituale. Sarà il concilio di Costanza (1415-1418) a determinare la fine del “mostro tricefalo” e a tentare, seppur timidamente e in verità con poco successo, la riforma della realtà ecclesiale nel suo aspetto giuridico-istituzionale e, per certi versi, anche nella sua dimensione religiosa e devota. Nel decreto Haec sancta, approvato il 6 aprile 1415, il santo Sinodo riconosce, infatti, di essere legittimamente convocato, afferma che in quanto Concilio rappresenta la Chiesa cattolica, dichiara di ricevere la potestas immediatamente da Cristo (quindi non dal papa) e di poter esigere quindi obbedienza e sottomissione da ogni singolo cristiano, papa compreso, per ciò che riguarda la fede, l’estirpazione dello scisma e la riforma della Chiesa. In concreto, il Concilio si dichiara istanza giuridica somma in materia di fede e titolare del governo supremo della Chiesa, a cui tutti i cristiani, dal pontefice all’ultimo fedele, devono obbedienza. Il decreto Frequens, approvato il 9 ottobre 1417, conferma tale posizione, stabilendo per il futuro una sorta di autoconvocazione automatica del Concilio, che il papa ha il dovere di notificare ufficialmente, ma non la possibilità di impedire o sospendere. E così, sulla base di questi principi ecclesiologici, il Concilio libera finalmente la cristianità occidentale dalla mostruosità dello scisma, deponendo Giovanni XXIII (papa pisano) e Benedetto XIII (papa e tre obbedienze con tre collegi cardinalizi. Solo con il concilio di Costanza (1414-1418) si perviene all’elezione di un unico papa, Martino V, riconosciuto da tutti i cardinali.
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avignonese), restii a dimettersi per il bene della Chiesa (Gregorio XII di obbedienza romana si ritira volontariamente), ed eleggendo l’11 novembre 1417 l’unico papa legittimo, Martino V (1368-1431). Proposta riformatrice di Hus e scomunica della gerarchia praghese
Dunque, è nel contesto di una Chiesa mondanizzata, divisa e fonte di smarrimento (per alcuni anni ci si chiede da più parti dove sia la vera Chiesa di Cristo) che Hus esercita il ministero della predicazione e l’attività di docente universitario. Tratto caratteristico dei suoi sermoni è l’insistenza sulla verità, presente nella parola di Dio, da tradurre nell’azione e difendere con la propria vita e perfino disobbedendo a ogni autorità terrena, compresa la gerarchia ecclesiastica. Nella Cappella di Betlemme a Praga predica ogni giorno, suscitando grande interesse tra i praghesi. Gente comune, giovani studenti, élites cittadine accorrono sempre più numerosi per ascoltarlo. Popolarità e intransigenza mal viste, però, dalla curia romana, con la quale il giovane leader entra in forte contrasto, soprattutto a motivo dell’adesione sua e degli altri docenti e predicatori boemi alle tesi di John Wyclif, che viceversa i colleghi tedeschi dell’Università Carolina stigmatizzano come eretiche. Hus rimane ammirato ed entusiasta nel leggere i trattati filosofici del riformatore inglese portati a Praga da Oxford dallo studente Girolamo da Praga (1370-1416)12. 12 Girolamo da Praga è, dopo Hus di cui è discepolo e amico, la più conosciuta personalità che contribuisce alla prima rivoluzione in Boemia. Studia alla Sorbona, a Colonia e Heidelberg, dopo un periodo iniziale a Oxford. Qui viene a contatto con i testi teologici di Wyclif, che nel 1401 porta a Praga. Da docente universitario nella capitale ceca diffonde le dottrine dell’ecclesiastico inglese, appoggiando l’azione riformatrice di Hus e procurandosi perciò la scomunica e l’allontanamento dalla Boemia. Nel
