Dizionario italiano-occitano | occitano-italiano

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Dizionario ItalianoOccitanoItaliano

Dizionario cover

ISBN 978-88-902997-3-5

9 788890 299735

€ 18,00 iva inclusa

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La ragione principale che ha motivato la Regione Piemonte ad impegnarsi per la pubblicazione di un vocabolario come quello che ho il piacere di presentare non è solo, in questo caso, la consapevolezza di contribuire a divulgare un’opera di valore. Con essa non si pretende di imporre un modello normativo, né di approvare uno “standard” regionale, bensì di fornire un materiale che, oltre ad essere scientificamente ineccepibile, si porrà senz’altro come riferimento per il proseguimento di una discussione di ormai lunga data: la normalizzazione della lingua occitana e della sua grafia. Siamo ben consci delle diverse posizioni esistenti sull’argomento e dell’importanza degli argomenti invocati a sostegno delle diverse posizioni da singoli studiosi, accademici, enti e associazioni. Tuttavia, se è importante “di per sé” che la lingua sia parlata, la capacità di diffonderla anche per iscritto senza dare l’impressione di una eccessiva parcellizzazione sembra un traguardo da tenere comunque in considerazione. Probabilmente, non sarà un risultato a breve termine, ma la pubblicazione di questo vocabolario può senz’altro costituire un utilissimo strumento di confronto e di sfida. Quanto al valore della ricerca e alla veste editoriale che ha assunto non si può che sottolineare come sia frutto di un lungo lavoro preparatorio e dell’impegno di numerosi studiosi. Le ricerca, nata ormai diversi anni or sono nell’ambito di un progetto Interreg II (Italia – Francia) che ha portato alla costituzione di Espaci Occitan, non si è limitata a coinvolgere studiosi italiani e francesi: la “Commissione Internazionale per la Normalizzazione Linguistica dell’Occitano Alpino” è stata infatti coordinata dal professor Xavier Lamuela, attivo per la valorizzazione dell’occitano in terra catalana. Al termine del progetto Interreg si correva il rischio che l’intero lavoro svolto rimanesse sconosciuto a studiosi e parlanti: per ovviare a ciò, l’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, raccogliendo l’invito di Espaci Occitan, ha supportato un’apposita iniziativa per la pubblicazione dei risultati della ricerca, che si è rivelata non meno difficile della ricerca stessa. Man mano che si procedeva nei lavori, infatti, è emersa la necessità di non lasciarsi sfuggire l’opportunità di pubblicare un vocabolario che presentasse il maggior numero possibile di equivalenze lessicali e fosse corredato da una serie di contributi scientifici che potessero chiarire metodologia e scelte adottate. Ciò ha comportato un allungamento dei tempi, ma ora che la fatica è compiuta, si può essere soddisfatti del risultato conseguito. Si tratta, in realtà, di un primo risultato: fornire a ricercatori e parlanti uno strumento di lavoro. Un secondo è in prospettiva: avviare una discussione seria e pacata, senza preclusioni né “vincoli” sull’esito, in merito alla normalizzazione della lingua occitana. È con tale auspicio che presento questo studio, frutto di anni di lavoro, nella certezza che l’impegno per la valorizzazione dell’occitano non rimarrà senza esito. Gianni Oliva Assessore regionale alla Cultura e alle minoranze linguistiche

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Questo dizionario è il frutto di una scelta complessa che trova origine nella necessità di raccogliere e tradurre in una comune forma scritta l’oralità delle nobili parlate occitaniche tutt’ora fortemente presenti nelle valli alpine a sud ovest del Piemonte. Si avvertiva più che mai l’esigenza di creare una guida all’occitano alpino che, garantendo il rispetto delle varianti linguistiche caratterizzanti le differenti parlate locali, fosse capace di indirizzare l’utente all’utilizzo di un metodo di scrittura unico, applicabile ad ogni varietà linguistica e comprensibile in tutta l’Occitania. È questa la ragione che ha indotto l’ente capofila Comunità Montana Valle Maira, nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Interreg II Espaci Occitan realizzata con la regia della Regione Piemonte tra il 1998 e il 2001, ad avviare, tramite una Commissione Internazionale all’uopo incaricata, un attento e scrupoloso lavoro di normalizzazione della grafia occitana sul territorio piemontese di lingua d’oc. Tale iniziativa, ampiamente condivisa dagli altri enti montani cofinanziatori del progetto Espaci Occitan (Comunità Montane Valle Pellice, Valli PoBronda-Infernotto, Valle Varaita, Valle Stura, Valli Gesso-Vermenagna-Pesio, Valli Monregalesi e Comune di Dronero) ha portato alla produzione del primo vocabolario italiano/occitano in grafia classica che raccoglie la traduzione in occitano di circa diecimila parole italiane. Poiché però l’obiettivo principale del lavoro avviato dalla Comunità Montana Valle Maira era quello di mettere a disposizione degli utenti uno strumento linguistico completo in relazione a quanto realizzato dalla Commissione Internazionale, Espaci Occitan, in accordo con la Regione Piemonte e l’ente montano titolare della ricerca, ha provveduto all’integrazione del documento iniziale con l’aggiunta dell’entrata occitano/italiano originariamente non programmata. Il presente dizionario, curato integralmente dalla dott.ssa Rosella Pellerino su incarico dell’Associazione Espaci Occitan, si presenta dunque come un’opera che raccoglie un lavoro tratto dallo studio realizzato dalla Commissione Internazionale presieduta dal prof. Xavier Lamuela su incarico della Comunità Montana Valle Maira, ed un lavoro integrativo di nuova realizzazione condotto al fine di rendere l’opera quanto più completa possibile. Il vocabolario di seguito presentato, realizzato per la versione in lingua occitana con l’utilizzo della grafia classica, non vuole essere un’imposizione, ma piuttosto una proposta che ci auguriamo venga accolta positivamente. Questo strumento che rappresenta sia un supporto per la popolazione occitanofona che per tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla lingua occitana da neofiti, non ha la presunzione di essere esaustivo, ma costituisce soltanto l’inizio di una minuziosa ricerca che dovrà essere implementata nel tempo. Come una lingua si evolve, anche gli strumenti di comunicazione devono essere sempre nuovi ed efficaci e con questo lavoro, che racchiude il parlare del passato e i termini comunicativi di oggi, ci auguriamo che le basi gettate perdurino saldamente nel tempo. Livio Acchiardi Presidente Comunità Montana Valle Maira Giorgino Cesano Presidente Espaci Occitan

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Indice

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Inquadramento generale Presentazione del dizionario Introduzione Bibliografia Trascrizione fonetica I. Norme ortografiche dell’occitano alpino orientale II. Morfologia della varietà referenziale III. Guida alla consultazione Dizionario Italiano/Occitano Dizionario Occitano/Italiano

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p. 008 p. 012 p. 013 p. 016 p. 018 p. 019 p. 036 p. 069 p. 075 p. 215

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Inquadramento generale La lingua occitana: breve inquadramento storico

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L’Occitano è una lingua neolatina, derivata dal latino imposto dai Romani dopo la conquista della Gallia; perciò si dice anche che è una lingua gallo-romana o romanza. Con la fine dell’impero romano, il latino parlato nei territori dell’Impero poco a poco si modificò, sino a dare origine alle diverse lingue romanze: portoghese, spagnolo, catalano, francese, occitano, italiano, franco-provenzale, sardo, ladino, rumeno, dalmatico. Quando Dante Alighieri nel XIV secolo tentò una prima classificazione delle parlate romanze, prese come riferimento la particella che nelle varie lingue indicava l’affermazione: determinò così tre idiomi, la lingua del sì, l’italiano, la lingua dell’oil, oiltano o francese, e la lingua d’òc, l’occitano. Òc deriva infatti dal latino hoc est, è questo, è così; il termine Occitania passò così ad indicare l’insieme delle regioni in cui si parlava la lingua d’òc: la prima attestazione del termine risale al 1290. Anche l’amministrazione reale francese a partire dal XIV secolo prese a chiamare col nome di patria linguae occitanae i feudi meridionali. I primi documenti in lingua d’òc risalgono al X secolo: si tratta in genere di atti giuridici, ma sono importanti perché dimostrano l’affermazione delle lingue romanze o volgari (del vulgus, popolo) sul latino. Il più antico documento letterario europeo scritto in una lingua romanza è proprio in occitano e risale all’880. Ma è a partire dal XII secolo che inizia in Aquitania il periodo più felice della letteratura occitana, quello dei trovatori, che prosegue per tutto il Duecento. I trovatori divengono i veri ispiratori delle principali scuole poetiche d’Europa, da quella tedesca a quella siciliana, sino a dante e al Dolce Stil Novo. Dante si riterrà sempre debitore nei confronti dei trovatori, al punto da inserire nella Divina Commedia, al Canto XXVI del Purgatorio, la figura di un trovatore che declama alcuni versi in occitano:

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Tan m’abellis vostre cortes deman Qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan Consiros vei la passada folor E vei jausen lo joi qu’esper, denan. Ara vos prec, per aquella valor Que vos guida al som de l’escalina Sovenha vos a temps de ma dolor! Purg., XXVI, vv.140-148 L’occitano si rivela perciò il primo modello di lingua volgare universale, un perfetto esempio di koinè sopradialettale. Questa lingua mantiene la propria unità sino al XV secolo, quando si avvertono i primi effetti massicci della frammentazione dialettale e dell’influsso francese. Nel 1539 infatti, con l’editto di VillersCotterêts, l’imperatore Francesco I bandisce ufficialmente la lingua d’òc dal territorio francese. Essa sopravvive soltanto come lingua del popolo. Occorrerà attendere l’Ottocento per assistere ad una ripresa, con il gruppo del Felibrige e Mistral, che compone nella varietà provenzale le sue opere più celebri, Mireio, Calendau e Lo poema dau Rose del 1897, per le quali riceve nel 1904 il premio Nobel per la letteratura. Nel XX secolo molto di deve a Lois Alibert e all’I.E.O., Institut d’Estudis Occitans, che è ancor oggi la principale struttura che si occupa della tutela e della diffusione della lingua. Oggi la produzione in lingua d’òc sia oltralpe che nelle nostre valli è vivacissima, con raccolte di poesie, saggi, dizionari e romanzi, nonché di brani musicali. Negli anni ’80 la Val d’Aran ha ottenuto uno statuto di autonomia ed oggi la sua lingua ufficiale è l’occitano; in Francia alcuna legge tutela le lingue minoritarie, mentre in Italia lo Stato ha riconosciuto la minoranza linguistica d’òc il 15 dicembre 1999 con l’approvazione della legge 482.


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Lo stato attuale della grammatica occitana

indicare questi idiomi in senso dispregiativo; allo stesso modo, per anni nelle nostre valli non si è avuta coscienza di parlare l’occitano, e si è designata la parlata con l’espressione a nostro modo. Nel campo della scrittura, due sono le principali scuole che hanno originato grafie diffuse in tutto il territorio occitano. nel 1854 il movimento letterario del Felibrige, fondato da un gruppo di letterati provenzali, compie per la prima volta una chiara scelta ortografica e linguistica per la produzione in lingua d’òc: come lingua letteraria scelgono il dialetto provenzale rodaniano, e per la grafia fonetica usano il modello francese. Da questa grafia sono nate le varietà locali dette “Escolo”, ad esempio nelle valli del Piemonte si è affermata da anni l’”Escolo dou Po”. Nel 1935 però Lois Alibert pubblica la Gramatica Occitana e un dizionario francese-occitano nel quale propone una grafia adattata su quella classica e detta etimologica, utilizzabile da tutte le varietà occitane. Come lingua referenziale, da impiegarsi cioè dai mass-media, nelle scuole o in pubblico per comprendersi fra appartenenti a regioni occitane diverse, viene scelto il lengadociano.

La lingua occitana è presente oggi in tre stati: il sud della Francia, con 32 dipartimenti su una superficie di 192 mila kmq e 12 milioni di abitanti; la Spagna, con la pirenaica Val d’Aran che si estende su 450 kmq e conta 7 mila abitanti; l’Italia, con 14 valli e 120 comuni delle province di Cuneo, Torino e Imperia per una superficie di 4300 kmq e 180 mila abitanti. È occitana anche guardia Piemontese in Calabria, popolata nel XIV secolo da valdesi delle valli Pellice, Varaita e Po. L’Occitano si divide in due grandi “famiglie”, con pronunce e caratteristiche diverse: quella del Sud-occitano e quella del Nord-occitano. Come tutte le lingue, l’Occitano ha poi delle varianti locali, le cui varietà principali sono il Guascone a sudovest, il Lengadociano al centro-sud, il Provenzale a sud-est, il Limosino a nord-ovest, l’Alverniate al centro-nord, il Vivarese alpino o Occitano alpino a nord-est. Le parlate delle valli occitane d’Italia fanno parte del Nord-occitano e sono un particolare gruppo dell’Occitano alpino. Spesso si è usato il termine patois per

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Questa grafia, detta alibertina o classica, e che risulta in effetti maggiormente adatta a coprire tutte le varietà fonetiche di un territorio così ampio, da qualche anno è giunta nelle valli del Piemonte e si sta poco a poco affiancando a quella dell’”Escolo dou Po”.

