Giornale Italiano della Ricerca Educativa 17/2016

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Giornale Italiano della Ricerca Educativa Italian Journal of Educational Research RIVISTA SEMESTRALE anno IX – numero 17 – Dicembre 2016


Direttore | Editor in chief ACHILLE M. NOTTI | Università degli Studi di Salerno Condirettori | Co-editors PIETRO LUCISANO | Sapienza Università di Roma PIER CESARE RIVOLTELLA | Università Cattolica di Milano Comitato Scientifico | Editorial Board JEAN-MARIE DE KETELE | Université Catholique de Lovanio VITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV | City University di Mosca GIOVANNI BONAIUTI | Università degli Studi di Cagliari ETTORE FELISATTI | Università degli Studi di Padova MARIA LUCIA GIOVANNINI | Università di Bologna MARIA LUISA IAVARONE | Università degli Studi di Napoli “Parthenope” PERLA LOREDANA | Università degli Studi di Bari Aldo Moro PATRIZIA MAGNOLER | Università degli Studi di Macerata GIOVANNI MORETTI | Università degli Studi di Roma Tre ELISABETTA NIGRIS | Università degli Studu di Milano-Bicocca Comitato editoriale | Editorial management MARIA CINQUE | Università di Roma LUMSA ANNA SERBATI | Università degli Studi di Padova ROSA VEGLIANTE | Università degli Studi di Salerno Note per gli Autori | Notes to the Authors I contributi, in formato MS Word, devono essere inviati all’indirizzo email del Comitato Editoriale: rivista@sird.it Ulteriori informazioni per l’invio dei contributi sono reperibili nel sito www.sird.it __________________ Submissions have to be sent, as Ms Word files, to the email address of the Editorial Management: rivista@sird.it Further information about submission can be found at www.sird.it Consultazione numeri rivista http://ojs.pensamultimedia.it/index.php/sird

Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato) Codice ISSN 2038-9744 (testo on line) Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010 Finito di stampare: Dicembre 2016 Abbonamenti • Subscription Italia euro 25,00 • Estero euro 50,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: abbonamenti@edipresssrl.it Editing e stampa Pensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435 www.pensamultimedia.it - info@pensamultimedia.it Progetto grafico copertina Valentina Sansò


Obiettivi e finalità | Aims and scopes Il Giornale Italiano della Ricerca Educativa, organo ufficiale della Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD), è dedicato alle metodologie della ricerca educativa e alla ricerca valutativa in educazione. Le aree di ricerca riguardano: lo sviluppo dei curricoli, la formazione degli insegnanti, l’istruzione scolastica, universitaria e professionale, l’organizzazione e progettazione didattica, le tecnologie educative e l’e-learning, le didattiche disciplinari, la didattica per l’educazione inclusiva, le metodologie per la formazione continua, la docimologia, la valutazione e la certificazione delle competenze, la valutazione dei processi formativi, la valutazione e qualità dei sistemi formativi. La rivista è rivolta a ricercatori, educatori, formatori e insegnanti; pubblica lavori di ricerca empirica originali, casi studio ed esperienze, studi critici e sistematici, insieme ad editoriali e brevi report relativi ai recenti sviluppi nei settori. L’obiettivo è diffondere la cultura scientifica e metodologica, incoraggiare il dibattito e stimolare nuova ricerca. ___________________________________ The Italian Journal of Educational Research, promoted by the Italian Society of Educational Research, is devoted to Methodologies of Educational Research and Evaluation Research in Education. Research fields refer to: curriculum development, teacher training, school education, higher education and vocational education and training, instructional management and design, educational technology and e-learning, subject teaching, inclusive education, lifelong learning methodologies, competences evaluation and certification, docimology, students assessment, school evaluation, teacher appraisal, system evaluation and quality. The journal serves the interest of researchers, educators, trainers and teachers, and publishes original empirical research works, case studies, systematic and critical reviews, along with editorials and brief reports, covering recent developments in the field. The journal aims are to share the scientific and methodological culture, to encourage debate and to stimulate new research. Comitato di referaggio | Referees Committee Il Comitato di Revisori include studiosi di riconosciuta competenza italiani e stranieri. Responsabili della procedura di referaggio sono il direttore e il condirettore della rivista. ___________________________________ The Referees Committee includes well-respected Italian and foreign researchers. The referral process is under the responsability of the Journal’s Editor in Chief and Co-Editors. Procedura di referaggio | Referral process Il Direttore e Condirettore ricevono gli articoli e li forniscono in forma anonima a due revisori, tramite l’uso di un’area riservata nel sito della SIRD (www.sird.it), i quali compilano la scheda di valutazione direttamente via web entro i termini stabiliti. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori esprimono un parere positivo. I giudizi dei revisori sono comunicati agli Autori, assieme a indicazioni per l’eventuale revisione, con richiesta di apportare i cambiamenti indicati. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non sono pubblicati. Per consultare il codice etico consultare il link: http://ojs.pensamultimedia.it/index.php/sird/about/editorialPolicies#custom-0 ___________________________________ Editor in chief and co-editor collect the papers and make them available anonymously to two referees, using a reserved area on the SIRD website (www.sird.it), who are able to fulfill the evaluation grid on the web before the deadline. Only articles for which both referees express a positive judgment are accepted. The referees evaluations are communicated to the authors, including guidelines for eventual changes with request to adjust their submissions according to the referees suggestions. Articles not modified in accordance with the referees guidelines are not accepted.


INDICE

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EDITORIALE DI ACHILLE M. NOTTI Didattica e formazione

Studi 13 ANNAMARIA CURATOLA Inclusione e integrazione. Modelli alternativi o correlati di organizzazione? Inclusion and integration. Alternative or correlated models of organization? 27 MURIEL FRISCH Documentation et inclusion: un dispositif original de recherche-intervention basé sur des méthodes combinées en France Information-documentation didactic and inclusion, a research-intervention using combined methods 41 FILIPPO GOMEZ PALOMA, DOMENICO TAFURI Embodied Cognition. Body, movement and sport for didactics Embodied Cognition. Corpo, movimento e sport per la didattica 53 ANITA NORLUND, ANTONIO MARZANO, MARTA DE ANGELIS Decentralization tendencies and teacher evaluation policies in European countries L’autonomia scolastica e le politiche di valutazione degli insegnanti nei paesi europei 67 ALESSANDRA ROSA Il ruolo dei dirigenti scolastici nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti The role of school principals in training and support for newly hired teachers

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Ricerche 87 PAOLA AIELLO, STEFANO DI TORE, ERIKA MARIE PACE, MAURIZIO SIBILIO Insegnare a leggere la mente. La realizzazione di un edugame per lo sviluppo delle abilità sociali in soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico Teaching how to read the mind: the design of an edugame for the development of social skills in students with Autism Spectrum Disorders 105 MARCO BURGALASSI, VALERIA BIASI, ROSA CAPOBIANCO, GIOVANNI MORETTI Il fenomeno dell’abbandono universitario precoce. Uno studio di caso sui corsi di laurea del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università “Roma Tre” The phenomenon of Early College Leavers. A case study on the graduate programs of the Department of Education of “Roma Tre”University 127 GIUSEPPA CAPPUCCIO La Metodologia dell’Activation du développement vocationnel et professionnel per un’educazione inclusiva nella scuola secondaria di primo grado «Activation du développement vocationnel et professionnel» methodology for inclusive education in lower secondary school 143 GIUSEPPINA LE ROSE, VERONICA RICCARDI Foreign Students and Achievement in Mathematics: Evidence from the Italian Case Gli alunni stranieri e l’apprendimento delle matematica: alcune riflessioni sul caso italiano 169 MASSIMO MARCUCCIO Le concezioni degli insegnanti del primo ciclo d’istruzione sul merito degli studenti: uno studio esplorativo The conceptions of first cycle teachers about students merit: an exploratory research 183 PIETRO MONTESANO, FRANCESCO PELUSO CASSESE, DOMENICO TAFURI Analisi di una proposta inclusiva per soggetti BES attraverso la pratica sportiva di squadra Analysis of a proposal for inclusive SEN students through the practice of team sports

indice

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191 LOREDANA PERLA, VIVIANA VINCI Rapporti di Autovalutazione e Piani di Miglioramento: analisi e mappatura dei bisogni di formazione della Scuola pugliese. Primi step di una ricerca documentativa Self-evaluation Report and Improvement Plan. Analysis and mapping of training needs of the Apulian School. First steps of a documentation research

Esperienze 219 ELISABETTA GHEDIN, SIMONE VISENTIN, RINALDA MONTANI Scuola e famiglie a confronto, per una co-evoluzione inclusiva. Costruire alleanze educative per comprendere l’X-fragile School and families facing each other, for an inclusive coevolution. Building educational alliances to understand the fragile X Syndrome 235 TATYANA ANALATOLYEVNA EGORENKO La formazione dell’orientamento professionale nel Corso di Laurea Magistrale in Psicologia e Pedagogia Становление профессиональной направленности в процессе обучения в магистратуре психолого-педагогического направления


Editoriale ACHILLE M. NOTTI

Didattica e formazione Sono decenni ormai che discutiamo della formazione degli insegnanti; credevamo ormai imminenti i decreti delegati relativi alla legge 107 del 2015, ma la crisi di governo ed il cambio del Ministro ci invitato ad essere, ancora una volta, in fiduciosa attesa. Non che fossimo entusiasti dell’azione del responsabile di viale Trastevere, ma, anche a detta dei colleghi presenti nei tavoli di lavoro ministeriali, sembrava che il lavoro compiuto potesse essere se non condivisibile almeno accettabile. È possibile, nell’attuale contesto storico e socio-economico, essere alla ricerca di un nuovo ruolo formativo della scuola e che non si sia ancora definito un percorso finalizzato a formare persone in grado di orientarsi nella complessità per operare scelte, partecipare ai cambiamenti, valorizzarsi nelle risorse? Per fortuna, in molti settori disciplinari (ne è testimonianza l’azione di numerose società scientifiche) aumenta la consapevolezza che non basta essere competenti nelle discipline da insegnare ed essere esperti nelle metodologie didattiche per essere insegnanti efficaci. È anche necessario, da insegnanti, essere consapevoli della direzione, del senso, degli effetti e degli impatti della propria azione professionale alla luce delle istanze emergenti dal contesto sociale. La complessità della professionalità docente tende, quindi, a superare quell’idea parziale e incompleta che domina l’immaginario collettivo e che lo vede ora detentore dei contenuti, ora esperto di metodi didattici: il mestiere dell’insegnante richiede una pluralità di competenze culturali, didattiche, relazionali e comunicative. Si è sempre investito poco (escludendo l’infanzia e la primaria) nella formazione degli insegnanti, nel miglioramento delle pratiche didattiche e valutative. Si è sempre partiti dal preconcetto che la laurea, l’abilitazione all’insegnamento e il concorso fossero sufficienti per acquisire le necessarie competenze professionali tralasciando le dinamiche di classe e di istituto. Al riconoscimento politico-normativo dell’importanza della formazione iniziale della classe docente, quale risposta ai bisogni formativi richiesti nella società della conoscenza, difficilmente è corrisposta una traducibilità in termini pratico-operativi di quanto teorizzato, specialmente nel nostro Paese, che ha affrontato con estremo ritardo la questione. È necessario, nella formazione iniziale degli insegnanti, partire dalla considerazione di quanto pratiche e contesti influiscano nel determinare la professionalità docente. Il nesso tra formazione e identità professionale è di tipo causale; la formazione, o meglio, i processi formativi determinano la professionalizzazione della classe docente ed esplicitano dimensioni, dinamiche e bisogni che vanno ad integrare e ad orientare i successivi percorsi di formazione. I futuri decreti delegati debbono Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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trovare il modo di intrecciare il percorso di formazione tra modelli teorici, relazioni educative, azioni didattiche e contesto reale nel quale il processo si svolge. Non ci può essere un primo anno dedicato alla teoria e gli anni successivi dedicati alla pratica; se le necessarie acquisizioni delle competenze non si intrecciano con le altrettante necessarie riflessioni su quanto emerge dalle pratiche nei contesti reali, il processo di formazione porterà, inevitabilmente, a perpetuare il dualismo tra teoria e pratica che è invece necessario e vitale superare. Altra grande emergenza è la formazione in servizio, definita per legge obbligatoria, permanente e strutturale, con attività individuate dalle istituzioni scolastiche alla luce del piano triennale dell’offerta formativa e coerentemente con quanto emerso dai piani di miglioramento, in raccordo con le priorità indicate dal Piano nazionale triennale di formazione. La formazione in servizio è una, la condizione fondante: per dare continuità e sviluppare le competenze, per assicurare e innovare la qualità del servizio, per accrescere l’autonomia e la creatività, in modo da favorire il passaggio dal docente trasmettitore dei saperi al progettista della formazione attraverso l’implementazione di due aree che caratterizzano l’agire formativo: la competenza organizzativa e il rapporto con il contesto. Il docente è sia promotore di un progetto proteso alla partecipazione e al coinvolgimento degli allievi e delle famiglie, sia gestore dei rapporti con il contesto di appartenenza. C’è da prendere consapevolezza che nelle scuole si vive in un’atmosfera che sta portando gli insegnanti ad un complessivo senso di sfiducia in sé stessi, nelle loro conoscenze e competenze all’interno di un contesto sociale e politico avaro di riconoscimenti morali ed economici. Non ci sarà il successo di nessuna legge senza il recupero del consenso attraverso pratiche di coinvolgimento e di responsabilizzazione nella formazione in servizio, ma, soprattutto, senza avviare interventi di riconoscimento sociale e di valorizzazione del ruolo e dei compiti degli insegnanti. Altro elemento, da sempre di discussione e dibattito, è legato alla valutazione. È di tutta evidenza che l’operato di una istituzione educativa, e quindi di quanti ne fanno parte, non può essere svincolato da una azione valutativa che ne descriva i punti di forza e di debolezza. La necessità di prevedere un processo di valutazione dei sistemi organizzativi, anche se spaventa, è assolutamente inevitabile. Infatti, lo stesso processo di valutazione ha una natura eminentemente educativa: può essere considerato un bilancio che dà utili indicazioni sia sulla validità del lavoro svolto, sia sulla direzione del lavoro da svolgere; pone in evidenza il valore e il significato del processo educativo nei confronti di ogni alunno. La valutazione del sistema scolastico nasce con l’obiettivo di migliorare il servizio erogato e di rispondere a meccanismi di controllo e trasparenza in virtù di quella responsabilità condivisa con gli stakeholder. Anche nel caso della valutazione, come abbiamo accennato per la formazione, bisogna partire dai contesti, dalle situazioni di partenza, dal percorso compiuto e dai risultati raggiunti. La valutazione non può esaurirsi nell’espressione di un dato numerico, pur indispensabile, legato solo al risultato raggiunto, ma deve essere invece corredata da significativi descrittori di processo che documentino in qual modo le situazioni hanno condotto a quel risultato; ciò al fine di individuare e provare a rimuovere le inefficienze, le cause, gli ostacoli che hanno determinato l’insuccesso. La finalità è sempre quella di intervenire in azione per rintracciare eventuali criticità così da ridefinire azioni di miglioramento. Accennavamo, all’inizio di queste riflessioni, ad un nuovo impulso dato dall’impegno e dai contributi dati delle società scientifiche. Un buon esempio è stato il recente convegno della SIRD, svoltosi a Milano, su Didattica e saperi disciplinari.

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A partire dalle esperienze fatte nel campo della formazione degli insegnanti che hanno reso ormai evidente, da un lato, quanto la professionalità dei docenti si fondi sull’integrazione coerente e intelligente dei saperi pedagogico-didattici con quelli dei diversi settori disciplinari e, dall’altro, come questi due mondi fatichino ancora ad interloquire e a trovare terreni comuni di confronto, il convegno, con oltre 130 contributi, ha evidenziato che progetti di collaborazione fra i ricercatori nel campo della didattica e quelli che operano nei diversi campi delle didattiche disciplinari stiano lentamente cominciando a disegnare percorsi innovativi nel campo della formazione iniziale e in servizio dei docenti. Alcuni punti unificanti di questo comune impegno possono articolarsi sui seguenti assunti: – l’insegnante progetta l’azione didattica facendo riferimento a saperi codificati dalle diverse comunità degli esperti, a volte senza la precisa consapevolezza delle implicazioni epistemologiche sottese alle loro scelte didattiche; – la progettazione didattica operata dai docenti nelle diverse aree disciplinari richiede il dialogo e l’integrazione di teorie, modelli e saperi che fanno riferimento, da un lato, alla ricerca condotta nelle singole discipline, dall’altro agli studi e alle ricerche condotte nell’ambito della didattica generale. La finalità del convegno era quella di promuovere il dialogo fra il mondo della ricerca in Didattica generale e quello nella Didattica delle discipline. Crediamo che l’obiettivo sia stato raggiunto, contribuendo, con la qualità delle ricerche e dei contributi presentati, al dibattito in corso nel mondo istituzionale e politico. Un obiettivo che ci fa sperare in un percorso, anche se appena e lentamente iniziato, che ponga la questione della centralità e della complessità del processo didattico non come esigenza dei pedagogisti, ma come problema di quanti insegnano e di quanti determinano e/o contribuiscono alla formazione di coloro che opereranno nelle scuole di domani.

editoriale

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Inclusione e integrazione. Modelli alternativi o correlati di organizzazione?

Annamaria Curatola • Università di Messina - annamaria.curatola@unime.it

Inclusion and integration. Alternative or correlated models of organization? Nelle attuali pratiche educative e sociali si è ormai ampiamente affermato il criterio di mettere in atto una operatività fondata su solidi principi pedagogici posti in essere con l’assunzione di una coerente prospettiva di esito. In tale contesto, il livello di successo, sul piano sia quantitativo che qualitativo, appare strettamente connesso al rispetto dei vincoli di sistematicità, con l’adozione di modelli d’azione adattabili alla molteplicità e alla diversità dei contesti di riferimento, con l’accortezza di un controllo sistematico e critico del suo svolgersi, con la ricchezza della convergenza collaborativa e, non ultima, la sostenibilità del suo concretizzarsi con i mezzi realmente disponibili. I modelli organizzativi e gestionali di questa pratica trovano efficace rappresentazione in due basilari concetti, tra loro relativamente dissimili: quello di “integrazione” e quello di “inclusione”. Entrambi certamente efficaci, ma che danno luogo ciascuno a specificità applicativa, soprattutto sul piano organizzativo e gestionale, ma anche su quello della prospettazione degli esiti. Purtroppo il loro significato non sempre è ben chiaro, tant’è che spesso vengono concepiti in termini di sinonimia, con effetti certamente limitativi per la qualità stessa dei servizi (educativi e sociali) posti in essere. Da qui la necessità di soffermarsi, seppure in modo essenziale, sui rispettivi significati, sui principi ad essi sottesi e sulla loro reale utilizzabilità.

Keywords: integration, inclusion, educational services, person, quality

Parole chiave: integrazione, inclusione, servizi educativi, persona, qualità

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studi

In current educational and social practices it has been widely affirmed the policy of implementing operability based on sound pedagogical principles used with the hiring of a coherent prospect of success. An operation whose level of success, in terms not only quantitative but also qualitative, appears closely linked to the respect of systematic constraints, with the adoption of action models adaptable to the multiplicity and diversity of contexts of reference, with the foresight to systematically monitor and critic of its development, with the wealth of collaborative convergence and last but not least, the sustainability of its materialize with really available means. The organizational and management models of that practice are effective representation in two basic concepts, including their relatively dissimilar: that of “integration” and that of “inclusion”. Both certainly effective, but that give rise to each specific application, especially on the organizational and management level, but also on that of prospection outcomes. Unfortunately, the sense of their meaning is not always clear, so much so that often are conceived in terms of synonymy with the effects certainly limiting for the same quality of services (educational and social) in place. Hence the need to dwell, albeit in an essential way, the respective meanings, on the principles that underlie them and their real usefulness.


Inclusione e integrazione. Modelli alternativi o correlati di organizzazione?

Premessa

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Nonostante il prezioso contributo Index for inclusion: Developing Learning and partecipation in schools pubblicato da Tony Booth e di Mel Ainscow (2000/2011) e l’apporto riflessivo e critico riconducibile a Disability studies (a partire dagli anni ’80), ancora oggi si assiste ad interventi e contributi, ad opera di chi affronta temi di natura pedagogica e/o didattica, che denotano una certa ambiguità d’uso dei termini inclusione e integrazione. Alcune volte i due termini vengono utilizzati come sinonimi, e perciò collocati nelle argomentazioni in maniera indifferenziata e/o casuale, oppure sono presentati in forma del tutto ambigua (tutto e niente) ricorrendo alla combinazione integrazione/inclusione. Ciò accade nonostante F. Dovigo e D. Ianes, nella loro Introduzione all’edizione italiana del volume L’index per l’inclusione. Promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola (2008) (Gardolo, Trento: Erickson) e in quella successiva del 2014 (Roma: Carocci)1, avessero puntualizzato che ognuno dei due concetti ha in sé una specificità di significato e, quindi, ha una sua diversa incidenza sulle prassi educative e didattiche. Da qui la necessità di una riflessione ancora più attenta, se non critica, sui due concetti, entrambi legati al generarsi di un forte impegno sociale, atto a fornire alla persona risposte formative adeguate ed efficaci, dall’ambito scolastico a quello sociosanitario, da quello economico a quello della partecipazione sociale, dall’ambito della fruizione del tempo libero a quello della condivisione comunicativa. Risposte legate ai bisogni individuali e collettivi di tutte le persone, ivi inclusi tutti coloro che presentano disabilità, che sono espressione di culture ed etnie diverse, come anche di quelle persone che subiscono gli effetti di deprivazioni economiche e sociali.

1. Il modello relazionale dell’inclusione I temi che investono la persona e il suo contesto di appartenenza, non a caso oggi presentano un’attenzione privilegiata piuttosto diffusa, tanto nel dibattito culturale e politico, quanto nel variegato panorama della ricerca scientifica. Il principale motivo che sollecita detta attenzione è riconducibile al tentativo, ma anche alla necessità, di cogliere le diverse forme e modalità di manifestazione dei bisogni, individuali e/ o collettivi, onde pervenire a una loro condivisibile codificazione in validi modelli di rappresentazione. Modelli che non siano affatto fini a se stessi, né autoreferenziali, bensì intenzionalmente finalizzati alla progettazione e alla realizzazione di “servizi” per la persona, tali da garantire un

1 L’index è uno strumento ideato dal Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE) per promuovere l’inclusione nelle scuole

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sistema di vita che, nel contempo, risulti a misura di ciascuno e di tutti, oltre che realisticamente ed efficacemente sostenibile. È opinione condivisa che i modelli più accreditati modelli siano quello di “integrazione” e quello di “inclusione”. Ognuno di detti modelli ha indubbiamente un proprio impianto metodologico-strutturale che incide fortemente sulla rappresentazione e sul definirsi degli “atteggiamenti relazionali” tra le diverse componenti che vi entrano in gioco (soggetti interessati, famiglie, operatori, istituzioni, ecc.), con conseguenti effetti sul piano organizzativo e gestionale dei servizi. Per comprendere al meglio la differenza esistente tra le loro matrici fondative, dei loro postulati e della loro validità funzionale per la gestione dei servizi, è importante inquadrare l’affermarsi dei due modelli sul piano temporale: dall’iniziale proposta del modello integrativo, che trova collocazione istituzionale soprattutto in Italia negli anni ’70 del secolo scorso, a quello più condiviso, a livello internazionale, dell’inclusione. I due modelli sono tra loro “alternativi”? È possibile rilevare in essi elementi di correlazione, se non addirittura di complementarietà? Al modello dell’integrazione va riconosciuto il merito di aver contribuito fortemente alla promozione e al diffondersi di una solida coscientizzazione (Freire, 1971/2011) critica riguardo le diverse condizioni di emarginazione e di esclusione, denunciate a più voci sul finire degli anni ’60. Tuttavia, è da sottolineare che lo svolgersi delle esperienze della sua applicazione, soprattutto nella scuola, ha fatto emergere non pochi limiti sulla sua efficacia, pur dimostrando tutta la sua funzionalità per un aumento esponenziale della sensibilità sociale e culturale per le differenze. Di fatto, l’esito più appariscente di questo processo e della correlata modalità applicativa è stato il prodursi di nuovi comportamenti relazionali che hanno inciso significativamente nel dare vita a nuovi e più efficaci risposte in termini di qualità dei servizi destinati alla persona, soprattutto a quella deprivata nelle sue diverse componenti psico-fisiche. A sostenere questo percorso e a giustificarne la valenza etica e sociale è stata soprattutto la ricerca pedagogica, con un suo specifico settore d’indagine che ha progressivamente trovato configurazione nella “Pedagogia speciale”2. Dagli esiti di questa ricerca, sostenuta anche dal maturare e dal diffondersi di nuovi panorami scientifici e culturali, oltre che dalla presa d’atto dei punti di forza e di debolezza dell’applicazione del modello integrativo, prende corpo e si afferma il modello inclusivo. Ma quali relazioni esso ha col modello integrativo? La risposta a questa domanda comporta, inevitabilmente, la chiarificazione di quali siano le componenti fondative di tale modello. Entrambi i modelli (integrazione e inclusione) trovano le loro radici ispirative nel quadro più generale del Personalismo, sia esso critico, storico, etc. (quale quello di Dewey, Maritain, Mounier, Lombardo Radice, Catalfamo, Mencarelli,

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Si potrebbe anche dissentire da tale affermazione, ma è nostra convinzione che tutta la ricerca sulle ragioni dell’educazione e sugli orientamenti d’indirizzo inerenti la sua realizzazione abbia una radice unica: quella della Pedagogia. A questa, infatti, si riconosce la specificità del suo oggetto d’indagine centrato sull’assunzione della centralità valoriale della persona, quale entità originale, unica e irripetibile, dotata di un patrimonio di diritti inalienabili, fondativa di un sociale che deve prospettarsi come partecipativo, solidale, integrativo. La Pedagogia speciale, dunque, ha la stessa matrice culturale (ideologia e filosofica) della Pedagogia generale, seppure alla Pedagogia speciale vadano riconosciuti interessi e campi che vanno oltre quelli stessi della Pedagogia generale.

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Macchietti, per citarne solo alcuni), il cui impianto teoretico si fonda sul riconoscimento del valore inalienabile della persona e sulla presa d’atto delle variegate difficoltà e/o impedimenti che molte espressioni di essa hanno all’atto della formazione della propria identità e nella fruizione dei propri diritti (alla vita, alla crescita, al lavoro, alla fruizione dei servizi, alla partecipazione delle relazioni sociali, etc.)3. Di fatto, l’obiettivo comune dei due modelli resta quello fornire un deciso contributo per una migliore e più estesa coscientizzazione del sociale sulla necessità di porre fine, in ogni contesto sociale, a qualunque forma di emarginazione e/o di esclusione, assumendo come principio fondativo del loro impianto organizzativo e gestionale dei servizi l’importanza e la imprescindibilità della promozione, della valorizzazione e della tutela della identità (unica, originale e irripetibile) della persona, allo scopo di stabilire proposte condivisibili mirate a garantire a tutte le persone, senza alcuna esclusione, il diritto di affermarsi e di trovare adeguati spazi esistenziali nel tessuto sociale di appartenenza (integrandosi in esso, con una partecipazione attiva e, ove possibile, autodeterminata e condivisa. Tale matrice ecologica, affermata dal personalismo pedagogico (Croce & Pati, 2011), si riscontra anche nel modello integrativo biopsicosociale fornito dall’ICF4 (WHO, 2001). La persona è collocata al centro dell’indagine conoscitiva e la sua “partecipazione attiva” viene garantita dal dialogo tra le comunità educanti presenti nel territorio come unione d’intenti e presa in carico globale all’interno del “sistema formativo integrato” (Frabboni & Guerra, 1990). Come già detto, si tratta di una scelta non casuale, bensì basata sul più totale rispetto di principi etici già consolidati in ambito pedagogico generale (concetto di persona, universalità dei valori, libertà di scelta e di autodeterminazione, ecc.), oltre che motivata dal generarsi e diffondersi di una nuova e più incisiva sensibilità e solidarietà civile, quale esito della riflessione critica sul sociale e sui suoi servizi scaturita dalle contestazioni promosse dal movimento studentesco, negli anni ’60 e ’70. Scelta condivisa anche da altri campi d’indagine, quali quello della Pedagogia interculturale, della Pedagogia “istituzionale”, della sociologia, della psicologia, della psichiatria, ecc. L’esito, in campo educativo, di un siffatto processo di indagine e di ricerca, soprattutto in fase applicativa dei modi e delle strategie d’azione posti in essere, rivela che le soluzioni prospettate davano luogo a evidenti difficoltà e insuccessi, anche perché ad essere messe in gioco (come limitanti) non erano le inadeguatezze (organizzative, strutturali, d’esercizio) delle agenzie di servizio bensì la specificità delle persone che non riuscivano a raggiungere ottimali livelli di “ordinaria normalità”. Pertanto era necessario andare alla ricerca di altre vie e altri modelli. Tale presa di coscienza si materializza in modo deciso con la proposta di un nuovo modello di intervento, quello dell’inclusione, che non metteva in

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Per una più puntuale visione della problematica si rimanda a: D’Alessio et al. (2015); Lascioli (2014); Medeghini et al. (2013); D’Alessio (2012; 2013); Medeghini & Fornasa (2011/2014); Medeghini & Valtellina (2006); Oliver (1990). L’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) è uno strumento, elaborato dall’OMS, che consente di classificare il funzionamento, della disabilità e della salute, della popolazione.

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discussione i principi fondativi (Persona, Valori, Società equa, etc.) bensì agiva su un rimodellamento dei contesti in cui trova esplicitazione la relazione tra più soggetti in vista di traguardi condivisibili di partecipazione al godimento dei diritti e dei sevizi comuni. Si apre così un nuovo e più credibile e condivisibile spazio di ricerca e di proposta, verificando altresì se sia da intendersi come totalmente “alternativo” a quello dell’integrazione oppure, per diversi aspetti, possa dirsi “complementare” a questo. In effetti, la teorizzazione inclusiva si pone soprattutto come “orientativa” e “connotativa” di processi, modelli organizzativi, configurazioni di contesto, etc., basati non più sulla specificità dei disturbi o dei limiti della persona, bensì sulla capacità del sociale di offrire reali condizioni di maturazione individuale e di partecipazione attiva alle dinamiche del proprio ambiente di vita. Si passa, così, dalla visione clinica del problema a quella sociale. La convinzione condivisa è che il modello dell’inclusione si presti ad essere più positivo e coerente del modello integrativo, seppure sia legittimo e doveroso considerare quest’ultimo come un “modello ideale” di relazione e di vita verso cui tendere. Un modello, quello inclusivo, che va oltre ogni tentativo di “asservimento” della persona deprivata alle ragioni della presunta normalità, e che rifiuta le pratiche che ledono o non rispettano la specificità dei potenziali individuali. In buona sostanza, si può ritenere che la ricerca pedagogica speciale, con la scelta di un primo accostamento riflessivo all’idea di integrazione e con la successiva adesione al concetto di inclusione, abbia concretizzato un indubbio salto di qualità, culturale e scientifica, in linea con la teorizzazione del modello “riflessivo-critico” delineato da K. Popper. Questi sosteneva, infatti, che il vero scienziato non è colui che tende a dimostrare la validità dei propri assunti (come indicato da G. Galilei), bensì è colui che, assumendo il dubbio come atteggiamento riflessivo e critico, sa porsi in costante discussione e si dispone a rilevare gli “errori” che sono insiti nei propri costrutti. Lo scopo dello scienziato, precisa Popper, non deve essere quello dell’accertamento delle verità, bensì quello della verifica della falsificabilità delle ipotesi, per effetto di “errori” insiti in esse, così da procedere verso nuove e più approfondite indagini. In sostanza, secondo Popper (1972, p. 4), «la nostra coscienza si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori»; è la rilevazione degli errori che consente allo scienziato di cogliere nuovi orizzonti di senso per le sue idee e, conseguentemente, gli permette di ri-formulare le sue ipotesi. L’assunzione di tale atteggiamento riflessivo e di ricerca, in campo pedagogico, soprattutto quando l’attenzione è stata rivolta alle “diversità”, ha consentito di ispirare e garantire la formulazione di “ipotesi progettuali di qualità”, a sostegno di un’educazione tesa a migliorare le relazioni e la vita associativa. Ipotesi, queste, la cui caratteristica dominante è quella di riuscire a declinare e interpretare, in modo funzionale, i bisogni, individuali e collettivi, per organizzare e gestire contesti realmente più efficaci e sostenibili.

2. Una precisazione di ordine linguistico Alla revisione critica del concetto di integrazione e, di conseguenza, ad una più estesa diffusione e affermazione del concetto di inclusione, nel panorama culturale e scientifico internazionale, contribuisce non poco la diversificazione dei sistemi linguistici, oltre che la loro contestualizzazione temporale d’uso. In Italia, infatti, il termine integrazione deriva dalla parola latina integratio

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avente il significato di accrescimento, rinnovamento, e indicante una relazione di “reciprocità”. Motivo per cui esso è stato prevalentemente utilizzato per spiegare il “processo di accomodamento” che viene a stabilirsi tra gli individui. Processo, la cui prospettiva è la costruzione di una unità relazionale tra pari, da svolgersi in un contesto condiviso e compartecipato. Il principio di riferimento di detto concetto di integrazione è prevalentemente quello di “fusionalità” tra più parti costitutive, seppure non venga escluso anche il principio di cooperazione (ad esempio, fra più Stati). Per il vero, il termine integrazione, nell’accezione linguistica italiana, prefigura anche quello di inclusione, ma è evidente che non si esaurisce in esso. Motivo per cui ai due termini viene riconosciuta una diversa valenza significativa e, perciò, attribuito a ciascuno di essi una peculiare incidenza e un differente valore d’uso, soprattutto nella formulazione dei correlati progetti di vita e nella individuazione delle connesse condotte della loro realizzazione. La conseguenza che ne deriva è la possibilità di prefigurare corrispondenti modelli progettuali d’azione, da definirsi, per ciascuno di essi, con specificità di strategie e di processi. Modelli che, comunque, abbiano come obiettivo condiviso la “modificazione adattiva” delle persone (con disabilità o con differenze sociali, culturali, ecc.) e dei loro contesti di vita, assumendo sempre l’ottica di una sostanziale garanzia per ciò che riguarda l’equilibrio e la qualità delle loro relazioni. Nella lingua inglese, invece, il termine latino integratio ha progressivamente smarrito buona parte del suo significato originario, a tutto vantaggio di quello di inclusion, da cui l’aggettivo inclusive, il cui significato rimanda al predetto processo di “accomodamento”. Cosicché, in quest’ottica, inclusione e integrazione sono concetti fortemente assimilabili. Il concetto di integrazione che ha avuto modo di imporsi nella cultura, nella ricerca e nei dibattiti scientifici italiani, anticipando quello di inclusione, in realtà ha una sua precisa matrice storica. Agli inizi degli anni ’70, infatti, le tensioni sociali del tempo rivendicavano una maggiore attenzione per le forme di svantaggio e di esclusione, nel rispetto del principio fondamentale di garanzia di libertà e di condivisione di una democrazia sostanziale. In questo quadro, il concetto di integrazione è servito per combattere e rompere la cristallizzazione di un sistema di vita e di servizi conformati al principio della efficienza funzionale delle individualità rispetto alla realtà e alle aspettative della comunità sociale di appartenenza. Un sistema, questo, che fino ad allora (fine anni ’60) alimentava e giustificava (non sempre intenzionalmente, per la verità) l’esprimersi di variegate forme di esclusione e/o di emarginazione. Queste, peraltro, erano intimamente correlate con il livello di deprivazione dei potenziali di azione di cui disponevano i singoli soggetti, soprattutto quelli con bisogno di risposte di servizio “speciali” o, meglio, “specializzati” (Canevaro, 1999), così come dimostrano le politiche scolastiche e sociali di quel tempo. Di fatto, lo svolgersi delle esperienze di integrazione (non sempre ottimali), attuate soprattutto in ambito scolastico, e l’approfondirsi del dibattito e delle ricerche culturali e scientifiche hanno consentito una più puntuale presa di coscienza del problema, con la conseguente individuazione di nuovi, più concreti, più realistici, più funzionali modelli d’interpretazione dei contesti relazionali e del loro evolversi, anche attraverso l’azione formativa e la gestione dei servizi. Ad una attenta analisi comparativa, i due concetti (quello di inclusione e quello di integrazione) non appaiono affatto contrapposti, né alternativi tra loro, bensì delineano due distinti modelli di rappresentazione dei contesti relazionali e della loro proiezione di sviluppo, ciascuno correlato con uno specifico modello/progetto

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di vita associativa. Il primo di tipo “inclusivo”; il secondo di tipo “integrativo”. Tra i due modelli non v’è gerarchia di valore, seppure il secondo, rispetto al primo, appaia più una speranza, una idealità assoluta cui mirare, un sogno e un progetto (forse utopistico) da realizzare. L’opzione di scelta tra i due modelli, tuttavia, non risponde a criteri di casualità, tutt’altro. La scelta scaturisce sempre da una consapevole e responsabile presa d’atto della specificità conformativa delle entità poste in relazione e dei contesti di relazione. Specificità legata alla peculiarità e alla diversità di ciascuna persona e ai relativi potenziali di sviluppo, che spesso sono tra loro anche significativamente differenti. Pertanto, il concetto di inclusione si basa su un modello di progettualità e d’azione in cui i referenti (soggetti in relazione) hanno, e manterranno nel tempo, caratteristiche d’identità abbastanza dissimili tra loro, tali da non permettere di prefigurare la possibilità che vengano a stabilirsi significative forme e modalità di “accomodamento”, riferito al quadro teorico di Piaget (1952) o di “interscambio” relazionale di tipo integrativo (Parsons, 1951), bensì consentano di favorire un “accomodamento ragionevole” tra le parti, secondo il quadro normativo indicato nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006, p. 4). Con il modello inclusivo, trovano così piena concretizzazione la scelta e l’impegno per il superamento di qualsiasi forma di emarginazione e/o di esclusione, facendo affidamento sul rispetto integrale delle differenze (personali, culturali, etniche, etc.) e la messa in atto di conseguenziali azioni di tutela delle specificità. Siffatte condizioni fanno da sfondo progettuale e da criteri di orientamento d’azione per garantire a ciascuno e a tutti la “condivisione” intenzionale e funzionale del contesto di vita, oltre che l’esercizio di pari opportunità nella gestione delle attività e dei servizi indispensabili al più totale soddisfacimento dei bisogni e alla fruizione incondizionata dei fondamentali diritti esistenziali. Le regole fondamentali che sostengono questo modello, ovviamente, sono quelle del rispetto/tutela delle minoranze, della solidarietà e della comunione, nel senso cristiano del suo significato, che è ricerca, scoperta, valorizzazione dell’altro da sé. Viceversa, il concetto di integrazione si basa sul presupposto che le individualità presentano caratteristiche d’identità, riferibili all’assunzione e alla gestione intenzionale e padroneggiata di conoscenze, competenze, abilità (progettuale e operativa), fortemente interscambiabili e compatibili con lo svolgimento di forme d’azione, condivise e compartecipate, basate sulla paritaria fruizione di strumenti, servizi, modalità e processi d’azione, etc., ed aventi per prospettiva un sistema unitario di appartenenza. La relazione inclusiva può anche perdurare nel tempo e non esaurirsi in alcuna soluzione esistenziale integrativa, nel senso che il sistema di appartenenza viene a definirsi con la composizione variegata delle diverse “presenze”, senza vincoli prospettici prestabiliti, per scelta ideologica di parte (rappresentata solitamente dalla maggioranza elitaria o da gruppi di potere forte). Il processo integrativo, invece, ha una proiezione che si completa e si risolve nella realizzazione di un sistema eco-esistenziale in cui la parte minoritaria (che rappresenta la “differenza”) è assorbita, assimilata, dalla maggioranza nel proprio sistema di appartenenza. Di conseguenza, si ha la negazione del valore proprio della differenza, riferita tanto alle individualità quanto ai gruppi. Paradossalmente, a differenza del modello inclusivo, nel modello integrativo trovano espressione, e in un certo senso anche spazi di legittimazione, la priorità della valorizzazione dei capaci e dei meritevoli, e di qui la competitività tra pari che alimenta forme più o meno esplicite di emarginazione e/o di esclusione.

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Se si ha riguardo ai due concetti nell’ambito degli sviluppi della letteratura pedagogica speciale italiana, l’affermazione appare condivisibile. Tuttavia, ad un’analisi più attenta, la questione merita un approfondimento. Per comprendere meglio la differenza di significato, forse è opportuno richiamare il contesto scientifico di maggiore riferimento, che è poi quello d’origine, in cui il termine inclusione viene utilizzato, ossia quello matematico.

3. Il concetto matematico di inclusione

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Il concetto base di inclusione è presente nella teoria degli insiemi. Esso è utilizzato per definire la relazione che viene a stabilirsi tra gli elementi di due insiemi, laddove gli elementi della relazione appartengono ad entrambi gli insiemi. Più propriamente, assumendo a riferimento l’insieme A (es. soggetti con problemi) e l’insieme B (es. la maggioranza dei soggetti), si parla di inclusione stretta per indicare che vi sono elementi (comportamentali, contenutistici, abilità, etc.) di B che sono comuni ad A (C), ma che esistono anche elementi che sono propri di A e di B e che ne contraddistinguono la differenza di identità. Il modello che ne deriva, rappresentabile con l’immagine che segue (Fig. 1), è descrittivo di una relazione tra entità diverse, riferibile a vari contesti: famiglia, scuola, sociale (nelle sue variegate formazioni associative e/o organizzative). Non è un caso che detto modello sia diventato parte integrante dell’apparato culturale e scientifico della Pedagogia interculturale, e da qualche tempo anche della Pedagogia speciale. Non a caso, Santi e Ghedin (2012), soffermandosi sul tema, puntualizzano che l’inclusione è assimilabile ad una «relazione di elementi di due insiemi, tale che gli elementi della relazione appartengono ad entrambi gli insiemi. L’essere inclusi o contenenti non è una determinazione propria degli elementi, ma ciò che emerge da una relazione tra gli insiemi di appartenenza. L’asimmetria che caratterizza questa relazione fa sì che si preservi l’identità degli insiemi pur nella reciproca appartenenza degli elementi coinvolti nella relazione [...] L’inclusione riguarda dunque la relazione tra elementi considerati entro gli insiemi, non indipendentemente da essi» (p. 100). !

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Fig. 1: La relazione “inclusiva”

Nell’ambito dei suoi costrutti scientifici la Pedagogia speciale ha ritenuto opportuno attribuire maggiore valenza funzionale al modello “inclusivo”, andando oltre, ma non rinnegando, il modello “integrativo”. È evidente, però, che sebbene il modello inclusivo configuri l’esito di una evoluzione culturale e scientifica, andando così oltre il modello dell’integrazione, entrambi i modelli rappresentano

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in misura efficace la relazionalità tra identità differenti e configurano un progetto correlato di proposta, anche perché entrambi sono utilizzabili per assolvere tre diverse funzioni: come filtro critico, per le esperienze che hanno caratterizzato, nel tempo, il progressivo svolgersi delle dinamiche relazionali in contesti di riferimento ben definiti; come prospettiva progettuale, per assegnare un orizzonte di senso alle politiche dell’accoglienza, della convivenza pacifica, della sostenibilità dello sviluppo socioambientale, dell’interscambio culturale; come criterio di condotta, per la predisposizione e la realizzazione di una progettualità d’interventi, in termini di sostenibilità e di condivisibilità. Nello specifico, il modello “inclusivo” configura una situazione di classe nella quale l’unità B, riferita ad una persona con bisogno di “risposte speciali”, è una “parte” componente di A (la classe), ma si distingue da questa in quanto essa (B) esprime propri e specifici caratteri e connotati di identità, che la costringono a esprimere spesso marcate forme di autoreferenzialità. Purtuttavia, tra A e B vi sono aspetti di condivisione identitaria e/o comportamentale (C) che li accomuna e che permette loro di interagire. In un contesto scolastico, la “relazione di inclusione” si instaura efficacemente se viene sfruttato il potenziale di interazione che li accomuna e, nello stesso tempo, viene facilitato e garantito tra le parti (A e B) l’interscambio intenzionale dei ruoli, degli atti e delle esperienze, seppure con la “mediazione” degli operatori scolastici, finalizzandoli al raggiungimento della formazione equilibrata, integrale e integrata della personalità di ciascuno e orientata alla massima condivisione. Mediante l’azione inclusiva, in buona sostanza, è possibile prefigurare e garantire lo svolgimento di una intenzionalità formativa basata sulla condivisione della finalità educativa e realizzata nel più totale rispetto delle specifiche e differenziate potenzialità individuali, assumendo a riferimento della contestualizzazione progettuale e d’azione tutto ciò che appartiene e/o è comune ad A e a B, e che viene configurato in C. Inoltre, nella gestione di detta operatività viene recuperata e valorizzata ogni espressione personale di identità (il carattere evolutivo della personalità, il bisogno di stabilire positive e rassicuranti relazioni affettive, comunicative, sociali, di produzione e di scambio, la necessità di esperire l’esercizio delle esperienze), avendo altresì riguardo alle effettive condizioni di fruibilità del “servizio” formativo (spazi e tempi, organizzazione, strategie, strutture e servizi, risorse, raccordi con l’extrascuola, etc). È evidente che, quanto più gli elementi distintivi di A e di B, soprattutto quelli di ordine cognitivo e relazionale, sono ridotti, tanto più è possibile attivare efficaci processi d’interazione e d’integrazione tra le parti. Processi che evidentemente non dovranno mai essere di tipo “assimilativo”, nel senso che B deve rinunciare ai propri caratteri distintivi di identità in funzione e/o in aderenza fusionale a quelli di A, e viceversa. È da sottolineare, comunque, che troppo spesso l’azione volta all’integrazione si è dimostrata “debole”, debordando dalle sue intenzionalità etiche e alimentando sofisticate, e non sempre mascherate tendenze “assimilative”, con la presunzione di dover ricondurre una parte (quella minoritaria o debole) al tutto (es., con la dissoluzione di B in A - che è anche negazione di B come entità differenziata) e l’affermazione dell’unicità indistinta dei valori e delle connotazioni di A (Fig. 2), che rappresenta, nel caso di specie, il gruppo maggioritario considerato “nella norma”.

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Fig. 2 – La proiezione “assimilativa” di una integrazione “ideologicamente debole”

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La comprensione dell’importanza del criterio inclusivo può essere favorita con il rimando all’assunto, proprio del filosofo tedesco J. Habermas, che inclusione «non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche -e soprattutto- a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere» (Habermas, 1998, p. 10). In estrema sintesi, le relazioni che vengono a stabilirsi tra le parti, nel processo di inclusione, sono funzionali alla formazione di una nuova identità di appartenenza, indicata in C (Fig. 3). Una identità che non è conformata esclusivamente su quella di A o su quella di B, ma che declina l’esito della conciliazione tra i bisogni, le attese e le potenzialità d’azione di A e di B. Conciliazione non forzata, né imposta, bensì quale esito di un’azione concertata e condivisa tra le parti, scaturente da una libera e motivata scelta. Un’azione intenzionale che ha il pregio di mirare ad affrancare ciascuno e tutti da ogni condizione di esclusione e/o di emarginazione sociale e che, pertanto, assume significato pregnante nella misura in cui contribuisce alla realizzazione di un sistema di appartenenza (scolastica o sociale che sia) conformato a significativi principi valoriali e declinati in comportamenti basati sul rispetto integrale della persona, sul dialogo, sulla ricerca e sulla valorizzazione di tutto ciò che unisce. Nei valori di cui sopra, risiede l’enorme valenza pedagogica del criterio inclusivo. Ogni azione, soprattutto in campo educativo, ma anche sociale, rappresenta l’esito dell’esplicitarsi di un solidale, intenzionale e costruttivo “confronto” tra le parti, e trova motivazione, supporto e significati di senso, nella tutela incondizionata delle differenze, nella valorizzazione delle potenzialità individuali, nella garanzia di efficaci relazioni di aiuto – da intendersi come caritas cristiana, che è ricerca e incontro con l’altro (Lo Giudice, 2006) –. In sostanza, con l’inclusione si favorisce l’attuazione di un positivo processo di crescita individuale e sociale, con la prospettiva di un’efficace integrazione sociale quale esito di un processo “ideologicamente forte”, che si attua quantomeno nella “speranza” di riuscire a dare vita a una nuova e comune identità (C) che vada oltre ogni originaria differenza presente nelle specificità di A e di B. Un processo che va sostenuto, con un responsabile e critico impegno alla reciprocità e alla condivisione, da tutte le parti in causa, senza esclusioni (Fig. 3).

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Fig. 3 – Esito di un processo di integrazione “ideologicamente forte”

Una siffatta prospettiva trova fondamento, per l’appunto, nei costrutti teorici e teoretici di tutto il “Personalismo”, da quello filosofico a quello pedagogico, da quello dogmatico a quello storico e a quello critico. Tutti incentrati sul principio dell’unicità, della irripetibilità e della valorialità della persona. Principio che costituisce, altresì, il presupposto ispirativo e orientativo (sul piano delle proposte operative) di altre scienze, per molti aspetti “ausiliarie” alla pedagogia e alla didattica, quale quello psicologico e quello psichiatrico. Proprio in questi ambiti, infatti, viene coniato l’aforisma “visto da vicino nessuno è normale”, diffusamente attribuito a F. Basaglia5. Alla luce di quanto esposto, è fondamentale proporre nuovi modelli pedagogici che consentano il superamento delle categorizzazioni concettuali e delle diversità personali. Tra gli attuali orientamenti internazionali l’Universal Design6 for Learning (UDL) rappresenta quello di maggiore interesse. Tale approccio ha origine negli Stati Uniti presso il CAST (Center for Applied Special Technology), una organizzazione no profit di ricerca e sviluppo, fondata da D. Rose e A. Meyer (1984), per proporre soluzioni innovative relative all’apprendimento degli studenti con disabilità Il CAST ha anche sviluppato delle Linee guida (2011) che hanno consentito di rendere più “concreto” tale approccio. Tre sono i principi fondamentali che, basati sulla ricerca neuroscientifica (S. Della Scala, 2016), definiscono la struttura sottostante dell’UDL: fornire molteplici mezzi di rappresentazione (il “cosa” dell’apprendimento); fornire molteplici mezzi di azione ed espressione (il “come” dell’apprendimento); fornire molteplici mezzi di coinvolgimento (il “perché” dell’apprendimento). Ispirandosi a questi principi, già presenti in Rose, Meyer e Hitchcock (2005) (2005), la ricerca educativa, soprattutto quella speciale, è sempre più impegnata a proporre modelli efficaci di riferimento per favorire lo svolgersi di una migliore qualità della vita per tutte le persone, affrontando consapevolmente e superando ogni forma di resistenza e/o di limitazione.

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A Franco Basaglia si deve la legge 180 che nel 1978 consentì la chiusura dei manicomi e impose a tutta la collettività l’assunzione della responsabilità sociale e civile dell’assistenza e della tutela dei “disabili mentali”. Il termine Universal Design è stato utilizzato per la prima volta negli anni ’80, dall’architetto Ronald Lawrence Mace, dell’Università della Carolina del Nord per indicare una progettazione che promuoveva la realizzazione di ambienti abitativi, costruzioni e di prodotti d’uso quotidiano che potevano essere usati dal maggior numero di persone.

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L’aspirazione principale, connessa a questo impegno, è quella di fornire un nuovo angolo visuale, che è poi anche una nuova dimensione culturale, sia alla ricerca pedagogica, sia al sociale, per indicare strategie e percorsi destinati all’affermarsi del valore e della dignità della persona, senza alcuna esclusione.

Riferimenti bibliografici

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Documentation et inclusion: un dispositif original de recherche-intervention basé sur des méthodes combinées en France

Muriel Frisch • Université de Lorraine - muriel.frisch@univ-lorraine.fr

Information-documentation didactic and inclusion, a research-intervention using combined methods La recherche intervention “Information-Documentation et inclusion” relatée dans cet article s’inscrit dans le contexte des nouveaux programmes d’enseignement du premier degré et du collège en France qui réaffirment la promotion d’une école inclusive pour mieux scolariser les élèves en situation de handicap. Elle concerne un collectif de professeures-documentalistes de lycées professionnels et de collège bénéficiant dans leurs établissements respectifs d’un dispositif d’Unités Localisées pour l’Inclusion Scolaire (ULIS). Elle montre comment les professeures-documentalistes sont impliquées dans l’évolution de leurs pratiques professionnelles, et dans ce que nous avons appelé des formes d’ “efficacité réflexive”. Nous présentons le dispositif original de recherche-intervention et les méthodes combinées utilisées pour déboucher sur une caractérisation de sept types “d’interactions didactiques”.

Keywords: information-documentation didactic, inclusion, tailored teaching, research-intervention, reflexive thinking effectiveness, didactic-interaction.

Mot clés: didactique de l’information-docu-

mentation, inclusion, didactique adaptée, recherche-intervention, efficacité réflexive, interaction-didactique

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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The research intervention “Information-Documentation and inclusion” reported in this article falls within the context of the new primary and lower secondary school curriculum in France that are promoting inclusive schools as a better alternative for students with disabilities. It regarding a group of vocational high schools and college female professor-documentalists, benefiting in their respective institutions from Localized Units for Inclusive School (LUIS). Professorsdocumentalists are thus involved in the evolution of their professional practices, and in what we have called forms of “reflexive thinking effectiveness”. We are presenting the original mechanism of research-intervention and the combined methods we used. They lead us on to a characterization of seven types of “didactic interaction”.


Documentation et inclusion: un dispositif original de recherche-intervention basé sur des méthodes combinées en France

Introduction

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Les pays membres de l’OCDE organisent l’ambition inclusive autour de l’affirmation et de la concrétisation du droit à l’éducation et de la réponse aux besoins éducatifs des élèves tels qu’appréhendés par la Classification Internationale Type de l’Éducation (CITE) de l’UNESCO. Celle-ci relie la définition du besoin éducatif particulier à la mobilisation de soutiens et d’adaptations pédagogiques “du fait de désavantages au niveau des capacités physiques, comportementales, intellectuelles, émotionnelles et sociales” d’après des préconisations de l’UNESCO de 2011. (Cnesco, 2016). En France, l’implication de l’éducation nationale dans l’accueil des personnes en situation de handicap est devenue une priorité majeure qui, pour être menée à bien, invite les professionnels à engager une réflexion pour favoriser la réussite de l’inclusion et de l’adaptation de ces élèves en établissement ordinaire. Les nouveaux programmes d’enseignement du premier degré et du collège (2013)1 ont réaffirmé la promotion d’une école inclusive pour mieux scolariser les élèves en situation de handicap. Il s’agit de renforcer le travail de coopération entre enseignants spécialisés, psychologues scolaires, enseignants, Accompagnants des Elèves en Situation de Handicap (AESH) anciennement Auxiliaire de Vie Scolaire (AVS), éducateurs. Les professeurs-documentalistes en France sont des enseignants qui comme tous les enseignants passent un CAPES2 (CAPES de documentation) et sont concernés par l’inclusion des Elèves en Situation de Handicap. En tant que formateurs, et aussi qu’acteurs qui accueillent les élèves, ils sont des professionnels et partenaires incontournables de cette inclusion (Baur&Meyer, à paraître). Ils contribuent à former et à accompagner tous les élèves à construire une relation avec « l’info-diversité » qui les ’entoure (Frisch, 2014). C’est dans ce contexte que le groupe de recherche-intervention3 «Information-Documentation et inclusion» a été créé dans l’académie de Nancy-Metz, en 2013. Elle a pour visée de renforcer la formation des documentalistes dans le

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LOI d’orientation et de programmation pour la refondation de l’école de la République JORF n°0157 du 9 juillet 2013 En ligne : https://www.legifrance.gouv.fr/ affichTexte.do; jsessionid=?cidTexte=JORFTEXT000027677984&dateTexte=&oldAction=rechJO&categorieLien=id Certificat d’Aptitude au Professorat de l’Enseignement du Second degré. Sous notre responsabilité scientifique et co-encadré par Nathalie Baur PRCE de documentation, chargée de mission auprès des IA/IPR EVS et à l’initiative de monsieur JeanMarc Marchal Inspecteur d’Académie Etablissement et Vie scolaire, Conseiller Technique Académique Adaptation Scolaire et Scolarisation des élèves handicapés. Y participent 15 professeures-documentalistes de lycées professionnels et de collèges bénéficiant dans leurs établissements respectifs d’un dispositif ULIS et venant de Nancy, Metz, des Vosges et de la Meuse.

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champ de la didactique de l’Information-Documentation adaptée à une politique d’inclusion. Cette communication montre comment des professeures-documentalistes s’approprient la question de l’inclusion articulée au champ professionnel de la documentation et au champ de recherche scientifique didactique de l’InformationDocumentation. Elle relate comment elles se sont impliquées dans l’évolution de leurs pratiques professionnelles et dans des formes d’«efficacité réflexive» (Frisch, 2015). Après avoir présenté notre cadre méthodologique, nous allons exposer le dispositif original de recherche-intervention et les méthodes combinées utilisées pour déboucher sur une caractérisation de sept types «d’interactions didactiques».

1. Cadre théorique 1.1 La recherche-intervention: un type de recherche Selon Albert David (2000) se référant à un ensemble de travaux menés en sciences de gestion notamment ceux de Hatchuel (1986, 1994) de Moisdon, (1984, 1997), la recherche-intervention repose essentiellement sur cinq principes méthodologiques: le principe de rationalité accrue, il s’agit de penser la mise en comptabilité de relations et de savoirs nouveaux; le principe d’inachèvement, qui indique qu’il est impossible de spécifier à l’avance le chemin et les résultats d’une recherche intervention: c’est le but du dispositif que de générer des connaissances nouvelles de nature à faire évoluer l’organisation; le principe de scientificité, le chercheur n’est pas «l’expert des experts» mais doit s’interroger sur les conditions de validation des savoirs mobilisés au cours de l’intervention; le principe d’isonomie qui indique que «l’effort de compréhension doit s’appliquer également à tous les acteurs concernés». L’intervention elle-même doit donc se traduire concrètement par la mise en place d’un système d’échanges entre acteurs qui respecte à la fois recherche de vérité et démocratie; le principe des deux niveaux d’intervention qui indique que la recherche intervention suppose à la fois un dispositif d’intervention et une démarche de connaissance: «la démarche de connaissance est une démarche activatrice, dans laquelle le chercheur stimule la production de nouveaux points de vue». Il nous semblait intéressant de reprendre ces principes qui posent un cadre épistémologique de référence possible pour situer notre recherche, en nous référant également à certains principes clés et originaux dégagés de la recherche-action-formation que nous avions vécue précédemment (Frisch, 2014). Nous avions souligné, en effet, l’importance dans ce type de recherche d’instaurer: une forme de temporalité de la recherche (prévoir et organiser les temps de regroupement, les temps de recherche intra et extra muros, les temps de mise en commun, de questionnement, d’analyse); un moment d’émergence (il s’agit de laisser émerger le savoir des acteurs); un premier temps d’action (en songeant à la mise en place d’un dispositif, d’un projet de recherche distinct mais parfois en corrélation avec un dispositif de formation, d’éducation); un protocole commun d’observation et d’analyse; d’intégrer aussi des concepts didactiques au cours de la recherche, par exemple «mise en interaction didactique»; d’exploiter des traces variées; de favoriser une «circulation et un mouvement de savoirs» (par exemple en intégrant des dispositifs techniques comme les plateformes numériques); d’impliquer les acteurs dans la production et la communication (par exemple dans un colloque) (Frisch, 2013). Si l’on retrouve certains principes évoqués, la mise en place de ce nouveau

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dispositif de recherche-intervention possède aussi ses propres caractéristiques (voir point 2). 1.2. Caractérisation de nos propres concepts4: «didactique adaptée», «professionnalité accentuée» et «efficacité réflexive»

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Il faut préciser qu’en parallèle à ce groupe en recherche, nous travaillons depuis 2011 avec un autre groupe5 constitué de professionnels spécialisés dans l’Accompagnement des personnes en Situation de Handicap (ASH) dans le mouvement de savoir impulsé par la loi d’orientation de 20056 de l’intégration vers l’inclusion: «… l’action poursuivie vise à assurer l’accès de l’enfant, de l’adolescent ou de l’adulte handicapé aux institutions ouvertes à l’ensemble de la population et son maintien dans un cadre ordinaire de scolarité, de travail et de vie. Elle garantit l’accompagnement et le soutien des familles et des proches des personnes handicapées». Le savoir d’expérience y est conçu comme une mise en récit à explorer entre pratique réflexive et didactique professionnelle. Et avec cet autre groupe nous avons posé qu’il existe une «didactique adaptée» aux publics à Besoins éducatifs Particuliers et des formes d’accompagnement adaptées qui contribuent à une «professionnalité accentuée». Six éléments clé de la «professionnalité accentuée» ont été dégagés au sein de ce que nous avons appelé une «didactique adaptée». Parmi eux par exemple: l’acceptation de l’impossibilité du générique et donc le refus du leurre de «bonnes pratiques» valables pour tous les élèves, la compréhension de l’inconfort liée aux temporalités particulières, le fait d’accepter que l’élève devienne prescripteur (Paragot, 2013; 2014). Nous avons mis au jour également, en référence à des pratiques professionnelles exercées plutôt dans le premier degré, un premier moyen d’action favorable au travail d’accompagnement éducatif, de socialisation, d’apprentissage et proposé un modèle systémique avec le trio et les relations entre «la Famille-l’Enfant/Elève-l’Enseignant» engagé dans la visée commune (Frisch, Zapata, 2013). La question peut se poser aussi à partir des compétences mises en œuvre par les professeures-documentalistes, concrètement, le travail des professeures-documentalistes en situation d’inclusion met-il en œuvre des formes de didactique adaptée et d’accentuations professionnelles? Dans des recherches antérieures nous avons également caractérisé 12 indices «d’efficacité réflexive». Par exemple le passage pour les professionnels: de l’intuition à l’art du questionnement, de formes d’étonnement à la construction d’une problématisation pour agir, de prise de conscience à la conceptualisation. Ce qui est également mis à l’œuvre dans cette recherche.

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Frisch M. (2016). Emergences en didactiques pour les métiers de l’humain. Paris: L’harmattan. Piloté en collaboration avec Jean-Marc Paragot enseignant à l’université de Lorraine co-responsable du master Ingénierie de formation de formateurs. Loi n°2005-102 du 11 février 2005.

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2. Ce qui caractérise notre dispositif de recherche-intervention 2.1. Un dispositif qui fait alterner des temps en présentiel et des temps en formation à distance Les regroupements7 se font soit en établissement scolaire, soit à l’Ecole Supérieure du Professorat et de l’Education (ESPE), soit à distance à la Mission Formation (MIFOR). Pour le travail à distance, il a fallu que nous nous adaptions à la démarche d’utilisation de la plateforme Centra. Chaque participant devant disposer d’un poste informatique et d’un casque avec microphone. Le poste informatique nécessitant d’être installé dans un endroit qui permette de travailler dans des conditions favorables. L’accès à Centra se fait à partir du site académique pour pouvoir accéder à une «réunion» ou à un «évènement». Nous avons pu, lors de certains temps, communiquer à distance en interactions verbales «par audio» et en interactions par écrit «par le Chat». Nous avons interagi autour de «documents-ressources» utilisés par les professionnelles8 qui avaient été déposés précédemment sur «Google Drive». Nous avons été confrontés à certains obstacles au cours de ces moments à distance. Par exemple le fait que le travail en recherche-intervention, pour certaines collègues, se réalisait en même temps qu’une autre séance de travail dans le même espace, ou encore, en même temps que l’accueil des élèves. 2.2. Un dispositif qui implique les professionnels dans la conception du corpus de données Au cours de l’année 2014-2015, nous avons élaboré un corpus d’extraits vidéos en fonction d’opportunités de projets en cours dans les établissements scolaires du premier et du second degrés. Le projet de recherche-intervention s’est stabilisé à partir des activités et des pratiques menées dans les établissements. Elles ont été recensées, décrites, présentées en collectif. Les professeures-documentalistes se sont réparties le travail. Les auteurs des vidéos ont indexé les films et leur ont attribué un titre, traduisant l’objet sur lequel porte le document. Par exemple: «Les discriminations comme l’homophobie», «l’Inclusion IMPro Ulis», «La nuit européenne des musées», «La valise de lecture (Lecturique)», «Rencontre autour d’un auteur», «Le travail de persuasion en lycée» (il s’agit de déclencher l’envie d’aller en sortie pédagogique à Bruxelles en relation avec un projet de travail autour de la Bande dessinée). 2.3. Un dispositif qui implique des médiations techniques et humaines Nous avons élaboré un espace de partage et de travail sur «Google Drive», sur lequel nous avons déposé les extraits vidéos et un ensemble de documents en lien avec la recherche. Notre méthodologie s’est élaborée progressivement avec le col-

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20 heures chaque année. Exemples de séquences pédagogiques, de projets, de lectures de références pour les apprenants, de corpus d’ouvrages de référence pour alimenter la réflexion du groupe avec bibliographies sélectives, de vidéos en séance d’inclusion réalisées par les membres du groupe pour cette recherche.

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lectif. Nous avons utilisé les comptes rendus de chaque séance et les enregistrements de chacune de nos interventions. Nous avons également prévu des temps d’interventions de professionnels extérieurs au groupe sur différentes thématiques liées à l’inclusion, pour approfondir nos connaissances. Par exemple une enseignante chargée de missions académique pour la scolarisation des élèves handicapés en Ulis collège et lycée est intervenue sur les questions de l’adaptation pédagogique pour les élèves porteurs d’un handicap cognitif, en accentuant la thématique des différents troubles des fonctions cognitives. 2.4. Un dispositif qui prend en compte des interactions langagières

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L’interaction pour les acteurs de la psychologie sociale peut être définie comme « la relation dynamique de communication et d’échange d’information entre deux individus ou entre plusieurs individus à l’intérieur d’un groupe. […] Dépassant le concept de relation, l’interaction implique un véritable processus, conscient ou inconscient, de construction et d’échange mutuel» (Raynal&Rieunier, 2009). L’apprentissage en formation-recherche d’adultes se réalise souvent «grâce aux interactions entre collègues et individus réunis dans une même situation» (Coulombe, 2012)9. On peut se référer aussi à la synthèse « Interaction et apprentissage» (Darnis, 2010) sur l’évolution des travaux en psychologie sociale du développement et dans la littérature pédagogique et didactique. On y mentionne entre autres des types de coélaborations entre les partenaires en référence par exemple aux travaux de Gilly, Fraisse et Roux (2001).

3. Co-élaboration d’outils de recensement et de lecture des pratiques et mise en œuvre de techniques de confrontation et d’auto-confrontation croisées pour analyser «le faire» 3.1. Elaboration d’un premier outil de recensement et de lecture des pratiques professionnelles Au cours de l’année 2014 nous avions co-élaboré une «Première Grille de lecture de situations mobilisatrices de travail»10 avec certains indicateurs d’observation et d’analyse que nous avons dégagés à partir des expériences relatées au cours des échanges entre les membres du groupe, et, de corpus de traces mises en commun et déposés sur la plateforme numérique. Nous la présentons «en l’état» à ce jour.

9 Théorie de Wenger (2005) citée par Coulombe, Sandra (2012). 10 Disponible intégralement à l’adresse : http://wikidocs.univ-lorraine.fr/display/IUFMIDEKI/Grilles+de+lecture+de+situations+mobilisatrices+de+travail.

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L’accueil de l’élève ULIS au CDI inclus dans classe ordinaire dans la classe Segpa en autonomie dans le groupe/dispositif Ulis par groupe de niveau (6e-5e) (4e-3e)

Les partenaires/Les collaborateurs professeur ULIS : collège/LP (avec CAPASH) AESH (ex. AVS) professeurs des autres disciplines COP/CPE infirmière/assistante sociale Les intervenants extérieurs institutionnels culturels associatifs domaine de la santé autres (préciser) Les types de projets lecture ouverture culturelle orientation vivre ensemble apprentissages info-doc Modalités de travail Les lieux CDI Salle ULIS Salle informatique Autres lieux (préciser)

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Support horaire Types de travail Travail de groupe Travail individuel Dispositifs Emploi du temps de la classe d’inclusion Emploi du temps du dispositif Ulis Initiation Démarche Documentaire Heure de permanence Autre (préciser) Situation d’enseignement-apprentissage (didactique) Les activités mises en place (le déroulement) Ressources pédagogiques, adaptées Documentaires Fictions Périodiques Usuels Autres (préciser) Documents fournis aux élèves Adaptations/Différentiations Elèves inclus Le groupe ULIS

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Les outils numériques Logiciels Médias (vidéo/audio) Portails (ENT/esidoc Autres (préciser) Les supports TBI Ordinateurs Tablettes Tableau blanc Les notions/capacités/items infos documentaires Du côté des documentalistes Du côté des élèves L’évaluation Auto-évaluation Sommative Compétences du S3C Savoirs/Compétences Matrices de référence PACIFI S3C Référentiels des professeurs documentalistes EMI (Education Aux Médias et à l’Information) Bilans/synthèse Synthèse Remédiation envisagée

Fig. 1: Première Grille de lecture de situations mobilisatrices de travail

Dans la matinée du 5 mai 2015, chaque groupe constitué de deux ou trois professeures-documentalistes a choisi un extrait vidéo qui a été réalisé par une autre collègue. L’auteur de la vidéo n’est donc pas dans le groupe. Chaque groupe a eu pour consigne d’enregistrer les interactions en relation avec l’extrait. Chaque groupe avait en sa possession cette première grille de lecture intitulée «Grille de lecture de situations mobilisatrices de travail». 3.2. Proposition d’un deuxième outil d’analyse intitulé «matrice curriculaire et développement» Un «groupe test» composé de deux professeures documentalistes et de nous-même avions en notre possession un autre outil de lecture et d’analyse intitulé «prototype de matrice curriculaire et développement» (Frisch, 2016a). La matrice curriculaire exige un équilibre systémique et complexe entre différents éléments pour construire une culture, des savoirs, des apprentissages documentaires et informationnels en accordant de l’importance au développement du sujet, à sa singularité, à ce qui peut faire évènement pour lui, pour le professionnel voire les deux. «Elle permet aux professionnels de considérer une approche plus globale de la situation d’apprentissage, en faisant coexister une pluralité d’éléments selon différentes dimensions (formation, pratiques formelles et non formelles), et en prenant en compte les résultantes des interactions entre les composantes de la matrice» (Baur&Meyer, à paraître).

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Fig. 2: Matrice curriculaire et développement

3.3. Utilisation des techniques de confrontation et d’auto-confrontation Au cours de l’après-midi, cette fois en grand groupe, et, dans la continuité des premières lectures effectuées le matin, nous avons choisi de porter notre regard sur la vidéo intitulée «l’Inclusion IMPro/Ulis». Nous utilisons la technique d’autoconfrontation croisée qui favorise la verbalisation et la décentration. L’auteure de la vidéo V. est devant le groupe (et en particulier celui qui le matin a analysé l’extrait vidéo à l’aide de la première grille de lecture) et devant la chercheure. Comme pour la technique d’auto confrontation ou simulated recall (Gass et Mackey, 2000) nous allons «stimuler le souvenir» de la professeure-documentaliste impliquée dans le projet et auteure du film […] «l’enseignante explicite ellemême les variations de son comportement en fonction de sa connaissance antérieure des publics» (Cicurel, 2013). Nous demandons aux professeures-documentalistes de commenter le filmage de ce projet qui met en œuvre de l’inclusion. Il s’agit de commenter les cognitions dans l’acte. Et nous accentuons dans la consigne de lecture la notion d’évènement. V. a pour consigne de lancer la vidéo et de l’arrêter quand elle le souhaite en fonction de ce qu’elle considère comme être un évènement important tant du point de

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vue du tournage de la séquence que du point de vue du projet de collaboration pédagogique. Elle est conviée à expliquer en quoi cet évènement est important. C’est C. et A. qui ont analysé la vidéo le matin. Nous avons enregistré avec des smart phones et dictaphones les interactions entre acteurs au sujet de l’extrait, puis retranscrit ces interactions.

4. Résultats de recherche avec ces méthodes combinées: 7 types d’interactions didactiques caractérisées

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Nous avons donc accompagné le groupe en recherche-intervention dans la lecture progressive des situations captées avec les vidéos, à l’aide de nos méthodes combinées. Nous avons déterminé en lien avec une situation mobilisatrice de travail d’inclusion sur la vidéo intitulée «L’inclusion IMPro/Ulis» la caractérisation de sept types «d’interactions didactiques»: 1/Interaction – Dispositif/Espaces; 2/Interaction – Cadre de recherche/Pratiques/Savoirs de référence; 3/Interaction – entre des sphères de Sujets-acteurs; 4/Interaction – Projets/Situations; 5/Interaction - Objets d’apprentissage/Situation/Tâche &Visées; 6/Interaction Savoirs/Compétences/Connaissances; 7/Interaction – Moments/Modèles/Évènement. Nous en exposons trois. Interaction – Projets/Situations Le projet consiste pour l’IMPRO à montrer un jeu de production d’élèves lors des journées portes ouvertes. V en analyse vidéo en auto-confrontation croisée dit: «à l’IMPRO ils organisent des journées de portes ouvertes et pour ces portes ouvertes là ils font une production avec le collège qu’ils exposeront». «L’IMPRO veut essayer d’intégrer ces enfants qui ont des handicaps beaucoup plus forts, plus lourds». Nous remarquons l’utilisation du terme intégration et pas celui d’inclusion à ce moment de l’intervention. Les professionnels éducateurs, la professeure documentaliste, l’enseignante d’ULIS veulent mettre en place un projet de collaboration. La situation mobilisatrice de travail choisie par l’enseignante d’ULIS est la présentation d’une sélection de clowns pour se grimer, se photographier «à la manière de» Bernard Buffet. La situation déclenchante en recherche est la prise de conscience que la figure du Clown proposée et le peintre choisi Buffet, ne sont pas forcément les choix les plus pertinents du point de vue de certains apprenants. Interaction – Objets d’apprentissage/Situation/Tâche &Visées Le moment de la recherche documentaire et informationnelle n’a pas été préparé conjointement. Seule l’enseignante d’ULIS a procédé aux choix proposés aux élèves. Les objets d’apprentissage explicites du point de vue des professionnels sont: le travail sur «les arts du Cirque», «l’apprentissage de la vie en société». Mais les modalités du travail n’ont pas toutes été explicitées entre les professionnels – qui pourtant sont dans une démarche réellement collaborative – comme par exemple apprendre à faire une recherche documentaire sur les Clowns. L’activité proposée est de se photographier en clowns «à la manière de Buffet». La tâche est que les élèves devront se grimer pour pouvoir produire le portrait photographié. Avec pour visées de: faire «à la manière de» et «d’exposer ensuite les œuvres qu’ils auront réalisées». Ce qui implique pour les élèves d’être confrontés à leur propre image, parfois à des conflictualités, à des dimensions intrapsychiques, socio-affectives.

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Interaction – Moments/Modèles/Évènement Les répercussions de cette collaboration embryonnaire sont que les élèves ont du mal au départ à être enrôlés dans l’activité, qu’ils contestent le projet. La professeure documentaliste qui a filmé et participe à l’analyse de l’activité revient sur un moment qui lui a paru important, avec l’évènement relaté: «Et il y a E. qui est venue me le dire moi madame j’aime pas les Clowns, moi les Clowns ça m’a toujours fait peur». Au sujet de sa propre pratique la professionnelle poursuit: «Je suis arrivée, j’ai découvert je me suis adaptée…». Le modèle d’apprentissage proposé aux élèves est un modèle de l’imitation «à la manière de…». Mais les apprenants deviennent prescripteurs de leur propre activité en n’acceptant pas toujours le choix du peintre. Les modèles de formation-apprentissage de la professeure documentaliste sont ceux de l’accompagnement et de l’adaptation pour poursuivre le travail à partir des réactions des élèves. La documentation repose sur un modèle didactique induit par la recherche et qui oblige à mettre en œuvre des pratiques de recherche et un savoir de l’information. Ce qui dans cette activité n’a pas été assez co-construit avec l’enseignante.

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Conclusion Nous avons cherché avec les professeures-documentalistes à analyser le «Faire professionnel» en lien avec la thématique « didactique de l’Information-Documentation et Inclusion». Nous avons à l’aide de ces méthodes mixtes interprété les données recueillies et caractérisé sept types «d’interactions didactiques» en lien avec une situation mobilisatrice de travail d’inclusion. Nous pouvons remarquer aussi un invariant professionnel avec ce qui avait émergé de la recherche avec le groupe ASH11, le fait d’accepter que l’élève devienne prescripteur. Nous avons en perspectives d’organiser des échanges entre les deux communautés professionnelles: enseignants spécialisés et professeures-documentalistes, en recherche, pour alimenter la réflexion de chacun et poursuivre la construction des savoirs.