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Già da tempo, in realtà, dopo il matrimonio di Riccardo II d’Inghilterra (1367-1400) con Anna (1366-1394), sorella di re Venceslao IV (1361-1419), altri suoi scritti circolano in Boemia; a diffonderne il pensiero sono soprattutto Stanislav da Znojmo (1351ca.-1414) e Štěpán da Páleč (1370ca. - 1422ca.), colleghi più anziani di Hus, ben presto perciò indicati come eretici e condannati da Roma nel 1408. Colleghi, però, che qualche anno dopo Hus si troverà come oppositori, avendo ambedue, in seguito al carcere e alle torture patite, ritrattato e preso le distanze dal movimento riformatore boemo. Con il cambiamento di partito dell’arcivescovo di Praga, Zbyněk Zajíc, prima simpatizzante del circolo boemo, l’attacco a Wyclif e la condanna di ogni critica alle cariche ecclesiastiche si fanno sempre più duri fino all’accusa di eresia. Repressione, in verità, per nulla condivisa, seppure per motivi politici, da re Venceslao il quale, favorendo la minoranza accademica ceca dal 1403 in stato d’agitazione, col Decreto di Kutná Hora degli inizi del 1409, determina l’abbandono definitivo dell’ateneo da parte dei docenti tedeschi antiwyclifiani, pronti a fondare l’università di Lipsia (1409), e rende possibile, alcuni mesi dopo, l’elezione a rettore dello stesso Jan Hus13. Vittoria apparente, però, perché, oltre a causare l’isolamento internazionale dell’Università Carolina, mal sopportato in verità per motivi economici dalla gente, spinge l’arcivescovo Zajíc nel 1410 a inasprire la persecuzione contro i boemi riformatori e sostenitori di Wyclif fino a interdire loro di predicare nelle varie cappelle, inclusa quella di Betlemme. Divieto che Hus trasgredisce, convinto com’è del legame indissolubile tra sacerdozio e predicazione e del dovere di « ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » (At 5,29), ma 1415 si reca a Costanza per difendere il maestro e le sue dottrine, ma viene condannato come eretico e messo al rogo nel 1416. 13 Cfr. Žáková, Jan Hus, 31-32.
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anche sentendosi appoggiato dal re. Contro le disposizioni restrittive dell’arcivescovo fa persino appello al papa, ad melius informandum, con il risultato, però, di far aprire a suo carico un processo e di ricevere l’ordine di presentarsi a Roma. Richiesta a cui ancora una volta non si sottomette, mandando un amico al suo posto e procurandosi perciò nel 1411 l’anatema della curia papale. E ciò nonostante il sostegno di re Venceslao, che alla persecuzione scatenata da Zajíc reagisce con forti misure intimidatorie nei confronti della Chiesa locale. Ben presto, però, dopo la pubblicazione della bolla di Giovanni XXIII, anche il sovrano boemo ritira, per convenienze politiche e interessi economici, la sua protezione al movimento riformatore: con questo documento, infatti, il pontefice di obbedienza pisana intende finanziare la crociata contro Ladislao di Napoli, sostenitore del suo rivale Gregorio XII, di obbedienza romana, decretando in Europa nel 1411-12 una gigantesca riscossione di denaro tramite la massiccia vendita di indulgenze14. Alla bolla papale Hus reagisce con forza, criticando esplicitamente anche la sottomissione di re Venceslao a tale progetto. Nei sermoni biasima con fermezza la simoniaca vendita delle indulgenze, finendo per provocare con la sua protesta non soltanto la spaccatura del mondo accademico, ma violenti scontri in città tra sostenitori e avversari, e per aggravare la sua posizione. Conclusosi il processo canonico nel luglio 1412 con la scomunica per eresia, comminatagli dal cardinale Pietro degli Stefaneschi (1360/70-1417), l’ordine dell’arresto e della demolizione della Cappella di Betlemme, di fatto l’interdetto, oltre che sulla città di Praga, viene esteso a quanti lo sostengono o lo accolgono, rendendogli di conseguenza inevitabile la via dell’esilio. E così, abbandonata la capitale nel 1412, lo scomunicato Hus inizia a spostarsi
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Cfr. Žáková, Jan Hus, 34.