L’insegnamento della lingua - stato attuale Nelle regioni occitane si è avviato in questi ultimi anni un movimento di pensiero volto a recuperare la memoria storica dal punto di vista culturale, sociale ed economico. Tale recupero ha generato studio e ricerca a livello internazionale e nei più svariati settori, dal campo architettonico a quello linguistico, dalla toponomastica alle tradizioni locali, al fine di avere una visione e una conoscenza sempre più completa del proprio passato. Il bilinguismo è una risorsa, e affinché resti tale anche per l’avvenire la conoscenza della lingua locale dev’essere incrementata. La lingua è infatti il simbolo per eccellenza dell’identità culturale di un popolo, e la sua valorizzazione e tutela hanno grande valenza dal punto di vista storico ed economico. Conferendo la connotazione originale del territorio e ponendosi come elementi di continuità culturale, la lingua e la cultura occitana permetteranno una riqualificazione delle valli finalizzata ad una fruizione turistica e culturale. In Francia l’insegnamento dell’occitano è praticato in tutte le regioni di lingua d’òc in scuole private dette Calandretas: qui l’occitano non è solo l’oggetto dell’insegnamento, ma anche la lingua veicolare per numerose altre discipline, dalla storia alla matematica. Le scuole Calandretas sono ormai una trentina, ricevono finanziamenti pubblici e privati, e offrono ai ragazzi la possibilità di frequentare le classi che vanno dalla scuola materna sino al diploma superiore. Per gli adulti, l’insegnamento è affidato invece all’iniziativa di Associazioni che tengono corsi serali, gratuiti. Oggi nelle valli, un buon numero di abitanti è ancora in grado di comprendere e parlare la lingua occitana. L’esperienza dell’insegnamento dell’occitano nelle scuole rimane per ora legata all’iniziativa

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di singoli insegnanti che hanno cercato di condurre gli studenti delle scuole dell’obbligo alla scoperta di aspetti peculiari del proprio territorio (natura, arte, tradizioni), affrontando a latere la questione della lingua, senza troppa attenzione verso la grafia. Ciò accade perché spesso gli stessi insegnanti non conoscono né la grafia né le regole grammaticali occitane, e così accanto alle due grafie sovracitate, molti lavori scolastici sono stati realizzati in grafie personali e locali, rendendo i pur interessanti lavori difficilmente “esportabili” in altre valli. L’iniziativa di un insegnamento capillarmente diffuso, rispettoso delle regole grammaticali e grafiche comuni a tutto il territorio occitano si rivela quindi quanto mai necessaria ai fini della diffusione della conoscenza della lingua e delle competenze, per scriverla ed impiegarla nel quotidiano a livello scolastico, amministrativo, turistico.

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Presentazione del dizionario

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Nel 1999 la Comunità Montana Valle Maira ha avviato il progetto relativo all’elaborazione di un documento di normalizzazione e di un prototipo di dizionario della lingua occitana. La “Commissione Internazionale per la Normalizzazione Linguistica dell’Occitano Alpino”, appositamente nominata, aveva l’incarico di proporre un’ortografia ed una varietà di riferimento per l’insieme delle parlate occitane alpine del Piemonte, nonché un dizionario italiano-occitano di ottomila parole. Per adempiere questo compito la Commissione ha impiegato documenti già editi sul territorio, come studi linguistici, grammatiche e vocabolari, integrando il proprio operato con inchieste eseguite espressamente con l’ausilio di informatori locali. Nel corso di questi anni la Commissione si è spesso riunita, in Italia e in Francia, dapprima per unificare i criteri di scelta normativa, successivamente per esaminare e collazionare gli elaborati nonchè discutere delle problematiche sorte nel corso del lavoro proponendo soluzioni valide. Al termine del lavoro di ricerca ed elaborazione gli ottomila lemmi iniziali sono in realtà stati superati, poiché avendo attinto da un dizionario di frequenza della lingua italiana è parso talvolta opportuno integrare il repertorio con alcuni termini altamente impiegati nelle valli. A tali lemmi sono venute a corrispondere oltre 13.000 equivalenze: accanto alle scelte proposte per la caratterizzazione di una varietà di riferimento, sono state inserite le principali varianti delle parlate occitane alpine orientali, reperite in vocabolari della Val Maira e della Val Varaita e anche quelle proprie della Val Germanasca, in modo che l’abbozzo del lessico caratterizzante la varietà di riferimento non potesse essere interpretato come un invito a dimenticare quello delle altre varietà né le loro caratteristiche linguistiche. La scelta di integrare il vocabolario italiano/occitano realizzato dalla Commissione Linguistica Internazionale con la corrispondente sezione occitana/italiana ha lo scopo di rendere più completo il lavoro compiuto, nonché più fruibile il materiale raccolto anche da parte di coloro che approcciano per la prima volta lo studio

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dell’occitano. A tal fine la morfologia, concepita in lingua occitana, è stata tradotta in italiano, perché attraverso l’uso della più nota lingua veicolare fosse assicurata la comprensione della grammatica e dell’ortografia occitana alpina. Nell’intento di approfondire con maggior dovizia di dettagli lemmi di non altissima frequenza ma di elevato peso specifico per le valli (Baía, acciugaio, ghironda), nonché di rendere maggiormente godibile la consultazione del vocabolario, sono stati realizzati box nei quali vengono presentate curiosità ed etimologie relative a tali voci nella parlata occitana alpina. Benché la varietà di riferimento privilegi forse le caratteristiche delle parlate centrali, sono state accolte soluzioni di altre origini; occorre inoltre ricordare che le forme referenziali sono state concepite non nell’intento di annullare le peculiarità locali, ma soprattutto per gli usi in cui una parlata locale poteva apparire inadeguata (manuali, saggi, testi amministrativi, moduli, articoli e altri prodotti linguistici destinati all’insieme della popolazione delle valli o a tutta la popolazione occitanofona. Il lavoro di normalizzazione linguistica propone pertanto una grafia ed una morfologia con regole precise. Essa perciò ha l’obiettivo non di snaturare o omologare le parlate occitane, ma di rendere la lingua, in quanto viva e dunque in naturale evoluzione, strumento di ampia comunicazione. Per le lingue cosiddette minori la norma non è quindi purismo né accademismo, ma uno strumento che rafforza e libera: le lingue non normalizzate, che non hanno cioè criteri fissi per la scrittura o l’insegnamento, sono lingue senza difesa, destinate ad estinguersi com’è accaduto per il dalmatico. La norma non è neppure uniformizzazione, ma normativizzazione, poiché le regole ortografiche adottate non vogliono omologare, ma hanno puramente lo scopo di conferire maggior funzionalità alla lingua. Infine, la norma garantisce la libertà di lessico e di registro e permette di utilizzare tutte le varianti dialettali.

Rosella Pellerino


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Introduzione L’incarico della Commissione Internazionale per la Normalizzazione Linguistica dell’Occitano Alpino1 era di proporre un’ortografia e una varietà referenziale per l’insieme delle parlate occitane impiegate nel territorio amministrativo della Regione Piemonte; la scelta doveva essere, inoltre, illustrata da un dizionario di ottomila parole. I limiti linguistici e geografici erano quindi ben definiti. Non si poteva svolgere il lavoro che ci era stato affidato senza una riflessione generale sul senso che esso poteva avere. Innanzitutto, occorreva domandarsi perché ci fosse bisogno di una varietà referenziale. La lingua è stata trasmessa sino ai nostri giorni senza che esistesse una forma unificata, non sarebbe possibile continuare così? La risposta è complessa ma è

già contenuta nella domanda: nella misura in cui la vita sociale continua così com’è stata finora, i meccanismi di trasmissione della lingua restano i medesimi, ma quando esistono situazioni differenti, devono esserci nuovi meccanismi di diffusione linguistica. Ciò significa che l’esistenza di una varietà referenziale permette di compiere delle scelte di lingua funzionali. A grandi linee, si può dire che quando è una persona ad esprimersi, impiega una varietà locale; quando è qualcuno che vuole adottare una voce neutra indirizzata alla globalità della popolazione, impiega la varietà referenziale. Allora, gli impieghi familiari, letterari e artistici saranno come sempre il dominio delle varietà tradizionali.

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La varietà referenziale sarà riservata agli impieghi neutri e generali, dove d’altro canto è ragionevolmente impossibile utilizzare tutte le varietà locali: la creazione di manuali, saggi, testi amministrativi, pubblicazioni, annunci, articoli giornalistici, programmi audiovisivi e altri prodotti linguistici destinati all’insieme della popolazione delle valli, o addirittura a tutta la popolazione occitanofona. C’è ancora un’obiezione possibile: se esiste una varietà di uso comune, finirà per sostituirsi alle altre. Non possiamo nascondere la situazione attuale: senza parlare dell’influenza francese e piemontese, l’italianizzazione dell’occitano è generale e progressiva e la trasmissione familiare è in serio pericolo. Soltanto la rivitalizzazione della lingua che comportano gli impieghi scolastico, amministrativo e mediatico può dargli una possibilità di sopravvivenza. Se la vita sociale cambia, non possiamo sperare, né desiderare, che l’occitano resti fissato nel passato. La sola possibilità di vita nella natura e nella società è il rinnovamento, e gli scambi tra la differenti varietà e tra queste e la varietà referenziale saranno l’indice della nuova vita dell’occitano delle valli alpine. Questo è esattamente il contrario della morte delle varietà locali. Una varietà referenziale deve essere generalmente compresa e accettata. Un principio utile per stabilirlo è cercare la forma di lingua che, imparata da un forestiero, gli permetterebbe di comunicare normalmente dando l’impressione di parlare una varietà che non sarebbe mai quella dell’interlocutore, ma che potrebbe essere quella di un luogo assai vicino. Nel nostro caso la frammentazione dialettale non permette di farlo per tutto l’insieme delle varietà presenti, ma, facendolo per le valli centrali, possiamo avere già un modello di lingua disponibile per alcuni impieghi generali. D’altro canto, nella varietà proposta, scegliendo le caratteristiche delle parlate centrali, abbiamo accolto soluzioni di diversa origine quando ci sono parse preferibili, generalmente perché erano meno tributarie alle influenze italiana e piemontese. In ogni caso, utilizzando l’ortografia comune, come vedremo, ognuno può scrivere nella propria varietà in modo accessibile all’insieme degli occitanofoni; ciò permette l’uso

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di varietà locali in numerose situazioni proprie della varietà referenziale semplicemente eliminando qualche caratteristica troppo marcata. Occorre tenere a mente che la pratica dell’occitano ammette una lunga serie di caratteristiche dialettali nell’uso colto; la nostra proposta di varietà referenziale deve essere presa quindi come un esempio di forma possibile per l’uso generale e non come una lingua normativa rigida. Soltanto la pratica abituale di questa forma di lingua permetterà di fissare ciò che ogni varietà locale potrà apportarle e ciò che converrà all’uso generale. Di conseguenza, abbiamo organizzato la grammatica e il dizionario, presentati come una caratterizzazione della varietà proposta, lasciando spazio, su numerosi punti, a soluzioni alternative. C’è un altro aspetto dello stabilire la varietà referenziale che conviene trattare: quello della relazione tra la lingua delle valli del Piemonte e gli altri dialetti occitani. La parlata del nord, dell’Alta Val Susa e delle valli Chisone e Germanasca, continua senza cambiamenti rilevanti quella del lato francese; più a sud, si compie gradualmente la transizione verso il piemontese, ma le caratteristiche occitane sono sempre presenti e il riferimento all’insieme della lingua è possibile. Le attività di promozione linguistica devono comportare la possibilità di accesso alla comunicazione generale di tutti coloro che parlano occitano. La grafia comune ne è lo strumento indispensabile; una convergenza moderata delle caratteristiche del linguaggio colto è un obiettivo logico di coloro che concepiscono le lingue come strumenti di produzione e di trasmissione culturale che hanno bisogno di stabilità e coerenza interne, e di autonomia nella loro relazione con le altre lingue. È proprio per questo che proponiamo forme che si giustificano soltanto in virtù della loro presenza nella tradizione di impiego dell’occitano colto: aspècte accanto a aspèct, preséncia accanto a presença, important accanto a emportant, existir accanto a exíster o existre. In questo modo, apriamo la possibilità di convergenza delle differenti forme di occitano negli impieghi propri della lingua colta, ma anche in questi casi forniamo soluzioni duplici


