Recensione di Luca Bruzzese

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tual del Satyricon, ediciones, comentarios, traducciones, concordancias y bibliografías, a la vez que problemas textuales específicos de algunos fragmentos de la novela petroniana. Un apartado de ‘Conclusiones’ sumamente adecuado y esclarecedor, junto con una bibliografía, que revela la profundidad y exhaustividad del estudio realizado, cierran la lectura de este libro, que, sin dudas, invita a retornar a él, una y otra vez, en una relectura que resulta orientadora y enriquecedora para todo el ámbito de nuestros estudios clásicos.

María Luisa La Fico Guzzo Universidad Nacional del Sur marialuisa.laficoguzzo@uns.edu.ar

Cirio, A. M., Gli Epigrammi di Giulia Balbilla (ricordi di una dama di corte) e altri testi al femminile sul Colosso di Memnone. (Satura, 9). Lecce: Pensa MultiMedia, 2011. Pp. 177. Pb. ISBN 9788882328863. €18.00 Amalia Margherita Cirio (d’ora in avanti C.) colma un vuoto: i quattro epigrammi scritti sulla pietra del Colosso di Memnone a Tebe d’Egitto da Giulia Balbilla non avevano ricevuto finora una seria attenzione editoriale ed esegetica di tipo monografico ma erano stati perlopiù editi insieme alle molte altre iscrizioni del Colosso in pubblicazioni di carattere epigrafico (vedi l’edizione più recente di A. e É. Bernard, Les inscriptions grecques et latines du Colosse de Memnon, Paris, 1960). Al tempo stesso la poetessa, benché non ignorata da alcuni studiosi in opere di carattere storico, epigrafico, linguistico e (meno) letterario – anche per la singolarità dell’uso del dialetto eolico in pieno II sec. d.C. –, ha subito spesso deprezzamenti e definizioni riduttive del suo spessore culturale e poetico, al punto da scomparire in gran parte dei repertori generali di letteratura greca. Il lavoro di C. si propone proprio di “recuperare” alla storia della letteratura la figura di Giulia Balbilla, valorizzandone, attraverso una puntuale opera di commento, il background culturale, le competenze linguistiche, l’originalità nel trattamento dei temi, la volontarietà dell’autopresentazione letteraria. Si può affermare con nettezza che si tratta di un tentativo riuscito. L’introduzione, molto ampia, fornisce tutte le informazioni necessarie riguardo al fenomeno sonoro del cosiddetto Colosso di Memnone, alle tradizioni culturali e religiose e ai complessi sincretismi che si sono accumulati su di esso


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nella storia dell’Egitto tolemaico e romano, discutendo tutte le fonti più importanti, riportate con testo e traduzione: la presentazione “scientifica” di Strabone (17, 1, 46), l’identificazione del Colosso con Memnone a partire da Plinio il Vecchio (N.H. 36, 58), l’importanza a questo riguardo del viaggio di Germanico (Tac. Ann. 2, 61, 1)1, l’interpretazione del suono come saluto alla madre Aurora (Dion. Per. Orb. Descr. 248-250; Schol. Dion. Per. Orb. Descr. 249; Tzetz. Chil. 6, 64 p. 220 Kiessling = p. 226 Leone), il preteso carattere oracolare della voce di Memnone (Luc. Philops. 33), la doppia identificazione, o con Memnone o con il faraone Amenofi III, insieme alla leggenda della mutilazione ad opera di Cambise (Paus. 1, 42, 3; schol. Iuven. 15, 5, p. 226 Wessner), l’umanizzazione del Colosso nelle fonti sussidiarie (Filostrato, Imerio, Callistrato). Poi C. prosegue con il descrivere le ipotesi sulla natura del fenomeno e sulla sua estinzione, incentrando l’attenzione sul valore sacrale e religioso del Colosso, oggetto di un vero e proprio culto, certamente sviluppato da Adriano. Infine Balbilla, dama di compagnia dell’imperatrice Sabina, dotta viaggiatrice discendente da un’illustre famiglia greco-orientale, emula di Saffo, viene ben contestualizzata nell’ambiente politico-culturale della corte “itinerante” di Adriano (part. pp. 47, 53-64): al riguardo C. richiama l’attenzione anche su un’epigrafe perduta di Tauromenio (CIG III 5904) in cui, secondo la pur discussa redazione di Franz, viene onorata proprio Giulia Balbilla. Questo tipo di analisi certamente arricchisce il quadro in cui gli epigrammi vanno inseriti e prelude ad una corretta interpretazione storico-letteraria: si tratta di un avanzamento che, sebbene in nuce in alcuni degli studi più recenti dedicati alla poetessa, va certamente ascritto ai meriti di C. Osservazioni equilibrate si ritrovano nelle pagine dell’Introduzione dedicate al dialetto eolico di Balbilla e all’ordine degli epigrammi (pp. 51-52, 65-66): attraente a questo riguardo l’ipotesi che le caratteristiche epigrafiche (collocazione, altezza e profondità d’incisione delle lettere) dell’Epigr. 4, dedicato da Balbilla a se stessa, siano in relazione con quella volontà di affermazione personale, dal punto di vista sociale e letterario, che si riscontra anche altrove negli epigrammi. Due sole notazioni: poiché è citato più di una volta, come antenato di Balbilla, Antioco IV Epifane di Siria (cfr. pp. 55, 57), forse sarebbe stato utile precisare il legame della poetessa con la dinastia seleucide (attraverso Laodice VII, figlia di Antioco VIII Grypos, andata in sposa a Mitridate