Glossaire (élaboré dans le cadre du collectif IDEKI12) Didactique adaptée: un nouveau corps de savoirs est en voie de constitution par mouvement de transposition et de contre-transposition didactique. Ainsi que des formes d’accompagnement adaptées qui contribuent à une professionnalité accentuée. Professionnalité accentuée: nous parlons de professionnalité accentuée, car nous avons posé que les enseignants spécialisés sont d’abord des enseignants ordinaires en travaillant des «accentuations professionnelles». Six éléments clés constituent la professionnalité accentuée.

11 Adaptation Scolaire et scolarisation des élèves handicapés. 12 M. Frisch (2016). Emergences en didactiques pour les métiers de l’humain. Paris: L’harmattan.

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Efficacité réflexive: le professionnel doit faire face à des situations de travail complexes et instables dans lesquelles se jouent différentes formes de prescriptions. L’Information-Documentation est un recours important pour bâtir une posture de questionnement, d’ouverture, de réflexion et de transformation. A travers l’analyse d’un ensemble de dispositifs de formation et par l’emploi de différentes méthodes, nous avons pu dégager 12 indices d’«efficacité réflexive».

Références

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Albert D. (2000). La recherche-intervention, un cadre général pour les sciences de gestion? IXème conférence internationale de Management stratégique, Montpellier, 24 au 26 mai. Disponible à l’adresse: http://www.strategie-aims.com/events/conferences/14ixeme-conference-de-l-aims/communications/2502-la-recherche-intervention-un-cadre-general-pour-les-sciences-de-gestion/download (Consulté le 10/03/2016). Baur N., Meyer V. (A paraître). Comment adapter la didactique en information-documentation et construire un cadre d’apprentissage qui favorise l’inclusion des élèves en situation de handicap en collège? In M. Frisch (dir.), Construction de savoirs et de dispositifs. Paris: L’Harmattan. Cicurel F. (2013). L’agir professoral entre genre professionnel, culture éducatives et expression du «soi». Synergies Pays Scandinaves, (8), 19-33. Cnesco (Conseil national d’évaluation du système scolaire) (2016). Conférence de comparaisons internationales. Rapport scientifique. S. Ebersold, E. Plaisance, C. Zander, Ecole inclusive pour les élèves en situation de handicap : accessibilité, réussite scolaire et parcours individuels. CIEP. Disponible à l’adresse : http://www.cnesco.fr/wp-content/uploads/2015/12/rapport_handicap.pdf Coulombe S. (2012). Une modélisation des processus et des stratégies d’apprentissage en situation de travail, Savoir, (29), 47-58. Darnis F. (2010). (Coord.). Interaction et apprentissage, Paris: EPS. Frisch M. (2016). Emergences en didactiques pour les métiers de l’humain. Paris: L’harmattan. Frisch M. (2016). Démarches, modèles et concepts en didactique de l’information-documentation. Tréma. Modèles et didactiques, 45, 43-57. Disponible à http://tréma.revues.org/876. Frisch M. (2015). Emergence d’un nouveau concept pour la recherche et la formation «Efficacité Réflexive». In S. Benabid-Zarrouk (Dir.), Estimer l’efficacité en éducation (pp. 69-102) Avec Préface d’Alain Mingat. Paris: L’Harmattan. Frisch M. (2014). Les méthodes de regards croisés en formation: l’exemple d’un dispositif en information-documentation et construction collective de savoirs en recherche-action-formation. Recherches en Didactiques, (18), 57-77. Frisch M. (2013). Feed-back sur une «recherche-action»: une action de recherche reproblématisée en didactique de l’information-documentation. Dans proceedings Concepts and Tools for Knowledge Management. 3rd. International Symposium Isko-Maghreb. 8 et 9 novembre 2013 Marrakech. Publié sur Cédérom avec comité scientifique. Frisch M., Zapata A. (2013). Évolution et caractérisation de la professionnalité inclusive. Vers la conception de formes didactiques et d’accompagnement adaptés. In J-M Perez, T. Assude (dir.), Pratiques inclusives et savoirs scolaires. Paradoxes, contradictions et perspectives (pp. 173-187). Nancy: Presses universitaires de Nancy. Gass S.M., Mackey A. (2000). Simulated Recall Methodology in Second Language Research. New Jersey London: Lawrence Erlbaum Associates. Publishers Mahwah. Gilly M., Fraisse J., Roux J.-P. (2001). Résolutions de problèmes en dyades et progrès cognitifs chez des enfants de 11 à 13 ans: dynamiques interactives et mécanismes sociocognitifs. In A.-N. Perret-Clermont, M. Nicolet (Ed.), Interagir et connaître (pp. 79-101). Paris: L’Harmattan.

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Embodied Cognition. Body, movement and sport for didactics

Filippo Gomez Paloma • University of Salerno, Italy – fgomezpaloma@gmail.com Domenico Tafuri • University of Naples Parthenope, Italy – domenicotafuri@inwind.it

Embodied Cognition Corpo, movimento e sport per la didattica L’Embodied Cognition (EC) è una teoria scientifica multiprospettica ed interdisciplinare la cui caratteristica, riflettendo sotto il profilo culturale e professionale, apre interessanti scenari nel campo della psicopedagogia. In particolare, un fertile ambito di studio, estremamente interessante, è dato al momento dall’apporto dell’EC al mondo della didattica (Caruana & Borghi, 2013). Il presente lavoro si inserisce in quest’orizzonte di ricerca, indagando come i principi chiave dell’Embodied Cognition offrano inedite opportunità di valorizzazione delle differenze dei processi di apprendimento (Gomez Paloma & Ianes, a cura di, 2014). Partendo dall’analisi del corpo come mediatore scientifico del processo di apprendimento a livello neurobiologico (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006) e neurofenomenologico (Gallese, 2006), lo studio si focalizza sulle evidenze scientifiche (Margiotta, 2014) che l’EC può offrire al docente nell’ambito della didattica. Un concreto trampolino di lancio per delineare e validare un modello “EC Based” (Gomez Paloma & Damiani, 2015) per valorizzare la corporeità come dispositivo cognitivo e come ambiente di apprendimento e contestualizzazione (setting) per la costruzione di competenze professionali nell’ambito della formazione.

Keywords: Embodied Cognition, didactics, neuroscience, body, movement, teaching/learning.

Parole chiave: Embodied Cognition, didatti-

ca, neuroscienze, corpo, movimento, insegnamento/apprendimento.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Embodied Cognition (EC) is an interdisciplinary and multiperspective scientific theory whose characteristic, from a cultural and professional perspective, opens up interesting scenarios in the field of psychopedagogy. In particular, a prolific and extremely interesting area of study is now provided by the contribution of EC to the world of didactics (Caruana & Borghi, 2013). This work is part of this research horizon, investigating how the key principles of Embodied Cognition offer new opportunities to enhance differences in learning processes (Gomez Paloma & Ianes, a cura di, 2014). Starting from the analysis of the body as a scientific mediator of the learning process on a neurobiological (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006) and neurophenomenological (Gallese, 2006) level, the study focuses on the scientific evidence (Margiotta, 2014) that EC can provide to teachers in the field of didactics. It represents a concrete springboard for delineating and validating an “EC-Based” model (Gomez Paloma & Damiani, 2015) to enhance corporeality as a cognitive system and a learning/ contextualization setting for the building of professional skills in the field of education.


Embodied Cognition. Body, movement and sport for didactics

Introduction

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This paper aims at defining the intervention area on which to carry out further developments. This scientific and cultural framework has its specific meaning, as the theme of physical and sports activities is transversal by its very nature; therefore, it embraces so-called hard and soft sciences, from Biochemistry to Philosophy, from Physiology to Anthropology, from Neurosciences to Pedagogy, from Psychology to Biomechanics, etc. For this reason, I intend to orient the reader towards the understanding of how body, movement and sport – as recognized forms of natural and social expressions of a person – can take on an educational and pedagogically meaningful value nowadays, both for the building of knowledge and skills and for a further qualification of the inclusive processes in the context of the ordinary teaching activity. In this scenario, the paradigm of the Embodied Cognitive Science (ECS) (Gomez Paloma, 2013) emerges with pride, and becomes the scientific, basic and contextual value on which to invest heuristic energies, in order to improve theoretical frameworks in support of the application protocols, develop tests and action research projects, analyze and reflect on the evidence-based didactic experiences that can identify it as a successful model. More specifically, starting from a scientific framework provided for the mirror neurons (Rizzolatti, 2006), the value of corporeality, with which neurons themselves allow phenomenologically the engagement of social intersubjectivity, has developed in a logical and articulated way. The effects of this phenomenon, called Embodiment, opens up new scenarios related to the educational implications arising from the innovative Neuroscientific discoveries (Damasio, 1995; Gallese, 2005). Starting from Pedagogy of the Body and opening the doors to Physical Education, ordinary and inclusive didactics justifies with more significance and repercussion the inclusion of Neurosciences. When the importance of corporeality and emotionality in the meaningful learnings and in the culture of inclusion starts to gain meaning and validity, there’s always multimediality. There are questions and doubts about how to work constructively at school. Therefore, doubts remain whether and how to rethink an “ECS based” didactics (Gomez Paloma, Damiani, 2015), that is, a didactics that enhances body and movement as integral parts of the educational process.

1. Mirror neurons, corporeality, intersubjectivity: the phenomenon of the Embodiment An interesting interpretation of the relationship between Neurosciences and Philosophy is provided by the philosopher Hans Jonas who, in his book “The Phe-

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nomenon of Life: Towards a Philosophical Biology” (1969)1, carries out a careful reconstruction of the biological point of view with that of social sciences. The psychophysical dualism, the idea of a mind-body separation is, according to the philosopher, a real watershed in the history of Western thought. This dualism has led to that fracture in Western thought, which contemporary thought seeks to recompose. With Darwin’s evolutionism the dualist question arises once again, but in reverse: the realm of soul extends once again from the man to the whole realm of life. We get a deeply unitary vision of man with Neuroscientific research that, in recomposing mind and brain, reevaluates the body by using it to explain the cognitive and moral phenomena that the long philosophical tradition has always considered alien to corporeality. Some important research activities (Glenberg, Havas, Becker & Rinck, 2005; Clark, 2008; Niedenthal, Barsalou, Winkielman, Krauth-Gruber & Ric, 2005; Harrison, Gray, Gianaros & Critchley, 2010), in fact, have demonstrated the brain functioning, the acting brain functioning. According to the classical theory of the motor brain functioning, the sensory and motor areas are distinct, that is, they are placed in different cortical areas. Associative areas have the task of receiving stimuli from sensory areas, in order to obtain the perceptive data to be sent to motor areas, so that the latter can generate movements and actions. Motor brain is just an executor, as it executes orders from the frontal cortex. This concept follows the model of intelligence developed by Cognitive Sciences: cognition is an autonomous, logical and disembodied process, completely unrelated to corporeal experience. Instead, research over the last years has identified reasons for overcoming this traditional assumption. Some studies have focused on the visual-motor anticipation function for the solution of problems related to the manipulation of objects in space. Neuro-physiologically speaking, the mechanism that regulates the imaginary transformation of objects and their material transformation in the physical space is the same. More specifically, a subject can mentally rotate a solid in space, and thus he\she can make a mental simulation of a moving object, only because the neuronal mechanisms regulating this activity are the same mechanisms allowing him\her to perform the same actions in physical space. Imagining an action is a way to train ourselves to do it actually (Glenberg & Kaschak, 2002). In terms of evolutionary psychology, the fundamental role of the body in the formation of higher knowledge processes is demonstrated by the role it takes in elaborating the idea of the cause/effect relationship. A relationship that the child understands early, since he\she experiences how some behaviors have specific consequences: he\she cries and is cared for. Therefore, the subject can understand the relationships among concepts and can interpret them in terms of causes and effects, having previously lived the corporeal experience of how specific performed actions are followed by directly related other ones. The value of corporeality as a precondition to higher-order cognitive processes is demonstrated through research on the structure of the motor areas on the cortex. A complex system of neural relations has been detected, showing that the motor system is not only intended to receive the motor stimuli. Studies of fundamental value concern the F5 and F4 neurons. It has been discovered that F5 neurons (located in the back of the frontal cortex) have visual-motor properties,

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It. transl.: “Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica” (translation by Paolo Becchi, Einaudi, Torino, 1999)

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i.e. they translate visual information about objects into action. This leads us to believe that F5 is a real archive of all possible actions that can be performed in the perceptual-motor activity. In particular, when objects are arranged in a certain way in the perceptual field, showing a specific form and disposition, the brain is able to recognize the situation and choose, in the repertoire of actions, the one it considers more congruent. In this regard, Rizzolatti and Sinigaglia (2006) state that motor brain is able to activate a pragmatic understanding of the objects. F4 neurons are known as bimodal neurons: unlike the normal somatosensory neurons, they are not activated only when triggered by tactile stimuli, but also by visual stimuli produced by objects that occupy their visual receptive field, and are perceived in continuity with respect to the somatosensory receptive field. The function of these neurons redefines the idea of space and objects placed in it. Space is re-interpreted as a system of relationships between our body and the objects surrounding it, and is continually encoded by bimodal neurons, based on the different parts of our bodies, which act as measurement units. Therefore, the space is our way to place objects within our field of action. In light of this, also the conception of the subject changes: it is not the position of something that identifies itself with geometric coordinates, but it is a possibility of action for the subject. On the basis of the distance from the body and its interdependence with the other objects, it is the object itself suggesting how to act in a situation. Instead, discoveries about mirror neurons, (Gallese, 2006; Rizzolatti & Sinigaglia, 2006), located in the premotor and parietal cortex, reveal the neural mechanisms of sociability and empathy. Mirror neurons have visual-motor properties, like the canonical F5 neurons, but they are mimetic in nature, i.e. they act in relation to actions that the subject sees other subjects performing. These neurons can be classified according to the type of action: an example is represented by the mirror neurons when grasping, holding something tight, jumping. In addition, it was noted that the actions reproducible by the mirror neurons don’t involve only the hands but also the mouth. Their function is to be found in the production of internal motor imagery, which supports the process of learning by imitation. Through motor imagery the subject becomes able to plan and perform an action in the way he\she had planned it (Jeannerod, 2007). According to Gallese, one of the most interesting aspects of this discovery is that, for the first time, a neural mechanism allowing a direct passage between the sensory (visual and auditory) description of a motor act and its translation has been identified. Perceiving an action as such, and not as a sequence of movements, implies an understanding of its meaning: it is an inner simulation, because its motor program is activated even if that action is not carried out by the subject. It’s a penetration into the world of the other from the inside, with a prelinguistic mechanism of motor simulation. Both motor and emotional reflection in the other, the possibility to understand his\her body language, the inner simulation of his\her actions, the prevision of one’s own action, are possible thanks to the activation of the mirror neurons. Further studies have recently clarified another aspect of the social experience: sharing sensations through the touch. Apparently, the subjective experience of being touched on one side of the body determines the activation of the neural circuit, which is activated if looking at someone who is being touched. A single cortical region is activated both when experiencing something first-hand, and when witnessing the same experience of someone else. «[...] The observer’s action is a potential action, caused by the activation of mirror neurons that can encode sensory information in motor terms, and thus they can make possible that reciprocity of actions and intentions underlying our immediate recognition of the meaning of

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the gestures of others. Understanding the actions of others has nothing theoretical, but it’s based on the automatic selection of those action strategies that, according to our motor patrimony, are more compatible with the observed scenario from time to time» (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, p. 127). Another line of research concerns Psycholinguistics and, in particular, the relationship between corporeal experience and problem-solving related to the semantic ambiguity of some words. In fact, a single verb can designate different situations and emotional states. The ability to distinguish the different meanings and overcome the semantic ambiguity depends on the experiences the subject has lived, i.e. from all the feelings, perceptions and emotions related to the verb-action in the different circumstances. We speak of Embodiment: language comprehension is based on the embodiment of the meanings (Gomez Paloma, Damiani, 2015). When the subjects listen to words or phrases related to actions, the system of mirror neurons is modulated and activates the primary motor cortex. It has been shown that listening to sentences related to actions, performed by means of the hand, specifically modulates the excitement of the hand muscles. Many aspects of social cognition, on a Neuro-scientific level, show a common functional mechanism, that of embodied simulation (Gallese, 2006), which allows a direct understanding of the motor actions of others from an inner perspective, of some fundamental aspects of the interpersonal relationships, such as emotions, sensations and linguistic communication. So embodied simulation is the precondition for intersubjectivity and empathy. According to Gallese, embodied simulation results in the generation of the shared multiplicity system. It allows recognizing other humans as our fellow human beings, promotes communication and imitation, as well as the attribution of intentions in others. It is characterized by three levels: phenomenal, functional and sub-personal level. The phenomenal level is characterized by the sense of familiarity and the subjective feeling of being part of a community. These are the conditions for empathy: actions, feelings and emotions of others become meaningful, since they can be shared through a common pre-linguistic neural representation format. Performed actions, emotions and feeling experienced by others gain meaning for the interlocutor, because of the possibility he has to share them experientially thanks to a common representational format. A we-centric sharing defined by Gallese (2007) as “intentional consonance”. The functional level is represented by “embodied simulation” itself, which is the method of the “as if ” applied to the world of others, allowing to create self/others models. The same functional logics, underlying the control of one’s own actions and experience, also play a role in the understanding of others’ actions and experiences. Both are expressions of interaction models, which classify their referents on identical functional relational nodes. Each method of interpersonal interaction shares a relational character. The sub-personal level consists of a series of neural circuits connected to a series of corporeal changes of state. All these aspects of intersubjectivity rely on the co-building of an intentional consonance, which starts with the first interpersonal relationships, shortly after the birth, and accompanies the individuals throughout their life. This system founds and promotes the process of mutual intelligibility.

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2. Pedagogy of the body, Neurosciences and Motor Education: didactic implications

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The segmentation and specialization that characterize the current state of knowledge, the struggle and the absence of communication between the sciences, the difficulties of interdisciplinary comparison, linked to the challenges of the complexity of the globalized society, require a reorganization of school and its guidelines, with the superseding of a teaching method that tends to isolate the objects of knowledge. «And yet we call knowledge what is able to fit into a wide framework, assessing and producing proposals, asking how it is able to change or transform the structure of this framework itself ... an intelligence that is used to make analyses according to separations reduces the opportunity to understand the longterm responsibility, the planetary reference of any act of knowing» (Gamelli, 2001, p. 10). Recomposing the fragments in a unity occurs in the body, thinking of oneself and others starting from corporeality becomes the core hub of Pedagogy of the Body, which critically revisits the educational common scenarios, where the body is often absent or harnessed for integrating knowledge and experiences traditionally separated: those of the word with those less recognized of movement, gesture, sight and senses. An interesting aspect is the transfer, in the different educational fields, of the principles underlying the corporeal education in its various forms (such as psychomotricity, dance, techniques of relaxation and use of the voice, theatre, as well as the multiple treatment methods and corporeal-mediated artistic formative technologies). Pedagogy of the Body shows a pedagogical feature, where research on the body is smoothly combined with the narrative educational strategies. An approach that is not interested only in the execution, but that mainly focuses on the relationship. Therefore, the body becomes an educational subject, it is not only a part of the knowledge process, but a knowledge-producer, because it’s an experiential-type learning. Experiential-type learning plays a central role in physical education, which enhances movement-related practices. From a psycho-pedagogical view sport is deeply educational, since it conjugates physical dexterity and ability with competitiveness, but in a meaning frame based on the respect for the opponent: a self-affirmation with respect for the other. The purpose of motor activity, in psycho-pedagogical terms, is both to develop and strengthen the body and to develop a social and ethical personality, based on the values of respect, humility, sacrifice, sharing of the joy and of the team spirit. The formative approach of this discipline is holistic, because it allows the formation of a solid (both personal and social) identity, starting from the idea of a unique and unrepeatable corporeality orienting the subject, in developmental age, towards the acquisition of a balanced way of being in the world. In this case, we speak of resilience as «the human ability to face the adversities of life, overcome them and come out stronger or even changed» (Grotberg, 1995). Resilience means optimism, fortitude, sense of selfworth and self-competence, hope, empathy and availability, independence, relationality, initiative, creativity, morality (Gomez Paloma, 2009). All variables boosted by motor education and usable in everyday life. In addition, perception, verification and comparison, immediate aspects of one’s own action in the motor experience, allow for the development of both the self-regulating skills and of the sense of self-efficacy, bringing affective, emotional and corporeal processes into play. Finally, in allowing the feeling of the contact with self-corporeality, motor

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education enhances the understanding, production and expression skills through the analogical language of the body. Starting from this interpretation of Pedagogy of the Body, the educational value of motor and fun-sports activities has been decisively revalued, thanks to progresses in scientific research in recent decades, expanding the scope of the corporeal experience and highlighting its unavoidable intertwining with the emotional dimension and the cognitive processes (Gomez Paloma, 2004). In particular, the contributions from the field of Neurosciences and Psychobiology now provide possible interpretations on the complexity of the individual dimension, the relationship between subject and learning, trying to shape didactic intervention, reintroducing different information enriched by the inventory of possible sensory stimuli linked to it, requiring the body and the movement to become protagonists in the teaching-learning process. The discrepancy between theory and practice, typical of education in general and particularly felt in motor education, is a cultural heritage. In the nineteenth century, the sharp distinction between theory, intended as knowledge, and practice, intended as production of artifacts, has been highlighted (Luhmann, 2005). Therefore, the theory-practice dualism originates from the mind-body dualism. This separatism is typical of the disciplinary concept inherent in the nature of school. A vision that, as previously pointed out, arose in classical Greece, was stressed by Descartes and has reached our times, and despite the discovery of an embodied mind (Gallese, 2007) and the awareness of a mind-body unity, the educational practice still acts as if the dichotomy was an essential truth. However, theory and practice are closely linked as they are part of the same teaching-learning process, and moreover, at times, theory is needed to outline a good educational practice, and other times, from this educational practice, the most comprehensive theories originate. In the field of motor education this relationship of proximity between theory and practice is particularly clear, since the learning process occurs by means of the action, leading to a change. In order to develop a unitary knowledge and relevant abilities, offering a horizon of meaning to the knowledge fragmentation (Acone, 2005), arousing students’ curiosity and pushing them towards the marvels of knowledge, it is necessary to adopt a meaningful, and not a mechanic, learning. Precisely because the body allows to act, it becomes a knowledge\abilities\resources-builder, as its continuous development and language are intelligent and convey feelings, emotions and thoughts better than other codes; this is what creates the substrate of intermediate and advanced learnings, which are essential to symbolization, classification and abstraction processes (Gallese, 2005). Therefore, in this sense, motor education is a discipline that, due to its global nature, aims at the development of all aspects of the areas of learners’ personality: the affective-emotional, intellectual, social, motor and organic areas, which are all closely linked and interdependent. It is therefore a transversal discipline that allows getting ready for the acquisition of learning. In addition, it allows the learner to understand the objective to be achieved, since he\she’s given the indications, which can be connected to his\her previous experience and knowledge, from which to develop actively his\her own way of acting by achieving the goal, although each learner will develop a personal style for doing it. It’s a discipline that allows a learning-by-actions process through the movement: two actions, two movements, though belonging to the same basic motor schemes, will never be identical as the physical conditions of who performs the action change like the sensations from the outside, the context within which the actions take place, the felt emotions, the tasks given by the teacher, the space in

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which to perform these tasks, the ways of approach, the words used by the teacher. Moreover, different movements activate different neural groups, increasing multiple neural networks and reducing the risk of neural groups selection (Edelman, 1993), since some nerve groups weaken and eventually disappear if not stimulated. Finally, it is important to remember how and to what extent motor education, in facilitating the development of an awareness of one’s own body, the perception of one’s own body, the feeling of one’s own movements and actions, the fact of living oneself as a unit, becomes a fundamental discipline for the dissemination of positive values, especially of the model of care and respect for one’s own body. Core values when considering that today, in the media society, with television that by replacing parenting at different times of the day, the subject in developmental age undergoes a bombardment with images of phagocytizing bodies, bodies distorted by surgery, mortified by eating disorders, reified and exploited for advertising campaigns, where image counts for everything. In this sense, motor education and Pedagogy of the Body, in dealing with those scaremongering psychosocial phenomena, become a stimulus to plan the educational intervention responsibly.

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3. Rethinking didactics: a possible dialogue between Embodied Cognition and Multimediality Neuro-scientific studies have shed new light on learning modes, cognition and social relationships, focusing their analysis on the body and its extraordinary learning abilities, as well as on the corporeal experience as the core device for knowledge production. On this basis, it is necessary to rethink traditional didactics, a literary didactics centered on the mind and not on the body, in favor of a corporeal didactics. Traditionally, indeed, teaching is considered as a set of logics, generalizations, principles, rules, abstractions, borrowing the cognitivist idea according to which mind works like a computer. A didactics, in exchange, that considers the importance of the experiential learning or a routine learning activity does not deny the importance of the generalization or of the development of the abstraction abilities, but it links and builds them starting from the child’s most meaningful experience: the corporeal experience of the world. Paul Gee (2010), professor at Arizona State University, and leading exponent of the new area of research known as New Digital Media and Learning, argues that a good way to make a learner feel inadequate is asking him\her to learn to think according to abstractions and verbalizations, excluding those situations that belong to his\her corporeal experience of the world from school learning activities. Unfortunately, this is precisely what we do regularly at school. Essentially, according to the scholar, the reading-writing skills gained by means of the alphabetic writing are not the only literacy skills to make students acquire, especially in the light of their condition of “digital natives” in the information society. Gee, in particular, focused on the relationship between videogame and learning, dispelling, first and foremost, a counterproductive myth: the casual use of the videogame at school. This methodological confusion generates two types of contradictions: first of all, once become formal, it semiotically becomes another object as its semiotic domain includes a specific grammar, a specific language and specific rules, which belong to the world of informality; in addition, many traditional teachers tend not to embrace a technology designed and characterized as “a game” (Rivoltella, 2012). The inclusion of the videogame in teaching practices may fall within the didactic laboratories,

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thus it would have the goal to make students discover the methods through which, in that specific world, the world of the videogame, the players achieve learning. In this case, learning takes place in a specific semiotic domain, that is, in a peculiar meaning frame, precisely that of the videogame, in which words, images and symbols acquire a meaning. On an educational and experiential level, the key point of interest is represented by the different identities that the learner shows in this unique teaching-learning setting. In fact, during the game, the subject employs three types of identities: the corporeal identity, that is, the real identity; the virtual identity, that is, the character to be played in the game; the projective identity, that is, the self-projection in the game. The type of learning that the subject achieves deals with his\her three identities and the domain organization: he\she is challenged by contents and rules, intrigued by the internal grammars, puts himself\herself to the test with respect to the three identities, plans and develops actions and strategies. The semiotic traces in the video game are a call for the subject to the embodied action, according to Gallese’s definition, and the meanings are always continuously located and built up by the player (Rivoltella, 2012). Such an integrated approach can include the disciplinary contents, just because the disciplines are semiotic domains too. However, it should be emphasized that not all disciplines are fully suitable for the stimulation of socio-relational skills, as the related social practices can be very scarce and, at the same time, for some disciplines, there would be no identification with the character, hence there would be no corporeal experience making for the building-up of located meanings. These latter are not built up, in fact, only by means of verbalization, but they’re realized when a word may be associated with an image, an action, an experience; however, if there’s no such an association, the student can pass a test mechanically, but he\she won’t be able to apply that knowledge in a real problem, or better, he\she will have difficulties in developing a real skill (Gee, 2010). Videogame, while not being the right recipe for the “embodied-type” learning, however, suggests the school system a rethink of the way we teach at school, since learning doesn’t mean storing a definition, but it means building up a series of skills-experiences to be employed strategically, in order to predict how to behave in similar situations. If classical videogames do not seem to be the ideal tool for an “embodied teaching”, it should be noted how precisely videogaming generates some trends that are making users go beyond the screen, the barrier that relegates to the world of representation what is happening on the other side of the display. The involvement of the bodily experience, historically denied in the world of classical game, is realized in the last videogame generations thanks to devices and media that can give movement to the human-computer interaction. Examples include the worldwide spread of the Nintendo Wii console (equipped with a joystick with an accelerometer and a gyroscope, able to communicate the position with respect to a sensor installed on the screen), the success of Microsoft Kinect (a device that combines several types of cameras and that can locate the user’s movements) and forms more or less evolved forms of virtual reality dedicated to the consumer market (the display Oculus Rift , for example). The common feature of these technologies is the ability to enhance movement in the human-computer interaction. When the entire body becomes the protagonist of the interaction, the domain of representation is replaced by that of embodiment. With Hansen, in fact, “motor activity – not representationalist verisimilitude—holds the key to fluid and functional crossings between virtual and physical realms” (Hansen, 2006). Trackers, gps, gyroscopes, accelerometers, bio-sensors embedded in smartphones or available as wearable devices become the protagonists of this new paradigm, called NUI (Natural User

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Interface) as they can exploit the natural mechanisms of human interaction (movement, touch, voice) in the interaction with machines. Gee’s intuition is fully realized; in fact, that already in 2008, he defined videogame a “goal-directed action-and simulations of embodied experience” (Gee, 2008). This paradigm shift is not just about the world of video games, but in general all the digital universe. Smartphones and portable devices are normally equipped with hardware that can detect movement (accelerometers, gyroscopes, gps) and share a general tendency to natural interfaces (think of the pinch and swipe, the most common gestures of interacting with operating systems for mobile devices, or voice-controlled applications to use while driving). Anyway, it’s an announced revolution. Again with Hansen, we remember that «Merleau-Ponty’s phenomenology of embodiment is, from the beginning, a philosophy of embodied techniques in which the excess constitutive of embodiment the horizon of potentiality associated with the body schema—forms a ready conduit for incorporating the technical at the heart of human motility» (Hansen, 2006). Therefore, the technology incorporated into the heart of human movement. Everywhere, but not at school. The paradigm shift towards natural interfaces has only nearly achieved school. Also the technologies spread in schools and able to realize a high involvement of the body in the interaction (think, for example, to the endless galaxy of smartphone apps or the unusual combination of touch screen and large dimension of the Interactive Multimedia Whiteboards) were subject to a process of reduction and adaptation to the model of the “sit down and pay attention!”. In fact, the Interactive Multimedia Whiteboards has been promptly reduced to the status of a video projector, or better, it has been subject to an appropriation according to the operational frame of the 1.0 lesson (super-instrument of representation that assists the teacher in his face-to-face didactic activity)” (Rivoltella, 2009). This phenomenon can be understood if considering technologies as a neutral and ipso facto representative element of innovation, but as an element which provides a precise interpretation of the teaching activity. With Calvani, «ICTs become one of variables within a composite context, which is always, in one way or another, educationally (and ideologically) oriented» (Calvani, 2009). A school that remains anchored to a model of face-to-face didactic activity, or that struggles to draw up a global framework for understanding embodiment in relation to didactics (therefore, that struggles to define operational strategies), will continue to inhibit the interactive element (whether it’s human machine interaction or interaction between individuals) just because there is a direct link between interaction, embodiment and participation: in fact, it denotes a participation status, the presence and the occurrence of a phenomenon in the world. Conversations and actions are embodied like tangible objects. For example, conversations are embodied phenomena because their structure comes from the way they are developed by the participants in real time and under the immediate constraints of the environment in which they take place (Dourish, 2004). Within this framework, there should be a special mention to the relationship between movement didactics and technologies. In fact, technologies based on natural interfaces are gaining space, except for classrooms, at least in gyms. The spread of technologies that detect and arrange a wide range of real-time data about the athlete and context in sports offers a great opportunity to collect performance data, enabling an objective, accurate and non-invasive monitoring of physical activity and avoiding any interference related to the laboratory settings. This phenomenon is pushing also users that are not related to professional sport to greater confidence with the collection and analysis of quantitative data, and is supporting

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an increasingly pronounced “social” component of sports, which leads athletes (and teachers) to share and comment on social networks their performances, based on data collected via apps (Di Tore, 2015). Helmer et al. explicitly connect the ability to capture performance data with interactive coaching models: «Wearable devices extend the body in a real and virtual manner. The flow of information and stimuli from real - to - virtual, and virtual - to - real enable experiences to be shared across time and space. Wearable devices using textiles with embedded physiological sensors are used in various applications involving monitoring, control and learning» (Helmer et al., 2010). The lesson to be gathered from Neuro-scientific research emphasizes the role of the repertoires of actions and mirror neurons. In the learning by imitation process, the modeling, a person learns by observing: a modality that hardly lends itself to the theoretical knowledge. However, if the teacher does not explain lessons with words but he\she solves problems, interprets, analyzes in front of the class, he\she succeeds is being observed while putting knowledge in practice. In such case, he\she serves as a model, and his\her work serves as model- experience. Finally, the imitation of the model allows the subject to build new action patterns. Rethinking didactics, taking into account the contribution of Neurosciences, means also rethinking the educational relationship from an empathetic standpoint. A relationship that is no more asymmetric between the teacher and the student, but it’s revisited in the light of the emotional reflection and resonance allowed by the neural system. Empathy also allows the teacher to get in touch with the student, especially with the more problematic one, without losing his\her own “self “ but putting it at the other’s disposal in a mutual exchange, avoiding any confusion of roles. As stated by Gomez Paloma «... being reflected in the other starting from myself does not mean going along with him\her or adopting his\her own characteristics and attitudes for an ambiguous use, but for turning them into tools for reflection for the person who asks for help. It’s a way of lending oneself to act as a mirror that allows the student to understand by himself\herself what are the attitudes or behaviors leading him\her to do or say certain things or to experience certain behaviors. Therefore, the purpose of corporeal didactics must be that of providing each student with the tools for educating himself» (Gomez Paloma 2004, p. 187).

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Decentralization tendencies and teacher evaluation policies in European countries Anita Norlund • Högskolan i Borås - anita.norlund@hb.se Antonio Marzano • University of Salerno - amarzano@unisa.it Marta De Angelis • University of Rome “Tor Vergata” - marta.deangelis.dr@gmail.com

L’autonomia scolastica e le politiche di valutazione degli insegnanti nei paesi europei

Negli ultimi anni si è intensificata la consapevolezza sul ruolo degli insegnanti nel promuovere l’apprendimento degli studenti e, di conseguenza, sono aumentate le indagini sulla valutazione degli insegnanti e sul loro lavoro. Tra i molti fattori scolastici, la qualità dell’insegnamento è un parametro chiave per lo sviluppo degli apprendimenti degli studenti. Per questi motivi, il tema della valutazione della performance degli insegnanti costituisce uno degli elementi su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione sia sul piano delle indagini internazionali che delle concrete misure messe a punto all’interno dei diversi contesti nazionali. L’articolo nasce da queste premesse. Partendo dallo stato dell’arte nei diversi sistemi scolastici europei, il nostro obiettivo è quello di analizzare i modelli utilizzati per valutare la qualità dell’insegnamento al fine di mettere in evidenza i punti di forza, i nodi critici e le problematicità.

Keywords: assessment, teacher evaluation, teaching quality, accountability.

Parole chiave: valutazione, valutazione del-

l’insegnamento, qualità dell’insegnamento, accountability.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Recent years have seen intensified awareness about teachers’ role in promoting student learning and, consequently, an increased emphasis on evaluating teachers and their work. Among many school factors, the teaching quality is a key-parameter of student learning. For these reasons, in many national contexts teacher performance evaluation is one of the elements that draw significant attention, in terms of both international surveys and concrete measures. Starting from the state of the art in several European school systems, our goal is to describe, compare and analyse models adopted to assess teaching quality. We attempt to highlight any differences in perspectives and models agreed by the European systems and to reflect on risks and opportunities, strengths and weaknesses associated with the use of such instruments in the teacher evaluation. The teachers are only one of many factors that influence student achievements, but the evaluation of teachers is necessary because there is an increased awareness of how crucial the teachers are in the achievement of students and in the progress of society.


Decentralization tendencies and teacher evaluation policies in European countries

Introduction

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Nowadays, deep and extensive transformations and a steady acceleration of changes are characterizing our society and constantly altering the knowledge reference framework. For these reasons, European school systems appear to be engaged in a process of redefinition of their identity. Following this, many countries revise curricula and teaching models in order to identify and adopt methods supporting the students, by giving attention to the quality of teaching. This has led to a need to undertake assessment in order to verify the skills of teachers. Assessment is an activity in which people make a judgement about important and significant aspects. The assessment is closely related to the used procedures, methods and tools that may affect the reliability of that judgment. This is a much-debated topic that is not generally agreed by teachers, families and students themselves. The reasons for these disagreements are numerous. There is a widespread difficulty finding excuses and transparency elements in the expressions of their judgments. Evaluating means enhancing, determining the value of a performance, not of a person, in order to promote effective and efficient actions, appropriate to the context, consistent with its objectives, able to produce the desired effects. The assessment must be able to grasp what is positive in a training action. The evaluation allows teachers improving their work in class, in order to increase the quality of their teaching or learning. Hence, the complex issue of the assessment of teachers has increasingly emerged. Ministers from across Europe consider it an indispensable device for the continuous improvement of the training, the primary objective for the success of the strategy developed in Lisbon in 2000 (Lisbon European Council, 2000). There are two basic models or approaches to teacher evaluation: the balance report within the marked-oriented perspective of the new public management (Croxford, Grek, & Jeelani Shaik, 2009; Hood, 2001) and the professional development approach (IsorÊ, 2009). The balance report model is based on the rationale of the professional performance of teachers’ control, functional to the provision of incentives or sanctions. This approach assumes that the observer and the observed are clearly distinct and separated; it is used when a system intends to proceed to the identification of the best teachers, or to verify and publicize their teaching quality. It meets the contractual requirement, a duty that the school administration must consider the results achieved by the teachers, to reward or punish them: the prizes consist of salary increases and career advancements for particularly competent teachers; the sanctions instead consist of transfers or dismissals for teachers judged as incompetent. According to Koretz (2008), valueadded models are a promising improvement, but no one measure can evaluate teacher performance. The use of performance assessment procedures associated with the mechanisms of incentives rely on some assumptions connected to positive effects: teachers are expected to be more motivated and as such to produce more. It increases

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the consideration of the social status of the teaching profession. A growing attention towards this profession increases the opportunity to hire more skilled and qualified teachers. It improves the overall quality of the action teacher and therefore the learning of students. There are also some negative effects of this approach. It causes an increase of teachers’ competitiveness, a decrease of the collaboration among them and generates a climate of tension within the school. Moreover, it increases doubts and scepticisms in the event that the assessment procedures appear inadequate. The professional development model was inspired by a training logic, functional improvement of the quality of the professional actions of teachers. It comes from the need of the teachers to know the progress of their work to be improved continuously by an appropriate education. The focus shifts on the quality of teaching processes, through qualitative and idiographic careful procedures to the characteristics of the specific school contexts and professional impact on teachers. It follows a focus on forms of self-evaluation and “peer” evaluation supported by counselling and guidance actions (Escamilla, Clarke, & Linn, 2000). By that logic of development, the evaluation activity cannot simply be measured by an external object, but it concerns the understanding and interpretation of phenomena through qualitative tools (Miranda, & Ritrovato, 2015). It tends to understand the situations through interpretations by the actors, to define problems, to encourage a continuous process of learning and improve their professionalism. One of the defects that are attributed to the professional development model, in fact, is that it can be self-referential and not very objective, because it is based mainly on the evaluation forms that come from the interior of the scholastic players. However, this form of self-assessment is an essential prerequisite to any form of external reporting that wants to be considered truly effective (Carnoy, 2003). Indeed, there are not rare cases in which the external evaluation practices have been hampered by internal actors to the school to have glimpsed in the latter a personal threat and a form of little selection respects the principles of equity provided by the educational system. Probably because the teachers, as education professionals, feel they can challenge the experience and methodology of evaluation experts since they feel to be the best “connoisseurs” of what happens in the classroom (Scheerens, 2011). In recent years, however, more and more frequent are mixed assessment systems, that provide both forms of assessment based on the reporting and aimed at improving and supporting the teachers. The theme of teacher performance evaluation is now one of the elements that has gained much attention both in terms of international surveys and in the educational national policies. The development of such systems is linked to a series of policy objectives to increase the level of accountability expressed by school systems that can be recalled briefly in relation to different levels of the policy system, the school system, the educational institution (Carver, & Feiman-Nemser, 2009). In Italy, the introduction of school autonomy (1997) resulted in the assumption by the educational institutions of specific responsibilities and decision making powers. The assumption is that the decentralization and the sharing of responsibilities improve the quality of service provided by the schools and that the training is effective when the decisions are joined by those directly involved in. Several European countries have not followed this logic (especially Belgium, the Netherlands and the United Kingdom) and the educational autonomy prevails there. These are just a few examples: we will examine the issue in detail in the next section.

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1. The school autonomy in European countries

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The autonomy system of the school requires a fundamental rethinking of educational institutions in cultural, professional and organizational terms; it has given rise to new needs and demands, addressed to all school actors that are protagonists and especially to the teachers. The teacher’s key role is no longer oriented to increase the socialization of students, making them consistent with a unitary system of rules and stable values, but it is aiming to train them to know how to choose, to navigate the various cultures, for the full realization of their singularity and autonomy. An effective school, in this perspective, encourages the development of reasoning and thought systems that allow building cognitive panoramas useful to give reasons and to assess the veracity and accuracy of statements. In most European educational systems, even in the most centralized, teachers have begun to enjoy greater freedom of action, not only in educational terms (choice of teaching methods, materials, curricula definition), but also in the organization and management. Except some countries, like Finland, these policies for curricular autonomy have developed since the 90s. In Slovenia, for example, the program includes conceptual and procedural knowledge, pupil activities, suggestions about content, teaching recommendations, the evaluation of the learning objectives standard. Lithuania drew up in 1992 the Law on the general concept of Education. This provides that associations of teachers are involved in developing subject content (the curriculum). In Estonia, the national basic education curriculum has been promoted: school heads prepare the curriculum with teachers based on the national curriculum. They detail the content and the teaching objectives that are described only in general in the national document. In other countries, as in Italy, the push towards greater curricular autonomy has been more recent. Only since 2000 (Law 59/1997 and DPR 275, 8 March 1999), the school autonomy was considered. It entered into force from the school year 2000-2001. Based on the principle of subsidiarity, the state has defined not simple detailed programs but national general guidelines aiming at the promotion and the support of innovative processes and at the improvement of the training. Teachers therefore have a greater freedom to convert these objectives into teaching actions by selecting the content to present, deciding their order in teaching and choosing the most appropriate objectives for each school year. They also have more autonomy in relation to the number of hours devoted to the optional activities. They may regulate the time of adapting to the type of studies and disciplines to the learning pace of pupils. They may take time flexibility formulas (for instance, restrict the hours of a given matter at a certain time of year, enable individual educational paths for the integration of disabled students or foreigners, program training courses in coordination with local demands, choose methods and teaching tools in line with the National Plan for education). They can also adjust the school calendar in relation to the needs arising from the National Plan for Education in order to guarantee the number of hours fixed by national directions. The headmaster ensures that the decisions taken by the teachers comply with the legal standards and educational quality criteria. In Luxembourg, the primary segment teachers have a little margin to manoeuvre. In the secondary segment, teachers serve on committees for programs and are responsible for the content of programs and of the compulsory school textbooks. Schools may also have the authorization of the Ministry of Education to implement an innovation project different from the official program. The Czech Republic has provided, since 2004, a two-level curriculum that allowed the development of “school programs� to be implemented by 2007. The Education

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Act of 2004 introduced a framework for basic education: institutions establish the programs and in particular the breakdown of the content and the results on the subjects during the study years. In general, in almost all countries of Europe where the educational system is historically centralized, new lines have been created to guide the content to be taught. They are as flexible as to enable teachers to participate to the creation of teaching content, aimed at developing the human person, adapted to the different contexts, the domestic demand and the specific characteristics of involved people, in order to ensure their educational success. This development process of autonomy has not been promoted by all the countries of Europe; some of them have adopted a different route. The enlargement of tasks for teachers, in fact, is not always tied to a progressive teaching autonomy. Belgium, Netherlands and UK are examples of this as well as Hungary that adopted ambitious policies since the 90s. The three Communities of Belgium have increased the responsibilities assigned to teachers but, simultaneously, have progressively reduced the organizational freedom and the power of the schools by the development of criteria and benchmarks that clearly define the bid. These new references take the form of “ultimate goals” in the Flemish Community since 1991, of “skill levels” in the French Community since 1999 and framework programs in the German-speaking Community since 2008. In the Netherlands, since 1993, the objectives to achieve were established by an order or regulation for primary and secondary education (revised in 2006). The objectives help schools to set minimum performance level that pupils should achieve. They describe in general terms the contents of primary education without clear required results. The teachers, however, have an obligation to do everything possible to ensure that pupils achieve the goals and to explain, if necessary, the reasons for the eventual lack of success. The responsibility is not the individual teacher, but the whole team involved in educational activities within each school. Hungary, since the ‘90s, adopted new measures limiting the curricular autonomy of teachers. Since 2005 it elaborated new teaching tools. These tools represent practical guides for teachers (in the form of educational materials) in order to support them in the planning of their work, preparing their lessons and assessing their pupils. In Denmark, although the freedom of education remains a fundamental principle, an amendment of 2003 provides that the Ministry of Education be in charge of defining the national “common objectives”, while for compulsory subjects the same Ministry may draw up the guidelines that describe in more detail the content to teach. Although it is a kind of simple set of recommendations, this document appears to be very widely followed by municipalities and teachers alike. Sweden, introduced in 1994 a school curriculum based on objectives. However, teachers showed such difficulties in interpreting the teaching objectives, that in the report presented in 2007 on “The objectives and the monitoring of compulsory education”, the emphasis was on the needs to provide teachers with curricular content more concrete and easier to interpret. Thus, in 2011 a new reform was launched with a considerably more detailed curriculum. It should particularly be mentioned that Sweden historically has been one of the most centralised countries as far as education is concerned, but in the beginning of the 90’s turned into one of the most decentralised. Not only the new curricular reform in 2011 can be seen as an answer to the the problems following from the drastic shift, but also the new phenomenon from The Swedish National Authority for Education who provides so-called teaching modules for local teacher teams to study, discuss and implement in their classrooms. In the United Kingdom (England and Wales), the introduction of the National curriculum (1988) defined for the first time a minimum compul-

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sory curriculum. The central authorities that are responsible for the curriculum and the assessment, defined the minimum compulsory curriculum, the content of teaching, the objectives to be achieved and the methods of assessment. In 2008, a new less prescriptive curriculum has been introduced; it gives teachers greater flexibility in the local definition of curricula. The school autonomy processes, in any case, even with the described differences, have gradually initiated a number of actions aimed at monitoring and evaluation of teaching quality. The evaluation of teachers, in fact, is indispensable to guarantee the effectiveness of national systems of education and to organize a relevant education policy. The biggest problem, in all these cases, is the definition of a reliable method for evaluating the teaching and, in certain cases, for identifying good teachers. Criteria and procedures, in European countries, are different; in the next section, we will examine them in detail.

2. The evaluation of teachers: the European context 58

In an environment characterized by ever-higher spaces of freedom granted to schools, it has become essential to initiate evaluation processes that allow pursuing the dynamics of development and continuous improvement of the training, starting from the individual schools. As an inevitable reflection, this progressive autonomy of schools started processes for ensuring responsibility, transparency and the need for “accountability”. The disappointing results of the national and international standard assessments, in addition, helped to initiate or accelerate research on the teaching quality. The issue of teacher evaluation has become the object of attention in European countries especially with the “Work program on the future objectives of education and training 2010” (European Commission). The teachers have been recognized as the key players in any strategies targeted at stimulating the development of the economic society. In March 2000, in Lisbon, the European Council adopted the strategic objective of becoming “the most competitive and dynamic economic system in the world, based on the knowledge and capable of sustainable economic growth with more and better jobs and greater social cohesion”. On that occasion, the Heads of State and Government recognized the vital role of education and training, considered an essential prerequisite for the development of the potentialities of each country in terms of excellence, innovation and competitiveness. The Council of Education report of 2001 fixed the concrete future objectives of education and training systems. Among these, a very prominent place was given to the training of teachers and trainers. The common objectives are supposed to be increasing the quality and effectiveness of education and training systems in the European Union, the accessibility to education and training systems, the opening to the wider world of education and training systems. The realization of the first objective especially involves teachers. Teachers have an important role to motivate learners and to their success in school (Darling-Hammond, & Bransford 2005; Hattie, 2012); for this reason, it is essential that their formation is likely to meet the future challenges of the global society (McKenzie, Santiago, Sliwka, & Hiroyuki, 2005). It is facilitating the updating of teachers currently in service that have left the school or the university for at least two decades. Regarding the second objective all recognize that education and training systems must encourage learning that lasts throughout life. Meeting this challenge involves the recognition that

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it is necessary to change the way in which education and training is organized. In reference to the third goal, while the Council believes that teachers should be the beneficiaries of international exchange programs, with the aim of improving the knowledge of foreign languages, comparing and disseminating good teaching practices (The Comenius Program is particularly attractive for teachers: international exchanges, training courses abroad, study visits and preparatory of other initiatives for in-service teachers). The European Commission has given much consideration to the professional role of the teacher and the pursuit of a common European education system, with the aim of making it as the leader in the world in terms of quality of its education and training subsystems. The Common European Principles for Teacher Competences and Qualifications highlighted the important role that teachers take part in the realization of European objectives: “Teachers play a crucial role in supporting the learning experience of young people and adults learners. [...] Their profession, which is inspired by values of inclusiveness and the need to nurture the potential of all learners, has a strong influence on society and plays a vital role in advancing human potential and shaping future generations” (European Commission DG Education and Culture, 2005). They are the actors of change processes, they determine the evolution and the means of implementation of the reforms that can make the EU the best knowledge-driven economy. Teachers are an integral part of the social dimension of Europe, because they transmit values of solidarity, equal opportunities and social participation, by producing positive effects on health, crime, environment, democratization and the general quality of life. In this regard, Schratz (2014, pp.18-20) analysed the specific traits that make up the profile of the future European teacher. From the political point of view, according to the author, the issues relating to the teaching profession on which to focus the international debate are related to the following dimensions: a) European identity. The future European teachers will possess both a specific national identity of a transnational knowledge that will provide them with a developed ‘European way’ and a consequent opening to the world in general (to be achieved by means of exchange programs, scholarships and other transnational initiatives); b) European knowledge. The European teachers should have a fairly good knowledge of other European education systems, in order to relate themselves to others and understand the mutual influences; c) European multiculturalism. The European teachers must have an active relationship with their own culture and prove open to the other, facing multicultural challenges of the knowledge society and working with heterogeneous groups, which will respect and promote the differences; d) European language competence. The European teachers must be able to speak more than one European language with different levels of expertise, as well as to teach subjects in languages other than their own (facilitated by trips abroad); e) European professionalism. The education of European teachers will allow them teaching in any EU country by addressing any issues from a transnational and multi-disciplinary perspective, by exchanging curricular content and methodologies with colleagues from other countries. In the spring of 2004, the Commission of Experts on “Improving the Education of Teachers and Trainers” addresses the issue of the development of appropriate indicators to measure improvements in teacher training and their continuing pro-

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fessional development. In particular, it highlighted the opportunity to develop specific systems for the evaluation, accreditation of initial training and in-service teacher. The main objective is opening a dialogue on the evaluation of the quality of teaching and related indicators. This should exploit the diversity and the richness of existing approaches focusing on a fruitful exchange of information so as to lead all countries towards a high quality of education. It is in this context that the survey to locate a teacher evaluation model begins. In 2006, the Education, Audiovisual and Culture Executive Agency (Programme Eurydice), studied the existing provisions on evaluating training in the different countries of the European Union. In their documents, they showed a very diverse situation within Europe, as there is no consistency in the models, or a prevailing model of teacher evaluation. The different countries variously adjusted and realized the evaluation approaches (external, internal or self-evaluation) by considering one or an integration of them. These different ways of evaluation intertwined each other by creating real internal and external networks of individual and collective evaluation. For this reason, it becomes increasingly difficult to sketch one teacher evaluation system. The need to standardize training programs and evaluation criteria for teachers has prompted the Commission to gather information on the state of affairs in the member countries. Based on the Eurydice report they noted that during the 90s the collective assessment of the teacher group gradually replaced the appraisal of individual teachers. Starting from Eurydice document (2006), it is possible to group the different types of assessment of teachers in five models: 1. 2. 3. 4.

individual assessment carried out by inspectors; individual assessment carried out by inspectors and school head; individual assessment carried out by the school head; self-assessment and individual assessment school that incorporates the overall assessment of its teaching staff; 5. evaluation of schools and individual teachers by a plurality of subjects.

The individual assessment carried out by inspectors is an external evaluation model based on the analysis of data, information and evidences relating to individual institutions or programs. It aims to make an impartial judgment on the quality of the training offered by a particular institution. This is typically carried out by a team of experts, peers or inspectors. Inspectorates may depend on the regional authorities as in France, or be under the protection of the regional authorities as in Spain and Germany. In Spain, for example, the education authorities of the individual Autonomous Communities are responsible for the creation of plans for the evaluation of teaching in the public sector. These plans contain objectives and evaluation criteria, as well as the ways in which teachers, the school community and the same educational authorities are involved in the evaluation process. Education authorities also promote the evaluation of teachers on a voluntary basis and are responsible for defining the modalities of the evaluation. In France, the inspectors are primarily responsible for the evaluation of teachers. Although teachers are regularly evaluated, they can still submit their application for the evaluation to qualify, if appropriate, their promotion in grade. The assessment carried out by the inspectors is primarily based on the observation of the teacher in the classroom. Sometimes the external evaluation, carried out by inspectors, is also integrated by an internal evaluation, carried out by the school head. In France, the teachers are evaluated every 6-7 years. In order to reduce the time between the

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evaluations a further evaluation is carried out by the regional pedagogical inspectors (Inspecteurs Pédegogiques Régionaux). The inspection takes place on the field: it presupposes the observation of a teaching sequence (while the teacher gives a lecture) followed by an individual interview with the teacher. Although it is diversified for teachers of different school levels, the evaluation process, in France, focuses mainly on a balance report approach that is oriented to the control. Teachers can access a career advancement only after being evaluated. However, there are some elements of educational nature, such as post-observation meetings, where teachers receive a feedback on their observed performance. Even in Germany, teachers are evaluated every five years by school inspectors of the Land (Schulaufsichtsbeambten) and by the school head. The evaluation must be based on interviews with the teacher, reports on its performance prepared by the school head, inspections during class by the school head and the school inspectors, evaluation of the results of the students. The object of analysis is the “efficiency” and the “capability” of the teacher. As for performance, this is evaluated through forms of interview: the teacher is asked to discuss matters such as setting a class, the class results, availability and support to students and collaboration between colleagues. The teacher’s ability concerns the knowledge of the subject, the ability to evaluate students, the availability to the update and the organizational skills. Initially, the general assessment is expressed by the Head of the Institute and includes both the performance evaluation and the ability evaluation. Later, an inspector carries out a further assessment through interviews with the teacher, the analysis of the reports on the teacher’s performance produced by the school head, inspections during class and measurements of student achievement. The evaluation of teachers in Germany follows a natural formative approach; the suitable procedures have as their objective the improvement of the performance of teachers and the development of missing or deficient skills. Teachers can request a salary increase based on the scores obtained in the evaluation and on the opinion on the performance. In some European countries, the evaluation of teachers is carried out entirely by the school head who takes full responsibility of the evaluation process. In Poland for example, for all levels of education, the school head makes the evaluation of the professional performance of teachers. This process takes place at the initiative of the head teacher or teacher’s request, the regional education authority, the school board or the council of parents. During this evaluation, the school head, if necessary, may request the opinion of the internal representation of the students. The period between two consecutive evaluations (including evaluation for promotion) cannot be less than one year. The school head is obliged to evaluate the performance of teachers within 3 months from the date of the request. This is a descriptive assessment that concludes with a general evaluation (Excellent, Good, Negative). The head teacher uses various tools for performance assessment: observation of lessons, observation of other activities such as meetings of teachers with parents, analysis of student achievement on the documentation analysis in continuing professional development or discussions with the teacher. The assessment will cover the following aspects: the sound operation of the class (curricular content and methodology); the efforts to motivate students; the behaviour and the appropriate language; the professional engagement (involvement in extracurricular school activities and teamwork between teachers, interest in pupils and their environment, collaboration with parents); the participation in continuing professional development activities; the organization of work (punctuality, full use of the hours in the classroom, documentation preserved adequately). In the Netherlands, the system evaluation is primarily concerned with the quality of the school,

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rather than the professional quality of individual teachers. The inspectorate evaluates teachers but the results of these inspections are used to derive information about the overall quality of the school in which they work. Schools enjoy a high degree of autonomy and teachers are appointed by the school council that is responsible for the staff and for the recruitment, training and assessment of its educational staff. In this case, the assessment authorities of the teachers are the same schools. In practice, then the Head of the Institute, as a representative of the school, to take care of teacher evaluation. The evaluation takes place through a series of talks on the professional performance of teachers (generally carried out every two years). During this process, the teachers discuss their performance with their school heads and consider their job prospects for the future; on performance assessment (once a year). The Dutch evaluation process decides how to use the results and provides the consequences of the assessment. The criteria used for the evaluation of teaching staff include the ability to relate with colleagues and the professional development. School heads often have indicators to measure the performance of individual teachers and the entire teaching staff as a whole. The results of the evaluation may determine the continuation of the contract or the transformation of the same indefinitely if employees are hired on temporary contracts. Instead, with regard to in-service teachers, as they are identified showing weaknesses in some area of expertise, some interventions are applied such as coaching of a tutor or transferring to other employment. The entire evaluation process is not linked to salary increases, although this theme is currently at the centre of a heated debate in the Netherlands. A crucial role is mainly attributed to the identification of specific development and training paths co-designed by managers and teachers and personalized for each teacher. In some northern European countries, there are no formalized assessment systems for in-service teachers, mainly because the quality of teachers is verified at the hiring time by the municipality or the school itself. Later, schools provide teachers of the tasks to be undertaken to improve their work, and finally report its findings to the municipalities, and, in turn, to the state. The municipalities are responsible for assessing the effectiveness of their provision and have total autonomy for the organization of the evaluation procedures and the definition of objectives. Finland abolished the inspectorate (1991) and any other inspection institution where teachers are evaluated. However, schools have a quality system that provides for annual talks between teachers and school heads to assess the achievement of the targets set in the previous year, the objectives of the educational staff and the individual needs for the following year. In Sweden, the evaluation of teachers is not formally regulated by laws. School staff hold individual interviews with the school head. Even the salaries are set individually and on the basis of the rules dictated by the labour market. In addition, a recently introduced first teacher (förstelärare) reform can be noticed, and if teachers are approved of promotion they get a salary raise of 5000 SEK. Headmasters or the similar are themselves free to set the criteria but there is a requisite that “förstelärare must be certified and have a minimum of 4 years of documented excellence in teaching” (Alvunger, 2015, p. 56) Also to be mentioned is the fact that Sweden got a new authority in 2008, The School’s Inspectorate, which evaluates at a school level. Reports and worrying results from these evaluations are frequently found in the local newspapers, causing a shame and blame situation for schools, and for teachers. England implemented different methods of teaching evaluation. Currently, in fact, there is no single body responsible for the education system evaluation. The educational service is framed within a solid framework of accountability where students, families,

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communities and government are involved. The system of inspections play a fundamental role as well as the publication of data on the performance of pupils in all schools. Those in charge for teacher evaluation are: the school head, an external consultant appointed by the school governing body and 2 or 3 members of the latter. Moreover, the teacher’s team leader together with the school head carry out the review of performance. The teacher’s team leader is a teacher with managerial responsibilities, whose task is to supervise the work of his colleagues. The management process of teacher performance is based on professional standards that define the tasks, teachers’ knowledge and skills at each stage of their career. The legislation provides that the assessment must be conducted annually. Schools are required to develop a management policy of salaries and performance that determines what are the expected results and how they should be measured. Furthermore, each school must publicize how the provisions of the school to the teachers’ performance management are related to those for school improvement, self-evaluation and development plan. At the beginning of each assessment cycle a meeting must be planned? and? the reviewee, between the evaluators and the teacher. Topics to be addressed at this meeting are the learning goals for the teacher (Capuano et al., 2013), how his/her performance in class is observed and judged, how he/she may receive support to meet the performance criteria and any need for training and professional development. Subsequently, within five days, an evaluation plan is prepared. The first part of the assessment cycle must end by the end of October of each year. At the end of each cycle an evaluation meeting (review meeting) is held in order to assess a teacher’s performance during that cycle with respect to the criteria specified in the evaluation plan. The balance report logic plays a central role in the assessment of the English teachers. Since 2007, a revision of the regulations has been implemented. It provides a more direct relationship between evaluation and remuneration, with the aim to select and reward the best teachers. Teachers can achieve three different levels of salary advancement: expert teachers (after at least six years of service, a verification from the Head of the Institute on their teaching skills and an acceptance by an external examiner); excellent teachers (after an external evaluation); advanced skills teachers (after a competition conducted by external evaluators based on national regulatory standards). In summary, these different types of assessment of teachers identify five main models able to give answers to the following questions: “why evaluate the teaching?”, “what evaluate?”, “who evaluates and how?”.

Conclusions There are several conclusions to be drawn from the overview. First, it can be noticed that the educational restructuring in the beginning of the 90s and its favouring of accountability has caused turbulent conditions for schools and teachers. Almost everywhere in Europe, schools must simultaneously respond to a series of problems no longer purely pedagogical but also in administrative areas ranging from programming and? orientation to the financial management of the school. Another conclusion is whether there is a need for assessing teachers at all. One answer could be ‘no’. Teachers are already under pressure. The increase of teachers’ responsibilities are partly related to an expansion of the social functions of the school. The teachers are being asked to adopt more collaborative and constructive setting, to establish relations with the sense starting from the classes, which are numerous and composed of students from different cultural and social contexts,

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having different attitudes to studies and different intentions. These qualities are closely related to the transformation of the school systems in turn dependent on the transformation of society over the last twenty years. The same increase of teachers’ responsibilities that requires more duties of teachers as well as changes in their working conditions and their status could also be the reason for the opposite, i. e. for assessment. Another reason is that teachers’ associations have always struggled for an objective assessment of teachers’ work. In any case, if the object of evaluation is the advanced vocational training, the improve of enhanced possibilities for pupils, all teachers are entitled to a fair and objective assessment of their performance. At the same time, the elements that characterize the so-called teacher quality remain obscure, although the quality of the recruitment of future teachers is the central lever in this process (Wayne, & Youngs, 2003; Hanushek, & Rivkin, 2006). For these reasons, in many national contexts, the teacher performance evaluation is one of the elements that draws more attention, in terms of both international surveys and concrete measures. These different evaluation methods are increasingly tending to intersect each other and, in some countries, they are creating internal and external, individual and collective networks of evaluations (Eurydice, 2006; 2008). In other words, it is essential to find ways, procedures and timelines for assessing whether teaching has, or has not, produced learning. Due to the absence of mapping methods, the educational processes lose the determining paradigm of intentional activities aimed at one purpose: without mapping, we cannot to know where we are going. Teaching and learning methods evolve as well as the knowledge. With respect to these mutations, the action of the schools should tend to promote the harmonious and synergic development of all the abilities and the personality features of the students by improving services to provide them. In this perspective, an effective school should promote the development of reasoning modalities and thought systems that allow building useful information overview to argue our one’s statements and evaluate those of others. In some European countries, as in England, it was possible to introduce a valid evaluation method for all the teachers. In other countries, such as in Italy, it has not been possible to agree on setting up evaluation objective procedures. To assess the teaching profession as a whole we should adopt general indicators, perhaps grouped into categories of reference, such as the possession and updating of disciplinary knowledge, social skills, methodology of teaching and assessment (Fenstermacher, & Richardson, 2005). The evaluation of teachers is necessary because it allows creating a mapping of the situation. This is essential to raise the skills of teachers, to prepare targeted events, to adapt the in-service training, to set up an ad hoc support to teachers and schools. The checks are fundamental because they allow intervening both on the learning process of the pupils and on the teacher’s actions (Lampert, 2010). The upgrading of skills of teachers also arises from a change of required actions from educational institutions. The must is, therefore, working to promote a sound evaluation culture and showing to teachers the potentialities and the opportunities for professional development given by the evaluative practice (Darling-Hammond, & Youngs, 2002). We are also aware of the OECD’s observation (McKenzie, Santiago, Sliwka, & Hiroyuki, 2005) that teaching profession is in a long-term decline, yet there is increased awareness of how crucial teachers can be in the achievement of students and in the progress of society (Snook, O’Neill, Birks, Church, & Rawlins, 2013). The European evaluation systems provide, along with the traditional balance report model, the formative function that is expressed especially in the collaboration between teachers and school head in the shared design-review-monitoring

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process. This process takes place within individual institutions and the use of an observation system that permits categorization of the aspects observed in order to provide feedback to teachers in relation to the improvement of their practices. The main goal of this perspective is to build an evaluation system for teachers to improve education processes. “The purpose of evaluation is not to prove, but to improve” (Stufflebeam, & Shinkfield, 1985, p. 60) and, in any case, in our opinion, such a perspective does not exclude the identification of individual incentive mechanisms to reward recognized merit shared within school communities, rather than stated as a result of external controls.

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Il ruolo dei dirigenti scolastici nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti

Alessandra Rosa • Università degli Studi di Bologna - alessandra.rosa3@unibo.it

The role of school principals in training and support for newly hired teachers

A partire da un’analisi delle difficoltà ed esigenze connesse alla fase di induction e, in relazione a queste, delle molteplici dimensioni cui può essere ricondotto il ruolo del dirigente scolastico nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti, il contributo presenta un’indagine empirica realizzata nell’ambito di un piano regionale di monitoraggio e valutazione del nuovo modello di formazione dei neoassunti sperimentato nel nostro Paese durante l’a.s. 2014-15. I risultati dell’indagine, che ha inteso esplorare il ruolo dei dirigenti dell’Emilia-Romagna e i loro punti di vista sul percorso previsto, suggeriscono da un lato una sostanziale condivisione delle scelte di fondo del modello e dall’altro lo svolgimento di funzioni di sostegno in itinere che vanno oltre quelle esplicitamente richieste al dirigente dalla normativa, mettendo al contempo in luce elementi di criticità ed esigenze di approfondimento da affrontare sul piano della ricerca e delle politiche educative.

Keywords: school principals, newly hired teachers, teacher induction, probationary year, empirical study, online survey.

Parole chiave: dirigenti scolastici, docenti ne-

oassunti, formazione in ingresso, anno di prova, indagine empirica, questionario online.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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Starting from an analysis of the newly hired teachers’ concerns and needs associated with the induction phase and of the related multiple dimensions involved in the support that can be given by principals, the paper presents an empirical study conducted as part of a regional plan for monitoring and evaluation of the new training model for newly hired teachers tested in Italy during the school year 2014-15. The survey aimed to explore the role of school principals of EmiliaRomagna and their views on the training model. Overall, findings suggest that principals share a positive perception of the assumptions and choices underlying the model adopted and that they have carried out ongoing support functions beyond those explicitly required by national regulations. They also highlight some critical issues that need to be addressed in terms of educational research and policy, emphasizing the importance of further investigation of the principals’ role in new teacher induction.


Il ruolo dei dirigenti scolastici nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti

Introduzione

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Il tema del ruolo dei dirigenti scolastici rispetto alla formazione e al supporto dei docenti neoassunti, ancora poco esplorato nel contesto italiano, ha acquisito negli ultimi decenni progressiva rilevanza all’interno del dibattito scientifico internazionale parallelamente all’affermarsi di un’attenzione crescente per quella fase della vita professionale degli insegnanti – denominata induction nella letteratura in lingua inglese – che coincide con l’inserimento in ruolo all’interno di uno specifico contesto scolastico. L’interesse per le problematiche connesse a tale periodo di transizione, riscontrabile anche a livello di politiche educative, trae origine da una molteplicità di fattori tra cui è possibile individuare da un lato la crescente enfasi posta sulla qualità dei sistemi di istruzione e specificamente degli insegnanti come leva strategica per lo sviluppo sociale, culturale ed economico, dall’altro la centralità assunta, nella società della conoscenza, dal paradigma del lifelong learning. In relazione a tale scenario, anche la formazione dell’insegnante si configura come un processo dinamico e continuo, in cui la formazione in ingresso dei neoassunti si pone come anello di congiunzione tra la fase della formazione iniziale e quella della formazione continua (ad es. Buchberger et al., 2000; Feiman-Nemser, 2001; Genovese, 2009). Prendendo in esame la fase “di mezzo” di questo continuum formativo, il presente contributo pone il focus sul ruolo chiave che il capo di istituto può svolgere rispetto al supporto, allo sviluppo e alla socializzazione dei docenti neoassunti all’interno della comunità scolastica. Nella prima parte, attraverso un’analisi della letteratura internazionale sull’argomento nonché di alcune ricerche svolte in Italia negli ultimi anni, viene proposto un quadro delle principali dimensioni che concorrono a definire tale ruolo. Nella seconda parte, in relazione al quadro teorico delineato e alle novità introdotte dalla normativa italiana, vengono presentati obiettivi e principali risultati di un’indagine empirica che ha inteso cogliere punti di vista e ruolo dei dirigenti scolastici dell’Emilia-Romagna in riferimento al nuovo modello nazionale di formazione dei neossunti introdotto, in via sperimentale, durante l’a.s. 2014-2015.

1. Dirigenti scolastici e neoassunti: analisi della letteratura internazionale e nazionale È soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta che la figura del dirigente scolastico inizia a delinearsi come oggetto di attenzione specifica nel dibattito internazionale sui processi di induction. La volontà di approfondire le sue funzioni in tali processi, guidata dall’obiettivo di individuare prassi efficaci, affonda le radici negli studi che, già durante il decennio precedente, hanno puntato l’attenzione sui docenti neoassunti e contribuito a metterne in luce difficoltà ed esigenze.

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È dunque in relazione agli esiti di tali studi, sinteticamente presentati di seguito, che vengono successivamente presi in esame i risultati emersi da una ricognizione delle ricerche incentrate sul ruolo dei dirigenti nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti, di cui vengono delineate le molteplici dimensioni. 1.1 Difficoltà ed esigenze dei docenti neoassunti L’esigenza di implementare forme coerenti e sistematiche di sostegno per i docenti neoassunti, oggi ampiamente riconosciuta in ambito europeo e internazionale pur nella varietà delle pratiche e degli approcci proposti (ad es. Wong, 2004; Howe, 2006; European Commission, 2010; Ingersoll & Strong, 2011; Gujarati, 2012; Ingersoll, 2012; Eurydice, 2015), si è gradualmente affermata negli ultimi decenni in stretta connessione alla diffusione di ricerche che hanno focalizzato l’attenzione sulle sfide e criticità connesse alla fase di induction. A questo proposito, la letteratura internazionale appare prevalentemente incentrata sulle difficoltà sperimentate dai beginning teachers, definiti anche new/novice/first year/newly qualified teachers: si tratta dei neoassunti per i quali l’inserimento in ruolo coincide con la prima esperienza di insegnamento, ovvero con la fase che Huberman (1989), nel suo modello di ciclo di vita professionale degli insegnanti, definisce della sopravvivenza e della scoperta. In base ai risultati degli studi presi in esame (ad es. Feiman-Nemser, 2001; Meister & Melnick, 2003; Wong Yuen-Fun, 2003; McCann, Johannessen & Ricca, 2005; Winstead Fry, 2007; Melnick & Meister, 2008; Scherff, 2008; Tait, 2008; Fantilli & McDougall, 2009; Tynjälä & Heikkinen, 2011), le principali problematiche rilevate, in grado di determinare un vero e proprio “shock da realtà” (Veenman, 1984) nonché di influire sulla decisione di abbandonare l’insegnamento1, sembrano nel complesso articolabili su tre piani: a) personale, riguardante le conseguenze negative di tipo emotivo/affettivo (come ansia, frustrazione, stress, senso di isolamento, perdita di motivazione e autostima) derivanti dall’impatto con la nuova situazione; b) sociale, a sua volta riconducibile a più aspetti: culturale, che include ad esempio le difficoltà legate alla necessità di “integrarsi” in culture scolastiche permeate da norme e valori impliciti e spesso poco aperte al cambiamento; relazionale, che comprende ad esempio le difficoltà poste da ambienti di lavoro poco collaborativi e collegiali e da dirigenti/colleghi poco disponibili al confronto; organizzativo, relativo alle problematiche derivanti, ad esempio in termini di carico di lavoro, dalla necessità di partecipare alla vita collettiva dell’istituto divenendo corresponsabile rispetto al suo funzionamento; c) professionale, concernente le difficoltà connesse a vari aspetti dell’attività d’aula (quali mantenere la disciplina in classe, motivare gli studenti, tener conto delle loro differenze, valutare i loro apprendimenti, pianificare le lezioni, utilizzare diversi metodi e strumenti) e i bisogni formativi conseguentemente espressi dai neoassunti sul piano delle competenze pedagogiche e didattiche più che su quello delle competenze disciplinari. Per quanto riguarda il nostro Paese, in cui non sono mancati studi che hanno

1

Negli Stati Uniti, ad esempio, il dibattito sulle problematiche dei beginning teachers e lo sviluppo di specifici programmi di induction sono stati particolarmente precoci e intensi in ragione degli elevati tassi di attrition - ovvero di abbandono della professione - registrati durante i primi anni di servizio (ad es. Ingersoll & Strong, 2011).

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approfondito le problematiche in questione (ad es. Isidori, 2002, 2003; Genovese, 2009; Costa, 2011), viene da chiedersi se gli esiti emersi dalla letteratura internazionale trovino conferma in un contesto peculiare – in termini di meccanismi di formazione/reclutamento degli insegnanti nonché di caratteristiche dei neoassunti quali l’età e l’esperienza professionale pregressa2 – come quello italiano. Le opinioni espresse dai diretti interessati nell’ambito di alcune indagini empiriche (Gianferrari, 2009, 2010; Balduzzi, 2011; De Simone & Molina, 2012; Moretti & Alessandrini, 2015) suggeriscono una risposta positiva a tale interrogativo: non solo le principali difficoltà riscontrate – relative al lavoro in classe ma anche ad altre dimensioni dell’insegnamento – sembrano nel complesso in linea con quelle sopra richiamate, ma emerge anche la necessità di sviluppare le proprie competenze professionali e di interagire con dirigenti e colleghi per ricevere supporto sul piano personale, per crescere come insegnanti, per comprendere aspetti espliciti e impliciti della cultura della scuola diventando parte integrante e attiva della sua comunità professionale. 1.2 Il ruolo complesso e multidimensionale dei dirigenti

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In qualità di leader della comunità scolastica, i dirigenti sembrano in grado di influenzare in maniera decisiva la qualità delle esperienze vissute dai neoassunti durante la fase di induction (ad es. Winstead Fry, 2007; Scherff, 2008; Cherubini, 2009; Fantilli & McDougall, 2009; Bickmore & Bickmore, 2010; Carlson, 2012) nonché i loro tassi di attrition e turnover (ad es. Darling-Hammond, 2003; Richards, 2004; Smith & Ingersoll, 2004; Waddel, 2010; Carlson, 2012). Le ricerche qui prese in esame, accomunate dal tentativo di comprendere i meccanismi tramite i quali tale influenza si esplica attraverso i punti di vista espressi dai soggetti coinvolti (principalmente neoassunti e dirigenti, ma anche altre figure quali ad esempio i docenti tutor o mentor), hanno contribuito a mettere in luce un quadro articolato e sfaccettato di funzioni ben più ampie rispetto a quelle – cui tradizionalmente e prevalentemente si associa il ruolo del capo di istituto – legate all’accoglienza iniziale del neoassunto e alla sua valutazione finale. In base alla ricognizione dei risultati emersi, ci sembra possibile analizzare tali funzioni di sostegno in itinere riconducendole a due principali “blocchi” corrispondenti, rispettivamente, al ruolo indiretto e diretto del dirigente. Le funzioni rientranti nel primo “blocco”, così definito perché incentrato su forme di supporto che agiscono sulla rete di relazioni e sul contesto professionale in cui i neoassunti si inseriscono, appaiono innanzitutto connesse all’importanza del dirigente nel “plasmare” il clima e la cultura della scuola. A questo proposito, in base alla letteratura analizzata, risulta essenziale che il dirigente contribuisca da un lato a favorire un clima collaborativo e collegiale, promuovendo relazioni

2

In base alle tre edizioni dell’indagine sul profilo socio-anagrafico e professionale dei neoassunti promosse dalla Fondazione Agnelli (Gianferrari, 2009, 2010; De Simone & Molina, 2012), il neoassunto-tipo italiano si caratterizza per un’età media piuttosto elevata (intorno ai 40 anni) - indice di «un’anomalia di cui difficilmente si trovano altri esempi e che porta l’Italia ad avere il corpo docente più anziano tra i paesi OCSE» (Gianferrari 2010, p. 7) - e per il fatto di avere alle spalle diversi anni di precariato (in media una decina).

