IAT Journal 1/2016

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IAT Journal II • n. 1 - 2016

Passaggi intergenerazionali e cambiamenti sociali


IAT Journal II • n. 1 - 2016

Direttore Scientifico CESARE FREGOLA Docente di Didattica della Matematica per l’Integrazione, Università dell’Aquila; Coordinatore dei Laboratori di Pedagogia Sperimentale e di Didattica Generale, Università Roma Tre, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. Membro del Consiglio Direttivo dell’IAT. Didatta e Supervisore in contratto in campo Educativo, PTSTA EATA-ITAA. Roma. Italia Direttore Editoriale TOMMASO ULIVIERI Giornalista pubblicista. Esperto di comunicazione politica e istituzionale, Web content manager presso la Fondazione IFEL-ANCI. Board Editoriale Il Board ha una funzione di garante della continuità e del presidio delle relazioni fra tutti gli organi della rivista oltre che delle autonomie e delle interdipendenze dei quattro campi. Prevede la presenza di tre saggi. Fa parte del board il presidente uscente al rinnovo del CD e il direttore scientifico. • Eva Sylvie Rossi • Cesare Fregola • Maria Luisa Cattaneo • Loredana Paradiso • Maria Teresa Tosi

Comitato di Referee Coordina l’esame degli articoli in doppio cieco. • Luca Ansini • Enrico Benelli • Marilla Biasci • Umberto Zona I referee seguiranno i criteri di valutazione indicati dalla direzione scientifica e da quella editoriale e saranno resi noti nel primo numero dell’anno successivo a quello di pubblicazione.

Comitato di Redazione Garante delle norme redazionali riferite agli standard definiti e delle coerenze dei contributi rispetto alle tipologie, oltre che delle linee redazionali ed editoriali. • Silvia Caramelli (Disegno Copertina) • Daniela Bartolomei • Benedetta Fani • Ilenia Impedovo • Simona Laino

Finito di stampare GIUGNO 2016

Codice ISSN 2421-6119 (in press) Codice ISSN 2464-9899 (on line)

Registrazione presso il Tribunale di Lecce n. 8/2015

Editing e stampa © 2016 Pensa MultiMedia Editore srl 73100 LECCE • Via Artuto Maria Caprioli, 8 www.pensamultimedia.it • info@pensamultimedia.it


IAT Journal Cambiamenti sociali e nuovi assetti di personalità IAT Journal nasce su iniziativa dell’IAT, Istituto di Analisi Transazionale e Centro Studi e Ricerche per l’integrazione in Psicoterapia, Psichiatria, Consulenza psico-socio-psicopedagogica e organizzativa. L’IAT persegue i seguenti scopi: • diffondere l’applicazione integrata dell’Analisi Transazionale nei quattro campi che la caratterizzano: Clinico, Counselling, Organizzativo, Educativo; • garantire la conformità agli standard di formazione e di certificazione internazionale degli Analisti Transazionali riconosciuti e alla cultura associativa dall’EATA (European Association for Transactional Analysis) e dall’ITAA (International Transactional Analysis Association); • sostenere e promuovere l’aggiornamento, la formazione continua e la ricerca per l’evoluzione dei percorsi professionali degli Analisti Transazionali certificati (CTA), dei Supervisori e Didatti in formazione (PTSTA) e dei Didatti (TSTA); • creare occasioni nazionali e internazionali di confronto e scambio nell’evoluzione scientifica, professionale, socio-culturale in una prospettiva interculturale e interassociativa. Finalità della rivista La rivista si pone in continuità con una politica associativa pluriennale che ha incentivato momenti interassociativi nell’interesse della co-

munità italiana e ha avviato uno scambio e un confronto con alcune comunità europee di Analisti Transazionali. Il nostro approccio considera la rivista un luogo di scambio, di interazione, di diffusione, per renderlo uno strumento di sviluppo professionale, scientifico e di ricerca. Gli obiettivi alla base del progetto sono quelli di fornire visibilità a contributi diversi, favorire la discussione e assumere anche una possibile funzione di riferimento in Italia per uno scambio e confronto nazionale e internazionale tra professionisti del settore, studenti che si avvicinano all’Analisi Transazionale, Counsellor, altre professioni di aiuto ed educative. La rivista persegue le finalità statutarie dell’IAT fornendo una prospettiva di lettura dell’Analisi Transazionale secondo sguardi indirizzati a cogliere specificità e possibili sinergie sia tra i molteplici campi interessati che anche con altri approcci teorici e metodologici e altre comunità professionali. A chi è rivolta La rivista intende rappresentare e diffondere il modello culturale, di sviluppo professionale e scientifico che l’IAT offre ai propri soci: Analisti Transazionali - Professionisti in formazione Supervisiva e Didattica - Psicologi Clinici Psichiatri - Pedagogisti - Professionsti di aree educative - Professionisti che operano in campo Socio-Sanitario, Socio-Educativo e Psico-Sociale - Allievi in formazione nei diversi campi dell’Analisi Transazionale.


IAT Journal Il gruppo di progettazione e realizzazione della rivista è costituito dal Consiglio Direttivo dell’IAT All’interno del gruppo di lavoro individuato per la realizzazione della rivista, i membri prestano la loro opera volontariamente, secondo le modalità e i tempi concordati con la Direzione della Rivista e con la Presidenza dell’IAT.

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Comitato scientifico Garante della qualità, originalità, rigore scientifico dei contributi in relazione alle politiche, agli scopi e alla mission della rivista in coerenza con il codice etico e lo statuto dell’EATA. È nominato dal Consiglio Direttivo che esercita funzione di monitoraggio ed è costituito da:

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Giombattista Amenta, Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale Università degli Studi “Kore”, Enna Antonio Ferrara, Psicologo, Psicoterapeuta, Direttore dell’I.G.A.T. e della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt e Didatta – Supervisore, Membro dell'E.A.G.T., Didatta-Supervisore (TSTA) I.T.A.A., E.A.T.A. Membro del consiglio direttivo dell’IAT Antonella Fornaro, Psicologo Clinico, Membro Didatta e Supervisore in campo Clinico (TSTA) EATA ITAA, Presidente EleutheriAT, Roma Maria Assunta Giusti, Psicologo Clinico, Didatta e Supervisore in campo Clinico (TSTA) EATA - ITAA, Arezzo Orlando Granati, Medico Psichiatra, Didatta e Supervisore in contratto in campo Clinico (PTSTA) EATA-ITAA, Membro del Consiglio Direttivo dell’IAT, Firenze Sabine Klingenberg, Didatta e supervisore in campo Organizzativo TSTA EATA. Già Presidente EATA, Amburgo, Germania Cristina Innocenti, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta e Counsellor, Membro del Consiglio Direttivo dell’IAT, Didatta e Supervisore in contratto in campo Clinico e Counselling EATA-ITAA, Pisa Susanna Ligabue, Psicologo Clinico, Didatta e Supervisore in campo Clinico TSTA EATA - ITAA, Milano. Direttore Scientifico CPAT, Milano Paola Marrone, Ordinario Abilitato di Tecnologia dell¹Architettura presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre. Delegata del Rettore per la sostenibilità ambientale dell’Ateneo, Roma Raffaele Mastromarino, Psicologo, Psicoterapeuta e (TSTA) EATA. Docente presso l’Università Pontificia Salesiana (UPS), e IFREP; responsabile del Master in Counselling psico-socio-educativo. Presidente del CNCP, Coordinamento Professionale Counsellor Professionisti Amaia Mauriz-Etxabe, Psicologo Clinico, Didatta e supervisore in campo Clinico TSTA EATA - ITAA. Direttore Istituto BIOS, Già Presidente Aphat, Bilbao, Spagna Trudi Newton, Didatta e Supervisore in campo Educativo TSTA EATA, Ipswich (UK) Eva Sylvie Rossi, Psicologo Clinico. Membro Didatta e Supervisore in campo Clinico e Organizzativo (TSTA) EATA-ITAA, Roma. Presidente IAT Marco Sambin, Ordinario di Psicologia Dinamica Università di Padova, Analista Transazionale. Già vicepresidente per la Ricerca e l’Innovazione dell’ITAA, Padova Sylvia Schachner, Pedagogista, Didatta e Supervisore in contratto in campo Educativo (PTSTA) EATA - ITAA, Vienna, Austria Gaetano Sisalli, Medico Psichiatra, Didatta e Supervisore in contratto in campo Clinico (TSTA) EATA-ITAA. Membro del Consiglio Direttivo dell’IAT Docente di Psichiatria e Psicopatologia Forense Università “Kore”, Enna Emanuela Tangolo, Psicologo, Direttore Performat, Membro Didatta e Supervisore in campo Clinico (TSTA) EATA - ITAA, Performat, Pisa Patrizia Vinella, Psicologo. Didatta e Supervisore in campo Counselling TSTA, EATA - ITAA, Performat, Putignano. Vice Presidente IAT


Struttura della rivista La rivista si è strutturata per partecipare all’accreditamento presso le comunità e gli Albi Professionali cui si rivolge e negli ambiti accademici con l’adozione dei codici ISSN.

IAT Journal è una rivista semestrale con un volume di circa 150 pagine in formato 16x25. La formattazione del testo è giustificata, in un’unica colonna. Note e bibliografia vengono inserite a fine articolo. Si accettano esclusivamente articoli inediti o comunque che non siano già pubblicati su altre riviste italiane. La rivista pubblica tre tipi di contributi, inseriti nella sezione intitolata Dal mondo dell’AT: 1. Lavori di tipo empirico professionale: contributi relativi a buone prassi; 2. Lavori di tipo teorico: rassegne critiche di letteratura e/o studi che propongono modelli concettuali ed ipotesi interpretative originali e comunque focalizzate alle ricadute applicative nelle professioni di riferimento; 3. Resoconti: descrizione (strutturata con criteri definiti dalla redazione) di casi di intervento professionale nei vari contesti, pubblicati esclusivamente nella sessione.

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Interventi: articoli di/interviste ad autori di chiara fama e/o esponenti istituzionali, sul tema del numero. Gli interventi sono ospitati in una sezione dedicata intitolata Approfondiamo; Traduzioni di lavori della letteratura internazionale di rilevante interesse scientifico-professionale relativi alle comunità internazionali di Analisi Transazionale. Le traduzioni (massimo una e non necessariamente per ciascun numero) sono ospitate nella sezione dedicata, intitolata Testimonianze; Schede informative: lavori volti a presentare aspetti salienti della professione e del funzionamento organizzativo e istituzionale della comunità nazionale e internazionale di AT. (Massimo una e non necessariamente per ciascun numero). Le schede informative sono ospitate nella sezione Le professioni; Recensioni di libri ospitate nella sezione omonima (Recensioni); Segnalazioni di eventi di rilievo nazionale e internazionale – eventualmente a pagamento –, ospitate nella sezione L’Agenda IAT; Confronti Lettura critica di un articolo pubblicato nel numero precedente (Confronti); Lessico, dove viene ospitata la riformulazione dei significati e la definizione dei confini all’interno dei quali utilizzarli mantenendo le specificità dei campi di provenienza, le differenze da valorizzare e le possibili “contaminazioni di idee e di esperienze”. Questa sezione viene indicata con il titolo Lessico e Culture AT… attraverso le parole e oltre; Abstract o contributi di studenti, laureandi o dottorandi, ospitati nella sezione In Cantiere…Work in Progress.

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La redazione cura i seguenti ulteriori tipi di contributi:

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Meccanismi di pubblicazione La redazione verifica in via preliminare l’attinenza dei contributi con l’ambito di interesse e la linea scientifica della rivista. I contributi considerati attinenti vengono successivamente sottoposti al giudizio cieco di almeno 2 referee. I referee utilizzano per la loro valutazione un’apposita griglia di analisi già definita e di seguito indicata. In caso di richiesta di modifiche agli autori, la scheda compilata e l’articolo viene inviato all’autore, affinché questi possa apportare i cambiamenti sollecitati. Sul numero finale di ogni anno viene pubblicato l’elenco dei referee. Sono previste tre griglie di analisi, una per ciascuno dei tre tipi di articoli di cui al punto 2. Di seguito si indicano i criteri di valutazione corrispondenti a ciascun tipo di articolo.

Lavori di tipo empirico professionale: – originalità del contributo; – identificazione chiara degli scopi; – rilevanza del contributo in relazione alla letteratura; – quadro di riferimento; – aggiornamento bibliografico; – descrizione dell’impianto metodologico; – definizione operazionale delle variabili. Per lavori di tipo qualitativo: – modalità di elaborazione dei dati; – livello di rilevanza dei risultati; – implicazioni per l’intervento; – sintassi; – comprensibilità;

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Lavori di tipo teorico: – originalità del contributo; – rilevanza del contributo in relazione alla letteratura; – quadro concettuale di riferimento; – esplicitazione del metodo di analisi; – efficacia dell’argomentazione; – coerenza; – aggiornamento bibliografico; – implicazioni e ricadute a livello metodologico e operativo professionale; – sintassi; – comprensibilità.

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Resoconti: – carattere dichiarativo (piuttosto che esemplificativo) del resoconto; – originalità/innovatività dell’intervento; – ipotesi interpretativa della domanda di intervento; – esplicitazione del modello di intervento; – esplicitazione degli obiettivi dell’erogatore dell’intervento; – esplicitazione delle condizioni del setting di intervento; – verifica in termini di risultato/valore per i fruitori; – coerenza tra obiettivi, setting ed azioni tecniche utilizzate; – linearità della rendicontazione; – livello di trasferibilità dell’esperienza; – sintassi; – comprensibilità.


Norme redazionali I contributi dovranno pervenire in due file in formato Word e PDF, nella scadenza che sarà di volta in volta indicata. L’indirizzo cui spedirle è quello della redazione scientifica: iat.journal@pensamultimedia.it Perché i contributi possano essere accolti è necessario che: 1. siano di lunghezza massima di 20.000 battute (spazi inclusi) 2. il titolo del contributo deve essere in doppia lingua (italiano + lingua straniera) 3. contengano un Abstract in lingua italiana e in lingua inglese (di non oltre 150 parole ciascuno) 4. l’abstract e le parole chiave vanno inseriti in prima pagina subito dopo il titolo 5. includano tre/quattro parole chiave sia in lingua italiana e tre/quattro in lingua inglese 6. rispettino le indicazioni redazionali di seguito riportate.

• Immagini, grafici e diagrammi vanno forniti in formato originale. Le immagini devono avere le seguenti caratteristiche: in bianco e nero; risoluzione da 600 a 1200 dpi; scala di grigio di 300 dpi. Immagini, grafici, diagrammi e tabelle sono richiamati nel testo e numerati nell’ordine di citazione. Ogni grafico e tabella dovrà contenere l’intestazione (per esempio Fig. 1 in caso di immagini; Tab. 1 in caso di tabelle) e la didascalia necessarie alla comprensione, indipendentemente dalla lettura del testo. L’intestazione deve contenere un riferimento progressivo. Quando le immagini o le tabelle sono tratte da fonti devono contenere in basso il riferimento bibliografico. • Eventuali post scripta (ad es. ringraziamenti, per l’indicazione delle parti di responsabilità dei singoli autori...) vanno inseriti nell’ultima pagina, dopo gli estratti, in corsivo, in corpo 10. • Per ogni articolo sottoposto ai referee viene riportata, in ultima pagina in corsivo, corpo 10, la data di ricevimento e la data di accettazione. • L’articolo deve essere accompagnato da un indirizzo postale, e-mail e recapito dell’autore (del primo autore) e dalla qualifica di ciascun autore. Queste informazioni vanno collocate alla fine dopo la bibliografia. • Le note al testo vanno inserite a conclusione dell’articolo, dopo la bibliografia; vanno numerate pro-

gressivamente e redatte con carattere 10. • I lavori devono rispettare le seguenti caratteristiche di formato: - cartella formato A4 (297x210) - margini: superiore 2,5cm; inferiore 2cm; destro e sinistro: 2,5cm - carattere: Times New Roman corpo 12, interlinea automatica, giustificazione a sinistra, rientro di 0,5 - usare Enter soltanto in cambi di paragrafo - non usare comandi di sillabazione - non usare doppi spazi per allineare o far rientrare il testo - il titolo dell’articolo va scritto in grassetto e maiuscoletto, nella prima riga della prima pagina, a destra - il nome e cognome dell’autore/degli autori va scritto per esteso nella riga successiva a quella del titolo, a destra, in corsivo, seguito dal rimando alla nota a piè di pagina. Il rimando consisterà nel segno * (primo autore*; secondo autore **, ecc.) - l’ente di appartenenza di ciascun autore va inserito in nota a piè di pagina. • La formattazione dei paragrafi seguirà il seguente criterio gerarchico: - paragrafo: titolo in grassetto numerato - sezione del paragrafo: titolo corsivo numerato

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The contributions will have to be delivered in two files, one Microsoft Word, one PDF, by the deadline that will be given. The address for the delivery is that of the scientific editorial staff: iat.journal@pensamultimedia.it In order to accept the contributions, it is necessary that: 1. the maximum length can't be over 20.000 characters (spaces included) 2. the title of the contribution has to be in two languages (Italian + other language) 3. there needs to be an Abstract both in Italian and English (each not longer than 150 characters) 4. both the abstract and the keywords need to be inserted in the first page, after the title 5. 3/4 keywords in Italian and 3/4 keywords in english need to be included 6. The following editorial directions need to be followed.

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Norme redazionali

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(con ripetizione del numero del paragrafo, seguita da punto separatore. Ad es. 1.1) - sottosezione del paragrafo: titolo normale (con ripetizione dei numeri della sezione di riferimento, seguita da punto separatore. Ad es. 1.1.1) - sotto-sottosezione: titolo normale non numerato. Citazioni: nel citare un autore all’interno del testo seguire queste modalità: Quando l’autore è associato ad un ragionamento, posizione teorica, evidenza empirica: aprire e chiudere parentesi, citare il cognome dell’autore, far seguire la virgola e l’anno di pubblicazione, seguito da punto o punto e virgola. Esempio: “Poiché la classe è un luogo in cui il rendimento scolastico viene costantemente valutato (Weiner, 1976), …”. Nel caso di più autori, citarli in ordine alfabetico e cronologico. Nelle citazioni di lavori di più autori, separare i nomi con la virgola. Esempio: (Bandura, 1977; 1982; 1986; Covington, 1984; Covington, Beery, 1976; Schunk, 1984; 1985; 1989). Quando gli autori sono più di due, va citato solo il primo nome seguito da “et al.” in corsivo Esempio: (Sloane et al., 1975). Quando sono citati passi tratti da un altro testo: usare Enter, in modo da iniziare la citazione con l’inizio riga; utilizzare carattere Times New Roman, corpo 11; rientro: 0,5; margini sinistro e destro: 3; porre all’inizio e alla fine della citazione le virgolette aperte e chiuse, seguite dal riferimento alla fonte bibliografica con incluso il numero di pagina. Esempio: “Alcuni ragazzi sono falsi perché hanno paura di fare peggio di altri e di sentirsi infelici per essere differenti e al di sotto di altri. Alcuni lo fanno per essere i migliori nella classe” (Covington, Beery, 1976, p. 55). Nel caso di omissioni all’interno di un brano, indicarle con [...]. Nel citare un autore sotto un’immagine o una tabella seguire i seguenti criteri bibliografici di seguito riportati. La bibliografia va collocata alla fine del testo e deve contenere solo le voci citate nel corpo del testo.

Per citare le fonti seguire le seguenti modalità: • Nel caso in cui vi siano più autori, i nomi vanno separati dalla virgola. • Quando si cita un articolo: cognome e iniziale puntata del nome, anno tra parentesi, titolo del lavoro in tondo, titolo della rivista in corsivo, annata in numero romano, numero del volume, pagine senza indicazione pp. Esempio: Marsh H. W. (1990). A multidimensional, hierarchical model of self-concept: Theoretical and empirical justification. Educational Psychology Review, XX, 2, 77-172. • Quando si cita un libro: cognome e iniziale puntata del nome, anno tra parentesi, titolo del testo in corsivo, città, editore. Esempio: Bar-Tal D. (1976). Prosocial behavior: Theory and Research. New York: Wiley. • Quando si cita un contributo tratto da un libro: cognome dell’autore e iniziale puntata del nome, anno di pubblicazione tra parentesi, titolo del contributo in tondo, “In”, iniziale puntata del nome del curatore e cognome del curatore, “(ed. o eds.)”, titolo del libro in corsivo, indicazione delle pagine tra parentesi tonda, città, editore. Esempio: Cacciò L., De Beni R., Pazzaglia F. (1996). Abilità metacognitive e comprensione del testo scritto. In R. Vianello, C. Cornoldi (eds.), Metacognizione, disturbi di apprendimento e handicap (pp. 134155). Bergamo: Junior. • Quando si cita una fonte bibliografica non italiana: citare la fonte originale, (come per il punto b); successivamente, tra parentesi: “trad. it.:”, titolo della traduzione italiana in corsivo, casa editrice, città, anno di pubblicazione della traduzione. Esempio: Fodor J. A. (1990). The Modularity of Mind. An Essays on Faculty Psychology. Cambridge Mass.: The MIT Press (trad. it.: La mente modulare, Il Mulino, Bologna 1999). Ogni autore riceve gratuitamente una copia del numero contenente il suo articolo. Inoltre, possono essere richiesti degli estratti, al momento della conferma della pubblicazione, specificando il numero desiderato e indicando il nominativo (ente o persona) cui dovrà essere intestata la fattura.


Struttura

EDITORIALE Un breve articolo di presentazione del numero che introdurrà il lettore al tema trattato dalla rivista. L’obiettivo, come in ogni editoriale, è quello di comunicare al lettore come verrà sviluppata la tematica alla quale è dedicato il numero di IAT Journal. L’autore potrà esporre le proprie opinioni sul tema e/o commentare uno o più lavori pubblicati a firma di altri autori.

DAL MONDO DELL’AT ( 3/4 articoli ) Questa sezione ospita lavori professionali o resoconti di casi di intervento riguardanti l’Analisi Transazionale. La rubrica è stata pensata come una sorta di aggiornamento da offrire al lettore per consentirgli di avere un’idea chiara dei risultati ottenuti dall’AT nel settore/argomento oggetto del numero della rivista.

APPROFONDIAMO ( 2/3 articoli ) Dal generale si scende nel particolare. Come si evince dal titolo della sezione, lo scopo della rubrica è di presentare articoli o interviste che possano focalizzarsi su uno o più aspetti specifici compresi nel tema generale trattato dal numero della rivista.

TESTIMONIANZE Raccogliere e comunicare ai lettori le testimonianze internazionali significa andare oltre i confini e offrire spunti di riflessione di più ampio respiro. Il confronto con realtà diverse da quella italiana può rappresentare un importante momento di riflessione critica. All’interno della sezione verranno pubblicati articoli tradotti e/o testi integrali in lingua originale.

LE PROFESSIONI La rivista si rivolge non solo ai professionisti del settore, ma anche a chi si avvicina al mondo dell’AT. Lo scopo di questa rubrica è di raccontare, attraverso schede sintetiche, le professioni e l’organizzazione istituzionale del mondo dell’AT. In questo modo si tenta di illustrare ai lettori meno esperti il funzionamento delle professioni legate all’analisi transazionale.

RECENSIONI ( 2 recensioni ) Per evidenziare la centralità del tema trattato dal numero della rivista, verranno proposte delle brevi recensioni su testi rilevanti a riguardo. Una sorta di consiglio alla lettura per chi desidera approfondire le tematiche affrontate.

AGENDA IAT Questa è l’unica sezione che esula dall’argomento trattato nel numero e assumerà la veste di un calendario aggiornato degli appuntamenti in programmazione, organizzati dall’IAT o di interesse dei Soci.

L’ANGOLO DEL DISCUSSANT Per fornire alla rivista un carattere di continuità utile all’approfondimento, la sezione ospiterà una rilettura critica di un articolo pubblicato nel numero precedente.

IN CANTIERE…WORK IN PROGRESS ( 1-2 contributi ) Una finestra aperta su nuove idee e proposte di studenti e neoprofessionisti. La rubrica ospiterà abstract o brevi contributi delle nuove “leve” dell’AT con una doppia finalità: consentire agli autori di avere un’opportunità di mettersi in luce e introdurre punti di vista innovativi e, di conseguenza, portatori di possibilità di crescita.

LESSICO E CULTURE AT… Attraverso le parole e oltre Per alcuni termini può essere opportuno precisare il significato quando, utilizzati da diverse prospettive, possono generare ambiguità oppure possono essere riportate in contesti di riferimento differenti e allora può essere utile mantenere il loro senso originario. La rubrica verrà strutturata come una sorta di abbecedario ragionato, utile a chiarire la riformulazione dei significati e la definizione dei confini all’interno dei quali utilizzarli.

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La rivista è così articolata:

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Brief notes on the Journal The goal of this project is to encourage discussion on professional issues, to become a resource on a national as well as international level among professionals from different fields, Psychology, Counselling, Education and other helping professions, to offer an opportunity for different contributions to become visible and to be shared by other professionals. IAT Journal aims at pursuing and further developing the statutory statements and goals of IAT therefore using a TA perspective open to consider both specific contributions from each of the TA fields of application as well as possible synergy among the different fields, and with other theoretical and methodological approaches The journal will have two yearly issues as well as occasional supplementary publications on a specific theme issue. The Journal is directed to:

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• Transactional Analysts; • Trainees from all TA fields of Application; • Professionals in training to become Supervising and Teaching Members; • Psychiatrists; • Clinical Psychologists; • Psychologists; • Pedagogues; • Other professions connected with the educational field; • Other helping professions.

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Professionals working in Socio Sanitary, Socio Educational and Psychosocial fields. The Journal will be publishing three different types of contributions included in the section called From the TA world. a) Empirical professional contributions related to good practices b) Theoretical contributions: Literature reviews or reviews of studies proposing conceptual models or original interpretations , focused on applications in the different fields . c) Case descriptions (presented according to specific criteria defined by the Editorial Board) related to interventions in different

professional contexts published exclusively in this section. The editorial board includes further contributions as indicated below.

Interventions: Articles and\or interviews to well known authors, or authors representing specific institutions in relation to the theme issue. These contributions will be hosted in the section called For deeper reflection; Translations from the International literature of significant scientific professional works relevant for the international community of TA practitioners. Translations, not more than one for each issue, and not necessarily in each issue, which are hosted in the section Witnessing; Brief Presentations: Works presenting and describing key issues related to professional ,organizational and institutional functioning of the National and international TA community. Brief descriptions are hosted in the section Inside the professions; Book Reviews hosted in this specific section, which will include a cover picture of the book reviewed and whenever possible of the author as well; Events National and international events concerning the TA community (in some cases requiring payment to be published), hosted in the section IAT Calendar; Critical Reviews of an article published in the previous number Response; Abstract and contributions of Graduate students or Doctoral students hosted in the section Work in Progress. Lexicon, hosting reflections and reformulations of meanings related to TA terms in its different translations defining boundaries of use TA Cultures and Lexicon… Through words and beyond words;


Indice 13

Dal Comitato Scientifico / From the Scientific Committee Eva Sylvie Rossi

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Editoriale / Letter from the Editor Cesare Fregola

DAL MONDO DELL’AT / FROM THE TA WORLD 31

Meeting The Enemy – Political Discourse in the Transactional Analysis World “If you don’t live politics, politics will live you” Marlan James Incontro con il nemico. Discorso Politico nel mondo dell’Analisi Transazionale “se non vivi la politica sarà la politica a vivere e a nutrirsi di te” Marlan James Robin Hobbes

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Cambio y Responsabilidad Social: El Peregrinaje Intergeneracional Cambiamento e responsabilità sociale: Pellegrinaggio intergenerazionale Miren Amaia Mauriz-Etxabe

APPROFONDIAMO / FOR DEEPER REFLEXION 47

La relazione di apprendimento e le Skills del XXI Secolo Learning relationships for the XXI Century skills Cesare Fregola

TESTIMONIANZE / WITNESSING 61

Le vicissitudini dei processi di filiazione e affiliazione nelle famiglie migranti The vicissitudes of the filiation and affiliation processes in migrant families Maria Luisa Cattaneo

Dizionari di AT TA Dictionaries Eva Sylvie Rossi 71

“Dictionary of Transactional Analysis” Tony Tinley

AGENDA IAT / IAT CALENDAR 73

Benedetta Fani

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RECENSIONI / REVIEWS

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Indice LE PROFESSIONI / PROFESSIONS 75

Mediando si Impara Mediating while( re)-learning Stefania Petrera

L’ANGOLO DEL DISCUSSANT / DISCUSSANT’S CORNER 85

Orlando Granati

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How children are growing up in a narcissistic environment. The over generational narcisstic self and its development with focus on educational institutions Bambini che crescono in un contesto narcisistico. Il sé generazionale iper narcisistico e il suo sviluppo:una focalizzazione sulle istituzioni educative Sylvia Schachner

IN CANTIERE… / WORK IN PROGRESS Luca Ansini 97

Una rete dura se nasce dal basso. L’esperienza della rete delle scuole* dei distretti 14° e 15° di Roma A network can last if it is originated “from the bottom” Simonetta Salacone Tiziana Santoro

LESSICO E CULTURE AT… ATTRAVERSO LE PAROLE E OLTRE LEXICON AND CULTURE ... THROUGH WORDS AND BEYOND Loredana Paradiso 107 Passaggi intergenerazionali Intergenerational pathways Loredana Paradiso

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L’ombra dei padri. Motivi transgenerazionali nella storia della Psicoanalisi The shadow of the fathers. Shadows of the fathers transgenerational themes in the history of psychoanalysis Maurizio Nicolosi


Dal comitato scientifico

Il secondo incontro del comitato scientifico è stato focalizzato su tre temi: AT. interculturale e comunità globale, innovazione- spazi virtuali e reali; lessico e culture A.T. L’intento era di utilizzare “l’intelligenza collettiva” dei gruppi di lavoro che avrebbero ragionato, discusso e scambiato le proprie prospettive di realtà e riflessioni su questi temi in un’ottica di co-costruzione. Il lessico è apparso come un tema chiave dai risvolti significativi sia per gli sviluppi teorici del pensiero AT che per le sue prassi. Se è la lingua a determinare e modificare il pensiero, e non viceversa, come sostenuto da alcuni linguisti (Deutscher, 2010) o studiosi dell’apprendimento (Prensky, 2010) allora forse dobbiamo ripensare la nostra comprensione di alcuni concetti teorici AT in relazione alle traduzioni di termini che in italiano sono stati riportati, nelle diverse scuole di AT, con parole che si differenziano molto tra loro. Tra gli esempi presi in esame spicca il termine discounting definito come “un processo inconscio “ (Widdowson, 2010) o” un meccanismo interno che..implica che una persona minimizzi o ignori alcuni aspetti di sé degli altri o della situazione di realtà” (Tinley, 1998) e tradotto in alcune scuole come svalutazione, in altre come scotoma, in altre ancora come disconferma; difficile considerare queste parole come sinonimi, appare chiara invece la diversa connotazione di significato di ognuno di questi termini e le implicazioni conseguenti nella presentazione e spiegazione dei concetti teorici trasmessi da una generazione all’altra di analisti transazionali. Che dire poi della influenza delle parole esercitata sulle prassi dal momento che nelle nostre professioni la cura è attraverso le parole. La riflessione su questo tema dovrà essere ulteriormente sviluppata e approfondita in questa rivista. Tra gli aspetti relativi alla innovazione e realtà virtuali nella discussione sulle sedute “virtuali “ attraverso skype, aspetto “nuovo “ delle nostre professioni, è stata rappresentata la difficoltà di leggere alcuni aspetti della realtà corporea del paziente\cliente in cui curiosamente il vissuto del terapeuta e la sua rappresentazione di statura, altezza e dimensioni corporee del cliente era risultata totalmente diversa nella realtà” vera” da quanto percepito nelle sedute via skype.Poiché noi lavoriamo utilizzando costantemente le nostre rappresentazioni della realtà dell’altro è facile intuire quanto questa nuova realtà risulti complessa da elaborare, in particolare nella lettura dei vissuti riportati dal paziente\cliente. Tra le diverse sfide da affrontare la necessità di costruire spazi e luoghi di apprendimento efficaci che tengano conto delle attuali caratteristiche delle nostre realtà dominate da immaterialità, interconnettività e velocità aspetti che modi© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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ficano in maniera significativa, sottile e a volte radicale le nostre rappresentazioni di realtà. L’AT e la “comunità globale” ricomprende tra i suoi temi centrali l’interculturalità o, come meglio definita da uno dei gruppi di lavoro, la transculturalità, campo di ricerca aperto e da esplorare rispetto al quale non sono disponibili risposte semplici ne’ certe. Se consideriamo che l’Associazione Europea di riferimento in Analisi Transazionale utilizza parametri formativi uguali in paesi e realtà diversissime tra loro possiamo avvertire la complessità e la ricchezza di un patrimonio professionale condiviso da non disperdere. Le nostre teorie AT riguardano rappresentazioni di realtà che forse sono da riconsiderare alla luce di realtà attuali molto più complesse e decisamente più diversificate di quanto non siamo abituati a pensare, una interessante riflessione condivisa è stata quella relativa alla “strutturazione del tempo”, nella interconnettività le persone sono contemporaneamente in isolamento ed interconnesse una modalità di strutturazione del tempo forse da definire con nuovi parametri. La psicologia attuale ha generato nell’ambito della propria disciplina un gran numero di problemi,temi, e specializzazioni dimostrando di essere in grado di fornire solo limitatamente dati nuovi dal momento che le acquisizioni recenti, perlomeno quelle degli ultimi due decenni, provengono in realtà da campi di sapere altri quali la biologia, la genetica, gli studi sul cervello, la linguistica, la neuroimmunologia, l’economia. La definizione stessa di psicologia, come sostiene Jervis (2007), è stata messa in discussione considerato che le sue tematiche appartengono oggi in realtà a due grandi categorie, le scienze del comportamento e le scienze cognitive. In queste come in altre discipline che sono di nostro diretto interesse come analisti transazionali che operano nei diversi campi di applicazione, vi sono continui dibattiti che modificano, propongono integrazioni di teorie, e riformulazioni,di conseguenza nessuna scuola di pensiero ha il tempo di consolidarsi, per qualche meccanismo di cui siamo in un certo senso prigionieri l’individuo o almeno la maggior parte degli individui della nostra specie non è in grado di evolvere alla stessa velocità o con lo stesso ritmo con il quale evolvono i nostri ambienti e contesti. Il dibattito che poneva in contrapposizione natura e cultura all’interno del quale siamo cresciuti professionalmente è stato superato e non ha più ragione di esistere la dicotomia tra natura e cultura. Sappiamo ora che la nostra vita è plasmata in misura molto maggiore dalla nostra storia e dalla cultura che dal nostro patrimonio genetico. Le nuove scoperte hanno generato un approccio meno schematico e l’apertura di nuovi scenari in cui possiamo finalmente e in maniera pertinente incentrare la nostra attenzione sulla sintesi di natura e cultura e sulle connessioni tra entrambe. L’emergere di nuove conoscenze e saperi sul funzionamento della mente e sulle sue possibilità e nuove visioni di adattamento ed evoluzione umana pongono in primo piano l’indagine su interazioni e connessioni e probabilmente ponendo la nostra attenzione e riflessione su queste saremo in grado forse di arrivare a nuove visioni condivise.