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per la campagna boema, predicando nei vari villaggi e intensificando la sua produzione catechetica e teologica. A Praga ritorna, ma per poco, agli inizi del 1413, per riprendere a predicare nella sua cappella, alla cui distruzione il popolo si è opposto energicamente. È a questo periodo, tra esilio e brevi soste nella capitale, che appartengono i suoi scritti maggiori: basti citare tra gli altri il ben noto De Ecclesia, abbastanza influenzato dall’ecclesiologia wyclifiana, e il trattato di spiritualità Dcerka (Figliola), che qui pubblichiamo15. La condanna del concilio di Costanza e la morte sul rogo
Il 5 novembre 1414 a Costanza si apre il Concilio convocato da Giovanni XXIII con l’appoggio determinante per tutta la durata dei suoi lavori (1414-1418) dell’imperatore Sigismondo (1368-1437). Questi, al fine di riportare la pace nella terra di re Venceslao, di cui è fratello minore e al cui trono aspira, invita Hus a difendersi davanti all’assemblea dei vescovi, fornendolo a tal fine di salvacondotto. Così, l’11 ottobre 1414, il riformatore boemo, accompagnato da alcuni sostenitori, tra cui il fedele allievo Petr da Mladoňovice, e scortato dai nobili cechi Jan da Chlum e Václav da Dubá, si presenta nella città conciliare, ignaro di quanto sarebbe successo e convinto di potersi difendere da libero teologo davanti ai padri e di allontanare da sé l’imputazione di eresia. In realtà, dopo poche settimane di libertà e nonostante il lasciapassare imperiale, il 28 novembre 1414, col benestare del cardinale Pierre d’Ailly (13501420) e di altri porporati, viene rinchiuso in un primo momento nel convento domenicano di Costanza, quindi
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Cfr. Žáková, Jan Hus, 34-35.
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nel castello di Gottlieben del vescovo della città e, infine, nella prigione del convento dei francescani e qui sottoposto più volte a interrogatorio per indagare soprattutto la sua adesione agli articoli di John Wyclif, che il Concilio invece sta già per condannare come eretici16. Del processo e del suo andamento Hus stesso dalla prigione offre una testimonianza preziosa e in prima persona ai propri compagni e fedeli di Costanza e della Boemia tramite le lettere (alcune di queste pubblicate nel presente volume), inviate loro grazie alla connivenza dei carcerieri, probabilmente pagati. Tuttavia, la sua sorte non è ancora del tutto segnata, nonostante il provvedimento di incarcerazione e l’aggravarsi della situazione in Boemia conseguente alla modifica da parte dei suoi discepoli del rituale della Messa e dell’introduzione del calice ai laici, una prassi condannata dal Concilio il 15 giugno 1415. L’imperatore Sigismondo, al fine di rasserenare la situazione e raggiungere una rappacificazione nel regno del fratello Venceslao, mostra interesse a che sia evitata la condanna al rogo del predicatore boemo. E pertanto lo sollecita a rinnegare pubblicamente le sue idee, nonostante che da spergiuro sarebbe stato 16 Tra gli articoli di Wyclif che il Concilio condanna nella Sessione VIII del 4 maggio 1415: « [...] 4. Se un vescovo o un sacerdote sono in peccato mortale, non ordinano, non consacrano né battezzano. [...] 8. Se il papa è riprovato e malvagio e, di conseguenza, membro del diavolo, non ha potere sui fedeli, se non forse quello ricevuto dall’imperatore. [...] 10. È contro la Sacra Scrittura che gli ecclesiastici abbiano proprietà. [...] 14. È lecito a un diacono o a un sacerdote predicare la parola di Dio senza il permesso della sede apostolica o del vescovo cattolico. [...] 24. I frati devono procurarsi il necessario alla vita con il lavoro delle loro mani e non mendicando. [...] 30. Non si deve temere la scomunica del papa o di qualsiasi prelato perché è una censura dell’Anticristo. [...] 32. Arricchire il clero è contro il comando di Cristo. [...] 37. La Chiesa romana è la sinagoga di Satana e il papa non è il vicario più prossimo e immediato di Cristo e degli Apostoli. [...] 41. Non è necessario per la salvezza credere che la Chiesa romana sia la prima fra tutte le Chiese. [...] 42. È sciocco credere alle indulgenze del papa e dei vescovi »; cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta (a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti, Perikles-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi), Dehoniane, Bologna 1991, 411-413.