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positive nonché specifiche opportunità di interazione e confronto tra neoassunti e colleghi più esperti (ad es. Hope, 1999; Carver, 2003; Watkins, 2005; Protheroe, 2006; Gimbert & Fultz, 2009; Roberson & Roberson, 2009; Waddel, 2010); dall’altro lato, in stretta connessione a quanto appena affermato, è importante che favorisca una cultura partecipativa e inclusiva, in cui i neoassunti siano attivamente coinvolti nei processi decisionali e vedano accettati e valorizzati gli elementi innovativi che possono apportare ad esempio sul piano dei processi di insegnamento-apprendimento3 (ad es. Angelle, 2002; Richards, 2004; Watkins, 2005; Brown & Wynn, 2007; Waddel, 2010). Il ruolo indiretto del dirigente scolastico rispetto alla formazione e al supporto dei docenti neoassunti può esplicarsi anche attraverso un’adeguata organizzazione/gestione delle attività di mentoring, che costituiscono la componente centrale e maggiormente diffusa dei programmi di induction implementati a livello internazionale4. La sua funzione in qualità di «coordinatore/facilitatore dei mentor» (Wood, 2005) comporta, in primo luogo, la definizione di appropriati criteri di selezione degli insegnanti deputati a svolgere tale incarico, rispetto alla quale si evidenzia la necessità di approcci più intenzionali e strutturati evitando procedure casuali o basate sulla disponibilità dei singoli (ad es. Brock & Grady, 1998; Brock, 1999). In secondo luogo, nell’ottica di favorire un’adeguata pianificazione iniziale delle attività di mentoring, il dirigente è chiamato a promuovere una visione chiara, trasparente e condivisa degli obiettivi perseguiti, delle strategie operative previste e del ruolo spettante ai soggetti coinvolti (ad es. Brock, 1999). Una volta avviate, inoltre, tali attività richiedono da parte del dirigente un’azione di monitoraggio e supporto ongoing che può svolgersi da un lato attraverso incontri regolari con mentor e neoassunti volti a discutere l’andamento della relazione, a far emergere eventuali problemi e a individuare soluzioni e possibili miglioramenti; dall’altro lato assicurando loro tempo e occasioni sufficienti per lavorare insieme, ad esempio sollevando i mentor da altri incarichi extra-curricolari affinché possano concentrarsi sulla relazione con i neoassunti (ad es. Brock, 1999; Angelle, 2002; Watkins, 2005; Wood, 2005). Un’ulteriore questione messa in luce dalla letteratura concerne poi il ruolo del dirigente nel favorire la partecipazione dei mentor a percorsi di formazione incentrati su tematiche quali l’apprendimento in età adulta, le

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A questo proposito, Genovese (2009) afferma che in scuole che si configurano come «comunità di apprendimento professionale» - non ridotte a gruppi chiusi e autoreferenziali ma continuamente vivificate da input esterni - può svilupparsi più facilmente quella cultura scolastica integrata funzionale al sostegno dei nuovi docenti e all’implementazione di pratiche didattiche innovative; a tal fine risulta centrale la funzione di regia dei capi di istituto, ad esempio nel «far apprezzare il lavoro cooperativo come percorso che valorizza le competenze degli insegnanti esperti, sostiene l’inserimento dei più giovani, mette a disposizione della comunità scolastica i saperi degli uni e degli altri» (ibidem, p. 9). Con il termine mentoring si definiscono, nella letteratura in lingua inglese, quelle funzioni di sostegno sul piano emotivo, sociale e professionale svolte da docenti più esperti assegnati, in qualità di mentor, ai docenti neoassunti, riconducibili nel sistema italiano alla figura del “docente tutor”. Il ricorso predominante e in certi casi esclusivo a tale tipo di attività nell’ambito dei programmi rivolti ai neoassunti ha fatto sì che a volte i termini mentoring e induction venissero utilizzati come sinonimi, creando una sovrapposizione indebita tra due concetti di portata differente: come sottolinea ad esempio Wong (2004), il primo rimanda a una specifica attività, mentre il secondo a un processo più ampio di cui tale attività, per quanto importante, costituisce soltanto una componente.

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procedure e tecniche di osservazione, le strategie per promuovere la riflessione e l’autovalutazione, le abilità comunicative e relazionali (ad es. Brock, 1999). Tra le modalità di supporto “indirette” si può infine citare il ruolo del dirigente nel favorire condizioni di lavoro che consentano ai neoassunti di svolgere al meglio la propria attività di insegnamento e di prendersi cura della propria crescita professionale. Fattori rilevanti in tal senso sono ad esempio la disponibilità di adeguate risorse e materiali didattici nonché le modalità di attribuzione degli incarichi: a questo proposito, emerge l’importanza di limitare compiti e responsabilità di tipo extra-curricolare per evitare carichi di lavoro eccessivi e di adottare criteri di assegnazione delle classi che massimizzino le possibilità di successo, evitando di inserire i neossunti nelle situazioni più difficili (ad esempio classi in cui vi siano molti studenti con problemi di comportamento e/o con difficoltà di apprendimento) e collocandoli negli ambiti disciplinari e nei gradi scolastici corrispondenti alla loro qualifica (ad es. Hope, 1999; Angelle, 2002; Carver, 2003; Protheroe, 2006; Cherian & Daniel, 2008; Gimbert & Fultz, 2009; Roberson & Roberson, 2009). La presenza di un dirigente che incentivi la partecipazione dei neoassunti a percorsi formativi volti ad accrescere le loro competenze professionali, anche mediante l’attivazione di apposite iniziative all’interno del proprio istituto, può essere vista come un ulteriore fattore riconducibile al tipo di supporto che abbiamo definito indiretto (ad es. Hope, 1999; Carver, 2003; Wood, 2005). Venendo ora al secondo dei due “blocchi” individuati, che enfatizza l’importanza di un coinvolgimento diretto nel sostegno agli insegnanti neoimmessi nel proprio istituto, il dirigente scolastico può svolgere un ruolo chiave rispetto a ciascuno dei tre piani – personale, sociale e professionale – in cui abbiamo precedentemente articolato le principali problematiche espresse dai neoassunti. Il primo chiama in causa il sostegno di tipo personale ed emotivo che il dirigente può offrire ai neoassunti innanzitutto facendo sentir loro la sua presenza: vari autori parlano, a questo proposito, di open-door policy (ad es. Hope, 1999; Carver, 2003; Richards, 2004), espressione che fa riferimento all’accessibilità e alla disponibilità del dirigente, alla sua capacità di instaurare con i neoassunti una relazione comunicativa – alimentata sia mediante incontri sistematici e programmati sia tramite scambi di tipo informale – improntata al dialogo e all’ascolto, che li incoraggi a porre domande e a esprimere le proprie preoccupazioni senza temere che ciò venga interpretato come segno di debolezza o di scarsa competenza e autonomia. Per quanto concerne il piano sociale, il ruolo diretto del dirigente viene ricondotto soprattutto al supporto che egli può offrire rispetto alla comprensione delle norme e dei valori che contribuiscono a definire la cultura della scuola, con particolare attenzione ai suoi elementi “non scritti” ma spesso più potenti nel guidare le routine e le prassi tradizionalmente condivise. Sebbene spesso ai docenti neossunti vengano fornite specifiche informazioni su politiche e procedure formali, altrettanto rilievo assume l’esplicitazione degli aspetti più impliciti e informali: ciò appare infatti determinante per la loro “integrazione” nella cultura della scuola – da intendersi come partecipazione attiva piuttosto che come mero adeguamento – e per alimentare il loro senso di appartenenza alla comunità professionale in cui si inseriscono (ad es. Brock, 1999; Carver, 2003; Gimbert & Fultz, 2009). Il ruolo diretto del dirigente nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti appare infine essenziale sul piano professionale, che chiama in causa le competenze disciplinari e pedagogico-didattiche connesse all’attività di insegnamento e alla gestione della classe. Cosa si aspettano i neoassunti dai propri dirigenti in qualità di instructional leaders? Innanzitutto, poiché spetta al capo di

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istituto la valutazione formale delle loro competenze al termine della fase di induction, ritengono fondamentale che egli chiarisca le sue aspettative, dunque i criteri e gli standard su cui poggia la sua idea di “buon insegnante” (ad es. Ballantyne, Thompson & Taylor, 1998; Brock & Grady, 1998; Gimbert & Fultz, 2009). In secondo luogo, attraverso una frequente e regolare interazione che può assumere modalità più o meno formali, è importante che il dirigente svolga una funzione di monitoraggio e valutazione formativa in itinere volta a promuovere lo sviluppo professionale dei neossunti: fra le strategie utilizzate e ritenute più efficaci a tal fine vi sono le visite/osservazioni dei dirigenti nelle classi dei neoassunti, che dovrebbero essere affiancate da tempestivi feedback utili a sostenere il miglioramento delle prassi didattiche (ad es. Brock & Grady, 1998; Angelle, 2002; Carver, 2003; Wood, 2005; Brown & Wynn, 2007; Cherian & Daniel, 2008; Roberson & Roberson, 2009). A questo proposito, si sottolinea l’importanza di rendere il neoassunto parte attiva del processo, promuovendo la sua capacità di riflettere sul proprio operato e di autovalutarsi nonché facendo sì che egli si senta rispettato e valorizzato come professionista, ovvero posto di fronte a un dirigente aperto a nuove idee e a differenti approcci, che non dia ricette e soluzioni ma incoraggi e stimoli, che dimostri fiducia nelle sue capacità (ad es. Hope, 1999; Angelle, 2002; Richards, 2004; Roberson & Roberson, 2009). Pur essendo state analizzate separatamente ai fini di una presentazione più chiara e sistematica, le molteplici dimensioni cui abbiamo ricondotto il ruolo chiave che i dirigenti scolastici possono svolgere nei confronti degli insegnanti neoassunti sono, nei fatti, strettamente interrelate. Gli stessi due “blocchi” in cui abbiamo distinto tale ruolo appaiono tra loro connessi: come mostra ad esempio la ricerca condotta da Queen & D’Amato Andrews (2004), il coinvolgimento in prima persona del dirigente nell’interazione con i neossunti contribuisce infatti a veicolare, all’interno dell’istituto, un chiaro messaggio e una rilevante testimonianza dell’importanza assegnata all’inserimento e alla crescita professionale dei nuovi membri della comunità scolastica, favorendo quell’assunzione di responsabilità condivisa e quella cultura collaborativa che emergono quali elementi fondamentali per l’efficacia dei processi di induction. Tale riscontro sembra trovare conferma, nel nostro Paese, negli esiti di un’indagine empirica già presa in esame nel precedente paragrafo. In un contesto in cui è difficile rintracciare ricerche specificamente incentrate sul ruolo dei dirigenti durante l’anno di formazione e di prova – e in cui tuttavia vi sono indizi a sostegno dell’importanza ad esso attribuita dai neoassunti5 – lo studio esplorativo condotto da Moretti e Alessandrini (2015) ha contribuito ad approfondire i punti di vista dei neoassunti circa la funzione strategica del capo di istituto nel promuovere contesti professionali in grado di configurarsi come vere e proprie “comunità di pratica” capaci di accogliere, valorizzare e far crescere i nuovi membri che vi si inseriscono. In particolare, i neoassunti intervistati ritengono che il dirigente costituisca un punto di riferimento fondamentale su due piani, che richiamano la distinzione posta tra funzioni di tipo diretto e indiretto. Da un lato essi esprimono l’esigenza di ricevere supporto a livello umano e professionale mediante frequenti incontri e occasioni di confronto, denotando apprezzamento per quei dirigenti

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Si fa qui riferimento a un’indagine regionale svolta in Emilia-Romagna durante l’a.s. 2005-06, nel cui ambito è stata rilevata l’opinione dei neoassunti sui fattori ritenuti importanti e utili per la propria crescita professionale durante l’anno di formazione: l’azione del dirigente scolastico è stata scelta dal 70% dei rispondenti (Gianferrari, 2007).

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che appaiono presenti e disponibili all’ascolto e mostrando invece insoddisfazione nel caso in cui la relazione con il dirigente assuma contorni eccessivamente formali e burocratici. Dall’altro lato evidenziano la necessità di un approccio più ampio, in cui al dirigente si richiede di creare presupposti e condizioni per lo sviluppo di una comunità professionale coesa e consapevole.

2. Il nuovo modello nazionale di formazione dei neoassunti: un’indagine empirica tra i dirigenti dell’Emilia-Romagna 2.1. Novità introdotte dalla normativa e ruolo delineato per i dirigenti scolastici

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Presumibilmente anche a seguito delle sollecitazioni derivanti dal panorama internazionale, come abbiamo visto indicative di una crescente attenzione verso le problematiche legate ai processi di induction e verso l’implementazione di programmi coerenti e sistematici, anche in Italia è stato di recente introdotto un nuovo modello di formazione dei neoassunti che, rispetto al passato, delinea un sistema più articolato, caratterizzato da modalità più attive e partecipate, che appare complessivamente in linea con gli orientamenti del dibattito scientifico e delle politiche attuate in ambito europeo6 (ad es. Cerini, 2015; Rossi et al., 2015; Brescianini & Fabrizio, 2016; Mangione, Pettenati & Rosa, 2016). A livello normativo, la fisionomia di tale modello è stata definita dal D.M. n. 850 del 27 ottobre 2015, che in attuazione della Legge 107/2015 (art. 1, c. 118) individua obiettivi e attività formative nonché criteri e procedure di valutazione riguardanti i docenti in periodo di prova. Le sue caratteristiche essenziali sono state tuttavia prefigurate dalla precedente C.M. n. 6768 del 27 febbraio 2015, in base alla quale il nuovo percorso formativo è stato attuato in via sperimentale durante l’a.s. 2014-15 al fine di testare un “prototipo” da mettere a sistema a partire dall’anno successivo. Senza entrare nel merito di una descrizione puntuale e completa del modello previsto dalla suddetta circolare, in relazione al quale è stata condotta l’indagine oggetto del presente contributo, ci preme qui richiamare sinteticamente alcuni elementi innovativi sui quali abbiamo centrato l’attenzione nella fase di pianificazione della ricerca. Rispetto alle attività in presenza, uno di questi è rappresentato dalla valorizzazione della formazione peer to peer basata sulla collaborazione e sullo scambio tra colleghi, che si sostanzia principalmente (anche se non esclusivamente) nell’azione di accompagnamento e supporto svolta dai docenti designati come tutor dei neoassunti: ad essi si attribuisce una funzione fondamentale per l’accoglienza e l’inserimento del neoassunto nella comunità scolastica nonché per la promozione del suo sviluppo professionale, obiettivo quest’ultimo che ha condotto all’introduzione di specifiche attività di reciproca osservazione in classe. Rispetto alla formazione online, la novità più rilevante è invece rappresentata dal

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A livello di linee guida politiche, un documento di rilievo è la guida intitolata Developing coherent and system-wide induction programmes for beginning teachers: a handbook for policymakers, pubblicata nel 2010 dalla Commissione Europea. Sul piano delle prassi attuate, è possibile ricavare un quadro della situazione europea in termini di diffusione e caratteristiche dei programmi di induction dal rapporto Eurydice The teaching profession in Europe del 2015.

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Portfolio professionale digitale7 che i docenti neossunti devono costruire durante l’anno di prova in base a finalità prevalentemente formative: pur svolgendo anche un ruolo di documentazione ai fini della valutazione finale del neoassunto – si prevede infatti che tale strumento sostituisca la tradizionale relazione/tesina finale e venga presentato e discusso durante il colloquio con il Comitato di Valutazione – l’accento viene infatti posto sulla sua funzione di stimolo e sostegno alla riflessione e alla crescita professionale8. Per quanto concerne il ruolo dei dirigenti scolastici durante l’anno di prova, rispetto al quale la C.M. 6768/2015 fornisce scarse indicazioni, è stato con il D.M. 850/2015 che si è giunti a una più puntuale specificazione delle funzioni e dei compiti assegnati ai capi di istituto nell’ambito del nuovo modello di formazione. A questo proposito, in base al testo del decreto, è possibile estrapolare le seguenti dimensioni: a) informativa, in quanto il dirigente – oltre a dover comunicare ai neoassunti gli obblighi connessi al periodo di prova, le modalità di svolgimento e valutazione del percorso, le funzioni attribuite ai tutor – è tenuto a fornire loro il piano dell’offerta formativa dell’istituto e la documentazione tecnico-didattica relativa alle classi e agli insegnamenti di loro pertinenza (art. 4, c. 2); b) organizzativa, in quanto al dirigente spettano: la pianificazione e il coordinamento delle attività di accoglienza, formazione, tutoraggio e supervisione professionale, avvalendosi della collaborazione dei docenti tutor (art. 15, c. 5); l’individuazione e la nomina di questi ultimi, sentito il parere del collegio dei docenti (art. 12, c. 1); l’eventuale programmazione di ulteriori osservazioni in classe oltre a quelle previste con i tutor, che coinvolgano altri docenti (art. 9, c. 3); c) “orientativa”, rintracciabile nel progetto formativo che dirigente e neoassunto definiscono all’inizio del percorso previsto dal periodo di prova (art. 5, c. 3); d) valutativa, in quanto spetta al dirigente – sulla base dell’istruttoria compiuta dal tutor nonché del parere obbligatorio ma non vincolante espresso dal Comitato di Valutazione – la valutazione finale del neoassunto e la decisione relativa alla sua conferma o meno in ruolo (artt. 13 e 14). Si fa invece più fatica a individuare nel decreto il riferimento esplicito a forme di coinvolgimento diretto dei dirigenti nella formazione e nel supporto in itinere dei docenti neoassunti, che come abbiamo visto emerge invece dalla letteratura quale fattore cruciale per l’efficacia dei processi di induction. Un “indizio” al riguardo è rintracciabile nel comma 5 dell’art. 15, in cui si afferma che i dirigenti sono tenuti a «visitare le classi dei docenti neoassunti almeno una volta nel corso

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Alcuni studi ed esperienze internazionali indicano che il portfolio - da tempo utilizzato nella formazione iniziale degli insegnanti, negli ultimi anni soprattutto in formato elettronico (ad es. Jafari & Kaufman, 2006) - sta trovando nei percorsi di formazione in ingresso un ulteriore contesto applicativo, in base a finalità legate sia allo sviluppo professionale sia alla valutazione dei neoassunti (ad es. Rolheiser & Schwartz, 2002; Jun et al., 2007; Boulton, 2014). Per quanto riguarda l’Italia, tali tematiche sono state affrontate, ad esempio, in un volume a cura di Giancarlo Cerini (2011). Nello specifico, il Portfolio digitale dei neoassunti si articola in diverse parti (Rossi et al., 2015; Magnoler & Rossi, 2016). Alle tre sezioni già previste dalla CM 6768/2015 il curriculum formativo, la documentazione dell’attività didattica sul piano della progettazione, della realizzazione e della riflessione, il bilancio di competenze finale - il successivo DM 180/2015 ne ha aggiunta una quarta, ovvero il bilancio di competenze iniziale, prevedendo inoltre che in base agli esiti di tale attività autovalutativa guidata dirigente e neoassunto stabiliscano un patto per lo sviluppo professionale, ovvero un progetto formativo centrato sugli ambiti di competenza da potenziare.

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del periodo di formazione e di prova». Per il resto, l’interazione con i neoassunti sembra ridursi al momento iniziale dell’accoglienza e della stesura del patto formativo e a quello finale della valutazione. 2.2. Obiettivi e procedure dell’indagine

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In connessione al nuovo modello nazionale di formazione dei docenti neoassunti sperimentato durante l’a.s. 2014-2015, l’indagine empirica9 qui descritta ha inteso esplorare il ruolo svolto dai dirigenti scolastici dell’Emilia-Romagna e rilevare i loro punti di vista sul percorso implementato mediante un questionario somministrato, al termine dell’a.s. in questione, all’intera popolazione di riferimento costituita dai dirigenti delle 536 Istituzioni scolastiche presenti sul territorio regionale10. Lo strumento utilizzato, compilato in forma anonima e in modalità online tramite l’applicativo LimeSurvey installato sul server del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, è stato costruito ad hoc per l’indagine a partire da alcuni aspetti del modello delineato dalla normativa ritenuti particolarmente rilevanti e innovativi anche alla luce della letteratura internazionale analizzata. Dopo una prima parte introduttiva volta a rilevare la tipologia e la provincia di appartenenza dell’Istituto diretto e l’effettiva presenza al suo interno di docenti neoassunti nell’a.s. 2014-15, il questionario comprende 35 item suddivisi nelle seguenti sezioni: a) Il tutorato; b) L’osservazione in classe e il confronto in itinere; c) La documentazione e la raccolta di evidenze; d) Il Comitato di valutazione; e) Il Portfolio formativo digitale; f) Prospettive future. Al fine di rendere meno dispendiosa l’attività in un periodo denso di impegni e di scadenze, si è optato per la messa a punto di domande a risposta chiusa. Tuttavia, per consentire ai dirigenti di esprimere in forma libera ed estesa i propri punti di vista e raccogliere così informazioni più approfondite, al termine del questionario è stata inserita una domanda aperta tramite la quale i dirigenti sono stati invitati a scrivere osservazioni e suggerimenti sull’anno di formazione e di prova. I dati rilevati sono stati analizzati tramite il programma statistico SPSS, prestando particolare attenzione alle eventuali differenze nei risultati riconducibili al grado scolastico: laddove emerse, tali differenze vengono segnalate nel successivo paragrafo di presentazione dei risultati. Per quanto concerne la domanda aperta finale, è stata effettuata – in modo indipendente dall’autrice del presente contributo

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Lo studio è stato realizzato in seguito a un Protocollo di Intesa tra Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna e Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna nell’ambito della Commissione istituita, ai sensi del D.D.G. 363/2015, per il monitoraggio e la valutazione del Piano di formazione dei neoassunti nell’a.s. 2014-15. Al gruppo di ricerca del Dipartimento che ha effettuato l’indagine, coordinato dalla prof.ssa Maria Lucia Giovannini in qualità di responsabile scientifica, hanno partecipato - oltre all’autrice del presente contributo - anche Liliana Silva ed Elisa Truffelli. Per quanto riguarda l’USR, Giancarlo Cerini e Maria Teresa Bertani hanno collaborato alla messa a punto del questionario. Per la presentazione dei risultati della ricerca si rinvia anche a Giovannini & Rosa (2016) nonché al Rapporto consultabile online all’indirizzo http://www.istruzioneer.it (rubrica Formazione in servizio, Docenti neoassunti). 10 Ai dirigenti con incarichi di reggenza è stato chiesto di compilare un questionario per ciascun Istituto di riferimento.

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e dalla responsabile scientifica della ricerca (cfr. Nota 9) – un’analisi tematica del contenuto volta all’individuazione dei temi ricorrenti nelle risposte dei dirigenti e alla codifica dei dati; tramite successivo confronto tra le due ricercatrici, che ha rivelato una sostanziale concordanza rispetto ai temi identificati, è stato possibile risolvere i pochi casi di disaccordo relativi alla codifica delle risposte e giungere a un’interpretazione condivisa. Il livello di partecipazione all’indagine è stato elevato: su un totale di 536 Istituzioni scolastiche i questionari restituiti sono stati 426, con un tasso di risposta pari al 79,5%11. Molti dei dati di seguito presentati si riferiscono tuttavia ai 407 rispondenti cui è stato richiesto di compilare il questionario nella sua interezza: in 19 casi (4,5%), infatti, i dirigenti hanno indicato che nel proprio Istituto non erano presenti neoassunti durante l’a.s. considerato, rispondendo di conseguenza solo ad alcuni item mediante un sistema di filtri impostato sulla piattaforma LimeSurvey. Per quanto concerne infine la domanda aperta finale, le risposte sono state 146, corrispondenti al 34% circa sul totale dei 426 questionari raccolti. 2.3. Ruolo e punti di vista dei dirigenti: principali risultati 2.3.1. Il ruolo “diretto” dei dirigenti nella formazione e nel supporto dei neoassunti Le risposte ad alcune domande incluse nel questionario portano a ritenere che i dirigenti partecipanti all’indagine abbiano svolto, nei confronti dei neoassunti, una funzione di sostegno in itinere inquadrabile all’interno del ruolo che in precedenza abbiamo definito diretto. Un primo dato a supporto di tale riscontro è l’elevata percentuale di dirigenti (95%) che dichiara di aver avuto, durante l’anno scolastico, momenti di confronto con i neoassunti. In relazione a tale risultato, che può essere considerato indicativo di una leadership disponibile e attenta rispetto ai bisogni e alle eventuali difficoltà dei nuovi membri della comunità scolastica, sembra delinearsi però l’esigenza di un approccio più strutturato: dalle risposte alla domanda relativa alle modalità mediante cui questo confronto si è svolto emerge infatti la prevalenza – soprattutto tra i dirigenti di Scuola secondaria di II grado, con una differenza statisticamente significativa rispetto agli altri gradi scolastici – di scambi di tipo informale, mentre solo in pochi casi (27%) gli incontri tra dirigenti e neoassunti sono stati previsti in modo esplicito e programmato. Un ulteriore risultato rilevante rispetto al ruolo diretto del dirigente nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti è emerso in relazione all’osservazione in classe, che come abbiamo visto costituisce un aspetto qualificante del nuovo impianto delineato per l’anno di prova. Rispetto a ciò, i dati raccolti nell’ambito della nostra indagine rivelano non solo l’importanza assegnata dai dirigenti intervistati all’osservazione peer to peer – la necessità di potenziarla nell’ambito dell’anno di formazione anche coinvolgendo, oltre ai docenti tutor, altri soggetti quali il dirigente

11 Considerando i dati disaggregati per tipologia di Istituzione scolastica e per Provincia, anche le percentuali meno alte – corrispondenti al 71% della Scuola secondaria di II grado e al 70% circa delle province di Reggio Emilia e di Forlì-Cesena – risultano comunque rilevanti.

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stesso e i membri del Comitato di Valutazione, è stata individuata tra i temi emersi dall’analisi delle risposte alla domanda aperta del questionario – ma anche il loro coinvolgimento diretto in tale attività: infatti, sebbene solo una minoranza di dirigenti dichiari di aver assistito a momenti di osservazione reciproca tra tutor e neoassunti (28%), la maggior parte di essi (62%) ha effettuato in prima persona osservazioni nelle classi dei neoassunti, anche se in modo nel complesso poco sistematico12. Oltre il 90% dei dirigenti afferma inoltre di essersi confrontato con tutor e neoassunti sull’andamento e sugli esiti dell’osservazione peer to peer, anche in questo caso in modo prevalentemente informale (63%) piuttosto che mediante incontri appositamente programmati (30%). Sia ai dirigenti che hanno svolto osservazioni in classe sia a quelli che non ne hanno svolte è stato chiesto anche a quali aspetti hanno/avrebbero dato priorità durante le osservazioni. I dati relativi ai due gruppi evidenziano risultati molto simili: in entrambi i casi, infatti, gli aspetti cui si attribuisce più importanza sono la gestione delle dinamiche interne alla classe (rispettivamente 73% e 77%), il ricorso a metodologie inclusive (47% per entrambi i gruppi) e l’uso di un’efficace mediazione didattica per la materia insegnata (rispettivamente 45% e 55%). In relazione alle procedure e agli strumenti per la conduzione delle osservazioni tra tutor e neoassunti, solo una minoranza di dirigenti ha ritenuto opportuno fornire loro istruzioni operative di tipo metodologico: nella maggior parte dei casi, infatti, sono stati utilizzati strumenti suggeriti dall’USR (51%) oppure tutor e neoassunti si sono tra loro organizzati a livello informale (19%). A questo proposito, l’esigenza di un approccio più sistematico – anche attraverso l’adozione di strumenti standardizzati forniti da soggetti istituzionali quali il MIUR, l’INValSI e l’Università – viene sottolineata da alcuni dirigenti in risposta alla domanda aperta del questionario. 2.3.2. Il ruolo “indiretto” dei dirigenti: la gestione delle attività di tutorato In linea con la normativa, che assegna una funzione fondamentale ai docenti tutor per l’inserimento dei neoassunti nella comunità scolastica e per lo sviluppo delle loro competenze professionali, le risposte dei dirigenti alla domanda aperta del questionario rivelano l’importanza che essi attribuiscono alle attività di tutorato: oltre a quanto già affermato in relazione all’osservazione peer to peer, tra i temi emersi dall’analisi dei dati vi è infatti la necessità di potenziare il ruolo dei tutor durante l’anno di formazione e di prova anche attraverso specifici interventi formativi loro rivolti. Per quanto concerne l’organizzazione e gestione di tali attività da parte del dirigente, aspetti riconducibili al suo ruolo indiretto nella formazione e nel supporto dei docenti neoassunti, i dati raccolti nell’ambito della nostra indagine mostrano innanzitutto che è stato privilegiato un rapporto “uno ad uno”: benché la normativa attuale preveda che ogni docente tutor possa seguire più neoassunti (fino a un massimo di tre), oltre il 90% dei dirigenti afferma che, all’inizio dell’a.s. considerato, si è provveduto alla designazione di un tutor per ogni neoassunto all’in-

12 Considerando le risposte positive, solo nel 10% circa dei casi i dirigenti hanno osservato tutti i neoassunti. Per il resto, le osservazioni sono state svolte in modo sporadico e in relazione a situazioni particolari.

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terno dell’istituto. Rispetto alle modalità seguite, la nomina è prevalentemente avvenuta tramite elezione da parte del collegio dei docenti (43%) o mediante designazione diretta da parte del dirigente (36%); in relazione ai criteri considerati, si è fatto riferimento soprattutto alle specifiche competenze del docente (63%) – alternativa scelta in misura significativamente superiore (75%) dai dirigenti della Scuola secondaria di II grado – e all’affinità delle discipline insegnate (55%), mentre mostrano percentuali inferiori la titolarità nella medesima classe (26%), le precedenti esperienze (25%) e l’anzianità di servizio (8%). Solo 9 dirigenti affermano di aver avuto difficoltà nell’assegnare gli incarichi di tutorato, riconducendole soprattutto allo scarso riconoscimento dell’attività svolta. In linea con tale risultato, tra le criticità rilevate dai dirigenti in risposta alla domanda aperta del questionario emerge proprio l’esigenza di un’adeguata valorizzazione del ruolo svolto dai docenti tutor, anche in termini economici: in relazione a quest’ultimo aspetto, degna di nota è la presenza di una percentuale non irrilevante di dirigenti (37%) che affermano che, nell’a.s. considerato, per i tutor non è stata prevista alcuna retribuzione specifica/aggiuntiva. Un altro dato che induce a riflettere è l’elevata percentuale di dirigenti (44%) – significativamente più alta (59%) per quelli di Scuola secondaria di II grado – che afferma di non aver previsto, in caso di presenza di più docenti tutor nel proprio istituto, riunioni di coordinamento finalizzate a condividere approcci e metodi di lavoro. Appare infine rilevante il ruolo di monitoraggio e supporto ongoing che, in relazione all’osservazione peer to peer, sembra emergere da un dato già riportato nel precedente paragrafo: il 94% dei dirigenti, infatti, afferma di aver avuto durante l’anno occasioni di confronto con tutor e neoassunti sull’andamento e sugli esiti delle reciproche osservazioni. 2.3.3. I dirigenti e la valutazione dei neoassunti I dati fin qui presentati ci inducono a supporre che, attraverso forme di supporto in itinere come quelle riconducibili all’osservazione in classe dei neoassunti, i dirigenti intervistati abbiano svolto una funzione valutativa intesa in senso formativo affiancandola a quella, di tipo sommativo, esplicitamente prevista dalla normativa vigente. Rispetto a quest’ultima funzione, che implica la raccolta di evidenze ed elementi informativi utili alla documentazione delle attività formative, i dati raccolti mostrano che quasi tutti i dirigenti (96%) hanno esaminato schede, documenti e rapporti forniti dai docenti neoassunti; la maggior parte di essi (84%), inoltre, afferma di aver richiesto ai tutor un resoconto – prevalentemente in forma di relazione scritta – sulla loro esperienza con i neoassunti. La valutazione finale dei neoassunti è emersa anche tra i temi individuati in fase di analisi delle risposte alla domanda aperta inclusa nel questionario. Accanto ad alcuni dirigenti che hanno fatto riferimento agli attori coinvolti, sottolineando ad esempio la necessità di ampliare il ruolo del Comitato di Valutazione attraverso momenti di incontro con i neoassunti anche durante l’anno (non solo nell’ambito del colloquio finale) oppure quella di rilevare e considerare il parere espresso anche da altri soggetti (quali gli studenti, le loro famiglie e i consigli di classe), prevalgono le risposte incentrate sui casi di valutazione negativa. A tal proposito, viene posto il problema di evitare che l’anno di prova si traduca in una mera formalità, rendendo effettiva – ad esempio mediante un iter meno complesso – la possibilità di rinviare o “bloccare” l’assunzione dei docenti le cui

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competenze siano giudicate parzialmente o del tutto inadeguate allo svolgimento della professione. A tutti i dirigenti coinvolti nell’indagine, a prescindere dalla presenza o meno di neoassunti presso il proprio istituto durante l’a.s. considerato, sono state poste anche alcune domande più generali relative alla professionalità docente e alla sua valutazione, tema attuale e controverso per tutti gli insegnanti – non solo per quelli in periodo di formazione e di prova – alla luce degli orientamenti delle politiche scolastiche e della crescente enfasi posta sull’accountability in ambito educativo. Rispetto alle dimensioni ritenute più importanti per un insegnamento di qualità, la capacità di coinvolgere e motivare gli allievi appare come l’alternativa più scelta dai dirigenti (95%), seguita dalla capacità di collaborare con i colleghi (73%) e dall’apertura nei confronti dell’innovazione metodologica e didattica (71%)13. Per quanto concerne gli strumenti ritenuti più adeguati per migliorare la professionalità dei docenti, la percentuale più elevata (84%) si riscontra in relazione alla necessità di rendere obbligatoria la formazione in servizio, cui fa seguito quella di favorire la collaborazione tra i docenti (63%); degni di nota sono anche i valori osservati rispetto all’esigenza di incentivare i docenti al miglioramento delle proprie prassi didattiche con un riconoscimento di tipo economico (56%) e a quella di implementare dispositivi di valutazione dei docenti (53%). In relazione a quest’ultimo aspetto, la maggior parte degli intervistati (86%) ritiene che a realizzare tale valutazione dovrebbe essere il dirigente stesso supportato da un nucleo di valutazione interno all’istituto, con una percentuale significativamente più elevata tra i dirigenti della Scuola secondaria di II grado (91%). Il ricorso a esperti esterni viene scelto dal 34% dei dirigenti, con una percentuale significativamente più bassa (26%) a livello di Scuola secondaria di II grado. Solo il 12% dei dirigenti ritiene opportune forme di valutazione tra pari e le altre alternative proposte, ovvero “Esclusivamente il dirigente scolastico” e “Esclusivamente il docente in forma di autovalutazione”, mostrano percentuali ancora più basse (7% e 1%). Per quanto concerne infine la finalità prioritaria che i dirigenti assegnano alla valutazione dei docenti, l’obiettivo di favorire il miglioramento dell’insegnamento rappresenta l’alternativa di gran lunga più scelta (72%), cui segue quello di stimolare la professionalità dei docenti (19%); le altre alternative proposte, ovvero “Far progredire nella carriera docente” e “Verificare l’impegno dei singoli docenti”, mostrano percentuali residuali (rispettivamente intorno al 6% e al 2%). Nel complesso prevale dunque una visione della valutazione dei docenti come strumento volto a promuovere il loro sviluppo professionale e il miglioramento dei processi di insegnamento-apprendimento, secondo una logica di tipo formativo che sembra lasciare poco spazio a un uso dei risultati a fini classificatori e premiali. 2.3.4. Le opinioni dei dirigenti sul Portfolio digitale dei neoassunti Come abbiamo visto descrivendone brevemente finalità e struttura, al Portfolio digitale che i neoassunti devono sviluppare durante l’anno di prova la normativa assegna due diverse funzioni: la prima, su cui viene posto l’accento in quanto ritenuta

13 Le altre dimensioni considerate si riferiscono alla padronanza dei contenuti disciplinari (55%) e alla capacità di utilizzare le nuove tecnologie (26%).

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prioritaria, è di tipo formativo e consiste nel promuovere, da parte del neoassunto, processi di riflessione e autovalutazione che alimentino la sua crescita professionale continua; la seconda vede invece il portfolio come strumento di documentazione delle competenze professionali del neoassunto utile alla sua valutazione. Ci siamo dunque chiesti se i dirigenti avessero fatto propri gli orientamenti delineati o se invece, spettando loro il compito di esprimere il giudizio finale sul superamento del periodo di prova, tendessero a dare particolare rilievo alla seconda delle funzioni individuate. In base ai dati raccolti, i dirigenti intervistati mostrano di aver compreso e condividere il senso prevalentemente formativo che emerge dalla normativa14: alla domanda che chiedeva loro di indicare quali elementi del Portfolio ritenessero più importanti e utili rispondono infatti collocando al primo posto la possibilità per il neoassunto di riflettere sulla propria esperienza (63%), seguita da quella di proiettarsi verso lo sviluppo futuro della propria professionalità (53%). Percentuali più basse si riscontrano in relazione alla documentazione dell’attività didattica (44%), al bilancio delle competenze attuali (43%), al curriculum formativo (39%) e alla descrizione della progettazione didattica (36%), aspetti più legati al ruolo che lo strumento può assumere nella valutazione finale del neoassunto. Tale esito trova supporto nei dati relativi alle opinioni dei dirigenti sul valore aggiunto del Portfolio formativo rispetto alla tradizionale relazione/tesina finale: le percentuali osservate mostrano infatti che la riflessione sull’attività di insegnamento (65%) e sulle proprie competenze (52%) in un’ottica autovalutativa appaiono, ancora una volta, quali punti di forza dello strumento, seguiti dall’elaborazione di un progetto di sviluppo professionale (40%). Le altre alternative di risposta, incentrate sui vantaggi del Portfolio come strumento di documentazione quali la possibilità di un aggiornamento continuo, di inserirvi evidenze e di interagire con materiali ipertestuali/multimediali, mostrano percentuali di scelta più basse (rispettivamente 32%, 25% e 19%). Ai dirigenti partecipanti all’indagine è stata posta anche una domanda sui possibili usi dello strumento qualora, in prospettiva, venisse esteso a tutti gli insegnanti in servizio. In linea con quanto emerso in relazione alle domande precedenti, l’uso privilegiato (74%) concerne l’autovalutazione da parte del docente stesso, cui fa seguito la valutazione della professionalità docente (56%). Il 36% dei dirigenti pensa inoltre che il Portfolio possa essere utile nell’assegnazione di incarichi e funzioni ai docenti, mentre solo il 22% ritiene auspicabile un impiego legato a esigenze di rendicontazione sociale tramite pubblicazione online dello strumento o di sue parti specifiche. Sulla valenza formativa/autovalutativa del Portfolio digitale si incentra anche uno dei temi emersi dall’analisi delle risposte dei dirigenti all’ultima domanda aperta del questionario: pur rivelando alcune perplessità (relative ad esempio alla possibilità che i neoassunti valutino se stessi in modo poco attendibile), esse evidenziano una percezione positiva delle potenzialità dello strumento per alimentare processi di riflessione e sviluppo professionale, tanto che in alcuni casi emerge la proposta di renderlo obbligatorio per tutti i docenti in ruolo.

14 L’apprezzamento per il valore formativo dello strumento è emerso anche da un’indagine che ha rilevato le percezioni dei neoassunti sul percorso online sperimentato nell’ambito del nuovo modello introdotto durante l’a.s. 2014-15 (Rossi et al., 2015).

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Riflessioni conclusive

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L’analisi della letteratura presa in esame nella prima parte del contributo ci ha permesso di delineare un quadro delle molteplici dimensioni cui può essere ricondotto il ruolo dei dirigenti scolastici nei processi di induction, rispetto al quale emerge l’importanza di forme di sostegno in itinere che si collocano tra il momento dell’accoglienza iniziale del neoassunto nella comunità scolastica e quello della sua valutazione finale. Rifacendosi al dibattito su tale tematica, che nel contesto italiano appare scarsamente approfondita soprattutto sul piano empirico, l’indagine presentata – realizzata nell’ambito di un piano regionale di monitoraggio e valutazione del nuovo modello di formazione dei neoassunti sperimentato in Italia durante l’a.s. 2014-15 – ha inteso esplorare il ruolo svolto dai dirigenti e cogliere i loro punti di vista sul percorso implementato. Pur non essendo possibile escludere effetti distorsivi legati alla “desiderabilità sociale” delle risposte, che tuttavia l’uso di un questionario anonimo somministrato online dovrebbe aver contribuito a contenere, i risultati osservati suggeriscono che i dirigenti partecipanti all’indagine hanno svolto, nei confronti dei neoassunti, funzioni che sembrano andare oltre quelle richieste dalla normativa e appaiono in linea con alcune raccomandazioni derivanti dalla letteratura internazionale: ciò emerge, ad esempio, in relazione alle elevate percentuali di dirigenti che durante l’anno scolastico hanno ricercato momenti di confronto con i docenti neoassunti (95%), li hanno osservati in classe (62%), hanno discusso con loro e con i rispettivi tutor l’andamento e gli esiti delle attività peer to peer (94%). Si delinea insomma un ruolo di monitoraggio/supporto ongoing che i dirigenti svolgono però in modo prevalentemente informale e che, tramite un approccio più strutturato e sistematico, potrebbe essere meglio articolato e realizzato secondo modalità più omogenee, sia tra differenti scuole sia tra i diversi neoassunti all’interno dei singoli istituti. Pur esprimendo osservazioni critiche e suggerimenti in merito all’impianto previsto per l’anno di formazione e di prova (relativi ad esempio alle modalità e agli strumenti di conduzione delle osservazioni, al ruolo dei tutor e alla loro formazione, alle procedure di valutazione finale), che possono costituire utili elementi di riflessione in vista del suo perfezionamento, i dirigenti mostrano inoltre una sostanziale condivisione dei presupposti e delle scelte di fondo del nuovo modello. Ciò vale, ad esempio, per l’importanza attribuita alle attività di tutorato e di osservazione in classe o per il modo in cui interpretano le potenzialità e il significato del Portfolio digitale. In conclusione, richiamando quanto affermato nell’introduzione circa la formazione degli insegnanti come processo dinamico e continuo, i dirigenti partecipanti alla nostra indagine risultano consapevoli delle esigenze di sviluppo professionale connesse al periodo di prova e della necessità di sostenere i neoassunti durante il percorso, svolgendo un ruolo in tal senso anche laddove non esplicitamente previsto dalla normativa. Rispetto a ciò, gli effetti legati ad alcune rilevanti novità introdotte dal D.M. 850/2015 ed entrate a regime a partire dall’a.s. 2015-16, quali il patto formativo tra neoassunto e dirigente e l’obbligo per quest’ultimo di visitare le classi dei neoassunti almeno una volta nel corso dell’anno di prova, rappresentano interessanti oggetti di indagine in vista dello sviluppo della ricerca sul tema. Più in generale, l’ulteriore approfondimento nel contesto italiano del ruolo dei capi di istituto durante l’anno di prova, anche attraverso processi di triangolazione tra i punti di vista espressi in proposito dai vari attori coinvolti (in primis i neoassunti stessi ma anche, ad esempio, i docenti tutor), appare come una prospettiva di ricerca in grado di contribuire alla qualità e all’efficacia dei percorsi di inserimento in ruolo degli insegnanti.

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Insegnare a leggere la mente. La realizzazione di un edugame per lo sviluppo delle abilità sociali in soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico Paola Aiello • Università degli Studi di Salerno - paiello@unisa.it Stefano Di Tore • Università degli Studi di Salerno - sditore@unisa.it Erika Marie Pace • Università degli Studi di Salerno - epace@unisa.it Maurizio Sibilio • Università degli Studi di Salerno - msibilio@unisa.it

Teaching how to read the mind: the design of an edugame for the development of social skills in students with Autism Spectrum Disorders

2 3 4

Il lavoro presenta una ricerca volta alla realizzazione di un edugame finalizzato a supportare l’agire didattico inclusivo in presenza di alunni con Disturbo dello Spettro Autistico. Premessa la valenza delle tecnologie per la didattica inclusiva, l’edugame sperimentato ripercorre le fasi del programma educativo elaborato da Howlin, BaronCohen e Hadwin (1999), in modo tale da consentire ai docenti di agire didatticamente, rispondendo a specifici stili cognitivi e rendendo l’individualizzazione e la personalizzazione dell’intervento didattico maggiormente sostenibili nei contesti scolastici italiani. I primi esiti dal testing dell’edugame hanno dimostrato un livello di attrattività maggiore dal test classico ‘carta e matita’ e un incremento nel riconoscimento di emozioni e di espressioni.

Keywords: inclusive teaching, autism spectrum disorders, edugame, mindfulness, technology, social skills

Parole chiave: didattica inclusiva, disturbi del-

lo spettro autistico, edugame, mentalizzazione, technology, social skills

Paola Aiello, Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, Università degli Studi di Salerno, è autore del contributo. Stefano Di Tore, Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, Università degli Studi di Salerno, è coautore del contributo e sviluppatore del software. Erika Marie Pace, Dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, Università degli Studi di Salerno, ha curato l’analisi della letteratura e la metodologia della ricerca. Maurizio Sibilio, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, Università degli Studi di Salerno, è coordinatore scientifico della ricerca.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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ricerche

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This paper presents a research aimed at creating an edugame whose objective is that of supporting inclusive teaching practices in the presence of students with Autism Spectrum Disorders. Taking into consideration the literature supporting the added value of technology to promote inclusive practices, the experimented edugame was designed in line with the phases envisaged in Howlin’s educational program. Such resources aid teachers to put into practice more sustainable individualized and differentiated instruction to respond to the students’ specific cognitive styles in Italian school contexts. The initial results from the testing of the edugame have demonstrated a greater appeal than the classic ‘paper and pencil’ test and an increase in the recognition of emotions and expressions.


Insegnare a leggere la mente. La realizzazione di un edugame per lo sviluppo delle abilità sociali in soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico

Premessa

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Alla luce delle attuali emergenze educative che riguardano il conseguimento del successo formativo di tutti e ciascuno in un’ottica di individualizzazione e di personalizzazione dell’insegnamento-apprendimento, le tecnologie si rivelano un efficace facilitatore o, meglio, un potente amplificatore delle potenzialità soggettive in presenza di disturbi, disabilità o bisogni educativi speciali. La letteratura scientifica sul tema ha, di fatto, confermato la straordinaria potenza inclusiva di un uso consapevole delle tecnologie (Rivoltella, 2012, 2105; Rossi, 2011, 2016; Falcinelli, 2000; Calvani, 2013; Edyburne, Higgins & Boone, 2005), imponendo una nuova modalità di fare scuola e, soprattutto, una formazione dei docenti che argini i pericoli di derive tecnoutopiche o tecnofobiche in cui la tecnologia venga proposta come risorsa integrativa e non sostitutiva dell’insegnante (Hattie, 2009). L’adozione di nuovi stili di insegnamento che si allineino alle specifiche configurazioni cognitive degli studenti (Sibilio, 2016) passa, infatti, attraverso una preliminare progettazione didattico-educativa con conseguente pianificazione degli interventi che tenga conto delle differenze individuali e che si traduca in strategie flessibili mediate dall’uso delle tecnologie. Ciò sembra essere ancor più vero allorquando gli stili cognitivi dei discenti presentano caratteristiche tali da rendere necessario supportarne le abilità differenti, affrancandosi dalla logica compensativa ancorata ai concetti di diversità, adattamento ed integrazione (Sibilio & Aiello, 2015). All’interno di tale framework, che in estrema sintesi esplicita un punto di vista relativo all’uso delle tecnologie per l’inclusione, la sperimentazione condotta dal gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Salerno, coordinato dal prof. Maurizio Sibilio, si pone come obiettivo di indagare le potenzialità di un edugame didattico finalizzato a favorire lo sviluppo delle abilità sociali in studenti con disturbi dello spettro autistico. Lo stile cognitivo di questi ultimi si presenta, infatti, come caratterizzato da una tendenza alla sistematizzazione a scapito della dimensione sociale (Howlin, 2005; Baron-Cohen, 1993) e appare essere in linea con modalità di insegnamento che scompongono l’azione didattica in attività suddivise in compiti di natura diversa. Coerentemente con quanto proposto da Howlin, Baron-Cohen e Hadwin (1999) nell’ambito del loro programma educativo, le attività proposte e supportate dal software ripercorrono lo sviluppo delle funzioni che sottendono al corretto funzionamento del processo di mentalizzazione. Il lavoro parte da una sintetica descrizione dei disturbi dello spettro autistico, per poi considerare come ipotesi esplicativa del quadro sindromico il deficit di mentalizzazione proposto nell’ambito dell’approccio cognitivo (Baron-Cohen, Leslie & Frith, 1985) e, infine,tracciare le linee di sviluppo di un edugame che possa supportare l’agire didattico del docente in un’ottica di valorizzazione dello stile cognitivo dei suoi discenti. Lo strumento proposto rende possibile, inoltre, la realizzazione di una didattica individualizzata e personalizzata nei contesti scolastici italiani fondati su una politica single track, rispondendo alle pressanti istanze, da parte dei docenti, di rendere sostenibile la logica inclusiva anche sul piano operativo e prassico.

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1. Disturbi dello Spettro Autistico e abilità di mentalizzazione «Nessuna teoria, finora, è riuscita a coprire tutta la gamma di fenomeni che si possono osservare nell’autismo. […] La nostra comprensione dell’autismo progredisce, sì, ma con una disperante lentezza» (Sacks, 1995, p. 331).

Nell’affermazione di Oliver Sacks nel suo libro ‘Un antropologo su Marte’ (1995) emerge chiaramente che la comunità scientifica sia ancora in cerca di una teoria che possa essere sufficiente, comprensiva ed esaustiva nel descrivere la varietà di manifestazioni che si possono osservare in presenza di disturbi dello spettro autistico, rendendo la conoscenza delle sue cause solo probabile (Goussot, 2012). È, comunque, attualmente condivisa la posizione che riconduce l’eziologia degli autismi a cause di tipo biologico-genetico e, per quanto concerne le aree maggiormente compromesse, sembra prevalere la spiegazione in termini di diade sintomatologica (Cottini & Vivanti, 2013). Tale locuzione racchiude un deficit nell’area della comunicazione sociale, che comprende il deficit nella comunicazione (sia linguaggio verbale che non verbale), il deficit sociale (capacità di interagire socialmente con gli altri) e un deficit di immaginazione, ovvero un repertorio ristretto di attività, interessi e comportamenti ripetitivi e stereotipati. Questi deficit sono molto spesso accompagnati da altre manifestazioni cliniche che interferiscono con la capacità di apprendere o con la qualità di vita dei soggetti nello spettro autistico, come ad esempio anomalie sensoriali, anomala regolazione emotiva, anomalie dell’attenzione, difficoltà a pianificare e organizzare le proprie attività: quello che un soggetto con sviluppo normale riesce a fare con semplicità (ad esempio le azioni necessarie a lavare la mani), per un soggetto autistico può essere complicato (Baron-Cohen, 1993; Goussot, 2012; Howlin, 1998). In particolare, la ricerca ha dimostrato che «varie correlazioni tra alcune espressioni sintomatologiche dell’autismo e relativi substrati neurologici; in letteratura vengono infatti descritte alcune compromissioni neurofisiologiche, cognitive e sensoriali oltre che alcune anomalie genetiche. È oggi condivisa l’idea che i disturbi dello spettro autistico possano essere associati a diverse alterazioni biologiche e che le basi genetiche siano multifattoriali. Considerando, inoltre, l’eterogeneità delle manifestazioni di questi disturbi è plausibile che ad espressioni fenomeniche diverse possano corrispondere basi biologiche differenti» (Lattoni, 2010, p. 6).

Nonostante l’eterogeneità delle manifestazioni di tali disturbi, numerosi studi scientifici appaiono concordi nel ricondurre la maggior parte dei sintomi presentati da soggetti con disturbi dello spettro autistico ad un deficit relativo all’abilità cognitiva di ‘mentalizzazione’ (Baron-Cohen, Leslie & Frith, 1985; Frith, 2009). Tale abilità è relativa alla capacità di imputare a se stessi e ad altri una ‘mente’. Più nello specifico, la capacità di ‘mentalizzare’ o di ‘leggere la mente’ si riferisce «all’abilità di inferire gli stati mentali degli altri, vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e così via, e all’abilità di usare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito» (Howlin, Baron-Cohen & Hadwin, 1999, p. 8). L’abilità di leggere la mente sembra, di conseguenza, essere alla base di importanti funzioni cognitive quali:

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– interagire in modo differente con organismi viventi e con oggetti inanimati (Baron-Cohen, Leslie & Frith, 1985); – dare senso al comportamento interpersonale (Dennet, 1978); – fornire un senso alla comunicazione (Grice, 1970); – ingannare; – persuadere; – empatizzare (Baron-Cohen &’ Cunsolo, 1997).

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La capacità di mentalizzare nei soggetti a sviluppo tipico si manifesta in modo del tutto spontaneo a partire dall’infanzia. Un crescente numero di studi ha, però, dimostrato che i soggetti autistici incontrano severe difficoltà nei ragionamenti che implicano l’attribuzione di stati mentali e, pertanto, è stata suggerita l’ipotesi che tali difficoltà derivino da un mancato sviluppo della capacità di mentalizzare. Per esempio, i bambini autistici sottoposti a test sulla falsa credenza fanno, in media, più errori sia dei bambini normodotati sia di quelli affetti da disturbi dell’apprendimento di età pari o superiore. La maggior parte di loro, inoltre, non supera i ‘test di comprensione delle opinioni’ e i ‘test sull’inganno’ (Frith, 2010). Sulla base di tali considerazioni, l’ipotesi presentata nell’ambito degli studi cognitivi relativamente ad una possibile cecità mentale è, in estrema sintesi, che l’autismo derivi da un deficit dei moduli della Teoria della Mente specificamente selezionati nel corso dell’evoluzione (Baron-Cohen, Leslie & Frith, 1985; BaronCohen, 1995; 1999). La letteratura scientifica tende, quindi, a considerare la lettura della mente come il frutto di meccanismi cognitivi altamente specializzati e come un’abilità complessa che fa parte del naturale sviluppo dell’individuo. In particolare, partendo dalle sperimentazioni effettuate ed utilizzando un approccio psicologico-evoluzionista, Baron-Cohen e Cunsolo (1997) ipotizzano che la capacità di leggere la mente sia basata essenzialmente sul funzionamento di quattro meccanismi cognitivi principali: – – – –

il rivelatore dell’intenzionalità (ID); il rivelatore della direzione degli occhi (EDD); il meccanismo dell’attenzione condivisa (SAM); il meccanismo della teoria della mente (TOMM) (Baron-Cohen & Cunsolo, 1997).

Il primo dispositivo, definito dallo studioso Intentionality Detector (ID), consentirebbe di interpretare lo scopo ed il desiderio degli stimoli in movimento di qualsiasi agente; il secondo, l’Eye-Direction Detector (EDD), avrebbe la funzione di rilevare la presenza di occhi o di stimoli simili, di computare dove sono diretti ed inferire che, se gli occhi sono diretti verso qualcosa, il soggetto sta vedendo quella cosa. Lo Shared-Attention Mechanism (SAM), fortemente collegato al funzionamento dell’’EDD, costruirebbe rappresentazioni triadiche ricevendo informazioni percettive circa un altro agente. Il quarto ed ultimo meccanismo, ossia il meccanismo proprio della teoria della mente, Theory of Mind Mechanism (TOMM), servirebbe ad inferire dal comportamento gli interi stati mentali che comprendono: il fare finta, il sapere, il credere, l’immaginare, il sognare, l’indovinare e l’ingannare. In pratica, questo meccanismo avrebbe la funzione di collegare tutti questi costrutti prodotti dagli stati volizionali, percettivi ed epistemici in un’interpretazione coerente della correlazione tra stati mentali e azioni, con «la duplice funzione di rappresentare l’insieme degli stati mentali epistemici e di trasformare tutte queste conoscenze in una teoria utile» (Baron-Cohen & Cunsolo, 1997, p. 66).

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Sulla base di tali ipotesi, alcune sperimentazioni relative ad attività cognitive concernenti la falsa credenza hanno portato ad identificare le aree cerebrali del solco temporale superiore e della ginzione temporo-parietale come le principali aree responsabili dei processi di mentalizzazione, ipotizzando l’esistenza di un substrato neurale altamente specializzato per la computazione di tali informazioni e l’esistenza di moduli cerebrali relativamente autonomi e specializzati per lo svolgimento di tali funzioni cognitive (Saxe, 2005, 2006; Saxe, Carey & Kaniwhser, 2004; Saxe & Wexler, 2005). Considerando le funzioni in cui il processo di mentalizzazione è implicato, appare chiaro come esso rappresenti una pietra miliare nello sviluppo delle competenze sociali dell’individuo. Il mancato sviluppo della capacità di leggere la mente durante l’infanzia comporta, infatti, gravi conseguenze sul piano sociale, poiché esso continua ad inficiare lo sviluppo delle funzioni di interazione sociale e di comunicazione durante l’intero arco della vita dell’individuo. Il mancato sviluppo di tale capacità implica ad esempio l’incapacità: – – – – – – – – – – – – – – –

di capire ‘regole nascoste’ delle convenzioni sociali; di comprendere le ragioni che motivano le azioni delle persone; di ingannare o di capire l’inganno; di capire i fraintendimenti; di comprendere i sentimenti altrui; di tenere conto di ciò che gli altri sanno o non sanno; di socializzare; di identificare le intenzioni degli altri; di leggere il livello di interesse durante una discussione; di comprendere le basilari convenzioni sociali; di comprendere le sfumature di senso presenti le conversazioni; di comprendere l’ironia e il sarcasmo; di comprendere le emozioni; di comprendere gli stati epistemici; di comprendere gli stati volitivi.

2. Insegnare a leggere la mente Generalmente, i bambini acquisiscono in modo spontaneo e del tutto naturale l’abilità di mentalizzare durante il loro sviluppo; questo, però, come precedentemente riportato, non avviene nei soggetti con disturbi dello spettro autistico. Si è, pertanto, cominciata a valutare l’ipotesi di poter favorire lo sviluppo di una strategia cognitiva alternativa o ‘vicariante’ (Berthoz, 2015), in grado di consentire a tali soggetti la lettura della mente, migliorando di conseguenza le loro abilità sociali e di comunicazione. Come illustrato precedentemente, l’ipotesi che l’apparato cerebrale degli esseri umani sia dotato di aree cerebrali e cellule neuronali altamente specializzate per l’elaborazione di informazioni relative ad opinioni, credenze, false credenze, ecc., appare supportata da differenti evidenze empiriche. Queste aree costituiscono, in sintesi, il substrato neurale del processo di mentalizzazione. Partendo da tali basi, una fra le principali domande che la comunità scientifica si è posta è relativa all’effettiva possibilità di poter favorire lo sviluppo di strategie alternative di mentalizzazione, che consentano di sfruttare aree cerebrali diverse, in soggetti con disturbo dello spettro autistico. In altri termini, una fra le principali problematiche con cui la ricerca scientifica si è confrontata negli

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ultimi anni può così essere sintetizzata: è possibile insegnare a soggetti con disturbo dello spettro autistico a leggere la mente? (Frith, 2010). In tal senso, una serie di ricerche sembra supportare l’ipotesi che una didattica individualizzata possa effettivamente favorire lo sviluppo di strategie cognitive ‘vicarianti’ per la lettura della mente (Bowler & Strom, 1998; Starr, 1993). I risultati emersi da tali studi, infatti, suggeriscono che i soggetti autistici possano effettivamente apprendere come interpretare stati mentali e svolgere compiti relativi alla falsa credenza. È, inoltre, opportuno menzionare come studi condotti all’interno del filone della ‘teoria della simulazione incarnata’ (Gallese, Migone & Eagle, 2006) abbiano fornito una base neuro-scientifica all’ipotesi che sia effettivamente possibile sfruttare strategie cognitive differenti per leggere la mente. Una serie di studi ha dimostrato, a tal proposito, che anche quando i soggetti con disturbi dello spettro autistico riescono a riconoscere e ad imitare le emozioni, lo fanno utilizzando una strategia completamente diversa, che attiva pattern neurali differenti, rispetto a quella utilizzata dai soggetti a sviluppo tipico (Grandin, 1995). Tali studi sembrano indicare che «la teorizzazione sul mondo intenzionale dell’altro, lungi dall’essere il deficit di base, costituisce invece l’unica ancora di salvezza, l’unica strategia disponibile quando mancano strumenti cognitivi più elementari e diretti per condividere automaticamente le certezze implicite che danno un senso al mondo degli altri» (Gallese, Migone & Eagle, 2006, p. 564). In altre parole per tali soggetti l’accesso al ‘mondo degli altri’ rimane possibile unicamente mediante una ricostruzione teorico-cognitiva consapevole di tale mondo. Gli studi menzionati, pur partendo da posizioni differenti rispetto agli studi condotti all’interno del filone della teoria della mente, sembrano avvalorare l’ipotesi che sia effettivamente possibile insegnare la lettura della mente a soggetti con disturbi dello spettro autistico e che sia possibile sfruttare pattern neurali differenti per svolgere i compiti e le attività cognitive tipicamente attribuite ai meccanismi che sottostanno al processo di mentalizzazione.

3. Il programma di Patricia Howlin (1999) La possibilità di insegnare a soggetti autistici un modo per leggere la mente è stata declinata sul piano didattico dal programma di Howlin, Baron-Cohen & Hadwin (1999), che sembra aver riscosso particolare successo. Il programma si prefigge di favorire lo sviluppo di una strategia cognitiva per la lettura della mente attraverso attività suddivise in compiti di natura diversa che ripercorrono lo sviluppo delle funzioni sottese al corretto funzionamento del processo di mentalizzazione. In particolare, il programma mira ad una comprensione ed alla razionalizzazione di tre principi essenziali per lo sviluppo adeguato delle capacità di mentalizzare: – il principio del ‘percepire porta a sapere’: le persone possono conoscere qualcosa se l’hanno vista o sentita; – il principio secondo il quale sono le azioni o gli oggetti a soddisfare i desideri; se una persona vuole qualcosa sarà contenta di ottenerlo e sarà scontenta se non lo ottiene; – il principio secondo il quale il fare finta implica la sostituzione di oggetti e la sospensione delle conseguenze di certe azioni: quando una persona fa qualcosa per finta, lo fa senza che questo comporti le conseguenze che avrebbe di solito.

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Il programma si propone di portare i soggetti autistici alla comprensione di questi tre principi attraverso tre differenti aree: – area delle emozioni; – area delle credenze e delle false credenze; – area del gioco di finzione. Ognuna di queste aree è suddivisa in cinque livelli nei quali vengono proposte attività di crescente difficoltà. Ad esempio, l’area delle emozioni è suddivisa nei seguenti cinque livelli: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie; riconoscimento delle emozioni in disegni schematici; identificazione delle emozioni causate da situazioni; identificazione delle emozioni causate dal desiderio; identificazione delle emozioni causate da opinioni. Nella tabella seguente sono riportate, a titolo esemplificativo, alcune delle attività.

93 Riconoscimento di espressioni in fotografie L’operatore pone le foto sul tavolo e pronuncia i nomi delle emozioni presenti nelle foto (felicità, tristezza, rabbia e paura). In seguito, l’operatore chiede al bambino di associare alle foto le emozioni menzionate.

Riconoscimento di espressioni in disegni schematici L’operatore pone i disegni sul tavolo e pronuncia i nomi delle emozioni presenti in essi (felicità, tristezza, rabbia e paura). In seguito, l’operatore chiede al bambino di associare ai disegni le emozioni menzionate.

Identificazione delle emozioni causate da situazioni L’operatore mostra l’illustrazione al bambino e descrive la storia che vi è disegnata. In seguito, l’operatore chiede al soggetto di indicare il disegno che esprime l’emozione che il personaggio della storia sta provando.

Tabella 1: Attività relative ai livelli 1, 2 e 3 del programma di Howlin, Baron-Cohen & Hadwin (1999)

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Nel manuale del programma vengono, inoltre, fornite alcune direttive all’insegnante su come interagire con il soggetto autistico. In particolare, durante la somministrazione delle attività, in caso di errore da parte del soggetto autistico, l’operatore suggerisce immediatamente la risposta corretta. In caso di risposta corretta, l’operatore premia il soggetto con ricompense di vario tipo. Il consiglio, in linea generale, che viene dato all’operatore è quello di stimolare la discussione con lo studente relativamente alle motivazioni che lo hanno spinto a fornire quella specifica risposta (corretta o sbagliata). I livelli del programma si fondano su ciò che le ricerche suggeriscono relativamente al modo in cui si sviluppa la comprensione degli stati mentali nei bambini normodotati (Wellman, 1990) il che dovrebbe garantire «un’adeguata sequenza di sviluppo nei compiti assegnati» (Howlin, Baron-Cohen & Hadwin, 1999, p.19) all’interno del programma. Il tentativo è di scomporre il processo di acquisizione dell’abilità di mentalizzazione in una sequenza di attività che ripercorrano lo sviluppo dell’abilità di mentalizzare in soggetti a sviluppo tipico. Ovvero di indurre lo sviluppo di una strategia di adattamento (la mentalizzazione), seguendo il percorso tipico attraverso cui essa si sviluppa naturalmente in soggetti senza disturbi. Tale operazione è, però, spesso estremamente complessa, poiché i disturbi in oggetto tendono a manifestarsi in modo differente ed eterogeneo; in tal senso alcuni soggetti possono aver raggiunto una adeguata competenza in alcuni compiti e non in altri. Un fenomeno simile implica una fruizione diversificata del programma a seconda delle esigenze specifiche dell’utenza; determina, in altri termini, un percorso differente di sviluppo della strategia di adattamento. Pertanto, la scelta del punto di partenza da cui iniziare a strutturare le attività didattiche presenti nel programma deve essere effettuata in seguito ad una necessaria fase di assessment delle abilità dei soggetti coinvolti. Tale valutazione può essere condotta attraverso l’utilizzo dei test standardizzati realizzati dal centro di ricerca per l’autismo liberamente scaricabili (nella versione italiana) presso l’indirizzo www.autismresearchcentre.com/arc_tests. Nonostante la fase di assessment fornisca importanti indizi su come procedere nella strutturazione delle attività didattiche, la realizzazione di tali attività nei contesti scolastici italiani appare essere particolarmente difficile. Non essendo, di fatti, consigliabile sottrarre l’alunno con disturbo dello spettro autistico all’interazione con i compagni e, nel contempo, rendendosi necessaria una didattica individualizzata senza interferire con quanto previsto per l’intero gruppo classe, la sperimentazione riportata di seguito ha previsto la realizzazione di un software didattico che consente di rendere mimetico l’intervento, garantendone la sostenibilità nei contesti classe italiani, in cui è richiesta la coesistenza di più strategie diverse in esperienze di co-teaching. A tale proposito e con tali finalità, è stata sfruttata la valenza educativa di un programma educativo che ha già dimostrato la sua utilità con la riconosciuta efficacia dell’uso delle tecnologie in relazione alle caratteristiche dei soggetti con disturbo dello spettro autistico, riassumibile nei seguenti punti: – – – – – –

prevedibilità, controllabilità e stabilità dello strumento tecnologico; assenza di comportamenti emotivi; riduzione dell’ansia del timore nel momento della correzione di un errore; possibilità di ripetere un’attività e di fornire rinforzi; possibilità di personalizzare i programmi ed adattarli ai bisogni individuali; semplicità d’uso una volta acquisite le conoscenze di base (Chatzara, Karagiannidis, & Stamatis, 2012; Heo, 2009; Mesibov, Shea & Schopler, 2005).

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La ‘digitalizzazione’ del programma di Howlin potrebbe, inoltre, guidare il docente attraverso un percorso didattico estremamente complesso che richiede conoscenze e competenze trasversali (psicologiche, psichiatriche, didattiche, ecc.), permettendogli di agire in modo relativamente autonomo nella gestione delle proprie attività. In questo senso, una delle grandi potenzialità dello sviluppo di un simile strumento è la riduzione del numero di operatori specializzati coinvolti nelle attività didattiche e, di conseguenza, una possibile riduzione dei costi operativi ed una più flessibile possibilità di implementazione del programma didattico di Howlin stesso all’interno delle classi.

4. Realizzazione di un edugame per lo sviluppo delle abilità sociali in soggetti con disturbo dello spettro autistico Report della Sperimentazione Studi recenti sembrano suggerire che soggetti con disturbi dello spettro autistico mostrino capacità di schematizzazione generalmente al di sopra della media (Baron-Cohen, 2009). Tale abilità si riferisce alla capacità di un individuo di identificare, all’interno di un fenomeno o di un sistema, una serie di regolarità o di pattern. Da un punto di vista didattico questo particolare stile cognitivo sembra favorire l’apprendimento di soggetti con tale patologia, se inseriti in contesti in cui i processi di apprendimento sono guidati da regole chiare e fortemente schematizzate. Questo particolare stile cognitivo (determinato dalla cecità mentale e dall’elevata capacità di schematizzazione) permette, inoltre, di fornire una spiegazione relativa ad uno degli atteggiamenti tipici di questa particolare tipologia di soggetti: l’abilità nell’uso di strumenti e dispositivi meccanici (Golan et al., 2010). In tal senso, la naturale propensione mostrata in media da soggetti autistici nell’apprendimento della matematica e nell’uso del computer dipenderebbe dal fatto che queste discipline e questi strumenti sposano il loro particolare stile cognitivo perché basati sul linguaggi schematizzabili e formalizzabili. Il programma di Howlin, precedentemente illustrato, allo stato attuale è principalmente composto da materiale cartaceo. In virtù di quanto esposto, l’architettura del programma non appare essere in grado di sfruttare e di capitalizzare a pieno le potenzialità dei soggetti con disturbo dello spettro autistico. Pertanto, questo studio si propone di presentare le fasi di realizzazione e di sperimentazione di una versione digitale ed interattiva del programma di Howlin al fine di massimizzarne l’efficienza didattica nel favorire l’acquisizione delle competenze sociali in caso di soggetti autistici. Sviluppo del software Sulla base di quanto detto nei paragrafi precedenti, lo sviluppo di un software didattico basato sul programma di Howlin appare come un’importante opportunità didattica. Più in particolare, le opportunità offerte da un software simile sono relative a: – sposare le esigenze cognitive di soggetti con disturbi dello spettro autistico; – facilitare il compito dell’insegnante, fornendo il materiale per lo svolgimento delle attività e dei moduli di reportistica specifici; – fornire al docente una guida per lo svolgimento delle proprie attività.

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Struttura e stato di sviluppo del software Il software è stato progettato secondo un’architettura modulare e propone, ricalcando il programma di Howlin, una struttura articolata in tre aree. I task presenti nel software sono basati sulle attività presenti nel programma di Howlin. Similmente a quanto avviene per le attività presenti nel programma didattico di Howlin, anche le attività proposte all’interno del software sono pensate per essere fruite da parte di soggetti autistici in compresenza di insegnanti o di operatori. L’operatore è accompagnato nell’utilizzo del software da una guida basata sulla didattica semplessa e sugli studi condotti in relazione alla teoria della mente. Allo stato attuale sono stati realizzati task relativi solo alla prima area del presenti del programma di Howlin. In relazione alla prima area, riconoscimento delle emozioni, sono state realizzate attività relative al riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie (Figura 1) e al riconoscimento delle emozioni in disegni schematici (Figura 2).

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Figura 1: Riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie

Figura 2: Riconoscimento delle emozioni in disegni schematici

Nella prima attività (Figura 1) al soggetto è richiesto di appaiare alla figura presentata nel riquadro grande di sinistra, una delle foto presenti nella barra a scorrimento inferiore che esprima la stessa emozione (in totale sono presenti, nella barra a scorrimento inferiore, otto scelte possibili per ogni stimolo). La durata di ogni sessione del gioco è di 15 minuti; trascorso questo lasso di tempo il gioco si

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riavvia. Il software registra automaticamente tempi parziali di risposta, successi e insuccessi. La seconda attività realizzata (Figura 2) è simile alla prima, con la differenza che i volti umani sono sostituiti da disegni schematici che enfatizzano maggiormente i tratti somatici che caratterizzano le espressioni (bocca, sopracciglia e occhi). Scopo delle attività è quello di indurre nel soggetto una forma di schematizzazione che gli consenta, attraverso il riconoscimento di determinate configurazioni di tratti somatici, di identificare espressioni ed emozioni. Entrambe le attività sono relative alle seguenti emozioni: disgusto, felicità, rabbia, sorpresa e tristezza. Per ciascuna delle due attività sono state realizzate 100 immagini stimolo (cento foto per la prima, cento disegni per la seconda). Le immagini proposte dal software non seguono un preciso ordine di presentazione, ma sono selezionate in modo randomico ad ogni attività. Questa feature è stata implementata al fine di impedire che i soggetti potessero memorizzare sequenze o combinazioni. La codifica delle espressioni è stata effettuata in accordo agli studi dello psicologo Paul Ekman (2008; Ekman & Friesen, 2013).

5. Metodologia Lo studio esplorativo finora condotto ha coinvolto due soggetti (un maschio e una femmina) rispettivamente di 7 e 9 anni, entrambi con un’età mentale di 6 anni. Ai due studenti è stato somministrato il face test, un test ‘carta e matita’ basato su attività di riconoscimento delle espressioni in volti umani. Il test è stato somministrato per valutare l’abilità dei soggetti di riconoscere emozioni ed espressioni. Entrambi i soggetti si sono rifiutati di svolgere il test, il quale, citando direttamente gli insegnanti di sostegno coinvolti, appariva come ‘troppo noioso’. Sono stati, quindi, realizzate cinque sessioni di gioco con l’edugame, ciascuna della durata di un’ora circa, distribuite in un periodo di un mese circa. L’attività di ricerca è stata condotta all’interno delle istituzioni scolastiche frequentate dai due soggetti in compresenza dei rispettivi insegnanti di sostegno. Al termine di ogni ‘partita’ (la cui durata era inizialmente impostata su 15 minuti) l’operatore, insieme all’insegnante di sostegno, ha fornito, secondo le preferenze dei soggetti autistici coinvolti, differenti tipologie di token volti a stimolare la loro partecipazione alle attività. Dopo una fase iniziale di sperimentazione e seguendo alcuni consigli didattici forniti dagli insegnanti di sostegno, la durata delle singole partite è stata abbassata a dieci minuti. Tale scelta in itinere è stata motivata anche dall’atteggiamento dei due soggetti coinvolti. Questi ultimi, infatti, mostravano chiari segni di distrazione dopo i primi 10 minuti di attività.

6. Analisi dei dati Il soggetto 1 ha partecipato a 5 sessioni di gioco. La durata delle sessioni di gioco è stata variata da 15 minuti (prime due sessioni) a 10 minuti (ultime tre sessioni), come riportato nel paragrafo precedente. Dall’analisi appare evidente un miglioramento nella performance di gioco in relazione al tempo ed al numero di successi, come evidenziato dai grafici 1 e 2. Negli ultimi due incontri i tempi di risposta e i punteggi ottenuti sembrano essersi stabilizzati. Una visibile discrepanza fra i dati è osservabile tra il secondo e il terzo incontro (soprattutto in relazione al punteggio). Le uniche variabili subentrate, in relazione al software, fra i due incontri sono:

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– la riduzione del tempo delle singole partite da 15 minuti a 10 minuti; – l’inserimento, all’interno dell’interfaccia del software di un timer per il countdown dei minuti. Pertanto, sembra plausibile ipotizzare che il divario esistente (in termini di punteggio) fra il secondo ed il terzo incontro possa essere imputabile a questi due elementi. In altre parole, il fenomeno osservato sembra indicare che l’erogazione di attività didattiche basate su tempi ridotti (10 minuti circa) e la presenza di elementi in grado di fornire informazioni precise sullo scorrere del tempo, possano potenzialmente costituire elementi didattici rilevanti. Il grafico 3 riporta le percentuali medie di successo delle singole emozioni (relative a tutte e 5 le sessioni). Alcune emozioni presentano percentuali di successo più basse delle altre (rabbia e tristezza). L’andamento dei successi distinto per emozione è riportato nella tabella 4. È stato effettuato un test-t fra il primo e l’ultimo incontro per verificare l’effettivo miglioramento del soggetto (Tabella 5). Il test mostra un significativo mutamento fra il primo e l’ultimo incontro (p<0,005)

Statistiche

N. trial

Media/Sec

DS/Sec

Punti Tot.

