Evangelii Gaudium | Avvenire

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Anno XLVI N. 281

Mercoledì 27 novembre 2013

€ 1,20 GLI INSOLUTI DELL’ANIMA SALVATORE MANNUZZU

I

n casa entra da sempre moltissima carta: libri, giornali e altro. Sino a un po’ di tempo fa riuscivo a tenerla a bada. Ne davo via, ne gettavo (vincendo la radicata vocazione a conservare); e periodicamente mettevo ogni cosa al suo posto: stipando le tante librerie, controllando e smistando i documenti bancari e le ricevute. Ma da parecchio ormai trascuro di farlo: quanto arriva si ammucchia sulla scrivania, sulle sedie e perfino sul pavimento. Me ne resta un crescente, oscuro rimorso: reso più acuto a volte dalla ricerca vana di qualcosa che mi serve o dal crollo d’una catasta pericolante. Perché ne parlo? Perché questo disordine, questo Mar dei Sargassi in cui riesco

San Virgilio di Salisburgo, vescovo

OLTRE RENDITE E RASSEGNAZIONI, CON FEDE

L’ESSENZIALE CAMMINO PIERANGELO SEQUERI sciamo, usciamo». Incomincia così il n. « U 49 dell’Esortazione Apostolica di papa Francesco sul tema dell’evangelizzazione, che ha impegnato il recente Sinodo mondiale dei Vescovi. L’immagine non è occasionale, né casuale. Che si tratti di una chiave di lettura – e quindi di azione – del messaggio destinato alle Chiese cristiane, è confermato dalla dicitura che sta all’ingresso del primo capitolo: «Una Chiesa in uscita». Francesco si mette a capo del popolo di Dio e lo guida all’uscita dalla schiavitù. Uscita dall’inerzia di una posizione di rendita, che può apparire rassicurante e persino confortevole, ma che ormai confina con l’assuefazione alla «mondanità spirituale». Uscita dalla mancanza di iniziativa, dalla perdita di creatività, dall’amorevole coltivazione della propria nobile malinconia: la storia della modernità ha deviato dal corso previsto, che doveva passarci sotto casa. Invece. E allora, tanto peggio per la storia, e per gli uomini, le donne e i bambini che ci sono dentro. L’accidia, la rassegnazione, lo scoraggiamento – scrive Francesco – portano alla «psicologia della tomba». Può sembrare un rifugio, un sacrario persino. Ma è un luogo di morti. Non c’è però solo una cristianesimo ripiegato su se stesso perché vive una perenne «Quaresima senza Pasqua» (n. 6). In questi anni, i cristiani ci hanno messo del proprio per mortificare ciò che lo Spirito aveva pur messo in moto. Hanno creato contrapposizioni artificiose nel popolo di Dio, seminato arroganza di élites fra i cristiani diversamente impegnati, acceso vere e proprie «guerre» interne, nelle quali sono state dilapidate energie e sostanze che erano destinate alla missione comune (n. 94). Anche da queste stupide liti bisogna uscire. In fretta, e con un taglio netto. E bisogna pensare di più ai «poveri». Soprattutto al loro riconoscimento da parte di una religione che non se ne serve come strumento per disegni che non li riguardano.

sempre meno a muovermi, mi duole soprattutto per il suo peso simbolico: trovando dentro di me corrispondenza, magari inconscia, negli arretrati e negli insoluti dell’anima. Gli adempimenti omessi, materiali e morali, mi ossessionano suscitandomi il pensiero di quando - tempi non lontani - io non ci sarò più. Come si raccapezzeranno le mie figlie, cosa se ne faranno di tante carte che hanno senso, se mai, solo per me? E quale ricordo conserveranno di me? Talvolta mi capita di leggere nei necrologi parole di lode e rimpianto che suonano sincere. E provo una sorta di invidia: io alla fine non ne avrò meritate. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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il fatto. Nella sua prima Esortazione apostolica il Papa chiama a uno «stato permanente di missione», a una collegialità che valorizzi le Conferenze episcopali e a servire i poveri

La gioia del Vangelo Francesco: la Chiesa sia sempre la casa aperta del Padre IL CASO / RIFORMA SANITARIA ALL’ESAME DELLA CORTE SUPREMA

Aborto e pillola Obamacare sotto processo

LAVORI IN CORSO STEFANIA FALASCA utti fuori. In un vitale dinamismo di "uscita". T Fuori, sulle strade aperte della via pulchritudinis, la via del Vangelo. Perché solo uscendo si può rimanere fedeli a Cristo e alla natura propria della Chiesa. È la sollecitudine di un padre quella che definisce l’Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di Francesco, che invita «a uno stato permanente di missione» e nasce dal «generoso», «improrogabile» bisogno di «rinnovamento», per «avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (n.25). Nell’Evangelii gaudium c’è tutto l’animo di ciò che abbiamo visto e ascoltato di papa Francesco. È un documento-chiave, corposo e singolare, foriero di spunti indicativi, che non si presta a banali riduzioni. Si potrebbe dire una sorta di regula pastoralis, di summa pastorale e al tempo stesso un incipit. Certamente una scommessa, un quaderno operativo aperto, un work in progress che non "chiude", come la missione stessa, il cui scopo principale è l’annuncio del cuore pulsante del Vangelo agli uomini e alle donne nella realtà di oggi. È infatti l’annuncio dell’allegria del Vangelo, concentrato sull’essenziale, negli accenti che gli sono propri – la bellezza, la bontà, la misericordia e quindi l’attrattiva – la priorità assoluta e il fine del cammino della Chiesa per Francesco, alla quale tutte le istanze, le istituzioni, le strutture vengono ricondotte: «L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» (15). E in questo senso l’esortazione è destinata a scuotere la compagine ecclesiale nei prossimi anni, invitando a emanciparsi da tutto quanto può far velo all’ampiezza creativa di tale respiro missionario. Affinché a tutti possa «giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio» (44) e «sia favorita la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia». Un no è quindi chiaramente rivolto «all’autopreservazione, alle strutture prolisse separate dalla gente, a gruppi di eletti che guardano se stessi» (27). (Continua a pagina 32)

prospettive e sfide della comunità ecclesiale

● Sulla scia del Concilio

l’impegno per un maggiore decentramento

Coda Trasformarci: ecco cosa ci è chiesto Gheddo In missione ossia uscire e rischiare

● Il papato pronto a una

conversione per essere più fedele al mandato di Gesù

● «Preferisco una Chiesa

accidentata e ferita che malata per la sua chiusura»

● L’Eucaristia non è premio

per i perfetti ma rimedio e alimento per i deboli

Ramonda Sulle spalle la croce degli ultimi

MOLINARI

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2/3/5

NAPOLITANO A LETTA: LA VERIFICA PER IL GOVERNO È IL SÌ ALLA STABILITÀ

NEL GIORNALE

Reddito minimo, pagano le maxipensioni Forza Italia ha deciso: va all’opposizione

