SIRD SocietĂ Italiana di Ricerca Didattica
Giornale Italiano della Ricerca Educativa Italian Journal of Educational Research numero 2/3 dicembre 2009
Direttore LUCIANO GALLIANI Condirettore PIERO LUCISANO Comitato Scientifico ROBERTA CARDARELLO ARMANDO CURATOLA FRANCO FRABBONI ALESSANDRA LA MARCA GIOVANNI MORETTI ACHILLE M. NOTTI
Comitato dei referee Il Comitato dei referee è composto da 15 studiosi di chiara fama italiani e stranieri. I nomi dei revisori di ogni annata vengono resi pubblici nel primo numero dell’annata successiva. Il responsabile della procedura di referaggio è il condirettore scientifico della Rivista Piero Lucisano.
Procedura di referaggio Ogni articolo, anonimo, è sottoposto al giudizio di due revisori anch’essi anonimi. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori abbiano espresso un giudizio positivo. I giudizi dei revisori vengono comunicati agli autori, comprese eventuali indicazioni di modifica. In tal caso, gli autori devono provvedere a modificare i propri contributi sulla base delle indicazioni ricevute dai revisori. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non vengono pubblicati. Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato) Codice ISSN 2038-9744 (testo on line) Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010
Editing e stampa Pensa MultiMedia Editore s.r.l. www.pensamultimedia.it info@pensamultimedia.it Lecce - Brescia
Progetto grafico copertina Valentina Sansò
SOMMARIO editoriale 7
LUCIANO GALLIANI
ricerche 9 19 27 41 49 59 77
CHIARA BERTOLINI L’abilità inferenziale nel processo di comprensione di testi verbali e di testi visivi PAOLO CALIDONI – ELISABETTA GOLA – GIOVANNA CRISTIANA ISU – RINALDO SATTA Orientamento e riallineamento universitario on-line: progettazione e prova di servizi nel progetto UniSOFIA ALESSANDRA CAVALLO Giovani e prevenzione. Un’indagine sui significati soggettivi di salute e ben-essere VITO FRANCESCO DE GIUSEPPE Orientarsi nella rete, considerata quale artefatto cognitivo GIUSEPPE FILIPPO DETTORI Il disagio scolastico nella scuola secondaria di primo grado: la parola agli studenti ANTONELLA NUZZACI La riflessività nella progettazione educativa: verso una riconcettualizzazione delle routine FRANCESCO CLAUDIO UGOLINI VAE: aspetti problematici e rapporto con le ICT
studi 93 105
LUCIANO GALLIANI Formazione degli insegnanti e competenze nelle tecnologie della comunicazione educativa LUCA LUCIANI Dalla Mediateca Didattica alla Biblio-Mediateca: alle radici di un percorso comune di media education
informazioni 121 127
GIOVANNI MORETTI Il Dottorato un contesto di confronto e di ricerca per la SIRD LEONARDA LONGO La ricerca nelle scuole di Dottorato in Italia. Dottorandi e Docenti a confronfo
recensioni 131
ALESSANDRA LA MARCA Schede dei PRIN
hanno collaborato LUCIANO GALLIANI Dipartimento di Scienze dell’educazione, Università di Padova luciano.galliani@unipd.it CHIARA BERTOLINI Dipartimento Scienze sociali, cognitive, quantitative, Università di Modena e Reggio Emilia chiara.bertolini@unimore.it PAOLO CALIDONI Dipartimento di Economia Istituzioni Società, Università di Sassari calidoni@uniss.it ELISABETTA GOLA Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Filosofiche, Università di Cagliari egola@unica.it GIOVANNA CRISTIANA ISU Psicologa, Università di Cagliari cristianaisu@tiscali.it RINALDO SATTA Dottore di ricerca, Università di Sassari rinaldo.satta@uniss.it ALESSANDRA CAVALLO Dipartimento di Scienze dell’educazione, Università di Padova alessandra.cavallo@unipd.it VITO FRANCESCO DE GIUSEPPE Università del Salento vito.degiuseppe@gmail.com GIUSEPPE FILIPPO DETTORI Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Sassari fdettori@uniss.it ANTONELLA NUZZACI Facoltà di Scienze della Formazione, Università della Valle d’Aosta a.nuzzaci@univda.it FRANCESCO CLAUDIO UGOLINI Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione, Università di Perugia francesco.ugolini@unipg.it LUCA LUCIANI Dottore di ricerca, Facoltà di Scienza della Formazione, Università di Padova luca.luciani.ll@gmail.com GIOVANNI MORETTI Dipartimento di Studi dei Processi Formativi, Culturali e Interculturali nella Società Contemporanea Università degli Studi Roma 3 gmoretti@uniroma3.it ALESSANDRA LA MARCA Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Palermo alamarca@unipa.it
editoriale LUCIANO GALLIANI
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a rivista della SIRD – lasciataci come felice eredità dalla presidenza Domenici e doveroso impegno per il futuro – continua con questo numero doppio del 2009, ancora nella sua versione on line. La sua redazione è stata faticosa, avendo i soci partecipato con oltre 60 comunicazioni scientifiche al VI Congresso della SIRD nel dicembre 2008, come risulta dagli Atti elaborati durante il 2009. Abbiamo mantenuto la valutazione dei referee, modificato marginalmente la grafica precedente e cambiato naturalmente la composizione della direzione e del comitato scientifico, in attesa di dare una veste definitiva alla rivista, con la scelta di un editore per la versione a stampa, trasformando quella on line in una contemporanea edizione in lingua inglese per il pubblico internazionale. È questa una strada obbligata per una Società scientifica impegnata sia nel processo, avviato dal CUN, riguardante i nuovi criteri di valutazione dei prodotti della ricerca, sia nel lavoro della Commissione di Valutazione delle Riviste, promosso dalle sette Società scientifiche di ambito pedagogico. Sarebbe infatti opportuno che la costituenda Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR) elaborasse criteri condivisi con le Società scientifiche, per valutare strutture come i Dipartimenti e progetti collettivi di ricerca, quindi valutazione esterna e quantitativa, e non le singole persone. Va difesa per esse la valutazione qualitativa di merito e individuale, con un giudizio critico sulla loro produzione scientifica. Non vi è dubbio, però, che la valutazione quantitativa avrà una ricaduta anche sui singoli docenti e ricercatori che presentano progetti di ricerca ed ancor prima sui requisiti per il loro reclutamento e sviluppo di carriera. In relazione alle Riviste, il Gruppo di Area 10 e 11 del CUN ha proposto di prendere in considerazione solo quelle munite di ISSN o NBN. Le Società scientifiche, con riferimento agli specifici settori scientifico-disciplinari, dovranno individuare le Riviste e assegnarle a tre grandi fasce (A : 20%, B : 30%, C : 50%) con miglioramenti continui nel primo triennio di applicazione, in base ai seguenti sei criteri con relativi pesi (graduati all’interno e normalizzati a 1): • • • • • •
presenza di peer review doppiamente anonima (0,30); livello di internazionalizzazione (0,18); presenza nei più importanti repertori internazionali (0,16): presenza in biblioteche italiane e straniere; regolarità e continuità di pubblicazione (0,12); presenza in rete (0,12).
La Commissione CUN, in relazione al problema dei pesi allorché si debbano valutare complessivamente dipartimenti, enti o progetti di ricerca, raccomanda di introdurre un criterio di “saturazione”, per cui oltre un certo numero, le pubblicazioni di fascia C non vengano più conteggiate.
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editoriale
Per le Riviste straniere non si opera a priori la distribuzione in fasce, ma nei casi di articoli di studiosi italiani andranno in fascia A le riviste ISI e quelle ritenute di importanza internazionale da ciascun SSD o macrosettore; nella fascia B le riviste non ISI ma blind peer reviewed o di riconosciuta importanza dai singoli SSD; nel gruppo C tutte le altre. Vengono valutate anche “nelle attività connesse alla ricerca” la direzione di riviste e collane editoriali (e la partecipazione ai rispettivi comitati di redazione), così come le curatele di pubblicazioni collettive o miscellanee e la direzione di progetti scientifici locali, nazionali, internazionali. Naturalmente nella proposta del CUN, approvata dalle Società scientifiche con richieste di flessibilità nel primo triennio di applicazione, ci sono anche criteri per la valutazione di “monografie e simili”, settore di prodotti fondamentali per le aree umanistiche e sociali. Da questo succinto quadro, già conosciuto nel mondo accademico, emerge una grande responsabilità delle Società scientifiche di ambito pedagogico per un lavoro coordinato e condiviso che ne valorizzi l’unità di intenti al di là di ogni legittima specializzazione settoriale e disciplinare. La SIRD, in particolare, dovrà con intelligenza ed equilibrio, indicare e classificare le riviste esistenti che si occupano non di divulgazione, ma di ricerca scientifica in ambito didattico e valutativo, con riferimento ai diversi contesti formativi (formale, non formale, informale); ai numerosi approcci metodologici, strumenti e tecniche impiegati (qualitativi e quantitativi); ai differenti oggetti indagati (persone, processi, prodotti, organizzazioni, sistemi). Con la stessa visione del bene comune la SIRD dovrà, però, rivendicare una funzione propositiva ed esemplare con la sua nuova rivista bilingue Giornale italiano della Ricerca Educativa / Italian Journal of Educational Research, palestra, da un lato, per i giovani dottori di ricerca e ricercatori e, dall’altro, per gruppi di ricerca (locali, regionali, nazionali, internazionali) guidati da docenti esperti e impegnati in progetti innovativi. Contiamo, a tal fine, nei colleghi direttori delle Scuole di Dottorato e di Dipartimento, affinché si facciano promotori dei giovani talenti e accompagnatori della loro crescita. Non dobbiamo rassegnarci, anche nelle nuove migliorate regole concorsuali, ad affidare alla dea bendata il reclutamento o lo sviluppo di carriera dei migliori ricercatori e docenti, ma alla severa selezione del merito e della qualità, segnalata innanzitutto dalla comunità accademica e dalle sue Società scientifiche.
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ricerche L’abilità inferenziale nel processo di comprensione di testi verbali e di testi visivi CHIARA BERTOLINI Il presente contributo compara il processo di comprensione di testi veicolati da media differenti presso soggetti di età prescolare e partendo da una prospettiva psico-cognitiva. Lo studio ha coinvolto 54 bambini di 5 anni di diversa provenienza socio-culturale. Al campione sono state somministrate tre prove volte ad accertarne l’abilità inferenziale implicata da tre diversi testi, dei quali uno verbale – il cui accertamento è avvenuto impiegando il TOR (Levorato, Roch 2007) – e due visivi – uno statico ed uno dinamico- rispetto ai quali la misura dell’abilità inferenziale è avvenuta attraverso strumenti costruiti ad hoc L’analisi statistica indica un andamento correlato delle tre prove. L’esame dei testi e dei quesiti impiegati nell’accertamento mostra analogie: benché tra i processi di comprensione del testo verbale e di quello iconico esistano indubbie differenze, essi sembrano, infatti, coinvolgere alcuni operazioni comuni, tra le quali l’inferenza ponte o connettiva. Tali risultati, oltre a confermare l’idoneità degli strumenti d’accertamento costruiti, avvalorano il progetto di sollecitare l’abilità di comprensione del testo verbale per mezzo di immagini ed audiovisivi.
This paper takes a psycho-cognitive perspective and aims to compare comprehension process of texts of different media in pre-school children. The study engaged 54 five year-old children from different socio-cultural backgrounds. Three tests have been given to the sample in order to assess the ability to draw inferences from oral and visual texts. With regard to the verbal text, the inferential skill was measured using the TOR (Levorato, Roch 2007). Instead, for what concerns pictures and audiovisual texts, we built two tests on the occasion of this research in order to investigate children’s inferential ability. Statistical analysis indicate correlations between the three tests. The study of materials used in the assessment shows some analogies: even if unquestionable differences exist between the comprehension process of verbal texts and visual texts, they both involve some common mechanisms too, such as the bridging or connective inferences. These results confirm the adequacy of the two assessment instruments built during this research and strengthen our project to foster verbal text comprehension by using pictures and audiovisual texts.
Parole chiave: comprensione, inferenza, testo verbale, testo iconico, età prescolare.
Keywords: comprehension, inference, verbal text, visual text, preschool children.
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tale dei significati veicolati dal testo, grazie al ruolo attivo della memoria e all’intervento di svariate abilità2. Tra queste, numerose ricerche sottolineano il ruolo cruciale dell’inferenza3. Un interessante filone d’indagine ha comparato il processo di comprensione dei diversi media, rilevando sia aspetti divergenti4 che elementi comuni. Per ciò che concerne quest’ultimo ambito, ricerche condotte in età evolutiva mostrano rapporti di correlazione tra gli esiti della comprensione di un testo e quelli di un testo emesso da un altro medium. Più specificata-
aper comprendere il testo è un’abilità rilevante, in quanto consente al singolo d’acquisire saperi e strumenti utili per pensare e agire nel contesto in cui vive. La maturazione di tale competenza, tuttavia, non è scontata. Studenti, ancora in età adolescenziale, incontrano ostacoli a ricavare i significati di cui un testo è portatore e, dunque, ad apprenderne i contenuti1. Secondo la prospettiva psicolinguistica, il processo di comprensione è un meccanismo complesso e dinamico che consente al lettore di costruire una rappresentazione men-
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ze tra immagini statiche e in movimento, dal punto di vista dell’abilità inferenziale implicata.
mente, la capacità di comprendere l’immagine, statica o in movimento, pare predire l’abilità di comprensione del testo verbale5. Ciò sembra dimostrare l’esistenza di uno spazio di sovrapposizione tra i processi di significazione, suggerendo il coinvolgimento di alcuni meccanismi cognitivi comuni, d’invarianti che potremmo definire operazioni media-aspecifche. Tra queste, alcuni autori collocano l’inferenza, mostrandone il ruolo trasversale per via argomentativa oltre che sperimentale6. Il presente studio s’inserisce in un progetto più vasto che si propone di sollecitare le abilità di comprensione del testo verbale attraverso l’immagine7. Se l’inferenza è, infatti, un’operazione comune al processamento di tutti i testi a prescindere dal medium che li veicola, allora è forse possibile promuovere la capacità di compiere inferenze sul testo verbale attraverso l’impiego di materiale iconico. La ricerca che presentiamo intende controllare, in via preliminare, il rapporto tra la comprensione di testi visivi e verbali opportunamente selezionati. In particolare, si propone di verificare anche tra i bambini di lingua italiana il ruolo trasversale dell’inferenza, assumendo come focus le inferenze autorizzate e necessarie per l’estrapolazione dei significati minimi veicolati dal testo8. Intende, inoltre, superando i limiti di tanta ricerca internazionale, illustrare accuratamente le caratteristiche dei testi e degli strumenti di misura impiegati.
Metodologia Per verificare tale ipotesi, i medesimi bambini di 5 anni sono stati sottoposti a 3 diversi testi, rispettivamente verbale, figurale statico e figurale dinamico, e ne è stata misurata la comprensione con particolare attenzione alla realizzazione di processi inferenziali. Il campione. La sperimentazione ha coinvolto 54 soggetti di 5 anni (età media 5;6), ugualmente ripartiti tra maschi e femmine. Tutti i bambini coinvolti avevano una conoscenza sufficiente della lingua italiana (anche se 16 erano di origine straniera) e frequentavano la scuola dell’infanzia almeno da due anni: erano, dunque, sufficientemente inseriti nella cultura del nostro Paese. Il campionamento è avvenuto in modo occasionale, sorteggiando i bambini all’interno di due scuole, scelte in quanto garantivano condizioni di lavoro idonee. La ricerca è stata svolta, infatti entro le scuole, in spazi predisposti e in tempi concordati, da un unico ricercatore che è l’autrice del presente articolo. L’accertamento della comprensione del testo verbale (TOR). Tale misurazione è avvenuta utilizzando il Test di comprensione del Testo Orale (TOR)9. La valutazione della comprensione avviene on-line, attraverso una procedura che non richiede al bambino di ricorrere ad alcuna produzione verbale. Lo strumento si compone di brevi storie che narrano le vicende di alcuni personaggi. La comprensione di ognuna di esse è accertata attraverso l’impiego di 10 quesiti, metà dei quali sono definiti testuali e i restanti inferenziali. Per ciascun soggetto, il TOR fornisce tre punteggi: il numero totale di risposte corrette (punteggio massimo: 20), il numero di risposte corrette ai quesiti testuali (max 10) e il numero di risposte corrette inferenziali (max 10). Il presente studio ha impiegato la Forma B dello strumento. L’accertamento della comprensione dell’immagine statica (TI). Tale valutazione ha fatto uso, in forma riadattata, di uno strumento messo a
Obiettivi e ipotesi Il presente studio intende verificare, tra i bambini italiani e per via empirica, l’andamento correlato dei processi inferenziali quando applicati a testi di diversa natura. Tale aspirazione si traduce nella seguente ipotesi: tra soggetti di cinque anni, l’attività inferenziale accomuna l’elaborazione del testo orale, del testo figurale e di quello audiovisivo, dunque le loro misure correlano. La ricerca si propone di comparare i processi integrativi implicati nella comprensione dei diversi media anche attraverso un’attenta analisi dei testi impiegati. Lo studio intende, inoltre, avviare un’esplorazione delle differen-
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punto in occasione di ricerche precedenti10. Il test, che chiameremo TI, ha impiegato una tavola a colori (formato 20X30) (fig.1), tratta da un libro per l’infanzia11. È un’immagine naturalistica abitata da una pluralità di personaggi impegnati in svariate attività indipendenti.
• alcuni indicatori posturali: il bambino è seduto al tavolo, ricurvo nella direzione di un foglio sul quale ha appoggiato l’avambraccio; • la presenza di oggetti tipici che rimandano in modo specifico allo script di un’attività: il pennarello, il tavolo, il foglio.
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Il significato espresso da altri personaggi è, invece, una catena di azioni di cui almeno una è già avve4 nuta. Il significato da riconoscere non è, dunque, solo l’azione in cui il personaggio è attualmente impegnato, ma anche un evento già 5 accaduto, che non è rappresentato e che deve essere inferito tenendo conto di alcuni indizi visivi presenti nel testo. La ricostruzione 6 della micro-scena chiama in campo 7 un processo elaborativo più articolato di quello impiegato nella lettura del personaggio 5, richiedendo l’integrazione di un maggior numero di elementi informativi. Per riconoscere, ad esempio, il significato della sagoma 7 occorre compiere un processo inferenziale, che abbiamo preliminarmente controllato sia tra adulti che tra bambini, che necessita di esaminare il personaggio e il contesto in cui è collocato. L’integrazione dei segni e delle conoscenze enciclopediche attivate consente d’inferire sia cosa sta facendo la bambina che ciò che è accaduto in precedenza: sta tentando di staccare un foglio che precedentemente si è attaccato ai suoi capelli. L’accertamento della comprensione è avvenuto invitando il soggetto a osservare l’immagine: l’adulto indicava uno alla volta i personaggi bersaglio, chiedendo al bambino di esprimere l’azione rappresentata attraverso il quesito: «cosa sta facendo?». Le risposte orali ottenute sono state fedelmente trascritte e valutate da due giudici indipendenti dopo aver condiviso i criteri di valutazione sotto indicati. L’attribuzione dei punteggi ha considerato il contenuto degli enunciati, senza tener conto del grado di correttezza e articolazione lessicale e sintattica delle risposte. A volte i soggetti
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Figura 1. Tavola impiegata nel TI
La valutazione della comprensione ha assunto come focus il riconoscimento delle azioni, in quanto nella lettura delle immagini statiche, tale decifrazione richiede un’intensa attività d’integrazione dei segni che è stata definita inferenziale12. Si tratta di inferenze ponte o connettive, secondo la distinzione introdotta da Lumbelli13. In ragione di ciò, la prova ha verificato la comprensione delle azioni raffigurate da 7 personaggi bersaglio. Facendo riferimento alla classificazione proposta da Cardarello14, le azioni oggetto di accertamento sono riconducibili a due tipologie, che si differenziano per il grado di complessità dei processi di pensiero necessari al loro riconoscimento. Alcuni personaggi sono impegnati in azioni in corso. Ad esempio, il personaggio 5 sta disegnando. La decifrazione di tale attività avviene solo se vengono integrati alcuni indizi disseminati nell’immagine, riguardanti: • il contesto in cui è collocata la sagoma: un’aula di scuola;
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e sonore. In particolare, dell’episodio è stato selezionato un breve frammento (durata complessiva 1 min e 41 sec) che narra l’avventura di un bambino, che pattinando sul ghiaccio, cade nell’acqua del lago per poi essere salvato dal suo cane (fig. 2).
hanno fornito spontaneamente più letture della medesima sagoma, in tal caso, è stato considerato il punteggio relativo alla risposta più corretta. Dal momento che la decifrazione delle azioni bersaglio richiede processi inferenziali di diversa difficoltà, per il riconoscimento delle azioni in corso è stata impiegata una scala da 0 a 1, mentre per la decifrazione delle azioni avvenute una scala da 0 a 2. Per ciò che riguarda le azioni in corso, sono state considerate corrette le letture che attribuivano al personaggio il significato più compiuto. In particolare, le interpretazioni dovevano essere compatibili con il contesto e dimostrare la massima esplorazione della figura e la massima integrazione degli indizi testuali. Sono state giudicate scorrette le verbalizzazioni che si limitavano a enunciare gli oggetti posseduti dal personaggio o la sua postura, senza ricavarne l’azione, o che indicavano un atto troppo generico, quando fosse possibile una lettura più articolata15. Per le azioni già avvenute è stato, invece, attribuito 1 punto alle letture corrette ma parziali, che testimoniavano la comprensione dell’azione in corso, ma non dell’evento complessivo. Sono stati attribuiti 2 punti alle verbalizzazioni che dimostravano il riconoscimento sia degli eventi già accaduti che di quelli in corso. Il punteggio di comprensione fornito dal TI corrisponde alla somma delle azioni riconosciute (max 9). L’accertamento della comprensione del testo audiovisivo (TA). Tale misurazione è avvenuta utilizzando uno strumento costruito in occasione 2 del presente studio. Il test, che chiameremo TA, ha impiegato un episodio di una serie di cartoon polacca16, caratterizzata dalla presenza di personaggi – un bambino e un cane antropomorfo – che comunicano attraverso espressività motorie e vocali non riconducibili ad alcuna lingua. Si tratta, dunque, d’immagini in movimento senza parole, la cui comprensione richiede d’integrare informazioni visive
Figura 2. Sequenza di alcuni fotogrammi dell’episodio impiegato nel TA
L’analisi del testo condotta dal gruppo di lavoro17 e il try-out con alcuni bambini esclusi dalla ricerca hanno consentito di considerare il frammento come un materiale idoneo a sondare la capacità inferenziale. La prova di valutazione ha assunto come focus la realizzazione di 3 integrazioni bersaglio, necessariamente richieste dal testo. In particolare, ha esaminato due tipologie di processi integrativi. La comprensione dell’episodio in esame ha, infatti, richiesto di ricostruire alcuni eventi centrali non rappresentati visivamente. Ne è un esempio il ragionamento che consente di riconoscere l’identità della sagoma che si affaccia alla finestra (fotogramma 10). La sua corretta decifrazione (si tratta del bambino protagonista della storia) è l’esito di un’elaborazione del testo che, integrando informazioni visive, sonore e conoscenze pregresse, ha permesso d’inferire l’ingresso in casa del bambino. Il ragionamento implicato sarà descritto più nel dettaglio in seguito. Una buona comprensione del testo impiegato implica, inoltre, la ricostruzione della rete causale di alcuni eventi. Nel
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ricezione del testo che la massima integrazione e inclusione degli indizi presenti nell’audiovisivo. Per i quesiti relativi agli eventi mancanti, è stato attribuito 1 punto alle risposte che corrispondevano all’esatto esito del ragionamento implicato. Ad esempio, per la domanda “chi si vede alla finestra?” è stata considerata corretta la risposta: «è il bambino». Per i quesiti aventi come focus la ricostruzione della catena causale degli eventi, sono state “premiate” le verbalizzazione che esprimevano almeno un indicatore d’integrazione, ossia almeno un indizio capace di testimoniare la realizzazione del ragionamento bersaglio. Ad esempio, per la domanda “a cosa serve la sciarpa che il cane lancia al bambino?”, dopo un attento esame dei processi di pensiero sollecitati, sono stati considerati indicatori d’integrazione la menzione della distanza, del bisogno di fornire al bambino un appiglio, della fragilità del ghiaccio o della necessità di farlo uscire dall’acqua. Sono state ritenute corrette risposte come: «perché lui non era abbastanza lungo per prenderlo». Al contrario, sono state giudicate scorrette le letture incoerenti al contesto. Ad esempio, nel caso del quesito riguardante l’evento mancante non sono stati attribuiti punti alla risposta «è la mamma che pulisce la finestra», mentre per la domanda riguardante la sciarpa è stata considerata scorretta la risposta «per non venire il raffreddore». Il punteggio di comprensione fornito dal TA corrisponde alla somma delle inferenze bersaglio realizzate (max 3).
testo iconico i legami causali sono spesso impliciti. Il loro riconoscimento gioca, tuttavia, un ruolo cruciale nel conferimento di coerenza e stabilità alla rappresentazione semantica globale che il processo d’elaborazione delle informazioni produce18. Per tale ragione, abbiamo assunto come indicatore di comprensione il riconoscimento, ad esempio, della funzione svolta dalla sciarpa. Nell’episodio, la superficie ghiacciato del lago si rompe mentre il bambino vi pattina sopra, determinando la sua caduta nell’acqua. Egli vorrebbe risolvere la situazione problematica in cui si trova percorrendo carponi la superficie del lago, che però è fragile e si rompe. La sciarpa, dunque, serve al cane per raggiungere il bambino – superando così la distanza che li separa – e per tirarlo verso riva. Riteniamo che tale passaggio sia ben compreso, quando vengono menzionante e collegate alcune informazioni coinvolte nel processo di pensiero necessario per riconoscere la funzione della sciarpa, quali la distanza, la fragilità, la sciarpa come strumento che fornisce un appiglio e il desiderio del bambino di risolvere la situazione di pericolo in cui si trova. L’accertamento della comprensione è avvenuto abbinando la tecnica del recall all’intervista. Ciascun bambino è stato invitato a guardare l’episodio. Al termine della visione è stato, quindi, richiesto di narrare le vicende attraverso la formula «cosa si vede, cosa succede in questa storia?». Successivamente, il ricercatore ha formulato 3 quesiti, allo scopo di accertare le modalità d’elaborazione dei passaggi previamente individuati come bersaglio, se non ancora verbalizzati o affrontati in modo poco preciso. Le testimonianze orali dei bambini sono state valutate dal ricercatore a partire dai protocolli di trascrizioni e discusse con un esperto. Come avvenuto per il TI, anche il TA ha giudicato il materiale ottenuto in ordine al suo contenuto, piuttosto che all’articolazione linguistica delle risposte. L’accertamento delle abilità inferenziali sollecitate dall’audiovisivo è avvenuto impiegando una scala da 0 a 1. Sono state considerate corrette le letture che attribuivano all’evento, assunto di volta in volta come focus, il significato più completo e pertinente. Le interpretazioni dovevano esprimere sia l’attenta
Risultati L’analisi descrittiva. La tabella 1 riporta i risultati delle analisi descrittive. Del TOR, sono stati considerati sia il punteggio totale che quello relativo ai soli item inferenziali.
