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Giornale Italiano della Ricerca Educativa Italian Journal of Educational Research RIVISTA SEMESTRALE anno X – numero 18 – Giugno 2017


Direttore | Editor in chief ACHILLE M. NOTTI | Università degli Studi di Salerno Condirettori | Co-editors PIETRO LUCISANO | Sapienza Università di Roma PIER CESARE RIVOLTELLA | Università Cattolica di Milano Comitato Scientifico | Editorial Board JEAN-MARIE DE KETELE | Université Catholique de Lovanio VITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV | City University di Mosca GIOVANNI BONAIUTI | Università degli Studi di Cagliari ETTORE FELISATTI | Università degli Studi di Padova MARIA LUCIA GIOVANNINI | Università di Bologna MARIA LUISA IAVARONE | Università degli Studi di Napoli “Parthenope” PERLA LOREDANA | Università degli Studi di Bari Aldo Moro PATRIZIA MAGNOLER | Università degli Studi di Macerata GIOVANNI MORETTI | Università degli Studi di Roma Tre ELISABETTA NIGRIS | Università degli Studu di Milano-Bicocca Comitato editoriale | Editorial management MARIA CINQUE | Università di Roma LUMSA ANNA SERBATI | Università degli Studi di Padova ROSA VEGLIANTE | Università degli Studi di Salerno Note per gli Autori | Notes to the Authors I contributi, in formato MS Word, devono essere inviati all’indirizzo email del Comitato Editoriale: rivista@sird.it Ulteriori informazioni per l’invio dei contributi sono reperibili nel sito www.sird.it __________________ Submissions have to be sent, as Ms Word files, to the email address of the Editorial Management: rivista@sird.it Further information about submission can be found at www.sird.it Consultazione numeri rivista http://ojs.pensamultimedia.it/index.php/sird

Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato) Codice ISSN 2038-9744 (testo on line) Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010 Finito di stampare: Giugno 2017 Abbonamenti • Subscription Italia euro 25,00 • Estero euro 50,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: abbonamenti@edipresssrl.it Editing e stampa Pensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435 www.pensamultimedia.it - info@pensamultimedia.it Progetto grafico copertina Valentina Sansò


Obiettivi e finalità | Aims and scopes Il Giornale Italiano della Ricerca Educativa, organo ufficiale della Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD), è dedicato alle metodologie della ricerca educativa e alla ricerca valutativa in educazione. Le aree di ricerca riguardano: lo sviluppo dei curricoli, la formazione degli insegnanti, l’istruzione scolastica, universitaria e professionale, l’organizzazione e progettazione didattica, le tecnologie educative e l’e-learning, le didattiche disciplinari, la didattica per l’educazione inclusiva, le metodologie per la formazione continua, la docimologia, la valutazione e la certificazione delle competenze, la valutazione dei processi formativi, la valutazione e qualità dei sistemi formativi. La rivista è rivolta a ricercatori, educatori, formatori e insegnanti; pubblica lavori di ricerca empirica originali, casi studio ed esperienze, studi critici e sistematici, insieme ad editoriali e brevi report relativi ai recenti sviluppi nei settori. L’obiettivo è diffondere la cultura scientifica e metodologica, incoraggiare il dibattito e stimolare nuova ricerca. ___________________________________ The Italian Journal of Educational Research, promoted by the Italian Society of Educational Research, is devoted to Methodologies of Educational Research and Evaluation Research in Education. Research fields refer to: curriculum development, teacher training, school education, higher education and vocational education and training, instructional management and design, educational technology and e-learning, subject teaching, inclusive education, lifelong learning methodologies, competences evaluation and certification, docimology, students assessment, school evaluation, teacher appraisal, system evaluation and quality. The journal serves the interest of researchers, educators, trainers and teachers, and publishes original empirical research works, case studies, systematic and critical reviews, along with editorials and brief reports, covering recent developments in the field. The journal aims are to share the scientific and methodological culture, to encourage debate and to stimulate new research. Comitato di referaggio | Referees Committee Il Comitato di Revisori include studiosi di riconosciuta competenza italiani e stranieri. Responsabili della procedura di referaggio sono il direttore e il condirettore della rivista. ___________________________________ The Referees Committee includes well-respected Italian and foreign researchers. The referral process is under the responsability of the Journal’s Editor in Chief and Co-Editors. Procedura di referaggio | Referral process Il Direttore e Condirettore ricevono gli articoli e li forniscono in forma anonima a due revisori, tramite l’uso di un’area riservata nel sito della SIRD (www.sird.it), i quali compilano la scheda di valutazione direttamente via web entro i termini stabiliti. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori esprimono un parere positivo. I giudizi dei revisori sono comunicati agli Autori, assieme a indicazioni per l’eventuale revisione, con richiesta di apportare i cambiamenti indicati. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non sono pubblicati. Per consultare il codice etico consultare il link: http://ojs.pensamultimedia.it/index.php/sird/about/editorialPolicies#custom-0 ___________________________________ Editor in chief and co-editor collect the papers and make them available anonymously to two referees, using a reserved area on the SIRD website (www.sird.it), who are able to fulfill the evaluation grid on the web before the deadline. Only articles for which both referees express a positive judgment are accepted. The referees evaluations are communicated to the authors, including guidelines for eventual changes with request to adjust their submissions according to the referees suggestions. Articles not modified in accordance with the referees guidelines are not accepted.


indice

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EDITORIALE DI ACHILLE M. NOTTI

Studi 13

ILARIA VISCIONE, IOLANDA ZOLLO, ERIKA MARIE PACE, MAURIZIO SIBILIO

Un approccio semplesso per l’organizzazione spazio-temporale in età evolutiva A simplex approach for the organization of space and time in childhood 25

LUCA IMPARA

educazione alla salute e didattiche avanzate Health education and innovative teaching strategies 43

PAOLA DAMIANI , ANTONIO ASCIONE

Body, movement and educational robotics for students with Special educational needs corpo, movimento e robotica educativa per gli studenti con Bisogni educativi Speciali 59

DAVIDE DI PALMA, ANTONIO ASCIONE, FRANCESCO PELUSO CASSESE

Gestire lo sport per uno sviluppo educativo Manage the sport for an educational development 67

MICHELE BIASUTTI, VASSILIS MAKRAKIS, ELEONORA CONCINA, SARA FRATE

Sviluppo professionale dei docenti universitari: un’esperienza in un progetto internazionale Professional development of university teachers: An experience in an international project 83

MARIKA CALENDA, ROSANNA TAMMARO

il periodo di formazione e prova degli insegnanti, il punto di vista dei neoassunti in provincia di Salerno: uno studio di caso The teachers’ training and probationary period, the thought of Salerno newly hired teachers: a case study

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Ricerche 99

ALESSANDRO ACELLA, STEFANIA CATALDI, FRANCESCO FISCHETTI, GIANPIERO GRECO

Physical fitness of young italian students: effectiveness of a 12-week supervised extracurricular training Forma fisica degli studenti italiani: efficacia di una formazione extracurriculare supervisionata della durata di 12 settimane 115

IRENE STANZIONE

Validazione e standardizzazione della versione italiana del questionario “come Ti Senti?” sul benessere e disagio nella scuola secondaria di primo grado Validation and standardization of the italian version of the questionnaire “How do you feel?”about well-being and ill-being in the lower secondary school 131

G. FILIPPO DETTORI

L’aula che i bambini vorrebbero: ridefinire il setting didattico ascoltando gli allievi della scuola primaria A classroom that children wish for: redefining the classroom space while honouring primary school students’ voices 145

ELISABETTA GHEDIN, SILVIA MAZZOCUT

Universal design for Learning per una valorizzazione delle differenze: un’indagine esplorativa sulle percezioni degli insegnanti Universal design for Learning to value differencies: An explorative reasearch considering teachers’ perceptions 163

SILVIA CESCATO

Prospettive di analisi dei dati nella ricerca visuale in educazione Approaches to data analysis in visual education research 181

VALERIA BIASI, CONNY DE VINCENZO, NAZARENA PATRIZI

Relazioni tra autoregolazione dell’apprendimento, motivazioni e successo accademico degli studenti. identificazione di fattori predittivi del rischio di drop-out Relationships between self-regulation of learning, motivations and academic success of students. identifying predictive factors of drop-out risk

indice

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esperienze 199

ANNAMARIA CURATOLA, PAOLA SURACE

Libroterapia e dislessia: oltre la valenza compensativa dell’ebook Librotherapy and dyslexia: beyond the compensatory value of e-book 215

VALENTINA CERRINA, ISABELLA SCURSATONE, CHIARA FRANCO, CLAUDIO SCOTTON, LUISA PIZZIGALLI

Pilates e pallavolo: quale efficacia sulla stabilità posturale dei fondamentali individuali? Pilates and volleyball: which efficacy on postural stability of individual fundamentals?

informazioni 225

GIOVANNI MORETTI

“La ricerca nelle scuole di dottorato in italia. dottorandi, dottori e docenti a confronto”: la undicesima edizione del seminario SiRd. “The research at doctoral Schools in italy. comparing doctoral candidates, Ph.d.s and Teachers”: the eleventh edition of SiRd conference


editoriale ACHILLE M. NOTTI

La funzione educativa della valutazione Il dibattito sulla valutazione educativa ha attraversato differenti stagioni che non solo hanno evidenziato la contaminazione di approcci dominanti in un determinato periodo storico, ma hanno contribuito a delineare la complessità dei fenomeni nella loro oggettività e unicità. Valutare significa ricercare, agire in una data realtà con l’intenzione di conoscerla per poter intervenire in vista di un miglioramento. Il campo di indagine della valutazione si è notevolmente esteso, basti pensare alla valutazione in ambito scolastico che da iniziale funzione accertativa, mirata a rilevare gli apprendimenti, si è affermata come un vero e proprio processo di regolazione e di interpretazione degli interventi educativi. Una valutazione indirizzata a verificare non solo l’efficacia dei prodotti rispetto agli obiettivi stabiliti, ma orientata ai processi e al contesto in cui operano gli attori coinvolti nell’istituzione scolastica ai vari livelli (micro, meso e macro). La valutazione non prescinde dall’oggetto valutato così come dal soggetto e dalla realtà in cui si agisce; è ricerca transdisciplinare secondo una logica che penetra in ogni ambito e vi fornisce quel valore aggiunto che è dato dall’emissione del giudizio. Sulla scorta di tali premesse si è svolto il convegno: “La funzione educativa della valutazione: teoria e pratiche della valutazione educativa”, tenutosi a Salerno il 23 e il 24 marzo 2017. Le giornate hanno inteso promuovere una riflessione sulla tematica della valutazione a partire dalla sua funzione educativa, dagli scopi e dal ruolo che i fini della valutazione hanno nella scelta delle modalità e degli strumenti adottati per valutare. La valutazione non può essere considerata solo come una procedura strumentale, ma è al tempo stesso il fine e mezzo di ogni azione educativa. Più volte è stata rimarcata la saldatura tra mezzi e fini, in quanto non si può ricorrere a strumenti senza aver individuato, preliminarmente, il fine ultimo mediante il quale indirizzare le azioni formative né si può raggiungere un determinato risultato senza l’ausilio di mezzi validi e attendibili. L’obiettivo della discussione mirava a fare chiarezza sul rapporto tra i fini della valutazione e i mezzi della stessa, dando ai fini la loro funzione di organizzatori dei processi e chiarendo che la scelta dei mezzi non è indifferente rispetto al raggiungimento dei fini. La confusione tra valutazione di tipo educativo, volta a promuovere, apprezzare le esperienze di apprendimento e socializzazione e la valutazione di tipo amministrativo (burocratico, tecnocratico), volta a definire graduatorie, controllare, preGiornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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miare e punire creando una separazione tra l’azione del valutatore e la condizione del valutato, ha portato non pochi problemi negli ultimi trenta anni. In questo senso si è ritenuto necessario, in sede pedagogica, riprendere una tradizione di riflessione sui fini e sugli strumenti, riflessione che dagli anni Cinquanta del secolo scorso aveva spinto a pensare nella scuola pratiche di valutazione educativa finalizzate ad apprezzare e a stimolare la crescita degli allievi. Spesso, nelle nostre riflessioni di pedagogisti che si occupano di valutazione, abbiano sottolineato il rischio, nelle procedure in uso, di confondere indicatori fragili con misure di scale razionali e di definire standard in assenza di una giustificazione teorica. Questo viene giustificato dall’esigenza di certificare le competenze senza tenere conto del fatto che si collocano in una dimensione dinamica in cui educatori ed educandi interagiscono in un contesto definito e che la cristallizzazione di questo processo rischia di non consentire una comprensione adeguata dei fenomeni e portare a decisioni sbagliate. In tal caso, parlare di prove di competenze è erroneo in quanto la competenza si verifica in situazione, non può essere predeterminata a priori né parcellizzata o segmentata in azioni precodificate; tutt’ al più si dovrebbe parlare di prove di abilità e di padronanza. Il fare valutazione è una pratica riflessiva sull’azione formativa rivolta a migliorare la qualità del processo di insegnamento-apprendimento. A prova di ciò è stato ulteriormente enfatizzata la funzione formativa della valutazione e la significatività che assume, se adottata in tutti i livelli d’istruzione anche nel contesto universitario. La ricorsività che si crea tra gli esiti delle prove intermedie e la riprogettazione della didattica è di sicuro uno dei punti di forza su cui si fonda la valutazione formativa dotata di carattere informativo. Così concepita la valutazione diviene un’istantanea della realtà analizzata, protesa a migliorare l’apprendimento e l’insegnamento in maniera continua e regolativa, capace di fornire un feedback sia allo studente nel controllo del suo apprendimento, sia al docente nel ripensare l’intervento didattico. Si valuta per accrescere la qualità del processo formativo, del servizio erogato, del sistema scolastico e si stabiliscono le soglie entro le quali individuare d’aver raggiunto gli obiettivi programmati, così come le azioni da compiere, tenendo conto delle risorse a disposizione e rispondendo alle esigenze dei destinatari degli interventi. La valutazione educativa si accompagna alla assunzione di responsabilità. Va ribadito che nel panorama attuale, sulla base di un assunto di sfiducia nei confronti degli insegnanti e dei docenti universitari, si va, ad ogni livello, alla ricerca di soluzioni che affidino i processi di valutazione non alla responsabilità degli educatori (o dei decisori politici), ma a procedure standardizzate e ad algoritmi deresponsabilizzanti. La questione della fiducia e della responsabilità è un problema chiave. In realtà la “non fiducia” e la paura di sbagliare portano alla deresponsabilizzazione della condizione dei docenti e, in tal modo, il rischio della rinuncia alla responsabilità educativa e la sostituzione di questa con il rispetto di regole formali diviene molto elevato. La mancanza di fiducia, espressa dagli organi di governo e dai loro tecnici nei confronti di insegnanti e docenti, ha provocato una altrettanto evidente mancanza di fiducia da parte di questi ultimi sia nei confronti dei decisori e dei loro tecnici, sia nei confronti delle procedure di valutazione e di misurazione. Già nel 2013 nel Manifesto per la ricerca educativa e l’innovazione didattica della SIRD la fiducia era individuata come la prima delle emergenze educative: “La prima emergenza educativa è relativa al fatto che l’educazione richiede fiducia: fiducia nei bambini e nei giovani, fiducia negli operatori e negli insegnanti, fiducia

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nella ricerca e ancora fiducia nelle istituzioni che governano e nel funzionamento corretto del sistema sociale e economico del paese. Questa fiducia oggi appare incrinata, e il danno che questa situazione costituisce condiziona negativamente ogni azione educativa. Il tentativo di sostituire a un patto di fiducia meccanismi di controllo, premi e punizioni, è sempre risultato inefficace. Il danno di un modello economico e sociale incapace di dare speranza e prospettive lede la motivazione. Una comunità educativa può crescere solo con una forte motivazione capace di integrare, aiutare, costruire una rete e valorizzare ciascuno secondo le sue capacità, sia esso bambino, giovane, insegnante o ricercatore. Fiducia vuol dire ascolto, non c’è formazione e ricerca educativa senza un attento ascolto degli insegnanti e degli allievi, delle famiglie e delle comunità sociali.” Il documento SIRD ritornava poi sulla valutazione in due passaggi; nel primo sottolinea: “un aspetto particolare di questo problema riguarda la valutazione, che possiamo ritenere come vera e propria emergenza (la settima, nel nostro ragionare). La ricerca didattica e in particolare la docimologia ha contribuito alla introduzione di questa tematica che oggi sembra essere assunta come decisiva in tutte le dimensioni della vita sociale. L’esperienza maturata da oltre cinquant’anni di ricerca ci ha aiutato a maturare la convinzione che sia necessario un grande rigore metodologico e che sia indispensabile anche avere sempre presente, accanto alla necessità di disporre di misure e di indicatori, di comprendere il senso dei limiti che queste procedure hanno anche quando vengono condotte con grande professionalità. Per questo ribadiamo la necessità che la valutazione dei sistemi formativi sia condotta da organismi autonomi, indipendenti dai sistemi di governo, guidati da ricercatori di provata esperienza specifica, in grado di verificare non solo punti di forza e limiti degli esiti del sistema formativo, ma anche punti di forza e limiti delle politiche formative nazionali e comunitarie.” Nel secondo si evidenzia la necessità di “un uso appropriato e rigoroso dei metodi qualitativi e quantitativi e delle tecniche di misura e dei nei processi di valutazione di tutto ciò che attiene l’insegnamento, l’educazione, la formazione, l’orientamento e la programmazione, sia nella scuola che nell’extrascuola e nell’università.” Il recente convegno ha ereditato queste riflessioni sviluppando essenzialmente due direttrici: una riflessione teorica sul senso educativo della valutazione e una riflessione critica sulle pratiche di valutazione nella scuola e nell’università. Per ciò che concerne la prima direttrice lo scopo è stato quello di analizzare criticamente le metodologie e gli strumenti di valutazione adottati per effettuare valutazioni di prodotto e di processo, nei termini di apprendimento-insegnamento. La riflessione teorica ha chiarito, altresì, l’uso di concetti quali quello di qualità, riferito alla progettazione educativa, e di competenza di difficile operazionalizzazione. La seconda direttrice ha affrontato la questione dell’affidabilità delle misure praticate in Italia e a livello internazionale (voti, giudizi, scale), l’uso di indicatori e la loro trasformazione in parametri, interrogandosi sul significato del feedback educativo, sul senso e sull’ utilità delle certificazioni. Inoltre è stato necessario ragionare su aspetti pratici che impongono l’utilizzo di tecniche e mezzi di valutazione di massa, quali le prove di accesso ai corsi di laurea e sui bassi investimenti che determinano una scarsa qualità degli strumenti impiegati in decisioni che hanno un rilievo determinante nell’esperienza degli individui. Questo è emerso dagli interventi tenutosi nella prima giornata del convegno, principalmente di carattere introduttivo, in cui si è fatto esplicito riferimento non solo alla tematica della valutazione, fine e mezzo delle azioni educative, ma al rapporto di coerenza tra strumenti e fini nella stessa pratica valutativa.

editoriale

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La seconda giornata, di carattere pratico-esperienziale, è stata dedicata alla presentazione di contributi di ricerca, organizzati nelle seguenti aree tematiche: – – – –

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valutazione nella scuola; valutazione della scuola; valutazione nella formazione universitaria e in ambiti dell’extrascuola; valutazione dell’università.

Nella prima area tematica (valutazione nella scuola) è stato affrontato il tema della valutazione scolastica formativa e sommativa, la certificazione delle competenze, l’uso delle procedure e degli strumenti di valutazione (prove strutturate, prove semi strutturate, prove attive, interrogazioni e colloqui, prove di produzione, ecc.), la conduzione e le caratteristiche degli esami finali, le funzioni della valutazione per accrescere la motivazione e l’apprendimento. Inoltre, è stato dato ampio valore al ruolo del docente, nel processo di verifica e valutazione, dotato di competenze didattiche digitali e chiamato a utilizzare le tecnologie, a ricorrere al registro elettronico per restituire gli esiti della valutazione agli studenti e alle famiglie. Nella seconda area tematica (valutazione della scuola) si è dato ampio spazio alla valutazione di sistema a partire dall’analisi dell’efficacia delle scuole, del contesto scolastico, dei processi e dei prodotti, dei modelli organizzativi, delle risorse disponibili, delle strutture architettoniche e degli spazi di apprendimento (laboratori, palestre aule, ambienti comuni, ecc). Tra le tematiche si è discusso sul rapporto tra misurazione e valutazione, tra modelli analitici e olistici e sul problema della responsabilità individuale e collegiale nelle valutazioni educative. In questa sezione sono stati presentati contributi relativi al ruolo delle indagini internazionali e delle indagini INVALSI per ciò che concerne la valutazione del sistema scolastico e gli effetti di modelli basati su graduatorie di qualità delle scuole. Nella terza area tematica (valutazione nella formazione universitaria e in ambiti dell’extrascuola) gli interventi si sono incentrati sulle funzioni della valutazione nei processi didattici nell’ambito accademico e nelle attività di formazione degli adulti, portando alla luce l’attuale problema della certificazione delle competenze e l’aggiornamento professionale nei differenti contesti lavorativi. Ci si è soffermati sulle modalità di esame e di attribuzione dei punteggi, sulle modalità di valutazione dei lavori di gruppo e delle attività di laboratorio, degli elaborati di fine corso e degli elaborati finali. Sono stati presi in esame lavori di ricerca sulla valutazione dei tirocini e delle competenze relative alle soft skills. Nella quarta area tematica (valutazione dell’università) i contributi hanno riguardato la valutazione del sistema universitario prendendo in considerazione la qualità dell’attività didattica e di ricerca, la funzione svolta dall’ANVUR, i modelli di valutazione esterna e interna. L’analisi è stata diretta agli esiti formativi e alla transizione al lavoro, facendo emergere non pochi problemi legati alle risorse, ai modelli organizzativi e agli effetti delle riforme sull’organizzazione didattica e sulla verifica del tasso di occupabilità. Quanto dibattuto nei due giorni del convegno, che sarà testimoniato con la pubblicazione degli atti, conferma, ulteriormente, la complessità e la trasversalità del tema della valutazione, che accomuna ambiti socioculturali differenti restituendone una visione unificante.

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Un approccio semplesso per l’organizzazione spazio-temporale in età evolutiva Ilaria Viscione • Università degli Studi di Salerno – iviscione@unisa.it Iolanda Zollo • Università degli Studi di Salerno – izollo@unisa.it Erika Marie Pace • Università degli Studi di Salerno – epace@unisa.it Maurizio Sibilio • Università degli Studi di Salerno – msibilio@unisa.it

A simplex approach for the organization of space and time in childhood

Children establish relationships between objects in space thanks to the orientation of their own body through the use of axes and plans, and through the use of lateral dominance, following the internalization and verbalization processes of the related concepts. The National Guidelines issued by the Ministry of Education in 2012 identify a series of specific learning objectives for primary school within the physical education curriculum. Among these is the role of the body and its relation to space and time. To meet these objectives, it is possible to propose practical activities with the aim of investigating the level of space-time orientation in terms of dominance, laterality and lateralization in primary school children. Refining lateralization skills is fundamental as it represents the preparatory process for the acquisition of basic motor schemes.

Parole chiave: organizzazione spazio-temporale; coordinazione psicomotoria; laboratori semplessi; educazione motoria; infanzia; declinazione didattica dei principi della semplessità

Keywords:space-time organization; psychomotor coordination; simplex laboratories; physical education; childhood; principles of simplex declination

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studi

Il bambino stabilisce relazioni tra oggetti nello spazio grazie all’orientamento del proprio corpo, attraverso l’utilizzazione degli assi e dei piani, e tramite l’uso della dominanza laterale, a seguito del processo di interiorizzazione e di verbalizzazione dei relativi concetti. Le Indicazioni Nazionali emanate dal MIUR nel 2012 individuano per l’educazione fisica alcuni obiettivi specifici di apprendimento per la scuola primaria, tra i quali si pongono in evidenza il ruolo del corpo e la sua relazione con lo spazio e il tempo. Così è possibile proporre attività laboratoriali allo scopo di indagare il livello di orientamento spaziotemporale, in termini di dominanza, di lateralità e di lateralizzazione, nei bambini della scuola primaria. Affinare la lateralizzazione è importante perché rappresenta un processo propedeutico all’acquisizione degli schemi motori di base.


Un approccio semplesso per l’organizzazione spazio-temporale in età evolutiva

1. La didattica psicomotoria per la strutturazione della dimensione spaziotemporale

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L’ambito educativo-didattico si caratterizza per aspetti complessi, in cui la pluralità dei contributi apportati da altri settori disciplinari consente di elaborare teorie interpretative del reale allo scopo di fronteggiare la complessità. Partendo da una concezione sistemica della didattica, è possibile riscontrare elementi di complessità dovuti ad una molteplicità di variabili, connesse tra loro da traiettorie non lineari, in una struttura ologrammatica in cui la transdisciplinarietà diviene indispensabile per la costruzione di interazioni adattive con l’ambiente (Sibilio, 2014). L’essere umano, quindi, interagisce costantemente con lo spazio circostante ed elabora informazioni per adottare nuovi comportamenti, imbattendosi in problemi che richiedono deviazioni dalla strada maestra, in grado di organizzare con originalità e creatività la complessità del mondo e dei processi che lo regolano (Berthoz, 2011). In particolare, l’ambito psicomotorio è ricco di potenzialità didattiche che si esprimono con attività laboratoriali diversificate, in cui il discente si immerge, potenziando le proprie abilità e valorizzando le esperienze attive in campo formativo. Il laboratorio, nella didattica psicomotoria, rappresenta un canale privilegiato per l’espressione delle potenzialità intellettive plurime. In tal senso, il complesso sistemico che collega corpo e psiche consente un’autonomia funzionale di ciascuna delle due componenti che è garantita dall’azione reciproca tra di esse (Sibilio, 2002b). Le esperienze didattiche a carattere laboratoriale, tipiche della didattica psicomotoria, consentono un’adeguata e costante strutturazione dei prerequisiti funzionali del movimento. Di conseguenza, il laboratorio costituisce l’opportunità per far emergere l’intelligenza corporea, spaziale e logico-matematica di ciascun discente, e incarna il mezzo tramite il quale far emergere il ruolo del corpo nell’organizzazione spazio-temporale (Coppola & Viscione, 2015). Si mette in atto, così, un’attività specifica di percezione, conoscenza, coscienza e regolazione della corporeità, attraverso il confronto con lo spazio, il tempo, gli oggetti, gli altri. La capacità di conoscere e rappresentare il proprio corpo dipende strettamente dalle relazioni esistenti tra l’io e l’ambiente circostante, da cui si evince una forte componente spaziale alla base della strutturazione stessa dello schema corporeo. Ecco, dunque, che lo spazio e il tempo divengono gli elementi costitutivi della realtà motoria in cui ciascuna esecuzione motoria è possibile esclusivamente con l’apporto di due elementi: – la consapevolezza della dimensione spaziale relativa al contesto in cui il corpo dovrà muoversi, al fine di ideare e produrre un’immagine motoria tridimensionale; – la precisa conoscenza della sequenza temporale, per fornire la dinamicità tipica del gesto motorio che consente la scansione e la corretta successione delle fasi del movimento.

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Qualsiasi esercizio motorio, quindi, necessita della percezione sensoriale per l’integrazione spazio-temporale, al fine di ottenere un gesto motorio coordinato, che si perfeziona e si consolida progressivamente grazie ai processi di apprendimento motorio, in grado di arricchire sempre più il bagaglio motorio di cui ciascun individuo è dotato (Picq & Vayer, 1991). Ogni gesto motorio messo in atto consente così di creare un unico spazio di azione, che si compone di due elementi in interazione costante: lo spazio corporeo e lo spazio esterno (Sibilio, 2005). L’organizzazione spazio-temporale diviene un processo propedeutico all’apprendimento dei concetti di spazialità, orientamento, misurazione dello spazio, ordine spaziale e temporale. Tali elementi sono utili, in età evolutiva, per la conquista dell’autonomia personale (Sibilio, 2002b).

2. La costruzione della nozione spaziale in età evolutiva secondo l’approccio costruttivista La costruzione della prospettiva geometrica dello spazio rappresenta per il bambino un processo lungo e complesso. Secondo le teorie di Piaget, autore che rappresenta una pietra miliare per lo sviluppo delle ricerche in ambito educativo e motorio, lo sviluppo cognitivo si fonda sull’intelligenza senso-motoria, che utilizza le attività di esplorazione multisensoriale, da compiersi nell’ambiente circostante, come modalità privilegiata per l’esplorazione dello spazio e, dunque, la costruzione della conoscenza, al fine del raggiungimento dell’autonomia personale. I rapporti spaziali possono suddividersi in tre categorie principali, riportate in successione progressivamente crescente: – i rapporti topologici, che riguardano i concetti di vicinanza e separazione e le relazioni esistenti tra individuo e ambiente. Lo spazio topologico consente al bambino la costruzione della sua prima rappresentazione spaziale elementare. Queste percezioni topologiche elementari includono i rapporti di vicinanza, di separazione, l’ordine, la successione spaziale, la continuità; – i rapporti proiettivi, che hanno carattere soggettivo, per cui la rappresentazione dello spazio si costruisce personalmente e in relazione al proprio punto di vista; – i rapporti euclidei, che sono oggettivi e, dal punto di vista matematico, sono definibili mediante misura. Rappresenta lo step più elaborato nello sviluppo della rappresentazione spaziale del bambino. Secondo l’approccio costruttivista, la fase della concezione topologica dello spazio coincide con la fase pre-operatoria dello sviluppo cognitivo in cui l’attività ludico-motoria diviene percettivo-motoria e simbolica, consentendo al fanciullo di consolidare gli schemi motori di base, elementi fondamentali per la progressiva conquista dello spazio circostante. Dal punto di vista dell’elaborazione spaziale, quindi, il bambino inizia a prendere in considerazione le relazioni spaziali, ma non le dimensioni o la forma delle figure. La conquista dello spazio si intensifica con la conquista della deambulazione, che rappresenta per il bambino un traguardo importante in quanto gli consente di ampliare enormemente il proprio raggio d’azione, rinforzando l’interazione con l’ambiente, riuscendo gradualmente a rappresentare il proprio corpo come indipendente nello spazio. Una volta superata la fase topologica della percezione spaziale, sorgono pro-

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blemi nuovi e diversi che riguardano la localizzazione degli oggetti e le configurazioni che scaturiscono tra di loro, in accordo con i sistemi prospettici o secondo assi di coordinate. L’acquisizione della concezione proiettiva dello spazio si instaura quando l’oggetto non viene più considerato isolatamente, ma comincia ad essere collocato in relazione ad un punto di vista differente e secondo i rapporti con l’ambiente circostante. Si giunge così ad una visione spaziale le cui componenti sono in rapporti armonici tra loro, seppur siano variamente collocate nello spazio; di conseguenza, si assiste al superamento del processo di analisi singola degli oggetti isolati. La fase operatoria dello sviluppo presuppone una corretta rappresentazione dei rapporti spaziali euclidei e proiettivi, in cui il bambino comincia ad apprendere i concetti di linea retta e angolo retto, seppur egli necessiti sempre di concretezza in quanto il pensiero astratto ancora non si è sviluppato. L’ultima fase si struttura a seguito di una serie continua di passaggi da corrispondenze proiettive a euclidee, che consentono finalmente al bambino di avere la stessa percezione spaziale degli adulti, basata sulle forme geometriche, la percezione delle dimensioni, di posizioni, orientamenti e distanze. Lo stadio operatorio-formale, dunque, consente all’individuo, ormai adolescente, la capacità di operare mentalmente attraverso l’elaborazione di deduzioni, ipotesi e astrazioni, non necessariamente riferibili ai dati concreti dell’esperienza. L’approccio costruttivista, quindi, consente all’azione motoria di scandire tempi, conoscere spazi, scandire connessioni con i vari elementi ed acquisire principi logici che si evolvono in differenti forme e canali della cognizione (Piaget, 2013; D’Elia, 2009; Camaioni, Di Blasio, 2007).

3. La concezione temporale primordiale in relazione all’interconnessione con la dimensione spaziale Sin dalla fase dell’intelligenza senso-motoria (periodo che va dalla nascita alla comparsa del linguaggio) è possibile riscontrare l’organizzazione di un sistema temporale già in minima parte strutturato in relazione alle esigenze e ai bisogni del bambino, che sono principalmente riconducibili alla successione e, nello specifico, all’attesa necessaria per ottenere un risultato atteso. Pur non riscontrando ancora uno schema di successioni omogeneo, vi è comunque una ridotta attività di organizzazione e di coordinazione di azioni. L’ordine temporale si confonde ancora con quello degli spostamenti. Tale iniziale indifferenziazione tra la dimensione temporale e quella spaziale è da ricondursi allo strettissimo legame che unisce spazio e tempo. I progressi compiuti dal neonato nella scoperta della successione degli eventi sono legati a quelli della coordinazione spaziale dei movimenti nella costruzione graduale del gruppo empirico degli spostamenti. Ai livelli primitivi, in cui il processo di permanenza dell’oggetto non è ancora instaurato, la successione degli eventi è da ricondursi all’attività motoria riflessa (se una persona esce dalla stanza, il bambino tenderà a cercarla in base alla collocazione precedente che la persona aveva nello spazio). Dal punto di vista spaziale, gli spostamenti dell’oggetto sono dipendenti dall’io, per cui il bambino tenderà a cercare l’oggetto laddove è stato raggiunto una prima volta dalla propria azione, come se si potesse riportare anche il tempo in una condizione precedente. Solo dopo aver costruito la dimensione spaziale empirica di spostamento, il tempo acquisirà la corretta obiettività e diventerà decentrato.

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La fase successiva, in cui esplode l’acquisizione dei concetti verbo-motori, consente il superamento dell’intelligenza senso-motoria e una rapida progressione delle capacità linguistiche che consentono, dal punto di vista temporale, lo sviluppo di una duplice direzione (passato e futuro) e della relatività temporale (il futuro diventa presente quando il “domani” si trasforma in “oggi”) (Piaget, 1979).

4. La coordinazione psicomotoria per l’organizzazione spazio-temporale La coordinazione psicomotoria consente al bambino la selezione delle catene cinetiche utili per il movimento da effettuare, puntando sul risparmio in termini di dispendio muscolare e dei movimenti parassitari (sincinesie). Eseguire un movimento coordinato, pertanto, implica una corretta rappresentazione mentale del movimento globale: dello spazio in cui lo si compie e del tempo necessario per l’esecuzione. L’orientamento spazio-temporale si colloca tra le capacità coordinative speciali e consente la determinazione e la variazione, secondo necessità, della posizione del corpo nello spazio e nel tempo in base a punti di riferimento definiti. Tutte le azioni motorie avvengono nello spazio-tempo; quanto più il bambino si orienta in questa complessità, tanto più risulterà organizzato. La strutturazione spaziale non è identificabile con alcun concetto pre-esistente nel bambino, ma si acquisisce gradualmente in un processo che vede un’esteriorizzazione dei concetti interni (dallo schema corporeo all’ambiente circostante). Le nozioni spaziali si costruiscono passando per il pensiero operativo concreto per poi giungere al pensiero formale. La struttura temporale più complessa è quella ritmica, per l’abbinamento di un dato ritmo all’azione motoria corrispondente. Tale attività, che si definisce in relazione alla sincronizzazione senso-motoria, riporta alla memoria fenomeni ciclici naturali, come la respirazione, il battito cardiaco, l’alternanza giorno-notte (Sibilio, 2002a).

5. Proposta didattica per l’affinamento dell’orientamento spazio temporale: i laboratori semplessi in educazione fisica Le corporeità didattiche riflettono la complessità del processo di insegnamentoapprendimento in cui la didattica semplessa1 consente l’adozione di un approccio che riconosca l’educazione motoria come strumento privilegiato per lo sviluppo dell’individuo. L’educazione motoria, infatti, è stata rivalutata nel corso del tempo:

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La teoria della semplessità consiste nell’insieme delle soluzioni trovate dagli organismi viventi che consentono loro di agire in modo rapido ed efficace, tenendo conto dell’esperienza passata ed anticipando il futuro, richiedendo di inibire, di selezionare e di collegare, talvolta comportando deviazioni, ma giungendo sempre alla risoluzione delle situazioni problematiche in maniera originale (Berthoz, 2011). Secondo lo studioso francese, tali soluzioni sono trasferibili ai diversi sistemi complessi adattivi; pertanto, recuperando le suggestioni emergenti da tale paradigma e proponendo un’analogia tra la didattica (intesa come sistema complesso ed adattivo) e gli organismi viventi, la semplessità fornisce nuove chiavi interpretative del fenomeno didattico ed arricchisce la riflessione pedagogica sulle relazioni tra scienze dell’educazione e neuroscienze (Sibilio, 2014).

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da mera attività paramilitare è divenuta indispensabile nella formazione pedagogica, ponendo in luce il ruolo del corpo che consente una formazione globale dell’individuo (Sibilio, Aiello, Carlomagno, D’Elia, Di Tore, 2014). Le istituzioni ministeriali italiane hanno contribuito alle suddette innovazioni concettuali. Le Indicazioni Nazionali emanate dal MIUR nel 2012, infatti, per l’educazione fisica individuano alcuni obiettivi specifici di apprendimento per la scuola primaria, tra i quali si pone in evidenza il ruolo del corpo e la sua relazione con lo spazio e il tempo, proponendosi “l’acquisizione della consapevolezza di sé attraverso la percezione del proprio corpo e la padronanza degli schemi motori e posturali nel continuo adattamento alle variabili spaziali e temporali contingenti” (Ministero della Pubblica Istruzione, 2012). Di conseguenza, è possibile proporre attività laboratoriali allo scopo di indagare il livello di orientamento spazio-temporale, in termini di dominanza, lateralità e lateralizzazione, nei bambini della scuola primaria. Affinare la lateralizzazione è importante perché rappresenta un processo propedeutico all’acquisizione degli schemi motori di base.

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Fase I Nella prima fase del lavoro, considerando il sistema didattico un sistema complesso adattivo, è possibile riscontrarne delle proprietà che regolano le interazioni tra gli elementi costitutivi allo scopo di fronteggiare la complessità (Sibilio, 2013). Le proprietà semplesse prioritarie per lo svolgimento degli esercizi proposti sono le seguenti. – La separazione delle funzioni e la modularità. Gli studenti devono dimostrare di essere in grado di utilizzare separatamente le diverse parti del corpo per svolgere azioni, sia in forma diacronica che sincronica. Inoltre, dovranno dimostrare di essere capaci di ridurre la complessità delle informazioni catalogandole in macro-settori che si tradurranno in moduli specializzati. – La rapidità. Lo studente deve dimostrare di essere in grado di elaborare rapidamente una decisione relativa alla tipologia di azione motoria da compiere, per adattarsi adeguatamente alla situazione problematica riferita alla consegna. – L’affidabilità. La capacità richiesta agli alunni di controllo esterocettivo, propriocettivo e motorio necessario alle attività previste. – La flessibilità e l’adattamento al cambiamento. La capacità che consente all’allievo di adattare l’azione motoria alle diverse consegne, che consente di rispondere efficacemente ai cambiamenti motori richiesti dalla situazione e mantenere l’interazione costante attraverso un continuo adeguamento corporeo-chinestesico dell’agire. – La memoria. La capacità di capitalizzare esperienze motorie pregresse per rispondere ad analoghe o diverse situazioni problematiche o a consegne che prevedono ripetizioni, imitazioni o messa in gioco di nuove soluzioni motorie. – La generalizzazione. La capacità di utilizzare azioni, schemi, esecuzioni, automatismi fruibili in contesti e situazioni simili. Fase II Nella seconda fase del progetto, si delineano le modalità per il raggiungimento dell’obiettivo di apprendimento; pertanto si richiederà all’allievo di: – coordinare e utilizzare diversi schemi motori combinati tra loro inizialmente in forma successiva e poi in forma simultanea (correre/saltare, afferrare/lanciare, ecc); – riconoscere e valutare traiettorie, distanze, ritmi esecutivi e successioni temporali delle azioni motorie, sapendo organizzare il proprio movimento nello spazio in relazione a sé, agli oggetti, agli altri;

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– eseguire movimenti con il corpo per esercitare la lateralizzazione; – giungere alla consapevolezza del proprio schema corporeo grazie alle posture segmentarie adottate durante le attività ludico-motorie; – individuazione dell’asse corporeo, affinamento del processo di lateralizzazione e definizione di dominanza laterale. Nella fase operativa, al bambino verrà chiesto di assumere varie posizioni nello spazio al fine di percepire il suo corpo in condizioni di equilibrio statico; in seguito gli si chiederà di cimentarsi nel riconoscimento e nell’attuazione, dopo imitazione visiva e successivamente comando verbale, di riconoscere la destra e la sinistra, su di sé, sugli altri e nello spazio circostante, grazie alla gestualità fino-motoria, tramite: – semplici sequenze ritmiche con il proprio corpo e con gli attrezzi; – organizzazione e gestione del corpo in riferimento alle principali coordinate spaziali e temporali e a strutture ritmiche. L’attività, ripresa dalla Batteria Piaget-Head (Galifret-Granjon, 1960), si svolgerà in due fasi successive. – Test di Piaget. Si compone di 10 domande da porre al bambino in cui si indaga il riconoscimento delle relazioni spaziali, relative al processo di lateralizzazione, tra il bambino, gli altri e gli oggetti collocati nell’ambiente circostante. – Test di Head. Si compone di prove a complessità crescente relative alla coordinazione di mano, occhio e orecchio. In un primo momento si richiede all’allievo di osservare e poi imitare i movimenti eseguiti dall’educatore, successivamente l’esecuzione avviene su ordine verbale, infine è prevista la riproduzione di immagini schematizzate. Fase III La terza ed ultima fase prevede la declinazione didattica dei principi della semplessità, che si configurano come indirizzi sui quali si fondano modelli adattivi dell’azione didattica in presenza di differenti complessità formative. 1. L’inibizione e il principio del rifiuto. Durante le esecuzioni, il bambino eviterà soluzioni automatiche, mettendo in campo processi coscienti di presa di decisione. In particolare: a) declinando le attività previste nel test di Piaget, al bambino verrà chiesto di assumere varie posizioni nello spazio al fine di attivare, tutte le volte che sarà necessario, meccanismi di assestamento posturale per evitare la perdita dell’equilibrio; b) al bambino si chiederà di cimentarsi in attività che prevedano un’azione contrapposta all’indicazione fornita, dopo imitazione visiva e successivamente comando verbale, della destra e della sinistra, su di sé, sugli altri e nello spazio circostante grazie alla gestualità fino-motoria, tramite: – semplici sequenze ritmiche con il proprio corpo e con gli attrezzi; – organizzazione e gestione del corpo in riferimento alle principali coordinate spaziali e temporali e a strutture ritmiche; c) l’attività sarà declinata dalla Batteria Piaget-Head, chiedendo agli alunni di indicare costantemente la risposta contraria alla consegna richiesta inibendo esecuzioni e risposte ritenute corrette; d) adattamento del Test di Head. – Imitazione dei movimenti dell’osservatore faccia a faccia inibendo l’effetto specchio ed utilizzando la stessa parte del corpo. – Esecuzione di movimenti su ordine verbale invertendo il lato richiesto

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o le possibili ed altre indicazioni (alto al posto di basso, avanti al posto di dietro, vicino al posto di lontano, etc.). – Imitazione di figure schematiche, invertendo i riferimenti topologici (uno di fronte all’altro evitando di realizzare schemi motori con effetto specchio, ma riproducendo la stessa esecuzione, come se si operasse a lato e non di fronte).

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2. Il principio della specializzazione e della selezione. L’allievo esperisce personalmente le attività proposte, vivendo e costruendo in modo autonomo la propria corporeità. Tramite l’affinamento del processo di lateralizzazione, l’allievo struttura lo spazio circostante e costruisce il proprio umwelt motorio, ossia il contesto abituale nel quale agisce quotidianamente, che gli consente progressivamente il raggiungimento dell’autonomia. L’obiettivo di apprendimento “il corpo e la sua relazione con lo spazio e il tempo” prevede di: – selezionare, coordinare e utilizzare diversi schemi motori combinati tra loro inizialmente in forma successiva e poi in forma simultanea (correre/saltare, afferrare/lanciare, etc); – selezionare, riconoscere e valutare traiettorie, distanze, ritmi esecutivi e successioni temporali delle azioni motorie, sapendo organizzare il proprio movimento nello spazio in relazione a sé, agli oggetti, agli altri; – selezionare ed eseguire azioni che rispondano alla consegna: sopra/sotto, prima/dopo, destra/sinistra, alto/basso, vicino/lontano, grande/piccolo, veloce/lento, poco/molto; – esercitare il controllo motorio con attività di prensione, lancio, discriminazione propriocettiva (riconoscere ad occhi chiusi oggetti, forme, percorsi, pendenze) e controllo spaziale: a) osservazione di percorsi reali e riproduzione motoria; b) osservazione di percorsi grafici e riproduzione motoria; c) realizzazione di percorsi motori e successiva riproduzione grafica. 3. Il principio dell’anticipazione probabilistica. Questo principio consente una previsionalità che si riferisce: – alle proprie azioni motorie; – a quelle degli altri; – a quelle proprie in relazione alla interazione con gli altri; – agli altri in riferimento alla possibile interazione generata dalla propria attività; – agli altri in riferimento alla possibile interazione riferita esclusivamente a loro e comprende la propria partecipazione all’interazione, La proposta prevede attività sulla previsionalità motoria: – relativa alle proprie azioni motorie: esercizi di equilibrio statico e dinamico (stazione su unpiede, andatura sulla trave, andatura su linee sempre più strette, appoggio su un avampiede, andature all’indietro, corsa all’indietro); – a quelle degli altri (si potrebbe chiedere all’alunno di assumere le funzioni di portiere, di muoversi prevedendo la direzione del lancio della mano degli altri, del tiro con il piede, del piede utilizzato, della mano utilizzata, della velocità, della forza , dell’altezza); – a quelle proprie in relazione alla interazione con gli altri (se mi spinge come mi muoverò? Se mi supera cosa farò? Se mi passa la palla a chi la passerò? Se mi passa la palla cosa farò?). – agli altri in riferimento alla possibile interazione generata dalla propria at-

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tività (gioco delle finte con la palla con la mano e con i piedi, gioco del mimo, verbalizzando le reazioni previste da parte del compagno). – agli altri in riferimento alla possibile interazione riferita esclusivamente a loro che non comprende la propria partecipazione all’interazione (cosa faranno con la palla? A chi la passeranno? In che direzione si muoverà? Chi è in possesso di palla? In che direzione si muoverà? Chi non è in possesso di palla? Si sposteranno più a destra o più a sinistra? Muoveranno la palla più in basso o più in alto?). 4. Il principio della deviazione. In ambito motorio la deviazione corrisponde alla ricerca di nuove soluzioni di fronte a situazioni problematiche, alternativi a modelli e schemi consolidati generalmente utilizzati in analoghe situazioni. La proposta didattica prevede attività per affinare la lateralizzazione e l’acquisizione di una possibile organizzazione spazio-temporale impegnando un sistema di multi-solving, tramite attività di discriminazione destra/sinistra, alto/basso, sopra/sotto, prima/dopo, vicino/lontano chiedendo di costruire una pluralità di soluzione, garantendo che ognuna sia diversa dall’altra: – tirare in porta prima con il piede e poi con ogni parte del corpo al di sotto della cintura; – tirare in porta con la mano e poi con ogni parte del corpo al di sopra della cintura; – saltare in tutti i modi possibili; – salire le scale in tutti i modi possibili; – camminare in tutti i modi possibili; – prendere la penna in tutti i modi possibili oltre ad usare le dita; – disegnare sul pavimento un cerchio, un quadrato ed un triangolo con ogni parte del corpo con la quale si è in grado di farlo. 5. Il principio della cooperazione e della ridondanza. Lavorare in gruppo significa facilitare il processo di insegnamento-apprendimento ponendo gli allievi in condizioni di aiuto reciproco e di importante risorsa per gli altri, affinché si sentano corresponsabili di un percorso condiviso e si sentano motivati nel perseguire l’obiettivo del consolidamento della lateralizzazione. Quanto alla ridondanza, essa si riferisce alla capacità di veicolare le informazioni in canali differenti ai fini dell’apprendimento significativo. In tal senso, l’utilizzo delle nuove tecnologie è utile per favorire il processo di lateralizzazione, in modo da sollecitare negli allievi l’utilizzo di stili cognitivi differenti. La proposta didattica prevede il consolidamento della lateralizzazione in situazioni di cooperative learning; in particolare si divide la classe in due squadre. Si chiede agli allievi di esercitarsi autonomamente affinché si consolidino le acquisizioni richieste. Successivamente si predispongono i materiali per strutturare le attività adattate dalla Batteria Piaget-Head. Ciascun gruppo di allievi si sottoporrà ai quesiti e al termine si calcolerà il punteggio complessivo per ciascuna squadra al fine di dichiarare quella vincitrice. Si potrebbero proporre attività simili anche tramite l’uso di un exergame (parola che deriva dall’unione dei i termini “exercise” e “game”; rappresenta una tipologia di videogame che consente di praticare esercizio fisico tramite un’interfaccia interattiva) allo scopo di veicolare la stessa informazione in canali differenti, in modo da rispondere alla diversità degli stili cognitivi.

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6. Il principio del senso. Il movimento oltre ad essere un sesto senso, contribuisce ad arricchire il significato di ogni esperienza. La proposta didattica servirà al bambino per rispondere ad alcune domande dalle potrà emergere la diversità dei significati assunti dalle esperienze svolte; ad esempio – Le attività svolte ti hanno aiutato a riconoscere la tua capacità di orientamento nello spazio? Perché? – Le attività svolte dagli altri bambini in presenza dello stesso compito assegnato perché sono state diverse dalle tue? Perche? – Le tue attività sono state più adeguate svolte in maniera più adeguata rispetto agli altri? Perché? – Il corpo in movimento ti è stato utile per comprendere i diversi orientamenti e le diverse caratteristiche dello spazio? Perché?

6. Discussioni e conclusioni 22

Il processo evolutivo, in termini di sviluppo motorio, si caratterizza per una rapida acquisizione di nuove abilità che consentono la strutturazione di una motricità spontanea armoniosa, in cui il fanciullo, già all’età di tre anni, dimostra di padroneggiare capacità di equilibrio e coordinazione, integrando ritmicità e spazialità, elementi imprescindibili per la costruzione dell’autonomia (Le Boulch, 1992). L’osservazione della motricità nel bambino rappresenta un parametro importante in quanto consente una stima dello stadio evolutivo motorio, delle componenti neurologiche dello sviluppo, delle modalità di coordinazione del gesto motorio, della qualità e dell’organizzazione motoria. In tal senso, le abilità motorio-adattive acquisite forniscono l’idea delle relazioni esistenti tra movimento, processi cognitivi e dimensione affettiva (Ambrosini & Pellegatta, 2013). In definitiva, il bambino opera una sintesi percettiva, per la quale il riferimento corporeo è strettamente collegato alla percezione spaziale, per cui la possibilità di stabilire relazioni tra oggetti nello spazio deriva dall’orientamento del proprio corpo, ovvero, attraverso l’utilizzazione degli assi e dei piani, e tramite l’uso della dominanza laterale, a seguito del processo di interiorizzazione e verbalizzazione dei suddetti concetti (Piaget, Inhelder, 1976). La capacità di orientamento spazio-temporale, consentendo di disporre il corpo in riferimento ad uno spazio di azione definito, esalta la prospettiva della globalità corporea, che mi muove in relazione agli assi e ai piani. Il consolidamento della capacità coordinativa di orientamento spazio-temporale prevede: l’osservazione degli altri individui, fermi e in movimento; lo spostamento in spazi, sia su distanze prefissate che non; l’utilizzazione di spazi diversi da quelli standard o abituali; la pratica in gruppi diversificati per numero di partecipanti; l’uso di attrezzi variegati; l’impiego di posture, condizioni e movimenti inconsueti; la possibilità di auto-osservazione simultanea o differita (specchi, videotape); infine l’inserimento progressivo, oltre ai materiali di uso comune, di ulteriori elementi (Manno, 1984). Le categorie spazio-temporali, dunque, consentono al bambino di comprendere la realtà che lo circonda; sono concetti socialmente condivisi, di cui il bambino diventa gradualmente consapevole. In tal senso, l’approccio semplesso in una didattica laboratoriale potrebbe costituire una modalità privilegiata per la strutturazione dell’orientamento spazio temporale in età evolutiva.

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Riferimenti bibliografici Ambrosini C., Pellegatta S. (2013). Il gioco nello sviluppo e nella terapia psicomotoria. Trento: Erickson. Berthoz A. (2011). La semplessità. Torino: Codice. Camaioni L., Di Blasio P. (2007). Psicologia dello sviluppo. Bologna: Il Mulino. Coppola S., Viscione I. (2015). Il laboratorio motorio. In M. Sibilio, P. Aiello (2015). Formazione e ricerca per una didattica inclusiva (pp. 299-301). Milano: Franco Angeli. D’Elia F. (2009). Corporeità e didattica nella scuola primaria: chiavi teorico-interpretative per l’insegnamento delle attività motorie. Lecce: Pensa MultiMedia. Galifret-Granjon N. (1960). Batterie Piaget-Head: test d’orientation droite-gauche. In R. Zazzo (Ed.), Manuel pour l’examen psychologique de l’enfant (fasc. 1, pp. 24-56). Neuchâtel: Delachaux et Niestlé. Le Boulch J. (1992). Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita a sei anni. Conseguenze educative della psicocinetica nell’età scolare. Roma: Armando. Manno R. (1984). Le capacità coordinative. Scuola dello Sport (1), 116-118. Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (2012). Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Annali della Pubblica Istruzione. Piaget J., Inhelder B. (1976). La rappresentazione dello spazio nel bambino. Firenze: Giunti Barbera. Piaget J. (1979). Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino. Firenze: La Nuova Italia. Piaget J. (2013). Child’s Conception of Space: Selected Works (Vol. 4). New York: Routledge. Picq L., Vayer P. (1991). Educazione psicomotoria e ritardo mentale. Roma: Armando. Sibilio M., Aiello P. Carlomagno N., D’Elia F., Di Tore S. (2014). “Moving Body”: The Impact of “Simplexity” and “Educational Corporeality” in Italy (pp. 231-242). In Physical Education and Health-Global Perspectives and Best Practice. Sagamore Publishing. Sibilio M. (2002a). Il corpo intelligente (Vol. 1). Napoli: Simone. Sibilio M. (2002b). Il laboratorio come percorso formativo (Vol. 2). Napoli: Simone. Sibilio M. (2005). Lo sport come percorso educativo: attività sportive e forme intellettive. Napoli: Guida. Sibilio M. (2014). La didattica semplessa. Napoli: Liguori.

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Educazione alla salute e didattiche avanzate Di Luca Impara • Università Unicusano Telematica di Roma – lucaimpara@alice.it

Health education and innovative teaching strategies Research in the field shows that there are two phases as regards the issue of health education connected to drug and substance abuse: the first phase is linked to the disillusionment following the fall of the myth of juvenile rebellion, the fragmentation of the roles of school and family and the birth of various criminal organizations; the second is connected to the growth in all social classes of the use and consumption of hard drugs. Today the situation is quite different from the past, thanks to a body of laws regulating the prevention, cure and rehabilitation in cases of drug addiction. According to this body of laws, the functions of social welfare are attributed to local authorities and municipalities, that can also be assisted in their aims by collaborating with operators in the field, voluntary groups and numerous social assistance professionals. The Ministry of Education promotes and coordinates curricular and extra-curricular activities in schools for students of all grades connected to health education and information on the damage caused by alcoholism, smoking and the use of drugs in schools. The Ministry of Education also organizes teacher updating programs on the same issue. The students themselves can participate in all the extra-curricular initiatives promoted by their school, on a voluntary basis.

Parole chiave: Educazione, Salute, Prevenzione, Tossicodipendenza, Educatore, Consapevolezza del problema

Keywords: Education, Health, Prevention, Drug addiction, Educator, Problem awareness

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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La ricerca sul campo mostra che ci sono due fasi per quanto riguarda il tema della educazione alla salute connessi alla droga e all’ abuso di sostanze: la prima fase è legata alla disillusione dopo la caduta del mito della ribellione giovanile, la frammentazione dei ruoli della scuola e la famiglia e la nascita di varie organizzazioni criminali; il secondo è collegato alla crescita in tutte le classi sociali dell’uso e consumo di droghe pesanti. Oggi la situazione è molto diversa dal passato, grazie alle normative che regolano la prevenzione, cura e riabilitazione in casi di tossicodipendenza. Secondo queste leggi, le funzioni di benessere sociale sono attribuite alle autorità locali ei comuni, che possono anche essere assistito nel loro obiettivi grazie alla collaborazione con gli operatori del settore, gruppi di volontariato e numerosi professionisti di assistenza sociale. Il Ministero della Pubblica Istruzione promuove e coordina le attività curriculari ed extra-curriculari nelle scuole per gli studenti di tutti i gradi connessi alla formazione e l’informazione sanitaria sui danni causati da alcolismo, il fumo e l’uso di droghe nelle scuole. Il Ministero della Pubblica Istruzione organizza anche programmi di aggiornamento degli insegnanti sulla stessa questione. Gli studenti potranno partecipare a tutte le iniziative extra-curriculari promossi da loro scuola, su base volontaria.


Educazione alla salute e didattiche avanzate

I problemi della dipendenza sono talmente compositi da rendere necessario un approfondimento di alcune questioni specifiche essenziali per ogni educatore, per un accostamento ad un’idea più attuale della sua professione e più chiara della dimensione della prevenzione.

1. Aspetti normativi

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I problemi della dipendenza sono talmente compositi da rendere necessario un approfondimento di alcune questioni specifiche essenziali per ogni educatore, per un accostamento ad un’idea più attuale della sua professione e più chiara della dimensione della prevenzione. Diversi studi sostengono che è necessario individuare per lo meno due fasi diverse nell’evoluzione del problema che qui ci interessa; la prima è legata ai fattori della disillusione successiva alla caduta dei miti della contestazione giovanile; della frantumazione del significato e del ruolo delle agenzie educative, prime fra tutte la scuola e la famiglia; dell’impoverimento del tessuto sociale in seguito alle trasformazioni socio-economiche e alla urbanizzazione; della nascita di organizzazioni malavitose che hanno finito per coinvolgere direttamente i tossicodipendenti nello spaccio dei vari tipi di droga. In sostanza, questa prima fase viene schematicamente collegata ad un rifiuto della società degli adulti, segnale di un disagio personale, individuale e sociale. La seconda fase appare invece interessata da aspetti forse anche più drammatici: la accresciuta diffusione, a tutti gli strati sociali e a tutte le età, del consumo delle droghe pesanti. Aggiungerei che siamo all’inizio di una terza fase, in cui sembra, alla luce delle ultime indagini sociologiche, più plausibile proporre, per un desiderio presente anche fra gli stessi tossicodipendenti, il recupero di un più diffuso rapporto interpersonale fino a poco tempo fa interrotto; esso sarà tanto più possibile quanto più riusciremo ad evitare il moralismo, l’approssimazione e la criminalizzazione generalizzata. Nessuno ha naturalmente soluzioni rapide ed efficaci, ma oggi la situazione è diversa: abbiamo nuove normative, un maggior numero di istituzioni pubbliche e private di assistenza, una maggiore disponibilità alla discussione e al dibattito. Vorrei in particolare riflettere sui contenuti di una disposizione legislativa che ha avuto, a mio avviso, un peso decisivo per tutta la discussione successiva, e cioè la legge 162 del 26 giugno 1990, «Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della legge 22 dicembre 1975, n. 685 recante disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura, riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», integrata dal T.U. approvato con D.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990. Sembra innanzitutto importantissimo rilevare che, mentre nel testo della legge precedentemente in vigore si faceva riferimento ai Centri Medici e di Assistenza Sociale, ora, al Titolo X, vengono specificate le Attribuzioni Regionali, Provinciali

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e Locali, nonché i Servizi per le Tossicodipendenze: si tratta di una correzione estremamente importante, soprattutto se poi valutiamo con attenzione quanto l’art. 114 dello stesso Titolo X indica come Compiti di Assistenza degli Enti Locali: «1. Nell’ambito delle funzioni socio-assistenziali di propria competenza i comuni, avvalendosi ove possibile delle associazioni, perseguono mediante loro consorzi, ovvero attraverso appositi centri gestiti in economia o a mezzo di loro associazioni, senza fini di lucro, riconosciute o riconoscibili, i seguenti obiettivi in tema di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti: a) prevenzione della emarginazione e del disadattamento sociale mediante la progettazione e realizzazione, in forma diretta o indiretta, di interventi programmati; b) rilevazione ed analisi, anche in collaborazione con le autorità scolastiche, delle cause locali di disagio familiare e sociale che favoriscono il disadattamento dei giovani e la dispersione scolastica; c) reinserimento scolastico, lavorativo e sociale del tossicodipendente. 2. Il perseguimento degli obiettivi previsti dal comma 1 può essere affidato dai comuni o dalle loro associazioni alle competenti unità sanitarie locali». Gli enti ausiliari a cui si fa riferimento in questo articolo sono quelli che (art. 115) « svolgono senza fini di lucro la loro attività con finalità di prevenzione del disagio psico-sociale, assistenza, cura, riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti ovvero associazioni con finalità di educazione dei giovani, di sviluppo socio-culturale della personalità, di formazione professionale e di orientamento al lavoro». I responsabili degli enti hanno la facoltà di autorizzare gli altri, nel rispetto di una determinata regolamentazione, alla partecipazione dell’opera di prevenzione, recupero e reinserimento sociale sempre all’interno dei servizi e dei centri citati. Il salto qualitativo è notevole rispetto al passato: da una parte si insiste su una apertura alla collaborazione fra un maggior numero di agenzie formative e di operatori, dall’altra se ne richiede, come vedremo fra poco, una professionalità specifica. In sostanza, si dice che le Regioni e le Province autonome istituiscono, presso le USL singole o associate, dei servizi pubblici per l’assistenza sociosanitaria ai tossicodipendenti, con funzioni e incarichi di (art. 113): «a) analisi delle condizioni cliniche, socio-sanitarie e psicologiche del tossicodipendente anche nei rapporti con la famiglia; b) controlli clinici e di laboratorio necessari per accertare lo stato di tossicodipendenza; c) individuazione del programma farmacologico o delle terapie di disintossicazione e diagnosi delle patologie in atto, con particolare riguardo alla individuazione precoce di quelle correlate allo stato di tossicodipendenza; d) elaborazione, attuazione e verifica di un programma terapeutico socio-riabilitativo, da svolgersi anche a mezzo di altre strutture individuate dalla Regione; e) progettazione ed esecuzione in forma diretta o indiretta di interventi di informazione e prevenzione; f) predisposizione di elenchi delle strutture pubbliche o private che operano nel settore delle tossicodipendenze e raccordo tra queste, i servizi e, ove costituiti, i consorzi, i centri e le associazioni...; g) rilevazione dei dati statistici relativi a interventi dei servizi».

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Viene quindi specificato, all’interno dello stesso art.113, che tutte queste attività devono essere svolte attraverso la più ampia cooperazione: «Detti servizi rivestono carattere interdisciplinare e si avvalgono di personale qualificato per la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti»: si vogliono indicare dunque medici, psicologi, assistenti sociali e educatori con competenze specifiche. Ciò significa di conseguenza che spetta al neocostituito Servizio Pubblico Tossicodipendenze, come organismo sovrintendente istituito dalle USL, coordinare e assumere adempimenti anche più specifici e mirati di prevenzione informazione, cura e riabilitazione, per riassumere e per integrare relativamente a quanto ci riguarda (oltre ad effettuare accertamenti diagnostici, come dicevamo):

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a) avviare il programma terapeutico e socio-riabilitativo presso strutture pubbliche o convenzionate o presso il medico di fiducia; formulare tale programma entro il termine di dieci giorni a partire dalla data decisa dal prefetto competente, e realizzato nel rispetto della dignità della persona, delle sue esigenze lavorative, familiari e sociali; b) eseguire accertamenti relativi all’andamento del programma e ai risultati conseguiti durante e al termine di esso; c) collaborare agli interventi formativi, educativi e di informazione e consulenza nelle scuole. Certo, va detto, non tutte le USL, ancora oggi, hanno provveduto alla installazione di questi presìdi. A questo punto, una volta considerate le competenze specifiche di Province e Comuni, poi delle USL, degli enti ausiliari, quindi del Servizio Pubblico Tossicodipendenze, possiamo passare alle Disposizioni relative al settore scolastico; all’art. 104 del Titolo IX (Interventi informativi ed educativi), esse prevedono: «1. Il Ministero della Pubblica Istruzione promuove e coordina le attività di educazione alla salute e di informazione sui danni derivanti dall’alcoolismo, dal tabagismo, dall’uso delle sostanze stupefacenti o psicotrope, non ché dalle patologie correlate. 2. Le attività di cui al comma l si inquadrano nello svolgimento ordinario dell’attività educativa e didattica, attraverso l’approfondimento di specifiche tematiche nell’ambito delle discipline curricolari. 3. Il Ministro della Pubblica Istruzione approva programmi annuali differenziati per tipologie di iniziative e relative metodologie di applicazione, per la promozione di attività da realizzarsi nelle scuole, sulla base delle proposte formulate da un apposito comitato tecnico-scientifico da lui costituito con decreto, composto da venticinque membri, di cui diciotto esperti nel campo della prevenzione, compreso almeno un esperto di mezzi di comunicazione sociale, e rappresentanti delle amministrazioni statali che si occupano di prevenzione, repressione e recupero nelle materie di cui al comma l e sette esponenti di associazioni giovanili e dei genitori. 4. Il comitato, che funziona sia unitariamente che attraverso gruppi di lavoro individuati nel decreto istitutivo, deve approfondire, nella formulazione dei programmi, le tematiche: a) della pedagogia preventiva; b) dell’impiego degli strumenti didattici, con particolare riferimento ai libri di testo, ai sussidi audiovisivi, ai mezzi di comunicazione di massa; c) dell’incentivazione di attività culturali, ricreative e sportive, da svolgersi eventualmente anche all’esterno della scuola;

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d) del coordinamento con le iniziative promosse o attuate da altre amministrazioni pubbliche con particolare riguardo alla prevenzione primaria. 5. Alle riunioni del comitato, quando vengono trattati argomenti di loro interesse, possono essere invitati rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e dei Comuni. 6. In sede di formazione di piani di aggiornamento e di formazione del personale della scuola sarà data priorità alle iniziative in materia di educazione alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze». Come si vede, quanto viene indicato da questo articolo si inserisce perfettamente nell’itinerario percorso in questa stessa analisi; la drammaticità del problema della tossicodipendenza e della diffusione delle sostanze stupefacenti fra i giovani e gli studenti non deve far dimenticare il fatto che abbiamo la necessità di proporre un intervento formativo ed educativo all’insegna di un rinnovamento culturale più complessivo: all’educazione alla salute, come specificato dall’ultimo comma, va data priorità, ma non al di fuori della dignità culturale ed etica della programmazione didattica interdisciplinare. E poi definitivamente affermata anche a livello istituzionale la consapevolezza di un rapporto indispensabile fra scuola, famiglia e società, in quanto espressioni di realtà significative solo se interrelate. Bisogna avere il coraggio di ammettere che, qualunque sia il nostro ruolo, scolastico, familiare o sociale, sono proprio le situazioni di devianza e di disadattamento o di disagio anche lieve che indicano i nostri errori, le nostre carenze; probabilmente potranno bastare pochi dati per comprendere che non è credibile ipotizzare moralisticamente o rigidamente una ormai diffusa debolezza o una autonoma crisi di identità giovanile. Sappiamo, ad esempio, fin troppo bene che i nostri edifici scolastici avrebbero bisogno di attrezzature, riparazioni, ecc.; i ragazzi stessi si accorgono che col passare del tempo non sempre la burocrazia o l’iniziativa in genere consentono il rispetto di una promessa fatta dalle istituzioni; è difficile non comprendere quindi la loro sfiducia. Facciamo un altro esempio, forse meno banale e legato al tema da noi affrontato: per quanto riguarda le nostre strutture sanitarie pubbliche, nel 1985 esistevano 395 presidi per un numero complessivo di circa 23.000 utenti in trattamento; a tutto il 1988, pur con un incremento degli utenti fino a circa 43.000, solo altri 80 presidi sono stati resi operativi. È certamente preoccupante sapere che, già alla metà del 1989, erano presenti nelle nostre carceri circa 2.200 tossicodipendenti; ma il dato si fa drammatico se, confrontandolo con quello dell’intera popolazione carceraria, ne valutiamo una percentuale per difetto del 25%. Un altro elemento da considerare nell’ art.113, è quello di un riferimento anche ai problemi dell’alcoolismo e del tabagismo, a conferma di quanto è stato detto in precedenza: il rinnovamento di cui abbiamo bisogno deve concepire la formazione di una dignità personale non disponibile ad alcun tipo di dipendenza. Per ritornare alla legge 162, l’articolo successivo, il 105, «Promozione e coordinamento, a livello provinciale delle iniziative di educazione e di prevenzione. Corsi di studio per insegnanti e corsi sperimentali di scuola media», prevede: «1. Il Provveditore agli Studi promuove e coordina nell’ambito provinciale la realizzazione delle iniziative previste nei programmi annuali di quelle che possono essere deliberate dalle istituzioni scolastiche, nell’esercizio della loro autonomia. 2. Nell’esercizio di tali compiti il Provveditore si avvale di un comitato tecnico provinciale o, in relazione alle esigenze emergenti nell’ambito distrettuale o interdistrettuale, di comitati distrettuali o interdistrettuali, costituiti con un

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suo decreto, in cui i membri sono scelti tra esperti nei campi dell’educazione alla salute e della prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze nonché tra rappresentanti di associazioni familiari. Detti comitati sono composti da sette membri. Alle riunioni dei comitati possono essere invitati a partecipare rappresentanti delle autorità di pubblica sicurezza, degli enti locali territoriali e delle unità sanitarie locali, nonché esponenti di associazioni giovanili. All’attuazione delle iniziative concorrono gli organi collegiali della scuola nel rispetto dell’autonomia ad essi riconosciuta dalle disposizioni in vigore. Le istituzioni scolastiche interessate possono avvalersi anche dell’assistenza del servizio ispettivo tecnico. Il Provveditore agli Studi, d’intesa con il Consiglio provinciale scolastico e sentito il Comitato tecnico provinciale, organizza corsi di studio per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado sulla educazione sanitaria e sui danni derivanti ai giovani dall’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope nonché sul fenomeno criminoso nel suo insieme, con il supporto di mezzi audiovisivi ed opuscoli. A tal fine può stipulare, con i fondi a sua disposizione apposite convenzioni con enti locali, università, istituti di ricerca ed enti, cooperative di solidarietà sociale e associazioni iscritti all’ albo regionale o provinciale. I corsi statali sperimentali di scuola media per lavoratori possono essere istituiti anche presso gli enti, le cooperative di solidarietà sociale e le associazioni ... entro i limiti numerici e con le modalità di svolgimento di cui alle vigenti disposizioni. I corsi saranno finalizzati anche all’inserimento o al reinserimento nell’attività lavorativa. Le utilizzazioni del personale docente di ruolo nelle istituzioni scolastiche, possono essere disposte nel limite massimo di cento unità, ai fini del recupero e dell’acquisizione di esperienze educative, anche presso gli enti e le associazioni, a condizione che tale personale abbia documentatamente frequentato i corsi di cui al comma 5. Il Ministro della Pubblica Istruzione assegna annualmente ai provveditorati agli studi, in proporzione alla popolazione scolastica di ciascuno, fondi per le attività di educazione alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze da ripartire tra le singole scuole sulla base dei criteri elaborati dai comitati provinciali, ... L’onere derivante dal funzionamento del comitato tecnico-scientifico di cui all’art. 104 e dei comitati di cui al presente articolo è valutato in complessive lire 4 miliardi in ragione d’anno a decorrere dall’anno 1990. Il Ministro della Pubblica Istruzione con proprio decreto disciplina l’istituzione e il funzionamento del comitato tecnico scientifico e dei comitati provinciali, distrettuali e interdistrettuali e l’attribuzione dei compensi ai componenti dei comitati stessi».