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per consentire che sia l’uso ad avere l’ultima parola. Il nostro lavoro sull’ortografia è consistito nel presentare le relazioni fra il sistema grafico occitano generale, stabilito da Louis Alibert (1935), e la pronuncia delle parlate alpine. Forniamo, con le regole ortografiche e la descrizione fonetica della varietà referenziale, le corrispondenze principali tra la scrittura e la pronuncia nelle diverse parlate delle valli. Questa presentazione illustra la scelta della varietà referenziale dal punto di vista fonetico e anche il principio d’applicazione alle altre varietà, che si potrà in seguito sviluppare per ciascuna. Sottolineiamo che le convenzioni dell’ortografia comune possono essere impiegate per la riproduzione fedele delle varietà locali; per esempio, scriviamo abitualmente ala e estela, ma se vogliamo scrivere più precisamente ciò che si dice in una varietà concreta, possiamo anche scrivere ara e estera. Il caso del dittongo ue nella parola fuec è diverso: è perfettamente possibile adottare la convenzione che la grafia ue può avere un valore simile a quello che ha nella parola francese accueil; allora questa grafia converrà alle varietà in cui esiste questo valore, [ø], e a tutte quelle in cui è pronunciata come un dittongo. D’altro canto, l’origine delle diverse pronunce è comune, e utilizzando sempre la medesima grafia, assicuriamo una sola forma grafica per i diversi dialetti e per i testi di ogni epoca. L’ortografia comune è la manifestazione visibile e pratica dell’unità e dell’autonomia di una lingua. Un’antologia letteraria scritta in grafie più o meno fonetiche può servire a coloro che vogliano conoscere le caratteristiche di ogni varietà, ma non si può davvero pensare di impiegarla per avvicinarsi allo studio attivo di una lingua e della sua letteratura. La lingua scritta funziona come un sistema autonomo in rapporto alle forme della lingua orale e una parte importante delle pratiche culturali la prendono come base. In questo modo si spiega in parte come tutte le lingue conoscano pronunce diverse che partono dalla medesima scrittura. In francese la e finale è pronunciata in qualche accento ma anche nella lettura di versi, il timbro delle vocali cambia regionalmente, etc. In italiano la variazione della pronuncia tocca il timbro delle vocali, l’articolazione della s e della

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z, e i raddoppiamenti. L’ortografia occitana comune non è un’eccezione. E se si pensa al suo livello di complessità, esso è, in ogni caso, ben più semplice delle ortografie dell’inglese o del francese. È, comunque, la chiave per tutte le dimensioni dell’utilizzo della lingua, geografiche e funzionali: al prezzo di uno sforzo leggermente maggiore di apprendimento, permette l’accesso all’insieme della produzione letteraria, giornalistica e scientifica in lingua occitana. Xavier Lamuela

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1 La commissione incaricata: Giovanna Bianco, Franco Bronzati, Jean-Michel Effantin, Philippe Martel e Rosella Pellerino, coordinatore Xavier Lamuela.

Ha collaborato ai lavori Dario Anghilante.


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Trascrizione fonetica

[ʃ]

fricativa palatale sorda: vacha [!vaʃ] (Rochemolles)

Utilizziamo generalmente l’Alfabeto Fonetico Internazionale IPA. I segni particolari impiegati sono i seguenti: ! un trattino alto (!) davanti a una sillaba indica che è tonica: chantar [tʃan!tar], chanta [!tʃanto] ! un trattino basso (#) davanti a una sillaba indica che ha un accento secondario: pas ren [#pa!reŋ] ! due punti dopo una vocale o una consonante indicano che sono lunghe: pastar [pa:!ta:], las vachas [la:!vat:ʃa], valada [va!lad:o] (Val Germanasca) ! il segno ˜ su una vocale indica che è nasale: ˜fle], tenre [!tə˜re], onze [!u ˜ze] confle [!ku (Val Germanasca)

[tʃ]

affricata palatale sorda: vacha [!vatʃo], chantar

[']

fricativa palatale sonora: jorn [!'u:] (Rochemolles)

[d']

affricata palatale sonora: jorn [!d'urn], ajuar, gent, viatge

[m&]

nasale bilabiale dorsopalatale (“m palatalizzata”): emprumh [əm!prym&] (Val Germanasca) nasale palatale: nhòc [!.ɔk], vinha, montanha, luenh

Consonanti

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[.] [ŋ]

nasale velare: pan [!paŋ], vin, ben

[/]

laterale retroflessa: ala [!a/o], estela [i!tea/o] (Usseaux)

[ʎ]

laterale palatale: filh [!fiʎ], palha, malh (nord)

[t&]

occlusiva prepalatale sorda: jonth [!d'unt&] (Val Germanasca)

[1]

vibrante retroflessa: vira [!vi1ɑ], paure, ala (Salbertrand)

[c]

occlusiva palatale sorda: filh [!fic], vielh (Serre – Valloriate)

[]

[(]

occlusiva palatale sonora: palha [!pa(a], gulha (Serre – Valloriate)

vibrante uvulare: morre [!mu:], roa, prat, pòrta (Rochemolles)

[θ]

fricativa interdentale sorda: aicí [i!θi], maçar [ma!θa] (Ostana)

[ð]

fricativa interdentale sonora: vesin – vezin – [ve!ðiŋ], cusina – cuzina – [ky!ðino] (Ostana)

[s]

fricativa alveolare sorda (“s sorda”): sopa [!supo], passar, nas

[ts]

affricata dentale sorda: champ [!tsamp], dich (Limone)

[z]

fricativa alveolare sonora (“s sonora”): ròsa [!rɔzo], cosina, onze

[dz]

affricata dentale sonora: jorn [!dzurn] (Limone)

[ts&]

affricata prepalatale sorda: butin [by!ts&,˜], tuar [!ts&ya] (Rochemolles – Bardonecchia)

[dz&] affricata prepalatale sonora: dit [!dz&i], perdut [pa!dz&y] (Rochemolles)

Semiconsonanti [j]

anteriore: viatge [!vjad'e], viatjar paire, veire

[w]

posteriore labializzata: soastre [!swastre], oan paure, al beu

[ɥ]

anteriore labializzata: fuelha [!fɥεjo], bruire [!brɥire], maür [!møɥ] (Salbertrand)


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Vocali [ə]

centrale intermedia: sempe ["səmpe], genre, vinheta, de, cerchar, anaven (Ostana)

[ ɐ] ˚

centrale labializzata aperta: agut [a"g ɐ], ˚ perdut (Val Chisone)

[ε]

anteriore aperta: pèl ["pεl], sèt, paèla, veèl

[ø]

anteriore labializzata intermedia: fuelha ["føʎ:o], ueli, nueit (Val Germanasca)

[y]

anteriore labializzata chiusa: ruscha ["rystʃo], tuchi, degun, durmir, butar

[ɑ]

posteriore aperta: trobat [tru"bɑ], fichat, prat (Ostana) la gola [lɑ"gula], costuma (Villar – Val Pellice)

[ɔ]

posteriore labializzata aperta: aquò [a"kɔ], decò, còl, vòstre

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I. Norme ortografiche dell’occitano alpino orientale Forniamo la descrizione sistematica della pronuncia e della scrittura della varietà referenziale e la associamo ad indicazioni sulla pronuncia delle altre varietà dell’occitano alpino orientale. Queste indicazioni hanno la semplice funzione di indicare il percorso di adattamento dell’ortografia occitana comune a tutte le forme locali e non hanno la pretesa di essere complete. I riferimenti geografici, in cui menzioniamo indistintamente borgate, comuni e intere valli non hanno altro valore se non quello di situare almeno in un luogo la pronuncia che forniamo, ma in nessun caso vogliono essere esclusive o complete. Pensiamo che la presentazione dell’ortografia della varietà referenziale possa essere impiegata direttamente come base di un lavoro didattico. Il caso delle indicazioni sulla pronuncia delle altre varietà è differente; la complessità dell’oggetto di studio ha richiesto l’impiego di troppe d’espressioni tecniche e di formulazioni eccessivamente sintetiche. Questa parte può essere, comunque, la base per proporre presentazioni delle diverse varietà secondo il modello dell’ortografia della varietà referenziale.

L’alfabeto a b c d e f g

a be ce de e èfa ge

h i j k l m n

acha i jei ca èla èma èna

o p q r s t

ò pe cu èrra èssa te

u v w x y z

u ve ve dobla icsa i grèca izèda

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I nomi delle lettere che finiscono in a atona sono femminili; gli altri possono essere maschili o femminili. Le lettere k, w, e y sono utilizzate solo per scrivere parole straniere che non sono state adattate all’occitano e i nomi stranieri e relativi derivati: watt, whisky, Kant, kantian. Oltre alle lettere del precedente elenco nella scrittura di tutte le varietà della lingua occitana sono utilizzate una lettera modificata, ç, c cediglia, e undici digrammi che hanno valore consonantico, ch, gu, lh, nh, qu, rr, ss, tg, tj, tl, tz: chantar, guèrra, palha, vinha, question, morre, passar, viatge, viatjar, espatla, dotze, crotz, voletz. A questi undici digrammi, aggiungiamo th e mh per rappresentare i suoni palatalizzati ([t!] e [m!]) caratteristici delle varietà alpine del nord che troviamo nelle parole jonth e emprumh. Per scrivere il guascone si impiegano anche sh [ʃ] – caisha (caissa), deishar (laissar) – e th [t] / [tʃ] / [c] – poth (jal), castèth (chastèl). Come nei digrammi rr, tg, tj, tl, tz, ci sono anche gruppi consonantici in cui una lettera è muta in qualche varietà occitana o in tutto il dominio linguistico: acceptar, contractar, abstraccion, administrar, temptacion, scientífic. Le vocali possono essere modificate dall’accento acuto (á, é, í, ó, ú), dall’accento grave (à, è, ò) o dalla dieresi (ï, ü): voliá, francés, país, espós, tribú, càpsula, pèl, aquò, faïna, aüra. Per quanto riguarda l’ordine alfabetico, le lettere modificate hanno la stessa posizione di quelle normali e i digrammi sono ordinati come sequenze di due lettere differenti. Per la divisione delle parole in fin di riga, ch, gu, lh, mh, nh, qu, (sh del guascone) e th sono inseparabili, gli altri digrammi sono trattati come consonanti doppie: r-r, s-s, t-g, t-j, t-l, t-z. La s posta davanti a una consonante fa parte della medesima sillaba della vocale precedente: pes-char, lin-guís-ti-ca.

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Regole di lettura e scrittura Ordine di presentazione delle grafie 1. a à aa as 2. è aè eè 3. e é 4. i í ï 5. ò á 6. o ó 7. u ú ü 8. ia ea 9. ie ié iei 10. ai tonico 11. ei ae aï aí aü èe tonici, ei ai ae ee aï aü atoni 12. òi aoi 13. oi 14. ui uei 15. oa 16. au tonico, au ou atono 17. ao 18. eu èu 19. iu ïu 20. uou uo 21. ue ué uò 22. ua 23. Regole d’accentuazione grafica 24. p, b finale 25. t th, d finale 26. c qu, g finale 27. b pv 28. d 29. g gu 30. ch, g finale 31. j g tj tg 32. f 33. v 34. s (-s) ss ce ci ç x tz 35. -s- z -tz- ex36. m mh 37. n 38. -n 39. nh 40. l ll tl 41. lh cl gl pl bl fl 42. r rr 43. Uso dell’apostrofo 44. Uso del trattino 45. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe


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1. a à aa as a (a seconda della posizione), à e aa rappresentano a tonica [!a]: chat, pesar, chantaa, càpsula a (a seconda della posizione) rappresenta a atona [a]: aquò, amís, país a finale atona rappresenta [o]: la ruscha, la fiera as in posizione finale atona rappresenta [es] nei sostantivi, aggettivi, participi passati, i determinativi e i pronomi femminili plurali: las chabras blanchas, tas costumas, las venon Osservazioni a) In numerose varietà la a tonica è pronunciata [!ɑ] o [!ɔ], in contesti differenti. Davanti a una consonante nasale implosiva (finale di sillaba): champ, man (Bellino, Ostana). Davanti a una occlusiva finale non pronunciata: prat, fichat (Ostana). Quando è lunga (cfr. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe): chantaa [tʃan!tɔ:] [tʃan!toa], gras, prats (Val Chisone) In tutte le posizioni, eccetto davanti a una consonante nasale implosiva: paire, chabra, ràbia (Limone) Ma: champ [!tsamp], chan (Limone) Esiste anche la pronuncia [!ε]: prat (Exilles) b) aa è pronunciato come una a lunga in qualche varietà del nord (cfr. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe). c) In alcune varietà esiste una i pronunciata tra due aa consecutive e anche nel caso di sequenze di altre vocali: mainaia, passaia (Argentera) d) In numerose varietà la pronuncia [a] della a finale atona è stata conservata. Nelle varietà del nord la a finale atona è [a] al plurale, grafia -as, e al singolare è [o] (in qualche zona dell’alta Val Susa, generalmente nella Val Chisone, e in Val Germanasca), [ɑ], [ə], [ε], o muta: la vacha [la!vat:ʃo] – las vachas [la:!vat:ʃa] (Val Germanasca) pòrta [!pɔrtɑ] (Salbertrand), sanha [!sa'] (Rochemolles)