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globalità (r di Pearson=0,268; p=0,050) che con il suo sub-test inferenziale (r di Pearson=0,284; p=0,037). Riteniamo opportuno sottolineare che la correlazione più forte è quella che esiste tra l’immagine statica e quella in movimento. Ciò dimostra, ci pare, che il tipo di inferenze individuate ed assunte come bersaglio accomuna sia l’immagine statica che quella in movimento, nonostante le loro indubbie diversità. Per ciò che concerne il testo verbale, nonostante il TOR totale fornisca alcune positività, più interessanti sono i risultati che giungono dal TOR inferenziale che confermerebbero il ruolo trasversale dell’inferenza. L’intensità e la significatività delle correlazioni tra il TOR inferenziale e il TA o il TI non mostra differenze di rilievo. Pare, dunque, simile l’accordo tra le misurazioni dell’abilità inferenziale a partire dal testo orale e da quello iconico-statico o in movimento-. Non si ravvisano, pertanto, differenze tra il TI e il TA nella capacità di predire l’abilità inferenziale esercitata sul testo verbale.
Tabella1. Andamento delle prove di comprensione
Benché i punteggi massimi degli strumenti impiegati siano diversi, facendo supporre una minore articolazione e precisione del TI e del TA, a tutte le prove il campione risponde correttamente a meno del 50% degli item. Il punteggio medio ottenuto al TOR, tuttavia, esclude situazioni di grave svantaggio. L’analisi correlazionale. L’obiettivo di tale analisi è stato quello di esplorare i rapporti tra l’andamento delle tre prove di comprensione impiegate. Correlazione tra il TI e il TA. Le prestazioni al TI correlano con l’andamento al TA (r di Pearson=0,383; p=0,004). Correlazioni tra il TOR e il TI. Il numero totale di risposte corrette al TOR correla con i punteggi del TI se si rilassa la soglia di significatività al 10% (r di Pearson=0,284; p=0,071). L’andamento del TOR inferenziale correla, invece, in modo significativo con i punteggi del TI (r di Pearson=0,309; p=0,023). Correlazione tra il TOR e il TA. Il TA correla sia con l’andamento del TOR inteso nella sua
Discussione e risultati Il presente studio, essendo interessato al ruolo dell’inferenza, si è preoccupato di comparare alcuni processi di pensiero integrativo implicati nella comprensione dell’immagine, dell’audiovisivo e del testo orale, non solo attraverso strumenti statistici, ma anche per mezzo di un attento esame dei ragionamenti implicati, che ora illustreremo. Come si ricorderà, il TI ha assunto come fulcro il riconoscimento delle azioni. Ricostruire, ad esempio, la catena di eventi rappresentati dal personaggio 7 della Fig. 1 richiede di decifrare sia ciò che sta accadendo che ciò che avvenu-
Tabella 2. Esiti dell’analisi correlazionale
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• conoscenze enciclopediche: per entrare in casa occorre attraversare una porta, che potrebbe essere di legno, la coperta serve a riscaldarsi o a asciugarsi.
to in precedenza. Tale riconoscimento è reso possibile se viene riconosciuta l’identità di alcuni elementi visivi e richiamata dalla memoria la loro funzione. La bambina si trova in aula scolastica, è seduta ad un tavolo sul quale sono appoggiati fogli e forbici, il suo volto è serio e inclinato, i capelli sono tesi tra il capo e un foglio dove si vede una macchia bianca È l’integrazione delle informazioni disponibili che consente di riconoscere l’attività in cui attualmente essa è impegnata: sta staccando un foglio dai capelli. Per ricostruire l’evento antecedente è, poi, necessario considerare ulteriori segnali di co-testo – come il cartellone rosa sul quale si vede un fiore a cui mancano dei petali, la presenza di forbici, di forme irregolari gialle, di pennelli e di ciotole contenenti un materiale bianco e il compagno che ritaglia un cartoncino – i quali consentono d’inferire che i bambini sono impegnati in un’attività di collage e che la sostanza di colore bianco è colla. Tali riconoscimenti insieme alla gestualità della bambina fanno, così, pensare che essa stia staccando un foglio che precedentemente si è incollato ai capelli. Per ciò che concerne l’audiovisivo, tipico del linguaggio filmico è l’impiego della tecnica dell’ellissi che richiede allo spettatore di ricostruire eventi non mostrati. Nell’episodio utilizzato, ad esempio, viene omesso l’ingresso in casa del bambino. Il riconoscimento dell’identità del personaggio che compare alla finestra, perciò, può avvenire solo tramite un processo inferenziale che utilizza una pluralità di elementi, tra i quali: • informazioni visive prossime: il cane accompagna il bambino davanti a una casa, il cane si ferma sotto alla finestra mentre il bambino camminare fino a uscire dallo schermo, la figura alla finestra è avvolta in una coperta azzurra dalla quale escono dei ciuffi biondi, essa guarda verso l’esterno e muove una mano come se stesse tracciando dei piccoli semicerchi: • informazioni sonore: quando il bambino scompare si sente il cigolio di una porta; • conoscenze antecedenti relative all’episodio: il bambino è biondo, bagnato e infreddolito. Il cane ha aiutato il bambino a uscire dall’acqua del lago;
Riconoscere che alla finestra compare il bambino e che sta salutando necessita, dunque, di ricostruire un evento non rappresentato attraverso la combinazione di svariati elementi informativi. Anche i quesiti inferenziali del TOR richiedono d’integrare informazioni testuali e conoscenze enciclopediche. Una storia, ad esempio, narra di un mostro che nutrendosi di fiori diventa così debole da non riuscire a camminare. Rispondere al quesito «perché è debole?»19 stimola i lettori a considerare in modo congiunto alcuni elementi, tra i quali: • informazioni provenienti dal testo: le abitudini alimentari del mostro e la sua debolezza • conoscenze enciclopediche: i vegetali non sono alimenti dal rilevante potere calorico. Da tale esame dei processi di pensiero necessari per colmare le lacune bersaglio sembrano emergere somiglianze. I meccanismi implicati paiono, infatti, omogenei e simili all’inferenza ponte o connettiva, definita, sebbene in ordine al testo verbale, come quell’operazione che, attraverso il ricorso delle conoscenze enciclopediche e delle informazioni di co-testo, stabilisce un legame tra parti vicine del testo, producendo informazioni nuove20. I molteplici rapporti di correlazione, in questa sede rilevati, sembrano confermare il ruolo trasversale delle inferenze. Probabilmente ciascun medium richiede di ricorrere a indizi testuali e conoscenze pregresse appartenenti a domini diversi (canale sonoro, canale visivo, conoscenza linguistica, conoscenza del linguaggio filmico,…), tuttavia le informazioni mancanti necessarie per il buon esito della comprensione sembrano trovare origine dallo stesso meccanismo cognitivo. Le analisi condotte paiono, infatti, testimoniare che a partire da testi di natura differente, i soggetti compiono lo stesso tipo di ragionamento allo scopo di colmare alcune lacune informative. Tali risultati rinforzano, dunque, l’ipotesi di promuovere le abilità di comprensione del testo verbale per mezzo di materiale iconico. Se,
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inferenziale del TOR sembrano dimostrare la validità e l’idoneità del TI e del TA nell’accertamento delle abilità inferenziali. Reputiamo, ora, importante continuare a mettere a punto i suddetti materiali e altri analoghi, allo scopo di arricchire il repertorio di testi e strumenti iconici funzionali sia all’accertamento che alla stimolazione della comprensione.
infatti, l’inferenza è una componente invariante del processo di elaborazione di tutti i media, allora potrebbe essere possibile stimolare la capacità di comprensione del testo verbale sollecitando il consolidamento dell’abilità inferenziale per mezzo di materiale visivo, statico o in movimento (Prin 2007). Riteniamo, infine, opportuno sottolineare il raggiungimento di esiti interessanti anche sul piano metodologico. Le correlazioni con il sub-test
Note 1 E. Nardi, Come leggono i quindicenni. Riflessioni sulla ricerca OCSE-PISA, Franco Angeli, Milano, 2002; Invalsi, Il livello di competenza dei quindicenni italiani in matematica, lettura, scienze e problem solving. Prima sintesi dei risultati di PISA 2003, http://www.pubblica.istruzione.it/eventi/apprendimento_dibase/ocse_invalsi.pdf, 2004; Invalsi, Studio IEA PIRLS 2006. Sintesi dei risultati, http://www.invalsi.it/download/Pirls_Fascicolo1.pdf, 2007. 2 T. Van Dijk, W. Kintsch, Strategies of discourse comprehension, Academic Press, New York, 1983; W. Kintsch, Comprehension: a paradigm for cognition, Cambridge University Press, Cambridge, 1998; M.C. Levorato, Racconti, storie e narrazioni. I processi di comprensione dei testi, il Mulino, Bologna, 1988. 3 A. McGee, H. Johnson, “The effect of inference training on skilled and less skilled comprehenders”, in Educational Psychology, XXIII, 1, 2003, pp. 49-59; J. Oakhill, K. Cain, “Issue of causality in children’s reading comprehension”, in D.S. McNamara (a cura di), Reading comprehension strategies, Lawrence Erlbaum, New York, 2007, pp. 47-71; L. Lumbelli, “Focousing on text comprehension as a problem-solving task: a fostering project for culturally deprived children”, in C. Cornoldi, J. Oakhill (a cura di), Reading comprehension difficulties: processes and intervention, Erlbaum, Mahawan, 1996, pp. 301-330. 4 P.M. Greenfield, Mente e media. Gli effetti della televisione, dei computer e dei videogiochi sui bambini, Armando, Roma, 1984; R.E. Mayer, R.B. Anderson, “Animations needs narrations: an experimental test of a dual-coding hypotesis”, in Journal of Educational Psychology, LXXXIII, 4, 1991, pp. 484-490; M. Hegarty, “Multimedia learning about physical system”, in R. Mayer (a cura di), The Cambridge handbook of multimedia learning, Cambridge University Press, Cambridge, 2005, pp. 447-465; L. Verhoeven, W. Schnotz, F. Paas, “Cognitive load in interactive knowledge construction”, in Learning and Instruction, XIX, 5, 2009, pp. 369-375. 5 K. Pezdek, A. Lehrer, S. Simon, “The relationship between reading and cognitive processing of television and radio”, in Child Development, LV, 6, 1984, pp. 2072-2082; A.H. Paris, S. Paris, “Assessing narrative comprehension in young children”, in Reading Research Quarterly, XXXVIII, 1, 2003, pp. 36-76; P. Van den Broek, The role of television viewing in the development of reading comprehension, http://www.ciera.org/library/archive/200102/200102pv.pdf, 2001; P. Van den Broek, K.E. Kremer, J.S. Lynch, J. Butler, M.J. White, E.P. Lorch, Assessment of comprehension abilities in young children, in S. Paris, S. Stahl (a cura di), New directions in assessment of reading comprehension, Erlbaum, Mahawah, 2005, pp. 107-130. 6 K. Pezdek, S. Simon, J. Stoeckert, J. Kiely, “Individual differences in television comprehension”, in Memory and Cognition, XV, 5, 1987, pp. 428-435; L. Lumbelli, “Televisione e lettura. Un confronto sperimentale”, in Ikon, 39, 1999, pp. 13-60; L. Lumbelli, “Imparare a leggere guardando la televisione”, in M. Maggio, I. Tempesta (a cura di), Linguaggio, mente, parole. Dall’infanzia all’adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 38-47; R. Cardarello, Vedere e pensare: una sperimentazione nella scuola materna, www.pedagogiasperimentale.it, 2003; P. Van den Broek, K.E. Kremer, J.S. Lynch, J. Butler, M.J. White, E.P. Lorch, op. cit. 7 Prin, L’immagine nella stimolazione della lettura, Coordinatore Nazionale Emma Nardi, 2007. 8 T. Van Dijk, W. Kintsch, op. cit. 9 M.C. Levorato, M. Roch, TOR. Test di comprensione del Testo Orale 3-8 anni, Giunti, Firenze, 2007. 10 R. Cardarello, op. cit., 2003; Cardarello R., Vedere e pensare: una sperimentazione nella scuola materna, in corso di stampa. 11 N. Morris, D. Melling, Il primo libro Mondadori delle parole, Mondadori, Milano, 1999. 12 R. Cardarello, “La lettura delle figure: qualità dell’immagine e comprensione”, in N. Paparella (a cura di), La ricerca didattica per la qualità della formazione. Atti del III Congresso Scientifico SIRD, Pensa MultiMedia, Lecce, 2002, pp. 89-116; R. Cardarello, Vedere e pensare: una sperimentazione nella scuola materna, cit.
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13 L. Lumbelli, “Complex connective inference and a possible type of implicature”, in Lingue e linguaggio, VIII, 1, 2007, pp. 85-100. 14 R. Cardarello, op. cit. 15 Per una descrizione più puntuale di tali criteri, si veda R. Cardarello, Vedere e pensare: una sperimentazione nella scuola materna, www.pedagogiasperimentale.it, 2003 16 L. Marszalek, Reksio, Cartoon Movies Studio, Filek H., Bielsko-Biala, 1967. 17 Gruppo di lavoro composto dalle Prof.sse R. Cardarello ed A. Contini, oltre che dell’autrice dell’articolo. Ci si è avvalsi, inoltre, della consulenza della Prof.ssa L. Lumbelli. 18 T. Trabasso, “Causal representation of narratives”, in Reading Psychology, X, 1, 1989, pp. 67-83; P. Van den Broek, “Comprehension and memory of narrative texts”, in M.A. Gernsbacher (a cura di), Handbook of Psycholinguistics, Academic, San Diego, 1994, pp. 539-588; A.C. Graesser, K.K. Millis, R.A. Zwann, “Discourse comprehension”, in Annual Review of Psychology, XLVIII, 1, 1997, pp. 163-189. 19 M.C. Levorato, M. Roch, TOR. Test di comprensione del Testo Orale 3-8 anni. Libretto delle Storie e fogli di codifica, O.S., Giunti, Firenze, 2007, p. 21. 20 L. Lumbelli, “Bridging e sinetica”, in G.L. Beccaria, C. Marello (a cura di), La parola al testo, vol. 2, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2002, pp. 232-246; L. Lumbelli, “Complex connective inference and a possible type of implicature”, cit.
Bibliografia di riferimento Bassa Poropat M.T., De Vecchi E., Guardare assieme e discutere. L’interosservazione come metodologia d’intervento, Franco Angeli, Milano, 1995. Cardarello R., “Incomprensioni di un cartone animato alla TV: itinerari delle informazioni perdute”, in Ikon, 13, 1986, pp. 35-68. Cardarello R., “La lettura delle figure: qualità dell’immagine e comprensione”, in N. Paparella (a cura di), La ricerca didattica per la qualità della formazione. Atti del III Congresso Scientifico SIRD, Pensa MultiMedia, Lecce, 2002, pp. 89-116. Gaonac’h D., Fayol M. (a cura di), Aider les élèves à comprendre, Hachette, Paris, 2003. Lumbelli L., Bechini B., Audiovisual versus written text comprehension: what about creative work?, Conferenza Earli SIG2 Multimedia Comprehension, Poitiers, 2002. Lumbelli L., Ricossa F., From picture to text: early fostering of reading comprehension, XI Conferenza Earli, Cipro 2005 Marszalek L., Reksio, Cartoon Movies Studio, Filek H., Bielsko-Biala, 1967. Rasch T., Schnotz W., “Interactive and non-interactive pictures in multimedia learning environments: effects on learning outcomes and learning efficiency”, in Learning and Instruction, XIX, 5, 2009, pp. 411-422. Salomon G., “Television is ‘easy’ and print is “tough”: the differential investment of mental effort in learning as a function of perceptions and attributions”, in Journal of Educational Psychology, LXXVI, 4, 1984, pp. 647-658.
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ricerche Orientamento e riallineamento universitario on-line: progettazione e prova di servizi nel progetto UniSOFIA1 PAOLO CALIDONI – ELISABETTA GOLA – GIOVANNA CRISTIANA ISU – RINALDO SATTA
In questo paper mostreremo il percorso svolto nell’ambito del sottoprogetto Orientamento e Riallineamento di UniSOFIA, illustrando la ricerca per la progettazione e la prova dei servizi realizzati con la finalità generale di costruire un ponte tra la scuola secondaria e l’università. La ricerca si è sviluppata prevalentemente online con l’individuazione e la comparazione di ‘casi’ e modelli disponibili, a partire dai quali sono state progettate le soluzioni adottate, compatibili con le condizioni di sistema disponibili. L’attenzione è rivolta in particolare alla presentazione di un questionario di auto-orientamento on-line con feedback automatico originale e del contesto funzionale di servizi di orientamento e riallineamento in cui è organicamente inserito. La prova è stata svolta monitorando l’utilizzo dei servizi disponibili on-line e con analisi in profondità resi possibili grazie alla collaborazione diretta degli utenti del corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Cagliari che aderisce al progetto UniSOFIA. L’attività ha permesso di offrire servizi on-line di orientamento e riallineamento e di vagliarne l’utilizzabilità.
One of the emergent fields in which ICT can offer new opportunities are the services of rientation for Prospective University Students. In the UniSOFIA project (an EU funded project for the introduction of e-learning in universities and schools with the aim of fighting school abandon/dispersione scolastica) an integrated environment has been set up which includes a website and two educational platforms (implementing the Moodle LCMS): the first platform is designed to allow prospective university students to test their own expectations and competences; the second platform is an open environment in which registered users can find multimedia materials created by professors and experts in disciplines related to general competences that are required by the most part of academic courses (e.g. logic, language, communication, citizenship, etc.) and to some more specific topics (e.g. history of figurative art, epistemology, etc.) that are instead oriented to the three undergraduate online programs delivered by the UniSOFIA project (i.e. Communication Studies, Administration Sciences, Architectural Sciences).
Parole chiave: orientamento, e-learning, riallineamento
Keywords: E-learning, Orientation, Moodle
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a quando internet è diventato uno dei principali mezzi per diffondere informazioni e stabilire connessioni per imprese, istituzioni, giornali e individui, le tecnologie al servizio della comunicazione sono state adottate in modo consistente anche in ambito universitario2 e scolastico3. Nonostante ciò, non è così frequente in Italia che questo accada nella scuola primaria e secondaria4. Così come non si verifica spesso che le istituzioni scolastiche e universitarie mettano a disposizione degli studenti sistemi di comunicazione via web che permettano di attivare una circolazione bidirezionale del flusso di informazioni
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e comunicazione. Questa situazione si protrae nonostante il fatto che le generazioni più giovani siano, per riprendere una locuzione di Tapscott5 divenuta famosa, grown up digital e che la maggior parte delle persone, sia al lavoro che a casa, faccia abbondante uso di tecnologie digitali6. Colmare questa lacuna, introducendo in modo proficuo le tecnologie nell’ambito della didattica e in particolare nel momento di passaggio dalla scuola superiore alla formazione universitaria, è stato uno dei principali obiettivi del sottoprogetto Orientamento e Riallineamento del progetto UniSOFIA, un progetto europeo (giu-
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La ricerca è stata condotta simulando il comportamento di un utente tipo, che utilizza risorse web, interessato ad individuare offerte formative rispondenti ai suoi interessi e a verificare la possibilità di affrontare con successo gli studi universitari in uno specifico settore. Utente tipo è stato considerato lo studente di scuola secondaria di secondo grado con capacità non avanzata nell’uso di tecniche di ricerca on-line. In una prima fase è stato simulato che lo studente conoscesse solo pochi motori di ricerca (Google, Yahoo, Tiscali) e che non utilizzasse operatori booleani. Successivamente e gradualmente, la ricerca è proceduta con azioni di affinamento che hanno previsto, oltre all’impiego degli operatori booleani, anche la consultazione di forum e l’iscrizione a mailing list. Inoltre, si è ipotizzato che lo studente non avesse chiaro l’obiettivo della sua ricerca (ad esempio: non conoscesse la possibilità di valutare on-line la propria preparazione). La ricerca è proceduta per approssimazioni successive verso una sempre maggiore definizione degli obiettivi, dovuta, nella nostra simulazione, alla maggiore quantità di informazioni progressivamente ottenute che consentono di finalizzare in modo più specifico la ricerca. Infine, si è ipotizzato che il tempo dedicato alla ricerca fosse limitato e che si desiderasse ottenere quanto prima le informazioni ricercate, in particolare: • ottenere informazioni utili ad orientarsi nella scelta del percorso universitario; • valutare le proprie competenze, in funzione della successiva iscrizione all’università, mediante test e questionari proposti dai Corsi di Laurea delle Università o Centri di Orientamento presenti in Italia; • utilizzare risorse on-line al fine di migliorare le proprie competenze di base. In questa simulazione ci si è limitati alla ricerca fra i siti in italiano e si è cercato di individuare quelli che risultavano più facilmente raggiungibili. Contestualmente, la ricerca ha permesso di individuare sia le modalità adottate dai siti rilevati (Università o Centri di Orientamento) per la definizione dei profili e le modalità per la registrazione degli utenti, sia le presentazioni
gno 2006 – giugno 2009) curato dalle Università di Cagliari e di Sassari, riunitesi nel Consorzio interuniversitario per l’università telematica UnitelSardegna7. Il sotto-progetto Orientamento e Riallineamento rispondeva all’esigenza specifica di incrementare il numero di studenti laureati, intervenendo sulla dispersione scolastica e gli abbandoni che in Sardegna rappresentano un problema particolarmente grave. A questo scopo era intento del team di progetto facilitare la costruzione di un ponte più solido tra scuola e università, ricorrendo a specifiche tecnologie didattiche e alla comunicazione via web e affiancando ai canali più tradizionali e consueti modalità che potessero raggiungere e coinvolgere le future matricole. Il contesto del progetto Unisofia, nell’ambito del quale sono stati attivati tre corsi di laurea online (scienze dell’architettura, scienze dell’amministrazione e scienze della comunicazione), ha rappresentato una cornice ideale per creare e sperimentare nuovi modi di utilizzo della tecnologia nella didattica. L’ambiente software utilizzato è stato il sistema di gestione dei contenuti Moodle, un’ applicazione web a libero accesso tra quelle più utilizzate da educatori e docenti per la creazione di siti online per l’apprendimento e la didattica. I servizi offerti sono stati integrati in un sistema generale ispirato ai principi del costruttivismo8 e degli approcci centrati sull’utente9. In questo lavoro presentiamo alcuni aspetti del sotto-progetto Orientamento e Riallineamento seguendo un percorso ideale attraverso le risorse e le attività proposte. Tali servizi online di orientamento e riallineamento sono il frutto di un percorso di ricerca, progettazione, costruzione e prova di un prototipo che viene illustrato nelle pagine seguenti.
Stato dell’arte Allo scopo di raccogliere elementi utili per l’elaborazione di una proposta operativa di strutturazione della sezione Orientamento e Riallineamento del portale UniSofia, è stata anzitutto effettuata una ricognizione dei servizi on-line offerti dagli atenei italiani.
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zione e decisione. Inoltre, per consentire a tutti di rafforzare le proprie competenze nell’avvicinarsi alla formazione universitaria, il progetto mette a disposizione, in modalità online, materiali didattici che anticipano i contenuti e i metodi di alcune discipline di base e specifiche, relativamente a diversi corsi di laurea. Infatti il successo universitario, in termini di riduzione dell’abbandono e di crescita delle conoscenze, dipende sia dalle motivazioni sia dalle competenze degli studenti che si accingono ad affrontare un percorso di formazione universitaria. Scegliere il percorso più adatto alle proprie aspirazioni (orientamento) e creare le condizioni essenziali per poterlo affrontare (riallineamento) sono fattori che agiscono reciprocamente nella direzione di un successo formativo. Pertanto i servizi online di orientamento e riallineamento sono stati progettati in maniera integrata sia tra loro sia nei confronti della scuola. A questo scopo i servizi si presentano articolati in quattro tappe: la presentazione dell’offerta formativa regionale, un percorso di auto-orientamento, strumenti di autovalutazione, corsi di riallineamento.
(video o altri formati) che sono state pubblicate dalle Università per orientare alla scelta universitaria. La ricerca (realizzata nel periodo aprile-maggio 2006) ha consentito di individuare un totale di 236 risorse, fra strumenti esclusivamente on-line e strumenti off-line (in particolare file in formato.pdf), test e corsi di preparazione alle discipline universitarie. L’insieme dei materiali esaminati è stato catalogato in base alla disciplina ed alla funzione: strumenti per l’auto-orientamento, materiale didattico e test disciplinari. Di ogni risorsa sono state valutate la usabilità, l’efficacia e la gratificazione derivante dall’uso10. Gran parte dei “percorsi” di auto-valutazione presi in considerazione, sono strutturati come test a risposta multipla e sviluppati in diversi formati digitali (html, java, php). Una parte minima è in formato pdf (soprattutto i test di accesso – degli anni accademici precedenti – ai corsi di laurea) e alcune risorse consentono anche l’ascolto di audio (specificamente in caso di corsi di lingua) o la visualizzazione di brevi video. Il percorso di orientamento e riallineamento on-line, per tutti, di UniSOFIA
Prima tappa: l’offerta formativa (regionale)
Lo stato dell’arte relativo all’esistenza di strumenti online che vadano incontro alle esigenze di formazione in ingresso mostra che nonostante la sempre più frequente denuncia di carenze formative dei neo-iscritti il sistema universitario non annovera le esigenze di orientamento e riallineamento tra i suoi obiettivi prioritari. A fronte di un’offerta formativa ricca e articolata, chi decide di verificare la possibilità di intraprendere un percorso universitario deve spesso orientarsi senza adeguati strumenti, cosa che rende ancor più difficile l’individuazione del corso più adatto alle proprie attitudini e motivazioni. Per supportare le future matricole in questo processo di scelta, nell’ambito del progetto Unisofia gli Atenei di Cagliari e Sassari, in accordo con i rispettivi centri orientamento, hanno predisposto un percorso virtuale che si sviluppa in più tappe che toccano diversi aspetti del processo di informa-
Quali corsi di laurea esistono? Cosa bisogna sapere per poterli affrontare con successo? A quali professioni danno accesso? Cosa si impara all’Università? Sono alcune delle domande che si pongono giovani e meno giovani che desiderano avvicinarsi alla formazione universitaria, le cui risposte sono spesso presenti anche in rete, ma in modo frammentario e difficilmente raggiungibile. Il progetto UniSOFIA ha pertanto dato veste organica all’offerta formativa proposta dagli Atenei sardi raccogliendo le informazioni sulla struttura (sede, durata, crediti rilasciati, tabella degli insegnamenti, etc.), gli obiettivi formativi, i requisiti di ingresso, i profili in uscita. I corsi di laurea attivi in Sardegna sono presentati suddivisi sia per Ateneo che per aree disciplinari (Sanitaria, Scientifica, Sociale, Umanistica, secondo la classificazione del Ministero), per facilitare la ricerca di quelli attinenti ai propri interessi.
