VLADIMIR GHIKA
Incontrare Vladimir Ghika (1873-1954), nipote dell’ultimo sovrano di Moldavia, è, prima di tutto, comprendere il mistero della sua anima rumena attraversata dalla ricchezza della cultura francese e abitata dalla luce della fede. Camminare con Vladimir Ghika significa scoprire il percorso della sua esistenza dedicata a Dio e al prossimo e il ruolo fondamentale da lui svolto nel favorire il dialogo tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa. Conoscere Vladimir Ghika vuol dire cogliere la pienezza del suo amore « forte come la morte », quell’amore che lo ha portato a sacrificare la vita come martire, a testimonianza della propria fede. « La morte può distruggere tutto », diceva, « tranne l’amore ».
Mihaela Vasiliu
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Mihaela Vasiliu, di origine rumena, medico, ha insegnato alla facoltà di medicina di Bucarest dal 1968 al 1990. Attualmente vive e lavora in Germania. Fa parte del movimento di preghiera per la santificazione del clero « Virgo fidelis », fondato da Vladimir Ghika.
Foto di copertina: Archivio Vladimir Ghika © 2004-2014 Arcidiocesi di Bucarest
MIHAELA VASILIU
VLADIMIR GHIKA Il principe martire
Vladimir Ghika, principe rumeno, cresciuto nella fede ortodossa, convertitosi al cattolicesimo, diventato sacerdote e infine martire, è un’eminente figura del XX secolo. Frequentatore a Parigi della cerchia di Jacques e Raïssa Maritain, negli anni 1925-1929 diede vita alla casa dei Fratelli e Sorelle di San Giovanni, antesignana delle comunità che oggi si consacrano all’evangelizzazione. Per Vladimir Ghika ogni incontro, in particolare con i poveri, era una liturgia, « la liturgia del prossimo », che significava apertura e disponibilità totali. A ciascuno offriva conforto spirituale e materiale, attingendo la forza dalle lunghe ore di adorazione eucaristica, in una semplice baracca trasformata in cappella. Tornato in Romania allo scoppio della Seconda guerra mondiale, vi rimase anche in seguito, durante l’occupazione sovietica, svolgendo un’intensa attività nei confronti di giovani, studenti, intellettuali, malati e indigenti. I suoi interventi, all’origine di numerose conversioni, attirarono l’attenzione del regime. Arrestato nel 1952 e condannato, fu imprigionato nella fortezza di Jilava, nei pressi di Bucarest. Sebbene torturato e sofferente per la fame e ogni genere di umiliazioni, seppe essere una luce, una presenza di riferimento per i compagni di detenzione. Il suo martirio è la testimonianza suprema della sua carità. È stato beatificato il 31 agosto 2013.
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UOMINI E DONNE 150
Mihaela Vasiliu
VLADIMIR GHIKA Il principe martire
Prefazione di Dany Dideberg
Titolo originale dell’opera: Une lumière dans les ténèbres. Mgr Valdimir Ghika © Les Éditions du Cerf, 2011 - Paris Traduzione dal francese di Beppe Gabutti Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana © 2008, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena Per i testi citati dal Magistero della Chiesa e da documenti dei pontefici © Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it edlibri.mi@paoline.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)
OMAGGIO
Alla Santa Vergine Maria, Regina dei martiri. A tutti i martiri della fede in Romania. A coloro che mi hanno trasmesso l’amore e la fiducia in Gesù Cristo con il loro vissuto e la loro vita profonda di preghiera: madre Clarissa (Marcela Duca), sorella di Sion (Ploiesti, Romania); padre Sebastiano Petre ocd (Bucarest, Romania); fratel Agostino (Cicu Georghe), fratello delle Scuole cristiane (Bucarest, Romania); padre André van Raemdonck sj (Bruxelles, Belgio).