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comunque condannato al carcere a vita. Hus, però, intende restare fedele al Vangelo ed evitare di gettare nello smarrimento il movimento riformatore e parte del popolo ceco a lui fedele, pertanto rifiuta energicamente di abiurare, determinando in tal modo la sua condanna al rogo per eresia e la deposizione dallo stato sacerdotale: provvedimenti definitivamente decretati dal Concilio nella sessione XV del 6 luglio 141517. Lo stesso giorno, quindi, condotto nel duomo di Costanza, dopo essersi appellato a Cristo, aver ricordato invano ai giudici di essersi recato al Concilio spontaneamente e con il salvacondotto imperiale e aver rigettato l’accusa di eresia, non ritenendola dimostrata dai suoi scritti latini, è dichiarato colpevole di eresia in quanto seguace di Wyclif18; degradato, spogliato delle vesti sacer17 Tra i 30 articoli di Hus estrapolati e condannati dal Concilio nella Sessione XV del 6 luglio 1415: « [...] 1. La santa Chiesa universale è unica, è la totalità dei predestinati. E ancora: la santa Chiesa universale è unica come unico è il numero di tutti i predestinati. [...] 3. I non-predestinati non fanno parte della Chiesa, perché nessuno di coloro che le appartengono si separerà da lei alla fine, in quanto la carità della predestinazione che la riunisce non cesserà mai. [...] 6. La Chiesa nel senso di assemblea dei predestinati, che essi siano o no attualmente in stato di grazia, è un articolo di fede. [...] 9. La dignità papale ha avuto origine dall’imperatore. La designazione e l’intronizzazione del papa sono state realizzate dalla potenza imperiale. [...] 12. Nessuno fa le veci di Cristo o di Pietro, se non lo imita nei costumi: nessun’altra sequela infatti deve essere più fedele. Altrimenti non si riceve da Dio il potere delegato, perché la conformità dei costumi e l’autorità di colui che lo delega sono richiesti per l’ufficio di vicario. 13. Il papa non è successore certo e vero di Pietro principe degli Apostoli, se vive in modo contrario a quello di Pietro e se pratica l’avarizia allora è successore di Giuda Iscariota. È altrettanto evidente che i cardinali non sono i successori certi e veri del collegio degli Apostoli di Cristo, se non conducono una vita simile a quella degli Apostoli, osservando i comandamenti e i consigli del Signore nostro Gesù Cristo [...]. 25. La condanna dei quarantacinque articoli di John Wyclif, emessa dai dottori, è irragionevole, iniqua e malfatta; inoltre la causa da essi addotta è falsa: cioè, nessuno di essi è cattolico, ma sono tutti eretici, o erronei o scandalosi ». Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 429-431. 18 Sulla condanna di Hus da parte del Concilio e gli interrogativi circa la correttezza di tale provvedimento cfr. F. Seibt, Jan Hus. Das Konstanzer Gericht im Urteil der Geschichte, Flacius-Verlag, Fürth 1993 e, più recen-
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Introduzione generale
dotali e, rivestito con il cappello conico dell’eretico, consegnato al potere secolare per l’esecuzione capitale. Lungo la strada verso il luogo del patibolo, esorta gli astanti e quelli che lo seguono a non credere che il motivo della sua condanna a morte siano gli errori che i suoi peggiori avversari gli hanno falsamente attribuito. Denudato e legato al palo sulla pira già pronta per le fiamme e invitato in extremis a salvarsi, ritrattando gli articoli incriminati, il martire boemo risponde: « Dio mi è testimone che non ho mai insegnato quello di cui m’incolpano falsi testimoni. Morirò oggi con gioia per la verità del Vangelo che ho predicato e insegnato ». Eseguita la sentenza le sue ceneri vengono sparse nel Reno. A nulla serve la formale nota inviata nel mese di settembre 1415 da 452 nobili boemi e moravi contro l’accusa e la condanna per eresia. La stessa sorte toccherà l’anno dopo al suo amico Girolamo da Praga, segnando con la loro fine l’inizio dell’hussitismo19, già pronto a esplodere in proteste e insurrezioni.