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una stima delle proprie capacità; • una sezione relativa alla conoscenza delle regole del sistema universitario, che permette di ottenere una valutazione della conoscenza delle regole del sistema universitario, requisito prezioso per la buona riuscita del percorso formativo. L’esito del questionario è un profilo in cui vengono incrociati i risultati provenienti dalle singole sezioni. In particolare la sezione relativa agli interessi professionali e la sezione relativa alle abilità sono discriminanti per la strutturazione dei profili (secondo la percentuale di risposte date si ottiene un feedback differente); la sezione relativa alla conoscenza del sistema universitario è invece un pretesto per fornire informazioni sul sistema universitario e quindi il relativo punteggio viene inserito in ogni feedback, ma non incide sul punteggio complessivo; alla conclusione di ogni feedback sono presenti i link alle prove di auto-valutazione, all’offerta formativa, ai profili in uscita ed ai moduli di riallineamento, quali strumenti che permettono un’acquisizione mirata di conoscenze e di competenze12. In particolare, le prove di auto-valutazione mirate alla rilevazione del possesso delle competenze necessarie (e – se necessario – acquisibili seguendo i moduli di riallineamento) per affrontare gli studi universitari nelle diverse aree costituiscono un essenziale comple(ta)mento del questionario di auto-orientamento.
Le schede di ogni facoltà e corso di laurea contengono le informazioni ed i rimandi (automatici on-line) utili per conoscere condizioni e modalità d’iscrizione, materie ed attività, sbocchi occupazionali ed a chi rivolgersi. Infine, è presentata anche una serie di informazioni essenziali sulle altre opportunità formative post-secondarie, non universitarie. Seconda tappa: l’auto-orientamento
La scelta di un corso di laurea dipende da diversi fattori, tra cui il precedente bagaglio formativo, le proprie attitudini e competenze, le speranze e aspirazioni rispetto al mondo delle professioni. Non esiste una ricetta che possa garantire quale sia la scelta giusta, è però possibile favorire la riflessione attraverso cui lo studente giunge a optare per un determinato corso di laurea. Con questo intento è stato formulato un percorso di auto-orientamento costituito da un questionario in cui sono combinate domande sulle diverse dimensioni implicate in questo processo. Delle complesse tematiche legate dell’orientamento scolastico e professionale la psicologia si occupa sin dall’inizio del secolo appena trascorso ed in questo arco di tempo si sono succeduti diversi approcci, influenzati dal contesto storico e sociale, che ancora oggi coesistono. Rifacendosi alla classificazione presentata da A. Di Fabio11, e tenendo conto dei vincoli di progetto e dei suoi obiettivi teorici e pratici, l’approccio seguito attraversa vari modelli e si concentra soprattutto sul modello informativo, su quello psicoattitudinale e sul modello economico-sociale. Infatti il percorso di auto-orientamento si integra con materiali ad alto contenuto informativo ed è incentrato sull’analisi degli interessi professionali e delle abilità, combinando le seguenti dimensioni: • una sezione relativa agli interessi, che si basa su un sistema predisposto per auto-valutare l’attrattiva verso determinate aree professionali correlate con le aree disciplinari dei corsi di laurea: sociale, scientifica, umanistica, sanitaria; • una sezione relativa alle abilità verbali, numeriche, logiche, che consente di ottenere
Implementazione del questionario Dopo una prima elaborazione in formato multimediale SCORM13 risultata poco soddisfacente, il questionario è stato costruito dal team di progetto utilizzando l’attività Quiz di Moodle, nel portale Orientamento (http://orientamento.unisofia.it/mod/quiz/view.php?id=341 ). Si è scelto di utilizzare il Quiz di Moodle in quanto permette di gestire numerose impostazioni, quali ad esempio la predisposizione di categorie e sottocategorie che raggruppano le tipologie di domande e l’estrazione delle domande in ordine casuale da ogni categoria, la presentazione di un feedback ad ogni risposta, alla conclusione di ogni sezione e al termine dell’intero questionario; inoltre il Quiz di
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Moodle agevola il costante aggiornamento del data-base di domande.
delle proprie competenze
Il collegamento tra l’orientamento e il riallineamento è costituito dalla possibilità di mettere alla prova le proprie conoscenze su materie di base e trasversali (capacità comunicative e logico-argomentative, conoscenza della lingua inglese e dell’informatica), specifiche (matematica, fisica, storia dell’arte). Seguendo le medesime modalità utilizzate per lo sviluppo del questionario di auto-orientamento, è stata messa a punto un’articolata batteria di prove di auto-valutazione finalizzate alla rilevazione delle competenze in diverse aree, in modo da permettere agli utenti del servizio di verificare il possesso delle competenze utili per affrontare l’area di studi universitari che risponde agli interessi di ciascuno. Le prove, come illustrato nella tabella seguente, comprendono: • quiz di verifica di competenze trasversali di base utili per affrontare tutti gli studi universitari (logiche ed argomentative, informatiche e di lingua inglese); • quiz di verifica delle competenze utili per affrontare una certa area di studi: Sanitaria, Scientifica, Sociale, Umanistica. Sulla base del punteggio ottenuto, il sistema genera automaticamente, tramite un algoritmo progettato e implementato ad hoc, un feed-back che viene restituito all’utente al termine della prova, indica il livello di competenze esibito nel corso della prova e fornisce suggerimenti sull’opportunità di fruire o meno di uno o più moduli multimediale di riallineamento tra quelli disponibili in piattaforma.
Descrizione delle sezioni e delle batterie di domande Le sezioni del questionario di auto-orientamento, classificate nel Quiz di Moodle sotto forma di categorie e sottocategorie sono 4 e riguardano l’anagrafica, l’interesse verso determinate aree professionali, le abilità e il grado di conoscenza del sistema universitario14: a) Anagrafica: È costituita da una serie di items che hanno come obiettivo la raccolta delle informazioni anagrafiche e descrittive della persona che risponde b) Interesse verso aree professionali: L’implementazione della sezione relativa agli interessi professionali si concretizza in un elenco di affermazioni che descrivono attività riconducibili ad attività professionali correlate con le aree disciplinari sociale, scientifica, umanistica e sanitaria, secondo la suddivisione del Ministero dell’Università e della Ricerca. c) Abilità: Le abilità e le competenze sono a loro volta suddivise in tre tipologie: • Competenze verbali: batteria di domande a risposta multipla che richiedono l’applicazione di competenze linguistiche; • Competenze numeriche: batteria di domande a risposta multipla che richiedono l’applicazione di competenze matematiche; • Competenze logiche: batteria di domande a risposta multipla che richiedono l’applicazione di competenze logiche d) Conoscenza del sistema universitario: Il grado di conoscenza del sistema universitario non entra nel bilancio relativo all’orientamento della scelta verso un’area piuttosto che un’altra, ma serve a rafforzare la consapevolezza del percorso che l’utente si accinge ad intraprendere. È questo lo scopo della batteria di domande con vero falso o a risposta multipla sulle regole del sistema universitario.
Quarta tappa: il riallineamento delle proprie competenze
Individuata l’area d’interesse e verificate le competenze, i servizi on-line di riallineamento contribuiscono a integrare e consolidare abilità e conoscenze. I servizi di riallineamento mettono a disposizione di tutti nuove risorse e strumenti per avvicinarsi allo studio universitario. Il concetto di riallineamento è una metafora per indicare la necessità, sempre più pressante,
Terza tappa: l’auto-valutazione
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semplice, per tutti, anche per chi, e arriviamo all’ultimo punto, non è uno studente o un insegnante delle scuole superiori, ma vuole in qualche modo avvicinarsi a una formazione universitaria (per es. lavoratori, casalinghe, soggetti svantaggiati)15. I punti di debolezza sono legati in parte a dei limiti dovuti ai vincoli di progetto: per esempio il fatto che i materiali siano principalmente pensati per una fruizione in autoapprendimento, cosa che notoriamente porta a un più probabile abbandono del percorso. Una seconda difficoltà è la diffusione ancora contenuta e con problemi tecnici dovuti a limiti tecnologici generali del territorio, indipendenti dal progetto, che vincolano inoltre a puntare sulla semplicità e sull’interattività, ma non sfruttano invece le possibilità simulative e immersive. Per quanto riguarda la diffusione sono state attivate diverse attività di divulgazione, non limitate alla comunicazione istituzionale, ma estese anche alla cooperazione con scuole e università. Questo aspetto è importante anche ai fini della ricerca sottostante al progetto, per meglio comprendere le dinamiche di apprendimento e interazione e così progettare le strategie didattiche più appropriate rispetto alla dinamicità, all’alta interattività e capillarità connesse all’e-learning e alla formazione permanente. Le prospettive future del progetto, nella sua dimensione locale e più in generale come progetto pilota rispetto ad iniziative analoghe in altri atenei italiani, sono legate a quanto questi ultimi vorranno considerare prioritarie azioni legate ad un loro intervento che si affaccia nella scuola e nella società. La predisposizione dei contenuti, la flessibilità dell’assetto tecnologico rendono agevoli il riuso e la personalizzazione dei servizi; infatti alcuni sviluppi e adattamenti dei servizi sono già stati sperimentati: • la Facoltà di Scienze dell’Università di Cagliari, ha utilizzato la piattaforma di Orientamento per proporre una simulazione del test utilizzato in tutta Italia per le prove di accesso ai corsi di laurea della Facoltà di Scienze16; • il corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Cagliari, erogato
di stabilire un canale comunicativo innovativo tra università e scuola superiore, la cui collaborazione porti alla costruzione di competenze utili ad affrontare il percorso di formazione universitario che si desidera intraprendere. A fronte del fatto che i corsi di laurea si presentano con una lista di requisiti minimi su cui i neoiscritti dovrebbero essere competenti, tali requisiti sono infatti posseduti da una porzione ridotta della popolazione universitaria. I pre-corsi sono una realtà per molte facoltà, specialmente quelle scientifiche, che soffrono della scarsa preparazione nelle materie scientifiche di base (soprattutto la matematica). Addirittura in alcuni casi si è parlato di istituzione di un ‘anno zero’ totalmente dedicato ad attività di riallineamento e le ipotesi di riorganizzazione del ciclo secondario secondo la scansione 2+2+1 si muovono in questa stessa direzione. In questa direzione il progetto si è mosso realizzando dei contenuti didattici multimediali (courseware o moduli), in formato Scorm, disponibili in una piattaforma Moodle specificamente dedicata ai servizi di riallineamento. Anche in questo caso si è tenuto conto dell’usabilità e la riusabilità dei prodotti, la facilità, funzionalità e velocità dell’eventuale aggiornamento dei contenuti. I moduli di riallineamento sono corsi multimediali fruibili in auto-apprendimento, che possono essere classificati in base al tipo di conoscenze in gioco: conoscenze di base, saperi specifici dell’area disciplinare, competenze utili per i corsi di laurea. Evidenze e prospettive Per concludere evidenziamo i punti di forza e i limiti di questa proposta formativa. Un primo punto di forza è relativo al fatto che i materiali e i metodi adottati sono legati a un’attività di ricerca che supporta in modo costante le analisi e le scelte. Un secondo punto su cui abbiamo già insistito è l’accento sull’integrazione tra informazione di orientamento, valutazione e acquisizione di conoscenze e competenze. Un terzo punto è la possibilità che la piattaforma offre di un lavoro comune portato avanti sia dall’università che dalla scuola. L’accesso a tutti i materiali è libero e
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aumenta la probabilità di trovare un numero di studenti sempre maggiore che soddisfi i requisiti di ingresso dei corsi di laurea. Questa è un’esigenza crescente, anche in seguito alle recenti direttive ministeriali sulla profilazione in ingresso e il monitoraggio18. Non è un caso che siano sempre più numerosi i siti delle Università estere più prestigiose, citiamo per tutte il caso del MIT (http://ocw.mit.edu/OcwWeb /hs/home/home/index.htm), che attivano sezioni dedicate specificamente ai docenti e agli studenti delle scuole secondarie.
in e-learning, da quest’anno accademico ha offerto ai nuovi iscritti la possibilità di prepararsi al test di ingresso studiando i materiali dei pre-corsi, ritenuti pertinenti tra quelli disponibili nella piattaforma di riallineamento e resi accessibili dal sito del corso17, auto-orientandosi e riducendo il periodo di attesa tra il conseguimento del diploma e l’inizio dell’anno accademico. Noi riteniamo che il collegamento tra scuola e università sia vitale, sia in quanto favorisce una scelta consapevole, sia perché dando maggiore continuità al percorso di formazione si
Note 1 Il progetto UniSOFIA (Servizi On-line di Formazione Istruzione e Apprendimento), diretto dal prof. Silvano Tagliagambe, è promosso dal Consorzio delle università di Cagliari e Sassari per l’università telematica ‘Unitelsardegna’ ed ha come partner Tecnofor, Giunti MediaLabs, Unist e Tiscali. Il progetto consiste nell’erogazione in modalità blended e-learning dei corsi di laurea in architettura, scienze dell’amministrazione e scienze della comunicazione, oltre che di specifiche attività di ricerca e del sottoprogetto di orientamento e riallineamento. www.unisofia.it 2 P. Ardizzone, P.C. Rivoltella, Didattiche per l’e-learning. Metodi e strumenti per l’innovazione dell’insegnamento universitario, Carocci, Roma, 2003; P. Ghislandi, P. Calidoni, F. Falcinelli, C. Scurati, “E-university: a cross-case study in four Italian universities”, in British Journal of Educational Technology, XXXIX, 3, 2008, pp. 443-455. 3 P. Calidoni, “Dirigenti scolastici e nuove tecnologie”, in Dirigenti Scuola, 4/2002 (anche nel giornale on-line Teoria de l’educacion y Cultura en la Sociedad de la Informacion de l’Universidad de Salamanca, 3/2002 (http://www3.usal.es/teoriaeducacion/). 4 D. Parisi, Google ci rende stupidi? Da Socrate a Google. Come si apprende nel nuovo millennio 2009, Atti del seminario ADI 27 e 28 febbraio 2009, http://www.adiscuola.it/adiw_brevi/?tag=seminario-2009; P. Limoni, Un computer per ogni studente. Da Socrate a Google. Come si apprende nel nuovo millennio 2009, Atti del seminario ADI 27 e 28 febbraio 2009, http://www.adiscuola.it/adiw_brevi/?tag=seminario-2009. 5 D. Tapscott, Grown up digital. How the net generation is changing your world, McGraw-Hill Professional, New York, 2008. 6 D. Parisi, Google ci rende stupidi? Da Socrate a Google. Come si apprende nel nuovo millennio 2009, cit. 7 Maggiori informazioni sono reperibili nel sito: http://www.unitelsardegna.it/. 8 S. Tagliagambe, Lo spazio intermedio. Rete, individuo e comunità, Università Bocconi, Milano, 2008; A. Carletti, A. Varani (a cura di), Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie. Nuove applicazioni della didattica costruttivista nella scuola, Erickson, Trento, 2007; D. De Kerkhove, The architecture of intelligence, Birkhäuser, Basel-Boston, 2001. 9 D.A. Norman, The invisible computer, The Mit Press, Cambridge (MA), 1998; D.A. Norman, “Logic versus usage: the case for activity-centered design”, in Interactions, XIII, 6, 2006, pp. 45-ff.; G. Anceschi, M. Botta, M.A. Garito, L’ambiente dell’apprendimento. Web design e processi cognitivi, McGraw-Hill, Milano, 2006. 10 Per il nostro obiettivo, sono state valutate maggiormente usabili tutte quelle risorse fruibili on-line, ad alta interattività e che permettessero la delineazione del profilo dell’utente. Va da sé che i materiali in formato pdf si collocano al livello minimo della valutazione. 11 A. Di Fabio, Psicologia dell’orientamento. Problemi, metodi e strumenti, Giunti, Firenze, 1998. Nel suo lavoro Di Fabio elenca cinque differenti approcci: il modello psicoattitudinale, il modello informativo, il modello psicodiagnostico, il modello educativo, il modello del counseling, il modello psicosociale, il modello globalistico-interdisciplinare. Ciascuno di questi modelli presenta una sua logica, obiettivi e metodi la cui validità dipende – in gran parte – dal contesto in cui il modello viene tradotto in un intervento. L’approccio informativo, per esempio, tende a erogare il maggior numero possibile di informazioni al soggetto; però, in casi di soggetti con insufficienti capacità critico-decisionali, può avere come esito un’incapacità di orientarsi nelle stesse informazioni. Il modello del counseling prevede invece un processo di interazione tra l’orientatore e
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l’orientato, che ovvierebbe al problema lasciato aperto dal modello informativo, ma mal si presta nei casi di servizi online per l’alto costo della gestione delle interazioni individuali. Per una descrizione dettagliata delle modalità di attribuzione del punteggio e di restituzione del profilo si rimanda alla pubblicazione disponibile all’indirizzo web http://www.unisofia.it/news/varie/it/67810.php. Lo SCORM, acronimo di Shareable Content Object Reference Model (Modello di Riferimento per gli Oggetti di Contenuto Condivisibili) è tecnicamente un protocollo di standard di qualità relativo all’e-learning. Esso raccoglie un insieme di specifiche tecniche che regola, primariamente, lo scambio di contenuti digitali in maniera indipendente dalla piattaforma e il monitoraggio delle attività. Per ulteriori dettagli e approfondimenti è possibile consultare la pubblicazione disponibile all’indirizzo web http://www.unisofia.it/news/varie/it/67810.php Per accedere è sufficiente profilarsi con i propri dati anagrafici. I punti di accesso sia all’Orientamento che al Riallineamento si raggiungono dal sito www.unisofia.it. La simulazione si può consultare all’indirizzo: http://orientamento.unisofia.it/mod/quiz/view.php?id=334. Si confronti l’area Anno Zero del sito www.com.unica.it (http://www.com.unica.it/piattaforma/course/view.php?id=12). D.M. 21 luglio 1997, n.245 “Regolamento recante norme in materia di accessi all’istruzione universitaria e di connesse attività di orientamento”, così come modificato dal d.m. 8 giugno 1999, n.235.
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ricerche Giovani e prevenzione Un’indagine sui significati soggettivi di salute e ben-essere ALESSANDRA CAVALLO Il presente contributo presenta un’indagine riguardante i significati soggettivi di salute e ben-essere in adolescenza. In particolar modo tale ricerca si è proposta di a) identificare i significati che i giovani attribuiscono alla salute, al ben-essere ed al ben-essere nei vari contesti b) verificare l’incidenza di alcune variabili indipendenti come il sesso, l’età, l’indirizzo di studi ed il rendimento scolastico sui significati attribuiti alla salute ed al ben-essere dai giovani. La fase di raccolta dei dati ha coinvolto un gruppo di quattrocentodue adolescenti del terzo, quarto e quinto anno di due scuole secondarie superiori della provincia di Como. L’obiettivo dell’indagine di verificare se i significati attribuiti dagli adolescenti alla salute ed al ben-essere fossero influenzati da fattori contestuali come l’indirizzo di studi e il rendimento scolastico, oppure da fattori individuali come la personalità degli adolescenti, sembra trovare una risposta nei dati. L’educazione alla salute delle giovani generazioni, deve essere concepita come un processo dinamico in grado di consentire la negoziazione continua tra i significati che i giovani elaborano all’interno dei contesti culturali e ambientali di riferimento e i significati derivanti da saperi formali più generali.
This study explored the meanings of subjective well-being among 402 young people (aged 16–19). The aim of this research was to a) identify the meanings that the young people attribute to health, to well-being and well-being in various contexts b) to verify the incidence of some independent variables as gender, age, curriculum of studies and the learning output on the meanings of subjective well-being. Key components of well-being for young people were found to include personal and contextual factors. Findings suggest that intervention theories and frameworks assists in the identification of interpersonal and organizational aspects of a school environment, which satisfy individual needs to feel autonomous, competent and connected, and to improve health and well-being. Health education of the young generations at school must be conceived as a dynamic negotiation among the meanings that the young people elaborate inside the cultural and environmental contexts and the consequential meanings of formal knowledge management activities.
Parole chiave: prevenzione primaria, educazione sanitaria, benessere, programmi di prevenzione nella scuola
Keywords: young people, primary prevention, health education, well-being, school-based prevention programs.
N
el quadro dei cambiamenti che stanno ridisegnando gli assetti delle popolazioni e delle culture, viene emergendo un panorama complesso della fenomenologia sociale, che obbliga a ridiscutere i criteri di analisi e di valutazione degli eventi. Mutano infatti, i contesti particolari e generali di riferimento, per cui ogni aspetto della vita individuale e sociale assume nuovi significati in uno scenario di grandi trasformazioni1. Tra gli interrogativi che possono sorgere sulla reazione di soggetti e gruppi rispetto a questi radicali cambiamenti, assumono senso quelli
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riguardati le modalità che i giovani utilizzano per tentare di muoversi in questa realtà sottoposta a rapidissimi cambiamenti. Una delle riflessioni fondamentali da fare quando si rivolge l’attenzione alla giovinezza è che la condizione giovanile non è un fenomeno dalle caratteristiche sociali universalmente riconosciute e non è dunque definibile in modo univoco2. Nel contesto multiforme, difficile e dinamico delle società ad alta industrializzazione i giovani devono affrontare oggi una continua mediazione fra le vicende individuali, vissute in situazioni contestuali, ed i paesaggi
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culturali in cui collocarle per dotarle di significato3. Tali paesaggi sono di diversa estensione e, nel rapporto fra il vicino ed il lontano, presentano dimensioni non facilmente commensurabili. Questo genera una complessità culturale che si è notevolmente accresciuta negli ultimi anni, per cui esistono difficoltà nella percezione dei problemi, nella ricerca delle strade per trovare soluzioni adeguate ad individuare percorsi di significati indispensabili per collocarsi in un mondo in rapido mutamento4. Parlare di giovani che diventano adulti significa discutere del futuro della nostra società. L’età giovanile può essere considerata una condizione transitoria che segna progressivamente l’abbandono dei ruoli tipici dell’adolescenza e la contemporanea assunzione delle funzioni e delle competenze dell’età adulta. I tempi e i modi con cui questo passaggio si realizza, appaiono oggi fortemente mutati5. La transizione all’età adulta nelle società contemporanee è scandita dal superamento di soglie, ovvero di tappe di passaggio indispensabili per poter stabilire le posizioni sociali che contraddistinguono l’individuo adulto e lo differenziano da un adolescente. Al giorno d’oggi i giovani mostrano una tendenza a procrastinare le tappe che conducono ad una progressiva e completa autonomia, questo determina un effettivo allungamento dei tempi necessari per transitare verso l’età adulta6. Quindi se da un lato la nostra società deve far fronte a fenomeni di crescente complessità culturale dall’altro deve tener presente che i tempi di assunzione di quelle responsabilità che definiscono l’essere adulto, sono oggi fortemente più lunghi rispetto al passato. L’insicurezza è uno dei tratti che caratterizza il nostro tempo e le società in cui viviamo, questo sentimento nasce e si consolida come frutto di esperienze soggettive e varia in funzione degli aspetti socio anagrafici (quali età, sesso, posizione sociale delle persone), sia degli aspetti psicosociali quali il grado di familiarità che si ha con l’ambiente in cui si vive, la qualità dei rapporti nel luogo in cui si abita, in cui si studia e si lavora, nel tipo di famiglia in cui si è cresciuti7. In questo senso l’adolescenza è un problema non di per se ma per la società, ed è compito della scienze pedagogi-
che interrogarsi su cosa fare per permettere che i giovani possano assumere un ruolo decisivo in tutti quei contesti sociali, in cui si trovano a vivere quotidianamente8. Progettare interventi educativi per la salvaguardia del ben-essere individuale significa in primo luogo investigare i significati culturali che vengono attribuiti alla salute. Di fatto, come si sostiene ormai ampiamente in letteratura9 non esiste una definizione univoca dei concetti basilari di salute e di malattia ma una pluralità di prospettive che costituiscono a loro volta diversi ambiti di ricerca; infatti la salute assume significati molteplici in relazione al campo disciplinare d’interesse e al contesto in cui questa condizione matura. Ad ogni specifico contesto culturale corrispondono significati e comportamenti differenti ad essa riferiti. La salute è una concezione di complessa interpretazione e varia in base al mutare delle caratteristiche dei soggetti e dei diversi contesti socio culturali10. M. Ingrosso11 sostiene che la questione della salute si pone nella società attuale con caratteri inediti. Infatti la salute è sempre più associata ad un fare, prima di tutto per i diversi soggetti che sono chiamati compiere scelte ed a impostare strategie proprie di salute. Essendo un processo che si fa, la salute investe i rapporti sociali ed i processi comunicativi in quanto la sua realizzabilità ed efficacia sono in relazione alla rete della socialità, alla rete formativa e alla rete di risorse a sua disposizione. Educazione alla salute è realizzazione delle potenzialità dell’intelligenza, dell’affettività, dell’integrazione sociale dei singoli alunni al fine di attivare tutta l’umanità di cui ogni soggetto è ricco. A scuola, per educare alla salute occorre promuoverla creando condizione di ben-essere per tutti coloro che vi operano, assicurando ambienti ed attrezzature idonee e promuovendo l’equilibrio psicologico attraverso la realizzazione di un clima socio-affettivo positivo e la strutturazione di una proposta educativa ricca di significati12. Per rendere chiari i bisogni e i significati in gioco si rendono necessarie delle indagini che spieghino dove si trovano gli allievi in termini di consapevolezze, sentimenti, stili di vita e conoscenza dei fattori che condizionano la salute
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ste condizioni non come semplici accadimenti esterni, ma come processi attivi di attribuzione di senso. Inoltre alcuni autori hanno parlato di “nuova era nella valutazione della salute”16, contrassegnata dalla valorizzazione del punto di vista delle persone interessate. Da circa dieci anni, infatti, la rilevanza della dimensione soggettiva è stata il punto d’avvio di una nuova tradizione di ricerca e di un nuovo modello d’intervento, è ineluttabile che la “percezione del sé”, la percezione del proprio ben-essere, non può che competere al il soggetto stesso17. Nella costruzione di strumenti di indagine e nella progettazione di interventi educativi bisogna di fatto comprendere che cosa le persone intendano per “star bene” e quali contesti, situazioni, significati siano strutturalmente connessi con l’esperienza del ben-essere e della salute. Il questionario utilizzato in questa indagine è stato creato da un gruppo di ricerca dell’Università di Padova formatosi nel 199718. Questo strumento ha lo scopo di analizzare i significati attribuiti dagli adolescenti alla salute e al ben-essere in modo da rendere possibile iniziative e progetti, soprattutto in ambito scolastico, fondate sulla costante negoziazione dei significati tra gli attori in gioco. Nelle fasi di costruzione di questo strumento di indagine infatti in un primo momento (pre-ricerca) si sono raccolti per iscritto i significati espressi da circa 200 soggetti tra i diciassette e i diciannove anni stimolati da frasi incompiute come: “per me il significato di salute corrisponde a…”; “per me il significato di ben-essere corrisponde a”. Il gruppo di ricerca ha analizzato ciascun protocollo, selezionato le risposte e discusso il significato che in esse assumevano la salute, il ben-essere e il ben-essere nei vari contesti, costruendo una mappa di item, differenziati in scale specifiche e corrispondenti ai diversi significati da attribuire ai termini indicati. Da questa prima selezione sono risultati diversi significati attribuiti alla salute, al ben-essere in generale, al ben-essere a scuola, al ben-essere in famiglia, con gli amici, in vacanza, nel tempo libero e presentato dai media. Nella seconda fase della pre-ricerca per costruire lo strumento vero e proprio si sono coinvolti nuovamente quattrocentocinquanta giovani
e il suo equilibrio. I bisogni da considerare sono prima di tutto quelli degli studenti, ma anche quelli dell’ambiente scolastico e della comunità più ampia nella quale la scuola si trova inserita. I giovani infatti non apprendono solo dall’insegnamento in classe, ma anche dall’ambiente scolastico, cioè dal modo in cui la scuola è organizzata, dalle relazioni tra docenti e tra docenti e alunni. Se quello che viene insegnato in classe non si rispecchia in quello che i ragazzi osservano e sperimentano nell’ambiente scolastico più ampio, l’insegnamento in classe può perdere la sua significatività nell’influenzare le decisioni che i ragazzi prendono in riferimento al loro stile di vita13. Occorre operare scelte di priorità che portino ai significati espressi dai destinatari dell’intervento, al gruppo dei docenti da coinvolgere direttamente nell’intervento ed alla conseguente tipologia del programma d’azione che si intende intraprendere. Nell’ambito dell’educazione alla salute è di centrale importanza che la fase di progettazione prenda il via a partire dalla comprensione dello specifico sistema di significati dei partecipanti14. Un progetto d’intervento dovrebbe quindi avere una base di carattere generale, formulata a partire dalle esigenze comuni rilevate nella popolazione globale degli adolescenti ma dovrebbe essere poi attuato in maniera flessibile, adattandolo alle specifiche esigenze e richieste degli utenti. Gli adolescenti per definire i significati di salute e ben-essere si basano sulle proprie esperienze di vita quotidiana, è quindi necessario che gli interventi di prevenzione prendano in considerazione situazioni che appartengano alla vita dei giovani15 La ricerca Negli ultimi anni la ricerca si è andata orientando verso un importante cambiamento che sposta l’attenzione dalle condizioni oggettive di salute e ben-essere al significato che questi concetti assumono per le persone in connessione con il loro contesto culturale e sociale. La considerazione degli aspetti culturali e sociali strettamente connessi alle definizioni di salute e ben-essere permette di concepire que-
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situazioni esterne. Invece nelle teorie bottomup, sono gli eventi esterni a determinare i significati che riguardano la salute ed il ben-essere. Oggi si propende invece per un modello integrato dei due approcci teorici20, si vuole analizzare e comprendere come le differenze individuali ovvero la personalità degli individui e gli eventi esterni incidano sui significati di salute e ben-essere21. L’indagine si propone quindi di a) identificare i significati che i giovani attribuiscono alla salute, al ben-essere ed al ben-essere nei vari contesti b) verificare l’incidenza di alcune variabili indipendenti come il sesso, l’età, l’indirizzo di studi e il rendimento scolastico sui significati attribuiti alla salute ed al ben-essere. Le analisi statistiche permetteranno quindi di verificare se: a) Vi siano differenze significative tra i partecipanti dovute all’identità di genere e all’età. Si ipotizza quindi che i gruppi di studenti maschi e di studentesse femmine, e i gruppi di sedici, diciassette e diciotto anni si differenzino in relazione ai significati da essi espressi in merito alla salute ed al ben-essere. In questo modo si confermerebbe la validità dell’approccio top-down: sarebbero quindi le interpretazioni soggettive degli eventi ad influenzare le concezioni soggettive di salute e di ben-essere. b) Vi siano differenze significative tra i partecipanti dovute all’indirizzo di studi e al rendimento. Si ipotizza quindi che sia l’incidenza del contesto scolastico ad influenzare le concezioni di salute e ben-essere, in questo modo si confermerebbe l’approccio delle teorie bottom-up in cui si afferma che siano i contesti di vita in cui sono inserite le persone ad influenzare la costruzione dei significati di salute e ben-essere.