■ Crisi

● Fiducia nella notte

Il Cav. in piazza: non cederò ai miei carnefici

● Fi: non votiamo la

Il Cav non molla: «Se si vota nel 2015, posso tornare io a Palazzo Chigi. Per la quinta volta». E apre la guerra ad Alfano: scomparirà

manovra, si dimetta Letta ("appeso" ora in Senato a 6-7 voti). Il Colle dice no ALLE PAGINE

6/7/8/9

CELLETTI A PAGINA

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ZACCURI

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Torino Film Festival

I GIOVANI REGISTI PARTONO DALLA FAMIGLIA DE LUCA

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Guatemala alla mercè della criminalità Due donne in toga per guarire il Paese DI LUCIA CAPUZZI

uando uno “degli angeli custodi” apre la porta blindata, non immagini di ritrovarti in una stanza dai colori sgargianti e il sottofondo di musica jazz. Fuori si respira il grigiore teso del Juzgado de mayor riesgo, il tribunale di massima sicurezza del Guatemala. Dentro le rose color cipria svettano nel vaso poggiato sul tavolo. Dietro si nasconde una sagoma minuta. Che si precipita incontro al visitatore

Q

con un sorriso largo e accogliente. È giovane e molto bella, Jazmín Barrios: lunghi capelli neri ondulati, lineamenti delicati. Eccola la “giudice di ferro”, come l’ha ribattezzata la stampa internazionale. «Ma va. Sono solo una donna semplice e vicina alla gente». È anche molto altro, però. Coraggiosa, determinata, testarda, da quando è entrata in magistratura, nel 1996 – lo stesso anno degli accordi di pace –, Barrios non si è mai tirata indietro di fronte a un caso “difficile” A PAGINA

Ora sono le mamme a rubare per fame Furti cresciuti del 20% SCAVO A PAGINA

INCHIESTA / CORAGGIO, RIFORME E TECNOLOGIE PER CAMBIARE

CASSANO: LA CHIESA FRA IL SUD E IL GRANDE INQUISITORE

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RETROSCENA

sul maxi-emendamento alla manovra. Per la "prova" sul reddito solo 40 milioni l’anno. Saltata la norma sulle spiagge

Intervista

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FOLENA A PAGINA

BELLASPIGA A PAGINA PRIMOPIANO ALLE PAGINE

L’Obamacare finisce di nuovo nel mirino della Corte suprema: a marzo i giudici analizzeranno due dei cento ricorsi di ditte, gruppi laici e religiose, diocesi comprese, che non intendono piegarsi al cosiddetto «obbligo contraccettivo» contenuto nella legge e denunciano la violazione della libertà religiosa. La misura impone un’assicurazione sanitaria che comprenda contraccezione e aborto.

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FOLENA A PAGINA

(Continua a pagina 32)

I NOSTRI COMPITI E LA PREFERENZA DI DIO

● L’Evangelii gaudium indica

LE INTERVISTE

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■ Istanbul

Basilica di Santa Sofia Gli islamisti premono per «riconvertirla» in una moschea OTTAVIANI A PAGINA

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■ Nordest

Veneto e Friuli V.G. oltre le fabbriche: il futuro nel terziario MOTTA A PAGINA

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MERCOLEDÌ 27 NOVEMBRE 2013

LA STRUTTURA

IL SINODO

il fatto La necessità di recuperare la freschezza del Vangelo, trovando strade nuove e metodi creativi. L’auspicio che, sulla scia del Concilio, cresca la collegialità in virtù del coinvolgimento maggiore delle Conferenze episcopali. La disponibilità a una conversione anche del papato. Nell’Evangelii gaudium Francesco indica attese e sfide nel cammino della comunità ecclesiale

IN CINQUE CAPITOLI SFIDE, FINALITÀ E STRUMENTI DELL’ANNUNCIO

NELLE 58 PROPOSIZIONI IL FRUTTO CONSEGNATO AL PONTEFICE

L’Esortazione apostolica di papa Francesco «Evangelii gaudium» è suddivisa in cinque capitoli. Il documento raccoglie i frutti dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede», che si è tenuta in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012. Il documento si apre con un’introduzione che a sua volta è divisa in tre paragrafi: «Gioia che si rinnova e si comunica», «La dolce e confortante gioia di evangelizzare» e «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede». Il primo capitolo, «La trasformazione missionaria della Chiesa», affronta cinque sotto-temi: «Una Chiesa in uscita», «Pastorale in conversione», «Dal cuore del Vangelo», «La missione che si incarna nei limiti umani» e «Una madre dal cuore aperto». Segue il secondo capitolo, «Nella crisi dell’impegno comunitario», diviso in due paragrafi su «Alcune sfide del mondo attuale» e «Tentazioni degli operatori pastorali». Sono quattro i paragrafi che compongono il terzo capitolo su «L’annuncio del Vangelo»: «Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo», «L’omelia», «La preparazione della predicazione», «Un’evangelizzazione per l’approfondimento del kerygma». Quattro i temi principali affrontati anche nel quarto capitolo su «La dimensione sociale dell’evangelizzazione»: «Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma», «L’inclusione sociale dei poveri», «Il bene comune e la pace sociale», «Il dialogo sociale come contributo per la pace». Infine «Evangelizzatori con spirito» è il titolo del quinto capitolo, che riporta due sottocapitoli: «Motivazioni per un rinnovato impulso missionario» e «Maria, la Madre dell’evangelizzazione».

«Ho accettato con piacere l’invito dei Padri sinodali di redigere questa Esortazione. Nel farlo, raccolgo la ricchezza dei lavori del Sinodo». Così papa Francesco all’inizio dell’«Evangelii gaudium» ricorda che il documento presentato ieri nasce dai lavori della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, svoltasi dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Ma Bergoglio non si ferma ai soli contenuti emersi dal Sinodo: «Sono innumerevoli i temi connessi all’evangelizzazione nel mondo attuale che qui si potrebbero sviluppare – spiega –. Ma ho rinunciato a trattare in modo particolareggiato queste molteplici questioni che devono essere oggetto di studio e di attento approfondimento». Ai lavori del Sinodo dell’anno scorso hanno preso parte 262 padri sinodali, il numero più elevato nella storia dei Sinodi. Relatore generale era il cardinale Dondald William Wuerl, arcivescovo di Washington. I lavori si sono svolti in 23 Congregazioni generali e 8 Sessioni dei circoli minori: il frutto più rilevante di questo percorso sono state le 58 proposizioni finali consegnate al Papa. Inoltre i padri sinodali hanno redatto un «Messaggio al popolo di Dio». Bergoglio nota che il Sinodo ha «ricordato che la nuova evangelizzazione chiama tutti e si realizza fondamentalmente in tre ambiti»: l’ambito della pastorale ordinaria, l’ambito delle «persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo», l’ambito dell’annuncio «a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato».

