Ermes Ronchi
Natale
L’abbraccio di Dio
Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena Immagine in copertina: © Bartolomé Esteban Murillo, Adorazione dei pastori, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo. © Foto Scala, Firenze. 1a edizione economica, 2023
PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2011 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI) ISBN 978-88-315-5636-1
Introduzione Un abbraccio che salva
A Natale la Parola è un bambino che non sa parlare. L’Eterno è un neonato, appena il mattino di una vita. Un neonato non può far paura: si affida, vive solo se qualcuno lo ama e si prende cura di lui. Come ogni neonato, Gesù vivrà solo perché amato. Siamo ricondotti al centro del mistero: la nascita di Gesù segna uno spartiacque nel cammino verso l’incontro con Dio. Per millenni gli esseri umani hanno cercato il suo volto, si sono posti in ascolto di una sua parola, attenti al rombo fragoroso della tempesta e al soffio di una brezza leggera. Ed ecco che all’improvviso il cielo si lacera e accade l’impossibile. E accade nella maniera più impensabile per l’umanità. Un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Un segno normale, banale addirittura, 5
attesta che Dio è venuto, ha assunto la fragilità come cifra del suo essere in mezzo a noi, del suo camminare al nostro fianco, come rivelazione del Padre. I nostri schemi sono saltati. Dio è nell’infinitamente piccolo, la sua parola è un vagito di neonato, che si affida a un volto che gli sorrida, a una mano che lo accarezzi, a un seno che lo nutra. Perché solo questo è il segno dato ai pastori – e a noi – per riconoscerlo. Come i pastori, anche noi dobbiamo sostare davanti a quella mangiatoia, la nuova arca che custodisce il mistero, con occhi nuovi, capaci di vedere ciò che all’apparenza non c’è, perché lì si gioca la nostra stessa consistenza. Da Nazaret a Nazaret passa la nostra possibilità di incontrare il volto di Dio: da un angelo che parla a una vergine alla ferialità di trent’anni trascorsi nel silenzio. Ma passando per Betlemme, per una mangiatoia che proclama l’inaudito, la carnalità di Dio, il suo abbraccio che salva 1.
Parte delle riflessioni proposte qui di seguito trova ispirazione in un mio libro di qualche anno fa, Le case di Maria. Polifonia dell’esistenza e degli affetti, Paoline, Milano 202313. 1
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Gran parte della teologia ha interpretato la salvazione dell’umanità come riscatto dalla caduta, cancellazione del peccato, remissione del debito, che Cristo ha realizzato a prezzo della sua croce. Ma sulla scia della comunità di Giovanni, un’altra interpretazione minoritaria, sostenuta in particolare da Ireneo di Lione, ha lasciato vari sedimenti interessanti nella storia, in particolare nella liturgia, affermando: la salvezza è a Natale. E ce ne fornisce alcuni esempi. Alla messa della vigilia di Natale, l’acclamazione al Vangelo proclama: «Domani sarà distrutto il peccato della terra». Distrutto il peccato, per la sola nascita di Gesù. Come la luce distrugge le tenebre, come la primavera distrugge l’inverno e il giardino la steppa. Domani accadrà, ben prima di Pasqua, in una mangiatoia e non su una croce, in un bambino che non fa niente, se non piangere e respirare e attaccarsi al seno. Eppure salva. Come se già l’incarnazione, l’entrata del Verbo nella carne, avesse cambiato la composizione della carne, la densità della terra, la direzione della storia, il cuore del peccato. 7
A Natale, alla messa del giorno, l’antifona alla comunione afferma: «Tutti i popoli hanno veduto la salvezza del nostro Dio». Nella notte di Be tlemme l’hanno veduta, e consisteva in un bambino deposto in una mangiatoia, non nel sepolcro. Hanno veduto la salvezza già presente e operante: Dio ha raggiunto l’umanità, nessuno è più perduto, perché nessuno è fuori di Dio, nessuno può andare così lontano da cadere fuori del suo abbraccio. Sempre alla messa del giorno, la colletta invoca: «Fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Salvezza è questo scambio, osmosi, travaso di vita che accade a Natale. Lo Spirito si fa carne perché la carne possa farsi spirito. La stalla di Betlemme sono io, questa mia tenda d’argilla è la grotta della natività perenne, ininterrotta, del Figlio di Dio. Cristo nasce come figlio della terra perché io nasca come figlio del cielo: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere» – non solo la possibilità, ma il potere: l’energia, la forza, il dinamismo – «di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). È la potenza che emana dalla sola incarnazione. 8