dai diciassette ai diciannove anni che divisi per gruppi, proporzionalmente al numero degli item selezionati in ciascuna scala, dovevano esprimere un grado di apprezzamento alle affermazioni contenute negli items secondo una scala Lickert a cinque livelli (dal pieno accordo al massimo disaccordo). I dati così raccolti sono stati sottoposti ad analisi statistiche, questo passaggio ha permesso di selezionare per ciascuna scala gli item che avrebbero definitivamente composto il protocollo finale. Ho voluto riportare i passaggi chiave della costruzione di questo strumento per sottolineare il fatto che il questionario utilizzato, non è stato costruito a “tavolino” dai ricercatori ma è il frutto di un attenta analisi e discussione di quelli che sono i reali significati di salute e ben-essere per i giovani di oggi. La prima sezione del questionario comprende una serie di domande volte a cogliere informazioni riguardanti le caratteristiche familiari (titolo di studi e lavoro svolto dai genitori) e caratteristiche sociodemografiche degli adolescenti (sesso, età, indirizzo di studi e rendimento scolastico). La seconda sezione comprende otto scale (per un totale di duecentoventidue item) volte a misurare i significati attribuiti dagli adolescenti alla salute, al ben-essere in generale ed al ben-essere nei vari contesti: a scuola, con gli amici, in famiglia, durante il tempo libero, in vacanza, e infine il ben-essere presentato dai mass-media. Ad ogni item i soggetti hanno risposto utilizzando una scala Lickert a 5 punti (da 1 = per niente adeguato a 5 = pienamente adeguato). Definizione degli obiettivi e delle ipotesi di ricerca Dalla letteratura consultata emerge che le dimensioni di salute e ben-essere assumono significati differenti e tali significati influenzano e determinano i comportamenti dei soggetti e dei gruppi. Sono principalmente due gli approcci teorici che hanno cercato di comprendere in che modo le diverse concezioni di salute e di ben-essere determinino i comportamenti degli individui19. Nell’approccio delle teorie top-down è la personalità del soggetto che lo porta a reagire in modo positivo o negativo alle
Caratteristiche del gruppo di partecipanti coinvolti La fase di raccolta dei dati ha coinvolto un gruppo di quattrocentodue adolescenti del terzo, quarto e quinto anno di due scuole secondarie superiori della provincia di Como: il Liceo Scientifico “G. Galilei” e L’Istituto Tecnico “G. D. Romagnosi”. Si è deciso di coin-
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percezione soggettiva degli eventi piuttosto che le circostanze oggettive della vita ad influenzare le concezioni di salute e di ben-essere, sono stati effettuati confronti riguardanti il genere dei soggetti coinvolti e le loro età. Le frequenze e le percentuali relative alle caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti sono riassunte nella tabella 1.
volgere gli studenti di queste due scuole perché si è ritenuto che la diversità della proposta formativa veicolata da questi due contesti scolastici (liceo e istituto tecnico), possa in qualche modo influenzare o riflettersi nei diversi sistemi di significato attribuiti allo stato di salute e di ben-essere. Inoltre per verificare se, come vogliono le teorie top-down, è la nostra
Caratteristiche C ara ttteristiche
Frequenze F requenze
Percentuali P ercentua ali N = 402 402
16 16 17 1 7 18 1 8
134 134 134 1 34 134 1 34
33.3 33.3 33.3 3 3.3 33.3 3 3.3
maschi mas chi femmine femmine
157 157 245 2 45
39.1 39.1 60.9 6 0.9
Titolo T itolo di di studi studi del d el p padre adre
sscuola cuola dell’obbligo dell’obbligo sscuole cuole medie medie superiori superiori llaurea aurea padre p adre d deceduto eceduto o assente assente
156 156 172 1 72 60 6 0 14 1 4
38.8 38.8 42.2 4 2.2 14.9 1 4.9 3.5 3 .5
Titoloni T itoloni studi studi della della madre ma adre
sscuola cuola dell’obbligo dell’obbligo sscuole cuole medie medie superiori superiori llaurea aurea madre mad re deceduta deceduta o assente assente
129 129 220 2 20 43 4 3 10 1 0
32.1 32.1 54.7 5 4.7 10.7 1 0.7 2.5 2 .5
Tipologia T ipologia di di lavoro lavoro padre p a re ad
bassa b assa (operaio (operaio / artigiano) artigiano) media (im media (impiegato/insegnante) mpiegato/insegnante) alta al ta (p (professionista/dirigente) rofes e sionista/dirigente) deceduto d eceduto o assente assente
120 120 111 1 11 163 1 63 8
29.9 29.9 27.6 2 7.6 40.5 4 0.5 2.0 2 .0
Tipologia T ipologia di di lavoro lavoro madre ma adre
bassa b assa (o (operaia operaia /artigiana) /artigiana) med media dia (o ((operaia operaii a /artigiana) /arttigiana)) alta al ta (p (professionista/dirigente) rofes e sionista/dirigente) deceduta d eceduta o assente assente
192 192 151 1 51 56 5 6 3
47.8 47.8 37.6 3 7.6 13.9 1 3.9 0.7 0 .7
Rendimento R endimento
iinsufficiente nsufficiente ssufficiente ufficiente discreto/ottimo d iscreto/ottimo
35 3 5 206 206 161 1 61
8.7 8 .7 51.2 51.2 40.0 4 0.0
Liceo L iceo Istituto Is tituto tecnico tecnico
201 201 201 2 01
50.0 50.0 50.0 5 0.0
Età E tà
Sesso Se esso
Indirizzo In dirizzzo di di studi studi
Tabella 1 - Variabili indipendenti
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riore legato alla soddisfazione per la propria vita. La misura di attendibilità relativa alla scala del ben-essere è Alpha = ,9294. Considerando invece i significati attribuiti al benessere, così come viene vissuto dagli adolescenti nei vari contesti di vita si possono indicare le seguenti dimensioni: • Ben-essere a scuola: a) condivisione, sostegno e rispetto reciproco, b) piacere di apprendere e di poter esprimere le proprie capacità, c) assenza di conflitti e di tensioni (Alpha = ,9048). • Ben-essere nel tempo libero: a) essere liberi di vivere tranquillamente il tempo a disposizione, b) divertirsi con gli amici c) dedicarsi all’arricchimento culturale (Alpha = ,7616). • Ben-essere in famiglia: a) collaborazione e piacere di stare insieme, b) non avere limiti economici nel poter fare ciò che si vuole, c) sentirsi liberi, sereni e compresi (Alpha = ,8886). • Ben-essere con gli amici: a) comprensione stima e rispetto reciproco, b) avere interessi che creino un accordo comune, c) assenza di conflitti competitività e invidia (Alpha = ,9146). • Ben-essere in vacanza: a) sentirsi liberi di poter fare ciò che si vuole, b) vivere esperienze soddisfacenti, c) riposarsi e vivere il dolce far niente (Alpha = ,8419). • Ben-essere presentato dai mass-media: a) ben-essere materiale, b) dialogo e rispetto per le diversità umane, c) monopolizzare e strumentalizzare gli altri per ottenere il successo sociale (Alpha = ,9048). Ma in che modo vengono concettualizzate dagli adolescenti le dimensioni prese in considerazione da questa indagine? Per quello che riguarda la salute l’analisi fattoriale ha fatto emergere un ampio significato che va dall’assenza di malattia fisica alla capacità di superare i problemi. Anche rispetto al ben-essere, tra gli studenti coinvolti, emerge una concezione complessa di queste dimensioni che richiama allo stesso tempo elementi personali e relazionali. Il ben-essere riguarda una condizione positiva di motivazione ed interesse in cui si riescono a superare i problemi. Esso possiede una componente soggettiva “stato d’ani-
Analisi dei dati I dati ottenuti dalla somministrazione del protocollo sono stati sottoposti ad analisi statistiche utilizzando il programma statistico Statistical Package for the Social Sciences (SPSS). Inizialmente sono state calcolate le percentuali riferite alle caratteristiche della popolazione (variabili indipendenti tab.1). Successivamente si è proceduto utilizzando l’analisi fattoriale (componenti principali, con rotazione Varimax, su campione totale). Si è poi proseguito con l’interpretazione dei fattori emersi dall’analisi (considerando una varianza >.40), il grado di omogeneità degli items, ovvero la consistenza interna, è stato calcolato con l’Alpha di Cronbach, per ciascuna delle otto scale che compongono lo strumento. In fine, l’applicazione del t di Student e l’analisi della varianza (ANOVA univariata) sono stati utilizzati per valutare la significatività tra variabili indipendenti (es. sesso e indirizzo di studi) e i fattori individuati con l’analisi fattoriale. Le analisi statistiche hanno permesso di evidenziare delle differenze nel modo di concepire le dimensioni indagate sia per quanto riguarda l’indirizzo di studi, che per quanto riguarda il genere, l’età e il rendimento scolastico degli adolescenti coinvolti in questa indagine. Analisi fattoriale e alpha di Cronbach Dall’analisi fattoriale condotta sul campione totale di quattrocentodue adolescenti, sono emersi costrutti significativi per ognuna delle otto scale indagate. Per quanto riguarda il significato di salute i fattori individuati sono i seguenti: a) autostima necessaria per affrontare i problemi, b) lo stare bene del corpo, c) avere forza ed energia per muoversi in rapporto adeguato con l’ambiente circostante, d) equilibrio fisico e mentale. La misura di attendibilità relativa a tale scala è Alpha = ,9163. Per quanto riguarda i significati attribuiti al ben-essere in generale sono emersi i seguenti fattori: a) consapevolezza relazionale, b) assenza di problemi, c) stato d’animo inte-
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pendenti, mentre i confronti fra i diversi gruppi d’età (sedici, diciassette e diciotto anni) sono stati condotti utilizzando l’analisi della varianza (ANOVA univariata). In base ai dati della ricerca esiste una differenza statisticamente significativa, tra maschi e femmine, nella descrizione delle dimensioni indagate. In particolare tale differenza si riscontra nei seguenti costrutti: per quello che riguarda i significati attribuiti alla salute, i maschi esprimono un grado d’accordo maggiore rispetto alle femmine nella dimensione autostima necessaria per affrontare i problemi, t(400)= 0,309 p<0,05. Anche rispetto al costrutto di salute vista come lo stare bene del corpo i ragazzi esprimerebbero un grado d’accordo maggiore rispetto alle ragazze, t(400)= 2,258 p<0,05. Rispetto ai significati attribuiti al ben-essere in generale è nella dimensione del ben-essere concepito come l’assenza di problemi che i ragazzi esprimono un accordo maggiore rispetto alle ragazze, t(400) =5,418 p<0,05. Per quanto riguarda la dimensione del ben-essere come uno stato interiore di soddisfazione per la propria vita sono le ragazze ad esprimere un accordo maggiore, t(400)= 3,523 p<0,05. Considerando le scale riferite al ben-essere percepito nei vari contesti di vita le ragazze esprimono un grado di apprezzamento maggiore per il ben-essere a scuola concepito come il piacere di apprendere e di esprimere le proprie capacità t(257,293)= 2,523 p<0,05. Anche per quanto riguarda il costrutto del ben-essere a scuola concepito come condivisione rispetto e sostegno reciproco le studentesse sembrano esprimere un grado d’accordo maggiore rispetto ai ragazzi, t(281,967)= -4,115 p<0,05. Rispetto al benessere vissuto in famiglia le ragazze attribuiscono una maggior importanza alla collaborazione e piacere di stare insieme, t(400)= -3663 p<0,05. Per quanto riguarda il ben-essere in famiglia concepito come il sentirsi liberi sereni e compresi maschi e femmine esprimono differenze statisticamente significative, t(400)= 2,701 p<0,05. Anche in riferimento al ben-essere vissuto con gli amici, ragazzi e ragazze mostrano differenze statisticamente significative rispetto al ben-essere inteso come comprensione stima e rispetto reciproco,
mo interiore”, ed una componente che riguarda la relazione “consapevolezza relazionale”. Per quello che riguarda il ben-essere nei vari contesti di vita molta importanza viene data alla libertà e alla difesa dei propri spazi vitali. Il ben-essere nei contesti presi in considerazione viene identificato con la possibilità di vivere tranquillamente, in assenza di stress. Emerge inoltre l’importanza di potersi impegnare in attività che piacciano magari in compagnia degli amici, stare bene con gli altri infatti vuol dire anche avere interessi comuni, divertirsi ma anche discutere punti di vista diversi senza perdere la stima degli altri ma anzi superando i problemi proprio grazie all’appoggio delle persone significative. I giovani che hanno partecipato a quest’indagine esprimono il bisogno di far sentire la loro presenza e le loro opinioni. Soprattutto il ben-essere a scuola sembra essere determinato dal sentirsi rispettati e stimati, molta importanza assume il piacere di apprendere ed allo stesso tempo anche l’interazione positiva fra i compagni. Ma quali differenze si riscontrano nei costrutti relativi alla salute ed al ben-essere prendendo in considerazione il genere, l’età, l’indirizzo di studi e il rendimento scolastico.
Influenza dell’identità di genere e dell’età sui fattori individuati La prima ipotesi da verificare riguarda l’identità di genere e dell’età sui possibili significati che i giovani attribuiscono alla salute ed al ben-essere. Si presuppone a tal fine che siano le diversità individuali, la nostra percezione soggettiva degli eventi, piuttosto che le caratteristi contestuali, ovvero le circostanze oggettive di vita, ad influenzare i significati attribuiti alla salute ed al ben-essere. Secondo le teorie top-down le persone possiedono una predisposizione individuale ad interpretare le esperienze di vita: la psiche è in questo caso un interprete attivo che organizza l’esperienza sensoriale filtrando ed elaborando le informazioni che riceve dal mondo esterno. Per questo motivo maschi e femmine sono stati confrontati, in riferimento ai costrutti individuati, utilizzando il t di Student per campioni indi-
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ze statisticamente significative F(2,399)= 3,618 p<0,05. Infine rispetto al ben-essere presentato dai mass-media i tre gruppi d’età mostrano differenze statisticamente significative rispetto al costrutto che definisce l’informazione di massa come pericolo di strumentalizzazione e monopolizzazione di risorse sociali F(2,399)= 3,141 p<0,05. I risultati statistici che ho appena illustrato hanno permesso di verificare l’influenza dell’identità di genere e dell’età sui significati che i giovani attribuiscono alla salute ed al ben-essere. Possiamo confermare a questo punto l’approccio delle teorie top-down secondo le quali è la nostra percezione soggettiva degli eventi ad influenzare la concezione di salute e di ben-essere.
t(269,967)= -5,975 p<0,05. Considerando poi il ben-essere con gli amici vissuto come assenza di conflitti, competitività e invidia maschi e femmine mostrano differenze statisticamente significative, t(400)= -2,908 p<0,05. Anche in riferimento al ben-essere in vacanza i maschi sembrano definirlo come il sentirsi liberi di poter fare ciò che si vuole, t(400)= 4,180 p<0,05. Per concludere le analisi statistiche riferite alle differenze di genere bisogna indicare che per quello che riguarda il ben-essere presentato dai mass-media maschi e femmine presentano delle differenze statisticamente significative rispetto al costrutto di ben-essere inteso come ricchezza materiale, t(400)= 4,180 p<0,05. Il metodo statistico utilizzato per confrontare le fasce d’età dei giovani che hanno partecipato alla ricerca con i costrutti individuati attraverso l’analisi fattoriale è l’analisi della varianza (ANOVA univariata). L’analisi della varianza ha permesso di evidenziare delle differenze statisticamente significative nei tre gruppi d’età (sedici, diciassette e diciotto anni) in relazione ai costrutti indagati. Per quello che riguarda la scala salute i gruppi d’età manifestano differenze statisticamente significative rispetto al costrutto autostima necessaria ad affrontare i problemi, F(2,399)= 3,209 p<0,05, in riferimento alla salute concepita come lo stare bene del corpo F(2,399)=3,321 p<0,05 e alla salute concepita come equilibrio fisico e mentale F(2,399)=3,220 p<0,05. In riferimento al ben-essere relativo ai vari contesti di vita possiamo notare che rispetto al ben-essere nel tempo libero concepito come il divertimento con gli amici i tre gruppi d’età mostrano differenze statisticamente significative F(2,399)= 5,266 p<0,05. Per quello che riguarda il ben-essere in famiglia è rispetto al costrutto non avere limiti economici che i tre gruppi d’età mostrano differenze statisticamente significative F(2,399)= 6,704 p<0,05. Invece per quanto riguarda il ben-essere in vacanza concepito come il sentirsi liberi di poter fare ciò che si vuole i tre grippi d’età mostrano differenze statisticamente significative F(2,399)= 3,665 p<0,05. Anche rispetto al ben-essere in vacanza concepito come riposarsi e vivere il dolce far niente i tre gruppi d’età mostrano differen-
Influenza dell’indirizzo di studi e del rendimento scolastico sui fattori individuati Come precedentemente affermato un’ipotesi che si vuole verificare riguarda l’influenza dei contesti scolastici sui significati che gli adolescenti attribuiscono alle dimensioni oggetto d’indagine. Si vuole cioè analizzare l’approccio delle teorie bottom-up, secondo il quale sono i contesti di vita ad influenzare la costruzione del sistema di significati del soggetto. Per questo motivo sono state condotte delle analisi statistiche che hanno considerato come possibili variabili che possano incidere l’indirizzo di studi (liceo/istituto tecnico) e il rendimento scolastico. Per quanto riguarda la variabile indipendente “indirizzo di studi” le analisi sono state condotte utilizzando la procedura statistica t di Student. Le analisi effettuate hanno permesso di evidenziare che esistono delle differenze statisticamente significative fra i ragazzi del liceo e gli adolescenti dell’istituto tecnico. In particolare tali differenze si riferiscono al concetto di salute come equilibrio fisico e mentale t(400)= 3,024 p<0,05. Per quello che riguarda il ben-essere presentato dai mass media i ragazzi del liceo esprimono un maggior grado d’accordo con il costrutto fonte di dialogo e rispetto delle diversità umane t(400)= 2,513 p<0,05. Gli studenti dell’Istituto tecnico mostrano un grado di accordo maggiore con il costrutto che vede nei
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equivale a dire che il rendimento nello studio ha un effetto nella costruzione dei significati che vengono attribuiti dai ragazzi alle dimensioni indagate. I confronti effettuati evidenziano che sono gli alunni che presentano un rendimento basso a discostarsi dalle medie degli altri due gruppi che invece sembrano essere molto simili fra loro. I risultati appena illustrati permettono di confermare l’approccio delle teorie bottom-up secondo le quali sono le circostanze oggettive di vita, che in questa indagine si riferiscono all’indirizzo di studi ed al rendimento scolastico, ad influenzare la costruzione dell’insieme di significati del soggetto. Alla luce di quanto detto fin ora si possono di fatto confermare gli approcci teorici delineati all’inizio di questo lavoro. Se da un lato infatti la costruzione di significati che un giovane attribuisce alla salute ed al ben-essere è influenzata dalle differenze individuali ed intrinseche di ciascuna persona, dall’altro lato è altrettanto palese il ruolo giocato delle variabili contestuali ed ambientali. Si deve quindi concludere che i concetti di salute e di ben-essere sono concetti complessi e multidimensionali che vengono influenzati ad un tempo sia da costrutti di ordine interiore che da condizioni oggettive di vita.