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In alcune varietà l’opposizione tra il singolare e il plurale dell’articolo determinativo femminile è resa dalla differenza tra [ɑ] e [a]: la vacha [lɑ!vatʃɑ] – las vachas [la!vatʃe] (Villar – Val Pellice) e) La terminazione femminile -as rappresenta [e] in numerose varietà, accanto a poche altre pronunce; per las chabras, possiamo avere, per esempio: [la:!ʃɑb:a] (Rochemolles) [la:!tʃab:ra] (Val Germanasca) [la!tʃabre] (Villar – Val Pellice) [le!tsabre] (Oncino) [les!tʃabros] (Chianale) [les!tʃabres] (Bellino) [le!tʃabros] (Canosio) [les!tʃabras] (Argentera) [les!tʃabrus] (Vinadio) [les!tʃabro] (Aisone) [le!tʃabra] (Gaiola) f) In alcune varietà le sequenze finali -ias e -uas contengono dittonghi ascendenti (cfr. l’osservazione (c) del punto 5). La a che fa parte di uno di questi dittonghi può portare un accento grafico (-às); è pronunciata [!e] nelle varietà in cui la terminazione femminile atona -as rappresenta [es] e alla pronuncia di a lunga nelle varietà del nord: miàs [!mjes], partiàs [par!tjes], venduàs [ven!dɥes] (Bellino) partiàs [par!tjɔ:], venduàs [ven!dɥɔ:] (Val Chisone)

2. è aè eè è, aè e eè rappresentano e tonica aperta [!ε]: pèl, sèt, paèla, veèl La vocale atona (a o e) che precede è è muta, ma e atona in questo contesto può essere pronunciata anche [j]: veèl [!vεl] / [‘vjεl] Osservazioni a) In molte varietà l’opposizione tra e aperta ed e chiusa è spesso neutralizzata. b) In alcune varietà del sud la e aperta si è dittongata dinnanzi al gruppo ur (br, vr): fieure, lieure (Paschero – Entracque) fiebre, liebre (Porracchia – Demonte)

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3. e é e (a seconda della posizione) e é rappresentano e tonica chiusa [!e]: abelha, pes, francés e (a seconda della posizione) rappresenta e atona chiusa [e]: prestar, ase e atona è generalmente muta quando si trova tra due consonanti semplici, specie se a contatto con r, e non appartiene alla sillaba finale: derant, degun, decò, chadelar, lave-te [!lavte] / [!lawte]

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davanti l semplice originaria: tiela [!tje&a], estiela, pielar (Salbertrand) Ma non c’è dittongazione davanti a r originaria: exagerar [eza'e!&a:] d) In qualche varietà la e atona finale è pronunciata [i] (Vinadio, Limone). In alcune varietà dell’alta Val Susa può essere ridotta a [ə] o muta. e) In alcune varietà della Val Chisone la e finale atona con la s del plurale o della seconda persona dei verbi è pronunciata [i]: òmes [!ɔm:i], òrdres [!ɔrdri], chantes [!tʃanti]

La caduta della e di una sillaba iniziale può comportare la pronuncia di una vocale all’inizio della parola: decò [ed!kɔ] / [et!kɔ]

f) In differenti varietà, a parte la e, altre vocali pretoniche possono divenire mute a contatto con la r: darriera [!drjεro], corrin [!kriŋ] volgut [vr!gy] (Prea – Roccaforte)

In modo particolare il prefisso ree i gruppi iniziali re- o ra- possono essere pronunciati [ar], [er] o [ər], ma scriveremo normalmente re- o ra-: recheire, recular, rabastar

g) Il funzionamento di e atona che diventa muta e causa la comparsa di una vocale di sostegno permette di scrivere le per le forme dell’articolo maschile singolare o femminile plurale nelle varietà in cui vengono pronunciate [əl], [el] o [al]: le filh [əl!fiʎ] (Ghisola – Rore), le filh [al!fi] (Entracque)

Adottiamo generalmente la grafia iniziale es per le pronunce [es] / [əs] e [s]: escoutar, esfòrç, estremar

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Osservazioni a) in qualche varietà c’è una vocale centrale [ə] in luogo di e chiusa, secondo distribuzioni che cambiano geograficamente e che possono comprendere la posizione atona, la posizione davanti a consonante nasale implosiva o la posizione di vocale breve interna (cfr. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe): de, cerchar, vengut, anaven genre, sempe vinheta Davanti a consonante nasale implosiva, e può essere anche pronunciata [!ɑ] o [!a]: ben [!baŋ], temp (Limone) b) in alcune varietà la e tonica chiusa si è dittongata in ei, pronunciato [!ej] (Salbertrand, solo in posizione di vocale lunga) o [!aj] (Sant’Anna di Valdieri, Prea, Fontane...): pleina, plaseir c) In alcune varietà del nord esiste la dittongazione della e chiusa in [ea], [ee] o [je],

4. i í ï i (a seconda della posizione) e í rappresentano i tonica [!i]: vin, amís i (a seconda della posizione) rappresenta i atona [i]: silenci, armari ï, con una dieresi, è utilizzata per segnalare lo iato tra la i e una vocale precedente quando le regole d’accentazione grafica non richiedono un accento sulla i: atribuïr Ma: país (cfr. le regole d’accentazione) Nel dittongo aï, ï serve nella maggior parte dei casi a segnalare la differenza di pronuncia fra questo dittongo, che è il risultato dell’alterazione di una vecchia sequenza di due vocali in iato, e l’antico, conservato generalmente in posizione tonica: faïna [!fejno] - paire [!pajre] Osservazioni a) i tonica può essere dittongata in [!iə] ([!iɑ], [!jə]...) in una sillaba chiusa da r o l. Il dittongo è mantenuto nei derivati in sillaba


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atona aperta: birba [!biərbo], fil [!fiəl], filar [fjə!la:] (Val Germanasca) Ma: birbant [bir!bant] b) In alcune varietà del nord esiste la dittongazione generale della i in [ie] o [je], davanti l semplice originaria: fielar [fje!#a:], pielon (Salbertrand) Ma non c’è dittongazione davanti a r originaria: virar [vi’#a:] c) A Limone, la i tonica finale si apre in [!e]: aicí [i!ʃe]

5. ò á ò rappresenta o tonica, generalmente aperta [!ɔ]: aquò, decò, còl, vòstre, glòria Nella parola já, la grafia á è impiegata per [!ɔ] per unità grafica con le altre varietà occitane in cui questa parola ha la forma ja. Osservazioni a) In numerose varietà la la o aperta tonica è dittongata in [!wɔ]: fònt [!fwɔnt], bòsc, fòra (Bellino) b) Può essere dittongata in [!uɑ] davanti a una r implosiva: mòrt [!muɑrt], fòrt [!fuɑrt] (Argentera, Sant’Anna di Valdieri) c) in qualche varietà, le sequenze finali -ia e –ua sono dei dittonghi ascendenti (cfr. l’osservazione (f) del punto 1). La a che fa parte di uno di questi dittonghi, che può essere seguita da una n, è pronunciata [!ɔ]; questa pronuncia è segnata con un accento acuto sulla a: voliá [vu!ljɔ], volián [vu!ljɔŋ], miá [!mjɔ], venduá [ven!dɥɔ] (Bellino) d) In alcune varietà troviamo ue [!ø] al posto di ò: linçuel [lin!søl], ues [!øs] (Vernante)

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6. o ó o (a seconda della posizione) e ó rappresentano [‘u]: dotze, perdon, espós o (a seconda della posizione) rappresenta [u]: montanha, lo chat, chanto Osservazioni a) La o può essere dittongata in [!uə] ([!uɑ], [!wə]...) in una sillaba tonica chiusa da r o l: jorn [!d)uərn], ors, volp, olme (Val Germanasca) Ma: jornaa [d)ur!na:] b) In alcune varietà la o tonica è dittongata in [!ow]: servitor [sarvi!towr] (Serre – Valloriate) nos, vos (Bersezio – Argentera) c) In altre è dittongata in [!ua]: crotz, votz (Andonno – Valdieri) d) A Valdieri o tonica o atona è dittongata in [we] davanti a una consonante nasale implosiva: pont, jontar (Sant’Anna di Valdieri) ponch (Valdieri) e) La o pretonica può diventare muta in alcune varietà dell’alta Val Susa in casi diversi da quello del contatto con la r: totjorn [!t)u:], tots los ans [*tul!za ˜] (Rochemolles)

7. u ú ü u (a seconda della posizione) e ú rappresentano [!y]: ruscha, tuchi, degun, tribú u (a seconda della posizione) rappresenta [y]: durmir, butar ü, con una dieresi, è all’inizio utilizzato per segnalare lo iato tra la u e una vocale precedente; ma nel dittongo aü, serve più spesso a indicare la differenza di pronuncia fra quel dittongo, che è il risultato dell’alterazione di una vecchia sequenza di due vocali in iato, e l’antico, conservato generalmente in posizione tonica: talhaüra [ta!jejro] - paure [!pawre]

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Osservazioni a) La u tonica può essere dittongata in [!yə] ([!ɥø], [!jø]...) in una sillaba chiusa da r o l. Il dittongo è mantenuto nei derivati in sillaba atona aperta: resturn [rej!tyərn], cul, recular [ərkɥə!la:] (Val Germanasca) Ma: resturnir [rejtyr!ni:] b) Quando è dittongata in [!ju] (e sue varianti) in una sillaba chiusa da l, scriviamo il dittongo uo (cfr. il punto 20): muol [!mju:] – muous [!mɥow], cuol [!kju:] – cuous [!kɥow] (Oulx) c) In alcune varietà della Val Chisone, u è pronunciata più aperta [ ɐ] ˚ in posizione di vocale breve: vengut [veŋ!& ɐ], ˚ nun Ma: pertús [per!ty:], planura, amusar d) A Limone, la u tonica finale si apre in [! ɐ]: ˚ tu [!t ɐ], ˚ vengut

8. ia ea ia e ea rappresentano il dittongo [ja], tonico e atono: viatge, beal, near viatjar, bealar Ci sono alcune eccezioni alla pronuncia [ja] di ea, generalmente di parole d’origine colta: beat [be!at], crear [kre!ar], creacion [krea!sjuŋ] Osservazioni Per ea esiste anche la pronuncia [ea]: beal [be!al], bealar, near (Bellino) 24

9. ie ié iei ie e ié in una sillaba tonica non finale rappresentano il dittongo [!jε]: fiera, siérver ie e iei in una sillaba tonica finale rappresentano il dittongo [!ie]: liech, pomier, sieis

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Osservazioni a) In alcune varietà ie tonico è sempre pronunciato [!jε] e iei è mantenuto come un trittongo. b) ie tonico può anche essere pronunciato [!iji] (Celle), [!i:] o [!i] (Val Susa, Val Chisone, Val Pellice e altre zone). -iera è [‘iro] a Serre – Valloriate – e a Porracchia – Demonte. c) Nel tipo di pronuncia [!ie], esiste una grande variazione del timbro dell’ultimo elemento del dittongo: [!iə], [!iε], [!io], [!iɑ]... d) Alcune varietà hanno e, aperta o chiusa, invece di ie: melh, velh (Salbertrand) fenèra, mèlh, vèlh (Gorrè – Rittana) chaucer, chaudera (Limone)

10. ai tonico ai in posizione tonica rappresenta il dittongo [!aj]: maire, visitare Osservazioni a) [j] può essere pronunciato molto aperto, come e o a non vocaliche: paire [!paere] (Val Chisone) lait [!lɔat], fait [!fɔat] (Vernante) b) La a del dittongo ai diviene [!ε] in alcune varietà: aiga [!εjg], paire [!pεjr] (Costanzo – Oulx) c) In altre esiste la riduzione completa del dittongo: fait [!fet], lait, paire, gaire (Valdieri)

11. ei ae aï aí aü èe tonici, ei ai ae ee aï aü atoni ei, ae, aï, aí e aü in posizione tonica rappresentano il dittongo [!ej]; èe rappresenta il dittongo [!εj]: veire [!vejre], chaena, punhaeta, praet, faïna, raïtz, raunhaís, soflaís, maür, aüra, talhaüra, sèel [!sεjl] Possiamo trovare delle eccezioni: país [pa!is], aïns [a!iŋ] ei, ai, ae, ee, aï e aü in posizione atona rappresentano il dittongo [ej], che può essere ridotto a [i]:


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veitura, mairina, maison, mainaa, paelaa, veelar, enraïsar, maürar I derivati di país sono delle eccezioni: païsan [pai!zaŋ], païsatge [pai!zad#e] Osservazioni a) Numerose varietà neutralizzano l’opposizione tra ei e èi, pronunciati entrambi sempre [!ej] o sempre [!εj]; di conseguenza, scriviamo abitualmente ei, lasciando la possibilità di distinguere nella scrittura di ogni varietà concreta: veire, peira b) In alcune varietà, in luogo di [ej], si pronuncia [aj] per ei, ai, ae, ee, aï, aí: veire [!vajre], raïtz, creissut [kraj!sy], aicí (Valdieri) c) èe può avere anche le pronunce [!εe] e [!ε:]: sèel [!sε:l] (Val Germanasca) d) aü (maür...) ha numerose altre pronunce oltre a [ej]: [ew], [øj], [øɥ] / [εɥ] (Salbertrand), [eɥ] (Granpuy – Pragelato), [ɔj] (Straluzzo – Frabosa Soprana), [jɔw] / [ɔw] (Campana – Demonte). e) In alcune varietà aü e uei sono pronunciate come tali: maür [!møjr], maüra [!møjro], cueit [!køjt], cueita [!køjto] (Val Germanasca) f) ai in posizione atona può essere pronunciato [e] in alcune varietà dell’alta Val Susa: aicí [e!si] / [i!si], maison [me:!zu ˜], baisar [be:!za:] (Rochemolles)

12. òi aoi òi e aoi rappresentano il dittongo [!ɔj]: còire, verdòis, viraoire, vernaoira, rata-volaoira Osservazioni a) La pronuncia [!ɔj] di aoi si spiega per l’effetto della vocale a, che apre la o seguente. Esistono anche le pronunce [!uj], [!wej] e [!we], come per oi. b) In alcune varietà aü, aoi e uei sono pronunciate come tali: maür [!møɥ], maüra [!mεɥ'ɑ], chaüta [!ʃεɥtɑ], peira molaoira [mu!'εɥ'ɑ], cueit [!køɥ], cueita [!kεɥtɑ] (Salbertrand)

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maür [!mεɥ], maüra [!mεɥrε], escumaoira [eky!mεɥrε], nueit [!nεɥ], cueita [!kεɥtε] (Exilles)

13. oi oi in posizione tonica rappresenta il dittongo [!uj]: oire, conóisser In posizione atona può essere pronunciato [uj] o ridotto a [i]: poison, boisson Osservazioni La grafia oi è pronunciata [wej] o [we] (Sant’Anna di Valdieri) in alcune varietà.