Riferimenti bibliografici Chomsky, N. (2016), Linguaggio della conoscenza, Bologna: Il Mulino Chomsky, N. (2010), Il linguaggio della mente, Torino: Bollati Boringhieri Deutscher G., (2010), La lingua colora il mondo. Come le parole deformano la realtà, Torino: Bollati Boringhieri. Jervis, G., (2007), Pensare dritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali, Torino: Bollati Boringhieri Prensky M., (2010). Teaching Digital Natives: Partnering for real learning. London: Sage, cit in Newton T., (2015), Social change and the Cultural Parent, IAT Journal - I • n. 1, p. 77 Sills C., Hargaden. H. (2003) (Eds.). Egostates (Key Concepts in Transactional Analysis; Contemporary Views). London: Worth Publishing. Tinley T. (1998). Dictionary of Transactional Analysis. London: Whurr Publishers ltd.

Eva Sylvie Rossi

Lexicon appeared as a key theme with interesting implications both in terms of TA theory as well as of practice. If language determines and modifies thought, rather than vice-versa as indicated by some researchers in linguistics (Deutscher, 2010) or in theories of learning (Prensky, 2010) we then probably need to reconsider our understanding of some TA theoretical concepts related to the translation of terms with words differing greatly from one another which in Italian have been and are being used in different TA schools. An example clearly standing out among several others is the term discounting defined both as “an unconscious process” (Widdowson, 2010) and as “an internal mechanism which involves a person minimizing or ignoring some aspect of himself, others or the reality situation ” (Tinley 1998). This term is also translated in other schools as devaluing, in others as scotomizing, in

Dal comitato scientifico -

The second meeting of the scientific committee was focused on three themes: Intercultural TA and global community, innovation – “real “spaces and virtual spaces, Lexicon and TA cultures. Our idea was to use “collective intelligence “ of working groups where participants would discusse, reason, exchange their own perspectives on reality and reflexions on these themes in a co-constructive approach.

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others as disconfirming; It is difficult to consider such terms as synonyms,what appears clearly instead is the different connotation of meaning that each of these terms has. It is easy to think about the implications connected with the different use of this terminology in the presentation and teaching of theoretical concepts passed on from one generation to another of TA practitioners. Further implications have to deal with the influence that words have on practice, in consideration of the fact that in our professions cure is through words. More reflexions and on this theme will need to be developed in this journal. In reflecting about innovation and virtual realities part of the discussion was centered around virtual sessions with clients through Skype, a recent development in our professions, it was pointed out by one of the participants how complex it could be to read and therefore to deal with some aspects of the body reality of clients\patients where, interestingly enough she as a therapist had experienced a mental representation of height, weight and body dimensions of her client which was totally different, upon meeting him, from what she had imagined during the skype sessions. In fact we work constantly according to our representation of the other, it is therefore easy to imagine how complex this new reality is to process, especially in understanding and attempting interpretations of what is actually being reported as experienced by the client. Among the different challenges we have to deal with there is the need to build effective learning spaces and places which are suitable to the actual charachteristics of our reality dominated by immateriality, interconnections, and speed, all of which modify significantly, in a subtle and at times radical way, our representations of reality. TA and the global community entails a central focus on an intercultural approach or, as better defined by one of the participants in the working groups it involves in fact a transcultural approach; this is an open field for research, yet to be explored, where we do not have as now neither simple nor certain data or answers. If we acknowledge the fact that the European Association of Transactional Analisys uses the same training standards in countries and realities differing greatly from one another we are able to perceive the complexity and richness of a shared professional legacy neither to be erased nor lost. Our TA theories are related to representations of reality which may need to be reconsidered as we are now facing realities much more complex, and certainly more diversified than we are used to think of,an interesting shared reflexion was one related to “time structuring�, in being interconnected continuously individuals are both and at the same time in isolation and interrelated, a mode of time structuring which may need to be defined according to new criteria. Contemporary psychology has generated within its own realm of knowledge a great number of themes, issues, areas of specialization demonstrating to be able of providing new data only to a limited extent, since recent acquisitions, at least the ones of the last two decades are stemming from other and different fields of knowledge than psychology like biology, genetics, brain studies, linguistics, neuroimmunology, economics, a reality we are well aware of. The very definition of psychology,as discussed by Jervis (2007) is being reconsidered , as it is argued that the themes treated in psychology today belong in fact to two main categories: behavioural sciences and cognitive sciences.


In these, like in other disciplines, which are not part of our direct involvement as TA practitioners operating in different fields of application, ongoing debates are taking place modifying theories, proposing new integrations or reformulations of them. As a consequence no school of thought has the possibility of consolidating its data or approach,and due to some kind of mechanism which seems to be affecting us as individuals, or at least to be concerning most individuals of our species we are unable to evolve with the same pace or speed of our environment and context. The debate or proposing nature vs culture as opposing scientific perspectives, within which we grew up professionally, is outdated and the dichotomy between nature and culture has become meaningless. We now know that our life is shaped to a much larger extent by our history and by culture rather than by our genetic legacy. New findings have generated a less schematic approach while opening new possibilities where we can finally and relevantly focus our attention on the synthesis of nature and culture and on the connections between both. Emerging new knowledge and information on our mind’s functioning and on its possibilities and new visions on adaptation and human evolution puts in central focus investigation and research on interactions and connections and it might be that through those we could achieve new shared visions.

References

From the Scientific Committee -

Chomsky, N. (2016), Linguaggio della conoscenza, Bologna: Il Mulino Chomsky, N. (2010), Il linguaggio della mente, Torino: Bollati Boringhieri Deutscher G., (2010), La lingua colora il mondo. Come le parole deformano la realtà , Torino: Bollati Boringhieri. Jervis, G., (2007), Pensare dritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali, Torino: Bollati Boringhieri Prensky M., (2010). Teaching Digital Natives: Partnering for real learning. London: Sage, cit in Newton T., (2015), Social change and the Cultural Parent, IAT Journal - I • n. 1, p. 77 Sills C., Hargaden. H. (2003) (Eds.). Egostates (Key Concepts in Transactional Analysis; Contemporary Views). London: Worth Publishing. Tinley T. (1998). Dictionary of Transactional Analysis. London: Whurr Publishers ltd.

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Editoriale Cesare Fregola1

Nel primo numero di IAT Journal abbiamo voluto condividere le motivazioni alla base del nostro progetto editoriale. Sullo sfondo integratore abbiamo indicato quale tessuto connettivo, il tema dei mutamenti e della permanenza e si è scritto che questo tema, “…sarà messo a confronto nell’esercizio dei ruoli della nostra comunità di Analisti Transazionali dei vari campi e di altre reti, direttamente o indirettamente connesse alla nostra ragion d’essere professionale, scientifica. Mutamenti e permanenza riguardano il contesto sociale, economico e culturale che caratterizza il nostro tempo” (Fregola, 2015, p. 19). La seconda annata si apre con questa stessa intenzione, focalizzandosi su un tema molto attuale: passaggi intergenerazionali e cambiamenti sociali, con la finalità di avviare una condivisione dei possibili molteplici punti di vista, per quanto consapevoli che difficilmente questi possano essere rappresentati all’interno di un processo lineare definito da criteri di prevedibilità e certezze. Nella realizzazione di questo numero, inizialmente, sembrava che gli apporti pervenuti potessero essere ricondotti prevalentemente alla lettura dei passaggi intergenerazionali, intesi dagli autori come cambio di testimone naturale, come se si procedesse per continuità. Invece all’interno dei contenuti proposti, fra le righe di ogni lavoro, il lettore potrà, secondo noi, riconoscere quello che sembra essere una ricerca di nuovi intrecci fra culture, conoscenze, competenze professionali che si organizzano nell’AT e in altri riferimenti teorici o metodologici: una evoluzione dei bisogni di chi abita la com-

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Direttore Scientifico di IAT Journal. PTSTA di Campo Educativo – EATA-ITAA iat.journal@pensamultimedia.it © Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Gli adulti assomigliano ai bambini più di quanto i bambini somigliano agli adulti. Un autocarro è per molti bambini una grande automobile e ci vuol molto tempo perché capiscano che un autocarro serve a trasportare le merci e un automobile gli uomini. Similmente per molti adulti un bambino è un piccolo adulto. Detto in parole povere, non capiscono che il bambino deve imparare a servirsi di se stesso, mentre l’adulto deve imparare a servirsi di tutto quanto lo circonda. (Eric Berne, 1951, p. 111)

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plessità. Chi si occupa di temi legati alle professioni di aiuto (cura, prevenzione, facilitazione dei processi trasformativi o ricerca di risposte educative), se da un lato può trovare soluzioni invarianti nel tempo e riconoscibili perché note, dall’altro deve prendere atto della evoluzione dei contesti nei quali si svolge la quotidianità e come questa influenza i bisogni e molte delle risposte tradizionali alla domanda. A queste risposte, più o meno esplicite e intenzionali, si richiede di integrare aspetti che tengano conto delle sollecitazioni che provengono da movimenti economici, politici e dalla diffusione nella quotidianità delle innovazioni tecnologiche. Molte trasformazioni che ne derivano fanno già parte della quotidianità e sembrano percepite come più o meno lontane o vicine alla propria esperienza personale o professionale e alcune possibilità che hanno già dischiuso o tracciato sono sempre più evidenti e tangibili (Morin, 2015). Per esempio il referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea del giugno di questo anno 2016, apre alcune domande: le aspettative dei giovani e delle famiglie che hanno trovato occupazione nel regno Unito si trasformeranno? Come saranno influenzate le relazioni interculturali? E i giovani che stanno progettando di andare lì a cercare fortuna che domande si stanno ponendo? E quali potranno ipoteticamente essere gli echi della vittoria del live nella nostra comunità EATA? Ci troviamo di fronte a un evento di una portata tale da essere considerato uno snodo verso un passaggio generazionale o più semplicemente verso un cambiamento sociale che potrebbe introdurre discontinuità nelle modalità di partecipazione, collaborazione e co-costruzione di processi interculturali? Ancora un esempio: i gruppi di whatsapp formati da genitori che hanno figli in età scolare quali finalità condividono? Attivano scambi per aderire alla vita di una classe a fini educativi o utilizzano gli stessi schemi del “controllo dei figli” trascurando il fatto che questi ambienti virtuali possono amplificare o accelerare sia aspetti funzionali che aspetti disfunzionali tipici dei passatempi o di possibili giochi? Con quali schemi si possono leggere le prime conflittualità fra Scuola e Famiglia che vengono manifestate anche sugli organi di stampa a riguardo? E come si integrano i genitori nativi digitali, i genitori migranti digitali con quelli, nascenti, della generazione App? Nel primo numero di IAT Journal si può ritrovare nel saggio di Umberto Zona (2015, p. 61 s.) un approfondimento di questa tematica trovando argomentazioni su come il concetto stesso di passaggio generazionale si sia trasformato. Si potrebbe dire che un numero consistente di Genitori Culturali, e non solo per provenienza geografico-sociale, popola il nostro momento storico e che, fra questi, qualcuno è “instabile” a motivo delle trasformazioni troppo repentine che hanno caratterizzato i recenti passaggi generazionali. Dunque, coabitano più generazioni nello stesso spazio e nello stesso tempo, ciascuna portatrice di mondi che fanno riferimento a propri schemi di lettura e interpretazione delle azioni, delle attività e dei vissuti. Così, via via che i contributi di questo numero di IAT Journal arrivavano in redazione ci si è resi conto della difficoltà di ritrovare nella rete dei testi la tessitura prevista nella sua progettazione e tutto ciò nonostante la condivisione, con gli autori, delle finalità discusse e decise nell’incontro del comitato scientifico nel luglio del 2015. L’insight è arrivato dopo lo studio e il referaggio del lavoro di Miren Amaia Mauriz-Etxabe, quando ha preso forma l’ipotesi implicita che nei momenti di trasformazione, intenzionalmente o meno, oltre ai Sistemi di


La sezione DAL MONDO DELL’AT presenta due contributi: il primo, di Robin Hobbes e il secondo di Miren Amaia Mauriz-Etxabe. Robin Hobbes propone, nel suo lavoro, riflessioni frutto della propria esperienza e dei propri studi e intende segnalare un atteggiamento che definisce energia politica che inizia a manifestarsi in modo significativo dopo la crisi economica del 2008. Questo termine l’autore non lo pone in contrapposizione al termine potere politico ma apre a ipotizzare che nel momento della seduta psicoterapeutica ci si trovi di fronte a un incontro con il nemico, rappresentato dall’immaginario del cliente sulle funzioni della politica. Questa energia politica interviene come variabile non trascurabile nella relazione fra lo Psicoterapeuta Analista Transazionale e il Paziente. I cambiamenti sociali sono “figura” nel lavoro di Robin Hobbes, i passaggi intergenerazionali restano sullo “sfondo” ma sono riconoscibili proprio nel rivisitare le aspettative e il valore di senso che viene assegnato al potere politico nell’immaginario dei clienti che frequentano lo studio dello psicoterapeuta analista transazionale laddove questo si riflette sulla filosofia esistenziale cui l’AT fa riferimento anche negli altri campi.

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Riferimento vengono a messi in contatto e a comparazione, anche i mondi culturali con i propri portati e modelli che dovrebbero guidare i processi trasformativi stessi. Ora può accadere che questi nuovi modelli possono non comprendere nell’esperienza i riferimenti che consentano, in modo prevedibile, di fronteggiare le situazioni che si presentato come nuove e, quindi, non sono riconducibili a soluzioni note o che, a causa della complessità dei sistemi nei quali le situazioni si svolgono, i nuovi modelli, con i portati correlati, tentano di ridurre la complessità invece di sperimentare modelli di gestione specifici della complessità (Ceruti, 2014). Così ci si trova di fronte a situazioni in cui la conoscenza della conoscenza professionale è in via di evoluzione non tanto nelle sue applicazioni alla metodologia applicata a ogni campo di riferimento per l’AT, quanto nella costruzione delle rappresentazioni che sollecitano lo Stato dell’Io Adulto a mettere in atto schemi di decisione e di problem solving basati su nuove interazioni fra la persona e i suoi contesti di riferimento, privati, professionali, organizzativi (Schmid, 2008; Napper, 2015). Apre il 1° numero del secondo anno, la presentazione di Eva Sylvie Rossi dell’INCONTRO DEL COMITATO SCIENTIFICO. Un Comitato Scientifico che intende diventare un luogo di connessione e riconoscimento e invita i suoi membri a discutere sui risultati del primo anno e decidere le linee editoriali dell’anno successivo. Una prerogativa che ci sembra innovativa perché il contributo dei singoli membri di varie provenienze culturali, di ognuno dei campi dell’AT e di altri contesti scientifici e professionali si organizza intorno alle finalità e ai valori per cui la rivista è stata realizzata. Si è così avviato un processo di partecipazione che sottende lo spirito berniano non soltanto nel rispetto del principio dell’ok-ness ma una rilettura della sua filosofia umanistica con i paradigmi della complessità, della interculturalità, della intergenerazionalità. Il contributo di Eva Sylvie Rossi si sofferma anche su un’ipotesi molto significativa che riguarda un tema che torna di grande attualità e si riferisce alla relazione fra il pensiero e il linguaggio.

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Nel suo articolo, Miren Amaia Mauriz-Etxabe, affronta un tema che mette in evidenza il valore sociale dell’azione berniana tracciando con rigore una sorta di linea che può collegare l’effetto della psicoterapia nel cambiamento dello script di vita della persona, con un possibile effetto sociale, transgenerazionale e transgenerativo. Dalla lettura si evince l’ipotesi che poiché l’azione dello psicoterapeuta può avere un effetto positivo sui gruppi internalizzati che la persona mantiene all'interno di se stesso, questi può diventare agente di cambiamento sociale che impatta inevitabilmente sui gruppi con i quali l'individuo è connesso, portando a ciò che apparentemente è paradossale. Ogni individuo, come parte della propria cultura, diventa un mezzo di trasmissione di valori, traumi e narrazione della propria cultura d'origine e ciò implica che ogni individuo può essere anche un attivo agente di trasmissione dello script della sua cultura d'origine.

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Nella sezione APPROFONDIAMO, Cesare Fregola pone al centro dell’attenzione la relazione di apprendimento sullo sfondo delle skills del XXI secolo introdotte dall’OCSE2. Il tema centrale del contributo si focalizza sul passaggio dall’imparare a imparare che è stato uno dei temi centrali della pedagogia degli anni ’90 e del primo decennio del nostro secolo a quello dell’imparare a imparare cosa e come in momenti trasformativi. Si presenta a riguardo un ambiente di apprendimento che è frutto di ricerca applicata proprio dell’AT del Campo Educativo, della Pedagogia Sperimentale e della Didattica.

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Nella sezione TESTIMONIANZA, Maria Luisa Cattaneo introduce così il suo saggio: “Essere riconosciuto e riconoscersi appartenente alla propria famiglia (processo di filiazione), trovare un proprio posto nel susseguirsi delle generazioni è fondamentale nel processo di costruzione dell’ identità dell’individuo” e così lo conclude: “viviamo tutti in un mondo che cambia a una velocità mai conosciuta nella storia dell’umanità, che porta con sé grandi spostamenti di popolazioni all’interno dei singoli paesi e a livello internazionale. In questi processi mantenere i propri legami di attaccamento, coltivare la capacità di costruirne di nuovi e la fiducia di base nella vita e nell’Altro, diventa una delle sfide più grandi per chi attraversa i mari e i deserti per arrivare in Europa. Si rimane sul tema delle competenze nella prospettiva dell’inclusione e si offrono indicazioni di teoria e di tecnica da mettere in contiguità con fenomeni complessi fra i quali quelli del cambiamento generazionale nei paesi ospitanti.

Nella sezione LE PROFESSIONI, Stefania Petrera si focalizza sul tema della mediazione mettendo al centro la mediazione scolastica dopo aver tracciato gli aspetti storici, legislativi e aver accompagnato il lettore in un essenziale percorso che consente di riflettere sul senso e le funzioni principali della mediazione come risposta a problematiche socio-educative che possono essere lette sia in una dimensione micro (per es. la gestione del conflitto che può essere visto nella sua

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Raccomandazioni del Parlamento Europeo Gazzetta Ufficiale del Consiglio Europeo del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE).


capacità trasformativa oltre che nelle altre declinazioni possibili), sia in una dimensione macro (per esempio come valore per lo sviluppo di atteggiamenti che facilitano la tolleranza, tenendo conto dei cambiamenti sociali già intercorsi e lo sviluppo di prospettive interdisciplinari, interculturali, intergenerazionali. La rubrica RECENSIONI, ospita la revisione di Eva Sylvie Rossi del secondo dei dizionari di Analisi Transazionale che stiamo prendendo in esame: il “Dictionary of Transactional Analysis ” di Tony Tinley. Nelle rubrica AGENDA Benedetta Fani propone la ricognizione dei più rilevanti e importanti appuntamenti nazionali e internazionali dell’EATA e quelli dell’IAT.

La rubrica WORK IN PROGRESS ospita un contributo di Simonetta Salacone e Tiziana Santoro. L’articolo presenta un’esperienza di costruzione di una rete di scuole che si è sviluppata sul territorio di Roma. Insieme alla descrizione delle finalità, delle opportunità pedagogiche e sociali a essa connesse, viene esposta una narrazione che descrive la testimonianza del “vissuto diretto e personale” che le autrici hanno voluto condividere con il lettore. Il lavoro si presta a molte letture. Nel contesto della rubrica e di questo numero risulta particolarmente

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In questo numero risulta ancora evidente la finalità della rubrica ANGOLO DEL DISCUSSANT, curata da Orlando Granati. Nel numero 2 di IAT Journal, il contributo di Maria Assunta Giusti (2015), dal titolo “Narciso nel paese delle meraviglie: la ferita narcisistica nelle generazioni di ieri e di oggi”, viene ripreso da Sylvia Schachner che rielabora alcuni aspetti sul modo in cui il comportamento narcisistico influenza i contesti educativi, sollevando alcuni pensieri e idee in materia di possibilità e prospettive, su come le scuole e altre istituzioni educative possono affrontare i fenomeni descritti in modo costruttivo e sano. L’autrice mette comunque sullo sfondo il tema di questo numero proponendo numerosi spunti che descrivono la nuova generazione sottolineando come i cambiamenti sociali derivanti dall’uso dei social media hanno generato l’insorgenza di un atteggiamento narcisistico. Risulta interessante la rilettura delle posizioni di vita dell’Okness che può assumere qualsiasi insegnante rispetto al comportamento narcisistico della nuova generazione, con particolare riguardo nei confronti degli insegnanti che possono manifestare loro stessi un comportamento narcisistico. Chiaro e consapevolmente analizzato il passaggio transgenerazionale: l’autrice mette in guardia coloro che si occupano di analizzare tali cambiamenti sociali e culturali, ricordando il loro appartenere a una generazione precedente la quale non ha toccato con mano gli strumenti abituali dei nativi digitali. L’articolo propone numerosi spunti che descrivono la nuova generazione sottolineando come i cambiamenti sociali derivanti dall’uso dei social media hanno generato l’insorgenza di un atteggiamento narcisistico, in continuità con la tematica del numero precedente. La sintomatologia narcisista illustrata si presenta sin dalle prime fasi dello sviluppo soprattutto attraverso l’uso dei social media e ha differenti conseguenze: perdita di capacità di autonomia, di false credenze rispetto alle proprie capacità e di poca empatia. Da ciò ne consegue l’importanza per tutti coloro che si occupano di formazione (dai genitori agli insegnanti, dagli psicologi al personale medico) i quali sono richiamati a non disprezzare le nuove tecnologie ma a sottolinearne le potenzialità e integrarli per insegnare ai bambini un loro utilizzo critico e consapevole.

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pertinente perché l’esperienza si può considerare antesignana di vari processi di trasformazione che alcuni dirigenti illuminati hanno messo in atto anticipando, appunto, i tempi. Mentre il “cantiere” della Buona Scuola in “questi giorni”, entra nelle abitazioni e negli edifici scolastici, c’è qualcuno che ha già lavorato sul “passaggio” culturale e generazionale al di là delle formule macro-organizzative che sono state proposte con gli avvicendamenti politici di questi anni recenti. Luca Ansini, il curatore della rivista, offre al lettore una curvatura interessante che colloca l’esperienza in una linea di possibile sinergia fra il Campo Educativo e il Campo Organizzativo in una cornice coerente con la filosofia dell’ok-ness e di un’AT che seppure non resa esplicita si può ritrovare nella struttura e nelle riflessioni che egli descrive nei paragrafi ex-ante e ex-post della rubrica.

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Infine nella rubrica LESSICO E CULTURE AT... ATTRAVERSO LE PAROLE E OLTRE, Loredana Paradiso, che la cura, mette sotto lente l’espressione Passaggi intergenerazionali e, in questo numero, oltre alla scoperta della trama lasciata al lettore, può essere interessante sottolineare che si può desumere la preziosa rete che conduce all’esplorazione di concetti portanti dell’AT da Berne ai nostri giorni in una duplice ottica, sincronica e diacronica. L’ombra dei padri, di Maurizio Nicolosi, rimanda a una versione analogica del lessico attraverso un’essenziale, sapiente traccia e scelta documentale riferita al cambio generazionale che ha definito in buona parte la storia della Psicoanalisi. Nel contributo la componente giudaica nella psicoanalisi e il rapporto con il lato paterno vengono osservati nei rapporti che legano tra grandi maestri anch’essi a loro volta figli dei propri padri: “…un padre remissivo quello di Freud, un padre triste quello di Jung, un padre svalorizzante quello di Neumann: eppure tutti decisivi per il destino e l’individuazione dei loro figli”. Ancora: “ …i nostri avi, per quanto (o forse in quanto) rappresentanti dell’invisibile, mostrano ciò che è nascosto, segreto, profondo, definendo un progetto personale, facilitando il percorso individuativo di realizzazione di sé, rivelando il mito che ciascuno mette in scena sul palcoscenico della vita e depotenziando il gioco delle proiezioni. Anche quelle sul padre personale”. Una considerazione: questo lavoro, forse, potrebbe rappresentare un esempio di come le vie del “lessico” oltre a essere variegate possono suggerire percorsi di parole e con le parole, che fanno apprezzare le funzioni della lingua mentre la lingua accoglie nelle sue manifestazioni significanti e significati di cui gli aspetti verbali e paraverbali ne costituiscono un sottoinsieme. Queste vie della comunicazione interagiscono con la storia del singolo che a sua volta esprime la storia di un gruppo e la storia di una comunità, in una sorta di processo parallelo fra la quotidianità e ciò che accade “nei laboratori della vita di comunità”. I singoli si esprimono contribuendo allo sviluppo della vita di comunità e tutto questo potrebbe tornare al singolo per il suo sviluppo, la sua autonomia la sua autoefficacia (Fregola, 2016).


Riferimenti bibliografici Berne, E. (1951). La mente in azione. Milano: Bompiani. Titolo originale: The mind in action Ceruti, M. (2014). La fine dell’onniscienza. Roma: STUDIUM. Fregola, C. (2016). Insegnamento, formazione e AT del campo educativo nella prospettiva del lifelong learning. NEOPSICHE, 21, 138-165. Fregola, C. (2015). Editoriale. IAT Journal, 1, 1,19. Giusti, M.A. (2015). Narciso nel paese delle meraviglie: la ferita narcisistica nelle generazioni di ieri e di oggi. Narcissus in wonderland: the narcissistic wound in past and present generations Maria Assunta Giusti. IAT Journal, I, 2. Morin, E. (2015). Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Milano: Raffaello Cortina. Napper, R. (2015). Il genio di Berne e l’ampiezza della portata dell’AT: cultura e esplorazione del contesto del setting. IAT Journal, 1, 1, 93. Schmid B. (2008). The Role Concept of Transactional Analysis and other Approaches to Personality, Encounter, and Cocreativity for All Professional Fields. Transactional Analysis Journal», 38, 1, 17-30. Zona, U. (2015). Everywhere. Le app tra mente collettiva e omologazione dei comportamenti. IAT Journal, 1, 1, 61.

Cesare Fregola1

In the first issue of the IAT Journal we shared the motivations rooted in our project,in the background, weaved within, we dealt with the theme, of “changes and persistance”. Our purpose was directed at integration, we wrote that this theme “... will be addressed,in terms of different roles, to our TA community, in its different fields of application and in other networks, connected directly or indirectly to the primary reason of our scientific and professional existence. Changes and permanence concern the social, economic, and cultural context of our times” (Fregola, 2015, p. 19)”

1 Scientific Editor of the IAT Jurnal. PTSTA in Educational of field – EATA-ITAA iat.journal@pensamultimedia.it

Letter from the Editor -

To many children a truck is a Big Car. It takes them a long time to understand that a truck is made to haul goods and a car is made to haul people. Similarly, to many adults a child is a Small Adult. They do not understand that (roughly speaking) it is a child’s job to learn to handle itself, while an adult’s job is to learn to handle his environment (Eric Berne, 1951, p.111)

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In this second year our intention is the same, with a focus on a very current topic: intergenerational transitions and social changes, with the goal of sharing different possible perspectives and with the awareness that they cannot be represented in a linear process nor defined by predictable criteria supposedly stable. In completing this issue we were expecting from the authors contributions mostly focused on reading intergenerational transitions, in terms of natural transitions, proceeding in a continuum. Instead in the papers we received, between the lines of each work, the reader will be able to recognize, in our opinion, what resembles to a search for new interconnections between culture, knowledge, professional competences,both within the TA community as well as in other theoretical or methodological approaches: an evolution of the needs of those who inhabit complexity. Professionals working with help related professions (cure, prevention, mediation in transformative processes or search for educational options) may on one side find solutions that can be viable and unchanged through time, recognisable because they are known, while at the same time needing to acknowledge the evolving context of everyday life, and how this may influence needs and traditional responses to issues and questions. In responding more or less explicitly and intentionally to such issues we are requested to include aspects coming from economic and political movements, and from the dissemination of technological innovation in everyday life. Many transformations deriving from this have become part of our everyday life, and are perceived as being more or less distant depending on personal or professional experience, and some possibilities they have disclosed or traced out are increasingly evident and tangible (Morin, 2015). For instance, the referendum on Great Britain’s exit from the European Union in June 2016 opens up a few questions: will the expectations of young people and families that have found employment in the United Kingdom be transformed? How will intercultural relations be influenced? And what questions are the young people who are planning to go there in search of a better life asking themselves ? And what impact will the victory of the “leave” party have on the EATA community? Are we facing an event that marks a generational change or more simply a social change that disrupts the way we experience participation, collaboration and the co-construction of intercultural processes? Another example: what purposes do parents share with their school-age children when they form Whatsapp groups with them? Do the parents exchange messages with their children because they want to be part of their school life, or do they just want to “control their children”, overlooking the fact that virtual environments can amplify and accelerate both the functional and dysfunctional aspects that are typical of Pastimes and possible Games? What frames of reference do we have to read the first conflicts between school and family, issues that are being dealt with also in the press? And, how do native digital parents integrate knowledge with migrant digital parents and with those of the App generation? In the first issue of the IAT Journal Umberto Zona (2015, p. 61 et seq.) discusses this issue in great depth presenting various arguments showing how the very concept of generation transmission has changed. We might say that there


The section named “FROM THE TA WORLD” presents two papers: One by Robin Hobbes and one by Miren Amaia Mauriz-Etxabe. Robin Hobbes presents reflections stemming from his experience and studies related to an attitude that he calls “political energy” that started to appear in a significant manner following to the 2008 economic crisis. The author does not use this term as opposed to the term “Political power” but he hypothesizes that in a psychotherapy session the therapist may be meet-

Letter from the Editor -

are several Cultural Parents at this point in history, and not only those from different social and geographic origin. Some of them are “unstable” as a consequence of the abrupt transformations that have occurred in less than a lifetime. So, there are several generations coexisting in the same space and time, each embodying his/her own world with given frames of reference for reading and interpreting actions, activities and experiences. So, as the contributions to this issue of the IAT Journal started to come in, we realised that they did not reflect the outline and directions that had been planned, in spite of what we had discussed and decided on the approach at the meeting of the scientific committee in July 2015. The insight arrived after reading Amaia Mauriz-Etxabe’s paper, an implicit hypothesis came about: in periods of transition, whether intentionally or not, different frames of reference come into contact and are compared, as are the different cultural worlds with their assumptions and models guiding transformation processes. Now, it may happen that these new models do not include when implemented, the frames of reference that can help, in a predictable way, to cope with new situations which cannot be solved with known solutions. It may very well be also, that, owing to the complexity of the systems in which the situations unfold, these new models, with all their implications, seek to reduce complexity instead of working out specific ways to manage complexity (Ceruti, 2014). We are therefore faced with situations in which “the knowledge of professional knowledge” is in the making, not with regard to the methodology applied to each field of TA, but rather related to the construction of representations driving the Adult Ego State to implement decision-making and problem solving patterns based on new interactions between the person and his/her frames of reference: private, professional and organizational (Schmid, 2008; Napper, 2015). The first issue of our second year opens with Eva Sylvie Rossi’s presentation of the Scientific Committee meeting. The intention of this Committee is to become a space for recognition and interconnections where members are invited to discuss the results of the year and decide on the following year’s editorial choices. Something that is in our view innovative because different members have different cultural backgrounds, they work both in different TA fields as well as in other scientific and professional fields, and their contributions are organised around the goals and values for which the Journal was created. Therefore, a participation process was started, underpinned by Berne’s spirit not only in terms of the ok-ness principle but also of his humanistic philosophy that we have reread in terms of intercultural intergenerational and complexity paradigms. Eva Sylvie Rossi’s contribution also offers a very significant hypothesis on a topical issue, namely the relationship between thought and language.

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ing with the enemy, represented by the imaginary world of the client about the functions of politics. This political energy is an important variable in the relationship between the TA Psychotherapist and his patient. Social changes are in the “foreground” in Robin Hobbes’s work, intergenerational transitions are in the background; they can be identified precisely as expectations and as the meaning given to political power in the imagination of the client of the TA therapist,whereas this reflects the existential philosophy of TA applied to other fields of application as well. In her paper Miren Amaia Mauriz deals with a theme that stresses the social value of Berne by connectig the effect of an individual psychotherapy changing the life script of a person with a transgenerational social impact .She argues that if the result of psychoterapy can have a positive effect on the internalized groups maintained by the individual within him/herself ,the individual can in turn become an agent of social change influencing inevitably the groups with which the individual is connected. Each individual as part of his own culture becomes a mean towards the transmission of values traumas and narration of one's own culture of origin ,this implies for each person a role as an active agent of transmission of the script of his/her culture of origin .

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In the section FOR DEEPER REFLECTIONS Cesare Fregola focuses on the learning relationship against the background of the skills of the XXI century, introduced by the OECD2 in The central theme of the paper focuses on the transition from “Learning to learn”, that was a central issue of Pedagogy in the 1990s and during the first decade of our century, to “Learning to learn what and how“ in periods of transformation. The author presents a learning environment which is the result of applied research in the TA Educational field, experimental Pedagogy and Didactics.

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In the WITNESSING section, Maria Luisa Cattaneo introduces her article by stating: “Being recognised and recognising oneself as belonging to one’s family (the process of filiation), finding one’s place in the sequence of generations, is essential in the process of constructing the individual’s identity”, she concludes the article saying: “We all live in a world that is changing at a pace hitherto unknown in human history, with large population displacements both within countries and at an international level. In these processes, maintaining one‘s attachment bonds, nurturing the ability to build new bonds, and maintaining trust in life and in the Other, is one of the biggest challenges for those travelling across seas and deserts to arrive in Europe”. The focus is on the skills required for inclusion, and theoretical and technical indications are provided regarding complex phenomena among which generational changes in the hosting countries. In the section THE PROFESSIONS, Stefania Petrera presents the theme of mediation focusing on school mediation. After an overview of the historic and leg2

Recommendations of the European Parliament Official Journal of the European Council of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning (2006/962 / EC).


islative aspects of the topic she accompanies the reader on a journey that invites reflection on the sense and main functions of mediation as an answer to social and educational problems. This journey relates both to a micro level (such as conflict management seen not only its transformative capacity but also in its many other functions), and to the macro level (as an example valuing the development of attitudes promoting tolerance and accounting for social changes already occurred and for new interdisciplinary, intercultural, intergenerational perspectives).

In this issue the DISCUSSANT CORNER, edited by Orlando Granati, clearly demonstrates its purpose. In the second issue of the IAT Journal, the article of Maria Assunta Giusti (2015) “Narcissus in wonderland: narcissistic wound in yesterday’s and today’s generations” is responded to by Sylvia Schachner who discusses how narcissistic behaviour influences educational contexts, suggesting ideas on possible ways in which schools and other educational institutions could manage this phenomenon in a constructive and healthy way. The author puts the theme of this issue in the background giving several clues in her description of the new generation pointing out how social changes deriving from the use of the social media have led to narcissistic behaviours. Of particular interest is the section where she says that teachers can adopt Okness life positions versus the narcissistic behaviour of the new generations, and that special attention should be attributed to teachers who have a narcissistic behaviour themselves. The author reminds to the professionals who analyse social and cultural changes that they belong to a previous generation that has not had great experience with the instruments that use naturally digital natives. Presents many ideas that describe the new generation, underlining how the changes deriving from the use of the social media have developed a narcissistic attitude, in continuity with the themes of the previous issue. The narcissistic symptomatology described, appears from the first stages of development, and is especially associated with the social media,it has various consequences: loss of autonomy, false beliefs about one’s abilities and little empathy. As a consequence, it is important for all those who are engaged in education (parents, teachers, psychologists, medical staff) not to show contempt for the new technology but to highlight its potential and integrate it as an educational tool, teaching children to make a critical and responsible use of it. The WORK IN PROGRESS column hosts a contribution by Simonetta Salacone and Tiziana Santoro. The article introduces the experience of networking between schools that was developed in the city of Rome. Together with the description of its purpose and of the educational and social opportunities involved, the authors offer a description of their “direct and personal experience” they are sharing with the readers. The work offers various reading suggestions.