temente, seppure con qualche riserva, cfr. P. Ratto, Il gioco dell’oca. I retroscena segreti del processo al riformatore Jan Hus, Bibliotheka Edizioni, Roma 2020. 19 Le condanne al rogo di Jan Hus e di Girolamo da Praga da parte del concilio di Costanza (1415-1416) e le persecuzioni dei loro seguaci portano in Boemia a sollevazioni popolari che, ben presto, acquistano un carattere politico con le cosiddette guerre hussite (1420-1431). Dichiarati eretici, gli hussiti, sotto la guida del condottiero Jan Žižka, resistono fino al sacrificio della vita alle cinque crociate bandite contro di loro dall’imperatore. Ben presto il movimento si divide in un’ala moderata (utraquisti) e in una estremista (taboriti). Il radicalismo dei taboriti finirà per superare quello wyclifiano e risvegliare nelle classi contadine e povere speranze di riscatto sociale.
Introduzione alle opere L’opera e il ruolo delle donne nella riforma boema alla luce della corrispondenza hussiana
a cura di Anežka Žáková
I
LE DESTINATARIE, LA LINGUA E LE FONTI
Nel periodo tra il 1412 e il 1414 il maestro Jan Hus, esiliato, predica di villaggio in villaggio nel Sud della Boemia, con brevi e sporadiche soste nella capitale. È in questo periodo, probabilmente mentre soggiorna nel bosco di Kozí Hrádek, che il riformatore scrive un trattato di spiritualità cristiana destinato a un gruppo di sue seguaci praghesi. I due titoli con cui l’opera è nota esplicitano già chiaramente il pubblico a cui essa è rivolta e le tematiche trattate. Il primo è Dcerka, “Figliola”, dal verso con cui incomincia ogni capitolo – « Slyš, dcerko », « Ascolta, figliola »; il secondo, O poznání cěsty pravé k spasení, significa « Sulla conoscenza della vera via per la salvezza ». Nello scrivere Figliola, Hus deve avere ben presente le sue destinatarie – possiamo immaginare che abbia in mente i loro volti, forse anche le loro storie, nel ricordarle dal suo esilio. Queste donne sono verosimilmente delle beghine1 che vivono in case-comunità nell’area limitrofa alla Cappella di Betlemme. I registri urbani del tempo attestano la
1 Le beghine e i begardi, in Italia noti anche come “bizzochi/bizzoche”, erano persone che si riunivano spontaneamente a vivere in comunità dedite alla preghiera, e non di rado a opere di carità, rimanendo spesso al di fuori degli ordini religiosi e della struttura ecclesiastica cattolica. Per approfondimenti cfr. M. Sensi, « Mulieres in Ecclesia ». Storie di monache e bizzoche, Fondazione CISAM, Spoleto 2010.