14. ui uei ui in una sillaba tonica non finale rappresenta il dittongo [!ɥi]: reduire, bruire ui e uei in una sillaba tonica finale rappresentano il dittongo [!yj]; ui rappresenta [yj] in posizione atona: uis, al brui, vueid, chappuei, encuei, vuidar Le parole grammaticali puei e depuei possono essere pronunciate [!pεj] e [!depεj]. Osservazioni a) ui è pronunciato come una u lunga in alcune varietà del nord (cfr. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe). b) uei si pronuncia anche, a seconda delle varietà, [!ye], [!yve] (Celle), [‘ɥej], [!øj], [!øɥ] / [!εɥ] (Salbertrand), [!εɥ] (Pragelato), [!εw] (Usseaux), [! ɐɑ] ˚ (Andonno – Valdieri), [! ɐε] ˚ (Vernante)...

15. oa oa rappresenta il dittongo [wa] tonico o atono: soastre, oan, acoatar

16. au tonico, au ou atono au in posizione tonica rappresenta il dittongo [!aw]: paure, vosautri au e ou in posizione atona rappresentano il dittongo [ow], che può essere ridotto a [u]: sautar, chaucier, escoutar, douçor

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Osservazioni a) La a del dittongo au diviene [!ɔ] in alcune varietà: paure [!pɔwr], raucha [!rɔwʃ] (Costanzo – Oulx) b) In alcune zone il dittongo si è ridotto a a: saut [!sat] (Prea – Roccaforte) c) au in posizione atona può essere pronunciato [o] in alcune varietà dell’alta Val Susa: auvir [o!vi:], sauvatge [so:!va$] (Rochemolles) Ma: autor [u!tu:], sautar [su:!ta:] (Rochemolles)

17. ao ao rappresenta il dittongo [!ɔw] in posizione tonica, [ow] o [u] in posizione atona: mochaor, embotaor, chaçaor, peschaor paorós, esbraonat Osservazioni a) In alcune varietà ao tonico è pronunciato [!aw] (Ghisola, Bobbio). b) In altre è [!u] (Limone).

18. eu èu eu rappresenta il dittongo [ew] tonico o atono: peure, al beu, abeurar èu rappresenta il dittongo [!εw]: lèure, brèu

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Osservazioni a) In qualche varietà eu e èu sono pronunciati [jɔw] o [eɔw]. b) In alta Val Susa e in una parte della Val Chisone, la l finale è vocalizzata in u al plurale (cfr. Il punto 40); allora la terminazione èl diviene èu, che rappresenta diverse pronunce a seconda delle varietà ([!εw], [!ew], [!eo], [!jɔw], [!jaw], [!aw], [!eaw]): chastèus, usèus, cotèus. Per le pronunce [!jɔw], [!jaw], [!aw] e [!eaw], è anche possibile scrivere eau: chasteaus, useaus, coteaus

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19. iu ïu iu in una sillaba tonica non finale rappresenta il dittongo [!ju]: viure, liura iu in una sillaba tonica finale rappresenta il dittongo [!iw]: viu, diu, miu, iu, siu, voliu Nota. Nelle forme verbali come cheïu, coïu, riïu, occorre interpretare la sequenza ïu come il dittongo iu. Osservazioni In qualche varietà iu tonico è pronunciato [!jɔw]; in altre è [!ju] o [!iw] in tutte le posizioni.

20. uou uo uou in una sillaba tonica finale rappresenta il dittongo [!yw]: uou, buou Osservazioni a) uou è pronunciato anche [!iw], [!ju:] (Val Susa), [!ɥow] o [!jow]: uou [!ju:], buou [!bju:] (Salbertrand) buou [‘biw] – buous [‘bju:] (con l’allungamento del dittongo al plurale) (Villa – Bardonecchia) uou [!ɥow], buou [!bɥow] (Bellino) uou [!ɥow], buou [!bjow] (Campana – Demonte) b) In Alta Val Susa uo è allungato davanti a l divenuta muta, che è vocalizzata in u al plurale: muol [!mju:] – muous [!mɥow], cuol [!kju:] – cuous [!kɥow] (Oulx)

21. ue ué uò ue e ué in una sillaba tonica non finale rappresenta il dittongo [!ɥε]: fuelha, ueli, cuélher ue in una sillaba tonica finale rappresenta il dittongo [!ye]: fuec, nuech, puerc Osservazioni a) ue in una sillaba tonica si può leggere anche [!wε], [!yve] (Celle), [!yə], [!yo], [!yɑ]... In alcune varietà la pronuncia [!yɑ] è caratteristica della posizione davanti a r


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implosiva: puerc [!pyɑrk] b) In molte varietà specie del nord e del sud, ue è pronunciato [!ø]. c) In alcune varietà del nord le parole fuec e juec conoscono forme col dittongo uò, pronunciato [!yo] o [!jɔ]: fuòc [!fyo], juòc [!d$yo] (Cesana) fuòc [!fjɔ], juòc [!$jɔ] (Rochemolles) fuòc [!fjɔk], juòc [!d$jɔk] (Fenestrelle)

22. ua ua rappresenta il dittongo [ɥa]: ajuar Osservazioni La grafia ua conosce anche la pronuncia [wa].

23. Regole d’accentazione grafica Si scrive un accento grafico nei seguenti casi: a) L’accento grave è utilizzato sistematicamente per rendere il timbro aperto delle lettere o [!ɔ] e e [!ε]: còl, vòstre, pèl, sèt Nota. Scriviamo i dittonghi ie e ue, nei loro diversi valori, senza accento, e con l’accento acuto sulla lettera e quando le regole d’accentazione ne richiedano uno: pomier, fiera, siérver nuech, fuelha, cuélher b) Le parole plurisillabe in cui la finale sia tonica – parole ossitone – e che finiscono in una vocale sola o seguita da una s, portano un accento grafico su quella vocale (à, às, é, és, ó, ós, í, ís, ú, ús): bachàs, francés, espós, amís, tribú Le parole in cui siano presenti queste terminazioni e la sillaba tonica sia la penultima – parole parossitone – generalmente non hanno accento: via, vacha, vachas, parlo, parles, armari, armaris Hanno l’accento soltanto se occorre notare il timbro aperto delle vocali e e o: paèla, paèlas, òme, òmes c) Le parole parossitone portano un accento grafico sulla vocale della sillaba tonica se terminano nella grafia con una consonante diversa da s –pronunciata o muta -, con una vocale doppia o con un dittongo o un trittongo: àrbol, àngel, cuélher, chantàvem,

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creíetz, ràbia Le parole ossitone con queste terminazioni generalmente non hanno accento: degun, chapval, chantat, chantem, chadelar, chantaa, encuei Hanno l’accento soltanto se occorre notare il timbro aperto delle vocali e ed o: mantèl, chantarèm, linçòl, esfòrç d) Le parole proparossitone, in cui la sillaba tonica è la terzultima, hanno sempre un accento grafico sulla vocale della sillaba tonica: càpsula, música e) Nelle forme plurisillabe, le terminazioni verbali formate da una vocale seguita da una n presentano un accento grafico quando sono toniche: parlarèn, venderèn Queste forme avrebbero comunque l’accento per sottolineare la e aperta; scriviamo con un accento acuto le stesse varietà in cui la e è pronunciata [!ə]: parlerén [parlə!rəŋ], venderén Le terminazioni verbali atone formate da una vocale seguita da una n non prevedono l’uso dell’accento sulla vocale della sillaba tonica: parlon (parlen, parlan), parlavon (-en, -an), parlesson (-en, -an) In questo caso l’accento è scritto soltanto se occorre notare il timbro aperto delle vocali e ed o: chadèlon, envòuson, pòrton In questo modo le forme verbali trattate qui fanno eccezione ai principi enunciati ai punti b) e c) Nota. Forme verbali come al compren coincidono col radicale e non comprendono terminazioni verbali in n. f) C’è qualche parola monosillabica che ha un accento distintivo: qué (interrogativo o esclamativo, relativo con una preposizione) én = un (pronome indefinito: “én pòt pas lor dir ren”, o meglio “un pòt pas lor dir ren”) Osservazioni Nelle parole composte, ogni elemento è suscettibile di avere il proprio accento grafico; è così anche per i prefissi tonici: pòrtaclaus pòstbèllic, èx-ministre, pròamerican Ma: excedent, prométer

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24. p, b finale p in generale e b in posizione finale rappresentano [p]: pesar, arrapar, sap, colp, champ, càpsula Scriviamo b finale quando si trova nell’etimo: plomb p è muto nelle forme verbali come saup (/ sa) e receup. p è generalmente muto quando è il primo elemento di un gruppo di consonanti e non è a inizio sillaba come nei gruppi con r o l (aprovar, aplanar): acceptar, adoptar, chappuei Ci sono delle eccezioni: càpsula [!kapsylo] Osservazione In alcune varietà, soprattutto dell’Alta Val Susa, p o b finali sono normalmente mute: còp [!ko], còrp [!kɔ:], plomb [!plu ˜]

25. t th, d finale t in generale e d in posizione finale rappresentano [t]: tardar, atencion, chat, sèt, aut, pont Scriviamo d finale quando si trova nell’etimo: freid, chaud t finale dietro una vocale è muta in un gran numero di parole: prat, set, universitat, chantat, al pòt (/ al pòl) La scriviamo in virtù dell’unità grafica dei dialetti occitani. 28

Nota. La t finale pronunciata corrisponde abitualmente a una t doppia dell’italiano, e la t muta a una t semplice. Osservazioni a) In alcune varietà, soprattutto della Val Susa, t o d finali sono normalmente mute: novelòt [nu!vlo], fòrt [!fɔ:], chaud [!ʃaw] (Rochemolles) Un gruppo consonantico finale intero può essere muto: pòst [!po:] (Rochemolles) b) A Rochemolles t è pronunciata come una affricata palatalizzata [ts%] davanti a i e u: butin [by!ts%&˜], tuar [!ts%ya]

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c) Il suono di t finale palatalizzata [t%] che esiste in alcune varietà del nord lo scriviamo th: jonth (Val Germanasca)

26. c qu, g finale c davanti a a, o e u e alla fine di una sillaba, qu davanti a e e i, e g in posizione finale, rappresentano [k]: caire, còl, decò, bric, blanc quèrre, quesar, quiet Scriviamo g finale quando si trova nell’etimo: borg, lòng Seguendo principi etimologici e storici, scriviamo qu davanti a a o o in alcune parole: quatre, aquò c è generalmente muta quando è il primo elemento di un gruppo di consonanti e non è a inizio sillaba come nei gruppi con r o l (acrocar, bicicleta): acceptar, occitan, accion, contractar Osservazioni a) In alcune varietà, specie della Val Susa, c o g finali sono normalmente mute: fuec [!fø], lòng [!lɔ˜] (Rochemolles) Ci sono delle eccezioni: tòc [!tok] Un gruppo consonantico finale intero può essere muto: bòsc [!bo:], puerc [!pyə] (Rochemolles) b) A Rochemolles qu davanti a i, e c davanti a u e ue sono pronunciate come una affricata palatale [tʃ]: aiquí [e!tʃi], curar [tʃy!ra:], cuerbir [tʃø!bi:]

27. b pv b in generale rappresenta [b]: barra, barba, abelha, trobar Nella parola chapval, [b] è rappresentato da pv; così manteniamo una grafia che permette di identificare la composizione della parola. b è generalmente muta quando è il primo elemento di un gruppo di consonanti e non è a inizio sillaba come nei gruppi con r o l (sobrar, deble): absolut, abstraccion


