Val Varaita

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val varaita Guida a una valle occitana sorprendente per le tradizioni, affascinante per i paesaggi


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Coordinamento editoriale e impaginazione Più Eventi Edizioni - Bbox s.r.l. Art director Nicoletta Blua Testi Davide Rossi Fotografie Paolo Viglione Contributi redazionali Riccardo Assom, Gabriella Brun, Elisa Cottura, Cristina Cravetto, Tiziana Gallian, Elena Marchetto, Dino Matteodo, Gianni Menzio, Arianna Menzano, Daniele Orusa, Enrica Paseri, Rosella Pellerino, Federica Raina Crediti fotografici Archivio Segnavia, Archivio Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in Provincia di Cuneo, Serena Giusiano - Archivio Associazione Tavio Cosio, Giorgio Inaudi - Archivio www.cuneoclimbing.it, Davide Rossi, Silvana Peyrache, Federica Raina Stampa L’Artistica - Savigliano

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SOMMARIO | indice

Introduzione Il perché della guida Come si legge la guida

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La cartina

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Architettura alpina Gastronomia Natura

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Territorio Storia Lingua Tradizioni Arte

Paesi e borgate Pontechianale | Il paese della diga Bellino | Il paese delle meridiane Casteldelfino | La capitale della Castellata Sampeyre | Il capoluogo della valle Frassino | Il paese che ha flirtato con la storia Melle | La patria del “Toumin dal Mel” Valmala | Visitata dalla Madonna Brossasco | La capitale del legno Isasca | Il più piccolo centro della valle Venasca | Il paese delle castagne Rossana | Circondata da boschi ricchi di funghi Piasco | L’antica dogana con la Gallia Costigliole Saluzzo | Il borgo dei tre castelli Verzuolo | La città dell’antico ricetto

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Ricettività Pontechianale Bellino Casteldelfino Sampeyre Frassino Melle Valmala

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Brossasco Isasca Venasca Rossana Piasco Costigliole Saluzzo Verzuolo

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il perché di questa guida INTRODUZIONE | Il perché della guida Da anni se ne sentiva il bisogno. Era il lontano 1978 quando veniva data alle stampe la guida della valle Varaita di Sergio Ottonelli. Migliaia di copie svanite in poco tempo. Più che una guida turistica, un testo fondamentale per la conoscenza della nostra valle. Trent’anni sono passati, molte cose sono cambiate; l’economia turistica della valle Varaita è tutt’ora in fortissima evoluzione, con pregi e difetti; ma certo la strada intrapresa della qualità in tutti i campi è la sola che ci può dare un futuro. Nell’ultimo decennio la Comunità Montana ha investito risorse considerevoli per recuperare il patrimonio artistico, architettonico, per promuovere la cultura ed i musei, per le attrezzature sportive, la sentieristica, la cucina locale, i prodotti dell'artigiano e dell'agricoltura. Sta costruendo un nuovo prodotto turistico con il vicino Queyras e lo sta promozionando sui mercati europei. Ha dato vita alla Porta di Valle, quale momento di accoglienza del turista, ma anche di vetrina della valle e di organizzazione del prodotto turistico. Certo molto resta da fare. Il turismo invernale è un problema, malgrado i consistenti investimenti nello sci di discesa e del fondo fatti dalla Comunità Montana, dai Comuni e dal BIM. Occorre avere sul territorio un’associazione degli operatori turistici che sia l’interlocutore privilegiato degli enti pubblici, soprattutto nel momento in cui verrà a mancare una comunità montana per la sola valle Varaita. 7


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Uno strumento che parli ai turisti, ma anche a noi stessi Molto è cambiato tra gli operatori, ma la qualità dell’accoglienza, della ristorazione è davvero migliorata in questi anni. La valle mantiene un numero di posti letto importante, sia in strutture alberghiere sia in strutture a carattere familiare. Senza contare che vi è un patrimonio di seconde case che è ancora in gran parte sottoutilizzato. La valle Varaita ha una considerevole presenza turistica, una presenza sempre più attenta ai nostri valori ed alle nostre risorse. Serve quindi una nuova guida turistica che vada incontro a queste esigenze. Uno strumento assieme ad altri, beninteso. Uno strumento che non parli solo al turista, ma anche a noi stessi, che ci faccia capire da dove veniamo, chi siamo e a che punto siamo. Il tutto in modo leggero e gradevole. Questa guida è il lavoro di molti; un lavoro reso possibile dalla redazione congiunta dell’Ufficio programmazione turismo e cultura della Comunità Montana e di un editore ormai affermato qual è “+eventi” di Cuneo. All’editore, ai redattori e ai molti collaboratori che hanno reso possibile questa nuova guida della valle Varaita va il mio ringraziamento personale e quello di tutta l’Amministrazione della Comunità Montana. Silvano Dovetta Presidente della Comunità Montana Valle Varaita

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INTRODUZIONE | come si legge la guida

La guida presenta il territorio della valle Varaita e accompagna il turista alla sua scoperta, aiutandolo a non perdere di vista gli elementi più caratteristici del territorio e le sue principali peculiarità: una valle occitana alpina che conserva tradizioni e paesaggi da non perdere. La guida è organizzata in tre sezioni. La prima è un’introduzione su argomenti a carattere generale utile a inquadrare e conoscere meglio le varie sfaccettature turistiche e culturali della valle. In pagine sintetiche ma esaustive vengono affrontati argomenti la cui conoscenza è necessaria per comprendere maggiormente la realtà di questa zona alpina, dal passato assolutamente non marginale o secondario. La seconda sezione descrive nel dettaglio i quattordici comuni della valle e ne propone gli elementi più significativi. Ogni località viene presentata con dati di tipo pratico che affiancano un testo di presentazione storico-economica e capitoletti monografici su singoli aspetti peculiari del terriorio: edifici da visitare, storie da conoscere, elementi da non trascurare. Per ogni comune vengono inoltre presentate alcune vicende sotto forma di testimonianza e intervista con abitanti della valle: un modo per notare come le vicende abbiano sempre una attinenza con le persone. La terza sezione, infine, è una parte di servizio in cui sono state inserite informazioni utili ai turisti, quali ricettività alberghiera, esercizi di ristorazione e tutti gli altri servizi disponibili sul territorio.

tradizioni | TERRITORIO

frittata comunitaria. I Manhin. A Venasca, Melle, Brossasco, Frassino, Casteldelfino e Bellino nella settimana di Carnevale, a giorni distinti, uscivano i manhins, i calderai, giovani che invadevano il paese passando di casa in casa a raccogliere offerte, spesso uova e vino. Con ampi mantelli neri e il viso ricoperto di fuliggine, giravano con tappi di sughero abbrustolito a sporcare la faccia, soprattutto quella delle ragazze. A Brossasco c’erano anche due bande, quella dei giovani e quella dei vecchi, che facevano a gara a suonare cantando strofe satiriche sui concittadini. A Piasco oggi sfilano in occasione del corteo del Carnevale con ricchi costumi del 1700: si dice che una famiglia di calderai riuscì ad aggiustare la carrozza del Re, che per ringraziarli ordinò che tutti gli anni i manhins diventassero per una giornata i padroni del villaggio, indossando vesti da signori. A Bellino uscivano il venerdì del carnevale vestiti di nero con un grosso mantice pieno d’acqua con cui bagnare i presenti: partecipava anche una finta donna che fungeva da vivandiera e improvvisavano un pasto di polenta mangiata con le mani sporche.

L’introduzione è suddivisa in capitoli tematici, che affrontano singoli aspetti peculiari per una migliore conoscenza della valle: storia, arte, tradizioni, enogastronomia, natura.

La musica e le danze in valle Chi si inoltra in valle Varaita, sia che provenga dai dolci declivi della bassa valle o dalle cime aspre in cui si insinua la strada del colle dell’Agnello, si ritrova avvolto in una sinfonia dai mille suoni e dalle mille voci. Le melodie naturali dei boschi si affiancano al vociare dei valligiani in festa, con i richiami, gli uch acuti e festosi della danza, le diverse intonazioni, cadenze e pronunce della lingua occitana. Una delle esclamazioni più attese e gioiose è il l’urlo Baía! Baía! che ogni cinque anni anima le quintanas, le strette viuzze, e le piazze di Sampeyre capoluogo e di altre tre sue borgate. La “Baío” è una delle feste più antiche della valle, certamente la più nota: a Bellino si ripropone però la Beò, dai tratti molto simili anche se con personaggi scherzosi che nella serissima “Baío” non compaiono. I colori luminosi e accesi dei costumi, con il brillare della seta di foulards e nastri sotto i raggi del sole, si possono ammirare anche in occasione delle numerose feste patronali di alta valle. Ogni festa, antica e nuova, ha poi un altro leit motiv: il ballo. La valle Varaita si contraddistingue per aver custodito e tramandato una quindicina di danze tradizionali: un fatto davvero eccezionale, il patrimonio più ricco di tutte le valli occitane italiane. Le melodie tradizionali conservate risalgono per lo più al XIX secolo, con qualche eccezione più antica tra quelle di Bellino e Chianale. La 55

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Ogni capitolo è stato redatto da un esperto in materia ed è corredato da brevi note e spunti di approfondimento che favoriscono una migliore comprensione del discorso.