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The section REVIEWS hosts Eva Sylvie Rossi’s review of the second TA dictionary we are examining: “Dictionary of Transactional Analysis” by Tony Tinley. The AGENDA section, edited by Benedetta Fani, offers an overview of the major national and international appointments of IAT and EATA.

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In the context of this section, this issue is particularly relevant because this experience can be considered to be the predecessor of various transformation processes that a few inspired headmasters implemented, anticipating their times. While the “construction site” of “The good school” (Editor’s note: school reform in Italy) is being discussed in schools and in homes, someone has already started to work on the cultural and generational transitions beyond the macroorganizational formulas put forward by various governments in recent years. Luca Ansini, editor of this section, offers to the readers an interesting point of view suggesting a possible synergy between the Educational and Organizational TA fields in a frame where TA and the ok-ness philosophy, even if not specifically mentioned, are easy to track in the structure and in the reflections presented.

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LEXICON AND TA CULTURE …THROUGH WORDS AND BEYOND Loredana Paradiso analyses the expression “Intergenerational transition”, and apart from the discovery of the plot that is left to the reader, it may be interesting to point out that there is an interesting and valuable path that leads to the exploration of the main TA concepts from Berne to the present day, following a double trail: the synchronic and diachronic approaches. IN THE SHADOW OF THE FATHERS, Maurizio Nicolosi refers to an analogic version of the lexicon through an essential and masterly thread and choice of documents related to the generational change that has defined most of the history of Psychoanalysis. In the article, the Jewish component of psychoanalysis and the relationship with the father are observed in the relationships connecting great masters, who, in turn were the sons of their fathers: “ Freud’s father was a remissive father, Jung’s was a sad father, Neumann’s father was a discounting father, but all of them were essential for the destiny and individuation of their sons” And he adds: “… our ancestors, albeit representatives of the invisible, or rather, precisely because they represented the invisible, show what is hidden, secret, deep-seated, defining a personal project, facilitating the individuation process of fulfilment, revealing the myth that each of us plays on the stage of life, undermining the game of projections. Even the projections on one’s own father.

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I consider that this work could represent an example of how the approach through the lexicon, besides being highly varied, can suggest pathways of words and with words, enabling the functions of language to be appreciated, while language harbours signifiers and significants where paraverbal and verbal aspects are closely connected as parts of a subset. These communication pathways interact with the history of the individual who in turn expresses the history of a group and the history of a community, in a sort of similar process between everyday experience and what occurs in the “workshop of community life”. Individuals express themselves by contributing to the development of community life and all this can go back to the individual for his fulfilment, autonomy and self-efficacy (Fregola, 2016).


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Meeting The Enemy. Political Discourse in the Transactional Analysis World “If you don’t live politics, politics will live you” (Marlan James)

The author proposes that because of current social processes emerging from the 2008 recession there is a resurgence of political power and political energy in the world. This is coming into the work rooms of Transactional Analysts. The essay examines a set of phenomena related to this that are called “Meeting the Enemy”. An examination follows of both the phenomena and ways to make sense of it. Keyword: Politics, Power, Phenomenology, Energy, Values

abstract

Robin Hobbes

L’autore suggerisce di considerare i processi sociali attuali emersi in seguito alla recessione del 2008, in relazione al risorgere del potere e della energia politica nel mondo attuale. Entrambi i processi, sociali e politici giungono in spazi e luoghi di lavoro degli Analisti Transazionali. Questo saggio esamina l’insieme di fenomeni collegati con ciò che viene denominato “Incontro con il Nemico”. Segue una analisi del fenomeno e di possibili modi attraverso i quali poter dare un senso a quanto descritto.

Robin Hobbes TSTA(p) is Co-Director of Elan training in Manchester and the Ethics Advisor to EATA.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Parole chiave: Politica, Potere, Fenomenologia, Valori

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I want to examine the emergence of political conversation or discourse in the Transactional Analysts’ world. In recent times transactional analytical conversation has developed a political dimension that has both engaged and surprised me. Clients refer to political experience, supervisees bring the challenge of responding to political expression in their work, students refer to politics within training experiences. This expressiveness has a “developing” tendency that brings a growth in intensity. It seems as if, suddenly, politics matter. I identify a particular phenomena that emerges within political conversations that I call “meeting the enemy”. This phenomena involves the practitioner taking a political stance towards the material arising in the work room. I’ll go on to discuss some of the ways we can then make sense of this phenomena. First of all I shall say something about phenomenological analysis itself as the philosophical basis of this paper is existential phenomenology. I am writing of my experience as a therapist, supervisor and trainer. I draw on this experience to make some general claims about our work as Transactional Analysts. I then will go on to discuss my meaning of the word “politics”. What I mean in the use of the word “politics”. I shall then go on to assert why political transactions are becoming more frequent in the Transactional Analysts’ professional world. This will involve a brief discussion on the decline of neo- liberal capitalism and the political polarisation that is emerging from this failure. Then I’ll draw on a few examples from mine and other Transactional Analyst’s work where politics appears and consider some ways to work with this emerging phenomena.

1. Existential Phenomenology

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Existential phenomenology is essentially the German philosopher Martin Heidegger’s primary philosophical project. He thought that to understand what it means to be a human being we must explore the lived experience of being alive. In his magnum opus Being and Time he systematically explores this lived experience. To notice this lived experience Heidegger advocates a sensitive attuning to the presence of another – sometimes identified as a state of wonderment (Heidegger 1979). In maintaining this sense of wonderment various phenomena will emerge which can be identified and described, (Rubinstein 2010).These phenomena are aspects of being that can be understood as they emerge. I am claiming that a “new” phenomena infused with politics is emerging. I am calling this phenomena “Meeting the Enemy”.

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2. What Do I Mean By Politics?

Andrews Samuels, a UK based Humanistic and Integrative psychotherapist, has written a number of books and papers on the theme of politics and psychotherapy. I want to focus on a paper he wrote in Nick Totton’s The Politics of Psychotherapy (2006). He called the paper “Politics on the Couch” and discussed how politics can be noticed and responded to in psychotherapy. One particular distinction he made was between political energy and political power. He claimed political power to be a social phenomenon where the power is essentially authoritative action to influence social policy. It is an action that attempts to create


a social world that matters to the actor. Political power can also be an action that opposes a particular social world like a protest march or joining a political party but is still essentially informed by the world the actor wants. Political action is an action that asserts power over the administration of social resources for groups within that society. It is essentially a social phenomenon. Political energy is a different phenomenon to political power. There is a psychological energy present, a personal dimension, that lives in the political expression. A mobilisation occurs towards the exercise of political power. It is this set of phenomena, broadly called political energy, that I want to examine in this paper. Hopefully the idea of political energy will get clearer as I develop my ideas here. I am arguing that this is a route to understanding and using political conversation in our work.

This politicisation of life received a big impetus with the 2008 global financial crisis in which the banking sector of western capitalism faced imminent collapse. The resulting national government interventions to shore up the banks, coupled with the collapse in many countries of the housing market and wide spread increase in unemployment resulted in unprecedented state cutbacks under the banner of austerity. In Europe all major governments imposed austerity policies often to frightening degrees as in Greece. From this has emerged a large disenfranchised, unemployed, disenchanted diverse group of people in most, if not all, European countries. To make matters grimmer there has been no meaningful recovery from this recession. Governments are not able to raise revenues as economies are not growing while in some European countries significantly large numbers of young people are unemployed. Government’s are cutting back on services for the disadvantaged. People are getting poorer (Mason 2016). At the same time political power is polarising. In many European countries extreme political parties are gaining support and their perspectives are being absorbed into the main stream. As I write this the Republican party in the USA is being led by Donald Trump who is actively courting the disaffected white working class vote through stoking disaffection within that group towards minority groups such as Latinos. In the UK UKIP develops a UK version of extreme right wing politics taking an anti-immigration standpoint that fuels racism that in part finds political expression in the passing of a referendum to leave the EU. The same can be said for Marine Le Pen and the FN party in France or the AfD in Germany. It is across the world that political power has started to mean something important to people. Transactional Analysts’ are working with people who are being directly effected both by this economic hardship and the polarisation of political power.

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3. Why Political Discourse Now?

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4. Political Energy in the Transactional Analysts Work Room

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I am investigating a set of phenomena that can be broadly described as political energy that from time to time emerge in the Transactional Analysts’ work room. I want to look at a specific phenomenon that I am calling “ Meeting the Enemy” in which the practitioner takes a confrontational stance towards the way the client is being with the practitioner. This has political dimensions in which the politics of the practitioner is lived within the work they are doing.I am going to give three examples: one covers the emergence of racism and prejudice, another the psychological problems emerging from organisations imposing hardship on their workers in order to stay in the market and the final one illustrating how the State can use psychological methods (in this case TA) to promote austerity policies that seriously disadvantage the already disadvantaged. A white, single, 40 year old woman who I shall call Alice has a childhood history of abuse and trauma from male care givers – in particular a father and an uncle. Alice is a woman who has had a life in and out of various psychiatric services but also an ability to find a way through a chaotic and unpredictable world through self-assertion that has given her some reward in living. She turns to her therapist. She has known the therapist for many years – an aspect of the therapy has been supportive and the constant presence of the therapist has been used by the client to develop some stability in her life. She says “ I hate those Pakis (people from Pakistan). I fucking hate them - there was one on the tram this morning who sits next to me and pushes me off my seat. I shout at him “Go home - Go home”. The therapist feels a tightening within – a rise to “combat”. A lack of certainty, a lack of calmness emerges. At this moment the Pakistani matters to them more than their client. It is for him that they speak. “ Stop (voice raised – loud) I can’t sit here listening to you talk like this – find a way to get on with him.” A single 28 year old mother cries. She has been engaging in Transactional Analysis counselling hoping to reach a more stabile sense of OKness. She easily makes unwanted life experiences her “fault”. At the same time her two young children mean much to her. “They’ve just said” (she’s talking about work) “that if we don’t increase our time at work we face redundancy. What will I do? How do I tell my children? It’s my life again – what’s wrong with me?” The therapist feels that tightening within – another rise to “combat”. “This is not right – this is exploitation. Join a Union”. My supervisee, a relatively new therapist, talks excitedly of his new job. Following the election of a right-wing government that is keen to introduce austerity policies following the 2008 recession welfare cuts to disability payments are being implemented. One application of this policy is to introduce a “counselling” service for those with mental health disability in which success is evaluated by the claimant returning to the workplace and thus reducing the disability budget. My supervisee has just got a job as one of the counsellors providing the “Back to Work” counselling service. The clients are essentially “ forced” to undertake the counselling as their benefits will be significantly reduced if they do not attend. Another rise to “combat” - A rise in energy - “ I can’t supervise this work – It’s not right. I won’t support this sort of work”.


5. Political Energy – the phenomena

The phenomenological characteristics involve a physical tightening and sense of preparation for conflict. A need to assert - to be known as someone who has political values. Something arises within the practitioner that matters to them and this mattering cannot remain hidden. At the same time the practitioner wants to “take a stand” and be someone to come up against. What matters is the social world of the Transactional Analyst and there is a felt threat to that world in the work room. This matters so much to the practitioner that they speak of this. There follows a sense of uncertainty. A regret that something “wrong” has been done. Practitioners have said “ I know I shouldn’t have said this”. Or on hearing of the practitioner’s action have been critical – “this is not what a therapist does”.

There are many ways a Transactional Analyst might make sense of this. Firstly Transactional Analyst might perceive a Game here. Of course it will hinge somewhat on what they mean by the concept of a Game. But if we think of it as a drama in which the roles of Rescuer, Persecutor and Victim interlock and switch around then with the first example we could say the practitioner switches from Rescuing to Persecuting. The somatisation of the experience and the sense from the practitioner that they are doing something “wrong” supports the drama in Game theory. Also there is a felt sense that a level of psychological communication (Ulterior transaction) is becoming social – the criticism and discomfort the practitioner experiences concerning the clients racism was felt over time but not expressed – energy builds - then is expressed. Another TA system we could use to make sense of all of these examples is Script theory in which the past is in a meaningful sense living now. Is the practitioner living their Script in which their response is an unthought reliving of an old drama where they “have” to be this way? The practitioner steps out of the role of Transactional Analyst into something that echoes their past. Maybe an overly attentive parent – a self-righteous parent or a frightened child. The Script drama may include the practitioner somehow or other making a “mistake” and then using the “mistake” to diminish themselves in some way. These possibilities can be there in these examples but also there is an existing reality that is informing the practitioner. They are living in a world where now, more than for a while, the social reality of poverty, inequality, and austerity are having a very significant impact. The effects of the capitalist system attempting to reassert itself and its current failure to reassert is effecting us all. Can this also live in the work room? Of course it does and the conscientious practitioner has to ask herself does this matter? Is this so important that it must be spoken of, noticed, lived even though the noticing can have an impact on the Transactional Analysis project itself. I would say if a practitioner is going to live as a political entity within the work room she needs to be willing to use certain qualities in her work. She needs a transparency where, in the open engagement, she can bring herself into the

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6. Making Sense of Political Energy In The Work Room

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work. This might include experiences of vulnerability, uncertainty and regret. She must have the courage to own these experiences. She must also have a sense that acting in this way is empowering of the other. Her work is framed within the direction of empowerment so such action must fit an empowering stance and she must be convinced of this. Ultimately though I find it foolish to identify courses of action that I think a practitioner should take when this phenomena is “there”. The guide to action has to come from within the practitioner and be consistent with what they consider are appropriate to her role. She may wish to note the wisdom that Nietzsche reveals when he says: “He who fights with monsters should be careful lest he thereby become a monster. And if thou gaze long into an abyss, the abyss will also gaze into thee” (Nietzsche 1909)

LITERACY

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Heidegger M. (1979). Sein Und Zeit Max Niemeyer Verlag. Rubinstein M. (2010). Strange Wonder:The Closure of Metaphysics and the Opening of Awe. Columbia: University Press. Mason P. (2016). Post Capitalism. Penguin. James M. (2014). A Brief History of Seven Killings: A Novel. New York: Riverhead Books. Samuels A. (2006). Politics On The Couch. In N. Totton (Ed.) London: Open University Press. Nietzsche F. (1909). Beyond Good and Evil. Translated by Zimmern H. US T.N Foulis.

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Cambio y Responsabilidad Social: El Peregrinaje Intergeneracional

Miren Amaia Mauriz-Etxabe

abstract

Todo cambio social conlleva siempre el cambio en la cultura de los grupos implicados en ella. En este artículo se tomará en consideración la relevancia de los grupos que están presentes y codificados en la mente de la persona: el grupo (o grupos) presente interrnalizado en las imagos del individuo lleva consigo. Cada persona, en tanto que vehículo de su propia cultura, se convierte en un vehículo de transmisión de valores, traumas y aspectos de la narrativa de la cultura original de la cual proviene. Esto implica, que cada individuo será también un agente activo en la transmisión del guion de vida de su cultura original. La psicoterapia individual, en cuanto que está dirigida al cambio en el guion de vida de la persona, podrá ejercer un efecto positivo sobre los grupos internalizados que la persona lleva consigo. Este artículo presenta una reflexión acerca del resultado, aparentemente paradójico, como agente de cambio social que la psicoterapia individual ejerce inevitablemente en los grupos con los cuales el individuo de relaciona.Se considera aquí, el efecto transversal , transgeneracional y social que proviene del trabajo psicoterapéutico en setting individual. Any social change brings along change in the culture of the groups involved. In this paper the importance of groups which are present and codified in the mind of the individual is discussed. Reference is made to the present group or groups internalized in the imagoes that the individual keeps within himself. Each individual, as part of his own culture becomes a mean of transmission of values, traumas and narration of his own culture of origin. This implies that each individual will also be an active agent of transmission of the script of his culture of origin. Individual psychotherapy, directed to changing the person’s life script will be able to have a positive effect on the internalized groups that the person keeps within himself. This article presents a reflexion about the outcome of individual psychotherapy as an agent of social change which inevitably impacts on the groups with which the individual is related, resulting in what is apparently a paradox. What is here examined is the social, transversal and transgenerational effect resulting from individual psychotherapy work. Keyword: Group, Context, Life Script, Intergenerational

Psicologa Especialista Clinica,TSTA-P, Bios Instituto de Formación en Psicoterapia y Clinica Bertendona n.1, 48008 Bilbao, amaiamauriz@gmail.com © Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Palabras clave: Grupo, Contexto, Guion de vida y transgeneracional

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Como Analistas Transaccionales, en el convulso contexto social actual, el intento de esclarecer y dar algún significado al conflicto, trauma, incertidumbre y dolor que sacude a nuestra sociedad en brotes críticos y violentos, se convierte en una necesidad imperiosa. La necesidad de intentar comprender y de responder -aunque sea en una pequeña escala- aparece como un motivador esencial; ya que no podemos pasar de largo e ignorar una crisis que a todos nos atañe en tanto que todos somos miembros de un grupo grande, de una cultura y una sociedad que en el momento actual es convulsa e incierta. Nos concierne por tanto aplicar nuestro conocimiento clínico y aportar la mirada psicoterapéutica que el Análisis Transaccional nos ofrece con su ética, su perspectiva de la salud y su enfoque social. La responsabilidad social de cada pequeño átomo de esta red que constituye la matriz social (Foulkes, 1984), el grupo grande al que pertenecemos, hace que ahora, planteemos este escrito desde una perspectiva que toma en cuenta el concepto de lo transgeneracional. Cuestiones esenciales como:

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1. 2. 3. 4.

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¿Quién soy yo? ¿Quién eres tú? ¿Cómo es el mundo? ¿Y cómo se espera que nos relacionemos, que actuemos, que sintamos e incluso si cooperamos o si rivalizamos?

Estas preguntas, que están en la base de la posición vital que el individuo adopta y a las que el guión de vida (Berne 1961) individual trata de responder, se responden dentro de un continuum de experiencia que abarca elementos culturales y grupales de índole familiar y social: en el contexto del continuum de los Pasajes Intergeneracionales, del peregrinaje que incumbe y atañe a más de una generación y no exclusivamente al individuo particular (Schützenberger, 2006; Volkan, 2013) El niño, la niña, responden a la pregunta esencial “¿Quién soy?” en el seno de un contexto relacional que contiene muchísimos niveles de información y una ingente cantidad de estímulos. La respuesta a “¿quién soy yo?” estructurará la identidad y estará en la base de los patrones relacionales esenciales: la mirada de la madre y de las figuras de referencia más significativas, su conducta y sus actitudes, así como la valía que estas figuras se atribuyan a sí mismas, y a sus grupos de pertenencia (la construcción del “nosotros”), serán determinantes para la formación de la identidad del niño o de la niña y quedarán entretejidas en la ”sensación de quién soy? “Yo valgo” o “yo no valgo”. Sabemos que los procesos intrapsíquicos almacenan las escenas y vivencias que la persona va experimentando. Sabemos por tanto que la psique individual contiene imágenes, sensaciones e improntas que son -cuando menos- de origen relacional, y que a menudo son ecos exactos de experiencias relacionales del grupo matriz (cultura) al que la persona pertenece. Todo este proceso es ajeno a la conciencia y estamos inmersos en él desde el nacimiento. En la psicoterapia individual afrontamos el efecto de las relaciones y de los grupos a los cuales la persona pertenece, y es nuestra tarea invitarle a que experimente y tome nuevas perspectivas, a crear narrativas nuevas...a revisar y ampliar su visión del mundo. Ayudamos a “digerir” y asimilar lo fijado, a integrar lo sentido (Erskine, 2016), para que como resultado de este proceso consiga am-


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pliar los límites de su guión individual y vaya adquiriendo un pensamiento más autónomo acerca de su guión familiar, cultural y social. Como resultante ganará en salud física, aumentará su espontaneidad, ampliando su conciencia sobre sí y el mundo que le rodea, sus decisiones podrán ser progresivamente más autónomas y actualizadas (Berne, 1966; Erskine, 2016). En psicoterapia individual pretendemos actuar en el mundo interno de la persona ayudando a activar sus recursos individuales. Esto implica actuar sobre los grupos internalizados que la persona lleva consigo y que le constituyen, formando parte integral de su visión de sí y de sus actitudes ante los otros y ante el mundo. Esta labor incluye sin duda el trabajo sobre el Guión de Vida, y la comprensión de las Imagos Grupales que todo individuo lleva consigo (Berne, 1966). Todo ello induce a ver que la psicoterapia como ciencia de la salud, es indudablemente también una herramienta de cambio social: como psicoterapeutas, debemos tener presente que nuestra intervención conlleva una acción social, y que respondemos clínicamente a un fenómeno relacional de consecuencias transversales y horizontales que trascienden con mucho el ámbito geográfico, social e incluso político de nuestra intervención manifiesta. Las consecuencias de la impronta del trabajo terapéutico van más allá de la inmediatez de lo observable. Al plantear esta aseveración, me viene a la mente el recuerdo de mi examen para CTA. Uno de los miembros del comité de examen me preguntó cuál era el aspecto ético más importante del caso clínico que yo presentaba allí… sin dudarlo, resultó claro para mí que se trataba de la responsabilidad transgeneracional. Mi cliente, Susana, una mujer de 45 años, divorciada y con dos hijos (una hija de 15 años y un varón de 19 años) acudió a consulta sumamente deprimida, demacrada de facciones y su comentario inicial fue: “vengo a terapia por mis hijos, creo que necesitan que yo esté bien, que mi vida no sea un caos”. Tomé nota mental de esta aseveración ¡me impresionó su enfática afirmación!. Trabajamos juntas sobre contratos clínicos específicos y operativos, pero era obvio que yo no debía olvidar este comentario porque parecía central para ella de alguna forma que yo desconocía aún. Más tarde, en el proceso de terapia vimos que había sido educada como “un miembro de segunda clase” tanto en su familia, donde los hijos varones eran el centro de atención, valoración y prebendas, como en su matrimonio, donde su marido, desde un rol constante de víctima, la explotaba económica, social y afectivamente. Susana, basada en sus creencias de guión tenía la clara conciencia de que su tarea era servir, que ella por sí misma no valía, y que la vida conllevaba sacrificarse para otros. Susana, mujer con una profesión liberal, inteligente y sana, estaba sometida a una vida de constante sacrificio, negación crónica de sus propias necesidades (Erskine, 2004, 2012). Estaba inmersa y consentía una dinámica de maltrato físico, económico y emocional grave; pero carecía de conciencia de ello, puesto que su marido la ensalzaba continuamente con caricias falsas (Steiner, 1984) o la “castigaba” deprimiéndose, culpándola y aislándola social y afectivamente si no cumplía sus deseos y expectativas. Este patrón de relación, que duró cerca de 20 años, conllevó una escalada constante de juegos psicológicos (Berne, 1964), similar al que sus propios padres habían mantenido. Fue posible porque era sintónico con sus modelos previos y con muchos pequeños (¡y no tan pequeños!) indicios del guión cultural de la mujer intergeneracionalmente trasmitido (Nor-

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iega, 2004)... encajaba con los mensajes recibidos en el colegio de educación religiosa “sólo para mujeres” al que había asistido desde niña y con tantos otros mensajes de la sociedad en que creció (McGinley y Varchevker 2013). Pese a estar divorciada “de papeles”, Susana al comienzo de la psicoterapia manifestó que “no había tenido fuerzas para llevar a cabo una separación real”: aún cocinaba para él, pagaba facturas y a menudo aún ponía orden y limpieza en casa de su exmarido. Podríamos preguntarnos ¿por qué abordó el divorcio en esas circunstancias? La razón de esta situación aparentemente paradójica tiene dos respuestas: La primera su guión con el sentimiento de culpa al “abandonar” a un hombre que “no era físicamente violento y me necesitaba”. Susana, se mantenía en un circuito de retroalimentación del guión de vida (Berne, 1964; Erskine y Zalckman, 1979). Por otra parte, estaba su rol como madre y el vínculo con sus hijos. La ausencia de conciencia sobre su limitada autonomía y sobre el abuso constante recibido, no se producía cuando observaba la conducta de su marido hacia su hija (con la cual era negligente, variable, y falto de límites) y hacia su hijo al cual trataba con rivalidad, celos y desprecio continuado. Fue la tristeza de sus hijos la que forzó a Susana poner remedio a una situación que para sí misma, posiblemente, no hubiera tenido permiso (Hawkes, 2007) para plantearse ni para modificar. A lo largo de los años, en mi trabajo como psicoterapeuta y formadora, y trabajando como asesora de equipos de intervención en comunidades terapéuticas, he encontrado a menudo variantes de este tipo de guión. Mi formación como Analista Transaccional y le experiencia clínica me han hecho reflexionar sobre la cultura en la que estoy inmersa: los mensajes que como mujer he recibido: los permisos y las prohibiciones (Drego 1985/Volkan 2013), a tomar perspectiva sobre mi propio guión individual, y ver cómo está entrelazado con el guión cultural de mi entorno y de la sociedad a la que pertenezco (Ernst, 1971; Roberts, 1975). Permítanme compartir algo de mi historia personal: soy vasca, nacida en tiempos de la dictadura franquista, y en una sociedad que aún tenía la huella cercana y profunda de la guerra civil española, soy mujer, y crecí en una clase media con educación católica y conservadora… -Diversos elementos, ¡importantes todos ellos! a la hora de recibir mensajes centrales de guión- Al mismo tiempo, soy hija de una generación que produjo numerosos médicos, psicoterapeutas y que de diversas formas parece orientada a la acción social. En mi entorno próximo el conflicto social y político tenía una presencia cotidiana; el muro de Berlín y su significado, el movimiento hippie… la guerra de Vietnam, incidían como ecos del “grupo grande”. Siendo ya Analista Transaccional certificada, la curiosidad teórica por entender las dinámicas profundas de los grupos me llevó al grupoanalisis y al psicodrama para complementar el abordaje grupal del AT. Esto enriqueció mi trabajo con grupos multiculturales de jóvenes en situación de desarraigo social y cultural y mi el trabajo con grupos de duelo. Citaré algunas reflexiones de varios autores esenciales para el planteamiento que presentaré: “La cultura se compone por patrones y reglas que no son conscientes y permanecen ocultos, pero que al mismo tiempo gobiernan la conducta de la gente. La cultura es, también, una forma de comunicación, y por lo tanto la cultura revela mucho acerca de la persona, pero, al mismo tiempo


oculta mucho más que lo que revela” (Erskine, 2009, p.14). Los humanos tenemos una PROFUNDA NECESIDAD DE PERTENENCIA así “ los grupos se constituyen para tener algo a lo que pertenecer, y para ello es necesario que haya algo a lo que “NO” pertenecer, esto explica por qué dividimos. Formar agrupaciones y establecer atributos que pertenecen a un grupo y no a otro, nos permite crear la ilusión de que somos más diferentes de lo que en realidad somos (Dalal 2009; Slater 2011). La formación del yo es resultante también de múltiples “nosotros”, aquellos en los que hemos nacido. Nacemos dentro de grupos preexistentes que contienen culturas superpuestas, a veces disonantes e incluso conflictivas entre sí. Todos esos “nosotros”, y “las creencias, hábitos y costumbres resultantes para el individuo; estarán bajo el influjo de las maneras de pensar y sentir entre las que nacemos” (Dalal, 2009)

Así, en la constitución del yo, va a intervenir todo el “líquido amniótico” de las culturas (y capas culturales) a las que pertenecemos. No afectará solo a la construcción de los Estados Parentales del Yo, sino que será una parte intrínseca de la construcción del Yo, de los patrones relacionales primarios, inconscientes tempranos y conformadores de nuestra identidad (Erskine, 2016). Llevaremos el sello de la variedad de relacionen en las cuales vivimos inmersos.

Hay numerosos autores que señalan que el guión familiar y principalmente el guión cultural son más pervasivos en sus efectos sobre la personalidad dado su carácter de “habitualidad” y se experimentan como una parte indiscutible e incuestionable de “como es la vida”. La cultura, los grupos en los que crecemos parecen haber pasado a formar parte de un “quien soy yo” indiscutible, que incluirá información y orientación sobre el uso del propio poder en las relaciones con otros. La cultura se manifiesta en creencias preconscientes, arcaicas y generales, y en actitudes de guión que condicionan la posición existencial (Berne, 1972). En el trabajo terapéutico, la persona adquiere conciencia de las restricciones que todo ello comporta para su salud, para la solución de problemas y para el establecimiento saludable de relaciones en la actualidad (Berne, 1961; Erskine,

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Fig. 1

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2015; Erskine y Zalcman, 1979). Pero, ¿qué hacer cuando es un sistema, una micro sociedad o incluso un grupo social amplio, quien comparte reacciones defensivas, conductas retraumatizantes o actitudes que conllevan juegos psicológicos severos? y... cuando, por los fenómenos antes descritos a favor de la pertenencia y la búsqueda de similitud, se establecen dinámicas retraumatizantes a través de una narrativa inconsciente transgeneracional? La tesis que plantearemos aquí, es que los grupos como los individuos, en su búsqueda de identidad, pertenencia y relación, tienden a:

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1. Aumentar la cohesión de la personalidad grupal con mecanismos similares a los que podemos observar en el plano individual: desapropiación de lo escindido, proyección de lo que no es “digerible” hacia otros grupos (“lo malo está fuera”, “no somos nosotros”, “son los otros”), deshumanización de lo “ diferente “ etc. Se activan las “estrategias” de redefinición y descuento (Mellor, 1980). 2. Están sujetos a factores interrelacionados de desarrollo, al igual que ocurre en el individuo, con fases de desarrollo evolutivo grupal que comportan tareas evolutivas específicas (diferenciación, jerarquización etc.) a modo de “estados del yo grupales”: 2.1. Factores biológicos de evolución. Los grupos atraviesan así periodos evolutivos diferenciados que son significativos para su relación con otros grupos (o culturas grupales). 2.2. Factores psicológicos de desarrollo interno: avanzando en el desarrollo de los “estados del Yo grupales”. 3. Factores de la biografía grupal, donde las transiciones, las formas de resolución de los momentos críticos, los duelos y los traumas de los grupos tienen un peso central en la transmisión intergeneracional del trauma a través la narrativa.

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La interrelación de estos tres tipos de factores dará lugar a diferentes conclusiones de guión y creencias, a actitudes y conductas correlativas (Sanders y Blakeney, 1979. pág.139), producirá sistemas relacionales defensivos: juegos psicológicos que conllevarán la “invitación” a que otras culturas grupales complementen el juego desde roles del triángulo dramático y transmitan así el mismo “virus” y un mensaje relacional de retroalimentación. Mantener la perspectiva cómo Analistas Transaccionales del pequeño (y no tan pequeño) tramo de guión de vida que cada juego psicológico comunica y refuerza, será en sí mismo parte de nuestro compromiso ético y profesional. Pero… ¿hay algo más que podamos hacer ante una situación social, grupal y cultural tan delicada y herida? Ninguno de nosotros tenemos la respuesta, probablemente todos y cada uno tenemos al mismo tiempo, un grado de responsabilidad y poder… Charlotte Sills, en el Congreso de la Asociación Europea de Análisis Transaccional en Ginebra (2016) dijo unas palabras que me conmovieron y que permanecen conmigo: “cambiamos el mundo modificando una conversación cada vez”. Varios párrafos atrás compartía algo acerca de mi historia personal, y de ella quizá se pueda colegir que -al igual que muchas otras personas de mi generación- me enfrenté a un dilema durante parte de mi juventud: ¿cómo actuar para


cambiar una sociedad a todas luces injusta y oprimente? La adaptación no era una opción viable... Pensar, estudiar, leer y decidir me eran demasiado preciosos para que la sumisión, cerrar los ojos, fuese una opción. La otra posibilidad que se me ofrecía era el activismo político, y muchas personas de mi generación encontraron en ello un camino. Por mi parte, creo que fue la psicoterapia una gran opción para poner mi grano de arena y favorecer el cambio. Yo, como Sills definió tan bien, creo en el poder de la relación como arma y como medio para el cambio: una conversación cada vez, una relación cada vez, eso cambiará nuestra pequeña parcela de mundo, al intervenir en los grupos que cada uno de nosotros y nosotras, que cada uno de nuestros clientes “lleva” en su cabeza, en su psique y en sus afectos. Citando a Erskine:

Así, cada cambio con cada cliente, puede implicar un giro significativo para el guión y su transmisión transgeneracional. Cambiando la experiencia y con el contacto real, el guión de cada cliente cambia. Cambia así su presente y todo un futuro potencial. El concepto de resiliencia, tal como Rossi proponía en el primer número de esta revista (2015, pp. 48-57): ser quizás “tutores de resiliencia”, ofrecer un contexto comprometido y estable para el encuentro a pesar y a través del trauma, es también una opción para transmitir otro tipo de mensaje e intervenir en un cambio de la cultura grupal. Esa fue mi perspectiva con Susana al establecer el contrato clínico, y desde ahí establecimos la base para el peregrinaje de lo intergeneracional que le permitió asumir las riendas de su vida, hacerse cargo de sus necesidades y parar la situación que estaba atravesando. Posiblemente, su hija hoy habrá encontrado un modelo de coraje, respeto y alegría de vivir gracias al tránsito que Susana efectuó a través de sus memorias y las de sus ancestros (Lucero Conus, 2016; Schützenberger 2006). El compromiso con el cambio y la responsabilidad profesional que como analistas transaccionales tenemos puede ser también nuestro legado de humanismo a través de este tiempo convulso. Aprender mantener el contacto y seguir con el compromiso de trabajar hacía la intimidad, la espontaneidad y la autenticidad, son un marco de esperanza y una buena revolución cotidiana. Practicar el código ético de EATA e ITAA, llevando a cabo un compromiso de igualdad y respeto profundo, actuar el Yo Estoy Bien /Tú Estás Bien; respetar en acción lo único y valioso central de cada persona en todo contexto, es una buena fórmula de cambio a través de lo individual.

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“La influencia del guión no finaliza con el impacto sobre aquello que afecta a lo vinculado con el guión individual. Se esparce e influencia también horizontalmente, contaminando las relaciones y estimulando el desarrollo de guiones interconectados en personas con las cuales interactúa desde las limitaciones que el guión propio produce. Se extiende, también, verticalmente de una generación a la siguiente, en el grado consecuente a las limitaciones que el guión imponga a los progenitores para establecer un ambiente emocionalmente próximo y en el que se dé un contacto real con los hijos e hijas de este progenitor” (Moursund y Erskine, 2004 p.51).

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Conclusión En el trabajo con grupos es importante tener en cuenta “ la personalidad de cada grupo y la narrativa que se cuenta a sí mismo”, escucharla, tratar de entenderla y respetarla. El contacto, el encuentro, la relación y la escucha provocarán cambios relevantes en el guión de vida de los individuos que lo componen, poniendo en marcha semillas de cambio importantes. Al mismo tiempo, el trabajo con cada cliente y su guión “individual” de vida invitará a un cambio a toda la red de relaciones. No se puede tocar la misma música una y otra vez, cuando alguien introduce un cambio en las notas de una melodía.

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Referencias

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APPROFONDIAMO

La relazione di apprendimento e le Skills del XXI Secolo

Cesare Fregola

abstract

Il focus di questo lavoro riguarda la relazione di apprendimento che la persona ha con sé stessa, studiata sullo sfondo integratore dell’Analisi Transazionale e del costrutto dell’Autoefficacia. L’articolo propone alcune ipotesi su come la relazione di apprendimento possa essere influenzata dalle skills del XXI secolo introdotte dall’OCSE. Il corpo centrale del contributo si sviluppa così, sul passaggio dall’imparare a imparare, che è stato uno dei temi di maggior interesse della pedagogia degli anni ’90 e del primo decennio del nostro secolo, a quello dell’imparare a imparare cosa e come in momenti trasformativi. Si presenta quindi un ambiente di apprendimento che è frutto di ricerca applicata proprio dell’AT del Campo Educativo, della Pedagogia Sperimentale e della Didattica.