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28. d d in generale rappresenta [d]: perdon, freida, donar d è generalmente muta quando è il primo elemento di un gruppo di consonanti e non è a inizio sillaba come nei gruppi con abo r (adreça): administracion Osservazioni A Rochemolles d è pronunciata come una affricata palatalizzata [dz!] davanti a i, u e ue: dit ["dz!i], perdut [pa"dz!y], duermir [dz!ø"mi:]

29. g gu g davanti a a, o e u, e gu davanti a e e i, rappresentano [$] gaire, gola, pagar guèrra, guidar Osservazioni A Rochemolles gu davanti a i e g davanti a u sono generalmente pronunciate come una affricata palatale [d%]: guidar [d%i"da:], agulha [a"d%yʎ] Ci sono delle eccezioni: guilhotina [$iʎu"ts!i:n]

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30. ch, g finale ch rappresenta [tʃ]: chantar, vacha, fach, lach, nuech, jonch Eccezionalmente [tʃ] finale può essere rappresentato da g. Ciò è dovuto alle caratteristiche di alcuni dialetti occitani in cui questa g si alterna con una j intervocalica (estug – estujar): estug [es"tytʃ] Osservazioni a) Nelle varietà del nord e del sud, dopo una vocale, c’è it al posto di ch, in corrispondenza del ct del latino: fait, lait, nueit Dopo n, c’è t o t palatalizzata: estrent / estrenth b) In qualche varietà esiste una pronuncia non palatalizzata di ch [ts]: chan ["tsaŋ], relicha [ar"litsa], nuech ["nøts] (Limone) c) In alcune varietà della Val Susa ch è pronunciato [ʃ]: chat ["ʃat], vacha ["vaʃ:ɑ] (Salbertrand)

31. j g tj tg j e tj, davanti a a, o e u, e g e tg, davanti a e e i, rappresentano [d%]: jalina, jorn, ajuar, viatjar gent, àngel, viatge In qualche parola, scriviamo una j davanti a e per seguire l’etimologia latina: projectar, jesuïta Scriviamo j e g o tj e tg seguendo i dialetti occitani che mantengono una pronuncia distinta. Nota. La i consonantica del latino è resa da [d%] (e sue varianti) in occitano nel caso in cui in italiano ci sia una i: projectar, objectiu Osservazioni a) In qualche varietà esiste un pronuncia non palatalizzata di j e g [dz] davanti a e ed i: jove ["dzuvi], boja ["budza], jalina [dza"lina] (Limone) b) In alcune varietà dell’Alta Val Susa j e g davanti ad e e i sono pronunciate [%]: jove ["%uvə], bojar ["bu%ɑ], jalina [%a"+inɑ] (Salbertrand).

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32. f f rappresenta [f]: font, faus, afre

33. v. v rappresenta [v]: vin, auvir

34. s (-s) ss ce ci ç x tz s sorda [s] è rappresentata da: ss tra vocali e s nelle altre posizioni: sopa, passar, nas, ors, vachas s intervocalica in alcune parole composte o prefissate: antisèptic ç davanti a a, o e u e alla fine della sillaba, e c davanti a e e i: cèl, nacion, plaça, maçar, maioça, braç, dòuç x, eccetto il prefisso pretonico ex- davanti a vocale (come in examinar): fixar tz finale in alcune parole: crotz, dètz, raïtz Scriviamo c, ç, x e tz secondo dei criteri etimologici e storici.

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Nei plurali, eccetto che in quelli delle parole femminili in -a, -as (non –aa, -aas), la s finale è muta: lhi chats, lhi lops, lhi sacs, lhi barbas, las mainaas, las maisons. In alcune parole grammaticali la s finale di parola o sillaba è muta: dins, aïns, fins, pas, mas, masque (/ mac), mesme. Nella terminazione della seconda persona del plurale dei verbi, tz finale è generalmente muta: chantatz, voletz, chantàvetz. La scriviamo così in virtù dell’unità grafica dei dialetti occitani. Nota. Generalmente il suono di [s] si mantiene sordo tra vocali quando è scritto ç a fine parola e diviene sonoro [z] quando è scritto tz: braç – embraçar, laç – lacet, dòuç – douçor, glaç – glaçar, crotz – crosear, dètz – desena, raïtz – enraïsar Osservazioni In alcune varietà la s dei plurali maschili è pronunciata. (cfr. punto 4 della Morfologia) b) In qualche varietà il gruppo sch è pronunciato [js], [jʃ] o [ʃ]: òscha, lescha, ruscha, eschala

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c) Nelle varietà del nord la s cade generalmente alla fine della sillaba e può causare la dittongazione (di e in [ej]), l’allungamento o l’apertura (a) della vocale precedente (cfr. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe). d) In qualche varietà esiste un suono fricativo interdentale sordo [θ] come quello che si ha in spagnolo nella parola cielo o in inglese nella parola thing, che corrisponde generalmente alle grafie ç, ce, ci e tz. In qualche parola scriviamo s o ss malgrado questa pronuncia (bachàs, perús, perussier...), perché ç, ce, ci sono scritti secondo criteri etimologici limitativi, che comportano alcune eccezioni convenzionali, come nei suffissi às, -ís, -òs, -ús (latino -aceus, -icius, -oceus e -uceus), e -essa, e in una serie di parole in cui la grafia più impiegata è stata accettata (besson, messonja, mèussa, ròssa, sensa, trissar – e anche fissar (pónher), mordassas (moletas), ròssec (èrpi), tesson (corrinòt), in altri dialetti). Fatta eccezione per questi casi e qualche prestito, la pronuncia [θ] è un buon riferimento per l’uso delle grafie ç, ce, ci e tz. Quando si vorrà rappresentare fedelmente la pronuncia di quelle varietà (bachaç, peruç, perucier... ), si potrà far corrispondere sistematicamente queste grafie al suono [θ]. e) Qualche varietà ha [ts] invece di [θ]: cinc [#tsi ŋk], braç [#brats], perús – peruç – [#pryts] (Fontane – Frabosa Soprana) f) In alcune varietà le grafie che corrispondono generalmente a [s] sono pronunciate palatali [ʃ] quando sono accanto a i: fais [#fajʃ], eissuch [i#ʃytʃ], aicí [i#ʃi] (Pontebernardo – Pietraporzio)


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35. -s- z -tz- exs intervocalica, z e tz prevocaliche, e x nel prefisso ex- davanti a vocale, rappresentano la s sonora [z]: ròsa, cosina, cusina, vesin zòna, onze, realizar dotze, tretze, setze examinar, exemple In posizione iniziale e postconsonantica scriviamo sempre z. Scriviamo x e z intervocaliche secondo criteri etimologici. Scriviamo tz intervocalico seguendo i dialetti occitani che mantengono una pronuncia distinta; quella grafia compare solo negli esempi che abbiamo fornito qui. Tutte le grafie di s finale sensibile (sonora) sono pronunciate sonore davanti alla vocali iniziale di una parola che segue senza pausa: las alas [le!zales], sas amisas [seza!mizes], las arribon [leza!ribuŋ], las ai ajuaas [le#zaja!d$ɥa], tu venes aicí [!ty!venezi!si], votz agua [!vuza!gyo], laç estrench [!lazes’trentʃ] Osservazioni a) In qualche varietà esiste un suono fricativo interdentale sonoro [ð] come quello che c’è in inglese nella parola this. Poiché z intervocalica è scritta seguendo criteri etimologici limitativi e non in accordo con l’evoluzione fonetica dell’occitano, ci sono molte parole che hanno quel suono cusina, vesin, desena...- e che scriviamo semplicemente con una s. Quando si vorrà rappresentare fedelmente la pronuncia di quelle varietà, si potrà far corrispondere sistematicamente la pronuncia [ð] e la grafia z (cuzina, vezin, dezena...). b) In alcune varietà, le grafie che corrispondono generalmente a [z] sono pronunciate palatali [$] quando sono vicine a i: maison [mi!$uŋ] (Pontebernardo - Pietraporzio) c) Nelle varietà in cui la s finale dei pronomi e dei dimostrativi è muta davanti a una consonante, si pronuncia come sonora davanti alla vocale iniziale di una parola che

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segue: los libres [lu:!lib:ri], los òmes [lu!zɔm:i], las femnas [la:!fen:a], las alas [la!zɔ:la] (Val Chisone), las maisons [la:mej!zuŋ], las aiglas [la!zaj)la], quelas maisons [kla:mej!zuŋ], quelas aiglas [kla!zaj)la], las venen [la:!venəŋ], las arriben [laza!ribəŋ], os venètz [u:və!nε], os arribatz [uzari!ba] (Val Germanasca) In Val Germanasca, questa regola non si applica agli aggettivi qualificativi, agli indefiniti e ai numerali femminili.

36. m mh m rappresenta [m], tranne nelle terminazioni verbali della prima persona del plurale (chantem, escrivem): menar, deman, campanha, champ, fam Osservazioni a) Generalmente in Alta Val Susa non c’è differenza tra le consonanti nasali a fine parola. Sono tutte pronunciate nello stesso modo; come una nasalizzazione della vocale precedente, come [ŋ] o mute, a seconda della ˜], an [!a ˜], vin [!v,˜], varietà: fam [!fa luenh [!l˜ø] (Rochemolles) E anche: champ [!ʃa ˜], blanc [!bla ˜], pònt [!pɔ˜] (Rochemolles) b) Il suono di m palatalizzata [m-] che esiste in qualche varietà del nord, lo scriviamo mh: emprumh

37. n n rappresenta [n]: nuech, nòu, un ase, menar, aqueste an, jorn, charn Nella pronuncia della varietà referenziale manteniamo la distinzione in posizione finale tra n velare [ŋ] - vin - e n alveolare [n] - an -, ma non manteniamo la grafia spesso utilizzata di n doppia.

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Osservazioni a) In alcune varietà del nord la n intervocalica cade e le vocali contigue sono pronunciate nasali: sono [!su ˜:u ˜], fenolh [fə˜!u ˜ʎ] (Rore, Prali) b) In alcune varietà la n intervocalica è pronunciata [r]: lana [!lɔro], luna [!lyro] (Sauze di Cesana)

38. -n n finale postvocalica generalmente e m delle terminazioni verbali della prima persona del plurale rappresentano n velare [ŋ]: pan, perdon, vin, ben chantem, volem, chantàvem Scriviamo m finale delle terminazioni verbali in virtù dell’unità grafica dei dialetti occitani.

39. nh nh rappresenta n palatale [&]: nhòc, vinha, montanha, luenh Osservazioni La lettera n è generalmente pronunciata [&] a Rochemolles davanti a i e u: nier [!&iə], garnir ['a!&i:], planura [pla!&y:r]

40. l ll tl 32

l, ll e tl rappresentano [l]: luna, pala, bèla, colp, qualque, olme, mal illusion, drolle espatla l è spesso pronunciata r alla fine della sillaba; unifichiamo la grafia in l: qualque, olme Il gruppo lr è pronunciato come rr [r]: alre, tòlre Scriviamo ll nelle parole dotte, mantenendo la grafia etimologica, e nella parola dròlle. Scriviamo tl in una serie limitata di parole in virtù dell’unità grafica dei dialetti occitani: espatla, rotlar, rotleta, barrotlar l è spesso muta in posizione finale in una sillaba atona, in particolare dopo o: àrbol, càmol

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Osservazioni a) In alcune varietà dell’Alta Val Susa la l finale è generalmente muta: chastèl [ʃa:!te], cèl [!se:] (Rochemolles) In altre varietà del nord la l finale diviene muta solo in particelle atone davanti all’accento: a l’òm [a!lɔm] – al paire [a:!pajre], al arriba [ala!rib:o] – al chanta [a:!tʃanto] (Val Germanasca) b) In alcune varietà la l finale di sillaba è vocalizzata in i [j] davanti all’accento: alp [!alp] – alpet [ej!pet], al chanta [ej!tʃɔnto] (Bellino) c) Scriviamo normalmente la u [w] che risulta dalla vocalizzazione della l implosiva in Alta Val Susa: auba, sauvatge d) In Alta Val Susa e una parte della Val Chisone, la l finale è vocalizzata in u [w] al plurale; scriviamo normalmente questa modificazione (cfr. il punto 18): chavaus, chastèus, usèus, cotèus e) In molte varietà la l intervocalica è pronunciata come r, o come l o r retroflesse, [*] o [+], quando proviene da l semplice latina: ala [!a:r], estiela [e!ts,e:r] (Rochemolles) ala [!a+ɑ], estiela [i!tje+ɑ] (Salbertrand) ala [!a*o], estela [i!tea*o] (Usseaux) ala [!ara], colomb [ku!rump] (Fontane– Frabosa Soprana) Nota. Ci sono parole, come estela, che avevano l doppia in latino ma che l’hanno scempiata, semplificata nell’evoluzione dell’occitano. f) Segneremo le particolarità locali nella grafia soltanto quando vorremo rappresentare precisamente le caratteristiche di una determinata parlata e non potremo fornire regole sistematiche di corrispondenza tra la grafia e la pronuncia: quarque, orme ara, estiera