Mentre al comma 3 dell’art. 104 esiste una puntualizzazione rispetto al comitato tecnico-scientifico costituito dal Ministro della Pubblica Istruzione, del comitato tecnico provinciale (art. 105, comma 2) si specifica che i membri sono sette e devono essere scelti fra esperti in educazione alla salute, prevenzione e recupero delle tossicodipendenze e genitori; alla sua riunione possono essere invitati (comma 3) altri esperti ed autorità. Ciò che appare continuamente in contrasto con la realtà, per quanto riguarda alcuni commi di questi due articoli, è il fatto che riscontriamo un maggior incremento nel tempo delle comunità o delle istituzioni terapeutiche, di volontariato

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sociale, convenzionate con il servizio pubblico; strutture pubbliche e private, poi, offrono servizi nettamente differenti ed hanno una maggiore concentrazione nelle regioni settentrionali. Una ricerca recentissima condotta dal Labos ha confermato una notevole insoddisfazione, da parte degli operatori privati e degli stessi docenti responsabili. Soprattutto per la mancanza di interlocutori istituzionali (medici, psicologici, educatori qualificati, amministratori, ecc.) e di risorse. Vengono però anche sottolineati, malgrado un giudizio largamente positivo, rispetto al rapporto con gli utenti, i problemi legati alla non adeguata qualificazione dei professionisti (il 39% e il 41 % degli operatori, rispettivamente per servizi pubblici e privati, non ha avuto alcuna opportunità di seguire un corso di formazione), al fenomeno del burn-out (l’abbandono, di conseguenza, del ruolo e del servizio da parte di chi trova una diversa collocazione), alle motivazioni personali degli operatori, i quali hanno risposto, solo nel 27% dei casi, di aver svolto e di svolgere ancora la propria attività sulla spinta della scelta individuale e professionale. Esiste però a mio avviso un rischio notevole alla luce di queste ultime considerazioni: lasciar notare sistematicamente la mancanza di interlocutori istituzionali significa rendersi responsabili di un pessimo avvio a quella maggior disponibilità degli utenti a cui abbiamo accennato. Per esempio, ai prefetti vengono assegnati nuovi compiti: comminare sanzioni amministrative a chi viene trovato in possesso di una quantità di sostanze stupefacenti superiore rispetto alle necessità quotidiane, un costante scambio di informazioni con gli organismi socio-sanitari, un controllo di tutte le fasi esecutive del programma di riabilitazione da realizzarsi attraverso la valutazione del comportamento dell’utente, un colloquio con lo stesso tossicodipendente e i familiari (se il ragazzo è minorenne). Il progetto dunque sembra estremamente funzionale perché prevede anche il coordinamento territoriale fra le diverse prefetture; in particolare appare opportuno il compito di costituire dei «nuclei operativi» (T.U., art. 75, comma 15), anche se non ben definiti nei dettagli, in virtù del quale comunque il prefetto stesso è autorizzato a bandire concorsi pubblici e a procedere alle relative assunzioni (per lo meno, la legge prevede, di circa duecento assistenti sociali) e avvalersi delle prestazioni di personale volontario una volta verficatene le specifiche competenze. A nostro avviso, le perplessità dal punto di vista operativo potrebbero essere superate con la realizzazione di uno stretto rapporto con dipartimenti universitari e istituti di medicina legale, quanto meno per l’aspetto della sicurezza clinica e giuridica. In questo quadro complessivo, l’inserimento del lavoro formativo promosso e coordinato dall’Ufficio Scolastico Regionale diventa delicato: da lui dipendono la scelta dei membri, come abbiamo visto, di comitati interdistrettuali o distrettuali, la valutazione tempestiva delle esigenze emergenti, la promozione e l’attuazione delle iniziative prese anche autonomamente dagli organi collegiali della scuola, l’organizzazione di corsi di studio o di aggiornamento per docenti di scuola di ogni ordine e grado in materia di educazione alla salute (con le possibilità di «avvalersi anche dell’assistenza del servizio ispettivo tecnico»), la promozione di un’informazione non settoriale ma allargata anche allo studio del «fenomeno criminoso nel suo insieme, con il supporto di mezzi audiovisivi e opuscoli», l’accordo con enti locali, università, istituti di ricerca, enti, cooperative, associazioni iscritti all’albo regionale o provinciale», utilizzando fondi a sua disposizione. Un terzo articolo ci sembra utile riportare qui integralmente, ovvero l’art 106, «Centri di formazione e consulenza nelle scuole. Iniziative di studenti animatori»,

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non solo per il suo significato specifico in ambito di educazione alla salute, ma anche perché realmente in linea con gli aspetti educativo-formativi a cui ci siamo riferiti:

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«1. I Provveditori agli Studi, di intesa con i Consigli di istituto e con i servizi pubblici per l’assistenza sociosanitaria ai tossicodipendenti, istituiscono centri di informazione e consulenza rivolti agli studenti all’interno delle scuole secondarie superiori. 2. I centri possono realizzare progetti di attività informativa e di consulenza concordati dagli organi collegiali della scuola con i servizi pubblici e con gli enti ausiliari presenti sul territorio. Le informazioni e le consulenze sono erogate nell’assoluto rispetto dell’anonimato di chi si rivolge al servizio. 3. Gruppi di almeno venti studenti anche di classi e di corsi diversi, allo scopo di far fronte alle esigenze di formazione, approfondimento ed orientamento sulle tematiche relative all’educazione alla salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze, possono proporre iniziative da realizzare nell’ambito dell’istituto con la collaborazione del personale docente, che abbia dichiarato la propria disponibilità. Nel formulare le proposte i gruppi possono esprimere loro preferenze in ordine ai docenti chiamati a collaborare alle iniziative. 4. Le iniziative rientrano fra quelle previste ... e sono deliberate dal Consiglio di istituto, sentito per gli aspetti didattici il Collegio dei docenti. 5. La partecipazione degli studenti alle iniziative, che si svolgono in orario aggiuntivo a quello delle materie curricolari, è volontario». L’analisi del testo di questo articolo ci permette di considerare di estremo interesse che: a) punto di riferimento essenziale per l’istituzione scolastica è il Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze, che deve fornire informazioni su aspetti giuridici e sanitari a chiunque si rivolga ad esso rispettandone l’anonimato. b) L’istituzione scolastica (dal Dirigente Scolastico, ai docenti, agli studenti) può autonomamente o in collaborazione con gli organismi territoriali avviare iniziative di informazione e formazione: non solo però essa deve basarsi sulla disponibilità di docenti e studenti, su attività da tenersi, praticamente, nel pomeriggio, ma anche sul consenso e l’apprezzamento degli studenti nei confronti dei docenti collaboratori: ciò può apparire dirompente, in quanto presuppone notevole autonomia e serietà di giudizio che non tutti riconoscono oggi ai ragazzi. c) Tutto ciò appare essenziale in funzione del coinvolgimento giovanile nell’analisi del significato della dipendenza; è l’unico modo che abbiamo, mi sembra, per restituire un senso reale al principio della legge (per il quale, al comma 1 dell’art, 72 del T.U. si dice che:« fare uso di droga è illecito ... chi vi ricorre deve essere punito», e agli art. 75 e 76 per i quali chi viola questa norma è soggetto a sanzioni amministrative e penali), cioè per considerarlo non il punto di partenza per una attività di repressione, ma come punto di arrivo e scopo dell’educazione alla salute. Ai ragazzi di età di leva sarà senz’altro indispensabile sapere che questa nuova e più intelligente apertura al problema è condivisa anche dalle autorità militari disponibili alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione negli stessi termini fin qui rilevati. L’atteggiamento della legge è stato confermato da ognuno dei decreti presidenziali successivi alla data del 26 giugno 1990, ovvero il 309 del 9 ottobre 1990 rela-

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tivo al T.U., il 186 del 12 luglio 1990 (Regolamento concernente la determinazione delle procedure diagnostiche e medico legali per accertare l’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, dalle metodiche per quantificare l’assunzione abituale nelle 24 ore e dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere), il 444 del 30 novembre 1990 (Regolamento concernente la determinazione dell’organico e delle caratteristiche organizzative e funzionali dei servizi per le tossicodipendenze da istituire presso le unità sanitarie locali), il 445 del 19 dicembre 1990 (Regolamento concernente la determinazione dei limiti e delle modalità di impiego dei farmaci sostitutivi nei programmi di trattamento negli stati di tossicodipendenza). A noi sembrano particolarmente interessanti le precisazioni contenute nel decreto n. 444: a) il Servizio Pubblico per la Tossicodipendenza istituito dalle USL lavora in coordinamento stabile con i « consultori familiari, le strutture per l’AIDS, per le patologie infettive, con i servizi medico-legali, con i laboratori di analisi di riferimento, anche convenzionati, con i servizi di igiene mentale, con altri Servizi Pubblici per la Tossicodipendenza, con i Provveditorati agli Studi, con le autorità militari, con il servizio sanitario penitenziario, con i medici di fiducia delle persone assistite». b) Il Servizio Pubblico per la Tossicodipendenza assicura «l’apertura continuativa per 24 ore nei giorni feriali e festivi nelle aree di maggior rilevanza numerica dei tossicodipendenti, nelle altre zone con minore presenza, non meno di 12 ore nei giorni feriali e di 6 ore nei giorni festivi e nelle residue ore con utilizzo di altre strutture della USL, nonché l’uso di unità mobili, la reperibilità degli operatori o altre idonee forme di assistenza a seconda delle esigenze del bacino di utenza». c) Quanto alla pianta organica, passibile di periodici aggiornamenti, vengono indicati: i profili professionali del medico, dello psicologo, di infermieri o assistenti sanitari visitatori, di assistenti sociali, di educatori professionali e di comunità, nonché le figure di dirigenti di posizione funzionale apicale, di coadiutori di posizione funzionale intermedia, in totale da un minimo di undici ad un massimo di 21 operatori.

2. La prevenzione e l’educazione alla salute Abbiamo assistito più volte, in questi ultimi tempi, al riaccendersi del dibattito relativo alle disposizioni normative previste per il problema della tossicodipendenza. È senz’altro vero che il nostro atteggiamento di educatori non può ignorare tali regolamentazioni, ma è mio desiderio sottolineare che esistono almeno tre motivi per i quali la mia perplessità è fortemente sollecitata dall’attuale riflessione (senza naturalmente voler riferirmi alla priorità della prevenzione che appare considerazione praticamente scontata), e vorrei parlarne prima di passare alla discussione successiva. Innanzi tutto, corriamo ancora una volta il rischio di isolare degli ambiti e di dimenticare che il problema della dipendenza da sostanze psicotrope non può, dal punto di vista della persona e della sua integrità intellettuale e fisica, e come d’altra parte ribadiscono tutti i provvedimenti legislativi. La gravità delle conseguenze non è di pari portata e certo, sotto gli effetti del tabagismo, è impensabile che ven-

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gano commessi dei reati, ma la questione complessiva non viene minimamente spostata: prevenzione e incidenza, costi umani e educazione alla indipendenza sono globalmente le dimensioni che ci interessano. “Essendo l’abitudine al fumo più frequentemente associata ad altri comportamenti (quali fumo di marijuana, consumo di alcool) che costituiscono un rischio per la salute della persona, la promozione di interventi preventivi per il tabagismo potrebbe avere un impatto trasversale positivo nel contenimento di altri fattori, che pure hanno elevata prevalenza ed incidenza in età adolescenziale” (Marzorati, 2001, p. 167). Risulta pertanto necessario programmare interventi scolastici preventivi in fase pre-adolescenziale prima cioè che si inizi a fare uso di tabacco o che si abbandoni la scuola, poiché come le ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che: “il comportamento del fumo è più frequentemente rilevabile nei drop-out rispetto a chi invece riesce a terminare il ciclo di studi superiori” (Marzorati, 2001, p. 167). Allo stesso modo l’alcool viene indicato tra le sostanze psicotrope più diffuse nel periodo adolescenziale-giovanile, il cui abuso è divenuto uno dei principali problemi di salute pubblica (Adamo, Morrone & Valerio, 2001). L’attività di prevenzione non può risolversi in interventi di natura cognitiva, che mirino cioè all’apprendimento di conoscenze e informazioni, piuttosto deve consistere in un approccio più sistemico, complesso e globale, che tenga conto di quanto i fattori cognitivi siano mediati da variabili personali. Secondo quest’ottica, l’educazione alla salute è un processo complesso “che deve produrre modifiche graduali di comportamenti, consapevoli atteggiamenti educativi, nonché coscienza critica” (Adamo, Morrone & Valerio, 2001). Le strategie preventive, frutto di tale approccio sistemico, vedono coinvolte tutte le agenzie sociali, in grado di agire sui comportamenti dei giovani, sulle loro motivazioni e sulle loro scelte. Nel caso delle risposte agli interrogativi adolescenziali, è bene sottolineare quanto esse non competano ad un’unica istituzione, ma richiedano un’azione intersettoriale tra le diverse agenzie che rispondono alla pluralità di bisogni tipici di tale fascia d’età (Adamo, Morrone & Valerio, 2001). A questo proposito, uno studio condotto su un campione di adolescenti residenti nella provincia di Milano (Cortese & Ronco, 1997), ha evidenziato un forte bisogno di chiarire le informazioni apprese attraverso i media relativamente alla trasmissione, al contagio e alla prevenzione dell’Aids. Pertanto, anche i media, ritenuti la principale fonte di informazioni relative ai temi di salute, innescano un meccanismo di informazione che necessita di essere sostenuto e completato da altre agenzie educative (Bertazzoni & De Angeli, 2004). In secondo luogo, va detto che l’esperienza degli ultimi anni ha ribadito che le patologie in oggetto sono sempre caratterizzate da dimensioni complesse (ed è per questo che le terapie si presentano sempre di difficile attuazione), costituite da elementi individuali di tipo fisico, psichico e sociale che interagiscono continuamente e proprio per tale ragione mutano in modo altrettanto costante il loro quadro di riferimento. Infine, a me sembra assolutamente controproducente non adottare, in ogni momento della prevenzione e della lotta sistematica alla assunzione e alla diffusione delle sostanze psicotrope, un atteggiamento motivato e razionale, partecipe e chiaro, invece di lasciarsi indurre a scelte precipitose da una situazione drammatica: tale situazione infatti necessita di una preparazione ed una programmazione appropriate e che affrontino i problemi anche e soprattutto alla loro radice. Sono convinto del fatto che non esistano schemi terapeutici validi in ogni situazione tossicomanica, ma che sia possibile pensare ad una prevenzione non illusoria e non marcata dall’enfasi che spesso caratterizza una o l’altra strategia, una

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o l’altra metodologia. La prevenzione non può essere subordinata a modelli burocratici e a regolamenti rigidi, né al prevedere una poco realistica trasformazione a breve termine e per di più positiva delle condizioni sociali attuali. Se da un lato, allora, per quanto è stato fin qui detto, ritengo che una dipendenza debba essere affrontata prima di tutto in termini programmatico-educativi e terapeutici attraverso una personalizzazione degli interventi, dall’altra è mio parere che un intervento preventivo debba contemplare due momenti, uno costituito da altrettanto importanti modulazioni e caratteristiche di elasticità, con percorsi formativi della persona nel senso più ampio dell’educazione generalizzata al rispetto della propria e altrui salute mentale e fisica; l’altro dovrebbe prevedere contestualmente un progetto formativo scolastico ed extrascolastico che, anche sulla base delle proposte recenti della ricerca pedagogica, miri a realizzare percorsi assolutamente personalizzati. Non posso quindi condividere il fatto che l’analisi dei problemi in questione sia attenta a chi ha bisogno solo di una «prestazione» di tipo medico o di interlocutori dai buoni sentimenti, e cioè che si sottolinei l’importanza di «riconoscere nell’individuo cui la prestazione è destinata una “persona” che abbisogna non solo di medicazione ma anche e soprattutto di conforto rasserenante e di solidale sostegno» (Dassori, 1988, p.12). Di conseguenza, allora, nemmeno i due problemi della prevenzione e della terapia possono essere slegati l’uno dall’altro, ma è certo vero il fatto che esistono ambiti di intervento diversi, ed è solo con la collaborazione ed il continuo trasmettersi di dati e valutazioni che il problema nel suo complesso potrà essere affrontato, dalle conseguenze sociali ed economiche del traffico delle sostanze stupefacenti alle quotidiane attività di prevenzione. Appare chiaro che esiste un parametro fondamentale, ovvero l’elemento motivazionale, che accomuna le due esperienze; ovviamente noi siamo più interessati a rilevare quella preventiva, cioè la possibilità di sollecitare la regolazione interna, profonda, responsabile del comportamento, dell’insieme dei desideri, delle intenzioni, dei proponimenti della persona, della collocazione sociale ed ambientale. È per tutto questo che abbiamo parlato di programmi flessibili e variabili, di diagnosi funzionale, di acquisizione di capacità e di abilità. E per ottenere tali scopi credo che uno degli elementi più importanti da sottolineare sia il fatto che non potremo di nuovo commettere l’errore di nascondere o di limitare determinate conoscenze per il timore che i nostri ragazzi si lascino coinvolgere: mi sembra infatti chiaro che solo se essi conosceranno rischi e condizionamenti, il loro peso e il loro significato, potranno anche sapere perché e come evitare il coinvolgimento1. Parlare di prevenzione alle dipendenze significa allora parlare di prevenzione del disagio, dell’insicurezza, della mancanza di motivazioni e di consapevolezze, della incapacità alla socializzazione e alla discussione dei problemi e delle dimensioni complessive personali, familiari e ambientali: «gli esperti nell’ambito della salute evidenziano l’urgente necessità di inserire e di sviluppare la componente

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Non avrebbe senso sapere che esistono per un tossicodipendente stadi successivi che noi definiamo di sperimentazione, di assuefazione, di necessità, di ambivalenza, di cure, di emancipazione, e poi non conoscere le conseguenze per il funzionamento del corpo e della mente e i pesanti condizionamenti che ne derivano. Deve essere chiaro a tutti che esiste oggi in Italia una popolazione tossicomanica non solo ingente, ma che sono stati finora ottenuti obiettivi terapeutici decisamente e relativamente assai scarsi, che solo un graduale consolidamento di un atteggiamento aperto e ben motivato può agevolare qualsiasi strategia preventiva.

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educazione alla salute nei programmi per la formazione iniziale e per l’aggiornamento in servizio tanto degli insegnanti quanto degli operatori sanitari paramedici. Invitano innanzitutto ad una integrazione in tal senso dei programmi per la formazione degli insegnanti perché l’apporto educativo che essi realizzano su tutti i soggetti nelle età della scuola dell’obbligo diventa indispensabile» (Dassori, 1988, p. 13). Ciò che abbiamo in mente è in sostanza l’idea di un giovane come essere sociale competente. In tutti i paesi, industrializzati o in via di sviluppo, esiste ormai chiara la consapevolezza del valore della dignità e della libertà della persona: ma si tratta di un principio che spinge a formulare strategie ed obiettivi che negli uni e negli altri devono essere resi contestuali a situazioni che in ambito europeo in questo momento sono troppo diverse2. Tanto per fare un esempio preliminare, è evidente che la prevenzione della tossicodipendenza in Italia e nell’Europa occidentale avrebbe ambiti di intervento del tutto diversi dalla Polonia, a proposito della quale si sostiene che i tossicodipendenti riescono ancora a procurarsi le sostanze stupefacenti in modo del tutto autonomo, lavorando direttamente il frutto del papavero. Ciò significa che in un contesto sociale già fortemente preoccupato da una lunga crisi economica, è presente il rischio di una spaventosa diffusione dell’AIDS, poiché una limitata coscienza del pericolo, la stessa che necessita di procurarsi sostanze psicotrope a basso costo porta ad un comportamento e ad un atteggiamento alquanto irresponsabile. Certo anche qui si è compresa l’importanza di campagne informative nelle scuole e presso gli stessi tossicodipendenti: ma molte delle strategie pensate per una lotta più capillare non hanno potuto nemmeno essere avviate per la mancanza di sostegni economici adeguati. Quest’ultimo elemento è senza dubbio comune a molti paesi, ma ciò che viene sottolineato in modo particolare dagli operatori polacchi è il fatto che il loro Paese ha bisogno di pensare dapprima ad un’educazione delle mentalità che per gran parte in Europa è già stata praticamente avviata. Già questa prima annotazione rende urgente, però, una brevissima considerazione; poiché in genere, presso gli istituti nei quali il problema dell’accoglienza del giovane tossicodipendente viene affrontato, si deve alle iniziative personali degli operatori, ad esempio, la distribuzione di siringhe sterilizzate, tale impegno appare senza dubbio importante e da apprezzare, ma si tratta esclusivamente, a mio avviso, solo di una strategia di precauzione e non di prevenzione3. Non intendo certo attribuire al contesto occidentale la capacità della prevenzione e a quello orientale la capacità di una serie di raccomandazioni all’uso di determinate precauzioni, ma i Paesi orientali hanno tuttora innumerevoli problemi con le strutture sanitarie di immediato soccorso che una strategia organica ed articolata, per ciò che concerne la prevenzione delle tossicodipendenze, appare pressoché inesistente.

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L’idea di un’Europa occidentale e di un’Europa dell’Est non può essere infatti evitata poiché i problemi sociali dei due contesti appaiono anche in questa discussione evidentemente lontanissimi. La differenza tra i due termini è chiaramente sostanziale: noi non possiamo permetterci di mirare solo all’impiego di strumenti siffatti; allo stesso modo, premunirsi, adottare precauzioni che limitino la diffusione delle tossicodipendenze può anche significare prendere delle misure restrittive da far gestire alle forze dell’ordine, ma questo evidentemente non corrisponderebbe a quell’azione più capillare di intervento che piuttosto interessa la figura dell’educatore.

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Una condizione particolare rispetto alle strategie di prevenzione è vissuta da un Paese a noi confinante come la Svizzera; un modello di intervento alquanto «morbido», ovvero di non eccessiva repressione è stato ed è ancora lo strumento preferibilmente adottato, malgrado i recenti fatti di cronaca. La peculiarità del contesto elvetico sta nel fatto che la Svizzera è il principale luogo europeo deputato al riciclaggio del denaro proveniente dal traffico delle sostanze stupefacenti; non si creda che questo elemento sia ininfluente in una strategia complessiva tesa alla prevenzione: anche il portare a conoscenza il significato e il pericolo di un potere economico legato ad azioni malavitose fa parte di un’azione utile a suggerire nuovi atteggiamenti e comportamenti. È anche in questo senso, infatti, che nuovi orientamenti fatti propri dalle organizzazioni sociali sollecitano fortemente. Bisogna dire a questo punto che le strategie proposte in tutta Europa, fatta eccezione per l’aspetto appena citato e maggiormente studiato in Svizzera, non differiscono per strumenti e metodi di intervento: si parla ovunque di alternative fra repressione e distribuzione (più o meno legalizzata), di interventi per incidere sulle condizioni di vita dei giovani e di aiuto per i soggetti a rischio, di campagne pubblicitarie da realizzare attraverso i mass media. Parzialmente diversi possono essere semmai i singoli modelli di intervento, ovvero le ipotesi che vengono assunte come reali e sulla base delle quali vengono poi progettate le differenti strategie4. A tal proposito è essenziale dire che, comunque, i programmi di intervento hanno un punto in comune, poiché sono concordi, giustamente, nel considerare primaria una ridefinizione degli atteggiamenti personali e dei comportamenti. Possiamo allora sintetizzare in uno schema, che combina elementi di teoria della comunicazione e dell’apprendimento sociale, quanto è utile per proporre la sostanza di quei modelli di cambiamento comportamentale: Influenza delle Compagnie

Cambiamenti comportamentali in vari gruppi

Influenza dell’ambiente

CONOSCENZE/CREDENZE ESPOSIZIONE AI MESSAGGI ATTITUDINI INFLUENZA DELLE COMPAGNIE

APPRENDIMENTO

INFLUENZA DELL’AMBIENTE

MODELLI DI COMPORTAMENTO AZIONE

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È chiaro che ogni paese utilizza insomma strategie istituzionali che sono ormai comuni; i singoli interventi, però, sono condizionati e dipendenti dal contesto storico, sociale, tradizionale di ogni sistema organizzativo: in poche parole, è la stessa cultura sociale che determina le piccole e a volte sostanziali differenze nei trattamenti specifici e nella prevenzione, ma modelli adottati e programmi complessivi sono in questo momento coincidenti. È preferibile per questo evidenziare i contenuti di quei modelli invece che procedere ad una forse noiosa elencazione dei vari interventi che alla fine risulterebbe essere una raccolta di elementi identici seppure divisi per paesi.

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I rilievi che possono essere fatti a proposito di uno schema (Picciolini, Scricciolo & Cippitelli, 1991) come questo sono: – l’intero contesto degli ambienti sociale, del gruppo, familiare giocano un ruolo essenziale; – la sicurezza affettiva, intellettuale, progettuale della persona è un elemento imprescindibile per una collocazione di sé determinata, positiva e propositiva; – la centralità della persona è punto fondamentale di un qualsiasi approccio preventivo; – la massima attenzione deve essere data ai punti di partenza delle campagne informative, in quanto essi sono evidentemente connessi con i punti di vista di chi li prepara e li progetta; – il gruppo e il senso di appartenenza ad uno di essi può determinare in gran parte conoscenze, atteggiamenti, comportamenti.

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Veniamo ora ai modelli specifici di riferimento e di intervento europeo, ai quali abbiamo accennato in precedenza: alcuni possono essere visti come più teorici e descrittivi, altri considerati più legati ad un uso di tecniche specifiche e ben codificate. Fra loro, possono esistere paradigmi comuni ma sono sostanzialmente diversi per alcune sfumature di impostazione e di esplicazione. Essi, come abbiamo detto, sono costituiti da orientamenti presenti in tutte le realtà sociali del continente, per cui non esiste una differenziazione reale fra i diversi Paesi: una cosa, infatti, è la strategia dei vari governi che, lo abbiamo rilevato, puntano in pratica ad una sensibilizzazione attraverso campagne degli organi di informazione e intervengono nell’opera di repressione dello spaccio in modo da evitare anche il diffondersi e l’ampliamento del coinvolgimento, altro è il dibattito internazionale e il riferimento a modelli condivisi dagli operatori del settore nei vari Stati. Esaminiamo dapprima quello definito delle informazioni e delle conoscenze; in base ad esso, si ritiene che la tossicodipendenza sia provocata dalle scarse conoscenze dei rischi dovuti all’uso e all’abuso di sostanze psicotrope, per cui sarebbe sufficiente una serie di campagne informative5 per prevenire quanto meno l’abuso delle droghe. I destinatari di tali campagne sono genitori, insegnanti, adulti in contatto con i giovani e ovviamente gli stessi giovani, in particolare coloro che assumono la funzione ed il ruolo di leader all’interno dei gruppi. Tale modello si propone di non enfatizzare i rischi connessi all’uso delle droghe, di incoraggiare le alternative e i vantaggi di uno stile di vita libero dalle sostanze stupefacenti, di limitare una sorta di alone di fascino che caratterizzerebbe la tossicodipendenza. Due elementi mi sembrano improbabili per ciò che concerne questo modello: da una parte il problema della effettiva possibilità di raggiungere direttamente i giovani tossicodipendenti o a rischio, l’assenza di un rapporto di scambio e di dialogo, dall’altra l’idea di una dipendenza o di una tossicodipendenza come dimensioni solo affascinanti. Un secondo modello attivato è quello della drugeducation: sulla sua base si ri-

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In questo senso sembra importante l’esperienza della Gran Bretagna: sono stati preparati anche opuscoli informativi che fossero in grado di soddisfare specificamente le richieste dei genitori. Sono stati poi prodotti pacchetti video diversificati, in quanto si propongono di raggiungere destinatari diversi (ragazzi, operatori, ecc.).

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tiene che i problemi sociali siano provocati da comportamenti dettati da una cattiva capacità di adattamento che possono però essere modificati attraverso un serio impegno educativo. Anche in questo caso, naturalmente, i destinatari dei programmi sono genitori, docenti e giovani che, con il sostegno di testi, lezioni, audiovisivi, dibattiti, cercano di approfondire, ad esempio, i modelli di motivazione umana, i progetti individuali basati su obiettivi personali, l’influenza dei mass media e dei coetanei. Si tratta di una strategia che è stata adottata soprattutto nel passato e in particolare nei Paesi del centro Europa. Esso ha lo scopo di sollecitare la comprensione di sé, la capacità di resistere alle pressioni e di prendere delle decisioni in modo autonomo, nonché quello di informare a fondo sul fenomeno. Il rischio che potremmo correre con un tale modello è quello di attribuire un’eccessiva importanza alla formazione di un’abitudine all’uso regolare delle droghe, in quanto non vengono prese in considerazione le variabili personali e situazionali, nonché la conoscenza degli effetti dei vari dosaggi e delle miscele fra più sostanze; pericoloso poi potrebbe essere anche, come è accaduto nel passato, presentare effetti e conseguenze dell’assunzione di droghe in modo quasi terroristico. In questa direzione si è orientata in questi anni l’esperienza tedesca, e foltissime sono state le controversie fra terapeuti e autorità. È probabile che ciò abbia condizionato le scelte operative in base alle quali vengono preferite tuttora strutture di accoglienza a lungo termine e scarse opportunità ambulatoriali, il che, per ciò che ci riguarda, significa anche una limitata presenza di referenti professionali impegnati nella prevenzione locale. Tale modello prevede, in una sua veste più recente, due tecniche di intervento: una per gli studenti, che vengono coinvolti dal loro insegnante in un’attività didattica di role-play senza che il docente esprima delle opinioni attraverso una condanna aperta e ad un rifiuto totale. L’altra è indirizzata ai genitori che vengono informati sulle sostanze ed apprendono anche delle tecniche per migliorare la comunicazione e le relazioni familiari. Vengono in questo senso incoraggiate attività ed incontri familiari, la partecipazione dei genitori agli interessi dei figli, un miglioramento delle capacità di ascolto e di dibattito aperto6. Per ciò che concerne il modello definito delle competenze e capacità sociali, esso si basa sulla convinzione per la quale le capacità sociali sono una sequenza dinamica di cognizioni e di comportamenti che si determinano reciprocamente nel tempo e condizionano l’instaurarsi di efficaci relazioni interpersonali. A questo proposito, nelle nostre precedenti riflessioni, ci siamo debitamente soffermati, poiché abbiamo anche noi rilevato che tali capacità si formano gradualmente con la maturazione di abilità nel comunicare con efficacia e puntualità, nel dialogare in modo appropriato, nel guardare e nell’esprimere sentimenti, valutazioni, rifiuti ragionevoli e adeguati. Una mancanza in tal senso, fa supporre negatività nei rapporti interpersonali, nelle attività quotidiane di lavoro, studio e ricreative, nonché la formazione di atteggiamenti eccessivamente aggressivi ed insuccessi personali e sociali. Di conseguenza, le tecniche adottate mirano a sollecitare sentimenti di sicurezza, autostima, capacità di resistere ai messaggi persuasivi, abilità cognitivo-

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In questa nuova veste tale strategia è stata adottata anche negli altri Paesi europei, in alcuni dei quali, come l’Italia o la Spagna, solo in forme più o meno sperimentali.

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comportamentali che consentano di attenuare il disagio dell’ansia e della comunicazione verbale e non verbale. Tale modello è il più diffuso nel contesto europeo occidentale; esso è stato adottato dapprima nei Paesi scandinavi7 e poi in modo graduale dagli altri. Il modello delle alternative sociali mira a rafforzare gli interessi che possono costituire degli iniziali diversivi al bisogno di droghe e poi una graduale sostituzione ad esso. Per questo, le tecniche cercano di coinvolgere i giovani in attività che riescano a soddisfare le esigenze personali dai punti di vista fisico, sensoriale, emotivo ed interpersonale, in modo da sollecitare la partecipazione, la sensazione di sentirsi impegnati in qualcosa che costituisce la vita reale, oppure l’iniziativa di avviare attività personalmente scelte e dalle quali un giovane ritiene di poter trarre delle soddisfazioni. Le attese di questo tipo di modello sono legate alla convinzione per la quale qualsiasi comportamento modificato positivamente vada di pari passo con una riduzione della accettazione o della assunzione di sostanze psicotrope. Va detto che tale soluzione appare, almeno ad un primo esame, eccessivamente dogmatica e riduttiva dal punto di vista delle conseguenze delle attività di partecipazione e di coinvolgimento: mancano le dimensioni più strettamente personali della effettiva preparazione a quelle stesse attività, dell’inserimento nei gruppi, senza le quali appare alquanto improbabile una effettiva gratificazione. Esiste poi il modello della promozione della salute, che mira ad affrontare il problema da un punto di vista più complessivo ed è strettamente legato agli orientamenti attuali dell’OMS, poiché viene assunto un concetto fondamentale per il quale il benessere fisico, mentale e sociale non dipendono esclusivamente dalla mancanza di disagi o di infermità. Vengono per questo individuate almeno quattro dimensioni che sono in stretto e continuo rapporto reciproco, ovvero la salute fisica; la salute psicologica (che consiste nella sensazione oggettiva del proprio benessere e nella capacità di autovalutazione); la salute sociale (ovvero la capacità di assolvere ai propri compiti con determinazione e sicurezza, nonché quella di adattarsi in maniera positiva e propositiva all’ambiente sociale); la salute personale (cioè, tutte quelle capacità e quelle abilità che possono non essere evidenti nella vita quotidiana, ma che determinano lo stato di sicurezza affettiva, personale, nel lavoro e nelle altre attività, il senso di responsabilità e la progettazione di sé)8. Due delle tecniche utilizzate per questo modello mirano al coinvolgimento di un individuo in una comunità o di un leader, ma quella che a noi in questo mo-

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In Svezia, ad esempio, esistono numerose cattedre universitarie che hanno lo scopo di compiere ricerche tanto nel campo medico e biologico quanto in quello psicologico. In Danimarca, invece, tale ricerca è inserita nell’ambito della Amministrazione statale (la maggior parte dei progetti però verte sui problemi derivanti dall’abuso di alcool); alcuni di essi si propongono poi di valutare e prevenire anche l’uso di medicine che inducono dipendenza. La ricerca sociologica sembra alquanto trascurata in Francia, dove si preferisce infatti quella clinica ed epidemiologica. Questo modello appare vicino alle strategie più diffuse nei Paesi Bassi, dove viene praticata a fondo anche la ricerca sul trattamento, sui sistemi specifici ed alternativi di assistenza e prevenzione (come gli autobus itineranti, ad esempio, che vengono utilizzati ad Amsterdam). Sempre nei Paesi Bassi viene spesso utilizzata una strategia legata al modello del peer-counseling.

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mento può sembrare più interessante riguarda il progetto di una promozione della salute che significhi promozione dell’autostima, della consapevolezza, della conoscenza, della motivazione, della dimensione valoriale. Esiste poi il modello di un effective classroom management, diretto sostanzialmente agli insegnanti con l’intento di sollecitare un miglioramento delle loro stesse capacità interpersonali ed una particolare sensibilità nel comprendere e nell’intuire i bisogni cognitivi ed affettivi degli studenti, nonché una più profonda conoscenza delle tecniche della comunicazione e del problem solving Tale modello si basa anche su risultati concreti e dati provenienti da alcune ricerche e studi: in sostanza, essi evidenziano il fatto che un miglior clima, un aperto e positivo atteggiamento nei confronti dei coetanei e della scuola stessa, un maggior senso di responsabilità porti come conseguenza una fortissima diminuzione dei problemi di disciplina, una maggiore consapevolezza e decisione nell’opporsi alle pressioni del conformismo del gruppo e, di conseguenza, anche ad una minore incidenza dell’uso di sostanze stupefacenti. Un ultimo interessante modello può essere costituito da quello del peercounseling, che si basa sull’assunto per il quale i giovani possiedono le capacità potenziali per cercare e continuare a risolvere i loro problemi con efficacia: di conseguenza, se essi saranno stati abituati a farlo gradualmente e per difficoltà graduali saranno anche capaci di farlo per il resto della loro vita. Come si vede, si tratta di un progetto che si fonda essenzialmente sulla tecnica del problem solving. Il giovane, naturalmente, considerando la alternativa della tossicodipendenza assolutamente insufficiente a soddisfare la necessità di risoluzione di un problema, cercherebbe alternative diverse e più salutari. Come si vede, alcuni dei modelli propongono delle soluzioni a volte eccessivamente meccaniche e non tengono nella dovuta considerazione quanto abbiamo rilevato inizialmente a proposito della personalizzazione dei problemi e della individualità delle scelte e delle opzioni. Ne esistono in verità anche degli altri, come quelli della mobilitazione dei genitori, della mobilitazione della comunità, dell’assertion training, ma essi, finendo per isolare le tecniche ad ambiti particolari, appaiono piuttosto evitare il problema e limitare degli interventi alle figure parentali o sociali o all’individuo che afferma la propria identità all’interno del gruppo. A noi sembra che i modelli citati vadano incontro alle strategie più adeguate per fronteggiare il problema della prevenzione della tossicodipendenza o, lo sottolineiamo ancora, della dipendenza da altre sostanze; direi, però, che tutti essi presentano delle dimensioni interessanti e non si comprende perché non dovremmo mostrarci disponibili ad adottare tecniche suggerite da questo o quello e mirare ad un programma di intervento che mostri tutta la sua elasticità e tutta la propensione a considerare le individualità e la persona. Non dobbiamo dimenticare che tutti questi progetti di intervento adottati dagli istituti e dagli operatori del settore in tutta Europa sottolineano la necessità di pensare alla centralità della persona, da intendersi sia come lo studente o il giovane che come l’operatore: entrambi hanno la loro formazione e la loro complessità ed entrambi avranno degli scopi e riterranno opportune delle scelte rafforzate e condizionate dalla loro propria cultura sociale. Cosa significa tutto questo, però, a livello operativo? Innanzitutto che una prevenzione alla tossicodipendenza è un progetto a lunga realizzazione che ha bisogno di seguire le strade dell’educazione, dei cambiamenti culturali, delle risposte alle attese e alle speranze delle generazioni e alla loro idea della qualità della vita. Allora, ciò significa promuovere attività didattiche che consentano di uscire

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dalle aule, di indagare sul territorio e sulla sua realtà contestuale, di scoprire i legami affettivi, personali, globali con il presente ed il passato, di sollecitare una proposta valoriale adeguata ai nostri tempi. E, ancora più in particolare, vista l’esigenza di pensare a strategie attuali e moderne, ciò significa promuovere un itinerario educativo-didattico con il quale, partendo dalla collaborazione e dalla necessaria continuità metodologica fra i diversi livelli e cicli formativi, si propongano conoscenze disciplinari rese efficaci perché interrelate, verificate nella realtà, corrispondenti ad una visione complessiva, diversificata del mondo delle emozioni e delle esperienze personali e del mondo nel quale convivono altri coetanei ed altre persone con emozioni ed esperienze simili o completamente diverse.

Riferimenti bibliografici

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Adamo, S., Morrone, F., Valerio, P. (2001). Linee Guida per l’Educazione alla salute nella scuola media superiore, in A. Pellai e P. Marzorati (a cura di), Educazione alla salute. Standard e linee guida dalla scuola elementare alla scuola superiore, Milano: FrancoAngeli. Bertazzoni, A. M., De Angeli, A., a cura di (2004). Etica, comunicazione e salute. Tutela della persona e principio di autonomia in sanità: percorsi sperimentali di educazione alla salute. Milano: FrancoAngeli. Cortese C.G., Ronco, P. (1997). Impegnare per prevenire: una ricerca tra adolescenti sulla prevenzione dell’Aids”, in B. Zani, M. L. Pombeni (a cura di), L’adolescenza: bisogni soggettivi e risorse sociali. Cesena: Il Ponte Vecchio. Dassori, I. (1988). I responsabili dell’educazione alla salute. Milano: Vita e pensiero. Marzorati, P. (2001). Linee guida per la promozione di una vita senza fumo di tabacco: dalle scelte comportamentali alle strategie”, in A. Pellai (a cura di), Educazione alla salute. Standard e linee guida dalla scuola elementare alla scuola superiore, Milano: FrancoAngeli. Picciolini, A., Scricciolo L., Cippitelli, C. (1991). Atti dell’incontro internazionale su: AIDS e tossicodipendenze: attività di prevenzione, 24 febbraio 1990, Roma: L.I.L.A.

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Body, movement and educational robotics for students with Special Educational Needs

Paola Damiani • Università di Torino – paola.damiani@unito.it Antonio Ascione • Università degli Studi di Napoli “Parthenope” – antonio.ascione@uniparthenope.it

Corpo, movimento e robotica educativa per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali

Keywords: Intersubjectivity; Body; Movement, Learning and Teaching; Educational Robotics, Special Educational Needs

L’articolo presenta alcuni argomenti connessi all’utilizzo della robotica nell’insegnamento, attraverso la prospettiva dell’Embodied Cognitive Science (ECS) (Gomez Paloma, 2013), al fine di facilitare l’apprendimento di tutti gli studenti. La nozione di simulazione (Gallese, 2005b; 2009) ha assunto un ruolo centrale nelle teorie della cognizione incarnata; nell’articolo, si farà riferimento particolare al processo di simulazione motoria che si verifica durante l’osservazione di oggetti o persone che eseguono un’azione e la comprensione di una lingua. L’esperienza di apprendimento con il robot si caratterizza come un’esperienza relazionale che è sostanzialmente diversa dall’esperienza di apprendimento con un computer o con altro dispositivo elettronico. L’attenzione per il corpo e per il movimento attraverso la Robotica stimola i processi di imitazione e lo sviluppo delle competenze di base e delle abilità essenziali per l’apprendimento, quali le abilità visuo-spaziali, visuo-motorie, linguistiche, empatiche e sociali. Queste competenze sono molto importanti per tutti gli studenti, ma lo sono maggiormente per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali. Parole chiave: Corpo; Movimento, Apprendimento; Robotica; Bisogni Educativi Speciali

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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In this paper, we present some topics to improve the use of Robotics in teaching, with a new approach of Embodied Cognitive Science (ECS) (Gomez Paloma, 2013) in order to facilitate learning of all students. The notion of simulation (Gallese, 2005b; 2009) has assumed a central role in the theories of the embodied cognition; in particular, it’s made reference to the motor simulation during the observation of objects or people performing an action, and the comprehension of a language. The learning experience with the robot is characterized as a relational experience that is essentially different from that with a computer or another electronic device. Attention for body and movement through Robotics stimulates development of basic skills and capacity for learning, as visuo-spatial, visuo-motory and social skills; these skills are very important for students, especially for students with Special Educational Needs.


Body, movement and Educational Robotics for students with Special Educational Needs

1. The role of technology in the creation of inclusive learning environments: the multifunctional educational value of Educational Robotics1

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Piaget’s theory of Constructivist learning has had wide ranging impact on learning theories and teaching methods in education and is an underlying theme of many education reform movements2. Constructivist conceptions assume that knowledge is individually constructed and socially co-constructed by learners based on their interpretations of experiences in the world. Since knowledge cannot be transmitted, instruction should consist of experiences that facilitate knowledge construction (Jonassen, 1999, p. 217). According to the constructionist conception, the complex nature of the knowledge-building process requires the immersion in a learning experience in an equally complex context of a rich variety of opportunities, stimuli and resources that Jonassen et al. (1995) define “learning environment”. The model for designing constructivist learning environments (CLEs) engages learners in meaning making (knowledge construction) (Duffy and Jonassen, 1992; Jonassen, 1997; Jonassen, Campbell, and Davidson, 1994; Jonassen, Peck, and Wilson, 1998; Savery and Duffy, 1996). A learning environment, to be such, must represent a set of resources supporting the learning task, a place where people, who are there to learn, can work together and support each other while using a variety of tools and information resources in their task of achieving the learning objectives, and solve problems (Wilson, 1996). Therefore, an inclusive learning environment, by extension, should ensure the availability of resources for which all people, even those with disabilities and fragilities, actively participate together (co-participate) and achieve their learning and problem-solving objectives. Then, the redefinition of schools as inclusive learning environments, according to the constructionist models, opens up interesting perspectives also (and especially) for students with Special Educational Needs (SEN); the use of technologies in education helps to stimulate motivation and facilitate learning (Besio, 2005, 2010; Zambotti, 2013). Seymour Papert, Piaget’s collaborator, has highlighted the importance of providing children with the right tools for learning, naming them “cognitive artifacts”. A cognitive artifact is an object or a concrete process allowing the construction of valid mental models, through direct action. According to the author, the cause of the child’ slow development of a concept is the impossibility of working directly

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In this article (particulary, section 3, at the end) there are references to an previous publication of the authors: Damiani P. (2015), TCR e scuola: dallo strumento alla didattica, Chapter III, in R. Grimaldi (a cura di), “A scuola con i Robots”, Bologna, Il Mulino. http://sydney.edu.au/education_social_work/learning_teaching/ict/theory/constructivism.shtml

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with a cognitive artifact that makes that concept tangible. The performance of learning activities or tasks through such means leads the subjects to develop their intellectual abilities: the effective learning is achieved by means of something that can be “shown, discussed, examined, explored and admired” (Papert, 1993, pp. 142-143). The use of artifacts – and, in particular, of technological artifacts – allows to offer the most successful learning with a minimum teaching activity (Papert, 1980, 1993). However, in order to ensure the best learning conditions for all students, it also needs to overcome the idea of technology understood in an almost “miraculous” sense, as non-critical and non-contextualized, or the idea of the media as “knowledge conveyors” In order to be authentic and meaningful learning facilitators (and not of empty, mind-numbing and addictions-generating pastimes), it needs to ensure that students learn “with” technologies, and not “from” technologies (Jonassen et al., 1995). The role of hi-tech is more indirect as it can stimulate and support (not replace) the active and direct cognitive-learning process developing between students and peers\teachers; therefore, technologies become “cognitive tools”, which are successful and inclusive only in relation to their functional use. In particular, according to Papert, a computer, when mechanically not used for carrying out repetitive exercises, stimulates children’s creativity and brings out their individuality, respecting their differences. Obviously, technologies are tools for conveying contents; considered singularly, they are not enough to determine the students’ learning activity, as well as the teacher’s activity is not enough without an interaction with students. Knowledge is acquired through constructive processes, it is facilitated by collaboration and is determined by the context (Jonassen et al., 1993). According to this model, students do not learn by reading or listening, but need to be involved in activities having cognitive factors able to force the learner to think, discuss, use and train his\her own cognitive skills and resources. The key variable is to set meaningful learning objectives through appropriate tools, which force students to apply themselves in problem-solving processes\actions. For what concerns students with SEN (Special Educational Needs), it is important to remember that technologies, as cognitive tools, do not make it easier to learn in an automatic and deterministic way. As Jonassen highlighted, a critical characteristic of meaningful learning is mindful activity. In this sense, they are instruments of reflection that amplify personal cognitive skills (Jonassen, in Marconato, Litturi, 2005, pp. 17-18). In order for learners to be active, they must manipulate something (construct a product, manipulate parameters, make decisions) and affect the environment in some way. Activity theory describes the transformational interactions among the learner, the object that the learner is acting on, and the signs and tools which mediate that interaction. “The form of the problem manipulation space will depend on the nature of the activity structures the CLEs is engaging. However, it should provide a physical simulation of the real-world task environment, that is, a phenomenaria (Perkins, 1991). Phenomenaria, or microworlds, present a simplified model, along with observation and manipulation tools necessary for testing learners’ hypotheses about their problems” (Jonassen, 1999, p. 222). Technologies as cognitive tools require the learner to endure the mental strain and the uncertainties, and to think more deeply about the concepts of the study. The cognitive tools and computers are tools for analysis and cognitive amplification helping students to build their own reality; furthermore, each type of tool requires the realization of different educational models. In general, we can therefore say that the constructionist learning environment, through the “pedagogical”

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use of the technological artifacts, allows to take due account of the comprehensive development of the student’s personality, or better, of the relational, emotional, physical and motivational aspects of learning, as well as those intellectual, material and contextual, according to a community and ecological vision, and allows at the same time to observe and appreciate the individual differences (Damiani P., in Pavone, 2015). Among the technologies for learning, as evidenced by Papert, the robot can represent an effective cognitive artifact, able to significantly change the teaching activity. Indeed, Robotics, the “science of synthesis” that brings together mechanics, electronics, information technology and education, enhances the contemporary student’s learning potential, in contrast to a school still imprinted on passivity (Papert, 1972; Marcianò, 2013). Educational Robotics (Leroux, 1999) stands as a new field of educational research that, starting from the elaborations of the constructivist paradigm, subsequently changed by Papert’s constructionist approach, considers robotic technologies as objects-with-which-to-think (Harel e Papert, 1991) (Caci, D’Amico, Cardaci, 2007).

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The vanguards of school have understood Educational Robotics as a challenge and a chance to create new ways of teaching, according to socio-constructionist paradigm (Ackermann, 2001); robots become the means through which to carry out, in many ways, “innovative and effective” lessons of mathematics, history, physics, literature, english, geography... Students learn actively, discover the teamwork, experience the problem solving, have the ability to independently find out the mistakes and then correct them. The learning-by-doing is an extraordinary possibility to facilitate learning and improve its effectiveness over time. Recent studies and researches attach to Educational Robotics a function of promotion and support to inclusion (Besio, 2009; 2010; Alvarez, Rios, Adams, Encarnação, & Cook, 2013; Pennazio, 2015). Robotic systems can be a valuable tool for children with special needs to learn through play interactions and can help them to reach the developmental steps of their chronological and/or mental ages (Besio, 2001); there have been many examples of robots being used to involve children with special needs in play activities for therapeutic or educational purposes (Ferrari, Robins, Dautenhahn, 2009). For example, children with learning disabilities and mild intellectual disabilities can find learning facilitators in Educational Robotics and in the manual activity, while for children with autism they represent an appropriate environment to their educational and teaching needs. Autism spectrum disorders are a group of lifelong disabilities that affect people’s ability to communicate and to understand social cues (Scassellati, Admoni, Matarić, 2012). Robots have already been used to teach basic social interaction skills using turn-taking and imitation games (Dautenhahn, 1999). Robots seem to improve engagement and elicit novel social behaviors from people (particularly children and teenagers) with autism. Robot therapy for autism has been explored as one of the first application domains in the field of socially assistive robotics (SAR), which aims to develop robots that assist people with special needs through social interactions (Scassellati, Admoni, Matarić, 2012). Generally, robots can provide a safe and predictable playful environment for children with autism to enjoy and interact with (Dautenhahn and Werry, 2004), moreover, use of robots as therapy tools has shown positive impact also in learning process.

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A research of the University of Birmingham has shown that robots could be used to improve the children’s basic learning skills. The school is using robot in many activities as a model for the children’s behavior, like in memory games, which get the children to imitate the robot’s movements, can help them become engaged and motivated with learning. School is using robots also to teach phonics and play cards or memory and imitation games with children aged from five to 10; robotics can contribute to releasing working memory capacity (Howard-Johnes, 2009). It seems that children find robots less threatening than people as they are more predictable. Working with a robot also helps to allow languages barriers, facilitating the learning activity (with gesture and movements) fostering the participation of foreign children, who find a place where to learn without the burden of having to follow lessons passively in a language that they find difficult to understand, especially in the early years of schooling. For these reasons, in recent years the experiences of Robotics applied to the teaching-learning processes have multiplied in European countries, even if they are still unknown by the majority of teachers. Some researches carried out in Italian schools (school classes aged 3-6 and 6-11) have recently shown that the approach of Robotics can be intended as a means of development, recovery and strengthening of some basic skills essential for learning and development – like visuospatial capacity and working memory capacity – and may play a preventive role for some Neurodevelopmental Disorders, such as Specific Learning Disorder, motor Disorders, Developmental Coordination Disorder, attention-deficit / hyperactivity disorder (ADHD) and the autism spectrum disorder (ASD) (Damiani, Grimaldi, Palmieri, 2013; Damiani P. in Grimaldi, 2015). As neuroscientific research has shown, multimodal stimulus produces additional brain activity over and above that produced by experiencing each mode separately (Beauchamp et al 2004a; 2004b). Technology and robotics stimulate learning and sensorial different modalities. Educational Robotic is a ludic and creative activity, and creativity is considered a key thinking skill; however, in the classroom has been hampered by a lack of understanding of the thinking processes involved. Interdisciplinary studies are analyzing more deeply the elements and dynamics that characterize the learning and teaching-learning processes in the typical and atypical development, in respect to didactics and environmental factors. The neuroconstructivist approach (Levine, 2004, Kamiloff-Smith, 1992; 2007) considers environmental factors important for their effects on the cortical plasticity of the neurocognitive system. The study of such effects (of different rehabilitation methods) could provide important information about the causes of disorders, highlighting the causal relationship between trained function and disorder. According to this approach, comorbidity (coexistence of multiple disorders) between different developmental disorders would explain the complexity of the causal relationships between them, contrary to some biological approaches that consider disorders according to monofactorial models. These studies have, for example, helped highlight the monofactorial and probabilistic nature of neuropsychological dysfunctions underlying Learning Disorders (Pennington, 2006), and allow for a re-evaluation of the characteristics of disorder “specificities” (basically, they wouldn’t be so specific like other acquired disorders) and new possibilities of prevention, at least when disorders become evident. In this paradigm, robotics became an environmental factor that can improve the development and learning processes in typical and atypical development. Robotics as developmental factor and educational factor.

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Researchers who have been analysing the best ways to use the robots say the key is in the programming (Burns, 2012).

2. The role of the body and movement in the learning process. From Neurosciences to the Pedagogy of the Body and Movement

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Neuroscientific studies have shed new light on the learning modes, cognition and social relations, focusing their analysis on the body and its extraordinary learning abilities, as well as on the corporeal experience as the core device for the knowledge production (Gomez Paloma, 2004; Gallese, 2006; Gamelli, 2011; Uithol, Gallese, 2015). On this basis, it is necessary to rethink traditional didactics, a literary didactics centered on the mind and not on the body, in favor of a corporeal didactics. Traditionally, indeed, teaching is considered as a set of logics, generalizations, principles, rules, abstractions, borrowing the cognitivist idea according to which mind works like a computer. A didactics that considers the importance of the experiential learning or a routine learning activity does not deny the importance of the generalization or of the development of the abstraction abilities, but it links and builds them starting from the child’s most meaningful experience: the corporeal experience of the world. In order to develop a unitary knowledge and relevant abilities, offering a horizon of meaning to the knowledge fragmentation (Acone, 2005), arousing students’ curiosity and pushing them towards the marvels of knowledge, it is necessary to adopt a meaningful, and not a mechanic, learning. Precisely because the body allows to act, it becomes a knowledge – skills – and resources – builder, as its continuous development and language are intelligent and convey feelings, emotions and thoughts better than other codes; this is what creates the substrate of intermediate and advanced learning, which is essential to the symbolization, classification and abstraction processes (Gallese, 2005b). The discoveries about the mirror neurons, (Gallese, 2006, Rizzolatti & Sinigaglia, 2006), located in the premotor and parietal cortex, reveal the neural mechanisms of sociability and empathy (Iacoboni et. al, 1999; 2005; Gallese, 2007). The mirror neurons have visuomotor properties, but they are mimetic in nature, they act in relation to actions that the subject sees other subjects performing. These neurons can be classified according to the type of action: an example is represented by the mirror neurons when grasping, holding something tight, jumping. In addition, it was noted that the actions reproducible by the mirror neurons don’t involve only the hands but also the mouth. Their function is to be found in the production of internal motor imagery, which supports the learning by imitation, the learning by doing, according to constructivist model of learning. Through the motor imagery the subject becomes able to plan and perform an action in the way he had planned it (Jeannerod, 2007). According to Gallese, one of the most interesting aspects of this discovery is that, for the first time, a neural mechanism allowing a direct transition between the sensory (visual and auditory) description of a motor act and its translation has been identified. Perceiving an action as such, and not as a sequence of movements, implies an understanding of its meaning: it is an inner simulation, because its motor program is activated even if that action is not carried out by the subject. It’s a penetration into the world of the other from the inside, with a pre-linguistic mechanism of motor stimulation. Both the motor and the emotional reflection in the other, the possibility to understand his\her body lan-

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guage, the internal simulation of his\her actions, the forecast of one’s own action, are made possible thanks to the activation of the mirror neurons. Understanding emotions in others is very important for development and learning. The discovery of mirror neurons and of other mirroring mechanisms in the human brain shows that the very same neural substrates are activated when these expressive acts are both executed and perceived. Thus, we have a neurally instantiated we-centric space. I posit that a common underlying functional mechanism – embodied simulation – mediates our capacity to share the meaning of actions, intentions, feelings, and emotions with others, thus grounding our identification with and connectedness to others. Social identification, empathy, and “we-ness” are the basic ground of our development and being (Gallese, 2009, p. 520).

Some authors suggest a mirror neuron dysfunction in children with autism spectrum disorders (Dapretto et al. 2006). The embodied simulation model (Gallese, 2005; 2009), which stems from recent neuroscientific evidence, has illustrious philosophical antecedents, but Gallese is challenging the notion that the sole account of interpersonal understanding consists in explicitly attributing to others propositional attitudes like beliefs and desires, mapped as symbolic representations. Before and below mind reading is intercorporeity as the main source of knowledge we directly gather about others (Gallese, 2007). In this model, intercorporeity describes a crucial aspect of intersubjectivity. The recomposition of the fragments in a unity occurs in the body, thinking of oneself and others starting from corporeality becomes the core hub of Pedagogy of the Body (Contini, Fabbri, Manuzzi, 2006; Gamelli, 2011; Gilbert, 2012), which critically revisits the educational common scenarios, where the body is often absent or harnessed for integrating knowledge and experiences traditionally separated: those of the word with those less recognized ones of the movement, the gesture, the sight and the senses. An interesting aspect is the transfer, in the different educational fields, of the principles underlying the corporeal education in its various forms (such as psychomotricity, dance, techniques of relaxation and use of the voice, theatre, as well as the multiple treatment methods and corporeal-mediated artistic formative technologies). Pedagogy of the Body shows a pedagogical feature, where the research on the body is smoothly combined with the narrative educational strategies. An approach that is not interested only in the performance, but that mainly focuses on the relationship3. Then, the body becomes an educational subject, it is not only a part of the knowledge process, but it is a knowledge-producer, because it’s an experiential-type learning. Neuroscientific research emphasizes the role of the repertoires of actions and mirror neurons. In the learning-by-imitation process, the modeling, a person learns by observing: a modality that hardly lends itself to the theoretical knowledge. However, if the teacher does not explain lessons with words but, instead, he\she solves problems, interprets, analyzes in front of the class, he\she succeeds is being observed while putting knowledge in practice. In such case, he\she serves as a model, and his\her work serves as model – experience. Finally, the imitation of the model allows the subject to build new action patterns. Rethinking didactics, taking into account the contribution of neurosciences,

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(http://www.pedagogiadelcorpo.it/).

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means also rethinking the educational relationship from an empathic standpoint. A relationship between the teacher and the student that isn’t symmetric, but it’s syntonic, may be revisited in light of the emotional reflection and resonance made possible by the neural system, to enhancing benefits. Empathy also allows the teacher to get in touch with the student, especially with the more problematic one, without losing his own “self ” but putting it at the other’s disposal in a mutual exchange, avoiding any confusion of roles. “Immediate understanding of others’ emotions is the necessary prerequisite for that empathic behavior that underlies a large part of our relationships” (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006, p. 181). In this framework, empathy, corporeity, emotion and cognition are strictly interrelated; have good relationships – as a social experiences – is the condition to realize good teaching-learning processes in the classroom. Further studies have recently clarified another aspect of the social experience: sharing sensations through the touch. Apparently, the subjective experience of being touched on a part of the body determines the activation of the neural circuit, which is activated if looking at someone who is being touched. A single cortical region is activated both when experiencing something first-hand, and when witnessing the same experience of someone else. Neuroscientific research has shown us the importance of the feedback: through the latter, the association between experience and a certain synaptic organization strengthens and the forecast system refines – by trial and error – on which our knowledge is built. The one-to-one teaching, the immediate and specific feedback on the learning level and the tutorial teaching are specific emerging indications of work: the best learning outcomes are obtained when setting up a relationship of individual or tutorial training (Rivoltella, 2013). In particular, the researches are moving towards the recognition of a “fundamental” repertoire of education for everybody (inclusive) consisting of body experiences: our body not only has a function of sensory and executive mediation between the brain and the external world, but it is the main device through which, by realizing experiences, we develop learning and produce knowledge. In this scenario, the paradigm of the Embodied Cognitive Science (ECS) (Caruana & Borghi, 2013; Gomez Paloma, 2013) emerges with power and becomes the scientific and contextual basis on which to invest heuristic energies, in order to improve theoretical frameworks in support of the application protocols, develop tests and action research projects, analyze and reflect on the evidence-based didactic experiences that can identify it as a successful model. More specifically, starting from a scientific framework provided for the mirror neurons (Gallese & Goldman, 1998; Rizzolatti & Craighero, 2004), the value of corporeality, with which the neurons make phenomenologically possible the engagement of the social intersubjectivity (Iacoboni et al., 1999, 2005; Gallese, 2009), has developed in a logical and articulated way. The effects of this phenomenon, called Embodiment, opens up new scenarios related to the educational implications arising from the innovative neuroscientific discoveries (Damasio, 1995; Gallese, 2005). Starting from Pedagogy of the body and opening the doors to the Physical Education out of the gym room, for education with body and movement, the ordinary and inclusive didactics justify with more significance and repercussion the inclusion of neurosciences. When the importance of corporeality and emotionality in the meaningful learning, and the culture of inclusion starts to gain meaning and validity, there’s always multimediality and multimodality of teaching and learning… There are questions and doubts regarding how to work constructively at school. Therefore, doubts remain whether and how to rethink an “ECS based” teaching

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method (Gomez Paloma & Damiani, 2015), that is, a method enhancing the body and the movement as integral parts of the educational process.

3. Educational Robotics as application of an “ECS based” teaching method for the prevention of neurodevelopmental disorders and the promotion of the integration Recent studies have shown that much of the reading difficulties of dyslexic subjects depends on the visual sensitivity and the auditory frequencies of the magnocellular system. The impairment of the magnocellular system impacts also the cerebellum, and then movements and balance. Some research seems to indicate that the degree of wobble is correlated with the degree of dyslexia (Stein, 2001), showing how our cognitive abilities are closely related to the movement abilities. So the first insights of Rod Nicholson and Angela Fawcett are confirmed (1995; 2000): the awareness of one’s own body and of the movement enhances cognitive ability, through the relationship between auditory-visual movement aspects and cognitive skills in general (reading skills in the specific case of dyslexia). In view of all this, there is an urgent need for rethinking didactics according to new integrated perspectives, which are scientifically based and pedagogically oriented towards human, social and inclusive values. The “Embodied Cognitive Science (ECS) based teaching method” (Gomez Paloma & Damiani, 2015), being based on pedagogical-didactic principles consistent with the pattern of the ECS, enhances perceptions, emotions, body and movement as integral parts of the cognitive-intellectuals processes (personal) and the educational process (interpersonal and environmental). In particular, in this article, we propose an ECS teaching method approach, according to the constructionist pattern that takes advantage of the Educational Robotics. We believe that the artifact-cognitive robot, used in a constructivist learning and experiential environment, allows to widen the main evolutionary and educational elements and processes of the ECS pattern. In other words, by manipulating and interacting with the robot body through their own body and that of their companions, students can actively contribute to the knowledge-building processes through an immersive and generative learning experience, characterized by: body-kinesthetic-sensory and emphatic experience, artistic and aesthetic experience, involvement of bodies and minds, emotional-motivational involvement, cooperation and exchange, research and involvement, creativity and reflection, solitude and community. Particularly, the play and the work with robots are focused on intersubjective and intercorporeity dimensions of learning and development. “Before and below mind reading is intercorporeity as the main source of knowledge we directly gather about others” (Gallese, 2007). Embodied simulation model of Gallese challenge “the notion that the sole account of interpersonal understanding consists in explicitly attributing to others propositional attitudes like beliefs and desires, mapped as symbolic representations. A direct form of understanding of others from within, as it were – intentional attunement – is achieved by the activation of neural systems underpinning what we and others do and feel. Parallel to the detached third-person sensory description of the observed social stimuli, internal nonlinguistic “representations” of the body-states associated with actions, emotions, and sensations are evoked in the observer, as if he or she were performing a similar action or experiencing a similar emotion or sensation” (Gallese, 2009, p. 524).

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The experience with robots – having a human or animal (pet) form – benefits from the advantages of teaching with technologies, but it amplifies its effects and creates new paradigms. Indeed, the mind-computer metaphor underlies the common teaching methods and theories in a rather simplistic sense, according to the idea that human mind works like a computer and that learning is a matter of generalization, principles, rules and logical calculations. Computers work according to rules telling how to manipulate symbols and the latter have no meaning beyond the manipulations that the computer performs on them (Gee, 2007, p. 71). An additional problem of a simplicistic mind-computer association is that the computer is a brain with no body; on the contrary, the robot is a technology with a brain and a body endowed with movement, sensoriality and physicality (Grimaldi, p. 119). This represents an innovative and valuable element, essential to the achievement of a teaching activity through “ECS based” technologies, that is, considering the evolutionary and educational role of corporeality and the intersubjective physical-motor experience. We believe that this factor can justify the attention to Educational Robotics as an innovative and inclusive educational strategy, although there are more factors of interest consistent with the frameworks of ECS and neurosciences synthetically outlined in the previous paragraph, which can enhance every person’s learning processes. Among these, for example, there’s the “profound” attribution of value and the strategic planning based on forecasts, favorable conditions for learning according to neurosciences (Damasio, 1994; 2010), which constitute “almost regular” conditions of the experience with Robotics. Moreover, with reference to the essential characteristics of the approach with robots, and in the light of the ECS pattern and the studies on learning and learning disabilities, we believe that teaching with robots fosters the development of non-verbal and visuospatial skills and the acquisition of concepts of relationship in all students, thus constituting an aid (a strengthening) for students with learning difficulties or suspected risk of Specific Learning Disorder (SLD) or Non-Verbal disorder and ADHD. In fact, the visuomotor dimension, which is characteristic of the mirror neurons activity, is usefully stimulated by the programming – the eye-hand and visual-spatial coordination action that the activity with the robot stimulates. More generally, literature recognizes how, through the action/relationship between students and robots, the development of cognitive and emotional-relational skills is stimulated. For what concerns its structural and application characteristics, the teaching-learning process through Robotics is therefore consistent with the multidimensionality of the learning processes. The approach with robots includes different dimensions that the traditional teaching activity ignores: physicality and sensoriality; creativity and playfulness; emotion and motivation; prosociality and collaboration. In addition, the emotional-relational value and the relational experience with the robot, investigated by the recently born field of Affective Computing (Picard, 1988), considers Robotics as a new and exciting frontier for the work of the psychologist (Caci, D’Amico, Cardaci, 2004), with strong potential in the area of the rehabilitation of persons with different forms of cognitive disabilities and affective problems. Cognitive aspects as thought, attention and memory are stimulated in an effective, intensive and expanded way; as Caci outlines, the narrative thought emerges in all its meaningfulness (Smorti, 1994), which leads to consider the artifact not as a simple stimulus-response robot, but as a real “living” organism, with its own “history”, “personality”, “emotions” and “mental states” (Caci, 2004; Cardaci, Caci, D’Amico, 2003). The use of robots, being a material and mobile artifact with anthropomorphic or animal features, sets the relationship between student – teacher – technology as an “enriched” relationship than the one

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with other technologies as it has corporeal, emotional and empathetic aspects, as well as mental and cultural aspects. In this sense, thinking the robot turns into thinking with the robot. The use of robots seems to be useful both for the strengthening of the specific visual-spatial skills, also through the exercise of the abilities of vision, perception, discrimination of the visual-constructive forms and abilities, and for the development of the key aspects of the executive functions: attention, working memory, self-regulation, planning. Robotics can be “fully used” early with educational purposes. Although literature does not identify “certain” predictive factors, researches on the effectiveness of the evidence-based treatments show the need for the extra-school or, in any way, early treatment of the conditions of risk or comorbidities. In pre-school, it’s not appropriate to invest in the early learning of reading and writing, but in the acquisition of the preconditions, in the praxis and the visual-spatial skills. Many authors emphasize the importance of working “on the basis of critical areas” (visuospatial and nonverbal areas are considered as such) and class-groups; intervening individually during pre-school or during the first year of primary school does not seem appropriate (Penge, 2013). Robotics lends itself to group activities and works on the basis of fields or general areas. The relationship between perception and attention, which can be critical in some children, is supported by experiences fostering the interconnection and exchange between the two processes through a continuous transition: from perception to action and from action to perception. Moving the robot and moving with the robot strengthens this interconnection and can ease the mental representation of the space and the time of the actions, thus the learning of spatial and temporal concepts. Highlighting the relationship between the visual-spatial and motor and praxis skills is consistent with the activities of children’s “controlled” movement and manipulation with Robots. It seems we’re able to say that the body of the robot can also constitute an “additional / accessory” body or a body supporting the child’s body, able to perform the functions of guidance and coordination of movements that he\she has planned. We believe that the opportunity to make the results of using space-time concepts and the planned movement sequences more visible (by observing the acting robot) will facilitate the child’s functions of control, self-monitoring and metacognition, which are essential for the possibility to achieve an “authentic and significant” learning. The notion of simulation (Gallese, 2005b; 2009) has assumed a central role in the theories of the Embodied Cognition; in particular it’s made reference to the motor simulation during the observation of objects or people performing an action, and the comprehension of a language. The learning experience with the robot is characterized as a relational experience that is essentially different from that with a computer or another electronic device. The relationship child-computer is basically a relationship with a symbolic system, with a mind without a body; on the contrary, the relationship child-robot is the relationship of a person with a mind and a body in movement with another subject with a mind and a body in movement. It’s a most complete and interesting relationship, characterized by reciprocity and physicality. In a learning environment built up through Robotics, the relational configurations get more complicated: in the experience with the robot – knowledge mediator, relationships between student-teacher-artifact, studentknowledge-artifact and student-fellows-artifact-knowledge are established. As stated by Baccaglini Frank (2013), it’s paid less attention to the direct studentdirect relationship, which is less significant and stimulating for many students. An additional sphere of application/implications of the ECS teaching method through Robotics refers to the prevention of the socio-relational difficulties of

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adolescents. Researches on adolescents have revealed a sort of “relational incompetence” essentially due to the experiences characterized by almost totally virtual or strongly mediated relationships, in which the body is absent. Adolescents’ relationships are distinguished by continuity and pervasiveness, but they’re not very deep. Young people are always connected, but they’re often disconnected from their own bodies and from their own global person and that of others (Pietropolli Charmet, 2013). In fact, the intensity and amount of virtual relationships have compensated for the absence of corporeal relationships; the problem is that it is mostly about relationships with no shame, modesty and empathy, characteristics of the relationships that don’t involve a body. As already mentioned, we believe that the relationship with the robot body can foster the construction of the (own and others ‘) body representation, and the care of the body and the person, in children and younger people . From a more properly technology- IT perspective, the task of programming the robot movements refers to the logical principles of programming through codes-languages enhancing the expressive, narrative and semantic skills. The programming, understood as a problem-solving activity (Teolis, 2015), involves the expression and language use skill. The solution of the problems is basically linguistic; to solve this problem, we need to think and talk about the problem, assign it a name, search for signs of communication and some rules, both through the inner dialogue and through the comparison with others. The extension of linguistic and expressive areas through the use of the body and of the robot body (metaphorical and non-verbal language) fosters the extension of the problem solving skills. With regards to the value of integration, considered as another leading principle in our framework of values beyond that of the person’s global development, the stimulation of cognitive and emotional-relational skills fosters the learningdevelopment process of all students and increases their freedom/possibility of participation and co-participation through a process of general skills development. In summary, the intervention of basic skills enhancement, through the use of Educational Robotics for the whole class, has three kinds of advantages: 1. evolutionary advantages for the development of the cognitive processes in a broader sense, i.e. including emotional and corporeal dimensions, in addition to those cognitive in the strict sense of the word: perception, attention, thought, memory; 2. educational advantages for the person’s education, in his\her bio-psycho-social entirety, in the interaction with the environment; 3. social advantages, for the building of more inclusive learning environments and societies based on the values of fairness and co-participation. Last but not least, from the teachers and didactic programming perspective, the educational intervention through the use of Educational Robotics can be considered as an example of didactic (and evaluative) activity by skills, as it promotes the application of knowledge and skills in “authentic” tasks of increasing complexity (aiming at the competence), within specific contexts. The robot “makes doing things” with concepts/knowledge and spatial-temporal, linguistic, cognitive, emotional, physical and relational skills, in order to achieve a complex task all together, involving teachers and classmates. Moreover, the knowledge gained through the use of Robotics, different levels of knowledge and skills (for example, from the topological notions to the ability to plan routes and make sure they are correct)

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must then be used in other tasks and contexts (thus, it must be transferred). Knowledge is mobilised in the transition from the experience with Robotics (concrete\ laboratory-based) to the assignments at school (abstract and formalised) and its use in life contexts (concrete-authentic). In general, Educational Robotics represents a method for the laboratory-based didactics based on the “learning by doing”: according to Papert, it’s easier, and almost natural, to learn with a robot.

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Gestire lo sport per uno sviluppo educativo

Davide Di Palma • DISMEB – Università degli Studi di Napoli “Parthenope” – davide.dipalma@uniparthenope.it Antonio Ascione • DISMEB – Università degli Studi di Napoli “Parthenope” – antonio.ascione@uniparthenope.it Francesco Peluso Cassese • Università degli Studi Niccolò Cusano – Telematica Roma – francesco.peluso@unicusano.it

Manage the sport for an educational development

The objective of this contribution is the identification of a managerial approach in the sporting sector, capable of stimulating an educational development. In the meaning of “sports management”, often, the attention is exclusively drawn on the economic aspects, omitting the opportunity to apply the management techniques in social and educational contexts. A performing management strategy is, in fact, able to exploit the great educational potential inherent in sports. Due to its key values, such as team spirit and respect for the rules, sports has always represented a social context predisposed to support educational development. In this regard, this contribution proposes a management methodology that supports this sector in pursuing such objective.

Parole chiave: Educazione; Sport; Management; Sviluppo.

Keywords: Education; Sport; Management; Development.

Il manoscritto è frutto di un lavoro collettivo e le singole parti posso essere cosi attribuite: l’introduzione e il § 1 a Davide Di Palma, il § 2 a Antonio Ascione e il § 3 e le Conclusioni a Francesco Peluso Cassese.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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L’obiettivo del presente contributo è l’individuazione di un approccio gestionale del settore sportivo in grado di stimolare uno sviluppo educativo. Nell’accezione di “management sportivo”, spesso, si sofferma l’attenzione esclusivamente sull’aspetto economico, tralasciando l’opportunità di implementare le tecniche gestionali anche per il contesto sociale ed educativo. Una performante strategia gestionale è, infatti, in grado di sfruttare il grande potenziale educativo insito nello sport. Per i suoi principali valori, come ad esempio lo spirito di squadra ed il rispetto delle regole, lo sport ha sempre rappresentato un contesto sociale predisposto a sostenere lo sviluppo educativo. A tal proposito, questo contributo propone una metodologia gestionale che supporta questo settore nel perseguimento di tale finalità.


Gestire Lo Sport Per Uno Sviluppo Educativo

Introduzione

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La continua evoluzione nel tempo vissuta dal settore dell’attività sportiva, lo ha portato ad essere un contesto in grado sia di influenzare notevolmente gli aspetti economico-finanziari della società attuale, che di impattare sulle dinamiche educative e sociali degli individui (Di Palma, 2014; Gratton, Taylor, 2000; Isidori, Fraile, 2008; Russo, 2004; Sibilio, 2005) L’evidente consistenza della dimensione economica dello sport, riscontrabile nella realtà di tutti i giorni, non può distogliere, però, l’attenzione dalla capacità di tale settore di stimolare in modo determinante uno sviluppo educativo dell’intera collettività, capace di favorire un beneficio sociale e culturale. In netta conseguenza, nella determinazione delle linee guida dello sport management non deve assolutamente essere discriminata la componente educativa a beneficio di quella economica. Infatti i principali dettami del management, applicati in modo opportuno, generano l’opportunità di produrre, attraverso lo sport, una crescita educativa, e quindi sociale (Di Palma et al, 2016a). Il binomio “sport ed educazione” è importante al pari, se non in modo superiore, di quello “sport ed economia”; infatti, la propensione all’educazione è insita nella natura e nelle molteplici espressioni dell’attività sportiva (Mari, 2007). A tal proposito l’elaborato di ricerca propone un’impostazione manageriale per il settore sportivo incentrata prevalentemente sullo sviluppo della dimensione educativa attraverso la valorizzazione di alcuni principi fondamentali dello sport. In un tempo di crisi dei processi educativi tradizionali, una gestione efficiente del settore sportivo in chiave educativa, che punti sui principi fondamentali della cultura sportiva, potrebbe finalmente sfruttarne il relativo potenziale educativo e rappresentare l’opportunità di restituire alle giovani generazioni, ma anche a quelle più adulte, relazioni e luoghi che siano adatti ed efficaci in ordine alla loro crescita personale.