mass-media un pericolo di strumentalizzazione dell’informazione t(392,098)= -,936 p<0,05. Si può osservare immediatamente che i giovani che hanno partecipato a questa indagine non presentano numerose differenze ascrivibili all’indirizzo di studi, resta mio interesse valutare a questo punto, se sia la percezione che i ragazzi hanno del proprio rendimento scolastico ad influenzare la negoziazione di significati che riguardano la salute ed il ben-essere. Per questo il rendimento riportato dai ragazzi (insufficiente, sufficiente, buono) è stato confrontato in riferimento ai costrutti individuati utilizzando l’ANOVA univariata. Si è riscontrato che gli alunni che hanno un buon rendimento scolastico sembrano più propensi a definire la salute come equilibrio fisico e mentale, F(2,399)= 10,268 p<0,05. Per quello che riguarda il ben-essere inteso come assenza di problemi sono gli studenti con un rendimento più basso ad esprimere un grado d’accordo maggiore con il costrutto indagato F(2,399)= 5,246 p<0,05. Gli studenti con un buon rendimento di studi preferiscono definire il benessere come uno stato d’animo interiore rispetto agli studenti con un rendimento inferiore alla sufficienza, F (2,399)= 8,087 p<0,05. Rispetto al ben-essere in famiglia inteso come il non avere limiti nel poter fare ciò che si vuole sono gli studenti con un rendimento insufficiente ad esprimere un grado d’accordo maggiore rispetto agli alunni con un rendimento più alto F(2,399)= 4,922 p<0,05. Per quanto riguarda il ben-essere con gli amici esso viene descritto come comprensione, stima e rispetto reciproco soprattutto dagli studenti con un buon rendimento rispetto agli alunni con un rendimento più basso F(2,399)= 3,472 p<0,05. Il ben-essere in vacanza è definito come il sentirsi liberi di poter fare ciò che si vuole soprattutto dagli alunni con un rendimento insufficiente rispetto agli alunni con un buon rendimento, F(2,399)= 0,010 p<0,05. Infine il ben-essere in vacanza viene concepito come riposo e possibilità di vivere il dolce far niente soprattutto dagli allievi con un rendimento insufficiente, F(2,399)= 5,575 p<0,05. Alla luce di quanto emerso, sembra possibile affermare che esista un effetto del rendimento nello studio nell’influenzare le risposte dei giovani al questionario, questo
Discussione dei risultati La prima ipotesi da verificare riguardava l’influenza dell’identità di genere sui possibili significati che i giovani attribuiscono alla salute ed al ben-essere. Per questo motivo sono stati condotti confronti che riguardano l’identità di genere e l’età dei partecipanti. Le differenze riscontrate per quanto riguarda l’identità di genere sono numerose. I dati confermano i risultati ottenuti dall’ultima indagine effettuata con questo strumento22. Infatti le ragazze sembrano considerare la salute ed il ben-essere come dimensioni complesse che si sviluppano lungo diversi aspetti della condizione umana, quali quello fisico, mentale, interiore e sociale. Le femmine tenderebbero a vivere il benessere come uno stato di soddisfazione interiore, ma allo stesso tempo sembrano caratterizzare il ben-essere a scuola attraverso
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potrebbe concludere che gli studenti di entrambi gli indirizzi non presentino moltissime differenze nella costruzione di significati relativi alla salute ed al ben-essere nei vari contesti di vita. Tuttavia è interessante osservare che mentre gli studenti dell’istituto tecnico pongono l’accento sui rischi di monopolizzazione delle risorse comunicative, i giovani liceali tendono a definire i mass-media come una risorsa sociale sottolineandone la forte valenza comunicativa. Per quanto riguarda le differenze legate al rendimento scolastico dai dati si può osservare, che gli allievi che dichiarano un buon rendimento mostrano anche un accordo maggiore con i significati di salute e di ben-essere che implicano costrutti fisici, psichici e relazionali. Questi alunni infatti definiscono la salute come equilibrio fisico e mentale mentre vivono il benessere come uno stato di soddisfazione interiore. Per quello che riguarda il ben-essere nei vari contesti gli alunni con un buon rendimento tendono a porre l’accento sulle dimensioni di soddisfazione e competenza relazionale, per questo definiscono il ben-essere con gli amici come comprensione, stima e rispetto reciproco. Gli alunni che dichiarano un rendimento scolastico inferiore esprimono un maggiore grado di accordo con i significati più concreti che coinvolgono i concetti legati al ben-essere e della salute. Per questo definiscono il ben-essere in generale come assenza di problemi. Per quello che riguarda i significati attribuiti al ben-essere così come viene vissuto nei vari contesti di vita essi pongono l’accento sulla necessità di poter godere di autonomia di scelta e di libertà di poter spendere il proprio tempo in maniera emancipata. Bisogna segnalare che i costrutti individuati per spiegare i significati che i giovani attribuiscono alla salute ed al ben-essere oltre a confermare i risultati delle ricerche condotte utilizzando il presente protocollo23 risultano essere coerenti con altri studi condotti in merito alla stessa tematica. Un esempio è costituito dall’ indagine condotta da M. Ardone24 la quale afferma che la capacità di stabilire buoni rapporti con gli altri, l’apertura sociale, l’importanza delle buone relazioni in famiglia e nella rete sociale più estesa costituiscano di-
quelle dimensioni che si sostanziano nella relazione con l’altro. Il ben-essere a scuola secondo i dati di questa ricerca, verrebbe identificato poi con la condivisione ed il sostegno, il ben-essere in famiglia con la collaborazione ed il piacere di stare insieme ed il ben-essere con gli amici con la comprensione e la stima reciproca. Rispetto alle femmine i maschi esprimono un maggior grado di accordo nel considerare la salute e il ben-essere da un punto di vista più concreto, la salute viene da loro definita come lo stare bene del corpo, ed il ben-essere come assenza di problemi. Anche per quanto riguarda il ben-essere nei contesti di vita, i ragazzi ottengono punteggi più alti in quei costrutti che spiegano il benessere attraverso la concretezza delle azioni e la necessità di sentirsi liberi in tutti i contesti presi in considerazione. Per quanto riguarda le differenze legate all’età possiamo concludere che mentre i ragazzi di diciotto anni tendono ad esprimere un concetto complesso di salute e di ben-essere che coinvolge la sfera fisica e psichica, i giovani di sedici e diciassette anni pongono l’accento sugli aspetti più concreti dei significati attribuibili a queste due dimensione. La salute viene definita come lo stare bene del corpo mentre il ben-essere sembra essere descritto come la totale assenza di problemi. Per quello che riguarda il ben-essere vissuto nei vari contesti di vita, i sedicenni rispetto ai diciottenni tendono a porre enfasi sulla necessità di sentirsi liberi, non avere regole imposte e poter disporre del tempo a disposizione anche per riposare e vivere il dolce far niente. Le diversità riscontrate sembrano confermare l’ipotesi che siano le differenze individuali, ad influenzare il sistema di significati riguardanti la salute e il ben-essere dei giovani. La seconda ipotesi che si voleva verificare riguarda i contesti socioculturali. I contesti socio-culturali in cui gli adolescenti vivono sono in grado di influenzare i significati che essi attribuiscono alle dimensioni oggetto dell’indagine? Per quanto riguarda l’influenza dell’indirizzo di studi, gli studenti del liceo rispetto a quelli dell’istituto tecnico esprimono un maggiore accordo per la definizione di ben-essere come stato d’animo interiore. Dal resto dai dati si
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per la necessità di integrare i due approcci teorici28. Analizzando questi dati, si può concludere che gli interventi preventivi devono indirizzarsi a valorizzare la comunicazione fra adulto e giovane, ma questa direzione dovrà puntare soprattutto verso una reciproca produzione di senso29. La ricerca di senso, che i giovani manifestano nel loro ambiente di vita e nelle relazioni sociali quotidiane, rappresenta uno degli elementi fondamentali da cui partire per ridefinire e riorganizzare il rapporto giovani-adulti. In questa società complessa non mancano certo le occasioni, le possibilità e gli strumenti per garantire tutta una serie di sistemi di informazione che mettano in collegamento il mondo giovanile con quello degli adulti30, quello che sembra sempre più evidente è che tale relazione non deve produrre solo uno scambio di informazioni e di esperienze ma deve produrre anche rielaborazioni della realtà, una nuova interpretazione dell’ambiente di vita e della rete sociale di riferimento. L’educazione alla salute delle giovani generazioni, deve essere concepita come un processo dinamico in grado di consentire la negoziazione continua tra i significati che i giovani elaborano all’interno dei contesti culturali e ambientali di riferimento e i significati derivanti da saperi formali più generali. I dati raccolti, evidenziano molte differenze all’interno della popolazione giovanile anche se alcuni temi come la collaborazione, la comprensione e la stima reciproca vengono indicati in maniera costante come promotori della salute individuale e di gruppo. L’azione educativa che la scuola svolge riguardo alla salute non deve essere rivolta unicamente al controllo delle malattie o delle dipendenze, ma lo scopo di tali pratiche deve rappresentare la scoperta di nuove concezione di salute e benessere nei giovani31. La promozione della salute deve essere orientata alla costruzione di capacità, di relazioni favorevoli allo sviluppo di potenzialità personali e gruppali, all’individuazione di modalità riequilibranti, all’adattamento attivo verso i vincoli e le limitazioni che fanno parte della vita quotidiana. La promozione della salute, è collegata alla continua capacità di adattamento da parte dell’uomo, ed è caratterizzata da una prospet-
mensioni centrali nella rappresentazione del ben-essere e mal-essere in adolescenza. Un’indagine condotta da P. Lemma25 suggerisce che la dimensione di autostima, cosi come indicato dai ragazzi che hanno partecipato a questo studio, sia un fattore di predisposizione verso l’acquisizione di corretti o scorretti comportamenti inerenti alla salute ed al ben-essere. Un altro studio26 sottolinea che le percezioni che gli adolescenti hanno in merito alla salute sono costituite allo stesso tempo dallo stato di salute e da fattori personali (sesso, età), ambientali (reddito, l’importanza del supporto sociale e del coinvolgimento), comportamentali (fumo, attività fisica), gli autori concludono che la valutazione personale riferita alla salute è un processo attivo, che non riguarda solo la dimensione fisica, ma coinvolge i pensieri e le emozioni. Anche l’indagine condotta da A. Furnham e H. Cheng27 concorda con i risultati di questa indagine. Gli autori hanno indagato i fattori che generano felicità nei giovani dai quindici ai trenta anni individuando sei fattori in grado di definire la felicità (equilibrio mentale e tratti di personalità, successo e libertà nella vita e nel lavoro, supporto sociale ed autostima, sicurezza, ottimismo e tranquillità). Questo studio concorda pienamente con i dati ottenuti dalla ricerca presentata in questa sede suggerendo che la rete sociale rappresenta una delle principali fonti di ben-essere. Conclusioni L’obiettivo dell’indagine di verificare se i significati attribuiti dagli adolescenti alla salute ed al ben-essere fossero influenzati da fattori contestuali come l’indirizzo di studi e il rendimento scolastico, oppure da fattori individuali come la personalità degli adolescenti, trova una risposta nei dati. Le analisi condotte sembrano infatti sostenere le teorie top-down e bottom-up nella misura in cui le risposte dei ragazzi differiscono in base alla predisposizioni individuali (identità di genere ed età) e in base ai contesti socio culturali (indirizzo di studi e rendimento scolastico). Per questo motivo i dati della ricerca portano a propendere
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sonale percorso di crescita e di sviluppo esistenziale. Il Ben-essere rappresenta il gradiente che consente di definire e costruire i saperi a partire dai processi di apprendimento degli studenti perché soltanto in una condizione di ben-essere, di autonomia cognitiva e di democratica partecipazione ai processi di apprendimento è possibile interpretare ed interiorizzare le discipline in modo che siano in grado di strutturarsi a tutti gli effetti nel patrimonio identitario di ogni individuo32.
tiva temporale orientata verso il futuro e l’evoluzione di nuovi e diversi equilibri. Allo stesso tempo lo stile di vita sano non riguarda solo scelte individuali ma è il risultato della relazione fra diversi attori sociali portatori di punti di vista differenti. Perseguire il ben-essere nella relazione educativa significa innanzitutto preoccuparsi che gli studenti vivano bene l’esperienza formativa nel suo complesso, aiutandoli a costruire la propria personalità, a scoprire le caratteristiche che rendono ciascun soggetto unico, a potenziare interessi e attitudini, a ricostruire in modo autentico il per-
Note 1 R. Semeraro, Consulenza psicologica agli insegnanti. Progettare e valutare interventi formativi per lo sviluppo della salute e della prevenzione nella scuola, UPSEL, Padova, 2009; R. Semeraro, La progettazione didattica teorie metodi e contesti, UPSEL, Padova, 2009. 2 M. Merico, Giovani e società, Carocci, Roma, 2004; G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti padri e madri di fronte ad una sfida, Cortina, Milano, 2000; S. Veggetti Finzi, L’età incerta i nuovi adolescenti, Franco Angeli, Milano, 2001. 3 C. Renzi, Culture giovanili. Proposte per un intervento psicologico nella scuola, Franco Angeli, Milano, 2004. 4 R. Semeraro, Consulenza psicologica agli insegnanti. Progettare e valutare interventi formativi per lo sviluppo della salute e della prevenzione nella scuola, cit.; R. Semeraro, La progettazione didattica teorie metodi e contesti, cit.; G. Petter, Psicologia e scuola dell’adolescente, il Mulino, Bologna, 1999. 5 C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Giovani del nuovo secolo, il Mulino, Bologna, 2003. 6 M. Merico, Giovani come: per una sociologia della condizione giovanile in Italia, Liguori, Napoli, 2002. 7 E. Ghedin, Quando si sta bene educazione alla salute e adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2004. 8 F. Battisti, Giovani ed utopia, indagine sui progetti di vita, Franco Angeli, Milano, 2002. 9 R. Riccio, La prevenzione in ambito educativo. Nuovi itinerari di formazione, Armando, Roma, 2009. 10 U. Mariani, Educazione alla salute nella scuola: costruzione del benessere e prevenzione del disagio, Erickson, Trento, 2001; G. Malizia, V. Pieroni, L’educazione alla salute nella scuola dell’autonomia: una indagine a Roma e provincia, Franco Angeli, Milano, 1999; M. Nieri, Qualità della vita e della salute: strategia di analisi e strumenti per la misurazione, Franco Angeli, Milano, 2002. 11 M. Ingrosso, Senza benessere sociale: nuovi rischi e attesa di qualità della vita nell’era planetaria, Franco Angeli, Milano, 2003. 12 C.H. Brouse, C. E. Basch, M. Kubara, “Contrasts between didactic and deweyan approaches to health education”, in Health Education, CV, 6, 2005, pp. 467-476. 13 J.C. Berryhill, R.J. Prinz, “Environmental interventions to enhance student adjustment: implications for prevention”, in Prevention Science, IV, 2, 2003, pp. 65-87. 14 A. Delle Fratte, P. Steca, C. Capanna, “Benessere e qualità della vita in adolescenza, un contributo empirico” in Bollettino di psicologia applicata, CCXXXIX, 1, 2003, pp. 35-47. 15 D. Secondulfo, Trasformazioni sociali e nuove culture del benessere, Carocci, Roma, 2000. 16 D. Labbrozzi, Misure di salute e di vita. Metodi, e strumenti di valutazione della salute e della qualità della vita, Il pensiero scientifico, Roma, 1995; Elliott, op. cit., 2007. 17 H. Friedman, “Long-terme relations of personality and health: dynamism, mechanism, topism”, in Jounal of personality, LXVIII, 6, 2000, pp. 1089-1107. 18 S. Marhaba (a cura di), Salute, ben-essere, soggettività. Nuovi orizzonti di significato, McGraw-Hill, Milano 1999. 19 F.A. Huppert, N. Baylis, B. Keverne, The science of well-being, Oxford University Press, Oxford, 2005. 20 J. Holloway, “Promuovere la salute in modo integrato”, in Bollettino di psicologia applicata, 240, 2003, pp. 4748. 21 G. Tibaldi, I significati soggettivi della salute e del ben-essere, Unipress, Padova, 1998. 22 E. Ghedin, op. cit. 23 Ibidem.
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24 R. Ardone, “Abilità psicosociali e rappresentazione del benessere-malessere in adolescenza”, in Età evolutiva, 65, 1998, pp. 100-108. 25 P. Lemma, A. Borraccino, F. Zambon, F. Cavallo, “Interventi di educazione alla salute centrati sull’autostima: riflessioni intorno ad un esperienza di valutazione”, in Educazione sanitaria e promozione della salute, XXVI, 2, 2003, pp. 130-141. 26 C. Currie, C. Roberts, A. Morgan, R. Smith, W. Settertobulte, O. Samdal, S.N. Barnekow Rasmussen Elliott, Young people’s health in context. Health behaviour in school-aged children, WHO Pubblication, Copenhagen, 2007. 27 A. Furnham, H. Cheng, “Lay theories of happiness”, in Journal of Happines Studies, I, 2, 2000, pp. 227-246. 28 M. Cargo, J. Salsberg, T. Delormier, S. Desrosiers, “Understanding the social context of school health promotion program implementation”, in Health Education, CVI, 2, 2006, pp. 85-97; J. Holloway, op. cit.; G.J. Feist, T.E. Bonder, J.F. Jacobs, M. Miles, V. Tan, “Integrating top-down and bottom-up structural models fo subjective well-being: a longitudinal investigation”, in Journal of Personality and Social Psychology, LXVIII, I, 1995, pp. 138-150. 29 M. Nieri, op. cit. 30 D. Ackard, D. Neumark-Sztainer, “Health care information source for adolescents: age, and gender difference on use, concerns, and needs”, in Journal of Adolescent Health, XXIX, 3, 2001, pp. 170-176. 31 M. Baldacci (a cura di), I profili emozionali dei modelli didattici. Come integrare istruzione e affettività, Franco Angeli, Milano, 2009; A. De Santi, R. Guerra, P. Morosini (a cura di), La promozione della salute nelle scuole: obiettivi di insegnamento e competenze comuni, Istituto Superiore di Sanità, Roma, 2008. 32 L. Briziarelli, “Educazione alla salute nella scuola: sviluppo e prospettive”, in Scuola viva, 32, 1996, pp. 9-13; A.C. Ligani, Dal disagio scolastico alla promozione del benessere, Carocci, Roma, 2004.
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ricerche Orientarsi nella rete, considerata quale artefatto cognitivo VITO FRANCESCO DE GIUSEPPE
La logica del Web 2.0 si basa sulla condivisione, partecipazione e interattività, portando l’esperienza di Internet e del suo uso, fino ad integrare e riprodurre schemi analoghi a quelli riscontrabili nelle Reti Sociali reali.. A questo punto, sorgono alcune domande: in che modo il Web 2.0 viene utilizzato per la raccolta di informazioni che possono influenzare le scelte di studio e di vita? Si può pensare che l'utilizzo di piattaforme Web 2.0 modificare le strutture che gli psicologi chiamano meta-cognitive, in grado di modulare la costruzione, la ricerca, catalogazione e utilizzo delle informazioni? Una ricerca, ancora in corso, è stato avviata con lo scopo di rispondere a questi interrogativi, portando alla costruzione di un questionario: NETQRE 2.0, sia in versione cartacea sia in versione on-line. I primi dati sembrano indicare che l'uso di internet in generale e, in particolare per l'orientamento, è fatto in un modo passivo, senza sfruttare appieno tutti gli strumenti che caratterizzano il Web 2.0.
The logic of Web 2.0 is based on the sharing, participation and interactivity, bringing the experience of Internet and its use to the point to integrate and play patterns similar to those found in real social networks. Arise at this point some questions: how Web 2.0 is used to collect information that may influence choices of study and life? You may think that using Web 2.0 platforms modify those structures that psychologists call meta-cognitive and that modulate the construction, research, cataloging and use of information? In order to answer these questions, was initiated a search, still ongoing, which led to the construction of a Questionnaire: NETQRE 2.0, produced in both printed or in online version. Since the early data seem to indicate the internet use in general and specifically for Orientation, in passive mode, without fully exploit the tools that characterize the Web 2.0.
Parole chiave: costruttivismo, metacognizione, orientamento, questionario, web 2.0.
Keywords: constructivism, metacognition, orientation, questionnaire, web 2.0.
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el 2008 è stato avviato il Progetto NETQRE 2.0 presso la cattedra di Progettazione dell’Intervento Formativo extrascolastico del Prof. Colazzo, allo scopo di avviare una ricerca per la creazione di strumenti per il Profiling e il Data Mining degli utenti del web. Il programma prendeva vita all’interno del progetto Orientasudest, attivato tra l’Università del Salento, il Conservatorio Musicale “Tito Schipa” di Lecce e l’Accademia di Belle Arti di Lecce1. Il primo passo del progetto NETQRE consisteva nella progettazione e realizzazione di un
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questionario, in versione cartacea e online, per la rilevazione delle fonti di orientamento sul Web, utilizzate dagli studenti degli ultimi due anni della suola media superiore e dei primi due anni di università. La fase successiva alla realizzazione del questionario ha visto la somministrazione, l’analisi e l’interpretazione dei dati rilevati con l’utilizzo del questionario. Lo scopo non era però solo quello di produrre un profilo dell’utilizzatore della rete, ma proponeva la possibilità di individuare caratteristiche intrinseche alla rete e al suo utilizzo, che permettessero di indicare nel web il luogo
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di trasmissione e valutazione di competenze anziché d’informazioni semplici o complesse, alla luce del fatto che l’evoluzione della struttura della rete ha modificato radicalmente le modalità d’apprendimento, producendo una revisione profonda della prassi della formazione2. In quest’ottica, l’utilizzatore della rete diventa il centro attorno al quale gravita la possibilità di costruire strumenti che rompessero lo schema tradizionale di apprendimento, in cui la trasmissione d’informazioni è nettamente separata da quella inerente le competenze. Per fare questo è però necessario analizzare i principi di utilizzo delle piattaforme implementate sul web, in pratica si tenta di rispondere alla domanda se è possibile costruire reti di comunicazione che veicolino competenze, oltre che informazioni.
uno strumento inteso come “artefatto cognitivo” è quindi uno strumento utilizzato per raggiungere il nostro obiettivo nel migliore dei modi. Uno dei primi studiosi ad affrontare il problema degli strumenti cognitivi fu Vygotskij3. Lo psicologo russo non usa esplicitamente il termine artefatto ma ricorre a quello di strumento-stimolo o stimolo-mezzo per indicare ciò che si frappone tra lo stimolo e la risposta della formula pavloviana (relativa ai processi psichici elementari condizionati da determinanti biologiche), al fine di mediare il rapporto tra l’individuo e l’ambiente esterno: in tal modo emergono i processi cognitivi superiori (risultato del processo culturale di sviluppo). Le idee di Vygotskij, soprattutto quelle riguardanti l’importanza delle dinamiche sociali e culturali nello sviluppo cognitivo, sono state riprese da molti esponenti dell’approccio culturale, come Bruner4 e Cole5. In particolare, quest’ultimo ha affermato l’importanza del medium culturale, inteso come insieme degli artefatti accumulati da un gruppo nel corso della sua storia. Un’evoluzione del concetto di artefatto si è avuta con Donald Norman, secondo cui l’uomo è in grado di inventare e costruire cose che lo rendono intelligente e che, proprio per questo, si possono definire artefatti cognitivi6. Gli artefatti sono il risultato dell’interazione dell’intelligenza e della progettualità industriale, con le idee, le ricerche, il linguaggio che la cultura elabora ed esprime nel suo insaziabile bisogno di spingere sempre più avanti le frontiere della conoscenza, dell’immaginazione e della vocazione plasmatrice dell’uomo7. Secondo Bruner8, l’intelligenza dell’uomo è data dall’interiorizzazione degli strumenti, messi a disposizione dalla cultura. Vygotskij e Lurija9, hanno fatto notare l’esistenza di due linee per l’origine dell’attività mentale umana: la linea naturale per le funzioni mentali elementari (per cui si parla di biogenesi) e la linea sociale/culturale per le funzioni psichiche superiori (in tal caso, invece, si parla di sociogenesi), ma il momento più importante nello sviluppo intellettivo si ha quando queste due linee si compenetrano, dando origine a un’unica linea di formazione
L’Artefatto Cognitivo “Web” Il 6 agosto del 1991 è considerata la data di nascita del World Wide Web, quando Tim Berners Lee, ricercatore al CERN di Ginevra, mise on-line il primo sito web, basandosi su un’idea avuta insieme al collega Cailliau. Il successivo sviluppo fa assumere alla rete i connotati di un enorme database cui fare riferimento per ottenere informazioni. La struttura era organizzata in modo tale che i ruoli di chi costruiva le informazioni inserite in rete e gli utenti fossero molto differenti e definiti. La struttura è rimasta invariata e continua tuttora a essere organizzata con ramificazioni ad albero. La sua più recente evoluzione, ossia il Web 2.0, ha proposto uno sconvolgimento dei paradigmi di costruzione e ricerca delle informazioni. Il vero salto logico è fondato sulle parole condivisione, partecipazione e interattività, portando l’esperienza di Internet e del suo utilizzo al punto di integrare e riprodurre schemi analoghi a quelli riscontrabili nelle Reti Sociali reali. È possibile pensare che l’utilizzo di Piattaforme Web 2.0 modifichino quelle strutture che gli psicologi definiscono metacognitive e che modulano la costruzione, la ricerca, la catalogazione e l’uso delle informazioni? Il Web, in questa rappresentazione, diventa
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sostegno della tesi che la cognizione umana è mediata da artefatti12. L’idea alla base degli artefatti cognitivi è che la mente, per apprendere, ha bisogno di costruire oggetti e dispositivi, di maneggiare materiali reali. L’uso dell’artefatto cognitivo trasforma la conoscenza per la quale è stato progettato, perché svolgendo delle operazioni in genere affidate alla mente, esso mette a disposizione del soggetto dei supporti che trasferiscono le operazioni meccaniche all’esterno, liberando di conseguenza la mente e consentendo l’affinamento di nuove e complesse abilità. Il concetto di artefatto richiama il concetto di mediazione perché gli artefatti mediano i rapporti tra gli attori sociali e tra il singolo e il suo ambiente, fisico e sociale, al fine di facilitarne l’adattamento. Norman13 ritiene che buona parte della nostra conoscenza quotidiana risieda nel mondo attorno a noi. Ne deriva che le facoltà cognitive sono il risultato di una complessa interazione tra la mente individuale e il contesto sociale e strumentale. In effetti, l’attività cognitiva umana non è determinata solo da meccanismi interni al soggetto, ma è distribuita tra il cervello e l’ambiente esterno (compresi gli artefatti che consentono così di superare i limiti della mente)14. In pratica la prospettiva della “cognizione situata” considera il contesto come una possibile estensione della mente umana. L’esempio più calzante di strumento “esterno” è dato dal computer, poiché solo con la sua mediazione la mente può svolgere determinate operazioni; in più, grazie alle connessioni via computer, si possono creare dei nessi tra le menti individuali: si parla perciò di “intelligenza collettiva”. E-learning 2.0, apprendimento informale, Web 2.0, sono i temi principali intorno alle quali Celentano e Colazzo15, inquadrano i nuovi modelli dell’e-learning, presentando strumenti e metodi che possono supportare l’apprendimento cooperativo in rete. Il costrutto dell’apprendimento è così rimodulato sul piano della cooperazione tra individui, diventando un processo di tipo cooperativo e sociale, nel quale gli strumenti che facilitano la cooperazione accelerano e facilitano l’apprendimento d’intere strutture organizzate
socio-biologica. Da tale intreccio scaturiscono le forme propriamente umane d’intelligenza pratica e cognitiva. I due autori affermano che lo sviluppo mentale della specie umana non è la conseguenza diretta della maturazione naturale del sistema nervoso, giacché tale sviluppo richiede l’introduzione degli “strumenti” materiali della produzione esteriore che guidano il comportamento favorendo la soluzione dei problemi. E poiché tra la persona e il problema si frappone, “in mezzo”, uno strumento, si dice che l’azione è “mediata” (o indiretta). Vygotskij formulò la “legge della mediazione semiotica”, secondo la quale i processi mentali possono essere capiti solo se si comprendono gli strumenti e i segni che li mediano, poiché essi incorporano finalità, valori e significati sociali, comportandosi quali elementi di mediazione del rapporto tra l’individuo e il mondo. Si parla di “accumulazione progressiva” quando gli artefatti sviluppati e perfezionati da una cultura sono poi trasmessi alle generazioni successive e poiché le attività cognitive sono sempre svolte per loro mezzo, esse sono per definizione pratiche sociali, anche quando sono svolte individualmente10. A questo punto appare interessante come il Web se inteso come artefatto cognitivo, vada a collocarsi tra gli strumenti che operano all’interno di quell’area che Vygotskij definisce “Zona di sviluppo prossimale”, nel caso d’internet a prescindere dall’età del soggetto che lo utilizza. La Zona di sviluppo prossimale (Zone of proximal development o ZOPED), permetteva a Vygotskij11 di dimostrare l’importanza dell’ambiente sociale e del processo educativo per lo sviluppo mentale infantile. La ZOPED definisce la distanza tra ciò che il bambino è in grado di fare da solo (livello di sviluppo effettivo o attuale) e ciò che invece riesce a fare se guidato da un adulto o da un pari più esperto (livello di sviluppo potenziale). In pratica la ZOPED è il livello di sviluppo ottenuto quando un bambino entra in contatto con un ambiente sociale e, di conseguenza, si caratterizza per l’espansione delle conoscenze. Recenti sviluppi nell’ambito delle scienze cognitive hanno fornito un’evidenza empirica a
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che restituisse il profilo dell’utente del Web che usa internet per l’Orientamento17. Il questionario è stato progettato e costruito all’interno del progetto Orienta Sud-Est, Progetto attivato dall’Università del Salento per costituire una rete d’orientamento poggiata su un’innovativa infrastruttura comunicativa18. In questo lavoro sono stati analizzati i dati riguardanti le schede 2 e 4, del questionario, rispettivamente quella riguardante la rilevazione dei comportamenti di utilizzo della rete e quella concernente il grado di soddisfazione incontrato dagli utenti nell’utilizzo del web.
d’informazioni, in altre parole di competenze. Per analizzare il ruolo delle tecnologie nel contesto didattico, Calvani auspica un loro utilizzo ergonomicamente corretto, affinché possano liberare tutto il loro potenziale cognitivo e quindi la sua attenzione è rivolta prevalentemente alle tecnologie aperte che, comportandosi come tools cognitivi, sono capaci di garantire l’attivazione di processi cognitivi rilevanti16. Una sperimentazione sull’utilizzo del web Alla luce di quanto in precedenza illustrato si è avviato un progetto di ricerca che ha lo scopo di monitorare e definire l’utilizzo della rete, nello specifico ai fini dell’orientamento, per tracciare dei criteri che illustrassero un design ergonomico nella costruzione di siti e strumenti per l’orientamento sul web. Il Web 2.0 si caratterizza per il fatto che l’informazione è costruita dall’utente stesso nel momento in cui la utilizza, producendo quindi un paradigma di costruzione della conoscenza improntato alla condivisione e alla partecipazione, stabilendo relazioni reali che si attuano attraverso la virtualizzazione prodotta dalla tecnologia. Quanto però le piattaforme di Orientamento in Rete siano progettate per favorire l’uso condiviso e partecipato delle informazioni e dalla costruzione delle stesse e quanto chi fruisce della Rete sappia poi usare gli strumenti che può trovare a sua disposizione, sono il vero nodo cruciale della questione.