Parole chiave: Autoefficacia, Skills del XXI secolo, Relazione di apprendimento

Keyword: Self effectivness , XXI Century skills, learning relationship

Direttore scientifico di IAT Journal. PTSTA di campo Educativo EATA e ITAA.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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The main focus of this paper is the learning relationships that the individual has with him/herself, considered within the concept of self effectivness with TA in the background having an integrative function. Several hypothesis are presented on how learning relationships can be influenced by XXI Century skills as introduced by OCSE. The main contribution is developped around the change that has occured from learning to learning to what and how to learn in times of trasformation. One of the major areas of interest for Pedagogy from the 90s on to the first decade of our Century has been precisely on learning to learn. What is here presented is a learning environment as the outcome of TA applied research precisely in the educational field, of Experimental Pedagogy and of Didactics.

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Introduzione

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Il focus principale di questo lavoro è sul tema dell’apprendimento e della relazione che ciascuno ha con il proprio apprendimento in un tempo trasformativo nel quale il vissuto e l’esperienza nella quotidianità sono caratterizzati dalla ricerca di integrazione e sinergia fra le istanze che provengono dalle innovazioni ripetute e incessanti e i campi conservativi che supportano il tentativo continuo e la ricerca di permanenza nella tradizione (Ceruti, 2009). Si è spesso rilevato che la relazione di apprendimento è sollecitata e influenzata da prospettive e aspettative che, a volte, si presentano senza il supporto di modelli validati che consentono di formulare ipotesi sulla loro traducibilità in azioni, comportamenti e piani operativi attuabili secondo i canoni della certezza e della prevedibilità nei processi educativi. Esempi evidenti sono offerti dagli studi sulla Generazione App (Gardner e Davis, 2014), sull’evoluzione delle forme in cui si struttura la famiglia (Fruggeri, 2011), lo sviluppo delle neuroscienze (Rizzolati, 2006), le nuove metafore sociali che influenzano l’immaginario collettivo (Bauman, 2011). Ceruti (2014), in “La fine dell’onniscienza”, sottolinea che la tendenza a semplificare non può più trascurare la riconciliazione fra le tecnoscienze e la saggezza ricercando una nuova alleanza tra uomo e ambiente. Ceruti indica che la via per emanciparsi dal mito dell’onniscienza/onnipotenza richiede la costruzione di un’antropologia adatta a un universo plurale. Le ipotesi, le teorie, gli strumenti che derivano dai risultati dell’evoluzione tecnico-scientifica spostano le proprie finalità da una realtà assoluta, che l’uomo può utilitaristicamente mettere in atto, a un processo di adattamento interdipendente fra uomo e ambiente. Galiberti (2004), invece, sostiene che la tecnica è diventata l’ambiente che subordina le esigenze dell’uomo alle esigenze dell’apparato tecnico. Al di là delle concezioni possibili appare chiaro che non sempre si può attingere a repertori di competenze consolidate da adattare tout court alle esigenze del mondo del lavoro, della vita in famiglia, nella scuola, e nella comunità in quanto l’evoluzione dei luoghi e delle interazioni nella comunicazione sociale si fonda sui presupposti di schemi che non consentono di ricondurre l’immersione nel mondo virtuale (Lévy, 2005), alle modalità che caratterizzano le interazioni nei luoghi tradizionali (Meyrowitz, 1995). Fra le varie analisi possibili, una rilevante constatazione, riguarda la visione della conoscenza nell’era di internet che secondo alcuni autori pur essendo meno definita, meno certa, forse è più ricca (Weinberger, 2012) e richiede nuove regole d’uso, di creazione e rielaborazione, per un mondo digitale che costringe a un “elogio del disordine” (Weinberger, 2007), che già nel 1991 alcuni studiosi fra i quali de Kerckhove (1991) hanno evidenziato e rispetto al quale Morin (2001), ha introdotto il paradigma della complessità che ancora oggi, secondo il pensiero di chi scrive, stenta a trovare una collocazione in una alfabetizzazione in cui la “g” che si insegna ai bambini oltre a essere la “g” di gnomo è anche la “g” di Google1! In questa cornice ha preso forma il lavoro che viene qui presentato. Il concetto di conoscenza che per definizione rappresenta l’elaborazione dei saperi di fatto simboleggia una facoltà umana di conoscere, di apprendere, come processo

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Questa affermazione è di Gennaro a 4 anni di fronte a una scheda di un abbecedario tradizionale.


cognitivo, emotivo, relazionale, psicomotorio e a volte è confuso con il termine “sapere”. La relazione che ciascuno ha con il proprio apprendimento riguarda il sapere, il saper fare ma, anche, il Sistema di Riferimento (SdR) (Schiff J.L., 1981; Miglionico, 1998) , che costituisce l’insieme dei filtri mediante i quali si sviluppa la rappresentazione di sé, degli altri e del mondo. (Fregola, 2016). Ci si è chiesti: – quali sono i principali bisogni di apprendimento necessari per la riformulazione della comunicazione sociale e dell’interazione educativa da mettere in relazione con i principi di identità, di identificazione e con il senso di appartenenza? – quali nuovi o rinnovati fabbisogni emergono quando si ricercano risposte conformi a leggere e osservare i contesti, i luoghi e le ricadute nel mondo “interno” delle innovazioni continue? – come si riformula la relazione con la propria esperienza, con le proprie competenze e con la storia del proprio percorso di apprendimento in funzione dei livelli evolutivamente possibili di consapevolezza, comprensione e conoscenza?

Dall’incontro con numerosi studenti, insegnanti, colleghi e analisti transazionali dei vari campi, si è “scoperto” che la conoscenza e la comprensione di alcuni documenti e sperimentazioni che possono essere ricondotte a indicazioni che provengono dalla Comunità Europea in temi di educazione, sono poco noti. Alcuni documenti sono spesso diffusi in modo indiretto e soltanto fra addetti ai lavori e comunque, non sempre costituiscono una base che possa consentire una lettura comune utile per chi si occupa di processi educativi, sociali o dell’approccio al Benessere e alla Salute. Il primo scopo di questo lavoro è quello di condividere gli aspetti salienti di tre di tali documenti; il secondo scopo è quello di proporre alcune riflessioni e i primi risultati che, grazie ad alcune delle indicazioni in essi contenuti, hanno consentito un lavoro di ricerca e sperimentazione sull’applicazione dell’AT nel Campo Educativo finalizzato alla costruzione di ambienti di apprendimento nella complessità che caratterizza il nostro tempo. Si presentano in grandi linee tre documenti: il primo, del 2006, riporta le raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio, sul tema delle competenze chiave per l’apprendimento permanente; il secondo propone una rilettura delle life skills introdotte dell’OMS nel 1993 e orientate alle abilità personali e relazionali utili per gestire positivamente i rapporti tra il singolo e gli altri soggetti nella società della conoscenza. Il terzo documento pone al centro dell’attenzione le Skills del XXI secolo a partire da uno studio del World Economic Forum - WEF (Forum economico mondiale), del 2015.

Approfondiamo -

Tre documenti da consultare

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1. Le raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 20062

Si tratta di un documento che definisce che le competenze chiave per l’apprendimento permanente. Le competenze sono definite come una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto, necessarie per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Nel paragrafo 1.1. dell’introduzione si legge: “I cambiamenti sociali ed economici nell’Unione europea sono forieri di nuove opportunità e di nuove sfide. Oggi i giovani hanno bisogno di una gamma di competenze più ampia che mai per potersi realizzare in un’economia globalizzata e in società sempre più diversificate. Molti faranno lavori che oggi non esistono ancora. Molti avranno bisogno di capacità linguistiche, interculturali ed imprenditoriali avanzate. La tecnologia continuerà a cambiare il mondo in modi che oggi non possiamo immaginare. Problematiche quali il cambiamento climatico ci imporranno uno sforzo di adattamento radicale. In questo mondo sempre più complesso la creatività e la capacità di continuare ad apprendere e innovare conteranno altrettanto, se non di più, di specifiche conoscenze settoriali potenzialmente destinate all’obsolescenza. L’apprendimento permanente rappresenterà la norma”.

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Il documento propone, quindi, la definizione di otto competenze da considerare competenze chiave per integrare i bisogni della società della conoscenza (Alberici, 2009), e del lifelong learning (Aleandri, 2011), in una prospettiva di co-costruzione della cittadinanza europea3.

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– La comunicazione nella madrelingua. Intesa come capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero. – La comunicazione nelle lingue straniere condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la comunicazione nella madrelingua e richiede anche abilità quali la mediazione e la comprensione interculturale e influenzata del retroterra sociale e culturale, dell’ambiente familiare e delle esigenze e interessi specifici di chi impara. – La competenza matematica da intendersi anche come abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. – La competenza in campo scientifico che si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e delle metodologie possedute per

2 3

Queste raccomandazioni sono state pubblicate nella Gazzetta ufficiale L 394 del 30.12.2006. Questo testo fa riferimento a un lavoro pubblicato e qui rielaborato con lo sfondo integratore dell’Analisi Transazionale. cfr. Fregola , C. (2016.a).


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È interessante osservare che le Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione nel 2012 disegnano un profilo di competenze che tiene conto di queste indicazioni.

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spiegare il mondo che ci circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni che siano basate su fatti comprovati. La competenza in campo tecnologico è considerata l’applicazione di tale conoscenza e metodologia per dare risposta ai desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in campo scientifico e tecnologico comporta la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attività umana e la consapevolezza della responsabilità di ciascun cittadino. La competenza digitale che consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa implica abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet. Imparare a imparare intesa come abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli ostacoli per apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta l’acquisizione, l’elaborazione e l’assimilazione di nuove conoscenze e abilità come anche la ricerca e l’uso delle opportunità di orientamento. Le competenze sociali e civiche includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica. Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo. Consapevolezza ed espressione culturale riguarda l’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive4.

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2. Le life skills

Nel 1993 la WHO (Divisione della salute mentale), dell’OMS5 ha identificato le life skills definite come “abilità/capacità che permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale si possono affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana.” Fra le innumerevoli capacità è stato individuato un gruppo fondamentale di ‘skills’ che deve rappresentare il fulcro delle iniziative sulla promozione della salute e del benessere di bambini e adolescenti. Di seguito riportiamo l’elenco di capacità-abilità (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004):

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Leggere dentro sé stessi (Autocoscienza) Riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni) Governare le tensioni (Gestione dello stress) Analizzare e valutare le situazioni (Senso critico) Prendere decisioni (Decision making) Risolvere problemi (Problem solving) Affrontare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività) Esprimersi (Comunicazione efficace) Comprendere gli altri (Empatia) Interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali).

Quando le life skills sono state introdotte, nei primi anni ’90 del secolo scorso, le trasformazioni sociali, economiche e le innovazioni tecnologiche si trovavano in una fase iniziale della rivoluzione e della diffusione che ha portato al mondo attuale di internet, dei social media (Pireddu, 2014). La nostra ipotesi è che in quegli anni si presentavano i primi effetti del cambiamento di paradigma che ha causato il passaggio dalla cultura della linearità, della prevedibilità e delle certezze a quello della complessità i cui effetti oggi sono invece evidenti. Il termine di Life Skills viene generalmente riferito a una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali, che consentono alle persone di operare con competenza sia sul piano individuale che su quello sociale. In altre parole, sono abilità e capacità che permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale sperimentare le capacità di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni”. Sulle life skills in rete si trovano numerose esperienze e sperimentazioni. Sono state integrate nel campo della Salute e del Benessere nell’approccio bio-psicosociale, centrato sulla promozione della salute intesa come sviluppo delle potenzialità umane in una prospettiva in cui la salute fisica e mentale vanno viste tenendo conto dei vari attori che “concorrono nella costruzione sociale della realtà” (Berger e Luckman, 1969). I vari progetti sviluppati per la formazione alle life skills, hanno in comune lo sviluppo di competenze emozionali e relazionali necessarie per gestire efficacemente le proprie relazioni interpersonali in uno 5

Documento dell’OMS “life skills education per bambini ed adolescenti nelle scuole” WHO, Divisione di salute mentale, Ginevra 1994.


scenario già descritto negli anni della loro introduzione. Forse un processo di progressiva consapevolezza dell’opportunità di integrare le life skills nell’alfabetizzazione alla complessità si può riportare agli studi di Prensky (2012, 2010, 2009), quando lo studioso della generazione dei nativi digitali, ha indicato quattro caratteristiche che portano a doverci fare i conti con la complessità: la volatilità, l’incertezza, il caos, l’ambiguità. Queste caratteristiche vanno a influenzare la quotidianità con riferimento alle relazioni interpersonali, a quelle professionali che definiscono i ruoli che si abitano nelle organizzazioni formali e informali.

Il WEF - World Economic Forum (Forum economico mondiale), è un’organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico-privato, impegnato a migliorare lo stato del mondo. È stato istituito nel 1971 come fondazione senza fini di lucro a Ginevra. È indipendente, imparziale e non legato a particolari interessi. L’istituzione mette insieme attentamente studi, ricerche e confronti per bilanciare il meglio di molti tipi di organizzazioni internazionali sia del settore pubblico che privato e delle istituzioni accademiche. Nel 2015 il WEF ha pubblicato un interessante studio6 sulle skills del XXI secolo a partire dalla necessità di una nuova visione dell’istruzione scaturita dall’esame del problema urgente delle lacune di competenze e dei modi possibili per affrontare queste lacune attraverso la tecnologia. Nella relazione, viene proposta un’analisi dettagliata della letteratura di ricerca per definire le 16 competenze più “critiche del XXI secolo”. Lo studio di quasi 100 paesi rivela grandi lacune negli indicatori selezionati per molte di queste abilità - tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, tra paesi dello stesso gruppo di reddito e all’interno di diversi tipi di abilità. Dallo studio si evince un aspetto interessante: se da un lato la tecnologia è posta al centro della sperimentazione del suo stesso uso per supportare i processi apprendimento, per diventare un luogo e un ambiente di apprendimento, dall’altro fa emergere con chiarezza il riposizionamento di alcune competenze che vanno incontro a una ridefinizione di alcune delle loro funzioni. Il documento descrive come i lavoratori hanno bisogno di un diverso mix di competenze rispetto al passato. Oltre alle competenze fondamentali come l’alfabetizzazione e la numerazione, hanno bisogno di competenze come la collaborazione, la creatività e la risoluzione dei problemi, e le qualità dei caratteri come la persistenza, la curiosità e l’iniziativa. Molte forze hanno contribuito a far emergere il bisogno di rifocalizzare e specializzare queste skills, fra queste l’accelerazione dell’automazione e la digitalizzazione del lavoro di routine. Inoltre i cambiamenti nel mercato del lavoro hanno reso evidente la necessità che tutti gli individui, e non solo alcuni, padroneggino queste abilità con un’attenzione alla soluzione di problemi non strutturati e all’analisi efficace delle informazioni.

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Il documento è “scaricabile” all’indirizzo: http://www3.weforum.org/docs/WEFUSA_NewVisionforEducation_Report2015.pdf. Consultato il 25.05.2017.

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3. Le skills del XXI secolo

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“Il cambiamento nella domanda di competenze ha esposto un problema nell’offerta di competenze: più di un terzo delle aziende globali ha segnalato difficoltà a riempire posizioni aperte nel 2014, a causa di carenze di persone con competenze chiave”7. Le skills sono classificate in tre aree: Alfabetismi fondazionali (come gli studenti applicano le competenze fondamentali nei compiti quotidiani) – sapere leggere e scrivere – far di conto – alfabetizzazione scientifica – alfabetizzazione su l’Information and Communication Technologies – alfabetizzazione economica e finanziaria – alfabetizzazione civica e culturale. Competenze, in senso stretto (come gli studenti si approcciano alle sfide complesse) – Pensiero critico/problem solving – Creatività – Comunicazione – Collaborazione.

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Qualità personali (come gli studenti si pongono in relazione con l’evoluzione dell’ambiente) – Curiosità – Iniziativa – Persistenza/tenacia – Adattabilità – Leadership – Consapevolezza del contesto sociale e culturale.

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Figura 1. Le Skills del XXI Secolo8 7 8

Cfr. nota 6. p. 2. Cfr. nota 6. p. 3.


I tre documenti, presentati in un ordine intenzionalmente non cronologico, possono testimoniare che a volte la ricerca di senso avviene a posteriori rispetto alle intenzioni che guidano l’innovazione e la sua implementazione (Weick, 2003). La nostra ipotesi è che si possono recuperare le raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, le life skills in un processo di intenzionalità didattica ed educativa che richiede un ambiente di appredimento all’interno del quale i modelli tradizionali della didattica (Baldacci, 2004; Fregola, 2016) possono essere integrati ponendo le Skills del XXI Secolo come una base per le decisioni didattiche, educative e, anche, di orientamento al Benessere e alla Salute. La rilettura dei modelli si è rivelata preziosa per integrare aspetti dell’AT nei percorsi di formazione dei futuri insegnanti9 (Tosi et alii., 2016; Fregola, 2015 a.,b.,c; 2012).

4. Le antinomie nell’educazione del XXI secolo e la relazione con il proprio apprendimento10

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Dalla fine degli anni ’90 con la prof.ssa Daniela Olmetti Peja e a un gruppo di studenti e dal 2014 con gli allievi in training per l’esame EATA da CTA in campo educativo, si sta portando avanti un’attività di studio e di ricerca finalizzati a integrare l’Analisi Transazionale e il modello dell’Autoefficacia, fra i modelli di apprendimento e gli schemi d’insegnamento all’interno del percorso di formazione dei futuri insegnanti della scuola di base, che frequentano il corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università Roma Tre. Le ricerche sono state presentate a Luton (Fregola, 2012), Cagliari (Fregola 2015. c) e Roma (Tosi R. et alii, 2016). Questo paragrafo è l’approfondimento e l’aggiornamento di un lavoro pubblicato su IAT NEWS, Fregola C. (2012.a). Gli atti, a cura di: Susi F., Cipriani R., Meghnagi D. (2004). Susi F., op. cit. Il riferimento è al libro di Schwartz B. (1995), Modernizzare senza escludere, Roma: Anicia. Cipriani R., op. cit.

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Per chi svolge ruoli educativi in situazioni organizzative formali o informali, la tematica dell’apprendimento si sta portando al centro dell’attenzione in quanto le mutazioni nei paradigmi dell’educazione nella società della conoscenza hanno comportato, e comportano, l’esplorazione di numerosi punti di vista riguardo le sue funzioni, i suoi scopi e gli ambienti intenzionali o meno che lo sollecitano, lo organizzano, gli danno struttura e lo indirizzano verso mete più o meno definite. Nel 2003 si è svolto un convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università Roma Tre dal titolo: Antinomie dell’educazione nel XXI Secolo11. Negli interventi di apertura si trovano tre affermazioni che si riportano di seguito: La prima affermazione, di Susi (2003, p. 10)12, sottolinea come “Le conoscenze, i livelli culturali, le capacità di affrontare e gestire il cambiamento si trasformano più che mai, oggi, in fattori di inclusione ed esclusione, di selezione e gerarchizzazione sociale” è evidente il fattore sociale della conoscenza che dinamicamente si pone a confronto con le tematiche del mutare delle professioni, del modo di definire le organizzazioni e le conseguenze nel modernizzare senza escludere13. La seconda affermazione di Cipriani (2003, p. 15) 14 è la frase di apertura del suo in-

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tervento al convegno: “Ancora una volta chi si occupa e preoccupa di educazione ha da fare i conti con il mutamento in atto con il cambio delle generazioni, con le innovazioni tecniche, con la crisi dei valori, con la messa in discussione delle metodologie educative, dei criteri di valutazione, delle modalità di verifica, dei mezzi di orientamento” e prosegue: “ Se l’educazione non è finalizzata al solo apprendimento di nozioni e di modi di uso degli strumenti, tuttavia c’è da chiedersi se abbia senso in questo nuovo secolo proseguire lungo la strada della formazione educativa finalizzata ad acquisire modelli comportamentali di corretto utilizzo del vivere sociale e di tutte le sue risorse”. Questo aspetto apre al tema delle funzioni dei ruoli educativi nella società della conoscenza e in particolare riconduce direttamente all’antinomia fra cultura e professione. Infine la terza e ultima affermazione è di Maghnagi (2003, p.17)15, che apre il suo intervento con queste parole: “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”. Riporta così il brano del Faust di Goethe e sottolinea che “è stato ripreso da Freud con riferimento al dialogo fra le generazioni in più occasioni … quasi a voler suggellare il significato di un percorso e di una ricerca sui fondamenti dell’identità individuale e collettiva”. Le antinomie dell’educazione del nostro tempo si pongono alla base di questioni cruciali quali la trasmissione di valori, di sapere e di competenze e della ricerca di una rinnovata relazione con il proprio apprendimento. In questo sfondo la relazione fra l’individuo e il proprio apprendimento è in via di riformulazione in rapporto all’evoluzione delle interazioni che egli ha con i saperi educativi e quelli socio-culturali che, spesso, si sviluppano e si modificano mentre si generano. I processi educativi e le finalità dell’apprendimento nel proprio ciclo di vita si pongono così, sempre più, in rapporto con l’esigenza di costruire una propria autoefficacia16 nell’interazione con un ambiente continuamente mutevole. Gli schemi sociali, culturali e professionali relativi all’azione educativa richiedono soluzioni e risposte adeguate e definite per problemi intrinsecamente non sempre ben definiti e l’aspettativa è quella di pervenire a conclusioni definite a partire da informazioni vaghe, ambigue o imprecise (Fregola C., 2011). Ci si trova nel pieno campo di azione delle antinomie17, molte delle quali sono indicate negli atti di quel convegno internazionale che, secondo noi, mantiene la sua attualità. I principali fenomeni dell’innovazione educativa possono essere ricondotte alle antinomie su indicate: locale e globale, singolare e plurale, particolare e generale; uguale e diverso, mutazioni nel rapporto cultura e professione nel tempo e nello spazio in relazione a un mondo globale abitato da innumerevoli localismi; ragione ed emozione; antinomia e progetto. ll ruolo del Campo Educativo trova interessanti sviluppi nell’applicazione dell’Analisi Transazionale nei processi di apprendimento e nella co-costruzione co-

15 Meghnagi D., op. cit. 16 Il riferimento è alla teoria Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni, Trento, Erickson, 2000. 17 Wikipedia riporta la seguente definizione: “L’antinomia (dal greco αντι, preposizione che indica una contrapposizione, e νομος, legge) è un particolare tipo di paradosso che indica la compresenza di due affermazioni contraddittorie, ma che possono essere entrambe dimostrate o giustificate. In questa situazione non è ovviamente possibile applicare il principio di non-contraddizione”.


creativa di ambienti fisici e relazionali (Tudor, 2016; Fregola, 2011; Emmerton e Newton, 2004). A riguardo rileggere W. F. Cornell e J.Hine (2010), oltre a esplicitare le difficoltà nell’individuare linee di demarcazione fra i campi clinici, educativi e del counselling nell’ambito della salute mentale, rendono esplicita la particolarità della formazione nel campo dell’AT che grazie alla netta separazione tra la pratica clinica e quella non clinica rende possibile il perseguire diversi scopi che gli strumenti dell’AT consentono nei processi terapeutici, educativi e di sviluppo della persona. Comunque spesso manca, secondi i due studiosi, una comprensione chiara, un alfabeto di base, di cosa siano teoria e pratica nell’ambito clinico e in quello non clinico e ciò può determinare diversi punti di vista dovuti alle specializzazione e agli ambiti applicativi del modello all’interno dei contesti di applicazione e dei ruoli professionali che operano. Su questo sfondo si muove la nostra ricerca. La conoscenza pertinente La supremazia di una conoscenza frammentata secondo le discipline rende spesso incapaci di operare il legame fra le parti e la totalità, e deve far posto a un modo di conoscenza capace di cogliere i suoi oggetti nei loro contesti, nei loro complessi e nei loro insiemi. Edagar Morin Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’Educazione

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TESTIMONIANZE

Le vicissitudini dei processi di filiazione e affiliazione nelle famiglie migranti

Maria Luisa Cattaneo

abstract

Nel presente articolo viene trattato il tema dell’intreccio fra processi di filiazione e affiliazione nel percorso evolutivo di costruzione dell’identità personale, con particolare riferimento alla complessità che la migrazione introduce. I genitori migranti hanno il duplice compito di accompagnare i loro figli nel mondo della società di accoglienza e di offrirglielo a piccole dosi, come dice Winnicot, e contemporaneamente di trasmettere la lingua e la cultura del proprio paese; i figli sono chiamati a una doppia affiliazione a due culture in un percorso ricco di possibilità ma anche di rischi. Uno dei rischi maggiori è quello di costruire la propria identità sulla scissione fra due mondi e due culture e di ereditare gli effetti di traumi vissuti dalle generazioni precedenti. Nell’articolo si discute, attraverso la discussione di un caso, della possibilità di trattare la famiglia in un setting e con una metodologia transculturali come cura e prevenzione.

This article deals with the theme of how filiation and affiliation processes mingle in the evolution required to build a personal identity, with a special attention for the complexity introduced by migration. Migrant parents have a double function: accompanying their children into the world of the host society and offer it to them in small doses, as Winnicot says, and, at the same time, conveying the language and culture of their own country; children have a double affiliation to two cultures in a trip which is full of opportunities, but also risks. One of the main risks is that of building their own identity on the split between two worlds and two cultures and to inherit the effects of traumas experienced by previous generations. This article discusses how you can prevent this risk by taking care of the family within a transcultural setting and with a transcultural methodology. Keyword: Filiation, Affiliation, Script, Migration, Double belongings

Maria Luisa Cattaneo, Psicologa, Psicoterapeuta, Analista Transazionale clinico T.S.T.A. - EATA marialuiscattaneo@tiscali.it

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Parole chiave: Filiazione, Affiliazione, Copione, Migrazione, Doppia appartenenza

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1. Il processo di filiazione

Essere riconosciuto e riconoscersi appartenente alla propria famiglia (processo di filiazione), trovare un proprio posto nel susseguirsi delle generazioni è fondamentale nel processo di costruzione dell’ identità dell’individuo. È una realtà percepita sia dalla psicologia popolare, che cerca immediatamente le somiglianze e le differenze del nuovo nato rispetto ai membri vivi o morti della famiglia, sia dalle diverse correnti della psicologia moderna. Nella tradizione di molte culture africane il neonato è un antenato che ritorna e, tenuto conto di questo, occorre individuare in modo corretto il nome da attribuirgli affinché cresca bene. Per l’analisi transazionale Berne sottolinea questo aspetto, soprattutto nella sua ultima opera (Berne 1972), attraverso il concetto di copione; egli afferma che gli esseri umani, spinti dal bisogno di carezze e di struttura, sono presi fin dall’inizio della vita nella trama della commedia familiare che si sviluppa da generazioni.

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In un colloquio clinico alcuni copioni possono essere fatti risalire fino ai bisnonni, e se la storia della famiglia è stata perpetuata per iscritto […] si può risalire fino a mille anni addietro. Sicuramente i copioni iniziarono nel momento stesso in cui il primo essere simile a un uomo fece la sua comparsa sulla terra (Berne,1972, p. 64).

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Egli sottolinea che, proprio per questo, la consapevolezza di quanto i nostri genitori e i nostri avi ci possono trasmettere, sia consapevolmente che non, è importante per evitare la ripetizione e scegliere con maggiore libertà la propria vita e il proprio posto nel mondo. Tuttavia, pur argomentando la similitudine dei copioni con i miti e le favole, nonostante affermi che esistano persone con copioni vincenti e processi di trasmissione di messaggi positivi da una generazione all’altra, sviluppa soprattutto un’idea di copione come piano di vita limitante e, con il concetto di “elettrodo”, suggerisce la rappresentazione di un bambino passivo, semplice recettore di messaggi genitoriali, in un processo di filiazione ad una sola direzione. Molti autori di analisi transazionale, fra i primi i W. Cornell (1988) e F. English(1988), criticano questo aspetto della teoria berniana del copione e della sua trasmissione, sottolineando la bidirezionalità della relazione genitori-figli, e il ruolo attivo che fin dall’inizio ha il bambino nell’influenzare il comportamento di chi si prende cura di lui, in sintonia con i risultati delle ricerche più recenti sullo sviluppo infantile (Stern,1987). Si propende per una visione interattiva e dinamica del processo di filiazione, il copione viene inteso come “piano di vita” con funzione strutturante positiva nella vita della persona; il bambino è attivo nella elaborazione dei messaggi ricevuti dalle figure di attaccamento, elaborazione suscettibile di cambiamenti, positivi o negativi, e influenzata da molti fattori. Ciò non toglie che a volte i figli facciano propri alcuni messaggi genitoriali negativi e limitanti, trasmessi anche inconsapevolmente dai genitori, che a loro volta li hanno ereditati da generazioni precedenti e che, se perseguiti nel corso della vita, producono sofferenza, angoscia, o sintomi sia psichici che psicosomatici. La terapia, in questi casi, avrebbe lo scopo di interrompere la trasmissione di questi messaggi da una generazione all’altra, affinché la persona possa creativamente sviluppare la propria vita.


2. Il processo di affiliazione

Il processo di filiazione si sviluppa intrecciandosi con un altro processo, altrettanto fondamentale, quello di affiliazione. Attraverso quest’ultimo ogni individuo viene riconosciuto e si riconosce parte del proprio gruppo culturale. L’etnopsicoanalisi sottolinea l’importanza di tenere conto dell’interazione di questi due processi (Nathan,1996; Moro,1998,2007; Zilkha 2013), considerando la cultura e la sua trasmissione come condizione indispensabile per lo sviluppo psichico. Zilkha ben descrive, a mio parere, le questioni in gioco nelle interazione fra i due processi:

F. Sironi, che ha aperto l’ultimo congresso E.A.T.A. del luglio scorso a Ginevra, allarga ancora l’orizzonte e parla di psicologia geopolitica (Sironi, 2010) in un mondo caratterizzato dalla mondializzazione. L’autrice sottolinea la necessità di dare la dovuta importanza all’impatto delle vicende collettive, quando si tratta di comprendere i processi di costruzione del funzionamento psichico e delle identità delle persone, affermando la necessità di “restaurare” la dimensione politica della psicologia. Mi sembra che questo allargamento di visuale sia in sintonia con l’evoluzione dell’analisi transazionale e con i contributi degli autori citati (Cornell, 1988; English, 1988; Erskine, 1993 et al.), rispetto al concetto di copione e alla possibilità che ogni individuo possa modificare e cambiare il corso della propria vita. Questi autori sottolineano quanto le vicende reali vissute nel corso dell’intera vita possano influenzare la formazione del copione, come eventi favorevoli o luttuosi e traumatici possono rappresentare occasioni per nuove decisioni di copione sia positive, che aprano nuove creative alternative, sia negative con l’introiezione di nuove ingiunzioni. In questa prospettiva si tratta quindi di considerare la persona e la sua famiglia dentro un contesto più ampio, di prendere in esame gli avvenimenti collettivi all’interno dei quali si colloca la storia di quella singola famiglia e di quel particolare bambino o adolescente che ne fa parte. 1

Traduzione a cura della scrivente.

Testimonianze -

Filiazione e affiliazione sono in una certa maniera indissociabili, l’una influenza l’altra e viceversa, le vicende della nostra filiazione pesano sul nostro lavoro di affiliazione e, inversamente, il lavoro di affiliazione, con le sue aperture e le sue costrizioni, esercita una certa pressione sul lavoro di filiazione [.….] Di fatto si potrebbe porre la questione di comprendere come in ciascuno di noi e in un momento dato le questioni della filiazione e dell’affiliazione si articolano o al contrario non riescono ad articolarsi. Nel migliore dei casi questa articolazione non è mai fissa. Essa non è, d’altronde, mai compiuta, […]fluttua seguendo le circostante esterne e le vicissitudini interiori. Possiamo considerare queste questioni dal punto di vista delle identificazioni. Le identificazioni, quelle uscite dalla filiazione e quelle uscite dall’affiliazione, potranno mettersi in tensione e raggiungere l’obiettivo di un risultato personale, caratteristico del soggetto? O resteranno incompatibili, irrimediabilmente condannate a giocarsi su dei terreni diversi: per dirla in breve, la tradizione e i suoi obblighi in casa, l’identificazione ai pari fuori? (Zilkha, pp. 92-93)1

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3. Complessità della trasmissione e dei processi di filiazione e affiliazione nelle famiglie migranti

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Per le famiglie migranti si tratta di prendere in considerazione le condizioni della migrazione, i cambiamenti di quadro culturale che essa impone, gli avvenimenti traumatici vissuti prima della migrazione, durante il viaggio, dopo l’arrivo nel paese di accoglienza. Questa prospettiva allargata, che dà spazio non solo alla dimensione intrapsichica e alla esperienza individuale, ma anche alle vicende collettive e ai cambiamenti culturali di cui ogni vita risente, permette a mio parere di curare meglio e anche di fare meglio prevenzione rispetto alle generazioni successive. Per i genitori migranti il compito di educare i propri figli in terra straniera è particolarmente complesso. La cultura e i valori che essi trasmettono in famiglia sono spesso molto diversi da quelli veicolati dalla scuola e dal gruppo dei pari. Sono i soli depositari, soprattutto nei primi anni di vita dei figli, della loro lingua d’origine, della cultura, della religione. Contemporaneamente devono accompagnare i propri figli nell’ingresso nel paese di accoglienza, devono inserirli nell’asilo nido, nella scuola materna e via via nei vari ordini di scuola, senza conoscere il funzionamento di queste istituzioni. Devono anche lasciare che i figli intreccino relazioni con i gruppi di pari, cioè con individui che appartengono a quella “nuova” società in cui hanno scelto di vivere, società che conoscono poco e di cui i figli diventano in breve tempo più padroni di loro. Non riescono a svolgere pienamente il compito di orientare i figli nel mondo, di offrire loro il mondo a piccole dosi, come dice Winnicott, nei casi migliori incontrano maggiori difficoltà rispetto ai genitori autoctoni. Filiazione e affiliazione per i figli dei migranti avvengono in due lingue diverse, con l’iscrizione in due culture diverse. La famiglia d’origine diviene inoltre non solo luogo di filiazione, ma spesso anche unico luogo di affiliazione alla cultura dei loro genitori. I genitori sono sovraccaricati di un compito molto gravoso in un contesto per lo più difficile: non conoscendo bene il mondo esterno ne hanno paura e tendono spesso a proporre ai figli un’adesione molto rigida a precetti e stili di vita della propria cultura d’origine; gli esiti a volte sono molto conflittuali soprattutto nell’adolescenza. I figli sono costretti a una doppia affiliazione a due culture che spesso vivono come contrastanti e incompatibili. A volte si vergognano della lingua e della cultura familiare, anche a causa dei messaggi svalutanti che arrivano dal mondo esterno (Cattaneo, 2015), e della difficoltà dei genitori nel padroneggiare la lingua e la cultura del paese di accoglienza. I processi di filiazione e affiliazione si confondono e si intrecciano complessificandosi; a volte le difficoltà di affiliazione alla cultura d’origine della famiglia rendono più difficile e dolorosa la costruzione di un attaccamento sicuro con i genitori, a volte i conflitti della filiazione rendono difficile l’iscrizione sia nella cultura dei genitori che in quella della società d’accoglienza. Inoltre in molte famiglie al trauma della migrazione, che comporta la rottura dell’involucro culturale che sostiene il funzionamento psichico ed espone la persona che lo vive ad una esperienza di fragilizzazione di tutti i processi identitari (Nathan,1996;Moro,1998), si aggiungono traumi vissuti dai genitori prima della migrazione, durante il viaggio, dopo la migrazione. Diventa difficile per questi genitori trasmettere lingua e cultura, sono i padri e le madri silenziosi che anche davanti alle domande dei figli non parlano volentieri della propria storia, della


famiglia d’origine, dei nonni e della famiglia allargata rimasta al paese, lasciando i figli nella non conoscenza delle propria storia, delle proprie radici; si verifica una interruzione di trasmissione della storia familiare e culturale che rende fragili e insicure le loro identificazioni. Gli effetti dei traumi non elaborati si trasmettono di generazione in generazione, soprattutto attraverso l’assenza di parole, attraverso i segreti di famiglia, la comunicazione non verbale, come ci ricordano tutte le attuali teorie sul trauma2. Possiamo leggere attraverso questo paradigma le teorie di Berne circa il copione e la sua trasmissione. Nathan e Moro, dal canto loro, sottolineano come le difficoltà psicologiche e identitarie delle seconde e delle terze generazioni siano spesso il risultato della trasmissione di vissuti traumatici, di genitori e/o di nonni, legati alla migrazione.