1. La prospettiva socio-educativa del management sportivo Il forte peso economico che lo sport ha assunto a livello globale, rendendolo uno dei settori maggiormente produttivi, ha fatto sì che l’accezione “sport management” fosse sempre più riferita, in modo esclusivo, alle dinamiche di sport business. Ciò, appare estremamente limitante; infatti, la prospettiva del management sportivo racchiude la volontà di organizzare, coordinare, gestire e controllare, in modo efficace ed efficiente, qualsiasi espressione dell’attività sportiva, specialmente se rivolta all’ambito educativo o a quello dell’inclusione sociale di soggetti appartenenti a categorie deboli come i disabili (Di Palma et al, 2016a; Di Palma, Raiola, Tafuri, 2016; Mitchell, 2007; Nixon, 2000). Tra le diverse funzioni dello sport, la gestione deve, così, mirare verso quella educativa, che riconosce e mette a frutto le grandi possibilità racchiuse nella pra-

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tica sportiva in ordine alla crescita delle giovani generazioni. È necessario che le importanti fasi di pianificazione, organizzazione, e controllo, alla base del management, vengano applicate in funzione di un obiettivo educativo. Ancora, le risorse umane, strutturali, finanziarie, tecnologiche, etc., devono essere anche esse destinate a soddisfare uno sviluppo dell’attività sportiva da questo punto di vista ed il loro utilizzo dovrebbe soddisfare i sopracitati criteri di efficienza ed efficacia al fine di massimizzare il risultato e ridurre lo spreco delle stesse risorse. Attraverso l’applicazione dei dettami e delle regole del management, in ordine ad una finalità educativa, si otterrebbe una razionalizzazione delle risorse sportive a vantaggio del critico fenomeno del razionamento delle stesse, garantendo maggiori opportunità per uno sviluppo sociale, particolarmente, per le nuove generazioni (Di Palma et al., 2016b; Light, Dixon, 2007). Lo sport, infatti, riproduce su un piano simbolico la realtà della vita, che è caratterizzata da una serie di fenomeni quali fatica, lotta, sofferenza, rabbia, gioia, soddisfazione, felicità, ed il suo potenziale in campo educativo, sociale, culturale e solo di conseguenza economico è enorme. Rappresenta il “luogo” delle relazioni con il prossimo sia in veste di compagno che di avversario, della ricerca di se stessi, dell’incontro con i propri limiti e della volontà di superarli per esaltare le proprie potenzialità. Sono questi alcuni tra i principali valori su cui si deve basare la gestione del settore sportivo e che, allo stesso tempo, tale gestione deve esaltare al fine di contribuire a riportare l’individuo al centro di questo sistema (Costantini, 2008; Houlihan, Malcolm, 2015; Isidori, 2012). L’evoluzione della concezione di management sportivo verso un modello di sistema educativo deve, infatti, assolutamente puntare sulla cultura e la promozione dei principali valori pedagogici dello sport; altrimenti, resterebbero irrisolte le sue criticità fisiologiche che, per lo più, si concretizzano nella incapacità di essere uno strumento formativo in grado di realizzare uno sviluppo integrale della persona, che, nel lungo periodo, con ottime probabilità, si rispecchierà anche nell’incapacità di riconoscere e soddisfare i bisogni economici e materiali (Di Palma, 2016a; Peluso Cassese, 2011; Zhonggan, 2005). In un periodo di crisi educativa come quello attuale, dove, specialmente, le nuove generazioni riscontrano una barriera caratterizzata dagli atteggiamenti di remissione, di delega, di rinuncia che sembrano prevalere su quelli della fiducia e di una ricerca di nuova comunicazione e volontà di sviluppo relazionale, anche il settore sportivo deve assolutamente assurgere al proprio ruolo nel fornire un effettivo contributo alla crescita sia dal punto di vista educativo, che, in naturale conseguenza, da quello sociale (Di Palma et al, 2016b; Farinelli 2005; Palmieri, 2012). Esempi a tal riguardo, derivano dall’approccio gestionale dello sport attuato in contesti come quello Statunitense ed Australiano dove tale settore, oltre ad essere gestito in un’ottica di profitto economico, è presente nel percorso formativo ed educativo dell’individuo sin dall’infanzia e si accompagna ad esso nel tempo tramite il supporto previsto direttamente dal sistema dell’istruzione scolastica ed universitaria. Sono, infatti, molteplici i soggetti che, grazie ad un management sportivo che si relazione al sistema educativo, trovano attraverso i valori dello sport una maturità ed una soddisfazione personale nel tempo (Eitzen, Sage, 2009; Siedentop, 2002; Siedentop, Hastie, Van der Mars, 2011).

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2. Il valore educativo dello sport

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Lo sport costituisce uno tra i più validi strumenti educativi in grado di affiancare il contesto familiare e quello scolastico nella formazione della società intesa quale complesso luogo di individui che si relazionano continuamente tra loro in situazioni differenti (Sibilio, 2005; Mari, 2007). Infatti, l’attività sportiva ha in sé un valore educativo enorme che potrebbe stimolare nelle persone il consolidamento di valori importanti come la fiducia nel futuro, l’assunzione di responsabilità, il rispetto della legalità, l’integrazione del “diverso”, il team working, il vivere insieme secondo le regole della democrazia, il fair-play (Costantini, 2008; Zhong-gan, 2005). Ciascuno, nello sport, ha la consapevolezza di ricoprire il suo ruolo all’interno di un gruppo e riconosce che la propria funzione è al servizio di tutti per il perseguimento di un fine comune; l’individuo, così, si situa in rapporto agli altri, agisce in funzione degli altri ed il suo valore personale è al servizio della collettività. Ciò configura perfettamente uno tra i principali obiettivi dell’educazione: sviluppare l’individuo nei suoi componenti individuali e sociali, affinché disponga di una ricchezza personale da mettere al servizio della società (Maritain, 2001; Sibilio, 2005). La capacità di esplorare attivamente il mondo attraverso i propri occhi, la propria testa, il proprio corpo crea le strutture cognitive che fungono da anticipazioni dell’informazione (Neisser, 1976). L’esperienza del corpo genera, dunque, la condizione fondamentale di vincolo attraverso la quale è possibile esprimere e realizzare conoscenza. Tale condizione delimita gli ambiti delle nostre possibilità e ciò non costituisce semplicemente i limiti del fare e del pensare, ma proprio attraverso tale delimitazione, apre gli spazi di liberazione all’esperienza dell’essere e del conoscere. Nell’esperienza corporea di contatto, di cura e di relazione tra i genitori e i propri figli si sviluppa la dimensione identitaria del singolo individuo, e proprio in relazione all’efficacia di tale relazione, si forma e si “regge” la struttura di conoscenza che guiderà l’apprendimento e la formazione. La qualità di tale struttura dipende, dunque, dalla qualità della propria esperienza corporea di relazione, che è esito di vissuti sociali, affettivi, culturali: la relazione socio-corporea appare cioè come l’essenziale, primario e prezioso “nutrimento” di cui ogni essere umano necessita per apprendere e per divenire “ciò che è”. Il corpo ed il movimento rappresentano, dunque, la funzione primaria di definire il contesto comportamentale di vita come significativo attraverso schemi d’azione socialmente condivisi e mediati dalla corporeità; in altri termini, ogni rapporto tra individuo e ambiente implica la mediazione del corpo ed è grazie a tale mediazione che si strutturano le relazioni sociali e, di conseguenza, il pensiero, una identità, la facoltà di apprendere (Peluso Cassese, 2017). Inoltre, qualsiasi espressione sportiva, sia amatoriale che agonistica, prevede il rispetto di un regolamento che bisogna conoscere, imparare ad applicare; praticare uno sport equivale ad organizzare la propria condotta e quella del proprio team in relazione a questo quadro normativo di cui si conoscono le frontiere e di cui si devono esplorare tutte le possibilità al fine di sapere dove inizia e finisce la propria libertà. Lo sport, così, nel pieno della prospettiva educativa, contribuisce alla comprensione della necessità di avere una regola per ogni attività sociale umana e dell’importanza di accettarla di impararla e di sapere come applicarla e utilizzarla (Mari, 2007). Nello sport si riconosce, così, una grande opportunità per l’educazione, che però non deve indurre a commettere l’errore di ritenere che attraverso lo sport si producano automaticamente dei processi educativi semplicemente grazie alla mera

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aggregazione di un gruppo di individui in una squadra; l’educazione ai valori attraverso lo sport è più affermata retoricamente che realizzata nella pratica. (Costantini, 2008). È indispensabile che lo svolgimento di qualsiasi attività sportiva sia accompagnato dal fenomeno dell’intenzionalità educativa. Ciò prevede che gli allenatori non si accontentino di assumere un ruolo tecnico, bensì la loro azione e la gestione del rapporto con i ragazzi, attraverso un atteggiamento educativo, deve mirare ad una crescita personale di questi ultimi, trasformando, così, l’attività sportiva in una costruttiva esperienza di vita (Costantini, 2008; Light, Dixon, 2007; Holt, 2016). All’interno di questo scenario educativo risulta indispensabile scegliere il percorso didattico più aderente alle capacità dell’allievo con l’identificazione di caratteristiche, a nostro parere in particolare quelle motorie e sportive che consentano di perseguire efficacemente gli obiettivi stabiliti nel piano così come importante risulta la competenza e l’atteggiamento del docente nel contesto educativo (Montesano, Peluso Cassese, Tafuri, 2016). A tal proposito risulta evidente l’importanza di poter fare affidamento su educatori motivati e competenti, capaci di collaborare in modo sinergico con la famiglia, con la scuola, e con chiunque sia interessato a lavorare a favore di uno sviluppo educativo della collettività (Macpherson, 2003). Educare con lo sport richiede, quindi, progettualità, intenzionalità educativa, metodo educativo ed educatori all’altezza del ruolo consapevoli e preparati, ma soprattutto un approccio di management sportivo in grado di coordinare in modo efficace ed efficiente tali requisiti e le relative risorse umane, strutturali e finanziari.

3. Gestire lo sport per favorire l’educazione La forte connotazione economica assunta nel tempo dal settore sportivo, come specificato, non può, e non deve, limitare la dimensione educativa che ha da sempre caratterizzato le diverse attività di tale contesto (Isidori, 2012; Mari, 2007). Lo “sport” è presente nell’insieme delle informazioni che riceve quotidianamente sia il bambino, l’adolescente che l’adulto. I nuovi modelli di ricerca in materia di educazione hanno, da molto tempo, insistito sulla necessità di una formazione generale dell’individuo sui piani intellettuale, motorio, affettivo, sociale, fisico e corporeo. Non a caso, il ruolo e l’importanza dello sport, ad esempio, nelle università anglosassoni è già una realtà consolidata (Mari, 2007; Farinelli, 2005). È, inoltre, opportuno evidenziare che sia il concepire che il fare management sono da considerarsi questioni di indagine pedagogica. In un sistema gestionale naturale e aperto, come quello sportivo, dove la componente umana e relazionale, e la correlazione tra ambiente e organizzazione rappresentano i temi fondamentali, ciò è ancora più evidente. In tal caso, si manifesta, infatti, la necessità di ricorrere ad un approccio di management sportivo più pedagogico, in cui i valori come il rispetto delle regole da parte di tutti, l’inclusione sociale, lo spirito di squadra e il conflitto costruttivo, rappresentino le principali determinanti per la gestione e la valorizzazione di questo settore (Costantini, 2008; Di Palma et al., 2016a). Il rispetto delle regole è probabilmente il principio cardine di un approccio gestionale dello sport che abbia come obiettivo principale la promozione dell’educazione dell’individuo. Inoltre ogni violazione del regolamento prevede la medesima sanzione a prescindere da chi abbia commesso l’irregolarità e tale aspet-

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to consente di esaltare un importante presupposto educativo: il principio dell’uguaglianza. Sarebbe opportuno che la strategia gestionale preveda di diffondere il medesimo principio anche nei confronti del settore amatoriale e di quello dei tifosi e degli appassionati, con lo scopo di limitare l’insorgenza di fenomeni diseducativi quali atti di violenza e delinquenza. Oltre al rispetto delle regole, la strategia gestionale dovrebbe prevedere anche il rispetto del prossimo, che trova la sua massima espressione nelle azioni di inclusione sociale che lo sport è in grado di stimolare. Un management sportivo basato, quindi, su un’attenzione e una cura tra tutti e per tutti i soggetti, che offre la possibilità di accogliere la diversità del prossimo e che riesce ad avere un interesse autentico nei confronti dei problemi degli altri e delle cose che si gestiscono. L’accettazione dell’altro e la volontà di valorizzare le forme di diversità sono uno degli aspetti fondamentali per un contesto che miri ad uno sviluppo educativo e culturale (Di Palma, Tafuri, 2016; Di Palma, Raiola, Tafuri, 2016). Ancora, nel pieno rispetto del principio educativo dello spirito di squadra, si ipotizza una gestione del settore sportivo che contempli una modalità di cooperazione, con i diversi portatori di interesse, autentica, libera e attiva, dove promuovere l’incontro con l’altro, significa accettarlo come elemento diverso da se stessi, comprenderne le ragioni attraverso l’ascolto e l’ospitalità, al fine di scaturire l’idea di una progettazione condivisa e partecipata (Bunderson, Sutcliffe, 2003). La volontà di giungere all’unità di interessi non può, infatti, prescindere dall’idea di intendere il lavoro di squadra come un momento di comprensione, di accettazione, di cura delle cose e soprattutto delle persone, di partecipazione responsabile alla vita organizzativa e di crescita globale nello sport e per mezzo di esso. È, poi, indispensabile che lo sport, rappresentando un sistema imperfetto, ma allo stesso tempo vivo e dinamico, venga gestito affrontando il conflitto e l’errore in modo pedagogico e quindi positivo e costruttivo. Questi devono, infatti, essere contemplati come artifizi educativi in grado di generare una sintesi pedagogicamente più evoluta; dall’errore ne consegue una nuova possibilità di sviluppo, una svolta, un cambiamento, qualcosa su cui ricostruire una nuova realtà più solida di quella precedente. Affinché ciò possa verificarsi è indispensabile, però, che nel rapporto tra i vari stakeholder del settore sportivo, ci sia prima il riconoscimento di una relazione umana basata sui principi educativi (Altavilla, Tafuri, Raiola, 2014; Contini, 2002; Maritain, 2001; Peluso Cassese, 2011). Gli elementi e le dinamiche appena esplicati potrebbero delineare una strategia gestionale dello sport in grado di rafforzare nell’individuo alcuni tra i principali valori pedagogici e stimolare uno sviluppo educativo per l’intera collettività.

Conclusioni In un ambiente sociale e culturale caratterizzato da una sempre maggiore difficoltà di sviluppare processi educativi, soprattutto verso le nuove generazioni si avverte fortemente la responsabilità di mostrare tutto il valore educativo dello sport (Mari, 2007; Palmieri, 2012). Si è analizzato come, in via preliminare, sia necessario ripensare la concezione di management sportivo, abbattendo la limitazione che la restringe alla sola sfera economica a vantaggio di una prospettiva che tenga presente le dinamiche educative. In questo modo è possibile valorizzare l’enorme potenziale educativo insito nell’attività sportiva e nelle sue sfaccettature. Non è più sufficiente affermare teoricamente che lo sport rappresenta una

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grande risorsa per l’educazione, bisogna andare oltre e passare dalla teoria alla pratica, attuando una metodologia gestionale concreta che ne manifesti il valore. È indispensabile che tale contesto sociale anche dal punto di vista educativo venga gestito secondo i criteri di efficienza e di efficacia affinché produca i risultati che potenzialmente può perseguire. Occorre una pianificazione di questo settore in grado, inizialmente, di individuare i principali obiettivi educativi che potenzialmente lo sport è in grado favorire e, successivamente, di attuare determinate strategie a livello collettivo per perseguirli. Lo stimolo di una correlazione tra la pratica sportiva ed il sistema dell’educazione e dell’istruzione, al pari di contesti internazionali più evoluti da questo punto di vista, potrebbe configurare un ottimo punto di partenza per una gestione educativa dello sport. A tale proposito è stato portato all’evidenza che solo attraverso la valorizzazione di alcuni principi cardine del mondo sportivo, come ad esempio lo spirito di squadra, l’inclusione sociale e il rispetto delle regole, la gestione dello sport è in grado di contribuire ad uno sviluppo educativo necessario per la società attuale. Il settore sportivo, così, oltre a configurare un “bene economico”, si manifesterebbe anche come un “bene educativo” di fondamentale importanza per una crescita culturale e pedagogica sostenibile nel tempo.

Riferimenti bibliografici Altavilla G., Tafuri D., Raiola G. (2014). Some aspects on teaching and learning by physical activity. Sport Science, 7 (1), 7-9. Bunderson J. S., Sutcliffe K. M. (2003). Management team learning orientation and business unit performance. Journal of Applied Psychology, 88(3), 552. Costantini E. (2008). Sport e educazione. Brescia: La Scuola. Di Palma D., Tafuri D. (2016). Disability Management. Sport as inclusive element. Napoli: Idelson-Gnocchi. Di Palma D. (2014). L’impatto economico dello sport in Italia. Una risorsa su cui investire per risollevare l’economia Italiana. In G. Vito (a cura di), Le nuove frontiere del business sportivo. Implicazioni economiche e manageriali (pp. 53-106). Brescia: Cavinato Editore International. Di Palma D., Masala D., Ascione A., Tafuri D. (2016a). Education Management and Sport. Formazione & Insegnamento XIV – 1 – 2016 – Supplemento. Di Palma D., Masala D., Impara L., Tafuri D. (2016b). Management of “sport” resource to promote the educational value. Formazione & Insegnamento, XIV – 3 – 2016 – Supplemento. Di Palma D., Raiola G., Tafuri D. (2016). Disability and Sport Management: a systematic review of the literature. Journal of Physical Education and Sport, 16(3), 785-793. Eitzen D. S., Sage G. H. (2009). Sociology of north American sport. Paradigm Pub. Farinelli G. (2005). Pedagogia dello sport ed educazione della persona. Perugia: Morlacchi. Gratton C., Taylor P. (2000). Economics of Sport and Recreation. London and New York: Spon Press. Holt N. L. (2016). Positive youth development through sport. Routledge. Houlihan B., Malcolm D. (2015). Sport and society: a student introduction. Sage. Isidori E. (2012). Filosofia dell’educazione sportiva: dalla teoria alla prassi. Roma: Nuova Cultura. Isidori E., Fraile A. (2008). Educazione, sport e valori. Un approccio critico-riflessivo. Roma: Aracne. Light R., Dixon M. A. (2007). Contemporary developments in sport pedagogy and their implications for sport management education. Sport Management Review, 10(2), 159-175.

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Sviluppo professionale dei docenti universitari: un’esperienza in un progetto internazionale Michele Biasutti • Università degli Studi di Padova – michele.biasutti@unipd.it Vassilis Makrakis • University of Crete – makrakis@edc.uoc.gr Eleonora Concina • Università degli Studi di Padova – eleonora.concina@unipd.it Sara Frate • Università degli Studi di Padova – sara.frate@unipd.it

Professional development of university teachers: An experience in an international project In the current study is presented a professional development experience for higher education professors within an international Tempus project focused on reorienting and revising university curricula to address sustainability. Focus group data from an explorative evaluation of the professional development of university professors are considered. The results showed that revising their curricula offered to the university professors an opportunity to discuss different principles, teaching methods, didactic processes and practices in education for sustainable development. Several strategies emerged during the curricula revisions such as a positive attitude towards metacognitive strategies and a goal-oriented approach to curriculum planning. Moreover, the participants reconsidered their teaching methods, resulting in a change in teaching style in several cases. Implications for professional development and the induction of a change in university professors are discussed.

Parole chiave: sviluppo professionale, educazione per lo sviluppo sostenibile, revisione di piani di studio, istruzione superiore, cambiamento educativo

Keywords: professional development, education for sustainable development, curricula revision, higher education, educational change

Michele Biasutti è stato l’ideatore del saggio, ha contribuito con la revisione della letteratura, la raccolta e l’analisi dei dati, l’interpretazione dei risultati e ha redatto il testo; Vassilis Makrakis è stato il direttore del progetto, ha progettato le azioni e ha implementato e coordinato le attività del progetto; Eleonora Concina ha contribuito con l’analisi dei dati, la revisione della letteratura e l’interpretazione dei risultati; Sara Frate ha contribuito con l’analisi dei dati e la revisione della letteratura.

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Nel seguente studio è presentata un’esperienza di sviluppo professionale con docenti universitari coinvolti in un progetto internazionale Tempus incentrato sul ri-orientare e revisionare i curricoli universitari per infondere principi di sostenibilità. Nello studio è adottata una metodologia di carattere esplorativo con la raccolta di dati con focus group sullo sviluppo professionale dei docenti. I risultati hanno evidenziato che le varie esperienze del progetto e la revisione dei piani di studio hanno offerto ai professori l’opportunità di discutere i principi, i metodi di insegnamento, i processi didattici e le pratiche di apprendimento per l’educazione allo sviluppo sostenibile. Diverse strategie sono emerse durante la revisione dei curricoli quali un’attenzione verso le strategie metacognitive e un approccio orientato agli obiettivi della pianificazione curricolare. I partecipanti hanno riconsiderato i loro metodi di insegnamento, apportando un cambiamento di stile in diversi casi. I risultati sono discussi considerando le implicazioni per lo sviluppo professionale e la promozione di un cambiamento nei docenti universitari.


Sviluppo professionale dei docenti universitari: un’esperienza in un progetto internazionale

1. Lo sviluppo professionale dei professori universitari

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Lo sviluppo professionale dei professori universitari è un settore di studi che sta suscitando un crescente interesse nei ricercatori (Wichadee, 2012). Insegnare a livello universitario è impegnativo e richiede competenze complesse che includono non solo la conoscenza della disciplina, ma anche la padronanza delle tecniche di insegnamento. I docenti universitari dovrebbero ricevere una guida e un sostegno con delle opportune attività formative all’inizio della carriera, al fine di perfezionare le proprie capacità di insegnamento. È importante fornire anche dei momenti di riflessione e di aggiornamento in itinere per consentire ai docenti di rivedere e affinare costantemente la propria didattica secondo le più recenti metodologie. Si tratta di un processo che comporta la discussione dei modelli più consoni per raggiungere standard elevati di insegnamento e la loro applicazione nel contesto della classe. I programmi di sviluppo professionale dovrebbero includere negli obiettivi una più articolata comprensione delle discipline, che consenta una scomposizione e riorganizzazione dei saperi in base agli obiettivi didattici. I nuovi approcci educativi devono essere integrati nelle attività d’aula fornendo la consapevolezza che vi è un cambiamento nella percezione del ruolo di docente (Teng, 2016). I professori universitari possono aggiornare i loro metodi di insegnamento utilizzando percorsi di auto-formazione che gli consentono di affinare le pratiche attraverso l’esperienza diretta. I docenti sono generalmente più concentrati sull’attività di ricerca rispetto a quella didattica e hanno un tempo relativamente limitato per lo sviluppo delle competenze didattiche. Vi sono poi delle attività che fanno da ponte tra la ricerca e la didattica come la disseminazione scientifica, che prevede la partecipazione a conferenze e congressi e lo sviluppo di capacità comunicative. Questi aspetti possono essere di raccordo e offrire input per il miglioramento delle competenze didattiche. La sfida è collegare la ricerca alla didattica, presentando durante i corsi gli ultimi risultati degli studi internazionali e inquadrando questi aspetti in un contesto pedagogico. Le abilità di ricerca devono essere combinate con le competenze didattiche per produrre un cambiamento a lungo termine nelle tecniche e nei metodi di insegnamento. Lo sviluppo professionale è un’attività guida e un processo cruciale per il cambiamento educativo (Makrakis, 2014) ed è rilevante avviare una riflessione su come realizzarlo. Sono stati proposti diversi modelli per promuovere lo sviluppo professionale in ambito universitario quali il peer review e la pianificazione curricolare (Makrakis & Kostoulas-Makrakis, 2016b). Si tratta di approcci che richiedono l’interazione e la condivisione di idee e pratiche con i colleghi e offrono l’opportunità di riflettere sulle attività didattiche (Lomas & Nicholls, 2005). Il peer review è legato al paradigma dell’insegnante riflessivo proposto da Schön (1983), che si basa sulla capacità del docente di riflettere sulla dimensione informale e sul sapere intuitivo. Il peer review incoraggia la riflessione, e favorisce l’elaborazione di strategie metacognitive che determinano la crescita individuale e lo sviluppo professionale di un docente. Le pratiche auto-riflessive possono essere promosse in un ambiente

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di apprendimento socio-costruttivista basato sul sostegno e sul dialogo nell’elaborazione della conoscenza. La collaborazione tra colleghi è un aspetto importante del profilo del docente universitario e può essere di supporto agli insegnanti appena entrati in servizio per ampliare le strategie didattiche e la fiducia nelle capacità di insegnamento. Diverse discipline possono essere utili per promuovere lo sviluppo professionale tra docenti universitari, e l’educazione allo sviluppo sostenibile (ESS) è un argomento rilevante a tal fine. L’ESS comporta un approccio centrato sullo studente in una dimensione interdisciplinare con l’intento di accrescere il pensiero critico e le competenze orientate al futuro (Biasutti & Frate, 2017; Zachariou, Kadji-Beltran & Manoli, 2013). I temi della sostenibilità forniscono un quadro di riferimento per l’innovazione delle pratiche didattiche negli istituti universitari (Sterling & Witham, 2008), e possono indurre un cambiamento nella qualità e quantità del curricolo. Il pensiero critico potrebbe diventare lo strumento principale per incrementare la qualità dell’insegnamento con processi di revisione e miglioramento continuo delle procedure di pianificazione curricolare (Biasutti, De Baz, & Alshawa, 2016). Il pensiero critico è un’attività cruciale per i docenti: riflettere sulle proprie azioni individuandone i punti di forza e di debolezza sono strumenti importanti per lo sviluppo di strategie metacognitive che sono alla base dei processi di padronanza dell’insegnamento (Biasutti, 2012). L’applicazione della pratica riflessiva potrebbe essere un terreno fertile per l’attuazione di una trasformazione dinamica in cui i principi dell’ESS possono essere utilizzati come forza trainante per migliorare le capacità di pianificazione curricolare dei docenti. Questi aspetti costituiscono il quadro teorico nel quale è stato realizzato il progetto internazionale Tempus Reorient University Curricula to Address Sustainability (RUCAS) coordinato dal Prof. Makrakis dell’università di Creta.

2. Il progetto Il lancio della United Nations Decade of Education for Sustainable Development (UNDESD) 2005-2014 da parte del vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (UNESCO, 2005; 2016), ha implicato diverse sfide, quali l’integrare i principi, i valori e le pratiche dello sviluppo sostenibile in tutti gli aspetti dell’insegnamento e dell’apprendimento (Biasutti, 2015). Questi obiettivi sono stati applicati diversamente nei vari paesi del mondo in base ai contesti e alle caratteristiche delle aree geografiche. I paesi della regione araba hanno fronteggiato varie difficoltà nell’implementare questi principi ivi inclusa la mancanza di curricoli adeguati, la limitata consapevolezza, le competenze settoriali del personale, e l’uso di tecniche e metodi di insegnamento tradizionali. In ragione di queste caratteristiche è stato promosso il progetto triennale Tempus RUCAS (2012) per sostenere lo sviluppo dei principi dell’ESS in sei istituti universitari di tre paesi della regione araba (Egitto, Giordania e Libano), con l’assistenza di cinque istituti di istruzione superiore europei (Francia, Grecia, Irlanda, Italia e Svezia). L’obiettivo del progetto è stato di sviluppare nel personale universitario la capacità di incorporare principi dell’ESS nella didattica e di rivedere i programmi con i principi di sostenibilità coerenti con i processi di Bologna e Lisbona. Il progetto mirava a sostenere il coordinamento e la diffusione dell’ESS nella politica, nella ricerca, nella riforma dei programmi e nella pratica all’interno delle istituzioni partner che avrebbero dovuto funzionare come esempi nella regione araba (Makrakis, 2016a).

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Nell’ambito del progetto è stato sviluppato un modello in sette fasi per rivedere i programmi universitari infondendo principi di sostenibilità, che è stato lo strumento guida per la revisione, l’attuazione e la valutazione dei curricoli (Makrakis & Kostoulas-Makrakis, 2013). Le sette fasi prevedevano: (1) la pianificazione della revisione del corso; (2) la creazione di un programma rivisto del corso; (3) la strutturazione dei moduli del corso; (4) l’implementazione del corso; (5) l’analisi dei progressi nell’implementazione del corso; (6) la valutazione dell’impatto del corso; (7) il mantenere e/o pianificare nuove revisioni. Queste fasi sono state adottate dai docenti universitari durante il progetto che ha previsto varie attività formative tra cui tre workshop specifici. L’obiettivo del primo workshop è stato di formare i partecipanti sui metodi di insegnamento e di apprendimento innovativi e sui processi di revisione dei piani di studio universitari per infondere principi di sostenibilità. Nel secondo workshop sono stati discussi i piani di studio rivisti per avviare una riflessione su come erano stati infusi i principi di sostenibilità. Il terzo workshop ha riguardato la valutazione di come i corsi rivisti erano stati attuati. La revisione dei curricoli ha coinvolto il riorientare gli approcci e i metodi di insegnamento dei corsi esistenti per incorporare concetti, contesti, pratiche e valori coerenti con i principi dell’ESS. Questo ha richiesto l’integrazione di principi di sostenibilità e la revisione sostanziale dei corsi, piuttosto che la semplice aggiunta di dettagli ai corsi già esistenti. Il processo di infusione è stato svolto dai docenti lavorando sia individualmente sia in gruppo durante i workshop. Le attività sono iniziate con la revisione dei fini dei curricoli e degli obiettivi di apprendimento per verificare se erano stati indicati chiaramente per le varie aree tematiche. Il secondo passo ha riguardato l’analisi dei risultati di apprendimento per determinare se le competenze sulla sostenibilità erano allineate con i seguenti cinque pilastri: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere, imparare a vivere insieme, e imparare a trasformare sé stessi e la società (Delors, 1996). Il terzo passo ha comportato il verificare se i risultati dei corsi erano focalizzati sui seguenti temi della sostenibilità: scala-temporale, relazioni umane con il mondo fisico e naturale, funzionamento dei sistemi naturali, rapporti tecnologici ed economici con la sostenibilità, motivare comportamenti eco-sostenibili, etica e valori. Per implementare efficacemente il corso, sono stati considerati i seguenti principi dell’ESS: – – – – – – – –

apprendimento autentico; apprendimento sperimentale, costruttivista e trasformativo; apprendimento con metodologie diverse; processo decisionale partecipativo; apprendimento rilevante a livello locale e culturalmente appropriato; interconnessione dei contenuti tra livello locale e globale e viceversa; approcci interdisciplinari, cross-disciplinari e olistici; e apprendimento guidato dai valori e basato sull’etica.

Per quanto riguarda la didattica, il processo di revisione ha stimolato discussioni sui metodi più efficaci per facilitare l’apprendimento. Ad esempio, sono state considerate anche tecniche diverse rispetto alle lezioni frontali come discussioni in piccoli gruppi, simulazioni, dibattiti, studio di casi, role playing, dimostrazioni, attività di apprendimento esperienziale, uso di tecnologie didattiche e apprendimento collaborativo. Per quanto riguarda la valutazione, i programmi di studio sono stati vagliati due volte: dopo la prima stesura e dopo la revisione. I programmi sono stati inviati

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via e-mail ad un esperto esterno per consentirgli di visionare e familiarizzare con gli argomenti. Le valutazioni dell’esperto sono state inviate ai partecipanti e, circa un mese dopo, sono stati tenuti degli incontri in presenza per discutere i programmi di studio e verificare come erano stati inseriti i principi dell’ESS. Gli incontri hanno offerto anche la possibilità di discutere i metodi, i principi, i processi didattici, e le pratiche di progettazione. Durante le attività il personale docente ha riflettuto sui processi di insegnamento e apprendimento, abbandonando la concezione che l’insegnamento sia solo un prodotto. A seguito di questi incontri, i partecipanti hanno rivisto i piani di studio, che sono poi stati inviati ancora una volta ad un esperto esterno per una seconda valutazione. Il secondo feedback è stato nuovamente inviato ai partecipanti, che hanno apportato i miglioramenti finali ai curricoli.

3. La ricerca esplorativa 3.1 Scopo e ipotesi della ricerca Il presente studio riguarda la revisione per infondere dei principi di sostenibilità nei programmi in due università della Giordania. La ricerca, a carattere esplorativo, mira a valutare l’efficacia delle attività e lo sviluppo professionale dei docenti identificando i loro cambiamenti in seguito alla partecipazione al progetto. 3.2 Partecipanti e metodologia Otto docenti (3 uomini e 5 donne) con almeno cinque anni di esperienza di lavoro universitario in servizio presso due università della Giordania hanno accettato di partecipare alle attività e ai focus group di valutazione. I partecipanti erano volontari altamente motivati che aderivano al progetto per interesse personale e avevano esperienze precedenti nell’ESS, oltre a essere interessati a includere i principi ESS nei loro corsi universitari. Le discipline insegnate dai docenti comprendevano biologia, analisi finanziaria, finanza internazionale, matematica, programmazione multimediale e insegnamento delle scienze. Ai partecipanti è stato garantito l’anonimato e l’utilizzo esclusivo per scopi di ricerca dei dati raccolti con i focus group. 3.3 Il focus group I focus group sono stati elaborati per raccogliere le opinioni dei partecipanti sul progetto ed esplorare il loro sviluppo professionale. I docenti hanno avuto modo di riflettere su ciò che hanno acquisito durante le attività e come hanno modificato il loro modo di insegnare. Le discussioni hanno riguardato gli aspetti più stimolanti delle attività, il coinvolgimento personale, gli approcci didattici e i cambiamenti nella loro attività professionale conseguenti alla partecipazione al progetto. Inoltre, i focus group sono stati ideati per far emergere i benefici del processo di revisione, tra cui i metodi per la progettazione di un programma di studio e gli effetti sulla definizione degli obiettivi, sulla selezione dei metodi di insegnamento, e sulla valutazione. Le domande dei focus group hanno indotto una serie di riflessioni di natura qualitativa da parte dei partecipanti, che hanno fatto emergere i punti di forza e di debolezza del processo di infusione dell’ESS. L’elenco delle domande dei focus group è il seguente:

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(1) Quali sono stati gli aspetti più stimolanti del progetto? (2) Quali sono stati gli aspetti del progetto che sono stati utili per la vostra attività professionale? (3) Che cosa avete cambiato nella vostra attività professionale a seguito della partecipazione al progetto? (4) Come il progetto ha migliorato la vostra capacità di progettare e realizzare un programma di studio? (Obiettivi, contenuti, metodi di insegnamento, valutazione, carico di lavoro, gestione del tempo). (5) Come il progetto ha migliorato la vostra capacità di attuare un insegnamento interdisciplinare? (6) Come il progetto ha migliorato le vostre capacità di lavoro di squadra e la collaborazione con altri professori? (7) Avete critiche o indicazioni per migliorare il progetto? (8) Altri suggerimenti? I focus group, della durata di circa 80 minuti, sono stati effettuati in due sessioni che sono state registrate su PC in file .wav e trascritte verbatim. Le trascrizioni sono state inviate ai partecipanti con la richiesta di verificare il contenuto e correggere eventuali frasi poco chiare per garantire l’accuratezza dei loro punti di vista.

4. Analisi e risultati Le trascrizioni dei focus group sono state analizzate con l’ausilio del software ATLAS.ti 7, con un metodo induttivo in base al paradigma teorico dalla Grounded Theory, in cui i codici e le categorie sono identificati dai dati. Tale metodo, che si basa sull’analisi dei contenuti, è stato utilizzato con successo in precedenti ricerche educative (Biasutti, 2015). Il processo di codifica è composto da due fasi principali: nella prima fase, i documenti primari sono letti, segmentati e codificati, ed è definito uno schema di codifica; nella seconda fase, sono determinati i rapporti tra i vari codici, che sono organizzati in categorie. All’inizio del processo di codifica vi è una fase di immersione al fine di acquisire una buona familiarità con il materiale. La codifica con il software è iniziata con la selezione delle citazioni pertinenti alla ricerca. In questa fase, le varie risposte sono state identificate e codificate arrivando al riconoscimento di 443 risposte. Durante l’assegnazione dei codici, i codici iniziali sono stati rivisti con un’accurata ri-lettura del testo al fine di evitare ridondanze a causa della natura ricorsiva del processo di codifica (Biasutti, 2015). I codici sono stati controllati più volte per evitare ripetizioni. Prima di generare un nuovo codice, i ricercatori hanno verificato se la citazione potesse essere assegnata ad un codice esistente, in caso contrario era introdotto un codice nuovo. Il software è stato utile per svolgere in maniera sistematica il processo di codifica e di verifica dei codici. I codici sono stati successivamente raggruppati in macro-categorie (un ordine di classificazione superiore), che ne riassumevano i contenuti. I risultati prodotti sono stati discussi dal gruppo di ricerca per confrontare le varie interpretazioni. Durante la discussione, i codici e le categorie sono state verificate, e le codifiche ambigue sono state analizzate e discusse. Al termine della discussione, tutti i ricercatori hanno condiviso il sistema di codifica che ha compreso 54 codici. Il processo di codifica è stato applicato ai focus group assegnando a tutte le trascrizioni dei codici e delle categorie. Successivamente un ricercatore indipen-

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dente ha separatamente testato il sistema di codifica e verificato i dati. Tutti i ri sultati contrastanti sono stati discussi fino ad ottenere un pieno accordo (Biasutti, 2013). Lo schema di codifica è riportato in Figura 1.

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Figura 1: Categorie e codici emersi dall’analisi dei focus group

Le seguenti nove categorie sono state identificate durante l’analisi: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9)

attitudini; principi didattici; metodologie didattiche; abilitĂ di progettazione didattica; promozione delle competenze degli studenti; valutazione didattica; problemi didattici; lavoro di squadra durante il progetto; proposte per il progetto.

Le categorie si riferiscono a dimensioni specifiche dello sviluppo professionale indotto dalla partecipazione al progetto. Le citazioni estratte dai focus group a sostegno delle categorie sono riportate in Tabella 1.

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Tabella 1. Citazioni delle categorie estratte dalle trascrizioni dei focus group Categorie

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Citazioni

Interpretazione

Attitudini

“L’idea di sviluppo sostenibile è diventata molto più chiara”.

Queste citazioni forniscono spiega“Possiamo migliorare questo: credo che il punto più zioni sulle attitudini per l’ESS e importante da tenere presente siano gli ideali del RUCAS. Si comprendono le riflessioni, la consapevolezza, la responsabilità, i deve ritenere il RUCAS un processo continuo”. nuovi modi di pensare e l’atten“È stato importante vedersi come un agente di zione ai temi dello sviluppo sostecambiamento, e prendere in considerazione lo sviluppo nibile. sostenibile per la comunità, per le generazioni”.

Principi didattici

“(...), questo è come il RUCAS ha cambiato realmente il Queste citazioni forniscono spiegamodo con il quale insegno ora nei miei corsi”. zioni sui principi didattici usati dai “Sono riuscito a trovare un modo per integrare i principi partecipanti per innovare i metodi di insegnamento e gli approcci teodello sviluppo sostenibile negli obiettivi del corso”. rici in base ai temi dello sviluppo “Ho dato più attenzione alle tecniche di insegnamento sostenibile. centrate sullo studente”.

Metodologie “Nella metodologia di insegnamento ho cercato di fare del Queste citazioni forniscono spiedidattiche mio meglio per usare l’apprendimento cooperativo”. gazioni sulle metodologie didatti“Si dovrebbe cercare di portare casi preparati o casi integrati, che applicate all'ESS e comprenma è necessario cercare ulteriori casi ed esempi, io cerco di dono l’apprendimento cooperativo, studio di casi, apprendimento pensare e produrre ulteriori esempi sul nostro ambiente”. basato su progetti, apprendimento basato sulla ricerca, dibattiti, grup“Faccio più attenzione ad assegnare progetti agli studenti” pi di discussione, focus group e discussioni. Abilità di “Direi che ora ho una migliore e maggiore capacità di Queste citazioni forniscono spiegaprogettazioOF progettare un programma di studio per ogni corso che zioni sulle abilità di progettazione insegno (...) o che insegnerò in futuro (...)”. didattica e comprendono le capacididattica “Ora noi crediamo che gli obiettivi debbano essere scritti in tà coinvolte nella definizione di un un modo specifico riflettendo le competenze che vogliamo piano di studi in base alle esigenze che gli studenti acquisiscano nel corso, e ora sappiamo che degli studenti e degli insegnanti secondo i principi dell’ESS. questi obiettivi devono essere raggiungibili”. “(…) è un vantaggio per voi e per gli studenti, e vi consiglio di applicare alcuni aspetti e di controllarli, come ho fatto nei programmi di studio che ho rivisto”. Promozione delle competenze degli studenti

“C’è stata una grande comprensione, una migliore Queste citazioni forniscono spiegacomprensione da parte degli studenti EFM l’ambiente in cui zioni sulle azioni svolte dagli insegnanti per la promozione delle vivono, e questo è molto positivo e promettente”. “Stavo guardando i risultati del corso, perché ciò che stiamo competenze e dell'autonomia degli studenti nel processo di apprendicercando è un modello di cittadinanza”. mento. “Così i miei studenti hanno imparato a costruire e sviluppare le loro capacità di formazione permanente”.

Valutazione “(…) in aggiunta a questo chiedo ai miei studenti di scrivere Queste citazioni forniscono spiegadidattica delle relazioni”. zioni sulla valutazione didattica. I partecipanti hanno riferito di uti“Ho chiesto loro di consegnare iM portfolio di lavoro al lizzare diverse tecniche di valutatermine del corso”. zione, come documenti di rifles“Come risultato del mio apprendimento nel RUCAS, ho sione, relazioni, portfolio, presenincluso una varietà di metodi di valutazione”. tazioni di gruppo, discussioni di progetti in classe e valutazioni delle prestazioni. Problemi EJdattici

“Molti studenti sono stati restii al cambiamento perché per Queste citazioni forniscono spiegaalcuni di loro è più facile fare solo gli esami”. zioni sui problemi didattici, come “Un altro problema IB SJHVBSEBUP le caratteristiche delle la resistenza degli studenti al cambiamento, le caratteristiche delle BVMF perché in molte stanze le sedie erano fisse”. aule, la gestione di classi numerose, “Per me il problema più grande è il numero di studenti”. la gestione del tempo e la valutazione.

Lavoro di squadra durante il progetto

“Dopo aver avuto delle discussioni fruttuose con i miei Queste citazioni forniscono spiecolleghi universitari e con gli altri colleghi del workshop, è gazioni sul lavoro di squadra dudiventato tutto molto facile”. rante il progetto. I partecipanti “Dobbiamo convincere i nostri colleghi dei vantaggi hanno riportato gli elementi del lavoro di gruppo come la collabodell’applicazione degli ideali del RUCAS”. razione tra colleghi, la diffusione “Direi nei laboratori che abbiamo fatto in Egitto e quello dei principi dello sviluppo sostenidopo che abbiamo svolto in Giordania, soprattutto per me ci bile, la formazione per il personale sono stati molti dibattiti proficui in piccoli gruppi di docente e il ritiro dei colleghi dal discussione”. progetto.

Proposte per il progetto

Giornale

“Forse solo rendendo il modello più chiaro e diretto sarà Queste citazioni forniscono spiegamolto più facile”. zioni sulle proposte, in cui i parte“Credo che per me il carico di lavoro sia stato molto. Ho cipanti hanno riferito le criticità e gli eventuali miglioramenti che poItaliano della Educativa | Italian Journal of Educational Research un sacco di lavoro”. percepito (...)Ricerca che c'è stato trebbero essere apportati in future “Io suggerisco di usare i vantaggi della tecnologia per creare applicazioni del progetto. e mantenere una comunità di apprendimento professionale per questo progetto”.


progetto

“Dobbiamo convincere i nostri colleghi dei vantaggi hanno riportato gli elementi del lavoro di gruppo come la collabodell’applicazione degli ideali del RUCAS”. razione tra colleghi, la diffusione “Direi nei laboratori che abbiamo fatto in Egitto e quello dei principi dello sviluppo sostenidopo che abbiamo svolto in Giordania, soprattutto per me ci bile, la formazione per il personale sono stati molti dibattiti proficui in piccoli gruppi di docente e il ritiro dei colleghi dal discussione”. progetto.

Proposte per il progetto

“Forse solo rendendo il modello più chiaro e diretto sarà Queste citazioni forniscono spiegamolto più facile”. zioni sulle proposte, in cui i parte“Credo che per me il carico di lavoro sia stato molto. Ho cipanti hanno riferito le criticità e gli eventuali miglioramenti che popercepito (...) che c'è stato un sacco di lavoro”. trebbero essere apportati in future “Io suggerisco di usare i vantaggi della tecnologia per creare applicazioni del progetto. e mantenere una comunità di apprendimento professionale per questo progetto”.

Tab. 1: Citazioni delle categorie estratte dalle trascrizioni dei focus group

1) Attitudini. Questa categoria si riferisce ai cambiamenti e miglioramenti dei partecipanti negli atteggiamenti, nelle credenze e nella consapevolezza dell’ESS. Sono comprese anche le riflessioni sull’impatto della sostenibilità nella vita umana e nell’attività didattica e la responsabilità dei partecipanti come educatori nella promozione dei principi dello sviluppo sostenibile. I docenti hanno condiviso le loro percezioni sul nuovo ruolo acquisito e discusso gli effetti che l’aver partecipato al progetto ha avuto sulle loro convinzioni sull’insegnamento, come emerge nella seguente asserzione: “Per me si è trattato di una grande opportunità per riflettere sul mio insegnamento”. Questa frase dimostra che le attività del progetto hanno indotto un metodo riflessivo di insegnamento offrendo un sostegno a questo processo. I partecipanti erano consapevoli anche dei cambiamenti nel loro modo di pensare come riportato di seguito: “Questa esperienza ha aumentato la mia consapevolezza dei problemi dello sviluppo sostenibile in generale”. Inoltre, è emerso un senso di responsabilità per la diffusione dei principi di sostenibilità: “È stato importante vedersi come un agente di cambiamento, e prendere in considerazione lo sviluppo sostenibile per la comunità, per le generazioni”. Questa affermazione mette in evidenza che i partecipanti erano consapevoli dei loro obblighi e doveri come docenti e hanno identificato una precisa missione nel loro lavoro. 2) Principi didattici. Questa categoria riporta i principi teorici che i professori hanno adottato nelle attività didattiche a seguito della partecipazione al progetto. Sono compresi i cambiamenti nei metodi di insegnamento indotti dalle riflessioni su come l’ESS può essere incluso nella didattica e sull’utilità di un approccio centrato sullo studente. I partecipanti hanno considerato fondamentale collegare la teoria alla pratica, il learning by doing, le prospettive interdisciplinari e l’alternare tecniche di insegnamento diverse. Inoltre, sono state considerate le interazioni con i contesti sociali e culturali fuori della classe (agenzie esterne e comunità) e le relazioni con gli studenti (ad esempio, le dimensioni comunicative e motivazionali). I partecipanti hanno riconosciuto che le attività del progetto hanno avuto un impatto sul loro approccio didattico come riportato da uno di loro: “È un’esperienza completamente nuova, e ora ho cambiato la mia tecnica e la mia didattica”. Il miglioramento principale riguarda l’introduzione dell’ESS nella didattica, non solo attraverso la presentazione e la discussione dei concetti di sostenibilità durante le lezioni, ma anche con l’adozione di un metodo educativo che riflette i principi della sostenibilità, come l’approccio centrato sullo studente. I partecipanti sono divenuti consapevoli delle potenzialità dell’inserimento dei principi di sostenibilità nella progettazione del curricolo, come espresso nella seguente affermazione: “Sono riuscito a trovare un modo per integrare i principi dello sviluppo sostenibile negli obiettivi del corso”. Altri aspetti riguardano la promozione di un approccio interdisciplinare: “È un ideale completo, ed è necessario integrare tutti i campi allo stesso tempo”. Inoltre, sono stati considerati i rapporti tra l’università

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e il mondo esterno e tra i professori e gli studenti, come riportato nelle seguenti frasi: “Loro [gli studenti] stanno per diventare insegnanti, in futuro, i rapporti con la scuola, con la comunità sono più importanti che mai (…) la capacità di comunicazione (...) cerco di includere le capacità di comunicazione con i miei studenti, e la comunicazione continua al di fuori della classe, nel mio ufficio, e tramite e-mail e siti web”. Queste opinioni sottolineano che i partecipanti erano consapevoli del loro ruolo, di come collegare il loro insegnamento al mondo esterno e di come coinvolgere gli studenti. 3) Metodologie didattiche. In questa categoria sono inclusi i metodi di insegnamento adottati durante il progetto quali l’apprendimento cooperativo, lo studio di casi, l’apprendimento basato su progetti, l’apprendimento basato sulla ricerca, i dibattiti, i focus group. I partecipanti hanno adottato nuove tecniche o modificato i loro metodi didattici secondo i principi dell’ESS evidenziando un progresso: “I workshop del progetto ci hanno aiutato a migliorare la didattica”. Questi metodi sono caratterizzati da un maggior coinvolgimento degli studenti, che hanno avuto un ruolo più attivo durante le lezioni e nei processi di apprendimento. Alcuni partecipanti hanno asserito di aver adottato strategie di insegnamento basato sull’apprendimento cooperativo: “Nella metodologia di insegnamento, ho cercato di fare del mio meglio per usare l’apprendimento cooperativo”. La metodologia dello studio di casi è un’altra tecnica che è stata utilizzata frequentemente nell’insegnamento, come espresso da un partecipante : “Si dovrebbe cercare di portare casi preparati o casi integrati, ma è necessario cercare ulteriori casi ed esempi, io cerco di pensare e produrre ulteriori esempi sul nostro ambiente”. Queste citazioni evidenziano che i partecipanti hanno cercato di promuovere un ruolo attivo tra gli studenti nelle loro strategie di insegnamento utilizzando tecniche quali l’apprendimento basato su progetti, sulla ricerca, dibattiti, focus group e discussioni di gruppo. 4) Abilità di progettazione didattica. Questa categoria si riferisce alle abilità coinvolte nella progettazione, revisione, e implementazione di un programma di studio. In questa attività sono considerati i bisogni degli studenti e degli insegnanti in base ai principi dell’ESS. Si tratta di abilità che prevedono la definizione degli obiettivi e delle competenze, la selezione dei contenuti, la scelta di metodi didattici, la definizione del carico di lavoro degli studenti e la gestione del tempo, così come la capacità complessiva di rivedere il piano del corso. Queste abilità sono legate al processo di progettazione, come riportato nel seguente frammento: “Direi che ora ho una migliore e maggiore capacità di progettare un programma di studio per ogni corso che insegno (...) o che insegnerò in futuro”. I partecipanti hanno anche riportato le abilità connesse alla selezione degli obiettivi formativi e le competenze che devono essere raggiunte e sviluppate nei loro corsi accademici: “Ora faccio attenzione a come determinare in modo efficace gli obiettivi”; “Ora noi crediamo che gli obiettivi debbano essere scritti in un modo specifico riflettendo le competenze che vogliamo che gli studenti acquisiscano nel corso, e ora sappiamo che questi obiettivi devono essere raggiungibili”. Fanno parte di questa categoria anche altri aspetti della progettazione quali la definizione dei contenuti del corso, il metodo, il carico di lavoro degli studenti, e la gestione del tempo. I partecipanti hanno segnalato l’importanza della capacità di programmazione, come dimostrato in queste affermazioni: “Questo mi ha aiutato molto a definire quanto gli studenti devono fare questa settimana, e la settimana dopo e così via (...) e per valutare se consegno il materiale agli studenti in modo corretto e completo.

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Senza gestire accuratamente il tempo, credo che non si possano raggiungere gli obiettivi”. Queste frasi forniscono la prova degli sforzi che i docenti hanno fatto per migliorare le loro capacità di progettazione curricolare. Inoltre, sono state riportate le abilità coinvolte nella fase di revisione del piano di studi, come sottolineato in queste asserzioni: “Ho modificato e rivisto i programmi di studio in base al progetto”; “(…) è un vantaggio per voi e per gli studenti, e vi consiglio di applicare alcuni aspetti e di controllarli, come ho fatto nei programmi di studio che ho rivisto”. 5) Promozione delle competenze degli studenti. Questa categoria riguarda lo sviluppo e il sostegno di specifiche abilità degli studenti, come ampliare le loro conoscenze sullo sviluppo sostenibile, il farli diventare buoni cittadini, incentivare la loro capacità di apprendimento permanente, la partecipazione attiva, il pensiero critico/problem solving tenendo conto della gestione del tempo. I partecipanti hanno riconosciuto la rilevanza di ampliare gli interessi personali e culturali dei loro studenti, e sono diventati consapevoli dell’impatto che lo sviluppo sostenibile può avere sulla loro vita, come espresso in questa frase: “C’è stata una grande comprensione, una migliore comprensione da parte degli studenti dell’ambiente in cui vivono, e questo è molto positivo e promettente”. Un altro aspetto riguarda lo sviluppo di una cittadinanza attiva e responsabile: “Stavo guardando i risultati del corso, perché ciò che stiamo cercando è un modello di cittadinanza”. Il corpo docente coinvolto nel progetto ha anche riferito il ruolo cruciale che la promozione dell’apprendimento permanente ha avuto sui loro obiettivi educativi: “Così i miei studenti hanno imparato a costruire e sviluppare le loro capacità di formazione permanente”. Inoltre, i docenti ritengono che la partecipazione attiva degli studenti nel processo di apprendimento, lo sviluppo del pensiero critico, del problem solving, e la gestione del tempo siano questioni centrali che devono essere considerate durante le lezioni. 6) Valutazione didattica. Questa categoria include le nuove tecniche che i partecipanti hanno adottato per valutare gli studenti. I docenti hanno sviluppato un approccio di valutazione che include diverse strategie qualitative e quantitative, come ad esempio riflessioni su articoli, relazioni scritte, portfoli, presentazioni di gruppo, discussioni di progetti in classe, la valutazione dei risultati e l’alternanza di diverse tecniche di valutazione. Secondo i partecipanti, il processo di valutazione si caratterizza per l’uso di più tecniche, che si alternano in funzione delle attività didattiche proposte e degli obiettivi del corso: “Come risultato del mio apprendimento nel RUCAS, ho incluso una varietà di metodi di valutazione”. 7) Problemi didattici. In questa categoria sono inclusi gli aspetti critici relativi all’attività didattica, come ad esempio la resistenza degli studenti al cambiamento, la disposizione delle aule, la conduzione di classi numerose, la gestione del tempo e i problemi di valutazione. I partecipanti hanno segnalato difficoltà legate alla resistenza degli studenti per le modifiche introdotte nel processo educativo, come qui indicato: “Molti studenti sono stati restii al cambiamento perché per alcuni di loro è più facile fare solo gli esami”. Altre questioni hanno riguardato alcune caratteristiche logistiche, come riportato da uno dei partecipanti: “Un altro problema ha riguardato le caratteristiche delle aule, perché in molte stanze le sedie erano fisse”. Inoltre, è stata discussa la conduzione di classi numerose: “Una delle difficoltà che ho è gestire una classe enorme: a volte ho cinquanta studenti, a volte di più, a volte ho un gran numero di studenti”. Sono stati segnalati anche problemi legati alla gestione del tempo du-

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rante le lezioni, e i partecipanti hanno considerato il tempo “un punto molto critico”. Infine, sono emerse difficoltà nella gestione della valutazione, poiché il personale docente aveva poco tempo per valutare tutte le attività che gli studenti svolgevano durante i loro corsi. 8) Lavoro di squadra durante il progetto. La categoria riporta gli aspetti che hanno caratterizzato le attività del gruppo nel corso del progetto e comprende la collaborazione tra colleghi, la disseminazione del progetto, la formazione per il personale docente e il ritiro dei colleghi dal progetto. Per quanto riguarda la collaborazione tra i colleghi, i partecipanti hanno osservato che le attività di gruppo hanno creato un buon clima di lavoro facilitando lo svolgimento dei compiti richiesti: “Dopo aver avuto delle discussioni fruttuose con i miei colleghi universitari e con gli altri colleghi del workshop, è diventato tutto molto facile”. I partecipanti hanno riconosciuto l’importanza di diffondere i principi dell’ESS e delle nuove tecniche educative tra i colleghi che non avevano partecipato al progetto, come ha espresso uno dei partecipanti: “Dobbiamo convincere i nostri colleghi dei vantaggi dell’applicazione degli ideali del RUCAS”. Infine, il ritiro di alcuni dei loro colleghi dal progetto è stato considerato un punto cruciale per i partecipanti, che hanno riconosciuto la necessità di analizzare e comprendere la questione in modo più approfondito. 9) Proposte per il progetto. La categoria riassume i suggerimenti e le proposte che i partecipanti hanno dato al fine di migliorare il progetto e le attività relative a temi quali l’uso di un modello condiviso del progetto, il carico di lavoro del progetto, l’uso di video incontri e la promozione di una comunità virtuale, il sostegno istituzionale, la formazione dei nuovi colleghi, la proposta di corsi sullo sviluppo sostenibile per gli studenti e il coinvolgimento degli studenti nella disseminazione. I partecipanti hanno espresso la necessità di rivedere e alleggerire il carico di lavoro del progetto: “Credo che per me il carico di lavoro sia stato molto. Ho percepito (...), che c’è stato un sacco di lavoro”. I partecipanti hanno proposto la creazione di una rete professionale con le tecnologie: “Io suggerisco di usare i vantaggi della tecnologia per creare e mantenere una comunità di apprendimento professionale per questo progetto”. Inoltre, è emersa la necessità di coinvolgere le istituzioni per supportare l’integrazione tra educazione e sviluppo sostenibile come ha affermato un partecipante: “L’istituzionalizzazione del progetto deve essere una politica da introdurre”. Altre proposte sono state inerenti alla formazione dei colleghi appena assunti: “Penso sarebbe interessante proporre un laboratorio per la formazione dei nuovi professori che non hanno la minima idea di metodologia di insegnamento e di cosa sia lo sviluppo sostenibile”. Altri commenti hanno riguardato delle iniziative per gli studenti, tra cui la proposta di trovare spazi ed occasioni per diffondere i principi dello sviluppo sostenibile o introdurre nuovi corsi sullo sviluppo sostenibile, come riportato da un docente: “Ho anche un suggerimento per costruire un corso di sviluppo sostenibile. Deve essere un corso obbligatorio a livello universitario, ed essere elargito dall’università per tutti gli studenti”. Questa affermazione evidenzia che i partecipanti hanno capito l’importanza dell’ESS e la considerano un tema educativo fondamentale. Sono state avanzate anche delle proposte di coinvolgere gli studenti nel diffondere i principi di sostenibilità tra la comunità degli studenti con un approccio di educazione tra pari: “Forse (...) possiamo chiedere agli studenti di condividere le loro riflessioni, perché gli studenti, come noi sappiamo, sono parte del progetto (...) siamo in grado di selezionare gli studenti e chiedere loro di entrare e di presentare ad altri studenti che cosa pensino sia utile e ciò che hanno imparato dal corso

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che è stato implementato secondo i principi del RUCAS”. Da questa frase emerge la considerazione dell’importanza del ruolo degli studenti per diffondere i risultati del progetto.

5. Discussione L’analisi delle trascrizioni dei focus group ha dimostrato gli sforzi dei docenti per infondere i principi della sostenibilità nei loro programmi. Il corpo docente che ha partecipato al progetto ha appreso l’importanza della sostenibilità nelle rispettive discipline e come applicare i concetti nel lavoro d’aula. Molti corsi motivano a comportarsi in maniera sostenibile, promuovono l’etica e l’interesse per l’integrazione della sostenibilità in tutti gli aspetti della vita universitaria. Inoltre, tra i partecipanti è emersa una consapevolezza riguardo al loro sviluppo professionale derivato dalla loro partecipazione al progetto: i docenti hanno dimostrato un alto grado di consapevolezza e di abilità nell’infondere la sostenibilità nei loro curricoli non solo da un punto di vista teorico, ma anche da un punto di vista pratico. Varga et al. (2015) ritengono lo sviluppo professionale un processo continuo, che comprende riflessioni sulle competenze degli insegnanti e sulle migliori pratiche. Un programma di sviluppo professionale come il progetto RUCAS promuove un cambiamento nella percezione della conoscenza e dell’insegnamento nei docenti universitari (Teng, 2016). I risultati hanno dimostrato che il corpo docente ha riflettuto sulle attività didattiche e sui metodi di insegnamento e questo li ha aiutati a migliorare le proprie capacità di pianificazione, ad arricchire le conoscenze sulle tecniche di istruzione introducendo nuovi approcci di valutazione degli studenti. I partecipanti hanno anche espresso la necessità di creare una comunità di pratiche e di condividere quanto hanno appreso con gli altri colleghi e con l’intera comunità accademica. Il lavoro di squadra, il peer review, la disseminazione dei risultati, la formazione e i metodi didattici efficaci sono stati ritenuti gli elementi che hanno ampliato le loro competenze pedagogiche, favorendo anche l’adozione di nuovi valori e atteggiamenti. Questi risultati sono in linea con i principi dell’ESS e con studi precedenti (Buchanan & Stern, 2012; Coronel, Carrasco, Fernandez & Gonzalez, 2003; Lomas & Nicholls, 2005), che hanno considerato l’importanza della collaborazione tra colleghi nel contesto dello sviluppo professionale. Il progetto ha offerto l’opportunità di avviare uno scambio di conoscenze e competenze con altri colleghi sui diversi principi della progettazione dei programmi di studio e delle pratiche di insegnamento. Oltre agli aspetti positivi sono state riscontrate anche alcune criticità nel progetto quali la resistenza degli studenti al cambiamento, problemi logistici (ad esempio, la conformazione delle aule), la gestione di classi numerose, la gestione del tempo e problemi di valutazione (Wichadee, 2012).

Conclusioni Lo studio ha offerto un esempio reale di come i principi dell’educazione allo sviluppo sostenibile possono incidere sullo sviluppo professionale dei professori universitari. Il progetto ha indotto diversi cambiamenti negli atteggiamenti dei partecipanti, ampliando le loro conoscenze sui principi e sui metodi, sulle competenze di pianificazione didattica e sui nuovi approcci di valutazione. Inoltre, ha

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contribuito a promuovere le competenze degli studenti, l’uso del lavoro di squadra e, da ultimo ma non meno importante, ha evidenziato alcuni problemi didattici e suggerimenti per migliorare le attività. Complessivamente vi è stato un miglioramento delle competenze accademiche: il processo di trasformazione ha consentito al personale docente di modificare le loro pratiche di insegnamento e li ha incoraggiati a impegnarsi nell’interpretazione strategica e contestuale dei principi dello sviluppo sostenibile. Questi aspetti hanno indotto uno sviluppo professionale nel quale i partecipanti erano dei leader per il cambiamento. Lo sviluppo professionale dovrebbe essere orientato al cambiamento a livello di sistema e dovrebbe comprendere molteplici forme di educazione per fornire le competenze necessarie per ottenere scuole sostenibili. Questo studio di natura esplorativa presenta alcuni limiti e propone alcune implicazioni per la ricerca futura. La numerosità del campione è il primo limite: i partecipanti provenivano da due università, e un numero circoscritto di docenti è stato coinvolto nei focus group restringendo la possibilità di generalizzare i risultati. Sarebbe interessante espandere questo studio coinvolgendo più università e partecipanti in attività e progetti formativi con temi simili e in altri contesti didattici. Si raccomanda anche la raccolta di altri dati per la valutazione dei cambiamenti nelle pratiche metodologiche e didattiche al fine di svolgere una triangolazione dei risultati e ottenere delle conclusioni più corroborate. Inoltre, un metodo longitudinale e un follow-up potrebbero evidenziare la stabilità dei risultati o far emergere anche altri cambiamenti che questo progetto ha indotto nello sviluppo professionale dei partecipanti.

Ringraziamenti Questo lavoro è stato sviluppato nell’ambito del progetto Reorient University Curricula to Address Sustainability (RUCAS) finanziato dalla Commissione europea (European Commission, TEMPUS- n. 511118-2010-GR-JPCR). Il contenuto di questo saggio riflette le opinioni degli autori e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso che possa essere fatto delle informazioni in esso contenute.

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Il periodo di formazione e prova degli insegnanti, il punto di vista dei neoassunti in provincia di Salerno: uno studio di caso

Marika Calenda • Università degli Studi di Salerno – macalenda@unisa.it Rosanna Tammaro • Università degli Studi di Salerno – rtammaro@unisa.it

The teachers’ training and probationary period, the thought of Salerno newly hired teachers: a case study We present a research done in the province of Salerno. We describe the results of the analysis of the variable of the model training structure, conducted in order to understand how it was received the model training provided by the law 107/2015. The variable was operationalized in two aspects, the global one and that relative to the different phases. In accord to Lucisano-Salerni (2002), the research results were developed in the following points: objectives and problem analysis, methodology, presentation and discussion of results, conclusions and perspectives of future research. The main transactions carried out in this research are: the definition of the unit of analysis, the purpose and the contest, the achieved sample, the survey instrument used, the coding level and recode variables, the procedures for data analysis.

Parole chiave: legge 107/2015, neo-assunti, modello formativo, periodo di formazione e prova, opinioni, percezione

Keywords: Law 107/2015, newly hired, training model, training and probationary period, opinions, perception

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Il contributo descrive una ricerca svolta in provincia di Salerno. Si presentano i risultati dell’analisi relativa alla variabile struttura del modello formativo operativizzata in due aspetti, quello globale e quello riconducibile alle diverse fasi, analisi condotta al fine di comprendere come è stato accolto il modello formativo previsto dal legislatore. Riprendendo l’articolazione proposta da Lucisano-Salerni (2002) la presentazione dei risultati della ricerca si sviluppa nei seguenti punti: obiettivi e analisi del problema, metodologia, presentazione e discussione dei risultati, conclusioni e prospettive sugli ulteriori sviluppi della ricerca. Vengono rendicontate le principali operazioni svolte nella ricerca, quali la definizione dell’unità di analisi e dell’ambito spazio-temporale, il campione raggiunto, lo strumento di rilevazione utilizzato, il piano di codifica e ricodifica delle variabili, i procedimenti di analisi dei dati impiegati.


Il periodo di formazione e prova degli insegnanti, il punto di vista dei neoassunti in provincia di Salerno: uno studio di caso

Introduzione

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In Italia, le legge n. 107/2015 ha portato a compimento una serie di cambiamenti in materia di prova e anno di formazione proponendo un nuovo modello formativo interconnesso con lo sviluppo professionale del docente e la definizione di «standard di competenze» disciplinari e trasversali. Le disposizioni contenute nel D.M. n. 850/2015 e nella circolare ministeriale 36167 del 5 novembre 2015 hanno dato piena attuazione al processo di revisione legislativa: il decreto ministeriale disciplina il periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo neoimmesso in ruolo, descrivendone momenti formativi e valutativi, nonché tempi e soggetti responsabili e portando avanti quel processo di innovazione e personalizzazione del percorso relativo alla conferma nei ruoli a tempo indeterminato già avviato dal MIUR in via sperimentale negli anni precedenti. In sintesi, le principali innovazioni introdotte dalla legge 107 riguardano la stretta connessione tra periodo di prova e attività di formazione, la modifica della composizione del Comitato di valutazione, il nuovo ruolo del tutor della sede di servizio del docente neoassunto (Brescianini, Fabrizio, 2016). Tuttavia, come sostengono Magnoler e Rossi (USR-ER, 2016, p. 46), superato il precariato e raggiunta la stabilità economica e lavorativa, il principale cambiamento per un neoassunto riguarda, probabilmente, la possibilità di poter vedere in termini prospettici il proprio inserimento in una comunità professionale e di riuscire a lavorare in modo progettuale sul proprio percorso di sviluppo professionale, adottando una visione a lungo termine. Grazie alla stabilità lavorativa si rafforza ancora di più la consapevolezza di quanto sia importante riconoscere l’identità professionale degli insegnanti, intesa non come caratteristica stabile e unitaria, ma come fenomeno “relazionale” che si sviluppa in contesti intersoggettivi. Il periodo di formazione iniziale svolto in alternanza formativa (così come previsto dalla Legge 107/2015), diventa per il docente neoassunto un reale “praticantato”, vissuto all’interno di una comunità critico-riflessiva, utile allo sviluppo di quello che è stato definito anche da autorevoli studi europei (Paquay, Altet, Charlier, Perrenoud 2006) come il “professionista riflessivo” (Schön, 1993). Alla luce di questa breve premessa, la ricerca ha preso il via da alcuni interrogativi generali: quali sono, nel passaggio dal precariato alla stabilità lavorativa, i principali cambiamenti per un docente? Come i neo-immessi in ruolo in provincia di Salerno, ed in particolare quelli assunti in fase C, hanno vissuto il periodo di formazione e prova? Qual è la loro percezione? In relazione a tali interrogativi, sono stati formulati i seguenti obiettivi: comprendere come è stato accolto il modello formativo previsto dal legislatore; rilevare la percezione e le opinioni dei docenti in relazione a tale modello; analizzare la percezione del cambiamento rispetto al proprio status di lavoratore e rispetto alla propria identità professionale. Al momento, si presentano i primi risultati dell’analisi monovariata collegati ai primi due obiettivi.

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1. Metodologia La ricerca educativa ha elaborato diversi approcci che si possono sintetizzare nei due modelli soggettivistico e oggettivo: il primo si basa sullo studio del caso, il secondo si fonda sugli obiettivi (Notti, 2012). La strategia prescelta in questa ricerca è lo studio di caso, si tratta in particolare di un’indagine conoscitiva a carattere esplorativo condotta al fine di rilevare opinioni su un dato argomento. Dal momento che i due approcci non sono visti come uno alternativo all’altro, abbiamo previsto l’utilizzo combinato di più metodi e tecniche di rilevazione e analisi dei dati nel tentativo di produrre risultati validi, attendibili e pertinenti rispetto al problema conoscitivo da cui ha avuto origine la ricerca (Trinchero, 2004). La logica di fondo è una “logica esplorativa che abbraccia contesti, sistemi d’interdipendenza e dimensioni dei processi” (Notti, 2012, p. 15). Nella fase iniziale e prima di approntare lo strumento di rilevazione dei dati si è ritenuto opportuno organizzare dei colloqui informativi e un focus group per discutere con i soggetti interessati (neo-assunti, tutor e dirigenti) e far emergere le loro opinioni sul tema della ricerca. Il focus group può essere impiegato, infatti, “con buoni risultati per entrare in contatto con il registro linguistico di un dato gruppo da studiare” (Colella, 2011, p. 34). Come sappiamo, uno degli obiettivi del focus group è proprio quello di far discutere i partecipanti focalizzando la discussione su un dato argomento, favorendo lo scambio di punti di vista e per questo motivo i focus sono spesso utilizzati per rilevare opinioni, trovando numerose applicazioni “soprattutto quando è necessario rilevare in tempi molto brevi informazioni con la ricchezza tipica dei dati non strutturati […]. I focus group sono anche un ottimo strumento per mettere a punto un questionario […]. Essi consentono di individuare con maggiore precisione la fraseologia dei soggetti della ricerca, di trovare nuovi indicatori per i concetti da rilevare” (Trinchero, 2004, pp. 101-102). La ricerca, suddivisa in fasi, si è svolta nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2016. Le fasi della ricerca sono sintetizzate nella seguente tabella: Fase

Attività

Periodo

1

Colloqui e focus group esplorativi

marzo/maggio

2

Costruzione dello strumento

aprile/maggio

3

Somministrazione/tabulazione

maggio/giugno

4

Analisi e interpretazione dei dati raccolti settembre/ottobre

Tab. 1: Le fasi della ricerca

La prima fase di indagine qualitativa è stata condotta con lo scopo di far emergere dal basso le aree problematiche, i concetti, entrando in contatto con l’oggetto-soggetto di indagine (Ferrarotti, pp. 323-353, in Colella, 2011). Nella prima fase si sono svolti colloqui a scopo informativo presso alcune scuole individuate con criterio di comodo per raccogliere informazioni di carattere generale sull’organizzazione e lo svolgimento del periodo di formazione e prova. Durante i colloqui, organizzati per creare situazioni di confronto e discussione con i neo-assunti, i docenti tutor e i dirigenti scolastici sugli argomenti della ricerca, sono emersi aspetti che hanno influenzato la prosecuzione stessa della ricerca. Ad esempio, durante gli incontri presso le scuole è emerso il fatto che il periodo di formazione

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si stesse per concludere per i neo-immessi in fase 0, A e B e che gli interlocutori fossero tutti docenti neo-assunti in fase C. Alla luce di tali evidenze, si è deciso di considerare come popolazione di riferimento i docenti neo-assunti in fase C e di contattare le scuole individuate come poli formativi della Provincia di Salerno per conoscere il numero dei docenti neo-immessi in questa fase iscritti presso le rispettive sedi. Il numero di iscritti è in totale 962 come indicato nella tabella (Tab.2).

Polo formativo

Numero di iscritti Fase C

Istituto Statale di Istruzione Secondaria Superiore “E. Corbino” – Contursi

333

Istituto Comprensivo “San Valentino Torio” – S.Valentino Torio

167

Scuola Secondaria di Primo Grado “A. Balzico” – Cava dé Tirreni

462

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86

Tab. 2: Docenti neo-assunti in fase C iscritti ai poli formativi

I colloqui iniziali hanno permesso di ottenere notizie utili alla prosecuzione della ricerca e hanno fornito delle informazioni generali in base alle quali è stato possibile elaborare la traccia di intervista utilizzata durante il focus group. Per la conduzione operativa del focus è importante che chi guida la discussione abbia in mente la sceneggiatura preliminare ed è consigliabile che il conduttore “abbia una scaletta dei temi che intende proporre al gruppo, redatta sulla scorta delle finalità della ricerca, del mandato stabilito […], delle ipotesi da esplorare o altro; tale scaletta è redatta dal ricercatore e dal suo team (e quindi dallo stesso conduttore se coincide con tali figure)” (Bezzi, 2013, p. 55). Il focus group si è svolto il 3 maggio presso l’Istituto Comprensivo “A. Gatto” di Battipaglia (SA) e ha visto la partecipazione di sei docenti neo-assunti in fase C: tre di scuola primaria, tre di scuola secondaria di I grado (classi A030, A032, A345). Utilizzando una traccia di intervista costituita da otto domande, il focus è stato condotto da un moderatore in presenza di un osservatore che ha preso appunti durante la discussione e annotato le risposte; lo stile di conduzione impiegato è quello pop corn, cioè senza particolare ordine degli interventi per i suoi elementi positivi che sono riconducibili ad un maggiore senso di libertà e spontaneità tra i partecipanti, alla possibilità di intervenire nel momento in cui emerge l’idea e, infine, perché risulta efficace nei contesti educativi dove c’è abitudine al confronto collettivo (Bezzi, 2013, p. 59). Cercando di pervenire ad un accordo intersoggettivo sull’interpretazione da assegnare al materiale empirico raccolto, dalle risposte fornite alle domande è stato possibile definire un insieme di categorie che sono state utilizzate per chiudere le domande (Trinchero, 2002), tali categorie che sintetizzano la fraseologia utilizzata dagli insegnanti, sono poi diventate le affermazioni collegate a ciascun item del questionario.