VIII
LA SOFFERENZA
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. (Is 53,4)
Soffrire significa avvertire dentro di sé una privazione e un limite. Privazione di ciò che si ama, limite portato a ciò che si ama. Si soffre in proporzione al proprio amore. La capacità di soffrire è identica alla capacità di amare (ES 62). Soffrire è ritrovarsi feriti in uno dei molteplici amori che fanno parte di noi. Significa provare una privazione e un limite, sia nei beni in nostro possesso, sia in quelli di cui abbiamo bisogno, sia in quelli a cui aneliamo. La sofferenza può perciò colpire uno dei nostri amori nel passato, nel presente e nel futuro. Per questa ragione, allo stesso modo dell’amore che la fa nascere, lede la nostra personalità e la invade. La sofferenza è assimilabile alla realtà, forte come noi stessi, una realtà avversa che è presente in noi e contro di noi: essa determina un blocco più o meno totale di uno di quegli impulsi universali che ci fanno esistere (ES 62).
La sofferenza abita la nostra vita. Fa parte della vita. La sofferenza umana è molto estesa. Ha molte sfaccettature: dolore, tormento, male, afflizione, amarezza, dispiacere, tortura, supplizio. Ogni sofferenza è un « dolore »: come sofferenza fisica, un dolore del corpo; come sofferenza morale, un dolore dell’anima. Si tratta di una realtà in grado di distruggere 65
l’armonia e la pace di un essere umano, sia nella dimensione corporea che in quella spirituale, con la possibilità di modificare l’equilibrio della sua vita. La ferita può essere più o meno profonda, ma ha comunque un impatto sull’omeostasi dell’organismo e un influsso sul suo ambiente. Nessuno ne viene risparmiato, dal momento che le ferite possono avvicendarsi a partire dalla nascita, a volte persino prima, e nel corso di tutta la vita. La sofferenza è sia personale, sia collettiva, come nel caso di catastrofi, cataclismi, guerre, epidemie… Il cuore della persona che soffre viene scosso di frequente da un insieme di domande cocenti. Qual è il senso di questa sofferenza? E perché proprio a me? Si tratta di una punizione, di una correzione, di un caso, di una forma di giustizia oppure semplicemente di una prova? Come spiegare la sofferenza dell’innocente? E come affrontare la sofferenza quando ci si ritrova da soli? Entriamo nel mistero della sofferenza, che può essere illuminato solo dall’amore divino. È però necessario che questo amore si riveli e che la nostra intelligenza sia in grado di percepirlo. Monsignor Ghika parla del dolore in questi termini: « Il dolore, cristianamente compreso, è, come abbiamo avu to modo di vedere, un sacramento di enigmi e di prove » (ES 77). Nei suoi scritti, accorda una grande importanza alla sofferenza, da lui spiegata nel contesto della fede. C’è nel dolore qualcosa dell’essenza misteriosa del sacramento. È come un sacramento del nulla, il sacramento delle « assenze reali », una specie di sacramento al contrario (…), Dio portato dal vuoto (ES 66).
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Il peccato ha introdotto la sofferenza nel mondo. Tuttavia, colui che è amore e che ha sconfitto il peccato con l’amore lo ha trasfigurato conferendogli una capacità di redenzione. La croce è la forza che ha trasformato il dolore! La luce della Parola può farci comprendere il senso della sofferenza attraverso la croce e l’esperienza del DioUomo. Per Vladimir Ghika il significato del dolore può solo essere rivelato da una sua lettura cristiana. Per lui, la sofferenza è una visita di Dio.
La sofferenza è la vicinanza di Dio, per riparare una legge divina infranta, più vecchia del mondo, eterna, senza inizio. Ed è la vicinanza di Dio perché la sofferenza, essendo fine e limite di noi stessi, ci porta alla nostra frontiera e ci avvicina, in maniera sensibile, a Dio, che inizia dove noi finiamo. Ed è ancora Dio vicino a noi perché ha voluto affrontare quella che era la nostra punizione per poterla convertire in salvezza. E infine è Dio vicino a noi, dal momento che ha trasformato se stesso nell’uomo dei dolori e in colui che salva attraverso il dolore (ES 68).