4. Interventi terapeutici

Molte famiglie migranti si rivolgono ai terapeuti per le difficoltà di relazione con i figli, difficoltà che spesso questi ultimi manifestano con sintomi psico-somatici, disturbi della condotta scolare, affiliazione a bande, ritiro scolastico, gravidanze precoci in adolescenza. In questi casi, come clinici, abbiamo il compito di aiutare questi bambini e adolescenti in difficoltà nel loro percorso di crescita; hanno bisogno di supporto per evitare che costruiscano la propria identità sulla scissione fra due mondi, due culture, come sostengono Zilka e Moro nei loro scritti. Si pone il problema di come impedire o mitigare il processo di parentificazione, che spesso vivono, e di come interrompere la trasmissione degli effetti di eventi traumatici, individuali e collettivi, vissuti dalle generazioni precedenti. L’obiettivo è facilitare il processo di meticciamento a cui sono costretti i migranti e i loro figli (Moro, 1998), sostenendo le risorse e la resilienza delle famiglie. In questo senso, nel servizio in cui lavoro3, abbiamo cercato di mettere a punto modalità di cura che considerino questa complessità (a cura di Cattaneo, Dal Verme, 2009). Vorrei accennare brevemente alla storia di una famiglia e a come l’abbiamo seguita, per dare un’idea del nostro modo di intervenire e operare. 4.1 Una storia

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In Schutzenberger, 2015 si trova una interessante rassegna dei diversi autori sia in campo psicoanalitico che sistemico che si sono occupati in particolare di questo aspetto; tra essi citiamo N. Abraham, M. Torok, I.Boszrmenyi-Nagy, Mara Selvini Palazzoli Si tratta del Servizio di clinica transculturale per i minori migranti e le loro famiglie gestito da un’ équipe di terapeuti e mediatori linguistico-culturali della Cooperativa Crinali di Milano. Nel servizio citato lavoriamo in un setting particolare, tipico della clinica transculturale, costituito da un gruppo di terapeuti, di mediatori di diversa origine culturale e da un interprete della lingua d’origine della famiglia, che riceve la famiglia

Testimonianze -

La famiglia F. viene ricevuta dall’équipe di terapeuti e mediatrici linguistico culturali con cui lavoro, nel Servizio di clinica transculturale, su segnalazione dell’assistente sociale del paese di residenza. L’A.S. ha conosciuto la famiglia, che proviene da un paese dell’Africa sub sahariana, per la richiesta di informazioni sui servizi del ter-

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ritorio, fatta dal marito in occasione del ricongiungimento della moglie, dopo circa cinque anni dal suo arrivo in Italia. La coppia ha un bambino di quattro anni, nato in Italia, che frequenta la scuola materna. L’A.S. ci invia la famiglia a causa della grande sofferenza della coppia, in seguito all’interruzione spontanea di una seconda gravidanza. Soprattutto il padre appare depresso, piange spesso; la moglie non sa come sostenerlo, essendo anche lei molto provata da questo avvenimento. A detta della moglie, inoltre, fin dal suo arrivo il marito è stato molto silenzioso e chiuso, sia con lei che con il figlio, pur manifestando loro amore e rispetto. Il figlio, così piccolo, ci appare già a rischio di parentificazione. Quando li riceviamo, il padre, che da qui in avanti chiamerò K., ci manifesta tutto il suo dolore, piange in seduta, la moglie gli rimane vicina non sapendo come consolarlo, il figlio va in braccio a lui e gli accarezza il viso. Emerge rapidamente che, nonostante il buon inserimento lavorativo di K., la famiglia vive una condizione di grande solitudine, l’assistente sociale e noi siamo le uniche persone con cui la coppia si permette di esprimere il dolore. Abbiamo per prima cosa accolto loro e la sofferenza per questa gravidanza non riuscita, che avrebbe fatto aumentare la famiglia, rendendola sempre più tale nel quadro di riferimento culturale della coppia (in una logica africana, un solo figlio non è sufficiente a definire una famiglia); in un secondo momento abbiamo loro proposto di ricostruire insieme la loro storia, per comprendere meglio la situazione attuale. Hanno accettato di buon grado e il padre ha ricordato un proverbio africano che dice: “ Quando non sai dove andare occorre sedersi e guardare indietro la strada da cui sei venuto”. Ricostruendo la storia della coppia emerge che quando K. è partito per l’Italia la moglie era incinta e che, a causa della mancanza del permesso di soggiorno, non è potuto tornare, non solo al momento della nascita del figlio ma nemmeno al momento della sua morte: il figlio, infatti, è morto all’età di tre anni per un tumore. L’interruzione di gravidanza attuale fa riemergere tutto il dolore non elaborato per questa perdita, vissuta dall’uomo nella lontananza e nell’assenza. La donna dice: “ Per me è stata dura, ma l’ho vissuta, avevo vicino la mia famiglia e ho potuto superare quel momento. Per lui è stato peggio, era lontano, non ha potuto conoscere suo figlio, non ha potuto essere presente alla sua morte, al funerale, era lontano ed era solo”.

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Le condizioni e le leggi che regolano i processi migratori, che fanno parte delle vicende più ampie in cui oggi le migrazioni si svolgono in Europa e nel nostro paese, hanno determinato l’impossibilità per quest’uomo di tornare al suo paese in momenti cruciali della storia familiare e questo ha fatto sì che a trauma si aggiungesse trauma.

Di fronte al ripetersi della sventura emerge prima l’atteggiamento di sottomissione a Dio (sono musulmani), poi un po’ alla volta il sospetto, condiviso da entrambi, che all’origine degli avvenimenti infausti ci siano alcuni fratelli di lui, invidiosi da sempre della sua riuscita, prima scolastica e poi lavorativa; i fratelli potrebbero aver fatto “qualcosa”(malocchio, fattura…) per colpire lui e la sua famiglia. Cominciamo a costruire insieme su un grande foglio il genogramma, emerge che K. proviene da una famiglia poligamica, in cui è l’unico figlio della madre, che ha divorziato dal padre ed è morta poco dopo quando lui era ancora molto giovane (un’altra morte improvvisa e “strana”). Durante la sua migrazione è


Nelle sedute riprende la trasmissione al figlio della storia della famiglia, di quella della madre e soprattutto di quella del padre segnata da molteplici traumi, trasmissione che prima sembrava impossibile; il silenzio proteggeva difensivamente sia il padre che la madre dal contatto con il proprio dolore.Riprende anche la trasmissione della cultura e il confronto fra culture diverse congelata anch’essa dai vissuti dolorosi di K. rispetto alla sua infanzia. Uno strumento che ci ha aiutato molto con questa e con molte altre famiglie, è il genogramma (in accompagnamento alle carte geografiche); stiamo constatando che si tratta di un potente strumento terapeutico. È una specie di “oggetto transizionale” che favorisce l’alleanza terapeutica con la famiglia; favorisce infatti che noi e la famiglia (i diversi membri della famiglia, sia i genitori che i figli, i bambini e gli adolescenti spesso si divertono a partecipare attivamente) ci mettiamo insieme davanti ad un grande foglio bianco e davanti ad una carta geografica del paese di origine dei genitori come “ricercatori di senso” da attribuire alle vicende attuali della famiglie e alle difficoltà del momento, come narratori di una storia. Questo facilita enormemente la ricostruzione di un racconto condiviso, permette di esplicitare il diverso senso che i vari membri attribuiscono agli avvenimenti e ai diversi personaggi familiari, favorisce cioè l’attivarsi di quella “funzione narrativa dell’Adulto”(Stuthridge, 2006), che permette la nominazione prima e l’elaborazione poi dei conflitti e dei traumi. L’uso che facciamo del genogramma nelle sedute familiari assomiglia a quanto afferma Schutzenberger (Schutzenberger, 2015) quando parla di “genosociogramma” che definisce così: il genosociogramma è una sorta di albero genealogico fatto di memoria (cioè senza ricerca di informazioni e di documenti) completato con gli avvenimenti di vita importanti (con le loro date e i loro legami) e con il con-

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morto improvvisamente anche il padre e lui non ha potuto essere presente al funerale. Emerge l’immagine che K. ha di sé come figlio solo e in pericolo, in questa grande famiglia piena di rivalità nascoste, della quale non può fidarsi, caricato fin da piccolo della responsabilità di sostenere la madre, seconda di quattro mogli del proprio padre. Egli ha cercato di “riuscire” nella vita, affinché sua madre si sentisse orgogliosa di lui con gli altri, si è sforzato continuamente, sempre ostacolato dalla rivalità dei fratelli, sobillati dalle loro madri. Ricostruiamo a poco a poco la storia, disegnamo il genogramma, ricco di personaggi sia nella famiglia di lui che di lei, passando dalla lingua madre della famiglia all’italiano, a seconda dei momenti e della scelta della coppia, grazie alla presenza in seduta di un interprete. Il piccolo Mohamed ci sta ad ascoltare attentamente, mentre disegna seduto a un tavolino al centro della stanza; interviene per comprendere bene la sua posizione all’interno del genogramma; sapeva del fratellino morto prima che lui nascesse, ma chiede spiegazioni sull’assenza del padre e sui molti parenti che non conosce, ascolta vicende di cui non aveva mai sentito parlare, soprattutto è interessato all’infanzia del padre. Il padre e la madre esprimono, tra le altre cose, il loro desiderio di vivere in una famiglia monogamica, lei dice che non tollererebbe un’altra moglie nella vita del marito e K., a sua volta, sostiene di aver sofferto troppo come figlio, per lasciare che un altro possa ripetere questa esperienza. Ci confrontiamo in gruppo sui vari modelli di famiglia esistenti nei diversi paesi e nelle diverse culture. Si discute sui cambiamenti che stanno avvenendo a questo proposito nel paese d’origine. Mohamed ha le orecchie tese, interessatissimo.

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testo affettivo (legami sociometrici rappresentati da frecce o da tratti colorati). Il genosociogramma non è soltanto un albero genealogico che descrive la parentela. Ciò che è importante è il modo con cui l’autore di questo albero fantasmatico percepisce i personaggi e i legami che li uniscono e che lo legano ad essi (Schutzenberger, 2015, p. 85)4

Durante le sedute Mohamed inizia a cambiare il suo atteggiamento verso il padre, gradualmente se ne preoccupa di meno, comincia a esprimere spontaneamente i suoi bisogni di attenzione, facendo vedere, quando ne sente il desiderio, i suoi disegni ai terapeuti, che li commentano e ne rilevano il significato rispetto a quanto raccontano i suoi genitori. Adesso sembra sapere che c’è qualcun altro che si può prendere carico della sofferenza del padre, non tocca più a lui. Una terapeuta del gruppo, durante una seduta, esprime a voce alta questo nuovo modo di porsi del bambino che annuisce, guardando il padre che gli sorride. L’uomo appare via via sollevato, non piange più, la sua voce diventa più ferma, riferisce di dormire meglio, di sentirsi più sereno, sente più fiducia in un futuro in cui Dio sicuramente lo proteggerà. Nelle sedute si intrecciano una pluralità di registri di lettura delle cause delle sofferenze attuali della famiglia, possono trovare spazio e legittimità letture psicologiche dei traumi vissuti, letture che fanno riferimento alla religione, letture legate ad eziologie tradizionali proprie della cultura di provenienza della famiglia. Il gruppo terapeutico si fa contenitore “meticcio” di questa pluralità di ipotesi che possono essere tutte nominate senza vergogna e quindi circolare liberamente favorendo quel processo di meticciamento5 a cui ogni migrante è “ costretto” (Moro, 1998). Questo previene dunque il rischio che Mohamed si costruisca un’identità fondata su processi di scissione fra due mondi e due culture.

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La moglie dopo sette/otto mesi dall’inizio della presa in carico rimane incinta di nuovo. Ce lo rivelerà solo al quarto mese, fino ad allora non ne ha parlato con nessuno per proteggere la gravidanza; è comunque andata dal ginecologo e si fa seguire con visite regolari. Gli incontri si diradano su iniziativa della famiglia, che sente di avere meno bisogno di supporto ed è presa da impegni che la nuova gravidanza comporta. Inoltre il padre ha cambiato l’orario di lavoro e gli è più difficile essere presente ai nostri incontri. Restiamo in contatto telefonico fino alla nascita del nuovo arrivato, un altro maschio, che sta bene.

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Il gruppo terapeutico accetta l’elasticità nel ritmo degli incontri, lo co-costruisce insieme alla famiglia e all’A.S. inviante, sulla base delle esigenze della famiglia, dei cambiamenti che sono intervenuti nel contesto di vita, mantiene la relazione a distanza.

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La traduzione è a cura della scrivente. F. Laplantine ha dedicato numerosi scritti al concetto di meticciamento. Egli afferma “ Il metissage […] suppone l’incontro e lo scambio tra due termini […]. Non l’uno o l’altro […] ma l’uno e l’altro, l’uno non diviene l’altro, né l’altro si riassorbe nell’uno. Il pensiero del metissage è un pensiero della mediazione e della partecipazione ad almeno due universi. […] Il pensiero del metissage è, al contrario del mescolamento […], un pensiero della tensione, che significa un pensiero risolutamente temporale, che evolve attraverso le lingue, i generi, le culture, i continenti, le epoche, le storie e le storie di vita”(Laplantine, 1997, pp. 66-71, traduzione ad opera della scrivente).


La famiglia ci tiene a venire dopo la nascita un’ultima volta per presentarci il nuovo nato e ringraziarci dell’aiuto ricevuto: arrivano con una grande torta, bibite, e tutto l’occorrente per mangiare e bere. Mangiamo e beviamo insieme, e nella parte finale ci sediamo di nuovo in cerchio. K. ci tiene a sottolineare il senso di questo incontro: si tratta di ristabilire almeno simbolicamente una reciprocità nella relazione, noi abbiamo dato molto a loro, loro ricambiano su un altro registro, nel momento in cui ci salutano ringraziandoci, noi accettiamo di buon grado. È una specie di danza relazionale. I genitori ci appaiono sereni, contenti del nuovo assetto familiare. Mohamed sa mettere in parole la sua ambivalenza verso il fratellino, gli vuole bene ma anche no quando la mamma si occupa troppo di lui. Anche il gruppo è contento; nella discussione che avviene di prassi dopo la fine delle sedute, qualcuno esprime la frustrazione per non aver potuto continuare la presa in carico, sono rimasti aperti molti fronti, i conflitti di K. con la sua famiglia d’origine sono ancora irrisolti, il lutto per la morte del padre sarebbe stato da elaborare ancora, ecc. È utile e importante rispettare le decisioni che la famiglia ha preso, noi siamo chiamati ad accettare questa scelta. Molti di noi sottolineano che esserci presi cura dei traumi del padre (e in parte anche della madre), durante e dopo la migrazione, ha permesso di interrompere la trasmissione degli effetti dolorosi di questi eventi da una generazione all’altra. Mohamed si è riposizionato nel suo ruolo di figlio, si è differenziato e allontanato dal ripetere la storia del padre che invece, fin da piccolo, si era caricato del compito di sostenere la propria madre per impedire che affondasse in una depressione profonda.

Emerge dal caso riportato l’importanza di lavorare con tutta la famiglia quando si individua che il disagio dei genitori sta influenzando negativamente il processo di costruzione di sé dei figli, quando c’è il rischio che gli effetti traumatici della migrazione interrompano la trasmissione della storia familiare e della cultura. Il lavoro con la famiglia non esclude la possibilità, quando se ne individui la necessità, di fare terapia individuale con qualcuno dei membri sia con un genitore che un figlio/a, in una logica a “geometria variabile” (Moro, 1998). Uno degli obiettivi più importanti è quello di co-costruire con la famiglia una storia nuova, un nuovo racconto che valorizzi le risorse di ciascuno nel passato, nel presente, nella proiezione verso il futuro, sottolineando la dimensione “epica” delle migrazioni, viste nel contesto più ampio della storia dei diversi paesi e del mondo. Vengono usati a questo fine riferimenti culturali provenienti da culture diverse, la nostra e quella dei nostri pazienti, nella consapevolezza che le rappresentazioni culturali di cui tutti siamo portatori, sono il contenitore all’interno del quale possiamo dare senso alla nostra esperienza, in un processo dinamico e di meticciamento reciproco. Viviamo tutti in un mondo che cambia a una velocità mai conosciuta nella storia dell’umanità, che porta con sé grandi spostamenti di popolazioni all’interno dei singoli paesi e a livello internazionale. In questi processi mantenere i propri legami di attaccamento, coltivare la capacità di costruirne di nuovi e la fiducia di base nella vita e nell’Altro, diventa una delle sfide più grandi per chi attraversa i mari e i deserti per arrivare in Europa(Moro 1998, 2007; Sironi, 2010). Questi processi ci interpellano come clinici a livello etico, e costituiscono una sfida di

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Conclusioni

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grande interesse sul piano della teoria e della tecnica. Vorrei concludere con una citazione di L. Carroll: “l’Unicorno stava per continuare quando s’avvide di Alice. Si voltò immediatamente e stette a guardarla con l’aria del più profondo disgusto. – Che cosa… è… mai? – disse finalmente. – Una bambina – rispose subito Fortunello, mettendosi di fronte ad Alice per presentarla, e stendendo ambo le mani verso di lei in atteggiamento anglosassone. – L’abbiamo trovata oggi. È grande dal vivo e più che naturale. – Io avevo creduto sempre che fossero dei mostri favolosi – disse l’Unicorno. – È viva? – Può parlare – disse Fortunello solennemente. L’Unicorno guardò Alice come in sogno, e disse: – Parla, bambina. Alice non poté non schiudere le labbra a un sorriso, mentre cominciava: – Non sapete, anch’io avevo sempre creduto che gli Unicorni fossero mostri favolosi. Non ne avevo visto ancora uno vivo. – Bene, ora che ci siamo visti tutti e due, — disse l’Unicorno — se tu crederai in me, io crederò in te. Accetti il patto? – Sì, se vi piace” (Carroll, 1995, orig. 1872, p. 57).

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RECENSIONI Tinley T. l “Dictionary of Transactional Analysis ” di Tony Tinley

Qualche anno fa (1998) è stato pubblicato in Inghilterra il Dictionary of Transactional Analysis a cura di Tony Tinley, l’intento e lo sforzo di questo volume è quello di fornire una sorta di mappa di terminologia analitico transazionale comparata con riferimenti puntuali ad articoli e autori che hanno coniato alcuni termini o li hanno utilizzati in una accezione particolare. Oltre a fornire definizioni, il volume ha il pregio di fornire anche spiegazioni dei singoli termini, aspetto che lo rende estremamente utile sia per orientare chi è estraneo all’AT e desidera farsi un’idea dei concetti teorici, sia per chi operando nei diversi campi di applicazione dell’AT sia curioso di collocare la terminologia all’interno di un contesto chiaramente definito. Determinando infatti l’origine dei concetti è possibile comprenderne meglio l’evoluzione, chiarire significati e accezioni dei singoli termini, rendere possibile una riflessione su collegamenti epistemologici. Nelle parole dell’autore l’analisi transazionale viene definita come un approccio che coniuga l’analisi delle interazioni interpersonali con l’analisi dei processi intrapsichici integrando entrambi i punti di vista attraverso lo sviluppo di una nuova teoria, quella degli stati dell’io, che ha potuto rendere pos-

sibile questa integrazione trasformando la teoria in una risorsa condivisa che può essere utilizzata da terapeuta e cliente insieme. In questo approccio il contributo della personale posizione filosofica di Berne, profondamente radicata nelle teorie umanistiche, viene sottolineato come aspetto che fa da sfondo allo sviluppo del pensiero analitico transazionale. Il volume riflette ovviamente lo stato dell’arte dell’AT fotografata nelle sue evoluzioni teoriche al momento della pubblicazione, è perciò interessante notare che nella definizione delle scuole AT vengono citate le tre originarie scuole di pensiero, la scuola Classica, la scuola della Ridecisione, la Cathexis, indicando che “una nuova scuola di pensiero sta emergendo e mira ad integrare l’AT con alcuni aspetti del pensiero psicanalitico” collegando questo approccio a due autori: Carlo Moiso e Richard Erskine, l’orientamento emergente viene definito da Ian Stewart in termini di “Rinascimento psicanalitico”. L’autore individua la posizione teorica dell’AT descrivendola come una teoria che “…mette insieme il punto di vista psicodinamico ed evolutivo della psicanalisi con un’attenzione al contesto interpersonale in cui l’individuo si

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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London: Whurr Publishers ltd.

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trova ad operare. La teoria strutturale degli stati dell’io fornisce un modello intrapsichico, la teoria delle transazioni fornisce un modello interpersonale e la teoria degli stati dell’io funzionali (..)connette entrambi fornendo una modalità sistematica per collegare i comportamenti agli stati interni. Il risultato è un modello dell’individuo all’interno di un contesto sociale in grado di tenere conto delle dinamiche dell’inte-

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ro sistema.” “Attraverso la loro capacità di modellare l’intero sistema interpersonale le teorie dell’analisi transazionale sono in grado di offrire opzioni di intervento in molteplici punti all’interno del sistema stesso”. Completa il volume un’appendice con i premi Berne e con il codice dell’EATA nella versione precedente a quella del 2007.


AGENDA di Benedetta Fani

Berlino, 27-29 Luglio 2017 World Conference of Transactional Analysis Boundaries – A place…to meet… to develop… to define identity Per ulteriori informazioni: https://tawc2017.berlin/en/

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

IAT Journal - II • n. 1 - 2016

Pistoia, 12-14 Maggio 2017 Giornate IAT L’ANALISI TRANSAZIONALE IN GIOCO: la dimensione ludica dell’esistenza e della relazione interpersonale

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Benedetta Fani

IAT Journal - II • n. 1 - 2016

Psicologa. Specializzata in psicoterapia dinamica integrata presso il Centro Psicologia Dinamica di Padova. Attualmente in contratto EATA per CTA. Collabora con l’IAT. bene3@hotmail.it>

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LE PROFESSIONI

Mediando si impara

Stefania Petrera

abstract

Il presente contributo affronta il tema della gestione dei conflitti proponendo la pratica della mediazione come opportunità per aprire nuovi canali di comunicazione e come strumento pedagogico che può svolgere una funzione coadiuvante nelle dinamiche, nei processi e nelle relazioni. La cultura orientata alla mediazione esercita un’azione socio-educativa efficace nel fondare il senso di responsabilità civica dei giovani e nel rafforzarne l’identità attraverso la valorizzazione della prassi discorsiva, che consente il riconoscimento di sé nel dialogo con l’altro. All’interno del contesto scolastico, in particolare, consente di far conoscere un modo diverso di affrontare i contrasti interpersonali, offre una modalità alternativa alla fuga e all’aggressione, dimostrando agli studenti (ma anche agli adulti) quanto sia importante imparare ad accettare l’altro, accoglierlo, ascoltarlo per essere ascoltati.

This paper addresses the issue of conflict management proposing the practice of mediation as an opportunity to open innovative channels of communication and also as a pedagogical tool that can play support function in dynamics, processes and relationships. Mediation- oriented culture generates an effective socio-educational action in establishing a sense of civic responsibility in young people while strengthening identity through the development of a talking practice, which allows self recognition in dialogue with the other. Within the school context, particularly, it allows introducing a different way of dealing with interpersonal conflicts, provides an alternative to flight and aggression, demonstrating to students (and to adults too) the importance of learning to accept the “other”, to welcome him, to listen to him so as to be listened to as well. Keyword: Conflict, Mediation, Communication, Life Skills

Pedagogista. Giudice Onorario c/o la Corte d’Appello di Roma -sezione per i minorenni. Tutor organizzatore di tirocini didattici c/o il CdLM in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi “Roma Tre” © Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Parole chiave: Conflitto, Mediazione, Comunicazione, Life Skills

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1. I presupposti per la cultura della mediazione

La legge 12 luglio 2011 n° 112 istitutiva dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha fra i suoi scopi quello di favorire “lo sviluppo della cultura della mediazione e di ogni istituto atto a prevenire o risolvere con accordi i conflitti che coinvolgano persone di minore età, stimolando la formazione degli operatori del settore (art. 3 lettera o)”. Il verbo mediare significa interporsi, conciliare, comporre, intervenire a favore, fare da tramite per aprire nuovi canali di comunicazione tra parti in conflitto. Descrive, dunque, un percorso relazionale tra due o più persone volto alla risoluzione di dissidi di natura sociale, culturale, penale sorti tra soggetti al fine di metterli in comunicazione e trovare le basi per una pacificazione, risultato cui è possibile arrivare solo dopo averne individuato le cause (Pisapia, 1997). In ambito internazionale sono state tracciate delle linee di base comuni affinché la formazione degli educatori, degli insegnanti e degli operatori giuridici e psico-sociali possa garantire una conoscenza teorica sui temi del conflitto, del diritto, dei processi sociali e psicologici unitamente all’acquisizione delle competenze operative necessarie per agire in ogni fase del processo di mediazione, gestendone gli aspetti organizzativi. Ciò in quanto la Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo - firmata a New York nel 1989 e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n° 176 è stata il primo atto normativo che ha definito la necessità di impostare gli interventi destinati all’infanzia e all’adolescenza secondo tre prospettive: la protection ossia la protezione, la partecipation, la partecipazione, la provision o prevenzione. Gli Stati firmatari, pertanto, sono tenuti a legiferare nel segno di tali linee d’indirizzo per agire sulle cause di disagio esistenziale e garantire la protezione dei minori nei contesti intra ed extrafamiliari. I cambiamenti sociali già intercorsi e lo sviluppo di prospettive interdisciplinari, interculturali, intergenerazionali, che sempre più caratterizzeranno il terzo millennio, stanno richiedendo ai professionisti che - a vario titolo - tutelano il diritto allo sviluppo armonico della personalità dei soggetti in età evolutiva di acquisire e potenziare nuove competenze professionali in chiave mediativa.

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2. Il ruolo di mediazione sociale svolto dalla famiglia

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Molti studi evidenziano che la transizione dall’adolescenza alla vita adulta è influenzata dalla competenza e dall’abilità manifestate dalla famiglia nell’assolvere i compiti di mediazione con l’ambiente sociale. La famiglia è un sistema che si autoregola e che può generare disagi e sofferenze qualora assuma caratteristiche disfunzionali giungendo persino a favorire percorsi devianti dei suoi componenti. Ma è anche un ambiente sistemico culturale e biografico privilegiato che vincola e contestualizza le autoregolazioni degli individui che vi appartengono, oltre alle loro scelte, ai percorsi devianti e agli stessi tentativi di cambiamento, con una tipica tendenza omeostatica ad “utilizzare” funzionalmente episodi ed eventi devianti in rapporto a esigenze e scopi propri del sistema familiare (Malagoli Togliatti, Ardone, 1993). La coesione tra i suoi membri è legata alla qualità e all’intensità dei legami


affettivi esistenti, rimandando ai confini tra i sottosistemi e tra le generazioni, agli interessi comuni e al senso d’intimità (Malagoli Togliatti, Cotugno 1996). È innegabile che negli ultimi decenni, sulla scia delle trasformazioni sociali e di costume, la struttura familiare abbia subìto grandi mutamenti. Il nucleo si è andato sempre più riducendo nelle sue dimensioni e, con l’aumento dei divorzi, si è assistito alla costituzione di famiglie “atipiche”, caratterizzate da un solo genitore e i rispettivi figli, oppure alla formazione di nuclei recentemente denominati “famiglie ricostituite” (Malagoli Togliatti e Montinari, 1995). Secondo la prospettiva dell’apprendimento sociale, la probabilità che un adolescente commetta un atto delinquenziale aumenta quando i genitori, gli adulti significativi o i coetanei forniscono o rinforzano maggiormente modalità di comportamento antisociale piuttosto che prosociale, oppure quando le figure rappresentanti l’autorità non puniscono in maniera efficace le condotte trasgressive (Palmonari, 1993). L’importanza rivestita dalla famiglia e dal gruppo dei pari in adolescenza è un aspetto molto discusso, poiché se in alcune situazioni la prima agisce da fattore protettivo nei confronti del gruppo, in altri casi è quest’ultimo che sopperisce alle mancanze familiari. Per tali motivi non è corretto generalizzare così come non è possibile stabilire una relazione certa e diretta di causa ed effetto fra la tipologia di famiglia cui il ragazzo appartiene e il tipo di comportamento (più o meno deviante) che questi assumerà.

Nel corso dei secoli, il concetto di devianza ha assunto molteplici significati e valenze poiché essa viene definita sulla base della cultura del gruppo sociale dominante, quindi è importante considerare che alcuni atteggiamenti e comportamenti variano e vengono diversamente sanzionati a seconda del periodo storico e dei contesti normativo e sociale di riferimento. Ad esempio, nell’attuale ordinamento italiano il Tribunale per i minorenni è inteso come “giudice” specializzato nelle materie civili, penali e rieducative. In particolare nel modello di giustizia penale delineato dal DPR 22 settembre 1988 n°448 e recante l’approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, la normativa processuale è applicata in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minore per il preciso scopo di favorire il suo recupero e il reinserimento sociale. A tal fine il Legislatore ha previsto il compimento degli accertamenti sulla personalità dell’autore di reato (cfr. art.9) nella convinzione che i comportamenti devianti siano - nella maggioranza dei casi - la spia di un disagio diffuso che coinvolge i giovani e che si estrinseca in modalità di comportamento antisociali. Disagio che a volte nasce o, più semplicemente, non trova spazio di esplicitazione e occasione di contenimento nell’ambiente familiare e che, attraverso il gruppo dei pari, traduce il malcontento e la problematicità individuali in forme di relazione e comunicazione non lecite. Aggressività; comportamenti di opposizione; violazioni dello status personale (uso di droghe, marinare la scuola, bestemmiare); violazione della proprietà altrui (furti e vandalismo) sono le principali tipologie di condotte trasgressive manifestate da alcuni giovani.

Le professioni -

3. Devianza e sistemi socio-culturali

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La letteratura nazionale e internazionale ribadisce la stretta relazione esistente tra i fattori di rischio connessi alla carriera deviante e il ruolo determinante svolto dalla famiglia nella delicata fase dell’adolescenza, così come sottolinea che il supporto educativo fornito dalla famiglia favorisce l’integrazione della personalità in evoluzione e garantisce il contatto con la società di appartenenza (D’Alessio, Schimmenti, Cherubini, 1995).

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4. Scuola e mediazione

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La mediazione scolastica è nata in parallelo con la mediazione familiare. Nel 1981 se ne attuarono i primi programmi a San Francisco, con le caratteristiche della cosiddetta “peer mediation” che prevede che si istruiscano alcuni ragazzi sulle tecniche d’ascolto e sulla gestione dei conflitti, per poi lasciare che siano loro stessi ad intervenire nelle situazioni conflittuali tra pari. Nel 1983, a Bruxelles si svilupparono percorsi di mediazione per facilitare il dialogo tra genitori ed insegnanti. In tali casi si realizzarono programmi di formazione alla gestione del conflitto: a genitori e a insegnanti venivano fornite conoscenze sia sulle caratteristiche del conflitto sia sulle modalità di utilizzo degli strumenti dell’ascolto e della comunicazione in generale. Lo scenario scolastico attuale è caratterizzato da episodi sempre più frequenti d’intolleranza, prepotenza e bullismo ospitando, in alcuni casi, comportamenti caratterizzati da prevaricazione, esclusione e violenza psicologica tra allievi e allievi, docenti e allievi, docenti e docenti, come pure tra allievi, docenti e genitori. Ma è pur vero che i conflitti socio-cognitivi sono il motore dello sviluppo intellettivo e un individuo riesce a progredire intellettualmente se in lui si crea un disaccordo tra il proprio punto di vista e quello altrui. Nell’età evolutiva le fasi dell’ostinazione, attraverso l’attivazione di dinamiche conflittuali, consentono all’individuo di differenziarsi dall’adulto, sviluppando una propria personalità e prendendo coscienza di sé. La crescente considerazione del conflitto come evento normale e inevitabile nella vita di ognuno può, pertanto, spingere verso una sua considerazione positiva e verso una piena accettazione del suo verificarsi, aiutando ogni individuo ad accettare con maggiore naturalezza i disagi che esso comporta. Ne consegue che la pratica della mediazione può rappresentare un’occasione privilegiata per favorire la decodifica e l’interpretazione delle relazioni e delle differenze culturali all’interno del contesto scolastico ed attuare interventi educativi a prevenzione di comportamenti antisociali. Secondo Adolfo Ceretti (2000), il mediatore è quel «terzo che permette a un soggetto di aprirsi all’altro, di porre soprattutto l’antagonista come ‘altro’ e di porre se stesso come ‘altro possibile’», esercitando il ruolo di un professionista formato e competente che non giudica, non impone soluzioni ma offre opportunità di dialogo tra le parti nell’ambito di uno spazio protetto, libero e confidenziale. Dal punto di vista educativo gli obiettivi generali della mediazione possono essere individuati nella promozione dello sviluppo di abilità empatiche; nell’incremento delle capacità di attivare dinamiche di maggior rispetto reciproco; nella padronanza di avere e manifestare rispetto degli altri e della cosa pubblica; di imparare a favorire una serena convivenza sociale ed individuale.