Durata sessione gioco (minuti)

% Successi

Punti normalizzati per tempo

Soggetto 1

Incontro 1

23,0

38,8

28,8

16,0

15,0

69,6%

16

Incontro 2

50,0

18,5

15,8

33,0

15,0

66,0%

33

Incontro 3

61,0

11,5

7,7

49,0

10,0

80,3%

73,5

Incontro 4

63,0

9,3

6,1

49,0

10,0

77,8%

73,5

Incontro 5

59,0

9,2

6,6

52,0

10,0

88,1%

78

98

Statistiche

N. trial

Media/Sec

DS/Sec

Punti Tot.

Durata sessione gioco (minuti)

% Successi

Punti normalizzati per tempo

Soggetto 2

Incontro 1

28,0

43,0

43,4

12,0

20,0

42,9%

12

Incontro 2

24,0

46,3

28,4

13,0

20,0

54,2%

13

Incontro 3

29,0

22,7

11,5

20,0

10,0

69,0%

40

Incontro 4

40,0

13,8

8,3

37,0

10,0

92,5%

74

Incontro 5

42,0

13,6

8,8

34,0

10,0

81,0%

68

Tabella 2: Statistica Descrittiva – 5 Incontri (Soggetto 1-2) Tabella 3: Percentuali di Successi per Emozioni (Soggetto 1-2) Emozioni successi (soggetto 1)

Medie S1

Media S2

Disgusto

82,36%

96,67%

Felicità

95,48%

76,57%

Rabbia

65,80%

57,55%

Sorpresa

96,85%

85,00%

Tristezza

61,44%

49,22%

Tabella 3: Percentuali di Successi per Emozioni (Soggetto 1-2)

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Tabella 4: Andamento percentuali di successi per emozioni nei 5 incontri (Soggetto 1-2) Soggetto 1 Emozioni successi

Incontro 1

Incontro 2

Incontro 3

Incontro 4

Disgusto

100,00%

50,00%

90,91%

80,00%

Incontro 5 90,91%

FelicitĂ

100,00%

85,71%

91,67%

100,00%

100,00%

Rabbia

62,50%

66,67%

66,67%

56,25%

76,92%

Sorpresa

100,00%

100,00%

93,33%

90,91%

100,00%

Tristezza

55,56%

44,44%

58,82%

71,43%

76,92%

Incontro 5

Soggetto 2 Emozioni successi

Incontro 1

Incontro 2

Incontro 3

Incontro 4

Disgusto

100,00%

100,00%

100,00%

100,00%

83,33%

FelicitĂ

42,86%

40,00%

100,00%

100,00%

100,00%

Rabbia

40,00%

42,86%

57,14%

75,00%

72,73%

Sorpresa

66,67%

100,00%

77,78%

91,67%

88,89%

Tristezza

11,11%

50,00%

60,00%

62,50%

62,50%

Tabella 4: Andamento percentuali di successi per emozioni nei 5 incontri (Soggetto 1-2) Tabella 5: T-Test Incontri 1-5 (Soggetto 1-2) Soggetto 1

Consuntivo

DOF

P-value

Test T (punti-tempo/incontro 1-2)

4,906820646

22

6,60356E-05

Soggetto 2

Consuntivo

DOF

P-value

Test T (punti-tempo/incontro 1-2)

3,79520439

27

0,000758895

Tabella 5: T-Test Incontri 1-5 (Soggetto 1-2)

Grafico Punti (Soggetto 1-2)1-2) Grafico 1:1:Punti (Soggetto

Grafico 2: Tempi (Soggetto 2: Tempidi di risposta risposta (Soggetto -2) 1-2) Grafico 1-2)

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100 Grafico 3:: Percentuali (Soggetto 1-2) Successi per 1 Grafico 3: Percentuali didiSuccessi perEmozioni Emozioni (Soggetto 1-2)

Il soggetto 2 ha partecipato a cinque sessioni di gioco. La durata delle sessioni di gioco è stata variata da 15 minuti (prime due sessioni) a 10 minuti (ultime tre sessioni). Dall’analisi appare evidente un miglioramento nella performance di gioco in relazione al tempo ed al numero di successi, come evidenziato dai grafici 1 e 2. Negli ultimi due incontri i tempi di risposta e i punteggi ottenuti sembrano essersi stabilizzati. Anche in questo caso è possibile osservare un apprezzabile incremento di punteggio fra l’incontro 2 e l’incontro 3 le uniche variabili subentrate, in relazione al software, fra i due incontri sono: – la riduzione del tempo delle singole partite da 15 minuti a 10 minuti. – l’inserimento, all’interno dell’interfaccia del software di un timer per il countdown dei minuti. L’incremento di punteggio riportato sembra avvalorare la tesi, precedentemente esposta, che attività didattiche di durata ridotta e la presenza nel setting didattico di elementi per il controllo del tempo abbiano un enorme impatto sull’apprendimento. Il grafico 3 riporta le percentuali medie di successo delle singole emozioni (relative a tutte e cinque le sessioni). Alcune emozioni presentano percentuali di successo più basse delle altre (rabbia e tristezza). L’andamento dei successi distinto per emozione è riportato nella tabella 2. È stato effettuato un test-t fra il primo e l’ultimo incontro per verificare l’effettivo miglioramento del soggetto (Tabella 5). Il test mostra un significativo mutamento fra il primo e l’ultimo incontro (p<0,005).

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7. Discussioni I dati evidenziano un significativo miglioramento dei soggetti nel riconoscimento di alcune delle emozioni coinvolte. Più in particolare, infatti, entrambi i soggetti hanno mostrato un miglioramento nel riconoscimento, all’interno delle foto presenti nel gioco, delle espressioni di disgusto, felicità e sorpresa. È interessante notare come un’espressione complessa e determinata da ‘false credenze’ (Baron-Cohen, 1997) come la felicità sia stata riconosciuta con successo un numero maggiore di volte rispetto ad alcune emozioni ‘universali’ (Ekman, 2008; Ekman & Friesen, 2013), come rabbia e tristezza. Queste ultime due espressioni, in entrambi i casi, mostrano basse percentuali di successo. Sebbene la codifica delle espressioni presenti nell’edugame abbia seguito le indicazioni degli studi di Ekman, la bassa percentuale di successi ottenuti da entrambi i soggetti sarà oggetto di future analisi indirizzate a valutare se il mancato riconoscimento di tali espressioni sia connesso con una codifica dei visi e dei disegni errata. Future indagini saranno, inoltre, volte a determinare se il miglioramento osservato possa essere considerato come una maggiore padronanza del gameplay di gioco o come indice del possibile sviluppo dello schematismo previsto come obiettivo del gioco. A tal proposito, si evidenzia che, durante la sperimentazione, sono stati registrati diversi filmati delle sessioni di gioco e che, in tali video, è possibile osservare come entrambi gli studenti, già alla terza partita, osservino con cura alcuni aspetti dei visi (in particolare naso, bocca e sopracciglia) prima di svolgere l’attività. Va, infine, evidenziato l’impatto positivo della variabili tecnologica ottenuto. Sebbene allo stato attuale non sia possibile, a causa dell’esiguità del campione sperimentale e delle troppe variabili coinvolte, sostenere che le attività del giocano possano effettivamente favorire e sostenere lo sviluppo di uno schematismo per il riconoscimento delle emozioni, rimane un fatto che i soggetti si sono rifiutati di svolgere un test (il Face Test) basato su attività del tutto simili a quelle presenti nell’edugame, ma erogato tramite il solo supporto cartaceo. Gli studenti hanno, inoltre, mostrato un buon livello di coinvolgimento in relazione ad alcuni aspetti dell’interfaccia (animazioni, colori, forme di interazione, ecc.) con particolare riferimento agli elementi grafici drag&drop. Questo ha spinto ad una ristrutturazione grafica dell’interfaccia, finalizzata ad aumentare il numero di elementi grafici dinamici e alla strutturazione di forme di interazione più coinvolgenti.

Conclusioni Se, come esplicitato in premessa, l’obiettivo del lavoro è stato quello di indagare le potenzialità di un edugame didattico volto a favorire lo sviluppo delle abilità sociali in studenti con disturbi dello spettro autistico, lo strumento si inserisce nell’ambito di una proposta didattica finalizzata a far sì che l’auspicato insegnamento – apprendimento per tutti e ciascuno non sia solo un’affermazione di principio, ma si traduca in una serie di pratiche emergenti da sperimentazioni innovative e sostenibili dai docenti, impegnati nel difficile compito di coniugare l’individualizzazione dei piani educativi con la programmazione curriculare. Pertanto, la proposta dell’uso della tecnologia per la realizzazione di un edugame che capitalizzi le potenzialità del programma di Howlin ne rende possibile l’attuazione in quanto consente la ‘mimetizzazione’ dell’intervento realizzabile in contesti predisposti per un uso delle tecnologie con finalità differenti o con la medesima finalità attraverso compiti differenti (Cottini, 2015). L’acquisizione delle abilità

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sociali, in quanto abilità trasversali ad altri apprendimenti, si rivela, infatti, un obiettivo da perseguire per tutti i discenti, per cui, in alcuni casi, non è da escludere che la finalità possa essere la medesima, richiedendo, però, modalità di intervento didattico maggiormente calibrate sulle caratteristiche del singolo. Allo stesso tempo, laddove questa acquisizione sembra essere gravemente compromessa dal disturbo, l’impiego di un programma educativo di cui è riconosciuta l’efficacia richiede che ne vengano forniti gli strumenti per renderlo sostenibile. Con tale intento è stata condotta la sperimentazione che ha consentito la realizzazione di uno specifico edugame. Allo stato attuale la sperimentazione dell’edugame è ancora in corso e si trova in una fase di beta testing. In questo senso, quanti fossero interessati a prendere parte alla sperimentazione attraverso l’uso didattico del prototipo realizzato, possono inviare una e-mail ai seguenti indirizzi: paiello@unisa.it, sditore@unisa.it, epace@unisa.it.

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Il fenomeno dell’abbandono universitario precoce. Uno studio di caso sui corsi di laurea del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università “Roma Tre” Marco Burgalassi • Università degli Studi Roma Tre - marco.burgalassi@uniroma3.it Valeria Biasi • Università degli Studi Roma Tre - valeria.biasci@uniroma3.it Rosa Capobianco • Università degli Studi Roma Tre - rosa.capobianco@uniroma3.it Giovanni Moretti • Università degli Studi Roma Tre - giovanni.moretti@uniroma3.it

The phenomenon of Early College Leavers. A case study on the graduate programs of the Department of Education of “Roma Tre” University Il contributo presenta i risultati di una ricerca sull’abbandono precoce svolta sugli studenti immatricolati nel 2013-2014 ai corsi di laurea del Dipartimento di Scienze della Formazione della Università Roma Tre. La ricerca è stata condotta con l’impiego di un questionario strutturato e di due scale di misurazione standardizzate. Il questionario, destinato a rilevare i tratti principali della esperienza universitaria degli intervistati e il giudizio che su di essa viene espresso, è stato somministrato con procedura CATI all’universo degli studenti che hanno abbandonato e ad un campione rappresentativo degli studenti che hanno proseguito negli studi. Le scale di misurazione dell’autoefficacia percepita e dell’assetto motivazionale sono state somministrate con procedura CAWI ad un campione autoselezionato di studenti a cui era stato somministrato il questionario. I risultati che emergono dall’analisi settoriale delle variabili intervenienti nell’abbandono precoce, che vengono messi a confronto con i riscontri presenti nella letteratura disciplinare, sono quindi integrati da un univoco richiamo al ruolo che nella questione riveste il deficit di orientamento formativo degli studenti.

Keywords: early college leaver, guidance, motivation, risk factors, self-efficacy, university

Parole chiave: abbandono universitario preco-

ce, autoefficacia, fattori di rischio, motivazione, orientamento, università

Il paragrafo 1 è stato redatto da M. Burgalassi e G. Moretti; il paragrafo 2 da R. Capobianco (2.1) e da M. Burgalassi, G. Moretti e V. Biasi (2.2); il paragrafo 3 da M. Burgalassi (3.1 e 3.2) e G. Moretti (3.3); il paragrafo 4 da V. Biasi; il paragrafo 5 da M. Burgalassi, G. Moretti e V. Biasi. Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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The paper presents the results of early abandonment research conducted on students enrolled in 2013-2014 to degree courses of the Department of Education of “Roma Tre” University. The research was conducted with the use of a structured questionnaire and two standardized scales of measurement. The questionnaire, designed to detect the main traits of the university experience of respondents, it was administered using the CATI procedure universe of students who have left and to a representative sample of students who have continued their studies. The measurement scales concern the Self-efficacy perceived and the motivational profile of the students. They were administered by CAWI procedure to a self-selected sample of participants. The results emerging from the sectoral analysis of intervening variables in early drop out, which are compared with the findings in the literature specification, are then supplemented by a unique reference to the role that in the issue have the orientation deficits of students.


Il fenomeno dell’abbandono universitario precoce. Uno studio di caso sui corsi di laurea del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università “Roma Tre”

1. Introduzione

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Il sistema universitario italiano si caratterizza per un livello di dispersione studentesca estremamente elevato che costituisce un suo specifico tratto di criticità (Ballarino, 2011; Triventi & Trivellato, 2015). Nel panorama nazionale, infatti, le vicende della irregolarità negli studi e del loro abbandono – i due itinerari con cui prende corpo la dispersione universitaria – si rivelano con una consistenza tutt’altro che fisiologica e assai superiore a quella che si registra nelle principali nazioni del continente. In particolare, per ciò che concerne la irregolarità negli studi i dati disponibili segnalano che la quota di studenti i quali conseguono il titolo entro la durata legale del corso di laurea si colloca poco al di sopra del 30% degli iscritti, a fronte di un valore medio europeo attestato a circa il 40% (ANVUR, 2013; OCSE, 2014). Per l’abbandono, invece, le rilevazioni statistiche indicano un livello di mancato completamento del ciclo degli studi che per l’Italia si aggira intorno al 40% degli iscritti mentre nei paesi dell’Europa occidentale oscilla tra il 21% e il 28% (OCSE, 2013; Quinn, 2013). L’abbandono universitario si determina prevalentemente nel corso del primo anno di studio e questo aspetto del fenomeno rappresenta un oggetto di studio diffusamente trattato nella letteratura internazionale di settore (Harvey, Drew & Smith, 2006; Larsen, Sommersel & Larsen, 2013). La interpretazione dell’abbandono assume spesso come riferimento lo student integration model e il concetto di person-environment fit proposti e a più riprese rielaborati dal sociologo statunitense Vincent Tinto (1975; 1987). La sua tesi secondo cui la decisione di abbandonare è un esito processuale correlato al deficit di riconoscimento/condivisione dei valori, delle regole e delle aspettative proprie del contesto accademico rappresenta infatti un topos largamente presente nella riflessione contemporanea (Braxton & Hirschy, 2005). Al quadro di derivazione tintiana, tuttavia, si sono poi aggiunte ulteriori prospettive interpretative che hanno messo a fuoco anche la rilevanza che nelle vicende dell’interruzione del percorso formativo rivestono le caratteristiche organizzative dell’istituzione universitaria (Berger & Braxton, 1998; Light & Strayer, 2000). A differenza di quanto è avvenuto altrove, nel contesto italiano la ricerca sull’abbandono precoce per lungo tempo non ha conosciuto un particolare sviluppo. Solo di recente – e non di rado in una prospettiva comparata sulla situazione prima e dopo la riforma del 3+2 introdotta nel 1999 – gli studiosi hanno infatti cominciato a porre attenzione alle dimensioni e alle cause del fenomeno. Le riflessioni sono state svolte in taluni casi utilizzando riscontri statistici già disponibili, derivanti da rilevazioni nazionali e internazionali o da banche dati amministrative del ministero e degli atenei, e in altri casi facendo riferimento ai risultati di indagini di campo condotte in ambito locale.

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1.1. Sull’abbandono precoce in Italia: lo stato dell’arte Per inquadrare il fenomeno dell’abbandono precoce in Italia è opportuno fare il punto su due questioni: da un lato sulla sua consistenza quantitativa; dall’altro lato sull’orientamento degli studi che hanno inteso individuarne le cause o i fattori di rischio. Per ciò che concerne la sua consistenza quantitativa, il dato da tenere presente è che ogni anno abbandona gli studi universitari appena intrapresi circa 1 immatricolato su 7. Si tratta, evidentemente, di una quota importante di studenti (circa 30.000), che comunque negli ultimi tre lustri, periodo nel quale è andata a regime e si è poi consolidata la riforma del 3+2, ha registrato un progressivo declino (Fig. 1). La spiegazione di una tale dinamica, tuttavia, non è univoca: se per un certo tempo il calo del drop out è stato infatti considerato come un effetto positivo dei contenuti della revisione ordinamentale degli studi universitari, di recente è stato fatto rilevare che la discesa delle interruzioni al termine del primo anno di corso può essere anche attribuita ad un processo di selezione negli accessi correlato con gli effetti della crisi finanziaria del 2008 (Ghignoni, 2015).

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Fig. 1: Andamento degli abbandoni nelle lauree triennali durante il primo anno di corso

Per ciò che concerne invece lo studio delle cause che determinano o favoriscono l’abbandono precoce, una parte considerevole delle indagini condotte ha preso in esame i requisiti socio-anagrafici degli studenti al momento dell’ingresso nel contesto universitario (status socioeconomico, carriera scolastica pregressa) verificando che, come già emerso in altri contesti nazionali, anche nella realtà italiana esiste un significativo grado di correlazione tra la condizione della famiglia di origine e la probabilità di ritiro (Boero, Laureti & Taylor, 2005; Broccolini, 2005; Ghignoni, 2015). Una peculiarità del quadro locale è però risultata essere la rilevanza dello specifico fattore di rischio rappresentato dal basso livello di istruzione posseduto dai genitori dello studente e in specie dalla madre (Cingano & Cipollone, 2007; Aina, 2013). Pur collocandosi in analoghe prospettive d’indagine, altre ricerche hanno ampliato il set delle variabili prese in considerazione inserendovi sia quelle relative alla tipologia del percorso universitario intrapreso e alle vicende di avvio di tale carriera sia quelle inerenti le competenze e le capacità di cui lo studente dispone nel momento in cui accede al sistema di istruzione terziaria (Fasanella & Tanucci, 2006; Fasanella, Benvenuto & Salerni, 2010; Carci, 2011; Zotti, 2015). Un ulteriore

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itinerario di riflessione, infine, si è orientato verso l’analisi di una gamma ancor più articolata e composita di possibili cause, intendendo in tal modo verificare se e come il processo di interruzione degli studi possa dipendere non soltanto da circostanze di natura individuale ma altresì da ragioni di rilievo organizzativo-istituzionale (Schizzerotto & Denti, 2005; Caserini & Denti, 2009). Nel complesso, lo scenario della riflessione sull’abbandono universitario condotta in Italia si segnala dunque incentrato principalmente sull’analisi delle tradizionali determinanti di natura sociale. Il ricorso a chiavi di lettura di diverso orientamento con l’approfondimento di variabili di natura motivazionale o metacognitiva – una prassi peraltro significativamente presente nella letteratura di settore – non sembra infatti aver finora trovato nel contesto nazionale un particolare seguito. Sul versante della ricerca psicologica, per esempio, accanto ad un consolidato interesse per i meccanismi di attribuzione, la percezione di autoefficacia e i convincimenti personali che appaiono rilevanti per il successo formativo (Amann Gainotti, Vecchio & Biasi, 2013; Moliterni, De Stasio & Carboni, 2011), si rileva la necessità di approfondire ulteriormente il ruolo delle componenti motivazionali di una vicenda peculiare nella casistica dell’insuccesso formativo come è quella dell’abbandono precoce (D’Alessio, Laghi & Pallini, 2004; Demetriou & SchmitzSciborski, 2011). La riflessione educativo-pedagogica, invece, da un lato ha dedicato un limitato interesse alla questione dell’interruzione degli studi nel corso del primo anno di università (Benvenuto & Carci, 2010), ma dall’altro lato ha avviato interessanti linee di sviluppo di ricerca dedicate alle strategie ritenute più efficaci per prevenire e contrastate l’abbandono precoce, spesso focalizzate sull’orientamento o sul tutoring (Petruccelli, Verrastro & D’Amario 2008; Zago, Giraldi & Clerici, 2014; Da Re, 2014; Giuliani, Moretti & Morini, 2015), sul tutorato e placement (Pastore, Manuti, Falcicchio, Rossini & Gemma, 2015), sulle strategie di apprendimento e sull’utilizzo del formative feedback (Moliterni, Di Stasio & Carboni, 2011; Moretti, Giuliani & Morini, 2015). 1.2. L’abbandono precoce nei corsi di laurea del DSF Il Dipartimento di Scienze della Formazione (DSF) della Università Roma Tre ha una struttura dell’offerta formativa che consente di potersi immatricolare a 4 corsi di laurea di primo livello (SDE Scienze dell’Educazione, EPC Educatore Professionale di Comunità, FSRU Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, SERSS Servizio sociale e Sociologia) e a un corso di laurea magistrale a ciclo unico (SFP Scienze della Formazione Primaria). Il corso di laurea SFP è sottoposto ad una programmazione degli accessi determinata in sede ministeriale mentre il corso di laurea SERSS ha una programmazione degli accessi su base locale. Nel periodo compreso tra gli anni accademici 2010-2011 e 2012-2013 il tasso di abbandono precoce degli studenti immatricolati ai corsi di laurea del DSF è andato tendenzialmente calando (Tab. 1). Malgrado ciò, il dato relativo ai corsi di laurea triennale è rimasto comunque abbastanza elevato (intorno al 20%) e si è collocato ad un livello superiore sia rispetto al dato medio nazionale complessivo (15,4%) sia rispetto al dato medio nazionale relativo ai corsi di laurea di ambito educativo e sociale (18,4%) (ANVUR 2013, pp. 79-80). Assai più contenuto è stato invece il tasso di abbandono nel corso di laurea SFP, che si è attestato sull’ordine di grandezza del valore medio nazionale relativo ai percorsi formativi con programmazione ministeriale degli accessi.

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2010-2011

2011-2012

2012-2013

EPC

32,8%

32,8%

24,1%

FSRU

32,9%

33,7%

28,6%

SDE

27,3%

25,3%

25,2%

SERSS

29,6%

31,2%

19,3%

nd

25,5%

11,9%

SFP

Tab. 1: Andamento degli abbandoni al termine del primo anno nei corsi di laurea triennali

Tab. 1: Andamento degli abbandoni al termine del primo anno nei corsi di laurea triennali e a ciclo unico del DSF e a ciclo unico del DSF (aa.aa. 2010-2011/2012-2013, fonte: Ufficio Statistico Roma Tre) (aa.aa. 2010-2011/2012-2013, fonte: Ufficio Statistico Roma Tre).

Nell’a.a. 2013-2014 l’abbandono al termine del primo anno di corso è invece tornato a crescere. All’avvio delle attività accademiche i corsi di laurea triennali e quinquennale a ciclo unico del DSF avevano infatti registrato 1221 studenti immatricolati mentre nell’autunno del 2014, alla scadenza dei termini per il pagamento delle relative tasse, risultavano essersi iscritti al secondo anno di corso soltanto 937 studenti. Il tasso di abbandono al termine del primo anno è stato dunque del 23,3%.

109 numero immatricolati

immatricolati sul totale del DSF

tasso di abbandono

EPC

196

16,0%

27,0%

FSRU

79

6,5%

34,2%

SDE

625

17,0%

22,8%

SERSS

114

51,2%

28,9%

SFP

207

9,3%

15,9%

TOTALE

1221

100%

23,3%

Tab. 2: Immatricolati e tasso di abbandono precoce nei corsi di laurea triennali

Tab. 2: Immatricolati e tasso di abbandono precoce nei corsi di laurea triennali e a ciclo unico del e a ciclo unico del DSF nell’a.a. 2013-2014 DSF nell’a.a. 2013-2014

2. Obiettivi, impianto e metodologia della ricerca 2.1. Gli obiettivi e l’impianto della ricerca Lo studio dell’abbandono precoce nei corsi di laurea del DSF è stato effettuato con un approccio multidisciplinare. La scelta di tale approccio ha tenuto conto delle evidenze sin qui raccolte nei vari ambiti di ricerca, che convergono nel considerare l’interruzione precoce degli studi universitari come un fenomeno nel quale intervengono molteplici fattori e dinamiche di diversa natura che possono rinforzarsi tra loro. Con la ricerca sono stati indagati, nello specifico contesto del DSF, i diversi aspetti di natura sociale, cognitiva e metacognitiva, organizzativo-istituzionale e motivazionale che possono configurarsi come fattori di rischio per la interruzione degli studi nel corso del primo anno. L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare la rilevanza dei diversi fattori nei processi di abbandono precoce e di identificarne le reciproche implicazioni. La ricerca è stata condotta sull’universo degli studenti immatricolati nel 2013-2014 che nel successivo anno accademico non risultavano iscritti al secondo anno del corso di laurea in ragione di una rinuncia formale agli studi, di un passaggio/trasferimento ad altro contesto formativo o semplicemente del mancato pagamento delle tasse. Tale

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universo è risultato costituito da 284 soggetti, che nel 90,5% dei casi erano fuoriusciti dal sistema universitario mentre per il restante 9,5% avevano optato per altri itinerari formativi o per stop temporanei. Soltanto per 282 studenti, tuttavia, è stato possibile reperire i contatti telefonici necessari per procedere nella rilevazione empirica. Dato il numero non elevato di studenti che non proseguono, ai fini conoscitivi del fenomeno dell’abbandono si è ritenuto utile procedere ad una rilevazione censuaria. La Tab. 3 riporta la distribuzione degli studenti che hanno abbandonato gli studi per corso di laurea. non iscritti (valori assoluti)

non iscritti (valori percentuali)

EPC

51

18,09

FSRU

27

9,57

SDE

33

11,70

SERSS

138

48,94

SFP

33

11,70

TOTALE

282

100,00

corso di laurea

110

Tab.Tab. 3: Distribuzione degli nonhanno hanno proseguito gli studi 3: Distribuzione deglistudenti studenti che che non proseguito gli studi

Come si evince dal confronto dei valori percentuali degli immatricolati (Tab. 2) con quelli di chi prosegue gli studi (Tab.3), le distribuzioni per corso di laurea degli studenti sono pressoché omogenee. Per sviluppare la riflessione anche nella prospettiva del caso-controllo, l’indagine è stata altresì condotta su un campione di 282 studenti della stessa coorte regolarmente iscritti al secondo anno e selezionati in modo da risultare rappresentativi del relativo universo composto da 937 soggetti. Questa operazione ha consentito di poter disporre di informazioni utili a comparare le condizioni e le dinamiche che determinano la fuoriuscita precoce con quelle che invece promuovono una regolare prosecuzione degli studi universitari. La ricerca è stata condotta seguendo tre distinti percorsi. In primo luogo sono stati acquisite tutte le informazioni sugli studenti della coorte interessata presenti nella banca dati d’ateneo, acquisendo in questo modo non solo i recapiti necessari per l’indagine di campo ma anche una serie di notizie relative alla carriera scolastica (studi superiori, voto di diploma) e universitaria (corso di laurea di immatricolazione, CFU conseguiti, votazione media) della popolazione studentesca di riferimento. Successivamente è stata realizzata la campagna di rilevazione, che per un verso intendeva raccogliere un ampio e articolato spettro di informazioni sulle caratteristiche e sull’esperienza accademica di tale popolazione e per altro verso intendeva approfondire gli aspetti psicologici e motivazionali dell’atteggiamento degli intervistati nei confronti dello studio. Infine il quadro si è completato con la acquisizione delle matrici dati relative ai risultati dei test di ammissione della stessa popolazione, dalle quali è stato possibile recuperare i punteggi individuali conseguiti nelle prove di verifica delle competenze culturali di base. L’indagine sul campo, di tipo quantitativo, è stata effettuata utilizzando due modalità di raccolta dei dati. Da una parte vi è stata la somministrazione con procedura CATI (agevolata però da una operazione preventiva di invio della versione cartacea dello strumento) di un questionario strutturato le cui domande sono state rivolte all’universo degli studenti che risultavano non aver rinnovato l’iscrizione al termine del primo anno del corso di laurea e al campione di studenti iscritti al secondo anno. Dall’altra parte vi è stata una rilevazione con procedura CAWI ba-

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sata sull’impiego di due strumenti di misurazione – uno relativo alla autoefficacia accademica percepita, l’altro alla motivazione allo studio universitario – le cui modalità di autocompilazione venivano comunicate al termine del colloquio telefonico. Dei 564 soggetti verso i quali è stato effettuato il tentativo di somministrazione del questionario ne sono stati utilmente raggiunti 384, di cui 158 dell’universo degli studenti che risultano aver abbandonato il corso di laurea al termine del primo anno e 226 del campione degli studenti che risultano iscritti al secondo anno. Il numero di coloro che hanno poi compilato anche gli strumenti di misurazione proposti online è stato invece più modesto: soltanto 226 soggetti hanno dato seguito alla rilevazione con procedura CAWI. schede compilate online

tasso di risposta

56,0%

63

22,3%

80,1%

163

57,8%

popolazione

questionari somministrati

tasso di risposta

universo degli abbandoni

282

158

campione di iscritti al II anno

282

226 384

226

Tab. 4: Tasso risposta allaalla somministrazione degli strumenti di rilevazione Tab. 4:diTasso di risposta somministrazione degli strumenti di rilevazione

Al termine della rilevazione si è ritenuto sufficiente il numero di questionari somministrati perché le distribuzioni per corso di laurea sia di coloro che hanno abbandonato gli studi sia di quelli regolarmente iscritti sono risultate molto simili e omogenee alla stratificazione dell’universo degli studenti (Tab. 5). Seppur con qualche scarto percentuale superiore al 2% anche il campione ottenuto con la rilevazione CAWI è risultato in buona misura omogeneo all’universo. Rilevazione CATI

Rilevazione CAWI

abbandoni valori assoluti e percentuali

iscritti al II anno valori assoluti e percentuali

abbandoni valori assoluti e percentuali

iscritti al II anno valori assoluti e percentuali

SDE

75 (47,47%)

103 (45,58%)

26 (42,62%)

73 (44,79%)

EPC

29 (18,35%)

37 (16,37%)

10 (16,39%)

23 (14,11%)

FSRU

16 (10,12%)

26 (11,50%)

5 (8,20%)

22 (13,50%)

SERSS

19 (12,03%)

33 (14,60%)

13 (21,31%)

24 (14,72%)

SFP

19 (12,03%)

27 (11,95%)

7 (11,48%)

21 (12,88%)

TOTALE

158 (100%)

226 (100%)

63 (100%)

163 (100%)

Tab. 5: Distribuzione degli intervistati corsodidi laurea Tab. 5: Distribuzione degli intervistati per per corso laurea

2.2. Gli strumenti di rilevazione I due percorsi di rilevazione sul campo sono stati condotti utilizzando strumenti diversi. In un caso è stato impiegato un questionario strutturato con domande a risposta chiusa inerenti un ampio spettro di questioni relative al profilo degli intervistati e alla loro vicenda universitaria; nell’altro caso scale di misurazione dell’autoefficacia percepita e dell’attitudine motivazionale1.

1

Gli strumenti di rilevazione utilizzati nella ricerca sono consultabili al seguente indirizzo: http://formazione.uniroma3.it/BachecaDocente.aspx?code=000305&fmid=1098

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Il questionario somministrato con procedura CATI – unico per entrambi i target della ricerca salvo una sezione sulla fuoriuscita dal percorso formativo presente soltanto in quello destinato a coloro che avevano sperimentato tale evento – era strutturato in 6 sezioni. La prima sezione riguardava le ragioni e i processi con i quali era maturata la scelta universitaria. La seconda indagava la condizione lavorativa dell’intervistato, distinguendo tra la situazione prima dell’avvio dell’università, durante il primo anno di studio e al momento della rilevazione. La terza sezione fotografava nel dettaglio il profilo della vicenda universitaria, soffermandosi sia sugli aspetti di natura istituzionale-organizzativa sia sulle condizioni di utilizzo delle risorse e delle opportunità disponibili sia infine sulle modalità di gestione delle relazioni (con i docenti, con la struttura, con i pari) e delle pratiche (metodologie di studio, regolazione degli impegni) che segnano l’excursus accademico. La quarta sezione indagava la personale valutazione dell’esperienza effettuata nel primo anno di università mentre la successiva rilevava le opinioni riguardo alla importanza della formazione universitaria e alla sua rilevanza per il futuro dell’intervistato. L’ultima consentiva di completare il quadro delle informazioni raccolte integrandolo con i dati sulla condizione socioeconomica familiare, sui consumi culturali e sull’impegno sociale del soggetto. Le scale di misurazione degli atteggiamenti e delle motivazioni allo studio che gli studenti hanno potuto compilare in procedura CAWI sono state: la scala di Autoefficacia Accademica Percepita (CPSE: adattata da Bandura, 1990; Pastorelli et. al., 2001) che misura le convinzioni di efficacia nell’autoregolazione dell’apprendimento universitario e nell’organizzazione dello studio; la Academic Motivation Scale (AMS: Vallerand et al., 1992; adattamento italiano di Alivernini, Lucidi, 2008), composta da 28 item riconducibili a 5 sottodimensioni della motivazione. L’utilizzo delle due scale era finalizzato ad indagare la relazione tra successo/insuccesso accademico, la motivazione allo studio, i livelli di autoefficacia nell’autoregolazione dell’apprendimento.

3. Analisi dei dati socio-educativi 3.1. Le caratteristiche dello studente che abbandona Gli studi sulle carriere universitarie hanno oramai verificato che l’abbandono precoce è un fenomeno che si associa in modo ricorrente a specifici tratti socio-anagrafici degli studenti. In particolare, le caratteristiche personali individuate come rilevanti nelle vicende di accesso e rapida fuoriuscita dal percorso formativo universitario sono l’età, il background socioculturale, il tipo di istruzione pregressa e il carico familiare e lavorativo (Checchi, 2000; Di Pietro, 2004; CNVSU 2009). Tali caratteristiche personali degli studenti, com’è ovvio, non determinano necessariamente l’abbandono, ma costituiscono dei tratti tipici delle situazioni potenzialmente più esposte ad un esito del genere (Caserini & Denti 2009). Le caratteristiche socio-anagrafiche che più di frequente sono associate all’abbandono precoce si ritrovano anche nel profilo degli studenti che al termine del primo anno lasciano i corsi di laurea del DSF. Confrontando l’identikit di coloro i quali hanno abbandonato con quello di chi ha invece proseguito, infatti, emerge anzitutto che tra i primi vi è un sovradimensionamento della componente con età più avanzata (gli ultra30enni sono il 10,5% dell’universo di riferimento ma quasi il 16% del sottouniverso degli abbandoni; e l’età media di chi lascia è 25,3 anni a fronte dei 23,1 anni di chi prosegue) e con una meno favorevole condizione red-

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dituale della famiglia di origine (a parità di composizione del nucleo familiare, il reddito medio annuo di chi abbandona risulta pari a 13.730 euro mentre quello di chi prosegue è di 18.633 euro). Per ciò che concerne la correlazione tra il rischio di abbandono e il livello di istruzione dei genitori, i dati relativi ai corsi di laurea del DSF confermano una peculiarità tutta italiana ben nota in letteratura (Aina 2013; Quinn 2013): è il possesso o meno di un diploma superiore da parte della madre a incidere significativamente sul destino universitario dello studente. I figli di donne con basso grado di istruzione rappresentano infatti il 42,4% di chi abbandona e il 35,4% di chi prosegue; quelli di donne con diploma superiore costituiscono il 44,9% di chi abbandona e il 52,2% di chi prosegue; quelli di donne con laurea sono presenti in modo equivalente nei due sottouniversi (11,4% tra gli abbandoni e 11,9% tra le prosecuzioni). Dal punto di vista del percorso scolastico effettuato, la presenza di diplomati in istituti superiori di tipo professionale, tecnico o artistico risulta assai più consistente tra gli studenti che hanno abbandonato che non tra quelli che hanno proseguito, mentre la situazione si inverte considerando il possesso di un diploma di liceo scientifico. Inoltre, seppur con uno scarto minimo, il voto di diploma di chi abbandona è inferiore a quello di chi prosegue. Per ciò che concerne gli aspetti relativi al carico familiare e lavorativo, infine, i dati evidenziano che la consistenza di coloro i quali hanno coniuge e figli è sensibilmente più elevata nel sottouniverso degli abbandoni, all’interno del quale sono presenti in modo assai cospicuo anche gli studenti con una occupazione continuativa e a tempo pieno (ha un impegno di questo tipo il 24,7% di chi abbandona a fronte di un 10,2% di chi prosegue). Studenti che abbandonano Età media al termine del 1° anno

Studenti che proseguono

25,3

23,1

Reddito medio del nucleo familiare

13.720

18.633

Occupazione stabile e a tempo pieno

24,7%

10,2%

Coniugato

11,4%

4,0%

Ha figli

13,9%

4,4%

Basso titolo di studio della madre

42,4%

35,4%

Diploma superiore di tipo professionale/tecnico

22,8%

17,2%

Tab. 6: Le condizioni socio-anagrafiche studentie degli che abbandonano Tab. 6: Le condizioni socio-anagrafiche degli studenti chedegli abbandonano studenti che proseguono e degli studenti che proseguono

Al di là degli aspetti relativi ai tratti socio-anagrafici degli studenti, altre circostanze ancora di natura personale possono comunque risultare rilevanti nelle vicende dell’abbandono precoce. L’indagine sui corsi di laurea del DSF, infatti, evidenzia che ulteriori fattori di rischio possono risiedere nelle ragioni da cui è scaturita la scelta del percorso formativo universitario e nelle modalità con cui tale percorso viene affrontato. Per quel che concerne il versante della cosiddetta motivazione in ingresso, ossia della ragione che determina la scelta del corso di studio, ciò che emerge è la significativa correlazione che l’abbandono presenta con una bassa attitudine vocazionale. I riscontri della ricerca mostrano infatti che la motivazione vocazionale – il desiderio di un lavoro utile per gli altri, aspirazione tipica per coloro i quali scelgono le scienze della formazione (Amann, Pallini & Pulicani, 2004; Amann Gainotti, Vecchio & Biasi, 2013) – costituisce un buon deterrente nei confronti dell’abbandono (è associata al 26,6% degli abbandoni e al 40,7% delle prosecuzioni).

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Riguardo alle modalità con cui l’esperienza universitaria viene affrontata, l’abbandono precoce si associa in modo forte ad una scarsa propensione alla frequenza universitaria. Circa il 40% di coloro che hanno lasciato il corso di laurea durante il primo anno, infatti, risulta non aver mai preso parte alle lezioni programmate o di averlo fatto solo nelle settimane di avvio del semestre, a fronte di una quota inferiore al 20% di coloro che hanno proseguito negli studi. È un dato controintuitivo, invece, che il 34,8% degli studenti con esito di abbandono abbia frequentato in modo continuativo per l’intero primo anno, un riscontro che in parte può trovare spiegazione con l’intento di non sprecare l’opportunità di conseguire qualche CFU magari nella prospettiva di poterlo poi valorizzare in un diverso contesto universitario (1/4 degli studenti che rinuncia formalmente nel successivo anno accademico risulta essersi iscritto ad un altro corso di laurea) ma che in buona misura evidenzia come solo al momento degli esami prenda corpo la consapevolezza circa una adeguata/inadeguata disposizione rispetto all’impegno richiesto dagli studi universitari. 3.2. Come e perché si consuma l’abbandono

114

Nei corsi di laurea del DSF il fenomeno dell’abbandono precoce si distribuisce lungo l’intero anno accademico, con due passaggi di maggiore consistenza tra la sessione di esame dei mesi di gennaio/febbraio e l’inizio del secondo semestre di lezione. Nel 56,3% dei casi, infatti, è in quel lasso di tempo che risulta essere maturata la decisione di interrompere gli studi, con un 29,1% che ha scelto di lasciare al momento degli esami e un 27,2% nel periodo immediatamente successivo. Lo snodo critico rispetto alla scelta tra in e out sembra dunque collocarsi allorché lo studente deve rendere conto – a se stesso e agli altri – dei risultati concreti del proprio impegno. Una quota di quasi il 20% degli abbandoni, tuttavia, si registra già durante le prime settimane di lezione, quasi che la scelta di iscriversi alla università in certi casi fosse semplicemente un dovere da assolvere e poi risolvere in fretta oppure una decisione così poco meditata da apparire da subito sbagliata. Questa tipologia di abbandono iperprecoce sembra insomma derivare da una condizione di estrema debolezza motivazionale in entrata e denota un problema legato al quadro dell’orientamento formativo (nel senso in cui l’espressione è proposta in Domenici 2009). Le ragioni che inducono ad interrompere il percorso formativo durante il primo anno possono essere di vario genere ma tre sembrano essere le circostanze che in modo prevalente determinano un esito del genere. In più di 4 casi su 10 la causa di abbandono sono i problemi di natura personale, che possono prendere la forma di sopravvenuti impegni lavorativi o di impegni familiari che si rivelano inconciliabili con la condizione di studente universitario; e questo tipo di ragioni determinano quasi sempre la decisione di interrompere il percorso universitario senza valutare almeno nel breve periodo soluzioni alternative – il tipico drop out. In 3 casi su 10, invece, la causa dell’abbandono risiede nella sopravvenuta consapevolezza di aver commesso un errore nella scelta del percorso di studi ossia nell’orientamento universitario e professionale: il corso di studio prescelto non si è rivelato adeguato alle prospettive personali e diventa necessario agire di conseguenza. Le alternative che prendono forma da questa causa di abbandono risultano quindi essere: per circa il 20% degli studenti la migrazione verso un altro corso di studio senza alcuna interruzione formale nella carriera universitaria ma spesso ponendosi già in una condizione di ritardo (si tratta dei classici passaggi o trasferimenti); per

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un ulteriore 25% la presentazione della domanda di rinuncia agli studi con la successiva iscrizione ad altro corso di laurea (la rinuncia consente di transitare verso alcuni corsi di laurea sostanzialmente senza perdere l’anno); per la restante quota una fuoriuscita – quantomeno momentanea – dai ranghi di un percorso formativo avanzato. Una terza causa di abbandono, infine, è riconducibile alle difficoltà che la realtà accademica sembra proporre alle matricole e che evidentemente hanno un forte impatto su una parte degli studenti: quasi il 10% di coloro che hanno abbandonato, infatti, attribuiscono la loro decisione a problemi di ambientamento che riguardano la organizzazione del contesto universitario e le relazioni con gli altri studenti o con i docenti. 3.3. Preparazione in ingresso e sviluppo delle competenze all’Università La capacità dello studente di adattarsi all’ambiente universitario rappresenta uno dei fattori che può contribuire in modo significativo al successo universitario, ma anche all’abbandono precoce laddove le difficoltà incontrate permangano nel tempo. Dagli esiti della ricerca emerge un elemento di criticità individuabile nella tendenza da parte delle università a caratterizzare sempre di più l’ambiente formativo, nei suoi vari aspetti (organizzativi, amministrativi e soprattutto didattico-curriculari), come spazio formativo aperto e flessibile, che mette a disposizione degli studenti percorsi di studio sempre più ricchi e articolati nella loro strutturazione. Si tratta di un ambiente che cerca di valorizzare negli studenti la gestione autonoma del proprio percorso di crescita e di studio (ad esempio: selezionare le discipline da studiare in base ai propri interessi; avvalersi o meno di modalità di studio online; frequentare o meno le lezioni in presenza). Gli esiti dell’esperienza di flessibilità nell’ambiente universitario rappresentati nella Tab.7 mostrano che sono maggiormente gli studenti che proseguono gli studi ad avvantaggiarsene: si sentono più responsabili nelle decisioni che prendono (54.4%), sono stimolati a riflettere su di sé e sui propri interessi (42%), si sentono protagonisti attivi del percorso di formazione (40.7%). Gli studenti che abbandonano gli studi sembrano trarre minori benefici dall’esperienza di flessibilità e contestualmente sono più disorientati (18.3%) e portati a diminuire il proprio impegno nello studio (13.2%). Studenti che abbandonano

Studenti che proseguono

reso più responsabile nelle decisioni che prendo

37,97%

54,42%

disorientato dalla realtà universitaria

18,35%

5,75%

stimolato a riflettere su di me e sui miei interessi

31,65%

42,04%

portato a diminuire l’impegno nello studio (es. non frequentando le lezioni)

13,29%

6,64%

permesso di essere protagonista attivo del mio percorso di formazione

26,58%

40,71%

non risponde

4,43%

10,18%

Tab. 7: Esiti dell’esperienza di flessibilità dell’ambiente universitario per gli studenti Tab. 7: Esiti dell’esperienza di flessibilità dell’ambiente universitario per gli studenti

La questione dell’adattamento all’ambiente universitario diventa ancora più urgente se teniamo conto che il livello di competenze in entrata nei corsi universitari è spesso carente e che per un’alta percentuale di studenti è inferiore al livello atteso dal corso di laurea di riferimento (Giuliani, Moretti & Morini, 2015). Nel caso del DSF la verifica della preparazione iniziale delle matricole si pone l’obiettivo di atte-

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stare alcune conoscenze e competenze di base e trasversali quali «la comprensione della lettura, le abilità logico-linguistiche e logico-matematiche». Lo strumento scelto per la verifica è un test orientativo e non selettivo, costituito da 80 quesiti a scelta multipla, di cui: 40 riguardano l’area di competenza Comprensione della lettura (interpretazione critica del testo e scomposizione e ricomposizione del testo), 20 si riferiscono all’area Decodifica di grafici e tabelle e 20 concernono l’area Analisi deduttiva e situazioni problematiche. L’analisi delle performance al test orientativo d’ingresso dei corsi triennali relativa all’a.a 2013-14 (Tab. 8) mostra valori più alti ottenuti dagli studenti iscritti rispetto a chi abbandona gli studi: per il corso di laurea SDE il punteggio medio degli iscritti è significativamente maggiore del punteggio di chi abbandona (α = 0,01). Per SFP, corso quinquennale, con test selettivo, i dati hanno un andamento opposto a quelli delle lauree triennali: chi ottiene punteggi medi più alti sono più a rischio di abbandono. Studenti che abbandonano

Studenti che proseguono

Corso di Laurea

116

media

mediana

dev.st

media

mediana

SDE

44,28

45,00

7,12

47,25

48,00

dev.st 9,19

EPC

44,56

41,00

8,35

46,62

47,00

10,17

FSRU

48,88

49,50

12,25

51,60

52,00

9,78

SerSS

39,17

40,00

9,36

40,70

41,25

10,99

SFP

69,16

69,75

7,66

66,13

66,38

5,60

Nota 1.al Itest punteggi al testsono di ingresso espressi attraverso numeri decimali per iSerSS corsi ediSFP. laurea Nota 1. I punteggi di ingresso espressi sono attraverso numeri decimali per i corsi di laurea Per tale motivo, si è SerSS e iSFP. Per tale si ogni è preferito i punteggi medi ai test per ogni corso di preferito distinguere punteggi medimotivo, ai test per corso didistinguere laurea laurea Nota 2. Accorpando i test di ingresso dei corsi di laurea SDE, EPC, FSRU Il punteggio medio degli iscritti allo SDE è significativamente 2. Accorpando i test(αdi= ingresso dei corsi di laurea SDE, EPC, FSRU Il punteggio medio maggiore delNota punteggio degli abbandoni 0,01) degli iscritti allo SDE è significativamente maggiore del punteggio degli abbandoni (α = 0,01) Tab. 8: Performance al test di ingresso (aa. 2013-2014)

Tab. 8: Performance al test di ingresso (aa. 2013-2014)

Dagli esiti della prova di accesso emerge che l’adattamento all’ambiente universitario è riferito in gran parte ad aspetti concernenti la capacità di studio, l’abilità di perseverare nella ricerca di fonti e dati, di comprendere gli argomenti trattati e di collegarli gli uni con gli altri. Gli esiti delle prove di accesso rispecchiano in parte quelli registrati in uscita dalla scuola secondaria superiore: il voto medio di diploma di chi abbandona gli studi (72,90) è di poco inferiore al voto medio di chi prosegue (75,17) (Tab. 9). Tra le medie dei due gruppi non vi è una differenza statistica significativa; tali evidenze confermano la debole relazione tra titolo di studio precedente, risultati ottenuti nelle prove di accesso e carriera universitaria (ad esempio: Di Iorio, Notti, & Tammaro, 2014).

Studenti che abbandonano

Studenti che proseguono

media

mediana

dev.st

media

mediana

dev.st

72,90

70

11,97

75,17

74

10,90

Tab. Tab. 9: Voto medio di di diploma 9: Voto medio diplomadi dimaturità maturità

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Le difficoltà incontrate nello studio o nel processo di adattamento all’ambiente universitario non impediscono agli studenti di avviare positive dinamiche motivazionali e provare gratificazioni nel superare con soddisfazione gli esami e acquisire in questo modo crediti formativi universitari spendibili. Tuttavia la capacità di fronteggiare le sfide concernenti lo studio e l’organizzazione della vita universitaria e contestualmente di riuscire a sostenere esami, non caratterizza tutti gli studenti, ma distingue nettamente coloro che abbandonano gli studi al primo anno da chi invece decide di proseguire. La Tab. 10 mostra che il numero medio di crediti maturati dagli iscritti nel primo anno di corso (44 CFU) è significativamente maggiore (α = 0,01) rispetto ai crediti maturati da chi abbandona (16 CFU)2. Degli studenti che abbandonano gli studi nel primo anno di corso, il 59.5 % non ha sostenuto esami e non ha maturato alcun CFU. Studenti che abbandonano

Studenti che proseguono

media

mediana

dev.st

media

mediana

dev.st

16

15

12,49

44

45

14,15

Tab. 10: maturati nelnel primo corso Tab.Crediti 10: Crediti maturati primoanno anno di di corso

117 Molte sedi universitarie pur essendo impegnate a ridefinire l’offerta formativa e organizzare in modo flessibile la didattica, contestualmente, dedicano particolare attenzione allo sviluppo di un’ampia gamma di servizi per gli studenti a livello di Ateneo (ad esempio: Centro Linguistico d’Ateneo; servizi bibliotecari, Counselling psicologico) o di Dipartimento (ad esempio: Servizio Tutorato Matricole, Servizio Studi Obblighi Formativi Aggiuntivi, Prestito portatili, Individuazione docenti tutor). Tali servizi si propongono in particolare di garantire quelle condizioni che possono aiutare gli studenti nello studio o che possono consentire loro di adattarsi all’ambiente universitario. Gli studenti del DSF che abbandonano gli studi dichiarano di avvalersi spesso della Segreteria didattica (17,2%), della Piazza telematica (14,6%), della biblioteca di Dipartimento (9,5%), del servizio tutorato matricole (4,4%) e, con la stessa frequenza (3,8%), del Servizio Studi Obblighi Formativi Aggiuntivi, del prestito computer portatili e dell’orario di ricevimento docenti; gli studenti che proseguono gli studi utilizzano spesso la piazza telematica (22,6%), la biblioteca di Dipartimento (15,0%), la Segreteria didattica (13,7%), il Centro linguistico di Ateneo (10,2%), il prestito computer portatili (6,6%). Nel complesso emerge dall’indagine uno scarso utilizzo dei servizi da parte degli studenti nel corso del primo anno con particolare riferimento a chi decide di interrompere gli studi. Il DSF, così come molti Dipartimenti di altre sedi universitarie, da una parte rileva che gli studenti hanno scarsa conoscenza dei servizi, dall’altra comprende l’esigenza di operare affinché gli studenti maturino la consapevolezza dell’aiuto effettivo di cui potrebbero beneficiare ricorrendo ai servizi didattici, di orientamento e tutorato. La difficoltà rilevata di accesso alle informazioni e di utilizzo dei servizi rivolti agli studenti messi a punto dalle università è in linea con gli esiti emersi da altre ricerche empiriche condotte nel contesto italiano (ad esempio: Marzano, 2012).

2

Il confronto tra il numero medio di crediti conseguiti è stato eseguito applicando un test per il confronto tra medie per popolazioni indipendenti ed eteroschedastiche. Il valore α = 0,01 è il p-value corrispondente alla statistica test.

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4. Il peso dell’assetto motivazionale e delle convinzioni di autoefficacia come fattori di rischio nell’abbandono precoce degli studi universitari Per indagare le variabili di atteggiamento e di motivazione allo studio sono stati utilizzati due strumenti che di seguito vengono presentati nel dettaglio:

118

a) Scala di Autoefficacia Accademica Percepita (CPSE: adattata da Bandura, 1990; Pastorelli et. al., 2001), composta da 10 item che misurano le convinzioni di efficacia nell’autoregolazione dell’apprendimento universitario e nell’organizzazione dello studio. Gli item erano preceduti dall’espressione ”Quanto sei capace di…” e il formato di risposta era a 4 passi senza posizione intermedia, da 1 = “per nulla capace” a 5 = “del tutto capace”; b) la Academic Motivation Scale, composta da 28 item riconducibili a 5 sottodimensioni: motivazione intrinseca, identificata, introiettata, estrinseca e amotivazione. Gli item erano preceduti dalla domanda “Perché frequenti l’università?” e il formato di risposta era a 7 passi, da 1 = “non corrisponde per niente” a 7 = “corrisponde esattamente”. Questa scala rappresenta un adattamento per studenti universitari della scala di motivazione accademica originariamente sviluppata da Vallerand e collaboratori (Vallerand et al., 1992) adattata e validata nel contesto italiano della scuola superiore da Alivernini & Lucidi (2008). Il campione autoselezionato di studenti che ha partecipato alla rilevazione compilando gli strumenti resi disponibili online si è distribuito tra abbandoni e prosecuzioni in modo sostanzialmente corrispondente al quadro dell’universo: 23,7% dei primi e 76,3% dei secondi 4.1. Attendibilità e validità degli strumenti utilizzati per la valutazione dell’assetto motivazionale e delle convinzioni di autoefficacia 4.1.1. Scala sull’Autoefficacia nello studio I risultati dell’analisi confermativa (Fig. 2) svolta sui dati raccolti hanno confermato la struttura bifattoriale della scala di autoefficacia, evidenziando un fattore legato all’autoregolazione dello studio e un fattore legato all’uso delle risorse universitarie. Le analisi confermano le proprietà psicometriche della scala di autoefficacia su un campione di studenti universitari e suggeriscono che essa può essere uno strumento adatto all’uso in questo contesto. L’attendibilità è stata calcolata in termini di coerenza interna attraverso l’indice alpha di Cronbach e considerando i 2 fattori risultati dall’analisi fattoriale confermativa. I risultati indicano una buona coerenza interna (Kline, 2000) per la sottoscala sull’autoregolazione dello studio (alpha = 0.70) e una coerenza interna accettabile per la sottoscala sull’utilizzo delle risorse universitarie (alpha = 0.629).

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Fit del Modello Chi quadro = 50.495; 50.495 p>.05 CFI = 0.945 RMSEA = 0.048 SRMR = 0.053

119 Fig. 2: Risultati dell’analisi fattoriale confermativa sulla scala di autoefficacia

4.1.2. Scala di Motivazione allo studio Deci e Ryan (1985, 2002) indicano il concetto di autoregolazione come determinante dal punto di vista motivazionale (Self Determination Theory). L’autoregolazione si riferisce al controllo dei risultati che via via si ottengono durante lo Fig. 1: Risultati fattorialelaconfermativa sulla svolgimento di un’attività, gestendo le variedell’analisi fasi del processo: pianificazione, il scala di autoefficacia controllo e la valutazione del proprio comportamento rivolto a uno scopo. La regolazione esterna riguarda la ricerca di rinforzi positivi (ad esempio: premi) o l’evitamento dei negativi (ad esempio: minacce di punizione): la scelta dell’individuo è strumentale a qualcos’altro (risposte tipiche possono essere: “studio per prendere un bel voto” oppure “studio per trovare un lavoro pagato bene”). La regolazione introiettata consiste nel mettere in atto un comportamento con autocontrollo, senza che ancora venga sentito come mosso dall’interno (risposta proto tipica: “studio per mostrare agli altri quanto valgo”). La regolazione per identificazione richiama valori personali nel perseguire un obiettivo (risposta proto tipica: “studio per trovare un lavoro che mi piace”). La regolazione interiorizzata si ha quando l’attività viene svolta come espressione del sé, legata a motivi interni, vi è percezione del locus of control interno (risposta proto tipica: “studio perché mi piace”). È stata inoltre individuata la cosiddetta motivazione, che concerne sostanzialmente uno stato di assenza d’intenzione all’azione. Persone che sono amotivate risultano prive di regolazione (non-regolazione), manca loro un senso di efficacia o un senso di controllo rispetto ai risultati desiderati (risposta proto tipica: “non so perché frequento l’Università” oppure “mi sembra di perdere tempo nello studio”). La Scala di Motivazione allo studio, basata sui suddetti costrutti e articolata in 5 fattori, è stata anch’essa sottoposta a verifica con analisi fattoriale confermativa (Fig. 3).

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Fig. 3: Risultati dell’analisi fattoriale confermativa sulla scala motivazione allo studio allo studio Fig. 2: Risultati dell’analisi fattoriale confermativa sulladiscala di motivazione

L’attendibilità è stata calcolata in termini di coerenza interna attraverso l’indice alpha di Cronbach e considerando i 5 fattori risultati dall’analisi fattoriale confermativa. I risultati sono illustrati nella tabella seguente. Tutte le scale mostrano un buon livello di consistenza interna (Kline, 2000) (Tab. 11). Sottoscala Amotivazione Motivazione Esterna Motivazione Introiettata Motivazione Identificata Motivazione Intrinseca

Alpha di Cronbach 0,829 0,866 0,867 0,854 0,876

Tab.11: Indice alpha di Cronbach per ciascuna delle sottoscale della di motivazione Tab.11: Indice alpha di Cronbach per ciascuna delle sottoscale della scala di scala motivazione

Complessivamente i risultati delle analisi svolte confermano la struttura a 5 fattori della scala di autoefficacia, ciascuno legato alle 5 tipologie di motivazione previste dalla letteratura di riferimento e della struttura teorica alla base dello sviluppo della scala originaria. Le analisi confermano le proprietà psicometriche della scala di motivazione su un campione di studenti universitari e indicano quindi che tale strumento risulta adatto all’uso in questo contesto.

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4.2. Risultati Per ogni partecipante è stato calcolato un punteggio di scala relativo all’autoefficacia nella regolazione dello studio ed un secondo punteggio relativo all’utilizzo delle risorse universitarie. Per la scala di motivazione sono stati regolarmente calcolati i 5 punteggi relativi ai fattori sottostanti (amotivazione, motivazione esterna, introiettata, identificata e intrinseca). È stato inoltre calcolato il cosiddetto Indice RAI (Relative Autonomy Index; Vallerand & Ratelle, 2002) attribuendo dei pesi a ciascuna tipologia di motivazione. Questo indice è considerato un indicatore dell’orientamento motivazionale complessivo individuale, i cui punteggi positivi rappresentano una regolazione maggiormente autonoma, mentre punteggi negativi rappresentano una regolazione esterna, edeterodiretta. Si riporta in figura 4 il confronto tra i punteggi medi ottenuti per le due tipologie di autoefficacia per lo studio ottenuti dagli studenti che proseguono gli studi (in blu con indicatore romboidale) rispetto agli studenti che hanno abbandonato gli studi (in rosso con indicatore quadrato).

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Fig. 4: Punteggi medi registrati per le scale di autoefficacia nello studio dagli studenti che prose-

guono (indicatore ig. 3: Punteggi medi diio autoefficacia di rregistrati egistrati per promboidale) er le le sscale cale d aabbandonano utoe cacia (indicatore nello ne llo sstudio tudiquadrato) o dagli dagli studenti stl’Università. udenti ch cheePer p proseguono rociascun seguono (indicatore (ind gruppo medio standard trappo parentesi ndodinstudenti ano (indicatore (inèdriportata icatore quadrato) qilupunteggio adrato) ll’Università. ’Univeerlasideviazione tà. Per ciascun cias cun gru gruppo di studenti studenti è riportata ripo il omboidale) o abbandonano unteggio medio e laa deviazione parentesi deviazione standard standard tra tra paren tesi

L’analisi della varianza evidenzia la presenza di un livello di autoefficacia nella regolazione dello studio in media significativamente maggiore (F = 8,4; p<0,01) negli studenti che hanno proseguito gli studi, rispetto agli studenti che hanno abbandonato. Non si registrano invece differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda l’autoefficacia nell’uso delle varie risorse universitarie (F = 0,1; p = 0,7). Le analisi della varianza svolte su ciascuna scala di motivazione mostrano l’assenza di differenze statisticamente significative tra gli studenti che hanno proseguito gli studi rispetto a coloro che hanno abbandonato (Fig. 4; amotivazione F = 0,1, p = 0,7; motivazione esterna F = 1,5, p = 0,2; motivazione introiettata F = 0,1, p = 0,9; motivazione identificata F = 3,5, p = 0,6; motivazione intrinseca F = 1,2 p =0,3).

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Amotivazione

Esterna

Introiettata

Identificata

Intrinseca

Studenti che proseguono

1,6 (0,9)

3,6 (1,6)

4,1 (1,6)

5,3 (1,4)

5,1 (1,3)

Studenti che abbandonano

1,6 (1,1)

3,9 (1,4)

4,1 (1,5)

5,7 (1,2)

5,3 (1,1)

Tab. medio e deviazione standard (tra parentesi) ciascuna scala diper motivazione Tab. 12: 12: Punteggio Punteggio medio e deviazione standard (tra parentesi) su ciascunasu scala di motivazione i 2 gruppi di per i 2 gruppi di studenti. studenti.

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Coerentemente con questi risultati, anche l’analisi della varianza svolta sull’indice RAI non evidenzia differenze significative tra i due gruppi di studenti (F = 0,4; p = 0,5). La media ottenuta su questo indice è pari a 8,8 (d.s. = 4,4) per gli studenti che proseguono gli studi, e di 9,2 (d.s. = 4,5) per gli studenti che abbandonano gli studi Analizziamo infine il rapporto esistente tra i livelli di autoefficacia e di motivazione allo studio e i risultati di apprendimento ottenuti in termini di CFU acquisiti, chiaramente da parte degli studenti che hanno continuato il percorso di studi. Sono state considerate 4 fasce di apprendimento espresse in CFU: fino a 20 crediti; da 21 a 40 crediti; da 41 a 59 crediti; 60 o più crediti. Confrontando i punteggi di autoefficacia nella regolazione dello studio ottenuti dagli studenti appartenenti alle suddette rispettive fasce di apprendimento, si registrano differenze significative (Fig. 5) a vantaggio degli studenti che hanno raggiunto almeno 60 CFU (p<.05).

Fig. 5: Punteggio medio di autoefficacia nella regolazione dello studio per gli studenti che hanno proseguito gli studi, in funzione dei crediti universitari acquisiti. Per ciascun gruppo di studenti è riportata il punteggio medio e la deviazione standard tra parentesi.

In particolare si evidenzia il fatto che gli studenti che hanno raggiunto almeno 60 CFU registrano un livello di autoefficacia significativamente maggiore rispetto a tutti gli altri gruppi; inoltre gli studenti che rientrano nella fascia dai 41 ai 59 crediti hanno un livello di autoefficacia significativamente maggiore rispetto a coloro che hanno conseguito al massimo 20 CFU; non si riscontrano differenze significative tra gli altri gruppi. La variabile relativa all’autoefficacia percepita nell’uso delle risorse universitarie non registra differenze significative rispetto alle fasce di apprendimento considerate (F = 0,715; p = 0,5). I punteggi medi ottenuti nei diversi gruppi di studenti sono stati: fino a 20 crediti m = 2,4 (d.s. = 0,6); da 21 a 40 CFU m = 2,6 (d.s. = 0,5); da 41 a 59 CFU m = 2,6 (d.s. = 0,5); 60 CFU e oltre m = 2,5 (d.s. = 0,5).

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Conclusioni e prospettive di sviluppo La ricerca sull’abbandono precoce nei corsi di laurea del DSF ha analizzato il fenomeno nella sua globalità mediante una prospettiva multidisciplinare, e ha quindi posto sotto osservazione l’ampio ventaglio delle sue possibili cause. I risultati emersi dall’approccio sociologico alla questione hanno segnalato che una serie di elementi connessi con i tratti socio-anagrafici e con lo status personale-familiare dello studente costituiscono aspetti di evidente rilievo rispetto all’esito del primo anno di studi. Il fenomeno dell’abbandono precoce si determina soprattutto tra gli studenti di modesta estrazione sociale, che di solito vivono e si formano in contesti culturalmente poco attrezzati e stimolanti. Anche le modalità e il tipo di approccio con cui si realizzano l’avvicinamento e l’ingresso nel sistema d’istruzione terziaria, però, risultano essere fattori che rivestono un ruolo significativo nella fase iniziale del percorso. Le indicazioni che derivano dall’analisi delle variabili di natura educativa hanno mostrato il rilievo che nel fenomeno riveste la presenza di inadeguate competenze in ingresso rispetto a quelle attese dai corsi di laurea. Durante il primo anno di corso, peraltro, tali carenze si sommano alle difficoltà che gli studenti incontrano nella gestione dello studio. L’adattamento al nuovo contesto accademico, che offre esperienze flessibili di studio e ricerca, per molti studenti rappresenta quindi un processo lungo e difficile, sul quale non sembra incidere in modo efficace l’azione di sostegno messa in campo dalle strutture didattiche. Le elaborazioni dei dati scaturiti dalle scale di misurazione dell’efficacia nello studio e della motivazione allo studio hanno mostrato il modesto rilievo che le variabili legate all’utilizzo delle risorse universitarie e alle differenze motivazionali rivestono nel co-determinare l’abbandono precoce. Dal punto di vista psicologico, la variabile predittiva più efficace è infatti risultata essere l’autoefficacia percepita nella regolazione dello studio. I dati raccolti hanno inoltre evidenziato l’importanza dei meccanismi di scelta del percorso di studi (adeguatezza e corrispondenza alle personali attitudini). Gli esiti della ricerca permettono di delineare alcune azioni d’intervento che, a nostro avviso, potrebbero essere efficaci sia nella prevenzione sia nella riduzione del fenomeno dell’abbandono precoce. In particolare riteniamo che sarebbe utile intervenire attraverso: il potenziamento delle iniziative di orientamento formativo in ingresso, da svolgere in stretto collegamento con le scuole secondarie superiori; la generalizzazione delle azioni di accertamento delle competenze in ingresso da effettuare in funzione autovalutativa e orientativa; lo sviluppo dei servizi di orientamento in itinere, di recupero e tutorato didattico, soprattutto nel corso del primo anno di studi; l’intensificazione delle azioni informative rivolte agli studenti per aiutarli a conoscere più approfonditamente i servizi e ad avvalersene in modo continuativo e consapevole, anche al fine di adattarsi al contesto universitario e trarre il massimo dei benefici dalle esperienze di flessibilità e coinvolgimento attivo proposte; la predisposizione di specifici interventi di prevenzione del drop out finalizzati sia all’acquisizione di un adeguato metodo di studio sia allo sviluppo di un atteggiamento resiliente basato su una maggiore autostima e fiducia in sé. Un’indicazione di rilievo generale che scaturisce dalla ricerca è la funzione strategica svolta dalle azioni di orientamento universitario per contrastare l’abbandono precoce degli studi. I diversi co-fattori che possono alimentare il fenomeno sembrano, infatti, avere un comune terreno di coltura nel complessivo deficit di orientamento formativo (Domenici, 2009) e nella conseguente debolezza – culturale, strumentale e motivazionale – con cui parte degli studenti si presenta fin dall’ingresso nel sistema d’istruzione terziaria. Il tema dell’orientamento, in in-

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gresso, in itinere e in uscita, rappresenta dunque uno snodo cruciale nella costruzione di strategie di contrasto dei fenomeni di abbandono precoce. Per approfondire il lavoro avviato occorre considerare l’opportunità di consolidare e ampliare la base dati disponibile orientandosi verso una rilevazione longitudinale e prevedendo una somministrazione degli strumenti sia al momento di avvio del percorso universitario sia al termine del primo anno. Tali accorgimenti consentirebbero di raccogliere le informazioni necessarie per fare confronti stabili e attendibili sulle dinamiche che accompagnano l’esperienza dello studente e possono influenzarne l’esito. Ulteriori spunti di riflessione, inoltre, potrebbero derivare da sviluppi di natura comparativa alimentati con basi dati provenienti da altri contesti universitari.

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La Metodologia dell’Activation du développement vocationnel et professionnel per un’educazione inclusiva nella scuola secondaria di primo grado Giuseppa Cappuccio • Università degli Studi di Palermo - giuseppa.cappuccio@unipa.it

«Activation du développement vocationnel et professionnel» methodology for inclusive education in lower secondary school

La ricerca si inserisce nel variegato panorama di studi e ricerche relativi al processo di maturazione personale e professionale e all’educazione inclusiva. Il contributo mostra il percorso di ricerca che ha coinvolto 182 studenti universitari, 432 alunni e 42 docenti di 18 classi prime di scuole secondarie di primo grado della provincia di Palermo e di Trapani, nei mesi di giugno 2014 - aprile 2015. L’intervento ha previsto la progettazione, la costruzione e la sperimentazione di una serie di attività attraverso le quali gli insegnanti hanno potuto sviluppare la capacità di progettazione e di scelta del futuro professionale negli alunni, partendo dai contenuti delle discipline, utilizzando la metodologia canadese dell’Activation du Développement Vocationnel et Personnel (Pelletier, Boujold & Noiseux, 1974), validata anche in Sicilia (Cappuccio, 2003, 2009, 2012, 2015), che riconosce gli insegnanti quali mediatori strategici dei processi di inclusione scolastica.

Keywords: teacher training, career and self development, inclusive education, evaluation, creative thinking.

Parole chiave: formazione insegnanti, svilup-

po personale e professionale, inclusive education, valutazione, pensiero creativo.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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ricerche

The present research is part of the varied landscape of studies and researches related to the personal and professional maturation process and inclusive education. The contribute illustrates a research path which involved 182 university students, 432 pupils and 42 teachers of 18 1st year classes of secondary schools I grade located in the province of Palermo and Trapani, from June 2014 to April 2015. The project concerned the design, construction and testing of a series of activities through which teachers were able to help pupils develop the ability to design and chose their future career, moving from the disciplines contents and thanks to the Canadian methodology of Activation du Développement Vocationnel et Personnel (Pelletier, Boujold & Noiseux, 1974), validated in Sicily (Cappuccio, 2003, 2009, 2012, 2015), which recognizes teachers as strategic brokers of school inclusion processes.


La Metodologia dell’Activation du développement vocationnel et professionnel per un’educazione inclusiva nella scuola secondaria di primo grado

Introduzione

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Nel corso degli ultimi decenni l’evolversi della tecnologia e dei conseguenti ritmi e modalità di produzione, ha destrutturato i modelli tradizionali della vita professionale, spingendo la persona alla necessità di un processo di riconversione professionale, in termini di competenze, per adeguarsi al cambiamento in atto nella società. Un intervento di didattica orientativa e di educazione inclusiva non può che proporsi in termini, quindi, di educazione nel tempo allo sviluppo e all’autogestione delle scelte, perché solo così è possibile sollecitare il coinvolgimento personale dello studente alla ricerca attiva di tutto ciò che gli permette di acquisire quella padronanza dei mezzi di informazione che lo fa essere soggetto e non oggetto di orientamento, sempre più cosciente della propria identità personale. Ciò significa che la persona deve formulare di continuo nuovi progetti, da realizzare progressivamente secondo il ritmo delle esigenze del suo sviluppo e di rinnovamento della sua dinamica motivazionale. Tra le varie metodologie per l’educazione alla scelta professionale l’Activation du Developpement Vocationnel et Personnel (ADVP) dell’équipe dell’Università Laval (Quebec, Canada), già dagli anni ’70 del secolo scorso, ha suscitato un notevole interesse sia nel settore della ricerca universitaria, sia in campo educativo. Nel presente lavoro, dopo aver introdotto i presupposti teorici della metodologia ADVP, ci si propone innanzitutto di descrivere i compiti di sviluppo della maturità professionale individuati dai ricercatori dell’Università Laval, per poi evidenziare le abilità di pensiero sottostanti ai compiti che l’alunno dovrebbe svolgere per maturare la propria scelta professionale. Infine vengono esposti i risultati dell’intervento sperimentale di inclusive education realizzato attraverso l’utilizzo della metodologia ADVP, rivolto a 482 alunni e 42 docenti, che si è posto in termini di educazione allo sviluppo e all’autogestione delle scelte, perché solo così è possibile sollecitare il coinvolgimento personale dell’adolescente alla ricerca attiva di tutto ciò che gli permette di acquisire quella padronanza dei mezzi di informazione che lo fa essere soggetto e non oggetto di educazione inclusiva, sempre più cosciente della propria identità personale.

1. Quadro teorico: educazione inclusiva e ADVP L’inclusione scolastica è il processo educativo che realizza il diritto allo studio di tutti gli alunni e la loro partecipazione attiva e costruttiva alla società. In particolare, l’educazione inclusiva è un concetto in continua evoluzione ed utile per orientare le politiche e le strategie che si occupano del contrasto delle cause e delle conseguenze della discriminazione, della diseguaglianza e dell’esclusione all’interno di una cornice complessiva di una educazione per tutti. Per questo motivo, attualmente, il principio dell’inclusione rappresenta una priorità strategica da perseguire in molte Agende dei Sistemi Educativi Europei.