Nella nostra vita, siamo pellegrini e Dio ci visita in occasione di ogni evento doloroso o felice. In effetti, nulla di ciò che ci riguarda è estraneo a Dio. Dio non è mai indifferente. L’Eterno posa incessantemente il suo sguardo su di noi. Scende al livello della nostra pochezza per benedirci con la sua presenza nella notte stessa del nostro smarrimento. Questo intervento misterioso corrisponde al suo piano e alla sua santa volontà. A volte, può strapparci un grido, lo stesso di Gesù: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27,46; Mc 15,34). Il Signore ha messo nel cuore di Vladimir Ghika una grande fede, che gli dà la forza di accettare in pace la visi67
ta di Dio in ogni circostanza. E questa pace non lo ha mai abbandonato, soprattutto nel momento in cui ha dovuto affrontare il fuoco del martirio del corpo e dell’anima.
O Dio, le tue visite sono sempre intense e profonde. Tu, che sei all’origine del nostro essere, con il dolore smuovi le radici stesse del nostro essere mutilato che, dal profondo, dà voce al nostro grido. Tuttavia, da quando abbiamo conosciuto chi sei, Padre, sai bene, Padre, che il nostro grido può solo essere il tuo nome. Se la gioia ti dà un nome, il dolore ti chiama. Il tuo nome si trova ovunque per il cristiano e, con il tuo nome, il Cielo (ES 72).
Se può essere temporanea, la desolazione può tuttavia essere anche definitiva ed eterna quando l’uomo cade nel peccato e nella morte. Gesù ha vinto il peccato e la morte attraverso l’accettazione ubbidiente della propria sofferenza. Con la morte in croce, ci ha garantito la grazia della risurrezione. Ha sconfitto il male e il peccato perché li ha assunti su di sé, tanto che la sua vittoria è la nostra redenzione. Ci ha promesso la vita eterna e l’unione dell’uomo con Dio. « Il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto » (Lc 19,10). Dio non è indifferente: vigila, è presente, anche nel cuore delle nostre notti più buie. Siamo figli suoi e un vero Padre non abbandona mai i propri figli perché li ama.
Dio vigila, Dio vigila: è la grande Sentinella di tutte le notti, che sono per lui terribili, le notti dell’intelligenza, le notti del cuore, le notti della carne, le notti del male le cui tenebre scendono a ogni ora sull’umanità sofferente. Chi sarà in grado di dire con quale amore veglia su di noi? Questo amore ha un nome e una qualità: è un amore infinito (ES 84).
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La sofferenza vissuta con Dio non è inutile e la nostra offerta insignificante unita alla passione di Cristo diventa non soltanto una fonte di vita per molti di noi, ma anche una fonte di gioia, « la gioia della croce » e della sua azione salvifica. Se sai prendere su di te il dolore di un altro, il Signore prenderà su di sé questo dolore, dentro di te, e lo farà suo in vista della salvezza. Lo prenderà con tanto più slancio se lo trova già sradicato e trapiantato nel tuo cuore. E, dal momento che lo incontra purificato da ogni egoismo, trasfigurato dalla pietà, santificato dall’amore cristiano, la consolazione sarà più forte nell’altro e la benedizione più viva in te, con il traguardo di una gioia più grande in entrambi (PSJ 28).