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La mediazione, negli anni, si è rivelata non solo un procedimento ma anche una metodologia tra le più efficaci per risolvere i conflitti nel contesto scolastico. Può essere considerata come applicazione del problem solving nella comunità scolastica al cui interno ci sono “luoghi psicologici” in cui possono nascere dinamiche di opposizione. La Scuola, oltre ad essere l’istituzione culturale e formativa per eccellenza, è contemporaneamente sede di lavoro per il dirigente, per i docenti, per il personale A.T.A. I conflitti fra gli impiegati della segreteria o i custodi non sono diversi da quelli che possono sorgere in qualunque altro ufficio; così come quelli che emergono fra insegnanti o fra questi ultimi e il capo d’istituto possono essere ricondotti alla tipologia di conflitti fra colleghi o legati al ruolo gerarchico. In ultimo i contrasti con le famiglie degli alunni e con gli alunni stessi assomigliano ai conflitti con l’utenza a cui anche altre organizzazioni devono far fronte: “Perché l’insieme sia funzionale, occorre, sul piano relazionale, che le persone si riconoscano e si accettino fra loro, svolgendo…ruoli diversi e complementari… ” (Vayer, Bianchi di Castelbianco, 1998). Tanto premesso per ribadire che si può ipotizzare che se un clima caratterizzato da contrapposizioni e divergenze nuoce alla scuola come ambiente di lavoro potrà produrre effetti negativi anche sul piano educativo. Non va sottaciuto, altresì, che il conflitto può trasformarsi in un elemento positivo quando permette l’evoluzione e la trasformazione delle relazioni tra le parti fino ad un avvicinamento, una comprensione, un rispetto ed una collaborazione maggiori. Il fatto che possa risultare negativo, distruttivo o, al contrario, trasformarsi in un’opportunità per conoscere di più sé stessi e gli altri dipende da come viene affrontato. Farlo evolvere in un’esperienza arricchente non significa necessariamente volerlo sanare, bensì riconoscerlo per poi convertirlo in un’occasione di confronto, utile a progettare interventi che diventino efficaci prassi operative. Rumiati e Pietroni (2001) evidenziano la capacità trasformativa del conflitto, e l’importanza di promuovere, nel lungo periodo, transizioni delle parti mediante lo sviluppo di prospettive e ‘percezioni di abbondanza’ anziché di ‘scarsità’, lavorando sul passaggio dal piano emotivo a quello cognitivo, per giungere gradualmente a nuove soluzioni di mediazione. Il conflitto può anche essere evento di possibile crescita se opportunamente orientato attraverso il dialogo, la comunicazione, il colloquio. Può essere importante sviluppare nella scuola una nuova modalità di approccio al conflitto se, questo, consente di esprimere e rendere evidenti messaggi che non si era riusciti a esternare diversamente. Montuschi (1993), definisce la possibilità di “cambiare segno all’affettività” un processo di alfabetizzazione affettiva. Dal punto di vista educativo apprendere modalità trasformative dell’affettività, in una prospettiva possibile, può consentire di acquisire la capacità di gestire in modo creativo le tensioni. Il ruolo dei docenti può così essere fondamentale in quanto nella doppia veste di educatori e insegnanti possono sperimentare in modo attivo e creativo azioni che possono consentire di gestire e vivere con maggiore “adultità” situazioni complesse stimolando la possibilità di attingere alle risorse personali soprattutto nelle situazioni più critiche laddove le soluzioni riguardano reti professionali collaborative. L’ambiente scolastico rappresenta un sistema sociale con una propria storia

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e una propria organizzazione finalizzata alla formazione ma è soprattutto il luogo della socialità, delle relazioni, dell’esperienza sociale. Diffondere in esso la cultura orientata alla mediazione potrebbe sortire un’azione socio-educativa efficace, volta a fondare il senso di responsabilità civica dei giovani per rafforzarne l’identità attraverso la valorizzazione della prassi discorsiva che consente il riconoscimento di sé nel dialogo con l’altro. A tal fine è fondamentale sensibilizzare e coinvolgere anche la componente delle famiglie, nuclei sociali di estrema rilevanza che si identificano nella rete dei rapporti affettivi che le fondano e alle quali appartengono. Come ricorda Carli (2003) “la convivenza è il primo e più importante prodotto della relazione sociale” e nasce nell’interscambio tra il sistema d’appartenenza (la famiglia) e l’estraneo. La scuola rappresenta il luogo maggiormente popolato di estraneità, dove per estraneità intendiamo sia l’alterità, l’altro sconosciuto, sia una cultura-altra che ancora non ci appartiene. Lo sviluppo di relazioni improntate alla convivenza diviene il passo fondamentale per organizzare rapporti che implementino e valorizzino le competenze sociali e comunicative già acquisite. Sostenere una rete di relazioni organizzate intorno all’asse della convivenza e all’interno di cambiamenti sociali progressivi - che inducono dinamiche interpersonali nelle prospettive interculturale ed intergenerazionale - significa acquisire le abilità necessarie alla costruzione di regole di rapporto sempre nuove che predispongano all’incontro con l’estraneità. A livello di comunità, la diffusione della cultura e dell’attività di mediazione può contribuire in maniera importante a favorire l’esercizio dei diritti di cittadinanza sociale e a rafforzare la capacità di ricomposizione endogena dei microconflitti che, destabilizzando la comunità stessa, diffondono insicurezza. Attraverso la mediazione si cercano soluzioni a contenziosi politici e territoriali, scolastici e condominiali, si compongono liti tra familiari e si pongono uno dinanzi all’altro, con le dovute cautele, perfino autori e vittime di reati. Dunque la mediazione è uno strumento conciliativo e talvolta riparativo, oltre ad essere un approccio considerato idoneo a favorire il dialogo fra persone e situazioni con difficoltà di reciproca comprensione culturale ed interetnica.

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5. Il ruolo del mediatore scolastico

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Il mediatore scolastico - come professionista formato - interviene con l’obiettivo di sollecitare una riorganizzazione delle relazioni che risulti soddisfacente per tutti coloro che sono implicati nel conflitto, facilitando in essi la comprensione delle proprie e delle altrui emozioni e favorendo un clima di fiducia reciproca. Le sue dimensioni di lavoro sono l’ascolto, il dialogo, il riconoscimento e il rispetto dell’altro da sé all’interno delle quali il conflitto viene ad assolvere l’importante funzione educativa di allenamento alla tolleranza che, purtroppo, il frequente e diffuso comportamento iperprotettivo degli adulti ostacola. L’educazione alla cittadinanza, alla legalità, il raggiungimento degli obiettivi comportamentali trovano un substrato naturale nella pratica della mediazione, determinando un’autentica inversione di marcia negli itinerari educativo e didattici.


La mediazione è una risorsa che permette di usare il conflitto spogliandolo delle valenze negative che comunemente gli sono attribuite, per ridefinirlo come una risorsa per la crescita dell’individuo e che consente di giungere ad una soluzione nella quale entrambe le parti si sentono pienamente vincitrici e nessuna di esse esce perdente da un confronto e non da uno scontro.

6. Analisi Transazionale e mediazione scolastica

I modelli di comunicazione che possono essere utilizzati per leggere, decodificare ed eventualmente interpretare alcuni fenomeni dell’interazione relazionale nella rete dei ruoli cui la figura del mediatore agisce, sono molteplici. In particolare il modello sistemico (Fregola, 2004), fornisce indicazioni interessanti sulle dinamiche della complementarità e della simmetria collegata al potere di influenza che vari ruoli hanno e possono esercitare. Nelle esperienze proposte in questo lavoro, l’Analisi Transazionale si è rivelata particolarmente efficace nonostante la padronanza del modello sia riconducibile a una conoscenza sviluppata nell’ambito di un corso 101 e di un’applicazione supervisionata con sistematicità grazie alla collaborazione con colleghi analisti transazionali. È stato possibile constatare come il riconoscimento degli stati dell’Io e delle principali transazioni già di per sé possono supportare il mediatore a disporre di schemi di consapevolezza grazie ai quali dare intenzionalità all’uso della prima e della seconda regola della comunicazione: grazie a tali prerequisiti, il mediatore può orientare l’esito dell’interazione verso una più probabile azione, sia per prevenire conflitti relativi in particolare allo scambio di contenuti che possono essere letti dai vari interlocutori con interesse collegato al ruolo che svolgono, sia su aspetti di relazione rispetto ai quali, seppure con minore padronanza (e a volte consapevolezza), è possibile dare intenzionalità ad azioni che riducono le possibilità di aprire a dinamiche di escalation, riconoscendo alcuni ganci che potrebbero condurre a dinamiche di passatempo o di gioco.

Conclusioni

Le valutazioni effettuate a seguito dell’utilizzo di pratiche di mediazione nelle scuole hanno registrato l’istaurazione di un ambiente relazionale più rilassato e produttivo all’interno del quale si sono osservati: l’incremento di sentimenti di

Le professioni -

Un altro aspetto sufficientemente riconoscibile grazie all’A.T. riguarda le tematiche della svalutazione. Aspetti di minimizzazione, di ingigantimento nella lettura delle situazioni o negli scambi comunicativi possono essere opportunamente condivisi o fatti osservare con un esito certamente non risolutivo (mancherebbero i presupposti di un contratto, inteso in senso berniano) ma, come osservato, di utilizzo in termini di banca di riconoscimenti orientati a valorizzare il feedback sul saper essere e, inoltre, di servirsi del feedback sul saper fare all’interno di uno stile comunicativo che privilegia l’attivazione dello Stato dell’Io Adulto.

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interesse e rispetto reciproci, lo sviluppo di attitudini cooperative, l’aumento della capacità di risoluzione non violenta dei conflitti, il potenziamento delle capacità di dialogo e delle competenze comunicative (soprattutto in termini di ascolto attivo). Acquisire una buona capacità di mediazione con l’altro contribuisce, infatti, a migliorare le relazioni interpersonali perché favorisce sia l’autoregolazione attraverso la ricerca di soluzioni autonome e negoziate sia la risoluzione di controversie in modo più rapido ed emotivamente meno costoso. Questo perché la mediazione è una modalità di regolazione dei conflitti basata sull’attivazione di un processo di recupero dell’efficacia del dialogo tra le persone, di responsabilizzazione e maturazione dei soggetti coinvolti. La cultura orientata alla mediazione esercita un’azione socio-educativa, efficace nel fondare il senso di responsabilità civica dei giovani e nel rafforzarne l’identità attraverso la valorizzazione della prassi discorsiva, che consente il riconoscimento di sé nel dialogo con l’altro. La mediazione è, dunque, uno strumento pedagogico che può svolgere una funzione coadiuvante a forte valenza educativa, nelle dinamiche, nei processi e nelle relazioni. Il suo uso si è ormai diffuso in contesti molto diversi fra loro (giuridico, sociale, culturale oltre che classicamente finanziaria e immobiliare) e attualmente si parla di mediazione penale, interculturale, umanistica e familiare. In particolare, la mediazione in ambito scolastico consente di far conoscere un modo diverso di affrontare i contrasti interpersonali, offre una modalità alternativa alla fuga e all’aggressione, dimostrando agli studenti (ma anche agli adulti) quanto sia importante imparare ad accettare l’altro, accoglierlo, ascoltarlo per essere ascoltati. Può costituire, inoltre, una valida opzione alle classiche misure disciplinari ed essere propedeutica all’ educazione alla legalità perché aiuta ad apprendere che i comportamenti devianti non sono solo un’infrazione ad una norma astratta ma vanno a ledere i diritti degli altri, a spezzare le emozioni, a provocare sofferenze. Ad integrazione delle riflessioni fin qui esposte, si ricorda che l’Organizzazione Mondiale della Sanità incoraggia, da anni, l’insegnamento delle life skills education, abilità/competenze che aiutano ad affrontare in modo positivo le sfide della vita quotidiana divenendo importanti fattori di protezione. Le life skills facilitano un buon rapporto con sé stessi e favoriscono sane relazioni interpersonali. Consistono nelle capacità di prendere decisioni, di risolvere i problemi, di potenziare la creatività, di esercitare senso critico, di privilegiare uno stile di comunicazione efficace, di maturare competenze nelle relazioni interpersonali, di avere capacità di autocoscienza, di agire con empatia, di saper gestire le proprie le emozioni. In sintesi…di imparare a mediare.

Riferimenti bibliografici Ceretti A. (2000). Scritti in ricordo di Giandomenico Pisapia, vol. III. Milano: Giuffrè. D’Alessio M., Schimmenti V., Cherubini A. (1995). Valutazione del rischio psicosociale in età evolutiva. Modelli teorici e ricerca empirica. Napoli: Gnocchi. Fregola C. (2004). Riunioni efficaci a scuola. Trento: Erickson. Gazzetta Ufficiale 11 giugno 1991


Malagoli Togliatt M., Cotugno A. Psicodinamica delle relazioni familiari, Il Mulino Bologna, 1996 Malagoli Togliatti; Montinaro Famiglie divise I diversi percorsi fra giudici, consulenti e terapeuti, Franco Angeli Milano 1995 Montuschi F., (1993), Competenza affettiva e apprendimento, La Scuola, Brescia. Palmonari A., (a cura di) Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna, 1993 Paniccia R. M, Carli R. Analisi della domanda. Teoria e intervento in psicologia clinica, Il Mulino, Bologna, 2003 Pisapia G.V. (a cura di) La scommessa della mediazione, in La sfida della mediazione, Padova, Cedam, 1997, Programme on Mental Health World Health Organization Geneva,1997 Rumiati R. Pietroni D. La negoziazione. Psicologia della trattativa: come trasformare un conflitto in opportunità di sviluppo personale, organizzativo e sociale, Cortina Raffaello, Torino, 2001 Vayer P.-Bianchi di Castelbianco F., Le interazioni nella classe,Ed. Scientifiche Ma.Gi., Roma, 1998

Riferimenti sitografici

Le professioni -

www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/minori/imperial/cap1.htm www.garanteinfanzia.org/normativa

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L’ANGOLO DEL DISCUSSANT

Orlando Granati

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

IAT Journal - II • n. 1 - 2016

Orlando Granati, Psichiatra, psicoterapeuta, Analista Transazionale Didatta Supervisore in contratto in campo clinico (PTSTA-P); Dirigente medico presso l’Azienda USL Centro Toscana; membro del Consiglio Direttivo IAT; Firenze / orlando.granati@virgilio.it

abstract

Prosegue su questo numero l’iniziativa di uno spazio di discussione e di approfondimento di un articolo pubblicato sulla rivista nel numero precedente, a opera di un Autore che, in modo analogo a quanto avviene nei convegni, assume il ruolo di Discussant proponendo le proprie riflessioni, le proprie idee, le proprie proposte sulla base degli stimoli offerti dall’Autore del lavoro originario. Questa volta abbiamo scelto, come lavoro stimolo, l’articolo di Maria Assunta Giusti dal titolo “ Narcissus in Wonderland“, pubblicato sul numero 2 dell’IAT Journal. Sylvia Schachner, PTSTA nel campo Educativo, sviluppa i temi proposti da Maria Assunta Giusti, indirizzando le proprie riflessioni verso l’ambito specifico del campo educativo ed esponendo le sue idee sulla influenza dei cambiamenti sociali e culturali nello sviluppo della personalità, nonché su ruolo e responsabilità della scuola e degli educatori rispetto a tale sviluppo. L’Autore conclude il proprio lavoro ponendo domande e interrogativi riguardo alle possibilità di intervento nell’ambito educativo, in totale condivisione dello spirito della rubrica, che intende proporre riflessioni e spunti per ulteriori sviluppi di idee e ragionamenti, piuttosto che conclusioni definitive: la prosecuzione di un dialogo tra cultori di un sapere che è fatto di risposte che pongono nuove domande, in un ciclo che si rinnova continuamente. Si intende così costruire una rete concettuale, emotiva, valoriale, che faciliti lo scambio, il confronto e indirizzi i vari contributi verso le finalità della rivista.

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L’ANGOLO DEL DISCUSSANT

How children are growing up in a narcissistic environment The over generational narcissistic self and its development with focus on educational institutions

Sylvia Schachner

abstract

In my function as an educational manager and teaching transactional analyst I was inspired by the paper and the phenomena described in the article “Narcissus in Wonderland” by Maria Assunta Giusti (2015) and looked at it from an educational point of view. I will offer some reflexions based on her ideas and taken from many years of teaching children in primary school, offering 101 training to students in a school for economics and supervising teachers from various backgrounds. This article will cover some aspects on how narcissistic behaviour influences educational context, it will raise some thoughts and ideas concerning possibilities and outlooks on how schools and other educational institutions can deal with the described phenomena in a constructive and healthy way.

Nel mio ruolo di manager educativo e insegnante di Analisi transazionale, mi sono ispirata al saggio e ai fenomeni descritti nell’articolo di Maria Assunti Giusti (2015) riguardandolo da un punto di vista educativo. Presenterò alcune riflessioni basate sulle sue idee e derivanti da molti anni di insegnamento ai bambini nella scuola primaria, presentazioni a corsi di formazione 101 per gli studenti in una scuola di economia, supervisioni di insegnanti di varia provenienza. Questo articolo tratterà alcuni aspetti sul modo in cui il comportamento narcisistico influenza i contesti educativi, presentando alcune riflessioni e idee relative a possibilità e prospettive sulle modalità attraverso le quali le scuole e altre istituzioni educative possono affrontare i fenomeni descritti in modo costruttivo e sano. Parole chiave: Sviluppo della personalità, Fenomeni transgenerazionali e culturali, Insegnanti e educatori

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Keyword: Development of personality, Transgenerational and cultural phenomena Teachers and educators

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In my function as an educational manager and teaching transactional analyst I was inspired by the paper and the phenomena described in the article “Narcissus in Wonderland“ by Maria Assunta Giusti (2015) to look on it from an educational point of view. I will offer some reflexions based on her ideas and taken from many years of teaching children in primary school, offering 101 trainings to students in a school for economics and supervising teachers from various backgrounds. This article will cover some aspects on how narcisstic behaviour influences educational contexts, it will raise some thoughts and ideas concerning possibilities and outlooks on how schools and other educational institutions can deal with the described phenomena in a constructive and healthy way. Table of Contents 1. The development of personality as a transgenerational and cultural phenomena 2. Present observations of teachers and educators 3. The role of cribs and kindergartens for the development of children 4. Impacts on the behaviour in classrooms 5. Impacts on school development 6. Challenging the paradigm of thinking 7. Social and cultural conditions 8. Crisis and dangers for personal development 9. Conclusion 9.1. Possibilities to support those young people to build up a strong and healthy personality and most of all self autonomy 10. Literature

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1. The development of personality as a transgenerational and cultural phenomena

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Giusti describes the development of personality as a result of the psycho-biological development, the psycho-affective context and the socio-cultural context. She elaborately describes how the historic milieus influence people and their style of personality disorder. Giusti claims that the youth of today are educated and formed by a generation showing an educational style which neglected structure and was defined by chaotic narcissistic behaviour with borderline and histrionic connotations. Being familiar with transgenerational phenomena, we can expect that those young people have included some elements belonging to the generation of their parents and grandparents in their scripts. Furthermore they are taught in schools and universities by people belonging to this previous generation. Considering those conditions it is very interesting to explore the connection between the social and cultural situation of this generation (Drego, 1983), the needs of this generation and the manifestation of the accompanying psychopathology. Giusti goes back four generations to show the development from the need of concreteness of the Post Second World War generation to the urge


to disobey and break boundaries of the next generation and the obsessive and controlling mechanism to reinstate order and to comply with a powerful idealization. These are influences that effect the children and adolescents of today. They have acquired and exasperated some characteristics of the “culture of appearance” that belonged to their mothers and fathers, and those of the “imagination” present in the previous generation.

2. Present observations of teachers and educators

Nowadays we can observe big challenges in all parts of everyday life. The development of digital media has opened new ways of communication and new ways to present oneself to a big community in a very short time. Facebook and other social medias invite to create an artificial personality, to show the idealized attributes the parental generation would like to reach. Social Media can be a substitute for relationships in real life and can also very easily be used to fulfil the basic needs described by Berne. The need of belonging can be fulfilled by virtual friends on social media platforms such as Facebook, the need of recognition is fulfilled by the “Likes” someone acquires and the need of structure is fulfilled by the structure and rigid forms of communication, the emoticons which are used instead of expressing differentiated emotions and the short messages are substitutes of a more sophisticated form of communication. Many teachers are observing an unrealistic way of thinking about the real world and other people by many of their students, a lack of experience with social situations, a lack of empathy and unrealistic expectations about their self efficiency (Schachner, 2015). All this can be understood as symptomatology of a narcissistic personality and consequently it can occur that young people rather build their assumptions about themselves, others and the world by contacts and experiences made in a virtual world than from experiences acquired in the real world. These hypotheses still have to be explored further in upcoming research.

Another important challenge of today is that most of the children are educated from a very early age in cribs and kindergartens. Thereby some developmental steps that had happened in the family environment in the past, are now happening in those institutions. Narcissistic disorder is established in early childhood. Supposing that nowadays some early developmental steps are happening in public institutions, we have to find ways to ensure helpful conditions for the children to deal with these important developmental stages. This means that we create group conditions similar to those of a family system and that we are attentive to build up small groups with well educated and constantly present caregivers. Shall we succeed,

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3. The Role of cribs and kindergartens for the development of children

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the crib and the kindergarten can be an important complement to the families’ responsibility to establish good relationships and a good sense of belonging. Nappers and Newton (2013) describe in their model of the resilience circle conditions which are necessary for growing up in an healthy way. The knowledge of the developmental stages (Barrow, 2001) can also be helpful for caregivers to understand and fulfil the needs of infants. At this age institutions can complete the tasks of parents and family systems in a constructive way and become part of a preventive system, laying the ground of being securely bonded and appropriately be seen by an important adult.

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4. Impacts on the behaviour in classrooms

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The fact is that we can actually observe a lot of students in classrooms and schools that are not able to deal with group situations, that cannot be in real contact with others and that are not able to manage conflict situations in a constructive way. They are not able or willing to follow school rules or to make some efforts to reach certain learning goals. In some aspects they behave like much younger children using magical and grand thinking to succeed. In challenging situations those young people have no age appropriate strategies to achieve endurance goals (Schachner, 2013). In those young people there is a deep need to be seen as an individual and they are also urgently looking for admiration by adults and the peer group. There is a big effort to be seen by others to be unique, to get recognition and to belong to a bigger social group, all of this happening simultaneously. At the same time those young people show a lack of empathy for others and their needs alongside a lack of awareness towards their own feelings and needs. In learning situations there is a lack of perseverance in solving given tasks or to fulfil some harder tasks that those pupils do not want to fulfil or that they are not instantly able to solve. The reaction of teachers differentiate (Schachner, 2016): Some of them are acting from a +/- position with the wish to adapt the children to the learning goals to make those goals reachable by those students by over adapting and using superficial strategies. Others having a -/+ position feel helpless and overwhelmed by the actual conditions and are trying to reach the learning goals by oversimplification and a lack of structure and requirement. Some of them are giving up, coming from a -/- position, discounting their own efficiency as well as the possibilities and skills of their students. A +/+ position means to be open for the present challenges and to observe the actual reality. It means to posses knowledge of developmental needs of young people, to have a clear thinking about developmental and didactic goals and at the same time it requires that teachers are able to use some didactic tools to reach their previously set.

5. Impacts on school development

The consequence of the present conditions is a challenge to school cultures. We can observe a challenge in the methodology of teaching (Temple, 2015). Instead of just purchasing knowledge, students should reach some competences to be


able to apply this knowledge in concrete daily-life situations. The results of brain development science are influencing the didactic and methodical tools as well. The current trends and assumptions about developmental needs are influencing school development and the development of teaching methods. The consequences are that teachers should find an individual learning program for every pupil based on their resources and strengths and nobody should be criticized or ashamed. The main emphasis of nowadays teaching is to reach the learning goals in an individually structured way. Learning should happen in a self orientated process. There is the vision that all children should be taught in an inclusive way to picture the diversity of real life in the classroom. The teacher should not only impart some set knowledge, the teacher should also accompany the learning process in the best possible, personal way and the learning tasks should be given as stimulation for a self elaboration of certain content. Nowadays the main goals of school development are: – Students have to develop certain competences to reach externally defined educational standards. – Schools are supposed to develop the intellectual capacity and the social capacity of their pupils at the same time. – Schools also have to take on some educative tasks that previously have belonged to parents’ tasks. – Schools are supposed to transport the grand und unrealistic task that everybody can reach those pre-defined educational standards without big effort plus with extra fun and joy.

Another possibility to discuss the current phenomena could be to challenge our understanding of the present reality. A generation that had grown up without all the possibilities of current digital, virtual and social medias, draws conclusions and develops theories, sometimes even judge phenomena, upon criteria that are build up without an actual experience or real knowledge of those digital worlds. The generation of psychologists and scientists that are analysing the current state of social media are not digital natives and might interpret the language of social media in an incorrect way, under- or overestimating its effects. Therefore professionals might have to study the effects more thoroughly and have to stay open for different explanations as well. As teachers and trainers, as psychologists or psychotherapists, as parents and as a society, we have the responsibility to practise a critical and open view of the deep challenges of everyday life and on the ever changing conditions of growing up nowadays. It is necessary to adapt our models of development to these challenges. In the pedagogic work we have to be aware that adolescents and youngsters of today do not have some of the experiences we had had; nevertheless we expect „our“ experiences to be available for learning processes during their educational careers. On the other side those children have a lot of experiences we do not have, that we do not value, that we do not yet thoroughly understand and

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6. Challenging the paradigm of thinking

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that we do not use for learning processes. This affects psychological experiences, such as family situations during the first years of growing up, everyday life in social communities, economic situations and intellectual experiences at the same time. The cultural challenges due to the effects of globalization and migration also have a big influence on growing up nowadays. Due to that, the development of personality becomes more and more complex and more challenging to truly comprehend all aspects included in that process, due to very different influences and experiences that those children experiences from the beginning of their lives.

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7. Social and cultural conditions

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Schools are the microcosms of real life situations. They are influenced by the socio-cultural context of the environment as well as they are influencing the sociocultural context around them at the same time. If we explore the current conditions of growing up, we will find a big number of children growing up in a world without clear rules and boundaries, without continuously, on-going deep contacts and relationships and children affected by the idealized wish of their parents’ generation to be able to create a perfect world. They grow up with changing caregivers, challenges of environmental and linguistic changes and personal contacts that work with rapidly changing rules. At the same time they have a lot of experiences with mobility, stimulation and entertainment in the real and digital world, but experience a lack of consistency and confidence in relationships and personal contacts. In some cases the teachers in school are more consistent caregivers than the family members of the patchwork families in which these children grow up. Therefore values and rules transmitted and lived in schools become more and more important for their personal development as they were in previous times. For children with a diverse or different cultural background from the social circle they are now living in, the social and educational values taught in schools are an important contribution for their personal development and their integration in the country they now live in. It is very important that teachers are aware of their responsibility and the powerful position they have for the personal development of their pupils. They have to find a clear position and awareness concerning their own learning biography, their personal development as well as their strengths and learning needs to be able to take the responsibility for their students’ livelong learning processes. Reflexions of their teaching processes and possibilities in regular supervisions are helpful and should become a standard in every school. Very important and effective are school systems that are working together with other social professions like psychologists, psychotherapists or social workers and therefore are offering a differentiated system of support for children, students and families with special needs. Parallel to these individual developments, a similar process can be found in the cultural and social interests of today that are accompanied by a way of thinking shaped by advertisements, films, books and social media: Everything seems to be possible, to overcome challenges is portrayed as very easy, everybody can reach his or her goals, to be successful is perfectly possible and nearly a “task” for everybody.


All of this is building up an idealized picture of everyday life. The goal is to have fun and pleasure and to get out as much as possible of all sorts of exciting new adventures. They build up some very distinctive and specific clichés for a successful life. Difficulties and failures, illness or other problems are excluded in that outlook on life. Due to a longer lasting educational system the adolescents stay dependent from their parents for a longer time. The differences between the generations seems to disappear. Parents and adolescents share the same interests, follow the same fashions and parents interact with their children rather as friends than as caregivers. That way of thinking and those ideas are connected with magical and narcissistic thinking as well as with grandiosity: If you are studying in the best ranked schools and universities, if you build up the right network, if you fit perfectly to and into the system, you will be successful. It seems to offer very clear, controllable solutions to fulfil the desire and basic need to be seen as an individual. The consequence is an overadaptation to current trends and a simplification of thinking and problem solving. Most of this “knowledge” is acquired and learned from the internet and social media. Underlying those points a wish to control an uncontrollable environment can be found, to perfect the idealized self and to make the chaotic inner self inoperative. Unpleasant feelings such as sadness, anxiety, insecurity or not being successful are excluded.

Another phenomena Giusti describes are extreme cases where young people are taking selfies while they self inflict different kinds of injuries on themselves. Those young people harm themselves to demonstrate their ability to cause and experience pain, to be admired for this self inflicted pain and to get recognition for their endured pain and their unpleasant feelings that they cannot express verbally, sometimes not even name. It is essential for teachers and educators to understand those dynamics and to be very attentive to identify these young people’s suffering. It may concern young people that are apparently becoming all necessary attention; where their parents want to spare them any kind of pain or failure. Those parents want to exclude feelings such as suffering and feeling powerless instead of dealing with those feelings of their children. Some of those children and adults have no experience at all to deal with unpleasant or difficult situations in a constructive, appropriate way. The wounds the parents and/ or the children have acquired over their lifetimes were never repaired or seen. As a possible consequence these people show a social image made of grandeur, admiration and lack of empathy. Their internal image speaks the language of a covert narcissism made out of fear, inferiority complexes, fragility, vulnerability, fear of relationships and hypersensitivity to criticism and is often upheld by chemical substances like alcohol or drugs.

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8. Crisis and dangers for personal development

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9. Conclusion

Of course the solution cannot be to demonize social media or the challenges of nowadays. Those developments have taken place and are not going to go away anymore. They have advantages and disadvantages at the same time. We have to leave some pre-assumed meanings and pre-assumed thinking behind and have to explore and study the present developments in a Marsian way instead, as Berne has proposed. It is also crucial to find ways to use the challenges and developments of today in a positive and constructive way. Possibilities to integrate them in the everyday life have to be found as well as the sensibility for challenges and effects on the personal development of those social developments have to be increased. Instead of prohibiting the use of social media, schools can develop ways of integrating social media in their timetables and to teach a critical and conscious usage of it. Depending of the students’ age they can learn to work consciously with it and teachers can open discussions about dangers and possibilities of social media. It is important to understand the need that lays behind the use of social media instead of personal communication and the need to show an idealized image of oneself. 9.1 Possibilities to support those young people to build up a strong and healthy personality and most of all self autonomy

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Cribs, kindergarten and schools can offer constructive and resource orientated conditions for personal development. Along with the parents, specialists of other professions, such as social workers, psychologists and psychotherapists, they can build a profound base for a successful personal and educational development of nowadays children with the goal to strengthen autonomy in young people and the ability to take on responsibility for their adult lives. To reach these goals we have to find some answers to the following questions:

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– What is the influence of teachers that are having a narcissistic behaviour themselves? – How can a narcissistic behaviour be observed and detected in those teachers? – What is the influence of students’ narcissistic symptomatic on their learning processes? – What can be the role of teachers for their students’ development of personality? – What attributes do young people need to get fit for the future in an autonomous and responsible way? – In which way is Transactional Analysis able to create helpful and appreciated ideas, solutions and models for the educational and the learning process?

Long-term research, open discussions and an unprejudiced way of thinking will certainly help to understand those challenges, effects and the impact on personality and the development of personality.


I am confident that the next generations will find ways to handle those challenges as it is the task of the present generation to create the right conditions for those future developments.

Literature

L’angolo del discussant -

Barrow,G. (2001). Improving Behaviour and Self-Esteem in the Classroom: A Practical Guide to Using Transactional Analysis. David Fulton: New York. Drego, P. (1983). The Cultural Parent. Transactional Analysis Journal, 13, 224-227. Giusti, M.A. (2015). Narcissus in Wonderland: The Narcisstic Wound in Past and Present Generations. Narcissim and its variations. Therapeutic educational and transforming factors. IAT Journal, 2, 51-56. Nappers, R. & Newton, T. (2013). Tactics (Second Edition): Transactional Analysis Concepts for All Trainers, Teachers and Tutors. Georgia: TA Resources. Schachner, S. (2016). Intercultural Learning and Teaching in Multicultural Classes. In G. Barrow & T. Newton (Ed.), Educational Transactional Analysis: An international guide to theory and practice. London/New York: Routledge. Schachner, S. (2015). Mehrsprachigkeit in der Volksschule. Gelungene Beispiele aus der Sicht einer fachbezogenen Bildungsmanagerin. In U. Esterl & G. Gombos (Ed.), Sprachliche Bildung im Kontext von Mehrsprachigkeit. Innsbruck: StudienVerlag. Schachner, S. (2013). Chancen und MĂśglichkeiten des Unterrichts in multikulturellen Klassen. In H. Raeck (Ed.), Menschenbilder. Das Fremde und das Vertraute. Lengerich: Pabst. Temple, S. (2015). Celebrating Functional Fluency and Its Contribution to Transactional Analysis Theory. Transactional Analysis Journal, 45 (1), 10-22.

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IN CANTIERE… WORK IN PROGRESS

Una rete dura se nasce dal basso. L’esperienza della rete delle scuole* dei distretti 14° e 15° di Roma

Simonetta Salacone, Tiziana Santoro

Parole chiave: Scuola, Rete di scuole, Integrazione, Diversità

The article describes the mode of operation of a “network of schools”, active in the area of Rome. The network is defined as “an organization that connects different orders and grades of schools in a territory”. It highlights the value of meeting (within the network), involving the entire school staff, together with the children and their families. The network concept is presented as “anchored” to “cooperative relationships” between individuals with different personal and professional identities. The dimension of cultural and generational “transition” is given by the encounter between the ideas of the founder of the network and those of the current coordinator. The school network is configured as an appropriate tool for understanding and managing complexity. The constancy of relationships makes a network of schools not just a concept or a wish, but a community in an effective learning and ongoing changing process. The narration of the networking experience, of its goals, of the pedagogical and social opportunities connected to it, is generously enriched through witnessing the “direct and personal experience” that the authors are sharing with the reader.

abstract

Nell’articolo viene descritto il funzionamento di una “rete di scuole” operante su un territorio romano. La rete viene definita come “organizzazione che mette in collegamento scuole di diverso ordine e grado di un territorio”. Viene messo in evidenza il valore dell’incontro (nell’ambito della rete) che vede coinvolto tutto il personale scolastico, assieme ai bambini e alle famiglie. Il concetto di rete viene presentato come “ancorato” a quello di “relazione collaborativa” tra soggetti con identità personali e professionali diverse. La dimensione del “passaggio” culturale e generazionale è dato dall’incontro tra le idee della fondatrice della rete e quelle della attuale coordinatrice. La rete scolastica si configura come strumento congruo per la lettura e la gestione della complessità. La relazione e la costanza dei rapporti rendono una rete di scuole non solo un concetto o un auspicio ma una comunità in apprendimento effettivo ed in continuo mutamento. La narrazione della esperienza di rete, delle sue finalità, delle opportunità pedagogiche e sociali ad essa connesse, viene generosamente arricchita dalla testimonianza del “vissuto diretto e personale” che le autrici hanno voluto condividere con il lettore.

Simonetta Salacone già Dirigente Scolastico dell’Iqbal Masih di Roma, cofondatrice della rete delle scuole del 14° e 15° distretto (http://www.retescuole14-15.it/index.php Tiziana Santoro, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo Olcese di Roma, attuale coordinatrice della rete delle scuole del 14° e 15° distretto (http://www.retescuole14-15.it/index.php) *

Una “rete di scuole” è una organizzazione che mette in collegamento scuole di diverso ordine e grado di un territorio. Il concetto di rete è stato recepito molto tardivamente dalla legislazione (Legge 275/99) e dall’amministrazione. Molte reti sono nate per iniziativa di Dirigenti della scuola, alcune sono state promosse dalla amministrazione regionale o provinciale. Alcune reti (nate dopo la Legge 275/99) hanno una funzione di rappresentanza di tutte le istituzioni scolastiche di un territorio e hanno lo scopo di garantire un coordinamento riconosciuto anche a livello amministrativo (vedi l’ASAL: Associazione delle scuole autonome del Lazio). © Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Keyword: School, Network of Schools, Integration, Diversity

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“Ex ante: riflessioni del curatore”1

(Luca Ansini curatore della rubrica Work in Progress) L’esperienza di “rete” così come presentata dalle autrici, stimola l’interesse in chi opera nei campi educativi ed organizzativi attraverso la passionale descrizione di una “rete integrata”, di uno “spazio comune” che ha visto coinvolte un gruppo di scuole del territorio romano. Le metodologie originali, i riferimenti pedagogici, gli strumenti innovativi adottati, rappresentano lo scheletro di una esperienza la cui “polpa” essenziale sta nella “relazione tra pari e diversi” concepita come criterio di aderenza alla realtà stessa: «la relazione collaborativa non è il frutto di una visione astrattamente ideologica ma è una “esigenza vitale” poiché l’incontro tra soggetti di pari e diversa età, ruolo, esperienza, cultura, costituisce l’essenza stessa della vita»! Con queste parole le autrici sembrano coniare una propria definizione del concetto di okness. Voglio ora chiudere questa breve “anticipazione”, stimolando in questo modo l’interesse anche in chi opera nei campi clinici e del counselling, condividendo con il lettore questa domanda: «l’esperienza di rete descritta dalle autrici può suggerire qualcosa alla “rete” di associazioni analitico transazionali che operano sul territorio italiano»? Propongo questa come una delle possibili chiavi di lettura del presente articolo.