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I comuni della valle sono presentati con un testo introduttivo di natura storicoeconomica al quale sono affiancate brevi curiosità di natura geografica. Segue una parte descrittiva in cui sono proposti testi di approfondimento e di curiosità su aspetti concreti di ogni singolo comune: edifici, chiese, vicende e feste. Viene inoltre proposto uno specchietto riassuntivo degli eventi annuali ricorrenti sul territorio comunale.

illuminare Verzuolo, e dopo breve tempo, anche Villanovetta, Falicetto e Manta. Un’attività, quella di produzione di energia elettrica, che il gruppo Burgo prosegue tuttoggi, quando è diventato uno dei maggiori autoproduttori di energia al di fuori del settore petrolchimico. Volendo sfruttare l’energia durante il giorno, quando rimaneva inutilizzata, Burgo avviò nell’agosto 1906 la linea produttiva della cartiera, un’attività

STORIE E PERSONAGGI | I La cartiera Burgo e Romeo Giolitti I Mario Abbà, Verzuolo e le montagne

L’epopea della Burgo La cartiera Burgo è uno degli impianti industriali più importanti della valle e dell’intero saluzzese. È stata ed è una grande risorsa per l’occupazione sul territorio: ha dato lavoro ad un massimo di quasi novecento dipendenti contemporaneamente e oggi ne impiega ancora più di cinquecento, senza contare gli altri stabilimenti del gruppo. È stata, anche, un significativo esempio di crescita di consapevolezza sociale e sindacale: negli anni della Resistenza molti operai scelsero la via dello sciopero e poi della vita partigiana. Successivamente, come ricorda Romeo Giolitti, dipendente dell’azienda per circa trent’anni dal 1962 e da sempre impegnato anche sotto il profilo sindacale,

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ebbe un ruolo anche a livello nazionale. Fino alla fine degli anni Sessanta del Novecento, il gruppo Burgo rappresentava l’80% circa della produzione nazionale di carta, un ruolo che si traduceva anche in un grande peso sindacale: Verzuolo era, per così dire, la cartiera che indirizzava le scelte di tutto il settore. Una situazione spesso difficile, con momenti di dura contrapposizione con il padronato. La nascita della fabbrica fu, in un certo senso, quasi casuale. L’ing. Luigi Burgo, industriale di origine ligure, giunse a Verzuolo nel 1898 per produrre illuminazione elettrica che sostituisse i diciannove fanali a petrolio allora in uso per rischiarare il paese. L’impianto, alloggiato in un preesistente mulino a cilindri dove ancora oggi sorge la cartiera, entrò in funzione nel 1902 producendo 70 cavalli vapore per

Un paese legato alle montagne Forse non tutti sanno che il Club Alpino Italiano, il CAI, ha orinigi valvaraitine e più precisamente verzuolesi. Correva l’anno 1863 e l’allora ministro delle Finanze del Regno d’Italia, il biellese Quintino Sella, aveva organizzato e partecipato alla prima ascesa italiana al Monviso, conquistato due anni prima dall’inglese Mathews. Nei giorni immediatamente successivi all’impresa, Sella decise con i compagni di cordata verzuolesi Paolo e Giacinto di Saint Robert di fondare un gruppo alpinistico sulla falsariga dei club già costituiti in Gran Bretagna e Austria. La fondazione avvenne nel palazzo Voli, che si trova sul Paschero al numero 59: in seguito, la

ritenuta adatta a una realtà geografica marginale rispetto all’allora nascente industria meccanica e dove l’industria serica, che aveva contribuito al dinamismo economico della zona nell’Ottocento, andava tramontando. Dal 2000 è attiva la nona linea di produzione a partire dalla fondazione, fra le più grandi e veloci al mondo: ha una produzione media di 400.000 tonnellate di carta all’anno e lavora 1.300 tonnellate di legno di abete al giorno.

nascita ufficiale del gruppo fu siglata il 23 ottobre 1863 nel castello del Valentino a Torino. Tra i partecipanti di quella storica ascesa c’era pure Giobattista Abbà, bisnonno di Mario che ha contribuito a potenziare ulteriormente il legame tra il paese e le montagne. Quest’ultimo fu infatti scelto nel 1954 dalla sede centrale del Soccorso Alpino per organizzare e gestire la sezione Monviso, responsabile per il territorio delle valli Varaita e Po: da allora il distaccamento locale ha sede a Verzuolo. Abbà ha guidato per quarantatre anni le attività del gruppo: reclutando gli alpinisti in grado di occuparsi degli interventi, creando le stazioni di soccorso nei vari paesi delle valli, sensibilizzando il territorio, coordinando le azioni e gestendo le situazioni difficili che spesso si creano nei rapporti tra l’uomo e la montagna. Oggi Abbà ha lasciato gli incarichi operativi ma rimane presidente emerito della sezione locale del Soccorso e, soprattutto, rimane il simbolo di un’epoca e delle sue conquiste.

Melle La patria del “Toumin dal Mel”

PAGINA A FIANCO Il centro del paese dominato dal campanile della parrocchiale. SOPRA Parrocchiale e confraternita.

ALTITUDINE

m 683 s.l.m. ESTENSIONE

kmq 27,91 LATITUDINE

44° 34’ Nord LONGITUDINE

7° 19’ Est N. ABITANTI

325 SANTO PATRONO

San Lazzaro

Il paese risale probabilmente al X-XI secolo: il primo nucleo abitativo è quasi certamente quello nei pressi del castello, sul poggio tuttora noto con il nome di Borgo Vecchio. Durante il Basso Medioevo il paese visse un periodo di grande ampliamento, con conseguente sviluppo delle attività agricola e artigianale: lungo i corsi d’acqua si installarono mulini, officine, forni. Questa vivacità artigianale fece sì che il paese fosse scelto nel 1368 come unico mercato della valle, condizione che mantenne per circa duecento anni. Oggi l’economia del paese è principalmente agricola, con una importante voce legata al settore caseario in virtù della produzione del tomino locale, di cui è in fase di approvazione l’attribuzione del marchio D.O.P. Importanti attività sono quelle di produzione di tisane biologiche e liquori, la vendita di prodotti erboristici e la ristorazione. Da segnalare infine la presenza di artigiani falegnami e intagliatori di pietre. Il toponimo ha origine e interpretazione incerta: per alcuni potrebbe riferirsi alla parola miele, per altri sarebbe da mettere in relazione alla pianta del melo, per altri ancora potrebbe essere legato a “mel”, una parola celto-ligure che significa piccola altura o poggio e che ricorda la posizione del nucleo originario dell’abitato.

BORGATE E FRAZIONI

Ballatori, Beoletti, Berri, Berti Aprico, Berti Opaco, Billiardi, Bodreri, Boscheri, Boschirolo, Botta, Bric, Cantone, Carona, Cavaliere, Chiabreri, Chiaronto, Chiesa Sant’Eusebio, Chiot, Cogno, Comba, Cornaglia, Costanzo, Decostanzi, Enriotti, Fini, Fini Prato, Fonsasso, Fontanelle, Friddia, Giaccone, Giajme, Gianleure, Giusiani Aprico, Giusiani Opaco, Lirola, Lucchi, Marchetti, Mirot Aprico, Norastra, Noru, Pantoisa, Perot Inferiore, Perot Superiore, Perotto Opaco, Prato, Rabirile, Re, Rolfi, Sartarie, Tacca, Valcurta, Villar DA VEDERE E DA SAPERE

Una secolare vocazione commerciale I Casa Orselli Il palazzo dei conti Orselli sorge sulla piazzetta del rione Borgo. È una costruzione dei primi decenni del Cinquecento che presenta un notevole slancio in altezza, soprattutto nella parte centrale, e molta eleganza nelle linee architettoniche, benché sia stata rimaneggiata più volte. Anticamente la facciata presentava dei

balconi che esibivano lo stemma della nobile famiglia: un orso quasi rampante su sfondo rosso. Con l’arrivo dei Savoia i conti persero il feudo in favore di nuovi signori: Gerolamo Vacca, le famiglie Santi, Falcombello e Gerardi. Il rione Borgo pare essere il nucleo originario del paese, per la sua vicinanza ai due castelli. Il borgo conserva

ancora oggi una struttura chiusa a scopo difensivo con due ingressi: uno a Est ed uno a Ovest collegati da una strada che attraversa il borgo.