Il prologo del Vangelo di Giovanni, canto grandioso, dice: «E il Verbo si fece carne» (1,14). Non è detto che il Verbo si fece Gesù di Nazaret; non è detto neppure che il Verbo si fece uomo; no, molto di più: il Verbo si fece carne, questa carne fragile, irruente e torbida che è la nostra. Il vasaio dell’Eden, che aveva plasmato la creatura umana con un po’ d’argilla, si fa lui stesso argilla di questo vaso; non solo entra nell’umanità, in ogni carne di ogni uomo e di ogni donna, come qualcosa di aggiunto o un elemento estraneo che si sovrappone, ma è detto che diventa, si fa, quella carne. Non solo entra in me, ma si fa me! Se Dio è in me, se mi compone come la parte più profonda, come mio respiro e mio sogno, io sono diventato un altro, sono sostanzialmente diverso. «O uomo, prendi coscienza di ciò che sei… considera la tua dignità regale: tu porti Dio in te» (Gregorio di Nissa). Come parte di te, la parte migliore. Se Natale non è, io non sono. Lo specifico dell’umanità è la divinità in noi. Ciò che fa sì che l’essere umano sia essere umano è il respiro di Dio in lui, l’incarnarsi del Verbo, il vento dello Spirito. Un evento mai compiuto del tutto. Il Verbo si incarna continuamente: come luce nelle tenebre, 9
come lievito nella pasta, come il pizzico di sale che dà sapore a tutto il piatto, come amore in ogni amore. E non distingui più il lievito dal pane. Si fa carne, e lo sento come forza di attrazione verso l’alto, forza di gravità verso il cielo, che sospinge in avanti, energia verticale che urge verso l’alto. Incarnazione significa salvezza. La salvezza è Gesù venuto dentro la carne, come lievito mite e possente di ogni esistenza, come pezzo di me, non come aggiunta estranea. Cristo è in me e in tutte le creature come forza ascensionale verso più luminosa vita. Ciascun credente è allora un Cristo incipiente, un Cristo iniziale e incompiuto: «Io non sono / ancora e mai / il Cristo / ma io sono questa / infinita possibilità» (David Maria Turoldo). Salvezza è l’infinita possibilità di essere Cristo. All’umanarsi di Dio – in Dante – risponde, in parallelo, l’indiarsi della creatura umana. «Indiarsi», bellissimo verbo del nostro comune destino, che i Padri orientali hanno osato chiamare «la divinizzazione dell’uomo». Tutto questo viene, a Natale, con l’abbraccio di Dio.
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Nel buio di un grembo
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose 11
l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei (Lc 1,26-38). Santa Maria entra nella storia mentre è in ascolto di un angelo, e traccia il primo passo per chi vuole entrare in un rapporto vero con le creature, esseri umani o angeli: l’arte dell’ascolto. Ci mostra come fare spazio nella nostra vita all’ingresso della luce. Fa spazio alla luce chi ha saputo creare un’oasi di ascolto: «Il più alto raggiungimento in questa vita è rimanere in silenzio e far sì che Dio parli e operi internamente» (Meister Eckhart). È necessario molto silenzio per ascoltare lo stupefatto silenzio di Dio. Secondo momento: «A queste parole ella fu molto turbata». Un attimo di smarrimento, ed è un attimo che, nella nostra vita, può durare anni. E se 12
pure hai detto «sì» una volta, non sei mai al riparo dallo smarrimento. Ma: «Non temere, Maria». Dio entra nella vita, che è fatta anche di turbamenti, di emozioni confuse, e porta nuove stelle polari. Entra nella vita, anche se è inadeguata. O forse proprio per questo! Non temere la tua debolezza, le persone non finiscono mai di essere pronte. Ma Dio salva. Terzo momento: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Mentre Zaccaria domandava all’angelo un segno, Maria domanda il senso. Porre domande è stare davanti al Signore con tutta la dignità umana: accetto il mistero, ma uso anche tutta la mia intelligenza. Dico quali sono le mie strade e poi accetto strade al di sopra di me. Ma avverto il pericolo di far dire a Dio ciò che Dio non dice, e interrogo e cerco il senso. Infine appare lo stile di Dio: «Ti coprirà con la sua ombra». La potenza si fa ombra. L’Altissimo si vela di carne, quasi si nasconde, ombra su di una ragazza, fremito nel suo grembo. Non lo troverai negli abbagli delle visioni, nello splendore del tempio, ma nella vita, che è un’anfora di ombre. Nel buio di un grembo sta la luce della vita. «Solo la madre sapeva che era figlio di un annuncio, del seme che sta nella voce di un angelo» (Erri De 13
Luca). Per entrare e dimorare nella vita Dio si veste sempre di povertà, degli umili panni del servo (Fil 2,6-7). Non si impone, va cercato. E sarà accolto e generato solo da chi sa vivere in se stesso l’impegno di essere servo, come lui: «Ecco la serva del Signore». La vicinanza di Dio crea servizio. In tutta la Bibbia, in tutta la storia. Inscindibilmente, servizio a Dio e all’umanità. Oggi ancora l’angelo ripete per noi le tre parole essenziali: «Non temere, verrà il Signore e ti riempirà la vita». E la speranza è una vergine gravida di un mondo altro. Solo le donne, le madri conoscono l’attesa, essa è inscritta fisicamente nel loro corpo. Si attende non per una mancanza ma per una pienezza, non per un’assenza da colmare ma per una sovrabbondanza di vita che già urge. Si attende per generare: il vento dello Spirito gonfia la vita.
