pesca ed unita italia

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IL MARE E L’UNITÀ D’ITALIA

La pesca e l ’Unità d’Italia

A pochi anni dall’Unità era Chioggia ad avere il primato della pesca nell’Adriatico e forse nell’intera penisola, insieme a Cesenatico, Fano, Civitanova e San Benedetto del Tronto. Il bragozzo era la nuova imbarcazione portante del sistema peschereccio.

Nella storia dell’Unità d’Italia l’Adriatico basso e pescoso, il Tirreno, avaro e immenso, il profondo Jonio, hanno caratterizzato i diversi destini marinari delle genti d’Italia. Alle soglie dell’Unità le popolazioni di molte regioni si erano allontanati da tempo dai litorali, preferendo dedicarsi alla pesca nelle acque interne e negli stagni costieri. Il mare era stato fino ad allora uno spazio temuto a causa dell’insicurezza delle coste.

Fondazione Marittima Ammiraglio Michelagnoli onlus Cultura del Mare e Ricerche Marine

Le legislazioni sulla pesca dei diversi Stati preunitari contenevano un groviglio di norme diverse con un solo tratto comune che tendeva ad assicurare la conservazione del patrimonio ittico. Le reti a strascico erano al centro della comune attenzione.

Pescherecci fine ‘800 Antico “Bragozzo” Il basso Adriatico era meno favorevole alla pesca e tuttavia Bari, Molfetta e Mola erano importanti centri di pesca. Taranto deteneva il primato assoluto della molluschicoltura e il regolamento della pesca (Libro Rosso del Codronchi) era citato come esempio di norma efficace per la conservazione delle risorse ittiche. Nasse accatastate sulla riva di Mar Piccolo a Taranto ai primi del ‘900 Nella Calabria Tirrenica, così come nel versante siculo, la pesca era fortemente specializzata sulla cattura dei tonni e del pesce spada. In Sicilia operavano ottanta tonnare e nel golfo di Napoli i marittimi della penisola sorrentina erano caratterizzati da una spiccata vocazione peschereccia. A nord di Napoli le acque di Gaeta erano abbondanti di pesce. In Liguria degna di nota era l'antichissima pesca della tonnara di Camogli.

Mitilicoltori a Taranto ai primi del ‘900

Torre e marfaraggio della Tonnara di Mondello; incisione della metà ‘800

Il regolamento sabaudo sulla Polizia della Pesca del 1827, come la legge pontificia del 1840 e le leggi granducali limitavano l’uso delle reti a strascico al periodo del fregolo o le proibivano definitivamente. Le normative però si scontravano con gli interessi dei pescatori e il risultato era un mosaico di concessioni e regimi di pesca diversi. All’atto dell’unità nazionale, venne estesa nel 1877 all’intero Regno la precedente legislazione sarda sulla pesca che risaliva al 1827. In pratica, al momento dell’unità nazionale la disciplina della pesca ricalcava quella della caccia. In seguito vennero emanate le norme per rendere omogenea la disciplina della pesca prendendo a base le disposizioni per la tutela delle specie ittiche del Libro Rosso di Taranto. Nel 1904 con Giolitti, e più tardi nel 1921, venne favorito l’esercizio della pesca con la cooperazione, la tutela del lavoro dei pescatori e l’addestramento del personale, l’obbligo di assicurazione e misure di previdenza sociale.

Divieto di pesca con lo “sciabichello”. 24 gennaio 1895 Fondazione Marittima Ammiraglio Michelagnoli onlus www.fondazionemichelagnoli.it


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