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Completano i capitoli dedicati ad ogni comune due pagine di interviste a persone della zona in grado di aggiungere, con la loro viva testimonianza, elementi utili alla comprensione del territorio: di volta in volta gli intervistati raccontano episodi del passato o spiegano tradizioni che si sono conservate sino ad oggi.

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La sezione finale della guida è composta da alcune pagine di ricettività: vengono presentati notizie utili per vivere il territorio in modo pratico e recapiti di alberghi, ristoranti e altre strutture ricettive. Le pagine di ogni comune sono corredate da fantasione illustrazioni cartografiche.

Casteldelfino Comune di Casteldelfino piazza Bernardo Dao 2 tel. 0175.95126 comune.casteldelfino@ mtrade.com GIORNO DI MERCATO

giovedì

cascate di ghiaccio, pattinaggio (loc. Casermette)

Centri sportivi calcio, campo di bocce, tennis, pallavolo e palestra di arrampicata in loc. Casermette

Tempo libero

Servizi vari

Museo etnografico, Ruderi del castello delfinale, Centro visite Alevé, Centro Escartons, Centro I Santi del Popolo

banca (giovedì), posta (ore 8.30-10.30), distributore carburante, farmacia armadietto farmaceutico (gio. mattina), ambulatorio medico (1 giorno a settimana), servizio autonoleggio, parco giochi per bambini in zona centrale idroelettrica, area picnic in loc. Torrette

Sport estivi escursionismo, pista ciclabile CasteldelfinoPontechianale/ CasteldelfinoSampeyre

Sport invernali sci di fondo e racchette da neve (noleggio presso Bar Rocchietta), sci alpinismo,

ospitalità Hotel Ristorante Leon d’oro piazza Valentino 6 tel. 0175.95107

Sampeyre

Pizzeria Massimino via Pontechianale 23 tel. 0175.95156

Comune di Sampeyre piazza della Vittoria 52 tel. 0175.977148 segreteria@ comune.sampeyre.cn.it

B&B La Toureto b.ta Torrette 11 tel. 0175.95208 Agriturismo Il Mulino delle Fucine via Bellino 20 tel. 0175.95307

GIORNO DI MERCATO

venerdì

Tempo libero museo etnografico, cinema (periodo estivo), biblioteca (orario: mar. 1617 e gio. 20.30 – 21.30)

Agriturismo Semitoun via Circonvallazione 5 tel. 0175.956002 Rifugio Baita Paiei loc. Fongiarda 1 tel. 0175.95215

Sport estivi escursionismo, mtb/bicicletta, pista downhill, arrampicata, equitazione, pesca

Tavola calda Da Maurizio Rocchietta via Circonvallazione 6 tel. 0175.95146

Sport invernali

Agenzia immobiliare Andreis via Pontechianale 35 tel. 0175.248011

sci di fondo (noleggio presso Bernardi sport), sci di discesa (noleggio

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presso Bernardi sport), racchette da neve (noleggio presso Bernardi sport), cascate di ghiaccio, pattinaggio

Centri sportivi calcetto, tennis e pallavolo in b.ta Fiandrini, campo di bocce in piazza della Vittoria, palestra di arrampicata in fr. Rore, palestra comunale in via Silvio Pellico 42

Servizi vari banca con bancomat, posta con postamat, distributore carburante, farmacia, ambulatorio medico (tutti i giorni), servizio Taxi (tel. 0175.977120/0175.977119), parco giochi per bambini in via Cavour, area picnic in via Elva

ospitalità Ristorante Il sogno di Rita piazza della Vittoria 20 tel. 0175.977267 Pizzeria Cò di Blin b.ta Bellini 1/b tel. 0175.977850 Pizzeria Il Folletto via Roma 15 tel. 327.2833238 Hotel Ristorante Monte Nebin via Cavour 26 tel. 0175.977112 Hotel Ristorante Torinetto fraz. Calchesio 7 tel. 0175.977459; 0175.977181 Hotel Ristorante Alte Alpi via Vittorio Emanuele II 98 tel. 0175.977110

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storia Inquadramento storico 16|


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TERRITORIO | storia

Inquadramento storico Dalla preistoria ai Longobardi Le notizie che riguardano il popolamento della valle Varaita sono poche, incerte e lacunose. Sicuramente questa parte del versante alpino fu percorsa e frequentata da popolazioni di ceppo indoeuropeo, convenzionalmente identificate con il nome di Liguri, o Celtoliguri, da cui discesero i Bagienni che nel VI secolo a.C. percorsero i valichi delle nostre valli, compreso il colle dell’Agnello, per spostarsi e potersi dedicare alla caccia. Nel medesimo tempo i Celti dall’Europa centrale arrivarono nel territorio piemontese e da quel momento le storie di questi due ceppi si fusero inevitabilmente. La toponomastica conserva spesso la presenza di questo antico passato: la radice Var- e il suffisso -asc rimandano a un periodo preromano. In quel momento le popolazioni si trasformarono da cacciatori in agricoltori, antropizzando così il territorio già prima dell’avvento dei romani. Questi ultimi giunsero a colonizzare formalmente il Piemonte nel I secolo a.C., con la fondazione di alcune importanti città come Pollenzo, Alba, Pedona e Cavour. Come sappiamo i Romani non amarono particolarmente la montagna, preferendo zone di pianura, alla base delle montagne, come luogo di stanziamento. Per questo fecero passare il confine della provincia prefettizia e poi procuratoria, che abbracciava sul versante italiano le vallate tra il Po e il Gesso, ai piedi della catena montuosa delle Alpi. Piasco, insieme a Pedona e a Cavour, divenne per questo un’importante ■ I segni di una antica invasione stazione di dogana della “Quadragesima Intorno all’anno Mille i territori della Galliarum”, linea di confine che separava il Francia meridionale e dell’Italia nordterritorio romano da quello della Gallia, a occidentale furono fatti oggetto delle scorrerie dei Saraceni. testimonianza un discreto movimento Insediati con una base marittima in commerciale esistente con l’interno delle Provenza, i cosiddetti “mori” vallate alpine e l’oltralpe francese. Si può compirono numerose scorribande a comunque dedurre che l’impronta romana scopo di saccheggio anche nel non fu molto incisiva sul territorio della territorio piemontese e cuneese in particolare. La valle Varaita conserva valle e per i secoli successivi le notizie sono numerose testimonianze di questo nuovamente scarse e frammentarie. pericoloso passato: ad esempio Qualche informazione proviene dalla alcuni elementi delle feste cristianizzazione del territorio. La prima tradizionali della “Baío” di Sampeyre diocesi del Piemonte fu Vercelli, fondata nel e della Beò di Bellino. 16


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storia | TERRITORIO

356 da Sant’Eusebio, sotto il cui impulso venne evangelizzata tutta la regione. A ricordo di ciò, molte sono le cappelle e chiese dedicate al santo sul territorio, come testimonia la chiesa di Sant’Eusebio a Casteldelfino. A Vercelli seguì Torino nel 398 e alla sua diocesi appartennero le chiese della valle Varaita fino al 1511, anno in cui verrà fondata la diocesi di Saluzzo. Le invasioni dei barbari apportarono al nostro territorio notevoli distruzioni: i Longobardi procedettero a una nuova suddivisione politica e amministrativa del territorio e promossero la fondazione di alcune abbazie. Al re Astolfo (749-756) è attribuita la fondazione del monastero femminile di Falicetto, nei pressi di Verzuolo, che ebbe però breve durata, in quanto venne eretta poco dopo a pieve e priorato con giurisdizione, concessa del vescovo di Torino, sulla valle Varaita. Il 1° settembre 998 venivano concessi al vescovo Amizone di Torino tutti i territori della valle; alcuni documenti risalenti al XI secolo menzionano Brossasco come diretto possedimento dell’abbazia benedettina della Novalesa, insieme con Pagno. Dai Saraceni alla Resistenza Terminata la dominazione longobarda e successivamente quella carolingia, il X secolo vide l’incursione massiccia dei Saraceni che, secondo una tradizione consolidata ma dal valore storico oggi messo in discussione, gli abitanti della valle riuscirono energicamente a contrastare, come viene ancor oggi testimoniato dalla “Baío” di Sampeyre e dalla Beò di Bellino. Nello stesso periodo il territorio della valle Varaita passò nelle mani dei signori della Marca di Ivrea, contrapposta a quella di Torino, e nel 1142 il signore Bonifacio del Vasto cederà questo territorio al figlio Manfredo, insieme ad alcune regioni del saluzzese e delle vicine valli Po, Maira e Stura, dando origine ufficialmente nel 1175, con Manfredo II, al Marchesato di Saluzzo. Questo prestigioso e influente centro di potere giocò un ruolo importante e strategico non solo su questo territorio, ma in un campo più vasto e internazionale per ben quattro secoli, ed esattamente fino al 1548, quando fu preso dai francesi. Infine nel 1601, con il trattato di Lione, il Marchesato passò definitivamente ai Duchi di Savoia, modificando alcuni equilibri politici consolidati nei secoli precedenti. L’influenza dei Marchesi di Saluzzo è stata rilevante per lo sviluppo delle nostre comunità, in quanto queste risultano essere composte da una popolazione colta con una struttura sociale solida ed efficiente: gli statuti comunali emanati tra XII e XIV secolo fanno intravedere una serie di comunità 17