LE PAROLE DI PIETRO

Il Papa: una Chiesa con le porte aperte Nell’Esortazione l’invito alla conversione pastorale e a uno stato permanente di missione DA ROMA MIMMO MUOLO

e la Lumen fidei era stata definita un’enciclica a quattro mani (dato l’apporto di Benedetto XVI), la Evangelii gaudium è sicuramente il manifesto programmatico del pontificato di papa Francesco. Cinque capitoli più l’introduzione, 220 pagine, ampi riferimenti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione (con le proposizioni dei padri sinodali citate 27 volte, anche se il testo va oltre l’esperienza del Sinodo). Ma soprattutto una parola chiave. La parola «gioia» menzionata per ben 59 volte. Questa in estrema sintesi la prima esortazione apostolica di papa Bergoglio, che chiede di essere analizzata nei suoi particolari. A cominciare proprio da quella gioia del Vangelo che

S

invitare gli esclusi». Perché questo avvenga, papa Francesco ripropone con forza la richiesta della «conversione pastorale», che significa passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi, una pastorale in stato permanente di evangelizzazione. No a prassi stantie e rancide obbliga. Si, invece a essere creativi per ripensare l’evangelizzazione. In questo contesto l’esortazione parla anche delle parrocchie che devono essere «ancora più vicine alla gente». Insomma una Chiesa dal «cuore missionario» e dalle «porte aperte». Invece, ammonisce il Pontefice, «di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori». Ma «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto

UN PAPATO SEMPRE PIÙ ATTENTO AL SENSO CHE VOLLE DARGLI GESÙ

Chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato (...) aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Il Concilio Vaticano II ha affermato che come le antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente» diventa la forza propulsiva della «Chiesa in uscita», come la vuole il Papa. La Chiesa della gioia. «Il grande rischio del mondo attuale – esordisce di fatto il Pontefice –, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Invece «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» e rappresenta il migliore antidoto a «peccato, tristezza, vuoto interiore, isolamento». Al centro del nuovo documento c’è l’idea base del pontificato di Francesco: un Dio che «non si stanca mai di perdonare», mentre «siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia». Dio «torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra», «ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia». E il cristiano deve entrare «in questo fiume di gioia». No, dunque a «cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua»: «un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente la faccia da funerale», scrive il Papa, auspicando che il nostro tempo possa «ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore». La Chiesa in uscita. È l’altro nome della missione usato da Francesco. «L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa», afferma il Papa. Il primo capitolo, quindi, sviluppa il tema della riforma missionaria della comunità ecclesiale, chiamata ad uscire da sé per incontrare gli altri. In altri termini la Chiesa sa che deve «andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per

per ciascuno con la sua vita faticosa», soprattutto «i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati». «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – scrive Francesco –, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli». Papato e Conferenze episcopali. Dalla conversione non è escluso neanche l’esercizio del Primato del Successore di Pietro. Come Giovanni Paolo II in Ut unum sint aveva avanzato una richiesta di aiuto per comprendere meglio i compiti del Papa nel dialogo ecumenico, anche papa Bergoglio prosegue su questa richiesta e vede che una più coerente forma di aiuto potrebbe giungere se si sviluppasse ulteriormente lo Statuto delle Conferenze episcopali. «Non credo che ci si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo», sottolinea Francesco. E «non è opportuno – aggiunge – che il Papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori». «A me spetta, come vescovo di Roma – puntualizza – rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione». Per il resto «ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dot-

Il testo integrale della Esortazione apostolica si può consultare nell’edizione online del giornale. È sufficiente entrare in www.avvenire.it. e cercare nella prima colonna la notizia, alla quale è allegato il testo in formato Pdf.

trinale». Un’economia che uccide. «No a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità», perché «questa economia uccide». «No alla nuova idolatria del denaro». «No a un denaro che governa invece di servire». «No all’iniquità che genera violenza». Sono questi alcuni dei capitoli principali del secondo capitolo dell’esortazione, che torna a stigmatizzare la «cultura dello scarto». «Non è possibile – ricorda papa Francesco – che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa. Questo è esclusione. Non si può tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole». Così «grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita». Il denaro poi «deve servire e non go-

vernare», incalza il Papa, secondo il quale «l’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano». «Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici». Inoltre tra i mali del nostro tempo, il Pontefice cita «una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista». Il pericolo della mondanità. Innanzitutto il documento fa notare che le sfide dell’evangelizzazione dovrebbero essere accolte più come una opportunità per crescere che non come un motivo di depressione. Bando quindi «al senso della sconfitta». Per questo, afferma ancora il Papa, dinanzi alle sfide delle grandi «culture urbane», i cristiani sono invitati a fuggire da due rischi. In primo luogo, il «fascino dello gnosticismo», una fede cioè rinchiusa in se stessa, nelle sue

certezze dottrinali, e che fa delle proprie esperienze il criterio di verità per il giudizio degli altri. Inoltre, il «neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico» di quanti ritengono che la grazia sia solo un accessorio mentre ciò che crea progresso è solo il proprio impegno e le proprie forze. Tutto questo contraddice l’evangelizzazione e crea una sorta di «elitarismo narcisista» che deve essere evitato. Cosa vogliamo essere, si domanda il Papa, «generali di eserciti sconfitti» oppure «semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere?». È in altre parole il rischio – reale – di una «Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali». Occorre, quindi, non soccombere a queste tentazioni, ma offrire la testimonianza della comunione nella complementarità dei ruoli. A partire da questa considerazione, Papa Francesco espone l’esigenza della promozione del laicato e della donna «(«allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa»); dell’impegno

per le vocazioni e dei sacerdoti. E in definitiva chiede di evitare la mentalità del potere facendo invece crescere quella del servizio per la costruzione unitaria della Chiesa. Il ruolo della famiglia. La famiglia «attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali». E a questo proposito l’Evangelii Gaudium fa notare che «la fragilità dei legami diventa particolarmente grave» nella famiglia, «cellula fondamentale della società, luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli». «Il matrimonio – è la notazione del Papa – tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia». continua a pagina 3


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MERCOLEDÌ 27 NOVEMBRE 2013

QUESTA ECONOMIA UCCIDE ED ESCLUDE

L’EUCARISTIA NON È PREMIO PER I PERFETTI

Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole.