Scopo Lo scopo della ricerca è di analizzare e valutare l’utilizzo della Rete riguardo alle scelte di Orientamento Formativo e/o di vita, da parte di soggetti appartenenti alla fascia di età compresa tra i diciassette e i venti anni.
Progetto Sperimentale Allo scopo di provare a indagare come il Web 2.0 influenzi l’Orientamento nelle scelte di vita di un campione della popolazione, nello specifico, i giovani della fascia di età tra i diciassette e i venti anni, ossia chi sembra più sensibili alle problematiche riguardanti l’Orientamento essendo nel pieno delle tensioni riguardanti eventuali scelte di studio e di vita e che sembrano essere i maggiori utilizzatori della Rete, è stato progettato e costruito un questionario, il NETQRE 2.0, pubblicato sia in versione cartacea sia online,
Strumenti Il NETQRE 2.0 si compone di quattro schede, la prima fornisce i dati anagrafici del soggetto, la seconda consiste in una griglia che indica quantitativamente l’utilizzo d’internet, la terza in domande di approfondimento che danno un risultato qualitativo e infine la quarta scheda che indaga il grado di soddisfazione dell’orientamento in rete19. La Scheda 2 misura le sottoscale: Utilitarismo, Condivisione, e Orientamento in rete. La stima dell’attendibilità del questionario è stata eseguita con la tecnica dello “split half”.
Obiettivo L’obiettivo è definibile in cinque punti: • Analizzare le modalità di Utilizzo della Rete da parte del Campione. • Analizzare la capacità di utilizzo del Web 2.0. • Rilevazione delle modalità di recupero e utilizzo d’informazioni riguardo a scelte di studio e/o di lavoro. Campione di riferimento Il campione è costituito da 1867 soggetti, 634 maschi e 1242 femmine, rispettivamente il 34 % e il 66 % del campione, tra i diciassette e i venti anni, che frequentano gli ultimi due anni della Scuola Media Superiore e dei primi due anni di Università.
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po’ meno, anche se comunque intensa, tra le diverse sottoscale, tra esse e la scheda 4 e tra la scheda 2 e la scheda 4. Di seguito per ogni coppia di variabili si riporta l’interpretazione dei risultati ottenuti.
Il valore del coefficiente di correlazione è stato corretto tramite la correlazione di Spearman-Brown (), che è stata di 0.86. Come per il coefficiente di Spearman-Brown, anche per l’Alpha di Cronbach il valore ottenuto soddisfa i criteri di attendibilità perché superiore a 0.80, nello specifico è di 0. 88, vicino alla massima affidabilità (a = 1).
Sottoscala Utilitarismo – Sottoscala Condivisione: La correlazione r = 0.73 è molto buona, il 53% della variazione del punteggio della sottoscala 2 è spiegato dalla dipendenza dalla sottoscala “Utilitarismo” e quindi un nuovo valore del punteggio della sottoscala “Condivisione” può essere predetto, da un valore della sottoscala “Utilitarismo”, con una precisione del 53%. Al crescere di un’unità del punteggio riguardante gli items dell’“Utilitarismo”, il punteggio relativo agli items della “Condivisione” aumenta di circa un punto.
Analisi e interpretazione dei dati L’analisi statistica dei dati che si riferiscono alle schede 2 e 4 dei 1867 questionari del campione, è stata condotta attraverso l’utilizzo dei seguenti strumenti statistici: • Media e varianza; • Correlazione e coefficiente di determinazione; • Regressione lineare. Questi sono stati applicati al punteggio parziale inerente alle tre sottoscale della scheda 2 (utilitarismo, condivisone, orientamento). Dal calcolo del punteggio medio di ogni blocco di items si osserva che esso corrisponde in media e approssimativamente alla risposta “poco” per la “Utilitarismo”, alla risposta “raramente “ per la scheda 2 e per le sue altre suddivisioni e a un sufficiente grado di soddisfazione per la scheda 4. Tuttavia la deviazione standard (o scarto quadratico medio), misura della dispersione dei dati intorno al valore atteso, è certamente alta in tutti i casi, ma relativamente bassa per le tre sottoscale rispetto alle due schede. Tra tutte le sottoscale e tra il punteggio della scheda 4 quello totale della scheda 2, si è ricorso all’analisi della correlazione e a quella della regressione per esaminare il tipo e l’intensità delle relazioni che esistono tra esse. Dall’osservazione dei diagrammi a dispersione dei dati si è proceduto allo studio della regressione lineare, valutando la significatività della retta calcolata attraverso il test F di Fisher-Snedecor. Si evince che tutti i punteggi delle varie schede e sottoscale sono correlati positivamente tra di loro e che il modello lineare, oltre ad essere significativo, esprime in alcuni casi molto bene, e in altri un po’ meno, il legame tra le variabili. In particolare la correlazione è molto forte tra ognuna delle sottoscale e la scheda 2, lo è un
Sottoscala Utilitarismo – Sottoscala Orientamento in rete: La correlazione è r = 0.44 e la sua positività fa si che i punteggi delle due sottoscale crescano simultaneamente, quindi si può affermare che un maggiore utilizzo della rete determina un suo maggiore utilizzo per l’orientamento. Tuttavia al crescere di un’unità del punteggio concernente gli items dell’“Utilitarismo” il punteggio riguardante gli items dell’“Orientamento in rete” aumenta di poco, infatti, solo il 20% della variazione del punteggio della sottoscala “Orientamento in rete” è spiegato dalla sua dipendenza dalla sottoscala “Utilitarismo” e quindi un nuovo valore del punteggio della sottoscala dell’orientamento può essere predetto, a partire da un valore della sottoscala “Utilitarismo” con una precisione del 20%. Sottoscala Condivisione – Sottoscala Orientamento in rete: La correlazione è r = 0.42 e la sua positività fa si che i punteggi delle due sottoscale crescano simultaneamente. Solo il 17% della variazione del punteggio della sottoscala “Orientamento in rete” è spiegato dalla dipendenza di essa dalla sottoscala “Condivisione” e quindi un nuovo valore del punteggio della sottoscala “Orientamento in rete” può
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smettano solo informazioni, ma che consentano di implementare competenze che amplino le mappe cognitive degli individui per ottimizzare le strategie di adattamento all’ambiente, costituendo la base di sviluppo per strumenti, che proprio perché pedagogici possano essere utilizzate per valutare le competenze conseguite. Il web e gli strumenti a disposizione per la navigazione e la costruzione di contenuti diventano lo stimolo-mezzo con il quale modificare, ampliare e ristrutturare i processi psichici superiori, ponendo l’accento sulle componenti sociali dello sviluppo psichico. In tutto questo, la condivisione e la rielaborazione “orizzontale” dei contenuti, tipiche del web 2.0, permettono un apprendimento di tipo conversazionale, implicito, dove il cyberspazio diventa luogo d’incontro, ambiente di costruzione condivisa degli oggetti e dei materiali dell’apprendimento, attualizzando e rendendo concreto ed esplicito il costrutto teorico di Vygotskij. Gli stessi allievi, diventano utilizzatori attivi, ossia creano l’oggetto del proprio apprendimento, nel momento stesso in cui fruiscono la rete, alla ricerca d’informazioni, e producono nuove strutture di conoscenza originali, attraverso il loro muoversi nella cybersfera, habitat orizzontale della nuova generazione di discenti, che deve però essere formata all’uso consapevole dei mezzi tecnologici a disposizione. Wiki, blog, podcast, filesharing, videosharing, intere suite online di strumenti per l’office automation, il social bookmarking, il feed Rss e i supporti e le tecnologie per una fruizione improntata alla mobilità, permettono il reperimento d’informazioni secondo schemi e griglie organizzative, in cui qualunque definizione prioritaria da parte del docente costituirebbe solo un limite alle possibilità che le nuove tecnologie invece consentono.
essere predetto, da un valore della sottoscala “Condivisione”, con una precisione del 17%. Al crescere di un’unità del punteggio riguardante gli items della “Condivisione”, il punteggio concernente, gli items dell’“Orientamento in rete” aumenta di poco, cioè nemmeno di mezzo punto. Scheda 2 - Scheda 4: La correlazione è r = 0.39 e quindi la sua positività fa si che il grado di soddisfazione dell’utilizzo d’internet aumenti con l’aumentare del punteggio totale della scheda 2. Esso aumenta di circa mezzo punto all’aumentare di un punto della scheda 2. Solo il 15% della variazione del punteggio della scheda 4 è spiegato dalla sua dipendenza dalla scheda 2 e quindi un nuovo valore del punteggio della scheda 4 può essere predetto, da un valore della scheda 2, con una precisione del 15%. Conclusioni Uno sguardo ai dati fa emergere come i soggetti del campione osservato evidenzino ancora un uso della rete poco frequente e caratterizzato da modalità definibili come passive. Il profilo dell’utente che utilizza il Web per l’Orientamento, che emerge dai risultati del questionario, sembra essere quello di un utente che appartiene ancora a una ristretta élite che si caratterizza per l’interesse verso la tecnologia e internet in particolare, di cui fa un largo uso, ma con modi fondamentalmente passivi, utilizzando le risorse a disposizione nella Rete, senza però contribuire a formarle. Alla luce di questi primi dati, sembra necessario progettare piattaforme web che siano pedagogiche rispetto all’impiego delle risorse e dei mezzi offerti dall’evoluzione del Web, al fine di arrivare a strumenti che non tra-
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Note 1 N. Paparella, M.G. Celentano (a cura di), Sud-Est. Una strategia di rete per l’orientamento, Edizioni Arti Grafiche Favia, Bari, 2008. 2 S. Colazzo, Insegnare ed Apprendere in rete, Amaltea, Melpignano, 2005. 3 L.S. Vygotskij, Il processo cognitivo, trad. it., a cura di C. Ranchetti, Bollati Boringhieri, Torino, 2007. 4 J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 2001. 5 M. Cole, Psicologia culturale, Carlo Amore, Roma, 2004. 6 D.A. Norman, La caffettiera del masochista, Giunti, Firenze, 2005. 7 R. Zorzi, “Civiltà delle macchine, civiltà delle forme”, in Civiltà delle macchine. Tecnologie, prodotti, progetti dell’industria meccanica italiana dalla ricostruzione all’Europa, Fabbri, Milano, 1990. 8 J. Bruner, op. cit. 9 L.S. Vygotskij, A.R. Lurija, 1987. 10 C. Zucchermaglio, Vygotskij in azienda. Apprendimento e comunicazione nei contesti lavorativi, Carocci, Roma, 2002. 11 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, a cura di L. Mecacci, Laterza, Bari-Roma, 2008. 12 G. Bonaiuti, Strumenti della rete e processo formativo. Uso degli ambienti tecnologici per facilitare la costruzione della conoscenza e le pratiche di apprendimento collaborative, University Press, Firenze, 2005. 13 D.A. Norman, Emotional design, Apogeo, Milano, 2004. 14 Il principio alla base di questa concezione è quello dell’organizzazione extracorticale espresso da Vygotskij. 15 M.G. Celentano, S. Colazzo, L’apprendimento digitale, Carocci, Roma, 2008. 16 A. Calvani, I nuovi media nella scuola. Perché, come, quando avvalersene, Carocci, Roma, 1999. 17 V. F. De Giuseppe, “NETQRE 2.0”, in A. Farì (a cura di), L’arte di orientarsi, Amaltea, Melpignano, 2008, pp. 41-56; V. F. De Giuseppe, “NETQRE 2.0: Lo strumento di rilevazione”, in N. Paparella, M.G. Celentano (a cura di), Sud-Est. Una strategia di rete per l’orientamento, Edizioni Arti Grafiche Favia, Bari, 2008, pp. 61-70. 18 M.G. Celentano, Reti per l’Orientamento, in N. Paparella, M.G. Celentano (a cura di), Sud-Est. Una strategia di rete per l’orientamento, Edizioni Arti Grafiche Favia, Bari, 2008, pp. 61-70. 19 V.F. De Giuseppe, “NETQRE 2.0”, cit.; V.F. De Giuseppe, “NETQRE 2.0”, cit.
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ricerche Il disagio scolastico nella scuola secondaria di primo grado: la parola agli studenti GIUSEPPE FILIPPO DETTORI
Nella ricerca in campo educativo solo da poco tempo la voce dei protagonisti dei percorsi di apprendimento comincia ad essere ascoltata. La letteratura internazionale ha dimostrato che le riflessioni degli studenti sui sistemi educativi, se prese nella dovuta considerazione, possono offrire grandi contributi in una prospettiva di miglioramento dell’offerta formativa. La ricerca descritta nel presente contributo, ha cercato di comprendere perché alcuni studenti di scuola secondaria di primo grado abbandonano precocemente gli studi e, soprattutto perché molti altri, pur frequentando con regolarità le lezioni, non traggono alcun beneficio dagli insegnamenti. Lo studio ha interessato circa mille studenti, alcuni drop-out, altri (la maggioranza) regolarmente frequentanti e in alcuni casi molto dotati. A loro è stato chiesto di descrivere la scuola che hanno avuto e quella che avrebbero voluto. Le risposte, puntuali e molto accurate, saranno analizzate da un gruppo di docenti che si è costituito per mettere in atto un percorso di ricerca azione finalizzato a sperimentare processi di miglioramento proprio partendo dalle considerazioni degli studenti.
Only recently have researchers in the educational field begun to take into consideration the voices of the key players involved in the process of learning. International literature has shown that the students’ considerations on the educational systems, if taken in due consideration, may contribute greatly in ways such as the improvement of formative offers. The research described in the following contribution, has attempted to understand why some students attending high school abandon school prematurely. Above all, the research attempts to understand why many other students who attend lessons regularly, do not get any benefits from the current education. The study involved approximately one thousand students, of which some were drop outs, and others (the majority) regularly attended and, in some cases, were also scholastically endowed. The study asked them to describe the type of school they had had and the type of school they would have liked to have. The answers received were punctual and very accurate. They will be analyzed by a group of teachers that have constituted in putting together a course of un’ action - research aimed at experimenting processes of improvement beginning exactly with the students’ considerations.
Parole chiave: scuola superiore, apprendimento, miglioramento
Keywords: students’ voices, drop-out, high school, learning, improvement
L
e difficoltà che lo studente incontra nella scuola sono state più volte analizzate da esperti e docenti che hanno individuato cause e suggerito possibili strategie di miglioramento dell’offerta formativa. In questa sede è stato chiesto agli studenti di indicare le difficoltà che hanno incontrato nella loro esperienza scolastica. I ragazzi, se adeguatamente stimolati, per esempio mediante l’utilizzo di interviste o questionari, possono offrire preziose indicazioni per la comprensione delle cause del disimpegno e dell’abbandono scolastico1.
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Alcuni ricercatori individuano l’ascolto diretto come il metodo più adeguato (superior method) per studiare i giovani con problemi comportamentali2. Uno studio del 2001, realizzato mediante interviste sulle percezioni della scuola da parte di studenti a rischio di dispersione, ha dimostrato che i bambini di nove e dieci anni erano in grado di fare osservazioni molto pertinenti sulle dinamiche che regolano l’apprendimento e di suggerire anche ipotesi di cambiamento per un miglioramento delle pratiche didattiche3.
ricerche
Altri studi hanno evidenziato come il punto di vista degli studenti può essere molto importante nell’elaborazione di programmi di riforma educativa4. Nello studio di Pollard e altri è stato dimostrato quanto sia utile tenere presente l’opinione degli allievi, oltre che di insegnanti ed esperti, per la realizzazione di curricoli di qualità. I ricercatori hanno provato che attraverso l’ascolto degli studenti è possibile realizzare curriculum as experienced che si fonda cioè sull’esperienza ed i bisogni reali dell’utenza invece che curriculum as intended ossia studiato sulla carta5.
Lo sforzo di vedere l’istituzione scolastica con gli occhi degli studenti può rappresentare una modalità utile per individuare strategie didattiche innovative per migliorare un sistema che per troppo tempo è stato pensato, valutato, e riformato partendo più che altro dal punto di vista degli adulti. Descrizione e fasi della ricerca L’obiettivo della presente ricerca è stato quello di conoscere e comprendere l’esperienza scolastica dei giovani, in particolare di coloro che hanno incontrato delle difficoltà e che hanno abbandonato precocemente la scuola dell’obbligo. La ricerca si è articolata nelle seguenti fasi: • Intervista a ragazzi drop-out. • Sondaggio mediante questionario rivolto sia a giovani drop-out che a ragazzi che hanno conseguito la licenza media e deciso di proseguire gli studi. La comparazione delle risposte era finalizzata a stabilire se i vissuti di disagio scolastico riguardano soprattutto i giovani con problemi comportamentali o investono più in generale la popolazione della scuola secondaria di primo grado.
Dare voce ai protagonisti Alcuni studenti, opportunamente coinvolti, sono stati in grado di portare considerazioni accurate sul disagio scolastico: hanno ammesso che le loro condotte a scuola non erano adeguate ed erano consapevoli di dover cambiare atteggiamento sebbene riconoscessero di non riuscirci. Sono stati anche molto precisi nel dare giudizi sull’operato degli insegnanti che, in alcuni casi, hanno definito “stressed out by teaching” (stressati dall’insegnamento)6. Le ricerche hanno dimostrato che in genere i ragazzi più delle ragazze lamentano di stare male a scuola, queste ultime più spesso dichiarano di sentirsi piuttosto bene in classe, reputano le lezioni interessanti e sono più propense a fidarsi degli insegnanti. I ragazzi, al contrario, hanno ammesso di saltare le lezioni più frequentemente delle compagne, di assentarsi per periodi più lunghi, di essere stati espulsi a causa di condotte inadeguate7. Particolarmente interessante lo studio di Ripley e Dockingche che ha dimostrato che adolescenti e preadolescenti erano molto critici e in grado di dare indicazioni pertinenti per un miglioramento della didattica scolastica e rendere più piacevole la permanenza a scuola8. Consentendo agli studenti di esprimere il proprio punto di vista sulla scuola è possibile contribuire a superare il vuoto di conoscenza sulle motivazioni, le tipologie di abbandono e la loro relazione con i fattori di contesto, come è stato ricordato nel Quaderno bianco sulla scuola9.
La prima fase della ricerca: l’intervista a ragazzi drop-out Strumento e metodologia per la raccolta dei dati La prima fase della ricerca ha avuto un carattere esplorativo, era finalizzata a comprendere le cause dell’insuccesso scolastico e del malessere a scuola attraverso l’analisi di vissuti, esperienze, punti di vista di giovani che hanno abbandonato precocemente gli studi. L’intervista qualitativa è sembrata la più idonea in questa fase della ricerca10. Le interviste sono state audioregistrate e trascritte integralmente, successivamente si è proceduto all’analisi del contenuto mediante l’utilizzo del software ATLAS.ti11 che ha permesso di cogliere analogie, discordanze, elementi ricorrenti nelle risposte date dai ragazzi. Soggetti coinvolti
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Sono stati intervistati 11 giovani drop-out che hanno dato la loro disponibilità a rispondere a domande sul loro rapporto con la scuola. Nella maggioranza dei casi avevano ripetuto una o più classi e quasi sempre abbandonato la scuola prima di concludere gli studi. I giovani coinvolti nella ricerca erano in prevalenza maschi (8) e avevano un’età compresa fra i 15 e i 18 anni, la maggioranza di essi (6) erano diciassettenni.
non erano didatticamente coinvolgenti. Certi docenti sono stati definiti competenti ma distaccati, altri sensibili, premurosi, disponibili all’ascolto e all’aiuto. Con i compagni c’era di solito complicità e intesa, soprattutto nell’infrangere le regole e nel procurarsi situazioni di divertimento, non c’era invece collaborazione nello studio e aiuto reciproco nelle difficoltà di apprendimento.
I risultati emersi dalle interviste12 Dando voce agli studenti è stato possibile avere uno spaccato della scuola per certi aspetti diverso da quello che deriva dalle indagine fatte da adulti esperti che in più occasioni hanno cercato di individuare i “mali” della scuola. I ragazzi si sono soffermati su difficoltà e problematicità che hanno incontrato evidenziato aspetti di criticità del sistema. Quattro sono stati i punti su cui gli intervistati si sono soffermati: i sentimenti e gli stati d’animo provati, il rapporto con i docenti e i compagni, il ruolo della famiglia e del contesto sociale nel successo scolastico, i limiti dell’organizzazione.
3) Gli intervistati hanno raccontato di genitori interessati alla scuola e alle proposte ma con contatti poco frequenti con i docenti. Erano rare le occasioni di collaborazione e quasi mai vi è stata da parte dei genitori un supporto nello studio e nell’esecuzione dei compiti. 4) Le critiche sull’organizzazione didattica sono state molto esplicite: si è contestato un sistema molto legato alla lezione tradizionale e poco interattivo e pratico. Sono stati ricorrenti i richiami a metodologie “piatte” e all’assenza di strutture idonee come palestre e laboratori didattici. Dalle interviste si può individuare una tipologia diversa di scuola che i ragazzi avrebbero voluto: – meno lezioni teoriche e più tempo per l’attività pratica (manuali e di laboratorio); – più lavori di gruppo che invece nella loro esperienza erano sporadici; – docenti più coinvolgenti e didatticamente più efficaci oltre che sensibili e disponibili all’aiuto.
1) Durante le interviste i ragazzi hanno raccontato di aver vissuto momenti difficili soprattutto nella scuola secondaria di primo grado dove si sono sentiti talvolta incapaci, tristi, oppressi. Hanno ammesso di disturbare le lezioni e di non osservare le regole, di aver provato disagio perché non capivano, paura delle reazioni ai loro comportamenti di genitori e insegnanti, noia per le proposte didattiche. La noia si verificava soprattutto durante le lezioni frontali nelle quali i ragazzi hanno riferito di distrarsi spesso e di pensare ad altro. I ricordi più piacevoli erano invece legati ad attività più interattive dove era richiesto un loro contributo, per esempio nei lavori di gruppo.
Un aspetto importante emerso dalle interviste è che, tenendo presente tutta la carriera scolastica, la maggioranza degli intervistati ha riferito di essersi sentito più a disagio nella scuola secondaria di primo grado, soprattutto a causa dell’ organizzazione (poco attenta ai reali bisogni degli allievi) e del rapporto con i docenti (più distaccato rispetto alla scuola primaria).
2) Il rapporto con i docenti ha occupato uno spazio importante durante le interviste: quasi sempre i ragazzi hanno riconosciuto una buona preparazione dei loro insegnanti ma hanno sostenuto che alcuni di essi
La seconda fase della ricerca:
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dall’intervista al sondaggio
docenti e i compagni, percezione della scuola da parte della famiglia e del contesto sociale. La maggioranza delle domande del questionario erano chiuse per le quali era richiesto di indicare il livello di accordo (per nulla, poco, abbastanza, molto), due erano aperte per consentire maggiore libertà di esposizione all’intervistato15. È stata scelta la successione delle domande ad imbuto16, ossia si è passati da domande più generali a richieste più specifiche riguardanti i propri vissuti scolastici. Dopo una prima elaborazione il questionario è stato sottoposto a pre-test17 e successivamente rivisto, la versione finale, semplificata nel linguaggio rispetto alla precedente, richiedeva un tempo di somministrazione di circa 20 minuti.
Successivamente all’analisi delle interviste, si è proceduto all’elaborazione di un questionario che ha consentito un’indagine numericamente più ampia finalizzata a comprendere meglio il rapporto dei giovani con la scuola. Il sondaggio13 è stato impiegato nella ricerca per effettuare un’analisi sull’esperienza nella scuola secondaria di primo grado numericamente più significativa partendo dalle informazioni avute nelle interviste. Nel sondaggio si è proceduto ad una comparazione fra le esperienze di giovani drop-out e di un campione di iscritti alla prima classe della scuola secondaria di secondo grado. I soggetti coinvolti: due tipologie di studenti a confronto Il sondaggio ha coinvolto 988 ragazzi appartenenti a zone diverse della Sardegna, sono stati infatti intervistati giovani delle città e dei paesi, del Nord, Centro e Sud dell’isola. Il campione era così costituito: • 116 giovani drop-out; i questionari sono stati somministrati mediante intervista faccia a faccia dagli educatori dell’USSM14 delle diverse sedi sarde che seguono i giovani con problemi comportamentali e imputati di reato. È stato chiesto di sottoporre il questionario solo a coloro che non avevano assolto all’obbligo formativo e/o avevano avuto almeno due ripetente; • 872 studenti di prima superiore (408 maschi e 464 femmine), sono stati scelti in eguale misura istituti tecnici/professionali e licei per avere una rappresentanza di tipologie diversificate di utenza.
Dati relativi ai giovani drop-out: INFORMAZIONI GENERALI SUGLI INTERVISTATI
Analizzando le domande sull’intervistato è stato possibile ricavare le seguenti informazioni personali, familiari e sociali: il 36% apparteneva a famiglie seguite dai servizi sociali per problematiche legate al disagio socio culturale, il 42% a famiglie di ceto medio, in genere lavorava solo il padre (73%) ma con un impiego stabile e nel 22% erano figli di professionisti che nel 26% dei casi erano laureati. La maggioranza dei ragazzi (41%) ha dichiarato di partecipare solo saltuariamente ad attività sportive e culturali/ricreative. DOMANDA A RISPOSTA APERTA
“Indica in quale scuola sei stato peggio e perché?” La maggioranza 33% ha indicato la scuola secondaria di primo grado per diverse motivazioni che vanno dalla struttura della scuola, alla didattica al rapporto con compagni e docenti. Il 24% ha indicato la scuola primaria quasi sempre per un rapporto negativo con i maestri. Il 19% ha sostenuto di essere stato male nella scuola secondaria di secondo grado, le risposte erano per lo più legate alla complessità dei programmi e all’organizzazione didattica. Il 9% ha indicato la scuola dell’infanzia, le motivazioni erano legate al distacco dalla famiglia. Il 10% ha ammesso di essere stato male in tutte le scuole ed il 5% non ha risposto.