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TERRITORIO | storia

attive e ben organizzate, a testimonianza di un territorio vivo e dinamico che riusciva a sfruttare la sua posizione di confine in modo efficace e produttivo, dialogando con poteri forti e spesso in contrasto tra loro che incidono sul territorio, ma che il territorio riesce a contenere e a valicare. Accanto al potere politico dei Marchesi conviveva in valle quello religioso rappresentato dalla diocesi di Torino, come sottolineò nel 1203 il Rotulus feudorum Episcopatus Taurinensis che riconfermò alla curia vescovile torinese tutte le chiese della valle. Anche dopo la formazione della diocesi di Saluzzo nel 1511 alcune chiese, come Rossana e in parte Venasca, continuarono a rimanere feudo dei vescovi torinesi, mentre quelle della Chastelada, con Casteldelfino, Bellino e Pontechianale, passarono a Saluzzo, nonostante facessero parte di un diverso sistema di governo. L’arrivo dei Savoia nel 1601 coincise con un periodo di crisi economica, pestilenze e lotte religiose che condizionarono in modo negativo lo sviluppo del territorio: testimonia questo momento burrascoso l’insediamento di missioni cappuccine che, come usanza, aprono e chiudono la valle a Chianale e Verzuolo, isolando le eresie e proteggendo le comunità sotto il ferreo controllo sabaudo. Fu il Settecento a offrire nuove opportunità, sviluppo demografico ed economico al territorio. I Savoia, ormai insediati e vinti i signorotti locali avversi al loro potere, promossero una politica di maggiore distensione, anche se la montagna fu sempre considerata un territorio da sfruttare e da cui attingere risorse. L’emigrazione, specialmente quella stagionale, è stata da sempre praticata dagli abitanti della valle per sopperire alle carenze derivate da un’economia montana spesso di sussistenza e con un regime autarchico che non può, specialmente nei lunghi mesi invernali, sopportare e mantenere troppi avventori. L’oltralpe francese fu una delle mete privilegiate per vicinanza geografica e linguistica, ma gli abitanti della valle, come tutti gli italiani, si diffusero in ogni parte del mondo, in particolare tra Ottocento e Novecento, seguendo i grandi flussi migratori che portarono negli Stati Uniti d’America ed in Argentina. Le due guerre mondiali attinsero forze e mieterono numerose vittime fra gli abitanti della valle, che con il loro coraggio e la loro generosità non si sottrassero alle richieste dello Stato ed andarono a combattere. Anche la Resistenza trovò un punto di forza vivo e capace tra queste montagne, superando momenti tragici e drammatici. 18


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SOPRA Il castello di Verzuolo SOTTO Il castello Reynaudi di Costigliole Saluzzo, uno dei tre presenti nel borgo medievale.


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La Repubblica degli Escartons “Essi sono uomini liberi”… attraverso queste parole il Delfino di Vienne, nel secondo articolo della Grande Charte Briançonnaise, riconosceva l’indipendenza al suo popolo, organizzato nella Federazione degli Escartons. Questa microarea moderna comprendeva nel complesso cinque zone territoriali, ognuna delle quali includeva al suo interno più comunità: – Briançon, da Argentière alla Regione di San Gervasio; – Oulx, da Cesana al torrente Gelassa comprendente le valli di Bardonecchia e Sauze di Cesana; – Il Queyras, da Guillestre al colle delle Traversette; – La val Chisone, da Sestrieres ai confini di Perosa Argentina; – Casteldelfino, dal colle dell’Agnello fino alla frazione Confine del comune di Sampeyre. Con il termine Escarton, da escartonner, cioè ripartire, suddividere, si voleva intendere una volontà di spartire tra le varie comunità oneri e doveri di ogni genere, e allo stesso tempo di organizzare un sostegno reciproco in caso di sventure o necessità o ancora di miglior difesa verso i potenti vicini. La gestione delle terre comunali era interamente libera, affidata ai sindaci e ai consoli locali che potevano, a loro giudizio, tracciare strade, passaggi, disboscare foreste, senza alcuna autorizzazione dalla corte delfinale (art. 22). L’ordine pubblico era garantito a livello di borgata dai mansia (o massier) ai quali venivano riconosciuti pieni poteri per la fruizione del bene pubblico e privato, sempre nell’interesse della comunità. La partecipazione alla gestione della cosa pubblica avveniva in modo democratico e mantenendo la costante caratteristica di gratuità e di dirittura morale. La designazione e nomina del sindaco e dei mansia avveniva sulla base della reputazione di “uomo onesto” di cui il candidato godeva in seno alla comunità. Il popolo aveva dunque il potere e si riuniva per imporre leggi civili e penali, le imposte, per nominare i sindaci, i consiglieri e segretari, concedere licenze di caccia: ogni momento di vita pubblica era normato, affrontato e vissuto collegialmente. Allo stesso modo la libertà di circolazione (art.24) risultava senza alcun vincolo. Tutti i sudditi brianzonesi dovevano considerarsi (secondo l’art. 35) franchi borghesi esenti da qualsiasi servizio e dalle imposizioni feudali e con acquisizione ufficiale del diritto di proprietà. 22


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■ Un importante documento L’istruzione era organizzata capillarmente: storico in ogni borgata venivano nominati maestri La Carta delle Libertà, oggi nota ed educatori secondo la regola che chi come Grande Charte Briançonnaise, sapeva aveva l’obbligo di istruire le nuove fu stipulata a Beuvoir en Royans il 29 generazioni, tanto che l’analfabetismo era maggio del 1343 tra il Delfino Umberto II e diciotto rappresentanti un fenomeno pressoché inesistente. di oltre cinquanta comunità delle Nel 1349 il Delfino Umberto II, rimasto valli alpine: scritta in duecento righe senza eredi diretti si ritirò in convento e su pelle di pecora, era una sorta di cedette il Delfinato al re di Francia Filippo VI costituzione che sanciva di Valois, a condizione che il territorio l’affrancamento dalle servitù feudali, il diritto alla libertà individuale, alla conservasse il suo nome e il suo blasone. proprietà e all’autogestione del Ecco spiegata la contemporanea presenza territorio da allora denominato su documenti, arredi sacri e fontane del Federazione degli Escartons. delfino, simbolo del Delfinato, e del giglio, simbolo della dinastia di Francia. Questa piccola repubblica di montagna visse un intenso periodo di democrazia e di autonomia per quasi quattro secoli, tra il ‘300 e il ‘700, che si concluse quando il suo territorio iniziò ad acquistare importanza strategica a causa dell’adesione del duca Vittorio Amedeo II di Savoia alla Lega Asburgica nel 1690. Allora, la Francia del Re Sole iniziò grandi costruzioni militari per rinforzare la città di Briançon: alterne vicende colpirono gli Escartons che nel corso del XVIII secolo persero a poco a poco la loro autonomia. In seguito alle Guerre di Successione Spagnola e al trattato di Utrecht, la Francia perse il territorio degli Escartons savoiardi e il duca di Savoia dirottò il traffico commerciale transitante sul Monginevro verso il Moncenisio, cosicché la Federazione degli Escartons perse la sua originaria unità e cessò definitivamente di esistere nell’anno 1713, anno della loro ultima riunione. Speranze di riunificazione politica di tutto il territorio si alternarono a delusioni sino alla Rivoluzione Francese: per tutto quel periodo la popolazione continuò a mantenere scambi culturali e sociali, dai matrimoni al contrabbando, ignara dei nuovi confini. Nonostante le montagne, i contatti, i traffici e i costumi comuni che si erano sviluppati sull’area sino a quel momento avevano creato una unità culturale di tradizioni e di vita alpina che sarebbero ancora perdurati per anni. A tale smembramento politico non è corrisposta infatti una perdita di usi, 23