La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli

LE PAROLE DI PIETRO

La gioia di portare Cristo al mondo Fisichella, Celli e Baldisseri presentano l’Evangelii gaudium: il Papa ci indica il cammino

in definitiva l’invito del Papa, che ricorda come quello di evangelizzare non sia un impegno da addetto ai lavori, ma riguarda tutti i cristiani. «La nuova evangelizzazione, scrive Francesco nel quinto e ultimo capitolo, si sviluppa sotto il primato dell’azione dello Spirito Santo che infonde sempre e di nuovo l’impulso missionario a partire dalla vita di preghiera, dove la contemplazione occupa il posto centrale. La Vergine Maria «stella della nuova evangelizzazione» è presentata, a conclusione, come l’icona della genuina azione di annuncio e trasmissione del Vangelo che la Chiesa è chiamata a compiere nei prossimi decenni con entusiasmo forte e immutato amore per il Signore Gesù. In sostanza una Chiesa che si fa compagna di strada di quanti sono nostri contemporanei nella ricerca di Dio e nel desiderio di vederlo».

più pericoloso di quello dottrinale, perché intacca direttamente lo stile di vita dei credenti», a causa del quale «in molte espressioni della nostra pastorale le iniziative risentono di pesantezza perché al primo posto viene messa l’iniziativa e non la persona». Nell’Esortazione apostolica così, secondo Fisichella, Bergoglio mostra «l’urgenza» con la quale intende agire «per portare a termine alcune prospettive del Vaticano II: per esempio «circa l’esercizio del Primato del successore di Pietro», in continuità con i suoi predecessori – Giovanni Paolo II, che nella Ut unum sint affermò la disponibilità a ripensare in chiave ecumenica l’esercizio del primato petrino, e Benedetto XVI, che a quella disponibilità diede corso nel dialogo teologico con l’ortodossia; come pure sul ruolo delle Conferenze episcopale, delle quali il Pontefice invita a «sviluppare ulteriormente lo Statuto». Circa la prima di queste sottolineature, in risposta alle domande dei giornalisti, Fisichella ha messo in evidenza che la «conversione del papato» va intesa «alla stessa stregua» della «conversione pastorale»: il Papa, cioè, «si pone come primo esempio di quella conversione pastorale che chiede ai fedeli». In altre parole «il Papa sente l’esigenza di dire: sono in mezzo al popolo di Dio, sono il primo a voler illustrare come si debba dare una testimonianza pastorale», che «non si manifesta solo nella scelta di non vivere nel palazzo, ma anche nella vita quotidiana, nella naturalezza con cui il Papa vive in mezzo agli altri». Quanto al ruolo delle Conferenze episcopali, Baldisseri ha invitato a rilevare come sia «la prima volta che un Papa cita i documenti delle Conferenze episcopali», in una Esortazione apostolica. Con ciò Francesco vuole mostrare che «il magistero ordinario – ha affermato – non è soltanto quello del Papa, ma anche il magistero ordinario di tutti i vescovi del mondo», che in questo modo «partecipano al governo, al magistero del Papa». Già nel decennio precedente al 1998, quando Giovanni Paolo II ha scritto l’Apostolos suos, ha fatto poi notare Fisichella, «c’è stata una lunga discussione nella Chiesa sul ruolo delle Conferenze episcopali»; col documento di oggi «papa Francesco chiede che esse prendano visione del proprio statuto, per riflettere su quale identità vogliono sviluppare di più, all’interno dei vari Paesi, nell’ordine della nuova evangelizzazione e della sinodalità». È su questo piano che va operata la «decentralizzazione» a cui fa riferimento il Papa, un «ripensamento» del proprio ruolo che in futuro può portare le singole Conferenze episcopali ad assumere «ruoli anche dottrinali». Sul linguaggio «sereno, cordiale, diretto, in sintonia con lo stile manifestato in questi mesi di pontificato» con cui è scritta l’Esortazione s’è infine soffermato Celli, che ha poi citato in particolare un brano del testo, con il quale, ha detto, «papa Francesco dà senso alla nostra attività comunicativa nella Chiesa: "Bisogna avere il coraggio di trovare nuovi segni, nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali"».

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DA ROMA SALVATORE MAZZA

n invito, forte, a «recepire le sfide del mondo contemporaneo e a superare le facili tentazioni che minano la nuova evangelizzazione». A partire dal «ricuperare la propria identità» di cristiani «senza avere complessi di inferiorità, che portano poi ad occultare la propria identità e le convinzioni, che finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri, e per avere quello che gli altri possiedono». Ed è proprio questa gioia della missione – gioia quotidiana che viene dal credere in Gesù Cristo, capace di dare prospettiva e senso al vivere – la parola chiave della Esortazione apostolica Evangelii gaudium, firmata il 24 novembre, alla chiusura dell’Anno della fede, da papa Francesco e presentata ieri in Sala Stampa vaticana dagli arcivescovi Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Un documento "pesante" non solo per la sua corposità – oltre duecentoventi pagine nella versione distribuita alla stampa mondiale in sede di presentazione – ma soprattutto per l’ampiezza di respiro e la metodica precisione con cui Francesco delinea gli ambiti di un’azione pastorale lontana da ogni timidezza. Un testo in cui, come ha osservato Fisichella, «a più riprese papa Francesco fa riferimento alle Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012 (sul tema della nuova evangelizzazione, ndr) mostrando quanto il contributo sinodale sia stato un punto di riferimento importante per la redazione di questa Esortazione», ma che allo stesso tempo «comunque va oltre l’esperienza del Sinodo». Infatti, ha sottolineato il presule, «il Papa imprime in queste pagine non solo la sua esperienza pastorale precedente, ma soprattutto il suo richiamo a cogliere il momento di grazia che la Chiesa sta vivendo per intraprendere con fede, convinzione, ed entusiasmo la nuova tappa del cammino di evangelizzazione». Tutto questo mettendo chiaramente in guardia da «un relativismo ancora

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USCIAMO PER OFFRIRE A TUTTI LA VITA DI GESÙ

Usciamo, usciamo a offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. UNA CHIESA CON I SENTIMENTI DI GESÙ, POVERA PER I POVERI

Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù». Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri segue da pagina 2 a difesa della vita è un altro dei temi toccati nel documento, che ribadisce come la posizione della Chiesa sull’aborto non sia «un argomento soggetto a presunte riforme o a modernizzazioni». «Non è progressi-

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sta pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana», scrive Francesco. «Però è anche vero – aggiunge – che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle lo-

ro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà». La convinzione della della Chiesa non è «oscurantista», ideologica o conservatrice, perché la difesa della vita nascente «è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano», che è sempre «sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo». La dimensione sociale dell’evangelizzazione. A questo argomento è dedicato il quarto capitolo. La Chiesa sente come propria missione quella di «collaborare per risolvere le cause strumentali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri», come pure quella di «gesti semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete» che ogni giorno sono dinanzi ai nostri occhi. Lo sguardo del Pa-

pa è a 360 gradi e tiene conto dei problemi (il tema dei migranti, la denuncia delle nuove schiavitù) e delle responsabilità individuali che di solito non vengono considerate. «Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete di prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità». Più in generale due tematiche appartengono a questa sezione dell’Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri e la pace e il dialogo sociale. Alla fine del discorso il Pontefice ricorda poi che «il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea e il tutto è superiore alla parte. Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione. È questo