Dalla periferia Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Giuseppe, Davide, Maria. Sette nomi propri, di persone e di luoghi, aprono il racconto dell’annuncio, affollandosi sulla pagina. 14
Posti all’inizio, come segnali di storicità e di concretezza, i sette nomi ci preparano da subito non a elaborare una teoria, ma ad accogliere una storia; a entrare nella ferialità, anziché a sostare nello straordinario. Essi indicano che al tempio Dio preferisce il tempo, che alla sinagoga preferisce la casa: sono il racconto dello stile di Dio, del suo modo di agire. L’azione di Dio non si svolge al di fuori della storia umana, non costruisce un’altra storia con persone create apposta. Cade invece nel tessuto normale degli avvenimenti, in un luogo preciso, in un tempo preciso, con persone precise. Terra e carne, e tuttavia abitate da amori e da angeli, da un oltre. Dio prende questo mondo così com’è e in esso realizza la promessa. Ma partendo dalla periferia. Maria è la donna delle periferie: donna di Palestina, piccola provincia periferica dell’impero romano. Donna di Galilea, che è la regione ai margini di Israele, quasi Libano, quasi Siria, regione minore, quasi eretica. Donna di Nazaret, villaggio mai nominato nella Bibbia, villaggio minore senza storia, senza ricordi, senza futuro. Donna all’interno di una società non favorevole alle donne; donna giovane, quando l’au15
torità appartiene agli anziani; probabilmente analfabeta in una religione con il culto della Parola scritta. Una ragazza che si trova incinta prima di andare a vivere con il marito, per opera di un Altro. Santa Maria viene dalla periferia delle periferie a dirci che tutti possiamo riconoscerci in lei perché nessuno ha meno di lei. È il cammino dei poveri di Israele, la via privilegiata da Cristo e che egli inaugura con la sua nascita nella stalla, che proclama nella sinagoga di Nazaret: «Sono venuto per annunciare una lieta notizia ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi…»; un messia che fa di un bambino il modello del suo Regno, che predilige gli ultimi. Un Dio che ricomincia dai piccoli.
Lo splendore del dimesso Un giorno qualunque, un luogo qualunque, una giovane donna qualunque: il primo affacciarsi del paradosso del Vangelo è un annuncio di grazia consegnato nell’intimità, nella normalità. Qualcosa di colossale accade dentro la totale ferialità, sulla scena spoglia di Nazaret, con segni poveri, senza testimoni, lontano dalle luci e dalle emozioni del tempio. 16
È bello pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle cattedrali, nelle sinagoghe o nelle cappelle, nelle giornate mondiali o nei giorni di ritiro, ma anche – e soprattutto – nella vita comune, nel quotidiano. Nella ferialità ci è dato di attingere in qualche modo alla meraviglia di Dio, quando vide tutte le cose che aveva fatto e su ciascuna di esse esultò: che bello (hoti kalon)! La meraviglia di Dio continua per la bellezza quotidiana delle creature, per ciò che Martin Heidegger chiama «lo splendore del dimesso», per «lo sfarzo misterioso di ciò che è umile e nascosto» (Davide Rondoni). Alla ragazza di Nazaret si adatta perfettamente l’intuizione del filosofo Heidegger (in origine applicata alla poesia): «Die Pracht des Schlichten», la bellezza splendida di ciò che è umile, lo splendore del dimesso, dell’adam semplice, sorgivo, originario, che esce nudo e bellissimo dalle mani di Dio, sogno non contaminato ancora. «Garofano selvatico / non è fatica per te / essere figlio del Signore» (Beno Fignon). I poveri non hanno storia, e anche Maria sfugge per poco, per quel suo figlio, all’anonimato della storia. In Maria non è la bellezza di Venere a sedurre né quella di Iside o delle dee madri di cui è 17
pieno il Mediterraneo antico, non la bellezza cosmetica di una dama di corte, ma il volto dimesso di una ragazza di campagna, povera, illetterata. Volto «puro» nel senso etimologico, perché vuoto di tutto ciò che è inautentico; volto vergine in quanto volto sorgivo, iniziale, nudo, privo di sovrastrutture, povero. Dio può entrare perché trova un vuoto. Di fronte al vento e al sole il meglio che l’aria possa fare è di essere trasparente. Di fronte allo Spirito il meglio che l’anima possa fare è di essere povera (Simone Weil). Una splendida immagine della mistica sufi descrive l’umiltà del servitore di Dio come una clessidra che si svuota con gioia. La gioia della povertà nasce da una certezza: la clessidra sa che presto, che all’improvviso, una mano la capovolgerà.