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costumi e tradizioni culturali comuni che si sono mantenuti nel tempo in questa regione alpina transfrontaliera. Al di qua e al di là delle Alpi, popolazioni che hanno avuto diverse storie nazionali continuano a mantenere tutt’oggi un comune aspetto “escartonnais” per nulla trascurabile. Aspetto anzi, che sta suscitando negli ultimi anni sempre più interesse, nuovamente vivificato dalla politica europea. La lingua d’òc, parlata ancora correntemente in ambito familiare in molte comunità appartenute agli Escartons, è comune a tutte le valli che fecero parte della congregazione e fin da un primo ascolto è chiara a chiunque l’affinità linguistica che esiste, per esempio, tra la parlata di Casteldelfino (Escarton di Casteldelfino-val Varaita) e quelle di Saint Veran (Escarton del Queyras) o Nevache (Escarton del Briançonnais). Allo stesso modo le tipologie architettoniche presentano evidentissime caratteristiche comuni in tutta l’area. I tipici campanili a quattro punte dominano con lo stesso stile i villaggi della val d’Oulx, come quelli del Briançonnais e del Queyras. Il giglio e il delfino, simboli delle casate di Francia che diedero l’autonomia politica e amministrativa agli Escartons, sono presenti ovunque sui portali delle chiese e come bassorilievi sulle fontane; le meridiane adornano sia le mura delle abitazioni in val Varaita sia quelle nel Briançonnais. Sono questi alcuni degli evidenti esempi del fatto che nella storia le Alpi non hanno avuto funzione di barriera tra le diverse popolazioni, ma hanno generato piuttosto un’unità non soltanto ambientale e geografica, ma anche e soprattutto culturale, dove tradizioni differenti si sono nel tempo fuse e sviluppate insieme. ■ Per saperne di più In questo senso, gli Enti Parco della Val Per riscoprire questo patrimonio Troncea, di Salbertrand, del Queyras culturale e avere informazioni turistiche e sulle attività dell’alta valle dell’Orsiera Rocciavré e il Parco Fluviale del Varaita, è aperto a Casteldelfino, in Po, i quali gestiscono una parte rilevante via Roma a pochi passi di distanza dell’area anticamente appartenuta agli dalla Parrocchiale, lo Spazio Escartons, sono i partner nella realizzazione Escartons. Aperto in estate: a giugno, luglio e settembre la dom. di un progetto di sviluppo culturale e ore 10-12.30 e 14-18.30; ad agosto turistico sostenuto da fondi europei Interreg il sab. ore 14.30-18.30 e la dom. ore Alcotra. Scopo del progetto, che è portato 10-12.30 e 14-18.30. avanti insieme alle associazioni locali, è il Tel. e fax 0175.46505; recupero e la valorizzazione del patrimonio info@parcodelpocn.it 25


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storico e culturale che questi territori hanno in comune e che, negli ultimi anni, si sono impegnati a difendere, sottraendolo all’oblio del tempo e offrendolo alla fruizione di un pubblico ampio e informato, secondo un approccio che non è di semplice tutela dell’ambiente alpino che essi rappresentano, ma di sua valorizzazione come risorsa a favore del territorio e della popolazione che in esso risiede. La valle Varaita nella Seconda Guerra Mondiale Come tante valli del centro nord d’Italia anche la valle Varaita, negli anni 19401945, ha subito due guerre: una che ha disperso i suoi giovani figli sui fronti di mezza Europa e d’Africa e l’altra, quella interna, che ha coinvolto la popolazione dei paesi del fondovalle come dei borghi più sperduti della montagna. Dall’aggressione ai fratelli transalpini alle fasi belliche sul Don, da Annowka alla ritirata per Topilo, Rossosch e Popowka, quanti poveri “curiza”, gallina, così li chiamavano i russi per via della penna sul cappello, non sono più tornati all’ombra del Viso. Basta visitare le borgate e leggere i nomi sulle lapidi per capire quanto sia stato pesante il contributo di sangue versato dai Varaitini alle guerre del secolo passato. Dopo l’8 settembre 1943, la valle vide gruppi di militari sbandati tornare dalla Francia; vide i soldati posti a guardia del confine abbandonare i fortini e cercare la via difficile, e per taluni impossibile, del ritorno a casa. Da quel momento al 25 aprile del 1945, iniziava la Lotta di Liberazione che tutti avrebbe coinvolto. Era novembre, appena terminata la fase costitutiva delle prime formazioni garibaldine, quando Barbato (Pompeo Colajanni) inviò il primo nucleo di volontari in valle. C’erano da recuperare le armi su ai fortini di Casteldelfino e altrove, e vi era una banda di sbandati che depredava i contadini locali. I partigiani iniziavano a fatica a ricevere gli aiuti della popolazione e in futuro, lo sapevano, non sarebbero riusciti a fare nulla senza la gente della valle, quindi non potevano permettere che gente senza scrupoli, scambiata per partigiani, gettasse discredito sui volontari delle formazioni regolari. Toccò al comandante Ernesto Casavecchia porre fine a questo stato di cose, catturando i caporioni, giustiziandoli come era stato deciso dalle autorità del CLN e inquadrando gli altri “raddrizzati” dalla lezione impartita duramente. I garibaldini della 15ª Brigata Saluzzo (poi 181ª) si insediarono quindi nella valle e da Venasca, punto di raccolta dei giovani che si presentavano spontaneamente, i nuovi arrivati venivano dislocati nelle varie bande che nel frattempo erano sorte. Dal maggio del 1944 anche i partigiani GL (Giustizia e Libertà), al comando di 26


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Giorgio Bocca, giunsero in Varaita. Di comune accordo fu deciso che la zona di loro competenza sarebbe stata la media e l’alta valle, alla destra orografica del Varaita, mentre i garibaldini avrebbero agito sull’altro versante e in prevalenza nella porzione di territorio più in basso, fino a giungere alla pianura dove, all’imbocco della valle, erano sorti i posti di blocco nazifascisti: lì, nel cuore dei presidi nemici, agivano le squadre volanti. Mentre i partigiani avevano possibilità di movimento e dopo gli scontri a fuoco riuscivano a sganciarsi, la popolazione ha dovuto subire tutta la ferocia degli occupanti. Innumerevoli sono stati gli episodi di violenza perpetrata dai tedeschi a danno della gente comune, accusata, spesse volte ingiustamente, di collaborare con i partigiani: fucilazioni, impiccagioni e percosse furono inflitte a giovani e anziani del luogo. Il 12 luglio 1944 Rossana venne incendiata per rappresaglia e Venasca subì la stessa sorte l’11 agosto. In quei frangenti, oltre al danno della distruzione, gli abitanti dei paesi colpiti subirono anche il saccheggio. La valle tutta, da Bellino a Piasco, da Valmala a Gilba, sopportò con forza il conflitto. Nel settembre 1944, dopo l’addestramento ricevuto dai tedeschi in Germania, giunsero a Casteldelfino e a Sampeyre gli alpini fascisti della Monterosa. Con il famigerato tenente Pavan si patirono nuovi tormenti, ma la gente fu con i partigiani: li aiutò, li nascose, li curò e li fornì di cibo. La generosità delle persone comuni, che si manifesta nelle contingenze estreme con atti di suprema solidarietà, venne espressa nei migliori dei modi. Certo, in un periodo di carestia coatta, di generale povertà, di guerra atroce condotta contro forze smisuratamente superiori e organizzate, qualche mugugno ci sarà anche stato, da una parte come dall’altra, ma su tutto prevalse il pensiero dei resistenti che sempre hanno espresso gratitudine per quanto tra i borghi, lambiti dal torrente Varaita, hanno avuto dalla gente di montagna. Mario Casavecchia (Marino) sul suo libro scrisse: “Quanto alla collaborazione dei valligiani in val Varaita, abbiamo avuto giovani di paesi e borgate di montagna che si sono uniti a noi, famiglie complete hanno rischiato la loro vita e la casa mettendosi a nostra completa disposizione”. E Giovanni Viada (Pippo): “Tornando, dopo aver svalicato forzatamente in Francia a causa del rastrellamento del 21 Agosto 1944, eravamo nei pressi di Chianale e la fame ci tormentava, abbiamo chiesto ad una vecchietta se avesse del pane. Ci ha portato una pagnotta un po’ gonfia che sembrava un panettone… Ci ha dato quella pagnotta e noi volevamo pagargliela e lei ha risposto: -Ma poveri figlioli mangiate solo, che vi faccia bene! Poveri figlioli… povri fiôij”. 27


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lingua L’occitano e l’Occitania 30| La valle Varaita e la nascita del movimento occitano 36|