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le reazioni Un missionario, un teologo, un laico impegnato si confrontano con l’Esortazione apostolica sulla bellezza di incontrare Gesù e sul bisogno di annunciarlo a tutti. «Se Cristo conta nella vita dei credenti, tutte le attività della Chiesa si trasformano nel senso della missione». «Il testo è un continuo invito a cambiare, trasformarsi, mettersi in viaggio» «I poveri sono i nostri veri maestri, devono avere un posto privilegiato nel popolo di Dio»

LE PAROLE DI PIETRO Piero Coda «Ci ricorda che nel grido dei poveri troviamo Cristo» DI UMBERTO FOLENA

eri don Piero Coda stava rientrando in Italia da Berlino, dopo aver parlato a una trentina di vescovi del Nord e dell’Est Europa in ritiro spirituale sul tema "Le vie dell’evangelizzazione": «Ho avuto la netta percezione che fossero in attesa di una spinta che li aiutasse a compiere una trasformazione profonda». In tal caso, l’Esortazione apostolica di Francesco giunge decisamente a proposito. Sì, l’intero testo è un continuo invito a cambiare, a trasformarsi, a mettersi in viaggio. Una trasformazione anzitutto spirituale, interiore, frutto dell’ascolto dello Spirito. Per andare dove? Al centro della fede, come non mancava di ricordarci Benedetto XVI. All’essenza del Vangelo, riproposto nella sua bellezza nuda, affascinante e coinvolgente. Un testo comprensibile, agile, veloce... Non è che verrà criticato per «eccesso di semplicità? È vero, non c’è nulla di ricercato e faticoso e il suo messaggio è semplice, immediato, diretto, concreto. Ma non lasciamoci ingannare. Al di là dell’immediata fruibilità, l’Evangelii gaudium richiede una profonda meditazione, personale e comunitaria, per introiettarla nell’anima e discernere le vie praticabili. Non è un testo da leggere una volta per sempre, ma un vademecum che chiede di essere ripreso. Semplice eppure profondo come il Vangelo, presente nel titolo? Nel Vangelo convivono assieme la semplicità e la radicalità. Penso ad esempio a san Francesco: non è com«Questo documento plesso né facilone, ma la sua richiede una profonda scelta di vita – il suo canto – da una radicale meditazione personale scaturisce adesione al Vangelo di Crie comunitaria per sto, che genera comunque anche nella condivifarla propria nell’anima» gioia, sione delle lacrime. Qual è dunque il cuore dell’Esortazione? Bergoglio parla di Cristo e di una Chiesa che deve ascoltare il grido dei poveri, che è il grido di Cristo. Questo grido esige di trovare un’eco nella comunità ecclesiale. In effetti, la comunità ecclesiale è più volte chiamata in causa, spronata, esortata... Mi ha molto colpito un particolare. In questa Esortazione, che raccoglie l’eredità del Concilio e cita l’Ecclesiam suam, per la prima volta si citano documenti di episcopati di tutto il mondo, segno di un reale e concreto scambio di doni. Il Papa non è tenero con alcune derive della cultura contemporanea... Si dimostra assai lucido nel leggere le crisi della nostra società e le tentazioni sottili e vistose della prassi ecclesiale. E le chiama per nome. Sono tentazioni a cui è facile soccombere, quando scivoliamo nel tran tran. Per questo ci invita alla trasformazione.

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Così papa Francesco parla alla Chiesa e al mondo Nell’Evangelii gaudium un invito alla gioia e alla responsabilità Piero Gheddo «La spinta ad uscire, a rischiare Questo è il bello del Vangelo» o scorso 28 giugno ha festeggiato i suoi primi 60 anni da sacerdote. «E dopo 60 anni di Messa e missione – confida padre Piero Gheddo – confermo: fare il prete e fare il missionario è bello. Entri in contatto con Chiese più giovani, povere, analfabete... con cristiani che non saranno particolarmente eruditi, ma hanno in sé l’entusiasmo della fede. Ed è quella fede a renderli spontaneamente missionari». Quindi, quando Francesco afferma che «l’azione missionaria è il paradigma di ogni ope-

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ra della Chiesa», lei fa i salti di gioia? Mi vengono in mente le parole di madre Teresa: «Il missionario è quel battezzato talmente innamorato di Gesù da non desiderare altro che farlo conoscere e amare». E poi Maritain: «In ogni angolo del mondo, tutti gli uomini credono in Dio, ma la loro vita dipende da quale immagine hanno di quel Dio». Se è remoto e disinteressato, l’uomo è triste. Se invece conosce Cristo, volto di Dio, e si innamora di lui... Lo deve annunciare, e la mis-

Paolo Ramonda (Giovanni XXIII) «La nuova evangelizzazione si fa mettendo la nostra spalla sotto la croce degli ultimi» DI LUCIA BELLASPIGA

ià il titolo di questa Esortazione apostolica porta in sé l’essenza del Vangelo, cioè l’incontro di gioia con Dio, quell’incontro "simpatico" con Cristo, come lo chiamava don Oreste». Paolo Ramonda, responsabile generale dell’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, che conta nel mondo oltre 500 strutture di accoglienza per tutti gli ultimi sen-

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za distinzione, parte proprio da quel «gaudium», lo stesso che si riconosce e respira nelle case famiglia di don Oreste. Da dove nasce questa gioia di stare accanto a chi ha meno? Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, dice il Papa, e allora non sentiamo più palpitare nel cuore l’entusiasmo di fare il bene. Così don Oreste parlando di incontro «simpatico» con Cristo intendeva la piena realizzazione di tutta la per-

sona nella sua dimensione interiore, ma anche nelle relazioni sociali: il Vangelo porta il compimento pieno della nostra umanità nella giustizia. In questo documento papa Francesco ha sintetizzato il suo magistero, ricordando che la nuova evangelizzazione si fa mettendo la nostra spalla sotto la croce dei poveri, ma anche non andando a braccetto con chi queste croci le fabbrica, altrimenti si è conniventi con le ingiustizie e si cade in un assistenzialismo

che non rimuove le cause dell’emarginazione. Misericordia significa gettare il proprio cuore nella miseria altrui, farla propria. Splendido è il passaggio in cui Francesco fa un richiamo a tutti i cristiani, anche ai pastori, alle associazioni e ai movimenti, perché diventino «ospedali da campo», siano missionari ovunque, escano dalle sacrestie, sempre però con un atteggiamento di conversione e di servizio. Al centro ci sono i poveri, i veri privilegiati non solo in questa esortazione ma nelle azioni del Papa, che ha scelto di sedersi a mensa con loro, non con le autorità. C’è un passaggio molto bello che mi ha colpito, quando Francesco scrive che Cristo è sempre vicino agli esclusi, che