Vladimir Ghika ci invita a « contare su Dio con uno slancio in cui tutta la nostra anima è in gioco » (ES 82), perché « per le sue piaghe noi siamo stati guariti » (Is 53,5). La vita di monsignor Ghika è stata particolarmente tormentata: molto presto orfano di padre, ha condiviso il dolore della madre. Pur sperimentando di persona le prove della guerra e delle malattie, è rimasto sempre presente alle sofferenze dell’anima o del corpo, morali o materiali. Offrendo senza riserve il suo sostegno, paga spesso di persona e manifesta una grande benevolenza. Su questa linea, nel corso delle sue peregrinazioni in Oriente, si trova a contatto con la miseria dei lebbrosi. Decide allora di studiare a fondo il problema della lebbra per mettersi al servizio di questi ammalati. Nel 1939, durante la Seconda guerra mondiale, condivide in Romania la miseria e le sofferenze dei suoi fratelli ed è considerato una Provvidenza permanente. Dopo la guerra, continua a essere animato dallo stesso spirito di sacrificio, che lo porta ad alleviare il malessere 69
dei suoi fratelli in un Paese occupato e devastato dal nuovo regime. Tuttavia, a causa dell’aiuto materiale e spirituale prestato ai suoi, subisce la repressione del regime. La sofferenza può tuttavia arrivare a distruggere i più forti. Se però viene unita a quella di Gesù, acquista il potere di trasformare e trasfigurare le anime e conferisce la grazia della conversione dei cuori. In prigione, monsignor Ghika continua a rasserenare i suoi sfortunati compagni. Al riguardo, non esita a privarsi di una parte della sua piccola razione di cibo per distribuirla a loro. Li incoraggia e prega per coloro che, come lui, si trovano a subire le infamie della detenzione. Con le sue preghiere, che privilegiano la recita del Rosario e la Via Crucis, aiuta i compagni di cella a sopportare tutto per amore di Gesù. Riesce a convincerli che le più umili sofferenze, associate a quelle di Gesù, possono cambiare la faccia del mondo. Sono molti coloro che hanno incontrato monsignor Ghika in prigione e che gli sono sopravvissuti: ne sono usciti trasformati e sono diventati buoni cristiani e persino apostoli. Vladimir Ghika offre generosamente la propria morte nel carcere comunista, restando fedele ai suoi scritti: Consolare significa poter fornire a un altro qualcosa di più vero del suo dolore. Consolare è far vivere una speranza. Consolare è far vedere in noi a colui che soffre l’amore di Dio per lui (PSJ 24).
Vladimir Ghika è in grado di contattare tutti coloro che soffrono, dal momento che la compassione di Cristo abi70
ta il suo cuore. E la madre di ogni consolazione, la Vergine Maria, ha sempre alimentato la sua fiducia e la sua forza nei momenti difficili. Per le nostre ferite personali il Signore ci offre sua madre, colei che « stava presso la croce di Gesù » (Gv 19,25). Le parole dell’Ave Maria hanno accompagnato Vladimir Ghika fino all’ora della morte. La presenza della Vergine dei dolori ha anche mitigato i tormenti dei suoi compagni di cella. Il Cristo ha sofferto per amore e la sua sofferenza è la vittoria dell’amore. L’amore può sanare tutte le ferite. « Il cuore trafitto di Cristo è il focolare dal quale l’amore divino si espande come un fuoco nell’universo intero »1. La nostra sofferenza, unita alla sofferenza di Cristo, è una grande forza perché diventa partecipe della redenzione. Ogni sofferenza del « corpo di Cristo », unita alla passione di Gesù, si trasforma in una sofferenza salvifica. Nella sua lettera apostolica Salvifici doloris, papa Giovanni Paolo II ci ha rivelato il significato cristiano della sofferenza: « Il mistero della Redenzione del mondo è in modo sorprendente radicato nella sofferenza, e questa, a sua volta, trova in esso il suo supremo e più sicuro punto di riferimento »2. In unione con monsignor Ghika, preghiamo Dio che ci dà la guarigione di tutte le nostre ferite: Signore Gesù, tu che conosci così bene la sofferenza umana, tu che sei la sentinella nella notte della nostra sofferenza, tu che sei colui che prende su se stesso la nostra sofferenza
1 D. Dideberg, Contempler le coeur du Christ, Fidélité, Namur 1999, p. 67 (trad. it. Contemplare il cuore di Cristo, EDB, Bologna 2001). 2 Giovanni Paolo II, lett. apost. Salvifici doloris, 11 febbraio 1984, 31.