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L’occitano e l’Occitania Il territorio Si estende dai Pirenei sino alle valli del Piemonte la regione linguistica comunemente detta Occitania, territorio vastissimo che contempla al proprio interno un eccezionale florilegio di ambienti e culture e dove vivono tredici milioni di abitanti, molti dei quali non conoscono neppure il nome del proprio paese. L’Occitania infatti non è e non fu mai uno stato, benché conti trentadue dipartimenti del sud della Francia, la val d’Aran sui Pirenei in Spagna e quattordici valli e centoventi comuni in Italia. La lingua occitana è presente in Italia nelle province di Imperia, Cuneo e Torino: in Liguria sono occitane Olivetta San Michele e le frazioni Realdo e Verdeggia del comune di Triora. In territorio cuneese si contano l’alta val Tanaro e le valli Corsaglia, Maudagna e Ellero, note come valli del Quié per la forma quié, io, usata in luogo di iu o mi impiegati nel resto dell’Occitania, le valli Pesio, Vermenagna, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita e Po con le laterali Bronda e Infernotto. Appartengono alla provincia di Torino le valli Pellice, Chisone, Germanasca, e la valle d’Oulx, ovvero l’alta val Susa. Un caso singolare è poi quello dell’isola linguistica occitana di Guardia Piemontese in Calabria, popolata nel XIV secolo da valdesi delle valli Pellice e Varaita emigrati per mettere a coltura terre di un feudatario calabro e tuttora parlanti la lingua d’òc. Breve guida alla lingua Come afferma il romanziere occitano Robert Marty, “il solo territorio sovrano che il popolo occitano poté mai abitare furono la sua lingua e la sua letteratura”: è perciò soltanto la lingua il fil rouge che lega Italia, Francia e Spagna in un’invisibile ma fitta rete di rapporti umani e culturali. L’occitano, lingua neolatina o romanza, derivata dall’idioma latino, comparve alla fine dell’impero romano contemporaneamente a portoghese, spagnolo, catalano, francese, italiano, franco-provenzale, sardo, ladino, rumeno e dalmatico. Il nome si deve a Dante Alighieri, che nel XIV secolo tentò una prima classificazione delle parlate romanze, prendendo a riferimento la particella che indicava l’affermazione, e determinando tre idiomi: lingua del sì, italiano, lingua d’oil, oiltano o francese, e lingua d’òc, occitano. Òc deriva dal latino hoc est, è questo: il termine Occitania passa quindi a indicare l’insieme delle regioni in cui si parlava la lingua d’òc, e inizia a essere impiegato anche dal potere centrale 30


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francese, che indicava i propri feudi meridionali come patria linguae occitanae. Presente nei testi letterari a partire dal X secolo, dal XII l’occitano conosce la propria stagione aurea grazie ai poeti detti trobadors, dal verbo occitano trobar, comporre. Sin dalla propria comparsa, questa lingua è tenuta in grande considerazione dai poeti europei, tanto da essere addirittura impiegata da Dante Alighieri nella Divina Commedia, accanto all’italiano, favella nova, e al latino, lingua della poesia classica. A partire dalle Crociate del XIII secolo, con l’annessione delle terre occitane alla Corona di Francia, la lingua inizia un lento declino, finché nel 1539 l'Editto di Villers-Cotteret impone il francese in tutti gli atti pubblici. Occorrerà attendere il XIX secolo perché si torni a “prender la causa dannata della nostra lingua spregiata”, nelle parole del trovatore Peire de Garròs. Nel 1854 nasce infatti il Felibrige, movimento letterario fondato da ■ L’occitano in Dante Alighieri poeti provenzali “per provocare la Nel Canto XXVI, vv. 140-148, del resurrezione della vecchia lingua della Purgatorio Dante fa recitare al Provenza e riabilitarla con il prestigio della trobador Arnaud Daniel: Tan m’abellis vostre cortes deman poesia”. Appartiene a questo movimento Qu’ieu no me puesc ni voill Frédéric Mistral, autore di Mirèio e a vos cobrire. Calendau, coronato nel 1904 dal Premio Ieu sui Arnaut, que plor e vau Nobel per la letteratura. cantan Il popolo occitano è di ceppo quanto mai Consiros vei la passada folor E vei jausen lo joi qu’esper, denan. vario, celto-ligure dalle Alpi al Rodano, Ara vos prec, per aquella valor celto-iberico dal Rodano alla Spagna, basco Que vos guida al som de l’escalina in Aquitania. Le terre d’òc sono sin Sovenha vos a temps de ma dolor! dall’antichità crocevia di decine di popoli in [Tanto mi piace la vostra cortese domanda movimento che hanno contribuito a creare che io non mi posso né voglio a voi l’originalità non solo dello spirito, ma anche celare. delle varietà linguistiche occitane. Le Io sono Arnaldo, che piango e vado principali sono Guascone, Lengadociano, cantando; Provenzale, Limosino, Alverniate e Vivarese afflitto vedo la passata follia, e lieto vedo, davanti (a me) la gioia o Occitano alpino, cui appartengono le che spero. parlate delle valli d’Italia, che, forse in virtù Ora vi prego, in nome di quel valore del frazionamento del territorio e della che vi guida alla sommità della scala, mancanza di un potere politico al tempo opportuno vi sovvenga del accentratore, si sono maggiormente mio dolore] 31


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conservate. Già nell’Ottocento alcuni studiosi tedeschi rilevarono l’appartenenza delle valli piemontesi confinanti con la Francia, tra cui la val Varaita, alla regione linguistica occitana. Seguirono gli studi di Ronjat e Dauzat (Grammatica storica delle parlate provenzali moderne, 1931, e Revue de philologie française et litérature, 1914), e l’importantissimo studio del prof. Corrado Grassi che nel 1958 riaffermò questa appartenenza, in realtà fino agli anni ’70 non troppo percepita dagli stessi abitanti, usi a definire patois o “nosto modo” il dialetto locale. La val Varaita, posta idealmente al centro del territorio occitano d’Italia, ha conservato, anche grazie all’isolamento di alcuni suoi insediamenti, peculiarità tipiche nella pronuncia e nel lessico. Il territorio della valle, che si apre ai 500m di altitudine di Costigliole, pienamente piemontese, presenta una geografia linguistica molto articolata; infatti nei centri di bassa valle le antiche parlate occitane si sono ormai fuse e confuse con il piemontese, dando vita ad una parlata originale che mescola antichi termini occitani (si vedano i toponimi Balòu di Isasca, Prats di Rossana), alla coniugazione dei verbi tipica del piemontese (mangè, parlè). Come afferma Tavio Cosio in La Val Varacio Encüi, (Ousitanio Vivo 1986, p. 8) “La valle Varaita, similmente alle altre, si differenza al suo interno in rapporto alla penetrazione della parlata piemontese. La dipendenza economica ed amministrativa dalla pianura circostante, nei secoli ha generato anche una lenta penetrazione linguistica che si è concretizzata in una sovrapposizione del dialetto piemontese ai locali dialetti occitani nei comuni della bassa valle; mentre nei comuni della media valle tale presenza è rilevabile ma meno appariscente. I tre comuni della Castellata, assoggettati al Piemonte solo nel secolo XVIII, più lontani dai centri culturali ed economici della pianura circostante e rimasti, semmai, in continuo rapporto economico con l’Occitania d’oltralpe, sono restati, per fortuna, scevri da eccessive contaminazioni linguistiche, conservando nelle loro parlate molti dei tratti più caratteristici dei dialetti dell’area nord-occitana”. Salendo di quota altimetrica, infatti, il piemontese viene lentamente abbandonato in favore di un occitano ancora spurio, che però ben si differenzia nella pronuncia da un paese all’altro, e in taluni casi da una borgata all’altra di un medesimo comune, a partire da Venasca e Brossasco. Osservazioni queste rilevate già negli anni ’70 da François Fontan in La nazione occitana, i suoi confini, le sue regioni (Ousitanio Vivo 1982, p. 19): “La val Varaita parla ancora occitano fino a Brossasco. Isasca, Venasca e Rossana sono 32


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di recente piemontesizzazione (…). A Piasco non si riscontra alcun termine occitano nel linguaggio attualmente parlato da una popolazione composita, ma grazie a una nonagenaria discendente di una vecchia famiglia locale, sappiamo che l’occitano vi era parlato meno di un secolo or sono”. Senza dubbio è la Castellata, col suo isolamento storico e geografico, ad aver custodito le forme più conservative di occitano, a partire dalla nasalizzazione delle –a che porta a pronunce come chon, pon, von (per chan, cane, pan, pane, van, vanno), sino all’originale esito della –r che a Bellino diviene –r uvulare, una sorta di –r francese. Giovanni Bernard, nella prefazione del suo Lou Saber (Ousitanio Vivo 1996), riscontra però anche per l’alta valle un lento, inesorabile abbandono dell’occitano: si nota per “la parlata di Bellino, alta val Varaita, in un periodo compreso tra il 1940 e il 1990, in cinquant’anni, cioè, di mutamenti notevoli, un impoverimento progressivo. L’abbandono di molte usanze e lavori, il diverso indirizzo dell’emigrazione, i matrimoni misti, la diffusione dei mezzi di comunicazione, sono i responsabili di tale decadenza a cui non si vede purtroppo rimedio”. Quanto alle varianti locali, lo stesso Bernard (ibidem) fa notare come nel solo comune di Bellino “non tutti gli abitanti pronunciano allo stesso modo molte parole della medesima parlata: nel “Cartier N’Aout, Parrocchia di Santo Spirito, per esempio si dirà compano, moneto, chorous e così via, mentre per il “Cartier N’Aval”, Parrocchia di San Giacomo, le stesse voci diventano campano, maneto, carous: sovente questo si ripete tra componenti di una medesima famiglia”. Sciacquare i panni in Varaita: la produzione letteraria in lingua occitana La reinterpretazione della citazione manzoniana ben si presta ad illustrare la produzione letteraria in lingua d’òc della val Varaita: poche vallate italiane possono annoverare un simile numero di poeti e narratori. Tra i principali esponenti della “scuola poetica valvaraitina” il poeta Sergio Ottonelli di Chianale, ricercatore e studioso della cultura materiale, collaboratore della rivista e associazione Valados Usitanos, è autore di numerosi saggi sulle usanze locali, quali Dove c’è una culla (1991) e Il matrimonio. Strategie e riti (1998). Non era madrelingua occitano ma apprese questa lingua per passione Tavio Cosio, autore specie di prose in occitano e piemontese. Nato a Villafalletto nel 1923 ma vissuto a Melle dal dopoguerra quasi sino alla scomparsa, avvenuta nel 34