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Introduzione alle opere
residenza in questo sito di almeno quindici donne e numerose inservienti, dislocate in un minimo di sei case 2. Figura di spicco in questo gruppo doveva essere la colta Anežka Štitná, figlia di Tomáš Štitný, uno dei primi intellettuali cechi a scrivere opere in lingua volgare. Ci sono noti i nomi di altre di loro: la nobile Petra da Řičany, Kunka da Vartemberk, Střežka da Čejkovice, una giovane chiamata Ofka, le quattro sorelle Bětka, Anežka, Zdena e Ofka, Dóra di Betlemme, Markéta di Peruc, Kateřina Bohdal (chiamata da Hus Ješkova), Markéta da Ostrý e le sorelle Ludmila e Kateřina da Pasovaře3. Molti di questi nomi ricorrono nelle lettere di Jan Hus (alcune delle quali sono qui pubblicate) tra le persone care cui invia i propri saluti. Kateřina da Pasovaře è da alcuni identificata come quella che, in una lettera a un suo allievo, il maestro chiama Kateřina Hus (forse un soprannome dovuto al suo zelo per la causa riformatrice), definendola una « vergine santa »4. La particolarità principale di Figliola sta proprio nel fatto che un’opera teologica sia rivolta a un pubblico esclusivamente femminile. Ciò è tanto più rilevante perché, pur trattando prevalentemente temi di morale cristiana, lo scritto non si limita a dare alle destinatarie i classici consigli medievali sul loro ruolo femminile all’interno della società, ma espone, rivolgendosi alle donne e parlando delle donne, una visione antropologica di grande nobiltà e dignità5.
2 Cfr. T.A. Fudge, Jan Hus. Religious Reform and Social Revolution in Bohemia, I.B. Tauris, New York 2010, 85-86. 3 Fudge, Jan Hus, 86. 4 Vedi p. 162. 5 Cfr. M. Miller Sigg, Trinity in a Woman’s Soul: Recovering a Women’s Spirituality for Mission in Jan Hus’s Dcerka (The Daughter), in R.L. Gallagher - E.L. Smither (edd.), Sixteenth-Century Mission. Explorations in Protestant and Roman Catholic Theology and Practice, Lexham Press, Bellingham 2021, 37-59. Sebbene l’affermazione dell’autrice secondo cui Figliola sarebbe un manuale di spiritualità volto a equipaggiare le donne
I. Le destinatarie, la lingua e le fonti
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Un’altra peculiarità che rende questo trattato un documento prezioso, ma che ne ha anche decretato finora una certa dimenticanza da parte degli studiosi internazionali, è il fatto che sia un libro scritto in volgare ceco. È già stata ricordata la connotazione biblica, legata a un movimento di presa di coscienza culturale e nazionale, che il movimento riformatore boemo, e Hus per primo, attribuisce alla lingua vernacolare6. Il fatto che l’autore si rivolga, inoltre, a un pubblico di donne, regalando alla propria nazione anche uno dei suoi primi capolavori letterari, rende l’idea della diffusione dell’alfabetizzazione nella Praga del tempo. Al di fuori della Repubblica Ceca (dove ha invece visto plurime riedizioni negli anni) l’opera è stata a lungo poco conosciuta e l’unica traduzione integrale esistente finora è quella francese di Josepha Pilný, curata nel 1972 da Pilný e De Vooght7. Alcuni brani tradotti in inglese sono riportati nella monografia su Jan Hus di Thomas Fudge, in un paragrafo dedicato a Figliola in cui lo studioso evidenzia la lacuna generale circa questo scritto, che solo a causa dei motivi linguistici non avrebbe goduto della stessa diffusione dell’Imitazione di Cristo di Gerhard Groet8. Interessante è la questione delle fonti riscontrabili in quest’opera. Immaginiamoci Hus che girovaga per la campagna, scomunicato, intento a predicare e a stilare un’intensa produzione di lettere e di opere, spesso tese a « per un attivo ruolo pubblico, al fianco della loro controparte maschile » possa sembrare un poco esagerata, non è forse poi tanto lontana dal vero, considerata la valenza religiosa, civile e politica che nella Boemia del XV secolo avevano l’accesso alla Parola di Dio e alla speculazione teologica. 6 La tradizione vuole che Hus sia l’autore del De orthographia Bohemica, un trattato in cui vengono poste le basi delle odierne regole grammaticali ceche. Per un approfondimento cfr. V.S. Tomelleri, Intorno alla nuova edizione dell’Orthographia Bohemica, in Studi Slavistici, 17/1 (2020), 203-214. 7 P. De Vooght, Un classique de la littérature spirituelle, 275-314. 8 Fudge, Jan Hus, 85-94.