Il corpo inciso La promessa dell’angelo è molto concreta: «Concepirai e partorirai»; il venire di Dio trasforma il corpo e la vita di Maria. Anche il suo corpo: senza il corpo di Maria, il Vangelo perde corpo, diventa gnosi o ideologia o codice morale. 18
Il corpo di Maria è, nella storia, uno dei punti di contatto dell’umano con il divino. «Maria è uno dei luoghi di incontro tra la materialità della nostra vita e Dio. Per questo è molto importante» (Letizia Tomassone). Esso mostra come l’incontro con Dio trasforma, innanzitutto, non la mente ma il corpo e la vita: «La fede è una mano che ti prende le viscere e ti fa partorire» (Alda Merini), non un astratto pensiero. Maria è uno dei luoghi dove si incontrano, si rilegano insieme – come si rilegano le pagine disperse di un libro – la materialità dell’esistenza e Dio. L’unica nota mariana di Paolo («nato da donna», Gal 4,4) garantisce questo incontro, in cui si congiungono l’aspetto visibile e quello invisibile della fede. Non è diminuendo l’umano che in noi cresce il divino. Non è vero che meno umanità equivale a più divinità. È vero esattamente il contrario. Più Dio equivale a più io. Se Natale non fosse, io non sarei. Solamente chi cerca vita troverà Dio. E chi troverà Dio troverà vita in pienezza. In fondo, «non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano» (Dietrich Bonhoeffer). La promessa di Dio è molto concreta: trasformare il corpo e la vita. E in Maria diventa visibile 19
la vita trasformata. «Gli amici della sposa non vedono ciò che accade nell’intimità con lo sposo, ma quando inizia a lievitare il ventre della sposa essi intuiscono ciò che è avvenuto nel segreto della camera nuziale» (Simone Weil). Io so che hai incontrato Dio se dall’incontro tu ritorni trasformato. Incontrare Dio cambia la vita, la rende fruttuosa. Quello che per noi è più difficile, oggi, è mostrare la visibilità di quello che ci accade nell’incontro con Dio. Quali sono i segni visibili dell’incontro con Dio, della trasformazione avvenuta, di una vita abitata da lui? Siamo capaci di testimoniare i segni del passaggio di Dio nella nostra esistenza? Il Vangelo per farsi credere ha bisogno di un anticipo di corpo, di un capitale di incarnazione, di vite segnate, incise, marchiate, impresse dalla Parola. Ha bisogno di testimoni, di martiri. Non perché siano loro a rendere credibile il Vangelo, ma perché ognuno di noi possiede invece il terribile potere di togliere credibilità all’annuncio con la sua controtestimonianza. Dobbiamo lasciare che la Parola diventi corpo e muova le nostre mani, i nostri occhi, i nostri gesti. Li muova in modo nuovo, legato alla pace, alla giustizia, alla tenerezza. 20
Maria è la testimone autorevole che Dio sta nella vita e la trasforma. Che, alla fine, sacro e reale coincidono.