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41. lh cl gl pl bl fl In occitano lh è la grafia di l palatale [ʎ]. Nelle varietà della zona sud, come in altri dialetti occitani, è pronunciata [j]: palha, malh Davanti a i è normalmente muta: abelhier, bulhir, lhi Nelle parole di evoluzione popolare, l in gruppo con una consonante precedente – cl, gl, pl, bl, fl – rappresenta [j]: clar, plaça, confla Davanti i ed u è muta: clinar, emplir, sanglut, plueia Dopo una consonante unita alla l, le finale atono rappresenta [i]: estable [es"tabi], esempio [e"zempi] Nelle parole dotte e nei prestiti, l si è mantenuta in questi gruppi: clàssic ["klasik], contemplar, deble ["deble] Osservazioni a) Nella metà nord si è mantenuta la pronuncia di lh come [ʎ]: filh ["fiʎ], palha, malh c) Nelle varietà del nord si è mantenuta la pronuncia di l nei gruppi cl, gl, pl e bl. b) In qualche varietà lh è pronunciato come se fosse j [d#], come ch [tʃ] in posizione finale, o con un suono prossimo, di occlusiva palatale [%], [c] in posizione finale: filha ["fid#a], filh ["fitʃ] (Limone) palha ["pa%a], gulha ["&y%a], filh ["fic], vielh ["vjec] (Serre – Valloriate) d) In qualche varietà cl è pronunciato come [tʃ] e gl come [d#]: claper [tʃa"per], agland [a"d#ant] (Limone) e) l è generalment pronunciata [ʎ] a Rochemolles davanti a i e u: libre ["ʎib], valisa [va"ʎi:z], luna ["ʎy:n], alumar [aʎy"ma:]

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42. r rr r e rr rappresentano [r], vibrante alveolare: roa, prat, pòrta, chara, mar, amor, òrre, tèrra parlar, venir Scriviamo rr in virtù dell’unità grafica dei dialetti occitani. r è muta in posizione finale nelle sillabe atone e dopo un dittongo decrescente: nàisser, mochaor r è spesso muta dopo una t o una p preceduta da una consonante o da un dittongo decrescente in una sillaba atona finale; manteniamo questa r nella grafia e ne raccomandiamo la pronuncia nella varietà referenziale: vòstre, autre, sempre Nella parola grammaticale encar la r finale è muta: [eŋ"ka]. Osservazioni a) In molte varietà r finale è muta in tutti gli infiniti; nelle parlate del nord, quando cade quella r, la vocale tonica precedente si allunga (cfr. Osservazione sulle vocali e le consonante lunghe). b) Quando si vorrà rappresentare fedelmente la pronuncia di una varietà si potrà scrivere senza r le parole come vòstre, autre e sempre. c) In alta Val Susa esiste l’opposizione tra r alveolare [r] e r uvulare []– di tipo francese. In generale, il primo corrisponde alla grafia di r semplice intervocalica e il secondo a r semplice nelle altre posizioni e a r doppia (Rochemolles). Esiste anche l’opposizione che consiste nell’avere r retroflessa [)] corrispondente a r semplice intervocalica, e r apicale [r] in corrispondenza di r semplice nelle altre posizioni e di r doppia (Salbertrand). [r] a Rochemolles e [)] a Salbertrand: vira, veire, paure [] a Rochemolles e [r] a Salbertrand: prat, pòrta, amor, roa, tèrra, morre d) r a fine sillaba davanti a una consonante è pronunciata [j] in alcune località: puerc ["pøjk], barba ["bajba] (Fontane – Frabosa Soprana)

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43. Impiego dell’apostrofo

44. Impiego del trattino

Si impiega l’apostrofo per segnare l’elisione di una vocale nelle parole seguenti:

Si impiega il trattino: a) Per unire i pronomi enclitici al verbo, quando non c’è un’elisione segnata da un apostrofo: Parle-me. Donem-lhi-lo. As-tu? Vòl-le? Per lavar-se = Per se lavar. Done-m’o.

a) Gli articoli determinativi: l’àrbol, l’abelha b) La variante clitica degli articoli indeterminativi: n’òme e na frema, n’abelha Ma, con la variante piena, raccomandata, non la impieghiamo: un òme e una frema, una abelha c) I pronomi clitici e la particella pronominale ne’n: Al m’o dona (me lo dà) Ilh t’an vist (ti hanno visto) L’ai atupit (lo fuec) (l’ho spento, il fuoco) L’atendíem (la mendia) (l’aspettavamo, la ragazza) Ilh s’estonarè (si stupirà) N’aurèm pro (ne avremo abbastanza) Me’n dones (me ne dai) d) La preposizione de: d’aquel òme, d’àrbols e) que, relativo, interrogativo, esclamativo e congiunzione: Vuelh la bota qu’es sus lo desc. Qu’a-le? Qu’òmes! Penso qu’as capit. f) La congiunzione se: S’auguesses dich la veritat. g) La preposizione per nella formazione di alcune espressioni grammaticali: a pr’un, pr’amor de. 34

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h) Gli indefiniti cèrt’uns, cèrt’unas, qualqu’un, qualqu’una, qualqu’uns, qualqu’unas.

b) Nei numerali seguenti: dètz-e-sèt, dètz-e-uech, dètz-e-nòu vint-e-un, vint-e-dui, vint-e-tres, vint-equatre, vint-e-cinc, vint-e-sieis, vint-e-sèt, vint-e-uech, vint-e-nòu c) Nelle parole prefissate e composte: 1- Dopo i prefissi che possono essere parole grammaticali autonome (èx-, quasi- e non-): èx-ministre, quasi-monopòli, nondiscriminacion 2- Dopo i prefissi aut- e bas-, e quelli che derivano dai nomi dei punti cardinali: aut-auvernhat, bas-navarrés, sud-american, nòrd-europèu 3- Quando la composizione avviene con la ripetizione o la successione di forme equivalenti, del nome dei punti cardinali, di onomatopee o di forme espressive: pòrtafenèstra, buou-vacha, radical-socialista, aigre-dòuç, vai-e-ven, plan-planet, sud-èst, còli-còli, badin-badan, trigo-migo 4- Quando le parole composte comportano costruzioni preposizionali o sono formate da frasi che non sono limitate a una forma verbale con una sola parola complemento: après-merenda, jatz-per-tèrra Ma: ganhapan, gardabòsc, pòrtaparaplueia, manjaprofit 5- Facoltativamente nei nomi di persona: Joan-Peire = Joan Peire Nota. Quando il composto è formato da un nome e da un aggettivo ed entrambi formano il plurale, trattiamo i due elementi come se fossero due parole indipendenti: rata-volaoira - ratas-volaoiras


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45. Osservazioni sulle vocali e le consonanti lunghe Nelle varietà del nord esistono vocali lunghe. Le consonanti sono lunghe tra due vocali quando la prima vocale è breve e tonica. Forniamo in sintesi l’esempio della distribuzione delle vocali e delle consonanti lunghe in Val Germanasca (cfr. Genre 1993): a) Ci sono tre posizioni in cui è possibile avere vocali lunghe: 1- Davanti all’accento (posizione pretonica): chastèl [tʃa:"tεl], al chanta [a:"tʃanto], li champs [li:"tʃamp] 2- In posizione tonica davanti a una consonante o una semiconsonante [j] ad inizio della sillaba seguente: moscha ["mu:tʃo], cóser ["ku:ze], mofla ["mu:flo], faia ["fa:jo] 3- In posizione tonica in sillaba finale: chantar [tʃan"ta:], poaa [pu"a:], après [a"prε:], mes ["me:], pòst ["po:t], veèl ["vε:l] b) Esistono vocali lunghe per natura, che sono lunghe anche in posizione pretonica; le vocali sono lunghe per natura: 1- Davanti a r, l o s – o tz – divenute mute: chantar [tʃan"ta:], al chanta [a:"tʃanto], bèl jorn ["bε:"d$uərn], gròs ["gro:], après [a"prε:], lescha ["le:tʃo], chastèl [tʃa:"tεl], crotz ["kru:] 2- Quando sono scritte aa, aè, eè, èe, ee o ui: poaa [pu"a:], paèla ["pε:lo], veèl ["vε:l], sèel ["sε:l], veelet [ve:"let], reduire [ər"dy:re], reduit [ər"dy:t] 3- In alcuni casi in cui non scriviamo la vocale doppia o la l divenuta muta, ma sono nell’evoluzione della parola: escotar [ejku:"ta:] (ol > [u:]), dit ["di:t] (ii> [i:]), ganho [&a:"'u] (aa > [a:]) Nota. La i del plurale dei dimostrativi e dei pronomi è lunga davanti a una consonante: queli òms [kli"ɔm] – queli champs [kli:"tʃamp], si amís [sia"mi:s] – si filhs [si:"fiʎ] c) Le vocali lunghe per posizione non possono essere lunghe in posizione pretonica; le vocali sono lunghe per posizione: 1 - In posizione tonica non finale, davanti a f (con alcune eccezioni), n (con alcune

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eccezioni), ss – o c, ç – (con alcune eccezioni), s – o z – (con alcune eccezioni), l (quando deriva da l semplice latina), v, r e i [j]: mofla ["mu:flo], estòfa [ejtɔ:fo], luna ["ly:no], pena ["pe:no], passa ["pa:so], plaça ["pla:so], cóser ["ku:ze], presa ["pre:zo], ala ["a:lo], pala ["pa:lo], fava ["fa:vo], chara ["tʃa:ro], tèrra ["tε:ro], faia ["fa:jo] Ma: estofo [ej"tuf:u], dòna ["dɔn:o], possa ["pus:o], mesa ["mez:o] 2- In posizione tonica finale davanti a s (con alcune eccezioni), tz (con alcune eccezioni), l (quando deriva da l semplice latina), r e i [j]: amís [a"mi:s], las ["la:s], votz ["vu:s], petz ["pe:s], sal ["sa:l], mal ["ma:l], clar ["kla:r], mai ["ma:j] Ma: metz ["mes], potz ["pus] d) Le vocali che non sono lunghe per natura e appaiono in altri contesti sono brevi: laç ["las], espatla [ej"pal:o], bèl ["bεl], bèla ["bεl:o], viu ["viw], chaud ["tʃawt], dotze ["duz:e], raba ["rab:o], vacha ["vat:ʃo], agulheta [a&y"ʎət:o], tòc ["tɔk], chat ["tʃat] Nota. a) Converrebbe che i dizionari locali indicassero i casi di conservazione di s e di r, e le vocali lunghe quando non è possibile dedurlo dal contesto. b) La sequenza es in posizione pretonica è generalmente pronunciata [ej]: escotar [ejku:"ta:], deschauç [dej"tʃaws] Ma ci sono alcune eccezioni, oin cui la s è pronunciata: estonant [əstu"nant], descripcion [dəscri"sjuŋ] 35


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II. Morfologia della varietà referenziale Nella morfologia forniamo le parti variabili del discorso seguendo le scelte compiute per la varietà referenziale e completandole con qualcuna delle altre forme importanti dell’insieme dell’occitano alpino orientale. Abbiamo potuto fornire con sufficiente sistematicità le forme presenti in grammatiche o estratti di grammatica pubblicati: per la Val Varaita, Bernard (s.d.); per la Val Germanasca, Pons e Genre (1997); per la Val Chisone, Vignetta (1981); per l’Alta Val Susa, Baccon Bouvet (1987), Masset (1997) e Perron (1984). Utilizziamo anche informazioni ottenute tramite intervista, specie nella coniugazione dei verbi. Forniamo esempi soltanto quando ci pare che la semplice enumerazione delle forme possa ingenerare confusione. Nel vocabolario, si trovano gli equivalenti italiani delle forme che compaiono senza esemplificare. Le parti invariabili del discorso si trovano anche normalmente nel vocabolario.

Convenzioni utilizzate nella morfologia

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Separiamo con una barra obliqua (/) le forme equivalenti, particolarmente dal punto di vista normativo: aqueste / aquest, lo que / aquel que, eli / ilhs. Separiamo con una linea (–) le varianti contestuali: lo – l’, las [les] – [lez] La forma lo e la pronuncia [les] sono impiegate davanti a consonanti, e la forma l’ e la pronuncia [lez] davanti a vocali. Separiamo anche con una linea (–) le forme del singolare e del plurale negli esempi del punto 4: lo jorn – lhi jorns, lo viatge – lhi viatges Impieghiamo le parentesi per indicare elementi che possono essere presenti o meno: qué se sie (de) = qué se sie / qué se sie de

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Utilizziamo il trattino per indicare il posto dell’elemento principale quando posponiamo elementi accessori, dopo una virgola: baron de, un - = un baron de estiç de, un - = un estiç de Separiamo con dei puntini di sospensione (...) le forme dei pronomi clitici che posti davanti al verbo da quelle che vanno dopo (punto 11): a ... -co (a chanto, chanto-co?), al ... -le (al ven, ven-le?)