sione diventa il «paradigma»? Se davvero Gesù conta nella vita dei credenti, allora tutte le attività della Chiesa si trasformano in senso missionario. Sono molto contento che papa Bergoglio abbia ripreso papa Wojtyla e la sua Redemptoris missio... Francesco usa spesso i verbi uscire e aprire. In che senso? Uscire dalle chiese, non essere autoreferenziali, rischiare! Più avanti, il Papa dice anche (n.56, ndr) di preferire una Chiesa accidentata e sporca, perché per le strade del mondo, piuttosto che appesantita dalle proprie sicurezze. Certamente si rischia. Si possono commettere degli sbagli. Ma se a guidarci è la passione... Passione? La «gioia del Vangelo» è questa. Se ti innamori di Gesù, a guidarti è la passione e la stessa missio-

i poveri devono avere un posto privilegiato nel popolo di Dio, e questo ci dice che sono i nostri maestri, non più solo gli oggetti della nostra assistenza. Noi della Papa Giovanni viviamo ogni giorno la consapevolezza di quanto siano le membra più necessarie del popolo di Dio, ma anche il punto di riunificazione della società e del genere umano: da lì dobbiamo ripartire, dagli ultimi, dal passo dei deboli. Una società che li lascia indietro non è un popolo ma un’accozzaglia informe. Forte il richiamo al sì alla vita, un richiamo che le vostre case famiglia ascoltano senza se e senza ma. La cosa interessante è che il Papa parte dalla difesa del nascituro come principio dei di-

«Se davvero Gesù conta nella vita dei credenti, allora tutte le attività della Chiesa si trasformano in senso missionario»

ritti umani, il fondamento da cui discendono tutti gli altri. Come il popolo di Dio deve tenere il passo dei più fragili, così la vita degli uomini trae forza dai più inermi. Anche il passaggio sulla famiglia vi è certamente caro. Noi siamo testimoni del bisogno primario di ogni bimbo di poter crescere sulle ginocchia di un papà e una mamma. Poi però la famiglia fondata sul matrimonio diventa feconda nell’accoglienza dei figli che mette al mondo, ma ancor più nell’accoglienza sovrabbondante di chi non ha nessuno. Il Papa scrive che il bene tende a comunicarsi e questo avviene attraverso un trapianto vitale del Vangelo, cioè azioni concrete, significative, di misericordia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

ne diventa un fatto passionale, di cuore. Gli effetti? Intanto nessuno è gregario, ma tutti diventano protagonisti. Cosa particolarmente importante soprattutto per i laici, perché in giro c’è ancora troppo clericalismo. E la passione ti costringe a uscire e a guardare in avanti, è così? Mi viene in mente il beato Clemente Vismara, 65 anni passati in Birmania. Lo incontrai che di anni ne aveva 85. Pensavo di intervistarlo sul suo passato, ma lui non faceva che parlarmi del futuro, dei suoi progetti. Morì sei anni dopo. I suoi confratelli dissero di lui: è morto a 91 anni senza essere mai invecchiato. Ecco, quello è un missionario.

Umberto Folena © RIPRODUZIONE RISERVATA

Una società che lascia indietro i più bisognosi e in difficoltà non si può considerare un popolo ma al contrario «solo un’accozzaglia informe»


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ASIA BIBI IN CARCERE DA 1.623 GIORNI PERCHÉ CRISTIANA DOPO L’USCITA FORMALE DI FI DALLA MAGGIORANZA: STESSI PROBLEMI, NUOVA FASE

Almeno due doveri GIANFRANCO MARCELLI a davvero era troppo tardi, in nome del buon senso e di quel realismo che Giorgio Napolitano ha invocato di nuovo ieri per placare almeno in parte l’«irrequietezza» della politica nazionale, tentare un’ultima mediazione attorno al "nodo decadenza" di Sivio Berlusconi? La proposta di Pier Ferdinando Casini, che resterà agli atti sotto forma di pregiudiziale presentata nell’aula del Senato, è stata liquidata nel giro di poche ore con giudizi frettolosi e

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a dir poco miopi. L’idea di sospendere l’applicazione della legge Severino e di attendere alcune - poche - settimane, perché scatti l’ormai ineluttabile interdizione giudiziale dai pubblici uffici a carico dell’ex premier, non è nuova per i lettori di questo giornale, che l’ha caldeggiata in giorni meno agitati e in un clima meno convulso di quello odierno. Ma evidentemente ormai sta prevalendo, per l’ennesima volta, la logica del partito preso e della "confrontation", per usare un lessico da guerra fredda che purtroppo ben si attaglia allo scenario in atto. Cade probabilmente anche

l’equivoco che, mai apertamente evocato, è stato messo dagli opposti pasdaran degli schieramenti principali alla base del loro "sì" alla "strana maggioranza" partorita più che a fatica dalle urne di febbraio. Un consenso a denti stretti alla nascita del governo delle larghe intese, accompagnato dalle malcelate riserve mentali di chi immaginava di ottenere in cambio un salvacondotto personale e di chi, sull’altro versante, gli attribuiva il ruolo di traghettatore verso un postberlusconismo da gestire in proprio e senza il minimo supporto di un coerente responso elettorale. Di fatto, dalla ripresa settembrina in poi abbiamo assistito a un progressivo avvelenamento dei pozzi, interrotto solo provvisoriamente dal voto di fiducia del 2 ottobre, che tuttavia già conteneva in nuce le premesse del successivo show down. Non a caso, anche da Palazzo Chigi quel voto ieri veniva indicato come l’atto di nascita implicito di una nuova, più ridotta e potenzialmente più salda maggioranza, come tale non bisognosa

oggi - per ammissione stessa del Quirinale - di una immediata verifica parlamentare ad hoc. Tuttavia le difficoltà che l’esecutivo sta incontrando nel portare alla meta la legge di stabilità, con l’annuncio ufficiale del passaggio all’opposizione della rediviva Forza Italia, dimostrano che le conseguenze dello strappo non saranno facili da metabolizzare. E che ai vantaggi in termini di maggior coesione interna si contrappone il sostanzioso affievolimento della forza numerica. Mentre da più di un candidato in corsa per la guida del Partito democratico arrivano, per Enrico Letta, preannunci di pressioni e di condizionamenti quasi speculari agli squilli guerrieri del Cavaliere e dei suoi fedelissimi. Eppure la missione di questo esecutivo, nonostante la sfibrante maratona notturna per incassare la fiducia sulla manovra e gli scossoni ai quali sarà sottoposto oggi dal confronto sulla decadenza, non può e non deve essere considerata esaurita. Il Paese viene da un biennio di durissimi sacrifici che, piaccia