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1989, ha all’attivo le pubblicazioni Pere, gramon e lionsa (1975), Sota ël chinché (1980), e il celebre Ròche sarvan e masche (1984). Giovanni Bernard, noto come Janòt di Vielm, nato a Parigi nel 1934 da famiglia di Bellino, è uno dei maggiori conoscitori di tradizioni, cultura e lingua del comune della Castellata: è autore del dizionario enciclopedico Lou Saber (1996) ma soprattutto del primo romanzo composto in occitano in Italia, Steve (2000). Breve citazione anche per il mandolinista Masino Anghilante, nato negli anni Venti e autore di oltre centocinquanta “canzoni-poesie” in occitano e piemontese, pubblicate in Chaminà e Pensà (1985) e Chantominà (2003), e per Chiaffredo Rabo, autore del Dizionario del ■ Le Associazioni occitaniste patuà Sampeyrese (1982), che, nonostante in valle Varaita le carenze di metodo, documenta in modo Ass. cult. Ousitanio vivo - Venasca importante la parlata della “capitale” della Nata per promuovere, difendere e valle. Conclude questo elenco il frassinese dare nuovo slancio al patrimonio linguistico e culturale delle valli Antonio Bodrero, il fantasioso, visionario, occitane alpine, l’associazione con coltissimo, quasi mistico Barba Toni: sede a Venasca si occupa di editoria, umanista, filologo, poeta in occitano e politica, organizzazione di eventi piemontese, autore delle raccolte Fraise e culturali, e pubblica dal 1974 Mel (1965) e Solestrelh òucitan (1971). Fu l’omonimo mensile in italiano e in occitano. www.ousitaniovivo.com nel 1968 tra i fondatori del Movimento Ass. cult. Soulestrelh - Sampeyre Autonomista Occitano (da cui si dissociò Tra le finalità dell’associazione vi è la pochi anni dopo) teorizzato da François tutela delle tradizioni della val Fontan, il quale scelse di trasferirsi a Varaita, attraverso l’opera di ricerca, Frassino proprio perchè gli era giunta l’eco conservazione e diffusione delle danze e musiche tradizionali e sulla della personalità e della produzione Baía condotta da ricercatori quali letteraria di Barba Toni. Scomparso nel Giampiero Boschero, Gianni 1999, (postumo è uscito Grinor, del 2000, e Dematteis e Almerino de Angelis. si attende la pubblicazione dell’opera omnia L’associazione che ha sede a a cura di Ousitanio Vivo), rimane a tutt’oggi Sampeyre pubblica il periodico “Lou Temp Nouvel”, quaderno di il più grande poeta non solo della Varaita studi occitani alpini. ma di tutte le valli occitane alpine, che gli Ass. cult. Tavio Cosio - Melle sono debitrici di aver trasformato l’umile, Nata a Melle per promuovere la allora disprezzato patois in lingua capace cultura e le tradizioni della valle, di auliche delicatezze e originali nel ricordo del poeta e ricercatore sperimentazioni. Tavio Cosio. 35


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La valle Varaita e la nascita del movimento occitano La valle Varaita è posta centralmente rispetto all’arco delle Valli occitane in Italia; il caso e la storia le hanno assegnato anche una centralità rispetto alla nascita della rivendicazione occitana da questa parte delle Alpi. Com’è forse noto, la prima rivendicazione culturale attorno alla lingua d’òc sorse all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, con la fondazione di un’associazione culturale “provenzalista” denominata “Escolo dou Po”. Quell’associazione, fondata nel 1961 a Crissolo, alle sorgenti del Po, si rifaceva al movimento di rinascita culturale della lingua d’òc, nato nella valle del Rodano a metà del 1800 attorno alla grande figura del poeta provenzale Frédéric Mistral. Modellata sull’esempio del “Felibrige” provenzale, riuniva scrittori e poeti delle valli, accanto ai maggiori esponenti della cultura letteraria e linguistica piemontese. Fu quello il primo momento in cui la lingua provenzale, o come si dirà poi in seguito, occitana, assunse un qualche rilievo in Italia. L’Escolo dou Po aveva tra i suoi esponenti di maggior spicco Antonio Bodrero di Frassino, allora professore di lettere nella neonata Scuola Media di Sampeyre e sicuramente il maggior poeta contemporaneo delle valli occitane. Ma quei primi anni Sessanta furono anche gli anni in cui venne casualmente ad abitare a Frassino François Fontan. Di origini pirenaiche, nato nel 1929 da una famiglia nobiliare decaduta, nel 1959 a Nizza aveva fondato il primo nucleo di rivendicazione politica della questione occitana; si trasferì in valle Varaita per sfuggire alle minacce subite in seguito al suo sostegno attivo al Fronte di Liberazione Nazionale Algerino, in anni in cui la Francia era impegnata nella guerra d’Algeria. A Frassino Fontan avviò una prima ricerca linguistica attraverso le valli per determinare l’area di presenza della lingua occitana in Italia ed elaborò per la prima volta una proposta politica di autonomismo occitano. Attorno a Fontan si formò un nucleo di giovani del posto che diede vita al Movimento Autonomista Occitano. Sempre in valle Varaita, proprio all’inizio degli anni Settanta prese piede anche una rivendicazione sociale per la rinascita delle valli; alcuni giovani fondarono a Sampeyre un Comitato di Azione Occitana e un giornale “Lou Soulestrelh” che affermò la necessità di una rivendicazione politica, culturale e socio-economica e chiese concrete misure per la montagna occitana. 36


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Furono anni, quelli, di grande fermento, di idee nuove; l’occitanismo politico mise in crisi il provenzalismo culturale dell’Escolo dou Po e ne causò lo scioglimento, ma reclutò nuove forze e coinvolse non pochi esponenti di quella associazione. Proprio a Frassino il poeta Antonio Bodrero e l’attrice Dominique Boschero furono i personaggi che più impersonarono le nuove idee della patria occitana e che avanzarono la richiesta, allora, di una regione autonoma occitana a statuto speciale, sul modello della Valle d’Aosta. Nel dicembre del 1971, in una riunione a Melle, il Movimento Autonomista Occitano si strutturò in modo più organico, raccogliendo nuove adesioni e divenne per oltre vent’anni l’organizzazione politica degli autonomisti delle valli occitane. Ancora in valle Varaita, nell’aprile del 1974, i militanti del M.A.O. davano vita al giornale “Ousitanio Vivo”, un mensile che esce puntualmente ancora oggi. Da allora molti anni sono passati, molte cose sono mutate, il sentimento occitano ha fatto molta strada attraverso queste montagne, ma certamente la valle Varaita resta una valle di forte connotazione culturale e linguistica nell’area occitana, una valle in cui l’identità occitana è una delle sue componenti fondamentali. La valle Varaita è certamente una delle valli in cui la lingua e la cultura occitane sono tutt’ora più vive e nelle quali più si produce attività culturale.

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tradizioni I costumi e l’abbigliamento tradizionale 40| Religiosità e superstizioni 41| Il tempo della festa e delle ricorrenze 48| La musica e le danze in valle 55|


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TERRITORIO | tradizioni

I costumi e l’abbigliamento tradizionale I tessuti impiegati in valle erano di origine animale o vegetale: la lana filata diveniva drap dopo la lavorazione al telaio e al paraor, mentre era sufficiente il telaio per tessere biancheria di charbo, canapa, o più raramente di lino. Gli indumenti erano assai pochi, uno per la festa e uno per il lavoro quotidiano: l’uomo indossava in genere pantaloni e camicia su cui portava un corpèt, giacca, o un gilet; in testa l’immancabile cappello in varie guise: bonet o calòta o chapel. Le donne portavano la gonela, abito tradizionale con corpetto corto e maniche molto strette, tre grosse pieghe dette conhets sulla parte posteriore, nero per la festa e marrone per i giorni feriali, ma anche verde, azzurro o rosso. Il giorno delle nozze questo abito era adornato con gorgeirin o bustet di pizzo, gorgiera, la cravata esposaresa, foulard di seta, baveiròl, pettorina, faodil, grembiule, sanchet, nastro legato in vita con un fiocco sul davanti trattenuto da spille, cordolin o livreia, nastrino sulla pettorina, tor de còl, collarino di velluto nero con una croce d’oro sormontata da un cuore e ornata di fròli, nastri di pizzo nero. A volte si aggiungeva il clavier, taschino per le forbici e altri oggetti. Infine non poteva mancare la bera di tela ornata da bordi in pizzo. Il pizzo è proprio una delle peculiarità degli abiti e dei tessuti della valle, grazie alla tradizione del tombolo, detto localmente poientas. Le candide cuffie o i bordi di asciugamani e lenzuola erano realizzate dalle donne nelle sere e nei lunghi inverni.