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La 48° Conferenza internazionale sull’educazione del 2008 dell’UNESCO, Inclusive Education: the way of the future, sostiene, quale principio essenziale, l’esigenza di incoraggiare l’educazione inclusiva a tutti i livelli. Gli insegnanti, pertanto, hanno il compito e la responsabilità di progettare e di attuare processi di inclusione scolastica. Pur nel pluralismo dei riferimenti e delle prospettive pedagogiche, emerge una visione della professionalità insegnante che non è riducibile agli aspetti tecnici o puramente didattico-disciplinari poiché richiede un forte impegno ad operare per una società più giusta, equa e pacifica, nonché l’adozione di politiche sistemiche che eliminino i fattori sociali, economici, politici e culturali che possono di fatto produrre varie forme di esclusione sia dal sistema educativo, che all’interno del sistema stesso. Un progetto di relazione congiunta della Commissione Europea, pubblicato il 1° settembre 20151, sollecita il rafforzamento della cooperazione nel campo dell’istruzione e della formazione nella prospettiva del 2020, in particolare al fine di promuovere l’inclusione sociale. Il progetto di relazione congiunta della Commissione e degli Stati membri chiede che i sistemi di istruzione e di formazione europei siano maggiormente inclusivi e propone una maggiore attenzione strategica al fine di meglio affrontare le sfide più emergenti che gravano sulla nostra società. Le sei nuove priorità identificate nella relazione comprendono il miglioramento delle competenze e delle prospettive occupazionali, anche attraverso una maggiore trasparenza e un più facile riconoscimento delle competenze e delle qualifiche per facilitare la mobilità dell’apprendimento e del lavoro, e la creazione di contesti di apprendimento aperti, innovativi e digitali, valorizzando nel contempo i valori fondamentali dell’uguaglianza, della non discriminazione, dell’educazione inclusiva e della cittadinanza attiva. Nell’ambito di una concezione dell’educazione inclusiva come processo educativo intenzionale finalizzato a creare legami comunicativi, emozionali e motivazionali intorno ai processi di costruzione della conoscenza, si impone la definizione di Ainscow e Miles (2008) di inclusive education come processo finalizzato al miglioramento sia dei processi che degli ambienti per promuovere l’apprendimento in cui sono presi in considerazione da un lato, gli studenti nel loro contesto educativo e, dall’altro, il sistema educativo nel suo complesso al fine di supportare l’intera esperienza di apprendimento. Secondo questa concezione, l’inclusive education implica il riconoscimento non solo dell’importanza di costrutti come l’empowerment, l’emancipazione e l’equità, ma anche dell’esistenza di uno stretto legame tra inclusione nel sistema di istruzione e formazione e promozione dell’inclusione negli altri sistemi sociali (politico, economico, culturale, ecc.) (Booth & Aiscow, 2002, 2006; Brown, 2016; Davis & Florian, 2004; Kershner, 2007; Rozsahegyi & Lambert, 2016; Slee, 2011;UNICEF, 2013; Walton, 2016). Un’educazione inclusiva, come sottolineato da Canevaro (2008, p. 12), consente alla scuola di accogliere ogni studente, aiutandolo ad imparare secondo i propri tempi; una scuola che pratica un’educazione inclusiva consente la piena partecipazione di tutti e motiva gli studenti a cogliere le diversità come fonte di arricchimento e di crescita e non come fattore di minaccia. L’inclusione non deve essere concepita, pertanto, come un approccio che si occupa esclusivamente di bisogni educativi speciali ma deve essere intesa secondo un approccio progressivamente più ampio volto a sostenere e a valorizzare le di-

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Per ulteriori approfondimenti si veda: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-155568_it.htm

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versità di tutti gli alunni, in un’ottica di valorizzazione della dimensione concettuale dell’inclusione più estesa rispetto ai costrutti di Bisogni Educativi Speciali. Solo quando gli insegnanti si assumeranno tale responsabilità allora l’inclusione potrà essere realmente raggiunta (Oliver, 2011, p. 33). La lettura dell’inclusione come diritto universale dell’uomo alla partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale pone in rilievo innanzitutto il diritto individuale a usufruire delle condizioni per fare come gli altri, inteso non come diritto all’omologazione di comportamenti e all’aderenza a stereotipi diffusi, ma come modalità inclusiva esistenziale, tensione valoriale e progettuale che orienta in modo proattivo sia verso obiettivi da raggiungere e competenze da sviluppare, sia verso l’autonomia e l’indipendenza, la consapevolezza di sé e della propria identità e il proprio progetto di vita (Cajola, 2013, p. 20). Nel corso degli anni si è cercato di orientare i sistemi di istruzione verso una direzione più inclusiva, come dimostrano le ricerche e gli studi effettuati in questo ambito (Ainscow 1999; Ainscow & Brown, 2000; Ainscow, Howes, Farrell & Frankham, 2003; Ainscow, Farrell & Tweddle, 2000; Ainscow & Tweddle, 2003; Rhoades, 2016; Walton, 2016). Nel quadro normativo italiano è pienamente riconosciuta la necessità e l’importanza di estendere la partecipazione a ogni alunno ma il processo verso un’inclusione autentica, attraverso l’inserimento e l’integrazione, è ancora lontano e difficile. Nel rendere possibile l’inclusione degli alunni il ruolo dei docenti risulta fondamentale e rientra in un sistema più ampio che poggia sulla creazione di strutture di sostegno e di risorse che facilitano l’esercizio del diritto allo studio da parte degli alunni di tutti i gradi e gli ordini di scuola. In tale contesto, la metodologia canadese dell’Activation du Développement Vocationnel et Personnel (ADVP), sviluppata da Pelletier, Boujold & Noiseux alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, validata e ampliamente utilizzata in Sicilia (Cappuccio, 2003, 2009, 2012, 2015), riconosce gli insegnanti quali mediatori strategici dei processi di inclusione scolastica e sociale. L’ADVP si propone di guidare lo sviluppo della maturazione personale e professionale dell’alunno e di mobilitare in lui le risorse intellettive, volitive e affettive necessarie per la realizzazione dei compiti evolutivi. La finalità educativa del metodo è quella di attivare le abilità mentali attraverso degli esercizi che permettano l’assolvimento di compiti utili per lo sviluppo e la maturazione professionale della persona. Secondo i teorici dell’ADVP, le scelte professionali vengono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e caratterizzato da compiti che la persona deve assolvere per pervenire a scelte soddisfacenti per sé e per la società, in una sequenza di azioni finalizzate all’orientamento verso la professione e di decisioni che gradualmente tessono la trama dello sviluppo della storia di vita della persona. La teoria sullo sviluppo professionale su cui si basa l’ADVP è quella dello psicologo statunitense Super (1974, 1990). I ricercatori dell’Università Laval individuano quattro compiti evolutivi che l’adolescente dovrebbe compiere per giungere alla fine ad una scelta professionale matura: esplorazione, cristallizzazione, specificazione e realizzazione. Le abilità coinvolte nello svolgimento dei compiti sono rispettivamente quelle del pensiero creativo, del pensiero concettuale-categoriale, del pensiero valutativo e del pensiero implicativo (Guilford, 1967). Lo svolgimento dei compiti di sviluppo coinvolge l’intelligenza, la volontà e il comportamento degli alunni, in una sequenza che li porta dal pensare all’agire. Le singole attività e le loro espressioni, raggruppate in compiti, sono considerate all’interno di uno schema logico di apprendimento ma

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non indicano una successione temporale. I compiti indicano delle manifestazioni distinte che possono essere successive, ma che a volte agiscono simultaneamente e a volte, pur agendo secondo una successione, agiscono in un ordine diverso da quello prestabilito. I 4 compiti di esplorazione, cristallizzazione, specificazione e realizzazione permettono di incoraggiare un’educazione inclusiva perché orientano ogni alunno alla valorizzazione delle diversità come parte importante di un’unica collettività, contribuiscono a creare le condizioni di cambiamento, di sviluppo culturale e sociale e aiutano l’alunno a comprendere l’importanza di corrispondere alle necessità di tutti i cittadini, assicurando loro dignità, rispetto delle differenze, pari opportunità e accesso ai servizi. Il metodo ADVP permette al docente di svolgere regolarmente l’attività didattica prevista per la propria disciplina, attuando contemporaneamente la dimensione inclusiva dell’insegnamento. Per quanto riguarda la validità dell’analisi operativa in quanto tale molti sono gli studi e le ricerche che supportano la validità di tale metodo; Bujold2, Noiseux & Pelletier (1974, 1984, 2007), hanno continuato a validare e a studiare gli effetti della metodologia e hanno effettuato diversi studi sulla maturità professionale in relazione ai processi cognitivi e ad alcune variabili personali che intervengono in tale processo. Numerosi risultano gli studi e gli interventi effettuati negli ultimi decenni, non solo in Canada, che dimostrano la validità della metodologia ADVP. Diverse ricerche sono state realizzate, infatti, anche in Francia (Solazzi, 2004), in Svizzera (Thommen & Dirren, 1997), in Italia con Viglietti (1989, 1991), Zanniello (2008) e Cappuccio (2003, 2009, 2013, 2015 ). Il metodo ADVP in un’ottica inclusiva permette di promuovere la capacità di dirigere se stessi nello studio e nel lavoro, implica la necessità di sviluppare un articolato sistema di competenze strategiche che sono indispensabili per affrontare con successo l’ampio quadro delle trasformazioni che investono il mondo del lavoro e della formazione. Alle nuove generazioni si richiede di rispondere in modo flessibile alle continue trasformazioni della società che continuamente pongono in discussione abitudini consolidate e che esigono dai giovani la riorganizzazione della propria esistenza e della propria identità. Riflessività e capacità di apprendere lifelong e lifewide costituiscono, pertanto, condizioni irrinunciabili per l’esercizio effettivo del diritto di cittadinanza attiva e per tutelarsi dai molteplici rischi di emarginazione o esclusione dal mondo del lavoro. La capacità di sapersi gestire e monitorare nel processo continuo di evoluzione individuale, costituisce per il soggetto la risorsa principale al fine di riprogettarsi, e costruire un progetto personale di vita personale e professionale (Margottini, 2014, pp. 69-85).

2. La ricerca Il contributo che viene presentato si inserisce all’interno del Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN, 2010/2011) dal titolo Successo formativo, inclusione e

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Il campione iniziale era costituito da 448 ragazze e 647 ragazzi di scuola secondaria di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

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coesione sociale: strategie innovative, ICT e modelli valutativi (Coordinatore Scientifico Nazionale del Programma di Ricerca prof. Gaetano Domenici). Il progetto di ricerca dell’Unità di Palermo coordinato dal prof. G. Zanniello, partendo dalla misurazione standard degli apprendimenti, operata attraverso una valutazione esterna integrata con la valutazione interna curata dai docenti, si pone come obiettivo da un lato il miglioramento delle performance individuali degli alunni e, dall’altro, il potenziamento delle competenze professionali dei docenti. Il percorso di ricerca ha coinvolto 182 studenti dell’Università di Palermo, 432 alunni e 42 docenti di 18 classi prime di scuole secondarie di primo grado della provincia di Palermo e di Trapani, nel periodo compreso tra giugno 2014 e febbraio 2015; il campionamento non è di tipo probabilistico ma nella scelta delle scuole, gli studenti universitari hanno tenuto conto dei seguenti criteri: scuole in quartieri a rischio o con particolari disagi, disponibilità degli insegnanti alla ricerca e alla formazione, dirigenti aperti alla collaborazione con l’università. L’intervento ha previsto la progettazione, la costruzione e la sperimentazione di una serie di attività attraverso le quali gli insegnanti hanno potuto sviluppare la capacità di progettazione e di scelta del futuro professionale negli alunni, partendo dai contenuti delle discipline e utilizzando la metodologia canadese ADVP. Il piano di ricerca utilizzato è stato quello “quasi sperimentale a gruppo unico” che prevede l’utilizzo dello stesso gruppo sia come gruppo di controllo sia come gruppo sperimentale. Nell’ambito del progetto di ricerca abbiamo previsto che al termine dell’azione sperimentale sarebbero aumentate significativamente nel gruppo degli alunni prestazioni indicative dello sviluppo della maturità personale e professionale. L’ipotesi generale è stata così formulata: una serie di attività, costruite utilizzando il metodo dell’attivazione personale e professionale (ADVP), organicamente ordinate intorno all’esigenza dell’alunno di costruire la sua identità personale, farà raggiungere all’alunno quella maturità personale e professionale che gli permetterà di decidere autonomamente del suo avvenire. I risultati dei ricercatori che hanno sperimentato il metodo ADVP, e le ricerche successive, hanno dimostrato che all’inizio dell’adolescenza la maturità professionale poggia in modo più imponente sulla capacità di esplorazione. L’insieme dei risultati riguardanti i legami tra le abilità dell’esplorazione professionale e i processi cognitivi portano un sostegno reale all’ipotesi secondo la quale il pensiero creativo gioca un ruolo più significativo rispetto alle altre modalità di pensiero sviluppate dal metodo ADVP. Si è deciso, pertanto, che l’intervento sperimentale si sarebbe maggiormente poggiato sul compito di esplorazione e sul pensiero creativo. Partendo dall’ipotesi generale e dalle riflessioni sopra riportate, si sono formulate le ipotesi operative attraverso le quali si è previsto che si sarebbero osservati miglioramenti significativi nella capacità di: 1. individuare e formulare correttamente il problema della propria scelta professionale; 2. vedere da molteplici punti di vista il problema della propria scelta professionale; 3. immaginare diversi ruoli professionali; 4. constatare la necessità di operare scelte; 5. comprendere la molteplicità dei punti di vista; 6. ipotizzare delle soluzioni al problema della propria scelta professionale; 7. risolvere il problema della propria scelta professionale; 8. rivedere le tappe della decisione e verificarne la stabilità e la certezza.

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Inoltre, dall’ipotesi generale, si sono ricavati i comportamenti professionali che ci si attendeva di osservare negli alunni alla fine dell’intervento sperimentale. Compito evolutivo ADVP

Fasi del processo di maturazione professionale

Indici di maturità professionale 11 – 13 anni ! !

&splorazione

Scoperta !

$ristallizzazione

! ! Classificazione !

4pecificazione

Valutazione

! ! !

3ealizzazione

Sperimentazione

! ! !

scoprire che esistono, nel contesto immediato problemi da risolvere e compiti da realizzare; raccogliere numerose informazioni sull’ambiente e su di sÊ: disporre di un repertorio diversificato di informazioni; ottenere informazioni difficilmente accessibili ed inusuali in relazione al proprio contesto socioculturale dare un senso ai propri risultati; trovare le costanti all’interno di numerose esperienze; organizzare il proprio studio tenendo presenti gli elementi dell’identità personale. ordinare secondo l’importanza i bisogni e i valori; trovare soluzioni possibili coerenti con i propri valori e bisogni; decidere integrando tutti gli elementi considerati. pianificare le tappe della decisione; prevedere e prevenire le difficoltà con interventi adeguati; formulare scelte di ricambio

Tab. 1: Compiti evolutivi e indici di maturitĂ professionale

Il progetto ha previsto per la sua realizzazione tre azioni: la prima azione è stata rivolta ai 182 studenti universitari che frequentavano il corso di Pedagogia Sperimentale del corso di laurea in Scienze dell’Educazione dell’UniversitĂ di Palermo. In questa prima azione gli studenti sono stati formati al metodo ADVP. La seconda azione ha visto gli studenti universitari impegnati nella progettazione e nella costruzione degli esercizi ADVP. La terza azione ha coinvolto 18 prime classi di scuola secondaria di primo grado per la sperimentazione delle attivitĂ costruite. All’inizio del mese di ottobre 2014 gli studenti hanno partecipato all’interno del corso di Pedagogia Sperimentale ad un intervento di formazione (20 ore) al metodo ADVP. Le tematiche affrontate sono state le seguenti: l’orientamento al lavoro nella scuola secondaria, il processo di maturazione professionale, il metodo ADVP (Activation du Developpment Vocationnel et Personnel). A metĂ del mese di ottobre 2014, durante il periodo di formazione, gli studenti hanno creato la serie di esercizi ADVP. Si sono costruiti esercizi per lo sviluppo di tutti e quattro i compiti previsti dalla metodologia canadese: esplorazione, cristallizzazione, specificazione, realizzazione. Trattandosi di esercizi che dovevano essere di supporto ad una serie di azioni didattiche giĂ progettate, il lavoro è stato agevolato dal fatto di avere giĂ precisato il quadro delle scelte metodologiche e gli strumenti per la verifica dei risultati. Contemporaneamente, con l’aiuto degli studenti universitari, sono state contattate le scuole secondarie di primo grado della provincia di Palermo e di Trapani per proporre la sperimentazione del pacchetto formativo che si stava costruendo. Hanno aderito 10 scuole e 42 docenti di lingua italiana e di matematica che insegnavano nella classe prima. LĂŹ dove erano presenti, sono stati coinvolti anche i docenti di sostegno. Nel mese di novembre 2014 gli esercizi realizzati sono stati fatti visionare ai 42 docenti, proprio perchĂŠ le ricerche che non rendono corresponsabili pienamente gli insegnanti non producono dei miglioramenti duraturi nella scuola.

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Il pacchetto formativo ADVP alla fine era composto da 16 esercizi, 10 di esplorazione, 2 di cristallizzazione, 1 di specificazione, 1 di realizzazione. Agli insegnanti sono stati precisati i criteri in base a cui si desiderava che venissero formulati i giudizi sugli esercizi già prodotti, i segni validi per i criteri, gli eventuali livelli all’interno di un criterio, e alcuni suggerimenti per la lettura degli esercizi. Gli insegnanti, dopo la somministrazione delle prove iniziali nelle prime classi, in considerazione della situazione di partenza dei loro alunni hanno concordato con noi di focalizzare l’attenzione, durante le attività in classe, sulla fase dell’esplorazione. Tuttavia, per venire incontro alle esigenze educative degli alunni sono stati proposti alle classi anche alcuni esercizi relativi alla cristallizzazione, alla specificazione e alla realizzazione. Nel momento preliminare, propedeutico alla fase sperimentale, è stata effettuata una attenta ricognizione di informazioni su ogni ambiente scolastico in cui si doveva operare, con particolare riferimento alla disponibilità degli insegnanti all’innovazione. Alla fine del mese di novembre 2014, dopo aver apportato le ulteriori modifiche proposte dagli insegnanti, è stato fissato un calendario per lo svolgimento dell’intervento formativo in classe. L’intervento (dicembre-aprile) ha previsto un incontro a settimana, in ogni classe, di un’ora di durata ciascuno per un totale di 32 incontri.

3. Gli strumenti di valutazione Per la conoscenza iniziale e finale dei 482 alunni è stato scelto il questionario il test TTCT del Pensiero creativo di Torrance (1989). Per la valutazione iniziale, in itinere e finale del processo di maturazione professionale tra gli 11 e i 13 anni, è stata utilizzata una scheda di osservazione della maturità personale e professionale ispirandosi agli indici di maturità professionale costruiti partendo da Super (1990) per ragazzi dagli 11 ai 13 anni. I test di creatività più noti in campo internazionale sono i Torrance Tests of Creative Thinking3 (TTCT, Torrance, 1989). Il Torrance4 Test of Creative Thinking è un reattivo carta e matita disponibile in due forme parallele, A e B, ciascuna composta da un subtest ad espressione verbale e da uno figurale. Il test di Torrance ha permesso all’inizio di conoscere i vari aspetti del pensiero creativo degli alunni, di avere indicazioni sulle loro preferenze personali, per modalità particolari di apprendimento. Alla fine si è potuto operare agevolmente un confronto tra le manifestazioni del pensiero creativo degli alunni a cinque mesi di distanza.

3

4

La storia della costruzione e dello sviluppo delle misure del pensiero creativo, di immaginazione creativa, originalità e simili è lunga ed interessante. Sebbene negli ultimi 75 anni ci sia stata una grande varietà di sviluppi promettenti, i TTCT (Torrance Tests of Creative Thinking) rappresentano la batteria di test disponibile in lingua italiana per un uso generalizzato. Torrance (1989, p. 11) definisce la creatività come il processo in cui: si diviene sensibili (becoming sensitive) a problemi, deficienze, scarti conoscitivi, elementi mancanti, disarmonie e così via; si identificano le difficoltà; si ricercano soluzioni o attraverso tentativi per prova ed errore (guesses), o attraverso la formulazione di vere e proprie ipotesi circa la natura di queste deficienze; si sottopongono a ripetuta verifica le ipotesi ed eventualmente esse vengono riformulate e ancora una volta verificate; e in ultimo si comunicano i risultati.

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Si è scelto di utilizzare questo test perché non indaga, come fanno i test d’intelligenza, la capacità di dare la risposta giusta, ma di fornire molte risposte (Fluency), non scontate (Originality), traendo spunto da elementi diversi (Flexibility) e fornendo un elevato grado di specificità (Elaboration). Il test TTCT valuta i quattro aspetti della produzione divergente: – Fluidità creativa o simbolica: Abilità nella produzione “divergente” di singole unità (parole, simboli), puntando sulla quantità del flusso ideazionale a partire da un determinato stimolo, e prescindendo dalla qualità delle produzioni. – Flessibilità: Capacità di produzione divergente di categorie, passando con facilità da uno schema categoriale ad un altro, e facendo variare la impostazione del pensiero secondo le esigenze contingenti, che si contrappone alla rigidità o cristallizzazione funzionale. – Originalità: Capacità di scoprire relazioni e di cogliere implicazioni nuove, statisticamente non frequenti. – Elaborazione: Abilità che permette alla persona di sviluppare e arricchire le idee. La teoria psicologica a cui si è fatto esplicito riferimento, coerentemente con il costrutto ADVP, per la costruzione della scheda di osservazione della maturità professionale, è stata quella che Super (1974, 1990) ha messo a punto, nel corso degli anni, alla luce dei risultati delle sue ricerche longitudinali. Dopo un’ampia e approfondita discussione ci si è accordati, con i docenti, per la scelta di alcuni indicatori e descrittori della maturità professionale, tratti dagli indici di maturità professionale di Super per soggetti di età compresa tra gli 11 e i 13 anni di età. In particolare sono stati formulati i seguenti indicatori: Orientamento verso la scelta professionale: – è consapevole del bisogno di scelta – dispone di numerose informazioni su di sé – dispone di numerose informazioni sull’ambiente circostante – immagina diversi ruoli professionali Informazione e pianificazione: – si assume le proprie responsabilità – sa adattare alla realtà che cambia – accetta le conseguenze delle proprie scelte – conosce i propri interessi – ordina secondo l’importanza i bisogni e i valori Consistenza delle preferenze professionali: – trova le costanti all’interno di numerose esperienze – coglie la molteplicità dei punti di vista a partire dei quali aggregare attività – è consapevole delle sue preferenze in alcuni settori professionali – discute su una possibile scelta. Cristallizzazione dei tratti e degli atteggiamenti: – ha chiari quali sono i suoi interessi professionali – ha un atteggiamento positivo verso lo studio – accetta le responsabilità della sua scelta professionale Poiché la maturità professionale è una parte della maturità personale, insieme agli insegnanti, si è deciso di utilizzare gli indici di maturità personale di Grant (1975):

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In rapporto a se stesso: – accettarsi con i propri limiti – avere fiducia in se stesso – essere resiliente – governare le proprie emozioni – possedere senso dell’umorismo In rapporto agli altri: – approvare le idee degli altri – accettare le situazioni – comunicare efficacemente con gli altri – accogliere serenamente le critiche In rapporto all’attività e finalità: – prendere delle decisioni in base a motivi validi – accettare le conseguenze delle proprie scelte – adattarsi alla realtà che cambia – saper accettare l’insuccesso e avere fiducia nel futuro

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La scheda di osservazione della maturità professionale è stata affidata agli insegnanti che l’hanno compilata, per ciascun alunno, prima dell’inizio dell’azione del fattore sperimentale, a metà dell’intervento formativo e alla fine5. Nell’elaborazione dei dati è stato preso in considerazione il punteggio dell’indicatore che è il risultato della somma dei punteggi dei descrittori che lo compongono.

4. Analisi e discussione dei dati L’analisi dei dati raccolti ha consentito di cogliere i cambiamenti verificatisi negli alunni; i momenti valutativi sono serviti anche come occasione per effettuare aggiustamenti e riorganizzazioni nella programmazione. Con l’applicazione del test statistico T per misure ripetute, abbiamo accertato la significatività delle differenze tra le medie. Prendiamo in esame per prima la significatività delle differenze tra le medie del gruppo sperimentale dopo l’intervento formativo nelle varie prove per la valutazione iniziale e finale. In questo caso il test T viene eseguito per un solo campione, quindi con gruppo unico, quello sperimentale, che viene confrontato con se stesso. La probabilità che abbiamo scelto per accettare come significativi i valori di t è stata quella di ≤.05 (intervallo di confidenza per la differenza al 95%). Per quanto riguarda il test del pensiero creativo di Torrance l’interpretazione dei punteggi è avvenuta utilizzando i tre punteggi verbali di fluidità, flessibilità, originalità e i quattro punteggi figurali di fluidità, flessibilità, originalità ed elaborazione. I risultati ottenuti dal nostro campione sono messi a confronto con quelli del campione normativo (Torrance, 1989). Le differenze delle medie, nel gruppo dei 482 alunni, del test sul pensiero creativo di Torrance, prima e dopo l’intervento formativo sono riportate nella tabella seguente.

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Per ciascun descrittore è stato chiesto agli insegnanti di usare una scala con tre livelli:comportamento positivo = 1; comportamento intermedio = 0,5; comportamento negativo = 0

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TTCCT

MEDIA

DEV. STD.

FLUIDV pre-test

68,6

2,0

FLUIDV post-test

72,3

4,0

FLESSV pre-test

28,8

2,6

FLESSV post-test

36,3

3,6

ORIGINV pre-test

39,1

5,0

ORIGINV post-test

44,2

7,7

FLUIDF pre-test

17,5

3,3

FLUIDFpost-test

21,9

4,7

FLESSF pre-test

13,2

2,5

FLESSF post-test

16,9

1,9

ELABF pre-test

62,4

3,4

ELABF post-test

71,7

6,2

ORIGINF pre-test

18,3

1,8

ORIGINF post-test

21,4

3,6

AREE

t

DIFF. MEDIE SIG. (2-CODE)

7,7

3,7

<0,0001

13,3

7,5

<0,0001

5,9

5,1

<0,0001

9,2

4,4

<0,0001

11,3

3,7

<0,0001

9,2

9,3

<0,0001

7,7

3,1

<0,0001

Tab. 2: Differenze tra pre-test e post-test del Torrance test (n=482)

137 Come possiamo constatare, anche se il test è stato ripetuto solo dopo cinque mesi di attività ADVP, dal confronto delle medie dei punteggi ottenuti al “pretest” e al “post-test”, gli alunni hanno ottenuto un miglioramento significativo in tutte le aree esaminate; pertanto, possiamo affermare che le seguenti ipotesi che riguardano lo sviluppo il compito dell’esplorazione e il pensiero creativo. In particolare gli alunni sono migliorati nella capacità di: individuare e formulare correttamente il problema della propria scelta professionale; vedere da molteplici punti di vista il problema della propria scelta professionale; immaginare diversi ruoli professionali; comprendere la molteplicità dei punti di vista; ipotizzare delle soluzioni al problema della propria scelta professionale. Possiamo ipotizzare che le attività realizzate in classe ogni settimana, durante cinque mesi, sono state probabilmente la causa principale del netto miglioramento della fluidità, della flessibilità e dell’originalità degli alunni. Sulla base delle griglie compilate, dai 42 docenti, sono stati tabulati i dati dei 482 alunni. Per i docenti la compilazione delle schede è stato un processo lungo e difficile che però ha permesso loro di potere osservare, in modo scientifico, i cambiamenti verificatisi negli alunni dopo la somministrazione degli esercizi ADVP. È stato così possibile fare il confronto delle tre osservazioni effettuate dagli insegnanti. Esaminando i risultati emersi dal confronto delle osservazioni effettuate possiamo affermare che i miglioramenti sono stati progressivi e costanti per tutte le dimensioni della maturità personale. Inoltre la diminuzione costante dello scarto quadratico medio ci segnala che il miglioramento è stato omogeneo nell’intero gruppo sperimentale.

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MaturitË personale MaturitË personale

In rapporto a se stesso Max. Teorico 10

Rilevazione

Media

Dev.std.

1° Rilevazione 2°

2,30 Media 5,81

1,05 Dev.std. 1,00

3° 1° 1° 2° 2°

7,97 2,30 2,59 5,81 4,15

0,82 1,05 0,99 1,00 1,27

3° 3° 1° 1°

7,97 7,91 2,59 4,89

0,82 0,75 0,99 1,38

2° 2° 3° 3°

4,15 6,10 7,91 8,12

1,27 2,75 0,75 1,15

4,89

1,38

In rapporto a se stesso In rapporto Max. Teorico 10 agli altri Max. Teorico 9 In In rapporto rapporto agli altri all’attività Max. Teorico Teorico 16 9 Max. In rapporto

all’attività Tab. 3: Media e dev. std personale 2,75 2° maturità 6,10 Max. Teorico 16

8,12

1,15

I miglioramenti significativi si possono rilevare ugualmente nei dati dell’osservazione dei tratti della maturità professionale. Anche in questo caso il cambiaRilevazione Media Dev.std. mento è stato progressivo e, quindi, probabilmente si potrà mantenere nel tempo. Orientamento verso la scelta professionale Max. Teorico 5 Orientamento Informazione verso la sceltae pianificazione professionale Max. Teorico Teorico 57 Max.

Maturità professionale

138

Informazione e Consistenza delle pianificazione preferenze Max. Teorico 7 professionali Max. Teorico 4 Consistenza delle Cristallizzazione preferenze dei tratti professionali Max. Teorico Teorico 46 Max.

2,45

1,02

2° Rilevazione 3° 1° 1° 2° 2° 3° 3° 1° 1°

3,78 Media 4,75 2,45 2,65 3,78 4,87 4,75 6,76 2,65 2,01

1,03 Dev.std. 0,79 1,02 1,23 1,03 1,09 0,79 0,76 1,23 1,01

2° 2° 3° 3°

4,87 2,22 6,76 3,89

1,09 1,26 0,76 0,76

1° 1° 2° 2° 3° 3° 1° 1°

2,01 2,48 2,22 2,67 3,89 5,91 2,48 1,45

1,01 1,02 1,26 1,09 0,76 0,89 1,02 1,03

2° 2° 3° 3°

2,67 1,86 5,91 2,92

1,09 1,00 0,89 0,82

1,45

1,03

1,86

1,00

2,92

0,82

Cristallizzazione Indipendenza dei tratti Max. Teorico 3 Max. Teorico 6 Indipendenza Max. Teorico 3

Tab. 4: Media e dev. std maturità professionale

A giudizio degli insegnanti gli esercizi ADVP realizzati hanno contribuito allo sviluppo della maturità professionale e personale degli alunni. Dalla rilevazione dei dati si ricava che l’intervento per lo sviluppo della maturità professionale e del pensiero creativo ha gradualmente realizzato uno sviluppo e un potenziamento sia nella capacità generale degli alunni sia nelle singole competenze, fino a stabilizzarsi nell’ultima rilevazione. Se da un lato, attraverso l’analisi di questi dati, siamo indotti a credere che il miglioramento accertato sia l’effetto della nostra azione sperimentale ipotizzata e realizzata, dall’altro siamo consapevoli che il disegno sperimentale con gruppo unico ricorrente presenti delle riserve circa la sua validità interna.

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Riflessioni conclusive Ci sembra di poter affermare che le attività ADVP realizzate hanno consentito di promuovere lo sviluppo della maturità personale e professionale e del pensiero creativo. In particolare, l’aver privilegiato esercizi del compito di esplorazione, per alunni di questa fascia di età, è stato fondamentale, non solo, per potenziare le aree del pensiero creativo ma per lo sviluppo degli altri tre pensieri coinvolti dalla metodologia. L’intervento di educazione inclusiva realizzato attraverso l’ADVP ha dato la possibilità agli adolescenti di acquisire gradatamente quello schema di collegamento tra mezzi e fine, che ha permesso loro di maturare degli interessi e di perseguire degli scopi, da raggiungere attraverso il confronto tra l’immagine di sé, la scuola e il mondo del lavoro. L’attivazione dello sviluppo personale e professionale ha aiutato gli alunni a sviluppare le abilità e gli atteggiamenti ritenuti necessari per affrontare e superare i compiti evolutivi che essi stessi devono assolvere per completare il proprio sviluppo e per essere socialmente costruttivi. I risultati ottenuti non possono però farci dimenticare che mentre è relativamente facile ottenere dei cambiamenti negli alunni quando si realizzano attività educative valide, è molto più complesso trasformare tali cambiamenti in apprendimenti stabili nel tempo se non si propongono periodicamente agli alunni delle attività di rinforzo della competenza acquisita. Siamo consapevoli che le conclusioni a cui si è giunti, essendo basate su un campione non probabilistico, non consentono generalizzazioni indebite. Le modalità con le quali sono state attuate le attività previste, però, possono rappresentare uno stimolo e una guida per altri insegnanti che si propongono obiettivi educativi simili a quelli da noi perseguiti. Il coinvolgimento dei docenti nella fase di progettazione e realizzazione degli esercizi è stato importante al fine di motivarli e di prepararli a seguire sostanzialmente le fasi essenziali del progetto, a collaborare in modo propositivo nella sperimentazione delle attività e nella loro verifica. Tutti gli insegnanti coinvolti nell’intervento sono stati concordi nell’affermare che soprattutto per gli alunni problematici, difficili da motivare e a rischio di esclusione il metodo ADVP ha delineato una proposta formativa, fondata su un sereno rapporto fra insegnante e allievo, e che privilegiato l’interesse per la persona. I docenti hanno compreso, inoltre, l’importanza di non giudicare l’alunno ma di valutare e valorizzare la sua persona e i suoi miglioramenti, così da consentirgli di crescere da successi e insuccessi. Soltanto in questo modo, secondo gli insegnanti, si può attuare un’educazione inclusiva e gli studenti potranno formarsi un’immagine positiva di sé e di quello che possono diventare, utilizzando nel miglior modo possibile le proprie capacità.

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Foreign Students and Achievement in Mathematics: Evidence from the Italian Case Giuseppina Le Rose • INVALSI - giuseppina.lerose@invalsi.it Veronica Riccardi • INVALSI - veronica.riccardi@invalsi.it

Gli alunni stranieri e l’apprendimento delle matematica: alcune riflessioni sul caso italiano

La crescente presenza di allievi stranieri nella scuola italiana interroga continuamente gli insegnanti, i decisori politici e tutti coloro che si trovano quotidianamente a fronteggiare le problematiche legate a questa realtà sempre più strutturale. Il presente contributo propone un’analisi sugli esiti in Matematica alle Rilevazioni INVALSI 2014 degli studenti con cittadinanza non italiana che hanno appena terminato il primo ciclo di istruzione (classe V della scuola primaria). Considerando la probabilità di rispondere correttamente ai singoli item e tenendo sotto controllo alcune condizioni di contesto, si può avere una lettura diversa e più incoraggiante dei divari nell’apprendimento tra alunni italiani e stranieri.

Keywords: foreign students’ educational achievement, INVALSI, mathematics, socioeconomic-cultural background, equity, linguistic competence.

Parole chiave: apprendimento degli alunni

stranieri, INVALSI, matematica, background socio-economico-culturale, equità, competenza linguistica.

This article is the output of a joint work of the two authors. Nonetheless, Veronica Riccardi contributes substantially to Section 1 (Introduction) and Section 3 (The research: some results). Section 2 (Research methodology) and Section 4 (Discussion) have been mostly developed by Giuseppina Le Rose. The opinions expressed in this article are the authors’ own and do not reflect anyhow the view of INVALSI. Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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The growing presence of foreign students in the Italian school continually interrogate teachers, policy makers and all those who are daily faced with issues related to this more and more structural reality. This work presents an analysis of the educational achievements in Mathematics of foreign students who have just completed the first cycle of education (5th grade) in Italy. To this end, we use INVALSI data that have the advantage to measure learning outcomes through standardized tests. Studying the frequency of responding correctly to any individual item and controlling for students’ background, we find substantially different and more encouraging reading of the learning gaps between Italian and foreign students.


Foreign Students and Achievement in Mathematics: Evidence from the Italian Case

1. Introduction

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Historically marked by high rates of emigration, over the past 30 years, Italy – as well as Portugal, Greece and Spain – has become one of the major destinations for international migrants (Colombo and Sciortino, 2004). At the end of 2014, census data count more than 5 million foreign residents in Italy, about the 8.2% of the total resident population, with a small increase (92.000 people) over the previous year. More than 190 countries of origin are represented, but the top five nationalities are Romania (1.131.839 persons), Albania (490.483 persons), Morocco (449.058 persons), China (265.820 persons) and Ukraine (226.060 persons) (IDOS, Confronti, 2015). The presence of immigrant students attending the Italian education system1, in the last years, has become a structural phenomenon so as to induce the Ministry of Education, in compliance to the principle of non-Italian citizenship, to manage the composition of classes comprising both Italian and non Italian students. It is worth to remark here that “immigrant students” is a very broad expression because it includes children with different biographical experiences and various situations (new arrived children, migrant children, children with an immigrant background of second or third generation). At least since the early 2000s, in Italian schools, there has been a steady increase of students with foreign citizenship, along with an opposite downward trend in the Italian students because of a demographic downturn (low birth rate). Overall, in the school year 2013/2014 802,785 migrant pupils attended Italian schools, the9.0% of the total – 16,155 more than in the school year 2012/2013 (incidence of 8.8%). Of these 167,591 were enrolled in nursery school (20.9%), 283,233 in primary school (35.3%), 169,780 in lower secondary school (21.1%), 182,181 in upper secondary school (22.7%). The immigrant population in the age 3-19 is the 9% of the total. However, it is especially the share of those who are born in Italy (second generation - G2)2 that experience a dramatic upturn: in the school year 2013/2014 foreign students, as a whole, grew to a pace of 2.1% over the previous year; those born in Italy increased of about 11.8%. Second generation pupils weight therefore the 51.7% of the total migrant pupils (MIUR-ISMU, 2015).

1

2

The Italian education system is divided into four levels: nursery school (from 3 from 6 years), primary education (from 6 to 11 years), lower secondary education (from 11 to 14), upper secondary education (from 15 up to 19 years), and tertiary education. For a detailed description of the Italian education system, see: https://webgate.ec.europa. eu/fpfis/mwikis/eurydice/index.php/Italy:Overview. “First Generation” (G1) meant the people who were born elsewhere and immigrated to this country, “Second Generation” (G2) in this sense means those who were born in Italy from these “First Generation” parents.

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%

% foreign of all stundents

% born in Italy of all foreign students

-

0,0

10,1

84,0

182.315

14.421

46,8

10,0

64,4

21,1

64.338

7.889

25,6

9,6

37,9

182.181

22,7

27.790

8.515

27,6

6,8

15,3

802.785

100,0

415.182

30.825

100,0

9,0

51,7

%

Of which born in Italy

Of which enrolled for the first time

167.591

20,9

140.739

Primary education

283.233

35,3

Lower secondary education

169.780

Upper secondary education Total

Foreign students

Nursery school

Level

Tab. 1: Foreign students in Italy - school year 2013/14

Education accounts for much of the young immigrants social integration. An education system able to assure equal opportunities to all students, regardless of their social or cultural background, and to develop intercultural awareness and skills available for the entire school population, will be a fundamental testing ground for an increasingly multicultural society. Its achievement is however challenging as it requires a strong capacity of ensuring high-quality education for all its members, minimizing disparities and avoiding polarization in outcomes (Catarci, 2015). Italy traditionally has an inclusive school system (comprehensive schools, special education integrated in regular schools) and a well developed system of early childhood education; diversity is a central concept in policy documents and in pedagogy, a concept that encompasses cultural, linguistic, religious, and individual features like ability or disability (Allemann-Ghionda, 2008). In this framework, the presence of migrant pupils in daily school life is not only recognized as reality, but it is also seen as an opportunity for changes for the whole school (MIUR, 2007). In European context, immigrant students still appear to be disadvantaged in terms of enrolment in type of school, duration of attending school, achievement, dropout rates and type of school diploma attained (Park and Sandefur, 2010). Also in Italy, they systematically achieve less in the INVALSI test score than their native Italian peers. Nevertheless, the Italian school system is generally thought to comply with the principle of inclusion (Allemann-Ghionda, 2008). Research in Education can offer interesting insights on the issue of assessment of students without Italian citizenship because it allows to speculate on the degree of maturity of the process of integration of foreign students in Italian schools. Such research could highlight inequalities generated from differences in the social background, origin, or gender that could potentially broaden because of the lack of interactions among groups of different students. It has been documented, for instance, that schools attended by natives and migrants students are substantially different in terms of period of attendance, opportunities for learning and socialization, or support from their parents. The so-called inequality of educational opportunities are thus, in migration processes, one of the factors that can amplify inequalities between immigrants and the local population, even over successive generations (Ricucci Fieri, 2008).

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This research in Italy is still in its infancy. Our “theoretical starting point” for explaining achievement is then motivated on gaps derived from the amount abundant literature on traditional European immigration countries (Germany, United Kingdom, Netherlands, etc.). This strand of literature points to one major conclusion: the biggest disadvantage of immigrant students in educational achievement is the lower parental resources (Heath & Brinbaum 2007; Schnepf 2008). Once socio-economic family background has been taken into account, the “documented” educational inequality between the two groups significantly decreases and often disappears. In fact, recent immigrant parents in Italy countries have relatively high education levels but they encounter severe undervaluation of their educational credentials in the labour market (Eurostat, 2011, pp. 51-56) and are found to be disadvantaged with respect to the majority of the populations (OECD, 2008; 2010; Reyneri & Fullin, 2011).What makes Italy interesting from an international perspective is that recent studies indicate weaker effects of socio-economic family background in accounting for achievement differences in these new destination country than in most other European countries (Marks, Cresswell & Ainley, 2006; OECD, 2012a, pp. 89-93). Researches conducted in Italy show that, in addition to the socio-economic status of the family, variables related to the use of language (Folgheraiter & Tressoldi, 2003; Murineddu, Duca & Cornoldi, 2006; Azzolini, 2011) account of much of the educational attainment across foreign students. Other correlates discussed in literature to date are the motivation to learn, the discontinuous frequency in attending school discontinuous due to repeated return to the country of origin, the knowledge of more than one language, and the level of education of the pupil in the foreign country of origin. A closer mother tongue to the Italian language is also acknowledge to facilitate their learning process. Overall, these scholars show that the major factors affecting outcomes are not those related to ability and commitment in studying but rather those related to a direct knowledge of Italian, the socio-economic and cultural development of families, the number of years of stay in Italy, the country of origin. Interesting information on foreign students’ (first and second generation) achievement can be obtained from the results of INVALSI3 surveys. Figure 1 shows the average test score achieved in Italian among our three groups of interest: native, first and second generation foreign students, across the four grades. The group average comparison reveals significant differences (at 95% of confidence) in favor of native students in all grades considered in the 2013/14.Nonetheless, differences between Italian and second generation foreign students are lower than those of first generation students (INVALSI, 2014, p. 79)4.

3

4

INVALSI is the Italian national institute for the evaluation of the school system which regularly carries out standardized tests to assess the learning levels of the pupils at various grades. INVALSI is responsible for administering an annual test of Italian and Mathematics to all students of the following classes: second and fifth class of primary school, third class of lower secondary school and second class of upper secondary school. Within the entire school population, it is identified each year a sample of schools, classes and students with survey procedures subsidiaries. The data presented in the two figures refer to the sample INVALSI and are based on scores (or ability) estimated using the Rasch model and using an average of 200 and a standard deviation of 40.

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Fig. 1: Results of Italian and foreign (first and second generation) students in Italian INVALSI test for school level - Italy

Differences among such groups, however, are smaller in Mathematics if compared to Italian and this could prove that when different skills come into play, besides the linguistic competence, foreign students are able to get more positive results.

Fig. 2: Results of Italian and foreign (first and second generation) students in Math INVALSI test for school level - Italy

These two figures however only report raw correlation between students’ achievements and country origin. No additional informations about socio-cultural and linguistic variables are taken into account and controlled for.

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Despite school policies have been designed to favor the inclusion and adoption of an intercultural model, scholastic failure, dropouts, delays and poor performance are a pressing and unresolved problem of Italian school. It is essentially a matter of social equity, not only of educational approach: all forms of intercultural dialogue should guarantee everyone a full even opportunity for successful education and the free choice to develop their talents. Otherwise, only the dominant group controls and benefits from the educational opportunities and school placement of foreign students is a mere formality that may end up in perpetuating social injustice (Tarozzi, 2015, pp. 51-52).

2. Research methodology

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To investigate differences between first-generation immigrants and second-generation immigrants educational achievements, we use INVALSI data that have the advantage to measure learning outcomes through standardized tests. We consider the mathematics test administered to fifth-grade pupils at the end of 2013/2014 year, along with a pupil’s questionnaire for measuring socio-economic factors5. The choice of analyzing the results of outgoing students from the first cycle of education is linked to the importance of the skills acquired in this period for future education and future life. In fact, one of the main goals of a public education system, especially in primary school, is to offer equal educational opportunities to all students. The aim of this work is to examine the magnitude of a standardized test score differences between immigrant (first and second generation) and native students after controlling for socioeconomic background. Specifically, we test whether citizenship is really, net of other factors, a major predictor of students good or bad success in mathematics – as literature to date has hypothesized. To pursue this research question, we use a model of conditional logistic regression. Logistic regression, also called logit model, is used to model dichotomous outcome variables. In this study, the dependent variable is the item correct answer (that is, it is equal to 1 if the student responds correctly to the item, 0 otherwise).The logit estimates the frequency that the dependent variable is equal to one, given a certain value taken by the control variables, that is the conditional frequency that the student, Italian, first generation immigrant, second generation immigrant, with a particular family background, correctly answers to the item of interest6.

5

6

The test includes 58 items: 43 multiple-choice items and 15 Open-response items. To view the full text of Math INVALSI test, see http://www.invalsi.it/areaprove/documenti/strumenti/05_Matematica_Fasc_1_STAMPA.pdf. For a detailed description of the INVALSI math test, see: http://www.invalsi.it/areaprove/rapporti/Rapporto_Rilevazioni_Nazionali_2014.pdf. The pupils also filled a questionnaire for collecting variables which are proxies of the social, economic and cultural conditions of their families. Other data were collected through the school secretaries. For a detailed description of the pupil’s questionnaire see: http://www.invalsi.it/areaprove/documenti/strumenti/Questionario_studente_ classe_V_primaria.pdf The logit regression model, as well as the probit, is preferred over the linear probability model because “forces” the values of the binary dependent variable to assume values between zero and one. The two models, logit and probit model the response

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Some controls have been inserted both at individual-level and class-level. The individual controls are: – – – – – – – –

gender; nursery school frequency; parents level of education; age of entry to school; geographical area where the school is located; parents’ occupation; age of entry in Italy (only for first generation students); math oral mark7.

The geographical area is controlled for in two different ways. Our benchmark results exploit the within-macroarea variations in the likelihood of answering correctly to each item. In such a way, we compare students’ achievements within the given area—specifically, North, Center, and South—and this strategy allows us to seize attitudes towards education that potentially affect their employment perspectives, aspirations, and ambitions, that might differ across those areas. These within-area estimations are those presented in the main body of this paper. On top of that, we have also computed more robust estimations that rather exploit within-Region variation. This strategy allows us to compare the achievement of native and foreign students within a certain small area, the Region. These second results are not different form the first ones, and are available upon request.

7

function as a function of distribution, logistics and normal, respectively. The logistic function gives greater weight to the tails of the distribution, that is, to cases where it is expected that a student with certain characteristics, with high probability to respond correctly or incorrectly to the item. For details, see, among others Stock & Watson (2005). We considered a variable for the highest degree obtained from the father and one for the highest degree obtained from the mother and the possible responses are primary school graduation, lower secondary school graduation, vocational training qualification, upper secondary school qualification, another secondary school qualification (for example I.S.E.F), University graduation and post-university qualification. Parents work are two variables with the following alternative response: unemployed, housewife, manager, university professor, functionary or military officer, entrepreneur/farmer entrepreneur, professional employee, military officer, freelance (doctor, lawyer, psychologist, researcher), employed worker (chandler, farmer, wright, etc.), clerk, graduated military, worker, addetto ai servizi/socio di cooperativa, old age. To age of entry to Italy (only for first generation students) the mode of response ranging from “a year or before “to” 10 or more years”. Geographical area of the school are North-West (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia), North-East (Trento, Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), Center (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), South-Isles (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna). Math oral mark is instead an essay question open INVALSI coded as a continuous variable with range 1-10. The Italian system school considers “regolare” the pupil who make 10 years by March 31, 2014, “anticipatari” the pupil who make 10 years after this date and “posticipatari” those who have 10 years old in 2013 or before.

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Finally, we control for the class size, measured by the number of students in each classroom8. We used data covering the entire population of students attending the fifth grade who have taken the math INVALSI test in the year 2013/20149. The number of students who took the test is more than 300,000 units. Our null hypothesis is that the conditional frequency of answering correctly is the same between Italians and foreigners (first and second generation).

3. The research: some results

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Our results show that, holding the same socio-cultural background, being a foreign citizen is not always a clear predictor of failure in the math INVALSI test. In the following figures, we present in the graphical form differences in the likelihood of correctly answering the items contained in the test between foreign (G1 and G2) and Italian pupils: on the horizontal axis there are the items administered during the test and on the ordinate the estimated difference in the frequency of correctly answering among Italians (our baseline category) and foreigners G1 (in red) and foreigners G2 (black). The little squares represent the estimated difference in the frequency of responding correctly to the item, while the bars draw confidence intervals (at 95% level) associated with these estimates. The confidence interval allows to compare the average probabilities of the three groups: if the confidence intervals of two means overlap, the difference is not significant; on the contrary if the ranges do not overlap, the difference is significant. More specifically, the Math test is composed by 58 items that in turn belong to the following four thematic areas (INVALSI, 2011): – – – –

Numbers; Space and Figures; Relations and Functions; Data and Forecasts.

The majority of “Number” items (Figure 5) have the trends theoretically expected: the foreigners have a frequency to respond properly lower than Italians. This trend is clearly observed, for example, in the items D6, D19, D25, D26 and D29, where the frequency of answering correctly are not so different between the two groups of foreigners of first and second generation. However, they are considerably lower than those of the Italians. For other items (D11 and D12), there is no difference between foreigners and Italians in the frequency of answering correctly. The answers D11 and D12 are both closed-ended and, for the resolution, they require the ability of interpreting a written text and also the knowledge of some notions connected to the writing of numbers (D11) and the interpretation of geometric figures (D12). Regarding the item D21, we cannot confidently affirm that such frequency differ among the three groups of students. Instead, in item D4 there is no significant difference between the Italians and the first generation. 8 9

The model was also included the square of the number of students to capture any effects of congestion (or decreasing returns to scale) in classes due to over- crowding. See note 3.

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Fig. 5: Differences in the frequency of responding correctly to the item contained in the INVALSI test 2014 to I and II generation foreign students than Italian pupils - area “Numbers”.

151 The most insightful results of our study emerge from the analysis of the “Data and Forecast” thematic area. They are reported in Figure 6. In particular, the D8 question is composed of 6 items. In each of them, the three groups answer with highly heterogeneous likelihood.

Fig. 6: Differences in the frequency of responding correctly to the item contained in the INVALSI test 2014 to I and II generation foreign students than Italian pupils area “Data and Forecast”.

More specifically, question D8 is split in two big components: in the first (D8a) pupils are asked to answer to a multiple choice question through the graph interpretation in the second (D8b) they are asked to indicate whether some statements referring to the chart are true or false. It is very interesting to note that, in item D8a, the first generation immigrants (G1) have, on average, higher frequency of responding correctly than the second-generation immigrants (G2) and that second gener-

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ation immigrants (G2) likelihood does not statistically different from that of Italians: apparently, being first generation foreign influences positively the correct item response. This finding, that at a first look might appear “strange”, could be justified noting that the item almost totally does not rely on language skills: the chart is easily interpreted without reading the initial delivery. The second part of the question D8, composed by 5 items, is characterized by a very varied situation: in item D8b1 the ability to answer properly to the first generation of foreigners is not statistically different from that of the Italians, while the second-generation foreigners are less likely to answer correctly than both Italian and foreign first-generation; the frequency of responding correctly to items D8b2 and D8b3 is not statistically different for G1 and G2 and, in any case, is smaller than that of the natives; the frequency of responding correctly to item D8b4 is not statistically different for G1 and G2, but both groups answer correctly on average with a higher frequency than those of the natives; finally, the frequency of responding correctly to item D8b5 is not statistically different for G1 and G2 and still slightly lower than those of Italian students. We speculate on these differences on the frequency of responding correctly to the items battery D8b arguing that items with “true” or “false” implies the knowledge of the notion of “truth” and “false” and, in this case, the linguistic understanding is a mandatory requirement. Questions D24 and D8 have same structure: they are formed by one multiple choice item and some statements “true” or “false” but, while the question D8 deals with a more “scholastic” issue, question D24 proposes a daily problem (interpreting the code of the eggs sold in supermarkets). In all these items the possibility of answer correctly of foreign students of first and second generation are lower than that of the Italians, with a spike down in the item D24b2. Even if these questions are similar, some peculiarities make question D24 more heavy for foreigners, because the pupil does not only have to acquire the notion of “true” or “false” but they also are required to understand each item, which in this case are not just composed by numbers -as we saw for question D8. In the majority of “Relations and Functions” items (D3, D16, D18a, D18b1, D18b2, D18b3) the frequency of answering correctly for foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that of the Italian students: the variable “citizenship”, therefore, does not seem to have significant effects on students’ ability (Figure 7).

Fig. 7: Differences in the frequency of responding correctly to the item contained in the INVALSI test 2014 to I and II generation foreign students than Italian pupils area “Relations and Functions”.

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In the item D9, the frequency of answering correctly of foreign students is greater than that of the Italians: to answer correctly the pupil are required to understand a table with a series of numbers. In this type of task, foreign students show no difficulty and this is also confirmed in the item D3 (fulfilling a double entry table) where the answers of foreign students are not statistically lower than Italians. The way question D18 is constructed makes it substantially similar to questions D8 and D24 that we have commented in “Data and Forecasts:” answering correctly to the first part (D18a) requires that pupils interpret figures enumerated in a table within a multiple choice question scheme; in the second part they have a dichotomous item battery. In the item D18b1 and D18b2, the frequency of answering correctly of foreigners is not statistically different from that of Italians, but it is statistically lower in item D18b4. Finally, in item D18a and D18b3 the frequency of answering correctly is not statistically different between first generation immigrants and Italians, while second generation immigrants respond properly on average with a lower frequency. Even in this items battery we find that linguistic complexity of the posed questions adversely affect the outcome of foreign students. The last thematic area is “Space and Figure” (Figure 8).Though there are not questions in which the frequency of correctly answering of foreign students exceeds that of the Italians, with the sole exception of the answer of second generation foreigners to item D17A, there are many items in which this frequency is not statistically different for the three groups (D2a1, D2a3, D14, D17b, D17c, D17d, D20, D22). This thematic area is therefore the least affected by the variable “citizenship”.

Fig. 8: Differences in the frequency of responding correctly to the item contained in the INVALSI test 2014 to I and II generation foreign students than Italian pupils - “Space and Figure”.

The question D2 is composed by two parts: in the first (D2a) the task requires to indicate whether some statements referring to the chart are true or false; on the second part pupils are asked to complete a graph by drawing the symmetry axis. In this item the frequency of answer correctly of foreign students is statistically inferior to that estimated for the Italians because, even if the task seems deceptively easy (to draw a line), it involves learning the concept of “symmetry.” Foreign students, however, do not seem to have more difficulties than Italians in other types of questions that require to conclude the shape of a geometric figure such as, for example, ques-

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tion D20 (given a triangle ABC, the students are asked to draw a rectangle with one side already but with same area of the rectangle ABC). The tasks required in this question are three: calculate the area of the triangle, find the measure of the side of the missing rectangle and, according to this, draw the rectangle. Along with foreigner status, other socio-cultural variables affect students’ achievement. The attendance of nursery school and parent’s level of education, for instance, both show a positive impact on the frequency of correctly answering of the pupils to almost all the items. Looking at the age of entry to school, one can rather note that regular students have greater frequency to correctly answering at most of the items. Males have better results than females on the whole, although in 11 item, related to the area “Relations and Functions” and in the area “Data and Forecasts”, females show better results than males. As expected, the math oral mark is a clear predictor of correctly answering to all the items of the math INVALSI test. Our results therefore confirm that, on the whole, socio-cultural variables account for much of the variation in the students’ achievement. This is consistent with part of the sociological and economic literature that argues that social, cultural and family economic conditions play a key role in the students’ learning, since their infancy (Cobalti and Schizzerotto, 1994; Checchi, 1997; Brint, 2006; OECD, 2012b). Welsch and Zimmer (2008), among others, document that parents with higher education allocate more time to direct child care despite their opportunity cost being larger. Our findings about the age of entry to school are also consistent with researches arguing that going to school before the age of 6 is not conducive to the achievement (e.g., Ponzo and Scoppa, 2014). An in-depth study, instead, should be done for students who are late in their studies because this category includes the repeaters and often also foreign students who are inserted in delay in the Italian school system.

4. Discussion In this work we study the likelihood that first and second generation immigrants answer correctly to the 58 math INVALSI items administered to fifth-grade pupils at the end of the 2013/2014 year. We matched such information with a questionnaire devoted to measure socio-economic factors. On the whole, our results indicate that, after controlling for socioeconomic background (gender, nursery school frequency, parents level of education, age of entry to school, geographical area where the school is located, main parents job and – only for first generation students – the age of entry in Italy), being a foreigner is not always a clear predictor of failure in the INVALSI Math test. The study of the Maths test, analyzed within the respective thematic area (Numbers, Space and Figures, Relations and Functions, Data and Forecasts), shows interesting insights to understand not only the magnitude of the performance gap between Italian students and foreign students in this discipline, but also the contents in which foreign students show more difficulty. According with research to date in the field (INVALSI, 2014; MIUR-ISMU 2015), in questions related to “Numbers” and “Data and Forecasts “foreigner students are less likely to answer correctly than the natives. On the contrary, in the areas “Reports and functions” and “Space and Figure” variable “citizenship” does not produce heterogeneous effects: in fact in most of these items the frequency to answer correctly of foreign students of first and second generation is not statistically different from that of the Italians.

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Our results therefore confirm that, socio-cultural variables account for much of the variation in the students’ achievement. A deeper analysis -not limited in considering only aggregate information - conveys different and most encouraging understanding of outcomes of foreign students in mathematics. If we consider mathematics as an important element of the cultural background of one person, used in everyday life as a calculation, representation and investigation tool, we can not refrain in dealing with the analysis of the interplay of mathematical competence and language skills. For example, as seen for the item D8a, first generation foreigners are more likely to answer correctly both for Italian and second generation foreigners: a possible interpretation of this result could be due to the type of stimulus that in this case suggests, after a short delivery, the interpretation of a chart, which could also be read without a full understanding of the Italian language. Identify what characteristics of the item can facilitate or hinder the success of the task can be a starting point or just one of many ways to understand the difficulties of foreign students in a constructive way- stepping up from common beliefs that traditionally see those difficulties inevitable and systematic. In this sense the assessment, although implemented in the same way for Italian and foreigners, should pay particular attention to the cultural and socio-economic background and language skills of each student. Our analysis therefore suggests that in order to promote a really inclusive school system a policy maker cannot ignores such salient aspects. This, in our opinion, is relevant to guarantee genuine social integration of immigrants, a wider and stronger need in Italy and Europe.

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Attachment 1 – Item of Math INVALSI test (year 2013/2014 - fifth-grade pupils) analyzed in this work The question D2 is composed by two parts: in the first (D2a) the task requires to indicate whether some statements referring to the chart are true or false; on the second part (D2b) pupils are asked to complete a graph by drawing the symmetry axis. In item D2a1 and item D2a3, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians, G1 and G2). D2. D2.

Alice ha disegnato tre pesciolini sul suo quaderno a quadretti. Alice ha disegnato tre pesciolini sul suo quaderno a quadretti.

a. a.

1. 2. 1. 3. 2. 3.

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Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F).

Le tre figure hanno la stessa forma Le hanno gli angoli corrispondenti della stessa ampiezza Letre trefigure figure hanno la stessa forma IlLepesce più hanno piccolo e il pesce più grande sono in ampiezza scala 1 : 4 tre figure gli angoli corrispondenti della stessa Il pesce più piccolo e il pesce più grande sono in scala 1 : 4 b. Disegna sulla figura del pesce più grande il suo asse di simmetria. b. Disegna sulla figura del pesce più grande il suo asse di simmetria.

V V ! !! !! !

F F ! !! !! !

Item D3 is a cloze answer (fulfilling a double entry table) and the frequency of Item D3 is a cloze answer (fulfilling a double entry table) and the frequency of answering correctly for answering for(fulfilling foreigna students and is not statistically different Item D3 is acorrectly cloze answer double entry(G1 table) and G2) the frequency of answering correctly for foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that of the Italian students. from that of the Italian students. foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that of the Italian students. D3. Il venerdì la maestra controlla la tabella delle presenze alla mensa dei suoi alunni durante tutta la settimana. Nella tabella duelanumeri: D3. mancano Il venerdì maestracompletala controlla latu.tabella delle presenze alla mensa dei suoi alunni durante tutta la settimana. Nella tabella mancano due numeri: completala tu. Assenti

Presenti

Lunedì

3

18

Martedì

1

Mercoledì

17

Giovedì

2

19

Venerdì

0

21

The answers D4 is closed-ended and, for the resolution, they require the ability of interpreting a written text and also the knowledge of some notions connected to math symbols. In this item there is no significant difference between the Italians and the first generation.

20 20

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The answers D4 is closed-ended and, for the resolution, they require the ability of interpreting a written text and also the knowledge of some notions connected to math symbols. In this item there is no significant difference between the Italians and the first generation. D4.

Osserva la seguente disuguaglianza:

Quale, tra i seguenti, è il numero che, messo al posto del triangolo, rende vera la disuguaglianza? A. B. C. D.

! ! ! !

0,12 0,5 1,7 2,1

The D8 question is composed of 6 items. D8 is split in two big components: in the first (D8a) pupils are

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The D8 question is composed of 6 items. D8 is split in two big components: in asked to answer to a multiple choice question through the graph interpretation, in the second (D8b) they are the first (D8a) pupils are asked to answer to a multiple choice question through asked to indicate whether somein statements referring to thethey chart are are true or false. the graph interpretation, the second (D8b) asked to indicate whether In item D8a, the first generation immigrants (G1) have, on average, higher frequency of responding correctly some statements referring to the chart are true or false. Inthe item D8a, the firstimmigrants generation (G1) have,immigrants on average, fre-does not than second-generation (G2)immigrants and that second generation (G2)higher likelihood quency of responding correctly than the second-generation immigrants (G2) and statistically different from that of Italians. that second generation immigrants (G2) likelihood does not statistically different The second part of the question D8, composed by 5 items, is characterized by a very varied situation: from that of Italians. "#$%&'()*'+$,-,(.'(/'+012*3'43/4*3-.'(/'()*'5,31('6*0*3+(,/0'/5'5/3*,60*31',1'0/('1(+(,1(,7+--.' The !second part of the question D8, composed by 5 items, is characterized by 8,55*3*0('53/9'()+('/5'()*':(+-,+01;'2),-*'()*'1*7/08!6*0*3+(,/0'5/3*,60*31'+3*'-*11'-,<*-.'(/' a very varied situation: D8b1: the ability to answer properly to the first generation of foreigners is not +012*3'7/33*7(-.'()+0'$/()':(+-,+0'+08'5/3*,60'5,31(!6*0*3+(,/0=' statistically different from that of the Italians, while the second-generation for! "#$>'+08'"#$?&'()*'53*@A*07.'/5'3*14/08,06'7/33*7(-.'(/'()*1*',(*91',1'0/('1(+(,1(,7+--.' eigners are less likely to answer correctly than both Italian and foreign first-generation; 8,55*3*0('5/3'B%'+08'B>'+08;',0'+0.'7+1*;',1'19+--*3'()+0'()+('/5'()*'0+(,C*1=' "#$D&'()*'53*@A*07.'/5'3*14/08,06'7/33*7(-.'(/',(*9',1'0/('1(+(,1(,7+--.'8,55*3*0('5/3'B%'+08'B>;' D8b2! and D8b3: the frequency of responding correctly to these items is not statistically$A('$/()'63/A41'+012*3'7/33*7(-.'/0'+C*3+6*'2,()'+'),6)*3'53*@A*07.'()+0'()/1*'/5'()*'0+(,C*1='' different for G1 and G2 and, in any case, is smaller than that of the natives; ! "#$E&'()*'53*@A*07.'/5'3*14/08,06'7/33*7(-.'(/',(*9',1'0/('1(+(,1(,7+--.'8,55*3*0('5/3'B%'+08'B>' D8b4: the frequency of responding correctly to item is not statistically different for G1 and+08'1(,--'1-,6)(-.'-/2*3'()+0'()/1*'/5':(+-,+0'1(A8*0(1F'' G2, but both groups answer correctly on average with a higher frequency than those of the natives; D8b5: the frequency of responding correctly to item is not statistically different for G1 and G2 and still slightly lower than those of Italian students.

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D8. Nella città dove vive Linda gli abitanti usano diversi dispositivi (computer, tablet o smartphone) per accedere al sito www.quotidianoonline.it. Il seguente grafico mostra il numero di accessi a questo sito dai diversi dispositivi in un giorno.

a.

Quanti sono all’incirca gli accessi al sito da computer alle ore 13? A. B. C. D.

b.

! ! ! !

Circa 900 Circa 700 Circa 600 Circa 400

Facendo riferimento al grafico, scrivi se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F). V

F

1.

Alle ore 14 si ha un massimo di accessi al sito da tutti e tre i tipi di dispositivi

!

!

2.

Intorno alle ore 19 il numero di accessi al sito è all’incirca uguale per tutti e tre i dispositivi

!

!

3.

Tra le 19 e le 21 il numero di accessi da computer e da smartphone diminuisce

!

!

4.

Alle ore 23 il numero di accessi al sito da tablet è massimo

!

!

5.

Gli accessi al sito da tablet aumentano sempre nel corso della giornata

!

!

In the item D9, the frequency of answering correctly of foreign students is greater than that of the Italians: to

In the item D9, the frequency of answering correctly of foreign students is answer correctly the pupil are required to understand a table with a series of numbers. In this type of task, greater than that of the Italians: to answer correctly the pupil are required to unforeign students show no difficulty. derstand a table with a series of numbers. In this type of task, foreign students show no difficulty. D9.

I bambini di V B devono preparare lo sfondo del palcoscenico per la recita di fine anno. Franco ha ottenuto la giusta tonalità di azzurro del cielo mescolando 5 misurini di bianco e 2 misurini di blu.

D9. !

I bambini di V B devono preparare lo sfondo del palcoscenico per la recita di fine anno. Franco ha ottenuto la giusta tonalità di azzurroFranco del cielo mescolando 5 misurini e 2 misurini di blu. Sara Giulia di bianco Marco

Completa la tabella in modo che tutti i bambini ottengano la stessa tonalità di azzurro.

misurini di bianco la tabella in5 modo che....... 15ottengano 30 Completa tutti i bambini la stessa tonalità di azzurro. misurini di blu !

2

4

.......

12

Franco

Sara

Giulia

Marco

misurini di bianco

5

.......

15

30

misurini di blu

2

4

.......

12

The answers D11 is closed-ended and, for the resolution, they require the ability of interpreting a written text

answers D11 is closed-ended the ofresolution, they require the abilandThe also the knowledge of some notions connectedand, to thefor writing numbers. ity interpreting a difference written text and also the someofnotions connected Forofthis D11, there is no between foreigners andknowledge Italians in the of frequency answering correctly. answers D11 is toThe the writing ofclosed-ended numbers.and, for the resolution, they require the ability of interpreting a written text 22 andFor also the of some connected tobetween the writingforeigners of numbers. and Italians in the frethisknowledge D11, there is notions no difference D11. Quale tra le seguenti scritture non corrisponde al numero diciottomilaquaranta? For this D11, there is no difference between foreigners and Italians in the frequency of answering correctly. quency of answering correctly. D11.

A. ! 18040 B. ! 18 migliaia + 4 decine C. ! 1 xscritture 10000 + non 8 x 1000 + 4 x 10 al numero diciottomilaquaranta? Quale tra le seguenti corrisponde D. ! 1000 + 8000 + 40 A. B. C. D.

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! ! ! !

18040 18 migliaia + 4 decine 1 x 10000 + 8 x 1000 + 4 x 10 1000 + 8000 + 40

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TheThe answers D12 is closed-ended and, for and, the resolution, they require they the ability of the interpretation answers D12 is closed-ended for the resolution, require abil- of answers D12 is closed-ended and,figures. for the resolution, they require the ability of interpretation of The ity of interpretation of geometric geometric figures. geometric figures. this item,is there is no between difference between foreigners and Italians in the correctly. freFor For this item, there no difference foreigners and Italians in the frequency of answering quency of answering correctly. there is no difference between foreigners and Italians in the frequency of answering correctly. For this item, D12. L’insegnante chiede di colorare un quarto della superficie di un quadrato. D12. L’insegnante chiede di colorare un quarto della superficie di un quadrato. Lucia, Michele e Sandra eseguono il compito nei modi rappresentati in figura. Lucia, Michele e Sandra eseguono il compito nei modi rappresentati in figura.

Chi ha svolto correttamente il compito? Chi ha svolto correttamente il compito? A. ! Solo Sandra B. !! Solo e Michele A. SoloLucia Sandra C. ! Solo Lucia B. ! SoloSandra Lucia ee Michele D. !! Tutti correttamente il compito C. Solo hanno Sandrasvolto e Lucia D. ! Tutti hanno svolto correttamente il compito

160

Item D16 is closed-ended and, for the resolution, they require the knowledge of conversions between units of Item D16 D16 is closed-ended and, for theand, resolution, they require the knowledge of conversions between units of Item is closed-ended for the resolution, they require the knowledge measurement. ofmeasurement. conversions between units of measurement. The frequency of answering correctly for foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that frequency of answering correctly for foreign and G2) is not TheThe frequency of answering correctly for foreign students (G1 andstudents G2) is not (G1 statistically different from that of the Italian students. statistically different from that of the Italian students. of the Italian students. D16. Per preparare una porzione di panna cotta occorrono 25 centilitri di latte. Claudia compra 4 litri di latte. D16. Per preparare una porzione di panna cotta occorrono 25 centilitri di latte. Claudia compra 4 litri di latte. Quante porzioni di panna cotta può preparare? Quante porzioni di panna cotta può preparare? A. ! 10 B. !! 16 A. 10 C. !! 816 B. D. !! 12 C. 8 D. ! 12

Inquestion the question D17 asked answer to question a multiple In the D17 pupils are pupils asked toare answer to a to multiple choice (true choice or false) question through the draw (true false)D17 through theasked draw interpretation. In theor question pupils are to answer to a multiple choice question (true or false) through the draw interpretation. In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different interpretation. In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians, for the three groups (Italians, G1 and G2). In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians, G1 and G2). G1 and G2). D17.

Osserva attentamente le seguenti figure.

24 24

Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). V

F

a.

Le figure B e C hanno lo stesso perimetro

!

!

b.

L’area della figura D è maggiore dell’area della figura A

!

!

c.

Il perimetro della figura D è minore del perimetro della figura C

!

!

d.

L’area della figura A è uguale all’area della figura B

!

!

The D18 question is composed of 5 items. D8 is split in two big components: in the first (D18a) pupils are asked to answer to a multiple choice question through the table interpretation, in the second (D18b) they are

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asked to indicate the need to know some characteristics of objects.

In these items, the frequency of answering correctly for foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that of the Italian students.


The D18 question is composed of 5 items. D8 is split in two big components: in the first (D18a) pupils are asked to answer to a multiple choice question through the table interpretation, in the second (D18b) they are asked to indicate the need to know some characteristics of objects. In these items, the frequency of answering correctly for foreign students (G1 and G2) is not statistically different from that of the Italian students. D18.

Osserva queste due bottiglie.

La seguente tabella riporta le loro caratteristiche. CARATTERISTICA

40 g

ALTEZZA

30 cm

15 cm

300 cm3

500 cm3

VERDE SCURO

TRASPARENTE

VETRO

PLASTICA

COLORE MATERIALE

161

Quale delle due bottiglie può contenere più liquido? A. B. C. D

b.

Bottiglia B

200 g

CAPACITÀ (volume interno)

a.

Bottiglia A

PESO della bottiglia vuota

! ! ! !

La bottiglia A perché è più pesante La bottiglia B perché ha un volume maggiore La bottiglia A perché è più alta Il confronto non si può fare perché le bottiglie hanno forme diverse

Immagina di riempire completamente entrambe le bottiglie di acqua. Quali caratteristiche è necessario conoscere per poter prevedere quale delle due bottiglie sarà più pesante? Metti una crocetta per ogni riga. CARATTERISTICA

È necessario conoscerla

Non è necessario conoscerla

1. PESO della bottiglia vuota

!

!

2. ALTEZZA

!

!

3. CAPACITÀ (volume interno)

!

!

4. COLORE

!

!

In the question D20 pupils are asked to draw a geometric figure.

In the question D20 pupils are asked to draw a geometric figure. In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different G1the and three G2). groups (Italians, G1 and G2). for

In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians,

D20.

Disegna un rettangolo che abbia un lato uguale a DE e la stessa area del triangolo ABC.

26

In the question D22 pupils are asked to recognize shapes in space and use for the resolution of geometrical problems or modeling. In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians, G1 and G2). ricerche D22.

anno IX | numero 17 | Dicembre 2016

Anna vuole costruire un dado usando forbici, colla e cartoncino. Conosce la regola dei dadi secondo la quale la somma del numero dei pallini delle facce opposte è sempre 7.


In the question D22 pupils are asked to recognize shapes in space and use for In the question D22 pupils are asked to recognize shapes in space and use for the resolution of geometrical the resolution of geometrical problems or modeling. problems or modeling. In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different In these items, the frequency of correctly answering is not statistically different for the three groups (Italians, for the three groups (Italians, G1 and G2). G1 and G2). D22.

Anna vuole costruire un dado usando forbici, colla e cartoncino. Conosce la regola dei dadi secondo la quale la somma del numero dei pallini delle facce opposte è sempre 7.

Ha giĂ disegnato i pallini su alcune facce. Quanti pallini deve disegnare sulle facce A e B ? Faccia A: ...................... pallini Faccia B: ...................... pallini

162

27

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Attachment 2 2 - Logit models to estimate the frequency of correctly of responding to each item of Attachment - Logit models to estimate the frequency correctly respond10 testof Math ing to INVALSI each item Math INVALSI test10 Table 1: Logit model to estimate the frequency of correctly responding in the area “Numbers� D4

D6 *

D11

D12

D19 ***

D21

D25 **

***

D26 ***

D29

Foreigner G1

-0.050 (0.029)

-0.125 (0.029)

0.029 (0.029)

0.012 (0.028)

-0.094 (0.028)

-0.055 (0.027)

-0.111 (0.028)

-0.215 (0.027)

-0.137*** (0.029)

Foreigner G2

-0.079*** (0.019)

-0.108*** (0.019)

0.016 (0.019)

0.010 (0.018)

-0.048*** (0.018)

-0.021 (0.018)

-0.091*** (0.018)

-0.220*** (0.018)

-0.154*** (0.019)

Male

0.180*** (0.008)

0.069*** (0.008)

0.384*** (0.008)

0.090*** (0.008)

0.288*** (0.008)

-0.016** (0.007)

0.165*** (0.008)

0.543*** (0.008)

0.177*** (0.008)

Nursery school

0.075*** (0.016)

0.110*** (0.016)

0.056*** (0.016)

0.072*** (0.015)

0.040*** (0.015)

0.044*** (0.015)

0.070*** (0.015)

0.023 (0.015)

0.042** (0.016)

Father's level of education

0.039*** (0.004)

0.024*** (0.004)

0.028*** (0.004)

0.030*** (0.004)

0.028*** (0.004)

0.019*** (0.004)

0.038*** (0.004)

0.033*** (0.004)

0.019*** (0.004)

Mother's level of education

0.040*** (0.004)

0.021*** (0.004)

0.022*** (0.004)

0.028*** (0.003)

0.022*** (0.003)

0.011*** (0.003)

0.031*** (0.004)

0.034*** (0.004)

0.021*** (0.004)

Age of entry to school (anticipatario)

-0.012

0.051

0.069*

0.026

0.046

0.125***

-0.007

0.043

-0.030

(0.039)

(0.039)

(0.038)

(0.034)

(0.034)

(0.034)

(0.035)

(0.036)

(0.039)

Age of entry to school (posticipatario)

-0.083***

-0.118***

-0.142***

0.093***

0.017

-0.025

-0.003

-0.079***

-0.062*

(0.032)

(0.032)

(0.031)

(0.031)

(0.031)

(0.030)

(0.032)

(0.031)

(0.032)

**

***

***

***

***

***

North

-0.071 (0.012)

0.006 (0.012)

-0.030 (0.012)

-0.197 (0.011)

-0.055 (0.011)

-0.119 (0.011)

-0.054 (0.011)

-0.064 (0.011)

-0.029** (0.012)

South

-0.003 (0.013)

-0.065*** (0.013)

-0.010 (0.013)

0.286*** (0.012)

0.183*** (0.012)

0.203*** (0.012)

0.092*** (0.012)

0.091*** (0.012)

0.107*** (0.013)

Math oral mark

0.518*** (0.004)

0.482*** (0.004)

0.484*** (0.004)

0.306*** (0.004)

0.294*** (0.004)

0.301*** (0.004)

0.495*** (0.004)

0.298*** (0.004)

0.484*** (0.004)

Constant

-3.644*** (0.066) 300142 0.066

-3.039*** (0.066) 300142 0.056

-3.542*** (0.063) 300142 0.058

-2.643*** (0.060) 300142 0.030

-2.769*** (0.060) 300142 0.027

-2.321*** (0.059) 300142 0.024

-3.898*** (0.061) 300142 0.059

-1.879*** (0.062) 300142 0.038

-2.961*** (0.066) 300142 0.055

Observations Pseudo R2

***

***

Robust standard errors in parentheses * p< 0.10, **p< 0.05, ***p< 0.01

10

Each column represents a logistic regression conditioned to the controls reported in rows.