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Introduzione alle opere
ribadire le proprie posizioni e a ribattere alle accuse che gli pervengono. Come osserva Molnár9, è plausibile che il teologo e predicatore, alle strette coi tempi e alle prese con una quotidianità precaria, abbia avuto in mente un modello cui attingere per la composizione del suo trattato sulla via per la salvezza – un’ipotesi che, riporta Molnár, viene avanzata per la prima volta da Flajšhans10, che nel 1900 parla di un modello latino, senza però individuarne titolo o autore11. Per molto tempo però la mancanza di un riferimento letterario concreto ha fatto ritenere Figliola un’opera del tutto indipendente da altri modelli. A scoprire un modesto debito verso Wyclif è stato Jan Sedlák, che ha individuato nel quarto capitolo un richiamo a uno dei sermoni del teologo inglese12. È tuttavia Molnár a indi care finalmente il modello postulato da Flajšhans, rinvenendolo nel De cognitione humanae conditionis13, attribuito erroneamente a Bernardo di Chiaravalle14. Ciononostante, il modo in cui Hus lavora col testo è comunque originale, così come originali sono il pubblico e la situazione per cui l’opera nasce: per questo e per la sostanziale autonomia del resto del testo non si può assolutamente parlare di una dipendenza servile dello scritto dalla sua fonte d’ispirazione. Lo stile personale dell’autore si fa sentire: oltre a temi cari a Hus – quali l’avidità e la viziosità di alcuni 9 Amedeo Molnár (1923-1990), teologo e storico ceco, uno dei massimi conoscitori dei movimenti hussita e valdese. 10 Václav Flajšhans (1866-1950), filologo ceco, autore di diverse raccolte di opere antiche, tra cui gli scritti di Jan Hus (vedi p. 64). 11 Cfr. A. Molnár, K pramenům Husovy Dcerky, in Listy filologické / Folia philologica, 102/4 (1979) 224-230. 12 J. Sedlák, Je Husova Dcerka dílo původní?, in Studie a texty, II, Olomouc 1915, 359-366. 13 Pseudo-Bernardo, De cognitione humanae conditionis, ed. J. Migne, Patrologiae cursus completus, Series latina 184, Paris 1854. 14 Cfr. Molnár, K pramenům, 224-230; in questo articolo lo studioso compara scrupolosamente i vari passaggi di Figliola con i versi latini di riferimento.
I. Le destinatarie, la lingua e le fonti
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religiosi e le allusioni alla simonia – non mancano riferimenti al folklore ceco, come le usanze popolari della notte di san Giovanni15. Oltre a Wyclif e allo pseudo-Bernardo, le altre fonti riscontrabili sono quelle tipiche di tutta la produzione hussiana: la Bibbia e i Padri della Chiesa.
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Vedi nota 7 p. 91.
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INTRODUZIONE GENERALE JAN HUS TESTIMONE DELLA VERITÀ E RIFORMATORE DELLA CHIESA a cura di Stefano Cavallotto I.
Cenni biografici e contesto ecclesiale tra XIV e XV secolo Carriera universitaria ed ecclesiastica La grave crisi della cristianità europea nel XIV secolo Proposta riformatrice di Hus e scomunica della gerarchia praghese La condanna del concilio di Costanza e la morte sul rogo II.
La Chiesa di Cristo e la spiritualità cristiana nella visione hussiana
La crisi ecclesiastica del ’300 e la proposta riformatrice di Wyclif Hus nella scia dell’ecclesiologia wyclifiana: convergenze e differenze La lotta hussiana per la verità e la rigenerazione della spiritualità cristiana Precursori ed eredi della riforma hussiana e recupero di un’immagine profetica
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III. Conclusioni
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INTRODUZIONE ALLE OPERE L’OPERA E IL RUOLO DELLE DONNE NELLA RIFORMA BOEMA ALLA LUCE DELLA CORRISPONDENZA HUSSIANA a cura di Anežka Žáková I.