Abbreviazioni impiegate nella morfologia c. f. m. n. p. s. C F G I II Im ICg P PI PCg PR PtP 1a 2a 3a

forma di cortesia femminile maschile neutro plurale singolare condizionale futuro (e presente del presuntivo) gerundio infinito imperfetto dell’indicativo imperativo imperfetto del congiuntivo participio passato presente dell’indicativo presente del congiuntivo passato remoto dell’indicativo passato remoto del presuntivo prima persona seconda persona terza persona

FORME GRAMMATICALI 1. Articoli determinativi m. s. lo-l’

f. s. la-l’

m. p. lhi [i]-[j]

f. p. las [les]-[lez]

Le forme dal singolare lo e la si usano davanti a una consonante, la forma l’ davanti a una vocale. La prima pronuncia menzionata della forma del plurale maschile corrisponde alla posizione davanti a una consonante e la seconda alla posizione davanti a una vocale.


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La prima pronuncia della forma del plurale femminile corrisponde alla posizione davanti a una consonante sorda e la seconda alla posizione davanti a una vocale o una consonante sonora: lo chat, l’àrbol, la vacha, l’abelha, lhi chats [i!tʃat], lhi àrbols [!jarbu], las chabras [les!tʃabres], las vachas [lez!vatʃes], las abelhas [leza!bejes]

Esempi: al chat, a l’àrbol, a la vacha, a l’abelha, ai chats, a lhi àrbols [a!jarbu], a las vachas, a las abelhas dal chat, de l’àrbol, de la vacha, de l’abelha, di chats, de lhi àrbols [!djarbu], de las vachas, de las abelhas dal chat, da l’àrbol, da la vacha, da l’abelha, dai chats, da lhi àrbols [da!jarbu], da las vachas, da las abelhas

Osservazioni a) Nelle varietà dell’Alta Val Susa e dell’Alta Val Chisone troviamo l’articolo maschile singolare le l’ – spesso con la e muta o con una vocale di sostegno davanti alla l (cfr. l’osservazione (g) del punto 3 delle regole ortografiche) – e l’articolo maschile plurale los [lu:] – [luz].

Osservazioni a) La forma es dell’articolo femminile plurale, che si trova solo in alcune varietà (per esempio a Sant’Anna di Valdieri), compare spesso in contrazioni: as (a las), des (de las), das (da las). Nella varietà referenziale, impiegheremo le forme senza contrazione: a las, de las, da las.

b) Dalla Val Pellice alla bassa Val Chisone l’articolo maschile plurale è li davanti a consonante, lhi [ʎ] davanti a vocale.

2. Articoli indeterminativi e partitivi m. s. un

f. s. una

m.s. f.s. m.p. f.p. ental – ente l’ ente la – ente l’ enti – ente lhi ente las sal – se l’ se la – se l’ si – se lhi se las

partitivo de-d’

La forma de si utilizza davanti ad una consonante, la forma d’ davanti a una vocale. Esempi: un chat, un àrbol, una vacha, una abelha, de chats, d’àrbols, de vachas, d’abelhas Osservazioni Esistono forme clitiche degli articoli indeterminativi che si possono scrivere per rappresentare fedelmente le varietà dialettali: en chat, n’àrbol, na vacha, n’abelha

3. Contrazioni e combinazioni delle preposizioni con gli articoli determinativi m. s. al-a l’ dal-de l’ dal-da l’

f. s. a la-a l’ de la-de l’ da la-da l’

m. p. ai–a lhi di–de lhi dai–da lhi

b) Nella varietà referenziale, preferiamo la preposizione dins [!diŋ] alla preposizione enente, e l’impiego di sus senza contrazione. Le forme contratte con en e sus sono le seguenti:

f. p. a las de las da las

A partire dalla forma es, si forma: entes (ente las), sus es (sus las). c) Nella varietà in cui si ha vocalizzazione della l implosiva (Alta Val Susa), i risultati della contrazione delle preposizioni a, de e da con le forme dell’articolo maschile sono: au [aw] / [o], aus [aw] - [awz] / [u] – [uz] / [o] – [oz], dau [du] / [do], daus [du] – [duz] / [do] – [doz].

4. Formazione del plurale I sostantivi, aggettivi e participi femminili in -a atona ricevono una s per formare il plurale. La terminazione -as si pronuncia [es] nella varietà referenziale (cfr. l’osservazione (e) del punto 1 delle regole ortografiche per altre possibilità): la chaena - las chaenas, l’abelha - las abelhas, chauda - chaudas, finia - finias. Tutti gli altri sostantivi, aggettivi e participi hanno una s del plurale muta nella maggior

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parte dei casi, salvo quando terminano in -s, -ç, -tz o x, che restano invariabili anche graficamente: la mainaa - las mainaas, la nuech - las nuechs, la question - las questions, lo barba - lhi barbas, lo liech - lhi liechs, lo jorn - lhi jorns, lo viatge - lhi viatges, anaa-anaas, chaud-chauds Ma: lo francés - lhi francés, lo braç - lhi braç, lo potz - lhi potz, l’índex – lhi índex, afrós - afrós, faus - faus. I determinativi e i pronomi seguono le stesse regole di formazione del plurale, salvo i plurali maschili quando sono formati aggiungendo una i o palatalizzando la consonante finale (l -> lh, t -> ch...): tuchi, aquisti, aquilhi. Osservazioni a) In Alta Val Susa e Val Chisone esistono diversi modi di formare il plurale dei sostantivi, degli aggettivi e dei participi maschili a seconda delle loro terminazioni. Forniamo l’esempio della Val Chisone: -s sensibile (sonora): tupin – tupins, beal – beals, papier – papiers, jorn [!d"urn] – jorns [!d"urs], teit [!tεjt] – teits [!tεjs] -[l] – -[ws]: caval – cavaus -[!εl] – -[!jaws]: anhèl – anhèus, usèl – usèus -[e] – -[i]: òrdre – òrdres [!ɔrdri], paire – paires

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Allungamento della vocale: det [!dε] – dets [!de:], pè [!pε] – pès [!pε:] Parole invariabili: mes [!me:] – mes [!me:], riu – rius b) In altre zone il plurale maschile è formato con una s sensibile (sonora), che può prendere una e di sostegno dopo un altro suono di s: lop – lops [!lups], armari – armaris [ar!maris], pes – peses [!pezes] (Acceglio)

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5. Numerali cardinali 1un, una 2 dui, doas 3 tres 4 quatre 5 cinc 6 sieis 7 sèt 8 uech 9 nòu 10 dètz 11 onze 12 dotze 13 tretze 14 catòrze 15 quinze 16 setze 17 dètz-e-sèt 18 dètz-e-uech 19 dètz-e-nòu 20 vint 21 vint-e-un [&vin!tyŋ] 22 vint-e-dui [&vinto!dyj] / [&vinta!dyj] 23 vint-e-tres 24 vint-e-quatre 25 vint-e-cinc 26 vint-e-sieis 27 vint-e-sèt 28 vint-e-uech 29 vint-e-nòu 30 trenta 31 trenta un

32 trenta dui 33 trenta tres 40 quaranta 50 cinquanta 60 seissanta 70 setanta 80 ochanta 90 noranta 100 cent, 101 cent e un [&sen!tyŋ] 102 cent e dui 200 dui cents 300 tres cents 400 quatre cents 500 cinc cents 600 sieis cents 700 sèt cents 800 uech cents 900 nòu cents 1000 mila, una milha 1001 mila e un 1002 mila e dui 2000 dui mila 3000 tres mila 100000 cent mila 200000 dui cent mila 1000000 un milion 2000000 dui milions 1000000000 un miliard

Osservazioni a) Le varianti raccomandate secondo le evoluzioni proprie delle varietà del nord sono: 2 dos, doas (Val Chisone, Alta Val Susa), 3 tres [!tre] (accanto a trei), 6 seis, 8 ueit (meglio di uet...), nòu (accanto a nau), 80 oitanta (accanto a uitanta, ueitanta), 90 nonanta (Val Chisone, meglio che nananta – Alta Val Susa). Vanno considerate come varianti secondarie: detz-sèt [dər!sεt] / [dar!sεt], detz-ueit, detznòu / detz-nau. b) In diverse località è presente tèrze o terze per tretze.


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6. Numerali ordinali premier, premiera segond, segonda/second, seconda/duien, duiena tèrç, tèrça/tresen, tresena quatren, quatrena cinquen, cinquena seisen, seisena seten, setena uechen, uechena noven, novena desen, desena Osservazioni Il numerale uechen ha la variante ueiten (f. ueitena), secondo l’evoluzione propria delle varietà del nord.

7. Aggettivi e pronomi possessivi Aggettivi POSSESSORE/I

1a s. 2a s. 3a s. 1a p. 2a p. 3a p.

m.s. mon ton son nòstre vòstre lor

f.s. ma ta sa nòstra vòstra lor

m.p. mi ti si nòstri vòstri lors

f.p. mas tas sas nòstras vòstras lors

Osservazioni In Val Chisone e Alta Val Susa le forme principali del maschile plurale sono le seguenti: mos / mons, tos / tons, sos / sons, nòstros / nòstri, vòstros / vòstri, lòrros / lorri / sos Esistono anche queste forme femminili per i possessori della 3a persona del plurale: lòrra / lorra, lòrras / lorras Le forme raccomandate sono le seguenti: mos, tos, sos, nòstros / nòstri, vòstros / vòstri, lors

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Pronomi e aggettivi m.s. f.s. m.p.

POSSESSORE/I 1a s. 2a s. 3a s. 1a p. 2a p. 3a p.

(lo) miu (lo) tiu (lo) siu (lo) nòstre (lo) vòstre (lo) lor

(la) mia (la) tia (la) sia (la) nòstra (la) vòstra (la) lor

(lhi) miei (lhi) tiei (lhi) siei (lhi) nòstri (lhi) vòstri (lhi) lors

f.p. (las) mias (las) tias (las) sias (las) nòstras (las) vòstras (las) lors

Osservazioni a) In varie località esistono le varianti seguenti del femminile singolare e plurale per il possessore della 2a e della 3a persona del singolare: (la) toa, (la) soa, (las) toas, (las) soas b) Nelle varietà del nord le forme del maschile plurale per un possessore hanno una s, pronunciata o muta: (le / lo) miu / meu, (le / lo) tiu / teu, (le / lo) siu / seu, (los / li) mius / meus, (los / li) tius / teus, (los / li) sius / seus

8. Aggettivi e pronomi dimostrativi Pronomi neutri çò

aiçò

aquò

Nota. I pronomi aiçò e aquò possono perdere l’accento nelle combinazioni con gli avverbi di luogo: aiço ci [ejsu!si], aquo qui [aku!ki] Osservazioni a) Il pronome çò ha le varianti ço (Val Chisone) e ça (Alta Val Susa): çò nòstre / ço nòstre / ça nòstre b) Il pronome aiçò ha le varianti aiçòn (Val Germanasca e Val Chisone) e aicen (Val Chisone e Alta Val Susa) c) Il pronome aquò ha la variante aiquen (Val Germanasca, Val Chisone e Alta Val Susa) Pronomi e aggettivi m.s. f.s. m.p. aqueste/aquest aquesta aquisti aquel aquela aquilhi

f.p. aquestas aquelas

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Aggettivi m.s. esto quel

f.s. esta quela

m.p. esti quilh

f.p. estas quelas

Osservazioni a) In Val Germanasca, le forme dei pronomi e degli aggettivi sono le seguenti: aiquet / quet, aiqueta / queta, aiqueti / queti, aiquetas / quetas aiquel / quel, aiquela / quela, aiqueli / queli, aiquelas / quelas b) In Val Chisone e Alta Val Susa, si possono trovare le forme seguenti, con distribuzioni diverse: aicet / cet / cete, aiceta / ceta, aicetos / cetos, aicetas / cetas aiquel / quel, aiquela / quela, aiquelos / quelos, aiquelas / quelas Nelle varietà in cui la l finale vocalizza in -u, esiste la variante queu, di quel. c) Scriviamo le forme aiquet, quet, aicet, cet... senza s perché non presentano allungamento della vocale che corrisponderebbe alla presenza della s scritta, ma, nella lingua normata, raccomandiamo le forme con s grafica: aiquest / quest, aiquesta / questa, aiquesti / questi, aiquestas / questas aicest / cest / ceste, aicesta / cesta, aicestos / cestos, aicestas / cestas d) Va rimarcato che le grafie cet(e), ceta, cetos, cetas possono corrispondere alle pronunce [ste], [st], [stə], [stu], [sta], perché la e atona può essere muta (cfr. il punto 3 delle regole ortografiche) 40

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9. Aggettivi e pronomi relativi, interrogativi e esclamativi Relativi invariabili que, qu’: Lo premier que te ve (Il primo che ti vede) Lo premier que vees (Il primo che vedi) Lo premier qu’al ve (Il primo che egli vede) La maison que me’n parles (La casa di cui mi parli) qué (con preposizione): Sai pas de qué me parlatz (Non so di cosa mi parliate) qui: Qui o a s’o ten (Chi ce l’ha se lo tiene) Ilh respònd a qui lhi demanda qualquaren (Egli risponde a chi gli domanda qualcosa) çò que – çò qu’: Al pensava a çò qu’auria pogut arribar (Pensava a ciò che sarebbe potuto accadere) aquò que – aquò qu’: Aquò que volies (Ciò che volevi)


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