28

10 Each column represents a logistic regression conditioned to the controls reported in rows.

ricerche

anno IX | numero 17 | Dicembre 2016

163


Table2: Logit model to estimate the frequency of correctly responding - area “Data and Forecast� (first part)

164

D1

D5

D8_a

D8_b1

D8_b2

D8_b3

D8_b4

D8_b5

Foreigner G1

-0.154*** (0.036)

-0.146*** (0.029)

0.157*** (0.031)

0.023 (0.030)

-0.079** (0.037)

-0.094*** (0.030)

0.146*** (0.028)

-0.047* (0.027)

Foreigner G2

-0.103*** (0.025)

-0.158*** (0.019)

0.022 (0.020)

-0.098*** (0.019)

-0.140*** (0.024)

-0.089*** (0.020)

0.067*** (0.018)

-0.042** (0.017)

Male

-0.125*** (0.012)

0.294*** (0.008)

-0.016* (0.009)

0.286*** (0.008)

0.029*** (0.011)

0.148*** (0.009)

0.065*** (0.008)

0.132*** (0.007)

Nursery school

0.049** (0.022)

0.110*** (0.015)

0.067*** (0.017)

0.001 (0.017)

0.003 (0.021)

0.030* (0.017)

0.029** (0.015)

0.024* (0.015)

Father's level of education

0.025*** (0.006)

0.025*** (0.004)

0.011** (0.004)

0.041*** (0.004)

0.046*** (0.006)

0.025*** (0.004)

0.031*** (0.004)

0.013*** (0.004)

Mother's level of education

0.037*** (0.005)

0.020*** (0.004)

0.010** (0.004)

0.037*** (0.004)

0.035*** (0.005)

0.027*** (0.004)

0.026*** (0.003)

0.020*** (0.003)

Age of entry to school (anticipatario)

-0.087

0.078**

0.039

-0.008

-0.087*

-0.082**

-0.059*

0.045

(0.053)

(0.034)

(0.041)

(0.038)

(0.049)

(0.039)

(0.034)

(0.034)

Age of entry to school (posticipatario)

-0.266***

-0.003

-0.045

-0.064*

-0.182***

-0.063*

0.067**

-0.088***

(0.038)

(0.032)

(0.033)

(0.033)

(0.039)

(0.033)

(0.030)

(0.030)

North

0.065*** (0.017)

-0.268*** (0.011)

0.010 (0.013)

0.180*** (0.013)

0.168*** (0.017)

0.085*** (0.013)

0.093*** (0.011)

0.053*** (0.011)

South

-0.088*** (0.018)

0.316*** (0.012)

0.139*** (0.014)

-0.209*** (0.013)

-0.267*** (0.017)

-0.051*** (0.014)

0.029** (0.012)

-0.022* (0.012)

Math oral mark

0.541*** (0.006)

0.413*** (0.004)

0.307*** (0.004)

0.403*** (0.004)

0.463*** (0.005)

0.270*** (0.004)

0.166*** (0.004)

0.164*** (0.004)

Constant

-2.280*** (0.089) 300142 0.069

-3.770*** (0.061) 300142 0.052

-1.300*** (0.068) 300142 0.021

-2.642*** (0.066) 300142 0.053

-1.844*** (0.085) 300142 0.061

-1.357*** (0.067) 300142 0.022

-1.024*** (0.059) 300142 0.010

-1.161*** (0.058) 300142 0.009

Observations Pseudo R2

Robust standard errors in parentheses * p< 0.10, **p< 0.05, ***p< 0.01

29

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Table3: Logit model to estimate the frequency of correctly responding - area “Data and Forecast� (second part) D23

D24

D24

D24_b2

D24_b3

D24_b4

D24_b5

D28

Foreigner G1

-0.053* (0.028)

-0.150*** (0.030)

-0.076** (0.031)

-0.235*** (0.037)

-0.138*** (0.038)

-0.188*** (0.031)

-0.141*** (0.033)

-0.190*** (0.029)

Foreigner G2

-0.100*** (0.018)

-0.162*** (0.020)

-0.053*** (0.020)

-0.258*** (0.025)

-0.153*** (0.025)

-0.199*** (0.021)

-0.162*** (0.022)

-0.155*** (0.019)

Male

0.086*** (0.007)

0.001 (0.009)

0.132*** (0.009)

0.023** (0.012)

0.032*** (0.012)

0.032*** (0.009)

-0.043*** (0.010)

0.063*** (0.009)

Nursery school

0.051*** (0.015)

0.074*** (0.017)

0.056*** (0.017)

0.126*** (0.021)

0.062*** (0.022)

0.047*** (0.018)

0.054*** (0.019)

0.089*** (0.017)

Father's level of education

0.024*** (0.004)

0.028*** (0.005)

0.029*** (0.004)

0.045*** (0.006)

0.038*** (0.006)

0.036*** (0.005)

0.052*** (0.005)

0.024*** (0.004)

Mother's level of education

0.024*** (0.003)

0.039*** (0.004)

0.032*** (0.004)

0.060*** (0.006)

0.044*** (0.005)

0.044*** (0.004)

0.051*** (0.005)

0.017*** (0.004)

Age of entry to school (anticipatario)

0.030

-0.038

-0.026

-0.015

-0.008

-0.057

-0.002

-0.077*

(0.034)

(0.042)

(0.040)

(0.052)

(0.052)

(0.043)

(0.045)

(0.041)

-0.057*

-0.171***

-0.122***

-0.315***

-0.237***

-0.224***

-0.206***

-0.112***

Age of entry to school (posticipatario)

(0.031)

(0.033)

(0.033)

(0.038)

(0.039)

(0.034)

(0.035)

(0.032)

North

-0.163*** (0.011)

-0.002 (0.013)

0.030** (0.013)

0.161*** (0.018)

0.045** (0.018)

0.044*** (0.014)

0.078*** (0.015)

-0.133*** (0.013)

South

0.175*** (0.012)

-0.004 (0.014)

-0.151*** (0.014)

-0.368*** (0.018)

-0.273*** (0.018)

-0.178*** (0.015)

-0.263*** (0.016)

0.152*** (0.014)

Math oral mark

0.324*** (0.004)

0.422*** (0.004)

0.209*** (0.004)

0.465*** (0.006)

0.388*** (0.005)

0.473*** (0.005)

0.485*** (0.005)

0.537*** (0.004)

Constant

-2.737*** (0.059) 300142 0.029

-2.208*** (0.071) 300142 0.046

-0.478*** (0.069) 300142 0.016

-1.914*** (0.088) 300142 0.069

-1.120*** (0.088) 300142 0.044

-2.567*** (0.073) 300142 0.060

-2.519*** (0.076) 300142 0.068

-3.251*** (0.069) 300142 0.066

Observations Pseudo R2

Robust standard errors in parentheses * p< 0.10, **p< 0.05, ***p< 0.01

30

ricerche

anno IX | numero 17 | Dicembre 2016

165


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|

0.016*** (0.004) -0.010*** (0.004) 0.207***

0.016*** (0.006)

0.015*** (0.005)

0.090*

Father's level of education

Mother's level of education

Age of entry to school (anticipatario)

0.492*** (0.012) 0.267*** (0.004) -2.120*** (0.060) 300142 0.039

0.037** (0.017)

0.537*** (0.005)

-2.795*** (0.081) 300142 0.061

South

Math oral mark

Constant

Robust standard errors in parentheses * p< 0.10, **p< 0.05, ***p< 0.01

Observations Pseudo R2

(0.031) -0.315*** (0.011)

(0.037)

0.123

***

0.038** (0.016)

-0.177

***

North

Age of entry to school (posticipatario)

0.033** (0.015)

0.070*** (0.021)

Nursery school

(0.034)

0.242*** (0.008)

0.135*** (0.011)

Male

(0.052)

0.039** (0.018)

-0.049** (0.023)

Foreigner G2

-3.609*** (0.077) 300142 0.085

0.620*** (0.005)

-0.026 (0.016)

-0.027* (0.015)

(0.034)

-0.194

***

(0.047)

-0.020

0.026*** (0.005)

0.034*** (0.005)

0.087*** (0.019)

0.028*** (0.010)

-0.097*** (0.021)

D13_a -0.140*** (0.032)

D9 0.112*** (0.028)

D3

-0.034 (0.035)

Foreigner G1

-3.212*** (0.071) 300142 0.071

0.538*** (0.005)

-0.104*** (0.014)

0.041*** (0.013)

(0.033)

-0.239

***

(0.041)

-0.032

0.032*** (0.004)

0.038*** (0.005)

0.057*** (0.017)

0.104*** (0.009)

-0.099*** (0.020)

-0.142*** (0.030)

D13_b

-5.067*** (0.063) 300142 0.083

0.610*** (0.004)

0.265*** (0.012)

-0.133*** (0.011)

(0.033)

-0.151

***

(0.035)

0.060*

0.024*** (0.004)

0.034*** (0.004)

0.052*** (0.016)

0.237*** (0.008)

-0.155*** (0.019)

-0.104*** (0.029)

D15

-3.186*** (0.062) 300142 0.052

0.442*** (0.004)

0.224*** (0.012)

-0.166*** (0.011)

(0.031)

0.020

(0.036)

0.066*

0.016*** (0.004)

0.029*** (0.004)

0.062*** (0.015)

0.371*** (0.008)

-0.007 (0.018)

0.015 (0.028)

D16

-1.538*** (0.069) 300142 0.032

0.352*** (0.004)

-0.024* (0.014)

-0.084*** (0.013)

(0.032)

-0.182

***

(0.041)

0.072*

0.032*** (0.004)

0.028*** (0.004)

0.060*** (0.017)

0.126*** (0.009)

-0.070*** (0.020)

-0.035 (0.030)

D18_a

-0.526*** (0.064) 300142 0.011

0.198*** (0.004)

-0.065*** (0.013)

-0.034*** (0.012)

(0.032)

0.022

(0.037)

-0.018

0.016*** (0.004)

0.024*** (0.004)

0.033** (0.016)

-0.003 (0.008)

-0.020 (0.019)

-0.015 (0.029)

D18_b1

Table 4: Logit model to estimate the frequency of correctly responding - area “Relations and Functions�

166

Italian Journal of Educational Research

-2.198*** (0.059) 300142 0.020

0.281*** (0.004)

0.076*** (0.012)

0.002 (0.011)

(0.030)

0.007

(0.034)

0.076**

0.016*** (0.003)

0.023*** (0.004)

0.049*** (0.015)

0.122*** (0.007)

0.010 (0.017)

0.025 (0.027)

D18_b2

-0.334*** (0.098) 300142 0.028

0.324*** (0.006)

-0.183*** (0.020)

0.053*** (0.020)

(0.042)

-0.343

***

(0.059)

0.061

0.034*** (0.006)

0.024*** (0.007)

0.098*** (0.024)

0.039*** (0.013)

-0.116*** (0.028)

-0.070* (0.042)

D18_b3

D18_b4

-1.050*** (0.116) 300142 0.071

0.469*** (0.007)

-0.468*** (0.025)

0.212*** (0.025)

(0.047)

-0.438

***

(0.068)

-0.032

0.048*** (0.007)

0.070*** (0.008)

0.097*** (0.028)

-0.105*** (0.016)

-0.154*** (0.035)

-0.189*** (0.048)

D27

32

-2.587*** (0.065) 300142 0.049

0.454*** (0.004)

0.290*** (0.013)

-0.167*** (0.012)

(0.031)

-0.115***

(0.040)

0.063

-0.001 (0.004)

0.007* (0.004)

0.071*** (0.016)

-0.057*** (0.008)

-0.049*** (0.018)

-0.098*** (0.028)


ricerche 0.042*** (0.015) 0.025*** (0.004) 0.030*** (0.003)

0.034* (0.020)

0.018*** (0.005)

0.045*** (0.005)

-0.012

Nursery school

Father's level of education

Mother's level of education

Age of entry to school (anticipatario)

***

0.082 (0.011) -0.008 (0.012) 0.259*** (0.004) -1.945*** (0.059) 300142 0.021

***

0.081 (0.016)

-0.182*** (0.017)

0.282*** (0.005)

-0.201** (0.084) 300142 0.025

North

South

Math oral mark

Constant

Robust standard errors in parentheses * p< 0.10, **p< 0.05, ***p< 0.01

Observations Pseudo R2

(0.030)

(0.040)

0.014

(0.034)

-0.027

(0.048)

0.139*** (0.008)

-0.057*** (0.011)

Male

Age of entry to school (posticipatario)

-0.110*** (0.018)

-0.131*** (0.024)

Foreigner G2

-0.055

-0.093 (0.027)

-0.047 (0.037)

***

D2_a2

Foreigner G1

D2_a1

-0.923*** (0.063) 300142 0.013

0.224*** (0.004)

0.010 (0.013)

0.043 (0.012)

***

-2.340*** (0.062) 300142 0.038

0.378*** (0.004)

0.257*** (0.012)

-0.049 (0.011)

***

(0.030)

(0.036) -0.136***

-3.367*** (0.062) 300142 0.061

0.495*** (0.004)

0.155*** (0.012)

-0.211 (0.011)

***

(0.031)

-0.101***

(0.036)

-0.039

-0.064*

0.036*** (0.004)

0.072*** (0.015)

0.097*** (0.008)

-0.045** (0.018)

0.032*** (0.004)

(0.037)

(0.031)

**

-0.062 (0.028)

D7

0.019*** (0.004)

0.014*** (0.004)

0.108*** (0.015)

-0.178*** (0.008)

-0.203*** (0.018)

-0.165 (0.028)

***

D2_b

-0.066**

0.046

0.015*** (0.004)

0.016*** (0.004)

0.033** (0.016)

0.087*** (0.008)

-0.020 (0.019)

-0.008 (0.029)

D2_a3 **

-2.703*** (0.061) 300142 0.041

0.407*** (0.004)

0.188*** (0.012)

-0.169 (0.011)

***

(0.030)

-0.100***

(0.036)

0.069*

0.012*** (0.004)

0.023*** (0.004)

0.069*** (0.015)

0.021*** (0.008)

-0.067*** (0.018)

-0.067 (0.027)

D10

-3.419*** (0.061) 300142 0.056

0.433*** (0.004)

0.492*** (0.012)

-0.266 (0.011)

***

(0.032)

0.047

(0.035)

0.093***

0.005 (0.004)

0.021*** (0.004)

0.069*** (0.015)

0.185*** (0.008)

-0.061*** (0.019)

-0.034 (0.029)

D14

Table 5: Logit model to estimate the frequency of correctly responding - area “Space and Figure�

167

anno IX | numero 17 | Dicembre 2016

0.046** (0.018)

0.031*** (0.004) -0.014 (0.042)

-0.038** (0.018) 0.071*** (0.008) 0.025* (0.015) 0.023*** (0.004) 0.030*** (0.004) -0.079** (0.034) 0.006 (0.031) ***

-0.122*** (0.012) 0.327*** (0.004) -2.321*** (0.060) 300142 0.032

0.071*** (0.021) -0.018** (0.009) 0.022 (0.017) 0.014*** (0.005) 0.012*** (0.004) -0.065 (0.040) -0.077** (0.034) **

-0.069*** (0.014) 0.230*** (0.004) -0.610*** (0.069) 300142 0.013

0.115 (0.011)

-0.031*** (0.009)

-0.053 (0.028)

0.039 (0.032)

-0.030 (0.013)

-0.049 (0.032)

*

-1.473*** (0.073) 300142 0.037

0.355*** (0.004)

-0.213*** (0.015)

0.105 (0.014)

***

(0.035)

-0.148***

0.020*** (0.005)

-0.029 (0.021)

D17_c

D17_b

D17_a

-2.519*** (0.063) 300142 0.042

0.383*** (0.004)

-0.137*** (0.012)

0.131 (0.012)

***

(0.031)

-0.002

(0.036)

-0.027

0.031*** (0.004)

0.025*** (0.004)

0.050*** (0.016)

0.079*** (0.008)

-0.018 (0.018)

0.009 (0.028)

D17_d

-2.634*** (0.061) 300142 0.043

0.411*** (0.004)

0.174*** (0.012)

-0.232 (0.011)

***

(0.031)

-0.044

(0.036)

0.043

0.015*** (0.004)

0.021*** (0.004)

0.068*** (0.015)

-0.035*** (0.008)

-0.022 (0.018)

-0.028 (0.028)

D20

33

-1.556*** (0.061) 300142 0.020

0.265*** (0.004)

0.169*** (0.012)

-0.052*** (0.011)

(0.030)

-0.082***

(0.036)

0.067*

0.024*** (0.004)

0.015*** (0.004)

0.059*** (0.015)

0.030*** (0.008)

-0.062*** (0.018)

0.021 (0.027)

D22



Le concezioni degli insegnanti del primo ciclo d’istruzione sul merito degli studenti: uno studio esplorativo

Massimo Marcuccio • Università degli Studi di Bologna - massimo.marcuccio@unibo.it

The conceptions of first cycle teachers about students merit: an exploratory research

Il contributo presenta i risultati di un’indagine esplorativa con questionario finalizzata a descrivere le concezioni di 293 insegnanti del primo ciclo d’istruzione di un comune del Nord Italia in relazione al merito degli studenti. L’analisi quali-quantitativa dei dati ha consentito di individuare una pluralità di significati attribuiti al concetto di merito in cui l’impegno e i risultati scolastici si integrano, in alcuni casi, con la capacità di fronteggiare il proprio svantaggio socio-culturale di provenienza e di collaborare con i compagni di classe. Emerge inoltre un fenomeno di ambivalenza del significato attribuito al concetto di merito.

Keywords: merit; meritocracy; teacher conception; first cycle of education.

Parole chiave: merito; meritocrazia; concezio-

ni degli insegnanti; primo ciclo d’istruzione.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

169

ricerche

The paper presents the results of a questionnaire survey aimed at describing the conceptions about merit in relation to students. 293 first cycle teachers of a Northern Italy municipality answered the questionnaire. The quali-quantitative analysis of data allowed the identification of a plurality of meanings connected to the concept of merit in which commitment and achievements, in some cases, integrate with ability to cope socio-cultural background disadvantage and to collaborate with classmates. Furthermore, data reveal an ambivalence of meaning ascribed to the concept of merit.


Le concezioni degli insegnanti del primo ciclo d’istruzione sul merito degli studenti: uno studio esplorativo

1. Il contesto della ricerca

170

Nella storia della scuola dell’Italia repubblicana il concetto di “merito” è presente sin dalla sua nascita. Esso appare già nell’art. 34 della nostra Carta costituzionale: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Tuttavia, sebbene il neologismo meritocrazia entri a far parte della cultura italiana nel 1962 con la traduzione dell’opera The rise of meritocracy: 1870-2033 del sociologo Michael Young (1958), il tema del merito non gode, almeno nei primi anni di vita repubblicana, dell’attenzione e risonanza riservate al tema dell’uguaglianza – intesa come uguaglianza delle possibilità di accesso – che guida l’attuazione di profonde riforme quali la scuola media unica (1962) e il libero accesso all’università (1969). In questo processo, le ricerche coordinate da Aldo Visalberghi (1964) misero in evidenza i limiti, nel realizzare effettivamente una scuola democratica, di un’uguaglianza delle opportunità intesa come mero ingresso formale nel sistema di istruzione, poiché incurante dei numerosi condizionamenti (sociali, economici, culturali e familiari) che agiscono sui soggetti ancor prima che essi entrino nel sistema scolastico e che influenzano scelte e rendimento futuri. È alla fine degli anni Sessanta che prende avvio, anche in Italia, un più intenso dibattito critico sul tema del merito e della meritocrazia in relazione all’uguaglianza in istruzione. Ricordiamo, in particolare, l’attività del gruppo bolognese di pedagogia sperimentale coordinato da Mario Gattullo che nel 1974 realizzò una ricerca empirica sulle convinzioni degli insegnanti, comparando una concezione democratica della valutazione di tipo innovativo con una «teoria meritocratica» di tipo tradizionalista (Gattullo et al., 1981) descritta, in modo particolare, nel saggio di Giovannini (1981). Gattullo aveva già anticipato alcune riflessioni sulla competizione nell’ambito dell’ideologia delle capacità e dei meriti nell’opera Documenti sulla scuola (Gattullo, 1972). Altro momento importante di tale dibattito fu la traduzione nel 1976 del lavoro del pedagogista svedese Torsten Husén (1974) Talent, equality and meritocracy. Tuttavia, dobbiamo aspettare il nuovo millennio per trovare riferimenti diffusi e mirati al tema del merito e della meritocrazia nel dibattito sulla scuola, nei documenti di politica scolastica e negli interventi ministeriali. I provvedimenti del governo a questo proposito si sono sviluppati in due direzioni: la professione docente e gli studenti. Per quanto riguarda i docenti, ricordiamo, ad esempio, l’avvio in alcune scuole, nel 2011, della sperimentazione denominata Progetto Valorizza concernente la premialità e il merito individuale degli insegnanti (D.lgs. 150/09 - Titolo III “Merito e premi”). La promozione del merito degli studenti è stata sviluppata, in modo particolare, attraverso due iniziative: il programma Io merito. Valorizzazione delle eccellenze e il Piano Nazionale Qualità e Merito.

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Il programma Io merito, introdotto con la Legge 1/071, mira alla «promozione della cultura del merito e della qualità degli apprendimenti nel sistema scolastico» attribuendo un premio agli studenti «meritevoli» che hanno ottenuto un 100 e lode nell’esame di Stato conclusivo del II ciclo o che hanno vinto una competizione, nazionale e/o internazionale, riconosciuta nel programma annuale di promozione delle eccellenze. Tali studenti sono inseriti nell’Albo Nazionale delle Eccellenze (http://www.indire.it/eccellenze/). Il Piano Nazionale Qualità e Merito (PQM) – promosso dal MIUR con la consulenza di Roger Abravanel, autore del saggio Meritocrazia (Abravanel, 2008) – si è sviluppato lungo l’arco di quattro anni scolastici a partire dal 2009. L’obiettivo era la «promozione del merito e della qualità nel sistema d’istruzione italiano» attraverso l’estensione dell’uso dei «test oggettivi» predisposti dall’INVALSI per misurare in ingresso e al termine dell’anno scolastico il rendimento di ciascuno studente – in matematica e italiano – e avviare azioni di miglioramento dell’insegnamento. Il governo intendeva in tal modo «valutare oggettivamente i rendimenti delle singole classi» e valutare le scuole «su base oggettiva» per inserirle in un «ranking nazionale degli istituti migliori». Le prove «oggettive», nell’ambito di un dispositivo di valutazione più generale, sono state concepite come uno dei fattori in grado di influenzare «direttamente la crescita dell’economia», di «promuovere il valore della meritocrazia»2 e consentire l’erogazione di borse di studio da assegnare agli studenti particolarmente meritevoli non più solo in base al reddito ma anche in base a una «valutazione imparziale e credibile delle competenze»3. Alle due iniziative specifiche del MIUR, vanno aggiunti altri eventi che contribuiscono a delineare in modo più articolato il fenomeno che stiamo analizzando. Il primo risale al 2012, quando il Ministro Profumo presentò una bozza di Decreto sul merito che, dopo aver ricevuto molteplici critiche da parte del mondo della scuola e dell’università, venne ritirato. Un secondo dato è la presenza nel testo della Legge 107/15 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione) – denominata La Buona Scuola – di riferimenti sia alla valorizzazione e valutazione del merito degli insegnanti (art.1, c. 93b; c. 126, c. 128, c. 130), sia alla «valorizzazione del merito degli alunni e studenti» (art.1, c7, q) e del «merito scolastico e dei talenti» (art. 1, c. 29)4. Infine, la Fondazione per il merito viene rinominata “Fondazione Articolo 34” e dotata di risorse economiche sia per erogare premi e

1 2

3 4

Il programma ora è normato dal Decreto legislativo 262/07, dal Decreto ministeriale 8 settembre 2011 e dal Decreto ministeriale 182/15. A proposito della valutazione in un contesto meritocratico De Luca e Lucisano (2011, p. 86) affermano che «la fretta e il decisionismo con cui, purtroppo, opera la tecnocrazia manageriale per tutelare la meritocrazia, non solo genera risultati inaccettabili, ma produce effetti di sfiducia sulla possibilità di operare in modo scientifico e al tempo stesso critico nel nostro settore di ricerca». Altro contributo importante al dibattito sul rapporto tra meritocrazia e valutazione si trova in Domenici (2008; 2010). I dati relativi al PQM e le espressioni citate sono stati estratti dal testo del comunicato stampa del 15 luglio 2010 presente sul sito del MIUR (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs150710). Nel commentare tale normativa Frabboni (2015, pp. 80-82) afferma che «l’osannata meritocrazia fa rima con il ritorno di un’astorica selezione classista […] Nelle pagine della Buona Scuola, la meritocrazia si fa sinonimo di anticultura […] Meritocrazia fa rima con competitività. La classe diviene una palestra dove si combatte per la supremazia sul vicino di banco».

ricerche

anno IX | numero 17 | Dicembre 2016

171


buoni di studio agli studenti universitari sia per «promuovere la cultura del merito e la qualità degli apprendimenti nel sistema scolastico e universitario» (Legge di bilancio 2017, art. 38). Anche solo in base a questa sintetica e parziale analisi degli interventi del MIUR di questi ultimi anni, possiamo affermare l’emergere di un fenomeno di diffusione della cultura del merito e della meritocrazia da parte del governo centrale all’interno del mondo della scuola supportata da un apparato concettuale di stampo neo-liberista. Per questo riteniamo rilevante rendere oggetto di indagine empirica un tale fenomeno allo scopo di individuarne i possibili impatti sulle pratiche degli insegnanti, in particolare quelle valutative, nella prospettiva di promuovere una scuola democratica.

2. La cornice teorica di riferimento 2.1 Elementi per ricostruire una teoria della meritocrazia

172

Prima di procedere a una definizione del concetto di merito, riteniamo opportuno delineare alcuni elementi di una teoria della meritocrazia che ne costituiscono lo sfondo. Un primo contributo in questa direzione ci viene offerto da Giovannini (1981)5 che ricostruisce, per sottoporla a “critica”6, la struttura concettuale dell’ideologia meritocratica attorno a due nuclei tematici: la responsabilità individuale nella concezione dell’agire sociale in ambito scolastico e la funzione della valutazione. L’«ideologia dei meriti e delle doti» (ivi, p. 136)7 sostiene una «completa “indifferenza alle differenze sociali” e al loro condizionamento sulla riuscita negli studi» e il «non riconoscimento della “trasmissione del capitale culturale”» (ibidem). I «sostenitori della meritocrazia» giustificano le «effettive differenze soggettive […] come naturali» (ibidem). Chi si richiama a tale concezione nel leggere i fenomeni scolastici sostiene che gli studenti «competano a parità di condizioni, e che ad essi il sistema scolastico offra le medesime possibilità di riuscita […] La scuola dell’obbligo è gratuita e generalizzata, per cui, essendo pari le condizioni scolastiche, coloro che conseguono il successo negli studi sono i “capaci e meritevoli” in quanto più intelligenti e volenterosi» (ibidem). Quindi se coloro che riescono ad affermarsi a scuola sono i «dotati o comunque i meritevoli» gli studenti che non riescono rientrano nel gruppo di chi «non si è impegnato abbastanza o non ha capacità sufficienti» (ivi, p. 140). In tal modo si «scaricano sugli alunni le cause del mancato rendimento e del fallimento personale» (ibidem) e il sistema scolastico «non viene messo in discussione» (ibidem).

5 6 7

Ricordiamo gli esiti della ricerca coordinata da Gattullo sono stati pubblicati nel 1981 – qui si trova anche il contributo di Giovannini – ma le attività di impostazione e raccolta dei dati erano state realizzate nel 1974. Parliamo di riflessione “critica” poiché l’ideologia meritocratica viene ricostruita dall’autrice a soli fini euristici nella direzione di un suo superamento. Nel testo, l’autrice usa anche altre espressioni: «ideologia dei meriti e delle capacità» (p. 140), «ideologia meritocratica» (p. 142, 145, 146), «ideologia dei meriti» (p. 140, 142), «ideologia delle doti» (p. 143), «meritocrazia» (p. 136, 140), «concezione meritocratica» (p. 169).

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Nell’ambito dell’«ideologia meritocratica» che caratterizza il nostro «sistema sociale e scolastico», il processo di «riconoscimento degli “intelligenti”» e quello di «gratificazione dei “volenterosi”» – mediante l’attività di valutazione – ne sono parte integrante (ivi, p. 142). In tale cornice concettuale, infatti, la valutazione rende oggetto del proprio intervento sia l’«intelligenza» sia la «condotta» intesa come «diligenza, impegno, buona volontà» tralasciando i fattori di condizionamento sociale. Inoltre, la «funzione» della valutazione diventa principalmente quella di individuare e «selezionare» i capaci e meritevoli. Tale funzione porta gli insegnanti ad usare i «voti» e la «bocciatura» come strumenti per «motivare gli alunni allo studio» (ivi, p. 137) innescando negli studenti «competitività» e «individualismo» (ibidem). In Gattullo (1978, p. 9) si trova un ulteriore elemento che egli riconduce all’assunzione dell’ideologia «dei meriti e delle capacità»: la pretesa che le «graduatorie di merito» – elaborate in base alle valutazioni scolastiche – siano in grado di «prevedere ciò che accadrà». Nell’ideologia meritocratica, infatti, convivono interconnesse una «dimensione retrospettiva», attenta alle «prestazioni passate» e una «dimensione prospettiva» – «non immediatamente evidente» – attenta alle «prestazioni future»: «si promuove chi vien giudicato essere in grado di “far bene” [… ] in futuro […], si boccia che viene giudicato non in grado di “far bene”». Abravanel (2008), invece, in una prospettiva propositiva, presenta una versione neo-liberale dell’«ideologia meritocratica» in cui la funzione del sistema scolastico nella società è così delineata: – la funzione del sistema educativo è quella di favorire l’«eccellenza» del Paese mediante la creazione di «leader che possano aumentare le opportunità e il benessere di tutti» (p. 241); – il sistema educativo è il «vero motore delle pari opportunità e della meritocrazia» che possono «aumentare la mobilità sociale» (p. 81); – per raggiungere le «pari opportunità» il sistema educativo deve eliminare la «disuguaglianza culturale» (p. 103) creando le condizioni per «selezionare e formare i migliori» indipendentemente dal proprio nucleo famigliare in modo «proporzionale al merito individuale» (p. 80) e «avviarli alle migliori università che costituiscono l’unica “credenziale” seria per il mondo del lavoro» (p. 95); – tuttavia, «l’eccellenza di poche università non basta alle società meritocratiche». È necessario «migliorare la qualità del sistema educativo preuniversitario. Il rischio è infatti che i figli delle famiglie meno abbienti non riescano a realizzare appieno il proprio potenziale» (p. 82); – mediante la selezione dei migliori è possibile «fornire una qualità accettabile a tutti gli studenti» (pp. 245-246). Per far questo è necessario che «i giovani vengano messi in gruppi differenti con percorsi didattici differenti»: i migliori andranno all’università, gli altri seguiranno una «formazione vocational, adeguata alle professioni che richiedono maggiore specializzazione e minor talento» (p. 83); – l’accertamento dei meriti individuali può essere effettuato solo da un sistema di «testing» che consenta di «misurare oggettivamente il merito» (p. 246) a cui viene attribuito – in modo analogo alla proposta di Young (1958) – il significato di intelligenza – cognitiva ed emotiva – più impegno; – per favorire il raggiungimento di una efficace «meritocrazia educativa» (p. 84) è necessario migliorare la «qualità degli insegnanti». Dalle due ricostruzioni teoriche appena analizzate, emergono due distinti significati di merito che rientrano entrambi in una prospettiva soggettiva del con-

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cetto: da un lato il merito è inteso come “volontà”, in modo analogo al testo costituzionale; dall’altro come “integrazione di intelligenza e sforzo”. In letteratura, tuttavia, esistono anche concettualizzazioni più articolate che prenderemo in esame di seguito. Sono necessarie, però, alcune considerazioni preliminari. In modo simile ad altri concetti nell’ambito delle scienze sociali, esiste una indeterminatezza e una pluralità di significati del concetto di merito che ha portato l’economista Sen ad affermare che «il merito delle azioni - e (di conseguenza) il merito delle persone che attuano tali azioni - non può essere giudicato indipendentemente dal modo in cui intendiamo la natura di una buona (o accettabile) società» (Sen 2000, pp. 5-6). Inoltre, va tenuta in considerazione la storicità del termine merito. Infatti se in passato sono individuabili «due linee semantiche» – una che ha esaltato il «talento» e le «potenzialità» del soggetto; l’altra, che si è concentrata sulle «azioni compiute» e sui «contributi apportati» (Brigati, 2012a, p. 422) – oggi assistiamo a un’«eclissi del merito» alimentata dalla «diffidenza nei confronti della reale disponibilità della società a riconoscere il merito» (ivi, p. 434). In terzo luogo, va esplicitata la prospettiva da cui analizzare il fenomeno del merito. Infatti gran parte delle riflessioni in educazione sono state sviluppate con un approccio sociologico, economico o filosofico. In questa sede, invece, in continuità con il filone di ricerche delineato in precedenza (Giovannini, 1981), intendiamo privilegiare una prospettiva pedagogica facendo riferimento specifico alla relazione tra merito e pratica della valutazione in classe. Infine, va precisato che il concetto di merito, in quanto concetto relazionale, va collocato all’interno di una rete concettuale che non va confusa, tuttavia, con il sistema teorico dell’ideologia della meritocrazia entro cui tale rete si inserisce. Questa è la formulazione della rete concettuale del merito che assumiamo nella presente ricerca8: F riconosce che S merita X in considerazione di M. In essa il concetto di merito è distinto dalle caratteristiche M che il soggetto S deve possedere ed è concepito – in senso soggettivo – come un «diritto» del soggetto a ricevere “qualcosa” (una stima, lode, ricompensa) (Sancipriano, 1967) in presenza di determinate caratteristiche. Tali caratteristiche sono solo la condizione affinché venga riconosciuto a un soggetto un merito. In tal senso, parlare di un soggetto meritevole significa affermare che il soggetto è portatore di un diritto che gli dà titolo a ottenere qualcosa in base a caratteristiche che sono state accertate. Questo significato differisce da quelli analizzati sopra dove le caratteristiche del soggetto sono il “merito”. Un implicito fondamentale di tale concezione è l’asimmetria nella relazione tra i diversi soggetti coinvolti poiché il soggetto meritevole è riconosciuto tale da un “altro” soggetto che, implicitamente, decide l’“oggetto meritato”, le caratteristiche che il soggetto deve avere per essere considerato meritevole insieme alle modalità per verificare se tali caratteristiche sono presenti. Se è così, utilizzare la rete concettuale del merito per interpretare la relazione di insegnamento/apprendimento significa rileggerla come una relazione in cui al docente viene riconosciuto un ruolo “dominante” e allo studente un ruolo “subalterno”. Per questo riteniamo sia legittimo e necessario interrogarsi sull’opportunità di utilizzarla per leggere la situazione scolastica e, in particolare, quella valutativa.

8

Tale rete concettuale è stata messa a punto rielaborando i contributi di Christopher McCrudden (1998) e Roberto Brigati (2012b). Una riflessione specifica sul concetto di merito si trova anche in Cinque (2013).

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Assumendo di accettare tale trasposizione, la rete concettuale sopra presentata può essere così riformulata in relazione alla pratica di valutazione: l’insegnante riconosce allo studente il merito di ricevere un voto/la promozione in considerazione del raggiungimento di specifici apprendimenti. Ne deriva che un insegante è meritocratico quando – dopo averli accertati – usa gli apprendimenti per riconoscere a uno studente il “merito” di ricevere un riconoscimento (voto/promozione). Il problema, quindi, non sta tanto nel processo di riconoscimento del merito a ricevere “qualcosa”, quanto nei requisiti che il soggetto deve possedere per vedersi riconosciuto il merito a ricevere “qualcosa” e nel processo di accertamento della loro presenza negli studenti. Ed è proprio a questo livello che si apre il dilemma – interno all’insegnante e/o tra insegnanti – circa la scelta e il peso da dare a tali requisiti, sia in fase di attribuzione di un voto, sia in fase di scelta della promozione o rilascio di un diploma. E unitamente a questo, sulle modalità di una loro misurazione e valutazione. 2.2 Gli esiti di alcune ricerche empiriche Le ricerche sinora realizzate che hanno reso oggetto di indagine i punti di vista degli insegnanti delle scuole sul merito e la meritocrazia sono numericamente esigue. L’approccio privilegiato è quello qualitativo e l’ambito di intervento riguarda sia i futuri insegnanti sia insegnanti in servizio che operano in contesti multiculturali. Da esse emerge l’esigenza, da un lato, di individuare particolari modalità di raccolta dei dati che possano consentire di elicitare convinzioni circa un tema così complesso; dall’altro, la focalizzazione dell’attenzione sulle concezioni degli insegnanti in relazione al concetto di meritocrazia. Ad esempio, nell’ambito di uno studio etnografico realizzato negli Stati Uniti all’interno di un programma di formazione degli insegnanti, Davis (1995) afferma che gli studenti – influenzati dalla loro provenienza da classi sociali medio-basse – non solo hanno fatto propri i «valori meritocratici» ma anche la convinzione che il fallimento degli studenti che appartengono a minoranze sia imputabile a un «deficit culturale» e che il successo formativo sia legato alle «abilità individuali». Essi vedono in tali principi una «validazione dei loro risultati e della futura realizzazione professionale» (ivi, p. 561). Dalle interviste a quattro insegnanti di una scuola media superiore statunitense (Bartolomé, 2007) emerge, invece, che tutti, anche se in misura diversa, criticano il principio meritocratico utilizzato per spiegare l’ordine sociale esistente, la concezione degli studenti appartenenti a minoranze come soggetti deficitari e la superiorità della cultura «bianca» dominante. Gli insegnanti, inoltre, attribuiscono il successo dei loro studenti alle capacità degli insegnanti di creare e supportare un contesto di cura, equo e paritario per gli studenti svantaggiati. Nel contesto di sviluppo di politiche meritocratiche del governo di Singapore, Alviar-Martin e Ho (2011) hanno rilevato una posizione più sfumata e critica nei riguardi della «filosofia della meritocrazia» rispetto a Davis (1995). I ricercatori hanno chiesto a sei insegnanti di scuola secondaria di commentare per iscritto una citazione tratta da un libro di testo ufficiale utilizzato in tutte le scuole. Paradossalmente il riconoscimento che la meritocrazia contribuisca alla marginalizzazione dei gruppi più deboli convive con la rassegnazione al ruolo assegnato ad essa nel sistema educativo governativo. Un fattore che ha svolto una funzione fondamentale nella costruzione della convinzione degli insegnanti è stata la realtà scolastica in cui hanno lavorato.

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In questo contesto di ricerche, nostro intento è quello di dare un contributo ai non molti dati esistenti sul rapporto tra insegnanti delle scuole e merito focalizzando l’attenzione della nostra indagine sulle concezioni degli insegnanti del primo ciclo circa il concetto di merito degli studenti.

3. L’impianto della ricerca 3.1 La situazione problematica e l’interrogativo di ricerca

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La situazione problematica che si sta configurando nell’attuale contesto scolastico italiano è la seguente: il sistema politico e sociale sta promovendo la diffusione di una cultura meritocratica elaborata nell’ambito di una prospettiva socio-economica neo-liberista che interpreta la scuola in un’ottica funzionalista. D’altro canto, il contesto in cui viene promossa tale cultura è caratterizzato da insegnanti che considerano l’incapacità della scuola di «contrastare il peso delle origini sociali sul rendimento degli studenti» tra i problemi «relativamente meno importanti» (Ribolzi, 2010, p. 239) e che sono in «difficoltà» ad «adottare criteri ad un tempo meritocratici e di equità» nella valutazione degli apprendimenti (Cavalli & Argentin, 2010, p. 391). Questi elementi prefigurano un possibile rischio per lo sviluppo di una cultura e pratica della valutazione che promuovano una scuola democratica e per la democrazia. In questa situazione, le convinzioni degli insegnanti circa il concetto di merito in relazione agli studenti – oggetto ancora poco indagato anche in ambito italiano – costituiscono un primo elemento conoscitivo utile a comprendere in che misura e in che direzione sia in atto una “svolta meritocratica” nelle pratiche valutative degli insegnanti. Per questo abbiamo formulato così il nostro problema di ricerca: gli insegnanti che operano nelle scuole del primo ciclo quali significati attribuiscono al concetto di merito in relazione ai loro studenti? L’ipotesi che intendiamo sottoporre a verifica empirica, elaborata a partire dagli elementi evidenziati in precedenza, è che gli insegnanti attribuiscano al concetto di merito un significato tendenzialmente diverso da quello proposto dalle recenti teorie meritocratiche (impegno + capacità). 3.2 Strumento e procedure di raccolta e analisi dei dati I dati che presentiamo sono stati raccolti con una domanda contenuta in un questionario semistrutturato anonimo finalizzato a indagare i punti di vista degli insegnanti sulla valutazione in classe. Il processo di costruzione del questionario (Guidicini, 1995; Zammuner, 1998; Corbetta, 2003) ha portato a una versione definitiva articolata in 33 domande raccolte in sette sezioni9. La domanda sul concetto di merito era suddivisa in due momenti: a) un primo quesito descriveva sette brevi situazioni riferite a studenti di V classe primaria10

9 La consegna e il ritiro del questionario sono avvenuti nei mesi di aprile-maggio 2011. 10 Abbiamo limitato l’ambito della domanda ai soli studenti della classe V primaria poiché essi costituiscono un riferimento comune sia per gli insegnanti della primaria (studenti in uscita) sia per quelli della secondaria di I grado (studenti in ingresso).

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costruite incrociando in vario modo tre variabili (contesto familiare, impegno scolastico, risultati scolastici11) (Tab. 1) e chiedeva quale o quali di essi potesse essere considerato uno studente meritevole. In una delle situazioni più positive (Luca) è è stato inserito anche il riferimento a un comportamento competitivo12; b) il secondo quesito chiedeva all’insegnante di definire il concetto di merito in relazione agli studenti a cui insegnava. I dati quantitativi sono stati sottoposti ad analisi statistica (Lombardo, 1993) con il software SPSS. L’analisi del contenuto delle risposta alla domanda aperta è avvenuta con una procedura di codifica non automatizzata (Boyatzis, 1998). Un rapporto finale è stato restituito a tutti i dirigenti scolastici e agli insegnanti coinvolti limitando al minimo i commenti ai risultati per favorire una personale lettura dei dati raccolti. 3.3 Il campione Sono state coinvolte nella ricerca gli istituti scolastici del I ciclo d’istruzione con sede nel comune di Forlì. Si tratta di 6 direzioni didattiche, articolate su 14 plessi di cui 3 in frazioni, e 3 scuole secondarie di I grado, di cui una suddivisa in 4 plessi di cui uno in periferia. Il questionario è stato distribuito a 416 insegnanti (275 primaria e 141 secondaria di I grado). Solo gli insegnanti di italiano, matematica e sostegno della scuola secondaria di I grado – poiché coinvolti direttamente nelle rilevazioni nazionali degli apprendimenti – facevano parte della popolazione in ragione della particolare finalità generale della ricerca che prevedeva una focalizzazione sulla valutazione in classe anche nelle sue interrelazioni con la valutazione esterna. I questionari restituiti sono stati 293, pari al 70,4% della popolazione. Una direzione didattica ha scelto di non partecipare all’indagine. La maggioranza dei rispondenti era costituita da donne (95,1%). Nella secondaria di I grado, il 50,0% era composto da insegnanti di italiano, il 32,3% di matematica e il 17,7% di sostegno; nella primaria, il 51,1% era composto da insegnanti di area linguistica, il 34,1%, di area logico-matematica, il 9,1% di sostegno, il 3,4% di area linguistica e logico-matematica, il 2,3% di area scientifica. Il numero medio di anni di insegnamento dei rispondenti era di 21,3 (dev.st: 9,6).

4. Analisi dei dati e discussione dei risultati 4.1 Il concetto di studente meritevole La costruzione delle sette brevi situazioni proposte nel primo quesito dell’item sul merito (Quale/i dei seguenti studenti di V classe Lei considera meritevole?) è stata effettuata utilizzando le variabili e le modalità riportate nella Tabella 1. Gli insegnanti, per rispondere, potevano scegliere più situazioni.

11 La variabile “risultati scolastici” è stata utilizzata come indicatore del concetto di “capacità”. 12 L’aggettivo meritevole è stato lasciato intenzionalmente privo di un complemento (meritevole di che cosa?) in modo da consentire all’insegnante di connettere al concetto di meritevole gli aspetti che riteneva più adeguati.

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Studente Variabile Contesto familiare/culturale Impegno nello studio (motivazione) Risultati

Anna

Luana

Mario

Giovanni

Abdul (straniero)

Micol

Luca

-

+

++

--

--

-

++

++

++

-

+

+

++

++

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+

++

--

--

-+

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Comportamento competitivo !!!!!!!!!!!

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Tab. 1: Le variabili e modalità utilizzate per costruire le situazioni presentate nella domanda sullo nella domanda sullo studente meritevole studente meritevole

"

178

Nella Tabella 2, invece, sono riportate le frequenze con cui le singole situazioni degli studenti appaiono nelle diverse combinazioni di risposte. Il primo dato che va sottolineato è costituito dalle frequenze più alte della situazione di Anna (192) e di Luana (164), entrambe studentesse che manifestano impegno e risultati positivi. Luca, che condivide la medesima situazione – integrata da una componente di competizione – è stato scelto solo in 2 casi. Giovanni e Abdul, entrambi con contesto di provenienza svantaggiato e risultati negativi ma sostenuti da un impegno scolastico debole, si collocano al terzo posto. Studente Frequenza

Anna

Luana

Mario

Giovanni

Abdul (straniero)

Micol

Luca

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Tab. 2: Frequenza delle singole situazioni presenti nelle combinazioni scelte come risposta alla Tab. 2: Frequenza delle singole situazioni presenti nelle combinazioni scelte come risposta alla domanda studente meritevole meritevole (valore (valore assoluto assoluto ee percentuale) domanda sullo sullo studente percentuale)

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Nella Tabella 3 riportiamo le combinazioni di situazioni con frequenza > 9 che raccolgono il 74,4% del totale delle risposte. Il restante 25,6% comprende 25 combinazioni con frequenze che vanno da 7 a 1. Le combinazioni che ricorrono con maggiore frequenza riguardano la situazione di due studentesse (Anna e Luana) con impegno e risultati positivi. Mario, che non manifesta nessuna motivazione allo studio ma ottiene egualmente ottimi risultati, non viene affiancato ad Anna e a Luana quando queste vengono scelte da sole, o in abbinamento, confermando l’importanza dell’impegno per tali rispondenti. Combinazione di risposte alla domanda sullo studente meritevole

v.a.

%

Anna + Luana

43

17,5

Anna

36

14,6

Anna + Luana + Mario + Giovanni

33

13,4

Anna + Luana + Giovanni + Abdul

32

13,0

Anna + Luana + Abdul + Micol

16

6,5

Luana

13

5,3

Giovanni + Abdul + Micol

10

4,1 !"#$%

Tab. 3: Le combinazioni di situazioni scelte in risposta alla domanda sullo studente meritevole Tab. 3: Le combinazioni di situazioni scelte in risposta alla domanda sullo studente meritevole (valore assoluto assoluto ee percentuale) percentuale) (valore

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Tuttavia gli insegnanti utilizzano il concetto di meritevole anche in riferimento a situazioni di studenti con forte svantaggio e scarsi risultati (Giovanni, Abdul, Micol) ma che manifestano un impegno nell’attività scolastica. Sembrano delinearsi, quindi, tre significati di meritevole che, in alcuni casi, si sovrappongono: a) colui che manifesta impegno e ottiene risultati positivi (Anna e Luana); b) colui che fronteggia la situazione contestuale sfavorevole e riesce a impegnarsi nelle attività scolastiche anche in assenza di risultati positivi (Giovanni, Abdul, Micol); c) colui che ottiene buoni risultati (Anna, Luana, Mario). In base alla “non scelta” di Luca, possiamo ipotizzare che il significato del concetto di meritevole implichi sempre una componente di collaborazione. Sembra emergere, inoltre, l’influenza del tipo di svantaggio sociale vissuto dallo studente sull’uso dell’aggettivo meritevole. Infatti una tale ipotesi può trovare conferma nel fatto che nella terza combinazione per frequenza venga scelto Giovanni – adottato e accolto in una famiglia di operai specializzati che successivamente si sono separati – e non Abdul di origine straniera. In questo caso è plausibile che l’aggettivo meritevole racchiuda un aspetto di “partecipazione” allo sforzo che lo studente fa per vincere la “sfortuna” non reversibile della propria situazione. Abdul, infatti, prima o poi, potrà cambiare la sua situazione imparando la lingua italiana; non così Giovanni. La codifica delle combinazioni di situazioni effettuata in base alle caratteristiche degli studenti ha consentito di individuare le classi di risposta riportate nella Tabella 4. Questi dati confermano ulteriormente quanto già emerso in precedenza. Va sottolineato che in 30 casi (12,2%) sono stati considerati meritevoli solo soggetti con svantaggio sociale e scarsi risultati. Le analisi non hanno evidenziato differenze statisticamente significative tra insegnanti della primaria e della secondaria di I grado. Classi di combinazioni in risposta alla domanda sullo studente meritevole

v.a.

%

Impegno e Risultati positivi

93

37,8

Impegno e Risultati positivi + Svantaggio sociale e Risultati negativi

58

23,6

Risultati positivi + Svantaggio sociale e Risultati negativi

37

15,0

Svantaggio sociale e Risultati negativi

30

12,2

Impegno e Risultati molto positivi + Svantaggio sociale e Risultati negativi

14

5,7

Non corrispondenza tra sforzo e risultati

9

3,7

Risultati positivi

5

2,0

246

100,0

Totale

Tab. classi di combinazioni scelte come risposta domanda studente meritevole Tab. 4: 4: LeLe classi di combinazioni scelte come risposta alla alla domanda sullosullo studente meritevole (valore (valore assoluto e percentuale) assoluto e percentuale)

4.2 Il concetto di merito Il secondo interrogativo dell’item sul merito intendeva sondare, con una domanda a risposta aperta, il significato attribuito al concetto di merito in relazione al proprio ordine di scuola (Quale concetto di merito va privilegiato in riferimento al livello di scuola nel quale insegna?). Attraverso la codifica delle 229 risposte è stato possibile individuare i seguenti cinque elementi presenti, in modo diversamente

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abbinato, nel concetto di merito: impegno (N=187) (coinvolgimento/partecipazione/attenzione, senso di responsabilità verso lo studio, serietà, impegno anche in assenza di risultati o di mezzi/contesto adeguato, costanza, mancanza di scoraggiamento, uso delle proprie possibilità cercando di fare il proprio meglio); competenze sociali (N=60) (rispetto degli altri, collaborazione, comportamenti corretti); atteggiamento positivo verso l’imparare (N=42) (volontà di imparare, interesse, volontà di migliorare/emergere, ricerca di un metodo di studio, autonomia nello studio); risultati (N=33) (raggiunti in generale o raggiunti in base alle proprie possibilità); capacità possedute (N=8). Nella Tabella 5 abbiamo riportato le combinazioni di elementi con frequenza > 5 che raccolgono l’84,3% dei casi (193)13. Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra gli insegnanti di diversi ordini di scuola. Il primo dato che emerge è che nella totalità dei casi il concetto di merito viene inteso come l’insieme di caratteristiche possedute dal soggetto e non come una conseguenza del possesso di tali caratteristiche. Solo in 8 casi, infatti, viene dichiarato il merito un diritto a poter ricevere “qualcosa” dall’insegnante: attenzione, cura, apprezzamenti, aiuto, coinvolgimento.

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v.a.

%

Impegno

Combinazione di indicatori associati al concetto di merito

84

36,7

Impegno + Competenze sociali

40

17,5

Impegno + Atteggiamento positivo verso l'imparare

24

10,5

Impegno + Risultati

19

8,3

Impegno + Atteggiamento positivo verso l'imparare + Competenze sociali

11

4,8

Diritto a ricevere “attenzioni” da parte dell’insegnante

8

3,5

Risultati

7

3,1 N=229

Tab. 5: Le combinazioni di elementi associati al significato di merito dagli insegnanti (valorediassoluto percentuale) Tab. 5: Le combinazioni elementi eassociati al significato di merito dagli insegnanti (valore assoluto e percentuale)

Il secondo dato da rilevare è che il significato più frequente di merito (36,7%) è quello di impegno. Seguono il significato che abbina all’impegno un comportamento di rispetto e collaborazione (17,5%) e quello che vi abbina un atteggiamento positivo verso l’imparare (10,5%). L’abbinamento impegno + risultati è presente solo nell’8,3% dei casi mentre il merito inteso solo come risultato ricorre nel 3,1% dei casi. Emerge l’introduzione, in questi significati, di un elemento nuovo rispetto a quelli emersi a proposito della definizione di studente meritevole che abbiamo codificato come atteggiamento positivo verso l’imparare. Il diverso formato dei quesiti – a scelta preordinata il primo e a risposta aperta il secondo – può giustificarne di certo la presenza. Ma come interpretare il diverso peso dato da alcuni insegnanti all’abbinamento impegno+risultati nelle definizioni di studente meritevole e merito? Per meglio comprendere il dato, abbiamo incrociato la combinazione impegno+risultati del concetto di studente meritevole con quella emersa a proposito del concetto di merito. Solo in 8 casi su 75 vi è corrispondenza. Una possibile interpretazione di questo risultato è la presenza di una ambivalenza cognitiva che consentirebbe all’insegnante di «esprimere diverse connotazioni su diversi piani, senza avviare un vero e proprio cambiamento» (Cavazza,

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2005, p. 55). Sembra che in situazione di comparazione, ove è presente la variabile dei risultati gli insegnanti la riconoscano come parte integrante dell’area di significato del merito. Laddove i risultati non sono richiamati esplicitamente, su di essi, invece, sembra prevalere prevale la componente dell’impegno.

5. Considerazioni di sintesi e possibili sviluppi L’analisi dei dati ci ha portato a una verifica parziale dell’ipotesi che gli insegnanti attribuiscano al concetto di merito un significato tendenzialmente diverso da quello proposto nell’ambito delle recenti teorie meritocratiche (impegno + “capacità”). Sembra invece trovare supporto empirico l’ipotesi dell’esistenza di un significato tendenzialmente ambivalente del concetto di merito in cui la componente della capacità (risultati) viene associata a quella predominante dell’impegno solo in particolari situazioni. Si tratta di una possibile interpretazione che va presa in considerazione con cautela poiché è l’esito di un’indagine esplorativa condotta su un campione non rappresentativo utilizzando, peraltro, poche domande all’interno di un questionario elaborato per rilevare punti di vista degli insegnanti sulla valutazione in classe. Tuttavia, quanto emerso ci suggerisce di mettere a punto future ricerche per indagare in modo specifico i significati attribuiti all’area semantica del merito e della meritocrazia ampliando l’area di indagine sino a rendere oggetto di ricerca le convinzioni sul merito in integrazione con quelle sull’uguaglianza in ambito educativo all’interno di una specifica cornice teorica sulla valutazione degli apprendimenti in classe e sulla funzione democratica della scuola.

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Analisi di una proposta inclusiva per soggetti BES attraverso la pratica sportiva di squadra Pietro Montesano • DISMEB – Università degli Studi di Napoli “Parthenope” - pietro.montesano@uniparthenope.it Francesco Peluso Cassese • “Niccolò Cusano” Rome Net University - francesco.peluso@unicusano.it Domenico Tafuri • DISMEB – Università degli Studi di Napoli “Parthenope” - domenicotafuri@uniparthenope.it

Analysis of a proposal to include SEN students through the practice of team sports

L’inclusione è un fenomeno che investe la società contemporanea. L’inclusione scolastica, in particolare, si deve confrontare con le emergenze educative che necessitano di adeguate risposte didattiche che devono essere sviluppate in idonei ambienti di apprendimento. Lo scopo della ricerca è stato quello di favorire le relazioni inclusive tra i soggetti BES e tutti gli altri allievi, affinchè la scuola possa promuovere il diritto che un soggetto venga considerato uguale agli altri ma allo stesso tempo diverso insieme agli altri, attraverso un percorso didattico motorio atto a favorire le attività collaborative di gruppo con il gioco della pallacanestro.

Keywords: BES, Inclusion, Collaboration, Basketball

Parole chiave: BES, Inclusione, Collaborazione, Pallacanestro

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ricerche

The inclusion is a phenomenon that involves contemporary society. The school inclusion, in particular, is confronted with the educational emergencies that require appropriate teaching responses that must be developed in suitable learning environments. The purpose of the research was to promote inclusive relationships between SEN subjects and all the other students, so that the school can promote the right that a person is considered equal to others but different at the same time along with the other, through an act motor nature trail to favor group collaborative activities with the game of basketball.


Analisi di una proposta inclusiva per soggetti BES attraverso la pratica sportiva di squadra

Introduzione

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Il processo educativo e formativo all’interno della comunità scolastica ha assunto, nel corso degli anni, connotazioni dinamiche in funzione delle mutate condizioni sociali che hanno contribuito a riconfigurare i percorsi didattici. L’estensione dei fenomeni d’immigrazione, l’ampliamento delle comunità multiculturali1, l’esigenza di coniugare bisogni diversi in soggetti in età scolare, rappresentano delle variabili che sono riconducibili all’esigenza di creare adeguate condizioni apprenditive affinchè una scuola inclusiva (Arcangeli et al., 2008) possa promuovere il diritto che ogni singolo allievo venga considerato uguale agli altri ma allo stesso tempo diverso insieme agli altri. In relazione a ciò il termine inclusione (Dovigo, 2007) ha inglobato e sostituito precedenti espressioni come il termine integrazione ed è stato inteso come il processo attraverso il quale il contesto scuola, con la partecipazione dei suoi diversi protagonisti (organizzazione scolastica, studenti, docenti, famiglie, territorio) assume le caratteristiche di un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i soggetti e in particolare dei soggetti con bisogni speciali. Il processo inclusivo si basa, quindi, su un pensiero complesso, sistemico, compartecipato di tutte le realtà che appartengono alla scuola e che concorrono alla costruzione di interventi educativo-formativi sinergici e significativi per tutti gli allievi ed in particolare per i bambini BES, cioè coloro che presentano Bisogni Educativi Speciali2. Secondo Ianes (2005) «Il Bisogno Educativo Speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’OMS) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata». La scuola individua gli alunni per i quali è opportuno e necessario attivare un percorso didattico personalizzato sintetizzato nel PDP, Piano Didattico Personalizzato. Identificare un alunno con BES significa riconoscere per lui la necessità non solo di un percorso didattico diverso da quello dei compagni, ma anche di una sua ufficializzazione, come assunzione formale di impegni e responsabilità da parte della scuola e, se possibile, anche della famiglia. Il PDP viene stilato dal Consiglio di Classe anche in relazione alle indicazioni fornite dal documento scolastico identificato dall’acronimo PAI3, Piano Annuale dell’Inclusività, che deve ispirarsi al concetto di Education for all4 e deve tendere a sviluppare un processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione.

1 2 3 4

Vedi MIUR - C.M. n. 24 del 1/3/2006 e C.M. n.2 dell’8/1/2010 Vedi MIUR – Direttiva Ministeriale del 27/12/ 2012; C.M. n.8 del 2013 prot. 561 “Strumenti di interventi per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni operative. Vedi Nota MIUR prot. 1551 del 27/6/ 2013. Vedi World Education Forum EFA, (Dakar, 2000) - 164 governi si sono impegnati a for-

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All’interno di questo scenario educativo risulta indispensabile scegliere il percorso didattico più aderente alle capacità dell’allievo con l’identificazione di caratteristiche, a nostro parere in particolare quelle motorie e sportive (Kudláček, 2001), che consentano di perseguire efficacemente gli obiettivi stabiliti nel piano così come importante risulta la competenza e l’atteggiamento del docente nel contesto educativo (Avramidis & Norwich, 2002). Quest’ultima problematica è stata trattata in numerose ricerche tra le quali quella condotta in Gran Bretagna (Avramidis et al., 2000) ha indagato l’atteggiamento degli insegnanti verso l’inclusione dei bambini con bisogni educativi speciali nel Regno Unito sottolineando i diversi fattori che potrebbero influenzare il successo del processo di inclusione.

1. Il soggetto BES L’identificazione di un soggetto BES (Rapporto Warnock, 1978), con riferimenti normativi inseriti nel PAI, viene effettuata partendo da un’efficace osservazione del comportamento, dalla rilevazione dell’attenzione e della concentrazione durante le attività didattiche nonché dalla qualità del rendimento scolastico che, nei soggetti in età scolare, è la risultante di numerose variabili. Tra queste il comportamento motorio evidenzia l’acquisizione, corretta o carente, dello schema corporeo e degli schemi motori di base nonché delle capacità coordinative e condizionali. Esso è l’esplicitazione dell’identità motoria che afferisce particolarmente agli stadi dell’infanzia e dell’adolescenza, persistendo poi nell’età adulta, e che concorre a formare l’identità personale. Componenti quali il carattere, lo stile cognitivo, lo stile di apprendimento possono subire delle modifiche nel corso degli anni così come l’identità personale, e quella motoria in particolare, può riconfigurarsi non solo alla luce delle mutate condizioni fisiche ma in funzione della diversificazione di esperienze, di eventi significativi che connotano tutta la vita dell’uomo e che possono determinare buoni o cattivi rapporti interpersonali e incidere profondamente sul rendimento scolastico. Il soggetto BES (Cornoldi et al., 2015) presenta difficoltà apprenditive e/o relazionali (Novak, 2001), non necessariamente supportate da diagnosi clinica e/o funzionale, che devono essere affrontate con strategie didattiche diversificate.

2. Il metodo di lavoro L’adozione da parte delle Istituzioni scolastiche delle buone pratiche educative ha consentito di effettuare uno studio finalizzato all’inclusione scolastica, su quattordici soggetti identificati come BES, otto maschi e sei femmine di età compresa tra quattordici e sedici anni, in un Istituto di Istruzione Secondaria di II grado della città di Napoli frequentato da circa 800 allievi. Il percorso di ricerca è stato sviluppato per sei mesi, dopo un periodo di osservazione di un mese, durante l’anno scolastico 2014-2015. L’ipotesi di lavoro era quella di rilevare le caratteristiche (Cornoldi et al., 2005) dei bisogni degli allievi

nire, entro il 2015, un’istruzione di base di qualità per tutti i bambini, giovani e adulti, identificando cinque settori chiave d’intervento: dialogo politico, di monitoraggio, di sensibilizzazione, mobilitazione di fondi e di sviluppo delle capacità.

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e di stilare un programma motorio basato sulla partecipazione ad attività sportive di squadra insieme ai compagni di classe. Lo scopo (Block & Zeman, 1996) del percorso era quello di favorire l’inclusione, garantendo un adeguato livello di istruzione per tutti gli allievi, compreso quello per l’attività fisica (Vogler et al., 2000), all’interno della comunità scolastica. La rilevazione iniziale è stata effettuata con la somministrazione ai soggetti BES di un questionario conoscitivo, suddiviso in due sezioni, con l’osservazione in classe e con la somministrazione di test motori (Marella & Risaliti, 2007) per le capacità coordinative e condizionali per identificare le aree critiche dei soggetti BES e stilare un efficace programma motorio. Quest’ultimo è stato elaborato prevedendo la partecipazione alle sedute di lavoro pomeridiane, a turno e su base volontaria, di allievi normodotati delle classi interessate alla ricerca. Gli allievi BES hanno evidenziato difficoltà di attenzione, di autostima, di relazione e di apprendimento particolarmente nelle discipline umanistiche (italiano) mentre nell’ambito motorio scarsa coordinazione, difficoltà di organizzazione spazio-temporale, scarsa conoscenza degli sport, difficoltà a lavorare in gruppo. La metodologia di lavoro ha previsto lo sviluppo di un percorso motorio di gruppo (Comoglio & Cardoso, 1996) che consentisse agli allievi di acquisire sia competenze motorie che competenze trasversali atte a consentire miglioramenti relazionali (Bond & Sargent, 1995) e delle performances scolastiche. La disciplina sportiva della pallacanestro (Messina, 2004) è stata ritenuta idonea a perseguire gli obiettivi di relazione, collaborazione nonché di sviluppo delle capacità motorie. Al termine del percorso sono stati valutati i risultati somministrando di nuovo il questionario ed i test motori, implementando i dati delle prove in itinere registrate.

3. Obiettivi e percorso formativo Scopo dell’attività è stato quello di valorizzare le reali capacità degli allievi con l’identificazione dei punti di forza e delle aree critiche e di coinvolgere gli altri componenti della classe. Dall’analisi iniziale sono stati fissati gli obiettivi da raggiungere relativi al miglioramento dell’autostima, dell’attenzione in classe, della relazione, della collaborazione, della coordinazione, dell’organizzazione spazio-temporale, della conoscenza degli sport e della pallacanestro (Peterson, 2003) in particolare. Il percorso formativo è stato sviluppato con sedute di allenamento (Weineck, 2000) effettuate con una frequenza bisettimanale pomeridiana per un totale di quaranta incontri, ciascuno di circa novanta minuti, a cui hanno partecipato, sempre, i quattordici soggetti BES e, a turno, dieci allievi delle classi interessate alla ricerca in maniera da poter organizzare tre team da otto componenti ciascuno. La scelta di costituire tre team, con caratteristiche flessibili, è stata finalizzata alla possibilità, durante le sedute, di effettuare delle gare con titolari, in numero di cinque, e tre atleti pronti al cambio. Le prime quattro sedute sono state dedicate all’impostazione, teorica e pratica, delle modalità di costituzione dei gruppi e di quelli sportivi in particolare. I successivi otto incontri sono stati dedicati all’acquisizione ed al potenziamento delle capacità coordinative (Magni, 2009) e condizionali (Barba & Tafuri, 2007). Le esercitazioni sono state impostate con il concetto del work in progress organizzando percorsi di lavoro alternando esercizi coordinativi e condizionali. I circuiti, costituiti da stazioni di lavoro in palestra, hanno consentito di sviluppare,

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in particolare, la coordinazione oculo-manuale, l’organizzazione dello spazio, il ritmo, la tecnica del palleggio e del passaggio, la velocità di esecuzione del gesto motorio e la resistenza necessaria per disputare le gare di pallacanestro. Gli esercizi sono stati eseguiti utilizzando palloni da basket, coni, bacchette, tappeti, elastici, cerchi, e le esercitazioni sono state concluse, sempre, con i tiri a canestro. Quattro incontri sono stati poi dedicati al gioco libero ed alla verbalizzazione e trascrizione delle emozioni e delle competenze acquisite. Dieci incontri sono stati dedicati all’acquisizione delle regole di gioco, alla conoscenza ed alla sperimentazione dei ruoli previste dalla disciplina della pallacanestro. Nei sei incontri successivi sono stati curati gli aspetti relativi alla collaborazione, allo sviluppo di situazioni di gioco impreviste ed alle relative strategie da adottare per la risoluzione dei problemi presenti durante una gara. I rimanenti sette incontri hanno previsto l’effettuazione di gare simulate, la verbalizzazione e la trascrizione delle emozioni e delle competenze acquisite. Le gare simulate, due per team, sono state effettuate con l’ausilio di sussidi audio visivi (play-station), con giochi forniti dagli stessi allievi, predisponendo l’alternanza, scandita a livello temporale, dei ragazzi per l’utilizzo dei telecomandi. Il coach di ciascun gruppo, al termine delle simulazioni, aveva il compito di far disporre gli allievi seduti a terra in cerchio5, utilizzando la tecnica del circle time (Brandani & Rizzardi, 2005), e di farli riflettere sulle fasi di gioco, sulle competenze acquisite, con gli esercizi pratici e simulati, e sulle emozioni. Aveva, altresì, l’incarico di far descrivere, ad ogni partecipante, le fasi di lavoro e a far individuare gli aspetti positivi e critici delle prestazioni e le relative emozioni vissute. Le singole descrizioni erano annotate su una scheda da un osservatore esterno. L’ultima seduta è stata dedicata alla somministrazione del questionario e dei test motori.

4. Analisi dei dati e risultati La raccolta e l’analisi dei dati è stata articolata in due fasi : iniziale (tab.1) e finale (tab.2). La prima ha consentito di acquisire informazioni atte a redigere il programma motorio extracurriculare mentre la seconda ha fatto emergere i progressi degli allievi BES che hanno inciso positivamente sulle valutazioni finali dei docenti dei Consigli di Classe. I risultati dello studio hanno evidenziato, progressivamente, una diminuzione delle difficoltà di relazione, una diminuzione delle difficoltà motorie ed un potenziamento dell’autostima.

5

Circle Time- Tecnica partecipativa utilizzata nell’educazione socio-affettiva che consente al partecipante di sviluppare atteggiamenti interpersonali positivi, acquisire conoscenze e abilità personali quali capacità di ascolto attivo, empatia, cooperazione. Il circle time consente di ridurre le tensioni, di creare un clima di fiducia con i compagni, di confrontare ipotesi e opinioni diverse. La tecnica è applicata fissando un rituale d’inizio che deve essere sempre rispettato (ad esempio un minuto di silenzio accompagnato da un esercizio respiratorio) ed i partecipanti sono guidati da un conduttore (un insegnante o un coach) che è garante che tutti possano intervenire, a turno ed in modo circolare, nella discussione facendo rispettare l’ordine e le modalità, precedentemente esplicitate, degli interventi. Il conduttore non deve essere direttivo, non deve esprimere giudizi di valore, consenso o dissenso in merito al contenuti degli interventi ma deve essere l’interlocutore privilegiato che pone domande o fornisce risposte.

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4.1 Rilevazione Iniziale La situazione di partenza (Tab. 1) ha evidenziato, in percentuale, difficoltà di attenzione, di autostima, di relazione e di apprendimento particolarmente nelle discipline umanistiche (italiano) nonchè scarsa coordinazione, difficoltà di organizzazione spazio-temporale, scarsa conoscenza degli sport, difficoltà a lavorare in gruppo. Ambito comune

Ambito motorio N. allievi

Percentuale

Difficoltà di attenzione

11

78,6

Difficoltà di relazione

10

71,4

N. allievi

Percentuale

Difficoltà di coordinazione

14

100

Difficoltà di organizzazione

12

85,8

11

78,6

spazio-temporale Scarsa autostima

14

100

Scarsa collaborazione

14

100

Difficoltà a lavorare in gruppo

Tab. 1- Rilevazione iniziale

188

Ambito comune

Ambito motorio

4.2 Rilevazione Ambito comuneFinale

N. allievi

Percentuale

N. Percentuale Differenza Difficoltà di attenzione 11 78,6 allievi Percentuale Difficoltà di relazione 71,4 Difficoltà 8 5710 -21,6 di attenzione

N. allievi

Ambito motorio

N. Percentuale Difficoltà di coordinazione 14 allievi di organizzazione Difficoltà Difficoltà di 8 57 12

Percentuale

Differenza 100 Percentuale 85,8 -43

Al termine dello svolgimento del percorso motorio previsto dall’ipotesi di ricerca, la rilevazione finale (Tab. 2) ha evidenziato un significativo miglioramento, con coordinazione spazio-temporale conseguente diminuzione di incidenza percentuale, difficoltà di attenzione Difficoltà 4 28,6 -42,8 Difficoltà di 6delle 42,8 -43 Scarsa autostima 14 100 Difficoltà a lavorare in gruppo 11 78,6 organizzazione di relazione nonché della diminuzione dei e di relazione soggetti BES con scarsa autostima e Scarsa collaborazione 14 100 spazioscarsa collaborazione. temporale Nell’ambito motorio notevolmente coordinative e Scarsa 9 64,2 sono migliorate -35,8 Difficoltà a 5 le difficoltà 35,7 -40,9 lavorare in quelleautostima del lavoro di gruppo. gruppo Scarsa 3 collaborazione Ambito comune

21,5

-78,5 Ambito motorio

N. allievi

Percentuale

Differenza Percentuale

N. allievi

Percentuale

Differenza Percentuale

Difficoltà di attenzione

8

57

-21,6

Difficoltà di coordinazione

8

57

-43

Difficoltà di relazione

4

28,6

-42,8

Difficoltà di organizzazione spaziotemporale

6

42,8

-43

Scarsa autostima

9

64,2

-35,8

Difficoltà lavorare gruppo

5

35,7

-40,9

Scarsa collaborazione

3

21,5

-78,5

a in

Tab. 2 - Rilevazione finale

Le percentuali tra l’inizio ed il termine dell’attività hanno subito delle oscillazioni significative, in media di circa il 40%, che però non devono trarre in inganno circa la facilità nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il range delle ampie differenze percentuali ha numerose specificazioni tra cui quella che il 90% dei BES esaminati non aveva mai frequentato un corso programmato con caratteristiche motorie di gruppo. La costante frequenza agli incontri extracurriculari e la consapevolezza che il percorso era apprenditivo e non valutativo, ha consentito agli

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allievi BES di mettersi in gioco senza particolari stati d’ansia e, complice un sereno set/setting, di acquisire una regolarità di lavoro indispensabile per un’efficace risoluzione dei problemi.

Conclusione e discussione La problematica dell’inclusione risulta essere un fenomeno che investe la società contemporanea. Variabili spesso non prevedibili condizionano l’efficacia della mission della scuola che costantemente si trova a fronteggiare emergenze educative che necessitano di adeguate risposte. Affinchè ciò si realizzi bisogna disporre di ambienti di apprendimento idonei e di docenti (Hodge et al., 2004) disponibili e competenti come quelli più giovani e con meno anni di esperienza rispetto ai colleghi più esperti (Avramidis & Norwich, 2002). Tale concetto è stato rafforzato dai risultati di in uno studio condotto in Irlanda (Meegan & MacPhail, 2006) che ha evidenziato un atteggiamento maggiormente positivo degli educatori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile. La ricerca condotta su quattordici soggetti BES ha dimostrato che un percorso motorio strutturato e finalizzato può determinare significativi miglioramenti nei comportamenti relazionali e collaborativi nonché nell’acquisizione ed esplicitazione delle competenze motorie. L’efficacia dell’ipotesi di ricerca è testimoniata dalla ricaduta didattica evidenziata dal superamento, da parte dei soggetti BES, dell’inibizione nei riguardi dell’esposizione orale, dalla disponibilità a verbalizzare e trascrivere le esperienze sottolineando le competenze acquisite e dal diverso atteggiamento nei confronti delle difficoltà di apprendimento delle discipline scolastiche.

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Rapporti di Autovalutazione e Piani di Miglioramento: analisi e mappatura dei bisogni di formazione della Scuola pugliese. Primi step di una ricerca documentativa Loredana Perla • Università degli Studi di Bari, loredana.perla@uniba.it Viviana Vinci • Università degli Studi di Bari, viviana.vinci@uniba.it

Self-evaluation Report and Improvement Plan: analysis and mapping of training needs of the Apulian School. First steps of a documentation research

Gli esiti di una ricerca-formazione collaborativa – UNIBA-USR Puglia, finalizzata ad individuare le direttrici di sviluppo della Scuola pugliese attraverso una mappatura delle documentazioni valutative (Rapporti di Autovalutazione e Piani di Miglioramento) degli istituti scolastici di ogni ordine e grado (679 in totale) – hanno mostrato l’urgenza di uniformare le modellistiche e gli strumenti per l’autovalutazione e il miglioramento delle scuole. Al termine dell’indagine il gruppo DidaSco (Didattiche Scolastiche) ha avviato un percorso di accompagnamento di un gruppo di 80 scuole pugliesi per provare a progettare un nuovo e più efficace format PdM. Si presenta il nuovo modello di PdM DidaSco, attualmente in fase di sperimentazione/attuazione nelle scuole di Puglia.

Keywords: improvement plan, self-evaluation report, collaborative research-training, documentation, quality of educational system

Parole chiave: piani di miglioramento, rap-

porti di autovalutazione, ricerca-formazione collaborativa, documentazione, qualità del sistema scolastico

Pur essendo il contributo frutto di un lavoro condiviso, i paragrafi 1 e 5 sono stati curati da Loredana Perla e i paragrafi 2, 3 e 4 da Viviana Vinci

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ricerche

The results of a collaborative research-training – UNIBA-Apulian USR (Regional Education Department), that had as main objective the identification of lines of development of the Apulian School through a mapping of evaluation documentations (Self-evaluation report and improvement plans) of schools of all levels (679 in total) – showed the urgent need to standardize the modeling and tools for self-evaluation and improvement of schools. At the end of the research, DidaSco group has launched a training program in 80 Apulian schools with the aim to plan a new and more effective Improvement plan. It is described a new model of the DidaSco Improvement Plan, actually being tested / implemented in Apulian schools.