Le destinatarie, la lingua e le fonti
II.
In interiore muliere...
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III. Parola scritta e parola taciuta: cercare la Verità tra il testo e il silenzio
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Nota: Edizioni consultate per la traduzione
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Bibliografia
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FIGLIOLA
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Prologo I. Capitolo primo II. Capitolo secondo III. Capitolo terzo IV. Capitolo quarto V. Capitolo quinto VI. Capitolo sesto VII. Capitolo settimo VIII. Capitolo ottavo IX. Capitolo nono X. Capitolo decimo Epilogo
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LETTERE DI JAN HUS I. A delle vergini che vivono in comunità II. Ai cittadini di Praga III. Ai cittadini di Praga IV. Al Maestro Martin, suo discepolo
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TESTI
V. A Jan da Chlum pag. 151 VI. Ai suoi amici in Boemia » 157 » 161 VII. Al Maestro Martin, suo discepolo VIII. Ai fedeli boemi » 164 IX. Ai suoi amici in Boemia » 167 X. A una nobile vedova contro la danza e i giochi » 169 Indice scritturistico Indice onomastico Indice analitico
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Letture cristiane del secondo millennio Collana diretta da Elena Maria Laluce
Comitato di redazione: Mary Melone, Adalberto Piovano, Elena Tealdi, Gianfranca Zancanaro.
Il secondo millennio dell’era cristiana costituisce un arco di tempo ampio e complesso, all’interno del quale la cristianità conosce sfide sempre nuove e in rapida evoluzione. L’eredità dell’antichità e dell’alto medioevo, soprattutto proveniente dall’esperienza monastica, cresce e si sviluppa, attraverso il confronto con un mondo sempre più polifonico: la comparsa della filosofia nelle università, l’incontro con gli altri monoteismi, la divisione in diverse confessioni cristiane e il dialogo tra queste, e poi via via l’ampliamento degli orizzonti geografici, le sfide della modernità, il dialogo ecumenico. La collana intende rendere accessibile una letteratura che attesti lo sviluppo ininterrotto di una riflessione eminentemente spirituale e cristiana, attraverso la voce di autori diversi per epoca, provenienza geografica e tradizione cristiana. Opere e antologie sono accompagnate da un’ampia introduzione, volta ad approfondirne la peculiarità, insieme a contesto e spiritualità dell’autore, e corredate da note, che permettono di chiarire e sviluppare i passi più importanti. Gli indici (scritturistico, onomastico e tematico) aiutano a cogliere gli aspetti specifici del testo, mentre la bibliografia, selezionata e aggiornata, con preferenza per i contributi in lingua italiana, suggerisce, con vari livelli di approfondimento, il proseguimento dello studio. L’intento è mostrare lo sviluppo di quel filo rosso che raccoglie le opere più significative e attuali dei « pensatori cristiani » che sono stati punti di riferimento per gli uomini del secondo millennio, e continuano a esserlo per chiunque oggi avverta l’esigenza di attingere alla freschezza delle verità più profonde.
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Jan Hus (1371ca.-1415): teologo e sacerdote della Chiesa boema, con la sua azione diede vita a un movimento di riforma religiosa e sociale che cambiò per sempre la storia dell’Europa centrale. La critica alla corruzione della Chiesa e l’uso del ceco per la predicazione gli procurarono un enorme seguito, ma anche la condanna come eretico e la morte sul rogo (1415). In questo volume si propone, per la prima volta in traduzione italiana dal ceco, Figliola (Dcerka), un trattato di spiritualità tardomedievale (1412-1414) rivolto alle pie donne praghesi, e una raccolta di alcune lettere ai suoi seguaci. Queste pagine, sei secoli dopo, costituiscono un tassello importante per ricostruire il ruolo attivo delle donne nella riforma boema, oltre che un prezioso lascito spirituale di Hus. Egli esortava a ricercare in sé l’immagine di Dio ascoltandone la voce e, soprattutto, ad amare sempre la verità; quella verità che sempre vince.
ISBN 978-88-315-5422-0