Essenziale cammino Lavori in corso (segue dalla prima)

sinfonico dell’evangelizzazione, in cui sono raccolti i motivi conduttori del magistero di Francesco. Due movimenti da non perdere. Il trattatello sulla città secolare, che mette a fuoco la differenza strutturale della missione nell’odierno contesto urbano (nn. 52–75). E il trattato sull’omelia liturgica (135–159). Cominciate pure di qui. Unite i due fili, e la mente si metterà in moto. La formula della nuova evangelizzazione perderà ogni ambiguità possibile, e mostrerà l’essenziale. Pierangelo Sequeri

na religione la cui ambizione è solo quella di restituirli alla dignità spirituale della loro mente, dei loro affetti, della loro persona. E di una relazione con Dio che non devono mendicare, perché è semplicemente destinata e donata. La comunità umana e cristiana è in debito di inclusione e di reciprocità nei loro confronti. L’enorme sofisticazione delle nostre occupazioni di autorealizzazione spirituale ed ecclesiale, che poi ammettono all’aristocrazia della fraternità solo i portatori professionali dei carismi, deve metterci in imbarazzo una volte per tutte. «Occorre affermare, senza giri di parole, che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli” (n. 48). La caduta in verticale del gusto comunitario della vita è oggi direttamente proporzionale all’ossessione del godimento dei suoi piaceri, che seleziona i privilegiati della competizione per l’evoluzione migliore. La loro avidità è peggio del buco nell’ozono. È l’economia dell’esclusione, che «uccide». È l’idolatria del denaro di Epulone, che non ha alcuna «ricaduta» favorevole. (i cani hanno anche il salone di bellezza, a Lazzaro – come da copione – continuano a non arrivare neppure le briciole). È l’iniquità che genera fatalmente aggressività e violenza: nel contesto urbano, ormai, è un tratto di stile, per così dire. La Chiesa esce dalla tomba, e molti uomini e donne che non ci credevano più escono dal guscio. E ritrovano il piacere «spirituale» di essere «popolo», che sta diventando sconosciuto agli umani. Questo e molto altro troverete, in questo poema

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Fermiamo la fabbrica dell’impoverimento

o a «una Chiesa preoccupata di essere al centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti». (49) No a una Chiesa intrisa di «mondanità spirituale che al posto della gloria del Signore, cerca la gloria umana» (93), nascondendosi dietro apparenze di religiosità. No a una «Chiesa dogana», irrigidita negli schemi: «La Chiesa è una madre dal cuore aperto», dove anche «la vita sacramentale non è un premio per i perfetti, ma un rimedio e un alimento per i deboli» (47). Si tratta di conversione, nella crescita fedele alla vocazione della Chiesa, un rinnovamento profondo alla luce del Kerygma, che ci interpella tutti, dall’ultimo dei credenti al Papa, perché anche lui è chiamato a vivere continuamente quanto chiede. È questa la sostanza della riforma alla quale ci introduce, e che riguarda anzitutto noi stessi. Avendo come punti cardinali la costituzione conciliare Lumen gentium sulla natura della Chiesa, il documento sulla conversione pastorale uscito dalla Conferenza della Chiesa latinoamericana ad Aparecida e i testi montiniani dell’Ecclesiam suam e dell’Evangelii nuntiandi, la road map proposta da papa Bergoglio propone alcune linee che possono «incoraggiare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice piena di fervore e dinamismo», e si concentra su alcuni punti nevralgici. Uno degli aspetti, sul quale l’esortazione particolarmente insiste è la comunicazione del messaggio salvifico. In tutta la vita della Chiesa si deve «sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio», che è Lui «che ha amato noi per primo e che è Dio solo che fa crescere»: «La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata» (13). Ben diciotto pagine sono dedicate all’omelia, al suo significato nel contesto della liturgia e alla sua preparazione. Il vademecum ad hoc, indirizzato ai sacerdoti, costituisce una novità nella storia recente del ministero petrino, sollecitato «dai molti reclami pervenuti in relazione a questo importante ministero». Sono pagine intense che si radicano nella preziosa lezione dei Padri della Chiesa, nelle suggestioni della teologia della predicazione di Hugo Rahner, e mettono in luce le ragioni e l’importanza della predicazione nell’economia dell’annuncio del messaggio salvifico. «Il predicatore – dice Francesco – ha la bellissima e difficile missione di unire due cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo» (143). Il mancato rispetto della connessione tra l’amore alla Parola di Dio e l’amore che si deve all’uomo rischia di compromettere l’annuncio della stessa verità cristiana. Nel medesimo orizzonte ordinato alla missione trovano armonicamente il loro posto tutte le altre indicazioni dell’esortazione. Come il riconoscere che l’annuncio della gioia promessa da Cristo non può mai essere messo tra parentesi e viene sempre prima di ogni insegnamento riguardante l’agire morale. O il prendere atto che l’annuncio cristiano non si identifica con nessuna cultura: «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia». E ancora qui papa Francesco ripete con forza che i destinatari prediletti della gioia sprigionata dal Vangelo sono i poveri, i fragili, gli indifesi. È questa la preferenza di Dio. Che non può venire manomessa dai discorsi di chi a volte contrappone l’annuncio della verità alle opere sociali. Come se si potesse contrapporre la fede alla carità che si esprime nelle opere di misericordia. Il "cantiere" aperto da papa Francesco per tutti noi è immenso, ha i confini sterminati del mondo e di ogni cuore umano uscito dalle mani di Dio. Possono venire le vertigini. «Tuttavia – rassicura Francesco – non c’è maggiore libertà che quella di lasciarci portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera» (280). Stefania Falasca