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per amore, ti preghiamo, concedici la grazia di avere, come Vladimir Ghika, una fiducia illimitata nel tuo amore di risurrezione, nel tuo amore infinito. Amen.
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INDICE
Omaggio
pag. 5
Sigle
»
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Prefazione
» 11
Tappe di una vita (1873-1954) I Itinerario spirituale
» 15 » 23
II
Il soffio dello Spirito
» 27
III
La presenza di Dio
» 34
IV
La preghiera
» 40
V
La liturgia del prossimo
» 47
VI
La teologia del bisogno
» 52
VII La visita ai poveri
» 58
VIII La sofferenza
» 65
IX
La Parola, una fonte viva
» 73
X
Una vita eucaristica
» 81
XI
La grazia dell’adorazione
» 87
XII La Santa Vergine Maria
» 95
XIII Due sacramenti che manifestano la vita della Chiesa
» 102
XIV Lo spirito della casa di San Giovanni a Auberive XV Vladimir Ghika precursore dell’unità della Chiesa XVI Dare la propria vita Bibliografia
pag. 111 » 118 » 130 » 137
Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano - 2014
VLADIMIR GHIKA
Incontrare Vladimir Ghika (1873-1954), nipote dell’ultimo sovrano di Moldavia, è, prima di tutto, comprendere il mistero della sua anima rumena attraversata dalla ricchezza della cultura francese e abitata dalla luce della fede. Camminare con Vladimir Ghika significa scoprire il percorso della sua esistenza dedicata a Dio e al prossimo e il ruolo fondamentale da lui svolto nel favorire il dialogo tra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa. Conoscere Vladimir Ghika vuol dire cogliere la pienezza del suo amore « forte come la morte », quell’amore che lo ha portato a sacrificare la vita come martire, a testimonianza della propria fede. « La morte può distruggere tutto », diceva, « tranne l’amore ».
Mihaela Vasiliu
92H 150
Mihaela Vasiliu, di origine rumena, medico, ha insegnato alla facoltà di medicina di Bucarest dal 1968 al 1990. Attualmente vive e lavora in Germania. Fa parte del movimento di preghiera per la santificazione del clero « Virgo fidelis », fondato da Vladimir Ghika.
Foto di copertina: Archivio Vladimir Ghika © 2004-2014 Arcidiocesi di Bucarest
MIHAELA VASILIU
VLADIMIR GHIKA Il principe martire
Vladimir Ghika, principe rumeno, cresciuto nella fede ortodossa, convertitosi al cattolicesimo, diventato sacerdote e infine martire, è un’eminente figura del XX secolo. Frequentatore a Parigi della cerchia di Jacques e Raïssa Maritain, negli anni 1925-1929 diede vita alla casa dei Fratelli e Sorelle di San Giovanni, antesignana delle comunità che oggi si consacrano all’evangelizzazione. Per Vladimir Ghika ogni incontro, in particolare con i poveri, era una liturgia, « la liturgia del prossimo », che significava apertura e disponibilità totali. A ciascuno offriva conforto spirituale e materiale, attingendo la forza dalle lunghe ore di adorazione eucaristica, in una semplice baracca trasformata in cappella. Tornato in Romania allo scoppio della Seconda guerra mondiale, vi rimase anche in seguito, durante l’occupazione sovietica, svolgendo un’intensa attività nei confronti di giovani, studenti, intellettuali, malati e indigenti. I suoi interventi, all’origine di numerose conversioni, attirarono l’attenzione del regime. Arrestato nel 1952 e condannato, fu imprigionato nella fortezza di Jilava, nei pressi di Bucarest. Sebbene torturato e sofferente per la fame e ogni genere di umiliazioni, seppe essere una luce, una presenza di riferimento per i compagni di detenzione. Il suo martirio è la testimonianza suprema della sua carità. È stato beatificato il 31 agosto 2013.
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