2. La costruzione dello strumento e la raccolta dati Il fine del questionario è rilevare informazioni sui seguenti aspetti: informazioni generali; cambiamenti nel passaggio dal precariato alla stabilità lavorativa; struttura del modello formativo; periodo di formazione in generale; bilancio delle competenze; laboratori formativi; peer to peer; formazione on line; criticità;

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soddisfazione; self-awareness. Gli aspetti valutativi della ricerca sono stati rilevati attraverso procedure di scaling, molto utilizzate per misurare gli atteggiamenti, dove l’unità di analisi è l’individuo, il concetto generale è un atteggiamento e i concetti specifici sono delle opinioni (Corbetta, 1999, pp. 238) e laddove per «atteggiamento» ci si riferisce a un «insieme di tendenze e sentimenti, pregiudizi e nozioni preconcette, idee, timori, apprensioni e convinzioni di una persona nei confronti di un argomento» e per «opinione» ci si riferisce «all’espressione verbale dell’atteggiamento» (Thurstone & Chave, 1929, in Corbetta, 1999, p. 238). Le procedure di scaling quali la Likert e la scala Cantril consistono nel sottoporre ai soggetti una serie di affermazioni che riguardano gli aspetti indagati e su ciascuna affermazione il soggetto deve esprimere il suo grado di accordo o disaccordo, per quel che riguarda invece la tecnica del differenziale semantico, si tratta di una tecnica di rilevazione dei significati che determinati concetti assumono per gli intervistati, essa si basa sulle associazioni che l’intervistato stabilisce tra questo concetto ed altri concetti proposti (Corbetta, 1999). Si è optato per l’uso combinato di differenti tecniche di scaling nel tentativo di mantenere elevati i livelli di attenzione dei soggetti durante la lettura delle domande, proponendo appunto una struttura non ripetitiva. Si è ritenuto opportuno, inoltre, evitare di sottoporre lunghe batterie di scale uguali per evitare di favorire risposte meccaniche e per indurre, di volta in volta, i soggetti a prestare attenzione al contenuto delle specifiche domande. La prima parte del questionario contiene quesiti che rilevano le informazioni di carattere generale, le domande ad essa riconducibili sono quelle relative alle proprietà: genere, età, anni di esperienza, grado di scuola, tipo di posto, fase immissione in ruolo, iscrizione polo formativo (item 1-7). La dimensione del cambiamento nel passaggio dal precariato alla stabilità lavorativa, viene rilevata attraverso una scala Likert con quattro affermazioni (item 8a, 8b, 8c, 8d) a quattro modalità di risposta (per niente/poco/abbastanza/molto). La struttura del modello formativo attraverso sei affermazioni (item 9a, 9b, 9c, 9d, 9e, 9f) organizzate su una scala Cantril (per nulla molto (0-10). Rispetto alla dimensione periodo di formazione è stato rilevato l’atteggiamento dei soggetti attraverso la tecnica del differenziale semantico utilizzando cinque polarità: concreto-astratto, semplice-complesso, inefficace-efficace, positivo-negativo, ripetitivo-innovativo (item 10). L’item numero 11 è composto da una scala Likert (per niente/poco/abbastanza/molto) con sette affermazioni, le prime quattro riguardano la dimensione struttura del bilancio delle competenze (11a, 11b, 11c, 11d,), le altre riguardano i laboratori formativi (11e, 11f, 11g). Anche le domande 12 (scala Likert) e 13 (item a scelta multipla con due possibili alternative di risposta) si riferiscono ai laboratori formativi, in particolare per quanto concerne rispettivamente i contenuti e le aree tematiche. La dimensione peer to peer è indagata con la serie di affermazioni (item 14a, 14b, 14c, 14d, 14e) con cinque modalità di risposta (mai, raramente, a volte, spesso, sempre). La formazione on line (item 16a, 16b, 16c, 16d, 16e) viene indagata con una scala Cantril (per nulla = 0; molto = 10). L’aspetto delle criticità è stato rilevato con due item a risposta multipla con una sola alternativa di risposta (item 18 e 19), la soddisfazione complessiva con una scala Likert (item 15). Infine, l’atteggiamento dei soggetti sulla proprietà self-awareness è stato rilevato attraverso una scala Thurstone composta da cinque item collocati lungo un continuum, da vicino a lontano, diviso in dieci intervalli (item 17a, 17b, 17c, 17d, 17e). Il questionario è stato somministrato nel corso degli incontri di restituzione presso l’Istituto “Balzico” di Cava de’ Tirreni, i questionari pervenuti sono in totale 442. L’80,7% dei soggetti è di sesso femminile, il 19,3% è di sesso maschile; il 3% ha meno di 35 anni, il 10,2% ha un’età compresa tra 35 e 39 anni, il 21,7% tra 40 e 44, il 28,9% tra 45 e 49, il 22,6%

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tra 50 e 54, il 13,6% ha più di 54 anni. Il 17,5% dei docenti coinvolti è stato immesso in ruolo nella scuola secondaria di I grado, il 55,5% nella secondaria di II grado, il 25,9% nella scuola primaria e solo l’1,1% nella scuola dell’infanzia. Non è una sorpresa che i docenti hanno alle spalle anni di esperienza, come indicato in tabella (Tab. 3). Anni di esperienza Frequenze

Percentuali

nessuno

42

9,6%

meno di 5

63

14,4%

tra 6 e 10

97

22,1%

tra 11 e 15

107

24,4%

tra 16 e 20

86

19,6%

più di 20

44

10,0%

Totale

439

100,0%

Tab. 3: percentuali item 3 – Anni di esperienza di insegnamento

3. L’analisi dei dati L’elaborazione dei dati è stata condotta attraverso il programma IBM SPSS (Statistical Package for the Social Sciences) Statistics 20, uno dei più diffusi nel campo delle scienze sociali e già organizzato per lavorare su una struttura matriciale casi per variabili. Poiché è necessario determinare quali siano le caratteristiche logico-matematiche delle variabili analizzate e poiché esse rappresentano il principale vincolo che orienta nella scelta del tipo di analisi a cui sottoporre le variabili (Aragona, 2012), nell’assegnazione del codice numerico a ciascuna variabile si è tenuto conto del diverso significato che esso assume: di uguaglianza/disuguaglianza per le variabili categoriali non ordinate; di ordine maggiore o minore per le variabili categoriali ordinate; di distanza per le variabili cardinali. La matrice su file SPSS incorpora sia i dati che le istruzioni per operare la decodifica. In alcuni casi si è preferito adottare l’assegnazione sulla scala in decimi piuttosto che prevedere l’elenco di modalità ordinate poiché l’accordo intersoggettivo sulle distanze tra le cifre è certamente superiore a quello sulle distanze tra categorie dotate di un certo grado di autonomia semantica: le modalità sono cifre e la loro equidistanza è spesso comunicata anche visivamente ai soggetti intervistati (Fideli, p. 25). Per quanto riguarda il trattamento dei dati inseriti all’interno della matrice, ricordiamo che si tratta di dati prodotti dopo aver stabilito a priori uno schema di codifica e che “i tipi di variabili differiscono nettamente per il genere di operazioni alle quali possono essere sottoposti i loro valori” (Aragona, 2012, p. 370). Nell’attribuzione dei valori alle variabili categoriali con categorie ordinate si è rispettato il vincolo della relazione monotonica (Marradi, 1980), assegnando i seguenti valori: per niente = 0; poco = 1; abbastanza = 2; molto = 3. L’approccio all’analisi dei dati è di tipo esplorativo, nel senso che non sussistono ipotesi sulle relazioni tra variabili oggetto

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di studio, l’ottica che si assume è di descrizione, sintesi dei dati raccolti e quindi di disponibilità ad accogliere le risultanze empiriche che emergono dall’analisi. A tal proposito ricordiamo i principali obiettivi dell’approccio esplorativo sono riconducibili ai seguenti aspetti: pervenire ad una descrizione più analitica di ciò che si conosce in modo superficiale o a cui ci si avvicina per intuizione; restituire stimoli e indicazioni per ricerche successive; fornire uno stimolo alla creatività del ricercatore durante il lavoro di analisi e di valutazione delle successive scelte da compiere per continuare l’analisi. Questo approccio è finalizzato quindi ad esplorare i dati e descriverli attraverso alcuni valori caratteristici, a sintetizzarli quando i casi e/o le variabili sono numerosi e se ne rende necessaria la riduzione, oppure a formulare in maniera più precisa le ipotesi sull’oggetto di studio. In generale, per quanto concerne l’analisi monovariata, le sue principali funzioni sono: esaminare la plausibilità dei valori, far emergere gli squilibri nelle distribuzioni delle variabili, garantire la possibilità di leggere criticamente il rapporto di ricerca e sintetizzare adeguatamente i valori in forma grafica (Marradi, 1995). Il primo obiettivo di questo tipo di analisi è quello di familiarizzare con la distribuzione per scegliere gli strumenti più adeguati per un’eventuale successiva analisi bi e multivariata: l’analisi monovariata si rivela molto utile proprio per valutare complessivamente i risultati, commentare i risultati interessanti, scoprire gli andamenti inattesi della distribuzione sulla base delle conoscenze preliminari. È inoltre possibile verificare la presenza di valori non previsti dalla definizione operativa e di analizzare le tabelle di frequenza per valutare lo squilibrio/equilibrio delle distribuzioni (Di Franco, 2001). Sintetizzando gli scopi della nostra analisi monovariata possiamo affermare che essa fornisce una descrizione di come si distribuiscono i valori della proprietà modello formativo operativizzata nei due aspetti globale e riguardante le singole fasi, si tratta di un tipo di analisi essenziale per sviluppare interrogativi più complessi riguardo ai dati raccolti, per desumere indicazioni utili al raggruppamento delle modalità di una variabile in un numero inferiore di modalità e per preparare la ricodifica. In seguito si presentano i risultati relativi all’analisi dei dati degli item 9-11-12-13-14-15-16-19.

4. Presentazione e discussione dei risultati Utilizzando la procedura “ricodifica in variabili differenti” si sono ridotte da quattro a due le modalità di alcune variabili, aggregando per niente/poco e abbastanza/molto e mai/raramente e spesso/sempre poiché alcune modalità presentavano frequenza troppo basse e sappiamo che in fase di analisi bivariata o multivariata esse possono distorcere in maniera importante le relazioni osservate o inficiare le operazioni di calcolo dei coefficienti statistici. In generale, comunque, la ricodifica rende più semplice la lettura della distribuzione. Il criterio seguito per il raggruppamento dei dati è l’approccio semantico. Si illustrano i primi risultati relativi all’analisi degli item di cui sopra, ribadendo che si tratta di “un’analisi puramente descrittiva dei fenomeni studiati, che si limita a dirci come ogni variabile è distribuita fra i casi rilevati” e che “l’analisi monovariata, e quindi lo studio delle distribuzioni di frequenza, rappresenta un passaggio inevitabile e necessario di ogni analisi bivariata e multivariata, in quanto solo attraverso questa lettura preliminare il ricercatore perviene a quella conoscenza diretta dei dati che gli permetterà poi di analizzarli con piena consapevolezza” (Corbetta, 1999, pp. 497-498).

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N

Media

C.V.

a) Il modello formativo previsto dal DM 850 del 2015 è efficace per preparare gli insegnanti ad inserirsi in modo stabile nella scuola

440

6,00

0.35

b) Le fasi previste dal modello formativo sono collegate in modo coerente

441

6,41

0.31

c) Durante l'anno di formazione e prova il neoassunto è sottoposto a forme di controllo sul proprio operato

439

6,97

0.32

d) I laboratori formativi prevedono esercitazioni pratiche

442

4,43

0.63

e) La struttura della piattaforma è ripetitiva

441

6,64

0.42

f) Le attività previste aiutano a stimolare la riflessione su quello che si sta facendo in corso di formazione

441

6,78

0.33

Validi

435

Tab. 4: statistiche descrittive item 9 – Attribuisca, su una scala da 0 (minimo) a 10 (massimo), un punteggio alle seguenti frasi

90

Il fine di questa scala è conoscere i giudizi dei soggetti sugli aspetti organizzativi, emersi come salienti nel corso dei focus group del modello formativo. Per quel che riguarda gli aspetti propriamente organizzativi (c, d) i giudizi sono discordanti, vi è un giudizio favorevole circa le “forme di controllo del proprio operato” (6,97), segno che laddove sono state effettuate, sono state intese come efficaci; vi è un giudizio in media sfavorevole invece sull’affermazione “i laboratori prevedono esercitazioni pratiche”, segno che le esercitazioni svolte non hanno soddisfatto le aspettative dei frequentati e siccome l’affermazione presenta un’alta variabilità di risposte, così come evidenziato dal coefficiente di variazione, si è preso in considerazione anche la mediana per avere un dato più affidabile circa il valore centrale della distribuzione; il valore della mediana è 5, maggiore di 4,43 ma comunque basso a riprova del giudizio non favorevole espresso dagli intervistati circa i laboratori. Per quel che riguarda il modo in cui il corso è stato articolato (b, e), il giudizio è anche in questo caso discordante, mentre l’ordine delle fasi previste (6,41) riscontra pareri sopra la sufficienza, la struttura della piattaforma (6,64) non convince, il valore medio ottenuto da questa affermazione va infatti letto in negativo, ne deriva che il valore 6,64 segnala un giudizio negativo sulla struttura. L’ultimo aspetto, che si riferisce agli output del corso (a, f) è l’unico a riscontrare pareri concordanti, un parere sufficiente è espresso per quel che concerne il modo in cui il corso prepara gli insegnanti ad esercitare il proprio ruolo mentre un parere discreto (6,78) per quel concerne il livello di riflessività interno al corso sviluppato durante le attività. In linea di massima il giudizio su tutti gli aspetti del modello formativo è sufficiente, che se da un lato vuol dire che il corso ha riscosso pareri in media favorevoli dall’altro sta a significare che poteva essere articolato in modo migliore.

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N

Per niente

Poco

Abb.

Molto

a) Il bilancio delle competenze è uno strumento utile per far emergere ciò di cui un insegnante ha bisogno durante il periodo di formazione

442

10,4%

25,3%

53,2%

11,1%

b) La struttura del bilancio riflette un modello di scuola più ideale che reale

437

7,1%

18,5%

49,2%

25,2%

c) La compilazione del bilancio è solo un adempimento burocratico

434

16,1%

22,1%

38,2%

23,5%

d) Il bilancio aiuta a focalizzare gli ambiti di competenza utili al mio sviluppo professionale

440

10,5%

25,2%

48,2%

16,1%

e) I laboratori sono nozionistici

435

13,1%

32,6%

44,4%

9,9%

f) I laboratori forniscono esempi di modelli pratici su come agire in classe

441

5,2%

24,5%

50,8%

19,5%

g) Per le ore a disposizione durante i laboratori si affrontano troppi argomenti

440

16,1%

29,8%

47%

7%

h) I contenuti dei laboratori formativi corrispondono alle sue esigenze formative

440

3,2%

15,5%

65,5%

15,9%

Tab. 5: frequenze item 11 e 12 (lettera h) – Esprima il suo livello di accordo con le seguenti affermazioni

91 Questa scala contiene affermazioni che riguardano il bilancio delle competenze, lettere a-b-c-d, e affermazioni che riguardano i laboratori formativi, lettere ef-g-h. Gli aspetti del bilancio che vengono indagati sono la sua utilità (a-c-d) e l’aderenza alla realtà (b). Per quanto riguarda il primo aspetto, più della metà dei soggetti ritiene che il bilancio possa essere considerato uno strumento utile a far emergere i bisogni formativi dei nuovi docenti, dichiarandosi abbastanza d’accordo con l’affermazione a (53,2%); una parte non trascurabile (25%) afferma di essere poco d’accordo con tale affermazione. L’affermazione di cui alla lettera d che riguarda l’utilità rispetto agli specifici ambiti di competenza professionale, restituisce percentuali simili, nel senso che le frequenze più alte si registrano per le modalità abbastanza e poco, con il 48,2% che afferma di essere abbastanza d’accordo e il 25,2% poco d’accordo. Il grado di accordo con l’affermazione è più discordante rispetto alle precedenti con il 23,5% che afferma di essere molto d’accordo circa il fatto che la compilazione del bilancio sia stato un mero adempimento burocratico e con il 38,2% che afferma di essere abbastanza d’accordo con tale affermazione. L’aspetto relativo all’aderenza alla realtà restituisce percentuali preoccupanti poiché il 49,2% è abbastanza d’accordo con il fatto che il modello di scuola veicolato dal bilancio sia più ideale che reale e il 25,2% che si dichiara molto d’accordo con tale affermazione. All’affermazione di cui alla lettera e relativa al nozionismo dei laboratori si registrano percentuali del 44,4% per la categoria abbastanza, 32,6% per la categoria poco, 13,1% per niente e 9,9% molto. Si rilevano risultati leggermente più positivi per quanto riguarda l’affermazione successiva, relativa a esempi di modelli pratici forniti durante i laboratori: il 50,8% è abbastanza d’accordo, il 19,5% molto d’accordo, il 24,5% è poco d’accordo con tale affermazione. Sui laboratori abbiamo pareri piuttosto discordanti con una tendenza a mantenere posizioni neutrali anche sull’affermazione che riguarda la quantità di argomenti trattati, dove le percentuali tendono ad aumentare progressivamente, solo una piccola parte è molto d’accordo sul fatto che gli argomenti siano troppi (per niente=16,1%; poco=29,8%; abbastanza=47%; molto=7%). Anche sulla coerenza tra i contenuti dei laboratori e le esigenze formative, la maggior parte dichiara di essere abbastanza d’accordo (65,5%) con l’affermazione (h).

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Come si evince dalla tabella successiva, che sintetizza le percentuali delle preferenze rispetto alle aree tematiche, gli argomenti “preferiti” dai docenti e quindi quelli su cui si presume vengano avvertite maggiori necessità formative sono le “risorse digitali” e i “bisogni educativi speciali”. A livello di Polo formativo, delle otto aree trasversali previste dall’articolo 8, comma 4 del decreto ministeriale, i laboratori sono stati dedicati ai seguenti argomenti: gestione della classe e delle problematiche relazionali, sistema nazionale di valutazione (autovalutazione e miglioramento), bisogni educativi speciali e disabilità, nuove tecnologie e strategie didattiche. Dalle risposte si evince, purtroppo, che un argomento centrale, quale quello della valutazione didattica e di sistema, viene scelto solo dal 5,7% dei docenti. Risposte

92

Aree tematiche

N

Percentuale

Percentuale di casi

Nuove risorse digitali e loro impatto sulla didattica

259

29,8%

59,0%

Gestione della classe e problematiche relazionali

136

15,6%

31,0%

Valutazione didattica e valutazione di sistema

25

2,9%

5,7%

Bisogni educativi speciali

214

24,6%

48,7%

Contrasto alla dispersione scolastica

29

3,3%

6,6%

Inclusione sociale e dinamiche interculturali

53

6,1%

12,1%

Orientamento e alternanza scuola-lavoro

57

6,6%

13,0%

Buone pratiche di didattiche disciplinari

97

11,1%

22,1%

870

100,0%

198,2%

Totale

Tab. 6: frequenze item 13 – Potendo indicare le aree tematiche dei laboratori formativi quali avrebbe scelto – 2 preferenze

Al fine di constatare se vi fosse corrispondenza tra ciò che i docenti hanno effettivamente frequentato e ciò che invece avrebbero seguito in caso di libera scelta, si è chiesto loro di indicare per quali aree tematiche avrebbero optato. Ciascun intervistato aveva la possibilità di esprimere due preferenze su otto possibili risposte. Il 91,1% degli intervistati ha indicato due preferenze mentre il restante 8,9% solo una. Due le aree tematiche scelte da circa la metà degli intervistati: la prima è “nuove risorse digitali e loro impatto sulla didattica” indicata dal 59% dei soggetti (29,8% delle risposte date), a seguire con 5,2 punti percentuali in meno troviamo “bisogni educativi speciali”, indicata dal 48,7% dei casi (24,6% delle risposte date). Scorrendo le percentuali di risposta troviamo “gestione della classe e problematiche relazionali” indicata dal 31% dei casi (15,6% delle risposte date) e “buone pratiche di didattiche disciplinari” scelta dal 22,1% dei soggetti (11,1% delle risposte date). Dalle risposte date è possibile dedurre che i docenti avvertono l’esigenza di fare formazione sulle tecnologie e sugli argomenti che possono aiutarli a fronteggiare, dal punto di vista relazionale e didattico, la complessità ed eterogeneità delle classi. Classificando, per ordine di preferenza espressa, le risposte date dagli intervistati si nota che c’è una quasi completa concordanza tra le aree tematiche individuate dall’USR Campania e quelle indicate dai rispondenti ad eccezion fatta per “valutazione didattica e valutazione di sistema”, indicata solamente dal 5,7% dei casi (2,9% delle risposte date); la “valutazione” dunque è un argomento percepito come meno urgente dai docenti sebbene sia chiara la sua funzione fondamentale e strategica anche in relazione alle altre aree tematiche individuate, in quanto processo che attraversa l’agire didattico in tutto il suo dispiegarsi.

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N

Mai

Rar.

A volte

Spesso

Sempre

a) Le osservazioni sono utili per migliorare la capacità di gestione della classe

432

3%

10,9%

36,8%

37%

12,3%

b) Essere osservato provoca imbarazzo

436

26,8%

29,1%

33,3%

7,6%

3,2%

c) Ho trovato più utile osservare che essere osservato

432

7,9%

13,9%

33,1%

32,4%

12,7%

d) I momenti peer to peer aiutano a comprendere meglio quali strategie didattiche utilizzare in classe

435

2,1%

11,5%

34%

37%

15,4%

e) I momenti di osservazione stimolano il confronto tra colleghi

435

1,4%

6%

23,9%

39,3%

29,4%

!

Tab. 7: frequenze item 14 – Per quanto riguarda le attività di peer to peer, indichi la sua posizione rispetto alle seguenti affermazioni

Per quel che concerne la scala circa le attività peer to peer si è scelto di indagare questa dimensione attraverso una scala composta da cinque affermazioni, osservando le % delle modalità di risposta appartenenti alle affermazioni di carattere valutativo (a, d, e) possiamo asserire che, sebbene il giudizio espresso dagli intervistati tende ad essere positivo, dalle risposte di queste ultime può essere dedotto qualche elemento di problematicità. Per tutte e tre le affermazioni (a, d, e), le modalità considerate come negative (mai e raramente) conseguono congiuntamente % molto basse di scelta (a=13,9%; d=13,6%; e=7,4%) segno che le attività non sono state percepite come inutili; di contro le modalità considerate come positive (spesso e sempre) collezionano buone % di scelta (a=49,3%; d=52,4%; e=68,9%). Per almeno la metà degli intervistati dunque le attività hanno avuto esiti proficui, sia dal punto di vista relazionale, generando un confronto costruttivo con i colleghi, che dal punto di vista delle competenze personali, aiutando a migliorare le capacità di gestione della classe anche attraverso strategie didattiche mirate. Tra i due poli troviamo un’area grigia, ovvero la modalità di risposta “a volte” che colleziona, nelle tre affermazioni, una quantità non trascurabile di scelte (a=36,8%; 34%; 23,9%), segno che le attività hanno avuto un riscontro positivo ma non del tutto, la modalità “a volte” indica infatti una sorta di discontinuità di cui si dovrebbe tener conto nella progettazione di future attività di confronto. Per quel che riguarda le altre due affermazioni, l’analisi delle % delle modalità della “b” indica che il confronto tra docenti difficilmente è inficiato dalla reazione dei soggetti (spesso+sempre=10,8%) sebbene parte di questi non si trovano pienamente a loro agio in una situazione siffatta (a volte=33%); la modalità di risposta dell’affermazione “c” invece non sono da considerare lungo l’asse positivo-negativo, queste semplicemente esprimono un punto di vista circa le modalità di osservazione: c’è chi è più stimolato nell’osservare (spesso+sempre=45,1%) e chi invece nell’essere osservato (mai+raramente=21,8%), percentuale non irrilevante è collezionata da chi preferisce invece entrambe le modalità di confronto (a volte=33,1%).

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93


N

Media

C.V.

a) I materiali di studio sono congruenti con gli obiettivi enunciati

424

6,58

0.3

b) Le attività on line prevedono la simulazione di una sessione di lavoro

415

6,10

0.36

c) Il portfolio professionale ha un risvolto autovalutativo

420

6,64

0.32

d) L’ambiente on line favorisce un accesso guidato ai contenuti

416

6,52

0.31

e) La formazione on line andrebbe snellita/velocizzata

415

7,77

0.29

Validi

406

Tab. 8: statistiche descrittive item 16 – Per quanto riguarda la formazione on-line, attribuisca, su una scala da 0 (minimo) a 10 (massimo), un punteggio alle seguenti frasi

Ciò che subito si evidenzia guardando i punteggi medi ottenuti dalle affermazioni inerenti la formazione on-line è che il maggior punteggio medio (7,77) è stato ottenuto dall’asserzione critica “la formazione online andrebbe snellita/velocizzata”, segno che, nonostante la piattaforma abbia guidato gli utenti ad accedere ai contenuti (d=6,52) nella fruizione dei contenuti on-line gli utenti avranno riscontrato problematiche di vario tipo. Allo stesso tempo però i giudizi non sono stati estremamente critici verso gli aspetti sostanziali del corso; le affermazioni “a” e “c”, relative alla congruenza tra materiali di studio ed al risvolto autovalutativo del portfolio professionale, hanno totalizzato punteggi medi non elevati ma comunque al di sopra della sufficienza (a=6,58; c=6,64). L’ultimo aspetto, attinente alle sessioni di lavoro, ha raggiunto anch’esso la sufficienza (6,10). In generale, così come riscontrato nelle altre aree, nonostante i giudizi in media possono essere ritenuti positivi gli aspetti della formazione on-line non hanno convinto del tutto. Ciò come a breve vedremo ha avuto effetti sulla valutazione complessiva del corso.

94

Complessivamente quanto si sente soddisfatto del percorso formativo appena concluso

N

Per niente

Poco

433

15,5%

68,6%

Abbastanza Molto

12,7%

3,2%

Tab. 9: frequenze item 15 – Complessivamente quanto si sente soddisfatto del percorso formativo appena concluso

!

Come già anticipato, l’analisi delle singole aree aveva evidenziato come, nonostante le valutazioni non fossero negative queste comunque lasciavano trasparire criticità percepite dagli intervistati, criticità che hanno inciso sulla valutazione globale del percorso formativo. Solo il 3,2% si ritiene “molto soddisfatto”, circa un quinto del 15,5% di docenti che invece non si ritiene “per niente soddisfatto”; la moda, nonché la mediana della distribuzione è rappresentata dai soggetti che si ritengono “poco soddisfatti”, modalità quest’ultima che raccoglie il 68,6% delle risposte, la restante parte degli intervistati invece, il 12,7%, ha risposto di essere “ab-

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bastanza soddisfatta” del corso. È da sottolineare che sebbene la valutazione complessiva è stata negativa, i docenti delle scuola di infanzia e primaria e delle secondarie di primo grado hanno espresso una percentuale significativamente più alta di giudizi negativi (Chi-quadrato di Pearson= 8,34; Sig.=0.015). Confrontando i marginali di riga, emerge che ad esprimere giudizi positivi in percentuale maggiore rispetto alle altre due fasce sono i docenti della scuola secondaria di secondo grado (19,3%). Complessivamente quanto si sente soddisfatto del percorso formativo appena concluso

Grado scuola

Totale !

Totale

per niente/poco

abbastanza/molto

infanzia/primaria

90,1%

9,9%

100,0%

secondaria di I grado

89,8%

10,2%

100,0%

secondaria di II grado

80,7%

19,3%

100,0%

84,9%

15,1%

100,0%

Tab. 10: Tavola di contingenza – grado ricodificato/complessivamente quanto si sente soddisfatto del percorso formativo appena concluso

Analizzando congiuntamente la variabile “grado scuola” e “soddisfazione complessiva del percorso formativo” ed in particolare i marginali di riga emerge come i docenti che prestano servizio presso “le scuole secondarie di II grado” risultano più soddisfatti rispetto ai loro colleghi che insegnano nei gradi scolastici inferiori; nello specifico il 19,3% dei docenti delle superiori dichiara di essere “abbastanza/molto soddisfatto” percentuale superiore al 10,2% collezionato da chi insegna alla scuole medie e il 9.9% di chi insegna invece all’infanzia/primaria. Più in generale è da sottolineare però che la soddisfazione complessiva dei partecipanti, al di là di là del tipo di scuola in cui insegnano, è bassa; l’84.9% di questi infatti si ritiene per niente o poco soddisfatto contro un solo 15,1% che si ritiene abbastanza o molto soddisfatto. Infine, chiedendo ai docenti quale fase del modello formativo si può eliminare, dalle percentuali di risposta si evidenziano di nuovo criticità sulla formazione online, questa categoria raccoglie la percentuale più alta con il 36,32%, seguita dalla categoria “incontri di accoglienza/di restituzione” con il 26,63%, poi da “osservazione in classe e peer to peer” con il 19,1%, nella categoria “nessuna” si registra una percentuale del 15,9% infine per i “laboratori” si ottiene la percentuale più bassa con l’1,94%.

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Fig. 1: frequenze item 19 – Quale fase del modello formativo si può eliminare?

Conclusioni Una premessa importante da fare prima di discutere le conclusioni che riguardano la prima parte dell’analisi dei dati raccolti riguarda il fatto che alcune decisioni sul trattamento dei dati, sulla selezione delle variabili di cui descrivere, per ora, l’andamento sono scaturite dalle evidenze raccolte che hanno guidato man mano l’approccio con la matrice fino a giungere ai risultati qui presentati. Si sta completando l’analisi delle altre dimensioni rilevate attraverso gli item 8-10-17, l’analisi bivariata e quella fattoriale. Come sappiamo, nella presentazione dei risultati “è necessario anche non nascondere gli errori che si sono commessi, le difficoltà che si sono incontrate nel corso della ricerca e i punti di debolezza. […]”, poiché “può darsi che la ricerca, nonostante gli errori effettuati e le difficoltà presentate, possa ugualmente contenere informazioni utili e suggerire nuove strade da percorrere” (Lucisano & Salerni, 2002, p. 336) e perciò segnaliamo alcuni limiti e difficoltà riscontrati. Le difficoltà iniziali, di tipo organizzativo, sono collegate principalmente alla problematicità nella comunicazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale e Regionale, con ricadute importanti anche sui tempi di svolgimento della ricerca. Meno critico e problematico, invece, il rapporto con le scuole polo e con le altre scuole che hanno dato la disponibilità nelle fasi iniziali della ricerca. In generale, l’approccio dal basso è risultato molto più agevole, funzionale ed efficace. Entrando più strettamente nel merito della ricerca, abbiamo riscontrato degli errori in fase di operativizzazione della variabile “laboratori formativi”. Le domande del questionario, a tal proposito, sono eccessivamente generiche e non restituiscono un quadro dettagliato della situazione relativa ai singoli laboratori formativi, considerati cioè separatamente per area tematica. In effetti non siamo in grado di dire quali siano state le differenze nella modalità di conduzione in base alla distinzione per argomento, ad esempio non sappiamo se, tenendo conto di questo criterio, alcuni siano stati più nozionistici e altri meno, se in alcuni sia stato dato più spazio alle esercitazioni e meno alla presentazione dei contenuti, ecc. I dati raccolti ci

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danno informazioni globali su questa dimensione e quindi vanno lette e interpretate alla luce di tale limite. In effetti, ritornando alle conclusioni, dai dati emerge una insoddisfazione per le attività di laboratorio, accompagnata da giudizi non favorevoli sui quali però, a causa dei motivi sopraesposti, non è stato possibile fare un approfondimento per area tematica, andando a rilevare le specifiche criticità per ciascun laboratorio. Le esperienze vissute come più significative sono quelle legate alle osservazioni: nelle attività peer to peer si registrano buone percentuali di scelta per le modalità positive, segno del fatto che ne è stata percepita l’utilità e segno anche del fatto che probabilmente, per un docente neo-immesso in ruolo contano molto sia la dimensione relazionale che le opportunità di avere momenti di confronto, scambio e discussione con i colleghi. La struttura della piattaforma non convince e i giudizi sulla formazione on-line, anche se positivi, fanno emergere delle difficoltà riscontrate nella fruizione, confermate anche dal punteggio medio più alto (7,7) che si registra per l’affermazione “la formazione on line andrebbe snellita/velocizzata”. La compilazione del bilancio, benché non percepita come un mero adempimento burocratico, è comunque un’operazione poco aderente alla realtà scolastica e anche in questo caso, se ne riconosce l’utilità ad un livello teorico. Si registrano, in generale, posizioni intermedie dietro le quali si nascondono delle insoddisfazioni e criticità che emergono con maggiore evidenza sulle questioni più specifiche o sulla soddisfazione complessiva. Per quanto riguarda il modello in generale e la sua articolazione in fasi, i docenti ne apprezzano la coerenza interna e le potenzialità formative per lo sviluppo professionale ma solo ad un livello astratto, poiché all’atto pratico, probabilmente per problemi di natura organizzativa o per altri fattori che potrebbero emergere dalle analisi successive, le criticità incidono molto sulla soddisfazione complessiva con una percentuale alta di giudizi negativi soprattutto da parte dei docenti del primo ciclo di istruzione.

Riferimenti bibliografici Aragona B. (2012). Introduzione all’analisi dei dati: analisi monovariata. In E. Amaturo, Metodologia della ricerca sociale (pp. 369-406). Torino: UTET. Bezzi C. (2013). Fare ricerca con i gruppi. Guida all’utilizzo di focus group, brainstorming, Delphi e altre tecniche. Milano: FrancoAngeli. Brescianini C., Fabrizio R. (2016). Il periodo di formazione e prova: aspetti innovativi. In USR ER, Essere docenti in Emilia Romagna 2015-2016. Guida informativa per insegnanti neoassunti (pp. 39-45). Napoli: Tecnodid. Colella F. (2011). Focus group. Ricerca sociale e strategie applicative. Milano: FrancoAngeli. Corbetta P. (1999). Metodologia e tecniche della ricerca sociale. Bologna: il Mulino. Di Franco G. (2001) (a cura di). Esplorare, descrivere e sintetizzare i dati. Guida pratica all’analisi dei dati nella ricerca sociale. Milano: Franco Angeli. Fideli R. (2004). Come analizzare i dati al computer. Roma: Carocci. Lucisano P., Salerni A. (2002). Metodologia della ricerca in educazione e formazione. Roma: Carocci. Magnoler P., Rossi P. G. (2016). Dal bilancio di competenze al portfolio. In USR ER, Essere docenti in Emilia Romagna 2015-2016. Guida informativa per insegnanti neoassunti (pp. 46-50). Napoli: Tecnodid. Marradi A. (1995). L’analisi monovariata. Milano: Franco Angeli. Marradi A. (1980). Concetti e metodo per la ricerca sociale. Milano: Franco Angeli. Notti A.M. (2012). La ricerca empirica in educazione. Metodi, tecniche e strumenti. San Cesario di Lecce: Pensa.

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Paquay L., Altet M., Charlier É., Perrenoud P. (2006). Formare gli insegnanti professionisti. Quali strategie? Quali competenze? Roma: Armando. Trinchero R. (2004). I metodi della ricerca educativa. Roma-Bari: Laterza & Figli. Trinchero R. (2002). Manuale di ricerca educativa. Milano: FrancoAngeli. SchÜn D. (1993). Il professionista riflessivo. Bari: Dedalo.

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Physical fitness of young Italian students: effectiveness of a 12-week supervised extracurricular training Alessandro Acella • Università degli Studi di Bari– alex.acella@live.it Stefania Cataldi • Università degli Studi di Bari – stefania_cataldi@virgilio.it Francesco Fischetti • Università degli Studi di Bari – francesco.fischetti@uniba.it Gianpiero Greco • Università degli Studi di Bari – gianpiero.greco@uniba.it

Forma fisica degli studenti italiani: efficacia di una formazione extracurriculare supervisionata della durata di 12 settimane

Il sovrappeso minaccia la salute degli adolescenti. Questo studio ha esaminato gli effetti di un allenamento multilaterale extracurriculare (MT) della durata di 12 settimane rispetto a un programma di allenamento standard (ST) effettuato a scuola come da programma ministeriale sulle componenti del fitness fisico. 11 ragazzi e 9 ragazze (età 13,6 ± 0,5 anni) sono stati assegnati in modo casuale a un gruppo sperimentale (EG, n= 10) o di controllo (CG, n = 10). Sono stati valutati: indice di massa corporea (BMI), circonferenza vita (WC), test 505 di cambio di direzione rapido (CODS) e corsa 300 m. EG ha svolto MT (90 min, 2 volte a settimana) più ST, mentre CG ha svolto solo ST. Significative interazioni Tempo x Gruppo sono state rilevate a favore di EG per tutte le misurazioni (da –8,37 a –3,50%). Il protocollo MT è stato efficace nel migliorare l’efficienza fisica e ridurre il peso negli adolescenti dopo un periodo di 12 settimane.

Keywords: overweight; obesity; adolescents; multilateral training; physical education; physical activity

Parole chiave: sovrappeso; obesità; adolescenza; allenamento multilaterale; educazione fisica; attività fisica

Francesco Fischetti and Gianpiero Greco contributed to the study design, statistical analysis, interpretation of data, critical review of draft manuscripts and wrote the manuscript. Alessandro Acella and Stefania Cataldi contributed to data collection and assisted with the statistical analysis. All the authors read and approved the final manuscript.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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ricerche

*

The overweight threatens the adolescents’ health. This study investigated the effects of extracurricular multilateral training (MT) lasting for 12 weeks compared to a standard training (ST) program performed at school as required by the ministerial program, on health- and skill-related components of physical fitness. Eleven boys and nine girls (age 13.6 ± 0.5 years) were randomly assigned to an experimental group (EG, n = 10) or control group (CG, n = 10). At weeks 1 and 12, body mass index (BMI), waist circumference (WC), a 505 change of direction speed (CODS) and 300 m run test, were assessed. The EG underwent MT (90 min, 2 times a week) plus ST, while the CG underwent only ST. Significant Time x Group interactions were detected in favor of the EG for all measurements (from –8,37 to –3.50%). The extracurricular MT protocol was effective in improving physical efficiency and reducing weight in adolescents after a period of 12 weeks.


Forma fisica degli studenti italiani: efficacia di una formazione extracurriculare supervisionata della durata di 12 settimane

Introduction

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Overweight and obesity represent a threat to the health of the young population in Italy. In fact, childhood obesity is associated with cardiovascular, endocrine, pulmonary, musculoskeletal and gastrointestinal complications and may also have psychosocial consequences (Ebbeling, Pawlak, Ludwig 2002). The prevalences of obesity and overweight among Italian schoolchildren 11-15 years old are high, particularly in the south and in boys (Lazzeri et al., 2014). Body weight in childhood is an important determinant of overweight in adulthood (Guo et al., 1995; Guo, Chumlea 1999). Those who at a young age were overweight or obese have a higher risk of developing metabolic and cardiovascular disease as adults (Janssen et al., 2005; Must et al., 1992). With reference to these findings, it seems plausible to argue that it is crucial to begin prevention at a young age. In fact, children and adolescents respond better to preventive treatment than do adults (Lau et al., 2007; Rees, 1990). However, obesity is a multi-factorial disorder originating from the interaction between genetic background and environmental factors, such as sedentary lifestyle and unhealthy dietary habits (Janssen et al. 2004; Rankinen et al. 2002). Several studies have shown that insufficient physical activity is an important risk factor for obesity (Brock et al., 2009; Lau et al., 2007). In fact, in the Italian population, research has shown that 5.2% of 11-year-old children, 6.7% of 13-year-old children and 12.4% of 15-year-old children reported never doing any type of physical activity (Cavallo et al., 2013). Overweight and obesity prevention or reduction essentially involves lifestyle modification through behavioral changes at the individual and family level. Programs including individual and family-based behavioral modification, dietary modification, and exercise cause a greater decrease in weight and maintenance thereof and simultaneously eliminate the sedentary lifestyle and increase the energy expenditure (Epstein, 1993; Lau et al., 2007; Magrone & Jirillo 2015). Unfortunately, Italian schools institute only 2 hours per week of physical education, which is not sufficient to prevent overweight and obesity in students. In addition, overweight and obese children have postural control difficulties and worse fine motor skill performance (D’Hondt et al., 2008). Therefore, it becomes very important to recommend extracurricular physical activities (Crouter, Salas, Wiecha, 2016; Li et al., 2014). To this end, we recommend a multilateral training (MT) program that aims to develop basic motor skills and motor qualities such as strength, speed, endurance, agility and flexibility. This multilateral approach respects the physiologic age and psychological maturation of youth and is a means to improve fitness and conditioning (Bompa, 1999). Despite numerous publications on physical activity in students, there are few studies available that have assessed objectively, and with a rigorous design, extracurricular physical activity interventions (Mears & Jago 2016). Consequently, we focused our research on filling the gaps identified in the literature, such as the

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lack of studies of adolescents and interventions performed outside of the school setting (van Sluijs, McMinn, Griffin, 2007). Thus, the purpose of this study was to investigate the effects of an extracurricular MT program lasting 12 weeks compared to the standard training (ST) program at school as required by the ministerial program, on health- and skill-related components of physical fitness in adolescents. Based on the findings of the previously mentioned studies, we hypothesized that participants who underwent extracurricular MT compared to only ST would show a decrease in body mass index (BMI) and waist circumference (WC) and larger improvements in physical fitness tests (i.e., agility, speed and anaerobic power).

1. Methods 1.1 Experimental approach to the problem To test our hypothesis, adaptations following extracurricular MT compared to only ST were assessed using a randomized controlled study design that included pre- and post-testing at weeks 1 and 12, respectively. This research was designed to obtain baseline data of some health-related (i.e., body composition) and skillrelated (i.e., agility, speed, power) components of physical fitness (Caspersen, Powell, Christenson, 1985) in young students, in order to evaluate whether a supervised 12-week MT program can produce improvements. This outcome was defined as statistically significant improvements in anthropometric values (i.e., BMI and WC) and physical fitness tests (i.e., a 505 change of direction speed (CODS) test, 10 m speed test and 300 meter run test) 1.2 Subjects Twenty healthy subjects between 13 and 14 years of age (11 boys and 9 girls, age 13.6 ± 0.5 years, body height 166 ± 4.7 cm, body mass 73.8 ± 4.3 kg, mean ± SD) volunteered to participate in this study. An a priori power analysis (Faul et al. 2007) with an assumed type I error of 0.05 and a type II error rate of 0.20 (80% statistical power) was calculated for measures of physical fitness and revealed that 8 participants per group would be sufficient to observe medium ‘Time x Group’ interaction effects. The subjects were recruited from a junior high school in Puglia (Italy) between January and February 2016. The characteristics of the study population are described in Table 1. The exclusion criteria were (a) children with a chronic pediatric disease, (b) children with an orthopedic limitation, and (c) children older than 14 years of age. All volunteers were accepted for participation.

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Table 1. Characteristics of the study participants.

! CG (n = 10)

Characteristic

EG (n = 10)

M

SD

M

SD

p-value

Age (years)

13.6

0.5

13.7

0.5

0.660

Body height (cm)

165.1

4.4

166.5

5.1

0.519

Body mass (kg)

72.9

3.5

74.8

4.9

0.333

Sex (m/f)

5/5

6/4

Note: m = male; f = female; M = mean; SD = standard deviation; CG = control group; EG = experimental group.

Table 1. Characteristics of the study participants

102

The subjects were randomly assigned to two groups: an experimental group (EG), which underwent extracurricular MT, and a control group (CG), which underwent only ST during school. For randomization, we used the method of randomly permuted blocks using Research Randomizer, a program published on a publicly accessible official website (www.randomizer.org). All participants and their parents received a complete explanation in advance about the purpose of the experiment, its contents, and safety issues based on the Declaration of Helsinki; all subjects provided their informed consent. The study was conducted from February to May 2016. 1.3 Procedures Anthropometric measurements and physical fitness testing were performed at weeks 1 (baseline) and 12 (end of the study). All subjects participated in an introductory training session before the testing procedures. Prior to pre- and post-testing, all participants underwent a standardized 10-minute warm-up that consisted of low-to-moderate intensity aerobic exercise (gradually from 60 to 80 %HRmax) and stretching. After the testing procedures, the subjects performed approximately 5 minutes of stretching exercises that consisted of achilles’ tendon/calf stretches, skier’s stretches, quadriceps stretches, hurdler’s stretches, straddle stretches, groin stretches, back stretches, and archers. The anthropometric measurements were conducted indoors in the school gym, and the physical fitness testing was performed on an outdoor track near the school. The students were tested at the same time of day (3 pm – 6 pm) after school for three days. The order of tests went from non-fatiguing (weight and height for measuring BMI and WC) to speed and change of direction (505 CODS) and ended with an anaerobic power test (300 meter run). All measurements for testing were performed by the same operator, and the test procedures were supervised by a physical education graduate. All trials were performed using standardized test protocols, observing the same conditions. Upon completion of testing, the subjects were assigned randomly to groups. The reliability of the dependent measures was calculated using the intraclass correlation coefficient (ICC).

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1.3.1 Anthropometric measurements Body mass index (BMI). BMI represents the most complete indicator of body fat composition and, at the same time, is the easiest to use. In particular, it is known that in children and adolescents, body fat is better correlated with BMI than with other indicators (Dietz and Robinson 1998). BMI was calculated as body weight divided by the square of body height. Body height (in cm to the nearest 0.1 cm) was measured using a SECA®stadiometer (Hamburg, Germany) and body weight (in kg to the nearest 0.1 kg) using a Tanita® digital scale (Tokio, Japan); the students were barefoot and wore light clothing (WHO, 1995). Height and weight were measured twice without delay between the measurements, and for both, the mean value of the two measurements was taken. Next, the BMI was calculated from these averaged values. The test-retest reliability reported a high reliability for BMI (ICC = 0.99) (Vincent, 2005). Waist circumference (WC). WC provides a simple measure of central adiposity, which might be more predictive of adverse outcomes such as lipid profile. This measure also shows positive associations with cardiometabolic risk factors due to the relationship between waist measurements and visceral adiposity (Savva et al. 2000). WC (cm) was measured twice to the nearest 0.1 cm at the midpoint between the lower border of the last rib and the iliac crest, at the end of a normal expiration, using a non-elastic tape measure (WHO 1995). Next, the two measurements were averaged. The two measurements were taken consecutively, without delay. The test-retest reliability reported a high reliability for WC (ICC = 0.97) (Vincent 2005). 1.3.2 Physical fitness testing 505 change of direction speed (CODS) test. This test was used to measure a component of agility, which is defined as including perceptual and reactive decisionmaking factors, and the change of direction speed. CODS is determined by technical factors such as stride adjustments and by physical elements such as straight sprinting speed and leg muscle qualities, which include strength, power and reactive strength (Sheppard, Young, 2006; Young, Farrow 2006). In this study, the 505 CODS test involved a high-velocity 180° directional change, which was executed during the test. The subjects began by standing behind a set of timing gates (Microgate, Bolzano, Italy), then sprinted 10 m through a second set of timing gates, then sprinted a further 5 m, at which point they passed with both feet through a photocells system, turned 180°, and completed the test by sprinting 5 m back through the timing gates (Figure 1). The subjects completed 2 trials, planting and changing direction with their preferred leg only. Limb dominance or the ‘preferred limb’ was defined as the limb that a subject chooses and relies on to carry out a variety of functional activities. Each participant performed 2 trials (best time recorded to the nearest 0.01 s) with 3 minutes of rest in between. The 505 COD time(s) and approach speed(s) across the first 10 m were used as dependent variables. The test-retest reliability reported a moderate reliability for the 505 COD time (ICC = 0.84) and a high reliability for the 10 m speed test (ICC = 0.90) (Vincent 2005).

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! Figures

"#$%&'!(! Figure 1. Diagram of the 505 change of direction speed test. Participants perform the test as fast as possible from the start line to the stop light gate (10 m speed test) and from the start to the turning point and back to the stop light gate (505 COD time). 300 meter run test. This test assesses lower extremity anaerobic power via sprinting (Tharp et al. 1985). The students were instructed to run as fast as possible and to complete two trials separated by a 5-minute rest period. Two pairs of cones were used to delineate the 300 meters in the outdoor track. Upon completion, each participant’s’ time was recorded to the nearest 0.01 s on a hand-held stopwatch (Reiman and Manske 2009). The minimum time (s) recorded in the trials was taken as a dependent variable. The test-retest reliability reported a moderate reliability for the 300 meter run test (ICC = 0.83) (Vincent 2005). 1.3.3 Multilateral training (MT) protocol The subjects allocated to the EG underwent an MT program for a period of 90 minutes, two days a week, with a total of 24 training sessions. The entire intervention program was implemented in 12 weeks from the beginning of February until the end of May 2016. The MT program was supervised and conducted by 2 experienced instructors who are graduates in physical education. Each training sessions started with a brief dynamic warm-up program mainly consisting of callisthenic-type exercises for 10 minutes and ended with a 10-minute cool-down program consisting of static stretching exercises. The targeted components of the MT program included cardiovascular endurance, agility, dynamic strength, flexibility, and team-building activities.

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Table 2. Sample Multilateral Training protocol performed for 90 minutes, two days a week Warm up

Cardiovascular endurance

Resistance training

Arm swings Trunk twisting High marching Stride jumping High knees Side bending Side stretching Skipping leg swings Backward sprinting Lateral shuffles

Running Walking Circuits Sprint intervals Agility (i.e., the ladder exercise)

Jump squats Lunges Push-ups Pull-ups Curl-ups Half squats Long jumps Planks Medicine ball tosses

Guidelines Duration: 10 minutes. Perform each exercise for 60 s, 1 sets

Guidelines Duration: gradually from 20 to 30 minutes; Intensity: 60 to 90 %HRmax; Progression: increase duration before intensity

Guidelines Duration: 10-20 minutes. 1-2 set of 8–15 repetitions with 45 sec of slow walking between each exercise

Flexibility Trained using both dynamic and static stretches, typically as is done in the warm-up or cooldown phase of each training session.

Team building

Cool down

Volleyball Basketball Handball Soccer Modified forms of the previous team games

Static stretching: Achilles' tendon/calf stretches Skier's stretches Quadriceps stretches Hurdler's stretches Straddle stretches Groin stretches Back stretches Archers.

Guidelines Duration: about 20 minutes. Performed at the end of the session, before the cool-down

Guidelines Total duration: 10 minutes. Overload: stretch beyond resting length but not beyond pain-free ROM; Duration: 10-30 sec/stretch; Repetitions: 2-4; accumulate 60 sec per exercise; Progression: gradual increase in stretch duration or repetitions.

Table 2. Sample Multilateral Training protocol performed for 90 minutes, two days a week

The dynamic warm-up included arm swings, trunk twisting, high marching, stride jumping, high knees, side bending, side stretching, skipping leg swings, backward sprinting, and lateral shuffles. The cool-down included traditional movements such calf stretches, quadriceps stretches, back stretches, straddle stretches and groin stretches. Cardiovascular endurance consisted of a variety of training exercises, including running, walking, circuits, sprint intervals and agility (i.e., the ladder exercise), performed gradually from 20 to 30 minutes. This training program was incorporated into every training session. Dynamic strength included resistance training and body weight plyometrics such as jump squats, lunges, push-ups, pull-ups, curl-ups, half squats, long jumps, planks and medicine ball tosses. This program began with 1-2 set of 8–15 repetitions with 45 sec of slow walking between each exercise and adequate exercises to include all major muscle groups. In addition, this training program was included into every session and lasted 10 to 20 minutes. Flexibility was trained using both dynamic and static stretches, typically as a part of the warm-up or cool-down phase of each training session. The team-building activities of the training program consisted of team games such as volleyball, basketball, handball and soccer. The adolescents also played modified forms of these sports. The activities were characterized by a predominantly playful approach to encourage enthusiasm, socialization and participation of the young students. These activities were performed at the end of the session, before the cool-down.

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Furthermore, adolescents in the EG were encouraged to remain active during these 12 weeks; to this end, we provided some tips on lifestyle and nutrition education. For example, we recommended to parents that there not be a television in the children’s bedrooms, and we encouraged family rules restricting television viewing and recommended not having the television on during dinner. Additional instructions included purchasing healthy foods, practicing regular meal times, allocating individual portions, creating opportunities for physical activities, and encouraging the parents to act as role models for healthy eating. 1.4 Statistical analyses

106

All analyses were performed using SAS Jmp Statistics (v. 12.1, Cary, NC, USA), and the data are presented as group mean values and standard deviations. Because we could not detect significant differences between males and females (p > 0.05), the data were pooled for males and females. A multivariate analysis of variance (MANOVA) was used to detect differences between the study groups in all baseline variables. A mixed between-within subjects analysis of variance (ANOVA) was used to determine the interaction between the two independent variables of training (pre/post; within-subjects factor) and group (EG and CG; between-subjects factors) on the dependent variables of physical fitness. When ‘Time x Group’ interactions reached the level of significance, group-specific post hoc tests (i.e., paired t-tests) were conducted to identify the significant comparisons. Additionally, classification of the effect size (f) was used to estimate the magnitude of differences within each group by calculating the partial η2. According to Cohen (1988), 0.00 ≤ f ≤ 0.24 indicates a small effect, 0.25 ≤ f ≤ 0.39 indicates a medium effect, and f ≥ 0.4 indicates a large effect. Statistical significance was set at p < 0.05.

2. Results All subjects received the treatment conditions as allocated. Twenty participants completed the training program, and none reported any training-related injury. Table 3 describes the pre- and post-intervention results for all outcome variables. Overall, there were no significant differences in mean age, height, weight and baseline values between the two intervention groups (p > 0.05).

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Table 3. Effects of the multilateral training program on measures of physical fitness. Control group (n = 10)

Variables

Post

Pre

M

SD

M

Experimental group (n = 10)

Δ (%)

SD

Pre

M

Post

SD

M

Δ (%)

p-value (effect size f) Main effect: Time

Main Interaction: effect: Time x Group Group

SD

BMI (kg/m2) 26.74 0.82 26.82 0.92

0.30 26.99 1.43 25.98 1.37 -3.74 < 0.0001 0.5687 (0.21) (0.14)

< 0.0001 (0.24)

WC (cm)

88.20 2.44 88.10 2.56

0.11 88.60 3.86 85.00 3.53 -4.06 < 0.0001 0.3446 (0.31) (0.22)

< 0.0001 (0.29)

505 COD time (s)

3.87

0.23

3.94

0.19

1.81

3.94

0.27

3.61

0.26 -8.37

0.0006 (0.27)

0.2137 (0.29)

< 0.0001 (0.50)

10 m speed (s)

2.88

0.18

2.97

0.11

3.12

2.92

0.24

2.73

0.15 -6.51

0.3872 (0.15)

0.0854 (0.30)

0.0202 (0.43)

300 m run (s)

65.59 3.24 67.14 3.58

2.36 67.39 4.03 65.03 3.28 -3.50

0.2448 (0.06)

0.9215 (0.02)

< 0.0001 (0.29)

Note: M = mean; SD = standard deviation; BMI = body mass index; WC = waist circumference; COD = change of direction; Δ = mean difference.

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Table 3. Effects of the multilateral training program on measures of physical fitness.

Body mass index (BMI) A significant main effect of ‘Time’ (F1,18 = 31.05, p < 0.0001, f = 0.21), but not of ‘Group’, was found for BMI. In addition, a significant ‘Time x Group’ interaction was detected (F1,18 = 41.85, p < 0.0001, f = 0.24) (Figure 2a). The post hoc analysis revealed a! significant decrease in BMI measurements from pre- to post-test in the EG (Δ –3.74%, p < 0.0001) (Table 3). " #$%&'!)! "#$%&'!)! !! a)

b b))

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Figure 2. Mean ± SD pre- and post-testing data for a) BMI and b) WC in the experimental group (EG, multilateral training program) and control group (CG, only standard program). Unfilled squares indicate mean data of the EG, and unfilled circles indicate mean data of the CG.

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Waist circumference (WC) Our statistical calculations revealed a significant main effect of ‘Time’ (F1,18 = 57.84, p < 0.0001, f = 0.31), but not of ‘Group’, for WC. However, a significant ‘Time x Group’ interaction was found (F1,18 = 51.76, p < 0.0001, f = 0.29) (Figure 2b). The post hoc analysis revealed a significant decrease in WC measurement from preto post-test in the EG (Δ –4.06%, p < 0.0001) (Table 3). 505 CODS test 505 COD time The statistical analysis indicated a significant main effect of ‘Time’ (F1,18 = 17.2, p = 0.0006, f = 0.27), but not of ‘Group’, for the 505 COD time. Again, a significant ! ‘Time x Group’ interaction was found (F1,18 = 45.79, p < 0.0001, f = 0.50) (Figure 3a), and the post hoc analysis revealed a significant decrease in time to run the 505 CODS test from pre- to post-test in the EG (Δ –8.37%, p < 0.0001) (Table 3). "#$%&'!*! " #$%&'!*! !!! a)

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Figure 3. Mean ± SD pre- and post-testing data for a) 505 COD time and b) 10 m speed test in the experimental group (EG, multilateral training program) and control group (CG, only standard program). Unfilled squares indicate mean data of the EG, and unfilled circles indicate mean data of the CG.

10 m speed test In terms of the approach speed across the first 10 meters, the statistical analysis revealed a significant ‘Time x Group’ interaction (F1,18 = 6.49, p = 0.0202, f = 0.43) (Figure 3b). However, we could not detect a significant main effect of ‘Group’ or ‘Time.’ The post hoc analysis revealed a significant decrease in the run time from pre- to post-test in the EG (Δ –6.51%, p = 0.0268) (Table 3). 300 meter run test A significant ‘Time x Group’ interaction was found (F1,18 = 33.46, p < 0.0001, f = 0.29) (Figure 4). However, no significant main effects of ‘Group’ and ‘Time’ were detected. The post hoc analysis revealed a significant decrease in run time from pre- to post-test in the EG (Δ –3.50%, p = 0.0004), whereas a significant increase was found in the CG (Δ 2.36%, p = 0.0157) (Table 3).

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Figure 4. Mean Âą SD pre- and post-testing data for the 300 m run test in the experimental group (EG, multilateral training program) and control group (CG, only standard program). Unfilled squares indicate mean data of the EG, and unfilled circles indicate mean data of the CG.

3. Discussion This study sought to fill some gaps identified in the literature about extracurricular physical activity interventions for adolescents outside the school setting. Thus, through a randomized and controlled research design, this study investigated the effects of an extracurricular MT compared to an ST program performed at school, on health- and skill-related components of physical fitness in adolescents. The main findings of this study were that (1) anthropometric values (i.e., BMI and WC) decreased in the EG after the 12-week training period, indicating weight loss, and (2) performance in physical fitness tests (i.e., 505 CODS test, 10 m speed test and 300 meter run test) significantly improved in the EG after the same training period. At baseline, the students’ BMI was classified as overweight (Cole et al. 2007), which is similar to that reported by Lazzeri et al. (2014) for adolescents in Southern Italy. Even the WC values were high, indicating an increased risk of cardiovascular disease (Savva et al. 2000). It is well known that overweight and obesity have a negative impact on the health of youths (Ebbeling, Pawlak, and Ludwig 2002; Janssen et al. 2005; Must et al. 1992) who respond effectively to preventive treatments (Lau et al., 2007; Rees, 1990). In effect, our results are in accordance with the literature regarding the efficacy of physical activity in preventing overweight and obesity, showing that insufficient physical activity is one of the important risk factors for obesity (Brock et al. 2009; Lau et al. 2007). However, few research studies conducted with a rigorous design and appropriate sample size have objectively evaluated the effects of physical activity performed after school compared to that performed only during school hours. For example, an observational design study by Crouter, Salas, and Wiecha (2016) found significant improvements in strength and body composition in obese youth after a three-month afterschool fitness program. Similarly, in a non-randomized controlled trial, Li et al. (2014) investigated the effects of a multi-component physical activity intervention lasting 12 weeks that included improvement of physical education, extracurricular physical activities for overweight/obese students, physical activities at home, and health education lectures for students and parents. The results showed an effective decrease in BMI among young students. However, our findings extend the existing results because we additionally observed improvements in measures of agility, speed, and anaerobic power in ado-

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lescents following an extracurricular training program. In fact, we encourage this MT protocol because in addition to having obvious health-related benefits, it helps reveal the natural development potential of adolescents. In particular, CODS and agility maneuvers are multidimensional skills requiring the control of individual components of body position, muscle activation, force production and cognitive interpretation (Sheppard and Young 2006; Young and Farrow 2006). Consequently, improvements in the 505 CODS test by the EG after 12 weeks of training could indicate the development of motor skills such as agility, balance, coordination, speed and power. In addition, improvements in the 10 m and 300 m sprint performances could indicate increases in speed and anaerobic power, respectively. With reference to the literature (Drinkard et al., 2001; Epstein, 1993) and our own findings, the positive effects of the MT on physical performance can most likely also be explained by the role of body composition. After 12 weeks, the subjects had lost weight, which resulted in improved physical fitness test results. Moreover, this improvement in performance could be a consequence of motor skill development, as these skills enable increased precision, accuracy and economy of movement (Garrett, Kirkendall 2000). Also in support of our study, we provided parents and students with tips on lifestyle and nutrition education. It is known that family lifestyles have a large impact on the nutritional and behavioral choices of children; in fact, studies have shown an inverse relationship between children’s BMI and family educational level (Gnavi et al., 2000). This study has some limitations that need to be acknowledged. A major limitation of the present study is related to the origin of the subjects; the Apulian students cannot be considered a representative sample of the Italian population, although this group is representative of Southern Italy. In fact, there are differences in the lifestyles of adolescents due to their geographical areas of residence (Lazzeri et al., 2014). Further studies should be encouraged to perform research in other geographical areas. Moreover, we did not investigate the eating habits and lifestyles adopted at home or the level of parental education. However, the aim of this research was to determine the effects of physical activity and not the effects of nutrition education. Unfortunately, it was not possible for organizational reasons to investigate other components of physical fitness; therefore, further studies are needed to measure muscular strength, cardiorespiratory endurance and flexibility in young students. However, the present research provides novel findings in the field of physical education. The findings indicate that a multilateral approach to training might play a key role in improving the health- and skill-related components of physical fitness while respecting the physiological and psychological maturation of adolescents. For this reason, promoting such activities after school would be beneficial for motor skill development and weight loss in students and would also improve their quality of life. In summary, the review of literature underlines the lack of studies assessed objectively, and with a rigorous design, of interventions for adolescents outside the school setting. Our findings suggest that an extracurricular MT protocol was effective in improving physical efficiency and reducing weight in adolescents after a period of 12 weeks. Thus, inclusion of an extracurricular physical activity performed using a multilateral approach might be more beneficial than having only standard programs at school. More research on the importance of physical activity on the health of young students is needed, especially in Italy.

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4. Practical applications Professionals working in the fields of health, physical education, human movement studies and sport in schools should be encouraged to develop extracurricular activities with a multilateral approach consisting of cardiovascular endurance, agility, dynamic strength, flexibility, and team building, all characterized by a predominantly playful approach to encourage enthusiasm, socialization and participation of young students. Furthermore, these professionals should promote physical activity and plan social policies for the enhancement of sports for students, entrusting qualified personnel who are scientifically and pedagogically prepared to conduct motor and sports training programs. Funding The author(s) received no financial support for the research, authorship, and/or publication of this article. Disclosure Statement The author(s) declared no potential conflicts of interest with respect to the research, authorship, and/or publication of this article.

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Validazione e standardizzazione della versione italiana del questionario “Come Ti Senti?” sul benessere e disagio nella scuola secondaria di primo grado Irene Stanzione • “Sapienza” Università di Roma – irene.stanzione@uniroma1.it

Validation and standardization of the Italian version of the questionnaire “How do you feel?” about well-being and ill-being in the lower secondary school

This study explores the structural validity of the “How do you feel?” questionnaire measuring the well-being of lower secondary school level’s pupils. It was developed in collaboration with Moscow State University of Psychology & Education (MGPPU). The study involved a convenience sample of 2,029 students from 9 schools throughout the city of Rome. Findings of the Confirmatory Factor Analysis demonstrated the hypothesized model fits data for the measures Wellbeing and ill-being, respectively constituted of 4 (Sense of protection, Satisfaction, Family Support, Climate) and 5 dimensions (Neurovegetative anxiety, Fear of judgment, Anxiety in being evaluated, Anxiety in relationships with peers, Non-specific anxiety). After validation, the questionnaire has been standardized.

Parole chiave: Benessere, Disagio, Validazione, Scuola secondaria di primo grado

Keywords: Well-being, Ill-being, Validation, Lower secondary school

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Lo studio esamina la validità fattoriale del questionario Come ti senti? sul benessere degli studenti nella scuola secondaria di primo grado elaborato in collaborazione con l’Università Psicopedagogica della città di Mosca (MGPPU). La ricerca è stata condotta su un campione di giudizio di 2029 studenti di nove scuole distribuite sul territorio di Roma. I risultati dell’analisi fattoriale confermativa attestano l’adeguatezza del modello ipotizzato per le scale di benessere e di disagio che si suddividono rispettivamente in 4 e in 5sotto-dimensioni (il benessere si suddivide in: Senso di Protezione, Soddisfazione, Supporto familiare, Clima; il disagio si suddivide in: Ansia neurovegetativa, Paura del giudizio degli altri, Ansia da valutazione, Ansia rapporto con i pari, Ansia aspecifica. Sulla base della struttura fattoriale validata si è proceduto alla standardizzazione dello strumento.


Validazione e standardizzazione della versione italiana del questionario “Come Ti Senti?” sul benessere e disagio nella scuola secondaria di primo grado

Introduzione

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L’interesse di ricerca per il benessere a scuola è spesso legato ad indagini volte all’associazione di aspetti del benessere con comportamenti di salute o con la definizione di profili a rischio (Hbsc, 2016; Berchialla et al. 2011; Veltro, 2015). Questi ultimi vengono definiti sia in relazione a comportamenti di salute come gli abusi o i consumi eccessivi di alcool e tabacco sia anche a situazioni estreme di disagio che portano poi ai fenomeni legati al drop-out (Dettori, 2009). Alcune ricerche sul piano nazionale e internazionale hanno iniziato ad interessarsi al fenomeno del benessere/disagio a scuola dal punto di vista del successo e del rendimento scolastico analizzando la relazione tra i risultati ottenuti a scuola e alcuni fattori di benessere (OECD, 2015; Berchialla et al. 2011). Tuttavia gli aspetti indagati relativi al benessere risultano ancora poco approfonditi in quanto spesso limitati alla sola definizione di un item che rileva la soddisfazione o il gradimento della scuola. Vezzani e Tartarotti già nel 1988 sostenevano che l’azione preventiva nei confronti del disagio e della devianza dovesse assumere un’ottica di «promozione della qualità della vita e della convivenza così come esse si concretizzano nell’ordinarietà dell’esperienza quotidiana». Quello del delegare questa tipologia di problemi a fonti autorevoli ed esperte è un rischio sottolineato da diversi ricercatori. Damiani afferma nella prospettiva di una formazione dedicata agli insegnanti che «l’ipotesi di un percorso di formazione “relazionale” per i docenti restituisce loro la titolarità di un compito pedagogico contro la logica della “delega all’esperto” o del disimpegno, gettando lo sguardo oltre l’“alunno-problema”» (Damiani, 2011). Lo scopo che questa ricerca si propone è quello di spostare il focus del benessere/disagio a scuola sulle azioni pedagogiche intrinseche all’ambiente scolastico. In un’ottica interazionista, parte della letteratura pedagogica e psicologica legge l’interazione dell’individuo con l’ambiente come il fulcro di un’esperienza realmente educativa (Dewey 1916, 1938; Brofenbrenner, 1979), cioè un’esperienza di qualità dove viene tutelata la qualità delle relazioni (Carmeli, Gittel, 2009). Non è possibile quindi prendere in considerazione i risultati dell’apprendimento e il successo scolastico senza tener presente i seguenti aspetti: come stanno i propri studenti, cosa del contesto influisce sul loro benessere, in quale relazione sono i fattori di contesto. Per potersi formare a delle azioni preventive rivolte al benessere/disagio, risulta importante avere un quadro chiaro di come si sentano i protagonisti dell’esperienza, cioè gli studenti. L’obiettivo che ha guidato la ricerca è stato quello di validare un questionario che servisse alle scuole per avere un quadro sulle condizioni di benessere e disagio degli alunni e di standardizzarlo in modo che i risultati fossero di facile lettura.

1. Costrutto teorico Il benessere secondo Petrillo e Donizzetti (2010) segue tre principali linee di ricerca: il benessere soggettivo, fondato su un’analisi dell’esperienza individuale di benessere, intesa come un’esperienza emozionale positiva e la presenza di sentimenti di sod-

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disfazione nei confronti della propria vita; il benessere psicologico, di cui Ryff è la più grande esponente, inteso come funzionamento psicologico ottimale o “salute mentale positiva”. Ryff si è dedicata all’analisi dei diversi elementi che vi concorrono. Tra i più rilevanti ritroviamo: l’autonomia, la padronanza ambientale, la crescita personale, le relazioni positive con gli altri, l’avere scopi nella vita e l’accettazione di sé; il benessere sociale, poi successivamente psico-sociale, supera i limiti dati da una visione puramente individuale per entrare in una concezione più ampia che legge l’interazione dell’individuo con l’ambiente nel quale è inserito e legge il benessere come frutto di questa interazione. È proprio a partire da questa assunzione, cioè che il benessere sia il frutto di una naturale interazione tra l’individuo e l’ambiente, che abbiamo costruito un questionario atto ad indagare il costrutto di benessere educativo, che si distanzia dal benessere sociale perché è calato specificatamente nel contesto scolastico. Grazie all’interazione dell’individuo con l’ambiente si attivano i meccanismi di apprendimento, già teorizzati nel ‘900 da autori come Dewey (1916, 1938), Vygotskij (1934), Brofenbrenner (1979) e Rogers (1951). La soddisfazione dei bisogni di crescita personali come preparazione di un terreno fertile all’apprendimento è perciò un tema che si è delineato in molti autori classici e ricerche contemporanee nazionali ed internazionali. Uno dei bisogni che hanno necessità di essere soddisfatti per creare un meccanismo di apprendimento è quello che Maslow (1954) descrive nella sua «piramide» come il bisogno di sicurezza. Questo si posiziona tra quelli fondamentali e grazie alla sua realizzazione crea motivazione e autonomia nell’individuo. La motivazione infatti risulta essere una dimensione strettamente legata all’apprendimento (Caputo, 2015), legata a processi psicologici quali, la concezione del sé, l’ autonomia, l’autostima, il desiderio di successo e la paura di fallire (Hoppe, 1930; McClellandet al., 1953). Caputo afferma come tutte queste teorie, evidenzino uno stretto legame tra aspetti cognitivi e emotivi e per questo è essenziale considerare dimensioni quali la motivazione e la paura dell’insuccesso, quando si costruiscono esperienze di apprendimento (Caputo, 2015). Quello della paura, strettamente legata all’ansia (Sanavio, Cornoldi 2001), è un aspetto che influenza con decisione il processo di apprendimento. Rogers, ad esempio, afferma come la minaccia del sé blocchi la capacità di apprendere (1951). Tuttavia la paura, come l’ansia, non sono di per sé elementi negativi perché aiutano, secondo un’impronta evoluzionistica, a fiutare il pericolo e quindi attivano le energie e le strategie necessarie per difendersi (Sanavio, Cornoldi, 2001). Le stesse ricerche contemporanee confermano questo aspetto, ad esempio Berchialla et al. hanno trovato un effetto «legato anche alla percezione dello stress in base al quale chi dichiara di percepire almeno un po’ di tensione da compiti ha un rendimento migliore sia in Italiano che in Matematica rispetto a chi non percepisce stress» (Berchialla et al., 2011). Per tale ragione risulta ancora più importante, scopo che si è voluto raggiungere con la standardizzazione delle scale di disagio, avere un quadro chiaro dei livelli di ansia e di disagio degli studenti che in forma grave possono essere determinanti nel bloccare dei processi di apprendimento e in forma lieve possono essere anche, se supportati da un contesto positivo, stimolanti per la motivazione all’apprendere. Una tendenza che risulta in atto a tutela di quei fattori che possono ostacolare un sano processo di apprendimento, è quella di delegare a figure esterne alla scuola questo tipo di attività, concentrandosi soprattutto su eventi occasionali di formazione, sia per insegnanti che studenti, o su figure esterne con competenze specifiche come il counsellor o lo psicologo scolastico. Senza sminuire l’importanza di queste attività e di queste figure, che hanno il vantaggio di una visione esterna e quindi di una meta-analisi delle situazioni e della straordinarietà dell’esperienza, che è carica di possibilità di azione, questo studio pone l’accento sulla promozione

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di una qualità della vita e delle relazioni che mira ad un’ordinarietà dell’esperienza scolastica (Vezzani, Tartarotti, 1988). Damiani sottolinea come la dimensione relazionale sia al centro del lavoro scolastico e come le difficoltà in questo ambito possano creare condizioni di insoddisfazione che favoriscono l’insuccesso scolastico e un clima di classe non positivo (Damiani, 2011). Damiani afferma: «La necessità di disporre tempi e spazi per rendere visibili e comparabili temi e problemi dell’esperienza relazionale in ambito scolastico si propone la doppia finalità dello stare bene a scuola (per i docenti come per i loro allievi), in termini di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, e dell’efficacia del processo di insegnamento – apprendimento e del successo scolastico. Le dimensioni evolutiva ed educativa, dello sviluppo e dell’apprendimento, non possono essere scisse e non possono essere trattate in modo parziale o peggio distorsivo senza compromettere la possibilità di una loro realizzazione autentica». Dal punto di vista delle indagini nazionali ed internazionali, Pisa nel 2012 ha chiesto per la prima a volta agli studenti di esprimere come si sentivano a scuola in quanto buon indicatore su come i sistemi d’istruzione provvedano a favorire o minare il benessere degli studenti (OECD, 2015). “PISA in focus n.50” mostra come le relazioni positive tra insegnati e studenti siano associate con migliori performance in matematica, affermando come il benessere sociale ed emotivo degli studenti sia collegato al successo scolastico. Gli studenti che riportano di avere buone relazioni con gli insegnati (es. vanno d’accordo con molti insegnati; molti insegnanti si interessano del loro benessere; molti insegnanti ascoltano veramente ciò che hanno da dire; ricevono aiuti “extra” dagli insegnati, se necessario; e molti insegnanti li trattano in modo equo) mostrano livelli più alti di benessere a scuola, stringono amicizie più facilmente, hanno maggiori livelli di appartenenza alla scuola e di soddisfazione. Un’altra indagine che esplora aspetti di benessere a scuola è lo studio HBSC (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare). HBSC è uno studio internazionale svolto ogni quattro anni, in collaborazione con l’Ufficio Regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’Europa. L’indagine coinvolge i ragazzi di 11, 13 e 15 anni (www.hbsc.unito.it). Lo studio mette in luce aspetti legati alla scuola con l’agire o meno comportamenti di salute. Le dimensioni indagate dallo studio HBSC sono state associate con il ritardo scolastico e con i diversi livelli di apprendimento rilevati attraverso le prove INVALSI 2010 in matematica e in italiano per definire i determinanti dell’insuccesso scolastico (Berchialla et al., 2011). Per il primo scopo sono state prese in considerazione il rapporto con gli insegnanti, il gradimento scolastico e il rapporto con i compagni. Per il secondo scopo è stata stimata l’associazione dei fattori relativi al clima di classe ed al benessere percepito con l’apprendimento. All’interno dell’indagine, a conferma di quanto affermato fino ad ora sull’interdipendenza dei fattori emotivi e cognitivi, si legge di come il sostegno sociale fornito dagli insegnanti e dai coetanei all’interno dell’ambiente scolastico e dagli amici influenzi positivamente il rendimento scolastico, il benessere generale e le relazioni nei contesti sociali (Cauce, 1986; Dubow, 1989; Dubow, 1991; Zappulla, 2000). Un’altra dimensione rilevante è il senso di appartenenza alla scuola (indagata anche in questo studio attraverso delle domande preliminari che non costituiscono una scala di misura e che non verranno prese in considerazione in questo articolo) alla quale si associano « importanti elementi motivazionali, di atteggiamento e comportamentali che sono alla base non solo del successo scolastico ma anche, in senso più ampio, del benessere biopsico-sociale dei ragazzi (Vieno, 2005; 2005; 2007)».