Religiosità e superstizioni La devozione popolare e le processioni dei santi I santi del calendario liturgico e numerosi santi minori furono oggetto di fervida devozione in tutta la valle, anche grazie alla convinzione, al confine con la superstizione, che potessero proteggere da malattie, sventure e calamità naturali. A questo si deve il pullulare sin dal Medioevo di piloni, cappelle ed edicole dedicate a San Sebastiano e San Rocco, protettori dalla peste, nonché ai cosiddetti martiri della Legione Tebea, in questa valle soprattutto Chiaffredo. Ancora oggi processioni e feste patronali rinnovano il culto verso queste figure, ritenute intermediarie tra Dio e l’uomo. Pontechianale La festa principale è quella di San Lorenzo a Chianale il 10 agosto, con 40


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tradizioni | TERRITORIO

■ Il merletto al tombolo processione in costume tradizionale. Qui è Nata circa 500 anni fa, l’arte di venerato anche Sant’Antonio: la festa si ricamare il merletto al tombolo è svolge la domenica più prossima al 17 stata per secoli una attività gennaio e durante l’incanto si vendono i tradizionale delle donne della valle, pani del santo. Un tempo aveva luogo la e ha contribuito al crearsi dei costumi tradizionali di questa zona. Il pizzo è benedizione delle bestie da soma. A lavorato su un tombolo, una sorta di borgata Castello la patronale è Nòstra cuscino rotondo con numerosi fuselli Dama d’Avost, un tempo celebrata con una di legno sui quali si avvolge il filo, a solenne processione. formare motivi decorativi disegnati in Bellino precedenza su carta modello. Oggi la tradizione di questa Un momento molto sentito, e non solo a lavorazione viene tenuta viva grazie Bellino, era San Giovanni, il 24 giugno, con all’attività di due associazioni: falò, danze e doni ai pastori. I fuochi, detti Jer à la Vilo, c/o Roberto Mensa, via solestrelh, erano accesi in tutte le borgate e del Follone 9, Saluzzo, tel. ritenuti propiziatori: i pastori tra canti e 0175.45235; Pouiéntes d’Òc, c/o Museo Civico, danze lanciavano alti uch, grida, saltando i via Santa Maria 10/a, Cuneo, tel. falò, in un rito per la fioritura dei pascoli e 0175.45558. delle messi. Processioni e incanto si svolgono il 25 luglio per San Giacomo, patrono di borgata Chiesa. Casteldelfino Anche a Casteldelfino era molto sentita la devozione verso San Giovanni Battista, il 24 giugno, ritenuta festa dei pastori. Viene poi celebrata Santa Margherita la terza domenica di luglio. Sampeyre Un tempo il 17 gennaio, Sant’Antonio abate, si portava a benedire il pane o il sale, che poi si davano durante l’anno alle bestie malate per chiedere l’intercessione del santo. Processioni si svolgono il 29 giugno per la patronale dei SS. Pietro e Paolo e l’8 settembre per la Madonna del Bessè a Becetto. Frassino Le processioni principali, con il tradizionale incanto, si svolgono il 15 agosto per la Festa della Madonna degli Angeli e per San Maurizio (21 settembre) la quarta domenica di settembre nell’omonima frazione. Melle La seconda domenica di giugno si svolge la festa patronale di San Lazzaro; le seconde domeniche di maggio e di settembre è la volta della festa della 41


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TERRITORIO | tradizioni

Madonna della Betulla, e il 25 luglio di San Giacomo a borgata Norastra. In occasione della SS. Trinità si celebra la processione della Foassa, istituita forse dagli abitanti come ringraziamento per la cessata peste. Per l’occasione vengono preparati due tipi di pane, uno a forma di croce detto crosieta, destinato ai massari, alle portatrici e alle autorità, e i miconets, pagnottine da distribuire a tutti i paesani. I pani vengono introdotti all’interno della foassa che è un contenitore di vimini intrecciato in forma conica e addobbato con fiori e nastri rossi. Due ragazze nubili, accompagnate dai massari, la portano in processione sulla testa e, dopo la benedizione, il contenuto è distribuito ai fedeli. Valmala Le processioni principali si svolgono le domeniche di agosto al Santuario per la Festa dell’Assunta. Brossasco La prima domenica d’agosto ricorre la festa della Madonna della neve e il 15 agosto San Sisto a Gilba. Isasca La prima domenica di settembre si festeggia San Chiaffredo. Venasca La prima domenica dopo Pasqua viene celebrata la Madonna del Buon Consiglio; San Bartolomeo è festeggiato la quarta domenica d’agosto; il 21 settembre Santa Lucia e il 28 San Firmino. Santa Lucia e San Bartolomeo hanno generato due maschere del Carnevale locale, Chotina e Tomalin, che sfilano nel piccolo corteo carnevalesco il lunedì. Rossana La patronale della Madonna della Pietà si svolge la prima domenica di maggio. Piasco A fine maggio si festeggia San Filippo Neri e a fine giugno Sant’Antonio. Costigliole Saluzzo Numerose sono le feste religiose, tra cui la Madonna delle Grazie il 15 agosto e San Rocco il 16; per S. Cristina (24 luglio, attualmente ai primi di luglio) gli abitanti sono soliti ritrovarsi come un tempo alla cappella per le funzioni e per la “merenda sinòira”. Partecipata è anche la Via Crucis nel Borgo. Verzuolo Un tempo si celebrava l’antica patronale di S. Isidoro, mentre oggi la comunità festeggia il Nome di Maria (8 settembre), cui è dedicata la parrocchiale del 44


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tradizioni | TERRITORIO

Paschero, la Madonna del Rosario (la prima domenica di ottobre) alla Villa e la Madonna della Neve (prima domenica di agosto) a Villanovetta, dalla tradizionale “merenda sinòira”. Le Confraternite Le confraternite, dette companhias, erano presenti quasi in ogni comune e accompagnavano le sepolture e le processioni religiose già dal XVI secolo, come quella del Santo Sacramento di Bellino, del 1507, e quella del Santo Rosario nello stesso comune, risalente ai primi anni del Seicento. Partecipavano all’inizio solo gli uomini, vestiti di bianco con un cappuccio e un cordone in vita, poi anche le donne, con una veste di tela gialla, un velo dello stesso colore e un crocifisso in mano. Agli inizi del ‘900 compare anche la Compagnia delle figlie di Maria, riservata alle donne nubili, cui patrona era Sant’Agnese. Attive sin dal 1600 erano le Frairias, confratrie nate in varie località della valle come istituzione laica nel medioevo per portare cibo e vestiario ai bisognosi e intervenire in caso di calamità. Basavano le proprie entrate su libere donazioni di granaglie, tessuti e denaro, e lasciti di terreni. Analoga attività era svolta a Bellino dal Sant Sufratge. La Companhia de la joventut fu attiva a Bellino e nella Castellata fin verso la fine del XVIII secolo, era organizzata gerarchicamente come la Baía, con un capitano e vari subalterni, e partecipava ai matrimoni. Dopo il trattato di Utrecht la compagnia, che aveva un proprio statuto e partecipava alla processioni con stendardo e armi, vide ridotto il proprio prestigio: infatti nel 1772 fu fatto divieto di partecipare armati alle processioni e di sparare durante le medesime. Questo, insieme al lento e progressivo spopolamento dell’alta valle, diede avvio al declino della congregazione. La superstizione: masche e servan La montagna con i suoi lunghi inverni e le notti passate a vegliare nelle stalle raccontando leggende pare l’ambiente ottimale per la diffusione di superstizioni e miti legati all’esistenza di creature fantastiche e selvatiche. I folatons o foletons, detti anche esprit folet, erano folletti o spiriti burloni, piccoli, coi piedi di capra e il corpo coperto di peli. Molto intelligenti, sapevano lavorare i formaggi e tessere; alcuni di loro lavoravano per gli uomini come pastori o domestici. Anche la folatona, fata o maga, era piccola, pelosa e sgraziata: queste fate avrebbero insegnato agli uomini le tecniche della caseificazione, e avrebbero condiviso anche l’arte di preparare la cera con il siero in cambio della 45


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