ome dire... lo sospettavamo da tempo, ma ora lo certifica l’Ocse: chi oggi è giovane, disoccupato o precario, domani sarà con molta probabilità un anziano povero. La difficoltà a trovare un primo contratto, poi la discontinuità dei lavori, infine le nuove regole del sistema pensionistico, ridurranno di molto sia l’accumulo di contributi, sia la loro trasformazione in rendite. Risultato: «Le future coorti di pensionati saranno più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia», per usare la felpata formula dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Quello delle minori tutele previdenziali per le nuove generazioni è un problema comune un po’ a tutto l’Occidente. Con l’Europa che negli ultimi due decenni ha profondamente riformato le architetture delle protezioni sociali, sotto la pressione da un lato del notevole allungamento dell’aspettativa di vita e dall’altro dell’insostenibilità dei costi in proporzione al prodotto lordo. Solo che da noi la situazione è particolarmente complicata da una serie di antinomie: abbiamo sempre meno giovani ma con un tasso di disoccupazione fra i più alti del Continente; il livello dei nostri salari è nettamente inferiore a quello medio dell’Ocse, mentre il peso della tassazione e dei contributi è da record assoluto. E ancora: tra un paio di decenni avremo, assieme ai danesi, l’età pensionabile più alta del mondo: 69-70 anni. Intanto, però, registriamo un’età "effettiva" di pensionamento fra le più basse: 61 anni per gli uomini, 60 per le donne. Perché, nonostante le regole più stringenti via via approvate dal 1992 al 2011, non è mai stata del tutto chiusa la scorciatoia dei prepensionamenti. E infine, la contraddizione più stridente: ancora oggi abbiamo rendite calcolate sulle ultime retribuzioni e rivalutate in maniera più che generosa, mentre per i futuri pensionati si calcoleranno al centesimo solo i contributi effettivamente versati, rivalutati con coefficienti minimali. Ma come dire... tutte queste cose le sapevamo da tempo. Quel che ancora non sappiamo, invece, è che cosa possiamo fare per evitare un futuro di stenti ai nostri ragazzi, dopo aver già rivisto in maniera drastica il sistema pensionistico e aver provato – senza riuscirci molto, in verità – a riformare pure il mercato del lavoro. Favorire la crescita economica e l’occupazione, ovvio. Rendere più fluido e meglio garantito l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i giovani, certo. Favorire ancora il ricorso alla previdenza integrativa, d’accordo. Ma c’è un nodo, una parola messa nero su bianco dall’Ocse che dobbiamo aver il coraggio di pronunciare e affrontare: miseria. Che cosa possiamo fare per evitare che un’intera generazione si trovi già oggi e sicuramente domani senza mezzi adeguati e che si scateni un conflitto sociale senza precedenti? Una prima risposta è arrivata proprio ieri dal governo, che ha inserito nella legge di Stabilità un modulo iniziale di reddito minimo di inserimento (o meglio di Sia, il sostegno d’inclusione attiva, meccanismo messo a punto dal ministero del Lavoro). Una sperimentazione nelle grandi città – con un impegno di 120 milioni in tre anni – finanziata da un prelievo di solidarietà sulle pensioni oltre i 90mila euro l’anno. Un intervento assai parziale, se si considera che per coprire appena un quinto della popolazione in povertà assoluta sono necessari 900 milioni di euro. Può rappresentare, però, un avvio importante se non si ridurrà all’ennesimo intervento dispersivo, come quelli già in corso con la vecchia Carta acquisti, la nuova Social card, l’utilizzo di fondi europei al Sud, i progetti dei Comuni... Tante, troppe piccole iniziative, insufficienti per spezzare il circolo vizioso che ancora condanna i giovani ad essere i precari di oggi, i poveri di domani.

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GIORNALE QUOTIDIANO DI ISPIRAZIONE CATTOLICA

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I DATI OCSE SULLE PENSIONI DEI GIOVANI E LE INIZIATIVE DEL GOVERNO

(segue dalla prima)

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o no, siamo stati obbligati ad infliggerci a causa di scelte e non-scelte sbagliate dei passati esecutivi. E oggi sarebbe politicamente criminale gettare tutto alle ortiche. Allo stesso modo, il doppio traguardo del semestre di presidenza italiana nell’Unione Europea e delle riforme minime necessarie per garantire un’agibilità istituzionale futura migliore di quella oggi disponibile va assolutamente centrato. A cominciare dal superamento di un sistema elettorale sciagurato e iniquo (e la Consulta tra breve ci ripeterà quanto...), capace solo di enfatizzare la vocazione estremista - e alla lunga impotente - di tanti protagonisti della nostra politica. In fondo, nonostante i toni roboanti di chi già conta le truppe per un prossimo scontro sugli schermi e nelle piazze, queste considerazioni sono ben presenti a tutti gli aspiranti premier di domani. Comportarsi di conseguenza sarebbe una prima verifica della loro concreta affidabilità.

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Catechismo quotidiano di Mauro Cozzoli

La luce della fede dirada il buio a luce della fede: con « L quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, che così si presenta: "Io sono venuto nel mondo come luce, perché chi crede in me non rimanga nelle tenebre" (Gv 12,46)» (Lumen fidei, 1). Lumen fidei è la prima enciclica di papa Francesco, promulgata nel cuore dell’anno della fede a completamento della trilogia iniziata da papa Benedetto con le encicliche Deus Caritas est e Spe salvi, rispettivamente sulla carità e sulla speranza.Vogliamo sostare su di essa per qualche giorno ancora, prima di congedarci da questa rubrica – Catechismo Quotidiano – che ci ha accompagnato lungo l’Ànno della fede. La fede è luce. È conoscitiva infatti la

fede. Conoscere significa accendere una luce, che dirada il buio e fa vedere ciò che c’è. Per essa il soggetto soddisfa l’aspirazione alla verità. Ci sono le innumerevoli verità particolari delle cose e dei fenomeni intorno a noi. Ad esse perveniamo con le luci accese dal sapere ricognitivo e scientifico. Ma la sete di verità dell’uomo non concerne solo verità parziali e penultime. Concerne soprattutto la verità della vita, la «verità tutta intera» come la chiama il Vangelo.Verità del senso e del destino della vita, il cui buio è motivo d’inquietudine e smarrimento. «Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione» (3). Per una

verità tanto grande, i lumi della ragione sono flebili: «La luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro» (3). «Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire da Dio» (4). Il grande annuncio cristiano è che questa luce è venuta, Dio l’ha accesa nel cuore del mondo con l’incarnazione del Verbo, narrata dal IV Vangelo nel segno della luce: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Questi la intercetta con gli occhi della fede, in grado di penetrare l’Evento e riconoscere «la grazia e la verità venute per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Santo del giorno di Matteo Liut

Giacomo l’Interciso

Dall’apostasia fino al martirio ell’immaginario comune i santi sono N persone perfette, prive di macchie o di errori, esempi di vita retta o di percorsi luminosi verso la più alta testimonianza di fede. In realtà spesso le vite dei santi e dei beati sono state vite difficili e accidentate, non prive di errori e cadute. Oggi, ad esempio, la Chiesa ricorda san Giacomo l’Interciso, martire persiano e potente personaggio della corte di Yazdegerd I, sovrano sasanide che regnò tra il 399 e il 420. Giacomo era cristiano ma gli fu chiesto di negare la propria fede, cosa che l’uomo fece per evitare problemi. Una lettera della madre, però, lo riportò al Vangelo: per questo fu arrestato, torturato (viene detto interciso perché gli vennero amputati gli arti pezzo a pezzo) e infine decapitato. Altri santi. San Virgilio di Salisburgo, vescovo (VIII sec.); beato Bernardino da Fossa, francescano (1421-1503). Letture. Dn 5,1-6.13-14.16-17.2328; Sal da Dn 3; Lc 21,12-19. Ambrosiano. Ez 6,1-10; Sal 31; Abd 1,19-21; Mt 12, 22-32.


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