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In conclusione si può affermare che nonostante non sia possibile definire un quadro completo dei fattori implicati nei processi che riguardano il benessere/disagio a scuola in relazione ad un’esperienza educativa di qualità e all’ apprendimento, in quanto fenomeni multidimensionali e non incorniciabili in un disegno definitivo, risulta importante indagare le relazioni esistenti tra aspetti legati al mondo emotivo ed individuale degli studenti e la loro esperienza scolastica. La maggior parte delle ricerche sul benessere a scuola lo associa ai comportamenti di salute dei giovani e conduce formazioni con programmi di intervento educativi, campagne informative, lezioni frontali, esperti esterni, etc. (Veltro, 2015). Questo studio si pone l’obiettivo di portare l’attenzione sulle pratiche pedagogiche e sugli influssi dell’ambiente scolastico per la creazione di un ambiente che migliori il benessere degli attori coinvolti e che sia quindi di stimolo ai processi di apprendimento. Le prospettive future di ricerca che ci poniamo con questo studio mirano ad individuare il legame tra il benessere degli studenti e il benessere degli insegnanti attraverso un’analisi multi-level che consenta di capire l’influenza del benessere degli uni sugli altri.

2. La ricerca

119

Il questionario Come ti senti? è stato costruito da Anna Antonova partendo da tre questionari russi (Antonova, Chumakova, Stanzione, 2016). Lo scopo dell’autrice era riadattare uno strumento russo per un campione italiano in modo tale da poter condurre un’analisi cross-culturale (Antonova, 2015- tesi di dottorato). Il questionario inizialmente era composto da 145 item1 e si è ridotto a 76 item. Lo strumento ha subito diverse modifiche dalla sua costruzione fino ad oggi. In Italia è stato somministrato in due tempi per arrivare alla presente validazione definitiva della versione italiana, specificatamente con un try out nel 2015su un campione composto da 848 studenti e con una ri-somministrazione nel 2016su un campione più ampio di 2029 studenti che ha portato alla sua definitiva validazione e standardizzazione. L’obiettivo che ha guidato lo studio è stato ottenere una struttura fattoriale più forte, con degli indici di affidabilità maggiori, riducendo allo stesso tempo il numero degli item per giungere ad uno strumento più fruibile. Lo scopo ultimo era costruire degli indicatori standardizzati che fungessero da guida alla lettura dei risultati. Con il fine generale di investigare la validità di costrutto delle scale, sono state sottoposte a verifica due ipotesi: 1. Gli item costruiti per la misura dei costrutti Benessere e Disagio si configurano nella struttura fattoriale ipotizzata, ovvero misurano, in maniera attendibile, diversi aspetti dei costrutti sottostanti; 2. Il modello teorico ipotizzato è confermato empiricamente ed esiste una relazione statisticamente significativa e negativa tra i costrutti Benessere e Disagio.

1

Si è partiti da tre strumenti costruiti in Russia (Antonovaet al., 2016): 1) Questionario Diagnostica della sicurezza psicologica nell’ambiente educativo (Baeva, 2011); 2) Il Test Multifattoriale di ansia nei bambini (Malkova, 2006); 3) Questionario Sicurezza psicologica nell’ambiente scolastico (Kovrov, Kozhukhar, 2008).

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3. Metodo Campione

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Nel presente studio condotto nel 2016 il campione era composto da 2029 studenti della scuola secondaria di primo grado. La fascia di età è stata scelta sulla base delle caratteristiche della preadolescenza e dell’adolescenza (Erikson, 1968). Questa fascia di età si delinea come fase di profondi cambiamenti fisici, psicologici, emozionali e relazionali (Palmonari, 2007). In questi cambiamenti di vita si configurano di importanza fondamentale i contesti nei quali i ragazzi vivono le loro principali esperienze in quanto grazie a queste si delinea la loro identità: i coetanei, la famiglia e la scuola, che si configura come l’esperienza più importante per quanto concerne la sperimentazione del sé e la verifica delle proprie abilità cognitive e relazionali (Pombeni, 1997).Le scuole sono state reclutate sulla base della loro disponibilità, il campione è dunque di convenienza. Le scuole si distribuiscono sul territorio di Roma, toccando sia la periferia che le zone centrali, e delle province limitrofe. Il campione totale di 2029 studenti è composto dal 49% di maschi e il 51% di femmine. Gli studenti si distribuiscono in maniera equa nelle tre classi della scuola secondaria di primo grado: 778nelle classi prima (38,3%), 568 nelle classi seconde (28%), 683 nelle classi terze (33,7%). Gli studenti del campione totale sono per il 93,2% italiani, mentre per il 6,8% sono stranieri. Procedura Il questionario è stato somministrato durante il mese di Marzo del 2016. Le somministrazioni sono avvenute in formato cartaceo o elettronico, tramite Google Form, seguendo uno stesso protocollo di somministrazione. A questo scopo sono stati formati diversi somministratori appartenenti al corso di Laurea in Scienze dell’educazione e della formazione dell’università “Sapienza” di Roma. Per ogni somministrazione, sia cartacea che elettronica, è stato steso un verbale dai somministratori presenti. È stata esplicitata la confidenzialità e l’anonimato delle rilevazioni. I dati sono stati restituiti alle scuole entro i sei mesi successivi alla somministrazione tramite uno stesso formato di report. In alcune scuole, le quali ne hanno fatto esplicita richiesta, i dati sono stati riportati e spiegati in plenaria alla presenza del corpo docenti. Misure Il questionario è composto da due scale di misura composte da diverse sottodimensioni. La prima scala misura il benessere e si compone delle seguenti sottodimensioni: – Il Senso di protezione è misurato con 7 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,931. Si misura la protezione percepita nel rapporto con i pari e con gli insegnanti (esempio di item: “quanto ti senti protetto dall’ essere preso in giro da un insegnante”); – La Soddisfazione è misurata con 6 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,765. La scala indica il grado di soddisfazione relativo ad alcuni aspetti dell’ambiente scolastico da parte degli studenti e della percezione di loro stessi all’interno

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dell’ambiente (esempio di item: “Quanto sei soddisfatto della possibilità di esprimere il tuo punto di vista”); – La Percezione del supporto familiare è misurata con 4 item e mostra un’alpha di 0,751. La percezione familiare è intesa come opportunità di parlare ed essere ascoltati e capiti dai propri genitori (esempio di item: “I miei genitori danno attenzione alle mie idee”); – Il Clima scolastico è misurato con 5 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,750. Il clima scolastico è inteso come la presenza di eventi piacevoli e la possibilità di risolvere problemi all’interno della propria classe (esempio di item: “Gli insegnanti sono pronti ad aiutarmi se ho difficoltà”); La seconda scala misura il disagio, e si compone delle seguenti 5 sottodimensioni: – L’ Ansia neurovegetativa è composta da 6 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,816. La scala mostra il livello di ansia neurovegetativa che si manifesta anche in assenza di situazioni stressanti (esempio di item “A volte l’ansia mi fa mancare il respiro”); – La Paura del giudizio è composta da 3 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,727. La scala è intesa come la percezione dello studente rispetto a come crede che gli altri lo vedano (esempio di item “Penso che gli altri mi trovino interessante”); – L’Ansia da valutazione è composta da 8 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,873. La scala indica il livello di ansia in relazione alle situazioni in cui lo studente deve dimostrare le sue conoscenze e competenze (esempio di item: “Ho paura delle interrogazioni e dei compiti in classe”); – L’Ansia nel rapporto con i pari è composta da 7 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,800. La scala indica l’ansia percepita durante le relazioni con i pari (esempio di item “Quando giochiamo i compagni mi prendono in giro”); – L’Ansia aspecifica è composta da 3 item e mostra un’alpha di Cronbach di 0,742. La scala indica il livello corrente di ansia dello studente, correlato all’autostima, all’autocontrollo, alla percezione di essere giudicato (“esempio di item “A volte mi preoccupo di cose di poca importanza”). In aggiunta alle seguenti misure sono state poste delle domande relative a caratteristiche socio-demografiche, ai giorni di assenza e ai voti ricevuti nel primo quadrimestre. Uno scopo aggiuntivo dell’analisi è infatti studiare la relazione tra le dimensioni e alcune caratteristiche socio demografiche dei partecipanti come il genere, l’età, la classe di appartenenza; in aggiunta si è voluto esplorare anche la relazione tra il benessere e il disagio, l’andamento scolastico e i giorni di assenza.

4. Analisi dei dati Per arrivare alla validazione del questionario si sono condotte analisi statistiche di diversa natura. In prima istanza si è proceduto con la verifica della normalità della distribuzione dei punteggi per soddisfare il principio di omeostaticità con le analisi di asimmetria e curtosi. È stata poi condotta un’analisi fattoriale esplorativa (EFA) per osservare la struttura fattoriale che è stata poi confermata tramite l’analisi fattoriale confermativa (CFA). Una volta ottenuta la struttura del modello si è proceduto alla costituzione di fasce standardizzate per ogni scala rilevata.

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Analisi Fattoriale Esplorativa L’analisi fattoriale esplorativa è stata condotta con il programma statistico IBM SPSS 22. Il benessere e il disagio sono stati trattati come due fattori separati. Per ogni fattore si è proceduto all’analisi fattoriale tramite il metodo di estrazione della massima verosimiglianza rotazione obliqua Oblimin. Si è partiti complessivamente da 76 item e si è arrivati alla costituzione di un questionario da 46 item. Il benessere ha mostrato una suddivisione in 4 scale: La prima scala è il Senso di Protezione con saturazioni che vanno da .9 al .69; la seconda scala è la Soddisfazione con saturazioni che vanno da .62 a .49; la terza scala di Percezione del supporto familiare che mostra saturazioni da .85 a .49; infine il Clima scolastico mostra saturazioni che vanno da .64 a .42. La varianza totale spiegata dalla scalaFattoriale è del 49,1%. Tab.1 Analisi Esplorativa- Scala Benessere – Estrazione Massima Verosimiglianza-Rotazione Oblimin Dimensione

Varianza %

Alpha C.

Da 0.9a 0.69

22,22 %

0.93

Soddisfazione

Da 0.62 a 0.49

18,34 %

0.76

Supporto familiare

Da 0.85a 0.49

5,85 %

0.75

Clima scolastico

Da 0.64a 0.42

2,71 %

0.75

Protezione

122

Saturazioni

Tab. 1: Analisi Fattoriale Esplorativa – Scala Benessere – Estrazione Massima Verosimiglianza-Rotazione Oblimin

Il disagio ha mostrato una suddivisione in 5 scale: L’Ansia neurovegetativa con saturazioni che vanno da .9 a .37; la Paura del giudizio degli altri con saturazioni che vanno .98 a .49; l’Ansia da valutazione con saturazioni che vanno da .77 a .36; l’Ansia nel rapporto con i pari con saturazioni che vanno da .68 a .35; infine l’Ansia aspecifica ha mostrato saturazioni che vanno da .57 a .45. LaTab. varianza totale spiegata dalla scalaScala è delDisagio 47,3%.– Estrazione 2 Analisi Fattoriale EsplorativaMassima Verosimiglianza-Rotazione Oblimin

!

Dimensione

Saturazioni

% Varianza

Alpha C.

Ansia neurovegetativa

Da 0.9a 0.37

28,91%

0.81

Paura del giudizio

Da 0.9a 0.48

7,58%

0.72

Ansia da valutazione

Da 0.77a 0.36

5,41%

0.87

Ansia nel rapporto con i pari

Da 0.68a 0.35

3,67%

0.8

Ansia aspecifica

Da 0.57a 0.45

1,72%

0.74

Tab. 2: Analisi Fattoriale Esplorativa – Scala Disagio – Estrazione Massima Verosimiglianza-Rotazione Oblimin

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Analisi Fattoriale Confermativa Allo scopo di confermare i risultati ottenuti con l’EFA e per verificare la bontà dell’adattamento del modello ipotizzato è stata condotta un’analisi fattoriale confermativa (CFA)sulle due scale di misura in esame (benessere e disagio). Tale analisi è stata eseguita con il software statistico Mplus v. 7 utilizzando il metodo di stima della massima verosimiglianza (Muthén e Muthén, 2007) e definendo il numero di fattori identificati dai risultati dell’EFA (4 fattori per il benessere misurati da 22 iteme 5 fattori per il disagio misurati da 24 item). Per valutare la validità fattoriale sono stati considerati diversi indici di bontà dell’adattamento del modello: χ2 (Chi quadrato), RMSEA (Rootmean square error of approximation),SRMR (Standardized Root Mean Square Residual), CFI (Comparative Fit Index) e TLI (Tucker–Lewis index). Per il χ2 valori con una probabilità superiore a .05 sono indicativi di un adattamento adeguato. Tuttavia è necessario tenere in conto che tale indice tende ad essere fortemente influenzato dalla numerosità campionaria (Barbaranelli, 2007) e, a fronte dell’ampio campione dello studio, sarà necessario far riferimento anche agli altri indici. Per l’RMSEA vanno considerati accettabili valori inferiori a .06 (SteigereLind, 1980) e il suo intervallo di confidenza al 90%, per il CFI e il TLI valori uguali o superiori a .90 (Bentler, 1990; Tucker & Lewis, 1973);per l’SRMR valori uguali o al di sotto di 0.5 (Hu, Bentler, 1999). Poiché le due scale misurano aspetti divergenti del medesimo stato (benessere e disagio), a seguito dell’analisi fattoriale confermativa queste sono state correlate per la verifica delle validità concorrente. Risultati Il modello ipotizzato per le due scale soddisfa i test di bontà dell’adattamento (Tab. 3) ad eccezione del chi quadro, che come aspettato è influenzato dalla grandezza del campione (Barbaranelli, 2007). Sia per la scala di benessere che di disagio, i valori del CFI e TLI sono maggiori di .90, i valori dell’SRMR sono al di sotto o equivalenti a .05 e i valori dell’RMSEA sono inferiori al .06 e inclusi nell’intervallo di confidenza, indicando così un buon adattamento del modello. Pertanto tutti gli indici considerati ci confermano che il modello ipotizzato per il benessere e per il disagio è accettabile nel campione dello studio, confermando così i risultati dell’analisi fattoriale esplorativa. Tab. 3 - Indici di bontà dell’adattamento del modello testato per la scala benessere e disagio.

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Tab. 3: Indici di bontà dell’adattamento del modello testato per la scala benessere e disagio.

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Fig.1- Saturazioni e correlazioni dell’analisi fattoriale confermativa per la scala benessere

124

Fig. 1: Saturazioni e correlazioni dell’analisi fattoriale confermativa per la scala benessere Fig.2- Saturazioni e correlazioni dell’analisi fattoriale confermativa per la scala disagio

Fig. 2: Saturazioni e correlazioni dell’analisi fattoriale confermativa per la scala disagio !

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Le correlazioni tra le dimensioni delle due scale, come anche le correlazioni tra i punteggi medi generali del benessere e del disagio, sono significative e negative e mostrano quindi una buona validità concorrente. Tab.4- Correlazioni Scale di Benessere e Disagio, Voto Medio, Punteggi medi generali Correlazioni Voto Macro Ansia Medio Benessere Neuroveg. Voto Medio

R di Pearson

1

Sign. (a due code) Protezione

Ansia Paura Ansia Ansia Macro Del Rapporto Valut. Aspecifica Disagio Giudizio Pari

,285**

-,047*

-,178**

-,097** -,093**

,000

,034

,000

,000

,009

-,062**

,000

,675

,006

R di Pearson

,156**

,791**

-,031

-,145**

-,013

-,011

,027

,005

Sign. (a due code)

,000

0,000

,159

,000

,569

,618

,215

,813

Soddisfazione R di Pearson

,239**

-,406** -,148**

-,139**

-,222**

Sign. (a due code)

,000

,000

,000

,000

,000

,000

,000

,000

R di Pearson

,199**

,495**

-,050*

-,312**

-,099**

-,036

,010

-,014

Sign. (a due code)

,000

,000

,020

,000

,000

,098

,631

,512

R di Pearson

,248**

,562**

-,123**

-,233**

-,249** -,115**

-,105**

-,158**

Sign. (a due code)

,000

,000

,000

,000

,000

,000

,000

R di Pearson

,285**

1

-,126**

-,347**

-,226** -,105**

-,057*

-,118**

Sign. (a due code)

,000

,000

,000

,000

,000

,012

,000

-,118**

,805**

,098**

,685**

,866**

,784**

1

,000

0,000

,000

,000

0,000

0,000

Sostegno Familiare

Clima Scolastico

Macro Benessere

Macro Disagio

R di -,062** Pearson Sign. (a due code)

,006

,622** -174**

-,391**

,000

**. La correlazione è significativa a livello 0,01 (a due code); *. La correlazione è significativa a livello 0,05 (a due code).

Tab. 4: Correlazioni Scale di Benessere e Disagio, Voto Medio, Punteggi medi generali

!

5. Standardizzazione La standardizzazione è avvenuta per criterio creando cinque fasce di intervallo di dimensioni diverse, – – – – –

da 1 a 1,7, livello basso da 1,7 a 2.2 livello medio – basso da 2.2 a 3.2 livello medio da 3.2 a 4.3 livello medio – alto da 4.3 a 5 livello alto

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Di seguito vediamo la distribuzione standardizzata dei punteggi per le tre dimensioni. La concentrazione maggiore è nel livello medio alto, a parte il senso di protezione dove i punteggi si concentrano maggiormente nel livello basso. Questo dato mostra un’apparente contraddizione per la quale gli studenti si sentono soddisfatti ma allo stesso tempo si sentono poco protetti nell’ambiente scolastico. La distribuzione dei punteggi medi per le scale di Benessere ha mostrato come i punteggi di livello alto siano maggiormente concentrati nelle dimensioni Clima Scolastico e Protezione, nonostante quest’ultima abbia un’alta concentrazione di punteggi di livello basso. Come già accennato prima, la percentuale maggiore dei punteggi si concentra nella fascia di livello medio e medio-alto. Fig. 3- Standardizzazione Scale di Benessere

126

Fig. 3: Standardizzazione Scale di Benessere

La distribuzione dei punteggi per le scale di Disagio è meno omogenea che per le scale di Benessere. L’Ansia da Valutazione è la dimensione che ha mostrato avere una concentrazione più elevata di punteggi di livello medio-alto e alto, a seguire l’Ansia Aspecifica e la Paura del Giudizio degli altri. L’Ansia Neurovegetativa è la dimensione che ha mostrato una percentuale maggiori di punteggi di livello basso, a seguire l’Ansia nelle relazioni con i pari poi l’Ansia Aspecifica e infine l’Ansia da Valutazione e la Paura del Giudizio. I punteggi medi mostrano una distribuzione abbastanza omogenea. Fig. 4- Standardizzazione Scale di Disagio

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Fig. 4: Standardizzazione Scale di Disagio

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Conclusioni Il presente studio è volto alla validazione e standardizzazione di un questionario che indaghi le dimensioni di benessere e disagio nella scuola secondaria di primo grado. Lo scopo della ricerca è fornire uno strumento utile alle scuole per poter rilevare quei fattori che dalla letteratura risultano essere essenziali per vivere un’esperienza positiva nella scuola, che sia dunque da stimolo all’istaurarsi di processi sani di apprendimento e ad esperienze che tutelino in modo olistico la persona. La somministrazione a cui si riferisce il presente studio riguarda la versione italiana di un questionario costruito da Anna Antonova sulla base di tre strumenti russi. Lo strumento in Italia era già stato somministrato due volte prima della presente ricerca, la prima volta con uno scopo esplorativo a seguito di una prima traduzione degli item, la seconda come try-out dello strumento. La struttura fattoriale dello strumento ha mostrato dei buoni indici confermando il modello ipotizzato (Antonova et al., 2016). Il benessere educativo si viene a configurare perciò come la presenza di quattro dimensioni quali: Il Senso di protezione, la Soddisfazione, la Percezione del supporto familiare, il Clima scolastico e l’assenza (o la presenza in forma non invasiva) di cinque aspetti di disagio: Ansia aspecifica, Ansia da valutazione, Ansia nel rapporto con i pari, Paura del giudizio degli altri, Ansia neurovegetativa. Questo studio offre lo spunto per indagare la relazione di questi aspetti con altri relativi al contesto percepito, al legame tra i fattori di benessere di insegnanti e studenti, al rendimento e a caratteristiche socio-demografiche. Per tale ragione lo studio è stato ampliato con altre somministrazioni per la rilevazione di questi fattori di cui si indagano le relazioni esistenti.

Riferimenti bibliografici Antonova A.V., Chumakova M.A., Stanzione I. (2016). Educational well-being: validation of a questionnaire on well-being at school. Italian Journal of Educational Research, 16, 85-102. Avallone F., Paplomatas A. (2005). Salute Organizzativa. Milano: Raffaello Cortina. Bandura A. (2000). Autoefficacia. Teoria e applicazione. Trento: Erickson. Barbaranelli C. (2007). Analisi dei dati. Milano: Led. Bassi M., Rocco C., Sartori R., Delle Fave (2008). Condividere benessere per educare al benessere: l’esperienza quotidiana di insegnanti e studenti. In C. Guido, G. Verni (a cura di), Educazione al benessere e nuova professionalità docente, Ricerca – Profili – Riflessioni (pp. 19-66). Bari: Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia. Bentler P.M. (1995). EQS structural equations program manual. Encino: Multivariate Software. Berchialla P., ColombiniS., De Simone G., Lemma P., Cavallo F. (2011). Associazione delle caratteristiche individuali, del benessere psico-fisico e del clima di classe con gli outcomes scolastici a 11 e 13 anni. Programma Education FGA WorkingPaper, 12, n.41. Blomfield C.J., Barber B.L. (2009). Brief report: Performing on the stage, the field, or both? Australian adolescent extracurricular activity participation and self-concept. Journal of Adolescence, 32(3), 733-739. Bradburn N. (1969). The structure of psychological well-being. Chicago: Aldine Pub. Co. Byrne B.M. (2006). Structural equation modeling with EQS: basic concepts, applications, and programming. Mahwah (NJ): Lawrence Erlbaum Associates. Caprara G., Delle Fratte A., Steca P. (2002). Determinanti personali del benessere nell’adolescenza: indicatori e predittori. Psicologia Clinica dello Sviluppo, VI(2), 203-233. Carmeli A., & Gittel H.D. (2009). High-quality relationships, psychological safety, and

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L’aula che i bambini vorrebbero: ridefinire il setting didattico ascoltando gli allievi della scuola primaria

G. Filippo Dettori • Università di Sassari – fdettori@uniss.it

A classroom that children wish for: redefining the classroom space while honouring primary school students’ voices

This contribution is the result of a study conducted on classroom space. It involved a group of primary school students during a learning laboratory organised by researchers from the Faculty of Education and the Faculty of Architecture from the University of Sassari. During the laboratory, children were given the opportunity to express their thoughts on how a classroom space should be so as to make learning easier for all students. Drawing from the students’ experience, the participants developed projects of classroom spaces and explained to the researchers the reasons why they had positioned the furniture in that specific location. What clearly emerged from their projects, as well as from the students’ statements, was the need for a classroom space that was more suitable and that allowed a more cooperative and lab-style learning. What emerged from the children’s classroom organisations was that students clearly asked for a less transmissive type of school and a space where students can become more competent through a concrete way of doing and a constant direct contact with their teachers and classmates.

Parole chiave: aula, setting didattico, laboratorio, student voice, apprendimento

Keywords: classroom, didactic setting, laboratory, student voice, learning

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Il contributo descrive i risultati di una ricerca sugli ambienti di apprendimento che ha coinvolto un gruppo di bambini di scuola primaria in un laboratorio didattico organizzato da ricercatori appartenenti ai dipartimenti di Scienze della formazione e di Architettura dell’Università di Sassari. I bambini durante il laboratorio si sono confrontati su come, a loro avviso, dovrebbe essere organizzata l’aula scolastica per facilitare l’apprendimento di tutti e di ciascuno. I partecipanti, partendo dalle loro esperienze, hanno elaborato dei progetti di aula e hanno spiegato ai ricercatori le motivazioni delle loro scelte relative in particolare alla disposizione degli arredi. Dalle dichiarazioni e dagli elaborati emerge con chiarezza l’esigenza di aule più idonee per lavorare in maniera cooperativa e laboratoriale. Partendo dall’organizzazione del setting i bambini chiedono una scuola meno trasmissiva dove si diviene progressivamente sempre più competenti attraverso il fare concreto ed il costante confronto con i compagni e gli insegnanti.


L’aula che i bambini vorrebbero: ridefinire il setting didattico ascoltando gli allievi della scuola primaria

1. Ambienti scolastici idonei all’apprendimento

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I tassi di drop-out sempre più elevati, rilevati recentemente dalle indagini del MIUR1, mettono in evidenza che il sistema formativo italiano non è del tutto in grado di rispondere adeguatamente alle richieste degli studenti nativi digitali che oggi frequentano la scuola. Gli ambienti scolastici sono talvolta obsoleti e poco idonei a stimolare gli studenti nell’apprendimento, spesso infatti mancano i laboratori didattici e le aule non sono adeguatamente attrezzate per una didattica che promuove la progressiva maturazione delle competenze chiave, come richiesto dal Consiglio d’Europa già nel 2006. Nel giugno del 2016 si è svolto a Roma un convegno nazionale, nel quale è stato presentato il concorso di idee bandito dal Miur “Scuole innovative” che finanzia la riqualificazione di 52 nuove scuole, studiate per favorire l’apprendimento e promuovere il benessere degli studenti. Il bando, prevede infatti, che gli istituti rispondano a criteri di qualità, non solo relativamente all’efficienza energetica e della sicurezza strutturale, ma anche per quanto riguarda l’efficacia didattica. Da anni l’INDIRE sta svolgendo un’intensa attività di ricerca, disponibile nel sito dell’istituto nella sezione “Quando la didattica cambia lo spazio”2, sull’organizzazione del setting nella formazione. In esso sono presenti immagini, studi, riflessioni pedagogiche sull’importanza di un ambiente di apprendimento accogliente, stimolante, flessibile. Le proposte hanno alla base visioni pedagogiche differenti e sono indubbiamente interessanti, soprattutto perché si discostano dalle scuole che siamo abituati a vedere nelle nostre città; si va dalla scuola dell’infanzia giapponese (Fuji Kindergarten) simile ad un parco giochi, dove i bambini si arrampicano sulle pareti e sul tetto, a una scuola secondaria danese dove non si utilizza la carta (né libri né quaderni) ma il tablet e gli studenti lavorano per gruppi seduti su cuscini e pouf e poi condividono le idee in un’agorà, o alla scuola primaria “Vittra Telephonplan” di Stoccolma in cui spazi aperti, luminosi e interattivi consentono una molteplicità di attività laboratoriali. Nei progetti di scuole innovative, reperibili in letteratura e descritti nel sito dell’INDIRE, i diversi ambienti scolatici sono studiati nei minimi particolari per rispondere ai bisogni dei bambini. Essi, seppure con modalità diverse (aule chiuse e ben delimitate, aule con pareti mobili, giardini attrezzati per climi rigidi, atri suddivisi in piccoli anfratti dove isolarsi e raccogliere le idee), rappresentano il centro della vita della scuola. Guardando le scuole definite dai progettisti “innovative”, interessanti e piacevoli, dagli arredi colorati e accoglienti, viene però da chiedersi se – e quanto – gli studenti si possano trovare a proprio agio in tali contesti. È d’obbligo la domanda: queste scuole così originali rispetto alla tradizione sono effettivamente più funzionali all’apprendimento? In questi contesti aperti, luminosi, coloratissimi,

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http://www.istruzione.it/allegati/2015/Focus_iscrizioni_as2015_2016_pubblicazione.pdf http://www.scuoleinnovative.it/quando-la-didattica-cambia-lo-spazio/

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pieni di cuscini e di laboratori, gli studenti si sentono veramente a proprio agio e imparano di più? Se i bambini/ragazzi per le quali sono state pensate, fossero stati coinvolti nella progettazione avrebbero fatto le medesime scelte dei progettisti? Da anni, numerosi ricercatori a livello internazionale, hanno dimostrato in molteplici indagini che per migliorare la qualità della didattica è molto utile coinvolgere gli studenti, i quali, se adeguatamente ascoltati, sono in grado di fornire a studiosi e decisori politici importanti indicazioni anche sulla progettazione degli spazi didattici (Fielding, 2010; Weyland 2013). L’importanza di rendere protagonisti gli studenti nei processi decisionali che li riguardano, è stata ribadita anche dal Consiglio d’Europa nel 2012 attraverso le Raccomandazioni a favore degli under 18, nelle quali si evidenzia che il diritto di essere ascoltato e preso sul serio è fondamentale per la dignità umana e il sano sviluppo di ogni bambino e giovane. Si rimarca nel documento l’importanza di promuovere la partecipazione degli studenti nelle decisioni sui molteplici aspetti della loro vita e quindi anche relativi all’esperienza scolastica, affinché influenzino l’insegnamento, le pratiche di apprendimento, l’ambiente formativo e possano diventare co-partecipi nel governo della comunità educativa e di apprendimento. Alison Cook-Sather, studiosa conosciuta e apprezzata nel mondo perché nelle sue ricerche pedagogiche valorizza il punto di vista dello studente (Student Voice), insiste sulla necessità di partire sempre dalle considerazioni degli allievi nella progettazione e attuazione di processi di miglioramento della didattica e dell’offerta formativa (Cook-Sather, 2013). Da qualche anno, anche nel contesto italiano la prospettiva Student voice è stata riconosciuta e implementata nello studio delle dinamiche educative e didattiche che caratterizzano la scuola per comprendere meglio quale aree debbano essere migliorate per favorire il successo formativo degli studenti e prevenire la dispersione scolastica (Cook-Sather & Grion 2013; Gemma & Grion, 2015; Dettori, 2009). La Regione Autonoma della Sardegna, all’interno del progetto “Tutti a Iscol@”, ha recentemente stanziato ingenti fondi per la ristrutturazione degli edifici scolastici di competenza delle amministrazioni comunali e provinciali che presentino un progetto articolato nel quale siano esplicitate le motivazioni pedagogiche delle scelte tecniche proposte3. L’idea di fondo che ha spinto l’amministrazione regionale a promuovere un processo di miglioramento degli ambienti scolastici, è quella di ristrutturare e/o costruire nuove scuole che rispondano alle reali esigenze formative degli studenti dei nostri giorni. Non scuole solo belle e a norma quindi, ma edifici idonei ad una didattica innovativa, che si aprano alle nuove tecnologie ed al contempo valorizzano la cooperazione e il piacere per la scoperta. Potrebbe essere importante, nella fase di progettazione degli ambienti scolastici, che andranno poi a concorrere al bando regionale per ottenere i finanziamenti, partire proprio dall’ascolto dei bambini, principali destinatari di tali ambienti. Il laboratorio descritto di seguito, cerca di dimostrare che, se coinvolti in una progettazione partecipata degli spazi di apprendimento, i bambini possono offrire importanti suggerimenti per la realizzazione di ambienti scolastici stimolanti, piacevoli, inclusivi.

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https://www.regione.sardegna.it/j/v/28?s=1&v=9&c=46&c1=46&id=55390

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2. Quale ambiente didattico per diventare competenti?

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Il ruolo della scuola in una società complessa come la nostra, non è più quello di proporre conoscenze disciplinari, ma principalmente quello di accompagnare lo studente nell’acquisizione di competenze per la vita, prima fra tutte quella di imparare a imparare in una prospettiva di long life learning (Dettori, 2017). Ma quali sono le caratteristiche della persona competente? Gli studiosi la delineano come colei che sa perseguire compiti complessi nella vita quotidiana e risolvere le diverse situazioni problematiche che si presentano avvalendosi, se necessario, del supporto degli altri (Castoldi, 2011). In una prospettiva educativa a lungo termine, le competenze non vanno di conseguenza pensate in senso astratto ma è importante considerare come esse vengono utilizzate nella quotidianità per affrontare le sfide che si incontrano nel lavoro, nelle relazioni, nel compiere scelte per il futuro. Con quali modalità didattiche la scuola moderna può accompagnare tutti gli studenti a diventare persone competenti? Gli esperti chiariscono che per raggiungere tale obiettivo sarebbe innanzitutto importante superare un insegnamento prevalentemente centrato sul docente per privilegiare una didattica dove il principale protagonista è l’allievo che, insieme al gruppo classe, in un ambiente collaborativo e di co-costruzione attiva del sapere, diventa progressivamente più esperto in diversi ambiti (Pellerey, 2006). La didattica per competenze, si realizza al meglio in un setting organizzato per promuovere la cooperazione, il confronto, lo scambio di idee. Solo superando modalità didattiche strettamente trasmissive si può accompagnare lo studente nella progressiva maturazione delle competenze, mediante l’utilizzo di metodologie attive che partono da situazioni-problema e chiedano il pieno coinvolgimento dello studente. L’aula è il laboratorio didattico per eccellenza, nel quale gli studenti, accompagnati dal docente, co-costruiscono lavorando insieme il loro sapere mediante la scoperta e la condivisione dei significati. In aula avviene una vera e propria mediazione didattica, rendendo cioè l’apprendimento un’esperienza adeguata e stimolante per il soggetto che apprende (Damiano, 2013). Il costruttivismo già da anni ha enfatizzato l’importanza del valore dell’interazione sociale nella costruzione della conoscenza ed il carattere situato dell’apprendimento in rapporto al contesto entro cui avviene. Castoldi (2015) a questo proposito, si sofferma a lungo sull’importanza di curare la dimensione organizzativa della didattica, specificando quali siano i fattori che definiscono il contesto formativo in relazione allo svolgimento dell’attività didattica: – lo spazio: contenitore fisico e materiale entro cui si realizza l’insegnamento; – il tempo: la suddivisione della giornata, la distribuzione del lavoro e delle diverse attività; – le regole: norme implicite ed esplicite che regolamentano la vita della classe; – gli attori: insieme dei soggetti coinvolti in un processo di arricchimento reciproco; – i canali comunicativi: medium attraverso cui avviene la relazione didattica. L’insegnante, in questo contesto progettato per l’apprendimento, ha la responsabilità di organizzare spazi e tempi per la realizzazione di attività didattiche che richiedono agli allievi capacità di problem solving, accompagnandoli nella realizzazione di compiti significativi e prove esperte per la progressiva maturazione e certificazione delle competenze. Il docente non è dunque più un mero trasmettitore di conoscenze ma un facilitatore e una guida che accompagna lo studente nell’apprendimento, incoraggiandolo e supportandolo nel divenire sempre più autonomo nel processo di scoperta della realtà che lo circonda.

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3. La ricerca Partendo dai principi teorici sopra richiamati, con la presente ricerca si vuole comprendere se nella percezione dei bambini di scuola primaria il setting didattico è adeguato ai loro bisogni educativi. Si vuole studiare come i bambini percepiscono l’aula nella quale trascorrono la loro giornata scolastica ed al contempo acquisire da loro indicazioni su come migliorare l’ambiente scolastico per facilitare e rendere più efficace l’apprendimento. – La ricerca nasce, dunque, dall’esigenza di rispondere alle seguenti domande: – Come i bambini di scuola primaria considerano l’aula nella quale trascorrono il loro tempo scuola? – Quali sono gli aspetti critici che a loro avviso possono essere migliorati? Quali suggerimenti propongono per migliorare il setting didattico della scuola primaria? Per rispondere a queste domande è stato progettato e realizzato un laboratorio nel quale un gruppo di 42 bambini di scuola primaria si sono soffermati a fare un’attenta analisi della loro aula ideale, anche realizzandola concretamente utilizzando carta e cartoncino e discutendo con i ricercatori e compagni le motivazioni delle loro scelte. 3.1 Il laboratorio Nel mese di luglio 2015 è stato organizzato presso l’Università di Sassari4, nei locali del dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica di Alghero, un laboratorio didattico nel quale è stato chiesto ai bambini di terza, quarta e quinta di scuola primaria, di descrivere, prima a parole, la scuola che frequentano evidenziando punti di forza e criticità e, successivamente, di progettare in gruppo l’aula che loro piacerebbe avere nelle loro scuole. Le attività del laboratorio sono iniziate con un brainstorming iniziale nel quale è stato chiesto ai bambini di descrivere le aule della loro scuola e di soffermarsi ad individuare aspetti critici da migliorare. Successivamente, è stato chiesto ai bambini di realizzare degli elaborati in cartoncino che rappresentassero l’aula ideale, o meglio quella che a loro parere rende l’apprendimento più piacevole ed efficace (Immagine 1).

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Immagine 1: i bambini durante il laboratorio

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Hanno collaborato alla realizzazione del laboratorio docenti e ricercatori dei dipartimenti di Architettura e di Scienze della Formazione.

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Durante la produzione degli elaborati, i bambini sono stati intervistati dai ricercatori che hanno chiesto a ciascuno gruppo di lavoro di illustrare, spiegare e descrivere i loro prodotti e di motivare le diverse scelte progettuali effettuate. Dopo avere acquisito il consenso informato dei bambini, secondo le norme etiche della ricerca con i giovani (Groundwater-Smith et al. 2015), le risposte emerse sia durante il brainstorming che durante il laboratorio sono state audioregistrate e i prodotti fotografati nelle diverse fasi di realizzazione. I progetti e le dichiarazioni dei bambini sono state, alla fine del laboratorio, discusse e condivise in un incontro pubblico alla presenza di insegnanti, dirigenti scolastici, genitori e sindaco della città.

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Partecipanti: 42 bambini di età compresa fra i 7 e gli 11 anni frequentanti la scuola primaria (età media 9 anni), divisi in sei gruppi di lavoro composti da 7 partecipanti di età diversa. Setting: per il brainstorming i bambini insieme ai ricercatori si sono seduti in cerchio; per la realizzazione degli elaborati i partecipanti si sono disposti attorno ad ampi tavoli dove in gruppi di 7 hanno progettato la loro aula ideale. Materiale a disposizione: cartoncino di diverso colore, forbici, colla, pennarelli, carta bianca e colorata, forme quadrate e rotonde di carta che rappresentavano i banchi e le sedie che dovevano essere sistemate nell’aula. Fasi: il laboratorio si è articolato dunque nei seguenti tre momenti: a) brainstorming iniziale nel quale i bambini hanno descritto le aule della loro scuola; b) discussione in gruppo e realizzazione di elaborati collettivi su come a loro avviso deve essere l’aula in una scuola primaria; c) discussione e presentazione degli elaborati alla presenza di genitori, insegnanti, amministratori comunali. Durante le tre fasi del laboratorio i ricercatori hanno audioregistrato le riflessioni dei bambini, osservato e fotografato i partecipanti che lavoravano in gruppo, hanno annotato, in una check list precedentemente predisposta, le modalità di scelta dei membri del gruppo nella realizzazione degli ambienti (C’è stato il coinvolgimento di tutti i membri nella progettazione? Si è discusso a lungo sulle scelte? Vi è stata la prevalenza di un leader che ha condizionato i progetti? Il clima era collaborativo? I bambini hanno preso le decisioni in maniera democratica? È chiara l’idea di aula che vogliono proporre nel progetto?). Successivamente i ricercatori hanno chiesto ai membri di ogni gruppo di motivare le loro scelte a partire dai loro progetti (per esempio chiedendo: Questi sono i banchi? Come li avete disposti? Questo è un tappeto? Come mai lo avete sistemato in questo spazio?). Successivamente i materiali fotografici e le audio registrazioni sono stati analizzati dal team dei ricercatori, i quali hanno individuato i principali nuclei tematici emersi dall’analisi del contenuto del brainstorming iniziale e dalle considerazioni emerse durante la realizzazione degli elaborati. Tempi: 5 ore.

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4. Risultati Di seguito è proposta una sintesi dei risultati emersi durante il laboratorio, saranno riportate in corsivo alcuni stralci delle riflessioni dei bambini. Le loro parole chiariscono con grande efficacia le motivazione delle loro scelte. Alcune immagini sono utili al lettore per comprendere meglio il punto di vista dei partecipanti al laboratorio. 4.1 Brainstorming iniziale sulle aule che i bambini conoscono Dall’analisi delle dichiarazioni audioregistrate dei bambini durante il brainstorming iniziale si è proceduto a fare un’analisi del contenuto utilizzando il software Atlas.ti (Friese, 2014) grazie alla quale è stato possibile individuare quattro categorie interpretative che sintetizzano il punto di vista dei partecipanti relativamente alle aule delle loro scuole: 1. Le aule sono poco flessibili e poco inclusive I bambini descrivono le loro aule come spazi parzialmente idonei: gli arredi in molti casi sono obsoleti e non rispondenti alle esigenze didattiche di bambini di scuola primaria. Tali arredi inadeguati impediscono alla classe di realizzare attività particolari come per esempio lavori di gruppo o attività manuali. Una bambina di terza afferma a questo proposito: La nostra scuola è bella perché abbiamo molta luce e finestre grandissime, le aule sono grandi anche se i banchi sono vecchi, rotti e pasticciati. Alle volte le sedie si rompono e se ti muovi fanno un chiasso infernale perché sono vecchie e malandate, per questo non possiamo spostarle se decidiamo di fare lavori di gruppo. Non abbiamo la LIM perché non c’è spazio, l’anno scorso invece c’era.

Un bambino di quinta si sofferma su punti di forza e criticità della sua aula: La mia aula è piccola ma noi l’abbiamo resa bella con tanti cartelloni, i banchi sono piccoli e i bambini più alti stanno scomodi. In aula non c’è spazio per spostare i banchi per lavorare a gruppi, per fare lavoretti, soprattutto non c’è spazio per muoversi e dobbiamo stare sempre appiccicati. Non ci sono altri spazi nella scuola per fare cartelloni o lavoretti e quindi dobbiamo stare in un’aula piccolissima e scomoda.

Le dichiarazioni di un bambino di quarta chiarisce bene il concetto di aula poco flessibile alle diverse esigenze didattiche: La nostra aula non è proprio piacevole, non ti puoi muovere, non puoi usare le sedie in cerchio, i banchi sono attaccati ai muri e non si possono spostare, non ci sono tavoli grandi per fare i cartelloni o dei lavoretti per esempio collage, non c’è un lavandino per prendere l’acqua se facciamo esperimenti.

Le considerazioni dei bambini rimandano all’idea di aule poco inclusive perché non consentono a chi ha ritmi di apprendimento diversi dalla maggioranza di rispettare i suoi tempi, come spiega un bambino di quarta:

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Mio cugino Federico è in classe con me, lui ha problemi e spesso si adira e urla allora la maestra lo porta fuori perché altrimenti può farsi del male o far del male a noi. Per lui nella nostra aula non c’è uno spazio dove si può muovere per scaricare la rabbia o per rilassarsi quando è stanco, deve stare seduto nel banco ma lui non ci riesce.

2. La lezione frontale è la metodologia più diffusa Dalle dichiarazioni dei bambini, l’attività didattica nelle loro scuole è prevalentemente frontale, il docente spiega e l’alunno esegue dei compiti e degli esercizi sul banco quasi sempre individualmente. Sono eccezioni i lavori di gruppo e le attività di tipo laboratoriale. Queste ultime sono per lo più legate alle materie artistiche ed espressive, raramente all’apprendimento delle competenze linguistiche e logico-matematiche. Una bambina di quinta spiega come si lavora in aula:

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Da noi devi stare seduto nel banco e non fare il vandalo e lo scalmanato, non si può correre e per spostarci dobbiamo chiedere alla maestra. La maestra spiega e chiama un bambino a turno per distribuire i quaderni e per andare alla lavagna e gli altri devono stare attenti. Per Pasqua abbiamo fatto dei lavoretti molto carini seduti nei nostri banchi, sarebbe stato bello usare tavoli grandi come questi (si riferisce a quelli presenti nel laboratorio) perché è più facile se ti puoi muovere.

Un bambino di quarta è molto critico con la scuola che frequenta a causa degli spazi che non consentono libertà di movimento: “In aula siamo troppo compressi, non puoi nemmeno alzarti per sgranchirti le gambe. Devi stare seduto e fare i compiti, solo alla ricreazione qualche volta si può uscire ma di solito stiamo sempre in aula.” 3. L’aula dell’identità I bambini hanno discusso a lungo sui vantaggi dell’aula unica o di più atelier dove svolgere le diverse attività disciplinari. Nella maggioranza dei casi i bambini hanno espresso di preferire la “loro” aula nella quale imparare, conoscersi, confrontarsi quotidianamente. Un bambino di quarta dà le sue motivazioni: L’aula deve essere “la nostra aula” dove la mattina noi bambini di 5 B ci incontriamo e troviamo le nostre maestre; non sono d’accordo con l’idea di non avere un’aula nostra e di spostarci in diverse aule in base alle attività perché mi sembra dispersivo.

Dello stesso avviso è un bambino di terza che si sofferma sull’importanza del gruppo classe di conservare i lavori che si fanno: Anche secondo me ogni classe deve avere la sua aula per appendere sui muri i disegni e i cartelloni che si fanno. Così quando vengono i genitori puoi far vedere cosa hai fatto e ogni tanto ti puoi riguardare alcuni cartelloni. Per esempio noi abbiamo fatto il cartellone con le parole più frequenti in inglese che ci serve vedere quando non ci ricordiamo qualcosa.

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Non tutti i bambini sono d’accordo su questo aspetto, un bambino di quarta precisa a questo proposito: Secondo me invece sarebbe bello avere tante aule diverse per ogni materia, per esempio l’aula di musica, di scienze, di disegno. Io ho visto in televisione una scuola così e secondo me è molto bello perché in ogni aula trovi ciò che ti serve per studiare certe cose, per esempio nell’aula di scienze trovi lo scheletro o delle immagini degli organi.

4. Aule innovative e stimolanti Solo per 13 bambini su 42 le aule delle scuole che frequentano sono belle e confortevoli, adeguate alle esigenze didattiche. Due bambini di quarta e quinta descrivono il loro ambiente scolastico e ne spiegano i pregi: La mia aula è spaziosa, abbiamo la LIM e molto spesso ci mettiamo a lavorare a gruppi di quattro o cinque, la maestra decide i gruppi e ci dice cosa dobbiamo fare. Secondo me la nostra aula è bella, ci permette di imparare bene, abbiamo in fondo alla stanza anche uno spazio per rilassarci dove abbiamo realizzato una piccola biblioteca di classe in cui è possibile leggere stando seduti o sdraiati sopra dei materassini. Noi facciamo sempre molti lavori per il giornalino di classe e utilizziamo tutti gli spazi dell’aula per dividerci in gruppi, i nostri banchi sono nuovi e le sedie pure. Abbiamo la LIM che usiamo soprattutto in inglese, italiano e scienze, vediamo dei filmati o immagini che alle volte prendiamo per il nostro giornalino di classe.

4.2 Progettazione di aule idonee per l’apprendimento La fase successiva del laboratorio chiedeva ai bambini di realizzare operativamente dei progetti di aula utilizzando i materiali messi a disposizione dall’organizzazione. I bambini erano divisi in gruppi di 7 componenti e avevano la seguente consegna: “Confrontatevi e realizzate un progetto dell’aula ideale che vorreste nella vostra scuola”. Dalle osservazioni dei ricercatori riportate nelle check list è emerso che i bambini hanno collaborato attivamente nei rispettivi gruppi, hanno discusso a lungo sulle scelte e hanno ascoltato e valorizzato il punto di vista di tutti i partecipanti per la realizzazione del prodotto finale. I bambini hanno elaborato dei progetti molto accurati, si sono soffermati a lungo sui particolari, hanno discusso fra loro e con i ricercatori scelte e motivazioni. Di seguito sono proposte alcune riflessioni degli studenti che i ricercatori hanno potuto acquisire durante il laboratorio. Anche in questo caso, utilizzando il software Atlas.ti, è stato possibile fare l’analisi del contenuto delle audioregistrazioni raccolte durante il lavoro e individuare i nuclei tematici più importanti. 1. L’aula: il luogo più importante Nei diversi gruppi di lavoro i bambini hanno preso molto sul serio il compito e si sono a lungo confrontati sull’aula che avrebbero voluto avere nella propria scuola.

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Un bambino di quarta ha definito l’aula: lo spazio più importante della scuola perché se non è bella non ti viene voglia di imparare ma di annoi e ti viene la tristezza.

L’aula viene considerata dai partecipanti il contesto più importante che può facilitare l’apprendimento, un luogo a volte molto ampio, altre volte più raccolto dove si impara a imparare e a stare insieme agli altri. Interessanti le considerazioni di un bambino di quinta: L’aula è il posto più importante della scuola, è lì che ti trovi tutti i giorni con i compagni e le maestre, per questo deve essere pulito, profumato, comodo e spazioso. Se l’aula non è bella ti viene voglia di scappare e non di impegnati. Ho preso un cartoncino grande perché vorrei un’aula immensa dove ci si può muovere senza sbattersi nei banchi, nelle sedie, nell’armadio. Nel progetto metteremo oltre a banchi e sedie anche dei tavoli grandi per fare lavori insieme ai compagni.

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Molto tempo nella progettazione viene impiegato nella scelta della disposizione dei banchi, perché i bambini sono consapevoli che questo condiziona notevolmente la didattica. Interessanti le dichiarazioni di un alunno di quinta che durante la progettazione esplicita (Immagine 2) l’importanza di utilizzare banchi “mobili” che rispondono a specifiche esigenze didattiche: Se i banchi sono in un modo o in un altro cambia tutto, per esempio se li metti di fronte alla cattedra staccati non puoi discutere con i compagni, io li metterei a gruppi di quattro o cinque così si possono fare dei lavori di gruppo, per esempio una ricerca. Io vorrei dei banchi con delle ruote che sposti quando serve per fare meglio il lavoro, per esempio li puoi mettere in cerchio oppure a gruppi o anche tutti di fronte alla LIM, dipende da quello che stai facendo.

!

Immagine 2: Progetto di un gruppo che evidenzia la necessità di avere banchi mobili

Una bambina precisa ancora qualcosa sulla disposizione dei banchi: Dobbiamo fare molta attenzione a come mettiamo i banchi nello spazio dell’aula perché in base a come sono messi i banchi puoi fare o meno certe attività, per esempio per fare attività come quelle che stiamo facendo ora è necessario avere tavoli grandi che puoi anche creare unendo banchi più piccoli. Ma se i banchi sono vecchi e di diversa altezza questo non lo puoi fare.

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2. Più tecnologia e maggiore utilizzo della rete Per i bambini un ruolo importante devono avere nell’aula computer, tablet, LIM perché grazie ad internet si può imparare collegandosi alla rete e visionando filmati su tematiche diverse. Una bambina di terza afferma infatti: Secondo me nell’aula è importante sistemare la LIM in un posto dove tutti possono vedere bene e possono utilizzarla. Se ti colleghi ad internet puoi trovare mille informazioni, per esempio puoi fare una ricerca di geografia o di storia, secondo me oltre alla LIM si devono usare i tablet perché ti permettono di imparare meglio.

La LIM, il PC e il tablet, a giudizio dei bambini, devono entrare di più nella vita della scuola, devono essere strumenti utilizzati sistematicamente sia per apprendere che per socializzare e divertirsi nei momenti di pausa, come precisa un bambino di quinta: Per me la LIM deve poter essere utilizzata dai bambini sempre anche quando non c’è l’insegnante per esempio durante la ricreazione, per trovare filmati divertenti, canzoni, balli. Noi l’accendiamo poco e invece sarebbe utile utilizzarla tutti i giorni nelle diverse materie perché in internet ci sono molte cose interessanti che riguardano anche la scuola.

3. Più spazio per le relazioni ed il confronto L’aula deve essere uno spazio ampio che consente ai bambini di migliorare anche le relazioni mediante il confronto con i compagni e le insegnanti. Per questa ragione vengono curati molti dettagli nei progetti. Un gruppo dispone banchi e sedie in cerchio perché in questo modo è più facile discutere e confrontarsi (Immagine 3) !

Immagine 3: Banchi e sedie in cerchio per facilitare la comunicazione

Le spiegazioni che i bambini portano per giustificare l’importanza della disposizione in cerchio di sedie e banchi sono molto interessanti. Un bambino di quinta chiarisce: A me piace guardare le persone negli occhi perché così è più facile confrontarsi e discutere, se necessario anche animatamente. La discussione porta al confronto però nel rispetto delle idee altrui.

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In un gruppo si discute a lungo sull’importanza di stare in cerchio per conoscersi meglio e per consentire a tutti di dire ciò che pensano. La spiegazione di un bambino di quarta è molto eloquente: Nel progetto abbiamo previsto un’aula grande perché per mettere sedie e banchi in cerchio ci vuole spazio altrimenti sei troppo attaccato. Guardarsi in faccia nel cerchio è molto utile perché si conoscono meglio le persone e si impara ad accettare anche caratteri diversi dal proprio.

5. Discussione

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Un primo aspetto che il laboratorio conferma è che se adeguatamente ascoltati i bambini sono in grado di portare importanti riflessioni sulla qualità della didattica, essi possono offrire utili suggerimenti su come migliorare l’offerta formativa e l’utilizzo delle metodologie didattiche. Pur nella sua brevità temporale, la ricerca dimostra che la prospettiva student voice può essere utilizzata anche con bambini piccoli, che però devono essere messi nelle condizioni di esprimersi magari proprio elaborando dei progetti e realizzando dei prodotti come in questo caso. Dal laboratorio emerge infatti con chiarezza quale idea i bambini hanno della scuola e quali sono le loro esigenze per un’aula maggiormente rispondente ai bisogni educativi e didattici dei bambini della scuola primaria. Sia nel brainstorming che durante la realizzazione dei progetti, i bambini chiedono una scuola con spazi più ampi e flessibili dove la lezione frontale possa lasciare il posto ad attività più laboratoriali dove sia più piacevole imparare attraverso il confronto con gli altri e la realizzazione di compiti significativi e di realtà. Le dichiarazione raccolte dai bambini, confermano quanto è stato più volte ribadito nella letteratura pedagogica degli ultimi anni, ossia la necessità di superare la lezione frontale per implementare una didattica più interattiva e coinvolgente che stimola e incoraggia lo studente a mettersi in gioco per diventare gradualmente sempre più competente (Castoldi & Martini, 2011). Dalle esperienze riportate dai bambini, inoltre, in pochi casi l’aula si pone come un contesto inclusivo dove coloro che incontrano difficoltà nell’apprendimento possono beneficiare di arredi, spazi e materiali idonei per una didattica personalizzata come gli studi di pedagogia speciale chiedono (Pavone, 2015). Il setting ha una grande importanza nell’organizzazione delle attività didattiche, la progettazione dell’ambiente educativo incide sulla qualità dell’apprendimento, della motivazione, dell’interesse verso le proposte della scuola (Weyland & Attia, 2015). L’aula, a parere dei bambini coinvolti nel percorso laboratoriale, è il luogo più importante nella vita della scuola: in essa lo studente deve sentirsi membro di un gruppo che si confronta e impara in un contesto che gli appartiene e sente suo. Per questa ragione la maggioranza dei bambini rifiutano l’idea di una scuola fatta di molti atelier (uno per ogni disciplina), essi chiedono un contesto più intimo e raccolto che li faccia sentire comunità educativa di apprendimento. L’idea degli atelier tematici forse è più adatta a ragazzi più grandi che per esempio frequentano la scuola secondaria, per gli alunni della scuola primaria è utile avere un luogo dove ogni giorno essi si incontrano e si riconoscono come membri di una comunità. L’aula è infatti vista come il luogo privilegiato per il confronto, per migliorare le relazioni fra pari, per diventare più sicuri di sé. La scelta di molti bambini di disporre banchi e sedie in cerchio risponde all’esigenza di dialogare di più fra compagni, di incontrare il punto di vista dell’altro e di proporre liberamenre il proprio.

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Dalle considerazioni dei bambini si evince che le nuove tecnologie non sono ancora entrate appieno nella vita della scuola; il tablet, il PC e la stessa LIM viene utilizzata solo parzialmente come supporto alla didattica senza di fatto modificare però la lezione che per lo più rimane frontale. Come emerge da una recente ricerca la scuola fatica a modificare le proprie metodologie didattiche e le TIC solo in parte trasformano il sostanziale approccio didattico basato sulla lezione frontale (Calidoni & Ghiaccio, 2015).

6. Riflessioni conclusive Il laboratorio, pur essendo di una sola giornata, è stato utile perché ha dimostrato che i bambini di scuola primaria possono dare un importante contributo nelle scelte progettuali di una scuola. I bambini hanno chiesto con estrema chiarezza setting più ampi con arredi idonei dove sia più facile imparare e piacevole confrontarsi con i compagni di classe e gli insegnanti. La richiesta più forte, seppure non del tutto esplicita, è quella di una didattica meno trasmissiva e più laboratoriale mediante soprattutto un’organizzazione degli spazi che favorisca il lavoro di gruppo e l’imparare attraverso il fare. Molto chiara inoltre l’esigenza di utilizzare di più e meglio le nuove tecnologie in classe perché attraverso di esse i bambini nativi digitali sentono di poter imparare, seppure guidati e supportati dall’adulto insegnante. I progetti realizzati dai bambini durante il laboratorio, unitamente alle loro dichiarazioni sono stati ritenuti molto utili da docenti e genitori, dal sindaco e dall’assessore alla cultura della città, che hanno preso parte alla presentazione finale degli elaborati e hanno espresso la volontà di valorizzare il contributo dei bambini in fase di progettazione di un piano di lavoro per la ristrutturazione di un plesso di scuola primaria. Sarebbe interessante valutare quanto i numerosi progetti finanziati dalla Regione Sardegna con i fondi del bando “tutti a iscol@” per la costruzione e/o ristrutturazione di edifici scolastici, tengano presenti le indicazioni che i bambini hanno esplicitato nel laboratorio o se, al contrario, le scelte degli adulti progettisti si discostano da quanto chiesto dagli studenti, che sono i diretti destinatari dei nuovi ambienti di apprendimento che si andranno a realizzare.

Riferimenti bibliografici Friese S. (2014). Qualitative data analysis with ATLAS. Ti. London. SAGE Publications. Calidoni P., Ghiaccio M.F. (2015). Viste da vicino. Dinamiche e criticità dell’innovazione digitale nella didattica. Casi e indicazioni da esplorazioni sul campo. Lecce-Brescia. Pensa MultiMedia. Castoldi M. (2015). Didattica generale. Milano. Mondadori. Castoldi M. (2011). Progettare per competenze. Percorsi e strumenti. Roma. Carocci. Castoldi M., Martini M. (2011). Verso le competenze: una bussola per la scuola. Milano: Franco Angeli. Cook-Sather A. (2013). Legittimare i punti di vista degli studenti. Nella direzione della fiducia, del dialogo e del cambiamento in educazione. In V. Grion, A. Cook- Sather (a cura di), Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia (pp. 2761). Milano: Guerini Scientifica. Damiano E. (2013). La mediazione didattica. Milano. FrancoAngeli. Dettori G. F. (2009). La scuola media che vorrei. Roma: Aracne.

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Dettori G.F. (2017). Una scuola per tutti con la didattica per competenze. Milano: FrancoAngeli. Fielding M. (2010). Community, philosophy and education policy: Against the immiseration of contemporary schooling. Journal of Education Policy, 15 (4), 397-415. Gemma C., Grion V. (a cura di) (2015). Student Voice. Pratiche di partecipazione degli studenti e nuove implicazioni educative. Barletta: Carfagna. Grion V., Cook-Sather A. (a cura di) (2013). Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia. Milano: Guerini Scientifica. Groundwater-Smith S., Dockett S., Bottrell D. (2015). Participatory research with children and young people. Los Angeles: Sage. Robinson C., Taylor C.A. (2013). Student voice as a contested practice: power and participation in two student voice projects. Improving Schools, 16, (1), 32-46. Pavone M. (2015). Scuola e bisogni educative speciali. Milano: Mondadori. Pellerey M. (2006). Dirigere il proprio apprendimento. Autodeterminazione e autoregolazione nei processi di apprendimento. Brescia: La Scuola. Thompson P. (2009). Consulting Secondary School Pupils about Their Learning. Oxford Review of Education 35, (6), 671-687. Weyland B. (2013). Media e Spazi della scuola. Brescia: La Scuola. Weyland B., Attia S. (2015). Progettare scuole tra pedagogia e architettura. Milano: Guerini Scientifica.

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Universal Design for Learning per una valorizzazione delle differenze: un’indagine esplorativa sulle percezioni degli insegnanti Elisabetta Ghedin • Università degli Studi di Padova – elisabetta.ghedin@unipd.it Silvia Mazzocut • silvia.mazzocut@gmail.com

Universal Design for Learning to value differencies: An explorative reasearch considering teachers’ perceptions

Universal Design for Learning, breaking down the barriers to learning and participation, promotes learning environments in which the goal is to train expert students, who can learn, who have already learned and who want to continue to learn. Considering the value of this model’s principles in inclusive optics, it has arisen spontaneously the hypothesis concerning a possible reflection on UDL model also in the Italian context. Through research it was therefore investigated its possible prospects for implementation in our reality, starting from the teachers’ perceptions of their inclusive educational practices. The research involved a group of 255 Primary, 1st and 2nd grade Secondary teachers, and investigated teachers perceptions regarding the sharing of values and inclusive practices adopted in perspective of Universal Design for Learning. The results show fertile ground for its diffusion in the Italian context while enhancing some dimensions necessary for its application (eg. School ethos, teacher training).

Parole chiave: inclusione, percezione degli insegnanti, progettazione universale per l’apprendimento

Keywords: inclusion, teachers’ perceptions, universal design for learning

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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L’Universal Design for Learning, abbattendo le barriere che impediscono l’apprendimento e la partecipazione, promuove ambienti di apprendimento nei quali l’obiettivo sia quello di formare studenti esperti, che sappiano apprendere, che abbiano già appreso e che vogliano continuare ad apprendere . Considerando il valore dei principi di questo modello in ottica inclusiva, è sorta spontanea l’ipotesi riguardante un’eventuale riflessione sul modello dell’UDL anche nel contesto italiano. Attraverso la ricerca sono state, quindi, indagate le sue possibili prospettive di attuazione nella nostra realtà, a partire dalla percezione che gli insegnanti hanno delle proprie pratiche educative inclusive. La ricerca ha coinvolto un gruppo di 255 insegnanti della scuola Primaria, Secondaria di 1° e 2° Grado e ha avuto come obiettivo quello di indagare le percezioni degli insegnanti in merito alla condivisione dei valori e delle pratiche inclusive adottate nell’ottica dell’Universal Design for Learning, nelle rispettive scuole di appartenenza. I risultati evidenziano terreno fertile per la sua diffusione nel contesto italiano pur valorizzando alcune dimensioni necessarie per la sua applicazione (es. ethos della scuola, formazione degli insegnanti).


Universal Design for Learning per una valorizzazione delle differenze: un’indagine esplorativa sulle percezioni degli insegnanti

1. Progettazione Universale per l’Apprendimento e culture inclusive: dalle definizioni ai significati

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In questo articolo approfondiremo i principi e le idee di un approccio pedagogico innovativo, concretizzazione del concetto di progettazione universale per l’apprendimento, che, anche se non dichiaratamente, sembra essere in sintonia con le traiettorie di apprendimento positivo orientato alla promozione del ben-essere e della partecipazione degli alunni (Ghedin, 2009). Si tratta dell’Universal Design for Learning (UDL), modello elaborato in America (USA) dal Center for Applied Special Technology (CAST, 2011), che affronta la sfida di realizzare un’educazione che sia valida per tutti proponendo criteri attuativi concreti, che guidino la pratica degli insegnanti verso un cambiamento radicale dei sistemi educativi. L’UDL è un modello, di progettazione di materiali, metodi e strategie d’istruzione volto a facilitare l’apprendimento e a promuovere la partecipazione scolastica di tutti gli studenti. Basandosi sulla ricerca condotta in campo neuroscientifico, questo approccio pedagogico riconosce le differenze presenti tra gli stili di apprendimento degli studenti considerando che, data questa variabilità, sia necessario adottare diverse modalità di insegnamento per andare incontro alle diversità di tutti a partire dalla considerazione delle emozioni e dell’affetto (affect, C. A. Tomlinson, 2006) che motivano gli studenti nel processo di apprendimento (Immordino, Damasio, 2007). Esso garantisce infatti un miglioramento dei risultati di tutti gli studenti, i quali ne riconoscono il valore, dal momento che si sentono più coinvolti nei percorsi di apprendimento ed interessati ai contenuti scolastici. Questo approccio favorisce un insegnamento flessibile che assicura la partecipazione di tutti gli studenti senza intervenire sugli standard di apprendimento. Chi ne trae il maggior beneficio sembra essere lo studente con difficoltà (di vario tipo) anche grazie al fatto che l’UDL attribuisce alle tecnologie un ruolo importante, come strumento di supporto per consentire l’accessibilità a tutti (Rose, Gravel, & Domings, UDL Unplugged: The role of Technology in UDL, 2010). Lo scopo dell’UDL è di creare curricola che siano sufficientemente flessibili per garantire la partecipazione di tutti attraverso l’adozione di tre principi fondamentali: fornire mezzi multipli di rappresentazione, mezzi multipli di azione ed espressione e offrire migliori e più numerosi mezzi di coinvolgimento. L’UDL rappresenta quindi, una modalità di progettazione e gestione della pratica educativa che, evitando misure dispensative e compensative successive, riduce fin dall’inizio le barriere nell’istruzione mantenendo un alto livello di successo per tutti gli studenti, attraverso la progettazione di curriculum flessibili e accessibili. È giusto credere che tutti gli studenti non imparino usando i medesimi meccanismi o elaborino le informazioni con la stessa velocità, o ancor più, comunichino ciò che hanno appreso nello stesso modo: pertanto, grande responsabilità è riposta nella struttura del curriculum e in chi lo progetta, poiché spetta ad esso il compito di renderlo sufficientemente flessibile per incontrare nel modo migliore possibile le diversità di tutti (Tomlinson, 2006). Variare la presentazione dei contenuti e le modalità d’insegnamento sembra essere la chiave per migliorare la scuo-

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la di oggi, una scuola che presenta situazioni sempre più eterogenee all’interno delle singole classi. La filosofia dell’Universal Design for Learning trova le sue origini nel concetto di Universal Design, principio nato nel campo dell’architettura durante gli anni ’70. La premessa dell’Universal Design (UD) è che la progettazione delle strutture, intese come ambienti o oggetti, sia pensata per consentire al maggior numero di persone possibili di accedervi o farne uso senza alcun tipo d’impedimento. Ne deriva quindi che, edifici, ambienti e oggetti debbano essere progettati per accogliere tutte le persone indipendentemente dalle loro caratteristiche ed esigenze fisiche, emotive e cognitive. L’obiettivo di questo paradigma è di considerare, fin dai primi momenti d’ideazione di una struttura o di un oggetto, il diritto che tutti hanno di accedere e usufruire di quella determinata struttura e/o oggetto, in relazione con l’uguaglianza delle opportunità (capability, Sen, 1980). Basandosi su questo costrutto, ogni struttura ha bisogno di essere progettata senza alcun tipo di barriera che possa impedirne, appunto, l’accesso o l’utilizzo. L’idea dell’Universal Design nasce quindi, dall’esigenza di garantire più diritti alle persone con disabilità accomodando ragionevolmente1 le strutture per incontrare i loro bisogni fisici, cognitivi e di comunicazione. In particolare, uno dei fattori che ha influito maggiormente sulla nascita di questa corrente è stata l’entrata in vigore di diverse norme legislative frutto delle lotte dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità. Un aspetto dell’Universal Design riguarda, quindi, il fatto che ciò che risulta essere progettato, fin dall’inizio e senza adattamenti seguenti, per gli utenti che presentano alcune difficoltà, sarà inevitabilmente adeguato anche per chi non presenta particolari esigenze. Questo approccio riconosce, rispetta, e tenta di coinvolgere il più ampio spettro possibile di capacità umane nella progettazione di tutti i prodotti, ambienti e sistemi informativi. I principi dell’UD sono stati adottati in campo Educativo dal CAST (Center for Applied Special Technology) con lo scopo di migliorare l’accesso scolastico per tutti gli studenti dando vita all’Universal Design for Learning (UDL). Come l’UD nell’ambito del design giova a tutti gli utenti, allo stesso modo l’UDL, nel sistema scolastico, ha lo scopo di migliorare le esperienze di apprendimento di tutti gli studenti. Kurtts (2006), ha condotto una ricerca su come i principi dell’UDL vengano compresi e considerati dagli insegnanti e su come gli stessi insegnanti utilizzino software e strumenti tecnologici per migliorare l’accessibilità all’apprendimento per gli studenti con disabilità. Una curiosità da rilevare di questo studio riguarda il fatto che il gruppo di ricerca fosse formato sia da insegnanti in formazione che da insegnanti già in servizio. I risultati raccolti hanno dimostrato che tutto il gruppo concordava nel considerare l’UDL come un buon approccio da integrare nel sistema scolastico; inoltre, sempre secondo l’opinione degli insegnanti, la progettazione messa in atto attraverso i principi dell’UDL e tramite l’utilizzo di software, sembra dare agli studenti più opportunità per esprimersi, dimostrandosi così decisamente inclusiva. Infine, il gruppo riconosce l’aumento dell’efficacia dell’istruzione poiché gli studenti si sentono maggiormente coinvolti attraverso l’attuazione dei costrutti

1

Il termine accomodamento ragionevole viene usato nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ONU, 2006, tr. it. 2007) e indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali.

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dell’UDL. Lo studio condotto da Abell, Jung e Taylor (2011), invece, indaga la percezione degli studenti riguardo il loro ambiente di apprendimento, ambiente arricchito e strutturato secondo l’Universal Design for Learning, analizzando soprattutto la differenza percepita tra classi gestite da insegnanti di genere femminile o di genere maschile. Gli autori riescono a condurre l’analisi utilizzando l’Individualised Classroom Environment Questionaire, strumento che considera cinque variabili per esaminare gli ambienti di apprendimento: personalizzazione, partecipazione, indipendenza nel prendere decisioni, capacità di consentire la risoluzione di problemi e differenziazione. I risultati indicano che gli studenti percepiscono in modo significativo l’arricchimento dato agli ambienti e all’insegnamento dall’attuazione dell’UDL, e che le insegnanti di genere femminile riescono a creare ambienti di apprendimento maggiormente personalizzati rispetto ai colleghi di genere maschile. In uno studio condotto da Hately (2011) sono indagate due questioni: una riguardante la percezione degli insegnanti dell’UDL e l’altra riferita ai cambiamenti necessari da apportare nel sistema scolastico per garantire l’attuazione del modello stesso. I risultati ricavati dimostrano che gli insegnanti hanno una percezione positiva dell’Universal Design for Learning, nonostante non si sentano sicuri e competenti nelle possibilità di attuazione del modello stesso. Infine, Schelly, Davies & Spooner (2011) hanno condotto uno studio su un gruppo di studenti universitari riguardo la loro percezione dell’apporto dato dall’UDL alle strategie d’insegnamento adottate dai docenti universitari dimostrando quanto l’innovazione apportata dall’UDL alla progettazione educativa possa migliorare l’esperienza educativa, soprattutto di quegli studenti con più difficoltà. Il questionario è stato somministrato agli studenti all’inizio e alla fine di un periodo nel quale i docenti avevano apportato grandi cambiamenti al proprio approccio seguendo le linee guida dell’Universal Design for Learning. I risultati della ricerca sono stati promettenti. Riassumendo, gli studi qui riportati sono studi che indagano la percezione d’insegnanti o studenti riguardo all’attuazione dell’UDL in contesti educativi.

2. Premesse della ricerca Considerando la validità del modello dell’Universal Design for Learning in ottica inclusiva, in quanto è dimostrazione di una possibile operativizzazione dell’inclusione stessa tramite l’attuazione di approcci che valorizzano le differenze degli studenti, è stata ipotizzata una ricerca per comprendere l’idea che gli insegnanti italiani hanno dei principi e delle pratiche inclusive che sostengono il modello dell’UDL, indagando anche quanto queste pratiche vengano già messe in atto nelle scuole italiane. È importante sottolineare che il contesto italiano risulta essere particolarmente favorevole ad indagini in questa direzione, in quanto il cammino compiuto negli ultimi 40 anni ha portato a sostenere un’idea di scuola che voglia e sappia essere una scuola per tutti. L’Italia è famosa nel mondo per l’impegno portato avanti negli ultimi decenni, prima per l’integrazione delle persone con disabilità (dal diritto all’istruzione sancito negli art. 3 e 34 della Costituzione Italiana, per giungere a due importanti riferimenti legislativi: L. 517/77 e L. 104/92) e poi verso un sempre più attento processo di inclusione scolastica (DPR del 24 feb. 1994, L. 53/2003, Linee guida del 2009, L. 170/2010, DM n. 5669/2011, Linee guida allegate al DM n. 5669, Direttiva del 27 dic. 2012, C. M. n. 8 del 6 mar. 20132). 2

Indicazioni operative riguardanti la Direttiva del 27/12/2012.

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Le indicazioni didattiche presenti nei riferimenti normativi sopra citati, sono molte e finalizzate soprattutto alla promozione del diritto all’istruzione per gli studenti con difficoltà, considerando la predisposizione di programmi personalizzati ed individualizzati per sviluppare al meglio le potenzialità di ogni alunno. Per quanto riguarda invece un diretto riferimento alla progettazione universale per l’apprendimento, è difficile, in Italia, trovare spazi in letteratura e nella prassi, benché siano percepiti come urgenti studi e soluzioni che vadano in questa direzione, ma questo non implica che già molto si stia facendo (Savia, 2016). Come vedremo però, in questa ricerca il modello non è direttamente presentato agli insegnanti con lo scopo di riceverne un feedback concernente il funzionamento, ma viene indagata la pratica didattica attuata a scuola per comprendere quanto, dei principi dell’UDL, sia già tenuto inconsapevolmente in considerazione nella realtà italiana senza che il modello sia stato ancora conosciuto, considerato ed accolto. Più precisamente la nostra ricerca vuole dimostrare quanto, in Italia, siano già presenti dei presupposti inclusivi validi in merito alle pratiche didattiche adottate, alcune delle quali già condividono parte degli ideali dell’Universal Design for Learning. Per quanto riguarda le pratiche didattiche, emblema di un lavoro scolastico volto all’inclusione, sono presenti, in alcuni dei più moderni riferimenti normativi già citati, delle indicazioni operative condivise anche dal modello dell’Universal Design for Learning. Nelle Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009, ad esempio, è espressa l’esigenza di formulare una progettazione congiunta tra gli insegnanti colleghi di classe e d’istituto, nonostante il ruolo degli insegnanti per le attività di sostegno sia rivolto alla strutturazione del programma per gli alunni con disabilità. Al punto 1.2 viene, infatti, detto che per non disattendere mai gli obiettivi dell’apprendimento e della condivisione, è indispensabile che la programmazione delle attività sia realizzata da tutti i docenti curricolari, i quali, insieme all’insegnante per le attività di sostegno definiscono gli obiettivi di apprendimento per gli alunni con disabilità in correlazione con quelli previsti per l’intera classe.