Struttura del questionario utilizzato Nella prima parte del questionario erano presenti domande sull’intervistato e la sua famiglia per ottenere informazioni sul contesto socio culturale di appartenenza; le altre riguardavano la propria esperienza scolastica. Le tematiche oggetto degli items erano riferite a cinque aspetti risultati particolarmente ricorrenti durante le interviste: sentimenti e stati d’animo che rievoca l’esperienza scolastica, organizzazione didattica, rapporto con i
DOMANDE A RISPOSTA CHIUSA
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A scuola mi sentivo a mio agio Mi sono sentito un incapace Mi sentivo libero di chiedere chiarimenti Mi sentivo umiliato perché non capivo Mi sentivo prigioniero, il tempo non passava Gli insegnanti si occupavano solo dei più bravi Gli insegnanti si interessavano a me ed erano disposti ad ascoltarmi se avevo un problema Disturbavo per fare un dispetto agli insegnanti Gli insegnanti erano disponibili a rispiegare la lezione se non capivo Con i compagni di scuola andavo d’accordo I compagni mi aiutavano nei compiti A scuola si stava per troppo tempo Mi pesava stare seduto per tante ore Avrei preferito fare più attività pratiche Quando l'insegnante mi chiedeva qualcosa avevo paura di rispondere in modo sbagliato Durante le spiegazioni pensavo ad altro Mi piacevano i lavori di gruppo con i compagni Quando facevo i compiti non capivo Disturbavo la lezione perché mi annoiavo Durante le lezioni parlava solo l’insegnane non c’era spazio per dire ciò che pensavo Chi è laureato è considerato meglio dagli altri La scuola serve nella vita Frequentare la scuola permette di avere un futuro migliore I miei genitori considerano la scuola una perdita di tempo Se marinavo la scuola i miei genitori mi punivano Nel mio ambiente è considerato importante avere un titolo di studio elevato I miei genitori avevano rapporti frequenti con gli insegnanti I miei genitori parlavano male degli insegnanti
Per Poco Abbastanza !ulla 7,85% 41,48% 32,42% 48,28% 28,45% 13,79% 12,07% 14,66% 38,79% 74,14% 10,34% 9,48% 17,24% 15,52% 56,03% 75,86% 12,07% 6,90%
Molto
!.R.
Totale
15,96% 9,48% 34,48% 6,03% 11,21% 5,17%
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100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%
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3,45% 31,03% 23,52% 12,07% 1,72% 47,07%
11,21% 47,41% 25,48% 6,90% 3,45% 27,93%
8,62% 15,52% 38,12% 28,45% 32,76% 10,34%
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31,90%
8,62%
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9,48%
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9,48%
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0,00%
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Tabella 1
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parati a coinvolgere i ragazzi. Gli insegnanti dovrebbero trovare il modo di entrare in contatto con i ragazzi. Insegnanti meno fiscali. Maggiore vicinanza fra professori e studenti. Gli insegnanti dovrebbero ascoltare di più i ragazzi).
Per semplificare la lettura delle risposte è stata elaborata una tabella (n.1) con le percentuali delle risposte date dagli intervistati. Le risposte riguardano solo l’esperienza della scuola secondaria di primo grado. Sono stati evidenziati in neretto alcuni dati ritenuti particolarmente interessanti. Osservando i dati riportati nella tabella n.1 si possono individuare alcuni aspetti utili per la comprensione dell’esperienza scolastica dei giovani drop-out. Le risposte offrono un panorama piuttosto chiaro: la scuola non li coinvolgeva adeguatamente (domande 5, 12, 13, 14, 16) e in essa non si trovavano a proprio agio (domande 1, 19, 20). Le richieste della scuola non sono state sempre reputate alla portata dello studente che spesso dichiarava di non comprendere le consegne (domanda 18). È positivo il rapporto con i docenti (domande 6, 7, 8, 9) e i compagni (domande 10). La considerazione della scuola come agenzia formativa non è affatto negativa sia da parte degli intervistai (domande 22, 23) che nell’ambiente familiare (domanda 24 e 28) e dal contesto sociale di appartenenza (domanda 26). Interessante notare che le difficoltà più rilevanti sono state quelle relative all’organizzazione e alla didattica: “a scuola si stava per troppo tempo”, “quando facevo i compiti non capivo”, “avrei preferito fare più attività pratiche”. Quest’ultimo dato è particolarmente importante perché il 62,07% risponde molto e il 32,76% abbastanza alla domanda 14. una percentuale importante di intervistati ha risposto di avere avuto difficoltà a stare seduti per molte ore (domanda 13) e di pensare ad altro durante le spiegazioni (domanda 16).
Dati relativi agli studenti frequentanti la prima superiore Un primo dato importante emerso dall’analisi dei questionari è che la maggioranza degli studenti dei licei aveva un passato di successi mentre il 18% degli iscritti agli istituti tecnici aveva alle spalle una o più ripetenze. INFORMAZIONI GENERALI SUGLI INTERVISTATI
La maggior parte degli studenti (l’89%) aveva un’età compresa dai 14 e i 16 anni e viveva con entrambi i genitori (64%), Il 18% dei ragazzi è stato ripetente, il 9% di essi più di una volta. La maggioranza dei ragazzi partecipava regolarmente ad attività sportive e alle attività culturali/ricreative. Il 79% dei padri aveva un’occupazione stabile ed il 33% delle mamme lavorava fuori casa. Il 69% dei genitori era in possesso di un diploma ed il 31% di una laurea. DOMANDA A RISPOSTA APERTA
Alla domanda aperta “Indica in quale scuola sei stato peggio e perché?” Il 33% ha indicato la scuola secondaria di primo grado, le motivazioni sono legate alle attività (definite troppo noiose e poco interessanti) e al rapporto con i docenti (poco coinvolgenti e severi). Il 24% la scuola primaria per motivazioni diverse dovute soprattutto al rapporto conflittuale con i maestri. Il 21% la scuola superiore a causa delle difficoltà incontrate nel passaggio da un ordine di scuola all’altro. Il 6% ha individuato la scuola materna per ragioni legate al distacco con la famiglia. Il 16% non ha risposto.
RICHIESTA DI INDICAZIONI DI MIGLIORAMENTO
Nell’ultima domanda (aperta) è stata data la possibilità all’intervistato di indicare eventuali miglioramenti per rendere la scuola più funzionale. Le risposte erano riferite: • all’organizzazione (Meno ore di lezione. Più vacanze. Orario di ingresso posticipato. Orario di ingresso non rigido. Più controllo. Migliorare la pulizia e il decoro. Meno ore di scuola. Più orientamento in terza media per la scelta delle superiori); • al rapporto con i docenti (Insegnanti più pre-
DOMANDE A RISPOSTA CHIUSA
Osservando la tabella n. 2 è evidente che i ragazzi della prima superiore hanno un atteggiamento più positivo verso la scuola secondaria di primo grado rispetto alla cate-
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Per !ulla
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A scuola mi sentivo a mio agio Mi sono sentito un incapace Mi sentivo libero di chiedere chiarimenti Mi sentivo umiliato perché non capivo Mi sentivo prigioniero, il tempo non passava Gli insegnanti si occupavano solo dei più bravi Gli insegnanti si interessavano a me ed erano disposti ad ascoltarmi se avevo un problema Disturbavo per fare un dispetto agli insegnanti Gli insegnanti erano disponibili a rispiegare la lezione se non capivo Con i compagni di scuola andavo d’accordo I compagni mi aiutavano nei compiti A scuola si stava per troppo tempo Mi pesava stare seduto per tante ore Avrei preferito fare più attività pratiche Quando l'insegnante mi chiedeva qualcosa avevo paura di rispondere in modo sbagliato Durante le spiegazioni pensavo ad altro Mi piacevano i lavori di gruppo con i compagni Quando facevo i compiti non capivo Disturbavo la lezione perché mi annoiavo Durante le lezioni parlava solo l’insegnane non c’era spazio per dire ciò che pensavo Chi è laureato è considerato meglio dagli altri La scuola serve nella vita Frequentare la scuola permette di avere un futuro migliore I miei genitori considerano la scuola una perdita di tempo Se marinavo la scuola i miei genitori mi punivano Nel mio ambiente è considerato importante avere un titolo di studio elevato I miei genitori avevano rapporti frequenti con gli insegnanti I miei genitori parlavano male degli insegnanti
Poco
Abbastanza
Molto
!.R.
Totale
21,56% 2,41% 17,20% 2,64% 17,78% 14,11% 19,04%
5,16% 22,59% 65,14% 28,10% 14,79% 23,17% 82,68% 10,89% 34,52% 24,66% 41,97% 23,85% 9,17% 15,25%
49,54% 4,36% 44,84% 3,33% 23,05% 19,15% 54,01%
1,15% 0,00% 0,00% 0,46% 0,00% 0,92% 2,52%
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8,83% 20,41% 28,10% 24,66% 14,11% 21,44% 6,88% 18,00% 3,10% 7,22% 52,25% 29,83%
12,39% 25,23% 40,25% 36,24% 34,06% 11,68%
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12,16% 4,47% 43,58% 58,60% 65,02%
21,79% 8,94% 38,30% 25,69% 24,43%
44,84% 21,22% 0,00% 32,00% 54,59% 0,00% 14,79% 3,10% 0,23% 12,27% 3,44% 0,00% 4,24% 6,31% 0,00%
100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%
4,59% 2,18% 8,72% 92,78% 2,52% 9,40%
21,44% 6,88% 3,21% 4,36% 7,68% 14,22%
51,26% 24,20% 16,40% 2,64% 39,22% 47,02%
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10,21% 8,37%
59,40% 19,15% 0,00% 3,44% 1,38% 0,34%
100,00% 100,00%
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58,14% 22,02% 23,28% 38,30% 55,62% 6,24%
22,71% 66,74% 71,67% 0,23% 46,22% 28,67%
Tabella 2 goria drop-out. Esaminando le percentuali si può notare che i ragazzi frequentanti la prima superiore hanno incontravano minori difficoltà rispetto ai dropout sia nell’apprendimento che nell’organizzazione didattica: si sentivano a proprio agio (domanda 1) e quasi mai si sono percepiti incapaci (domanda 2) o umiliati perché non riuscivano a capire le richieste (domanda 4). Nella maggior parte dei casi i ragazzi avevano una buona percezione della scuola come agenzia utile per la formazione della persona (do-
mande 22, 23). Con i compagni il rapporto era buono (domande 10 e 17), sebbene non vi fosse una grande collaborazione e un reciproco aiuto (domanda 11). La relazione con i docenti era positiva (domande 7, 9, 15, 20). Un dato preoccupante è rappresentato dalle risposte alla domanda 16: il 44,84% ha risposto abbastanza e il 21,22% molto alla richiesta se capita di pensare ad altro durante le spiegazioni. Anche i ragazzi frequentanti la prima
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ai giovani drop out che invece hanno più volte ripetuto una o più classi. Esaminando le risposte date dai ragazzi alle domande chiuse è possibile osservare quanto segue: È stato confermato quanto emerso nelle interviste: sia i ragazzi drop-out che coloro che frequentano la prima superiore hanno trovato la scuola media meno piacevole rispetto alla scuola elementare e superiore. Alla richiesta di indicazioni di miglioramento gli studenti hanno proposto suggerimenti diversi soprattutto legati alla didattica. Dal sondaggio, rispetto all’intervista, emerge un rapporto migliore con i docenti. La maggioranza ha dichiarato di avere avuto un buon rapporto con i professori. L’aspetto più critico, a parere degli intervistati, riguarda l’organizzazione didattica della scuola secondaria di primo grado: i ragazzi hanno dichiarato che si stancavano e si distraevano durante le lezioni tradizionali mentre trovavano più interessanti le attività pratiche e i lavori di gruppo. La necessità di maggiori momenti di attività pratiche riguardavano tutti gli allievi, anche se le percentuali erano più alte nella categoria drop-out. Gli intervistati hanno manifestato il bisogno di avere strutture più idonee e sussidi più coinvolgenti. I ragazzi si sono lamentati dello stare seduti per troppo tempo e di sentirsi prigionieri fra i banchi. Hanno anche espresso il desiderio di avere più attività fisiche e fuori dalle mura scolastiche, per esempio visite guidate e viaggi di istruzione. Alcuni ragazzi hanno indicano come momenti da incentivare, al pari dei laboratori, le attività teatrali e lo studio delle lingue straniere. Un altro aspetto importante rilevato dal sondaggio (che conferma quanto già emerso dalle interviste) è che sia la famiglia che più in generale l’ambiente sociale di appartenenza riconosce alla scuola un ruolo importante nella formazione della persona. Le famiglie, anche se non prendevano sempre parte agli incontri con la scuola, non sminuivano il suo valore educativo e formativo e, cercavano come potevano, di stimolare i ragazzi alla frequenza e all’impegno. Il rapporto con i compagni è stato definito po-
superiore si sono lamentati del tempo scuola troppo lungo (domanda 12) e delle attività sedentarie durante la frequenza della scuola media (domanda 13). Sono state mosse molte critiche ad un’organizzazione troppo incentrata sulla lezione tradizionale che non prevedeva momenti di attività pratiche (domanda 14). Gli intervistati hanno dichiarato di preferire attività che li coinvolgevano in prima persona come per esempio i lavori di gruppo (17). RICHIESTA DI INDICAZIONI DI MIGLIORAMENTO
Alla richiesta di indicare eventuali possibili miglioramenti da introdurre nella scuola secondaria di primo grado i ragazzi hanno fornito una pluralità di indicazioni relative: • all’organizzazione (Avere una scuola più organizzata e professori più competenti. Non cambiare continuamente gli orari. Diminuire le ore di lezione. Più servizi per gli studenti. Dovrebbe esserci un bar per la ricreazione. Introdurre attività più ricreative. Fare più viaggi di istruzione anche all’estero con i voli a basso costo. Un orario più leggero. Fare gli orari per gli studenti e non per i comodi dei professori. Migliorare le strutture. Aumentare il tempo della ricreazione. Più attività di gruppo. Più visite guidate e viaggi di istruzione. Andare a vedere come si lavora nelle imprese); • alle materie di studio (Più attività di laboratorio. Fare attività teatrali Più lingue straniere perchè sono utili per il lavoro. Più ore di informatica. Utilizzare di più i laboratori); • al rapporto con i docenti (Docenti più simpatici e preparati. I professori pretendevano troppo silenzio e volevano neppure sentire cosa ne pensavamo. Gli insegnanti dovrebbero essere più capaci per aiutare gli studenti in difficoltà. Professori più disponibili.) • al rapporto con i compagni (Più tempo per stare con i compagni. Fare lavori insieme ai compagni per esempio ricerca.) Riflessioni conclusive sui dati del sondaggio Osservando le risposte alle domande sulla situazione personale è possibile rilevare che i ragazzi della prima superiore hanno alle spalle situazioni familiari migliori e nella maggioranza dei casi un passato di successi rispetto
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corso di ricerca azione, in alcune classi di scuola secondaria di primo grado nell’anno scolastico 2009/2010. Il gruppo di lavoro, utilizzando la metodologia del focus group, sta esaminando specifici interventi didattici di miglioramento da sperimentare partendo proprio dalle considerazioni che i ragazzi hanno espresso nelle interviste e nel sondaggio.
sitivo ma con pochi momenti di collaborazione e di aiuto reciproco nell’apprendimento. Prospettive di ricerca Al termine della ricerca si è costituito un gruppo di lavoro composto da ricercatori universitari e docenti finalizzato a individuare azioni di miglioramento, attraverso un perNote
1 J. Rudduck, J. Flutter, “Pupil partecipation and pupil perspective: craving a new order of experience”, in Cambridge Journal of education, XXX, 1, 2000, pp. 75-89. 2 H. Juby, D.P. Farringonton, “Disentangling the link between disrupted families and delinquency”, in British Journal of Criminology, XLI, 1, 2001, pp. 22-40. 3 J. Macbeath, K. Myers, H. Demetriou,”Supporting teachers in consulting pupils about aspect of teaching and learning, and evaluating impact”, in Forum, XLIII, 2, 2001, pp. 78-82. 4 B. Levin, “Putting students at the centre in educational reform”, in Journal of Educational Change, I, 2, 2000, pp. 55-172. 5 A. Pollard, P. Triggs, P. Broodfoot, E. Mcness, M. Osborn, What pupils say: changing policy and practice in primary education, Continuum, London, 2000. 6 K. Riley, E. Rustique Forrester, Working with disaffected students: why students lose interest in school and what we can do about it, Paul Chapman, London, 2002. 7 W. Keys, S. Harris, C. Fernandes, Attitudes to school of top primary and first - Year secondary pupils, NFER, Slough, 1995; L.B. Hendry, J. Shucksmith, J.G. Love, A. Glendinning, Young peaple’s leisure and lifestyles, Routledge, London, 1993. 8 K. Ripley, J. Docking, “Voices of disaffected pupils: implication for policy and practice”, in British Journal of Educational Studies, LII, 2, 2004, pp. 166-179. 9 Quaderno bianco sulla scuola, Ministero della Pubblica Istruzione, consultabile nel sito del Ministero (www.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/quaderno_bianco.pdf), 2007, p. 4. 10 Sull’argomento vedasi: W. Outwaite, S.P. Turner, The sage handbook of social methodology, Sage Publication, London 2007 e P. Corbetta, La ricerca sociale metodologia e tecnica. III. Le tecniche qualitative, il Mulino, Bologna, 2003. 11 E. De Gregorio, F. Mosiello, Tecniche di ricerca qualitative e di analisi delle informazioni con ATLAS.ti, Kappa, Roma, 2004. 12 Le seguenti considerazioni sono state presentate nel contributo di G.F. Dettori, “School and young people at risk of deviance”, in Annual Meeting dell’America Educational Research Association, tenutosi a New York nei giorni 24-28 marzo 2008. 13 P. Natale, Il sondaggio, Laterza, Bari, 2004. 14 Ufficio Servizio Sociale Minorile, nelle sedi di Cagliari, Sassari e Nuoro. 15 P. Corbetta, La ricerca sociale metodologia e tecnica. Le tecniche qualitative, il Mulino, Bologna, 2003; P. Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecniche. I paradigmi di riferimento, il Mulino, Bologna, 2003; P. Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Le tecniche quantitative, il Mulino, Bologna, 2003. 16 R. Memoli, Strategie e strumenti della ricerca sociale, Franco Angeli, Milano, 2004. 17 P. Corbetta, op. cit.
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ricerche La riflessività nella progettazione educativa: verso una riconcettualizzazione delle routine ANTONELLA NUZZACI Il contributo affronta il rapporto tra riflessività, progettazione educativa e cambiamento, illustrando il ruolo che le routine giocano all’interno della programmazione, intesa come controllo delle situazioni e delle condizioni didattiche, che prevede la gestione dell’“obiettivo-ostacolo”, della “traduzione operativa” dell’insegnamento-apprendimento, della “contestualizzazione” e della “verifica/valutazione”. La riflessività induce i professionisti dell’educazione a supportare concretamente l’azione didattica, a guardare “lucidamente” nelle proprie routine e nei propri spazi professionali affinché si possano “trattare” imprevisti e cambiamenti in maniera adeguata. “Programmare riflettendo” consente di raffinare la logica della pianificazione che rende più efficace il tempo dell’azione, l’assunzione di decisioni, la realizzazione di attività che motivano gli allievi e sviluppano in loro forme di partecipazione attiva, richiedendo la scansione di routine e sub-routine efficienti sul piano della definizione degli obiettivi, dell’elaborazione delle strategie e della predisposizione di tecniche di insegnamento e di attività di apprendimento, della strutturazione dell’apparato della valutazione e della regolazione, che conducano ad una co-progettazione trasformativa dei singoli attori in una comunità di apprendimento, che collegialmente riflette sui processi, sui dispositivi e sugli ambienti adattandoli ai contesti e ai loro compiti funzionali.
The article deals with the relationship among reflexivity, educational planning and change by means of explaining the role played by routines within the planning intended as control of the educational situations and conditions, managing the “objective-obstacle”, “operational translation” of the teaching-learning, “contextualization” and “examination/evaluation”. The reflexivity inspires the education professionals to support the teaching action in a tangible way, to look “lucidly” into their routines and professional spaces to properly deal with unforeseen events and changes. “Reflective programming” is necessary to focus the strategies to refine the planning logic that simplifies the action time and makes it more efficient as much as taking decisions, preparing activities to motivate and develop active participation of the students. It requires scanning of routines and sub-routines efficient in defining objectives, preparing strategies, developing teaching and learning activities, structuring the “evaluating apparatus” and articulating the regulation plan, leading to ways of coplanning transforming the individual actors in a learning community, that collectively consider the processes, devices and environments adapting them to the contexts and their functional tasks.
Parole chiave: riflessività, pianificazione, routine, educazione, insegnamento, contestualizzazione
Keywords: reflexivity, planning, routine, education, teaching, contextualization
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egli ultimi anni, il termine “riflessività” è apparso nel lessico scientifico soprattutto ad indicare un modo per intervenire nella formazione degli insegnanti. Esso ha via via incorporato diversi concetti migrando da un settore all’altro ed entrando a far parte dell’uso pedagogico attraverso traduzioni dalla letteratura internazionale. Ciò ha prodotto forme inedite di contaminazione che hanno visto affidare nuove accezioni a termini che in italiano avevano un preciso significato ed ha rimesso in discussione alcuni principi classici
in educazione, come quello di “routine”, tradizionalmente legato all’inerzia e all’inflessibilità, soprattutto organizzativa, ponendo numerosi problemi connessi alla rivisitazione di altri processi come l’applicazione dei programmi e la realizzazione delle azioni di progettazione. Questo giustifica il crescente interesse per una “progettazione riflessiva” che vede dipingere un quadro nuovo nella formazione, che induce a rivisitare alcuni modelli interpretativi sulla pianificazione degli insegnanti alla luce dei risultati che il filone dell’analisi delle pratiche
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e della riflessività ha prodotto nel tempo. Il presente contributo ha, dunque, l’obiettivo di mettere in rilievo il rapporto tra “riflessività” e “progettazione educativa”, mostrando quanto complessa e profonda sia la natura della ricerca in questo senso e quale apporto essa possa dare al dominio della gestione dei processi educativi, attingendo a studi diretti a sviluppare approcci riflessivi partecipanti1 nell’azione di programmazione, a partire dalla ri-centratura dei concetti di “esperienza” e di “pratica”, oltre che dalla ri-concettualizzazione della nozione di “routine”. Occorre precisare come esso tragga origine dalla riflessione condotta all’interno di tre ricerche che, a livello internazionale, nazionale e locale, si sono occupate proprio di trattare tali questioni: il progetto Leonardo REFLECT – Reflective Practice and VET2, finalizzato a declinare le competenze riflessive nel campo della formazione dei formatori, il PRIN – Ontologie, learning object e comunità di pratiche: nuovi paradigmi educativi per l’e-learning3, volto a costruire ontologie, learning objects e comunità di pratiche in contesti multiculturali e multilinguistici e per aree tematiche (comunicazione, progettazione e valutazione) e il progetto DIDarcheoMUS4, incentrato sull’analisi di pratiche di pianificazione in partenariato locale. Proviamo ora a chiarire i passaggi essenziali di tale discorso.