Nelle cose dell’amore Maria è promessa sposa, invitata alla vita. La ragazza è entrata nella dinamica dell’amore e così ora la sua vita è diventata reale e tangibile. Ogni chiamata d’amore è infatti un invito alla vita, a quel luogo misterioso dove la vita celebra la sua festa. L’amore chiede eternità e interpella il perché dell’esistenza. Christos Yannaras, nel suo libro Variazioni sul Cantico dei Cantici, scrive: Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante; mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi l’acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è accanto a te, tutto risorge e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua incapace a sostenerla. Questa piena della 21
vita è l’amore… Esso non è privilegio dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di lui.
Forse per questo la parola «Dio» è sempre stata coniugata con la parola «amore». L’amore non è solo una vicenda umana. Se c’è qualcosa sulla Terra che apre la via alla trascendenza, questa cosa è l’amore. Maria è aperta alla trascendenza proprio perché promessa sposa, perché è già entrata nelle cose dell’amore. Proprio perché innamorata, Maria può percepire il messaggio dell’Assoluto.
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Indice
Introduzione. Un abbraccio che salva
pag.
5
1. Nel buio di un grembo
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11 14 16 18 21
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23 26 28 29 31 33 35 37
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Dalla periferia Lo splendore del dimesso Il corpo inciso Nelle cose dell’amore
2. Magnificat! Spiritualità del viaggio Portare il Verbo Lo spazio degli affetti «Benedetta tu fra le donne» Un nuovo decalogo Levità Credente gioiosa
3. Dubbi e sogni Amare senza possedere L’annuncio alla coppia
Un labirinto di domande La stagione che illumina il viso
4. Betlemme, casa di pane Il censimento Le fasce e la mangiatoia Casa del pane Un angelo per chi veglia nella notte Il tempo dello stupore Nel cuore Perché Il vasaio e l’argilla
5. Inciampare in una stella Amare l’umanità di Cristo Un bambino in braccio a sua madre Una stella in fondo al cuore Partiti i Magi
6. Famiglia santa La prova dell’incomprensione In pellegrinaggio verso casa La coppia come profezia L’arte di vivere Una vita bella La sfida del quotidiano
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53 56 58 60 62 64 66 68 69
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ABC della vita cristiana Testi agili che offrono un orientamento per introdursi nel cuore della spiritualità cristiana, per muovere i primi passi nella fede in Gesù di Nazaret, per allenarsi a compiere scelte in sin tonia con il Vangelo. 1. Coltivare l’amore. Matrimonio e famiglia alla luce di Amoris laetitia, di George Augustin 2. Scegliere di rinnovarsi. Cammino di conversione per una Chiesa di «schiodanti», di Antonio Ruccia 3. Testa o cuore? L’arte del discernimento, di Gaetano Piccolo 4. Nascere di nuovo. Un itinerario di guarigione interiore, di Gaetano Piccolo 5. Fame di Dio. L’Eucaristia nella vita quotidiana, di Anna Maria Cànopi 7. #Noistiamoacasa. Vivere insieme. Istruzioni per l’uso, di Anselm Grün; Simon Biallowons 8. La porta del castello. Breve iniziazione ai modi di pregare, di Giuseppe Forlai 9. Dieci parole per curare. Il Decalogo biblico riletto in chiave terapeutica, di Gianluigi Peruggia 10. San Giuseppe. Gli occhi del cuore, di Margarita Saldaña Mostajo 11. Se non lo cerchi lo trovi. Introduzione alla Meditazione silenziosa, di Paolo Scquizzato 12. La danza dei grembi, di Ermes Ronchi 13. Natale. L’abbraccio di Dio, di Ermes Ronchi
226U 13
vita
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AB
D E LL
cristiana
«A Natale la Parola è un bambino che non sa parlare. L’Eterno è un neonato, appena il mattino di una vita. Un neonato non può far paura: si affida, vive solo se qualcuno lo ama e si prende cura di lui. Come ogni neonato, Gesù vivrà solo perché amato. Dio viene come mendicante d’amore. Ecco il prodigio più grande: Dio di carne. Parola rivoluzionaria: l’impensabile di Dio, la vertigine della storia». ErmEs ronchi è frate dell’Ordine dei Servi di Maria, discepolo di David Maria Turoldo. È docente e collabora con diverse testate giornalistiche, tra cui Avvenire. Dal 2009 al 2014 ha condotto la rubrica Le ragioni della Speranza all’interno del programma di cultura cattolica su Rai Uno A sua immagine. Ha predicato gli esercizi spirituali a papa Francesco e alla Curia romana ed è impegnato nella guida di corsi e ritiri. Fra le sue pubblicazioni con Paoline, La danza dei grembi. Meditazioni per l’Avvento (2022).
ISBN 978-88-315-5636-1
€ 8,00