Inoltre al punto 2, si fa riferimento all’importanza dell’organizzazione di curricoli in funzione dei diversi stili o delle diverse attitudini cognitive, a gestire in modo alternativo le attività d’aula, a favorire e potenziare gli apprendimenti e ad adottare i materiali e le strategie didattiche in relazione ai bisogni degli alunni. Non in altro modo sarebbe infatti possibile che gli alunni esercitino il proprio diritto allo studio inteso come successo formativo per tutti, tanto che la predisposizione di interventi didattici non differenziati evidenzia immediatamente una disparità di trattamento nel servizio di istruzione verso coloro che non sono compresi nelle prassi educative e didattiche concretamente realizzate.

Riconoscendo così l’unicità di ogni studente e valorizzando le differenze presenti tra un gruppo di studenti, invece che considerarle come un ostacolo all’apprendimento, si rileva l’importanza di adeguare di conseguenza anche il proprio insegnamento, personalizzandolo in funzione dei diversi bisogni degli studenti. Il paragrafo 2.2, tratta delle strategie scolastiche e degli strumenti da adottare rilevando che la progettualità didattica orientata all’inclusione comporta l’adozione di strategie e metodologie favorenti, quali l’apprendimento cooperativo, il lavoro di gruppo e/o a coppie, il tutoring, l’apprendimento per scoperta, la

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suddivisione del tempo in tempi, l’utilizzo di mediatori didattici, di attrezzature e ausili informatici, di software e sussidi specifici. Da menzionare la necessità che i docenti predispongano i documenti per lo studio o per i compiti a casa in formato elettronico, affinché essi possano risultare facilmente accessibili agli alunni che utilizzano ausili e computer per svolgere le proprie attività di apprendimento. A questo riguardo risulta utile una diffusa conoscenza delle nuove tecnologie per l’integrazione scolastica, anche in vista delle potenzialità aperte dal libro di testo in formato elettronico. È importante allora che i docenti curricolari attraverso i numerosi centri dedicati dal Ministero dell’istruzione e dagli Enti Locali a tali tematiche acquisiscano le conoscenze necessarie per supportare le attività dell’alunno con disabilità anche in assenza dell’insegnante di sostegno.

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L’uso della tecnologia è una condizione imprescindibile del nostro tempo. Gli insegnanti devono essere conseguentemente formati in modo adeguato per riuscire a usare in modo davvero funzionale i software e gli strumenti tecnologici che supportano l’insegnamento e l’apprendimento. Ma la tecnologia non è tutto. Per perseguire l’obiettivo di una didattica efficace, universalmente progettata, diverse sono le strategie didattiche da mettere in atto. Infine, in merito alla percezione che gli insegnanti devono avere dei propri studenti, è detto che un sistema inclusivo considera l’alunno protagonista dell’apprendimento qualunque siano le sue capacità, le sue potenzialità e i suoi limiti. Va favorita, pertanto, la costruzione attiva della conoscenza, attivando le personali strategie di approccio al “sapere”, rispettando i ritmi e gli stili di apprendimento e “assecondando” i meccanismi di autoregolazione. Si suggerisce il ricorso alla metodologia dell’apprendimento cooperativo.

La Legge 170/2010 richiama invece, le istituzioni scolastiche all’obbligo di garantire “l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere”. A questo riguardo, nel Protocollo d’intesa tra MIUR e Ministero della Salute per “La tutela del diritto alla salute e del diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disabilità” del 12 luglio 2012 sono descritti alcuni strumenti compensativi, che sono identificati come “strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria”. Come si può notare dall’analisi condotta su i documenti normativi italiani, nelle indicazioni che gli insegnanti sono chiamati ad interiorizzare e rispettare, sono presenti degli elementi che rispecchiano i principi del modello dell’Universal Design for Learning, dimostrando così quanto in realtà sia già in essere di fatto nel nostro Paese l’ottica della progettazione universale per l’appprendimento. Dati questi presupposi, le premesse della ricerca fanno così riferimento a quattro ordini di considerazioni: a) l’inclusione scolastica è necessaria e possibile per garantire una società migliore nella quale vengano riconosciuti a tutti pari diritti (tra cui quello dell’accesso all’educazione, art. 24 Convenzione ONU); b) nella realtà italiana già viene fatto molto seguendo alcuni dei principi della progettazione universale per l’apprendimento, di conseguenza il nostro Paese si presenta come un terreno fertile per l’attuazione di innovativi approcci inclusivi come quello dell’UDL attraverso la progettazione didattica, l’uso di metodologie e strategie di insegnamento, e di tecnologie e supporti didattica; c) l’Universal Design for Learning si dimostra come un valido approccio didattico per la promozione dell’inclusione scolastica e per questo motivo potrebbe essere considerato nel contesto italiano.

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3. Scopo e domande di ricerca Un aspetto che emerge dalla letteratura consultata è che l’opinione, sia degli studenti sia degli insegnanti, in merito all’adozione del modello dell’Universal Design for Learning nella pratica didattica è certamente positiva. È riconosciuta all’approccio la caratteristica di garantire equità e partecipazione per tutti gli studenti, aumentando l’efficacia dell’insegnamento grazie al miglioramento dell’accessibilità all’informazione per gli studenti e del coinvolgimento verso le attività scolastiche. In linea con quanto appreso, lo scopo di questa ricerca è di indagare la percezione che gli insegnanti hanno in merito alla condivisione dei valori inclusivi e alle pratiche adottate dal punto di vista della progettazione universale (UDL), nelle rispettive scuole di appartenenza. Nello specifico, viene analizzato, attraverso un questionario semi-strutturato quanto le pratiche inclusive, inerenti diversi ambienti siano condivise nel contesto lavorativo di appartenenza. Inoltre, la parte conclusiva del questionario è inerente la conoscenza o meno, da parte dei docenti, del modello dell’UDL. L’indagine qui presentata si propone, quindi, di rispondere a tre domande di ricerca: 1. Quanto, secondo la percezione degli insegnanti, sono condivisi i valori e adottate le pratiche inclusive (alla base anche del modello dell’Universal Design for Learning) nelle scuole di appartenenza e nel proprio lavoro? 2. Esistono differenze significative nell’attuazione delle pratiche didattiche a seconda delle caratteristiche degli insegnanti? In particolare in merito a: genere; istituto di appartenenza; tipologia dell’istituto di appartenenza (scuola pubblica o paritaria); grado di scuola nel quale si insegna; anni di insegnamento; ruolo come insegnante (Curricolare o di sostegno). 3. Il modello dell’Universal Design for Learning è conosciuto dagli insegnanti Italiani?

4. Metodo 4.1 Gruppo coinvolto nella ricerca Le persone coinvolte nell’indagine sono state 2553. Si tratta di insegnanti curricolari e di sostegno, che lavorano in scuole di diverso ordine e grado: Primarie, Secondarie di 1° Grado e Secondarie di 2° Grado del Nord Est d’Italia, in particolare della zona di Padova (n=195) e Pordenone (n=60). Gli istituti coinvolti nella ricerca sono per lo più statali, ma sul totale di 255 partecipanti una percentuale del 14,5 % degli insegnanti proveniva da un contesto di scuola paritaria4. Sono insegnanti che hanno per la maggior parte un titolo di studio di diploma magistrale (n=66) o di laurea specialistica magistrale (n=94). Molti di essi hanno anche frequentato il Corso di Specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni in situazione di disabilità (n=75). Gli insegnanti sono per lo più femmine (n=231) confermando una tendenza oramai presente da alcuni anni nel nostro territorio, di un corpo docente al femminile. Inoltre la maggior parte sono docenti che lavorano da più di 20 anni nella scuola (n=119) e molti di essi sono principalmente

3 4

La selezione del gruppo è stata effettuata a convenienza (Cohen, Manion, 2007) considerando la facilità di reperimento degli insegnanti coinvolti. La differenza tra il numero di partecipanti di scuola paritaria (n=37) e di scuola statale (n=218) è notevole e potrebbe portare alla determinazione di risultati poco significativi.

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attivi nella scuola primaria (n=153) come insegnanti curricolari (n=202). Numerosi inoltre sono i docenti che svolgono diverse funzioni entro la scuola come coordinatori, referenti, funzione, responsabile (n=113). Caratteristiche Genere Grado di Scuola in cui lavora Territorio di provenienza Scuola di provenienza

Anni di insegnamento

152

Titolo di studio conseguito

Settore scientifico/ disciplinare

Ruolo lavorativo

Funzioni aggiuntive svolte a scuola

Maschile Femminile Primaria Secondaria di primo grado Secondaria di secondo grado Padova Pordenone 1 Istituto V. 2 Liceo M. 3 Istituto C. 4 Istituto Comprensivo XI 5 Istituto Comprensivo II 6 Istituto Comprensivo A. 7 Istituto Comprensivo III 1 o meno 2-5 5-10 10-20 > di 20 Diploma magistrale Laurea Triennale o Diploma universitario Laurea quadriennale in scienze della Formazione Primaria Laurea Specialistica o Magistrale Master Dottorato di ricerca Corso di specializzazione (abilitante all’insegnamento o di Sostegno) Scienze matematiche e informatiche Scienze Fisiche Scienze Chimiche Scienze della Terra Scienze Biologiche Scienze Mediche Scienze Agrarie-Veterinarie Ingegneria civile e Architettura Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Scienze giuridiche Mancata Risposta Insegnante curricolare Insegnante di sostegno Altro (inglese, religione, di potenziamento ecc) Collaboratore del Dirigente Coordinatore di Area Disciplinare Funzione Strumentale Referente di Progetto Coordinatore/trice di plesso Responsabile di un’attività Altra funzione Nessuna Funzione Più funzioni Mancata risposta

Frequenza 24 231 153 57 43 195 60 29 31 7 40 31 64 53 8 18 42 68 119 66 42

Percentuale, n =255 9,4 90,6 605 22,5 17,0 76,5 23,5 11,4 12,2 2,7 15,7 12,2 25,1 20,8 3,1 7,1 1 26,7 46,7 26,1 16,6

27

10,7

94 10 9

37,2 4,0 3,6

75

29,4

3 2 1 3 12 5 1 4

1,2 ,8 ,4 1,2 4,7 2,0 ,4 1,6

53

20,8

136

53,3

2 33 202 42

,8 12,1 79,2 16,5

11

4,3

2 8 11 20 9 10 20 122 33 20

,8 3,1 4,3 7,8 3,5 3,9 7,8 47,8 12,9 7,8

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! "

5

Tab. 1: Caratteristiche del gruppo coinvolto nell’indagine

!#$%%!$&'()(*'&+,%!-./!0()*&1/&(!2)&3%$*&,.$&(!4.5&()./%!6024!

Aree riconosciute dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN).

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4.2 Strumento di indagine Il questionario è stato costruito facendo riferimento a due studi (Shelley et al., 2011; Hatley, 2011) e alle Linee Guida dell’Universal Design for Learning. Questi strumenti hanno svolto la funzione di guida nella scelta dei contenuti da approfondire nonostante, parte degli item riportati in essi fosse esplicitamente riferita alla generale comprensione del concetto di UDL o alle implicazioni inerenti la sua applicazione. Da questi due studi e dalle Linee Guida dell’Universal Design for Learning sono state tratte idee utili alla stesura del questionario ma che risultano di difficile comprensione se somministrate senza aver illustrato (almeno brevemente) i punti chiave del modello del CAST. Per riuscire, quindi, a valutare l’inclusività delle scuole e dell’insegnamento adottato dai docenti coinvolti nella ricerca, alla luce dei principi dell’UDL, ci si è focalizzati su alcuni indicatori e domande dell’Index per l’inclusione6. A partire da quest’ultimo, sono stati selezionati dalle scriventi, tra tutti gli indicatori presenti, quelli che più erano affini, o addirittura approfondivano, le questioni indagate nelle ricerche americane (Hatley,2011; Shelly et al.,2011), basandosi sugli elementi chiave dell’Universal Design for Learning estrapolati dalle Linee Guida. Lo strumento è stato sottoposto ad un’attenta revisione da parte di un gruppo di insegnanti/tutor universitarie del corso di Scienze della Formazione Primaria. Il questionario7 finale era anonimo e di veloce (massimo 15 minuti) e facile compilazione. Nello specifico, esso si compone di tre sezioni. La prima sezione, chiamata “Area Personale”, comprende una serie di domande volte a raccogliere informazioni sulle caratteristiche riguardanti la propria professione come insegnanti (Genere, Grado di Scuola in cui si lavora, Anni di insegnamento, Titolo di studio

6

7

Strumento ideato per promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola. In esso sono raccolti materiali e metodologie che consentono ad alunni, docenti, genitori e dirigenti di valutare l’inclusione nella propria comunità scolastica e di progettare azioni che la rendano un ambiente sempre più inclusivo. Nel manuale sono inseriti degli indicatori e delle domande che “possono essere usati per analizzare modalità organizzative già esistenti così da stabilire delle priorità di sviluppo” per la creazione di ambienti inclusivi. Una volta ultimato lo strumento d’indagine si è proceduto con la scelta delle scuole da coinvolgere per la ricerca. Sono state inviate richieste di partecipazione alla ricerca a tutti gli istituti comprensivi (di scuola Primaria e Secondaria di 1° Grado) del Comune di Padova e ad alcuni di zone limitrofe oltre ad alcuni Istituti della zona di Pordenone. È stata inviata una richiesta a così ampio raggio con la consapevolezza che solo alcune scuole avrebbero dato la disponibilità per condurre la ricerca con i loro insegnanti. Inoltre, sono stati invitati a partecipare anche diversi istituti statali di scuola Secondaria di 2° Grado e alcune scuole paritarie con risultati decisamente meno soddisfacenti. In entrambi i contesti, Padova e Pordenone, conseguentemente all’accettazione da parte della scuola e allo svolgimento di un colloquio con il Dirigente Scolastico di ogni istituto per illustrare gli obiettivi della ricerca, sono stati consegnati agli insegnanti i questionari, in formato cartaceo per facilitarne la compilazione. La predisposizione di un questionario anche in modalità on-line avrebbe rispecchiato maggiormente i principi da noi promossi della progettazione universale, ma alcuni docenti avrebbero potuto trovare complicazioni nella procedura per via telematica, rinunciando così alla compilazione. Periodo di rilevazione da Marzo a Giugno 2016. Si è preferito quindi ideare e produrre uno strumento che venisse incontro il più possibile alle esigenze dei soggetti della ricerca: un questionario di facile e breve compilazione. Gli insegnanti hanno partecipato alla ricerca su base volontaria compilando il questionario in forma anonima (la compilazione richiedeva non più di 15 minuti).

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conseguito, Anno di conseguimento, Ruolo nella Scuola, e Funzioni aggiuntive svolte). La seconda sezione invece presenta 39 item volti a misurare la percezione degli insegnanti in merito alla promozione a scuola dell’inclusione secondo tre assi: l. ethos della scuola; 2. Ambiente classe; 3. Competenze professionali. Gli insegnanti potevano rispondere attraverso una scala Likert a 6 punti (da “non so” a “moltissimo”). La terza sezione riguarda, invece, un’unica domanda alla quale i soggetti potevano rispondere sì/no, per poi approfondire in maniera più discorsiva, attraverso una risposta aperta, la loro opinione. Questa sessione riguarda direttamente la conoscenza dell’Universal Design for Learning. 4.3 Analisi dei dati e risultati

154

L’analisi dei risultati si è svolta in tre fasi tra loro complementari coerentemente con le domande di ricerca proposte. In una prima fase si è proceduto all’analisi generale dell’opinione degli insegnanti in merito alle idee e alle pratiche inclusive enunciate negli item. Attraverso il calcolo delle statistiche descrittive è emerso che gli ideali e le pratiche inclusive indagate sono abbastanza condivise dagli insegnanti nelle loro scuole. “Abbastanza” è il giudizio corrispondente al valore 3 della scala Likert usata nel questionario; la media generale di risposta risulta essere vicina al medesimo valore (M=3,18). Questo tipo di risultato sembra fornirci un dato importante riguardo la scuola di oggi. Gli insegnanti dichiarano sia che i valori inclusivi sono abbastanza condivisi nella propria scuola di appartenenza, sia che nel proprio lavoro vengono già adottate delle pratiche didattiche in linea con i medesimi valori educativi orientati alla valorizzazione delle differenze. Questi risultati dimostrano che nel nostro contesto si sta già facendo molto in merito all’inclusione scolastica e non solo a livello teorico ma anche pratico. Ad un’attenta analisi dei dati, in questa prima fase, emerge anche un indice di accordo decisamente sopra la media (I20, M=4,098): è quello riguardante l’opinione degli insegnanti in merito all’idea che la classe sia composta da un’ampia varietà di bisogni, preferenze ed abilità degli studenti e che una soluzione di insegnamento singola non possa essere funzionale per tutti. Questo risultato è molto importante ai fini della nostra ricerca dato che quanto espresso rappresenta l’idea fondante dell’Universal Design for Learning. Un’ultima considerazione riguarda il fatto che gli insegnanti hanno espresso giudizi non del tutto positivi in merito alla disponibilità, nel proprio istituto, sia di interpreti per alunni non udenti (I7, M=1,655), sia riguardo la presenza di libri disponibili nelle diverse lingue parlate dagli alunni (I8, M=1,671). Ciò potrebbe dimostrare la carenza nella scuola italiana di risorse umane, materiali e finanziarie, risorse che sono fondamentali per innovare l’insegnamento, soprattutto quando ci si prefigge di promuovere l’inclusione. In una seconda fase si è proceduto all’analisi delle differenze in base al genere, alla scuola di provenienza, al grado della suddetta scuola, agli anni di esperienza e al ruolo lavorativo ricoperto8. Si è proceduto all’interpretazione dei fattori emersi

8

I dati ottenuti dalla somministrazione del questionario sono stati sottoposti ad analisi fattoriale (componenti principali e rotazione Varimax con normalizzazione Kaiser, scree plot per la scelta dei fattori). L’analisi fattoriale è utile per identificare un numero ridotto di fattori che permettano di spiegare la variabilità di un grande numero di variabili osservate . I dati sono stati elaborati statisticamente con Statistical Package for Social Sciences (SPSS.22) considerato come software modulare che permette la gestione di banche dati e un’ampia tipologia di analisi statistiche.

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dall’analisi per ricavare quattro componenti che si sono dimostrate più significative. Nella Tabella 2 sono riportati i dati relativi alla varianza totale spiegata. Come si può notare il primo fattore spiega il 27,7% della varianza totale; il secondo fattore il 7,6%, il terzo 6,2% mentre il quarto 4,8%. La percentuale cumulativa, quindi, corrisponde al 46,4%. Autovalori iniziali Componente

Totale % di varianza % cumulativa

alfa di Cronbach

Attuazione di pratiche di insegnamento differenziate e multidimensionali

14,427

27,745

27,745

.921

Promozione dell’inclusione scolastica

3,946

7,589

35,334

.856

Uso della tecnologia

3,250

6,250

41,584

.641

Adozione di molteplici mezzi di presentazione ed espressione

2,479

4,768

46,352

.668

Tab. 2:totale Varianza totale spiegata e alpha di Cronbach Tabella 2: Varianza spiegata e alpha di Cronbach.

155 Una dimensione importante per i docente riguarda l’Attuazione di pratiche di insegnamento differenziate e multidimensionali (ɑ=.921) in riferimento alla progettazione e attuazione di un insegnamento che persegue implicitamente i principi dell’Universal Design for Learning (saturazioni > .30). In particolare questa dimensione comprende item che riguardano la strutturazione dell’insegnamento attraverso l’attuazione del principio di differenziazione, applicato a diversi elementi costitutivi come la progettazione delle attività, la predisposizione dei contenuti e informazioni, e la valutazione. Non si può propriamente parlare di progettazione universale ma emerge chiaramente la “multidimensionalità” dell’insegnamento descritto in questo fattore, dove per multidimensionalità si intende l’idea di ipotizzare e attuare pratiche le cui dimensioni vengono sviluppate secondo diverse modalità. Un’altra dimensione che emerge riguarda la Promozione dell’inclusione scolastica (ɑ=.856) riferita alla valorizzazione delle differenze individuali e alla creazione di contesti inclusivi, grazie alla collaborazione tra gli insegnanti e la strutturazione di ambienti fisici inclusivi (saturazioni >.30). la terza dimensione Uso della tecnologia (ɑ=.641), comprende item relativi all’uso del computer, di internet, del proiettore e di altri strumenti durante le lezioni. Inoltre viene fatto riferimento anche alla presenza nei contesti scolastici, di strumenti tecnologici sufficienti, adeguati e funzionanti. L’uso della tecnologia è uno degli aspetti chiave dell’Universal Design for Learning poiché consente di rendere la progettazione più flessibile e l’apprendimento più accessibile agli studenti. Infine per quanto riguarda la quarta dimensione, l’Adozione di molteplici mezzi di presentazione ed espressione (ɑ=.668), gli item che saturano in modo significativo sono quelli relativi alla progettazione ella conduzione di attività, che considerino diversi mezzi attraverso il quale trasmettere i contenuti o farli manipolare agli studenti. In quest’ultimo fattore emergono chiaramente i riferimenti al primo e secondo principio dell’Universal Design for Learning. Per quanto riguarda la differenza tra le risposte di maschi e femmine, essa risulta statisticamente significativa in due fattori: quello inerente l’uso della tecnologia e quello riguardante l’adozione di molteplici mezzi di presentazione ed espressione nel proprio insegnamento.

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Tabella 3: T Test per campioni indipendenti. Test di Levene per l'eguaglianza delle varianze

Uso della tecnologia

Varianze uguali presunte

Test t per l'eguaglianza delle medie

Test t per l'eguaglianza delle medie Sign. Differenza Differenza (a due della errore code) media standard

F

Sign.

t

gl

1,17

0,28

2,064

253

0,04*

2,0119

0,9747

1,898

27,035

0,068

2,0119

1,05996

0,896

-0,11498

0,8776

0,92

-0,11498

1,13064

Varianze uguali non presunte

Adozione di Varianze uguali presunte 6,672 0,01* -0,131 246 molteplici mezzi di presentazione Varianze uguali non -0,102 24,464 ed presunte espressione * p<0,05 = significa che esiste un effetto della variabile genere

Tab. 3: T Test per campioni indipendenti

156

È possibile, quindi, affermare che la variabile indipendente “genere” è in grado di avere impatto sulle pratiche di insegnamento adottate dagli insegnati. Ad un’attenta analisi dei dati sembra emergere una tendenza femminile ad adottare diversi mezzi di presentazione ed espressione per insegnare, mentre i maschi sembrano più competenti nell’uso della tecnologia durante le proprie lezioni. Un altro aspetto analizzato è quello riguardante la significatività che risulta nella differenza delle risposte date a seconda dell’istituto di appartenenza dell’insegnante9. Diverse sono le relazioni tra gli istituti, evidenziate nell’analisi, e tutte ci portano a poter ritenere che la scuola di provenienza abbia un’influenza sull’adozione di pratiche d’insegnamento inclusive. Per quanto riguarda “l’Uso di tecnologie” il confronto tra le medie (F (6, 248)=6,425, p<0.05) ha dimostrato che gli insegnanti provenienti dalle diverse scuole si sono dimostrati meno favorevoli all’uso della tecnologia durante lo svolgimento della lezione, differenziandosi anche nell’uso della tecnologia in classe. Attraverso confronti post hoc che permettono di incrociare le variabili sembra possibile dedurre che ci siano differenze a seconda del contesto geografico, deduzione che necessità di indagini più accurate ed approfondite. Anche in merito al fattore inerente l’uso di diversi mezzi per presentare ed elaborare i contenuti di insegnamento, alcune scuole si sono differenziate rispetto alle altre. Infatti, il confronto tra le medie (F(6,248)= 4,871 p<0.05) e i confronti post hoc successivi hanno permesso di evidenziare un andamento differente in base alle scuole con insegnanti che sono meno inclini all’adozione di molteplici mezzi di presentazione ed espressione nelle loro pratiche didattiche rispetto ai colleghi di altre scuole. Questo dato può essere causato da diversi fattori, tra cui gli investimenti fatti dalla scuola sull’acquisto di risorse, assunzione di personale e predisposizione di corsi di aggiornamento, oltre alla presenza di un Dirigente scolastico particolarmente sensibile alle questioni orientate all’educazione inclusiva e quindi di un ethos della scuola particolarmente in linea con i principi dell’educazione inclusiva. Gli ultimi risultati significativi di questa fase di analisi ci provengono dal confronto tra i diversi gradi di scuola presi in considerazione, nello specifico Primaria, Secondaria di 1° Grado e Secondaria di 2° Grado (tab. 4) Anche in quest’ultimo caso è emerso che esiste un’influenza significativa solo in due dei quattro fattori, i due già considerati nelle altre analisi. 9

Analisi della varianza (ANOVA).

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Grado di scuola

(I) VI (J) VI Differenza della media 4 4 (I-J)

Uso della tecnologia

1 2

Adozione di molteplici mezzi di presentazione ed espressione

1 2 3

Sign.

2

-1,54764

0,687

0,075

3

-3,17677*

0,76414

0,000

1

3

Errore std.

1,54764

0,687

0,075

3

-1,62913

0,89424

0,209

1

3,17677*

0,76414

0,000

2

1,62913

0,89424

0,209

2

0,74069

0,61573

0,690

3

3,10996*

0,67286

0,000

1

-0,74069

0,61573

0,690

3

2,36927*

0,79739

0,010

1

-3,10996*

0,67286

0,000

2

-2,36927*

0,79739

0,010

* p<0,05 = significa che esiste differenza significativa tra i gradi scolastici. Tabella Confronti multipli per variabile indipendente grado di scuola di appartenenza. Tab. 4:4:Confronti multipli per variabile indipendente grado di scuola di appartenenza

!

Nello specifico, per quanto riguarda l’uso della tecnologia a scuola, i docenti della scuola Secondaria di 2° Grado dichiarano di farne un maggiore uso, in modo costruttivo e volto alla valorizzazione delle differenze, rispetto a quelli della scuola Primaria. Mentre gli stessi docenti hanno dimostrato di essere meno inclini all’uso di molteplici mezzi di presentazione ed espressione nelle loro pratiche rispetto ai colleghi della scuola Primaria e anche Secondaria di 1° Grado. Non sono stati raccolti, invece, risultati significativi in merito all’influenza degli anni di insegnamento e del ruolo ricoperto a scuola (Curricolare o Sostegno) da parte degli insegnanti coinvolti nell’indagine. Non esistono, dunque, differenze sostanziali al variare di queste due caratteristiche degli insegnanti. In una terza fase si è infine considerato (applicando la regressione lineare) se gli insegnanti del gruppo partecipante alla ricerca conoscessero o meno il modello dell’Universal Design for Learning e se determinate variabili indipendenti avessero avuto influenza in questa conoscenza. Circa un quinto degli insegnanti coinvolti (n=52) ha dichiarato di conoscere il modello dell’UDL, anche se non tutti hanno opportunamente giustificato la loro risposta (solo n=30).

Modello (Costante)

Coefficienti non standardizzati B

Errore std.

1,532

0,777

Coefficienti standardizzati

t

Sign.

1,972

0,055

-0,071 -2,035 1,211 -0,703 -0,447 2,146 0,297 -1,96 -0,975 2,999

0,944 0,048* 0,233 0,486 0,657 0,038* 0,768 0,057 0,335 0,005*

Beta

VI 1 -0,013 0,178 -0,01 VI 2 -0,086 0,042 -0,429 VI 3 0,26 0,214 0,229 VI 4 -0,069 0,098 -0,144 VI 5 -0,032 0,073 -0,088 VI 6 0,099 0,046 0,361 VI7 0,009 0,029 0,042 VI8 -0,121 0,062 -0,403 VI9 -0,106 0,109 -0,134 VI10 0,08 0,027 0,442 * p<0,05 = significa che esiste un effetto delle variabili indipendenti.

Tabella 5: Regressione lineare: Coefficienti stimati. Tab. 5: Regressione lineare: Coefficienti stimati

! ! !

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158

Riguardo l’influenza delle variabili indipendenti, sono stati raccolti risultati statisticamente significativi in merito alla differenza esistente tra insegnanti appartenenti alla scuola paritaria o pubblica: infatti, la maggior parte dei docenti che conoscevano l’UDL proveniva dalla scuola pubblica (t=-2,035, p<0.05). Inoltre, tra i docenti che hanno dichiarato di conoscere il modello, la maggior parte erano in possesso di titoli di studio aggiuntivi (27%) o di livello più alto rispetto ai colleghi. La variabile indipendente relativa al titolo di studio si è dimostrata, infatti, influente in questa analisi. L’ultimo item del questionario voleva indagare il contesto dove gli insegnanti hanno dichiarato di essere venuti a conoscenza dell’Universal Design for Learning, la loro opinione riguardo un’eventuale attuazione del modello in Italia, gli ostacoli da loro individuati per questa attuazione. La maggior parte dei docenti che hanno giustificato la risposta all’ultimo item (n=30) ha dichiarato di aver conosciuto il modello durante un corso di formazione/aggiornamento, nei corsi di specializzazione per le attività di sostegno o in quelli abilitanti per l’insegnamento (TFA) (23%). Una percentuale minore (17%), ma significativa, ha affermato di aver provveduto a ricerche personali in merito all’argomento e una, ulteriormente inferiore, ha dichiarato di averne sentito parlare dai colleghi o nel contesto lavorativo. In quest’ambito alcuni insegnanti hanno espresso liberamente un personale giudizio riguardo il modello dell’UDL definendolo come: un modello perfetto a livello teorico, lo conosco come modello che prevede la strutturazione di ambienti di apprendimento flessibili e adatti alle diverse modalità di apprendimento dei ragazzi, un approccio arricchente e inclusivo, che riguarda la progettazione e realizzazione di utensili da cucina, oggetti di uso quotidiano, fornitura di prodotti e servizi, e un’idea che compete sempre all’orchestrazione del docente. Riguardo invece l’opinione in merito all’attuazione del modello in Italia i giudizi favorevoli e contrari all’incirca corrispondono salvo eccezione per il fatto che una parte di quelli che si sono espressi favorevoli ha sottolineato che l’adozione del modello può avvenire solo conseguentemente a dei cambiamenti da attuare nel sistema italiano. Infine, proprio a questo riguardo sono state raccolte informazioni su gli ostacoli che gli insegnanti che conoscono il modello, individuano nel contesto italiano. Essi hanno indicato elementi di tipo organizzativo come la numerosità delle classi, la scarsa collaborazione dei genitori, il grande impegno che spetta all’insegnante e l’organizzazione del tempo scolastico; e di tipo economico e strutturale, come la mancanza di fondi finanziari sufficienti, l’inadeguatezza degli spazi scolastici e la mancanza di mezzi e strumenti tecnologici. È stata però rilevata anche la presenza di ostacoli di ordine culturale.

5. Discussione e conclusioni L’obiettivo dell’indagine, di verificare la percezione degli insegnanti coinvolti nell’indagine riguardo le pratiche didattiche inclusive adottate nel proprio contesto lavorativo, trova una risposta nei dati ricavati dalla ricerca. Le analisi condotte sembrano, infatti, sostenere l’idea che nei contesti coinvolti nella ricerca gli insegnanti già condividano i valori e adottino pratiche didattiche in linea con i principi inclusivi che sottostanno anche al modello dell’Universal Design for Learning. Questo, non solo è dimostrazione dell’impegno portato avanti dalla scuola italiana per la promozione dell’inclusione scolastica, ma attesta anche che le pratiche educative, adottate per rendere i contesti di apprendimento sempre più inclusivi, sono innovative e a volte già rispecchiano inconsapevolmente i principi della nuova

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concezione di progettazione universale. Infatti, attraverso l’espressione della loro personale opinione riguardo la propria professione, gli insegnanti dimostrano anche di condividere e mettere in pratica le indicazioni che sono espresse nella normativa scolastica alla quale si è fatto riferimento nelle premesse della ricerca. Per esempio, i dati dimostrano che gli insegnanti stanno già mettendo in atto rapporti di collaborazione, nelle scuole, tra insegnanti curricolari e di sostegno (in linea con il punto 1.2 delle Linee Guida del 2009); inoltre, dai risultati si ricava che l’uso della tecnologia è frequente nella conduzione della lezione da parte dei docenti di ogni grado anche riconoscendone il valore inclusivo che può avere in quanto garantisce maggior accessibilità agli studenti (riferimento al paragrafo 2.2. delle Linee Guida del 2009 e al Protocollo del 2012). Il grado di maggior accordo registrato nei risultati è quello riguardante l’idea che la classe sia composta da un’ampia varietà di bisogni, preferenze ed abilità degli studenti e che una soluzione d’insegnamento unica non possa essere funzionale per tutti. Questo concetto rispecchia il principio base del modello dell’UDL in quanto su di esso si costruisce la conseguente idea dell’esigenza di una progettazione universale che vada incontro alle esigenze di ognuno; il concetto di organizzare i curricoli in funzione dei diversi stili cognitivi e di gestire in modo alternativo le attività in aula per andare incontro alle caratteristiche di ogni alunno è considerata anche al punto 2 delle Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009. Per quanto concerne l’influenza di determinate caratteristiche degli insegnanti sulla loro opinione in merito all’attuazione di pratiche didattiche inclusive a scuola, la riflessione che emerge come più significativa è quella riguardante l’influenza di genere. Dai dati emerge, infatti, una tendenza femminile nell’adozione di diversi mezzi di presentazione ed espressione per insegnare, mentre i maschi si dimostrano più favorevoli e competenti nell’uso della tecnologia durante le lezioni. Parte di questi risultati concorda con quelli ottenuti nella ricerca condotta da Abell, Jung e Taylor (2011) i quali, indagando la percezione degli studenti in merito all’ambiente di apprendimento nei quali si trovavano coinvolti (ambienti strutturati secondo l’approccio dell’UDL), affermano che le insegnanti di genere femminile riescono a creare ambienti di apprendimento maggiormente personalizzati. Sono emerse anche differenze significative in base all’istituto di provenienza degli insegnanti coinvolti nella ricerca, ma si ritiene siano necessari ulteriori approfondimenti in merito, in quanto, i gruppi di insegnanti appartenenti ai diversi istituti differivano in modo significativo per numero e per grado di scuola rappresentato; si potrebbe affermare che gli insegnanti delle scuole di un territorio siano più favorevoli, rispetto ai colleghi dell’altro territorio oggetto di indagine, all’uso della tecnologia a scuola. Invece ad un’attenta analisi emerge che la maggior parte degli insegnanti della prima area territoriale è insegnante di scuola secondaria e potrebbe essere questo il fattore determinante nell’espressione della propria preferenza. Effettivamente dal confronto condotto tra le scuole di diverso grado risulta che gli insegnanti della scuola Secondaria di 2° grado dichiarano di fare maggior uso di tecnologie rispetto a quelli che lavorano negli altri gradi di scuola. In ogni caso i docenti della scuola Primaria e della Secondaria di 1°grado si sono dimostrati più inclini rispetto a quelli della secondaria di 2°grado nell’uso di molteplici mezzi di presentazione ed espressione nelle loro pratiche didattiche, considerazione che riteniamo importante ai fini della nostra ricerca e che dimostra la maggior rigidità degli ambiente di apprendimento organizzati per ragazzi più grandi. C’è da dire a questo proposito che l’UDL valorizza in modo significativo le tecnologie come strumento di apprendimento. In questo caso l’uso delle tecnologie viene considerata importante perché capaci di modificare flessibilmente la presentazione e l’interazione didattica, fungendo da ponte tra le

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istanze, i principi generali e le peculiarità dei soggetti coadiuvando la personalizzazione dei percorsi (Calvani, 2012) . Infine, un’ultima riflessione vuol essere fatta su i dati che rispondono alla domanda di ricerca inerente la conoscenza dell’Universal Design for Learning. Si conferma l’ipotesi che il modello sia ancora piuttosto sconosciuto in Italia ma allo stesso tempo in lenta diffusione soprattutto grazie ai contributi dati in ambito accademico-universitario ed accessibili da parte degli insegnanti attraverso corsi di specializzazione ma anche solo di aggiornamento. Questo è dimostrabile anche grazie al fatto che, i docenti che hanno dichiarato di conoscere l’UDL erano in possesso di titoli di studio aggiuntivi o di livello più alto rispetto al colleghi. A differenza di quanto emerge dagli studi americani di Kurtts (2006) e Hatley (2011), l’opinione degli insegnanti coinvolti in merito alla validità dell’Universal Design for Learning non è del tutto favorevole: alcuni ne sottolineano la validità riscontrabile solo a livello teorico, altri sottolineano quanto alla fine anche questo modello faccia ricadere tutta la responsabilità sul lavoro del docente. È importante ricordare però che i risultati provenienti dagli studi americani (Kurtts, 2006; Hatley, 2011) riguardano insegnanti che hanno partecipato a corsi di formazione sull’UDL e che hanno potuto sperimentare in prima persona la progettazione e la conduzione dell’insegnamento secondo i principi del modello. Edyburn (2010) sottolinea a questo proposito che un grande limite che il modello dell’UDL ha, riguarda il fatto che, non sia effettivamente stata ancora provata scientificamente la sua validità. In questo caso non sono ancora stati condotti studi longitudinali sufficientemente completi da dimostrare quanto gli ambienti di apprendimento dell’UDL siano funzionali. Inoltre, Hatley (2011) afferma che nonostante l’approccio dell’UDL sia considerato come valido, gli insegnanti che hanno partecipato alla ricerca si sono comunque dimostrati insicuri e non competenti nell’attuazione pratica del modello. Questo è solo uno degli ostacoli che si possono riscontrare nella messa in atto delle idee della progettazione universale ma che dimostra quanto la preparazione degli insegnanti sia decisiva e di fondamentale importanza in quest’ottica. Per una possibile considerazione dell’Universal Design for Learning nella scuola italiana, infatti, il primo passo da compiere sarà quello della formazione degli insegnanti; attraverso corsi appositamente ideati, anche all’interno di percorsi di ricerca sperimentale, sarà possibile diffondere il valore del modello sia tra gli insegnanti già lavoratori nel contesto scolastico sia tra quelli in formazione in modo tale da pensare un cambiamento in prospettiva futura. Proprio in virtù dei risultati emersi che fanno propendere per una visione sistemica, diviene importante approfondire la ricerca coinvolgendo i vari interlocutori che a vario titolo sono coinvolti nella promozione e realizzazione di percorsi inclusivi. Il riferimento va alla dimensione politica e istituzionale oltre che ai dirigenti scolastici che orientano l’ethos delle scuole per declinare i principi e valori inclusivi nelle pratiche didattiche ed educative inclusive.

Riferimenti bibliografici Abell M. M., Jung E., Taylor M. (2011). Students' Perceptions of Classroom Instructional Environments in the Context of “Universal Design for Learning”. Learning Environments Research, 14(2), 171-185. Booth T., Ainscow M. (2012). Index for Inclusion. Developing learning and partecipation in schools. Bristol: CSIE. (trad. it. Nuovo Index per l'inclusione. Percorsi di apprendimento e partecipazione a scuola, a cura di D. Fabio, Carrocci, Roma, 2014).

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Prospettive di analisi dei dati nella ricerca visuale in educazione

Silvia Cescato • Università degli Studi di Milano-Bicocca – silvia.cescato@unimib.it

Approaches to data analysis in visual education research

This paper reviews the potential for analysing visual research data in the areas of education and training, in light of the increasing importance of the visual in contemporary life. The main challenges associated with the use of video tools in educational research are examined from both the theoretical and practical points of view. Key issues explored include problematising the researcher’s perspective, and identifying and selecting tools and methods of data analysis that are suited to the field of “visual pedagogy”. These aspects, especially that of how to approach the analysis of visual data, speak to key questions in educational research. It is argued that in a culture in which visual impact plays a key role (Lyotard, 1984), knowing how to “use visual data is a core competence” and that greater awareness of this methodological approach “can enhance quality in research” (Id., p. X) and training.

Parole chiave: video-analisi, ricerca educativa, pedagogia visuale

Keywords: video-analysis, educational research, video-pedagogy

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Il presente contributo intende fare il punto sulle prospettive di analisi dei dati di ricerca che la dimensione visuale – oggi sempre più presente nelle nostre vite – dischiude per l’ambito educativo e formativo. Il ragionamento, teorico/metodologico mira ad affrontare alcune delle principali “sfide” legate all’uso del video nella ricerca in educazione, tra cui in particolare la postura del ricercatore e la scelta e l’individuazione di strumenti e metodi utili all’analisi dei dati nel contesto della “pedagogia visuale”. Tali aspetti, e in particolare le prospettive analitiche, rientrano tra le questioni-chiave della ricerca educativa. La tesi è che in una cultura dal forte impatto visivo (Lyotard, 1984) saper “utilizzare dati visuali sia una competenza centrale” e una maggior consapevolezza di questa opzione di metodo “potrebbe migliorare la qualità della ricerca” (Id., p. X) e della formazione.


Prospettive di analisi dei dati nella ricerca visuale in educazione

Introduzione

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Il presente contributo si focalizza sul tema dell’analisi dei dati all’interno di percorsi di ricerca che si avvalgono dell’uso del video in contesti educativi. La ragione dello specifico fuoco di attenzione è legata al fatto che, mentre esiste una vasta letteratura (pedagogica e afferente ad altri campi delle scienze umane) sull’analisi di dati testuali, ancora poco discusse sono le prospettive e gli strumenti per leggere e interpretare il materiale visuale, in particolare video e filmati che condensano molteplici e variegati aspetti e che richiedono accortezze e cautele metodologiche, soprattutto quando ci muoviamo in contesti delicati come quello educativo. Dopo una prima parte, volta a definire alcuni dei principali problemi e questioni aperte riguardo ai video nella ricerca educativa, si cercherà di addentrarsi nella seconda parte del lavoro – nella presentazione e discussione di possibili strategie utili per non disperdere, bensì per valorizzare al massimo, tutta la ricchezza del dato visuale. Attraverso un esempio di video-micro-analisi in contesto educativo, verranno illustrate possibili “piste” per procedere, in modo sistematico e coerente con gli obiettivi e le prospettive teorico/epistemologiche della ricerca, alla trascrizione e codifica dei video. Verranno infine presentati alcuni strumenti (software), che aiutano ad organizzare e sistematizzare il materiale raccolto e a procedere così, con maggior facilità, all’individuazione di elementi ricorrenti, trasversali e categorie di analisi.

1. Dati visuali nella ricerca in educazione “Viviamo in un’era visuale. Siamo bombardati da immagini da mattina a sera” (Gombrich, 1996, p. 41, tr. aut.). Se da un lato questa constatazione indica una caratteristica della società attuale, dall’altro lato ci provoca, come ricercatori, ad interrogarci sul significato dell’esperienza visiva e sul valore che l’esposizione, e talvolta la sovra-esposizione dell’occhio, implica oggi in campo educativo e nelle scienze umane e sociali. Quando siamo immersi in una realtà, così come accade per la cultura – da Giuseppe Mantovani (1998) efficacemente descritta come un “elefante invisibile” – si tende a perderne la misura: accade che non vediamo più quello che ci circonda, perché lo diamo per scontato. Questo avviene anche con il codice iconico che caratterizza la società post-moderna, un codice che per la sua pervasività passa spesso in secondo piano, rendendoci incapaci di riconoscerlo, prenderlo in mano, soffermarci ad analizzarne “pro” e “contro”. Per molto tempo, ci dicono gli studi, l’“incapacità di vedere oltre” (Emminson & Smith, 2000, p. 2, tr. aut.) l’uso di fotografie e video quali artefatti di uso comune, ha portato a svilirne – almeno in parte – il significato, sottovalutando la ricchezza

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e la peculiarità che le informazioni visuali avrebbero potuto offrire alla ricerca. Sino alla fine degli anni Settanta, pochi intuirono il valore rivoluzionario dei “media dell’informazione” in ambito umano e sociale (Galliani, 2014a, p. 214) e coloro che per primi ne scorsero il portato, iniziarono ad approfondire (così come a lungo era stato fatto per il linguaggio verbale) il codice iconico, i rapporti tra parola e immagine, la comunicazione audio-visiva e successivamente multimediale. Tali interessi aprirono la strada ad una tradizione di riflessioni pedagogiche (Galliani, 1979), giunte sino ad oggi (Rivoltella, 2012), sul ruolo e le caratteristiche dei linguaggi e dei media audio-visivi in educazione. Parallelamente, diversi ricercatori (in campo antropologico, sociologico e psicologico) iniziarono ad orientare la propria attenzione verso questioni legate alla dimensione visuale, in particolare agli aspetti metodologici ad essa connessi, esplorando le possibilità di strumenti di rilevazione quali videoregistrazioni, filmati, fotografie per la raccolta di dati significativi nei processi di ricerca. Venne così sempre più riconosciuto, all’interno della comunità scientifica (pedagogica e interdisciplinare), il valore di alcuni aspetti tipici dei dati visuali, quali: – la simultaneità e contestualizzazione delle informazioni che essi racchiudono rispetto ad una precisa realtà (storica, sociale, culturale, educativa) fotografata e/o riprodotta; – l’efficacia delle immagini, sia come “dato”, sia come “fonte di dati” (Bove, 2007), utili per ricostruire non solo pratiche e comportamenti, ma anche le possibili strutture di significato ad esse associate; – la persuasività delle immagini, che – nella loro dimensione estetica – “catturano l’occhio”/seducono, hanno un forte impatto (per esempio nell’evocare emozioni), pur tacendo (come in una fotografia) o parlando in una lingua sconosciuta (come in un filmato con dialoghi non sottotitolati). Tali elementi, che riducono “i processi di astrazione e la distanza tra emissione e ricezione del contenuto” (Galliani, 2014a, p. 214), rendono più immediato il passaggio di informazioni e modificano le dinamiche di insegnamento e di apprendimento (Goldman et al., 2007). Come mostrano gli attuali sviluppi delle neuroscienze (Gallese, 2007), infatti, la nostra esperienza del mondo è multi-sensoriale, dunque più vicina al linguaggio iconico1 (si parla di embodied cognition: conoscenza “incarnata” in un corpo), per questo “l’introduzione delle nuove tecnologie […] ha portato significativi cambiamenti nell’ambito della formazione” (Falcinelli, Gaggioli, 2016, p. 14, tr. aut.), oltre che della ricerca. L’uso del video nei contesti educativi può prevedere – ma non implica necessariamente – “un impiego di questo strumento ai fini della formazione, di base o in servizio” (Galliani & De Rossi, 2014, p. 7) dei professionisti, siano essi educatori o insegnanti (Bove, 2009a; Braga, 2009; Santagata, 2013). Da un lato, lo sviluppo professionale è certamente un ambito importante, e oggi molto studiato, di applicazione delle immagini digitali; dall’altro lato l’espressione “videoricerca” (Goldman et al., 2007) ci spinge ad andare oltre questa sola

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Mentre la comunicazione verbale è lineare, frammentata, unisensoriale, il linguaggio iconico è caratterizzato da simultaneità, continuità, immediatezza e sinestesia (Galliani, 1979).

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accezione, prevedendo l’uso di immagini, filmati, videoregistrazioni, fotografie per fare ricerca, per indagare cioè più a fondo alcuni fenomeni, trovare risposta ad alcune domande, comprendere meglio certi aspetti. L’impiego di strumenti tecnologici e dati visuali porta alla luce “in modo prorompente” alcuni aspetti della ricerca educativa (Bove, 2009b):

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– in primo luogo, ogni disegno scientifico si struttura secondo una “sequenza di indagine” (Engle, Conant, Greeno, 2007, p. 332), che prevede la progressiva ridefinizione e riformulazione dell’oggetto di ricerca. Questo è reso ancor più evidente nel caso della ricerca visuale: scegliere dove posizionare la telecamera (o la macchina fotografica), oppure selezionare le immagini da impiegare “costringe a prendere decisioni chiare” (Goldman et al., 2007, p. XIII), a restringere il proprio fuoco di attenzione, a prendere “scelte […] più o meno consapevoli” (Luciani, 2014, p. 137) che si estrinsecano in un iniziale ampliamento e un successivo restringimento delle domande di ricerca. – In secondo luogo, la rilevazione e l’impiego di video e fotografie quali “dati” (Knoublach, Schnettler, Raab, Soeffner, 2012), o strumenti di documentazione della ricerca (Galliani & De Rossi, 2014), richiama un ulteriore elemento molto importante e delicato nello studio sul campo: la dimensione etica. Effettuare videoregistrazioni o scattare fotografie – in generale, e a maggior ragione in un contesto delicato come quello educativo – presuppone la stipula di un “patto” tra colui/colei che effettua le riprese (o le fotografie) e colui/colei/coloro che si fanno riprendere/fotografare, a cui viene chiesta l’autorizzazione al “consenso informato”, consapevoli del fatto che nell’ambito della ricerca umana si ha a che fare con individui (e non con oggetti)2, che hanno il diritto di conoscere e la facoltà di sottoscrivere o meno le finalità dello studio e gli impieghi previsti per i dati raccolti. L’etica – d’altro canto – non si riduce a questo (pur importantissimo e non sottovalutabile) aspetto, ma ha a che fare anche con l’analisi e la restituzione dei dati. Luigina Mortari, riprendendo il pensiero di Maria Zambrano, ci aiuta a definire meglio le “virtù etiche fondamentali del ricercatore”, individuate nella “audacia e umiltà” (Mortari, 2007, p. 237). “Audacia significa sapersi spingere oltre i sentieri già frequentati per arrischiare zone inedite di investigazione”, mentre l’umiltà è “possedere la capacità di abbandonare le proprie teorie, senza restare ad esse tenacemente abbarbicati, anche quando se ne avverta la debolezza” (Ibid.). Capiamo bene come queste due qualità assumano un posto centrale nella ricerca educativa che fa uso di dati visuali. I video, infatti, sono – al contempo – rappresentazioni e ri-presentazioni della realtà: la loro produzione “richiede dunque l’esplicitazione delle prospettive teoriche da cui il ricercatore si pone” (Galliani, 2014b, p. 172), sia durante la raccolta dei dati, sia per “dar conto” dell’intero processo di ricerca. Esplicitare il proprio modo di procedere è fondamentale in qualsiasi disegno scientifico, a maggior ragione nella video-ricerca, dove si tratta di interpretare dati visuali, “azioni plurilinguistiche collegate a stati emozionali e corporeità” (Ibid.). In questo senso, pratiche come “la video-documentazione digitale narrativa” (di cui, particolarmente, si è occupato il Gruppo di Padova: PRIN 2009-2013 [coordinatore nazionale Umberto Margiotta]3) rappresentano un’opzione molto interessante,

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E che la ricerca in ambito educativo è “ricerca con” e non “su” soggetti. “Nel progetto di Ricerca di Interesse Nazionale [dal titolo Ontologie Pedagogiche, coordinato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia] […] si intendeva esplicitamente docu-

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che consiste nell’osservare, analizzare, interpretare e video-documentare le “posture epistemologiche, pragmatiche ed etiche assunte dai componenti del/i gruppo/i di ricerca, nei loro diversi ruoli” (Ibid.). L’idea di fondo è che il gruppo – o la “Comunità di Pratica” (Wenger, 1998) – che porta avanti una ricerca dà vita ad un “processo partecipato [costruito e condiviso] da una comunità di soggetti, che attraverso pratiche discorsive e conversazionali, portano alla reificazione dell’oggetto di ricerca” (Galliani, 2014b, p. 173) ed è propriamente di questo processo che è necessario render conto, in termini di etica della ricerca. La rappresentazione visuale è infatti una parte integrante della “produzione” di teorie scientifiche (Garfinkel, Lynch, Livingston, 1981), laddove le immagini e il modo in cui le trattiamo e le analizziamo rappresentano una fonte primaria per la “costruzione di conoscenza” (Ibid.). Questo discorso apre un ampio spazio di riflessione sull’individuazione e la “selezione di strumenti [e metodi] utili alla scelta, la raccolta e l’analisi dei dati” (Derry et al., 2010, p. 4, tr. aut.), sia a scopo di studio e ricerca, sia di documentazione della stessa. La tesi che qui viene sostenuta è che provare a prendere in mano tutti questi aspetti, a sviscerarli, possa aiutare a delineare nuovi spiragli di riflessione per la ricerca educativa, che includano una “alfabetizzazione” e una rinnovata sensibilizzazione agli aspetti di selezione, trattamento, lettura e restituzione dei dati visuali, consapevoli dell’importanza di ricostruire le scelte compiute durante tutte le fasi del processo di ricerca. In particolare, la questione cardine su cui vogliamo soffermarci in questo contributo ha a che fare con la natura complessa delle immagini (fisse e in movimento) raccolte ai fini di ricerca (Bove, 2007; Bove, 2009a) e l’esigenza di misurarsi con l’individuazione di strumenti e metodi per la loro analisi. Oggi “le possibilità di raccogliere e immagazzinare dati [catturati attraverso strumenti tecnologici sempre più sofisticati] sono cresciute molto più rapidamente della nostra capacità di analizzarli” (Keim, Mansmann, Schneidewind, Ziegler, 2006, p. 9, tr. aut.). L’attenzione verso le delicate questioni dell’analisi riguarda il fatto che se gli aspetti educativi sono per natura complessi, sfuggenti, inafferrabili, al contempo il linguaggio non verbale racchiude informazioni molteplici, spesso ambigue (pensiamo per esempio al contrasto tra parole e comportamenti), parziali (discorsi o gesti interrotti) ed estremamente “dense”, condensando – nello stesso “frammento temporale” – piani e livelli soggetti a svariate possibilità di lettura e interpretazione. I video non sono di per sé “trasparenti”: contengono moltissimi aspetti suscettibili di ulteriore analisi. Al tempo stesso, uno dei vantaggi dei video come fonte di dati è che essi possono essere visti e rivisti più volte, “da persone diverse, in differenti fasi […] e da diversi gruppi di ricerca” (Barron, Engle, 2007, p. 25). In questo modo la dimensione visuale rappresenta un’aggiunta ai più tradizionali metodi di studio e l’attendibilità scientifica del processo analitico si può rafforzare, arricchendosi dello sforzo condiviso di chiarire il più possibile e di giungere a un accordo sulle diverse chiavi di lettura. Eppure, malgrado questi vantaggi, la letteratura ci dice che la tendenza a privilegiare fonti verbali nella ricerca qualitativa (sia in educazione che nell’ambito delle scienze umane e sociali) ha prodotto, nel tempo, una sistematizzazione di metodi e procedure riconosciute e

mentare attraverso l’uso di video ed artefatti digitali lo svolgimento e i risultati della propria attività di ricerca nella costruzione delle ontologie pedagogiche” (Galliani, 2014b, p. 173).

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condivise per l’analisi dei testi, del discorso, della conversazione, mentre minori sono le conoscenze riguardo alle svariate possibilità di analisi dei dati visuali (Keim et al., 2006). Questa constatazione – cruciale per il dibattito sulla pedagogia visuale – ci spinge ad interrogarci sui limiti e le possibilità della video-based analysis in educazione, dal momento che le prospettive analitiche sono fondamentali nella ricerca e “orientano la lettura dei fenomeni […], offrendo particolari chiavi di lettura della realtà educativa” (Cescato, 2016, p. 74). Nel prossimo paragrafo ci faremo guidare da un esempio di video-analisi “micro-osservativa” nello studio delle interazioni tra bambini, genitori, educatori al nido d’infanzia, illustrando e discutendo – a partire dalla concretezza dell’esempio – possibili strategie metodologiche utili per leggere, codificare e analizzare i dati in modo sistematico e per procedere, in ciascuna di queste fasi, in modo coerente con le premesse (teorico epistemologiche) della ricerca.

2. Video-based analysis: procedure e prospettive teorico-metodologiche 168

In particolare, è nello studio delle interazioni (sociali ed educative) e delle situazioni di insegnamento-apprendimento (formale e informale) che si ricorre all’uso dei video per osservare e studiare ciò che accade tra i soggetti/protagonisti della scena educativa. Ciò che viene filmato sono le dinamiche e i processi che cadono “sotto l’occhio della telecamera” mentre vengono attivamente costruiti dai partecipanti della situazione osservata. Si tratta – come nel caso di ricerche sullo studio delle interazioni tra adulti e bambini in contesti educativi, come i servizi per l’infanzia, la scuola, la famiglia – di analizzare scene in cui è possibile individuare pattern, schemi ricorrenti che strutturano e danno forma alle interazioni, non dimenticando che tale individuazione è strettamente legata agli schemi di codifica adottati e agli aspetti su cui si sceglie di focalizzare l’attenzione per “dare un nome e un ordine a ciò che accade” (Cescato, 2016, p. 76). Scegliere, per esempio, di focalizzarsi sulla coppia mamma-bambino al momento dell’ingresso al nido, “isolandola” dal contesto, studiando in modo microscopico le espressioni (verbali e non) dei due partner all’interno della coppia, oppure adottare uno sguardo più ampio – sebbene analitico –, per osservare l’influenza dei fattori contestuali (ambiente/spazio/materiali, posizionamento degli educatori, di altri bambini e di altri genitori ecc.) sulle dinamiche interne alla diade e sul suo coinvolgimento in interazioni allargate – è molto diverso. Da una parte mutano le prospettive teoriche prese a riferimento, dall’altra cambiano le categorie interpretative di lettura e codifica della situazione. In un caso e nell’altro, prima di procedere all’analisi del filmato, è utile soffermarsi sulla mappatura, ovvero la scansione temporale e la descrizione verbale delle micro-clip che compongono il video. “Contemporaneità, sequenzialità e processualità” (Molinari, Cigala, Fruggeri, 2011, p. 71) caratterizzano infatti i dati visuali e la trascrizione – ovvero la restituzione in forma scritta di ciò che è osservabile – rappresenta il primo passo per “fermare” temporaneamente il flusso delle immagini4, restituire la complessità della scena e offrire diverse piste di lettura e di interpretazione dei dati raccolti.

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Pare doveroso ricordare che la trascrizione – come direbbe Elinor Ochs (1979) – è sempre frutto di una teoria. A seconda, quindi, delle “cornici” del ricercatore possono va-

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In un frammento video (anche di pochi minuti) sono racchiusi e condensati moltissimi aspetti: sguardi, voci, espressioni facciali, movimenti ecc. “ed è facile perdersi nei dettagli […], perciò sono necessarie alcune strategie [come la trascrizione] che aiutino a mantenere focalizzata l’attenzione” del ricercatore (Barron, Engle, 2007, p. 26, tr. aut.). In primo luogo, come suggeriscono alcuni autori, può essere molto utile – sin dalle prime fasi di raccolta e archiviazione dei dati – tenere un “registro” delle videoregistrazioni. Tale registro dovrebbe includere: l’annotazione dei minuti e dei secondi, una descrizione (anche sommaria) delle scene ed uno spazio per i commenti del ricercatore. L’esempio che ci viene offerto da Rosie Flewitt (2006), tratto da uno studio sulle interazioni tra bambini all’interno di una classe prescolastica, ci consente di osservare un possibile modo di procedere nell’archiviazione dei dati. L’idea è quella di costruire tabelle così ripartite: !

Minuti

Descrizione della scena

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10.50

I bambini – guidati dall’educatrice, S., sono seduti al tavolo della pittura, dove stanno sparpagliando la tapioca con cui decoreranno delle scatole. L’adulto, guardando T. – in disparte – gli si avvicina e gli mette il grembiule. T. guarda gli altri bambini seduti al tavolo, poi indietreggia e lascia scivolare il grembiule T. lascia cadere il grembiule sul pavimento, lo osserva e si allontana. J., l’adulto seduto all’altro tavolo da lavoro, invita (verbalmente) T., suggerendogli di avvicinarsi al tavolo T. si muove nello spazio, si avvicina al tavolo con le scatole da decorare.

T. osserva, dall’attività

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169 T. viene invitato dall’adulto a prendere parte all’attività

T., incoraggiato da prende parte all’attività

J.,

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10.53 10.55

J. sottolinea che la colla è colorata e passa a T. colla di diversi colori. T. spalma la colla sulla scatola e seleziona diverse forme da incollare Una bambina (G.) si avvicina a T. J. incoraggia l’interazione J. Invita T. ad osservare come le mani di G. si siano tra G. e T. sporcate di rosa della tapioca. T. allunga il viso verso G., che si siede accanto a lui ad incollare

!

Tab. 1: Esempio di prima archiviazione dati video-clip (tratto da Flewitt, 2006, p. 37, tr. aut.)

Questa prima descrizione del video, scandita dal tempo (minuti e secondi), dalle diverse attività che in esso si succedono, dalla descrizione di ciò che accade e dai soggetti coinvolti aiuta il/i ricercatore/i ad avere sotto-mano una panoramica relativamente sintetica del tipo di eventi o attività osservate, della loro collocazione

riare le tipologie di trascrizione e questo accade non solo per i dati testuali, ma anche per quelli visuali (per approfondimenti, si veda Balestra, Everri, Venturelli, 2011). Dall’altro lato le trascrizioni dei video danno sempre luogo a “testi dinamici” (Flewitt, 2006), che includono elementi spaziali, temporali, cinestesici e che – al contempo – sono dinamici proprio perché possono dar luogo a molteplici livelli di lettura e di interpretazione.

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spazio-temporale, del modo in cui i soggetti si muovono e interagiscono. I commenti del ricercatore, annotati nell’ultima colonna, sono rilevanti (così come le “note di campo” in una ricerca etnografica), per tenere traccia delle osservazioni che la visione e la descrizione della scena può stimolare. Questo tipo di schedatura rappresenta, chiaramente, un primo step all’interno del processo analitico, che però già offre degli elementi importanti per poter successivamente arricchire l’osservazione e suggerire eventuali aspetti di cui tener conto nel prosieguo della ricerca. Il passaggio successivo, generalmente, è quello di affinare il processo di archiviazione e annotazione dei dati e consiste nella trascrizione puntuale dei video, includendo la restituzione fedele dei dialoghi e del parlato (oltre al linguaggio non verbale) e tanti dettagli quanto più il tipo di analisi che si intende fare è di tipo molecolare. Per esempio, nel caso sopra citato, sarà utile trascrivere le parole con cui gli adulti (S. e J.) invitano T., il protagonista della scena, ad avvicinarsi al tavolo e a prendere parte all’attività, annotando eventualmente anche il tono di voce, ecc. Questo aiuta a render conto, nel modo più preciso possibile, di quanto sta accadendo, del tipo di interazione (non solo corporea, ma anche verbale) che intercorre tra adulti e bambino e – parallelamente – consente di osservare se, quando e come il bambino risponde alle sollecitazioni degli adulti. Il seguente esempio – riferito ad una breve clip realizzata per una ricerca sulle interazioni tra adulti e bambini al nido d’infanzia durante i momenti di accoglienza (Cescato, 2012) – offre uno stralcio di trascrizione che rende conto della “densità” di questa operazione: Siamo in sezione piccoli. Sono le ore 8.10. In sezione ci sono 7 bambini e un’educatrice (Marta). Due bambini sono nell’angolo-cucina, due nell’angolo morbido, e 3 stanno giocando con le macchinine sui tavolini accanto all’angolo cucina. L’educatrice è seduta su uno sgabello davanti al muretto che separa l’angolo cucina dell’angolo morbido. Ha il bacino e il busto rivolti verso l’ingresso della sezione e ruota la testa un po’ a destra un po’ a sinistra, seguendo con lo sguardo i tre gruppi di bambini. (1) La porta della sezione si apre. La mamma di Paolo (28 mesi), tenendo in braccio il bambino, entra in sezione e chiude la porta dietro di sé. Ruotando il busto si gira verso l’educatrice, e guardandola stringe il figlio tra le braccia, mentre con una mano gli accarezza la testa (2) Paolo, seduto sul fianco della madre, con le gambe a cavalcioni intorno alla sua vita, sta piangendo; è rivolto verso la porta d’ingresso della sezione. Dà le spalle all’educatrice e, stingendosi al busto della mamma, mantiene un braccio teso oltre la spalla del genitore, verso la porta d’ingresso (che sembra indicare) (3) “Ecco Paolo!” dice Marta seduta sullo sgabello mentre tiene il busto fermo di fronte a sé e ruota la testa e lo sguardo verso la coppia (4) “Buongiorno” dice la mamma, guardando l’educatrice (5) Marta si alza in piedi, avanzando di un passo verso la coppia. “Buongiorno”, dice avvicinandosi

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(6) Al contempo la mamma avanza in direzione dell’educatrice, guardandola (7) “Papà, papà”, dice Paolo piangendo e scalciando mentre tiene il busto e il volto rivolti verso la porta d’ingresso (dando le spalle all’educatrice) (8) Marta, spostandosi alla destra della madre si avvicina a Paolo. Giunta di fronte al viso del bambino, china leggermente il capo, lo guarda e domanda: “Che cosa c’è?” (9) “Ci ha accompagnato il papà questa mattina”, risponde la mamma, mentre con una mano accarezza la testa del figlio (10) “Ascolta: sarà ancora fuori?” domanda l’educatrice guardando il bambino (11) “Forse, eh?!”, dice la mamma abbassando il mento sulla testa di Paolo e facendo ruotare il capo del bambino verso Marta (12) Paolo, singhiozzando smette di piangere e guarda l’educatrice (13) Il bambino sorride, ruota maggiormente il busto verso l’educatrice e distende le braccia verso di lei (14) Marta apre le braccia in direzione del bambino, sorridendo (15) La madre tende le braccia verso l’educatrice, avvicinandole il figlio (16) Il bambino si protende in avanti con il busto e l’educatrice lo prende da sotto le ascelle Tab. 2: Esempio di trascrizione video-clip (tratto da Cescato, 2012, pp. 317-318)

171 La trascrizione rappresenta “uno strumento che coadiuva la visione” (Balestra, Everri, Venturelli, 2011, p. 76), aiutando a restituire le dinamiche in gioco, a “riprendere in mano” la scena anche a distanza di tempo, a ricostruirne i dettagli (la trama, l’ordito, i fili che si intrecciano). È a partire da questa trama che è possibile addentrarsi nel processo di analisi, per rendersi ben presto conto che – così come per i dati testuali – anche per analizzare i dati visuali è necessario interrogarsi sulle prospettive epistemologiche del ricercatore e le sue strategie euristiche. Al termine della raccolta-dati, infatti, sembrano aprirsi fondamentalmente due possibilità: leggere il materiale in base a codici pre-esistenti, “etichette” pre-ordinate, oppure stendere descrizioni il più possibile accurate dei comportamenti e dei discorsi registrati. In un caso e nell’altro ci troviamo di fronte a ciò che Didier Demaziere e Claude Dubar (1997) – in un celebre contributo sull’analisi strutturale delle interviste – definiscono, rispettivamente, come “atteggiamento illustrativo” e “restitutivo”. Si tratta di due possibili (e contrapposte) posture del ricercatore che – nella letteratura sull’analisi di dati visuali – studiosi come Fredrick Erickson (2006) hanno definito come “procedure induttive” e “procedure deduttive”. Nel primo caso, a prevalere sono le cornici teoriche di chi conduce la ricerca; nel secondo caso la centralità viene data al “materiale proveniente dal campo” (video/trascrizioni), considerato “in sé trasparente”, in grado di spiegarsi da solo. Tuttavia, così come la trascrizione di un’intervista, anche il video “non è di per sé eloquente”5 (Goldman & Mc Dermott, 2007, p. 151), e d’altra parte è necessario considerare la fallibilità e l’adattabilità degli schemi interpretativi adottati per leggere la realtà (unica e particolare) che stiamo studiando. Sembra dunque sia più auspicabile e corretto – dal punto di vista scientifico –

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Anzi, “la forza delle registrazioni video non risiede in ciò che chiariscono senza difficoltà, bensì in ciò che mettono in discussione e sconvolgono negli assunti iniziali” (Goldman, McDermott, 2007, p. 149).

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percorrere una terza via rispetto alle due precedentemente illustrate, procedere cioè in modo “analitico” (Dubar & Demaziere, 1997): partire da un’osservazione accurata del materiale raccolto, per poi provare ad analizzarne e comprenderne la trama e il significato. Per fare questo è necessario procedere – come suggerisce Barabara Rogoff (2007), in un contributo sulla video-analisi di interazioni tra pari – all’“astrazione di schemi di codifica […] che mantengano la fedeltà ai casi” (Id., p. 267). L’idea è quella di procedere alla “creazione di categorie finalizzate all’esame di interazioni sociali” (Id., p. 270), a partire dalla trascrizione dei video (compiuta dopo aver visto e rivisto più volte le scene, accelerando o rallentando la velocità, alzando o abbassando il volume…), da cui vengono poi astratti gli schemi di analisi. In altri termini, i passaggi che vengono suggeriti sono:

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– la messa a fuoco della domanda di ricerca e dei punti su cui il ricercatore sceglie di fermare l’attenzione6; – la realizzazione e il perfezionato di una descrizione etnografica, un protocollo osservativo e la trascrizione verbale del video; – l’annotazione di primi commenti, impressioni, note di campo del ricercatore; – l’individuazione di schemi di codifica precedentemente sviluppati da studiosi che si sono occupati dello/gli stesso/i oggetto/i; – l’avvio dell’analisi – fase che alcuni autori definiscono macro-level coding (Derry, 2007) –, che inizia con l’individuazione di categorie e pattern “teoricamente costruiti”, – per procedere poi, gradualmente – nella fase di continuing and final coding (Derry, 2007), all’individuazione di “categorie […], derivate dai video” (Rogoff, 2007, p. 272), o ad essi riadattate e descritte/definite nel modo più dettagliato possibile. L’attendibilità di una ricerca si fonda infatti non tanto o non solo sull’ampiezza dei dati raccolti, quanto su “criteri di trasparenza” nella selezione, individuazione e analisi degli stessi. Le categorie vengono formulate in itinere, durante il processo “ciclico ricorsivo” (Ibid.) di affinamento del focus di ricerca e permettono di cogliere in modo più efficace alcuni aspetti dei fenomeni studiati, che sfuggono a schemi di codifica già operazionalizzati. Queste suggestioni consentono di comprendere meglio che se da un lato l’esplorazione della letteratura, l’individuazione di un framework teorico in cui collocarci è fondamentale per procedere ad un’analisi sistematica, dall’altra parte non è possibile analizzare una situazione avulsa dal contesto nel quale si realizza e dai protagonisti che le danno forma. Rifacendoci nuovamente alla ricerca sulle dinamiche di interazione tra adulti e bambini durante l’accoglienza al nido d’infanzia (Cescato, 2012), possiamo offrire un esempio di come la trascrizione e codifica delle videoregistrazioni abbia comportato l’individuazione di costrutti che tenessero conto della posizione e delle attività di tutti i partecipanti del sistema osservato (educatrice/i, bambino/i, genitore/i), richiedendo al contempo l’individuazione di categorie che si adattassero alla peculiarità della situazione videoripresa, ovvero del contesto educativo preso in esame. Nella fattispecie, da un lato le matrici teoriche che hanno ispirato il lavoro risiedevano nelle ricerche sull’attaccamento (Bowlby,

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Che costituiscono una guida fondamentale per districarsi nella selezione dei moltissimi dati da codificare.

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1975) e sull’inserimento e l’accoglienza al nido d’infanzia (Mantovani, Saitta & Bove, 2000) e nei lavori sullo sviluppo socio-emotivo infantile di Elisabeth Fivaz-Depeursinge e Antoniette Corboz-Warnery (1999), che per prime sottolinearono l’importanza di video-riprendere e analizzare i pattern di interazione triadica tra un bambino e due adulti (i genitori) insieme. Dall’altra parte le categorie formulate nell’ambito della Strange Situation e del Lausanne Triadic Play (dunque situazioni sperimentali a cui si rifacevano le teorie prese a riferimento) erano evidentemente inapplicabili al contesto “naturalistico” osservato7 e al tipo di studio (esplorativo e non “diagnostico”8) delle interazioni che si intendeva analizzare. Di conseguenza, l’analisi dei filmati, così come la trascrizione delle scene si è avvalsa di alcuni costrutti – quali quelli di svincolo, affidamento, accoglienza e ricongiungimento9 (opportunamente ri-adattati allo studio di situazioni “naturali” come quelle che si svolgono al nido d’infanzia) – per la video-analisi delle interazioni triadiche tra adulti e bambini, anche al di fuori del contesto nucleare familiare. Una progressiva definizione dei costrutti e degli indicatori comportamentali su cui focalizzare l’attenzione (si veda la Tabella 3) ha orientato il processo di lettura delle immagini raccolte e svolto un importante supporto nell’individuazione di “costanti” e “variabili” all’interno delle situazioni d’interazione filmate. Riportiamo – a titolo di esempio – uno dei costrutti (correlato da definizione, indici comportamentali e la fotografia di una scena in cui è visibile) utilizzati nel processo di ricerca: COSTRUTTO Svincolo

DEFINIZIONE Azioni (movimenti verbali, corporei, espressivi) che consentono a due o tre membri che sono in interazione attiva di uscire dall’interazione in corso.

INDICI/COMPORTAMENTI Forme di dichiarazione verbale esplicita che comunicano l’intenzione di uscire dall’interazione (es. “adesso la mamma va”), o azioni del corpo (bacino, busto, mani, testa) finalizzate a distanziarsi fisicamente dall’altro con il quale si è in interazione (es. il genitore, accovacciato accanto al figlio indietreggia con il busto, stacca le mani dalle spalle del figlio e si alza in piedi)

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Tab. 3: Esempio di definizione e indicatori comportamentali per l’identificazione del costrutto (tratto da Cescato, 2012, p. 192. Riadattamento di Cigala, Fruggeri, Marozza, Venturelli, 2010, p. 158)

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Un setting come quello del Nido d’infanzia è caratterizzato da interazioni complesse, che hanno luogo tra bambini e tra adulti e bambini, in una cornice ben diverso da quella sperimentale, connotata da fattori spazio/temporali contingenti, dove non vi è alcun controllo delle variabili, né – tantomeno – una consegna predefinita del tipo di scambi interattivi che i soggetti sono chiamati ad agire. In quanto basato sull’analisi di situazioni “normative” e non patologiche. Messe a punto per la prima volta da Laura Fruggeri (2002) e successivamente elaborate dal gruppo di ricerca di Parma.

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Fig. 1: Esempio in cui è possibile osservare una situazione di “svincolo” (Foto tratta da un video realizzato per la tesi di Dottorato: Cescato, 2012).

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L’analisi delle sequenze video – dapprima trascritte, quindi analizzate in modo micro-analitico (Cescato, 2016) – ha permesso di portare alla luce e, successivamente di discutere insieme alle educatrici videoriprese, alcuni dati rilevati attraverso la ricerca. Al contempo, la documentazione del processo d’indagine – descritto, in tutte le sue fasi – ha permesso di rendere conto delle scelte compiute e di renderle potenzialmente discutibili.