Rapporti di Autovalutazione e Piani di Miglioramento: analisi e mappatura dei bisogni di formazione della Scuola pugliese. Primi step di una ricerca documentativa

1. Il Sistema Nazionale di Valutazione e l’analisi delle documentazioni valutative scolastiche

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Con la Direttiva n. 11 del 18 settembre 2014 il Miur ha definito, per il triennio 2014-2017, le priorità strategiche della valutazione del Sistema educativo di istruzione e formazione e i criteri generali per la valorizzazione delle scuole, statali e paritarie, nel processo di autovalutazione. Tale Direttiva ha consolidato un trend già nitidamente disegnato dal Dpr 28 marzo 2013 n. 80, ovvero dal “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione” che ha centrato il problema della finalizzazione dell’agire scolastico al miglioramento dell’offerta formativa e degli apprendimenti degli studenti, orientandolo verso la riduzione della dispersione scolastica, delle differenze nei livelli di apprendimento degli studenti, del rafforzamento delle competenze di base. Si tratta di uno scenario nuovo che rafforza indiscutibilmente il ruolo dell’agire valutativo (Galliani, 2015) nell’ottenimento di concreti (e misurabili) esiti. Tale mutamento si lega, inoltre, a “sfide” di grande portata per il sistema Scuola: la ricerca di profili elevati di specializzazione professionale e un generale contenimento della spesa pubblica attraverso l’ottimizzazione radicale delle risorse. Ciò rafforza la domanda di misurazione sia dei risultati dell’impiego di dette risorse sia di valutazione dell’impatto dell’impresa formativa scolastica. A fronte di tali istanze, non mancano le criticità. Esse attengono soprattutto al piano dell’implementazione di due processi fondamentali in qualsiasi modellistica di valutazione di istituto: promozione e sviluppo di una cultura dell’autovalutazione e della valutazione epurata da distorsioni tecniche (cheating) e resistenze ideologiche; costruzione di un sistema affidabile di gestione documentativa e archivistica del dato. Nessun sistema di valutazione può, infatti, prescinderne e, come scrive Calvani (2014), l’ottenimento di un dato “affidabile” richiede approcci campionari anziché censitari, l’allestimento e il testing di un sistema telematico efficiente per la raccolta, la limitazione dell’uso degli indicatori ad obiettivi strettamente operazionalizzabili (soprattutto se devono essere raccolti dati a larga scala); una modellistica basata su evidenze. Come è facile evincere, non si tratta del disegno di uno scenario semplice. Anche per questo, la complessità del problema della raccolta ed uso del dato sta incoraggiando la ricerca di modelli di gestione della complessità documentale delle pratiche di autovalutazione, primi atti di qualsivoglia processo di miglioramento della qualità. In tale ricerca, l’individuazione/costruzione di un apparato documentativo di gestione e archiviazione del dato nella Scuola può svolgere una funzione determinante (Frish, 2010; Perla & Schiavone, 2014). Nessun processo autovalutativo e/o valutativo può aver luogo se non si insegna e non si apprende a “ben documentare”. La documentazione si profila, dunque, nell’attuale ambito della ricerca valutativa di sistema, come un vero e proprio sistema semiotico che: “da un lato si caratterizza come strumento logico di lettura di interpretazione, di elaborazione di un sistema di segni, che utilizza i vari livelli di linguaggio della semiotica; dall’altro

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come strumento di produzione di segni, cioè di dati ed informazioni e di costruzione di architetture di segni, cioè di conoscenze (Bisogno, 1995, p.10). È questa la cornice di senso entro la quale si è radicata la nostra indagine il cui primo step viene qui presentato. Esso è consistito nell’analisi delle documentazioni valutative Rav (Rapporti di Autovalutazione) e Pdm (Piani di Miglioramento) prodotte da tutte le Scuole della Puglia di ogni ordine e grado nell’anno scolastico 2015-2016. I Rapporti di autovalutazione e i Piani di miglioramento, nelle intenzioni del legislatore, lungi dal costituire strumenti di un adempimento buro-prescrittivo, dovrebbero “educare” nelle Scuole la cultura di un utilizzo funzionale delle risorse, del controllo e della rettifica come prassi permanenti, della riflessività come motore per la valorizzazione (quest’ultima riveniente dal comma 126 della Legge 107/2015 e costituente un capitolo in gran parte da “scrivere” del modello gestionale previsto dalla premialità in favore del personale docente). Nel percorso di ricerca-formazione “Orizzonti della valutazione” (DM 435, art. 25; DD 937 del 15.09.2015; Nota MIUR 11171 - 09.11.2015 - Allegato 2; Direzione Generale USR Puglia MPIAOODRPU 12780), conclusosi nel giugno del 2016 e nato grazie alla collaborazione fra l’Ufficio Scolastico Regionale della Puglia, il Dipartimento di Scienze della Formazione, psicologia, comunicazione dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e il Liceo Fermi di Bari (scuola capofila), abbiamo preso contezza della mole documentativa prodotta dalle Scuole pugliesi e cominciato a porci delle domande riguardo l’affidabilità e le potenzialità dei dati che se ne potevano ricavare. In questo primo step del percorso ci siamo posti l’obiettivo di analizzare i documenti al fine di individuare i trend di sviluppo della Scuola pugliese in relazione all’offerta formativa e agli apprendimenti degli studenti provando a comprendere come le scuole pugliesi si sono valutate e quali obiettivi si siano posti come prioritari, monitorando nel contempo il grado di coerenza interna fra Rav e Pdm. “Orizzonti della valutazione” ha adottato un approccio metodologico a statuto collaborativo (Perla, 2011, 2014) coinvolgendo 679 scuole1 e 240 docenti componenti dei Nuclei Interni di Valutazione, selezionati mediante un bando pubblico e appartenenti a scuole distribuite su tutto il territorio regionale (60 docenti appartenenti a ciascuna delle quattro ex-province pugliesi). Dei 240 docenti selezionati, 234 docenti hanno partecipato alle attività di ricerca-azione svolgendo la funzione di valutatori-Scorer: dopo aver partecipato a incontri di formazione sul tema della valutazione e del coordinamento delle attività di raccolta dati – che è avvenuta a distanza con la mediazione di un piattaforma Moodle gestita da tutor universitari – ogni docente-scorer ha analizzato 6 RAV e 6 PDM scolastici, assegnati casualmente secondo il principio del doppio cieco, per cui il codice meccanografico di ogni scuola è stato assegnato a due docenti distinti. Il gruppo di ricerca universitario ha invece effettuato l’analisi dei dati predisponendo due strumenti di raccolta dati, uno per i RAV, volto a raccogliere i livelli in cui le singole scuole si sono valutate, quindi “posizionate” all’interno delle rubriche di autovalutazione, e uno per i PdM, volto a cogliere gli elementi essenziali dei piani di miglioramento e la coerenza interna fra obiettivi di processo, priorità stra-

1

Le scuole erano così distribuite: Ba/Bt: 262 scuole; Brindisi: 62 scuole; Foggia: 127 scuole; Lecce: 134 scuole; Taranto: 94 scuole. Nello specifico si tratta di 443 scuole appartenenti al I ciclo di istruzione; 229 appartenenti al II ciclo di istruzione; 7 Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti.

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tegiche, azioni e risultati attesi, anche al fine di comprendere la realizzabilità degli obiettivi che ciascuna scuola si è posta come prioritari. Vediamo ora gli esiti delle co-analisi dei RAV e dei PDM2 delle Scuole di Puglia e quali trend sui bisogni formativi sono emersi.

2. La co-analisi delle Rubriche di Autovalutazione (Rav) delle Scuole pugliesi

194

La co-analisi è avvenuta con lo stretto coinvolgimento di docenti e ricercatori, in due fasi distinte. In una prima fase, ogni docente-scorer ha ricevuto dalla Scuola capofila i codici meccanografici di 6 Scuole (di ambiti territoriali diversi da quello di appartenenza), di cui analizzare i Rapporti di Autovalutazione (RAV), scaricandoli dal portale Scuola in Chiaro (http://cercalatuascuola.istruzione.it) e utilizzando uno strumento di analisi, appositamente costruito dalla Scuola capofila in collaborazione con l’équipe di ricerca universitaria. Tale strumento ha permesso di annotare alcuni dati contenuti all’interno dei RAV (che, come è noto, sono documenti assai corposi, impossibili da comparare a livello regionale senza operazioni di sintesi) e di rappresentarli in una forma aggregata. Questa prima fase di analisi ha avuto la durata di circa due mesi, durante la quale i docenti hanno incontrato periodicamente i membri dell’équipe di ricerca universitaria per condividere esiti intermedi, riflessioni e proposte in merito al processo di analisi delle documentazioni valutative scolastiche. In questa fase sono stati coinvolti anche 8 Tutor scolastici (che hanno coordinato gruppi di docenti, suddivisi per ambiti territoriali) e 2 Tutor universitari, che hanno supportato i docenti nell’ambiente online strutturato appositamente per il progetto, all’interno della piattaforma Moodle http://elearning.forpsicomuniba.it. La seconda fase di analisi ha visto l’aggregazione, da parte dell’équipe di ricerca universitaria, delle analisi intermedie consegnate su piattaforma da ogni singolo docente Scorer. L’équipe di ricerca ha così lavorato su molti dati, ridotti però in forma estremamente sintetica e comparabile. Analizziamo ora i dati riferiti ai giudizi riportati all’interno delle rubriche di autovalutazione. Le rubriche di autovalutazione all’interno del RAV sono delle scale ordinali a 7 livelli, rispetto ai quali lo strumento stesso ha fornito delle indicazioni-guida per i livelli dispari, lasciando invece alle singole scuole la possibilità di inserirsi all’interno dei valori medi (pari) in presenza di situazioni ibride. Più specificamente, i livelli della rubrica hanno rappresentato una situazione molto critica al livello 1; una situazione con qualche criticità al livello 3; una situazione positiva al livello 5; una situazione eccellente al livello 7. Trattandosi di dati quantitativi di tipo discreto essi sono stati trattati statisticamente, individuando gli indici di moda e campo di variazione. Sono state prese in esame le rubriche delle seguenti sezioni del RAV: a) Sezione Esiti: Risultati scolastici; Risultati alle prove standardizzate nazionali; Competenze chiave di cittadinanza; Risultati a distanza;

2

Si precisa che hanno collaborato all’analisi dei RAV e dei PDM, oltre a Loredana Perla e Viviana Vinci, anche Michele Baldassarre e Valeria Tamborra.

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b) Sezione Processi: – Sottosezione Processi - pratiche educative e didattiche: Curricolo, progettazione e valutazione; Ambiente di apprendimento; Inclusione e differenziazione; Continuità e inclusione; – Sottosezione Processi - Pratiche gestionali e organizzative: Orientamento strategico e organizzazione della scuola; Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane; Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie.

PROCESSI PRATICHE EDUCATIVE E DIDATTICHE

PRATICHE GESTIONALI E ORGANIZZATIVE

CONTESTO

ESITI

Popolazione scolastica

Risultati scolastici

Curricolo, progettazione e valutazione

Orientamento strategico e organizzazione della scuola

Territorio e capitale sociale

Risultati nelle prove standardizzate nazionali

Ambiente di apprendimento

Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane

Risorse economiche e materiali

Competenze chiave e di cittadinanza

Inclusione e differenziazione

Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie

Risorse professionali

Risultati a distanza

Continuità e orientamento

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Tab. 1: Struttura del RAV

Tab. 1: Struttura del RAV (cfr. Orientamenti per l’elaborazione del Rapporto di Autovalutazione, p. 4: (cfr. Orientamenti per l’elaborazione del Rapporto di Autovalutazione, p. 4 from http://www.istruzione.it/valutazione/allegati/prot1738_15.pdf)

from http://www.istruzione.it/valutazione/allegati/prot1738_15.pdf)

Il lavoro di analisi dei Rapporti di Autovalutazione è stato svolto dapprima sull’intera popolazione oggetto della ricerca, ossia su tutte le scuole della Regione. In seguito sono state svolte delle analisi comparative sui dati disaggregati per ciclo di istruzione e per ambiti territoriali (sono state analizzate in modo separato le scuole appartenenti alle ex province di Bari – a cui sono stati uniti anche i dati dei territori di BAT Barletta-Andria-Trani – Brindisi, Foggia, Lecce, Taranto). All’interno della sezione “Esiti”, la prima area oggetto di autovalutazione è stata quella dei Risultati scolastici, i quali “rimandano agli esiti degli studenti nel breve e medio periodo” (MIUR, 2014, p. 10) e possono essere valutati utilizzando, come indicatori, gli esiti degli scrutini e il numero di trasferimenti ed abbandoni (COD 2.1.a e 2.1.b), oltre, ovviamente, ad altri indicatori elaborati dalla scuola. Dall’analisi dei dati sia a livello regionale, che per i dati disaggregati per I e II ciclo d’istruzione, è emerso che le scuole si sono autovalutate in modo positivo all’interno delle rubriche di autovalutazione. Il primo grafico (Graf. 1), riportato come esemplificazione del tipo di analisi svolta, rappresenta il posizionamento di tutte le scuole del territorio pugliese espresso nella rubrica di autovalutazione del RAV all’interno della sezione 2.1: Esiti, risultati scolastici.

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Graf.Graf. 1: Sez. 2.12.1Esiti, Risultati Scolastici (dati aggregati Regione Puglia) 1: Sez. Esiti, Risultati Scolastici (dati aggregati Regione Puglia)

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Se le analisi svolte sul dato regionale ci consentono di affermare che le scuole del territorio pugliese si sono valutate in modo prevalentemente positivo in merito agli esiti scolastici, la comparazione con i dati disaggregati per ordine scolastico mostra alcune differenziazioni degne di interesse, e cioè un giudizio tendenzialmente più alto per le scuole del I ciclo (dove la moda è 5, a differenza del II ciclo, in cui è 4).

Graf. 2: Sez. 2.1 Esiti, Risultati Scolastici Graf. 2: Sez. 2.1 Esiti, Risultati Scolastici (dati disaggregati: I ciclo di istruzione) (dati disaggregati: I ciclo di istruzione)

Graf. 3 (dati disaggregati:

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Esiti, Risultati Scolastici

Graf. 3: Sez. 2.1 Esiti, Risultati Scolastici (dati disaggregati: II ciclo di istruzione) Graf. 3: 3 Sez. 2.1 Esiti, Risultati Scolastici (dati disaggregati: II ciclo di istruzione)

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Sempre all’interno della sezione “Esiti”, la seconda area oggetto di autovalutazione è quella dei Risultati alle prove standardizzate nazionali, i quali “consentono di riflettere sul livello di competenze raggiunto dalla scuola in relazione alle scuole del territorio, a quelle con background socio-economico simile e al valore medio nazionale” (MIUR, 2014, p. 12) e possono essere valutati utilizzando, come indicatori, fondamentalmente le prove INVALSI (COD 2.2.a, Risultati degli studenti nelle prove di italiano e matematica; 2.1.b, Livelli di apprendimento degli studenti; 2.2.c, Variabilità dei risultati fra le classi), insieme ad altri indicatori elaborati dalla scuola. L’analisi dei dati ha mostrato una interessante comparazione fra gli esiti riguardanti i Risultati scolastici e gli esiti riguardanti i Risultati alle prove standardizzate nazionali (INVALSI). Pur se all’interno di un quadro positivo, le scuole si sono posizionate globalmente su un livello più basso, e questo gap – fra Risultati scolastici e Risultati alle prove standardizzate nazionali, cfr. tabella successiva – costituisce un elemento di criticità di cui le scuole devono tener conto, anche nella stesura dei Piani di Miglioramento. Sez. 2.1 Esiti, Risultati Scolastici, Autovalutazione Criterio di qualità: La scuola garantisce il successo formativo degli studenti MEDIA

4,98

DEVIAZIONE STANDARD

1,19

MODA

5,00

DEVIAZIONE STANDARD MODA

CAMPO DI VARIAZIONE MIN MAX VALORE 1 2 3 4 5 6 7

1,00 7,00 FREQUENZE 4,00 3,00 108,00 298,00 386,00 297,00 104,00

Sez. 2.2 Esiti, Risultati alle prove standardizzate nazionali, Autovalutazione Criterio di qualità: La scuola assicura l'acquisizione dei livelli essenziali di competenze (misurate con le prove standardizzate nazionali) per tutti gli studenti MEDIA 4,07 1,29 4,00

CAMPO DI VARIAZIONE MIN MAX

% 0,33 0,25 9,00 24,83 32,17 24,75 8,67

VALORE 1 2 3 4 5 6 7

1,00 7,00 FREQUENZE 16,00 132,00 213,00 408,00 262,00 124,00 35,00

% 1,34 11,09 17,90 34,29 22,02 10,42 2,94

2: Comparazione fraEsiti, la Sez. 2.1Scolastici Esiti, Risultati e la Tab.Tab. 2: Comparazione fra la Sez. 2.1 Risultati e la Sez. 2.2Scolastici Esiti, Risultati alleSez. prove2.2 standardizzate nazionali (dati aggregati Regione Puglia) Esiti, Risultati alle prove standardizzate nazionali (dati aggregati Regione Puglia)

Emerge una differenza tra scuole di cicli diversi, con un abbassamento dei valori dei Risultati alle prove standardizzate nazionale nelle scuole del II ciclo. Questo dato, già di per sé indicatore di un lavoro che occorre implementare per il miglioramento dei risultati degli studenti pugliesi alle prove standardizzate nazionali, è confermato dal confronto con i dati INVALSI (sia se consideriamo i livelli di apprendimento nell’anno scolastico 2014/2015, sia quelli del Rapporto INVALSI 2015-16). La terza area della sezione “Esiti” oggetto di autovalutazione è quella delle Competenze chiave e di cittadinanza, che indicano “un insieme di competenze, an-

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che di natura trasversale, ritenute fondamentali per una piena cittadinanza” (MIUR, 2014, p. 15), come le “competenze sociali e civiche (rispetto delle regole, capacità di creare rapporti positivi con gli altri, costruzione del senso di legalità, sviluppo dell’etica della responsabilità e di valori in linea con i principi costituzionali) e le competenze personali legate alla capacità di orientarsi e di agire efficacemente nelle diverse situazioni”, oltre che “la capacità degli studenti di autoregolarsi nella gestione dei compiti scolastici e dello studio” (ivi). Negli Esiti riguardanti le competenze chiave e di cittadinanza la situazione appare positiva sia per i dati aggregati, sia per le scuole del I ciclo; differente, invece, la distribuzione dei valori per le scuole del II ciclo, i cui dati rispecchiano una situazione lievemente più critica. Sez. 2.3 Esiti, Competenze chiave e di cittadinanza Criterio di qualità: La scuola assicura l’acquisizione delle competenze chiave degli studenti

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MEDIA DEV. STANDARD MODA MIN MAX Campo di variazione Valore 1 Valore 2 Valore 3 Valore 4 Valore 5 Valore 6 Valore 7

Dato regionale 4,53 1,02 5 1 7 Frequenze % assolute 1 0,08% 10 0,85% 178 15,08% 381 32,29% 436 36,95% 135 11,44% 39 3,31%

Sc. I ciclo 4,56 0,96 5 2 7

Sc. II ciclo 4,47 1,13 4 1 7

F.A.

%

F.A.

%

0 4 106 244 323 84 20

0 0,51% 13,57% 31,24% 41,36% 10,76% 2,56%

1 6 69 133 111 50 19

0,26% 1,54% 17,74% 34,19% 28,53% 12,85% 4,88%

Tab. 3: Sez. 2.3 Esiti, Competenze chiave e di cittadinanza Tab. 3: Sez. 2.3 Esiti, Competenze chiave e di cittadinanza (dati aggregati Regione Puglia, Sc. I ciclo, Sc. II ciclo) (dati aggregati Regione Puglia, Sc. I ciclo, Sc. II ciclo)

Diverse le interpretazioni suggerite da tale discrepanza. La più evidente è, probabilmente, la difficoltà a saper progettare e valutare per competenze nelle scuole del II ciclo, ove sussiste una maggiore “divisione” fra assi disciplinari e la difficoltà di curricolare la proposta formativa in continuità con quanto fatto nel I ciclo svolto d’istruzione (in estrema sintesi: si denota una certa difficoltà nella realizzazione del curricolo verticale). Un elemento, questo – stando anche alle riflessioni condivise dai docenti Scorer negli incontri di restituzione intermedi dei dati analizzati e di negoziazione dei significati via via emergenti – influenzato molto probabilmente anche dai diversi spazi e tempi collegiali, assai più presenti nella programmazione del I ciclo di istruzione, molto più ristretti nelle scuole del II ciclo di istruzione, con conseguente difficoltà di comunicazione e collaborazione tra i docenti. Anche questo dato pare offrire importanti prospettive di lavoro da implementare nei Piani di Miglioramento. La quarta e ultima area della sezione “Esiti” oggetto di autovalutazione è quella dei Risultati a distanza “nei percorsi di studio a seguito o nell’inserimento nel mondo del lavoro” (MIUR, 2014, p. 18): “Per le scuole del secondo ciclo gli indicatori disponibili centralmente riguardano la quota di studenti iscritti all’università e i crediti universitari conseguiti dagli studenti nel primo e nel secondo anno dopo il diploma; per le scuole del primo ciclo gli indicatori disponibili riguardano l’adozione del consiglio orientativo” (COD 2.4.a. 2.4.b, 2.4.d, 2.4.d). Nella sezione degli Esiti rappre-

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sentativa dei Risultati a distanza, l’esito complessivo è positivo, sia per i dati aggregati, sia per le scuole del I ciclo. La difficoltà emergente – come per le prime sezioni già analizzate – riguarda le scuole del II ciclo: la maggior parte delle scuole si è posizionata sul livello 4 (e non sul 5, come per i dati aggregati e per le scuole del I ciclo). Una delle cause di tale posizionamento maggiormente critico per il II ciclo risiede, probabilmente, nella maggiore difficoltà di monitorare i risultati a distanza degli studenti una volta entrati nel mondo dell’Università e del lavoro. La comparazione per ambito territoriale mostra alcune differenze degne di interesse. Innanzitutto si denota una diversa distribuzione di risposte a partire dalla moda: nelle scuole dei territori di Lecce, Bari-Barletta-Andria-Trani e Foggia è 5, mentre nei territori di Taranto e Brindisi è 4, che denota una situazione “ibrida” fra positivo e ‘qualche criticità’. Le risposte più positive sono quelle delle scuole di Lecce. Sez. 2.4 Esiti, Risultati a distanza Criterio di qualità: La scuola favorisce il successo degli studenti nei successivi percorsi di studio e di lavoro Regione (dato Ba-Bat Brindisi Foggia Lecce Taranto aggregato) MEDIA 4,58 4,68 4,18 4,42 4,95 4,41 DEVIAZIONE 1,26 1,31 1,3 1,32 0,96 1,24 STANDARD MODA 5 5 4 5 5 4 MIN 1 1 1 1 2 1 MAX 7 7 7 7 7 7 Campo di F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % variazione Valore 1 35 - 2,93% 15 - 3,96% 5 - 3,27% 13 - 5,80% 0 2 - 1,12% Valore 2 44 - 3,68% 12 - 3,17% 12 - 7,84% 4 - 1,79% 3 - 1,17% 13 -7,26% Valore 3 87 - 7,28% 24 - 6,33% 20 - 13,07% 21 - 9,38% 6 - 2,33% 15 - 8,38% Valore 4 361 - 30,21% 90 - 23,75% 57 - 37,25% 70 - 31,25% 75 - 29,18% 67 - 37,43% Valore 5 425 - 35,56% 252 - 39,84% 36 - 23,53% 79 - 35,27% 105 - 40,86% 54 - 30,17% Valore 6 179 - 14,98% 63 - 16,62% 19 - 12,42% 27 - 12,05% 53 - 20,62% 17 - 9,50% Valore 7 64 - 5,36% 24 - 6,33% 4 - 2,61% 10 - 4,46% 15 - 6,84% 11 - 6,15%

4: Sez. 2.4 Esiti, Risultati a distanza Tab. 4: Sez. 2.4 Esiti, Risultati aTab. distanza (comparazione dati aggregati12,05% e disaggregati per territorio) (comparazione dati aggregati12,05% e disaggregati per territorio)

I dati mostrano, inoltre, una certa variabilità di risposte per le scuole di Foggia (dove si registrano situazioni di eccellenza e di estrema criticità, di Taranto e di Bari-Barletta-Andria-Trani. Anche questi dati suggeriscono che vi siano situazioni altamente eterogenee negli stessi ambiti territoriali.

3. L’analisi della sezione “Processi” del Rav: l’emersione dei trend per la formazione docente Veniamo ora alla sezione del Rav riguardante i Processi, in cui sono state prese in analisi le pratiche educative comprendenti il curricolo, la progettazione e la valutazione, l’ambiente di apprendimento, l’inclusione e la differenziazione, il processo di continuità e orientamento, lo sviluppo e la valorizzazione delle Risorse Umane, il grado di integrazione con il territorio e i rapporti con le famiglie. All’interno della sezione “Processi”, la prima area oggetto di autovalutazione è stata quella del Curricolo, progettazione e valutazione, analizzata utilizzando, come indicatori, il Curricolo (COD 3.1.a), le Politiche scolastiche di istituto (3.1.b), la

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progettazione didattica (3.1.c), la presenza di prove strutturate per classi parallele (3.1.d), insieme ad altri indicatori elaborati dalla scuola in relazione a 3 sotto-aree: – la definizione e l’articolazione del curricolo di istituto e delle attività di ampliamento dell’offerta formativa; – le modalità di progettazione didattica; – le modalità di valutazione degli studenti e di utilizzo dei risultati della valutazione. La situazione si è confermata pressoché uniforme e positiva per quanto riguarda i dati aggregati a livello regionale per le scuole del I ciclo: le scuole si sono posizionate, nella sezione Processi, pratiche educative e didattiche, Curricolo, progettazione e valutazione, sul valore della rubrica 5, quindi su un livello positivo, che denota la capacità di progettare attività didattiche coerenti con il curricolo, di valutare gli studenti attraverso strumenti condivisi e sensibili alle specificità del contesto. Nelle scuole del II ciclo, invece, il livello maggiormente indicato nelle rubriche di autovalutazione è 4 e più elevate risultano le percentuali di risposta sui livelli più bassi, che denotano situazioni di criticità.

200

Sez. 3A.1 Processi, pratiche educative e didattiche, Curricolo, progettazione e valutazione Criterio di qualità: La scuola propone un curricolo aderente alle esigenze del contesto, progetta attività didattiche coerenti con il curricolo, valuta gli studenti utilizzando criteri e strumenti condivisi Dato regionale Sc. I ciclo Sc. II ciclo MEDIA 4,50 4,54 4,43 DEV. STANDARD 1,01 0,99 1,06 MODA 5 5 4 MIN 1 1 2 MAX 7 7 7 Frequenze Campo di variazione % F.A. % F.A. % assolute Valore 1 2 0,17% 2 0,25% 0 1,79% Valore 2 25 2,11% 18 2,29% 7 18,37% Valore 3 151 12,72% 77 9,80% 72 18,42% Valore 4 410 34,54% 275 34,99% 131 33,42% Valore 5 413 34,79% 297 37,79% 113 28,83% Valore 6 167 14,07% 103 13,10% 64 16,33% Valore 7 19 1,60% 14 1,78% 5 1,28% 5: Sez.3A.1 3A.1 Processi, Processi, pratiche educative e didattiche, Curricolo, Curricolo, progettazioneprogettazione e valutazione Tab.Tab. 5: Sez. pratiche educative e didattiche, e valutazione (dati regionali aggregati, dati disaggregati per ciclo istruzione) (dati regionali aggregati, datididisaggregati per ciclo di istruzione)

All’interno della sezione “Processi”, la seconda area oggetto di autovalutazione è quella denominata Ambiente di apprendimento, che può essere valutata utilizzando come indicatori la durata delle lezioni (COD 3.2.a), l’organizzazione oraria (3.2.b), le attività e strategie didattiche (3.2.c), gli episodi problematici (3.2.d), il clima scolastico (3.2.e), insieme ad altri indicatori elaborati dalla scuola in relazione a 3 sotto-aree: – Dimensione organizzativa - flessibilità nell’utilizzo di spazi e tempi in funzione della didattica (laboratori, orario scolastico, ecc.); – Dimensione metodologica - promozione e sostegno all’utilizzo di metodologie didattiche innovative (gruppi di livello, classi aperte, ecc.); – Dimensione relazionale - definizione e rispetto di regole di comportamento a scuola e in classe, gestione dei conflitti con gli studenti.

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L’analisi del dato aggregato a livello regionale ha mostrato una valutazione positiva; la tendenza riscontrata in altre sezioni - ossia valori più elevati nelle scuole del I ciclo rispetto a quelle del II - è confermata anche nella sezione Processi, pratiche educative e didattiche, Ambiente di apprendimento. Sez. 3.A.2 Processi, pratiche educative e didattiche, Ambiente di apprendimento Criterio di qualità: La scuola offre un ambiente di apprendimento innovativo, curando gli aspetti organizzativi, metodologici e relazionali del lavoro d'aula Regione Sc. I ciclo Sc. II ciclo Ba-Bat Brindisi Foggia Lecce Taranto (dato aggregato) MEDIA 4,66 4,63 4,72 4,71 4,69 4,49 4,71 4,66 DEVIAZIONE 0,98 0,93 1,07 0,94 1,1 1,02 0,91 0,98 STANDARD MODA 5 5 4 5 4 4 5 5 MIN 2 2 3 2 2 2 3 3 MAX 7 7 7 7 7 7 7 7 Campo di F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % variazione Valore 1 0 0 0 0 0 0 0 0 Valore 2 5 – 0,42% 5 - 0,64% 0 1 – 0,27% 2 – 1,33% 2 – 0,89% 0 0 Valore 3 118 – 9,96% 70 -8,96% 47 – 11,93% 33 – 8,75% 15 – 10% 31 – 16 – 6,32% 23 – 13,84% 12,92% Valore 4 413 - 34,85% 279 – 35,72% 133 - 33,76% 121 – 55 87 95 54 – 32,10% 36,67% 38,84% 37,55% 30,34% Valore 5 426 - 35,95% 299 - 38,28% 123 – 31,22% 148 – 43 – 72 – 96 65 – 39,26% 28,67% 32,14% 37,94% 36,52% Valore 6 185 – 15,61% 114 – 14,60% 67 – 17,01% 66 – 17,51% 26 – 23 – 38 – 33 – 17,33% 10,27% 15,02% 18,54% Valore 7 38 – 3,21% 14 – 1,79% 24 – 6,09% 8 – 2,12% 9 – 6% 9 – 4,02% 8 – 3,16% 3 – 1,69% Tab.6: 6: Sez. 3.A.2 Processi, pratiche educative e didattiche, Ambienteedididattiche, apprendimento Ambiente di apprendimento Tab. Sez. 3.A.2 Processi, pratiche educative (comparazione dati aggregati e disaggregati) (comparazione dati aggregati e disaggregati)

Si registrano alcune differenze disaggregando i dati per ambito territoriale: la moda per i territori di Taranto e Bari-Barletta-Andria-Trani è 5, mentre è 4 per i territori di Brindisi e di Foggia; si registra una situazione bimodale per il territorio di Lecce; le maggiori criticità sono segnalate dalle scuole di Foggia. Si evince inoltre un innalzamento complessivo dei valori per le scuole del territorio di Taranto (che mostrano, per l’area “Ambiente di apprendimento”, dei valori più alti rispetto a quelli registrati in altre aree). All’interno della sezione “Processi”, la terza area oggetto di autovalutazione è denominata Inclusione e differenziazione, che rimanda alle “strategie adottate dalla scuola per la promozione dei processi di inclusione e il rispetto delle diversità”, “l’adeguamento dei processi di insegnamento e di apprendimento ai bisogni formativi di ciascun allievo nel lavoro d’aula e nelle altre situazioni educative” (MIUR, 2014, p. 30). Si suddivide in due sottoaree, da cui discendono gli indicatori che la scuola può elaborare per la valutazione: – inclusione – modalità di inclusione degli studenti con disabilità, con bisogni educativi speciali e degli studenti stranieri da poco in Italia; azioni di valorizzazione e gestione delle differenze; )" – "recupero e Potenziamento – modalità di adeguamento dei processi di insegnamento ai bisogni formativi di ciascun allievo. Il dato uniformemente positivo, sia aggregato che a livello di I e II ciclo di istruzione – e, più in generale, con una percentuale di risposte positive più alta rispetto alle altre – riguarda la sezione Processi, pratiche educative e didattiche, Inclusione e differenziazione: ben il 45,78% delle scuole pugliesi ha indicato il livello 5 nelle rubriche di autovalutazione.

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Sez. 3.A.3 Processi, pratiche educative e didattiche, Inclusione e differenziazione Criterio di qualità: La scuola cura l’inclusione degli studenti con bisogni educativi speciali, valorizza le differenze culturali, adegua l’insegnamento ai bisogni formativi di ciascun allievo attraverso percorsi di recupero e potenziamento Regione Sc. I ciclo Sc. II ciclo Ba-Bat Brindisi Foggia Lecce Taranto (dato aggregato) MEDIA 5,01 5,01 5 5,09 4,88 4,91 5,02 5,06 DEVIAZIONE 0,95 0,96 0,95 0,9 0,85 1,06 0,95 1 STANDARD MODA 5 5 5 5 5 5 5 5 MIN 2 2 2 3 3 2 3 2 MAX 7 7 7 7 7 7 7 7 Campo di F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % F.a. - % variazione Valore 1 0 0 0 0 0 0 0 0 Valore 2 3 – 0,25% 2 – 0,26% 1 – 0,25% 0 0 1 – 0,45% 0 2 -1,11% Valore 3 66 – 5,57% 39 – 5% 28 – 7,09% 16 – 4,28% 3 – 1,99% 25 – 10 – 3,98% 13 – 7,22% 11,21% Valore 4 245 – 20,69% 170 – 21,79% 74 – 18,73% 65 – 17,38% 47 – 41 – 66 – 24 – 31,13% 18,39% 26,29% 13,33% Valore 5 542 – 45,78% 361 – 46,28% 175 – 44,30% 186 – 74 – 95 99 – 83 – 49,73% 49,01% 42,60% 39,44% 46,11% Valore 6 259 – 21,88% 154 – 19,74% 102 – 25,82% 83 – 22,19% 19 – 47 – 62 – 49 – 12,58% 21,08% 24,70% 27,22% Valore 7 69 – 5,83% 54 – 6,92% 15 – 3,80% 24 – 6,42% 8 5,30% 14 – 6,28% 14 – 5,58% 9 – 5%

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Tab.7:7: Sez. Sez. 3.A.2 Processi, pratiche educative e didattiche, Ambienteedididattiche, apprendimento Ambiente di apprendimento Tab. 3.A.2 Processi, pratiche educative (comparazione dati aggregati e disaggregati) (comparazione dati aggregati e disaggregati)

Questo dato è di un certo interesse e può essere interpretato in maniera duplice, quindi appare meritevole di ulteriori approfondimenti. Per un verso, infatti, può indicare un’autovalutazione unanimemente positiva nell’area dell’inclusione, a testimonianza di una sensibilità diffusa e di un lavoro efficace – senza situazioni critiche o altamente differenziate – che la Scuola pugliese sta svolgendo in risposta agli studenti con specifici bisogni formativi, in relazione all’educazione interculturale, alla differenziazione dei percorsi didattici, alla rimozione degli ostacoli alla partecipazione e al coinvolgimento di tutti gli “attori” della comunità scolastica. Per altro verso, però, ci si interroga su quali significati siano stati attribuiti al concetto di inclusione, spesso considerato “termine ombrello” che con difficoltà si sostanzia nella pratica didattica e che richiede un lungo processo di cambiamento, strutturale e culturale (Perla, 2013). Il dato, nella sua ambiguità interpretativa, suggerisce di indagare ulteriormente l’autovalutazione delle scuole pugliesi in questa area, a partire ad esempio da un’analisi della documentazione scolastica inclusiva e degli indicatori elaborati dalle scuole per l’autovalutazione dell’inclusione. Coerentemente con quanto già detto per i dati aggregati a livello regionale e disaggregati per ciclo di istruzione, anche negli ambiti territoriali il quadro appare positivo, *" in tutte i territori pugliesi. " quarta area della sezione “Processi” oggetto di autovalutazione è denomiLa nata Continuità e orientamento, che rimanda alle “attività per garantire la continuità dei percorsi scolastici. Attività finalizzate all’orientamento personale, scolastico e professionale degli allievi” (MIUR, 2014, p. 34). Tale area è suddivisa in due sottoaree, da cui discendono gli indicatori che la scuola può elaborare per la valutazione: – Continuità – azioni intraprese dalla scuola per assicurare la continuità educativa nel passaggio da un ordine di scuola all’altro; – Orientamento – azioni intraprese dalla scuola per orientare gli studenti alla conoscenza del sé e alla scelta degli indirizzi di studio successivi.

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Sez. 3.A.4 Processi, Pratiche educative e didattiche, Continuità e orientamento Criterio di qualità: La scuola garantisce la continuità dei percorsi scolastici e cura l'orientamento personale, scolastico e professionale degli studenti Dato regionale Sc. I ciclo Sc. II ciclo MEDIA 4,52 4,54 4,48 DEV. STANDARD 0,98 0,96 1,02 MODA 4 4 4 MIN 2 2 2 MAX 7 7 7 Frequenze Campo di variazione % F.A. % F.A. % assolute Valore 1 0 0 0 Valore 2 10 0,84% 3 0,38% 7 1,78% Valore 3 151 12,67% 99 12,53% 51 12,98% Valore 4 453 38% 292 36,96% 159 40,46% Valore 5 395 33,14% 283 35,82% 106 26,97% Valore 6 155 13% 92 11,65% 63 16,03% Valore 7 28 2,35% 21 2,66% 7 1,78% Sez. 3.A.4 Processi, Pratiche Pratiche educative e didattiche, ContinuitàContinuità e orientamentoe orientamento Tab. 8: Tab. Sez.8:3.A.4 Processi, educative e didattiche, (dati aggregati(dati Regione Puglia, Sc. I ciclo, Sc.Puglia, II ciclo) Sc. I ciclo, Sc. II ciclo) aggregati Regione

Per quanto riguarda la sezione Processi, Pratiche educative e didattiche, Continuità e orientamento vi è un abbassamento del giudizio espresso nelle rubriche di autovalutazione: il 38% delle scuole pugliesi ha indicato il livello 4. I dati emergenti dall’analisi delle risposte all’area “Continuità e orientamento” – che, rispetto a quelli precedentemente analizzati, mostrano una diminuzione di giudizio con uno spostamento della moda dal valore 5 a 4, soprattutto nelle scuole del II ciclo – ci offrono un ulteriore elemento di riflessione sulla necessità di accompagnare le Scuole pugliesi nell’attivazione di strategie più efficaci per garantire continuità e orientamento fra gradi scolastici, ancor più fra Scuola e Università. Occorre, infatti, che le attività finalizzate ad accompagnare gli studenti nel passaggio da un ordine di scuola all’altro/all’Università non solo siano attivate, ma anche monitorate, condivise con le famiglie, pubblicizzate nel territorio: l’autovalutazione delle Scuole pugliesi ha mostrato l’importanza di implementare e sostenere percorsi più incisivi in tale direzione. All’interno della sezione “Processi” (precisamente nella sottosezione Processi, Pratiche gestionali e organizzative) la quinta area oggetto di autovalutazione è denominata Orientamento Strategico e organizzazione della scuola, suddivisa in quattro sottoaree, da cui discendono gli indicatori che la scuola può elaborare per la valutazione: – Missione e obiettivi prioritari – individuazione della missione, scelta delle priorità e loro condivisione interna e esterna; – Controllo dei processi - uso di forme di controllo strategico e monitoraggio dell’azione intrapresa dalla scuola per il conseguimento degli obiettivi individuati (es. pianificazione strategica, misurazione delle performance, strumenti di autovalutazione); – Organizzazione delle risorse umane – individuazione di ruoli di responsabilità " e definizione dei compiti per il personale; – Gestione delle risorse economiche – assegnazione delle risorse per la realizzazione delle priorità.

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Sez. 3B.5 Processi, Pratiche gestionali e organizzative, Orientamento Strategico e organizzazione della scuola Criterio di qualità: La scuola individua le priorità da raggiungere e le persegue dotandosi di sistemi di controllo e monitoraggio, individuando ruoli di responsabilità e compiti per il personale, convogliando le risorse economiche sulle azioni ritenute prioritarie Dato regionale Sc. I ciclo Sc. II ciclo MEDIA 4,72 4,72 4,73 DEV. STANDARD 1,05 1,04 1,07 MODA 4 4 5 MIN 2 2 2 MAX 7 7 7 Frequenze Campo di variazione % F.A. % F.A. % assolute Valore 1 0 0 0 Valore 2 5 0,42% 2 0,25% 3 0,76% Valore 3 119 9,97% 78 9,85% 41 10,43% Valore 4 409 34,25% 279 35,23% 127 32,32% Valore 5 400 33,50% 261 32,95% 134 34,10% Valore 6 192 16,08% 127 16,04% 65 16,54% Valore 7 69 5,78% 45 5,68% 23 5,85%

9: Sez. Pratiche 3B.5 Processi, gestionali e organizzative, Tab. 9: Sez.Tab. 3B.5 Processi, gestionali ePratiche organizzative, Orientamento Strategico e organizzazione della scuola (dati aggregati Regione Puglia,Strategico Sc. I ciclo, Sc.eIIorganizzazione ciclo) Orientamento della scuola

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(dati aggregati Regione Puglia, Sc. I ciclo, Sc. II ciclo)

L’abbassamento del giudizio espresso nelle rubriche di autovalutazione già riscontrato nella sezione Processi, Pratiche educative e didattiche, Continuità e orientamento vale anche per la sezione Processi, Pratiche gestionali e organizzative, Orientamento Strategico e organizzazione della scuola dove la moda è 4 sia a livello regionale, che nel I ciclo di istruzione; più alto, invece, il giudizio espresso dalle scuole del II ciclo di istruzione, dove la moda è 5. Questo dato è di un certo interesse perché si discosta dalle comparazioni per cicli scolastici precedentemente analizzate, in cui spesso il giudizio si è attestato su valori mediamente più alti per il I ciclo. Dai dati analizzati si evince come – seppur con uno scostamento minimo – la valutazione del II ciclo appaia più positiva rispetto a quella del I ciclo (e, sicuramente con un certo stacco, appare positiva rispetto alle valutazioni delle scuole del II ciclo in altre aree). Ciò a testimonianza che uno dei “punti di forza” che si riconosce la scuola pugliese del II ciclo è proprio l’area dell’orientamento strategico, del management scolastico, dell’organizzazione e gestione delle risorse umane ed economiche. La sesta area della sezione “Processi” oggetto di autovalutazione è quella denominata Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, definita come “capacità della scuola di prendersi cura delle competenze del personale, investendo nella formazione e promuovendo un ambiente organizzativo per far crescere il capitale professionale dell’istituto” (MIUR, 2014, p. 43). Tale area è suddivisa in tre sottoaree, da cui discendono gli indicatori che la scuola può elaborare per la valutazione: – Formazione: azioni intraprese, finanziate dalla scuola o da altri soggetti, per l’aggiornamento professionale del personale; " – Valorizzazione delle competenze: raccolta delle competenze del personale e loro utilizzo (l’assegnazione di incarichi, formazione tra pari, ecc.); – Collaborazione tra insegnanti: attività in gruppi di lavoro e condivisione di strumenti e materiali didattici.

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Nell’analisi della sezione riguardante lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse umane, la scuola pugliese si è posizionata su livelli medi della rubrica, con una distribuzione bimodale. Nella comparazione per cicli scolastici emerge qualche differenziazione: nel I ciclo il giudizio rispecchia la tendenza emergente a livello regionale, ossia la divisione delle risposte sostanzialmente su due livelli di giudizio (con una situazione bimodale); nel II ciclo aumenta la variabilità delle risposte, con un aumento sia dei valori più critici che di quelli di eccellenza. All’interno della sezione “Processi”, la settima area oggetto di autovalutazione è denominata Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie, definita come la “capacità della scuola di proporsi come partner strategico di reti territoriali e di coordinare i diversi soggetti che hanno responsabilità per le politiche dell’istruzione nel territorio. Capacità di coinvolgere le famiglie nel progetto formativo” (MIUR, 2014, p. 47). Tale area è suddivisa in due sottoaree, da cui discendono gli indicatori per la valutazione: – Collaborazione con il territorio – promozione di reti e accordi con il territorio a fini formativi; – Coinvolgimento delle famiglie – capacità di confrontarsi con le famiglie per la definizione dell’offerta formativa e sui diversi aspetti della vita scolastica. Elevati i giudizi - sia a livello regionale che comparando le scuole per cicli scolastici (con un lieve incremento di risposte positive per il I ciclo) - nell’ultima sezione, quella riguardante l’integrazione con il territorio e con le famiglie. Sez. 3b.7 Processi, Pratiche gestionali e organizzative, Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie Criterio di qualità: La scuola svolge un ruolo propositivo nella promozione di politiche formative territoriali e coinvolge le famiglie nella definizione dell’offerta formativa Dato regionale Sc. I ciclo Sc. II ciclo MEDIA 4,77 4,75 4,79 DEV. STANDARD 1,03 1,03 1,05 MODA 5 5 5 MIN 2 2 1 MAX 7 7 7 Frequenze Campo di variazione % F.A. % F.A. % assolute Valore 1 0 0 0 0 Valore 2 11 0,94% 10 1,28% 1 0,27% Valore 3 117 9,99% 75 9,59% 39 10,40% Valore 4 323 27,58% 219 28,01% 103 27,47% Valore 5 454 38,77% 306 39,13% 142 37,87% Valore 6 215 18,36% 139 17,77% 72 19,20% Valore 7 51 4,36% 33 4,22% 18 4,80%

Tab. 3b.7 Processi, Pratiche gestionali e organizzative, Tab. 10: Sex. 10: 3b.7 Sex. Processi, Pratiche gestionali e organizzative, Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie (dati aggregati Regione Puglia, Sc. il I ciclo, Sc. II ciclo) Integrazione con territorio e rapporti con le famiglie (dati aggregati Regione Puglia, Sc. I ciclo, Sc. II ciclo)

L’analisi dei RAV ha evidenziato, in generale, una tendenza delle Scuole pugliesi ad autovalutarsi positivamente, il che ha legittimato la formulazione di due interpretazioni: la prima ha considerato il dato ottenuto come il “riflesso” effettivo della realtà oggetto di valutazione; la seconda ha posto il dubbio di una possibile deformazione del processo di autovalutazione delle Scuole nel “rendicontare” situazioni e performance di qualità elevata (si consideri che i dati dei RAV sono pubblici e disponibili su Scuola in chiaro, per cui è plausibile che alcune scuole si siano “valutate bene”, secondo il principio della desiderabilità sociale, in parte implicito nei processi autova-

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lutativi). L’analisi disaggregata dei dati ha evidenziato un certo abbassamento nei giudizi di autovalutazione per il II ciclo rispetto al I ciclo: come interpretiamo tale dato? Per un verso, in alcune sezioni è possibile che le scuole del II ciclo abbiano manifestato effettivamente situazioni di criticità maggiori, ad esempio relativamente alla sezione degli esiti riguardanti le Competenze chiave di cittadinanza. Ma tali criticità sono emerse anche negli incontri di restituzione degli esiti intermedi dell’analisi dei dati: sono stati proprio i docenti a testimoniare la difficoltà di lavorare, nelle scuole del II ciclo, alla costruzione del curricolo verticale valorizzando la didattica per competenze e l’interdisciplinarità, a fronte di una separazione ancora netta fra discipline (elemento che è emerso, in maniera chiara ed evidente, anche dalle risultanze di una recente ricerca di rete fra Licei pugliesi; cfr. Perla, 2014). A queste due prime interpretazioni potremmo aggiungerne forse una terza, in parte confermata anche dai dati del Rapporto INVALSI 2016 – in particolare dalla sezione riguardante il “valore aggiunto delle scuole”, che al Sud e nelle isole si differenzia rispetto al Centro e soprattutto al Nord per una maggiore presenza di scuole con valore aggiunto negativo, mentre quelle con valore aggiunto positivo o nullo sono più uniformemente distribuite tra le diverse aree del Paese (pp. 92) – ossia la presenza di una mappatura scolastica fortemente eterogenea, in cui sussistono nello stesso territorio realtà di eccellenza e altre con forti criticità. Come sostiene Trinchero (2014, p. 40), «la comparazione dei risultati delle scuole e la quantificazione del valore aggiunto permettono di individuare le scuole o le classi che ottengono risultati, positivi o negativi, che si discostano significativamente da quelli di un gruppo di riferimento, ma non ci dice nulla sul perché in quella data classe/scuola si siano verificati quei risultati. La quantificazione del valore aggiunto può contribuire a formulare meglio gli interrogativi su cui poi i processi di autovalutazione di istituto dovranno focalizzarsi» (sul tema cfr. anche Rosa & Silva 2014; Giovannini, 2012). Nella ricerca “Orizzonti della valutazione” le comparazioni dei dati effettuate per ambiti territoriali hanno evidenziato un’alta variabilità nella distribuzione delle risposte, il che conferma l’idea che la Scuola pugliese sia davvero una realtà “a macchia di leopardo”: negli stessi ambiti territoriali sussistono situazioni valutate eccellenti e altre critiche, come si è evinto in modo evidente nell’analisi di alcune aree (Esiti: Risultati a distanza, Processi: Continuità e orientamento, Processi: Orientamento strategico e organizzazione della scuola). Fra le risultanze critiche emerge una sensibile diminuzione di livello negli esiti “Risultati alle prove standardizzate nazionali” rispetto agli esiti Risultati scolastici (elemento, si è detto, confermato anche dai dati INVALSI), a testimonianza di un lavoro che occorre indubbiamente implementare per migliorare i risultati degli studenti pugliesi alle prove standardizzate nazionali. Anche qui si ripropone il ragionevole dubbio: sono le Scuole troppo generose nell’autovalutarsi o sono le prove standardizzate insufficienti a cogliere la realtà complessa dell’agire didattico? Un quesito che abbraccia forse, più in generale, il quadro internazionale della valutazione degli apprendimenti scolastici, un quadro variegato che mostra come i diversi sistemi nazionali di valutazione si collochino «lungo un continuum tra istanze di accountability e di development, di centralizzazione e decentralizzazione, di valutazione sommativa e formativa» (Vivanet, 2014, p. 16). Una seconda area emergente con maggiori criticità risulta quella dei Processi, Continuità e orientamento: l’autovalutazione ha mostrato l’importanza di accompagnare le Scuole pugliesi nell’attivazione di strategie più efficaci per garantire non solo l’attivazione di azioni finalizzate ad accompagnare gli studenti nel passaggio da un ordine di scuola all’altro/all’università, ma anche il monitoraggio di tali attività e la loro condivisione con le famiglie, oltre che la loro pubblicizzazione sul territorio.

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4. La co-analisi dei Piani di Miglioramento (PdM) delle Scuole pugliesi Anche l’analisi dei Piani di Miglioramento ha portato alla luce non pochi elementi utili per una riflessione ex post. Dall’analisi dei dati è emersa l’urgenza di uniformare le modellistiche di monitoraggio del processo di autovalutazione e progettazione per il miglioramento delle scuole, e la necessità di omogeneizzare il “format” PdM che nell’indagine ha palesato un alto grado di difformità fra contesti. Delle 561 scuole prese in esame (in numero inferiore alla popolazione considerata nell’analisi dei RAV, in quanto solo 212 docenti Scorer hanno consegnato le analisi dei piani di miglioramento), 96 risulta non abbiano pubblicato il piano di miglioramento e 101 ne hanno pubblicato una versione non valutabile (perché brevi sintesi inserite nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa da cui risulta impossibile trarre informazioni precise). 204 PdM sono stati presentati utilizzando un format INDIRE e 160 hanno usato altri formati costruiti dalle Scuole stesse. Dall’analisi dei PdM è emerso che ciascuna scuola ha individuato delle priorità strategiche scelte a partire dalle sub-aree della sezione “esiti” del Rapporto di Autovalutazione: risultati scolastici; risultati alle prove standardizzate nazionali; competenze chiave di cittadinanza; risultati a distanza. Dai dati raccolti è emersa, in merito all’intero territorio regionale, una generale tendenza delle scuole ad individuare le proprie priorità strategiche prevalentemente nelle aree dei risultati alle prove standardizzate nazionali (63,5%) e delle competenze chiave di cittadinanza (62,1%). In linea con quanto emerso dall’analisi dei Rapporti di Autovalutazione emerge, invece, una percentuale più bassa nell’individuazione di priorità strategiche all’interno dell’area Risultati a distanza (24,4%). Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che a livello regionale la maggior parte delle scuole ha individuato i propri obiettivi principalmente nell’area del curricolo, progettazione e valutazione (88,2% delle scuole); a seguire, il 53,3% delle scuole ha individuato i propri obiettivi nell’ambito dell’ambiente di apprendimento, il 45,9% nell’area dello sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, il 39,6% nell’area della continuità e orientamento, il 38,7% nell’area dell’inclusione e differenziazione, il 36,5% nell’area dell’integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie e il 33,2% nell’area dell’orientamento strategico e organizzazione della scuola. Per quanto riguarda gli obiettivi di processo, sono stati anche raccolti i dati in merito al numero di aree in cui ciascuna scuola ha individuato i propri obiettivi. In generale, a livello regionale, le aree d’interesse sono state in media 3,5 con una deviazione standard pari a 1,87, il che indica una rilevante variabilità interna ai dati. Nello specifico si rileva che le scuole hanno individuato principalmente i propri obiettivi all’interno di due aree (83 scuole, pari al 22,8%) e di tre aree (78 scuole, pari al 21,4%). Rilevante notare che si registrano delle alte frequenze nella scelta 4 aree di processo (61 scuole, pari al 16,8%), 5 aree (31 scuole, pari all’8,5%) e 7 aree (49 scuole, pari al 13,5%). Dalla comparazione dei campi di variazione relativi alla scelta delle aree di processo in cui individuare gli obiettivi di tutte le scuole pugliesi, delle scuole del primo ciclo e di quelle del secondo ciclo d’istruzione, emerge che a livello regionale la maggior parte delle scuole ha individuato 2 aree di processo (22,8%); tale dato è confermato anche per le scuole del primo ciclo (25,9%). Differente la situazione delle scuole del secondo ciclo, infatti la maggioranza delle scuole, il 22,1% ha scelto 7 aree di processo. È stata rilevato, inoltre, il livello di coerenza tra le priorità e gli obiettivi che le scuole hanno individuato, attraverso una scala likert a 4 punti (dove 1 = per niente, 2 = scarsamente, 3 = sufficientemente, 4 = perfettamente). Dall’analisi dei dati rac-

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colti emerge che in media la coerenza tra priorità e obiettivi si attesta attorno a 3,25, con una deviazione standard pari a 0,71. È apparso evidente, da parte delle Scuole, l’esigenza di un accompagnamento mirato nella redazione dei Piani di Miglioramento per incrementare il grado di coerenza interna fra le aree di criticità emergenti dal Rav e le Priorità strategiche e gli obiettivi di processo (questi ultimi, spesso, in un numero eccessivo) individuati nel PdM. Nitide appaiono le priorità strategiche individuate dalle Scuole della Puglia: acquisire competenze autovalutative/valutative attraverso una formazione mirata a modelli gestionali di valutazione sensibili al protagonismo docente - modelli ermeneutici ma rigorosi nei dispositivi da usare - e alla triangolazione del dato (fra tre soggettività in gioco: docente scorer- ricercatore- docente/dirigente di Scuola) e l’urgenza di un accompagnamento formativo sui temi del curricolo verticale e della didattica per competenze. Stupisce, invece, che gli obiettivi con rilevanza più bassa abbiano riguardano aspetti quali la continuità e l’orientamento, i rapporti con il territorio e le famiglie, l’inclusione e la differenziazione. Forse sono dati per scontati o, forse, se facciamo il paio di questi risultati con quelli delle prove standardizzate Invalsi depurate dal dato contestuale, questi dati offrono la conferma della necessità di lavorare su temi forse messi in ombra dall’investimento manageriale e organizzativo di sistema che le Scuole hanno promosso negli ultimi anni. Un elemento in più, questo, per i decisori delle politiche della formazione, per operare scelte sintoniche con i bisogni concreti ma talvolta non esplicitamente avvertiti da insegnanti e dirigenti.

5. Verso la co-costruzione del nuovo format di Piano di Miglioramento da sperimentare nelle scuole pugliesi Lo scopo prioritario del progetto “Orizzonti della valutazione” è stato quello di far emergere i “bisogni di formazione” delle Scuole pugliesi disegnando itinerari modellati sul bisogno espresso e rilevato attraverso l’indagine di Rav e Pdm. Come si è già precedentemente evidenziato, dall’analisi dei dati è emersa l’urgenza di uniformare le modellistiche di monitoraggio del processo di autovalutazione e progettazione per il miglioramento delle scuole: in particolare, per quanto riguarda il Piano di Miglioramento, le risultanze hanno messo in luce la presenza di format documentali assai difformi, quali, ad esempio, il modello INDIRE, il modello CAF all’interno del format FORMIUR-FORMEZ.PA, il modello VALES e altri format “misti” strutturati dalle scuole sulla base di bandi regionali o di adattamenti di più modelli. Fra le diverse modellistiche utilizzate, ne compariamo due, esempi paradigmatici di possibili percorsi progettuali con un livello di strutturazione molto differente: il modello INDIRE e il modello USR Puglia. La maggior parte delle scuole, si è detto, hanno utilizzato il modello INDIRE (precisamente 204 su 364), il quale si compone di quattro sezioni piuttosto articolate e di seguito sintetizzate (cfr. http://miglioramento.indire.it/supportoscuole/ istituti/pdm_indire_2015.pdf):

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SEZIONE 1 - Scegliere gli obiettivi di processo più rilevanti e necessari in tre passi Passo 1 - Verificare la congruenza tra obiettivi di processo e priorità/traguardi Passo 2 - Elaborare una scala di rilevanza degli obiettivi di processo (attraverso il prodotto dei valori numerici attribuiti alla fattibilità e all’ impatto di ciascuno degli obiettivi di processo elencati, con un punteggio esprimibile da 1 = nulla a 5 = del tutto) Passo 3 - Ridefinire l’elenco degli obiettivi di processo, i risultati attesi, gli indicatori di monitoraggio del processo e le modalità di misurazione dei risultati SEZIONE 2 - Decidere le azioni per raggiungere ciascun obiettivo di processo in due passi Passo 1 - Ipotizzare le azioni da compiere considerandone anche i possibili effetti negativi e positivi nel medio e nel lungo termine Passo 2 - Rapportare gli effetti delle azioni a un quadro di riferimento innovativo SEZIONE 3 - Pianificare le azioni di ciascun obiettivo di processo in tre passi Passo 1 - Definire l’impegno delle risorse umane e le risorse strumentali Passo 2 - Definire i tempi di attuazione delle attività Passo 3 - Programmare il monitoraggio periodico dello stato di avanzamento del raggiungimento dell’obiettivo di processo SEZIONE 4 - Valutare, condividere e diffondere i risultati del piano di miglioramento in quattro passi Passo 1 - Valutare i risultati raggiunti sulla base degli indicatori relativi ai traguardi del RAV Passo 2 - Descrivere i processi di condivisione del piano all’interno della scuola Passo 3 - Descrivere le modalità di diffusione dei risultati del PdM sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione scolastica. Passo 4 - Descrivere le modalità di lavoro del Nucleo di Autovalutazione

Tab. 11: Sintesi del modello INDIRE Tab. 11: Sintesi del modello INDIRE

209

Il modello INDIRE, pur essendo stato maggiormente utilizzato dalle scuole pugliesi, mostra un livello di strutturazione e di analiticità talvolta ritenuto eccessivo: in particolare nella descrizione della scala di rilevanza degli obiettivi di processo e nella sezione 4 sulla Valutazione dei risultati del piano di miglioramento (cfr. tabelle successive), diversi docenti Scorer hanno condiviso la difficoltà di ricongiungere tali informazioni dettagliate con la ‘logica di insieme’ che dovrebbe legare priorità, traguardi, obiettivi di processo, RAV e PdM. Obiettivo di processo elencati

Fattibilità (da 1 a 5)

Impatto (da 1 a 5)

Prodotto: valore che identifica la rilevanza dell’intervento

1 2 3 4 5 6

Tab. 12: Calcolo della necessità dell’intervento base di fattibilità e impatto (fonte: INDIRE) Tab. 12: Calcolo della necessità dell’interventosulla sulla base di fattibilità e impatto (fonte: INDIRE)

Priorità 1 Esiti degli studenti (dalla sez. 5 del RAV)

Traguar do (dalla sez. 5 del RAV)

Data rilevazione

Indicatori scelti

Risultati attesi

Risultati riscontrati

Differenza

Considerazioni critiche e proposte di integrazione e/ o modifica

!$"

" Tab. Lavalutazione valutazione in itinere dei traguardi legati agli ESITI (fonte: INDIRE) Tab.13: 13: La in itinere dei traguardi legati agli ESITI (fonte: INDIRE)

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Dall’analisi dei dati e dagli incontri di monitoraggio con i docenti Scorer, inoltre, è emerso come le scuole abbiano scelto un numero di obiettivi di processo talvolta eccessivamente elevato (cfr. tab. successiva), con la difficoltà di definire, per ogni obiettivo di processo, le azioni e modalità concrete per il loro raggiungimento. Area di processo

Obiettivi di processo

È connesso alle priorità 1

Curricolo, progettazione e valutazione

Ambiente di apprendimento

Inclusione e differenziazione

ContinuitË e orientamento

210

Orientamento strategico e organizzazione della scuola

Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane

Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie

2

1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4

14: Relazione obiettivi di e priorità strategiche (fonte: INDIRE) Tab. 14:Tab. Relazione tratra obiettivi diprocesso processo e priorità strategiche (fonte: INDIRE)

Comparando il modello INDIRE con uno differente, osserviamo come diverse scuole abbiano utilizzato il formulario per la stesura del Piano di Miglioramento diffuso dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, diffuso tramite bando ad evidenza pubblica finalizzato alla selezione e al finanziamento di progetti finalizzati all’Implementazione del Sistema Nazionale di Valutazione, come da DM 435 art. 25 e dal DD 937 del 10.09.2015 (Allegato 2 alla Nota USR Puglia prot. 11236 del 9 ottobre 2015). Tale formulario, composto da una prima sezione anagrafica contenente i dati della scuola (e degli istituti eventualmente aderenti alla rete) e del gruppo di progetto, si strutturava in poche voci sintetiche, assai poco strutturate3, a cui le scuole hanno potuto rispondere in maniera assai differenziata secondo la forma del “progetto”:

3

Si previsa che tali voci si riferiscono al formulario di candidatura USR Puglia 2015, in quanto il formulario successivo 2016 è stato oggetto di modifiche, in particolare volte a specificare il nesso fra priorità, traguardi, obiettivi di processo dedotti nel RAV e nel PdM (cfr. Allegato 1 all’Avviso Pubblico USR Puglia DDG prot. n. 19761 del 20 ottobre 2016). "

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SI PREVEDE DI LAVORARE (possibili più opzioni) , , , ,

ESITI PROCESSI PIANO DI MIGLIORAMENTO BILANCIO SOCIALE

METODOLOGIE DI LAVORO (illustrare sinteticamente l’idea progettuale e le modalità di lavoro, con particolare riguardo ad eventuali metodologie di ricerca/azione) MODALITA’ DI MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DEL PROGETTO INDICATORI DI MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DEL PROGETTO TIPOLOGIA DEI MATERIALI PRODOTTI MATERIALI MODALITA’ DI DIFFUSIONE E PUBBLICAZIONE

15: Formulario diPdM candidatura Tab. 15:Tab. Formulario di candidatura – USR PugliaPdM 2015 – USR Puglia 2015

Come si evince chiaramente dagli esempi INDIRE e USR Puglia, le scuole hanno utilizzato formulari molto differenti e non comparabili, il primo ad alto livello di strutturazione e il secondo più “aperto”, entrambi con differenti modi di ancorare il Piano di Miglioramento al Rapporto di Autovalutazione delle scuole. Tale difformità di modellistiche non può che riflettersi sull’impossibilità di analizzare comparativamente l’efficacia dei PdM messi in atto, con importanti conseguenze sul piano anche politico e di decision making. Al termine dell’indagine il gruppo DidaSco ha avviato, in risposta alla necessità avvertita di uniformare format e modelli per la valutazione e il miglioramento scolastico, un nuovo percorso progettuale di accompagnamento di un gruppo di 80 scuole della Puglia per provare ad elaborare un modello di format PdM più efficace di quelli utilizzati dalle scuole coinvolte in “Orizzonti della valutazione”. È così partito un secondo step della ricerca-formazione: “Lo sviluppo professionale continuo del docente. Dal PdM alla valorizzazione del merito” che è ancora in corso e la cui finalità è quella di sviluppare una nuova cultura di documentazione dei processi scolastici da parte dei docenti e dei dirigenti scolastici. L’ipotesi della nuova ricerca è, infatti, che solo una cultura valutativa basata sulla stretta interdipendenza fra il miglioramento della performance individuale e la qualità di un sistema organizzativo può effettivamente far conseguire traguardi di miglioramento: si tratta di lavorare dunque alla costruzione di modellistiche valutative nelle quali l’individuo insegnante, dirigente - è parte totalmente attiva. Il primo esito del nuovo percorso di ricerca è, dunque, consistito nella messa a punto di un nuovo modello di Piano di Miglioramento – ripensato con un maggior grado di coerenza interna e costruito all’interno del gruppo DidaSco4 – da sperimentare nelle scuole coinvolte.

4

Si ringrazia in particolare la Dirigente Grazia Castelli, membro DidaSco e consulente " esperta di valutazione, per il contributo alla formalizzazione del dispositivo il quale è la risultante di oltre due mesi di progettazione condivisa con i seguenti membri del gruppo: Lucrezia Stellacci, già Capo Dipartimento Miur e attualmente Componente CNPI, Mario Angelini, Miur, le dirigenti Santa Ciriello e Ivana Griseta, le dottoresse di ricerca Viviana Vinci e Laura Agrati.

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Esso si struttura in più parti e prevede, per alcune schede, una sezione “Note” che permette l’esplicitazione di alcuni rapporti causali (ad esempio tra obiettivi di processo e traguardi finali) grazie all’aggiunta di note testuali descrittive. La prima parte richiama le priorità e i traguardi indicati nella sezione V del Rapporto di Autovalutazione, i quali devono avere un tempo di attuazione medio lungo (2/3 anni); dopo l’individuazione delle priorità e dei traguardi, si passa alla esplicitazione delle aree di processo in cui andare ad operare, individuando obiettivi di processo precisi da tradurre, anno per anno, in attività e azioni; conclude la prima parte la scheda denominata “matrice delle responsabilità” che chiarisce preliminarmente soggetti, azioni e responsabilità.

212

PRIORITÀ RIFERITE AGLI ESITI DEGLI STUDENTI (sezione 5 del RAV che genera il processo di miglioramento) Note per la compilazione: - Si suggerisce di individuare un traguardo per ciascuna delle priorità individuate. - Motivare la scelta delle priorità sulla base dei risultati dell'autovalutazione (max 1500 caratteri spazi inclusi) ESITI DEGLI STUDENTI Descrizione della priorità Descrizione del traguardo !o a) Risultati scolastici !o b) Risultati nelle prove standardizzate !o c) Competenze chiave e di cittadinanza !o d) Risultati a distanza Scelta della priorità (motivazione: 1500 caratteri)

Tab. 16: Priorità

Tab. 16: Priorità

Obiettivi di processo Note per la compilazione: - Indicare in che modo gli obiettivi di processo possono contribuire al raggiungimento delle priorità AREA DI PROCESSO Descrizione dell'obiettivo di processo a) Curricolo, progettazione e valutazione 1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... !o 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... !o

b) Ambiente di apprendimento

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

! o

c) Inclusione e differenziazione

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

! o

d) Continuità e orientamento

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

e) Orientamento strategico e organizzazione della scuola

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

f) Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

g) Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie

1) (max 150 caratteri spazi inclusi) ... 2) (max 150 caratteri spazi inclusi) ...

!o ! o ! o

Compilazione (motivazione: 1500 caratteri)

Tab. 17: Obiettivi di processo

Tab. 17: Obiettivi di processo

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Seguono due sezioni: la prima riguarda la pianificazione triennale (a cura del Nucleo di Valutazione), la seconda la realizzazione annuale e il monitoraggio (a cura del/dei Responsabile/i di Azione) degli obiettivi di miglioramento, i quali si tradurranno in precise attività (declinate in azioni), da cui si attendono risultati oggetto di monitoraggio a scadenze preordinate e a verifiche negli esiti finali (la seconda sezione si ripete per la prima e la seconda annualità). Il monitoraggio di ciascuna azione (fino alla sua conclusione) ed il controllo dei risultati delle attività spettano, secondo accordi assunti preliminarmente, al Dirigente Scolastico, al Gruppo di azione, al Nucleo interno di valutazione o ad altro soggetto interno alla Scuola individuato dagli organi competenti (cfr. matrice delle responsabilità). Chiude il format PdM DidaSco un Glossario, indispensabile al fine di condividere il lessico che sottende tutti i processi che legano l’autovalutazione e il miglioramento scolastico.

NEL PDM (CHECK-ACT) DA COMPILARE ALL’AVVIO DEL TRIENNIO

DA COMPILARE ALLA FINE DEL TRIENNIO

TRAGUARDI DA RAGGIUNGERE N.

Aree di processo del RAV

1.

Curricolo, progettazione e valutazione Ambiente di apprendimento

2.

3.

Obiettivo di processo

Risultati attesi

Indicatori di monitoraggio (descrizione e valore)

Risultati ottenuti (quantitativi: valori misurati / qualitativi: rapporti costi benefici)

Prospettive di miglioramento (Azioni da completare / consolidare / ri-pianificare)

Inclusione e differenziazione

4.

Continuità e orientamento 5. Orientamento strategico e organizzazione della scuola 6. Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane 7. Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie Nota: ripartizione degli obiettivi per annualità e motivazione

18: Prima sezione - Pianificazione triennale Tab. 18: PRIMA SEZIONETab. - PIANIFICAZIONE TRIENNALE (a cura del Nucleo di Valutazione) (a cura del Nucleo di Valutazione)

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NEL PDM (DO-CHECK) - 1a ANNUALITÀ A. S. 20.. / 20 .. NEL PDM (PLAN – DO) - TRAGUARDO DA RAGGIUNGERE Obiettivi operativi

N .

Risultat i attesi

Indicatori di monitoraggio (descrizione e valore)

Modalità di rilevazione

1.

Azio ni

Responsabile/i

Stato di attuazione al termine della prima annualità

Risultanze del monitoraggio al termine del primo anno Dati/Risultati rilevati e strumenti utilizzati

Punti di forza / Criticità

Correzion i eventuali

1.a - (verde) - (giallo) - (rosso) 1.b 1.c 1.d

2.

3.

Tab. 19: SECONDA SEZIONE: REALIZZAZIONE ANNUALE E MONITORAGGIO Tab. 19: Seconda sezione: Realizzazione annuale (a cura del/dei Responsabile/i di Azione)

e monitoraggio (a cura del/dei Responsabile/i di Azione)

214 NEL PDM (DO-CHECK) - 2a ANNUALITÀ A. S. 20.. / 20 .. NEL PDM (PLAN – DO) - TRAGUARDO DA RAGGIUNGERE N .

1.

Obiettivi operativi

Risultati attesi

Indicatori di monitoraggio (descrizione e valore)

Modalità di rilevazione

Azioni

Responsabile/i

Stato di attuazione al termine della prima annualità

Risultanze del monitoraggio al termine del primo anno Dati/Risultati rilevati e strumenti utilizzati

Punti di forza / Criticità

Correzioni eventuali

1.a - (verde) - (giallo) - (rosso) 1.b 1.c 1.d

2.

3.

Tab.SEZIONE: 20: Seconda sezione: Realizzazione annuale Tab. 20: SECONDA REALIZZAZIONE ANNUALE E MONITORAGGIO (a cura del/dei Responsabile/i di Azione)

e monitoraggio (a cura del/dei Responsabile/i di Azione)

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PLAN

DO

CHECK

ACT

Decidere le azioni per raggiungere ciascun obiettivo di processo, ipotizzando le attività da svolgere e considerando gli effetti, negativi e positivi, a medio e a lungo termine. Individuare le persone e le responsabilità nell’attuazione del PdM, di ciascuna azione e delle eventuali attività in cui ogni azione si declina Prevedere l’impegno di risorse umane, interne o esterne, e/o strumentali necessarie a sostenere l’attuazione delle azioni descritte, quantificando le spese che la scuola intende sostenere per il miglioramento (Redazione della prima sezione a cura del NdV in collaborazione con i RdA individuati per l’attuazione) Definire, anche ai fini del monitoraggio, una scansione delle azioni in attività, con relativa tempistica, considerando come ciascuna attività contribuisca al raggiungimento dell’obiettivo di processo e al raggiungimento dei traguardi. Utilizzare la tabella di realizzazione come una vera e propria “tabella di marcia”, da aggiornare in ogni momento, monitorando costantemente l’andamento del processo di miglioramento (Redazione della seconda sezione - a cura del RdA) Programmare il monitoraggio periodico dello stato di avanzamento del raggiungimento dell’obiettivo di processo e dei risultati raggiunti, finalizzato a rilevare se le azioni si stanno svolgendo in modo efficace Stabilire chi è il responsabile del monitoraggio, quali sono gli aspetti che permettono di verificare se le azioni sono efficaci, quali dati numerici si possono ricavare per monitorare il processo e con quali strumenti qualitativi e quantitativi si possono raccogliere dati Indicare lo stato di avanzamento delle attività e documentare le risultanze del monitoraggio in termine di: risultati ottenuti / criticità-punti di forza rilevati / lezioni apprese per le prospettive di miglioramento (seconda sezione) Sulla base del monitoraggio effettuato sulle singole azioni e/o obiettivi di processo e rispetto alle priorità individuate e ai traguardi descritti nella sezione 5 del RAV, il NdV e l’organizzazione scolastica riflette sui dati rilevati: ci sono degli scostamenti? è necessario ridimensionare o cambiare o integrare qualcosa nella progettazione, anche alla luce dell’analisi costi-benefici? (Redazione della terza e quarta sezione - a cura del NdV)

215

Tab. 21: Il Processo di Miglioramento: - Realizzazione - Controllo - Correzioni - Ri-Pianificazione Tab.Pianificazione 21: Il Processo di Miglioramento:

Pianificazione - Realizzazione - Controllo - Correzioni - Ri-Pianificazione

Chi

Che cosa

Come

DS

Dirigente Scolastico

È responsabile dei processi di AV e di miglioramento: pianificazione, realizzazione, coinvolgimento degli stakeholder, controllo, riesame, rendicontazione e comunicazione degli esiti

1. Individua e definisce l’impegno delle risorse umane (interne/esterne) e strumentali per realizzare il processo di AV e di miglioramento 2. Approva il RAV, lo comunica al CdD e lo sottopone a delibera 3. Pubblica il RAV 4. Sceglie gli obiettivi di processo più utili alla luce delle priorità individuate nelle aree di processo nella sezione 5 del RAV 5. Valuta i risultati sulla base degli indicatori relativi ai traguardi del RAV 6. Contribuisce al pieno coinvolgimento della comunità scolastica 7. Comunica lo stato di avanzamento e i risultati del PdM sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione scolastica

NdV

Nucleo di Valutazione

Realizza il processo di AV secondo le indicazioni del SNV/ Redige il RAV / Redige il PdM (prima sezione) / Pianifica e controlla il processo di miglioramento / Valuta l’andamento del PdM per ciascuna delle priorità individuate

1. Realizza il processo di AV nel rispetto delle indicazioni date dal SNV 2. Redige il RAV e lo sottopone ad approvazione del DS 3. Sceglie gli obiettivi di processo più utili alla luce delle priorità individuate nelle aree di processo nella sezione 5 del RAV 4. Verifica la congruenza tra obiettivi di processo e priorità 5. Compie una stima (matrice impatto/fattibilità) della fattibilità di ciascun obiettivo di processo per valutare la loro rilevanza 6. Definisce, per ciascun obiettivo di processo, i risultati attesi, gli indicatori di monitoraggio (descrivendoli e stabilendo un valore numerico per misurarli), le modalità di rilevazione, le azioni e le risorse per la realizzazione del PdM 7. Contribuisce al pieno coinvolgimento della comunità scolastica 8. Valuta gli esiti per ciascuna priorità individuata, facendo riferimento agli indicatori scelti nel RAV

"

RdA (o RdP)

Responsabil e di Azione (o Progetto)

ricerche

GdA

Gruppo di

Collabora nella pianificazione (prima sezione) delle attività per la realizzazione delle azioni di cui si compone il PdM / Redige la SECONDA SEZIONE del PdM / Monitora il processo documentandolo Collabora, ciascuno per

1. Definisce, per ciascuna azione, le attività, i risultati attesi, gli indicatori di monitoraggio (descrivendoli e stabilendo un valore numerico per misurarli) e i tempi di attuazione. 2. Programma il monitoraggio periodico dello stato di avanzamento e dei risultati raggiunti 3. Controlla il flusso delle attività che contribuiscono alla realizzazione dell’azione anno IX | numero 17 4. Descrive, nella seconda sezione del PdM, i dati rilevati nel monitoraggio periodico e gli strumenti quantitativi/qualitativi utilizzati, verificando se l’azione si sta svolgendo in modo efficace 1. Condivide il piano di azioni per l’attuazione del PdM

Quando

Composizio ne nome/i

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| Dicembre 2016


attesi, gli indicatori di monitoraggio (descrivendoli e stabilendo un valore numerico per misurarli), le modalità di rilevazione, le azioni e le risorse per la realizzazione del PdM 7. Contribuisce al pieno coinvolgimento della comunità scolastica 8. Valuta gli esiti per ciascuna priorità individuata, facendo riferimento agli indicatori scelti nel RAV RdA (o RdP)

Responsabil e di Azione (o Progetto)

Collabora nella pianificazione (prima sezione) delle attività per la realizzazione delle azioni di cui si compone il PdM / Redige la SECONDA SEZIONE del PdM / Monitora il processo documentandolo

GdA (o GdP)

Gruppo di Azione (o Progetto)

Collabora, ciascuno per la propria responsabilità, alla realizzazione dell’azione e al coinvolgimento del personale / Controlla l’andamento dei processi con il monitoraggio periodico / Valuta e condivide i risultati raggiunti con l’attuazione delle singole attività o dell’azione sulla base degli indicatori / documenta il monitoraggio

Tab. 22: Matrice delle responsabilità

216

1. Definisce, per ciascuna azione, le attività, i risultati attesi, gli indicatori di monitoraggio (descrivendoli e stabilendo un valore numerico per misurarli) e i tempi di attuazione. 2. Programma il monitoraggio periodico dello stato di avanzamento e dei risultati raggiunti 3. Controlla il flusso delle attività che contribuiscono alla realizzazione dell’azione 4. Descrive, nella seconda sezione del PdM, i dati rilevati nel monitoraggio periodico e gli strumenti quantitativi/qualitativi utilizzati, verificando se l’azione si sta svolgendo in modo efficace 1. Condivide il piano di azioni per l’attuazione del PdM 2. Contribuisce al coinvolgimento degli stakeholder per le attività di interesse 3. Rispetta la tempistica pianificata 4. Verifica se gli indicatori pianificati consentono una misurazione oggettiva del cambiamento introdotto con le azioni messe in atto 5. Valuta se ci sono scostamenti (criticità) e se sia necessario ridimensionare o modificare qualcosa 6. Documenta le criticità e le lezioni apprese durante la realizzazione, per capire se la pianificazione è efficace o se occorre introdurre modifiche e/o integrazioni per raggiungere i traguardi triennali

Tab. 22: Matrice delle responsabilità #%"

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A differenza di tutti gli altri format progettuali, il PdM DidaSco esplicita - attraverso sezioni distinte ma perfettamente collegate – la pianificazione triennale (traguardi da raggiungere all’avvio e al termine del triennio) con la realizzazione annuale, supportando le scuole nel delicato passaggio dal POF al PTOF. La logica che sottende l’utilizzo del PdM DidaSco è quella di trasformare gradualmente ogni priorità/traguardo da raggiungere in realtà acquisita, la quale deve essere accuratamente documentata al fine di costituire il “substrato” da cui partire per il raggiungimento di ulteriori priorità: il fine è il miglioramento continuo dell’organizzazione scolastica. La competenza al saper “ben documentare” si palesa, dunque, come uno snodo essenziale del percorso di sviluppo della valutazione di sistema delle scuole. Si tratta del passaggio cruciale dall’“informazione” al “sapere dell’informazione” attraverso la dialettica “informazione-saperi e conoscenze” basata sulla pratica della ricerca (Frisch, 2007). In Italia siamo agli albori dello sviluppo di tale linea di ricerca. Ovviamente non sono poche le questioni e le sfide poste dall’apprendere al saper documentare. La formazione di docenti preposti al compito - docenti documentalisti - si è palesata come elemento critico del percorso di ricerca ed è sicuramente un tema dirimente se si vogliono ottenere prodotti documentali di alta qualità e realmente utili alle analisi. Nel progetto scolastico del miglioramento di sistema un apparato documentativo “ben scritto” e la formazione di professionalità deputate alla sua redazione costituiscono due variabili determinanti, anche in relazione al progressivo diffondersi della valutazione come espressione di trasparenza e di partecipazione democratica nel sistema Scuola. In conclusione. Il progetto Orizzonti della valutazione e il nuovo step di ricerca-formazione appena avviato che ne è seguito - “Lo sviluppo professionale continuo del docente. Dal PdM alla valorizzazione del merito” - hanno rappresentato due tentativi di conferire compiutezza alla cultura della valutazione di sistema della scuola pugliese attraverso la giusta attenzione attribuita alla documentazione di processi e traguardi nella convinzione che insegnare a “ben documentare” agevola: 1) la rilettura – in una cornice sistemica – dei rapporti di autovalutazione e dei piani di migliora-

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mento, da cui trarre riflessioni utili in termini di decision making e policy scolastica; 2) la diffusione di un paradigma di valutazione di sistema condiviso, che sia realmente utile al miglioramento della qualità delle scuole e in grado di fornire ai docenti e ai dirigenti strumenti di project management e di orientamento strategico del sistema scolastico davvero utili, come è nello spirito della ricerca-formazione collaborativa (Perla, 2011). E infine. A seguito dell’analisi dei Rav e dei PdM e della individuazione dei bisogni formativi delle scuole pugliesi è stato elaborato un “Catalogo di corsi per la formazione in servizio dei docenti”: un “pacchetto” di servizi di consulenza universitaria, rivolto a tutte le Scuole della Puglia nell’ottica della Terza Missione dell’Università, organizzato in aree tematiche. Primo esito, ma non ultimo, del percorso di ricerca documentale appena avviato.