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Nel 1995 il Provveditorato di Roma apre nei locali di una Scuola dell’allora Circoscrizione VI un Centro di Educazione Alimentare (CEA) in cui realizza aggiornamento, raccolta e documentazione di materiali informativi per scuole di diversi distretti. Fra le altre attività, promuove, con proprio personale utilizzato con distacco, un lungo aggiornamento di presidi e docenti sul “Compito reale”, metodologia didattica che fa riferimento alle pedagogie attive e all’apprendimento operativo e mette al centro il riutilizzo da parte degli studenti delle conoscenze, dei linguaggi e dei contenuti disciplinari appresi a scuola, per la realizzazione di “prodotti culturali”, possibilmente realizzati su committenza di soggetti esterni. La metodologia prevede percorsi interdisciplinari rigorosamente programmati da docenti e alunni per quanto riguarda la scansione temporale, i prodotti e le valutazioni intermedie e finali, le modalità previste per la fruibilità e la visibilità all’esterno. L’aggiornamento si rivolge a personale di ordini, gradi e tipologie scolastiche diverse e costituisce un’ottima occasione per stabilire contatti fra Istituti dello stesso territorio che non hanno mai collaborato prima e che, per l’occasione, riescono a far emergere le diverse competenze e culture di riferimento, sia disciplinari che organizzative e pedagogico-didattiche.

1

“Ex ante ed ex post: riflessioni del curatore”, è lo spazio in cui vengono sinteticamente esposte le riflessioni del curatore della rubrica Work in progress a partire dai primi contatti stabiliti dallo stesso con i vari autori, dalle riflessioni, dagli scambi condivisi e dalla lettura dei vari contributi.


In cantiere… Work in progress -

La programmazione in comune fra alcune scuole, impropriamente definite “di filiera”, di percorsi che vanno al di là della educazione alimentare, costituisce l’occasione perché alcune di esse decidano di rendere stabili le relazione positive avviate in quegli anni. Sono anni in cui si cominciano a raccogliere i frutti di alcune riforme e sperimentazioni importanti che hanno coinvolto la scuola primaria e la scuola superiore fra gli anni ’70 e ‘80, in cui si sta diffondendo l’informatica, in cui si sta generalizzando la formazione universitaria per i docenti di ogni ordine scolastico. Negli stessi anni agli Enti Locali, anche a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione, vengono attribuite nuove competenze in materia di diritto allo studio, per cui, anche se in maniera molto diseguale nelle diverse Regioni, si investono nella scuola risorse non solo per servizi, ma per integrare l’offerta formativa, nella consapevolezza del grado di complessità che l’istituzione scolastica si trova ad affrontare, con l’inizio della trasformazione multiculturale della società. Gli anni ’90 sono però anche gli anni in cui nel Paese inizia un lento declino economico che progressivamente ridurrà gli investimenti sul welfare e in particolare quelli sul sistema dell’ istruzione, proprio mentre i fenomeni di una sempre più massiccia immigrazione e l’ingresso nell’UE richiederebbero un rilancio e un adeguamento dell’offerta formativa agli standard europei. I Presidi più sensibili sono consapevoli che alla complessità non si può rispondere in modo burocratico, uniforme e soprattutto da isolati: lo scambio e la collaborazione costante fra operatori scolastici e specialisti esterni, associazionismo e mondo della ricerca, l’analisi comune delle situazioni e delle possibili collaborazioni per trovare soluzioni fra docenti delle scuole del territorio sono il presupposto fondamentale per affrontare le profonde innovazioni che i linguaggi multimediali e la globalizzazione e i conseguenti cambiamenti nel mondo del lavoro e della produzione stanno introducendo nelle modalità di sviluppo psicologico, cognitivo ed emotivo dei bambini, degli adolescenti, dei giovani e delle famiglie. Un altro fenomeno, inoltre, è alle porte: il primo decennio del nuovo secolo vedrà il massiccio pensionamento di docenti entrati nella scuola tutti insieme nel periodo della scolarizzazione di massa, fra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60. È quindi necessario preparare il ricambio generazionale all’interno della scuola e scommettere non solo sull’aggiornamento dei docenti in servizio, ma sulla formazione dei nuovi, governando il passaggio del testimone e il necessario scambio di esperienze (poiché a “fare scuola” non si impara solo durante la prima formazione, ma soprattutto attraverso l’esperienza sul campo) È questo il clima in cui con un piccolo gruppo di Presidi della Circoscrizione VI (divenuta nel frattempo Municipio con la nascita a Roma del Comune metropolitano) che, come me, hanno partecipato alla formazione sul “compito reale” decidiamo di dare continuità all’esperienza di collaborazione già sperimentata presso il CEA e cominciamo a vederci e a mettere a fuoco la possibilità di stabilire rapporti costanti fra di noi e fra alcuni docenti delle scuole da noi dirette, in particolare per rispondere a due problemi: la discontinuità fra ordini scolastici, pagata pesantemente dagli studenti con le bocciature negli anni di passaggio, e il montante fenomeno dell’integrazione di alunni figli di migranti, che nei territori di Roma Est comincia a diventare massiccio.

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All’IPSIA “Europa”(indirizzo odontotecnico e ottico), alcuni alunni hanno picchiato un compagno palestinese, con motivazioni di stampo razzistico: decidiamo di scegliere l’argomento “Intercultura” come sfondo delle attività di “compito reale” che proporremo alle altre scuole della Circoscrizione. La risposta di quasi tutte le altre Scuole è molto positiva. Con docenti di buona volontà di diversi segmenti scolastici e con diversa formazione disciplinare e pedagogico-didattica si costruisce un percorso triennale, in collaborazione con la Circoscrizione VI, dal titolo “Con gli occhi degli altri” che si snoda attraverso diverse esperienze:

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1) Una rassegna di film prodotti e ambientati in Africa e Asia, scelti e presentati in collaborazione con l’Istituto Professionale per la Cinematografia ”Rossellini” di Roma, aperti alla popolazione del territorio 2) Una rivista dal titolo “Con gli occhi degli altri” la cui redazione è affidata ad alunni e docenti del Liceo scientifico “Levi Civita” 3) La pubblicazione e stampa di alcuni agili volumi di proposte didattiche (elaborati per i colleghi da docenti delle scuole di rete, in collaborazione con esperti di associazioni) dal titolo “VI Circoscrizione, un quartiere del mondo”.

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Da questo primo nucleo di iniziative nascerà l’idea di operare costantemente in rete per le esigenze che sono intanto emerse: Favorire progetti sperimentali in verticale fra scuole di diverso ordine (per la prima volta i docenti di scuole primaria e secondaria si confrontano e imparano ad apprezzarsi e a valorizzare le differenze di cultura pedagogico-didattica di cui ogni livello scolastico è portatore). Realizzare percorsi di aggiornamento autogestiti, ricorrendo alle diverse competenze (disciplinari, strumentali, didattiche, ecc.) presenti e spesso sottoutilizzate fra gli stessi docenti delle scuole della rete Mettere in comune risorse (sussidi, spazi attrezzati e laboratori, eventuali sale teatro, materiali di diversa natura, ecc.) e finanziamenti di varia provenienza Promuovere collaborazioni e scambi fra studenti di scuole diverse, per la realizzazione di percorsi comuni e per la realizzazione di prodotti culturali di compito reale. Attraverso attività svolte da alunni della scuola media con compagni delle superiori si sperimentano efficaci esperienze di “peer education” e si consolida l’autostima di molti studenti di scuole superiori, come, ad esempio, avviene, quando alunni dell’istituto Professionale per le arti grafiche “Virginia Woolf” insegnano ai compagni di scuola media a produrre i dépliant di presentazione di alcune iniziative o quando collaborano alla produzione di una “Guida alla scoperta del territorio della VI Circoscrizione” che alcune scuole medie produrranno per compagni e adulti.

Le adesioni crescono e la rete sente l’esigenza di costruirsi una struttura che le possa garantire la continuità e l’efficacia degli interventi. Negli anni si struttura in modo sempre più dettagliato un’organizzazione che prevede un Protocollo d’intesa rinnovato e siglato all’inizio di ogni anno scolastico, incontri mensili dei presidi, per confronti sulla normativa, lo stato delle riforme, i problemi comuni. Anche i docenti, uno/a per scuola, designati ciascuno dal proprio Collegio, si riuniscono periodicamente, operando attraverso Gruppi


1) Con un contributo economico dell’Assessorato alle politiche educative del Comune di Roma, con la collaborazione del CEMEA del Lazio viene realizzata una sala di produzione e ascolto di musica, aperta non solo agli studenti, ma agli adolescenti e ai giovani del quartiere, anche in orario extrascolastico 2) Negli anni successivi si affianca un’altra iniziativa musicale di stampo interculturale, sponsorizzata dalla Circoscrizione, un Coro multietnico di alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado che si chiamerà “Se ‘sta voce” 3) Con un progetto finanziato dall’Assessorato alle Politiche educative del Comune di Roma, per la prevenzione della dispersione scolastica, si dà vita al progetto “Orientarsi in rete” che apre un sito per gli alunni, al quale hanno accesso studenti delle classi di passaggio fra segmenti scolastici diversi, i quali comunicano e scrivono su argomenti scelti all’inizio dell’anno scolastico. Il sito, coordinato e moderato da una docente esperta di informatica, esterna alle scuole della rete, ottiene un notevole successo fra i ragazzi e resta attivo per alcuni anni, anche quando il finanziamento del Comune è esaurito. La rete, come si può constatare dal racconto di alcune delle ricche iniziative poste in essere, a cui si è fatto riferimento, ha anticipato molti dei punti che sa-

In cantiere… Work in progress -

di lavoro, che, in alcuni casi, si aprono ad altri insegnanti, per programmare e realizzare attività di studio e approfondimento delle riforme e per promuovere aggiornamento. La rete organizza un proprio sito, sul quale vengono pubblicati tutti i verbali degli incontri e i report delle attività più significative. Viene scelta una scuola come sede per gli incontri “istituzionali”, in cui tenere una Conferenza di Programma all’inizio dell’anno scolastico e una di verifica al termine dello stesso. Gli aspetti organizzativi, i verbali, le convocazioni, i programmi e i calendari delle attività sono a carico di dirigenti di buona volontà che se ne sobbarcano l’onere non indifferente, ricavandone l’ indubbia soddisfazione professionale di veder crescere una “creatura” pensata e voluta “dal basso” che si sta rivelando sempre più solida e indispensabile per la parte più attiva e vivace dei docenti, ma sta anche diventando un soggetto collettivo con cui Circoscrizione (poi Municipio) e Comune instaurano rapporti efficaci e paritari. Le scuole, che solo nei primi anni hanno ricevuto un modesto contributo dal Comune, mettono in comune parte dei fondi assegnati dal Provveditorato (in seguito dall’Ufficio Scolastico Provinciale/Regionale) per l’aggiornamento e per le sperimentazioni e si autotassano per portare avanti i percorsi sperimentali, individuando un’altra delle scuole del territorio a cui affidare il bilancio finanziario (introiti e spese). Il Provveditorato assegna per qualche anno alla rete una docente con distacco, come interfaccia fra le scuole e la rete. Sono gli anni di grande sviluppo delle attività e di soddisfazione per tutte le scuole: il valore aggiunto di un solo distacco è enorme e quando l’Ufficio Scolastico Regionale, volutamente sordo e colpevolmente miope di fronte ad una realtà che non vuole riconoscere, ritirerà tale risorsa se ne avvertirà pesantemente la mancanza. Negli anni che seguono si incrementano le iniziative a favore degli alunni, in particolare per la prevenzione della dispersione scolastica:

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ranno oggetto della legge n. 275/1999, quella che promuove l’autonomia scolastica e quando il Ministero, prima della promulgazione ufficiale, propone una sperimentazione di singoli aspetti della proposta di legge, su base volontaria, fra le scuole, su tutto il territorio nazionale, affidandone il monitoraggio agli IRRSAE, le scuole del VI Municipio (a cui, per iniziativa del Provveditorato si sono aggiunte le scuole del Municipio VIII, dando vita a quella che si definirà “rete delle scuole di Roma EST”) chiedono di poter sperimentare proprio la struttura di rete, come esperienza di autonomia solidale e non competitiva fra istituzioni autonome. Ma il Ministero non ha previsto tale esperienza (il concetto di rete è presente con definizione molto debole nell’articolato della legge 275 e solo come struttura di messa in comune di servizi) e la richiesta spiazza l’IRRSAE del Lazio che è costretto a monitorare la scuola sede degli incontri (l’IPSIA “Europa”), utilizzando in modo originale i previsti strumenti del monitoraggio! La rete, intanto, ha attirato l’attenzione della Facoltà di Sociologia dell’Università La Sapienza ed è stata oggetto di ricerca e di pubblicazioni. A sua volta, con parte dei fondi assegnati dal 2000 per la realizzazione dell’autonomia le scuole della rete incrementano le attività e affidano ad un giovane sociologo l’incarico di effettuare un bilancio sociale della stessa rete, che verrà completato e presentato alle scuole e al territorio nel 2005. Con tale storia costruita a fatica, ma solida, le scuole della rete si confrontano in modo critico e solidale con i processi delle “riforme”(meglio definirle controriforme) dei Ministri Moratti e Gelmini, riuscendo comunque a realizzare iniziative di notevole spessore culturale, come i quattro Convegni tenuti presso l’aula magna del Rettorato de La Sapienza, aventi per finalità la proposta di costituzione di un Osservatorio sulla disabilità, aperti oltre che ai docenti di classe e di sostegno, al personale delle ASL e dei servizi Materno-Infantili, agli educatori, ai genitori, agli esperti delle Associazioni, ecc. La rete, come previsto, affronta nel primo decennio del nuovo secolo non senza problemi, ma continuando a lavorare, i pensionamenti dei fondatori e protagonisti “storici”. Giovani Dirigenti Scolastici alle prese con mega Istituti Comprensivi e con drammatiche carenze di organico, lavorano oggi in uno scenario reso decisamente più complesso dalla crisi economica, dai tagli feroci alle risorse, da un clima che punta alla competizione anziché alla collaborazione. Con altrettanta tenacia continua l’impegno e resiste la volontà di molti docenti di continuare ad operare in rete. Ciò dimostra che porre al centro la relazione collaborativa all’interno delle singole Scuole e fra le Scuole del territorio non è il frutto di una visione astrattamente ideologica, ma è una esigenza vitale, poiché l’incontro fra soggetti di pari e di diversa età, ruolo, esperienza, cultura, costituisce l’essenza stessa della vita e dell’operare della Scuola. Nei due decenni di attività della rete tutti siamo notevolmente cambiati. La rete ci ha fatto aprire non solo fra scuole, ma al mondo circostante, rendendoci visibili e importanti per la cultura del territorio e ha dato a noi scuole l’orgoglio di essere considerate istituzione primaria fondamentale per lo sviluppo della società, proprio mentre da parte dei politici e dei governi la scuola pubblica veniva umiliata, criticata, depotenziata. Io, Simonetta Salacone, ho avuto conferma che alcune caratteristiche della


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mia personalità, delle quali, in passato, non ero stata soddisfatta, avevano però fornito la condizione di partenza per facilitare i rapporti e gli scambi professionali in rete. Sono sempre stata timida e timorosa di sbagliare e per questo ho elaborato, fin dai primi anni di pratica della professione di insegnante, strategie di rassicurazione e prevenzione di errori che contemplassero la messa in comune dei problemi e la ricerca condivisa di soluzioni. Intimamente ribelle di fronte alle prepotenze e alle ingiustizie, ma educata a non mettere in discussione il ruolo dell’autorità, diventata Direttrice didattica e poi Dirigente scolastica ho cercato “alleanze buone”: essere in tanti, con dirigenti e docenti di scuole diverse mi rassicurava e mi permetteva di esprimere con determinazione e piena visibilità le mie, “le nostre” idee critiche di fronte ai superiori o ai politici del momento che inondavano la scuola con pessime riforme. Allo stesso modo ho potuto trasformare in una dote positiva l’estenuante ricerca di elementi accettabili nelle idee degli altri e mi sono potuta permettere di “cambiare ovvero modificare idee”, senza vivere questo come una espressione di debolezza. Anzi, ho fatto di questa mia propensione all’ascolto e alla mediazione un elemento di forza nel rapporto con le diversità presenti fra i docenti del Collegio della scuola da me diretta e con la diversità di carattere, di cultura, di stile di direzione e di rapporto umano degli altri dirigenti della rete. Come me ho visto cambiare dirigenti scolastici che il carico pesante di responsabilità aveva reso ansiosi, rigidi, preoccupati, autoritari: la lunga e costante frequentazione all’interno della rete ha prodotto evidenti modifiche negli stili e negli atteggiamenti sia con i docenti che con gli altri dirigenti scolastici. Abbiamo tutte e tutti verificato che l’esperienza di rete ha selezionato i docenti e i dirigenti più attivi, motivati, preparati e disponibili a sperimentare innovazioni, non solo per voglia di nuovismo, ma perché alcune proposte potevano essere efficaci per migliorare i rapporti con gli alunni e favorire migliori risultati scolastici e di crescita. Chi fra i dirigenti, non fra i primi, ma fra quelli sopravvenuti nel corso degli anni, non era interessato si è fatto da parte e ha interrotto o ridotto i rapporti, ma questo è stato raro e, soprattutto, in molte scuole la continuità dei rapporti di rete è stata mantenuta, nel tempo, da parte di alcuni docenti e, in alcuni casi è ripresa, dopo un intervallo di anni, a dimostrazione della vitalità di un’esperienza che si fondava su esigenze reali di rapporto e crescita comune. Abbiamo sperimentato, in particolare, come vivere insieme problemi che sono trasversali ad ogni ordine scolastico ci abbia permesso di considerare gli elementi di continuità e di discontinuità nello sviluppo e nel consolidamento della personalità dei nostri alunni, elementi che spesso tendiamo a trascurare. Nel rapporto di rete i docenti hanno smesso di accusare quelli dell’ordine precedente di scarsa capacità e di “lasciare lacune gravi” e tutti e tutte abbiamo sperimentato come siano cresciuti il rispetto e la considerazione per la professionalità di ciascuno. Dalla lunga esperienza di tanti confronti personalmente sono uscita arricchita e rinforzata. Ho imparato che anche nel professionista più intransigente e rigido, scavando, si trova la possibilità di aprire spazi di incertezza nei quali introdurre elementi di contrattazione e transazione per costruire modelli di interpretazione dei fatti mai perfetti, ma gradualmente sempre più efficaci per dominare situazioni fluide, difficili, critiche. Penso che quanto ho affermato in queste riflessioni sia condiviso da molti

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dei colleghi dirigenti che ci hanno sostituito in tempi e situazioni decisamente più complesse e critiche, come, d’altra parte, risulta evidente da quello che scrive di seguito Tiziana Santoro, attuale coordinatrice della rete, che firma con me questo articolo. I giovani Dirigenti che raccolgono la preziosa eredità della Rete perseguono ancora oggi tutte le finalità che caratterizzano il protocollo d’intesa; diventano a loro volta una generazione di ‘vecchi Dirigenti’ affiancata da giovani leve che trovano nella rete un importante spazio di confronto, di scambio di esperienze, di supporto alle mille novità ed alle continue riforme che investono in particolare ma non solo le scuole del primo ciclo. I Dirigenti si ritrovano in uno spazio comune nel quale il confronto ed il sostegno reciproco è elemento di grande qualità e riduce la sensazione di solitudine tipica della professione. Progressivamente entrano a far parte della Rete tutte le scuole del Municipio e nonostante le scarse risorse si lavora in una grande comunità di intenti dove il principale obiettivo per tutti è la crescita di una cultura di rete e la condivisione di pratiche, finalità, obiettivi. Anche i Direttori dei servizi si mettono in rete e si riuniscono anche loro con cadenza mensile per condividere le problematiche e realizzare, là dove possibile, Convenzioni di Rete per ottimizzare le risorse. Il confronto sulla gestione delle principali novità nelle pratiche amministrative consolida il concetto di rete solidale; vengono organizzate anche per il personale ATA iniziative di formazione. I docenti referenti continuano il loro lavoro, a volte con fatica, ma sempre con la determinazione di chi crede nel valore di una comunità di pratiche. Su tematiche precise rilanciano attività di gruppi ai quali partecipano più docenti per ogni scuola, in una sorta di commissioni allargate a tutti gli istituti. Tematiche principali restano l’intercultura, il curricolo verticale, l’orientamento, l’integrazione degli alunni con disagio. Si diffonde la voglia di ‘fare cultura’ nel territorio con la proposta di iniziative pubbliche realizzate in collaborazione con il Municipio. L’Osservatorio integrato sulla disabilità ottiene il riconoscimento del Municipio e rappresenta una esperienza estremamente positiva, poiché vede collaborare e condividere finalità e strumenti le scuole, le ASL, il Municipio. La rete del XIV-XV distretto è cresciuta negli anni ed è riconosciuta nel territorio come punto di riferimento per operatori scolastici, famiglie, amministratori locali e associazionismo scolastico e culturale. Si è faticosamente conquistata uno spazio pubblico ed è portata ad esempio in altri territori come una rete funzionante e costante nelle attività e nei lavori che vengono realizzati, anche a prescindere da progetti da presentare e/o da richieste di finanziamenti per le attività di formazione. Deve la sua solidità alla capacità di quei presidi pionieri che fin dalla fine degli anni 90 avevano capito quanto fosse importante l’idea di fare ‘rete’ e che la rete doveva partire dalle istanze dei territori, dai bisogni formativi degli alunni e dalle necessità di confronto e di scambio per l’arricchimento della professionalità di tutti i docenti, non solo dei più esperti. Io, Tiziana Santoro, ho iniziato la mia carriera come preside incaricato nello stesso territorio nel quale ero stata insegnante fino ad un giorno prima; mi sono sentita subito coinvolta dalla rete che già era ben consolidata nel territorio, ero affascinata da quella comunità dove ‘teste ben fatte’ ragionavano di scuola e si


confrontavano nell’ideazione di progetti ambiziosi e innovativi; inizialmente non mi sentivo all’altezza di quelle figure carismatiche che fino a pochi mesi prima erano state ‘il mio preside ed i suoi colleghi’; ma sono stata subito accolta nella Rete senza nessun pregiudizio, ed in poco tempo sono riuscita a sbloccarmi e a dare il mio contributo grazie all’atteggiamento accogliente e costruttivo di tutti. Sono cresciuta molto imparando cosa significava dirigere una scuola, lavorare in una comunità di pratiche, avere sempre entusiasmo ed essere propositivi, condividere difficoltà ed incertezze nelle pratiche quotidiane, rendendomi anche conto che nulla era mai scontato e che bisognava ragionare e discutere su tutte le innovazioni per individuarne punti di forza e criticità senza fermarsi davanti a facili slogan e se necessario confrontarsi in maniera corretta e leale con la nostra amministrazione. Fare rete mi dava la sensazione di avere ‘una rete’ per non cadere mai... e che nessuno mi avrebbe lasciato sola......e che avrei imparato sempre di più; così è stato perché sento di essere molto cresciuta da allora, sia professionalmente che personalmente, e spero oggi di poter trasmettere alle nuove leve lo stesso entusiasmo e la stessa passione che hanno caratterizzato l’inizio del mio percorso. Attualmente la rete è un esempio che stimola riflessioni anche critiche sul “pensiero” che è sotteso all’impianto di riforma de “la buona scuola”, che invece sembra mortificare la collegialità e la collaborazione e puntare sulla competizione fra scuole, docenti, alunni, proponendo come molla dello sviluppo del sistema di istruzione il merito individuale, la valutazione delle competenze, la premialità. ***

“Ex post: riflessioni del curatore”

Luca Ansini curatore della rubrica Work in Progress

1) La rete come strumento di gestione della complessità: La complessità sociale, culturale ed associativa può essere vissuta in modo funzionale, nell’interesse concreto alle differenze valorizzando queste, attraverso la creazione di nuovi contesti comuni. In tali contesti il concetto di rete è interpretabile come un punto nuovo, come nuova “zona di turbolenza creativa” ideata per l’interscambio concreto di prospettive ed esperienze. Essere in rete, in questa ottica, comporta l’incontrarsi nella condivisione e co-costruzione di spazi di formazione e di esperienze culturali e sociali che nascono dall’interscambio tra metodologie e approcci diversi. Penso (relativamente alla nostra comunità analitico transazionale) alla potenza espressa nei gruppi didattici e supervisivi che vedono coinvolti trainer e trainee provenienti da territori e contesti sociali diversi tra loro. Le autrici auspicano che l’aggiornamento (potremmo tradurre con il temine “la formazione”) sia una occasione per: “stabilire contatti tra istituti […] che non hanno mai collaborato prima e che, per l’occasione, riescono a far emergere le diverse competenze e culture di riferimento […]”. 2) La costanza dei rapporti: I membri di una comunità “in rete” hanno bisogno di condividere concrete esperienze “sul campo” secondo una modalità che

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L’esperienza di rete descritta offre alcuni interessanti spunti applicabili in contesti diversi da quelli prettamente scolastici:

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riconosce i ruoli e le relative funzioni nell’ambito di relazioni sociali paritarie. La autrici sostengono che nell’ambito di una rete occorra “cominciare a vedersi e a mettere a fuoco la possibilità di stabilire rapporti costanti tra di noi”. Occorre vedersi ed incontrarsi, sostare assieme, per rispondere ai problemi che la società complessa pone. La compresenza interagente delle diversità è finalizzata, in questa ottica, alla creazione di itinerari ed esperienze condivise ove i problemi che derivano dall’ “essere diversi” vengono affrontati “stando assieme”. Si ha la possibilità, in questo modo, di aprirsi ad un “vissuto collettivo” ove ciò che appariva come un “problema” si trasforma nella cornice relazionale, in una occasione di apprendimento del tutto originale. Perché ciò si realizzi è necessaria una decisione “in okness” che superi i giudizi bloccanti e che, pur ascoltandoli, si ponga al di là dei possibili “sentimenti ostacolanti”: la decisione di trascorrere assieme del tempo nell’okness. 3) Desiderio dell’altro: Secondo le autrici “alla complessità non si può rispondere in modo burocratico, uniforme e soprattutto da isolati: lo scambio e la collaborazione costante fra operatori […] e specialisti esterni, associazionismo e mondo della ricerca, l’analisi comune delle possibili collaborazioni per trovare soluzioni […] sono il presupposto fondamentale per affrontare le profonde innovazioni […]”. Le autrici descrivono il passaggio dall’isolazionismo e dall’essere autoreferenziali al desiderio di “mettere in comune” le proprie risorse per costruire assieme una “novità concreta”, un “compito reale” capace di realizzare una nuova inclinazione culturale che segni l’apertura delle reti territoriali verso altre reti territoriali internazionali. 4) Desiderio che l’altro “sia”: Una comunità che si misura con il tempo e con lo spazio promuove percorsi che facilitino il ricambio generazionale “governando il passaggio del testimone e il necessario scambio di esperienze […] sul campo”. È interessante poter riflettere, nell’ambito delle comunità culturali, sui “processi di governo” che segnano i passaggi del testimone, che incidono sulle dinamiche con le quali il potere viene gestito, che determinano i criteri con i quali vengono promossi e proposti i percorsi di training, che segnano tempi, scadenze, modalità e ritualità con le quali il singolo soggetto traccia la propria “parabola” professionale all’interno di una data comunità culturale. 5) La rete in rete: occorre che le esperienze di apertura ed incontro su base nazionale ed internazionale vengano sostenute e implementate attraverso l’uso consapevole e direzionato delle attuali nuove tecnologie, in modo da sfruttare la possibilità di accesso ad un “moltiplicatore” di relazioni, di informazioni e di opportunità.

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Infine, dalla testimonianza offerta dalle autrici sulla loro personale esperienza all’interno della rete, emerge uno spazio autobiografico denso di significati, di sfide, di opportunità professionali, di nuove possibili opzioni.


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Passaggi intergenerazionali

Loredana Paradiso

abstract

L’atto creativo, che è atto generativo nasce dal rifiuto del vecchio Sistema di Riferimento, il Genitore in Analisi Transazionale, non più funzionale all’esistenza degli individui in una determinata società. Sebbene il passaggio intergenerazionale spesso si configuri come esito di un gioco psicologico “Lotta di Potere”, è proprio grazie a questa conflittualità che si realizza il confronto dialettico tra le generazioni. La continuità tra le generazioni è mantenuta attraverso un’eredità psichica, e compito che si assegnano i nati della nuova generazione è di smascherare le contraddizioni, le false soluzioni, le istituzionalizzate violenze della generazione che li ha generati. Di questi passaggi intergenerazionali e delle difficoltà relazionali nelle fasi di svincolo all’interno delle famiglie si è occupatal’AT, quando ha considerato il legame disfunzionale tra le generazioni alla base della patologia copionale (Epicopione).

A creative act is born out of rejection: out of the “demolition” of the old frame of reference, the Parent in Transactional Analysis, no longer functional to the existence of individuals in a specific society. Although the intergenerational transition often takes the shape of a “Power Struggle” game, it is thanks to this conflict that intergenerational dialectics is brought about. The continuity between generations is maintained through a psychic heritage, and the task of the new generation is to unveil contradictions, fake solutions, institutionalized violence of the generation that has generated them. TA,like Family Therapy, has taken in due consideration the relational difficulties connected with in the separation stages within families, in dealing with the dysfunctional bonding between generations which lays behind script pathology (Episcript). Keyword: Intergenerational, Transgenerational, Social changes, Separation, Individuation

Medico, specialista in Neurologia e in Psichiatria, Analista Transazionale Certificato specializzata in Psicoterapia, PTSTA, svolge attività libero professionale in ambito psichiatrico e psicoterapeutico. Docente e Supervisore presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia a orientamento Analitico Transazionale dell’Istituto Performat, sede di Catania / loredana.paradiso@tin.it © Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Parole chiave: Intergenerazionale, Transgenerazionale, Cambiamenti sociali, Separazione, Individuazione

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In memoriam patris mei,David, medicine doctor et chirurgie magister atque pauperibus medicus (E. Berne, 1961) in memoria del padre

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Dal vocabolario Treccani Intergenerazionale (aggettivo composto da inter + generazionale): “Che collega o contrappone generazioni diverse”. Generazionale: “Che riguarda il generare, come processo generativo, oppure più generazioni, come complesso di persone nate in un determinato periodo di tempo, nel loro reciproco rapporto. È aggettivo di generazione che a sua volta rimanda al verbo generare, cioè un atto creativo in senso epistemologico. Come l’atto generativo nasce dalla ricombinazione del patrimonio genetico di due individui biologicamente definiti e diversi, così l’atto creativo, nell’ambito delle scienze umanistiche come in quelle scientifiche, nasce dal rifiuto e per tanto dalla decostruzione di un ordine previo, di un canone “normalizzato”, nel senso che appartiene al sentire dei più, e si esprime come atto rivoluzionario, visionario, un ordine nuovo delle “cose”. Ed è difficile dire con certezza se quest’ansia di rinnovamento nasca dal desiderio di ricerca di quella “verità” mai posseduta definitivamente dall’intelligenza dell’uomo, o dalla necessità di adattarsi a mutate condizioni socio-ambientali per assicurarsi la sopravvivenza individuale e della specie. Freud (1915), nella sua prima topica, affermava che, posto che l’amore nasca da pulsioni sessuali, la polarità opposta all’amore non è la spinta distruttiva, ma un istinto conservativo, protettivo nei confronti di ciò che minaccia lo status quo ante. Potremmo dire che la “demolizione” del vecchio Sistema di Riferimento, il Genitore in Analisi Transazionale, non più funzionale alla esistenza degli individui in una data società, è alla base del progresso della civiltà, fondato proprio su questo contrasto generazionale, così che entrambe le polarità possono essere considerate al servizio della “generazione”. Sebbene il passaggio intergenerazionale spesso si configura come gioco “Lotta di Potere”, in realtà è proprio grazie a questa conflittualità che si realizza il confronto dialettico: attraverso una lotta che, stabilendo le distanze, rende possibile definire le alterità e le “specificità” generazionali. Una educazione autoritaria che parte da un Genitore Normativo negativo, cosi come quella lassista di un Genitore Affettivo negativo, produce un legame patologico che si struttura poi comunque come dipendenza. Dipendenza dalla punizione così come dalla approvazione, legame simbiotico che impedisce di riconoscere la autonomia, la integrità, libertà dell’altro, premesse per lo “svincolo” generazionale. (Hoffman, 1984) La eccessiva disponibilità di genitori che non solo soddisfano, ma addirittura cercano di prevenire i bisogni dei figli, soffoca sul nascere i loro sentimenti di ribellione e di opposizione indispensabili per operare la “deidealizzazione” dei genitori, grazie alla quale perverranno alla risoluzione della dipendenza infantile. Anche genitori eccessivamente Normativi che “imprigionano” i figli dentro necessità del quotidiano vivere, della durezza della prova, del riconoscimento dei “limiti”, impediscono ai figli di conquistare i propri spazi mentali, e finiscono col favorire la nascita di atteggiamenti ribellistici ed aggressivi scambiati impropriamente, dall’adolescente, per libertà interiore.