3. Strumenti e supporti per l’analisi di dati visuali Anche nella video-analisi (così come nell’analisi di dati testuali), accanto agli aspetti più squisitamente teorico/epistemologici sin qui discussi, può essere utile l’ausilio di alcuni strumenti (software) che supportino il ricercatore nelle diverse fasi della ricerca: dall’archiviazione, all’organizzazione dei dati, all’eventuale sincronizzazione tra video e trascrizione, fino alla scomposizione del testo in sequenze e all’individuazione di categorie e schemi di codifica (in parte teoricamente dedotti, in parte induttivamente estrapolati dal corpus di immagini). I software, chiaramente, non si sostituiscono allo sforzo intellettuale e al lavoro di indagine del ricercatore – i cui “processi di pensiero e le cui attività cognitive giocano un ruolo-chiave nell’analisi (Keim et al., 2006, p. 10, tr. aut.) –, ma possono sicuramente essere un supporto valido (specialmente quando le videoriprese sono molte), sia per restituire una panoramica di quanto raccolto sul campo, sia per esplorare le possibili letture e le potenziali suggestioni che esso ci può offrire in termini di avanzamento della ricerca. I supporti digitali, inoltre, consentono di procedere “sinergicamente” all’analisi da parte di più ricercatori che – pur lavorando da diverse postazioni (anche fisicamente distanti o molto distanti, come nel caso di ricerche cross-culturali) – possono avere accesso ai video su uno spazio condiviso, avendo anche la possibilità di annotare i propri commenti in modo che siano visibili ai colleghi. Roy Pea e Kenneth Hay (2003) hanno efficacemente sintetizzato nei seguenti punti i vantaggi che l’uso di software digitali può offrire in una ricerca video-based: (a) acquisizione; (b) suddivisione in clip; (c) trascrizione; (d) possibilità di recupero; (e) organizzazione e archiviazione; (f) spazio per i commenti; (g) spazio per la codifica e l’annotazione; (h) spazio per la condivisione; (i) possibilità di visualizzare e restituire/pubblicare (anche in forma grafica) i processi e le modalità di analisi.

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Fig. 2: Esempio dell’interfaccia grafico di un software per l’archiviazione e l’analisi di dati video. Sulla sinistra abbiamo la traccia dell’onda del suono e – sotto – la trascrizione verbale della scena e dei dialoghi. Nella schermata di destra: la videoclip e, sotto, le “etichette categoriali” impiegate per l’analisi (tratto dal lavoro realizzato nell’ambito del Dottorato di ricerca in Scienze Umane: Cescato, 2012)

Alcuni esempi di software in commercio per l’analisi dei dati visuali sono: – Transana (www.transana.it), un software nato per facilitare l’analisi qualitativa di dati video e audio, la trascrizione e la sincronizzazione tra immagini e trascritto. Si tratta di uno strumento utile per studiare contesti di interazione, formale (es. una lezione scolastica) e informale, tenendo conto al contempo delle dinamiche comportamentali e di quelle verbali. In particolare, si rivela uno strumento interessante per l’analisi della conversazione, delle pratiche conversazionali e della “gestione/andamento” dei turni di parola; – Video Traces (http://faculty.washington.edu/reedstev/vt.html) è un altro software che, similmente a Transana, consente di archiviare, organizzare e condividere materiale digitale (video e audio) e di “prendere appunti” direttamente accanto al video (anche durante il corso della stessa visione), appuntandosi sia gesti/comportamenti, che sequenze verbali. La cosa interessante di questo strumento è che queste video-annotazioni possono sia essere scambiate/condivise e discusse tra colleghi ricercatori, sia essere usate come stimolo di discussione con i soggetti videoripresi. – N-Vivo (http://www.qsrinternational.com/), più noto per il suo impiego nell’analisi di dati testuali, è un software ideato per l’analisi qualitativa dei dati, e si presta ugualmente bene per la video-analisi. Si tratta di uno strumento che consente di archiviare le videoregistrazioni e di lavorarci, anche a più riprese (nella logica di una “codifica” sempre più accurata), per poi suddividerle in sequenze e sotto-sequenze. A ciascuna di esse possono poi essere associate delle “etichette” (così come viene fatto per l’analisi dei testi), che corrispondono alle categorie che il ricercatore sceglie di impiegare per descrivere il contenuto dei frame.

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Nell’ambito formazione degli insegnanti, poi, sono state create specifiche piattaforme pensate appositamente per la condivisione e il lavoro sui “video-casi” (Tochon, 2007). In rete è possibile avere liberamente accesso ad alcune di esse (per esempio: http://gallery.carnegiefoundation.org/, o Case Creator Project http://www.sci.sdsu.edu/mathvideo/cc/). Entrando in questi spazi, insegnanti ed educatori possono caricare e condividere in modo interattivo video-casi di lezioni o situazioni educative. Si tratta di spazi interessanti anche per i ricercatori, che – richiedendo l’accesso – possono non solo osservare le video-clip, ma anche leggere i forum di discussione tra gli operatori. Tornando all’ambito della ricerca educativa – che costituisce lo specifico di questo contributo – a prescindere dal software impiegato, i modi in cui i ricercatori analizzano, leggono e codificano i video varia considerevolmente. La codifica infatti – come più volte ribadito all’interno del contributo – è “intrinsecamente connessa” all’approccio teorico e agli assunti epistemologici del/i ricercatore/i e alle domande di ricerca. C’è, tuttavia, un aspetto che distingue in modo universale la maggior o minor “scientificità” del processo analitico, ed è il modo in cui categorie e schemi di codifica vengono sistematizzati, operazionalizzati e validati per raggiungere un buon livello di attendibilità inter-coder (ovvero tra soggetti che si accingono al processo di video-analisi) (National Center for Research Methods, 2012, p. 21, tr. aut.). Al contempo – come suggeriscono gli autori delle Linee guida per la video ricerca in educazione (Derry, 2007) – il report finale della ricerca dovrebbe essere accompagnato da un numero sufficiente di esempi che possano render conto di come il/i ricercatore/i ha proceduto nel processo di analisi, giungendo alle conclusioni. A questo proposito sembra utile sottolineare come – a prescindere dai tanti software in commercio per l’analisi di dati qualitativi – l’elemento che più di tutti è vantaggioso di questi strumenti è lo spazio per i “meta-dati” (Derry, 2007), quello in cui poter annotare, per esempio, le definizioni di ciascuna categoria impiegata, i criteri utilizzati per la suddivisione in clip, il modo in cui sono stati compiuti raggruppamenti tra clip, i criteri in cui sono state stabilite analogie o distinzioni tra eventi/segmenti video ecc. Ogni ricercatore – a seconda del tipo di ricerca – può esaminare i diversi strumenti oggi a disposizione per supportare e agevolare l’analisi dei dati e la restituzione del proprio lavoro. Ognuno di essi ha le proprie peculiarità e caratteristiche, ma l’aspetto più rilevante è che la logica di fondo è la medesima e l’obiettivo finale di ciascuno di questi ausili è quello di rendere il più possibile sistematico e al contempo chiaro/trasparente e condivisibile il modo di procedere nell’archiviazione, analisi e restituzione dei dati.

Conclusioni L’uso di dati visuali in contesti educativi, solleva molteplici considerazioni, non solo di natura tecnica, ma anche e soprattutto di tipo etico, metodologico, teorico/epistemologico. Soffermarsi a riflettere su questi aspetti – e in particolare sulle scelte legate alla codifica e all’analisi dei dati raccolti e sulle dimensioni del rigore e della flessibilità della ricerca qualitativa - può aiutare ad aprire nuovi spiragli di riflessione e suggestioni empiriche per la pedagogia che intenda approcciarsi con maggior consapevolezza non solo agli strumenti, ma anche alla logica ad essi sottesa, ai vantaggi e alle cautele che il loro uso comporta all’interno di un disegno di ricerca. Gli studi ci dicono che, ad oggi, è ancora esigua la riflessione sistematica sui

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metodi per la video-analisi. A fronte di una letteratura piuttosto corposa su come leggere e trattare interviste, conversazioni, e protocolli discorsivi, sembra esserci meno consapevolezza su come “maneggiare” la ricchezza e la complessità delle immagini (video e fotografie) raccolte. Eppure nuove riflessioni e nuovi strumenti ci aiutano a mettere a tema questi aspetti, offrendoci – come abbiamo cercato di fare all’interno del contributo - non solo spunti speculativi, ma indicazioni pratiche, su come muoverci in questo ambito. L’auspicio è che prendere maggiormente in considerazione questi aspetti e sviluppare, al contempo, le necessarie conoscenze/competenze (teorico-metodologiche) per la sistematizzazione e l’analisi di dati visuali nella ricerca educativa possa portare verso significativi arricchimenti nella ricerca.

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Relazioni tra autoregolazione dell’apprendimento, motivazioni e successo accademico degli studenti. Identificazione di fattori predittivi del rischio di drop-out Valeria Biasi • Dipartimento di Scienze della Formazione, Università “Roma Tre” – valeria.biasci@uniroma3.it Conny De Vincenzo • Dipartimento di Scienze della Formazione, Università “Roma Tre” – conny.dv@gmail.com Nazarena Patrizi • Dipartimento di Scienze della Formazione, Università “Roma Tre” – nazarena.patrizi@uniroma3.it

Relationships between self-regulation of learning, motivations and academic success of students. Identifying predictive factors of drop-out risk This paper investigates the relationship between academic motivation, cognitive strategies and self-efficacy, in order to examine the effects of these variables on the academic performance of students and to discover possible repercussions in their academic career, and to determine the level of dropout risk. The sample is composed of 2.328 students by “Roma Tre” University. They took part in an extensive online survey, they has been asked to complete a battery of tools to gather not only informations concerning socio-cultural data, but also related to self-regulation of learning, academic motivation, school self-efficacy and perceived risk of drop-out. The results emerging from the analysis of the data indicate that the cognitive strategies adopted, the type of motivation, and the perception of self-efficacy affect student learning skills. They also show that academic performance correlates but does not constitute a predictive factor for the risk of drop-out, on the contrary factors as a-motivation and school self-efficacy are statistically significant.

Parole chiave: Autoefficacia scolastica, Autoregolazione dell’apprendimento, Dropout, Motivazione, Orientamento, Università

Keywords: Self-regulation of learning, Drop-out, Motivation, Guidance, Self-efficacy, University

Il presente articolo è frutto del lavoro congiunto dei tre autori, in particolare l'Introduzione è stata redatta da Nazarena Patrizi; il paragrafo 1 e i sottoparagrafi 1.1., 1.2., 1.3. sono stati redatti da V. Biasi; il paragrafo 2 è stato redatto da C. De Vincenzo.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Il presente contributo indaga le relazioni tra motivazione accademica, strategie cognitive e autoefficacia scolastica, al fine di esaminare gli effetti di queste variabili sul rendimento accademico degli studenti e sulle eventuali ricadute nel loro percorso universitario in termini di possibile rischio di drop-out. Al campione, composto da 2328 studenti dell’Ateneo “Roma Tre” che hanno preso parte ad un ampio sondaggio online, è stato richiesto di compilare una batteria di strumenti per poter acquisire informazioni, non solo di tipo anagrafico e socio-culturale, ma anche relative all’auto-regolazione degli apprendimenti, alla motivazione accademica, all’autoefficacia scolastica percepita e al rischio di drop-out. I risultati che emergono dall’analisi dei dati indicano che le strategie cognitive adottate, la tipologia di motivazione e la percezione di auto-efficacia influenzano le capacità di apprendimento dello studente. Essi ci mostrano altresì che il rendimento accademico correla ma non costituisce un fattore predittivo per il rischio di drop-out, per il quale risultano invece statisticamente significativi i fattori dell’a-motivazione e dell’autoefficacia scolastica.


Relazioni tra autoregolazione dell’apprendimento, motivazioni e successo accademico degli studenti. Identificazione di fattori predittivi del rischio di drop-out

Introduzione

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L’apprendimento può essere definito come un processo complesso che comprende componenti sia cognitive sia motivazionali, e le cui dinamiche riguardano anche le modalità attraverso le quali l’allievo raggiunge in modo autonomo gli obiettivi formativi. Gli studenti capaci di autoregolare il proprio apprendimento risultano in genere capaci di modulare i processi motivazionali in modo da migliorare il proprio rendimento scolastico medesimo (Zimmerman, 2000; Pintrich, 2004; Fenollar, Romana, Cuestas, 2007; Diseth, Kobbeltvedt, 2010; Heikkila, Niemivirta, Nieminen, Lonka, 2011; Richardson, Abraham, Bond, 2012). Come dimostrato dalla letteratura specialistica, le convinzioni di autoefficacia percepita agiscono sui processi cognitivi, motivazionali e affettivi, influenzando lo sviluppo cognitivo stesso. A tale proposito, uno studio di Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pastorelli, (1996) condotto su un campione di ragazzi dagli 11 ai 14 anni, ha evidenziato la rete di influenze psicosociali attraverso le quali le credenze di efficacia accademica sia dei genitori sia dei figli influenzano il successo scolastico di questi ultimi. L’indagine ha mostrato come la convinzione di saper regolare il proprio apprendimento e di essere all’altezza di quanto richiesto dalle normali attività scolastiche sia determinante nel favorire il successo scolastico e nel promuovere comportamenti prosociali nel corso dello sviluppo. Come sappiamo il raggiungimento del successo accademico rappresenta un problema diffuso nel nostro Paese (cfr. Rapporto Anvur 2016), infatti il sistema universitario italiano rispetto agli altri sistemi europei registra uno dei più alti tassi di abbandono precoce degli studi. Abbiamo in proposito sviluppato la presente indagine al fine di cercare di individuare il peso relativo di possibili co-fattori predittivi del drop-out universitario, indagando variabili quali la motivazione, le strategie cognitive e l’auto-efficacia che, come è noto, incidono sul successo scolastico. L’autoregolazione della motivazione è stata ampiamente studiata nel quadro teorico della Teoria dell’Autodeterminazione (Self-Determination Theory, SDT). Questa teoria è focalizzata sulla qualità della motivazione e distingue tra due tipi di motivazione allo studio: la motivazione autonoma e la motivazione controllata, ciascuna comprende a sua volta due tipi di regolazione. La motivazione autonoma consiste in un tipo di motivazione caratterizzata dal piacere della scelta personale (Ryan & Deci, 2000, 2008). Si distinguono due componenti di motivazione autonoma: la motivazione intrinseca, quando gli studenti si impegnano in un’attività di apprendimento fine a sè stessa cioè proprio per il piacere di apprendere, e la regolazione identificata, quando gli studenti si impegnano in attività di apprendimento in base all’importanza percepita e attribuita a tale attività. La motivazione controllata, invece, è accompagnata da un senso di pressione e coercizione. Le due componenti della motivazione controllata sono: la regolazione esterna, la quale si riferisce al fatto di impegnarsi in un’attività di apprendimento

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per contingenze e pressioni “esterne” (costituite per esempio da premi o da punizioni), e la regolazione introiettata, che fa riferimento all’impegnarsi in un’attività di apprendimento in base a contingenze o pressioni cosiddette “interne”, volte per esempio ad evitare sentimenti di colpa e vergogna. Diversi studi hanno dimostrato che la motivazione autonoma, rispetto a quella controllata, è positivamente associata all’uso di specifiche strategie cognitive (Vansteenkiste, Sierens, Soenens, Luyckx, Lens, 2009) e ad un approccio più profondo all’apprendimento (Baeten, Kyndt, Struyven, Dochy, 2010; Kusurkar, Croiset, 2015). Principio fondamentale in questo quadro teorico risulta essere la capacità cognitiva di autoregolazione dell’apprendimento, riferita alle attività mentali ed i processi che gli studenti adottano con l’obiettivo di acquisire la conoscenza, la comprensione e le competenze (Pintrich, 2004). L’autoregolazione della conoscenza è così il frutto dell’insieme delle strategie cognitive e metacognitive che gli individui adottano al fine di modificare i propri modelli di pensiero e raggiungere i propri obiettivi di apprendimento. Anche Zimmermann (2010) si concentra sul ruolo della metacognizione negli studenti e sottolinea come l’apprendimento autoregolato dipenda sia dalle componenti metacognitive, sia da quelle motivazionali e comportamentali. Le strategie di elaborazione cognitiva sono definite come quelle attività messe in atto per elaborare i contenuti di apprendimento i quali portano direttamente a risultati di apprendimento in termini di conoscenza, comprensione e abilità (Vermunt, 1998). Molteplici studi hanno dimostrato che l’autoregolazione della conoscenza influenza positivamente i risultati accademici degli studenti (Pellerey, 2006) e tende a prevenire il fenomeno del drop-out universitario (De Marco & Albanese, 2009).

1. La ricerca esplorativa condotta presso l’Ateneo “Roma Tre” 1.1 Obiettivi, metodo, procedura, partecipanti Il presente studio mira a individuare il peso relativo di fattori predittivi del successo scolastico degli studenti universitari, quali la motivazione, le strategie cognitive, l’autoefficacia scolastica e la loro reciproca interazione. Si intende quindi identificare un insieme di cosiddetti fattori di rischio che possono co-determinare il ritardo negli studi e il fenomeno del drop-out. Vengono di seguito descritti metodo, procedura, strumenti e risultati di uno studio empirico condotto su un campione autoselezionato di studenti iscritti presso i vari Corsi di Laurea dell’Ateneo “Roma Tre”. Per analizzare l’esperienza accademica sono state prese in esame le risposte fornite da 2328 studenti iscritti ai vari Corsi di Laurea dell’Ateneo “Roma Tre” i quali hanno accettato di partecipare ad un ampio sondaggio online promosso dal Servizio Universitario di Orientamento. Attraverso la piattaforma Survey Monkey è stato appunto allestito in modalità on-line un ampio Questionario costituito da molteplici strumenti (cfr. paragrafo 2.2.) e tramite un messaggio e-mail tale questionario è stato distribuito alla popolazione studentesca dell’Ateneo “Roma Tre” nel mese di marzo del 2016. L’età media degli studenti partecipanti è di 25 anni e 1 mese (SD = 7.34), il 71.3% degli studenti è di genere femminile (1660) e il 28.7% di genere maschile (668). L’età media dei maschi è di 25 anni e 5 mesi (SD=8.03), quella delle femmine di 24 anni e 9 mesi (SD=7.04). Il 95.3% degli studenti sono di nazionalità italiana, il rimanente 4.7% sono stranieri.

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Il 78.6% degli studenti partecipanti riferiscono di aver frequentato come scuola secondaria superiore un liceo, il 14.1% un istituto tecnico, il 4.5% un istituto professionale. Il voto medio riportato all’esame di maturità è di 80/100 (SD= 11.98). Il 61.4% degli studenti (1430) è iscritto ad un corso di laurea triennale, mentre il 38.5% ad un corso di laurea magistrale o a ciclo unico (898). Gli studenti rispondenti afferiscono a tutte le Facoltà o i Dipartimenti dell’Ateneo “Roma Tre” secondo le seguenti percentuali: il 4.6% degli studenti provengono dal Dipartimento di Architettura (106); il 7.8% da Economia, l’8.3% da Giurisprudenza, il 10.6% da Ingegneria, il 10.3% svolge Studi Umanistici, il 9.6% proviene dal Dipartimento di Lingue e letterature straniere, il 6.7% da Scienze Politiche, il 27.8% da Scienze della Formazione, 0.5% da Fisica, 0.8% da Matematica, 1.8% da Scienze Biologiche, 0.9% da Scienze Geologiche, 2.4% da Scienze della Comunicazione, il 5.5% dal DAMS, cinema o giornalismo; 0.4% da Ottica; 1.9% da Sociologia. Il 78.2% degli studenti dichiara di essere “in corso” (1821), 21.8% invece di essere “fuori corso” (507). La maggioranza degli studenti dichiara di non lavorare (56.9%), il 27.4% di svolgere un lavoro part-time, ed il 15.7% full-time. La media dei voti conseguiti agli esami universitari già conseguiti da parte dell’intero campione degli studenti intervistati è pari a 25.61 (DS=3.12). In relazione al numero di ore dedicato allo studio (Tabella 1) si evince che la maggior parte del campione intervistato riferisce di dedicare da una a sei ore al giorno allo studio. Tabella 1. Numero di ore dedicato allo studio f

%

Meno di un’ora al giorno

272

11.7

1-2 ore al giorno

625

26.8

3-4 ore al giorno

765

32.9

5-6 ore al giorno

456

19.6

7-8 ore al giorno

156

6.7

Più di 8 ore al giorno

54

2.3

Tab. 1: Numero di ore dedicato allo studio

Per quanto riguarda, invece, la frequenza alle lezioni (Tabella 2), la maggior parte del campione intervistato riferisce di aver frequentato dal 25 al 100% delle ore di lezione. Tabella 2. Frequenza delle lezioni f

%

0% delle ore

273

11.7

Circa il 25% delle ore

379

16.3

Circa il 50% delle ore

375

16.1

Circa il 75% delle ore

869

37.3

Il 100% delle ore

432

18.6

Tab. 2: Frequenza delle lezioni

Rispetto al numero degli esami previsti dal corso di studi fino al giorno di compilazione del Questionario on-line (cfr. Tabella 3), il 28.9% degli studenti dichiara !

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di averli sostenuti tutti, il 29.9% quasi tutti, l’11.9% molti, il 9.8% alcuni, l’8.7% pochi, e il 10.7% nessuno (249). Precisiamo che le categorie suddette corrispondono a percentuali espressive del numero di esami sostenuti rispetto al totale previsto nel relativo curricolo i cui è impegnato lo studente, come qui indicato: “Quasi tutti” corrisponde ad aver sostenuto l’80% circa degli esami complessivi; “Molti” al 60% circa; “Alcuni” al 40% circa; “Pochi” al 20% circa; chiaramente la voce “Tutti” comprende il 100% degli esami previsti e “Nessuno” lo 0%. Il calcolo percentuale ha permesso di comparare percorsi di studio che, in base ai rispettivi regolamenti didattici, prevedono un diversificato numero di esami annuali da sostenere. Si è reso quindi necessario considerare il dato in modo proporzionale, attraverso il calcolo percentuale degli esami sostenuti rispetto al totale degli esami previsti fino al momento Tabella 3 – Distribuzione delle frequenze percentuali in base al della compilazione del questionario. numero di esami sostenuto rispetto al curriculum previsto f

%

Tutti

673

28.9

Quasi tutti

697

29.9

Molti

277

11.9

Alcuni

229

9.8

Pochi

203

8.7

Nessuno

249

10.7

Totale

2328

100.0

Tab. 3: Distribuzione delle frequenze percentuali in base al numero di esami sostenuto rispetto al curriculum previsto

!

Come già anticipato, gli studenti sono stati invitati, con garanzia dell’anonimato, a partecipare al sondaggio online tramite una e-mail, in cui venivano descritti gli obiettivi dell’indagine. Nella compilazione del questionario, vi è stato un abbandono del compito soltanto nel 9% dei casi. 1.2 Le misure Gli strumenti di misura utilizzati sono confluiti in un’ampia batteria di questionari che – oltre ad indagare le informazioni socio-anagrafiche, il background culturale, il numero di esami sostenuti rispetto al curriculum previsto e la votazione media conseguita, come sopra già illustrato a titolo descrittivo e illustrativo delle caratteristiche del gruppo intervistato – hanno incluso l’analisi di diversi costrutti come di seguito specificato: a) Self-regulated knowledge (Strategie cognitive/di studio) / “Scala di AutoRegolazione degli Apprendimenti – Università” (SARA-U) La Self-Regulated Knowledge Scale – University (SRKS-U; traduzione italiana “Scala di Auto-Regolazione degli Apprendimenti – Università” (SARA-U) è stata sviluppata sulla base della teoria dell’apprendimento autoregolato di Pintrich (2004) e validata in Italia da Manganelli, Alivernini, Mallia e Biasi (2015). La scala

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è stata utilizzata per misurare la frequenza con cui gli studenti mettono in atto diverse strategie cognitive, su una scala a 5 passi (1= Mai, 2= Raramente, 3= Qualche volta, 4= Spesso, 5= Sempre o quasi). Le buone proprietà psicometriche sono state accertate attraverso una recente analisi condotta su un ampio campione di studenti universitari italiani, il coefficiente di Cronbach per la sotto-scala SRK variava in questo studio da 0.80 (estrazione della conoscenza) a 0.70 (monitoraggio della conoscenza) (Manganelli et al., 2015). La SARA-U è costituita da cinque sotto scale, ciascuna composta da tre item che sono le risposte alla domanda “Quando studi, quanto spesso fai le seguenti cose?”. Le cinque sotto scale rilevano l’utilizzo dei seguenti processi cognitivi: estrazione della conoscenza (frequenza con cui gli studenti selezionano le informazioni che considerano più importanti); collegamento della conoscenza (frequenza con cui gli studenti provano a collegare nuove conoscenze con quelle che già possiedono); allenamento della conoscenza (frequenza con cui gli studenti mettono in pratica la loro conoscenza); critica della conoscenza (frequenza con cui gli studenti si pongono domande e criticano quanto appreso, formandosi una propria idea); monitoraggio della conoscenza (frequenza con cui gli studenti monitorano le loro conoscenze).

186 b) Scala della Motivazione Accademica (SMA) La Scala è stata sviluppata nell’ambito della Self-Determination Theory (Vallerand, Pelletier, Blais, Briere, Senecal, Vallieres, 1992, 1993) e validata in Italia da Alivernini e Lucidi (2008). La versione italiana della scala ha dimostrato buone proprietà psicometriche, il coefficiente di Cronbach per le sotto scale SMA varia da 0.91 (regolazione esterna) a 0.73 (a-motivazione). La scala si compone di cinque sotto scale, ciascuna composta da quattro item che sono risposte alla domanda “Perché Frequenti Il Corso di laurea al Quale sei iscritto?”. Le cinque sotto scale misurano: la mancanza di motivazione: (risposte tipo sono: “Onestamente”, “non lo so”; “sento che sto sprecando il mio tempo a scuola”); regolazione esterna (“Per ottenere un maggior prestigio lavorativo più tardi”); regolazione introiettata (“A causa del fatto che quando riesco a scuola mi sento importante”); regolazione identificata (“Perché penso che una formazione di scuola superiore mi aiuterà a prepararmi meglio per la carriera che ho scelto”); regolazione intrinseca (“Perché sperimento piacere e soddisfazione dall’ imparare cose nuove”). Le scelte di risposta per ciascun item sono espresse su una scala a 11 punti che va da 0 (per niente vero) a 10 (del tutto vero). c) Intenzione di drop-out Le intenzioni degli studenti di continuare, o al contrario di abbandonare il percorso accademico, sono state misurate con domande derivate dalla scala di Hardre e Reeve (2003). Nella versione originale gli autori, prendendo spunto dalla versione di Vallerand et al. (1997), rilevavano l’intenzione degli studenti di persistere o di abbandonare gli studi. Nella presente indagine, agli studenti è stata chiesta la frequenza con cui “pensano ad abbandonare l’università e fare qualcosa di diverso”, “si sentono insicuri di continuare i loro studi universitari anno dopo anno”, “prendono in considerazione l’idea di non proseguire gli studi universitari”, “ intendono abbandonare l’università”.

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Le scelte di risposta per ciascun item sono articolate su una scala Likert a 5 punti che va da 1 (mai) a 5 (sempre o quasi sempre), mentre nella versione originale della scala le scelte di risposta erano espresse attraverso una scala Likert a 7 passi che andava da 0 (per niente) a 7 (molto). In questo studio, l’indice alfa di Cronbach è risultato molto elevato, pari a 0.92. d) Scala di Autoefficacia Scolastica Percepita La Scala di Autoefficacia Scolastica Percepita (Pastorelli, Picconi, 2001) analizza le convinzioni che gli studenti hanno circa le loro capacità di regolare la propria motivazione allo studio e lo svolgimento delle diverse attività scolastiche, di rimanere concentrati sullo studio, organizzandosi nello svolgimento delle diverse attività universitarie, di trovare supporto nell’apprendimento, scoprendo modalità di studio che lo favoriscano. Rispetto alla scala originaria – costituita da 19 item – in questa indagine si è scelto di adottare una versione ridotta e riadattata, composta da 9 item, le cui alternative di risposta sono: 1= per niente capace; 2= poco capace; 3= abbastanza capace; 4= molto capace; 5= del tutto capace. L’analisi delle componenti principali condotta sulla scala originaria da Pastorelli e Picconi (2001), ha evidenziato la monofattorialità della Scala, con un coefficiente alfa di Cronbach compreso tra 0.83 e 0.87. In questo studio, il coefficiente alfa di Cronbach è risultato pari a 0.84. Tale scala si è mostrata di grande rilievo in ambito scolastico, fornendo elementi di riscontro sull’impegno verso lo studio e sul profitto ottenuto dagli studenti. 1.3 Analisi dei dati e risultati 1.3.1. Correlazioni tra le variabili rilevate concernenti le strategie cognitive, le risorse motivazionali, gli atteggiamenti verso lo studio e la performance accademica L’analisi dei dati è stata svolta utilizzando il software SPSS. Sono stati calcolati i coefficienti di correlazione (r di Pearson) per rilevare relazioni tra la performance accademica espressa dalla media dei voti ottenuta agli esami universitari conseguiti, le strategie cognitive utilizzate, le tipologie di motivazione allo studio, il rischio di drop-out e la percezione di Autoefficacia Scolastica. Si sono evidenziate delle correlazioni statisticamente significative tra la media di voti riportata dagli studenti e le varie strategie cognitive di apprendimento adottate (Tabella 4). In particolare, la media dei voti correla positivamente con le strategie identificate rispettivamente come capacità di “Collegamento della Conoscenza” (r = .165, p < .001), di “Allenamento della Conoscenza” (r = .121, p < .001), di “Critica della Conoscenza” (r = .196, p < .001), di “Monitoraggio della Conoscenza” (r = .127, p < .001). Quindi, maggiore è la media ottenuta agli esami, più alti sono risultati i punteggi registrati per l’adozione delle suddette strategie cognitive: maggiore è la frequenza con cui gli studenti, rispettivamente, provano a collegare nuove conoscenze con quelle che già possiedono, mettono in pratica la loro conoscenza, si pongono domande e criticano quanto appreso, monitorano le loro conoscenze. Ciò indica in sostanza, come prevedibile, il ricorso ad una migliore metodologia di studio da parte degli studenti che riescono a conseguire buoni risultati.

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Tabella 4 Media Voti Estrazione Collegamento Allenamento Critica Monitoraggio

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

.015 n.s.

Correlazione di Pearson

.165**

Sig. (2-code)

p<.001

Correlazione di Pearson

.121**

Sig. (2-code)

p<.001

Correlazione di Pearson

.196**

Sig. (2-code)

p<.001

Correlazione di Pearson

.127**

Sig. (2-code)

p<.001

Tab. 4: Correlazioni tra performance accademica, espressa dalla media dei voti ottenuta agli esami universitari conseguiti, e strategie cognitive utilizzate. !

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Si possono osservare inoltre delle correlazioni statisticamente significative tra la media dei voti riportata dagli studenti e i vari tipi di motivazione allo studio (Tabella 5). In particolare, la media dei voti correla positivamente con la motivazione intrinseca (r = .112, p < .001) e negativamente con l’amotivazione (r = –.080, p < .001), con la motivazione esterna (r = –.054, p < .01) e con la motivazione introiettiva (r = –.076, p < .001). Quindi, maggiore è la media ottenuta agli esami, maggiori sono i punteggi di motivazione intrinseca (ovvero maggiore è lo svolgimento di un’attività di studio per una propria curiosità cognitiva, per “il piacere e la soddisfazione di imparare cose nuove”). Al contrario, maggiori risultano i punteggi di “amotivazione” (ovvero mancanza di intenzione di agire), di motivazione “esterna” (ovvero svolgere un’attività per soddisfare una richiesta esterna) e “introiettiva” (ovvero svolgere un’attività per evitare punizioni o ottenere premi interni, come succede nel cercare di evitare o ridurre ansia o sensi di colpa), minore è la media riportata agli esami. Tabella 5 Media Voti Amotivatione

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Esterna

p<.001

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Introiettiva

Correlazione di Pearson

-.076** p<.001

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Intrinseca

-.054** p<.01

Sig. (2-code) Identificativa

-.080**

.003 n.s.

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

.112** p<.001

Tab. 5: Correlazioni tra performance accademica, espressa dalla media dei voti ottenuta agli esami universitari conseguiti, e motivazione allo studio !

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Per quanto concerne il rischio di drop-out e la percezione di Autoefficacia Scolastica, si sono potute osservare le seguenti correlazioni statisticamente significative (Tabella 6). Tabella 6 Media Autoefficacia dei voti Scolastica Media

Correlazione di Pearson

DropOut

1

Sig. (2-code) Autoefficacia Scolastica

Drop-Out

Correlazione di Pearson

.207**

Sig. (2-code)

p<.001

Correlazione di Pearson

-.111**

Sig. (2-code)

p<.001 p<.001

1

-.339**

1

Tab. 6: Correlazioni tra performance accademica, espressa dalla media dei voti ottenuta agli esami universitari conseguiti, livello di Autoefficacia Scolastica percepito e rischio di Drop-Out. !

In particolare, la media dei voti correla positivamente con la Autoefficacia Scolastica (r = .207, p < .001) e negativamente con il rischio di drop-out (r = –.111, p < .001). Come potevamo aspettarci, più elevata è la media ottenuta agli esami, maggiori sono i punteggi di autoefficacia scolastica percepita e minore è il rischio di drop-out. Di particolare rilievo appare peraltro la correlazione negativa rinvenuta tra il cosiddetto rischio di drop-out e l’Autoefficacia scolastica (r = –.339, p < .001): maggiori convinzioni di autoefficacia sono collegate ad un minore rischio di drop-out. In sintesi, le strategie cognitive adottate, la tipologia di motivazione e la percezione di autoefficacia influenzano le capacità di apprendimento dello studente, come mostrato grazie al calcolo delle rispettive correlazioni con la media dei voti. 1.3.2 Analisi tramite Modelli di Regressione Attraverso ulteriori analisi statistiche condotte tramite un modello di regressione gerarchica per blocchi si è cercato inoltre di verificare il peso relativo dei vari fattori indagati nella possibile co-determinazione del fenomeno del drop-out. Come è noto l’analisi dei condotta attraverso la regressione multipla rispetto al calcolo della correlazione è una procedura più complessa in quanto permette di esplorare la capacità predittiva di un insieme di variabili indipendenti su una variabile dipendente, ossia in modo da trovare il miglior set di variabili in grado di predire una determinata variabile dipendente (Pallant, 2013), la quale – nel nostro caso – consiste nel cosiddetto “rischio di drop-out”. L’ipotesi da testare ha riguardato quindi in definitiva il peso ricoperto dalle variabili cognitive, da quelle motivazionali, dagli aspetti legati agli atteggiamenti e dai livelli di apprendimento registrati attraverso la media dei voti, sul suddetto “rischio di drop-out”. In particolare siamo andati ad indagare se le cinque strategie cognitive identificate possono essere considerate in qualche modo predittive del rischio di drop-

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out universitario, e se l’inserimento nel modello delle misure di motivazione allo studio e di autoefficacia scolastica percepita rispetto alla performance accademica espressa della media ottenuta agli esami universitari, migliorino la capacità predittiva del modello. I risultati dell’analisi effettuata vengono riassunti nella Tabella 7, ove si evidenzia appunto il peso ricoperto da ogni variabile: ossia come ciascun blocco di variabili contribuisce a spiegare la varianza del rischio di drop-out e come ogni variabile contribuisce a spiegare l’equazione finale del modello. Nel primo blocco sono state inserite le 5 strategie cognitive (Estrazione della conoscenza, Collegamento della conoscenza, Allenamento della conoscenza, Critica della conoscenza, Monitoraggio della conoscenza). Nel secondo blocco sono state aggiunte le misure della motivazione (Amotivazione, Motivazione Esterna, Motivazione Introiettiva, Motivazione Identificativa, Motivazione Intrinseca). Nel terzo e ultimo blocco sono state inserite la media dei voti universitari e la misura di autoefficacia scolastica percepita. Dalla tabella si osserva che nel primo blocco si sono riscontrati effetti significativi (F (5, 2321) = 23.482; ΔR2=0.048; p< .001), in cui i predittori che hanno contribuito significativamente e negativamente sono: il Collegamento della conoscenza (β = –.128; p<.001), il Monitoraggio della conoscenza (β = –.109; p<.001), l’Allenamento della conoscenza (β = –.075; p<.05), mentre positivamente l’Estrazione della conoscenza (β = .078; p<.001). Anche nel secondo blocco si sono evidenziati effetti significativi (F (10, 2316) = 64.299; ΔR2=0.169; p<.001), in cui i predittori che hanno contribuito significativamente e negativamente sono: la Motivazione Intrinseca (β = –.172; p<.001), il Collegamento della conoscenza (β = –.093; p<.001), e la Motivazione Identificativa (β = –.083; p<.001), mentre positivamente l’Amotivazione (β = .253; p<.001), la Motivazione Introiettiva (β =.096; p<.001) e l’Estrazione della conoscenza (β = .090; p<.001). Il terzo blocco, infine ha evidenziato effetti statisticamente significativi (F (12, 2 2314) = 66.311; ΔR =0,039; p<.001), in cui i predittori che hanno contribuito significativamente e negativamente sono: l’Autoefficacia Scolastica (β =-.220; p<.001), la Motivazione Intrinseca (β = –.138; p<.001), la Motivazione Identificativa (β = – .068; p<.01) e il Collegamento della conoscenza (β = –.058; p<.05), mentre positivamente l’Amotivazione (β = .233; p<.001), l’Estrazione della conoscenza (β = .090; p<.001), la Motivazione Introiettiva (β =.062; p<.01), la Motivazione Esterna (β =.059; p<.05), la Critica della conoscenza (β =.047; p<.05),

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Tabella 7 Predittori

.078*

Collegamento della conoscenza

-.128*

Allenamento della conoscenza

-.075*

Critica della conoscenza Monitoraggio della conoscenza Blocco 1 ∆R2 (R2)

.009 -.109* .048* (.048)

Estrazione della conoscenza

.090*

Collegamento della conoscenza

-.093*

Allenamento della conoscenza

-.045

Critica della conoscenza

.028

Monitoraggio della conoscenza

-.005

Amotivazione

.253*

Motivazione Esterna

.045

Motivazione Introiettiva

.096*

Motivazione Identificativa

-.083*

Motivazione Intrinseca

-.172*

Blocco 2 ∆R2 (R2)

.169* (.217)

Estrazione della conoscenza

.090*

Collegamento della conoscenza

-.058*

Allenamento della conoscenza

-.018

Critica della conoscenza

.047*

Monitoraggio della conoscenza

.020

Amotivazione

.233*

Motivazione Esterna

.059*

Motivazione Introiettiva

.062*

Motivazione Identificativa

-.068*

Motivazione Intrinseca

-.138*

Autoefficacia scolastica

-.220*

Media Voti Blocco 3 ∆R2 (R2) !

Rischio di Drop-out

Estrazione della conoscenza

-.024 .039* (.256)

Tab. 7: Risultati dell’analisi statistica condotta tramite modello di regressione gerarchica per blocchi di variabili.

Riassumendo i dati appena descritti, si può concludere che le strategie cognitive, che corrispondono al primo blocco dei fattori indicati nella Tabella 7, spiegano il 4.8% della varianza del rischio di drop-out universitario e, nello specifico, il cosiddetto Allenamento della conoscenza (ossia la frequenza con cui gli studenti mettono in pratica la loro conoscenza), il Collegamento della conoscenza (ossia la frequenza con cui gli studenti provano a collegare nuove conoscenze con quelle che già possiedono), l’Estrazione della conoscenza (ossia la frequenza con cui gli studenti selezionano le informazioni che considerano più importanti) e il Monitoraggio della conoscenza (ossia la frequenza con cui gli studenti monitorano le loro conoscenze) risultano statisticamente significativi.

ricerche

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Si nota poi come si aggiungano significative porzioni di varianza spiegata esaminando le variabili comprese nel secondo blocco, rappresentato sempre nella Tabella 7: l’aggiunta delle variabili motivazionali ha contribuito a spiegare il 21.7% della varianza. Infine, nel terzo blocco raffigurato la quota di varianza spiegata sale complessivamente al 25.6% : di particolare rilievo appare l’inserimento della variabile della Autoefficacia Scolastica mentre la media ottenuta ai voti non incide in modo statisticamente significativo (β = –.024; n.s.). In definitiva dalle suddette analisi dei dati emerge che i principali predittori del rischio di drop-out sono rappresentati dalle variabili “Amotivazione” e “Autoefficacia scolastica”. In conclusione, è possibile osservare che sebbene la performance accademica rilevata attraverso i punteggi medi registrati agli esami sostenuti sia correlata con il rischio di drop-out, non risulta esserne un buon predittore. I risultati complessivi evidenziano l’inequivocabile incidenza che fattori come la tipologia della motivazione e la percezione di Auto-efficacia Scolastica sul rischio per lo studente di abbandare (drop-out) il proprio percorso accademico.

192

2. Discussione e conclusioni Come è noto uno degli elementi di criticità, peculiare del sistema universitario del nostro Paese, è l’elevato tasso di abbandono precoce degli studi (Ballarino, 2011; Domenici, 2016; Burgalassi, Biasi, Capobianco, Moretti, 2016). La ricerca appena descritta non si è limitata ad una conferma del “dato”, ma ha cercato di indagare in maniera empirica i possibili elementi predittori del dropout universitario, così da permettere una conoscenza più approfondita del fenomeno e delle ragioni che lo sostanziano, ponendo le basi per la strutturazione di interventi mirati e puntuali. Le analisi statistiche ci mostrano che il rendimento accademico misurato attraverso la media dei voti correla negativamente con il rischio di drop-out (r = – .111, p < .001), ma non predice il rischio di drop-out (cfr. Tabella 7: nel terzo blocco raffigurato la voce “Media dei voti” assume un valore di solo –.024 non significativo, il quale infatti non contribuisce a spiegare la varianza). I predittori che hanno maggiormente e significativamente contribuito a spiegare la varianza sono l’Amotivazione (β = .233; p<.001) e, negativamente, la Autoefficacia Scolastica (β =-.220; p<.001), la Motivazione Intrinseca (β = –.138; p<.001). Viene quindi messa in evidenza l’inequivocabile incidenza – ossia il peso relativo nello spiegare la varianza totale – che fattori come la motivazione e l’Autoefficacia scolastica hanno sulla probabilità da parte dello studente di continuare o abbandonare il proprio percorso accademico. Mostra il peso maggiore l’aspetto della cosiddetta “Amotivazione”: ossia il non essere motivato e interessato al tipo di corso di studi prescelto comporta un alto e significativo rischio di drop-out. Anche nel caso dell’Autoefficacia si registra un’elevata incidenza in senso inverso nello spiegare il rischio di drop-out: ossia livelli elevati di Auto-efficacia Scolastica comportano una diminuzione del suddetto rischio. Un peso inferiore ma sempre significativo è ricoperto dalla cosiddetta “Motivazione Intrinseca” la quale comporta, sempre in senso inverso, un elevato rischio di drop-out: ossia elevati livelli di motivazione intrinseca comportano una diminuzione del suddetto rischio.

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Nell’ambito della letteratura recente di settore, si è visto che la motivazione autonoma, intrinseca, è in una relazione positiva con il processo profondo di apprendimento (Baeten, Dochy & Struyven, 2013), ma soprattutto è stato possibile rilevare che la cosiddetta “Amotivazione” spiega parte della varianza dell’abbandono universitario: il deficit motivazionale potrebbe, dunque, essere colmato tramite un adeguato processo orientativo in ingresso e in itinere, divenendo, l’orientamento stesso, una strategia di contrasto al fenomeno del drop-out (Domenici, 2009; Burgalassi, Biasi, Capobianco, Moretti, 2016). Come sottolineato dai risultati complessivi ottenuti nel presente studio (cfr. Tabella 7), l’Autoefficacia scolastica è uno degli elementi che può predire con più precisione il successo negli studi, infatti se consideriamo la laurea come un obiettivo da raggiungere, è evidente quanto sia determinante il peso che la fiducia nelle proprie capacità ha nel perseguire determinati obiettivi (Bandura, 1997). Le convinzioni circa la propria efficacia personale vengono sviluppate sulla base dell’esperienza e del feedback sociale via via ottenuto e ciò permetterà di gettare le basi per lo sviluppo degli strumenti autoregolatori cognitivi necessari per la riuscita prestazionale (Biran, Wilson, 1981; Gist, 1989). Questi rilievi sono stati via via confermati nel tempo attraverso varie indagini, come Richardson et al. (2012) hanno ben messo in evidenza attraverso una specifica meta-analisi basata sul confronto degli esiti delle ricerche pubblicate tra il 1997 e il 2010, in tema di fattori che incidono sul successo accademico degli studenti. Essi hanno identificato ben 7.167 articoli in lingua inglese che mettono in evidenza il ruolo determinante delle seguenti variabili: (a) gli atteggiamenti individuali, (b) i fattori motivazionali, (c) le strategie di autoregolazione dell’apprendimento, (d) gli approcci degli studenti verso l’apprendimento, e (e) le influenze contestuali e sociali. In particolare tre costrutti hanno mostrato correlazioni consistenti e altamente significative con il grado di performance accademica: il livello di auto-efficacia percepita e la capacità di auto-regolamentazione dell’impegno. L’indagine che qui abbiamo presentato integra e approfondisce il quadro teorico di riferimento mettendo in luce in particolare il peso relativo, integrato e combinato di alcune componenti motivazionali e dell’autoefficacia scolastica: in questo, riteniamo, consista il contributo originale offerto in questa sede. Non appare cioè sufficiente il ruolo giocato da una singola variabile alla volta nello spiegare e tentare di predire su base probabilistica un fenomeno così complesso come il rischio di abbandono universitario, occorre rifarsi ad un sistema co-fattoriale analizzabile in modo funzionale – come abbiamo visto – attraverso un modello di regressione gerarchica per blocchi. Sulla base dei dati ottenuti, riteniamo che molto potrebbe essere fatto a livello applicativo per aiutare gli studenti a sviluppare efficaci strategie di studio le quali, a loro volta, vadano ad alimentare il senso di autoefficacia dello studente, dando vita ad un circolo virtuoso che si autoalimenta dall’interno. Sarebbe, quindi, a nostro avviso opportuno che l’istituzione universitaria potesse tener conto delle evidenze scientifiche finora emerse, al fine di allestire tipologie di “Servizi agli Studenti” che rinforzino in modo articolato la percezione di autoefficacia scolastica: fornendo indicazioni appunto sul metodo di studio per rinforzare le diverse strategie cognitive attraverso, per esempio, un efficace “Servizio di Tutorato”, e sostenendo la motivazione allo studio in particolare fornendo un buon “Servizio di Orientamento” in entrata e in itinere. Utilizzando questi risultati come punto di partenza, e non di arrivo, per ulteriori riflessioni si può pensare di indagare ulteriormente le suddette variabili at-

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traverso un disegno sperimentale per valutare l’incidenza di un orientamento formativo adeguato nel ridurre e prevenire il drop-out universitario, rinforzando proprio le variabili motivazionali e la percezione di autoefficacia scolastica.

Riferimenti bibliografici

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Appendice 1

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Spesso

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1. Faccio dei riassunti delle cose più importanti.

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2. Cerco delle somiglianze o delle differenze fra quello che sto studiando e quello che già so.

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3. Mi ripeto più volte le cose importanti da imparare.

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4. Mi chiedo se sono d’accordo con quello che leggo nei libri o con quello che viene detto a lezione.

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5. Controllo se ho capito bene quello che sto leggendo.

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6. Mi scrivo i concetti più importanti di un particolare argomento che studio.

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7. Cerco dei collegamenti fra le diverse materie che studio.

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8. Mi rivedo più volte un argomento se voglio impararlo bene.

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9. Provo a farmi una mia personale idea sulle cose che studio.

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10. Controllo quale parte di un argomento da studiare non so ancora bene.

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11. Faccio degli schemi o delle mappe degli argomenti più importanti.

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12. Cerco di vedere come si collega quello che sto studiando con quello che già so.

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13. Mi ripeto spesso i concetti più importanti per memorizzarli meglio.

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14. Provo a "fare delle critiche" o a mettere in discussione quello che trovo sui libri.

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15. Cerco di essere sicuro/a di capire bene quello che sto studiando.

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Scala di Auto-Regolazione degli Apprendimenti Università” (SARA-U) Manganelli, Alivernini, Mallia e Biasi (2015)

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Appendice 2 Academic Motivation Scale Alivernini e Lucidi (2008) (adattata). Pensa, ora, ai motivi per cui stai frequentando il corso di laurea a cui ti sei iscritto/a… 0

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1. Perché qualcun altro mi spinge a fare questa cosa. 2. Così posso far vedere che sono capace di laurearmi. 3. Non c'è nessun motivo particolare, qualcosa la dovrò comunque fare. 4. Perché è importante per quello che ho deciso di fare in futuro. 5. Perché, in fondo, il corso di laurea che ho scelto mi piace. 6. Perché qualcun altro vuole che io lo faccia. 7. Per dimostrare che sono in grado di riuscire in questa cosa. 8. Non lo so, per me una scelta vale un'altra. 9. Perché è utile per raggiungere i miei obiettivi nella vita. 10. Perché le cose che si fanno nel corso di laurea al quale mi sono iscritto/a mi interessano. 11. Perché è quello che gli altri vogliono da me. 12. Perché terminare questo corso di laurea mi farebbe sentire orgoglioso/a di me. 13. Onestamente solo perché sono costretto/a, dipendesse da me non lo farei. 14. Perché mi serve per quello che voglio fare nella vita.

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15. Perché mi piacciono le materie e le discipline che si studiano.

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16. Perché così faccio contento/a qualcun altro/a. 17. Perché terminando questo corso di laurea posso far vedere quello che valgo.

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18. Ad essere sinceri non lo so, sento che perderò solo il mio tempo.

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19. Perché è importante per quello che ho scelto di fare. 20. Perché è bello imparare cose nuove in questo ambito. Appendice 3

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Appendice 3 Intenzione di drop-out derivata dalla scala di Hardre and Reeve (2003). Quanto frequentemente ti capita di…

1. Pensare di lasciare l’università e fare altro. 2. Sentirti insicuro/a di continuare i tuoi studi universitari anno dopo anno. 3. Prendere in considerazione l’idea di non proseguire gli studi universitari. 4. Avere l’intenzione di abbandonare l’università.

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Appendice 4 ScaladidiAutoefficacia Autoefficacia Scolastica Percepita da Pastorelli &2001) Picconi, 2001) Scolastica Percepita (tratta(tratta da Pastorelli & Picconi, Scala Quanto sei capace di… Per niente capace

Poco capace

Abbastanza capace

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1. Finire in tempo quanto previsto dal programma di un esame.

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2. Impegnarti nello studio quando hai altre cose interessanti da fare.

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3. Concentrarti nello studio senza farti distrarre.

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4. Prendere appunti delle spiegazioni dei docenti.

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5. Organizzarti nello svolgimento delle diverse attività universitarie.

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6. Programmare le diverse attività universitarie.

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7. Ricordare ciò che viene spiegato a lezione e ciò che hai letto sui libri.

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8. Trovare un posto dove studiare senza essere distratto/a

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9. Interessarti agli argomenti previsti dal corso di studi.

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Libroterapia e dislessia: oltre la valenza compensativa dell’ebook

Annamaria Curatola • Università degli Studi di Messina – annamaria.curatola@unime.it Paola Surace • Unitas Catholica, Reggio Calabria – suracepaola@tiscali.it

Librotherapy and dyslexia: beyond the compensatory value of the e-book This paper aims to demonstrate the effectiveness of book therapy in treating the emotional disturbances of people with DSA. Since the early 1900s today, book therapy has been experiencing unceasing and widespread development, so much so that it is increasingly used in hospitals, prisons, schools, libraries and psychiatric clinics. Where possible, it is not uncommon to use Book therapy instead of, pharmacological treatments. With the development of technology the traditional paper book was joined with the digital book (ebook). Both, with their own characteristics and potential, can contribute to the treatment of emotional disturbances. The last part of the work is focused on the pedagogical and formative value of narration and autobiography. Through a detailed analysis of the literature, the article documents how the ebook, in case of presence of DSA, is able to be more than just a “compensatory tool” and become a real therapy.

Parole chiave: inclusione, persona, terapia, libro digitale, disabilità, educazione

Keywords: inclusion, person, therapy, ebook, disability, education

I §§ 1-2 e 3 sono di Annamaria Curatola. Il § 4 e le conclusioni sono di Paola Surace. La bibliografia è condivisa da entrambe.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Il presente lavoro si propone di dimostrare l’efficacia della pratica libroterapica nel trattamento dei disturbi emotivi delle persone con DSA. Dai primi del 1900 ad oggi la Libroterapia ha conosciuto uno sviluppo incessante e capillare, tanto da essere impiegata, sempre più frequentemente, presso gli ospedali, le carceri, le scuole, le biblioteche, le strutture psichiatriche; laddove possibile, non è infrequente l’utilizzo della Libroterapia in sostituzione, o in ausilio, di trattamenti farmacologici. Con l’avvento della tecnologia il tradizionale libro cartaceo è stato affiancato dal libro digitale (ebook). Entrambi, con le proprie caratteristiche e le proprie potenzialità, possono contribuire al trattamento di disturbi emotivi. L’ultima parte del lavoro è incentrata sulla valenza pedagogica e formativa della narrazione e dell’autobiografia. Attraverso un’analisi dettagliata della letteratura presa in esame, l’articolo documenta come l’ebook, in presenza di DSA, riesca ad andare oltre lo “strumento compensativo” e diventare una vera e propria terapia.


Libroterapia e dislessia: oltre la valenza compensativa dell’ebook

1. La Libroterapia

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Risale ai primi del Novecento l’utilizzo del termine Biblioterapia o Libroterapia ad opera di Samuel Crothers che, in A Literary clinic, la definisce «such a new science» (Crothers, 1926, p. 295). Tuttavia, il mondo greco e romano avevano già riconosciuto l’importanza dei libri e ne avevano valorizzato la funzione terapeutica: Aristotele, nella Poetica, analizza e descrive le qualità strutturali e stilistiche dei vari generi della letteratura greca e definisce quello della “tragedia” «imitazione di una azione nobile e compiuta […] la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni» (1449, 24-28, D. Pesce, trad. 1981, p. 82); Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C./1989)., enciclopedista e medico dell’antica Roma, riconobbe l’esistenza di un rapporto tra medicina e lettura. Fin dall’antichità, quindi, la lettura è stata considerata un importante ausilio per la persona che intraprendeva un percorso di introspezione psicologica finalizzato alla comprensione del sé e del senso della vita. Secondo molti, per scoprire il senso dell’esistenza è possibile aprire un libro, leggerlo e lasciarsi trasportare. A volte le pagine sembrano scritte proprio per il lettore (Citati, 1930/2015). I libri e la lettura consentono di trovare le risposte ai tanti tormenti della vita e guidando la persona alla scoperta di sentimenti, emozioni e paure le permettono di poterli conoscere, gestire e riscoprire se stessi (Proust, 1906). «Tant que la lecture est pour nous l’initriatrice dont les clefs magiques nous ouvrent au fond de nous-mêmes la porte des demeures où nous n’aurions pas su pénétrer, son rôle dans notre vie est salutaire» (Proust, 1988, p. 37). «La letteratura ha una funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere […] la letteratura come ricerca di conoscenza» (Calvino, p. 33). Il termine Libroterapia, come precisato dalla psicologa e psicoterapeuta Rosa Mininno, coordinatrice della rete “Nuove dipendenze” e fondatrice dell’unico sito italiano dedicato all’approfondimento e alla divulgazione della Biblioterapia, significa letteralmente “terapia attraverso la lettura” e ingloba in sé diversi significati: cura attraverso la lettura, utilizzo dei libri come strumenti risolutivi di situazioni problematiche, metodo che stabilisce una comunicazione tra il lettore e il terapeuta attraverso lo scambio di conoscenze (Racci, 2013). La Libroterapia è apprezzata e praticata da molti psichiatri, psicologi, psicoterapeuti e negli ultimi anni, grazie ai risultati ottenuti dalle ricerche sul campo, molti altri professionisti in ambito pedagogico, sociologico e antropologico hanno rivolto con interesse lo sguardo alla pratica libroterapica. Secondo il professore Claudio Mencacci (2008), primario di psichiatria presso l’ospedale Fatebenefratelli di Milano, la capacità di alcuni romanzi di rispecchiare sentimenti ed emozioni permette ad ogni persona di avvicinarsi a questi stati d’animo con maggiore fiducia, di comprendere di non essere soli e che da qualche parte del mondo qualcuno ha vissuto o vive in sintonia con lei. Lo psichiatra americano William Menninger (1936), dopo aver compreso l’efficacia curativa dei libri, in particolar modo dei romanzi, iniziò a prescriverli ai

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propri pazienti durante il percorso terapeutico. Menninger era fermamente convinto che i libri potessero aiutare alcune tipologie di pazienti ad affrontare le proprie frustrazioni e i propri disagi senza dover ricorrere al supporto farmacologico. «Ogni buon libro è un viaggio ed ogni viaggio è qualcosa che assomiglia ad una piccola cura per la nostra mente inquieta» (Racci, 2009, p. 81). In diverse parti del mondo è stata evidenziata l’efficacia dell’utilizzo della Libroterapia sia per il trattamento di alcune patologie specifiche sia per l’ausilio fornito in favore di chi soffre nell’affrontare alcuni momenti difficili della vita, come ad esempio l’ospedalizzazione. Nel 2005, in Germania, uno studio condotto su 1000 pazienti affetti da distimia ha dimostrato come la “cura del libro” possa consentire risultati simili a quelli di un intervento farmacologico. «Si valuta che i benefici tratti dall’esercizio del leggere, sono quasi equiparabili a quelli ottenuti da alcuni blandi antidepressivi» (Pappadia, 2009, p.44). Nel 2013 una ricerca qualitativa interdisciplinare, condotta presso l’Università svedese di Göteborg da Lena Mårtensson, del Dipartimento di Neuroscienze e Fisiologia/ Terapia occupazionale e da Cecilia Pettersson (2014) del Dipartimento di Letteratura, storia delle idee e religione, ha dimostrato i benefici della lettura di romanzi su otto donne affette da varie patologie (cancro, stanchezza, depressione e stress post-traumatico) che riducono la capacità lavorativa. Le donne intervistate, di età compresa tra i 25 ed i 67 anni, tutte residenti nella contea di Västra Götaland, hanno dichiarato che la lettura di romanzi, durante il periodo di congedo per malattia (da 4 a 36 mesi) ha consentito loro di riprendere in breve tempo le normali attività quotidiane (University of Gothenburg, 2013). Negli Stati Uniti ad alcuni soldati che avevano partecipato alla prima e alla seconda guerra mondiale, vennero prescritti dei libri da leggere affinché elaborassero e superassero i traumi causati da ciò che avevano visto e dalle menomazioni che avevano subito. Negli anni ‘20, infatti, Sara (Sadie) Marie Johnson Peterson Delaney, bibliotecaria all’interno dell’ospedale per veterani di Tuskegee-Alabama, cominciò ad usare i libri per lenire le sofferenze fisiche e psichiche dei reduci. «In this capacity, she not only provided library service to thousands of physically and mentally disabled African Americans, but also developed the art bibliotherapy to such an extent that her methods received worldwide recognition» (Gubert, 1993, p. 124). David Corner Kidd e Emanuele Castano (2013), della New School for social research di New York, in un articolo pubblicato sulla rivista Science, forniscono la prova sperimentale che la lettura di “capolavori letterari” migliora le prestazioni legate alla Theory of Mind. La teoria della mente (ToM) è la capacità umana di intuire gli stati mentali in se stessi e negli altri. È una competenza fondamentale perché consente di comprendere le relazioni sociali complesse che caratterizzano le società umane. Cinque sono stati gli esperimenti condotti. In primo luogo, sono state definite tre categorie di generi letterari: la narrativa “letteraria”, che comprende romanzi e racconti di elevato valore artistico e che racconta di fatti e personaggi non reali ma percepiti dal lettore come verosimili; la narrativa di genere, che comprende romanzi di appendice, fantascienza, o horror; infine, una terza categoria, la non fiction che comprende le opere che non rientrano nelle categorie precedenti. Per ogni categoria sono state poi selezionati i titoli da sottoporre, con attribuzione casuale, alla lettura di gruppi di volontari. Dopo la lettura dei testi, i volontari sono stati sottoposti ad alcune misurazioni standard come il Diagnostic Analysis of Nonverbal Accuracy 2 – Adult Faces (DANVA2-AF), in cui si chiede di guardare il viso di una persona per due secondi e di indicare l’emozione percepita ed il Reading the Mind in the Eyes test (RMET), in cui,

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dopo aver osservato una porzione di volto bisogna attribuire un’emozione a scelta tra le quattro a disposizione che spaziano tra lo “scettico” e il “contemplativo”. Dall’analisi statistica dei risultati è emerso che i soggetti assegnati alla lettura della narrativa letteraria avevano ottenuto punteggi migliori, in media, rispetto a chi aveva letto libri delle altre due categorie, che non differivano tra loro in modo significativo. Questo indicherebbe che il coinvolgimento intellettivo e il pensiero creativo, richiesti per affrontare le opere letterarie, influenzano notevolmente la teoria della mente. Rilevanti sono stati anche gli studi condotti da Gregory S. Berns, Kristina Blaine, Michael J. Prietula e Brandon E. Pye (2013), della Emory University di Atlanta, che hanno dimostrato come le trasformazioni biologiche indotte dalla lettura siano permanenti. La ricerca, pubblicata sulla rivista Brain Connectivity ha coinvolto 21 studenti universitari, ai quali è stato chiesto di leggere Pompei di Robert Harris, un romanzo thriller ambientato, nel 79 d.C., all’epoca della famosa eruzione del Vesuvio che colpì le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Una volta iniziata la lettura del romanzo, i volontari sono stati sottoposti a scansioni di fMRI (risonanza magnetica funzionale per immagini) e sono stati monitorati per diciannove giorni consecutivi. Successivamente, per ulteriori nove giorni, è stato chiesto loro di leggere alcune specifiche parti del romanzo. Infine, dopo cinque giorni dal termine della lettura del romanzo, gli studenti sono stati sottoposti nuovamente a risonanza magnetica funzionale per immagini. Dalla comparazione dei risultati ottenuti dai diversi esami, i neuroscienziati hanno notato un aumento significativo della connettività nelle aree del cervello denominate ‘solco centrale’ o ‘scissura di Rolando’ e ‘corteccia somatosensoriale’, coinvolte nella creazione delle rappresentazioni sensoriali delle sensazioni fisiche e nel sistema di movimento, e ‘corteccia temporale sinistra’ specializzata nella comprensione del linguaggio. Questo dimostra che il romanzo consente al lettore di immedesimarsi letteralmente “nel corpo” e nei panni dei personaggi di cui legge e tale meccanismo causa l’attivazione di determinate reti neuronali associate alle attività compiute. Anche in Italia da qualche anno si sta registrando una maggiore sensibilità nei confronti della Libroterapia. L’istituzione del Centro A.S.P.E.N (Associazione per la Salute e per la Psicologia nell’Emergenza e nella Normalità), sorto a Palermo nel 2002, e la Scuola italiana di Biblioterapia, istituita a Tivoli nel 2006, ne sono due validi esempi. La Scuola italiana di Biblioterapia è una scuola on-line ed è, come già accennato, il primo ed unico sito web in Italia dedicato alla Libroterapia. Essa realizza una serie di attività quali conferenze, workshop, corsi di formazione, convegni, tutti orientati alla promozione della lettura, all’analisi delle recensioni dei libri e all’approfondimento di alcune aree tematiche presenti nei libri analizzati. Inoltre, collabora con giornali specializzati, associazioni culturali, biblioteche, Enti pubblici e privati, librerie, case editrici, e grazie al loro aiuto promuove iniziative ed eventi che permettono ad anziani, adulti e giovani di familiarizzare con il mondo della Libroterapia e di conoscere gli effetti positivi che essa può avere sul soggetto che la pratica. Tuttavia è dal 1900 che la Libroterapia viene impiegata nelle scuole, nelle carceri, nelle biblioteche, nelle aziende, negli ospedali e nelle cliniche psichiatriche. L’attenzione alla Biblioterapia, all’interno delle carceri, ha trovato regolamentazione istituzionale con la L. 354/7511 ed il successivo Regolamento di esecuzione

1

L. 354/75 (così come modificata sino alla L. 170/92), art. 12 commi 2 e 3, art. 16 c. 2, art. 19 c.5, art. 82 c.3.

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emanato con D.P.R. 431/76. Grazie a queste disposizioni, il servizio di Biblioteca, e la relativa scelta dei libri e dei periodici, è affidato all’area educativa presente in ciascun Istituto penitenziario. A questa gestione partecipano anche i rappresentanti dei detenuti e degli internati (De Grossi, 2001). Barbara Rossi, psicologa e psicoterapeuta, in Biblioterapia. La lettura come benessere (2009) racconta l’esperienza di Piergiovanni Sempio, un economista industriale che ha deciso di condividere il proprio amore per la lettura, conducendo periodicamente, in forma di volontariato, corsi di lettura e animazione culturale per gruppi di detenuti all’interno del carcere Opera-Milano. Tali corsi «hanno come finalità la creazione, all’interno del tempo “vuoto” che ogni detenuto vive all’interno del carcere, di un autentico spazio di autonomia e di libertà: libertà di scegliere, criticare, discutere, fantasticare, immaginare, sognare, confrontarsi sui temi del libro e su altre questioni» (p.60). Quando la Libroterapia trova attuazione all’interno delle scuole può divenire un mezzo didattico utile alla promozione di un’educazione inclusiva della persona, all’aumento nei bambini della motivazione alla ricerca ed alla stimolazione della curiosità. Lo dimostra l’iniziativa realizzata dalla scuola d’infanzia A. Celli di Roma, all’interno della quale è stato creato un laboratorio di lettura permanente sfruttando un’aula inutilizzata della scuola. A questi fini, l’aula è stata attrezzata con materiale di cancelleria, per i momenti grafico/manipolativi, con scaffali ad altezza di bambino per l’esposizione dei libri, con un grande tappeto, cuscini, tavoli e sedie. Attraverso l’osservazione dei bambini durante il laboratorio gli insegnanti hanno potuto comprendere il rapporto che i piccoli riescono ad istaurare con i libri, per poi “confezionare”, attraverso il gioco, la produzione di nuovi libri (Apolloni & Pagogna, 2016). L’integrazione della Libroterapia, durante il successivo percorso scolastico, può essere d’aiuto sia per bambini che presentano disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), sia per coloro che sono inclini al bullismo. In questi casi, prima di utilizzare la Libroterapia, è importante seguire scrupolosamente alcuni passaggi: definizione del problema, determinazione delle sfide che si affronteranno, selezione dei libri da utilizzare, pianificazione delle attività di lettura guidata. In caso di bullismo, in particolare, è da tenere presente che lo scopo generale dell’intervento educativo è la riduzione delle prepotenze e la promozione di clima sereno all’interno della classe. Obiettivi conseguibili attraverso la lettura di libri specifici che permettono l’analisi delle principali difficoltà relazionali presenti nel gruppo degli alunni. «Ogni episodio di prepotenza è il segnale che qualcosa agli adulti è sfuggito, o perché non l’hanno visto o perché non ne hanno saputo coglierne il vero senso, configurandosi come errore di interpretazione» (Pizzileo, 2015, p. 25). Nel caso di disturbi specifici dell’apprendimento quali dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia, possono essere messi a punto dei percorsi libroterapici personalizzati. Tali percorsi consentono di intervenire sia sull’aspetto connesso al deficit, facilitando l’allievo nello svolgimento dei compiti, sia sull’aspetto psicologico, attenuando il senso di frustrazione dovuto alla mancanza di autostima che può scaturire da difficoltà incontrate nello svolgimento di alcune attività. Altro luogo adibito allo sviluppo della Libroterapia è la biblioteca. La biblioteca è un luogo di socialità e confronto, di crescita e confronto per tutte le persone (AA.VV, 2015). Per questo motivo, la Libroterapia trova ampio spazio d’azione anche al suo interno: oltre a laboratori di lettura possono essere svolte anche conferenze a tema.

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La Biblioteca comunale di Lamezia Terme ha prestato molta attenzione alla Libroterapia ed insieme al Comune ha aderito alla realizzazione della manifestazione annuale Il Maggio dei libri 2016 con il progetto Leggere fa Crescere. Il progetto prevedeva, all’interno della biblioteca comunale, la realizzazione di laboratori utili a far familiarizzare i bambini con la lettura e di laboratori di Libroterapia rivolti alle donne, che avevano come finalità principale la dimostrazione degli effetti benefici che si possono ricavare dalla lettura di un libro attraverso la promozione della lettura condivisa, l’interazione fra tipologie di pubblico diverse, l’utilizzo di luoghi visitati abitualmente. Negli ultimi anni le biblioteche per pazienti ospedalizzati sono diventate una vera e propria realtà. A tal proposito, la Clinica Psichiatrica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania adotta la Libroterapia per i propri pazienti nel trattamento della depressione; l’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia ha istituito una biblioteca per offrire a pazienti e familiari aiuto e informazioni scientifiche; i Centri di salute mentale presenti in Puglia in collaborazione con il Centro per il Libro, aderendo al progetto Librarsi, hanno proposto la Libroterapia come metodo terapeutico. Secondo Claudie Guérin (1998), uno dei criteri su cui basarsi per valutare il livello di accoglienza negli ospedali è la presenza o meno di una biblioteca ospedaliera che deve avere delle caratteristiche ben precise: attrezzatura mobile, sì da consentire agli operatori di portare i libri in camera a quei pazienti che non possono recarsi autonomamente in biblioteca, spazi ampi, confortevoli, luminosi ed accoglienti, ritmi regolari perché ogni paziente aspetta l’operatore per la lettura di un libro, in giorni e orari prefissati, rapporti di sinergia e collaborazione tra bibliotecari e personale medico, spazio a disposizione per poter scegliere un libro e leggerlo (Guérin, Poincaré, Revial, 1998) Più di recente, la Libroterapia, oltre a trovare applicazione in diversi luoghi, ha assunto anche fisionomie diverse; si è iniziato a parlare di libroterapia aziendale, erotica, culinaria e regalo (Silvera, 2008). La Libroterapia aziendale è nata in Italia nel 2000, per merito di Francesco Varanini (2007) che, per far tornare a riflettere sul senso del lavoro, sostituì i libri tradizionali di management, veri e propri manuali tecnici, con dei romanzi che riuscivano a suscitare emozioni nei lavoratori e li aiutavano ad essere propositivi nei confronti delle situazioni che quotidianamente dovevano affrontare. Hillmann (1972/1991) considera la lettura di libri erotici un valido contributo che consente di tener vivo il rapporto amoroso dal punto di vista sessuale permettendo alla persona di sviluppare e mantenere viva la propria immaginazione, senza la quale la vita sessuale rischierebbe di soccombere. La Libroterapia culinaria consiste nella lettura di libri che forniscono indicazioni sui cibi e sulle ricette da poter realizzare e stimolano il soggetto ad attivare la propria fantasia, mettersi in gioco, superare un periodo caratterizzato da stasi e apatia, sperimentare nuove pietanze o riproporre piatti ormai dimenticati. Ricevere un libro come regalo può avere effetti benefici dal punto di vista terapeutico; infatti attraverso la lettura di un libro si può attenuare la malinconia o l’ansia in cui versa un soggetto in un periodo difficile della propria vita. «Regalare libri fa bene al cuore, ben lo sapeva Gabriele D’Annunzio che li faceva rilegare a bella posta in marocchino di svariati colori, fedele al motto: “io ho ciò che ho donato”» (Silvera, 2008, p. 68). Ferdinando Galassi (2012), psichiatra e psicoterapeuta dell’ospedale Careggi di Firenze, sintomo dopo sintomo, titolo dopo titolo, ha passato in rassegna oltre 100 film e 100 libri, ed ha pubblicato un suo “personale ricettario” per «aiutarci a

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superare (riflettendo nella maniera giusta) i nostri piccoli/grandi problemi psicologi» (p. 8). In Pillole di carta e celluloide Galassi propone, mantenendo una certa coerenza scientifica¸ una serie di “titoli” con tanto di “foglietto illustrativo” con tanto di indicazioni, proprietà, meccanismo d’azione, controindicazioni, effetti collaterali, posologia e avvertenze. «I libri e i romanzi scelti sono stati organizzati come una scheda farmacologica perché l’idea […] era quella di pensarli come pillole stimolanti di benessere» (p. 8). Anche Ella Berthoud e Susan Elderkin (2013) hanno pubblicato un raffinato “ricettario” dal titolo Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno. Le scrittici inglesi sono fermamente convinte che «qualunque sia il vostro disturbo, la nostra ricetta è semplice: un romanzo (o più di uno) da leggere a intervalli regolari. Alcuni trattamenti porteranno ad una competa guarigione. Altri invece vi porteranno semplicemente conforto, dimostrandovi che non siete soli […]. A volte il rimedio è più efficace se assunto come audiolibro» (pp. 18-19). Oggi l’utilizzo sempre più frequente della tecnologia è presente anche nella pratica libroterapica: il libro cartaceo, che è lo strumento per eccellenza della Libroterapia, in alcuni casi viene sostituito da quello digitale (ebook). «In un mondo che corre vertiginosamente e che ha fatto della perifrasi “scaricare da internet” una sorta di nuovo comandamento mediatico, la lettura […] rappresenta un’ancora di salvezza alla dispersione di sé e al caos, un momento “sacro” di pausa e di riflessione, irrinunciabile» (Racci, p. 9).

2. BOOK e EBOOK La nascita dell’ebook viene fatta risalire al 1971, anno in cui vide la luce il progetto Gutenberg ad opera di Michael Hart, ma già il 7 dicembre 1949, in Spagna, una maestra spagnola Ángela Ruiz Robles aveva registrato il brevetto (nº 190698) del primo prototipo di libro elettronico. L’invenzione, chiamata Enciclopedia mecánica, ideata dalla Robles con l’intento di alleggerire lo zaino dei suoi allievi, rappresentava una vera e propria rivoluzione e presentava tutte le caratteristiche tipiche dell’ebook odierno: insegnamento in diverse lingue, predisposizione di contenuti sonori, facilità di lettura e apprendimento piacevole (Ministerio de Economía y Competitividad & Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, 2013). L’ebook è un testo elettronico ragionevolmente esteso, accessibile attraverso un dispositivo hardware e un’interfaccia software che consentono una lettura comoda e agevole oltre che una fruizione completa e soddisfacente. Per poter essere letto necessita di alcuni supporti particolari chiamati ebook reader e di alcuni formati specifici (Meschini & Roncaglia, 2006). Alcuni ebook sono “formati proprietari”, cioè legati a specifici dispositivi e piattaforme software, altri (tanti) sono “aperti” nel senso che non sono di proprietà di una specifica azienda o produttore e per questo sono compatibili con vari device e software. Esiste una grande varietà di formati ma i più utilizzati sono TXT, PDF, PUB, AZW. La diffusione del libro elettronico ha permesso di poter studiare ed analizzare le analogie e le differenze esistenti tra libro cartaceo ed ebook. Le caratteristiche del libro elettronico possono essere considerate complementari a quelle dei testi tradizionali. I limiti di un mezzo, spesso, rappresentano i pregi dell’altro: i libri cartacei possono essere portati in numero limitato, mentre un tablet di piccole dimensioni può contenere un’intera biblioteca. Di contro, uno strumento per leggere deve essere periodicamente ricaricato, limite che evidentemente non esiste con riferimento al testo in formato cartaceo.