Riferimenti bibliografici Allulli G., Farinelli F., Petrolino A. (2013). L’autovalutazione di istituto. Modelli e strumenti operativi. Milano: Guerini. Biémar S., Dejiean K., Donnay J. (2008). Co-construire des savoirs et se développer mutuellement entre chercheurs et praticiens. Recherche et formation, 58. Bosio P., Fabricatore V. (2005). Valutazioni. Autoanalisi d’Istituto e valutazione di sistema: pratiche e approfondimenti. Milano: FrancoAngeli. Calvani A. (2014). Criticità e potenzialità nella costruzione di un sistema nazionale di valutazione. Form@re, 4(14), 20-33. Castoldi M. (2013). Valutare a scuola. Dagli apprendimenti alla valutazione di sistema. Roma: Carocci. Castoldi M. (2015). Autovalutazione e valutazione esterna delle scuole. In L. Galliani (Ed.), L’agire valutativo (pp. 281-296). Brescia: La Scuola. Desgagné S. (2007). Le défi de production de «savoir» en recherche collaborative: autour d’une de reconstructionet d’analyse de récits de pratique enseignante. In M. Anadon (Ed.), La recherche partecipative. Québec: Presse de l’Université du Québec. Donnay J., Charlier E. (2006). Apprendre par l’analyse de pratiques: initiation au compagnonnage réflexif. Namur: Presses Universitaires de Namur. Ferraris M. (2012). Lasciar tracce: documentalità e architettura. Milano: Mimesis. Fondazione Giovanni Agnelli (2014). La valutazione della scuola. Roma: Laterza. Forte B. (2003). Autovalutazione: espressione dell’autonomia delle scuole. In M. Bracci (Ed.), Valutazione e autovalutazione. La cultura della valutazione di scuola (pp. 19-41). Roma: Armando. Frisch M. (2007). Entrer dans des savoir documentaires et informattionnels, en situation d’apprentissage et de formation. Penser l’Education, Hors-série, 281-290. Frisch M. (2010). Didactique de l’information-documentaztion. In M.L. Elalouf, A. Robert, A. Belhadjin, M.F. Bishop (Eds.), Les didactiques en question(s). État des lieux et perspectives pour la recherche et la formation (pp. 240-250). Bruxelles: De Boeck. Galliani L. (2015). L’agire valutativo. Brescia: La Scuola. Giovannini M.L. (2012). Valore aggiunto ed efficacia delle scuole. Rivista dell’Istruzione, 1/2, 41-48. INVALSI (2016). Rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2015-16; Estratto da http://www.invalsi.it/invalsi/doc_evidenza/2016/06_Rapporto_Prove_INVALSI_2016.pdf. Marcuccio M. (2016). Rapporti di Autovalutazione delle scuole emiliano-romagnole e analisi delle reti testuali. Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education, 11(3), 47-65. Perla L. (2004). Valutazione e qualità in Università. Roma: Carocci. Perla L. (2011). La formazione dell’insegnante attraverso la ricerca. Un modello interpre-

ricerche

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tativo a partire dal “Teachers’s Thought”. In G. Elia, Percorsi e scenari della formazione (pp. 157-180). Bari: Progedit. Perla L. (2011). L’eccellenza in cattedra. Dal saper insegnare alla conoscenza dell’insegnamento. Milano: FrancoAngeli. Perla L. (2014). (Ed.), I Nuovi Licei alla prova delle competenze. Per una progettazione nel biennio. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Perla L., Schiavone N. (2014a). Quels dispositifs de documentation de l’implicite dans la formation des enseignants? In M. Frisch (Ed.), Le réseau IDEKI. Objets de recherche d’éducation et de formation émergents, problématisés, mis en tension, réélaborés (pp. 2342). Paris: L’Harmattan. Perla L., Vinci V. (2016). La valutazione dell’agire educativo: modelli e dispositivi. In L. Perla, M.G. Riva (Eds.), L’agire educativo (pp. 200-213). Brescia: La Scuola. Rosa A., Silva L. (2014). Uno studio longitudinale sul valore aggiunto come misura di efficacia scolastica: risultati ed elementi di problematicità. Giornale Italiano della Ricerca Educativa, 7(12), 169-184. Scheerens J., Mosca S., Bolletta R. (Eds.) (2011). Valutare per gestire la scuola. Governance, leadership e qualità educativa. Milano-Torino: Bruno Mondadori. Trinchero R. (2014). Il Servizio Nazionale di Valutazione e le prove Invalsi. Stato dell’arte e proposte per una valutazione come agente di cambiamento. Form@re, 4(14), 34-49. Vinci V. (2016). La valutazione educativa “in ricerca”: fra etica e partecipazione. In S. Ulivieri Stiozzi, V. Vinci, La valutazione per pensare il lavoro pedagogico. Milano: FrancoAngeli. Vivanet G. (2014). La valutazione degli apprendimenti scolastici. Un quadro internazionale. Form@re, 4(14), 8-19.

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Scuola e famiglie a confronto, per una co-evoluzione inclusiva. Costruire alleanze educative per comprendere l’X-fragile Elisabetta Ghedin • Università degli Studi di Padova, elisabetta.ghedin@unipd.it Simone Visentin • Università degli Studi di Padova, simone.visentin@unipd.it Rinalda Montani • Università degli Studi di Padova, rinaldamontani@virgilio.it

School and families facing each other, for an inclusive coevolution Building educational alliances to understand the fragile X Syndrome In questo saggio viene illustrata una proposta formativa realizzata in comunità con genitori, insegnanti ed educatori che riscontrano quotidianamente difficoltà di ascolto e incontro tra i diversi contesti in cui bambini e giovani si trovano a vivere (famiglia, scuola, associazioni). Il gruppo coinvolto nel progetto è rappresentato da genitori, insegnanti (curricolari e di sostegno, scuola dell’infanzia, primaria e secondaria) e educatori (per un totale di 15 persone) che vivono l’esperienza dell’incontro con una persona con Sindrome dell’X fragile. Abbiamo condiviso con le persone coinvolte 3 tematiche con l’obiettivo di accompagnare nella promozione del progetto di vita (Visentin 2016; Pavone 2009; Colleoni 2006). Il punto di partenza è la consapevolezza sui rischi di una quotidianità densa di attività e responsabilità di cura educativa, che esaurisce il tempo del ripensarsi: cosa è importante per il ben-essere di mio figlio, dei miei alunni? Quali fattori facilitano il mio agire educativo? A chi mi posso affidare per individuare gli ostacoli all’apprendimento, all’insegnamento, nonché alla partecipazione che tanto rendono faticoso il mio lavoro? Interrogativi come questi “ronzano” nella testa di un insegnante, di una mamma o di un papà, che faticano però a trovare una sosta per ripensare e riorganizzare il fare quotidiano. Attraverso la creazione di reti di prossimità inclusive (famiglia, scuola, Associazione) che medino le fragilità e sostengano le forze è possibile valorizzare il talento di ciascuno e promuovere progetti di vita realmente fiorenti (Ghedin, 2014).

Keywords: inclusive communities, life design, partnerships

Parole chiave: comunità inclusive, progetto

di vita, alleanze

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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This paper discusses a training proposal made in community with parents of children with Fragile X Syndrome, teachers and educators (for a total of 15 participants) who experience daily difficulties of listening and meeting between the different contexts in which children and young people are to live. The starting point is the awareness of the risks of a closer everyday activities and responsibilities of educational care: what is important for the student well-being? What factors facilitate my educational act? Who can help me to identify the barriers in learning, teaching, and participation that make it much exhausting my job? The proposal was realized through the creation of local inclusive networks that mediate the fragility and support forces to enhance the talent of each and promote truly flourishing life design.


Scuola e famiglie a confronto, per una co-evoluzione inclusiva. Costruire alleanze educative per comprendere l’X-fragile

1. Sviluppare comunità di pratiche inclusive: l’idea ispiratrice del progetto, obiettivi e strategie di facilitazione1

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In questo contributo intendiamo documentare un’esperienza formativa che ha visti coinvolti genitori, insegnanti ed educatori quotidianamente impegnati nell’incontro con bambini e ragazzi con Sindrome dell’X Fragile2. A fare da sfondo culturale l’impegno dell’Associazione Italiana Sindrome X Fragile onlus, che in questi ultimi anni ha investito sulle potenzialità capovolgendo i tradizionali interventi che prendono vita proprio dai deficit (Daghini & Trisciuoglio, 2014). Da qui l’idea di proporre un percorso che facilitasse un nuovo passo verso la maturazione di uno sguardo attento alle persone nel loro complesso, attraverso la generazione di reti educative co-evolutive che promuovono contesti di vita a favore del ben-essere di tutti e di ciascuno. «Un percorso in cui non si cerchi il “come agire”, ma che porti le persone a una riflessione sul “perché agire”, lasciando alla straordinaria creatività di ogni genitore la scelta di come farlo» (Brunetti, 2015, p. 23). Il percorso è stato costruito attorno all’idea di scuola come comunità educante, che genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi (MIUR, Indicazioni Nazionali per il Curricolo, 2012, p. 10). Una scuola comunitaria quindi che contribuisce a porre l’accento sull’importanza della cura come bene sociale primario (Nussbaum, 2007). Di fondo, la finalità formativa di tale modello progettuale è di affermare la cultura inclusiva attraverso la promozione di atteggiamenti e modalità relazionali basati sulla reciprocità e il riconoscimento delle differenti capacità, perseguendo obiettivi come: a) favorire il confronto tra le diverse figure educative; b) sollecitare i partecipanti a cogliere le risorse proprie e quelle del contesto; c) incoraggiare i processi di modelling tra genitori. Quello che si cerca di fare, passo dopo passo, è di far evolvere lo spazio di con-

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Elisabetta Ghedin ha scritto i paragrafi “ Narrarsi per costruire significati: protagonisti e processi ” e le metafore “Il campo da coltivare” e “L’orchestra”. Simone Visentin ha scritto il paragrafo “Sviluppare comunità di pratiche inclusive: l’idea ispiratrice del progetto, obiettivi e strategie di facilitazione”; le metafore “Il nodo” e “Il cammino”. Rinalda Montani ha scritto le metafore “Il paniere” e “Il labirinto”. Il paragrafo “Valutare per co-progettare: riflessioni di chiusura” è stato scritto da E. Ghedin e S. Visentin. “La Sindrome dell’X Fragile è una condizione genetica ereditaria: si trasmette cioè dai genitori ai figli. È inclusa dal 2001 nell’elenco delle malattie rare stilato dal Ministero della salute, ma è relativamente frequente: colpisce prevalentemente i maschi (circa 1 caso su 4000) ma può manifestarsi anche nelle femmine (circa 1 caso su 6000). È dovuta ad una mutazione completa di un particolare gene - il gene FMR1 (Fragile X Mental Retardation 1) - posizionato sul braccio lungo del cromosoma X che presenta una rottura (il “sito fragile” FRAXA). (R. Daghini e L. Trisciuoglio (a cura di) 2014. Oltre l’X Fragile. Conoscere, capire, crescere: un percorso possibile verso l’autonomia, Franco Angeli: Milano, p. 19).

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divisione: da un processo in cui si condividono informazioni, ad una dinamica relazionale nella quale ci si mette maggiormente in gioco definendo obiettivi comuni ed esplorando buone strategie educative (Department of Health & Department of Educational Skills, UK, 2002). L’esito auspicato è quello di crescere assieme per diventare una squadra educativa che abbia l’aspirazione di lavorare per uno stare bene collettivo. La proposta formativa ha cadenza mensile e ogni incontro rappresenta un tempo sospeso, un tempo altro che offre immediatamente l’opportunità di narrazione auto-biografica. Quindi i partecipanti, incontrandosi, hanno modo di: – individuare nuove modalità educative positive, che rinforzano l’agire debole; – allargare i dispositivi di cura da mettere in gioco, grazie all’interscambio fruttuoso tra i partecipanti. A questo, fa da sottofondo una cura relazionale diffusa che: – riconosce le competenze di ciascuno e ne legittima il contributo alla discussione; – consente l’adesione al gruppo con stili e tempi differenti; – favorisce l’emersione della leadership tra pari, cui fa da contraltare il “passo indietro” dei conduttori; – sostiene l’empowerment e l’autoefficacia personali. Il gruppo in questo modo si costruisce come una Comunità di Pratiche (Wenger, 1998) dove si mettono al centro le pratiche di cura intesa come possibilità di nutrire l’agency personale (Sen, 1985; Gasper, 2007), cioè la capacità di agire in funzione di obiettivi ritenuti importanti e che vanno al di là del proprio ben-essere individuale: il focus è il ben-essere del figlio/alunno e gli adulti si mettono in gioco per discutere su come fare un buon lavoro educativo corale. Perciò il gruppo è crocevia di relazioni che tengono assieme i vari contesti di vita e soprattutto incentiva l’armonizzazione educativa tra essi. Un lavoro di squadra di questo tipo porta alla creazione della cosiddetta team-agency: quando un individuo ragiona come membro di una squadra, passa a considerare non più le azioni che producono il miglior risultato per lui, ma le combinazioni d’azioni di tutti i membri della squadra che meglio promuovono gli obiettivi della squadra stessa e, in particolare, la parte che egli può avere all’interno del piano d’azione della squadra (Bacharach, 2006). Secondo questo principio qualsiasi componente della comunità, anche il meno esperto, gode di uguali diritti di appartenenza ad essa perché caratteristica fondamentale di questa comunità è la diversità tra i diversi membri del gruppo (insegnanti, genitori, operatori socio-sanitari, facilitatori), Proprio questa eterogeneità di conoscenze realizza e permette lo scambio di esperienze ed expertise (da un genitore con un figlio adulto ad un genitore con un figlio più piccolo, tra insegnanti curricolari e per il sostegno, tra diverse figure professionali, e tra di esse e le famiglie) (Santi, 2006). L’apprendistato cognitivo, inteso come procedura cognitiva che si muove dalla pratica concreta all’astrazione di concetti, proprietà, procedure di azione e strategie di autoregolazione che si attestano sul piano cognitivo, permette di riflettere sulle pratiche di cura come qualcosa che si costruisce nel gruppo e che comporta la consapevolezza di un impegno condiviso verso la promozione del progetto di vita dei bambini e ragazzi con Sindrome X fragile (e non solo), favorendo la soluzione collaborativa dei problemi, l’imparare a risolverli lavorando in gruppo o con qualcuno di più competente. Ecco perché si parte dalle caratte-

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ristiche del contesto e dei compiti in cui genitori insegnanti e operatori sono coinvolti quotidianamente. In merito agli aspetti di conduzione, i facilitatori fanno propria la strategia del co-teaching (Ghedin, Aquario, Di Masi, 2013). Tale metodo viene inteso come pratica condivisa di progettazione, insegnamento e valutazione tra professionisti che lavorano insieme con un gruppo eterogeneo di persone che apprendono insieme e ottengono importanti traguardi di apprendimento (Ghedin, 2009). L’aspetto comune è la collaborazione intesa come relazione genuina di partecipazione che può divenire modello per tutti coloro che sono coinvolti nel processo di inclusione (classe, scuola, famiglie, comunità) (Ghedin & Aquario, 2016). I facilitatori hanno svolto la funzione di struttura di sostegno (scaffolding, Bruner, 1997) con l’obiettivo di avviare, facilitare e promuovere il “dialogo” tra i diversi interlocutori. Sostegno che nel corso degli incontri si è andato dissolvendo fino a giungere a incontri in cui si è sviluppato “un processo di transazione negoziabile” in cui gli interlocutori da soli, si scambiavano e mettevano in circolo copioni, scenari, schemi concettuali simili, ma culturalmente più ricchi di quelli già da loro precedentemente posseduti (Bruner, 1986).

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2. Narrarsi per costruire significati: protagonisti e processi Al ciclo di 6 incontri hanno partecipato circa 15 persone di provenienza diversa: mamme e papà di bambini e adolescenti con Sindrome dell’X fragile, insegnanti per il sostegno della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado, operatori socio-sanitari. Ogni incontro è stato caratterizzato da un tema e da una relativa metafora che l’ha accompagnato:

Metafore

Mediatore

Tema

Valutazione

I incontro

II incontro

III incontro

IV incontro

V incontro

VI incontro

Il nodo

Il paniere

Il labirinto

Il campo da coltivare

Il cammino

L’orchestra

P. Reynolds. (2013). Il punto. Milano: ApeJunior

C. A. Tomlinson., M. .B Imbeau (2011). Condurre e gestire una classe eterogenea. Roma: LAS ,

Canevaro (2008). Pietre che affiorano. Trento: Erickson

A. Bajani (2014). La scuola non serve a niente. Bari: Laterza.

J. Mctighe, G. Wiggins (2004). Fare progettazione. Las: Roma

D. Pennac (2014). Diario di scuola. ,Milano: La Feltrinelli.

Costruire alleanze educative

Generare uno sguardo condiviso

Attivare strategie didattico-educative

Nutrire vite fiorenti

Progettare la vita

Armonizzare le relazioni

Ex-ante: La grande domanda

In itinere: Storia “Lo chiameremo Andrea”

Ex post: La grande domanda

Tab. 1: Lo sviluppo di ciascun incontro

La tabella illustra l’articolazione del percorso, all’interno del quale ogni incontro aveva come punto di riferimento un determinato tema educativo. Il gruppo vi si avvicinava socializzando e commentando la metafora che lo accompagnava.

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Quelli indicati in tabella sono solo alcuni dei mediatori utilizzati. Una presentazione maggiormente esauriente degli stessi sarà fatta nelle pagine successive.

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Nel nostro progetto le metafore hanno rappresentato delle “idee di modellamento” (Engeström, Miettinen, Punamäki, 1999) – legate alla pratica e alla teoria – con riferimento all’attività di apprendimento. Ci permettevano cioè di dire qualcosa – ritorna quindi l’importanza del processo narrativo – su come le teorie e i loro contenuti appaiono ad ogni partecipante e quanto sono importanti per quanto riguarda la sua attività. Nella nostra esperienza ogni metafora era oggetto di discussione e di confronto: ogni partecipante era sollecitato a narrare il proprio significato dell’immagine proposta. Assieme alla metafora abbiamo usato dei mediatori (Canevaro, 2008): virgolettati tratti da differenti testi – alcuni dei quali esemplificati nella tabella 1 – con i quali illustrare e approfondire il tema oggetto di discussione. Li abbiamo utilizzati soprattutto come facilitatori comunicativo-relazionali, affidandoci a loro nel momento in cui il gruppo faticava a confrontarsi spontaneamente e/o aveva il desiderio di approfondire l’analisi del tema dato. Quello che si vuole enfatizzare è che il percorso sviluppato si è voluto configurare innanzitutto come esperienza narrativa. « Narrare aiuta a comprendere e, se è vero che tutto ciò che appartiene agli affari umani può essere compreso solo quando l’azione è conclusa (Arendt, 2003) e l’attore o lo spettatore raccontano i fatti accaduti, allora la narrazione diventa un atto epistemico importante » (Mortari, 2013, p. 41). Attraverso la narrazione l’uomo conferisce senso e significato al proprio esperire e delinea coordinate interpretative e prefigurative di eventi, azioni, situazioni e su queste basi costruisce forme di conoscenza che lo orientano nel suo agire (Striano, 2001). I partecipanti sono ricorsi, passo dopo passo, sempre più facilmente alla narrazione, che li ha sostenuti soprattutto nei momenti in cui si sono trovati in difficoltà nell’esporre i loro pensieri; questo ha costituito un atto cognitivo fondamentale nei processi di elaborazione della conoscenza (Mortari, 2013). Se è vero che « gli esseri umani pensano per storie » (Bateson, 1984, p. 28) e che la narrazione svolge la funzione di organizzare i vissuti e fornire una struttura ai significati dell’esperienza (Bruner, 1992), allora l’atto narrativo risulta costituire il dispositivo privilegiato per occuparsi del significato dell’esperienza vissuta. Così, anche sul versante valutativo la modalità narrativa è stata quella privilegiata: Varisco (2000) a tal proposito sostiene che valutare significa coinvolgere il singolo, nel gruppo, all’auto-osservazione, all’autoascolto, alla riflessione e all’automonitoraggio della propria attività sviluppata in pratiche condivise. Dunque valutare per capire (Bezzi, 2007): per fare questo è necessario porsi delle domande e provare a dare delle risposte attraverso la realizzazione del percorso. Ecco il motivo per cui all’inizio e alla fine del percorso, come momenti di valutazione ex-ante ed ex-post, abbiamo proposto ai partecipanti di individuare la loro personale “grande domanda”: abbiamo cioè chiesto loro di socializzare l’interrogativo che li accompagnava all’inizio del percorso – in termini di aspettative rispetto al cammino che ci aspettava; a livello di preoccupazioni educative legate alla cura del figlio/ alunno e così via – e in modo complementare, come momento di verifica finale, abbiamo rilanciato la proposta nell’ultimo incontro, proponendo di mettere a fuoco la “grande domanda” che, in qualche modo, si portavano a casa a conclusione dell’esperienza. Come vedremo meglio in dettaglio nelle pagine successive, l’ultimo appuntamento è stato l’occasione cruciale di valutazione dell’intera esperienza, momento nel quale il gruppo ha narrato criticamente il cammino, mettendo a confronto le grandi domande iniziali con quelle finali, per prendere consapevolezza dei cambiamenti avvenuti e delle questioni aperte. Attraverso il “pensiero narrativo” i partecipanti hanno realizzato una complessa tessitura di accadimenti ed eventi utilizzando trame e orditi paralleli e complementari, mettendo in relazione espe-

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rienze, situazioni presenti, passate e future in forma di ‘racconto’, che hanno attualizzato e hanno reso oggetto di possibili ipotesi interpretative e ricostruttive. In questo processo, fatto di argomentazioni, spiegazioni, chiarimenti, comprensioni, ogni partecipante ha appreso e fatto tesoro dell’expertise condivisa e maturata all’interno del gruppo stesso (Bezzi, 2007). La valutazione in itinere è stata la realizzazione de “Lo chiameremo Andrea”: un prodotto narrativo, costruito passo dopo passo dal gruppo, all’interno del quale sono di fatto confluite le varie biografie personali dei partecipanti: storia che ha catalizzato parte degli apprendimenti del gruppo, svolgendo una funzione rappresentativa ed epistemica. Dopo questa presentazione del quadro d’insieme del progetto, nelle prossime pagine procederemo ad illustrare contenuti e dinamiche relazionali di ogni incontro, dando spazio nell’ultimo paragrafo a delle considerazioni conclusive che fanno sintesi degli esiti valutativi. Primo incontro: “Il nodo” (Costruire alleanze educative) Il nodo è… slegare, costruire legami, diffidenza, diventare stretto, unire, inghippi, blocchi, esclusione, superare, difficoltà, sciogliere, tenere insieme.4

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Il nodo è stata la metafora che ha caratterizzato il primo incontro, il cui scopo era sollecitare una discussione sulla qualità della relazione tra genitori ed insegnanti, per iniziare a comprendere il valore dell’alleanza educativa. A fare da sfondo – oltre ad alcune colonne portanti come l’Index per l’inclusione (Booth & Ainscow, 2014) e l’International Classification of Functioning (ICF; World Health Organisation, 2001), per la loro capacità nel promuovere una lettura sistemica dei contesti e delle esperienze – alcuni mediatori culturali: le sette regole di ascoltare di Sclavi (2003), il decalogo dell’alleanza di Montobbio e Navone (2003), nell’idea di incoraggiare il cambio di prospettiva nella lettura delle esperienze. Si è sostenuta l’opportunità di mettere in discussione il personale punto di vista per provare a sperimentare l’effetto di un atteggiamento di esplorazione di modi di pensare differenti. Nella consapevolezza che l’alleanza nella cura è l’esito di un processo complesso che richiede tempo, fiducia, condivisione, a volte complicità. A livello di esiti, in questo primo appuntamento le riflessioni dei partecipanti si sono focalizzate molto sul ben-essere del figlio/alunno. A conferma di questo, riportiamo qui di seguito alcune delle “grandi domande” che sono state condivise: Come posso fare per farlo stare bene? Che iniziative posso prendere per fare in modo che stia bene coi compagni? Come si fa a percepire il limite tra la sindrome e il carattere del bambino?

Coerentemente a una conduzione che voleva privilegiare stili espressivi plurali, l’incontro si è concluso con la storia illustrata de Il Punto (Reynolds, 2007) per aiutarci a valorizzare il contributo di ciascuno e offrire un momento di decantazione per la chiusura dell’incontro stesso. Il pomeriggio si è chiuso con un compito per casa: “Come presentereste l’X fragile nella classe o sezione di vostro figlio/alunno?”

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Il box introduttivo all’inizio di ogni tema racchiude le parole chiave emerse dalla discussione finale di gruppo.

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Secondo incontro: “Il paniere” (Promuovere uno sguardo positivo) Il paniere è…risorse, ricchezza, diversità, trasformazione, limiti, regole, esperienza, disponibilità, consigli, gruppo, conoscenza, utilità, contenitore, strumenti, empatia, condividere, riempire, ascoltare...

La metafora del paniere ha caratterizzato il secondo incontro, finalizzato a mettere l’accento sulle esperienze positive che possono caratterizzare le strategie e le relazioni didattico-educative. La scelta della metafora e dell’obiettivo ad essa collegato, è stata fatta alla luce del clima del primo incontro: riscontrando tra i partecipanti un vissuto prevalentemente pessimista e focalizzato su ciò che non funziona – a casa, a scuola, nella relazione tra genitori e insegnanti – a partire da questa seconda tappa abbiamo maggiormente incoraggiato i partecipanti a “setacciare” le proprie biografie per riempire il paniere di “cose buone”5. A livello di mediatori culturali, abbiamo fatto nostre ad esempio le parole di Canevaro, quando scrive: «Chi ha bisogni speciali cresce. E chi cresce deve poter andare oltre il rapporto con una sola persona, il vivere unicamente nell’immediatezza. Deve poter incontrare gli altri, immaginare il futuro, ricordare il passato. Deve imparare, giorno dopo giorno, a organizzarsi come tutti: con i propri limiti, e cercando di superarli senza negarli» (2010, p. 21). Abbiamo rilanciato il valore della progettazione corale, costruita attraverso le sinergie possibili a livello istituzionale, per passare dalle funzioni ai funzionamenti. Canevaro infatti precisa che « le funzioni esprimono una regolarità statica e ripetitiva, ed esigono più che dialogo e risposte, manutenzioni. I funzionamenti hanno dinamiche non sempre prevedibili, aperte a uno sviluppo evolutivo. Le prime sono programmate e programmabili. I secondi sono ricchi, più o meno, di imprevisti » (2010, p. 22). Per far evolvere le funzioni in funzionamenti è necessario andare oltre la ripetitività, aprirsi alla creatività e all’improvvisazione. Il tema dell’improvvisazione abbiamo cercato di socializzarlo a partire dalla prospettiva di Santi e Zorzi (2015), che pongono l’accento sull’importanza, paradossalmente, di essere impreparati di fronte all’esperienza educativo-didattica. L’improvvisazione suona come impreparazione nel momento in cui la figura educativa prova a gestire l’ambiente, familiare o scolastico, come uno spazio che ti può dare qualcosa di non previsto. Dunque l’essere impreparati si traduce nella sorpresa di fronte agli eventi, ma anche al modo sviluppato per affrontarli. Il gruppo, facendo tesoro anche delle sollecitazioni culturali appena esposte, e in risposta al “compito per casa” lanciato alla fine del primo incontro, ha lavorato sulla gestione della fase di inserimento scolastico. In particolare, è stata valorizzata l’esperienza di un’insegnante di sostegno e l’uso del passaporto: uno strumento spesso sotto-forma di power point e/o video - che facilita la conoscenza del bambino con sindrome dell’X-fragile e offre una lettura olistica dell’alunno, andando oltre il deficit per valorizzare le capacità e le caratteristiche personali del bambino/ragazzo. In questo processo generativo di buone strategie relazionale ritroviamo la stessa logica che appartiene alle parole di Benni: «Il bosco visto dall’alto è una macchia impenetrabile, ma tu puoi conoscerlo albero per albero. La testa di un uomo è incomprensibile, finché non ti fermi ad ascoltarlo» (2002, p. 67).

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A. Canevaro, Relazione introduttiva Summer School Sipes 2016.

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Terzo incontro: “Il labirinto” (Attivare strategie didattico-educative) Il labirinto è…strategie, momenti prefissati, uscita, panico, percorso, circoli viziosi, confusione, obiettivi, segnali, tentativi, scelte, attenzione, muro, prove, cambiamento, strada giusta, saper perdersi, ritrovare, tornare...

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Questo incontro, simboleggiato dal labirinto, aveva come obiettivo promuovere una riflessione sulla necessità di attivare strategie didattico-educative condivise, partendo dall’idea che « L’atto di allontanarsi da casa e rientrarvi ogni giorno coincide col fare esperienza nel mondo e con l’apprendere e acquisire le competenze che servono a leggerlo e capirlo, come pure quelle che servono per stare al mondo e saper funzionare insieme agli altri. Tutto questo avviene a scuola » (Rossi Doria, 2012, p. 7). Se la scuola è un mondo nel quale bisogna imparare ad abitare - imparando ad orientarsi con le proprie scelte - perché è un contesto di apprendimento che prepara alla vita, la famiglia può essere pensata come crocevia, sistema dinamico di relazioni che incidono (con modalità più o meno dirette) in quelle che sono le strategie didattico-educative che spettano alla scuola e ai docenti come assunzione diretta di responsabilità (Rossi Doria, 2015). La scelta vincente del gruppo è stata quella di partire dalla periferia, e non dalla prevedibile e più sicura “area protetta del contesto scolastico”. La sfida del partire dalle periferie è quella di “cercare lì” dove c’è esperienza e anche umanità ferita, per far crescere in umanità, intelligenza, valori. Così facendo l’educazione diventa inclusiva perché tutti dovrebbero avere un posto “da casa a scuola”. Ed è inclusiva la didattica come « approccio all’insegnamento focalizzato sulla singola persona e come manifestazione del convincimento che ogni studente è nello stesso tempo unico e di primaria importanza come discente e come essere umano » e fa riferimento alla differenziazione (Tomlinson & Imbeau, 2012, p. 68). A queste condizioni, oltre alla sfida di partire dalle periferie, si aggiunge quella del ragionevole rischio in educazione. La metafora del labirinto nella didattica ben si addice come esempio di allenamento emotivo-relazionale al provare e riprovare (fare e disfare nel laboratorio, come si evince dalle parole riportate), perché, non sempre, nelle scelte didattico-educative si trova subito il giusto sentiero. È importante non fermarsi, ma saper ritornare indietro per poi ripartire: “Prova in altro modo” ci insegna Montobbio (Montobbio & Navone, 2003). In questo incontro i partecipanti si sono divisi, in una prima fase, in due gruppi: da un lato coloro che hanno figli/alunni nella scuola primaria; dall’altro coloro che sono “ingaggiati” nella scuola secondaria - per poi ritrovarsi a socializzare gli esiti in grande gruppo nella fase di chiusura. La narrazione ha prodotto un repertorio di tattiche - per utilizzare una parola chiave proposta da un genitore - che può essere così sintetizzato: • •

L’inclusione è OK: – Quando è narrata (dall’alunno, dai genitori, dagli insegnanti). – Quando riguarda tutti, ciascuno a proprio modo. La creatività in didattica è OK: – Un tablet e un po’ di curiosità tecnologica: ecco fatto, ad esempio, un vademecum di fisica. – Un insegnante di disegno tecnico e un righello: ingredienti per provare a disegnare, cosa mai osata prima! La scuola è OK se si fa comunità:

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– Il dirigente scolastico pensa un alunno con disabilità come un’opportunità. – I docenti curricolari scoprono che un alunno disabile nella classe è occasione per migliorare la loro proposta didattica, anche procedendo “per prove ed errori”, a partire dal confronto tra colleghi. – L’esperienza coi pari è esperienza di amicizia, che si conquista giorno dopo giorno. La scuola è ok se è nella comunità: – Si apre al territorio (associazioni, servizi…). – È vicina al contesto di vita degli alunni (più occasioni di incontro fuori dalla scuola; maggiore facilità nel percorso casa-scuola;…).

Il termine tattica6, parola poco usata in ambito scolastico, dal punto di vista etimologico assume un valore diverso da strategia: per uscire dal labirinto è necessaria anche una tattica, cioè un metodo utilizzato per conseguire degli obiettivi. Secondo de Certeau, mentre la strategia crea il suo spazio autonomo, una tattica è un’azione volontaria determinata dall’assenza di un luogo proprio; lo spazio della tattica è “lo spazio dell’altro”. Complessivamente, il gruppo ha dimostrato di essere consapevole che rimane aperta la questione legata al come muoversi dalle periferie al centro, cioè da casa a scuola: la modalità, non emersa esplicitamente, ma latente e crescente è quella della prudenza definita dall’economista Zamagni come «la virtù di chi è capace di guardare lontano» (2015). Quarto incontro: “Il campo da coltivare” (Nutrire vite fiorenti) Il campo da coltivare è...lavorare, faticare, sudare, accompagnare, perseguire, fiorire, semina, possibilità, raccolto, interessi, spazio, raccolto, tempo, apprendimento, fiducia, attesa, vita...

Con questo incontro, e la metafora del campo da coltivare, ci si è focalizzati sui fattori tempo e spazio della quotidianità educativa, al fine di promuovere un essere e un fare che diano valore al ben-essere di quanti vivono la relazione (Sen, 2001). Non a caso la parola coltivare [dal lat. mediev. cultivare, der. di cultus, part. pass. di colĕre «coltivare»] significa curare un terreno, una pianta con il lavoro, la concimazione e gli altri mezzi opportuni a renderli capaci di dar frutto oppure esercitare un’attività, dedicarvisi o ancora di facoltà spirituali o di sentimenti, esercitare, assecondare curarli, tenerli vivi nella speranza di poterli un giorno tradurre in realtà. Questa parola quindi implica l’esercizio di un lavoro, un’attività, quindi un fare ma anche altre dimensioni come il dedicarsi, l’aver cura, aver premura, quindi un saper essere, oltre che un essere che è connaturato al fine ultimo del coltivare cioè alla fioritura (flourishing life, Sen, 1993, pp. 30-53). Il campo da coltivare richiama anche all’esito del lavorare, a quel saper essere, che alcuni genitori hanno indicato con il fiorire e la fioritura, a ciò che Aristotele individuò con il termine di Eudaimonia inteso come Sommo bene, fine ultimo verso cui devono tendere tutte le azioni compiute dagli uomini nell’ambito della propria esistenza.

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Termine usato da un partecipante.

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Biggeri e Bellanca, (2011) traducono questo termine come “fioritura”, che si esplica nel processo di espansione delle opportunità e delle capacità individuali ovvero delle capability7. Significa vivere una vita ricca nella scia del funzionamento umano, che connota una situazione di ben-essere, generatività, crescita ed esperienza. E’ ciò di cui parla Bajani quando fa riferimento al contadino metaforico, come possono essere ad esempio gli insegnanti, i genitori, gli educatori i quali coltivano vite fiorenti per e con i bambini e i giovani di cui hanno cura. A sostegno della discussione, i sei aspetti8 della comprensione durevole di Mctighe e Wiggins (2004) che hanno soprattutto permesso al gruppo di modellizzare, sotto forma di buoni principi di cura educativa, le numerose esperienze raccontate. In particolare, ci si è potuti focalizzare sulle comprensioni durevoli, intese come conoscenze profonde, empatiche, pregnanti e possedute in modo tale da poter essere facilmente utilizzate in contesti diversi, nei quali esse servono a chiarire una situazione o un problema. La comprensione appare come un qualcosa di sottile, intesa come abilità di pensare e di agire con flessibilità usando ciò che si conosce. L’esito di questo quarto incontro, che si collocava a metà del percorso, è stato “Lo chiameremo Andrea”: un prodotto narrativo, costruito passo dopo passo dal gruppo, all’interno del quale sono confluite le varie biografie personali dei partecipanti: storia che ha catalizzato parte degli apprendimenti del gruppo, svolgendo una funzione rappresentativa ed epistemica. “Lo chiameremo Andrea”, nell’economia complessiva del percorso, ha permesso di orientare l’attenzione del gruppo sul positivo perché, come sostiene Janssen (2008), questo orientamento di pensiero può avere effetti di empowerment per le persone, con la generazione di un sentire positivo che aiuta a riporre fiducia nel proprio ruolo e a trovare energia per agire non come meri esecutori di azioni decise altrove ma come professionisti e genitori creativi che disegnano e realizzano il paesaggio in cui abitare (Mortari, 2013). Quinto incontro: Il cammino (Progettare la vita) Il cammino è…scelta, lungo, quotidianità, percorso in avanti, curiosità, strada, non finisce mai, sempre andare avanti, potenzialità, segnali, persone, apprezzamento, fiducia, camminare insieme, disponibilità, infinito.

Il quinto incontro ha esteso il confronto al tema del Progetto di vita, attraverso la metafora del cammino. Ha permesso di ritornare sui contenuti delle precedenti riunioni rinforzando la dimensione temporale e lo sguardo al futuro. Per fare questo, si è cercato soprattutto di comprendere se e in che modo fosse cambiato l’atteggiamento personale verso la quotidianità e le sfide che riserva: “Il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema. Comprendi?”9 è stato perciò l’input di apertura. È emersa soprattutto un’accresciuta capacità di contestualizzare le problema-

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Nel CA (Sen, 1985) le capability sono le libertà sostantive di cui un individuo gode di condurre il tipo di vita a cui lui o lei danno valore. Sono funzionamenti potenziali degli individui o “le combinazioni alternative di functioning che una persona è in grado di raggiungere” (Biggeri e Bellanca, 2011, p. 22). Spiegare, interpretare, applicare, avere prospettiva, empatizzare, avere autoconoscenza. Virgolettato tratto dal film “I pirati dei caraibi”.

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tiche, riuscendo a gestire la tendenza a generalizzare le difficoltà. Dentro a questo clima, si è inserita bene la discussione sul Progetto di Vita perché ha stimolato la tensione emancipativa di insegnanti e genitori, la loro capacità di pensare adulti alunni e figli (Visentin & Strobbe, 2014). PdV narrato come percorso lungo, da fare assieme, domandandosi dove si vuole andare e con l’aspirazione di “farli camminare con le proprie gambe”. Il cammino è descritto come un percorso che non finisce mai, che ha bisogno della curiosità dell’alunno/bambino e per essere autentico deve considerare i suoi desideri. Tra i partecipanti è maturata l’idea di un progetto di vita che si fa tensione al non ancora, un po’ come Kaneklin e Manoukian (citati da Lepri, 2011, p. 88) quando affermano che « il progetto è un sogno con delle scadenze ». E le scadenze possono essere i nuovi apprendimenti, le nuove esperienze di vita godute, una più articolata capacità di scegliere e quindi di autodeterminarsi. Non a caso, la storia illustrata che ha chiuso questo incontro è stata “Un piccolo passo” (James, 2008), che attraverso un linguaggio anche umoristico, ironico e leggero ha permesso di dare valore alle piccole conquiste quotidiane, spostando lo sguardo su ciò che si è riusciti già a fare piuttosto che su ciò che manca. Ironia e umorismo sono state di certo tra le risorse che abbiamo messo dentro la nostra valigia per camminare con fiducia, facendo nostre le parole di Canevaro quando afferma che « l’inclusione è andare per il mondo, andare nel mondo. Che non è preparato. Il mondo non è mica preparato a riceverci, ma noi lo dobbiamo sapere. E non pensare che c’andiamo quando sarà preparato. C’andiamo in ogni modo. E mettiamo insieme le cose che ci servono. Questo è l’interesse per la fase nuova, la fase adulta»10. Sesto incontro: “L’orchestra” (Armonizzare le relazioni) L’orchestra è...musica, trascendenza, armonia, aspirazioni, sintonizzarsi, concertazione, coordinarsi, linguaggio, team, piacevolezza, orchestrare, bene, direttore, insegnanti, ascoltare, abbellimento, stare insieme...

La metafora dell’orchestra richiama ciò che Pennac scrive nel libro Diario di scuola: «Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che sa fare solo bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica» (Pennac, 2007, p. 107). E ritorna anche in questo caso il riferimento alla fioritura che, facendoci contaminare da un altro contesto quello della musica ad esempio, rappresenta un abbellimento (detto anche ornamento, fioritura o fioretto) ed è costituito dall’inserimento nella linea melodica

10 Virgolettato tratto dalla video intervista allegata a Canevaro A., 2013, Scuola inclusiva e mondo più giusto, Trento: Erickson.

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di una o più note la cui funzione non sia strutturale bensì ornamentale e/o espressiva. La fioritura è una successione di note, che non di rado contengono passaggi cromatici, inserita in qualsiasi punto del brano. Le note della fioritura sono più piccole e sono eseguite quasi improvvisando, senza rigide regole ritmiche lasciando così all’esecutore un certo margine di discrezionalità. La fioritura può presentarsi come: una variazione alla melodia che la precede; una nuova melodia autonoma; un passaggio ornamentale tra la melodia precedente e quella successiva (Fonte: Wikipedia). Viene in mente il riferimento a ciò che Canevaro definisce come riposizionamento, inteso come possibilità che un individuo si ricollochi rispetto a una mappa di percorso che ne permetta degli sviluppi diversi da quello che sembrava il suo destino. (Canevaro, 2006). E il riferimento corre al progetto di vita (percorso) che, in riferimento alla sua evoluzione (nel suo sviluppo) ha l’opportunità di beneficiare di sviluppi possibili (elementi come percorso realizzato, incontro con altri genitori e insegnanti, dialogo) che lasciano intravvedere sentieri e confini di vita alternativi, diversi, e condivisi. La fase finale dell’incontro è stata dedicata alla valutazione complessiva del percorso: abbiamo quindi rilanciato la “grande domanda” al gruppo, con l’obiettivo di conoscere se e in che modo fossero cambiati gli interrogativi di partenza. Analizzando la discussione che ne è nata, abbiamo visto che gli insegnanti sono riusciti a costruire, rispetto agli esiti di inizio progetto, una lettura maggiormente articolata delle dinamiche relazionali – come trovare la fiducia del genitore? Come si sente il genitore quando lascia il figlio a scuola? – e dell’impegno didattico: quali metodologie adottare? Come essere efficace nell’insegnamento? Come creare un’armonia tra i differenti stili didattici dei vari docenti della classe? I genitori, dal canto loro, si sono soffermati anche su questioni che riguardavano la propria persona: quando finirà quest’angoscia nei confronti del mondo scolastico? Riuscirò a tenere assieme tutti gli impegni? Ce la farò ad essere sereno/a? Dunque, uno dei processi maggiormente emersi in questa esperienza è quello di decentramento: – se ricondotto al bambino/alunno, ci si impegna a considerare il suo ben-essere in rapporto alla qualità delle relazioni che vive (in particolare le relazioni tra pari a scuola, piuttosto che le relazioni tra fratelli in famiglia); la mia domanda è riuscirò un giorno forse a essere serena? E la mia risposta è penso no…io penso mio figlio sia felice, lo vedo un bambino contento, che sta bene, però poi mi chiedo è così come lo vedo io, oppure non esprimendosi, …ti chiedi ma sta bene è tutto apposto, ti poni sempre delle domande, e quando sarò più vecchia riuscirò a seguirlo come ora, e se poi non ci sarò cosa farà lui, e queste domande ti fanno mancare la serenità

– se ricondotto a sé, come genitore o insegnante, l’azione sprona la ricerca di maggiore reciprocità: non ci si chiede solo “Di cosa ho bisogno per fare un buon lavoro educativo?” ma si fa i conti anche con l’interrogativo “Quale contributo posso dare affinché altri insegnanti e genitori possano a loro volta fare un buon lavoro?”. la mia domanda era che cosa sente (non con le orecchie) il genitore quando lascia suo figlio a scuola, è ancora valida, io non so moltissime cose e vorrei saperne sempre di più… ho letto una frase che noi abbiamo paura della luce e non abbiamo paura del buio, penso sia proprio così credo che non dobbiamo dare mai niente per scontato e dobbiamo sempre provare.

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A queste due principali declinazioni in tema di decentramento, se ne aggiunge una terza, meno evidente e tuttavia preziosa: il decentramento rispetto al proprio ruolo educativo. Questo vale soprattutto per un genitore, un po’ troppo spesso focalizzato sul proprio “essere padre/madre di…”: a me resta sempre l’angoscia del mondo istituzionale e della scuola che non riesce con le sue regole a mettere il ragazzo al centro poi intanto incrocio le dita e non mi pare possibile che ad esempio riesca a farcela da solo, quando il ragazzo è stato all’inizio dell’anno due settimane da solo in classe…alla fine uno si gratifica quasi con la negazione di quello che chiede.

Questo incontro ha rinforzato il convincimento sull’opportunità di ri-equilibrare tempi, spazi ed energie dedicati ai differenti ruoli sociali, cercando di non fossilizzarsi solo su quelli che implicano una responsabilità educativa.

3. Valutare per co-progettare: riflessioni di chiusura Il gruppo ha trovato ne “Lo chiameremo Andrea”11 il simbolo della sua capacità generativa di cambiamento. In linea con l’idea che nelle comunità di pratica si eseguono compiti complessi che vengono affrontati servendosi delle caratteristiche dell’ambiente in cui si svolgono (Santi, 2006), tale storia fa sintesi delle varie biografie personali narrate e vuole emanciparsi dalle stesse per diventare un mediatore relazionale-educativo-didattico per altri genitori-insegnanti-educatori che incontrano bambini e ragazzi con la sindrome X fragile. Consideriamo questa storia come mediatore per costruire collegamenti con le esperienze di vita vissute dai vari interlocutori e andare avanti attraverso una narrazione e un’evoluzione della storia stessa. Ecco perché Andrea è un bambino di 7 anni che vive esperienze scolastiche che possono essere raccontate indistintamente da molti genitori. È malleabile, per poter riflettere l’impronta che la persona vi pone senza che questa sia definitiva ma sempre perfettibile. Può permettere di esercitare l’impronta soggettiva, sperimentando gli aspetti creativi ma anche distruttivi, essendo nello stesso tempo attore e spettatore. Inoltre tale storia permette di condurre e guidare una sperimentazione di sé da parte della persona, senza che questi si senta giudicato in maniera tale da compromettere altre esperienze. La co-valutazione (Aquario, 2015) finale ha permesso anche di individuare alcuni aspetti particolarmente significativi che il gruppo vive come questioni aperte, sempre in evoluzione. Li presentiamo accompagnati dai virgolettati dei partecipanti: – cura reciproca tra insegnanti e genitori come colonna portante dell’alleanza educativa: io noto da parte degli insegnanti l’ansia e la paura di non essere preparati, io invece da genitore penso che in un insegnante non mi interessa quanto sia preparata e quanto conosce della malattia di mio figlio ma mi rassicura una

11 “Andrea è un bimbo di 7 anni, abita con la sua famiglia in un bel quartiere residenziale di una città popolosa di ragazzi provenienti da tutta Italia volenterosi di imparare... Anche Andrea vuole imparare il suo appetito per le cose da grandi lo rende impaziente e frenetico…” (Testo tratto da “Lo chiameremo Andrea…”)

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persona che fa di tutto per imparare, ma che si rende disponibile, vuol dire che è pronta per fare questo cammino, quindi se anche parte da zero ma ha questa disponibilità a voler imparare sei in una botte di ferro.

– corresponsabilità e punti di vista diversi come opportunità liberanti: Come insegnante mi chiedo sempre come entrare in questa relazione che si rinnova ogni anno, come essere dentro la relazione però cercando di condividere, essere corresponsabile di questo progetto che abbiamo davanti rimanendo rispettosa della loro fatica che rimane sicuramente loro e a volte mi sento estranea in questa relazione perché so che c’è un essere genitori che non è l’essere insegnanti

– percepirsi generatori di creatività educativa e didattica: Anche grazie a quello che ci siamo detti qui dentro, devo dire che all’inizio mi preoccupavo di farlo star bene, nel senso che vivevo una reciproca frustrazione agli inizi. Adesso mi interessa molto di più come rendergli le cose interessanti, perchè quando c’è l’interesse e la motivazione c’è una scintilla: ti preoccupi meno dell’iperattività e sei concentrata su cosa puoi fare.

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Riteniamo che il passo più significativo che il progetto ha permesso di muovere sia legato alla consapevolezza che non è la sola progettualità educativa dell’alunno/figlio ad interessare, ma l’intreccio delle biografie di tutti i protagonisti in scena: i progetti di vita maturano in osmosi tra loro, facendo del bene comune la finalità di cura che li tiene assieme. Complessivamente, il contesto partecipato ha permesso di ri-discutere i temi educativi e concretizzare quell’idea di partnership che poi ciascuno ha rimesso in gioco a scuola e in famiglia. A questo impegno educativo che ingaggia le figure adulte, si accompagna il desiderio di fare della classe uno spazio felice, come ci ricorda Mario Lodi (1977, p. 31): «I principi sui quali ho fondato l’attività delle mie scolaresche in tutti questi anni tendono a realizzare una comunità in cui i bambini si sentano uguali, compagni, fratelli; essi non avvertono e non hanno al di sopra uno che li comanda e li umilia, ma un maestro che li guida alla esplorazione della vita. In questo tipo di comunità ovviamente non c’è il voto e nessun altro timore. C’è invece la motivazione a tutto ciò che si fa. E tra i fini delle attività c’è quello della felicità». Abbiamo narrato e praticato, ogni volta che ci si incontrava, un’idea di inclusione che Canevaro traduce in “senso di appartenenza”: grazie a questo clima abbiamo nutrito l’empowerment personale e di gruppo e siamo diventati comunità consapevole dei diritti umani e civili in gioco, disposta ad affermarne il rispetto oltreché il loro godimento (Barbuto et al. 2011)12.

12 In continuità con il progetto illustrato in queste pagine, nel 2015 e nel 2016 è stata attivata l’esperienza “Le Buone X Prassi I e II”, coordinata a livello nazionale dal prof. Andrea Canevaro e da Alessia Brunetti, e condotta nel territorio Veneto dagli scriventi.

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La formazione dell’orientamento professionale nel Corso di Laurea Magistrale in Psicologia e Pedagogia

Tatyana Analatolyevna Egorenko • Università Statale di Psicologia e Pedagogia di Mosca

Становление профессиональной направленности в процессе обучения в магистратуре психолого-педагогического направления

Ключевые слова: профессиональная направленность, профессионально важные качества, профессиональное образование, профессиональное самоопределение, профессиональная рефлексия, профессиональноценностные ориентации.

L’articolo tratta la formazione dell’orientamento professionale durante il corso di laurea magistrale in Psicologia e Pedagogia. Vengono definiti gli elementi che formano il concetto dell’orientamento professionale dell’individuo. Vengono identificati condizioni e fattori che influenzano la formazione dell’orientamento professionale durante il corso di Laurea Magistrale. Si evidenziano le condizioni della formazione dell’orientamento professionale della personalità dello studente magistrale in Psicologia e Pedagogia.

Parole Chiave: orientamento professionale, qualità professionali rilevanti, formazione professionale, autodefinizione professionale, riflessione professionale, orientamento professionale sotto l’aspetto valoriale.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa – Italian Journal of Educational Research © Pensa MultiMedia Editore srl – ISSN 2038-9736 (print) – ISSN 2038-9744 (on line)

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В статье рассматривается становление профессиональной направленности в процессе обучения в магистратуре психологопедагогического направления. Определяются составляющие понятия профессиональная направленность личности. Обозначены условия и факторы, влияющие на становление профессиональной направленности в процессе обучения в магистратуре. Выделены условия формирования профессиональной направленности личности магистранта психологопедагогического направления.


La formazione dell’orientamento professionale nel Corso di Laurea Magistrale in Psicologia e Pedagogia

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Il corso di laurea magistrale in Psicologia e Pedagogia, in quanto istruzione superiore di secondo livello, introduce una nuova realtà tra la pedagogia e la psicologia, che forma una risorsa importantissima per la formazione di un educatore moderno con una preparazione in psicologia, e di uno psicologo per il sistema d’istruzione. Il grado di successo dell’adattamento, le abilità scolastiche e lo sviluppo dell’idoneità professionale sono gli elementi chiave per assicurare il livello di idoneità del laureato magistrale. Accanto alla formazione delle qualità rilevanti dal punto di vista professionale si sviluppa anche la mentalità professionale, si forma il suo tipo professionale con il corrispettivo orientamento valoriale, il carattere, le particolarità individuali del comportamento professionale e lo stile di vita in generale. Lo sviluppo dell’orientamento professionale costituisce il nucleo dello sviluppo professionale nel corso degli studi, dell’apprendimento della professione e dell’espletamento dell’attività professionale. Il processo di studi del corso di laurea magistrale rappresenta un periodo sensitivo nello sviluppo dell’orientamento professionale della personalità di un futuro educatore o psicologo. Nell’intero corso degli studi avviene la trasformazione e lo sviluppo dell’orientamento professionale. Questo periodo apre una nuova fase di formazione e trasformazione dell’individuo in quanto futuro professionista. Si formano interessi professionali, si costruisce la capacità di vedere le prospettive di sviluppo. L.I.Bozhovich, V.V.Davydov, E.I.Isaev scrivono che le novità principali di questo periodo sono l’autoriflessione, la consapevolezza ( osoznanie ) della propria individualità, l’immersione nell’aspetto professionale della vita, la formazione della disposizione consapevole a costruire la propria vita. La condizione base per la formazione di uno specialista è una motivazione professionale positiva e costante. L’interesse per l’attività professionale è strettamente connesso a tutti i componenti della struttura della personalità, alle sue esigenze, motivazioni, intenti e valori di riferimento. Trovare la propria collocazione nell’attività professionale, scegliere la propria via lavorativa in maniera cosciente, avere le possibilità di realizzare la propria creatività durante il processo di lavoro, dare al proprio lavoro un significato personale - tutto ciò risiede nel concetto “dell’autodefinizione professionale della persona”. Per lo sviluppo dell’orientamento professionale nel corso degli studi universitari lo studente del corso di laurea magistrale deve percorrere la strada del perfezionamento professionale e dello sviluppo personale del Sè. I.V. Vachkov, I.B. Grinshpun, N.S. Pryazhnikov (2002) propongono delle possibili varianti: 1. Le vie formali. Sono legate alle regole adottate nell’università, alle tradizioni di lavoro con gli studenti del corso di laurea magistrale e al successo negli studi. Le vie informali sono la possibilità dei contatti amichevoli con i compagni del corso, con alcuni professori, la possibilità di rivolgersi a loro per chiedere aiuto. 2. La possibilità dello studente di trovare un lavoro per il periodo degli studi e avere l’aiuto dei colleghi in altre organizzazioni.

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3. Le vie legate alla preparazione di uno specialista con preparazione estesa e le vie legate alla elevata specializzazione magistrale. Uno specialista con preparazione estesa ha l’accesso ad un ampio spettro di conoscenze stando all’università e può ampliare il suo orizzonte professionale. In questo la specializzazione è inevitabile e utile. 4. Lo sviluppo del Sè. Una condizione importante dello sviluppo professionale e personale è la ricerca di un supervisore. 5. Per uno sviluppo professionale completo e la formazione dell’orientamento professionale servono vie costruite con l’intento di svilupparsi nel campo della psicologia e pedagogia, Quando uno studente magistrale ha un’idea importante, un obiettivo e un senso , anche le attività più “noiose” non si percepiscono tali. In base ai risultati della ricerca condotta da T.A. Egorenko e S.V. Kostromitina sono state evidenziate le qualità rilevanti dal punto di vista professionale per gli specialisti in psicologia e pedagogia, che formano la base per lo sviluppo delle competenze professionali e personali nel corso di studi e della assunzione della professionalità: è l’attività di percezione, la flessibilità e la velocità della mente; le capacità di comunicazione, la stabilità emotiva, l’empatia (l’amore e l’interesse per gli altri), l’orientamento verso lo sviluppo della personalità degli studenti, la tendenza all’automiglioramento, la responsabilità, la capacità di collaborare. Un fattore importante per la formazione dell’orientamento professionale dello studente del corso di laurea magistrale in Psicologia e Pedagogia è lo sviluppo della soggettività. La soggettività è la categoria psicologica che esprime l’essenza del mondo interiore dell’individuo (V.I. Slobodchikov). La soggettività può essere sviluppata grazie al desiderio costante del miglioramento di sè, della crescita professionale e può ovviare a parziali lacune in alcune conoscenze. Per gli studenti al livello magistrale devono essere create le condizioni per portare alla coscienza il significato dello sviluppo del Sé , dell’incremento nella realizzazione di Sè ,visto che gli strumenti principali del lavoro di uno educatore e psicologo sono le qualità soggettive. Nella ricerca condotta da T.A. Egorenko e S. E. Polukarov una delle qualità più importanti di un futuro professionista in psicologia e pedagogia è la riflessione in quanto capacità di stimare in maniera adeguata se stessi e le proprie capacità professionali. Solo la capacità di un lavoro di riflessione, secondo gli autori citati , offre la possibilità di sviluppo e miglioramento del Sè. Di conseguenza uno dei compiti primari della formazione professionale è lo sviluppo delle capacità di riflessione e l’elaborazione di una cultura di riflessione da parte degli studenti magistrali in psicologia e pedagogia. Nel corso della formazione pochi studenti sono in grado di fare la prognosi del proprio progresso personale e di carriera. Come sottolinea N.L. Kirt, le ricerche sui progetti professionali dimostrano che gli studenti hanno difficoltà nel costruirli anche per gli anni viciniori , non solo quelli a lungo termine. Hanno una grande sensazione di indeterminatezza per quanto riguarda il futuro. Ne consegue che la capacità di costruire la traiettoria dello sviluppo professionale e personale va posta tra gli obiettivi prioritari degli studi del corso di laurea magistrale in Psicologia e Pedagogia. È indispensabile saper confrontare le proprie capacità con le richieste della professione, con i possibili cambiamenti delle tecnologie dell’attività professionale, e cosi via. Le abilità di definire obiettivi e pianificare sono uno degli elementi costitutivi dell’orientamento professionale degli studenti del corso di laurea magistrale in Psicologia e Pedagogia.

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La formazione professionale dello studente magistrale in Psicologia e Pedagogia è influenzata dai fattori motivazionali. Nel corso degli studi gli studenti magistrali sono soggetti all’impatto di diversi induttori in contraddizione tra loro e nei confronti degli obiettivi personali. Nella persona che svolge attività di psicologia e pedagogia di solito prevalgono alcuni motivi: l’amore e il desiderio di lavorare con i bambini, il senso di responsabilità per l’istruzione dei bambini, la possibilità di essere uno specialista altamente qualificato. Questi motivi possono incrociarsi con altri ,come il riconoscimento da parte dei colleghi, la premiazione materiale e morale, l’acquisizione di condizioni ottimali per la crescita del Sè. Sono motivi preziosi la consapevolezza dell’alta missione del docente, il senso di responsabilità civile, il desiderio di arrecare il proprio contributo al miglioramento delle condizioni di vita della società. Pertanto possiamo parlare di un pluriorientamento motivazionale dell’ educatore psicologo. Poichè la motivazione all’attività professionale è una qualità dinamica, mobile, il compito dell’università è sviluppare e mantenere l’amore per la professione, mentre il compito dell’individuo è formare nel corso degli studi in se stessi le qualità indispensabili per espletare con successo l’attività professionale. Secondo A.K.Markova (1996), nel corso degli studi è importante lavorare prima di tutto sulla sfera motivazionale degli studenti e solo parallelamente ad essa sull’aspetto nazionale generale (conoscenze, azioni, capacità professionali, ecc.). Per sfera motivazionale si intendono obiettivi, motivi e disposizioni professionali. Analizzando vari criteri dell’orientamento professionale possiamo concludere che esso si forma nel corso della laurea magistrale ed è una caratteristica dinamica che risponde ai seguenti criteri: cognitivo, concreto attivo (di attività pratica) e valoriale. Il criterio cognitivo è caratterizzato dall’ avvenuta assimilazione dei fondamenti teorici dell’attività professionale, dalla conoscenza delle qualità dell’ educatore psicologo rilevanti dal punto di vista professionale, dal grado di sviluppo di queste ultime . Il criterio dell’ attività pratica dimostra la prontezza al lavoro attivo di assimilazione autonoma della specialità futura, la prontezza all’automiglioramento personale e professionale. Il criterio di motivazione valoriale rispecchia l’interesse costante verso l’attività professionale futura, l’atteggiamento positivo verso la professione, la realizzazione dell’importanza sociale del lavoro futuro . È possibile effettuare la formazione di questi criteri usando l’approccio orientato sulla attività pratica, e sulla influenza della personalità in questa. L.I. Kunts (2005) ritiene che i modelli della formazione universitaria orientati sulla attività pratica devono sostituire modelli di formazione che escludono la personalità. I componenti principali di questi modelli sono l’organizzazione dell’attività congiunta tra gli studenti del corso di laurea magistrale e i professori nella formulazione e nella soluzione dei problemi rilevanti la professione. La definizione degli obiettivi deve essere l’inizio di tale attività, ed essa prevede l’attivazione e la descrizione di problemi reali pertinenti la formazione e la ricerca della loro soluzione. Questi problemi possono essere risolti attraverso la riflessione di gruppo e individuale, dialoghi, seminari attivi e training. Tra le condizioni per la formazione dell’orientamento professionale degli studenti magistrali in Psicologia e Pedagogia dal punto di vista dell’approccio dell’ attività basata sulla considerazione della personalità si enumerano: – innalzamento del livello della riflessione e della consapevolezza professionale ( professional’noe samosoznanie): la presa di coscienza, da parte del futuro specialista, delle qualità morali e professionali che bisogna sviluppare in se stessi per svolgere con successo l’attività professionale in futuro.

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– sviluppo delle qualità rilevanti dal punto di vista professionale; – attivazione dell’autoeducazione e dell’autoistruzione.

Riferimenti bibliografici Kirt N.L. (2012). Nekotorye osobennosti stanovleniya budushikh psikhologov. // Regionalnaya sluzhba prakticheskoy psikhologii. (Alcune caratteristiche della formazione del futuro psicologo. Servizio regionale dello psicologo praticante). Samara. Kunts L.I. (2005). Professionalnaya napravlennost’ kak faktor formirovaniya obraza buduschey professionalnoy deyatelnosti (na primere studentov-psikhologov) (L’indirizzamento professionale come fattore per la formazione della futura attività professionale (per studenti di psicologia). Tesi di dottorato in Scienze Psicologiche. Novosibirsk, p. 243. Markova A.K. (1996). Psikhologiya professionalizma. (Psicologia della formazione alla professione), Mosca: Casa editrice “Prosveschenie”. Vachkov I.V., Grinshpun I.B., Pryazhnikov N.S. (2002). Vvedenie v professiu psikhologa. (Introduzione alla professione dello psicologo), Mosca.

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Магистратура психолого-педагогического направления, как вторая ступень высшего образования - новая реальность между педагогикой и психологией, представляющая собой важнейший ресурс подготовки психологически подготовленного современного педагога, психолога для системы образования. Успешность адаптации, успеваемость и становление профессиональной пригодности - основные моменты для обеспечения необходимого уровня подготовки выпускника магистратуры. Одновременно с формированием профессионально важных качеств развивается и профессиональное мышление человека, формируется его профессиональный тип с соответствующими ценностными ориентациями, характером, индивидуальными особенностями профессионального поведения и образа жизни в целом. Развитие профессиональной направленности является ядром профессионального становления в процессе обучения, освоения профессии и выполнения профессиональной деятельности. Процесс обучения в магистратуре является сензитивном периодом в развитии профессиональной направленности личности будущего педагога и психолога. В ходе всего обучения происходит изменение и развитие профессиональной направленности. Этот период открывает новый этап в становлении и преобразовании личности, как будущего профессионала. Формируются профессиональные интересы, выстраивается умение видеть перспективы развития. Л.И.Божович, В.В.Давыдов, Е.И.Исаев пишут о том, что главными новообразованиями этого периода выступают саморефлексия, осознание собственной индивидуальности, погружение в профессиональную сферу жизни, формирование установки на сознательное построение собственной жизни. Базовым условием становления специалиста выступает положительный устойчивый профессиональный мотив. Интерес к профессиональной деятельности теснейшим образом связан со всеми компонентами структуры личности, ее потребностями, мотивами,

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установками и ценностными ориентациями. Нахождение своего места в профессиональной деятельности, свободный осознанный выбор трудового пути, возможности творческой реализации в рамках рабочего процесса, воплощении личного смысла в труде – все это находит свое обоснование в понятии «профессионального самоопределения личности». Для развития профессиональной направленности в процессе обучения в вузе магистранту необходимо пройти путь профессионального совершенствования и личностного саморазвития. И.В. Вачков, И.Б. Гриншпун, Н.С. Пряжников предлагают возможные варианты:

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1. Формальные пути. Связаны с существующими правилами в вузе, традициями работы со студентами-магистрами, успеваемостью. Неформальные пути – это возможность дружеского общения с сокурсниками, некоторыми преподавателями, возможность обращения к ним за помощью. 2. Возможность магистранта подрабатывать в период обучения и получать помощь коллег в других организациях. 3. Пути, связанные с подготовкой широко образованного специалиста и пути, связанные с узкой специализацией магистранта. Широко образованный специалист получает возможность приобщиться в вузе к разнообразным знаниям, расширить свой профессиональный кругозор. При этом, специализация неизбежна и полезна. 4. Путь саморазвития. Важным условием профессионального и личностного развития является поиск наставника. 5. Для полноценного профессионального развития и становления профессиональной направленности необходимы пути, выстраиваемые с желанием развиваться в области психологии и педагогики. Когда у магистранта есть значимая идея, цель и смысл, тогда даже «скучные занятия» воспринимаются иначе. [1]

По результатам исследования, проведенного Т.А. Егоренко и С.В. Костромитиной, были выделены общие профессионально важные качества для специалистов психолого-педагогической направленности, которые составляют основу для развития профессиональных и личностных компетенций в процессе обучения и профессионального становления: это активность восприятия, гибкость и быстрота мышления; коммуникативность, эмоциональная устойчивость, эмпатия (любовь и интерес к людям), ориентация на развитие личности учащихся, стремление к самосовершенствованию, ответственность, способность к сотрудничеству. Важным фактором становления профессиональной направленности студента-магистранта психолого-педагогического направления является развитие субъективности. Субъективность — это та категория в психологии, которая выражает сущность внутреннего мира человека (В.И. Слободчиков). Субъективость можно развить благодаря постоянному стремлению к самообразованию, профессиональному развитию, что может восполнить даже недостатки в отдельных знаниях. Для магистрантов должны быть созданы условия осознания важности собственного развития и самосовершенствования, т.к. основными инструментами в работе педагога и психолога являются именно его субъектные качества. В исследовании, проведенном Т.А. Егоренко и С.Е. Полукаровым одним из важнейших качеств будущего профессионала психолого-педагогического

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направления выделена рефлексия, как способность к адекватной оценке себя и своих профессиональных способностей. Только способность к рефлексивной работе, по мнению авторов, дает возможность развития и самосовершенствования. Следовательно, одной из первостепенных задач профессионального образования является - развитие рефлексивных способностей и рефлексивной культуры магистрантов психологопедагогического направления. На этапе обучения немногие магистранты прогнозируют свое личное и карьерное продвижение. Как отмечает Н.Л. Кирт, исследования профессиональных планов показывают, что студенты затрудняются в построении своих профессиональных планов даже на несколько ближайших лет, не говоря о долгосрочной перспективе. У них велико ощущение неопределенности в отношении будущего. В связи с этим, умение строить траекторию профессионального и личностного развития является одной из приоритетных задач обучения в магистратуре психолого-педагогического направления. Необходимо умение сопоставлять способности с требованиями профессии, с возможными изменениями технологий профессиональной деятельности и т.д. Навыки целеполагания и планирования являются одной из составляющих в развитии профессиональной направленности магистрантов психологопедагогического направления. [2] На профессиональное становление магистранта психологопедагогического направления оказывают влияние мотивационные факторы. В процессе обучения магистранты испытывают действия различных побудителей, которые могут находиться в противоречивых отношениях друг с другом и вступать в противоречия с целями личности. У личности, занимающейся психолого-педагогической деятельностью, как правило, преобладает несколько мотивов: любовь и желание работать с детьми, чувство ответственности за воспитание детей, возможность быть высококвалифицированным специалистом. Эти мотивы могут пересекаться с другими, такими как получение признания коллег, материальное и моральное поощрение, обретение оптимальных условий для саморазвития. Ценными мотивами являются осознание высокой миссии учителя, чувство гражданского долга, желание внести свой вклад в улучшение условий жизни общества. Таким образом, можно говорить о полинаправленности в мотивации педагога и психолога. Поскольку мотивация профессиональной деятельности является динамическим, изменчивым свойством, задача вуза - развивать и поддерживать любовь к профессии, а задача личности в процессе обучения – формировать в себе качества, необходимые для успешного осуществления профессиональной деятельности. По мнению А.К.Марковой, в процессе обучения необходимо работать, прежде всего, над мотивационной сферой обучающихся и только параллельно с этим развивать общенациональную сферу (профессиональные знания, действия, способности и т.д.) Под мотивационной сферой подразумеваются профессиональные цели, мотивы, установки.[4] Анализируя различные критерии профессиональной направленности, можно сделать вывод о том, что направленность формируется в процессе обучения в магистратуре, и является динамической характеристикой соответствующей следующим критериям: когнитивному, деятельностнопрактическому и мотивационно-ценностному. Когнитивный критерий

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характеризуется успешным освоением теоретических основ профессиональной деятельности, информированностью о профессионально-важных качествах педагога и психолога, степенью развитости ПВК. Деятельностно-практический критерий показывает наличие готовности к самостоятельной активной работе по освоению будущей специальности, готовностью к самосовершенствованию личному и профессиональному. Мотивационно-ценностный критерий отражает устойчивый интерес к будущей профессиональной деятельности, положительное отношение к профессии, осознание социальной значимости будущей профессии. Реализовать формирование данных критериев можно используя практико-ориентированный и личностно-деятельностный подход. Л.И. Кунц считает, что практико-ориентированные модели обучения в вузе должны прийти на смену личностно-отчужденным образовательным моделям. Основными компонентами таких моделей являются организация совместной деятельности между студентами- магистрантами и преподавателями в процессе постановки и решения профессионально значимых проблем. Целеполагание должно послужить началом такой деятельности, и оно предполагает активизацию и описание реальных образовательных проблем, поиск их решения. Эти задачи можно решить с помощью групповой и индивидуальной рефлексии, диалогов, активных семинаров и тренингов. [3] К условиям формирования профессиональной направленности магистрантов психолого-педагогического направления с точки зрения личностно-деятельного подхода относится:

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повышение уровня рефлексии и профессионального самосознания: осознание будущим специалистом моральных и профессиональных качеств, которые необходимо развивать в себе для дальнейшей успешной реализации профессиональной деятельности; развитие профессионально-важных качеств; активизация профессионального самовоспитания и самообразования.

Список литературных источников

Вачков И.В., Гриншпун И.Б., Пряжников Н.С. Введение в профессию психолога. Москва, 2002 Кирт Н.Л. Некоторые особенности становления будущих психологов. // Региональная служба практической психологии. Самара. – 2012. Кунц Л.И. Профессиональная направленность как фактор формирования образа будущей профессиональной деятельности (на примере студентов-психологов). — Дис.канд.психол.наук. - Новосибирск, 2005. — 243с. Маркова, А.К. Психология профессионализма. – Москва: «Просвещение», 1996. 308 с

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