1 Particolarmente valorizzato da A. Bravi, “Vocem Memnonis audivi: il colosso di Memnone e i luoghi della memoria greco-romana in Egitto”, in O. D. Cordovana – M. Galli (edd.), Arte e memoria culturale nell’età della Seconda Sofistica, Catania, 2007, pp. 79-91, part. pp. 82-83 (lavoro citato più volte da C. nel corso del volume, insieme ad altra bibliografia recente).


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I di Commagene), per evitare confusione con il ben più tardo omonimo sovrano di Commagene, nonno paterno di Balbilla; in riferimento poi alla tradizione che identifica la statua con il faraone Amenofi III (Famenofi) e a quella della mutilazione della statua ad opera di Cambise, attestate dalle iscrizioni del Colosso (Balbill. Epigrr. 2 e 4; Trebull. Epigr. 3; Petronian. Epigr. 72 Bernard) e da Pausania (vedi anche schol. Iuven.), viene da pensare che Pausania, il quale visitò l’Egitto negli ultimi anni del regno di Adriano (p. 21), abbia tratto proprio dalle epigrafi tebane (o dalle fonti locali comuni) queste informazioni2. Se si volesse riconoscere un ruolo significativo a questi testi epigrafici nei meccanismi della tradizione, si potrebbe sottoscrivere con maggior decisione anche quanto C. sospetta riguardo all’“umanizzazione” della statua presente nei retori di età imperiale e in particolare in Callistr. Descr. 93. La seconda sezione del volume è dedicata all’edizione con traduzione e commento dei quattro epigrammi di Balbilla. Raramente C. si discosta dall’edizione Bernard, ma l’uso più coerente dei segni diacritici, la presentazione generalmente più idonea per una lettura di tipo filologico e il ricco apparato rappresentano un indubitabile progresso. Il commento è orientato principalmente all’analisi strutturale dei componimenti e al puntuale esame dei tratti eolici ed epico-ionici, in un’ottica storico-linguistica (cfr. ad es. la discussione sullo scempiamento delle geminate, su παῖσι, su πέσυρα, alle pp. 85, 87, 113114), ma soprattutto da un punto di vista letterario, per sottolineare i caratteri di “poesia colta” dell’arte di Balbilla. Particolarmente pregevole l’individuazione di una precisa strategia nella disposizione degli elementi nell’Epigr. 1. Solennità dell’espressione, erudizione, raffinatezza retorica e bilanciamento del testo sono dimostrati in maniera inequivocabile anche dalle note di commento all’Epigr. 2. Riguardo all’edizione di questo epigramma, C. non è del tutto sicura del dettato del v. 12 (che presenta qualche difficoltà di lettura nella pietra): accoglie infatti a testo, dubitanter, la soluzione di M. West4 ψύχαν δ’ ἀθανάταν λοῖπον ἔσωθα νόω (“e la tua anima immortale dunque percepisco dentro”) ma, nel commento, pur fornendo altri supporti per la forma avverbiale ἔσωθα, si mo-

2 Secondo Pausania (1, 42, 3) “i Tebani affermano che questa statua non è Memnone, ma un indigeno, Famenofi”, ma questa notazione potrebbe anche derivare direttamente da Balbill. Epigr. 2, 3-4 (“…o Amenoth, re egizio, come raccontano i sacerdoti esperti di antichi racconti”). 3 Cfr. p. 37 n. 42: “Questa affermazione di Callistrato…potrebbe avere una singolare consonanza con quanto Balbilla dice circa l’anima immortale della statua (vd. infra il testo di Epigr. 2, 12)”. 4 ZPE 25 (1977) 120.