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Tuttavia il libro elettronico si presta in modo particolare alle esigenze dell’educazione degli adulti o a quelle legate ai disturbi della lettura, in quanto consente «interattività, personalizzazione, flessibilità e multimedialità» (Ghislandi, 1994, p. 132). Per quanto riguarda le affinità tra le due tipologie di libri, è importante evidenziare che entrambi hanno una dimensione tattile: nel primo caso si sfoglia la pagina cartacea, nel secondo si interagisce con lo schermo; inoltre entrambi sono condivisibili: i libri cartacei attraverso il prestito o la citazione di stralci del testo, gli ebook attraverso la condivisione diretta sui social media. Le differenze, invece, sono da ravvisarsi sia nel contenuto sia nell’interpretazione: in un libro cartaceo, il contenuto di una data edizione è immutabile e una volta pubblicato non può essere modificato; di contro, il contenuto di un testo in ebook è flessibile, può essere modificato o aggiornato dall’autore in qualsiasi momento anche dopo la pubblicazione. A mettere in guardia, però, dagli svantaggi legati alla flessibilità degli ebook, ci ha pensato Nicholas Carr (2011), in Books That Are Never Done Being Written. In questo articolo, pubblicato online dal Wall Street Journal, lo scrittore descrive un’esperienza personale di pubblicazione di un ebook con il servizio Amazon Kindle Direct Publishing che ha il limite di consentire a chiunque di pubblicare e vendere sul sito i propri ebook, senza intermediazioni. Nel corpo dell’articolo, Carr dopo aver affermato i vantaggi legati alla velocità degli aggiornamenti offerti dal servizio «Then I got the urge to tweak a couple of sentences in one of the essays. I made the edits on my computer and sent the revised file back to Amazon. The company quickly swapped out the old version for the new one. I felt a little guilty about changing a book after it had been published, knowing that different readers would see different versions of what appeared to be the same edition. But I also knew that the readers would be oblivious to the alterations», pone l’accento sulle criticità relative all’interpretazione del contenuto di un libro «An e-book, I realized, is far different from an old-fashioned printed one. The words in the latter stay put. In the former, the words can keep changing, at the whim of the aut or anyone else with access to the source file. The endless malleability of digital writing promises to overturn a whole lot of our assumptions about publishing». Considerato lo sviluppo sempre più consistente della tecnologia, anche nel mondo dei libri, e l’importanza che la lettura riveste nel percorso esistenziale di ciascuna persona nelle diverse fasi della vita, è fondamentale che la ricerca scientifica non si limiti soltanto ad analizzare la relazione persona-lettura ma rilevi anche gli effetti posti in essere a livello cerebrale dall’utilizzo del libro nei due diversi formati. Se da un lato la tecnologia riscuote sempre più successo portando vantaggi come la velocità di trovare informazioni e la possibilità di poter accedere a un numero illimitato di informazioni in tempi brevi, dal punto di vista cerebrale sembrerebbe tuttavia che il cervello umano “prediliga” la lettura cartacea. Sul punto, Nelson e O’Neil (2001) hanno dimostrato che è migliore la comprensione o il ricordo (Mayes, Sims, Koonce, 2001) di ciò che si legge su carta perché nella sua tradizionale semplicità questo tipo di format offre meno distrazioni. E. Wästlund, T. Norlander e T. Archer (2008) hanno confermato che la lettura su carta sia meno stancante fisicamente; infatti la carta riflette la luce naturale dell’ambiente circostante a differenza di computer e tablet che emettono una luce che può affaticare gli occhi. Secondo il professore Alessandro Antonietti (2014), la scrittura digitale condiziona l’aspetto periferico della lettura, cioè la capacità della persona di decodificare segni grafici. Il testo digitale, modifica, di fatto, alcuni col-

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legamenti nei sistemi di percezione. La lettura sul monitor di un computer risulta quindi più faticosa con il risultato che il lettore tende a dimenticare velocemente ciò che ha letto. L’ebook supera questo limite. Tali affermazioni sono state dimostrate da un’indagine svolta per l’Osservatorio permanente sui contenuti digitali presentata a Milano nel 2009. Lo studio ha evidenziato che il 14% di chi possiede un computer appare propenso a utilizzarlo per leggere un libro per motivi di studio/lavoro. La percentuale scende al 6% se si parla di contenuti di svago/intrattenimento. Più limitato il gradimento per l’e-book sul cellulare (4% per studio e lavoro, 2% per libri di svago). Nell’indagine è emerso anche che un italiano su tre potrebbe fare tranquillamente a meno di leggere libri (è il 34%, stabile rispetto al 2008). I giovani che farebbero a meno praticamente sia dei libri che di tutti i contenuti culturali sono anche di più: il 37% (erano il 32% nel 2008). Un sondaggio di 755 utenti Internet tra i 28 ottobre e 1 novembre 2010 condotto dal Pew Research Center. Internet, Science & Tech (2010) congiuntamente con l’American Life Project Survey, dal titolo 65% of internet users have paid for online content ha rivelato che anche se le vendite di E-reader come il Nook e il Kindle crescono rapidamente, i giovani frequentano ancora le librerie più di quanto si possa pensare. Pertanto, i libri stampati restano ancora molto apprezzati. I dati delle ricerche non permettono di poter affermare con assoluta certezza la superiorità del libro cartaceo sull’ ebook o viceversa; esistono differenze strutturali e di forma fra le due tipologie di libri ma alla fine il principio è come ha affermato Pennac (1992/2005) «il verbo leggere non sopporta l’imperativo» (p. 1). Il futuro del libro è imprevedibile, è difficile oggi prevedere il trend che si svilupperà fra libro digitale e cartaceo (Simon & Zatta, 2011). L’editoria digitale affiancherà quella tradizionale senza sovrapporsi? Una strategia di business molto interessante, che permette di superare il binomio libro o ebook, è l’ e-book bundling, cioè la vendita parallela di uno stesso titolo in cartaceo e digitale, dove l’acquisto di una copia consente anche di scaricare quella digitale (Cimicata, 2013). Le innovazioni introdotte dall’ebook hanno avuto significative ripercussioni nell’universo librario. Di conseguenza, ciò ha aperto e stimolato una fase di riflessione ed attenta valutazione non soltanto in seno alle case editrici, direttamente coinvolte in questo processo di evoluzione tecnologica, ma anche nei professionisti che, a vario titolo, si avvalgono del libro come strumento compensativo e/o terapeutico. Uno psicoterapeuta impegnato a praticare Libroterapia dovrà necessariamente familiarizzare anche con la realtà dell’ebook poiché può trovarsi nella condizione di dover prescrivere ad un paziente non un book ma un ebook. Anche tutti quei professionisti che operano in ambito pedagogico, in particolar modo nel campo dei disturbi specifici dell’apprendimento e della disabilità sensoriale, potranno avvalersi dell’utilizzo dell’ebook per i loro trattamenti. Uno studio pubblicato su PLOS one da un team di ricercatori, guidati dal Dottor Matthew Schneps (2013) del Science Education Center dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (Usa), e condotto su 103 studenti dislessici delle scuole secondarie di secondo grado, ha dimostrato che «Computers are beginning to transform how people interact with the written word» (e75634). Gli studiosi hanno comparato la comprensione dei testi e la velocità nella lettura su supporto cartaceo e su e-reader, lettori digitali dedicati per libri e riviste elettroniche. Gli ‘e-reader’ si sono dimostrati uno strumento compensativo efficace per le persone con dislessia, atteso che l’uso di caratteri chiari e ben spaziati, nonché la disposizione di pochi termini per ogni riga di testo, consentono di aumentare le capacità di lettura.

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3. La Libroterapia contro il malessere emotivo della persona con dislessia

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L’ICD-10 (OMS, 1992) e il DSM 5 (APA, 2013) classificano la dislessia come un Disturbo Specifico Dell’Apprendimento (DSA) che riguarda il processo della lettura. Tale disturbo, così come gli altri DSA, è stato riconosciuto a livello normativo, per la prima volta con la legge nazionale n.170 del 2010 in cui viene sancita la necessità, a sostegno dei disturbi, di offrire supporti didattici adeguati. «L’acronimo DSA, che corrisponde all’inglese Learning Disabilities, comprende un gruppo eterogeneo di disturbi relativi ad apprendimenti scolastici di base compromessi in maniera persistente, in assenza di deficit intellettivi, neurologici, sensoriali o affettivi ed in presenza di adeguate condizioni socio-culturali ed ambientali» (Curatola & Ciambrone, 2013, p. 18). Le linee guida per la diagnosi prevedono una discrepanza tra le prestazioni attese in base all’età del bambino e quelle che, invece, vengono ottenute a livello scolastico. Questa discrepanza può ovviamente ostacolare il percorso scolastico del bambino, soprattutto se non diagnosticata e seguita in maniera corretta: conseguenze comuni sono la scarsa motivazione allo studio, difficoltà di adattamento, ma soprattutto un forte senso di frustrazione (Capozzi, Casini, Romani, De Gennaro, et al., 2008). In questo lavoro l’attenzione verrà focalizzata sulle problematiche emotive che vivono i soggetti dislessici con particolare riferimento all’infanzia e all’adolescenza. Samuel Torrey Orton, neuropsichiatra americano nato nel 1879, «who was a pioneer in reading failure and related language processing difficulties; he also was the first to identify DYSLEXIA» (Turkington & Harris, 2006, p. 174), verificando come «secondo i suoi studi, la maggioranza dei bambini scolari destinati a diventare dislessici è felice e ben adattata. […] I loro problemi emotivi cominciano a manifestarsi quando l’insegnamento formale della lingua scritta non si dimostra confacente al loro stile di apprendimento. Negli anni, la frustrazione cresce allorquando si vedono sorpassati dai compagni nelle capacità di leggere (Ryan, 2006, p 29). Anche Michael Ryan (2006), studiò i meccanismi che stanno alla base del malessere psico – emotivo del soggetto dislessico e in un suo lavoro, intitolato Problemi sociali ed emotivi collegati alla dislessia, ne fece una descrizione dettagliata. Secondo Ryan, ansia, frustrazione, rabbia, immagine di sé negativa, depressione, difficoltà nelle relazioni con i familiari, sono i principali problemi che spesso si manifestano nei soggetti dislessici. La frustrazione nasce dalla sensazione di incapacità che provano nello svolgere dei compiti. Sentirsi incapaci provoca un profondo sentimento di rabbia che spesso tendono a manifestare soprattutto nei confronti dei genitori e in particolar modo nei confronti della figura materna. Alcune ricerche, come quelle di W. Tabassam e J. Grainger (2002), hanno evidenziato che i bambini con disturbo specifico dell’apprendimento hanno una cattiva percezione di sé e non si sentono adeguatamente confortati e supportati a livello emotivo (Hall, Spruill, Webster, 2002). Pertanto, presentano un basso livello di autostima accompagnato dalla costante convinzione o paura di essere considerati “Stupidi” o “Pigri” (Palombo, 2001). Durante il periodo dell’adolescenza, questi sentimenti negativi rischiano di sfociare nell’abbandono scolastico e in problematiche di carattere sociale (Gagliano, Germanò, Calarese, et al., 2007), con l’emergere di «stati di ansia, di frustrazione, senso di inferiorità, rabbia, sentimenti depressivi, scarso senso di autoefficacia e bassa autostima» (Addesso & Grandone, 2016, p. 69).

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Il concetto di sé negativo, se non adeguatamente gestito, permane anche in età adulta (Mugnaini, 2015). Nell’ambito della dislessia, l’ebook è considerato solo come strumento compensativo, valido facilitatore di lettura. Il libro/ebook con le sue potenzialità terapeutiche può anche aiutare le persone con dislessia ad affrontare tutte le problematiche emotive che molto spesso vivono: senso di inferiorità, frustrazione, solitudine, sconforto, rabbia e ansia. Le persone con DSA possono avvalersi del libro per affrontare alcuni dei problemi emotivi finora descritti. Il libro, infatti, aiuta a lenire «il nostro infelice senso di inferiorità, oppure ci rincuora per le […] vicende che ci appaiono tristi, ma a ben vedere e a ben leggere storie di altrui sofferenze, non lo sono affatto» (Silvera, 2007, p. 46). L’utilizzo del libro per finalità terapeutiche si sta diffondendo sempre con maggior rapidità. A conferma di tale assunto, basta citare il progetto Well Books on Prescription (BOP), che ha preso avvio nel 2013 in Inghilterra, scaturito da una collaborazione tra la Reading agency e la Society of chief librarians. Il progetto mette a disposizione, in circa 130 biblioteche pubbliche, un catalogo di 30 libri di “auto-aiuto” raccomandati da specialisti nel settore delle malattie mentali. In effetti, in Inghilterra, la prescrizione di libri contro depressione e ansia costituisce parte integrante di una terapia cognitivo-comportamentale (Williams, Wilson, Morrison, McMahon et al., 2013). Come la psicologia, anche la pedagogia guarda sempre con maggiore attenzione e interesse alle problematiche emotive legate alla vita delle persone, in particolar modo per le fasce più deboli del sistema sociale. Così si tenta di attuare interventi mirati tramite i quali consentire alla persona di rielaborare la propria percezione di sé, anche al fine di contenere e successivamente eliminare la frustrazione, la rabbia, l’ansia, la bassa autostima. La pedagogia narrativa e autobiografica può essere uno strumento efficace per le persone con DSA: attraverso il raccontarsi si può compiere un lavoro introspettivo utile per la risoluzione del malessere emotivo causato dalle difficoltà di apprendimento. Narrare è il modo attraverso il quale l’essere umano può far conoscere un accaduto della propria vita e può acquisire consapevolezza di se stesso, del proprio valore, delle proprie potenzialità. L’autobiografia è un processo narrativo, un cammino di formazione che la persona compie: nel narrarsi si fa carico di se stesso, si «prende cura della propria costruzione/maturazione e, insieme, pone a se stesso il problema della propria forma, della propria struttura, identità, specificità e la pone come struttura in itinere e aperta nel proprio definirsi e ridefinirsi» (Cambi, 2002, p. 85). Sono molti i casi di persone con dislessia che hanno trovato nella narrazione autobiografica uno strumento educativo, formativo e di crescita personale, un canale per ritrovare se stessi ma anche per aiutare gli altri a non sentirsi soli. Tra questi, merita una citazione Giacomo Cutrera (2008), il quale nel Demone Bianco. Una storia di dislessia scrive che il libro è dedicato a quelli che come lui «avrebbero perso la propria vita sopra un libro senza riuscire a comprenderlo e senza capire che si può chiedere a qualcun altro (o qualcos’altro nel caso del sintetizzatore) di leggertelo, ma soprattutto tutti costoro sarebbero stati trattati come incapaci e fannulloni e presi dalla disperazione avrebbero rinunciato ad imparare. Io non volevo che la loro storia fosse la stessa che ho vissuto io e giurai che, a costo di dovermi recare personalmente in ogni scuola d’ Italia, avrei fatto in modo che gli insegnanti capissero il problema e che mi sarei impegnato personalmente per fare in modo che anche ai dislessici sia data la possibilità di apprendere. Questa è la forza che

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guida la mia mano e spero che questa storia possa trasmetterla a voi» (pp.15-16) o Richard Branson (2009) che ne Il Business Diverte. L’autobiografia dichiara «la dislessia fu un problema che mi accompagnò per tutta la vita scolastica. Oggi, per fortuna, grazie agli esercizi di concentrazione, le difficoltà più gravi le ho superate […] anziché indugiare sui dettagli, mi accorgo di cogliere e sviluppare concetti attraversa l’immaginazione» (p. 27) o ancora Philip Schultz, poeta e scrittore di fama internazionale che nel 2008, con Failure, ha addirittura vinto il premio Pulitzer. Schultz ne La mia dislessia. Ricordi di un premio Pulitzer che non sapeva né leggere né scrivere riporta «La vita di un artista è per molti versi simile a quella di un dislessico. È nella natura di entrambi rendere il creatore una vittima, facendone un escluso e un disadattato. Se non fosse stato per la mia lotta con la dislessia, dubito che sarei mai diventato scrittore o che avrei mai saputo insegnare agli altri a scrivere» (scheda del libro/retrocopertina). Queste testimonianze dimostrano che la consapevolezza di sé si può sviluppare anche, come diceva Morin (2015), mediante l’aiuto degli educati. «[…] storie di ragazzi con dislessia e le loro conquiste possono aiutare a capire meglio e a intraprendere strade meno impervie» (Grasselli, Nera, Lucarelli, Consoni, 2015, p. 60). A questo punto, una volta individuati, sebbene solo in minima parte, i testi che raccontano “chi” è riuscito, nonostante le difficoltà, ad affrontare le proprie sfide, non rimane che individuare “come” sia possibile che questi libri vengano letti mediante una “lettura silenziosa” (Wolf, 2007). A riguardo, Maurizio Falghera (2013) suggerisce di utilizzare, durante la lettura, oltre agli occhi, anche le orecchie. Utilizzando contemporaneamente due diversi piani percettivi, il metodo della lettura + ascolto diventa uno strumento straordinario che consente di stimolare e accelerare i flussi cerebrali relativi all’informazione e di migliorare le funzioni di entrambi gli emisferi (Lionetti & Cole, 2004). Il Libro parlato, in un siffatto contesto, rappresenta certamente una valida alternativa.

4. Libro Parlato: valido ausilio per i DSA Il progetto Libro parlato, promosso nel 1975 dal Lions Club Verbania con il finanziamento base della “Fondazione Robert Hollman” di Amsterdam, si propone di rendere possibile la lettura a tutte quelle persone che, per vari motivi, possono trovarsi in situazioni di difficoltà. Il “Lions Club di Verbania”, attraverso il programma Libro Parlato, ha realizzato un’audio biblioteca dedicata a ciechi, ipovedenti, ma anche ad anziani con difficoltà di lettura, disabili fisici e psichici, persone ospedalizzate o con dislessia (Forzoni, & Lions Club Valdichiana, 2016). La creazione di un libro parlato chiamato anche audiobook richiede la messa in campo di molte competenze tecniche, pedagogiche, psicologiche. La voce utilizzata per la lettura dei libri è spesso una voce umana, il narratore viene scelto sulla base di alcune precise peculiarità: timbro della voce, chiarezza nella lettura, rispetto della punteggiatura, atteggiamento non solenne. L’importanza dell’utilizzo del libro parlato, anche da parte delle persone con dislessia, è stata altresì comprovata dai risultati ottenuti in una ricerca italiana intitolata Il libro parlato per soggetti dislessici svolta da Anna Dilani, Maria Luisa Lorusso e Massimo Molterni (2008) del Dipartimento dell’Istituto “E Medea” di Bosisio Parini (Lecco). Alla ricerca, hanno preso parte quaranta ragazzi, con una diagnosi di dislessia

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evolutiva, di età compresa tra gli 11 e i 16 anni. Tutti i partecipanti, che avevano già terminato qualsiasi forma di trattamento riabilitativo, dichiaravano di non aver mai utilizzato in precedenza gli audiolibri. Sono stati costituiti due gruppi, composti da venti ragazzi ciascuno: un primo gruppo sperimentale, che ha utilizzato gli audiolibri, testi scolastici di storia, geografia, scienze e letteratura, oltre che un libro di narrativa, e un secondo gruppo di controllo, che ha invece proseguito il percorso scolastico con gli strumenti di studio normalmente adottati. Dopo cinque mesi di sperimentazione, si è potuto verificare che i ragazzi i quali avevano utilizzato gli audiolibri, hanno riportato, rispetto al gruppo di controllo, un significativo aumento di livello degli interessi e delle motivazioni per lo studio, e una maggiore partecipazione alla vita scolastica. In particolare, l’utilizzo dei “Libri parlati” ha inciso profondamente sulla correttezza di lettura di un brano, sulla riduzione del disagio scolastico e dei problemi emotivo-comportamentali nei rapporti interpersonali con i compagni e i docenti.

Conclusioni Alla luce dei risultati positivi ottenuti da queste ricerche, ancora una volta si può affermare che il libro, cartaceo o digitale che sia, è una risorsa per l’educazione e l’istruzione, forse anche una medicina contro molti dei malesseri esistenziali oggi presenti nella società del post-moderno legata allo sviluppo tecnologico avanzato. Tra gli altri, l’ebook, quando diventa “parlante”, risulta capace di andare oltre la pura valenza compensativa e di diventare una valida terapia per tutti coloro che, per vari motivi, non possono rapportarsi con la lettura di un testo cartaceo.

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Pilates e pallavolo: quale efficacia sulla stabilità posturale dei fondamentali individuali? Valentina Cerrina • SUISM-Centro Servizi, Università degli Studi di Torino – valentina.cerrina@gmail.com Isabella Scursatone • SUISM-Centro Servizi, Università degli Studi di Torino – isabella.scursatone@unito.it Chiara Franco • SUISM-Centro Servizi, Università degli Studi di Torino – chiarafrancohenrie93@gmail.com Claudio Scotton • SUISM-Centro Servizi, Università degli Studi di Torino – claudio.scotton@unito.it Luisa Pizzigalli • SUISM-Centro Servizi, Università degli Studi di Torino – luisa.pizzigalli@unito.it

Pilates and volleyball: which efficacy on postural stability of individual fundamentals? The aim of this pilot study was to investigate the efficacy of a protocol of Pilates Matwork in terms of improvement of static postural balance in a group of 10 young female volleyball players of amateur level. A stabilometric platform was used to carry out the postural test on bipodalic and monopodalic stance. Afterword it was required to maintain the position of dig and set with eyes open for 60 s. The Pilates protocol lasted 3 month twice a week consisted of 20 minutes each session. Comparing the measurements realized before and after the protocol, only during the condition monopodalic with eyes close on the left leg for the variable area of the CoP an improvement in the postural balance was achieved (p<0,05). In conclusion, the measurement performed confirm the initial hypothesis of this study, namely that the Pilates can resulted as an effective tool to improve the postural stability in volleyball player.

Parole chiave: Pilates; core stability; pallavoliste; livello amatoriale; pedana stabilometrica; equilibrio posturale

Keywords: Pilates; core stability; volleyball player; amateur level; stabilometric platform.; postural balance

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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L’obiettivo di questo studio pilota è valutare l’efficacia di un protocollo di Pilates Matwork in termini di miglioramento dell’equilibrio posturale statico in un gruppo di 10 giovani pallavoliste di livello amatoriale. Per svolgere i test posturali nelle diverse condizioni sensoriali in posizione bipodalica, monopodalica (MONO) e in posizione di bagher e palleggio è stata utilizzata una pedana stabilometrica. Il protocollo di Pilates è stato svolto nell’arco di 3 mesi, con frequenza bisettimanale, per la durata di 20 minuti a seduta. Confrontando le misurazioni effettuate prima e dopo il protocollo è stato ottenuto un risultato statisticamente significativo (p<0,05) solamente nella condizione MONO su piede sinistro ad occhi chiusi nella variabile area del CoP. In conclusione i dati raccolti confermano l’ipotesi iniziale di questo studio, ovvero che il Pilates può risultare uno strumento efficace per migliorare la stabilità posturale in atleti di pallavolo.


Pilates e pallavolo: quale efficacia sulla stabilità posturale dei fondamentali individuali?

Introduzione

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L’ equilibrio posturale è molto importante nella pallavolo per l’esecuzione di gesti tecnici in movimento come il palleggio di alzata in salto, il muro, la rincorsa e tutti gli altri fondamentali in volo. Per ottenere una maggiore precisione nell’esecuzione dei fondamentali individuali quali palleggio, bagher, colpo d’attacco e servizio con piedi in appoggio a terra, bisogna tenere in considerazione anche l’equilibrio statico. È noto infatti come il contatto con il pallone in condizioni di instabilità conduca ad azioni imprecise (Agostini et al., 2013). La pallavolo è impegnativa dal punto di vista coordinativo, in quanto i giocatori devono riuscire a passare la palla in condizioni di alta dinamicità e spesso durante posture instabili. Di particolare importanza è la capacità di mantenere la “postura d’attesa” nella pallavolo (gambe piegate e divaricate con busto inclinato in avanti) che permette il movimento del corpo in tutte le direzioni. Durante le fasi delle azioni della pallavolo in cui il giocatore rimane a contatto con il suolo, mantenere la stabilità posturale e avere il controllo sulle oscillazioni e sbilanciamenti del corpo è di cruciale importanza. Per reagire in ogni situazione di gioco ai pallavolisti è richiesto un adattamento continuo della postura (Kuczyński, Rektor, Borzucka, 2009). Diversi studi sono stati fatti nell’ambito della pallavolo per valutare le performance posturali. L’utilizzo della pedana stabilometrica è un buono strumento per raccogliere informazioni sulle strategie posturali di ciascuno sport. Nel caso dei pallavolisti nello studio di Kuczyński et al. (2009) è stato rilevato un alto livello di stabilità posturale confrontando una squadra di pallavolisti polacchi di alto livello e un gruppo di studenti non allenati. Il motivo può essere dato dal fatto che grazie alla palla in continuo movimento vi è un “allenamento oculare” che permette un maggiore accomodamento oculare, una maggiore acuità visiva dinamica e una migliore visione binoculare. Infatti durante il gioco sono richieste molte abilità visive (visione periferica, tempo di reazione visiva, coordinazione visuo-motoria ecc.) per analizzare il gioco e scegliere il gesto motorio più efficace. Queste abilità hanno un importante influenza nella performance atletica, come la capacità di mirare nel modo corretto, gestire il tempo d’attacco, avere un buon controllo dei gesti tecnici del servizio e della ricezione e raccogliere informazioni sulla palla, i compagni e gli avversari (Kuczyński, Rektor, Borzucka, 2009). Nello studio di Agostini et al. (2013) sono stati ottenuti gli stessi risultati confrontando un gruppo di atleti di pallavolo con un gruppo di controllo non allenato. Dallo studio è emerso che vi sono differenze significative solamente nelle prove ad occhi aperti, risultati che confermano l’ipotesi di Kuczyński (Agostini et al., 2013). Altri studi hanno approfondito la relazione tra la pallavolo e il Pilates, proposto come metodo per migliorare la forza e i salti (El-Sayed, Mohammed, Abdullah, 2010) e la flessibilità e il servizio della pallavolo (Manshouri, Rahnama, Khorzoghi,

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2014). Nel primo studio il Pilates è stato integrato all’interno di un protocollo di esercizi diversificati, mentre nel secondo è stato praticato solo il Pilates per 40 minuti 3 volte a settimana. In entrambi i casi dopo 6 settimane di protocollo sono stati rilevati dei miglioramenti negli obiettivi prefissati. Con questa sperimentazione è possibile dunque approfondire lo studio del Pilates nella pallavolo, indagando su una capacità non ancora trattata in questa disciplina: l’equilibrio posturale grazie al rafforzamento del core. Quest’ultimo può essere descritto come una scatola, dove il tetto è rappresentato dal diaframma, la base dal pavimento pelvico, il fronte dagli addominali e il retro dai paraspinali e dai glutei (Saurabh, 2012; Akuthota, Nadler, 2004). Diversi autori hanno dimostrato che gli esercizi di stabilizzazione del tronco contribuiscano al miglioramento dell’equilibrio e della performance atletica. In prospettiva di una performance sportiva, un forte core fornisce le fondamenta per la produzione di una maggiore forza dagli arti superiori e inferiori (Imai, Kaneoka, Okubo & Shiraki, 2014; Willardson, 2007). Tuttavia ci sono altri risultati che sostengono il contrario. In alcuni studi si afferma che l’allenamento del core apporti dei benefici in termini di forza muscolare, di corsa veloce e di resistenza, di forza di rotazione del busto e altri gesti tecnici come il tiro nel calcio e la velocità della palla nel baseball e nel golf (Reed et al., 2012; Prieske et al., 2016; Sharrock et al., 2011). In altri studi invece si afferma che non ci siano cambiamenti nelle prove di salto e agilità e nell’efficacia dei gesti tecnici ad esempio del ciclismo e del canottaggio (Prieske et al., 2016; Sharrock et al., 2011). Dunque l’obiettivo di questo studio è verificare l’efficacia di un protocollo di Pilates Matwork in termini di miglioramento dell’equilibrio posturale statico in un gruppo di giovani pallavoliste.

1. Materiali e metodi In questa sperimentazione sono state coinvolte 10 pallavoliste di livello amatoriale provenienti dalla società di Torino “San Giuseppe” con un’età di 15,50 anni (±0,71), altezza media di 1,69 m (±0,06) e peso medio di 55,5 kg (±3,3). Tutte e 10 le atlete hanno come piede dominante il piede destro e svolgono un totale di 4-6 ore di allenamento settimanali. Gli strumenti e i materiali necessari alla sperimentazione sono stati una pedana stabilometrica della linea Tecnobody prokin PK 214 P (Bergamo, Italia) e l’organizzazione di un protocollo specifico di Pilates Matwork. Ai genitori di ciascun atleta è stato richiesto il consenso informato per prendere parte allo studio. Al termine del protocollo è stato inoltre somministrato un questionario non standardizzato per valutare i miglioramenti percepiti dalle atlete grazie al Pilates sulla consapevolezza e percezione del proprio corpo, sul controllo della postura, sull’esecuzione del gesto tecnico (bagher e palleggio) in termini di controllo e precisione e sulla prestazione di squadra in termini di team building (conoscenza dei compagni di squadra). 1.1 Protocollo di Pilates Il protocollo è stato proposto per 3 mesi, prevedeva 2 lezioni a settimana della durata di 20 minuti ciascuna e si è svolto in una piccola sala attrezzata e silenziosa annessa alla struttura del centro sportivo, sede di allenamento delle atlete.

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Al fine di realizzare un lavoro più ampio e completo sono stati presi in considerazione 2 differenti obiettivi che hanno quindi guidato la scelta degli esercizi: il rafforzamento del Core e l’elasticità dei flessori dell’anca. Ciascuna lezione è stata suddivisa in una breve fase di riscaldamento seguita da qualche esercizio di Pilates Matwork facente parte del protocollo prefissato. Il riscaldamento prevedeva l’applicazione dei principi posturali del Pilates (respirazione, posizione cervicale e del bacino, stabilizzazione e mobilizzazione scapolare e toracica), mentre gli esercizi successivi avevano come finalità il rafforzamento e l’allungamento attivo delle principali catene muscolari con esercizi in flessione avanti, flessione laterale ed estensione della colonna propri del Pilates Matwork (ad es. Hundred, fig.1, Side bend prep, fig.2, Prone exercise 1, fig. 3).

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Figura 1. Hundred, lavoro di flessione avanti della colonna

Figura 2. Side bend prep, lavoro di flessione laterale della colonna

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Figura 3. Prone exercise 1, lavoro di estensione della colonna.

Gli esercizi del protocollo (Fig. 4) sono stati distribuiti nelle diverse lezioni rispettando la loro crescente difficoltà (indicata dal numero di asterischi) e avendo cura di inserire a ogni seduta sia movimenti per il rafforzamento del core sia l’aumento dell’elasticità dei flessori dell’anca. La prima settimana è stata dedicata alla spiegazione e alla familiarizzazione con i principi posturali del Pilates, base necessaria e fondamentale per lo svolgimento corretto degli esercizi. 1.2 Protocollo dei test stabilometrici I test stabilometrici sono stati svolti in un ambiente il più possibile silenzioso al fine di garantire la massima prestazione. A ogni atleta sono state richieste 8 prove sulla pedana stabilometrica statica in diverse condizioni sensoriali: 1. POSIZIONE BIPODALICA A OCCHI APERTI: posizionamento del soggetto sulla pedana a piedi uniti con i talloni a contatto con il margine mediale dei piedi a contatto e lungo l’asse A1/A5 della pedana. Il segno fatto precedentemente sul margine laterale dei piedi deve coincidere con gli assi A3/A7. Durata 60s. 2. POSIZIONE BIPODALICA A OCCHI CHIUSI: Stesse condizioni del precedente ma con occhi chiusi. Durata 60s. 3. POSIZIONE MONOPODALICA A OCCHI APERTI: posizionamento del soggetto sulla pedana con il 2° dito e il segno sul tallone sull’asse A1/A5 e i segni sul margine mediale e laterale sull’asse A3/A7. Una prova su piede destro e una su piede sinistro. Durata 30s. 4. POSIZIONE MONOPODALICA A OCCHI CHIUSI: Stesse condizioni del precedente ma con occhi chiusi. Durata 30s. 5. POSIZIONE DI BAGHER: posizionamento del soggetto a piedi divaricati e paralleli con i segni sul margine mediale e laterale sull’asse A3/A7, con le gambe piegate e le braccia poste avanti unite in posizione di bagher. Durata 60s. 6. POSIZIONE DI PALLEGGIO: posizionamento del soggetto a piedi divaricati e paralleli con i segni sul margine mediale e laterale sull’asse A3/A7, con le gambe piegate e le braccia poste avanti-alto in posizione di palleggio. Durata 60s.

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Le prove sono state eseguite a piedi nudi con l’abbigliamento da allenamento. Dopo aver spiegato le prove da effettuare è stato lasciato alle atlete qualche minuto di tempo per prendere confidenza con la pedana e le condizioni richieste. È stato richiesto al soggetto di rimanere il più fermo possibile durante le prove mantenendo lo sguardo fisso su un segno all’altezza degli occhi applicato sul muro a 2 metri di distanza (Vuillerme, Nafati, 2007). Il compito dell’operatore è stato quello di controllare che i piedi fossero stati posizionati correttamente e offrire un sostegno nel caso in cui il soggetto si fosse trovato in condizioni di instabilità e rischiasse di cadere. Per la posizione di bagher e palleggio non è stata data un’indicazione precisa e standardizzata sulla postura da mantenere, ma è stato detto di prendere la posizione più vicina a quella assunta in situazione di gioco. La prova è stata ripetuta nel caso in cui il soggetto abbia toccato più volte terra o cercato più volte il sostegno dell’operatore.

220

Figura 4. Protocollo di Pilates Matwork, con gli esercizi selezionati per il rafforzamento del core e per l’elasticità dei flessori dell’anca

1.3 Analisi statistica In questo studio sono stati utilizzati il test di Wilcoxon, test non parametrico per campioni appaiati. La statistica non parametrica è dovuta al numero del campione inferiore al 30, mentre si è utilizzato un test per campioni appaiati per confrontare il campione con se stesso, ma in test diversi (esempio: BIPO OA vs BIPO OC, confronto BIPO OA prima e dopo il protocollo di Pilates Matwork). Il valore che permette di sapere se un test è significativo è il P-value: il massimo valore di P accettabile è convenzionalmente 0,05 (5%).

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2. Risultati Confrontando i dati ottenuti dalle rilevazioni con la pedana stabilometrica le pallavoliste hanno mostrato prestazioni di equilibrio posturale statico migliori al termine del protocollo solamente nella condizione monopodalica con piede sinistro in appoggio ad occhi chiusi (MONO SX OC) nella variabile area del CoP (p=0.0195; Fig. 5).

221

Figura 5. Differenza tra le misurazioni effettuate prima e dopo il protocollo nella prova monopodalica sinistra OC, per la variabile Area del CoP.

Nelle condizioni BIPO OA e OC, MONO DX OA e OC, MONO SX OA e in posizione di bagher e palleggio non sono stati ottenuti risultati statisticamente significativi. Confrontando le diverse condizioni sensoriali bipodalica e monopodalica in appoggio su piede destro e su piede sinistro le prove sono risultate migliori ad occhi aperti rispetto alle prove ad occhi chiusi (p<0,05), mentre non ci sono stati risultati statisticamente significativi confrontando le prove su piede sinistro e su piede destro ad occhi aperti e ad occhi chiusi. Dall’analisi dei questionari è emerso che l’80% del campione abbia percepito una migliore tenuta del core, mentre il 70% un miglioramento nella precisione e nel controllo del fondamentale del bagher. Per quanto riguarda il controllo del fondamentale del palleggio il 60% del campione ha riscontrato un miglioramento, mentre il 70% ha percepito una migliore stabilitĂ nel piazzamento sotto la palla. Inoltre sono stati ottenuti dei miglioramenti nella percezione del corpo nello spazio, rispetto al compagno e alla palla, dei miglioramenti nel controllo della postura, in particolare della posizione della colonna, del bacino e della parte alta del busto e dei giovamenti sulla prestazione della squadra in termini di team building.

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3. Conclusioni

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Diversi studi sostengono l’ipotesi che ci sia un’associazione tra l’attivazione neuromuscolare del tronco e i muscoli delle gambe, in quanto è stato riscontrato come il rafforzamento della muscolatura del tronco (core) possa aumentare il livello di forza muscolare nelle estremità (arti superiori e inferiori) (Prieske et al., 2015). Il Pilates può essere un ottimo strumento per condurre al rafforzamento e all’attivazione dei muscoli profondi del tronco (Patti et al., 2015), e quindi può risultare importante per migliorare la capacità di controllo posturale, in particolare del controllo della corretta postura del cingolo pelvico (Wells, Kolt, Bialocerkowski, 2012). Nella pallavolo il controllo posturale è fondamentale, poiché viene richiesto ai pallavolisti di adattare continuamente e velocemente la propria postura, per poter reagire al meglio alle situazioni di gioco (Agostini et al., 2013). L’allenamento del controllo posturale, determinando un miglioramento dell’equilibrio statico, è dunque fondamentale in questa disciplina sportiva, per poter creare le basi di un lavoro sull’equilibrio dinamico e su quello in volo (Kuczyński, Rektor e Borzucka, 2009). Per questo motivo è stato interessante analizzare l’equilibrio posturale statico nelle sei condizioni sensoriali standard (BIPO OA, OC; MONO DX e SX OA e OC) aggiungendo delle prove stabilometriche in cui veniva richiesta l’esecuzione del bagher e del palleggio. Le semplici prove di equilibrio posturale statico possono essere considerate come il mezzo per misurare il livello di equilibrio e controllo posturale di ciascuna atleta (Pizzigalli, Cremasco, Cremona, Rainoldi, 2013). Inoltre, diversi studi (Cruz-Ferreira, et al., 2011; Özedimir et al., 2009; Rezaie, Ghofrani, 2012) hanno mostrato come a seguito di un protocollo di Pilates è possibile ottenere dei miglioramenti in termini di controllo posturale. Analizzando i risultati di questo elaborato, si può notare come le rilevazioni posturografiche effettuate dopo il protocollo Pilates Matwork siano risultate migliori solamente nella prova monopodalica in appoggio su piede sinistro ad occhi chiusi (MONO SX OC). Questo risultato è importante, poiché la condizione MONO SX OC risulta essere la più sfavorevole (Pugh et al., 2011) per il gruppo di pallavoliste analizzato per il fatto che tutte le atlete prese in esame avessero come piede dominante il piede destro. È importante mettere in evidenza questi dati statisticamente significativi (p<0.05) essendo questa la condizione più difficile da gestire (Pugh et al., 2011). L’allenamento con esercizi di Pilates Matwork potrebbe avere dunque influenzato i miglioramenti nelle condizioni di maggior deficit di equilibrio e quindi nella condizione posturale in cui risulta esserci una maggiore carenza di stabilità. Inoltre, è possibile supporre che grazie alla pratica del Pilates il gruppo di pallavoliste abbia raggiunto un maggior equilibrio statico ad occhi chiusi grazie a un migliore controllo motorio, poiché la mancanza del sistema visivo viene compensata da un migliore controllo del sistema propriocettivo e vestibolare, ipotesi che avvalora il protocollo svolto (Özedimir et al., 2009; Rezaie, Ghofrani, 2012; CruzFerreira et al., 2011). Le prove nella posizione di bagher e palleggio non hanno ottenuto risultati statisticamente significativi, probabilmente perché la posizione di bagher e palleggio a gambe piegate non è standardizzata, ma adattata e personalizzata da ciascun atleta ed è complicata da replicare uguale nelle diverse prove effettuate prima e dopo il protocollo. Dal confronto tra le diverse condizioni sensoriali sono stati ottenuti gli stessi risultati, sia nelle rilevazioni effettuate prima del protocollo sia in quelle effettuate

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dopo il protocollo. Si può quindi dedurre che non ci siano state variazioni innescate dal protocollo proposto né in positivo né in negativo. Nello specifico, nella condizione bipodalica e nelle condizioni monopodaliche in appoggio su piede destro e in quella in appoggio su piede sinistro si può notare una migliore prestazione di equilibrio posturale statico nelle condizioni ad occhi aperti rispetto a quelle ad occhi chiusi. Questo risultato è dovuto al fatto che in un gruppo di pallavoliste il sistema visivo abbia un ruolo essenziale nell’esecuzione di posture e movimenti in equilibrio statico, dinamico e in volo sia in allenamento che in partita. Infatti anche gli studi di Kuczyński (Kuczyński, Rektor e Borzucka, 2009) e di Agostini (Agostini et al., 2013) su gruppi di pallavolisti mostrano migliori performance ad occhi aperti. In conclusione, questo studio si è confermato un progetto interessante, in quanto si è riusciti a inserire per la prima volta un protocollo di Pilates Matwork in una squadra di pallavolo giovanile di livello amatoriale. Inoltre, per le atlete prese in esame questa esperienza ha ottenuto un valore positivo, da quanto è emerso dalle risposte al questionario; dall’analisi del questionario non standardizzato somministrato al termine del protocollo è emerso che la maggior parte delle ragazze abbiano espresso dei giudizi positivi riguardo all’efficacia del Pilates sul miglioramento della postura (il 90% nella posizione della colonna, l’80% nell’apertura e il controllo della parte superiore del busto, l’80 % nel controllo del bacino), della percezione del proprio corpo (il 60% nella percezione del corpo nello spazio, il 70% nella percezione del corpo rispetto alle compagne/palla in partita), della gestione della respirazione (il 90%) e della tenuta del core l’80%). I dati emersi tendono a confermare l’ipotesi iniziale di questa sperimentazione, ovvero che il Pilates Matwork possa apportare dei benefici in termini di consapevolezza del proprio corpo e di stabilità posturale (il 70% di miglioramenti nella precisione e stabilità del piazzamento) e di conseguenza ottenere un miglioramento sulla precisione e stabilità nell’esecuzione dei fondamentali individuali indagati quali bagher (il 70%) e palleggio (il 60%). In futuro, sarebbe interessante approfondire la relazione tra il Pilates e la pallavolo in un gruppo di atleti di alto livello o in altre discipline sportive collettive e individuali al fine di valutare l’efficacia di questo metodo sul miglioramento della performance atletica specifica di ciascuna disciplina.

4. Limiti dello studio I limiti dello studio sono stati la durata sia dell’intervento sia di ciascuna seduta, insufficiente al raggiungimento di adattamenti più consistenti. Con la proposta del protocollo di Pilates Matwork per un tempo superiore ai tre mesi infatti, i miglioramenti si sarebbero presumibilmente anche potuti estendere alle altre condizioni, nelle quali non abbiamo avuto risultati statisticamente significativi. Per quanto riguarda il campione potrebbe risultare in futuro efficace aumentarne la dimensione e il livello tecnico degli atleti coinvolti nello studio ai fini del raggiungimento di un maggiore numero di risultati statisticamente significativi. Con un campione ridotto è più probabile avere una disomogeneità nei risultati, poiché i dati più distanti dalla media emergono con maggiore facilità e anche solo pochi dati sfavorevoli possono incidere negativamente sul risultato finale. Un altro limite potrebbe essere stato il basso numero di ore di allenamento del gruppo di atlete.

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Riferimenti bibliografici

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“La ricerca nelle scuole di dottorato in Italia. Dottorandi, Dottori e Docenti a confronto”: la undicesima edizione del seminario SIRD

Giovanni Moretti • Università Roma Tre – giovanni.moretti@uniroma3.it

“The research at Doctoral Schools in Italy. Comparing Doctoral candidates, Ph.D.s and Teachers”: the eleventh edition of SIRD conference

The purpose of this article is to present the eleventh edition of SIRD (Italian Society for Educational Research) conference, entitled “The research at Doctoral Schools in Italy: Comparing Doctoral candidates, Ph.D.s and Teachers”, held in Rome in June 2017. The contribution highlight some of the most important aspects raised during the event: the presentation of fifteen research programs by second year Ph.D. students which was followed by an open debate; the presentation of posters by fourteen Ph.D.s; the critical reflections arisen from the comparison with some of the protagonists of the empirical-experimental research.

Parole chiave: dottorato, discussione pubblica, formazione alla ricerca, poster, ricerca educativa

Keywords: Ph. D., poster, public discussion, educational research, research training

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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informazioni

L’articolo presenta la undicesima edizione del Seminario SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica), dal titolo “La ricerca nelle scuole di dottorato in Italia: Dottorandi, Dottori e Docenti a confronto”, svolta a Roma nel giugno 2017. Dell’iniziativa sono messi in evidenza alcuni degli aspetti più rilevanti emersi, in particolare: la presentazione di quindici progetti di ricerca da parte di dottorandi del secondo anno seguita da uno spazio di discussione; la presentazione di quattordici poster da parte di dottori di ricerca; le riflessioni critiche emerse dal confronto con alcuni protagonisti dell’attività di ricerca empirico-sperimentale.


Pilates e pallavolo: quale efficacia sulla stabilità posturale dei fondamentali individuali?

1. Il Seminario annuale SIRD 2017 undicesima edizione

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La undicesima edizione del Seminario SIRD “La ricerca nelle scuole di dottorato in Italia: Dottorandi, Dottori e Docenti a confronto” (Roma, 15-16 giugno 2017) ha confermato l’attenzione della SIRD alla formazione dottorale nei settori scientifici PED/03 (Didattica) e PED/04 (Pedagogia sperimentale). Il successo del Seminario 2017, per il numero delle adesioni e per la qualità dei progetti di ricerca presentati, conferma che il sistema della formazione dottorale in Italia, sta reagendo positivamente alle difficoltà incontrate negli ultimi anni (procedure di accreditamento e di valutazione, calo delle risorse, ecc.). Dopo una fase molto difficile, che nel periodo 2012-2015 ha fatto registrare riduzioni molto consistenti per Architettura, Scienze mediche, Scienze storiche, filosofiche e pedagogiche (prossime al 50%), sembra esserci una inversione di tendenza: la nuova normativa sembra avere un impatto significativo sul numero e su alcune delle caratteristiche degli studenti di dottorato (voto ed età alla laurea, provenienza, cittadinanza e genere)1. In questo complesso e problematico contesto di riferimento, in previsione di continuare a manifestare il proprio impegno nella progressiva costruzione di una “massa critica” nell’ambito della formazione dottorale in educazione, si è svolto il Seminario 2017. Lucia Chiappetta Cajola, Direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, nel salutare i presenti ha manifestato il piacere di poter ospitare presso la sede del Dipartimento, il 29 settembre 2017, la Conferenza organizzata in occasione del XXV anniversario dalla fondazione della SIRD2. Nell’introduzione ai lavori l’intervento di Achille Notti (Università di Salerno), Presidente della SIRD, ha illustrato le più recenti iniziative svolte dalla SIRD e ha manifestato il suo apprezzamento per l’impegno con cui è organizzato il Seminario annuale con i dottorandi e dottori di ricerca. Con il coordinamento di Giovanni Moretti (Università Roma Tre) e Maria Lucia Giovannini (Università di Bologna); Loredana Perla (Università “A. Moro” di Bari) e Alessandra La Marca (Università di Palermo); Ettore Felisatti (Università di Padova), Patrizia Magnoler (Università di Macerata) e Elisabetta Nigris (Università di Milano – Bicocca); Giovanni Bonaiuti (Università di Cagliari) e Maria Luisa Iavarone (Università di Napoli “Parthenope”), quindici dottorandi del secondo anno, dei quali è stata accolta la richiesta di partecipazione, si sono alternati presentando in max. venti minuti

1 2

ANVUR (2016). Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2016. Roma, p. 548. http://www.anvur.org L’atto costitutivo della Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD) redatto in Roma, l’11 giugno 1992, è stato sottoscritto dai professori: Gaetano Domenici, Elio Damiano, Nicola Paparella, Luigi Calonghi, Roberto Maragliano, Franco Frabboni, Antonio Mangano, Enver Bardulla, Benedetto Vertecchi, Francesco Inzodda, Franca Pinto Minerva, Cosimo Laneve, Luigi Guerra, Roberta Cardarello, Cristina Coggi, Ermanno Mazza, Giuseppe Zanniello, Michele Pellerey.

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la propria attività di ricerca. Lo spazio destinato al confronto è stato animato sia dai coordinatori delle sessioni sia dai molti docenti ed esperti presenti al Seminario che ha visto la presenza di oltre sessantacinque giovani ricercatori e dottorandi di tutta Italia, molti dei quali iscritti al primo anno di corso. Nella tabella n. 1 si può osservare l’ampio numero delle sedi di provenienza dei dottorandi e dottori di ricerca che hanno partecipato al Seminario 2017: undici sono le sedi universitarie rappresentate, e alcune di esse confermano con continuità la partecipazione di dottorandi e dottori di ricerca nei due appuntamenti indicati in tabella (paper e poster): Roma “La Sapienza”, Roma Tre, Bologna, Salerno, Perugia e Salento-Lecce. Presentazione paper dottorandi

Presentazione poster dottorandi o dottori di ricerca

Università di Bologna

1

2

Università di Firenze

1

-

Università di Napoli Parthenope

1

-

Università di Palermo

-

3

Università di Padova

2

-

Università di Perugia

1

1

Università Roma “La Sapienza”

3

3

Università Roma Tre

2

3

Università del Salento-Lecce

1

1

Università di Salerno

2

1

Università di Torino

1

-

Totale

15

14

Università

!

Tab. 1: Università di provenienza dei dottorandi e dei dottori di ricerca (v.a.)

Quindici dottorandi di ricerca hanno esposto il loro lavoro (Tab. 3) esplicitandone gli aspetti teorici, procedurali e metodologici nel rispetto dei tempi assegnati e dimostrando una notevole capacità ed efficacia espositiva. Nel corso della discussione hanno potuto sia rispondere alle domande del pubblico riflettendo criticamente sulle proprie attività di ricerca ancora in corso, sia raccogliere consigli, stimoli e informazioni specifiche utili al successivo sviluppo della propria ricerca. Il Seminario si è confermato come ambiente “protetto” e al tempo stesso “esigente”, entro cui è possibile stabilire un dialogo diretto tra studiosi e dottorandi impegnati su temi di ricerca affini. La presentazione delle ricerche di dottorato effettuata durante il Seminario 2017 evidenzia il progressivo consolidarsi delle attività di ricerca empirico-sperimentale e dell’attenzione dedicata ai molteplici contesti in cui si esplica la ricerca educativa (Tab. 2).

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Paper e poster 2016

Paper e poster 2017

Nido

1

-

Scuole dell’infanzia

3

-

Scuole primarie

14

5

Scuole secondarie superiori di primo grado

5

5

Scuole secondarie superiori di secondo grado

2

3

Istituzioni scolastiche, Formazione docenti

1

5

Università

5

8

Formazione professionale

1

2

Attività sportive integrate

2

-

Ong, musei, Associazionismo

1

3

Medico – ospedaliero – casa famiglia

1

2

Contesti della ricerca

!

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Tab. 2: Contesti della ricerca indicati nelle relazioni dei dottorandi e nei poster dei dottori di ricerca (v.a.)

Le ricerche presentate nel Seminario 2017 pur confermando l’attenzione dedicata ai contesti dei vari cicli scolastici, mostra un calo delle ricerche che prendono a riferimento la scuola primaria. Colpisce il calo di attenzione dedicato ai contesti educativi 0-6 (nido e infanzia) in una fase in cui a livello nazionale si discute sullo sviluppo del Sistema integrato di servizi 0-6 e sulla formazione universitaria degli educatori che operano nei nidi. Aumenta il numero di ricerche che prendono a riferimento la scuola come sistema e che approfondiscono la didattica universitaria nei suoi diversi aspetti. Si consolida l’attenzione per la formazione professionale e per i contesti extrascolastici.

2. La sessione poster L’undicesima edizione del Seminario il Direttivo SIRD ha previsto una specifica sezione dedicata alla presentazione di poster da parte dei dottorandi o dottori di ricerca del terzo anno con riferimento particolare a chi ha presentato il proprio progress di ricerca nel corso dei lavori del decimo Seminario SIRD. Le candidature potevano essere inviate in forma di abstract di massimo 2000 battute entro la data del 5 maggio 2017, di quelle pervenute quattordici hanno superato positivamente il referaggio effettuato dal Direttivo SIRD (Tab. 4). Nel promuovere le candidature è stata confermata sia l’organizzazione dei contenuti del poster (testi, grafici, tabelle, immagini, ecc.) sia l’individuazione delle eventuali sezioni (introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni). L’organizzazione del poster, orientativa e non vincolante, è stata motivata con l’idea di evitare omologazioni nelle esposizioni e favorire invece l’originalità delle presentazioni. Tutti i giovani presentatori hanno preso a riferimento in modo flessibile l’articolazione del poster proposta, ma hanno anche adottato interessanti soluzioni grafiche e argomentative per caratterizzare le singole presentazioni. I poster sono stati resi disponibili al pubblico per l’intera durata del Seminario e il 15 giugno, dalle ore 16.30 alle ore 18.00, si è svolta la sessione di presentazione-confronto dei poster da parte dei dottorandi. La partecipazione alla sessione poster è stata ampia ed è risultata elevata la qualità del dialogo intrattenuto dai

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dottorandi con il pubblico. Il confronto tra esperti si è svolto in modo informale e colloquiale, permettendo di approfondire molte delle questioni trattate dai molteplici percorsi di ricerca. La partecipazione a tale esperienza di confronto e scambio interattivo è stata particolarmente utile per i dottorandi del primo anno che hanno potuto individuare e condividere linee progettuali di ricerca fondate su presupposti chiari e rigorosi.

3. Il contributo di alcuni protagonisti dell’attività di ricerca empirico-sperimentale Nel corso dei lavori del Seminario sono intervenuti giovedì 15 giugno Michele Pellerey (Università Salesiana di Roma), sul tema “Suggerimenti per la stesura della tesi di dottorato” e Pietro Lucisano (Università Roma La Sapienza) su “Scrivere per essere riletti”; venerdì 16 giugno è intervenuta Teresa Grange (Università della Valle D’Aosta), sul tema “La ricerca formazione: approcci, metodi, paradigmi”. I tre protagonisti della ricerca educativa di tipo empirico e sperimentale nel contesto italiano e internazionale sono stati invitati per rispondere ad alcune esigenze particolarmente sentite dalla SIRD: la necessità di prevenire e contrastare i rischi della frammentazione e dell’eccessiva specializzazione della ricerca cui sono esposti anche i dottorandi e i dottori di ricerca e l’opportunità di supportare con alcune indicazioni e riflessioni critiche il lavoro di scrittura e revisione delle tesi di dottorato. Michele Pellerey ha ricordato che un dottorato di ricerca dovrebbe offrire un apporto originale, significativo e valido all’avanzamento delle diverse scienze dell’educazione, in particolare, nel caso nostro, alla didattica. Al riguardo ha citato Hans Freudenthal che negli anni settanta aveva esaminato la natura scientifica della ricerca didattica partendo dall’individuazione dei caratteri propri di un suo impianto “scientifico” (H. Freudenthal, Weeding and sowing. Preface to a science of Mathematics education, Reidel, Dordrecht, 1978), ed ha ampliato la sua argomentazione richiamando autori che hanno cercato di distinguere tra tipologie di ricerche. Ha rammentato David P. Ausubel che distingue tra ricerca educativa pura e ricerca educativa applicata e ha ripreso la distinzione di Richard Rorty tra “la ricerca per sapere”, basata su un principio di oggettività e interessata alle logiche interne alla comunità scientifica e “la ricerca per agire”, basata su un principio di solidarietà e interessata al bene di una comunità di vita. Definito in quale tipologia di ricerca ci si colloca va prestata attenzione alla grammatica argomentativa adottata affinché questa si possa sviluppare con coerenza, facendo in modo che gli argomenti a favore siano trattati in maniera logica e convincente, tenendo conto anche delle possibili obbiezioni. Pellerey dalle riflessioni teoriche ha cercato di trarre alcune conseguenze sul piano della stesura delle tesi di dottorato: il titolo deve descrivere chiaramente sia il contenuto sia l’obiettivo del lavoro e i principali elementi o variabili indagate; l’introduzione deve chiarire dove ci si colloca nel contesto delle ricerche che hanno avuto per oggetto lo stesso problema o problemi analoghi, chiarendo quali fonti sono utilizzate, indicando il loro contesto culturale e linguistico. Nel lavoro di tesi devono essere presentati chiaramente: a) la domanda di ricerca; b) la prospettiva teorica di fondo; c) il quadro delle ricerche già realizzate sul tema e i principali risultati ottenuti; d) i limiti degli studi precedenti sul tema, indicando in cosa lo stu-

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dio presentato costituisca una novità; e) i costrutti coinvolti, chiaramente identificati e definiti concettualmente; f) le ipotesi di lavoro permettendo di identificare le variabili coinvolte e le relazioni tra loro; g) il legame tra costrutto teorico e l’operazionalizzazione dello stesso; h) il disegno d’indagine o metodo di ricerca adottato, giustificandone la scelta. Nella stesura della tesi, inoltre, si dovrebbe prendere a riferimento la seguente struttura di base: introduzione, capitoli, conclusione, bibliografia, eventuali allegati. Pellerey ha sottolineato la necessità di prestare attenzione alla qualità del testo scritto, che deve essere chiaro, corretto, con uno stile lineare, non enfatico, basato su frasi brevi e ben strutturate. Per la qualità della comunicazione è indispensabile in particolare garantire la coerenza tra conclusioni raggiunte, obiettivi indicati e sviluppo del ragionamento. La dissertazione dovrebbe assumere il carattere di un’argomentazione che dovrebbe evidenziare la plausibilità delle conclusioni (autori di riferimento: George Polya per la Teoria della plausibilità, e John Henry Newman per il costrutto «accumulo di probabilità» tracciato nel testo «Grammatica dell’assenso»). Da non sottovalutare, infine, ha affermato Pellerey, gli aspetti etici, da rispettare soprattutto nelle fasi di raccolta, analisi e reporting dei dati. La presentazione dei dati va fatta in modo da onorare eventuali accordi condivisi con i partecipanti alla ricerca. I dati o i materiali empirici rilevanti per la conclusione devono essere resi pubblici in modo da poter essere riprodotti da ricercatori qualificati. Pietro Lucisano ha iniziato la sua relazione dal titolo “Scrivere per essere riletti” affermando, con ironia, che “Scrivere un libro o un articolo è relativamente facile, farlo pubblicare è più difficile, farlo comprare o fotocopiare è ancora più difficile, il vero problema è farlo leggere. Quello che è veramente difficile è che chi lo legge lo capisca e che questa comprensione produca qualche effetto aver qualcosa d’importante da dire e che sia utile a tutti o a molti”. Per uscire dal possibile circolo vizioso sopra prefigurato Lucisano ha suggerito alcune regole dello scrivere che ha preso a riferimento dalla “Scuola di Barbiana”. Avvalendosi dell’approccio alla lingua e alla scrittura che ha caratterizzato l’opera di Don Milani, di cui in questo anno ricorre il cinquantesimo anniversario, Lucisano approfondito in modo critico e problematico l’attività di scrittura dal punto di vista di un giovane ricercatore di oggi. Le regole che Lucisano ha ripreso dalla Scuola di Barbiana sono le seguenti: a) aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti; b) sapere a chi si scrive; c) raccogliere tutto quello che serve; d) trovare una logica su cui ordinarlo; e) eliminare ogni parola che non serve; f) non porsi limiti di tempo. In particolare, ha argomentato Lucisano, occorre sapere a chi si scrive, è molto diverso se il destinatario è la comunità scientifica, oppure i referee o gli insegnanti o ancora il grande pubblico dei decisori politici. In ogni caso il significato di quello che diciamo è in ciò che riesce a comprendere chi legge. Se il destinatario è la comunità scientifica nazionale e internazionale chi scrive dovrebbe essere consapevole di quali siano i dibattiti in corso e dovrebbe capire in quale linea di ricerca e settore scientifico disciplinare s’inserisce il proprio contributo. Coerentemente con quanto detto chi scrive deve anche sapere dove scrivere perché molti sono i canali e ciascuno ha le sue regole. Occorre conoscere e saper distinguere in particolare tra: riviste scientifiche di prima classe (275 di cui quaranta italiane), riviste di seconda classe, riviste divulgative, riviste in rete, collane editoriali. Ma la cosa più importante è avere qualcosa d’importante da dire che sia utile a tutti o a molti e ciò dovrebbe indurci a interrogarci sul perché studiamo un determinato argomento, prima di porci la domanda sul come lo facciamo. Lucisano ha presentato

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alcune schede di referaggio, mostrandone limiti e punti di forza, ma ha insistito sulla valenza formativa del referaggio, e sull’opportunità di prendere in seria considerazione le revisioni, attività che può aiutare, tra l’altro a eliminare ogni grafico o figura che non serve o a rendere leggibili le tabelle. Nelle sue conclusioni Lucisano nel richiamare il dilemma di “Essere ricercatori o fare carriera nel gioco a punti ANVUR”, suggerisce di impegnarsi comunque a leggere e rileggere le cose che si scrivono. Teresa Grange ha invitato i presenti a considerare in modo dinamico i concetti di ricerca-azione, ricerca-collaborazione, ricerca-intervento e ricerca-formazione, poiché con essi abbiamo a che fare non solo con approcci di ricerca, ma anche con oggetti di indagine su cui rivolgere specifica e continua attenzione. Per tali motivi occorre tenere sempre presente che le concettualizzazioni e le definizioni sin qui elaborate su tali tematiche sono soggette a continua evoluzione. Grange ha suggerito di non indugiare su dispute inutili finalizzate a individuare distinzioni nominali tra approcci differenti o rivolte a cercare analogie e differenze, perché si tratta di approcci descritti in modi differenti secondo la letteratura scientifica presa a riferimento, ad esempio quella inglese, francofona o italiana; ciò che dovrebbe interessare di più, invece, ha affermato Grange, è capire le potenzialità euristiche dei differenti approcci, e in quanto ricercatori è importante impegnarci a rendere comprensibile ciò che si sta facendo per cercare di disambiguare i modi in cui definiamo le nostre azioni. Molte delle tesi di dottorato presentate nel corso dei lavori del Seminario SIRD, ha affermato la relatrice, si inscrivono nella tradizione di ricerca degli “approcci sociali”, che coinvolgono più attori, e che dagli anni quaranta sono sempre più utilizzati. Si tratta di approcci che previlegiano la democrazia deliberativa che mira ad affrontare e risolvere problemi mediante l’emancipazione collettiva (Dewey), dal basso, senza cedere a prospettive top-down che delegano all’esperto la presa in carico del problema. Le argomentazioni di Grange hanno colto il filo rosso che lega la tendenza all’emancipazione degli attori con la spinta allo sviluppo professionale, perché gli attori sociali, si fanno carico sia di “problemi altri” sia del proprio sviluppo professionale. È dunque possibile affermare che le ricerche sociali producono sempre, in qualche modo, anche formazione, autoformazione e sviluppo professionale. Tale evidenza, tuttavia, richiede di fare chiarezza tra costrutti per evitare di confondere ricerca e formazione o di perdere la capacità di distinguere tra eventuali effetti collaterali formativi dell’azione e quelli che sono a tutti gli effetti cambiamenti attesi, pianificati e perseguiti in modo esplicito. Occorre dunque evitare di passare dalla «illusione scientista» alla visione ingenua di chi ritiene che basti riflettere sui problemi per fare in modo che i problemi si possano risolvere. Grange ha rammentato che per K. Lewin la componente sperimentale nella RA era molto importante, non puntava tanto sul coinvolgimento, ma sulla presenza di snodi di verifica della “efficacia relativa” delle azioni svolte. La relatrice ha commentato la definizione di Rapoport (1968), che cercando di tenere insieme la ricerca-azione e la ricerca-intervento, le descrive come “un progetto che risponda sia alle preoccupazioni concrete di attori che si trovano in situazioni problematiche sia allo sviluppo delle scienze sociali attraverso una collaborazione che colleghi i due aspetti secondo uno schema etico mutuamente accettabile”. Grange ha sottolineato l’espressione “preoccupazioni degli attori” per dire che ci si preoccupa per un problema che si ha personalmente o come gruppo e non tanto per un problema che è posto agli insegnanti dal MIUR. La questione etica ci dice che le persone sul campo sono soggetti di ricerca e non oggetti di ricerca, riconoscere la dignità degli

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attori sociali dovrebbe suggerire di domandarci “in che cosa, come e perché associamo le persone nei percorsi di ricerca-azione?”. Nel porci tale domanda va tenuto presente che non c’è interscambiabilità di ruoli, che ci sono problemi di comprensione reciproca, di linguaggi e quadri concettuali differenti. Non si può dunque parlare di ricerca-azione, ricerca-collaborazione, ricercaintervento e ricerca-formazione, senza interrogare il tipo di relazione che si stabilisce tra gli attori, in altre parole al tipo di relazione che da forma al tipo di ricerca, di azione o di formazione che si vuole realizzare. Grange ha precisato che la R-A non è un metodo, ma un approccio, e come tale al suo interno si possono adottare metodi o dispositivi coerenti con l’approccio di ricerca scelto. Grange ha concluso la sua relazione con una nota di ottimismo in merito alle prospettive di ricerca pedagogica. I sentieri che si aprirebbero segnalerebbero la necessità: di approfondire le analogie e le differenze tra Ricerca educativa, formazione e sviluppo professionale; di chiarire l’analisi di bisogni e dei modelli di ricerca partecipati; di rendere esplicito il sapere che circola entro i processi di cambiamento tenendo presente che il cambiamento non è positivo per definizione: approccio critico ai significati che sottendono il cambiamento; di “tradurre” gli esiti della ricerca educativa verso le concezioni e le pratiche professionali tenendo presente che si tratta di un passaggio critico-riflessivo che non è di per sé trasformativo. Alle problematiche sviluppate dai tre relatori, anche per il limitato tempo a disposizione, non è stato possibile concedere il meritato approfondimento nel corso dei lavori del Seminario. Tuttavia molte delle questioni trattate sono state direttamente o direttamente riprese da coloro che sono intervenuti per porre domande nel confronto pubblico intrattenuto dai docenti con i dottorandi e dottori di ricerca partecipanti al Seminario.

4. Iniziativa editoriale e premi annuali SIRD: nuove risorse per fare “massa critica” È a tutti noto che l’organizzazione dei percorsi dottorali triennali di formazione alla ricerca è progressivamente più complessa e contestualmente aumentano le richieste rivolte ai dottorandi in termini di attività da svolgere e prodotti scientifici da realizzare. Molte delle scuole di dottorato, infatti, anche dal primo anno di corso, invitano i dottorandi a partecipare a iniziative pubbliche in cui presentare il proprio lavoro d’indagine e a pubblicare gli esiti delle ricerche in corso o da poco tempo concluse in riviste sia nazionali sia internazionali. La SIRD, connotandosi come società scientifica da sempre sensibile alla necessità di contribuire a qualificare i corsi di dottorato di ambito educativo e didattico, con il Seminario 2017, ha deciso di attivare una specifica iniziativa editoriale. La decisione ha l’obiettivo di contribuire alla diffusione degli esiti di ricerca con particolare riferimento a quelli presentati durante lo svolgimento dei Seminari annuali SIRD sia da parte dei dottorandi del secondo anno, in forma di relazione, sia dei dottorandi del terzo anno, in forma di poster. L’iniziativa, che è stata proposta e approvata all’unanimità dai membri del Direttivo SIRD, è stata accolta molto positivamente dai rappresentanti della comunità scientifica presenti ai lavori del Seminario, e come era prevedibile, è stata recepita con molto entusiasmo da parte dei dottorandi e dei dottori di ricerca partecipanti. In questo modo, offrendo strumenti e opportunità per confrontarsi con i pari e

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per farsi conoscere da un pubblico più ampio di persone interessate ai temi di ricerca trattati, si ritiene di poter dare un contributo per consolidare il legame di fiducia tra giovani ricercatori e SIRD e per costruire progressivamente un senso di appartenenza alla comunità scientifica. Si fa riferimento, in questo caso, a un sentimento importantissimo, che in particolare nell’anno in corso si è manifestato tra i partecipanti, molti dei quali hanno chiesto di iscriversi alla SIRD in qualità di “soci corrispondenti” (decisione particolarmente apprezzabile perché, si ritiene opportuno far notare che, a tutt’oggi, per candidarsi a presentare le ricerche di dottorato nel corso del Seminario SIRD non è richiesto il pre-requisito dell’iscrizione alla Società). La SIRD, dunque, giunge all’appuntamento dell’undicesimo Seminario con un bilancio assai positivo, che potrà svilupparsi ulteriormente grazie alla call, referata, cui potranno partecipare tutti i dottorandi o dottori di ricerca intervenuti nel Seminario presentando un contributo scritto sulla ricerca effettuata. Si ritiene che la nuova iniziativa SIRD possa contribuire a fare “massa critica” e aiutare a costruire una comunità di confronto tra i dottorati di ambito pedagogico con riferimento particolare alla formazione dottorale nei settori scientifici PED/03 (Didattica) e PED/04 (Pedagogia sperimentale). Ulteriore novità, alla quale hanno fatto riferimento in apertura dei lavori del Seminario sia Achille Notti sia Lucia Chiappetta Cajola, è la prossima assegnazione dei Premi SIRD, destinati alle opere concernenti la ricerca didattica, ricerca empirica applicata alla didattica e ricerca valutativa. A tal fine sono stati istituiti tre premi annuali: il Premio “Luigi Calonghi” per la ricerca didattica, riservato ai saggi o volumi pubblicati da editori nazionali o internazionali relativi alla ricerca didattica; il Premio “Aldo Visalberghi” per la ricerca empirica applicata alla didattica, riservato agli articoli pubblicati su riviste scientifiche italiane e internazionali relativi a metodi, tecniche ed esperienze applicate alla didattica; il Premio “Mario Gattullo” per la ricerca valutativa, riservato agli articoli pubblicati su riviste scientifiche italiane e internazionali relativi a teorie, metodi e procedure della ricerca valutativa nei diversi contesti educativi. Per il 2017 l’invio dei lavori è fissato al 30 giugno 2017. La consegna dei “Premi”, con una cerimonia pubblica, avrà luogo a Roma il 29 settembre 2017, durante la conferenza organizzata per il venticinquesimo anniversario dell’istituzione della SIRD.

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Dottori Anelli Beatrice

Titolo Laboratorio permanente di educazione alla lettura

Università di Torino

La ricerca-formazione come strumento di pratica democratica e apprendimento trasformativo

Chiara Cavarra

Università Roma Tre

Umani e Robot: automazione e lavoro mentale

Stefania Anna De Santis

Università del Salento

Il patrimonio culturale immateriale: una sfida pedagogica. Studio per la definizione di un modello di intervento educativo volto alla valorizzazione dei beni culturali e alla promozione dell’autoimprenditività

Ines Guerini

Università Roma Tre

Processi emancipativi per l’indipendenza abitativa delle persone con disabilità intellettiva. Verso un modello sociale inclusivo

Valeria Ferra

Università di Napoli Parthenope

Vivere S.M.A.R.T Multipurpose survey on movement, prevention, nutrition and education lifestyle

Iolanda Sara Iannotta

Università di Salerno

Mobile Learning: questioni e pratiche per l’introduzione nell’Higher Education

Cristina Minelle

Università di Padova

Valutare gli insegnanti della scuola. Un percorso di ricerca-azione per la costruzione partecipata di un modello di valutazione

Annarita Monaco

Università Roma “La Sapienza”

Didattica dei problemi e atteggiamento degli insegnanti di scuola primaria

Elisa Nini

Università di Perugia

Il libro di testo nella scuola primaria: dall’alfabetico al digitale

Carmen Petruzzi

Università di Firenze

Gli adolescenti invisibili. Ricerca qualitativa sui minori stranieri non accompagnati in alcune regioni italiane

Irene Stanzione

Università Roma “La Sapienza”

Misurare il benessere/disagio di studenti e insegnanti nella scuola secondaria di primo grado in relazione alle percezioni del contesto

Viola Tiberti

Università Roma “La Sapienza”

Il Museo sensoriale, percorsi e servizi nei musei del Comune di Roma

Michele Domenico Todino

Università di Salerno

Realizzazione di Artefatti Digitali per Media Educator

Giada Trisolini

Università di Bologna

Modelli didattici attivi nei MOOCs

Cristina Boeris

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Università Università di Padova

Tab. 3: Presentazione delle tesi di Dottorato

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Dottorandi Alice Baldazzi

Marta Bertagnolli

Università Università di Bologna

Università di Bologna

Titolo L’uso dell’ePortfolio a sostegno di lifelong learning e occupabilità Prendersi cura di chi cura: i progetti di sostegno alla genitorialità a distanza per le madri migranti provenienti dall’Europa dell’Est

Giusi Castellana

Università Roma “La Sapienza”

Insegnare ad apprendere a leggere: un modello di ricerca-formazione nella scuola secondaria di primo grado

Lucia D’Errico

Università del Salento Lecce

Il percorso di cura come processo di apprendimento trasformativo

Gabriella Ferrara

Università di Palermo

La qualità inclusiva della scuola: dalle pratiche didattiche alla formazione degli insegnanti

Maria Anna Formisano

Università di Salerno

Il Dirigente scolastico tra gestione amministrativo contabile e organizzazione dei processi didattici

Arianna Giuliani

Università Roma Tre

La Leadership Diffusa degli Studenti: l’efficacia di alcuni dispositivi nel contesto universitario

Elif Gulbay

Università di Palermo

Strategie innovative per la formazione dei futuri docenti

Francesca Machì

Università di Palermo

“Insegnanti accessibili”. Percorsi di glottodidattica inclusiva

Snezana Mitrovic

Università Roma “La Sapienza”

Spoken and Written English Language Competence of First Year Italian Students on Performance-Based Tests

Francesca Rossi

Università Roma Tre

Strategie di apprendimento e prospettive temporali nella didattica universitaria

Luca Rossi

Università Roma “La Sapienza”

Insegnare ed imparare a scrivere nella scuola secondaria di II grado

Martina Sabatini

Università di Perugia

L’apprendimento di conoscenze geometriche e abilità visuo-spaziali attraverso il coding

Marianna Traversetti

Università Roma Tre

Il metodo di studio come prima misura compensativa per l’inclusione degli allievi con DSA. Una ricerca esplorativa

Tab. 4: Presentazione dei poster di Dottorato

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