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Difficile dire a chi costi più fatica e dolore se ai genitori o ai figli attraversare questa lotta, ma è certo che anche ai genitori, grazie a questa loro seconda adolescenza, è data la possibilità di rivedere alcuni pregiudizi, elaborandoli in giudizi, patrimonio Adulto. Quindi il confronto intergenerazionale e l’emancipazione dall’autorità sono passaggi obbligati per la formazione di una coscienza identitaria, premessa ad una esistenza in autonomia, bernianamente intesa. L’adolescente per parte sua, al fine d’operare il passaggio all’età adulta deve distruggere l’immagine del genitore onnipotente quale gli appariva durante l’infanzia, affrontando l’angoscia di fronte alla “mortalità” del genitore ed il senso di colpa per avere ucciso, in effigie, il “padre”. L’adolescente per crescere ed arrivare ad essere se stesso, deve portare a termine la rottura dello specchio nel quale è riflessa l’immagine della immortalità propria e dei genitori (Garbarino, 1992), affrontare le paure legate alla violazione delle decisioni arcaiche assunte in conformità alle ingiunzioni. Proprio per l’angoscia edipica di sentirsi responsabile della “morte del padre”, l’adolescente tal volta perviene ad una soluzione di compromesso: la attivazione di un “Anticopione” (Berne, 1979) che è pur sempre lo stesso copione, ma visto allo specchio. Illusione ottica e testimonianza, ancora una volta, dell’angoscia di separazione, quella vissuta all’epoca in cui dovette separarsi dalla madre. La frattura dello specchio nel quale è riflessa l’immagine del “padre”, non sempre porta la risoluzione della simbiosi tra genitori e figli ma il passaggio intergenerazionale, dura prova per il narcisismo di entrambi, è pur sempre una grande occasione per una revisione del Copione ed una crescita in autonomia. Maria Teresa Romanini afferma che il cambiamento è possibile grazie ad una Ridecisione anche senza Rigenitorizzazione (Romanini,1999), per significare la assunzione di una nuova determinazione in Adulto: il passaggio generazionale comporta anzi tutto, ma non solo, ripudiare il Genitore, il Sistema di Riferimento, la “griglia” culturale del gruppo di appartenenza, grazie alla quale significhiamo la realtà, operiamo un esame critico ed assumiamo le decisioni socialmente accettate. Pearl Drego (1981) nei suoi studi sui mutamenti sociali, in linea con la teoria berniana sui gruppi, estende al contesto sociale ed alle comunità, la tripartizione in sistemi coerenti di pensiero ed azione, gli Stati dell’Io, teorizzando un Genitore, un Adulto ed un Bambino sociali. Riconosce, nella cultura del gruppo, aspetti che fanno riferimento alla tradizione (group etiquette o Etiquette), aspetti tecnici, razionali (technical culture o Technicalities), aspetti emozionali (group character o Character), quali risvolti rispettivamente Genitoriali, Adulti e Bambini del modello condiviso. Tali stati dell’Io della cultura concorrono alla formazione del Genitore Culturale di una certa popolazione e tal quale nello sviluppo di una persona, le trasformazioni sociali producono una diversa distribuzione, catechizzazione di energia tra essi nelle diverse epoche. La trasformazione delle credenze del Genitore è di importanza capitale per il cambiamento intergenerazionale, perché è il Genitore sociale che giustifica ed immobilizza l’ordine sociale fissato attraverso i miti, rinforzato grazie al gioco delle ricompense e delle punizioni, stigmatizzato in comportamenti accettabili o inaccettabili. Per tanto il passaggio intergenerazionale, secondo la Drego, si rende attuale quando si opera un cambiamento del Genitore culturale e se si vuole avere un

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vero impatto sociale, ogni processo di trasformazione deve condurre a delle trasformazioni di questo Genitore. In questa prospettiva, la cultura, intesa come l’insieme dei valori trasmessi ed espressi attraverso i simboli, mantiene e sviluppa le conoscenze di una società e gli atteggiamenti di fronte alla vita anche attraverso l’Ombra Culturale (cultural shadow) del G2: il Sistema di Riferimento (G) diviene il filtro per la percezione dei dati e criterio per la scelta operativa (A) e maniera sentire (B) Poichè la possibilità di sopravvivenza di un gruppo è commisurata alla capcità di adattamento a mutate condizioni socio ambientali, ritengo che anche fattori tecnici e sviluppo tecnologico (technicalties) dell’A2 siano determinanti per le trasformazioni generazionali e che anzi ogni cambiamento sociale radicale, è da questo motivato e promosso, quando rappresenta un “vantaggio” conscio o inconscio per un gruppo. Ogni passaggio intergenerazionale, epocale, richiede un processo di trasformazione dell’intero sistema e questo non può darsi in maniera duratura, se non si opera una trasformazione di tutti e tre i sottosistemi. Il secolo scorso ha visto avvicendarsi molteplici mutamenti sociali e passaggi intergenerazionali, transitando, tra gli anni ‘50 e ’70, da una società normativa, legata alle categorie morali del bene e del male ad una permissiva che si dava come valore dominante il riconoscimento della pari dignità dell’individuo. Ma le speranze suscitate dal movimento sessantottesco si smorzarono ben presto ed i cambiamenti furono meno radicali di quelli che ci si aspettava in premessa, fagocitati da una società dei consumi che aveva normalizzato anche la spinta libertaria del movimento. Gli anni che seguirono videro una fuga dal sociale ed un ritiro verso un individualismo rampante e competitivo. Lo straordinario sviluppo tecnologico e dei media nel ventennio successivo non solo ha fortemente condizionato il modo di pensare e sentire, ma anche i modi della relazione e della socializzazione. Oggi, traguardato il nuovo secolo, dobbiamo fare i conti con una società globalizzata (Bauman, 2009), che rinunzia ad un codice culturale ed etico unico, una società liquida (imprendibile e riluttante ad assumere una qualsiasi forma o meglio che prende la forma del contenitore, proprio come tutti i liquidi), cioè restia a qualsiasi restrizione o vincolo stretto dalla necessità. Rifiutando Anankè, la dea greca della Necessità, sottraendosi alla necessità del sacrificio, si corre il rischio di strutturare stati patologici di dipendenza o di simbiosi senza mai arrivare alla possibilità di individuazione-separazione, alla assunzione di un mondo valoriale che fondi la alterità, confronto autentico di ogni passaggio intergenerazionale. Infatti il passaggio intergenerazionale può essere descritto anche in termini di rottura della simbiosi tra figli e genitori, che, evolutiva e trasformativa a patto che i genitori si discostino da una posizione narcisistica, si rivela traumatica allorché la nuova generazione rifiuta una condizione riconosciuta come di sottomissione all’autorità paterna, la condizione del Golem, (parola ebraica che significa materia informe) di creatura asessuata, priva di volontà, esecutore passivo di ordini altrui, dipendente e per ciò stesso indifeso, ma dominatore, al contempo con la sua dipendenza, del suo artefice. “ Il Golem sembra esprimere l’esemplare mito della sottomissione all’autorità paterna, opposto al mito di Sisifo, rappresentante invece della permanente ribellione alla logica… del dio-padre”. ((Kancyper, 2010, p. 36). Il passaggio intergenerazionale si rende possibile al prezzo di una deidealizzazione che trova espressione nella ribellione, nel tenere “testa “, nel contrap-


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porsi faccia a faccia al genitore, poichè il risentimento consente di stabilire le distanze, di definire in maniera non univoca la realtà. Di questi passaggi intergenerazionali e delle difficoltà relazionali nelle fasi di svincolo all’interno delle famiglie, si è diffusamente occupata la Terapia Familiare ed in particolare la scuola Trigenerazionale.(Canevaro, 1994) Al centro della teoria si colloca l’affermazione che la coppia nasce dalla integrazione dei due sistemi familiari di appartenenza e che da questi è influenzata e modificata. Questo vincolo di alleanza tra la coppia è antropologicamente differente dal vincolo di filiazione che li unisce ai propri genitori e a loro volta ai propri figli con i quali hanno formato una nuova famiglia. Vincoli antitetici ma complementari ed in relazione inversa: più il vincolo di alleanza si consolida, più si indebolisce quello che li lega alle rispettive famiglie di origine, mentre col nascere dei figli si prolunga l’asse diacronico di trasmissione transgenerazionale dei valori culturali. Ritengo che questa trasmissione di “contenuti” (diremmo del G culturale), può continuare indisturbata sino a quando non mutino le condizioni socio-economiche e il contesto antropologico di appartenenza. La tensione dinamica che esiste tra i due assi, in una complementarietà degli opposti, costituisce il punto nodale del sistema trigenerazionale.” (Canevaro, ibidem, p. 4). Quando la coppia stringe sempre di più il proprio vincolo di alleanza, si marca la distanza tra le generazioni dei padri e dei figli, e si badi bene, questa differenziazione intergenerazionale non si produce se gli “attori” rimangono invischiati in relazioni simbiotiche intergenerazionali. In Ciao … E poi? (1979, p. 57), Berne afferma che “ Le forze che muovono il destino dell’uomo sono quattro, e tutte terrificanti: la programmazione parentale demoniaca, incoraggiata da quella voce interiore che gli antichi chiamavano Daimon; la programmazione parentale costruttiva, anticamente chiamata Fusis; le forze esterne tuttora chiamate Fato; e le aspirazioni indipendenti … Da queste diverse forze risultano quattro diversi tipi di copione, che possono combinarsi tra loro e portare a un tipo o a un altro di destino finale: di copione, di contro-copione, obbligato o indipendente”. Ed inoltre che il Copione, piano di vita inconscio basato su decisioni assunte durante l’infanzia, rinforzate dai genitori, giustificate dalle circostanze e culminanti in una decisione di sopravvivenza, viene steso dal bambino grazie anche alle “istruzioni” (i controlli del copione) che la generazione precedente gli ha fornito e che addirittura interi Copioni possono essere trasmessi, qualora in essi siano inscritte intere saghe familiari, mitologemi da tramandare. Berne suggerisce, per scoprire quale sia il tema della “tradizione”, di indagare su quale fosse stato lo stile di vita che conducevano gli avi, ovvero le influenze “ataviche”. Aveva trovato, nella sua esperienza, tre grandi categorie di risposte: Orgoglio Antico,ovvero la pretesa di condividere con l’antenato le qualità che lo resero persona notevole; Idealizzazione, le virtù dei nonni rappresenterebbero un valore tale che va perseguito e attivamente praticato tuttora; la Rivalsa, che viene posta in essere da un B ribelle nei confronti di un genitore svalutante, identificandosi e recitando il personaggio dell’avo idealizzato. Comunque sia, sono tutti “contenuti strutturali” che dal G1 del genitore passano al G1 del figlio che poi li processerà creativamente col Piccolo Professore. Quest’ultimo, nella nuova veste del ” Piccolo Chirurgo”, ha il compito di “revisionare le ferite torpide” lente a guarire, i segreti inconfessabili, i conflitti non risolti per individuare le soluzioni che rendano giustizia.

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Se i Copioni familiari tendono a tramandare il mito della propria famiglia, il Copione Culturale ha l’obiettivo di salvaguardare la identità, e conseguentemente la sopravvivenza di tutto il gruppo di appartenenza, ponendosi quale fattore di stabilità grazie all’azione antagonizzante la spinta naturale al cambiamento promossa dalla Fusis. Gloria Noriega (2015) ha affrontato con competenza da studioso e passione per l’uomo, il tema della trasmissione del Copione da una generazione alla successiva trattandolo dall’angolo visuale della Codipendenza, disordine nella relazione di coppia che nasce dalla “accettazione” da parte del Bambino (ma più spesso Bambina!) di messaggi ingiuntivi che impongono la rinunzia alla soddisfazione dei bisogni propri, una propensione al salvataggio del partner spesso problematico, in una relazione sostanzialmente simbiotica. Copione culturale, la Noriega lo ha studiato nella società messicana, tende a perpetuarsi e palesarsi, nel caso della codipendenza, come Sindrome di Passività (Sciff 1980), cioè comportamento inefficace a promuovere il benessere della persona, simbiosi irrisolta che mortifica il pieno sviluppo della personalità, inconsciamente destinata a svalutare il dolore. Qui come in altre circostanze di trasmissione transgenerazionale, la comunicazione inconscia gioca un ruolo fondamentale, grazie a due determinanti: le transazioni di transfert (una donna si unisce ad un partner violento già presente anche nella famiglia di origine) ed il meccanismo difensivo della identificazione proiettiva (la donna assume le esperienze emotive del partner come fossero sue). Destino accettato (in special modo dalle donne) attraversate da un sentimento di insondabile vergogna, perché senza oggetto, in cerca di un riscatto attraverso il sacrificio di se stesse. La Codipendenza, cui concorrono quattro tipi di copione, individuale, familiare, di genere e culturale, è fattore di stagnazione nella palude copionale, espressiva di modi di intendere la vita; palcoscenico per la gestione di tematiche esistenziali non risolte, ma accettate come nodi da sciogliere, annodati da incogniti antenati che li hanno legati a processi di comunicazione inconscia, e che riappaiono nella vita adulta della generazione successiva come comportamenti scarsamente decifrabili. I messaggi “percolati” da una generazione all’altra dicono in modo sotterraneo di situazioni significativamente collegate alle uscite di Copione mentre i figli vengono chiamati a dare risposta al messaggio ulteriore contenuto nella transazione dei genitori, in funzione di Salvatori e curatori dei loro bisogni. Famiglie intossicate dal veleno dei loro stessi segreti tramandati alla stregua di liturgie vengono tramandati lungo le generazioni, modi di pensare ed agire “ giusti”, espressi in modo ambiguo, dati per scontati, lasciati intendere attraverso stili di vita, allusioni e “ obbligate opzioni”. Accade così che nel gioco tipico del copione co-dipendente “ Sto solo cercando di aiutarti” (Noriega, 2015), la persona, la donna in genere, cerchi inconsciamente di farsi accettare, di farsi perdonare una colpa mai circostanziata, di emendare la sua “difettualità” accettando il ruolo di capro espiatorio. Dietro la consapevole condizione di impotenza si annida il segreto risvolto di un gioco psicologico di Potere che la introdurrà in una triangolazione che se da un canto la vede socialmente Vittima perdente cui si addice la vergogna, dall’ altro lei è la risposta al bisogno del partner che da lei dipende (Salvatore/Persecutore).


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Alla base si colloca il legame disfunzionale tra le generazioni, legame di tipo simbiotico che impedisce l’incontro emozionale ed il passaggio da una generazione all’altra di contenuti ideo-affettivi “onesti” (non ricattatori), necessari alla conferma identitaria dell’altro. Possiamo considerare che proprio questa trasmissione da una generazione alla successiva di contenuti ideo-affettivi problematici, sia alla base della patologia copionale che Fanita English (English, 1969) ha descritto con nome di Epicopione: quando la persona non è in grado di scongiurare l’epilogo tragico di un copione amartico, l’unica possibilità di esorcizzarlo o di non ottenerne il tornaconto finale, è il trasmetterlo alla generazione successiva. E se è vero che il passaggio transgenerazionale della Patata Bollente esprime il fallimento dell’esorcismo della “maledizione” di copione, è pur vero che questo stesso passaggio generazionale offre la possibilità di elaborare i “lutti” della generazione precedente, semplicemente (si passi la battuta) lasciando raffreddare la patata”, cioè privandola del valore simbolico che le viene attribuito, l’ombra culturale del Genitore introiettato. Obiettivo etico, non solo terapeutico dell’intervento, è favorire questa armonia intergenerazionale che favorisce il “vissuto del fluire del tempo e la trasmissione di sistemi di valori attraverso le persone stesse in questo divenire “ (Canevaro, ibidem, p. 11) Questo stesso tema viene affrontato anche nell’articolo di Maurizio Nicolosi, pubblicato in questa stessa rubrica, in ordine alla storia ed al divenire della dottrina psicanalitica, per significare come il sapere in questo campo abbia subito delle trasformazioni-evoluzioni generazionali che sono funzione della relazione dei Padri Fondatori (Freud, Jung, Neuman), con il lato paterno di ognuno di loro. Certamente non sfuggirà al lettore formato all’analisi transazionale come anche in Berne la relazione col padre abbia avuto un peso rilevante, non solo sugli aspetti sociali della scelta professionale e del modo di vivere il ruolo medico, ma anche su quelli psicologici, per alcuni versi problematici, della relazione con alcune figure “genitoriali”. La morte prematura del padre, per altro idealizzato, vissuta con tutto il peso della ambivalenza emotiva di un adolescente, verosimilmente non gli consentì di prendere le giuste distanze individuative e successivamente, gli procurò rotture traumatiche da figure genitoriali proiettive, il suo psicanalista, ed a rinnegare la sua appartenenza alla famiglia “ortodossa”. Scrisse, sicuramente col Bambino, di due inviolabili leggi della morte: a nessun genitore è consentito morire prime che il figlio sia diventato maggiorenne e a nessun figlio morire sin quando almeno uno dei genitori fosse in vita (Berne, 1972). Ironia della vita, dovette confrontarsi anche con l’accusa di millanteria, quando gli veniva contestata la paternità di idee innovative nate dalle riflessioni assieme ad altri colleghi, durante i Seminari di San Francisco. Così anche nella storia dell’ Analisi Transazionale e della trasmissione dei saperi da una generazione alla successiva, il Genitore culturale ha abitato la scena come Fantasma del gruppo, cioè ectoplasma prodotto dalle proiezioni ideologizzanti della cultura del gruppo. La continuità tra le generazioni viene mantenuta attraverso i lasciti di una eredità psichica, compresi i traumi ed i “debiti morali”, i lutti, le ferite non riparate. Compito che si assegnano i nati della nuova generazione è quello di smascherare le contraddizioni, le false soluzioni, le istituzionalizzate violenze della generazione che le ha partorite.

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Secondo Berne ogni Copione è legato ad un mito, ed il mito di ogni generazione verrà trasmesso sino a quando riesce a raccontare il sogno collettivo o garantire un modello identitario per gli appartenenti ad un gruppo o le ferite narcisistiche non vengono riparate. Ma quando qualcuno riesce a disidentificarsi dall’eroe archetipico del copione culturale del genitore personale e/o sociale e comincia a sognare altri sogni, allora è pronto per un processo trasformativo e identificatorio creativo.

Riferimenti bibliografici

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Bauman Z. (2009). Modernità e globalizzazione (intervista di G. Battiston). Roma: Edizioni dell’Asino. Berne E. (1979). Ciao… e Poi? Milano: Bompiani. Canevaro A. (1994). La terapia familiare trigenerazionale. In La terapia relazionale e i suoi contesti. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Drego P. (1983). The Cultural Parent. TAJ, 13, 224-227 English F. (1969). Episcriptand the “Hot Potato” Game.TA Bulletin, VIII, October, 77-82. Freud S. (1915). Pulsioni e loro destini. In Opere Complete. Torino: Boringhieri. Freire de Garbarino M., Maggi de Macedo I (1992). Adolescentia II. Montevideo: Roca Viva. Hoffman L. (1984). Principi di terapia della Famiglia. Roma: Astrolabio. Kancyper L. (2010). Il confronto generazionale. Milano: Franco Angeli. Noriega Gayol G. (2015). Il copione di codipendenza nella relazione di coppia. Roma: Alpes Italia. Romanini M.T. (1999). Costruirsi Persona. Milano: La Vita Felice. Sciff J.L. (1980). Analisi Transazionale e Cura delle Psicosi. Roma: Astrolabio.

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LESSICO E CULTURE AT… ATTRAVERSO LE PAROLE E OLTRE

Le ombre dei padri Motivi transgenerazionali nella storia della Psicoanalisi

Maurizio Nicolosi

Parole chiave: Psicoanalisi, Ebraismo, Padre

The history of psychoanalysis is also a family novel where several themes appear recurrently. Among them, the Jewish component in psychoanalysis and the relationship with the father are presented in the bonding relations of the great masters: Freud, Jung and Neumann.

abstract

La storia della Psicoanalisi è anche un romanzo familiare nel quale si presentano in maniera ricorrente molti temi conduttori. Tra questi, la componente giudaica nella psicoanalisi e il rapporto con il lato paterno vengono osservati nei rapporti che legano tre grandi maestri: Freud, Jung e Neumann.

Psichiatra, Psicologo Analista Senior Istituto per l’Italia Meridionale e la Sicilia CIPA e IAAP

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2421-6119 (print)

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Keyword: Psychoanalysis, Judaism, Fathers

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È cosa nota che la Psicoanalisi e il suo sviluppo storico siano attraversate da un paradosso (Zaretsky, 2004). Intensamente e irriducibilmente antropocentrico, sin dal suo nascere il movimento psicoanalitico è diventato forza propulsiva per l’umanità in progresso: la spinta modernista degli anni venti del secolo scorso, la fondazione dello stato sociale degli anni quaranta in Gran Bretagna e USA, le rivolte e le conquiste libertarie di impronta femminista ed omosessuale degli anni settanta, così come le abbiamo conosciute, non avrebbero potuto aver luogo senza la “scoperta dell’Inconscio” e i suoi corollari. Eppure, nello stesso tempo e diversamente, la Psicoanalisi veniva assorbita da altre culture come fondamento di pregiudizi che avrebbero favorito l’affermazione di atteggiamenti antipolitici isolando la vitalità autentica dal resto del mondo (Francesetti, 2014), di teorie antifemministe utilizzando le idee del primo Freud conformi allo spirito del tempo tardo-ottocentesco (Mitchell, 1974), e di posizioni omofobiche emarginalizzanti, elaborate e superate dopo molto tempo e non senza contrasti (Pozzi, Thanopulos, 2006). Per non dire, ovviamente, delle posizioni culturali più scopertamente e argomentatamente antipsicoanalitiche che stigmatizzavano in maniera negativa l’insegnamento del “sospetto”, la vulnerabilità pseudoscientifica e, addirittura, un esercizio professionale ignobile, amorale, degenerato. Se la storia esteriore della Psicoanalisi si dipana nella dialettica proteiforme tra individuo e società, quella interna può anche essere letta come un colossale “romanzo familiare”, e non nel senso inappropriato e abusato di “saga” o di storia romanza di una stirpe, ma in quello un po’ più prossimo all’accezione data da Freud (1908) di complesso di fantasie consce e inconsce che si rincorrono e si embricano nelle generazioni. La recente pubblicazione integrale del carteggio tra Jung e l’originale e prestigioso seguace Eric Neumann ha consentito di entrare nelle pieghe di un rapporto lungo, dinamico, cangiante: al tempo stesso un’analisi a distanza (Zoja, 2016) e un’amicizia a distanza (Liebscher, 2015). Così è stato aggiunto un altro capitolo al romanzo familiare, sia introducendo temi nuovi sia riproponendo temi conosciuti ma che, per ciò stesso, sono diventati leit-motiv, motivi conduttori strutturanti la storia della Psicoanalisi. Due, in particolare, sono riproposti con ineludibile evidenza e con reciproci, intricati rimandi: la componente ebraica della Psicoanalisi e il rapporto maestro-discepolo che, peraltro, si declina come diversificazione e amplificazione del rapporto genitore-figlio, secondo le linee di una complessualità paterna ambivalente. Nel 1933, in occasione di un ciclo di Seminari tenuti da Jung a Berlino, Eric Neumann, ventottenne e fresco di laurea, conobbe lo zurighese che, all’età di cinquantasette anni, era ormai Psicologo di fama internazionale. L’intesa fu immediata, e venne seguita da un percorso analitico breve e intenso, che si sarebbe concluso nell’estate del 1934 con la partenza di Neumann per Tel Aviv per ricongiungersi alla famiglia. Una decisione presa sulla scorta del clima sociopolitico tedesco ormai scopertamente antiebraico e del sempre vivace sentimento che aveva visto Neumann, ebreo berlinese, aderire al movimento sionista sin dall’età di 19 anni. Quando la presa di potere di Hitler e l’avvento del Terzo Reich inasprirono la politica contro gli Ebrei, raccogliendo e ravvivando l’antisemitismo latente nella nazione tedesca, come in altre parti d’Europa, la scelta di lasciare la natale Berlino per la terra dei padri fu facilitata, se non obbligata. La realtà della nuova vita palestinese si presentò al giovane Neumann più sconfortante del previsto. E non solo per l’angustia della modesta sistemazione abitativa


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in Via Syrkin, ma anche per l’asfissia sperimentata sul piano relazionale. Neumann era arrivato in Palestina con la quinta ondata immigratoria; quella immediatamente precedente, la quarta (1924-1931), aveva condotto in patria Ebrei provenienti per la maggior parte dall’Europa dell’Est, di basso profilo sociale e culturale, e diffidenti nei confronti degli Ebrei tedeschi colti e benestanti che si erano insediati in Palestina con la seconda ondata immigratoria (1907-1914). In rapporto con pochi ebrei tedeschi intellettuali e con tanti ebrei polacchi artigiani e commercianti, Neumann patì la disillusione nei confronti del desiderato ritorno a Sion, e si concentrò sul lavoro psicoanalitico e sulla ricerca: “Storia delle origini della coscienza” e “Psicologia del Profondo e nuova etica” ne sarebbero stati il prodotto fecondo. Solo la corrispondenza con Jung era di conforto e di sostegno. Con lui, nel 1934, si lamentava dei tanti, troppi, Ebrei affaristi, egoisti e miopi, denunciando la caduta libera di ogni afflato ideale e il pericolo di un “fascismo ebraico”. A lui confidava che, deluso dalle persone, si sentiva a proprio agio solo nel deserto, e Jung, di rimando, si rallegrava che l’anima di Neumann avesse messo radici sulla terra degli avi. Nel 1936 i Neumann tornarono per un breve periodo in Europa: mentre il figlio Micha andò a Berlino con i nonni, Erich e la moglie Julia fecero tappa a Zurigo, dove Neumann ebbe la possibilità di incontrare Jung ancora una volta; l’ultima prima di una lunga pausa, dal momento che con il rientro a Tel Aviv il rapporto con Jung, fino al 1947, sarebbe stato esclusivamente epistolare. Nel 1937 il padre di Neumann, un commerciante di farine, morì per un’emorragia interna provocata da un pestaggio nazista, all’inizio di una fase durissima che avrebbe visto crescere i sentimenti di odio e moltiplicarsi i pogrom contro gli ebrei. Lo scoramento fu intenso, e nel dicembre del 1938 Neumann indirizzò a Jung una lunga lettera nella quale, forse per la prima volta, esprimeva un sentimento accorato, struggente, quasi abbandonico, per il dubbio sul coinvolgimento emotivo del maestro rispetto al clima antiebraico; le parole usate sembrano quasi rimproverarlo, salvo poi, a titolo di discolpa, giustificare con l’età sia il distanziamento affettivo da quanto accadeva in Europa sia la rinuncia a una parola chiara che fosse di giudizio sugli avvenimenti e, indirettamente, che fosse di conforto rispetto alla crescente afflizione del popolo ebraico,. Amarezza, delusione: quasi un lutto per Neumann, che, sincronicamente, ripeteva e ricapitolava quello per la perdita recente del padre biologico. Si era sentito incompreso da questi, che non aveva mai condiviso la scelta sionista del figlio, né apprezzato la sua vocazione intellettuale, avendone progettato, forse, un futuro nel commercio e nei traffici. Adesso si sentiva incompreso da Jung. E il maestro replicava, e si difendeva dal pur contenuto rimprovero dell’allievo protestando attenzione e interesse per la sorte degli Ebrei in Germania ma in maniera distaccata, da profeta saggio, distante e pacato, che da tempo aveva scoperto e additato l’uovo del serpente nel sentimento nazionalsocialista, ma che, adesso rimaneva inaccessibile come interlocutore personale al quale Neumann potesse consegnare sentimenti di tristezza e di rammarico. Le lettere del 1939 contribuiscono a ritrovare le ragioni teoriche dell’atteggiamento di Jung. Fino a quel momento Jung era stato dell’idea che la psiche ebraica avesse un fondamento peculiare, diverso da quello delle altre culture e rintracciabile nell’inconscio collettivo del popolo giudaico. Un’ipotesi antropologica altamente suggestiva che aveva favorito il percorso individuativo di Neumann, mobilizzando risorse per il progetto sionista personale e per il proprio destino psichico, allontanandosi dai luoghi di un imminente olocausto e tentando

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un nuovo inizio nella terra degli avi. Allo stesso modo, molti ebrei che avevano riconosciuto in Jung una visione del mondo fondamentalmente conservatrice, unita alla sensibilità per i valori dello Spirito e a una concezione dell’Inconscio come scaturigine di ogni vita creativa, si erano rivolti a lui per essere aiutati nella ricerca di quanto Martin Buber chiamava ebraismo sotterraneo (Ferrari, 2014), tesoro identitario con forte valenza archetipica. Poi, con il dilagare inaudito del nazismo e lo scoppio del secondo conflitto mondiale, Jung modificato le sue idee, per il convincimento che da tempo fosse in atto un processo di dissoluzione identitaria, di “secolarizzazione”, che aveva reso minima e trascurabile la differenza tra la dimensione simbolica ebraica e quella europea. La vicenda mostra una interessante simmetria: come maestro, Jung delude e amareggia il discepolo ebreo Neumann; come discepolo, molti anni prima, aveva deluso il proprio maestro, Sigmund Freud, un altro Ebreo. Jung, dopo un periodo di scambi epistolari, aveva conosciuto personalmente Freud nel 1907, e con lui aveva stabilito un legame umano e culturale intenso. Ma già un anno dopo, nel 1908, aveva cominciato a farsi strada in Jung un pensiero indipendente e insofferente delle angustie determinate dalla considerazione dell’energia psichica in chiave esclusivamente pulsionale e sessuale. La cosa non era sfuggita agli altri allievi di Freud, tra cui Karl Abraham, osservatore critico e impietoso del collega zurighese. Ma Freud era ancora indulgente e invitava ad avere pazienza e capacità di comprensione: era più facile ad Abraham che a Jung seguire le sue idee perché più vicino alla sua costituzione intellettuale, ebraica per stirpe e per razza, mentre Jung come cristiano e come figlio di un Pastore protestante non poteva che incontrare grosse resistenze interne. È opinione di molti, infatti, che, con il passare degli anni Freud si fosse del tutto identificato con la sua creatura, la Psicoanalisi, ritenendo il rifiuto della Psicoanalisi quasi un “spostamento” dalla mancata accettazione della sua persona, un ebreo: una posizione autoreferenziale che, ingenuamente o ad arte, leggeva la resistenza alla Psicoanalisi come il prodotto di un generico pregiudizio antisemita, senza voler riconoscere e considerare lo stretto legame tra Psicoanalisi ed Ebraismo, come più tardi sarebbe stato approfondito e dimostrato (MacDonald, 1998). Il rapporto con Freud si era problematicamente incrinato con la pubblicazione di Wandlungen und symbole der libido (Jung, 1912), ma lo strappo vero si sarebbe consumato nel 1914 con l’interruzione di ogni forma di rapporto e con la dimissione di Jung dalla Presidenza “a vita” dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi a suo tempo voluta da Freud stesso. Poi, mentre Jung sviluppava il suo progetto individuale che, sul piano introvertito avrebbe dato parole e immagini al Libro Rosso e, sul piano estrovertito, allo sviluppo della Psicologia Analitica, Freud provava a elaborare il proprio dissidio interiore con la scrittura del Saggio sul Mosé di Michelangelo (1914). Rammaricato per l’errore di aver collocato Jung in una posizione di rilievo all’interno del movimento psicoanalitico, Freud era costretto a fare i conti con la presa di coscienza che Jung, già designato come erede, aveva rotto il patto e non gli era più fedele, e che questo avrebbe potuto compromettere il futuro della missione, un tempo condivisa, di diffondere la Psicoanalisi. Così Freud si identifica nel corrucciato michelangiolesco Mosè scolpito per la tomba romana di Papa Giulio II: un leader indignato e in conflitto con se stesso, consapevole che dare libero sfogo alla rabbia e alle rappresaglie nei confronti di Jung avrebbe avuto conseguenze disastrose per il movimento psicoanalitico. Il patriarca che Freud guarda è quello colto nella rinuncia a dar corso alla collera contro il popolo


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traditore e idolatra di un vitello d’oro, capace di subordinare il sentimento alla ragione: seduto, e non levato in piedi, domina il furore desistendo dall’agito. Non è solo una scelta “politica”. È anche una scelta affettiva. Forse Freud, di fronte al distacco critico di Jung, avrà ripensato al proprio rapporto con il padre Jakob, un commerciante di lane, e all’episodio che aveva visto questi oggetto di bulling antisemita nella natia Freiberg, cittadina boema dell’Impero austro-ungarico nella quale era impossibile sottrarsi allo spirito antiebraico. Lo stesso Jakob aveva raccontato al figlio che, aggredito da un cristiano che aveva preso il suo cappello nuovo di pelliccia scagliandolo nel fango, non aveva reagito e si era limitato a raccogliere il berretto. Al racconto dell’episodio, Sigmund Salomone (Schlomo) provò invece indignazione per il gesto di violenza e derisione, e commentò l’episodio con amarezza stigmatizzando che l’atteggiamento del padre non gli sembrava eroico (Ellenberger, 1976). Da quel momento in avanti Freud, a partire da un accadimento soggettivo e privato, avrebbe iniziato a costruire e rielaborare il suo legame con l’ebraismo. Neppure per Jung l’esperienza del rapporto con il padre personale risultò gradevole. Il Pastore luterano Paul Achilles, per quanto fosse teologo erudito, appariva agli occhi del figlio come un uomo scialbo, debole, infelice, limitato da una fede ottusa e acritica, sul punto di “soccombere irrimediabilmente al proprio destino” (Jung, 1963). E come Freud, anche Jung sarà costretto per molto tempo a farsi i conti con il padre, quello personale e quello archetipico. Più volte ripreso, il motivo che era già stato argomentato in età giovanile, sarà revisionato nella piena maturità nello stesso periodo in cui Jung era dedito alle ricerche sulla sincronicità (Jung, 1909/1949), definendo l’imago paterna come archetipo delle origini, potere ineludibile, determinante e condizionante dal quale è necessario affrancarsi, ma dal quale si proviene e al quale si resta legati; lo stesso Jung, a distanza di 40 anni e intento alla revisione di uno scritto, non cambierà l’incipit dello scritto: “Freud…”! Un padre remissivo quello di Freud, un padre triste quello di Jung, un padre svalorizzante quello di Neumann: eppure tutti decisivi per il destino e l’individuazione dei loro figli. E determinanti, in qualche modo, per la storia stessa del pensiero psicoanalitico e per l’impatto di questa sullo spirito del tempo. Prescindendo dalla narrazione diacronica che fin qui ci ha accompagnato, le vicende parentali descritte possono essere guardate, sincronicamente, come una grande metafora. La sindrome da “padre assente”, non solo è cifra significativa del disagio collettivo in Occidente, e come tale oggetto di interesse da parte del pensiero psicologico e psicodinamico più recente, ma può riguardare la stessa metapsicologia tutte le volte che ancora la psiche in maniera esclusiva alla dinamiche con il materno, facilitando la declinazione di un pensiero psicodinamico reificato, letterale e riduzionista, e quasi costringendo chi della psiche è chiamato ad occuparsi a impersonare il ruolo dell’Eroe che sconfigge il drago materno; un Salvatore, quindi: dei valori, della società, della famiglia, della politica, della salute mentale. Lo stesso Hillman che aveva posto l’interrogativo “Wath father Psyche”, “Che cosa fa da padre alla Psiche” (Hillman, 1972), vent’anni dopo avrebbe additato l’esito fallimentare di quella impresa eroica: “Cent’anni di psicanalisi e il mondo va sempre peggio” (Hillmann, 1992). Per quanto icastico, il giudizio di Hillmann non è pessimista, anzi indica un metodo riparativo ed evolutivo quando mostra come il contatto con le immagini del mondo interiore può facilitare il riconoscimento delle fonti del condizionamento inconscio, che hanno origine nella fami-

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glia: quella personale e quella sociale, che è la famiglia della famiglia. La prospettiva hillmaniana porta a riconsiderare l’ascendenza e, in particolare, a cercare una possibilità per riportare in vita qualcosa che la cultura del tempo sembra avere quasi del tutto dimenticato: i culti degli avi. La psicologia Archetipica e la dimensione immaginale conducono quasi naturalmente, alla psicologia transgenerazionale. Divenire consapevoli che esistono fattori che influenzano gli obiettivi, i desideri e il comportamento significa anche poter sentire oltre questi stessi condizionamenti e percepire il daimon, l’energia profonda che orienta il destino di ciascuno. I nostri avi, per quanto (o forse in quanto) rappresentanti dell’invisibile, mostrano ciò che è nascosto, segreto, profondo, definendo un progetto personale, facilitando il percorso individuativo di realizzazione di sé, rivelando il mito che ciascuno mette in scena sul palcoscenico della vita e depotenziando il gioco delle proiezioni. Anche quelle sul padre personale. Sia le proiezioni idealizzanti che quelle svalutative sono sempre il portato dell’introiezione dello sguardo della madre sul proprio compagno. Quando il figlio avrà la possibilità di ritirarle, forse occorrerà del tempo per raggiungere un giudizio e un sentimento più consapevolmente individuali e oggettivi, ma se “il lato mai avvertito dell’anima del padre è quello che offre all’anima del figlio le migliori opportunità per crescere ed evolversi” (Sommavilla, 1981), vuol dire che nel profondo della propria psiche si è aperto un varco che consente di entrare in rapporto con la psiche del padre, non pervasa da un sentimento eroico ma intrisa della ricerca della verità di sé; questa non richiede ὕβϱις, ma umiltà e desiderio.

IAT Journal - II • n. 1 - 2016

Riferimenti bibliografici

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