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stra ancora molto tentata dalla lettura dei Bernard ἔσωσα νόῳ (“J’ai desormais sauvé et immortalisé ton âme par mon esprit”). Personalmente ritengo che in questo contesto (scrittura sulla pietra dello stesso Colosso) Balbilla non potesse pensare di garantire l’immortalità di Memnone a prescindere dalla conservazione della statua5 e sarebbe forse ingenuo da parte sua l’attribuirsi un merito (νόῳ, “con il mio spirito” o “per mia intenzione”), quando tutto dipende dalla sopravvivenza del Colosso (v. 11). Più coerente la sequenza logica nella lettura di West: ella non crede che la statua di Memnone possa perire e (infatti) vi percepisce dentro ormai un’anima immortale (tra l’altro con perfetto chiasmo). In riferimento all’Epigr. 3, definito da C. “il più nettamente encomiastico” (p. 108), va senz’altro condiviso il rifiuto dell’interpretazione legata al “lesbismo” saffico: l’elogio di Sabina deve essere considerato un mero omaggio cortigiano (per quanto motivato anche da affetto e consuetudine), non una “testimonianza” erotica. Aggiungerei che qui il protagonista “innamorato” è piuttosto Memnone6 e dunque semmai l’epigramma presenta un adattamento della situazione di Sapph. fr. 31 V., con Memnone nella parte di amante di Sabina, che, escluso dalla coppia imperiale, rimane silente davanti a loro: il silenzio qui però non è determinato dallo sconvolgimento della passione ma dal desiderio di farli tornare e di rimirare ancora Sabina, in un’atmosfera tutto sommato rilassata e gioiosa. Il componimento è certamente di carattere encomiastico e cortigiano, ma è al tempo stesso audace e spiritoso, quanto meno nella fantasia romanzesca con la quale plasma i rapporti tra i protagonisti. L’Epigr. 4 infine, di cui C. è in grado, come si è detto, di mostrare tutte le valenze, è restituito in maniera assolutamente convincente riguardo al testo (vedi in part. l’accoglimento deciso del δρόμο<ι>ς di Collitz) e liberato dai falsi problemi esegetici relativi alla supposta doppia datazione (p. 111). Le due Appendici costituiscono di fatto la terza sezione del libro e rappresentano un utile complemento al lavoro precedentemente svolto su Balbilla. La prima tratta di altre iscrizioni del Colosso appartenenti a personaggi femminili: l’epigramma in eolico di Damo (83 Bernard), i tre epigrammi di Cecilia

5 Nei casi, citati da C., relativi all’immortalità nelle iscrizioni del Colosso o se ne attribuisce il merito a libri destinati alla pubblicazione (Epigr. 22 Bernard) o, a quanto pare, si contrappone la durevolezza dell’epigrafe alla volatilità del proskynema orale (Epigr. 99 Bernard). Anche nell’epigramma di Damo (83 Bernard) la celebrazione, implicita garanzia di immortalità, avverrà nel futuro, mentre qui Balbilla (ἔσωσα) si riferirebbe all’opera da lei fatta iscrivere sulla pietra. 6 P. Rosenmeyer, “Greek Verse in Inscriptions in Roman Egypt: Julia Balbilla’s Sapphic Voice”, ClassAnt 27 (2008) 334-357.


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Trebulla (92-94 Bernard)7, le epigrafi di Sabina (32 Bernard), Giulia Saturnina e Dionisia (65-66 Bernard). La seconda riprende l’ipotesi, già formulata da C. in precedenza8, di un’identificazione del ritratto di Balbilla con una testa di giovane donna conservata al Museo Nazionale Romano (inv. 121539), aggiungendovi l’argomento che il rango e il ruolo della famiglia della poetessa potevano ben giustificare l’attribuzione dello ius imaginis ai suoi membri. Per quanto riguarda la prima Appendice, va segnalato che i chirurgici, ma importanti, interventi editoriali portati da C. all’epigramma di Damo9 (v. 4) restituiscono di certo un testo più plausibile nel contesto linguistico e metrico. Nel commento tra l’altro C. rimarca le ascendenze saffiche (nel lessico e nei temi) del pur breve componimento e prende in parte le distanze dall’audace tesi di T. C. Brennan10, che identificava questa poetessa con l’ateniese Claudia Damo, accettando solo l’evidente dipendenza tematica dell’epigramma di Damo dall’Epigr. 2 della stessa Balbilla. Al riguardo mi viene da notare che, là dove Balbilla insiste soprattutto sul prestigio religioso e politico della sua famiglia per “stabilire una comunicazione” con Memnone (tanto più se si accoglie la congettura di West), Damo invece punta esclusivamente sulla forza del proprio valore letterario, tenendosi in qualche modo più stretta ad un topos della tradizione poetica. Corretta infine sembra essere anche la cautela di C. nel considerare metrica l’epigrafe di Dionisia (66 Bernard). Si può senz’altro affermare che quest’opera di C. costituirà un punto fermo per i successivi studi su Giulia Balbilla e fornirà ampio materiale di discussione per coloro che vorranno approfondire la fortuna dei poeti eolici e il contesto culturale dell’età adrianea.

Luca Bruzzese Libera Università Maria Ss. Assunta luca.bruzzese@alice.it

7 Per i quali C., sulla base dei titoli, convincentemente proporrebbe una sequenza diversa da quella dei Bernard (94, 92, 93). 8 “L’iconografia di Giulia Balbilla”, RCCM 50,1 (2008) 183-186. 9 Per cui vedi già A.M. Cirio, “Postilla all’epigramma di Damo”, RCCM 52,2 (2010) 401-404. 10 “The Poets Julia Balbilla and Damo at the Colossus of Memnon”, CW 91,4 (1998) 215-234.


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