insegnanti assumono prima di dare corso all’insegnamento6 con cui si configura il percorso attraverso il quale si precisa ciò che si vuole “costruire” ed i mezzi da impiegare per raggiungere gli obiettivi prefissati nei termini previsti. Per meglio comprendere il ruolo svolto dalla routine nella progettazione, è opportuno presentare alcuni modelli di programmazione elaborati dagli specialisti dell’educazione. È il caso di Taylor7, uno dei sostenitori più accesi della “programmazione lineare”, per il quale questa designa la determinazione o la codifica della serie di operazioni mirate ad attuare i processi di elaborazione del programma. La concezione di “programma di insegnamento efficace” esige che si stabiliscano nell’ordine scopi ed obiettivi perseguiti, contenuti e attività di apprendimento da offrire a destinatari prescritti, modi di organizzazione e procedure valutative. Tale modello8, frequentemente adottato in contesti reali di insegnamento e ripreso nel corso del tempo da autorevoli autori9, accorda maggiore priorità agli obiettivi che talvolta separa dai mezzi d’azione; da qui l’appellativo, successivamente accolto, di scuola dei “fini-mezzi non integrati”. Goc-Karp e Zakrajsek10 hanno rimesso in gioco il principio della successione sistematica delle azioni presentato in questo schema classico, concludendo che i più importanti costituenti di una pratica di programmazione sono gli obiettivi e le procedure valutative, condizioni che, una volta specificate, aiutano ad individuare le strategie di insegnamento, i modi organizzativi, le attività e le risorse più appropriate. Nella stessa prospettiva alcuni ricercatori11 hanno poi insistito sul peso che gli “obblighi locali” hanno assunto nella precisazione degli scopi educativi. Le reazioni più violente contro una programmazione prescrittiva e lineare sono giunte però dai difensori della teoria “fini-mezzi integrati”12, la quale ha rimarcato che la dissociazione degli obiettivi dai mezzi fa giungere ad errori di giudizio e che la frammentazione e la gerarchizzazione delle azioni educative non sempre sono l’unica strada per migliorare la maniera di concepire l’insegnamento efficace. Secondo tale scuola, le azioni che gli insegnanti realizzano nel desiderio di assicurare un intervento adeguato attengono ad una logica di fles-
Comprendere “la varietà e la variabilità” delle pratiche di pianificazione degli insegnanti Se per “programmazione” intendiamo il processo attraverso il quale si prevede la gestione di specifici obiettivi, stimoli, compiti e oggetti di insegnamento-apprendimento deliberatamente scelti per definire un ambito determinato, tali elementi non possono che includere le azioni degli insegnanti, la documentazione e le caratteristiche dei soggetti, dei gruppi e della classe5. Ma mentre il programma designa il mezzo per il quale l’insieme delle materie e conoscenze sono suscettibili di essere insegnate in un ciclo di studio, la pianificazione è definita come il complesso delle decisioni che gli
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per attori tipici»17 e rappresentano una risposta usuale a questioni familiari, regolarmente ricorrenti, denominate “routine”, che divengono tali per mezzo dell’esperienza. Tuttavia, mentre gli insegnanti esperti mettono in atto “routine decisionali” edificate su una conoscenza essenzialmente tacita che necessita di essere predisposta in modo consapevole, quelli inesperti solitamente provano ansietà di fronte ad esse per la scarsa familiarità con certe situazioni che non li spinge a rispondere didatticamente in maniera tipica ad una situazione che richiede “immediatezza” e “risolutezza”. Se è vero allora che la programmazione garantisce l’assolvimento delle azioni pedagogiche con l’intento di produrre mutamenti nei soggetti, sembra lecito interrogarsi sull’utilità di predisporre piani e programmi dettagliati quando si ha la certezza che gli insegnanti apporteranno continue modifiche alla loro struttura. A tale proposito la letteratura suggerisce di indirizzare la ricerca sulle azioni e sulle routine piuttosto che sulle procedure di programmazione18, nonché su cosa gli insegnanti “pensano” della pianificazione poiché questo avrebbe un impatto sulle decisioni assunte nella classe19. Nello specifico, alcune indagini20 hanno messo in luce i pensieri “pre-attivi”, “inter-attivi” e “post-attivi” che nell’insegnamento si verificano rispettivamente prima, durante e dopo l’interazione con gli studenti e che consentono al carattere artificiale dell’attività di pianificazione di non arrestarsi quando gli studenti entrano in aula, in quanto espressione della natura sociale della situazione pedagogica che invita costantemente alla revisione, all’aggiornamento, all’elaborazione o all’abbandono del piano precedente in risposta alle circostanze del momento21. In sintesi, esse hanno svelato che gli insegnanti posseggono concezioni e pensieri complessi sugli studenti e sulle pratiche educative22, strutturati in set di principi derivanti dalle loro esperienze, prassi scolastiche pregresse e caratteristiche individuali. Come notano Shavelson e Stern23, ciò che gli insegnanti fanno nella classe è guidato dalle loro credenze e convinzioni che agiscono come “filtro per l’atto” attraverso il quale sono assunti giudizi e decisioni. Interessante allora appare condurre l’analisi contemporaneamente su due versanti: da una parte, sulle pratiche degli in-
sibilità, che risiede su principi di adattamento, di ri-aggiustamento continuo, di regolazione dell’operatività che sfruttano il “potere della riflessività nell’azione”, in quanto la ricerca ha rivelato che i docenti procedono differentemente da ciò che è stato loro insegnato in termini di modello efficace per “metabolizzare” un’azione di programmazione impiegando alcune routine d’azione, che si compongono di: una parte che ne incorpora l’idea astratta (struttura) e un’altra (d’uso) che consiste nella performance effettuata da ciascuno in tempi e luoghi precisi. Avviene così che gli individui generino una varietà di routine attuandole in senso progettuale entro precisi tempi e contesti utilizzando informazioni a diverso livello e manifestando preferenze, interpretazioni, che interagiscono con altri flussi d’azione, non rendendo sempre chiaro dove finisca una routine e ne inizi un’altra. Si intuisce, quindi, come le routine non siano da intendersi come fattori statici, ma come componenti dinamiche dirette, nelle loro duplicità (stabilità e flessibilità), a promuovere il cambiamento. Gli studi condotti nell’ambito dei progetti REFLECT e DIDarcheoMUS mostrano come la pianificazione delle routine sostiene i processi decisionali dell’istruzione, costituiti da articolati percorsi governati da una molteplicità di azioni e nel corso dei quali gli insegnanti raccolgono, organizzano e interpretano le informazioni, forniscono alternative, selezionano una serie di atti specifici e, dopo la loro attuazione, valutano l’efficacia delle decisioni13. Essi fanno emergere come la pianificazione e i processi decisionali siano interattivi nel determinare quello che gli insegnanti fanno, o non fanno, all’interno della scuola14. Pianificare una lezione si raffigura come una via che prevede quattro tappe nodali: specificazione degli obiettivi; selezione delle attività di insegnamento e di apprendimento; organizzazione di queste attività; chiarificazione delle procedure di valutazione15. Questi passi sono integrati in accordo con quei principi che si riferiscono a come la “routine” o lo “schema di posizione” influenzano gli insegnanti nel processo decisionale16. Hargreaves sottolinea che molte decisioni assumono spesso nel contesto della classe l’aspetto di una “ricetta” che fornisce «soluzioni tipiche a problemi tipici disponibili
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istruzione27 a patto che si mettano a punto sofisticati strumenti in grado di cogliere lo “svolgimento” e l’“esecuzione” delle pratiche degli insegnanti per poterne poi ricavare “stili” che categorizzino i comportamenti espressi nell’azione professionale e di precisare condotte didattiche evidenti divenendone un loro utile descrittore. Lo stile porta con sé il valore delle routine che, diventando una sorta di “habitus”, di schemi di azione riconducibili a “gesti e atti” duraturi e trasferibili, si nutrono di abilità acquisite che fanno accedere a competenze di livello più complesso, tali come la gestione della classe, dei gruppi ecc., e che aiutano ad essere professionalmente efficienti nella pratica di insegnamento. Gli insegnanti ricorrono a routine professionali pianificando interventi educativi in una prospettiva pragmatica e concettuale, i quali organizzano “la mediazione” rapportandosi a varianti ed invarianti di ordine situazionale che si connettono ad un’analisi del contesto. L’informazione proviene primariamente dall’apprendimento degli allievi, anche se sono l’intenzione, l’informazione di ritorno e gli schemi d’azione ad assicurare la connessione tra la prima e la seconda28. L’informazione di ritorno si presenta sotto forma di: “prospettiva” quando segnala un’intenzionalità d’azione, che si svela prima dell’azione manifesta; “informazione di ritorno” propriamente detta quando proviene dal sistema effettore nel corso dell’azione; “conoscenza dei risultati” che si verifica dopo che l’azione è terminata. L’intenzione designa una componente del saper-fare che passa attraverso l’anticipazione di un risultato, la selezione dei mezzi propri a raggiungere uno stato finale, il mantenimento del comportamento nell’approntamento dei mezzi, l’ordine di definire uno stato conclusivo e una regola di sostituzione che coadiuva la messa in opera di altri strumenti per correggere uno scarto o per rispondere a condizioni particolari. La pianificazione è intenzionalità educativa allorché dà vita ad una sequenza di azioni consecutive, che si susseguiranno nell’ordine seriale appropriato e che agevoleranno il raggiungimento dell’obiettivo definito dall’intenzione. L’incidenza di quest’ultima sulla prima non può che essere rilevante, anche quando la ripetizione è indispensabile al perfezionamento di diversi generi
segnanti per comprendere come questi agiscono quando programmano e, dall’altra, sulla pianificazione (come sfondo) per descrivere le pratiche e poterne eventualmente tenere conto nei programmi di formazione, i quali, avvalendosi di precise tecniche riflessive, dovrebbero prevedere un deliberato iter conoscitivo fondato su una complessa rete di relazioni e mirato a dare significato alle azioni e a stimolarne delle nuove, o meglio teso ad interpretare l’esperienza per mezzo della quale si comprendono le ragioni del perché si agisce in un certo modo24. L’esperienza educativa si traduce, con la riflessione, in una “mutata prospettiva concettuale”, che vede il processo di acquisizione della consapevolezza capace di promuovere la crescita del professionista dell’educazione, oltre che della comunità a cui egli appartiene, costringendolo a continue “crisi di identità” e facendogli perdere nella pianificazione tentazioni dogmatiche. Man mano che la professionalità dell’insegnante cresce, variano i modi in cui questi agisce e programma. E qui si inserisce la “pratica riflessiva”, che concerne il fare o l’operare riflessivo personale di un individuo, riferendosi al complesso delle modalità, degli atti, delle azioni, delle reazioni, dei gesti, delle condotte, delle strategie e dei procedimenti messi concretamente in atto nella riflessione25, che, nella sua pluralità e multidimensionalità, si inscrive in un rapporto analitico con l’azione divenendo atteggiamento permanente e presentandosi relativamente indipendente dagli ostacoli, dalle delusioni e dalle difficoltà incontrate. Si pone qui l’accento sul senso dell’azione e della pratica educativa, partendo dalla differenziazione tra “preparazione” e “pianificazione” che esprime due modi diversi di ragionare sulla progettazione. Allorché i ricercatori hanno tentato di tratteggiare le pratiche degli insegnanti, la loro maniera di fare e di essere nelle classi, hanno scoperto la varietà e la variabilità26 con cui si manifesta l’azione nei differenti contesti e con i diversi allievi, dimensioni queste immediatamente in rapporto con la discrepanza che si osserva tra ciò che si dice sulla programmazione e ciò che si realizza visibilmente attraverso di essa. Il progetto REFLECT ha palesato come l’impiego della riflessività nelle azioni di pianificazione può dare conto del funzionamento reale del processo di
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corso di istruzione, dato questo emergente nel progetto DIDarcheoMUS. Esaminare questo fenomeno dal punto di vista dei processi riflessivi può stimolare gli insegnanti ad accrescere l’uso di tecniche idonee ad esplorare una pianificazione integrata delle pratiche di “contrattazione” e “consultazione” in rapporto alla qualità dell’istruzione, anche perché è ormai noto che questa non può che fondarsi sulla ricerca di strategie efficaci sostenute da una progettazione collaborativa. Capire come il singolo insegnante o il gruppo di docenti struttura l’approccio pratico all’istruzione coadiuva l’elaborazione di una “ontologia della programmazione”, vale a dire dell’attività di progettazione e organizzazione del lavoro educativo, che si definisce a partire da «schemi concettuali esaustivi e rigorosi da far valere, non già come principi, ma come punti di riferimento rigorosi, giustificati, convenientemente motivati, accuratamente documentati, e quindi fruibili come altrettanti “criteri” di controllo dello stesso discorso pedagogico»33. La pianificazione, intesa come processo analitico e sistematico del percorso di istruzione, consiste nella “preparazione all’azione” concernente il momento dell’anticipazione del piano di insegnamento-apprendimento e della sua organizzazione in termini di definizione degli obiettivi, di scelta dei contenuti, di previsione dello svolgimento delle azioni, di strutturazione delle situazioni di apprendimento e di ripartizione dei tempi in compiti e attività ecc., che, con un sistema di regolazione interno, media tra le conoscenze e competenze dell’insegnante e la sua capacità di insegnare, includendo la conoscenza delle teorie e dei principi di insegnamento e di apprendimento, del discente, delle tecniche e delle procedure didattiche. Espressione del pensiero e del ragionamento pedagogico, essa evolve costantemente via via che nel docente aumentano esperienza e comprensione34. In senso predittivo, la pianificazione può essere descritta come un processo in cui un individuo visualizza il futuro, individua mezzi e fini e costruisce un quadro interpretativo per orientare la sua azione successiva35. Praticamente è meno rigorosamente definita come le cose che gli insegnanti dicono e fanno quando pianificano36. È questa la dimensione della pratica professionale che
di apprendimento che prospettano, nel saperfare, l’azione proiettata e l’azione terminata. La routine ha come effetto di liberare una certa capacità di trattamento d’informazione, quella che si riferisce alla “modularizzazione”, che può servire ad un’analisi più puntuale del compito, semplicemente perché le attività sub-routinarie che lo costituiscono richiedono meno attenzione. «La riduzione della quantità di attenzione necessaria è effettiva quando vi è coordinamento dell’informazione di ritorno interna, dell’informazione periferica e dei risultati noti»29, che a loro volta presumono coordinamento fra le diverse modalità sensoriali e sincronismo nel quadro di ciascuna modalità. È la regolarizzazione di un atto che rende indispensabile la modularizzazione e la riduzione dell’attenzione occorrente, in modo tale che esso possa integrarsi con atti di più alto livello e richiamarsi a sequenze più lunghe senza che l’attenzione richiesta provochi la de-regolazione degli atti più complessi. L’analisi del compito è resa possibile dalla liberazione di una parte di capacità sostanziale per il trattamento dell’informazione30. L’insegnamento-apprendimento, definito come «un processo di trattamento di informazione e di presa di decisione»31, comporta, in un’ottica descrittiva, una pianificazione in grado di «gestire anticipatamente i rischi, contemplando una struttura di condotte di insegnamento organizzate nei tempi»32. Ciò esige una revisione del compito fondata sulle routine che convertono una serie di dati in prescrizioni relative al compimento dell’azione progettata. Ma l’operazione di programmazione non è sempre accompagnata dall’identificazione “di tratti pertinenti”, controllata da esigenze strumentali poste dalla realizzazione di un obiettivo dato; risulta disciplinata da una varietà di abitudini, che vanno dall’assenza di utilizzo di piani scritti al ricorso di materiali pubblicati in merito a tali problemi; ne consegue che gli insegnanti siano coinvolti solo marginalmente nel processo di istruzione a causa della mancata comprensione dell’importanza che le azioni di pianificazione svolgono nell’insegnamento, tanto è vero che non le effettuano quasi mai come prescritto dalla logica dei modelli lineari e solo pochi sono quelli che riflettono sul ruolo che la pianificazione riveste all’interno del per-
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zate dai docenti: quella “incrementale”, contraddistinta da fasi relativamente brevi, da unità minime, da una dipendenza dalle informazioni giornaliere e dalle attività della classe; quella “comprensiva o globale”, incentrata sul “tipo di programmazione impiegata”, sulle unità nel loro complesso e sulle specificazioni dei piani accuratamente descritti prima di dar corso all’insegnamento, cioè su strutture da adottare nell’azione futura. Molto di quanto gli insegnanti progettano è rinvenibile nella loro produzione scritta, che generalmente si limita alla presentazione di uno schema o di una lista di argomenti. Lo spoglio di tale documentazione evidenzia come essi si formino concezioni della lezione o dell’unità che consistono in immagini “nidificate” o “incorporate” in altre maggiormente comprensive della progettazione, che danno vita ad una serie di routine o di procedure che guidano il loro comportamento e quello degli studenti nel percorso di istruzione42. Quanto detto trova riscontro nel Laboratorio sperimentale di Aosta approntato all’interno del progetto REFLECT, dove emerge come la pianificazione sia per lo più un problema di progettazione iterativa imperniata sulla sequenzialità dei contenuti e dei materiali adoperati nelle attività previste nel piano piuttosto che sulle modalità di costruzione dei percorsi e sulla differenziazione e genere di routine adottate nei diversi momenti e processi di pianificazione (mensile, settimanale, giornaliero). Si evince, in accordo con Yinger, che educatori ed insegnanti affrontano l’attività di pianificazione come un compito di problem-solving a tre stadi: scoperta del problema, dove contenuto, obiettivi, conoscenze ed esperienza sono combinati per produrre una concezione iniziale dell’attività; formulazione del problema e coinvolgimento progressivo nell’elaborazione dell’attività di soluzione; implementazione dell’attività, in cui si enfatizza la valutazione e la routinizzazione dei repertori di conoscenza ed esperienza e dove a turno i soggetti giocano un ruolo preminente nella presa in carico delle decisioni di pianificazione successive43. Mentre però il “compito” sembra essere uno dei focus centrali della pianificazione, essenziale per delineare con precisione la varietà di script che gli insegnanti impiegano per organizzare le attività e per spiegare a quali condizioni vengano
Donald Schön riferisce alla “conoscenza in azione”, ovvero al caratteristico modo in cui si svolge la conoscenza pratica ordinaria37, la cui implicita natura sottende le nostre azioni sia nella vita personale che in quella professionale: il nostro sapere è normalmente tacito, implicito nei nostri modelli di azione e nel nostro sentire ed è contenuto nella nostra azione. Il professionista dell’educazione, anche quando fa uso consapevole di teorie e tecniche, è dipendente dal riconoscimento di ciò che è tacito e dai giudizi latenti; infatti, pur se competente, non sempre riesce a fornire un’accurata descrizione dei fenomeni e ad esprimere valutazioni puntuali circa la loro qualità, cioè a precisarne regole e procedure38.
La progettazione come pratica riflessiva sull’insegnamento Indubbiamente gli insegnanti pianificano per motivi diversi adottando modi e stili di programmazione differenti, che vengono intesi come una vera e propria “forma mentis” che racchiude in sé un complesso di attività non lineari, influenzate da moltissimi fattori, tra i quali i programmi e il curricolo. Clark e Yinger39 hanno riscontrato che essi programmano prevalentemente: per soddisfare bisogni immediati o psicologici, come ad esempio accrescere il senso di sicurezza nell’azione o la fiducia in sé, o tenere a bada forme di ansia ricorrente; per preparare i materiali da utilizzare nel processo di istruzione; per creare un quadro di riferimento che faccia da guida allo svolgimento dei percorsi didattici; ma soprattutto per ragioni istituzionali40, ossia perché richiesto loro dall’amministrazione di riferimento, la quale ha necessità di dotarsi di progetti e piani scritti. Ciò influenza anche l’idea che gli insegnanti si costruiscono delle diverse tipologie di pianificazione41 (settimanale, giornaliera, per unità, per lezione, a breve termine, annuale ecc.), tra le quali quella “per unità” viene di gran lunga recepita tra tutte come la modalità più importante a differenza di quella della lezione considerata la meno rilevante. Clark e Yinger hanno rintracciato due stili principali di programmazione dipendenti dalle strategie utiliz-
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in corso di attuazione sulla base di specifiche condizioni concernenti la classe, gli studenti e le loro reazioni in relazione al raggiungimento degli obiettivi primari. La ricerca educativa è abbastanza concorde nel ritenere che gli insegnanti usino le routine per progettare, selezionare e controllare le attività di classe e mostra come essi riconoscano che la loro gestione durante la pianificazione semplifichi e renda più efficaci i tempi dell’azione54, in quanto determinanti per “navigare” la complessità della vita in aula, per orientare l’azione didattica e per “concretare il discorso pedagogico”; fattori questi che sottintendono però un’elevata standardizzazione delle procedure. Si rimanda qui ad una visione della progettazione quale processo ricorsivo in cui interagiscono diversi tipi di pianificazione, scandibile con un percorso riflessivo che mira a ri-concettualizzare gli oggetti, le attività e tutte quelle routine significative che, come nel caso della valutazione, assumono la funzione di “attività” di rilievo55, influenzate dal curricolo, di fatto trascurate sul piano delle prassi56, ma imprescindibili dal contesto. L’azione riflessiva concorrerebbe dunque a migliorare la progettazione dei docenti, i quali sono ancora oggi fortemente dipendenti dai programmi ed eccessivamente guidati da contenuti e metodi57. Comprendere i modi in cui gli insegnanti pianificano rinvia sia al rapporto insegnamentoapprendimento sia a ciò che è implicito nelle loro azioni, e pertanto non facilmente articolabile e tracciabile. L’insegnante, infatti, parte da un terreno comune con altri insegnanti della classe e da repertori non comuni di abilità ed esperienze, che richiedono uno scambio di conoscenze reciproche indispensabili per un dialogo continuo sull’insegnamento e sull’apprendimento e sulle implicazioni che ne derivano per la progettazione, che attiene alla sfera formale, ma richiama in sé “spazi vissuti” dell’informale. L’ampio dibattito sulla necessità di una pianificazione “riflessiva” ha dimostrato che “riflettere” debba spiegarsi come un nuovo modo di guardare agli insegnanti e all’insegnamento, dirigendo l’intera gamma di questioni che concernono il compito di programmazione verso il tentativo di incoraggiare i docenti a condividere il loro patrimonio di conoscenze sugli studenti, sui contenuti e sulle metodolo-
usati, i contenuti, i materiali e le attività nelle quali sono impegnati gli studenti costituiscono la sostanza stessa della pianificazione. I compiti, in forma di “script”44 o di “immagini”45, consisterebbero in un “piano mentale” per effettuare un insegnamento di tipo “interattivo”46 e sembrerebbero routinizzati così tanto che, appena iniziati, verrebbero vissuti in maniera tipica, come sub-routine47. Le routine minimizzano le decisioni consapevoli durante l’insegnamento interattivo48 e sono “attività continue”49 stabili. La routinizzazione dei comportamenti ridurrebbe così il carico del processo informativo degli insegnanti per mezzo della scansione e della sequenzialità delle attività e renderebbe prevedibile il comportamento degli studenti. Pertanto, il monitoraggio consapevole dell’istruzione può proficuamente incentrarsi sugli studenti e sulla deviazione della lezione dal piano originario50. La decisione prende posto quando la routine dell’insegnante non si svolge come pianificata o si determini un mancato coinvolgimento degli studenti o ancora si registrino problemi che conducono gli insegnanti a giudicare una lezione problematica51, inducendoli a scegliere di continuarla o cambiarla; di solito preferiscono non modificarla52 e, in alcuni casi, la loro scelta si accorda con il piano futuro. In ogni caso per l’insegnante il problema pare rimanere quello di come fare per progettare una serie di esperienze che contribuiscano ad accrescere negli allievi la comprensione delle acquisizioni, a partire da particolari condizioni e vincoli. In questa direzione, il vantaggio della pianificazione non riguarderebbe semplicemente la maniera di effettuare il piano, ma coinvolgerebbe anche quello dell’imparare a ragionare sui dettagli, del che cosa insegnare e come farlo, anticipando e risolvendo potenziali difficoltà. L’esplicitazione dei piani e delle interconnessioni tra le acquisizioni include dettagli su istruzioni, comportamenti, attese, eventuali soluzioni alternative, ma anzitutto rende chiare le routine per la gestione comune delle attività in aula e delle modalità per affrontare le difficoltà53. In sostanza, gli insegnanti si creerebbero delle vere e proprie “rappresentazioni progettuali” all’interno delle quali le routine sono concepite come “mappe stradali” o guide che possono essere modificate
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e significati alternativi, l’esplicitazione e valutazione delle routine in termini di valori, assunzioni e aspettative ed infine la comprensione di cosa si fa e perché. Possono spiegare, per esempio, perché gli insegnanti “principianti” si concentrino su procedure seguite da insegnanti “esperti” piuttosto che sul processo decisionale usato per pianificare contesti sociali significativi per l’apprendimento61, ovvero su elementi immediatamente visibili o meramente superficiali che lasciano fuori dimensioni utili a definire il lavoro di insegnamento, valutato all’interno dei negoziati entro i quali strutturano le loro relazioni con gli studenti. Argyris e Schön62 rilevano che, proprio perché la conoscenza è inerente l’azione, il cambiamento per mezzo della riflessione, relativo alla comprensione e al miglioramento delle pratiche professionali, deriva dal rendere “articolato ciò che è inarticolabile”. Pertanto, potrebbe essere proficuo svelare la “teoria in uso” nella pianificazione per esplorarne la natura attraverso il controllo delle variabili (è probabile che ogni azione abbia un impatto su un certo numero di fattori, innescando un bilanciamento tra di essi), delle strategie d’azione (le iniziative e i piani utilizzati dagli individui per mantenere i loro valori disciplinati entro intervalli socialmente accettabili), delle conseguenze (che cosa succede a seguito di un’azione), ma anche per indagare i modelli entro i quali si è costruito il sapere professionale che porta gli individui a proteggere il proprio operato. Si tratta di riconoscere, comprendere e modificare i ragionamenti e le “routine difensive”63 messe in atto nella pianificazione per supportare quei mutamenti che nei processi di apprendimento impongono che alcune routine inefficienti siano sostituite da quelle efficienti, visto che la loro profonda interconnessione, che le vede gerarchicamente concatenate, implica che il mutamento coinvolga tutto l’impianto progettuale. Il singolo docente o il team di progettazione può facilitare l’eliminazione delle routine inefficienti, rimuovendo le difficoltà che impediscono di trasmettere il cambiamento all’interno dell’organizzazione didattica e stimolando la loro trasformazione tramite strategie i cui agenti di evoluzione sono dati dai sottosistemi con i quali sono localizzate le routine stesse, che includono circuiti volti a dare vita a pro-
gie e ad esplorare gli obiettivi e a discuterli, pure in sede di valutazione. L’attività di riflessione, rafforzando la dimensione collettiva della progettazione, rende possibile tra gli attori l’acquisizione di una comprensione reciproca dei diversi ruoli interconnessi, rivelando elementi vitali dell’impianto implicito delle routine e delle immagini che sottendono certe azioni. Se si accetta l’idea che la progettazione si basi «su ciò che molti insegnanti sanno fare in modo intuitivo»58, si perpetua l’equivoco di una linearità progettuale che in realtà non si verifica. Programmare come prescritto in numerosi modelli di progettazione educativa non vuol dire che inevitabilmente si produca qualità negli apprendimenti (la probabilità che ciò avvenga è sicuramente alta ma non è detto che succeda), in quanto il docente potrebbe mettere in atto un mero approccio prescrittivo al fenomeno, ovvero segua accuratamente le istruzioni avendo un’idea diversa del “programmare”. La ragione può dipendere dal fatto che nella pianificazione l’insegnante attiva un’intenzione preliminare, che può essere distinta dalla sua intenzione in azione59. Sovente accade che la maggior parte dei programmi di formazione degli insegnanti sostengano l’uso di un modello lineare per la pianificazione dell’istruzione, che contempla azioni e fasi ben definite (individuare gli obiettivi; selezionare e organizzare le attività di apprendimento; specificare procedure di valutazione), ma raramente sostanzi il sequenziamento delle attività, la definizione dei bisogni, la stima delle attività e la loro schedulazione. La letteratura chiarisce esaurientemente come il modello di programmazione lineare non sempre conduca ad essere esperti insegnanti nelle “prassi di pianificazione”, motivo questo che spinge a conciliare tale modello con quello riflessivo, passando attraverso l’analisi delle routine. I processi riflessivi portano alla luce le miriadi di variabili che sono normalmente filtrate dallo sviluppo delle routine e degli abiti decisionali, entrando in gioco in quelle situazioni problematiche che impongono una deviazione delle attività routinizzate o concernono eventi imprevedibili. I diversi livelli di riflessività critica60 favoriscono l’esame delle dimensioni contestuali e contingenti della realtà, l’esplorazione di prospettive
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modificarla in caso di bisogno. Le procedure di pianificazione, di controllo e di regolazione presuppongono che le routine siano assimilabili a “zone di sviluppo” entro le quali agiscono i processi regolativi delle attività inerenti la capacità di trattare l’informazione, di assumere decisioni in rapporto ai materiali, ai mezzi, al compito, ma anche all’intensità, alla velocità e al modo in cui viene gestito il processo di interiorizzazione delle acquisizioni. Alcune routine interpretative vengono impiegate dagli insegnanti per segnalare le difficoltà, definire le priorità ed estendere la comprensione circa la maniera di far fronte agli errori di performance; si innestano sulla base di conoscenze e competenze pregresse dell’insegnante e si connettono con quei saperi interiorizzati che gli consentono l’accesso ai livelli e ai dispositivi interni delle routine stesse e alla loro dimensione d’uso (questo perché qualsiasi attività può essere progettata per essere una routine purché si soddisfino alcuni criteri, ossia che l’insegnante invii segnali chiari all’apprendente che l’attività sta iniziando, che i passi dell’attività si verifichino nella stessa sequenza ecc.). Se è dunque vero che le routine sono usualmente tacite e incorporate nell’individuo o nell’organizzazione, che non sempre si ha consapevolezza della loro esistenza e che risultano dall’accumulazione della conoscenza e dell’esperienza e che, in quanto prodotti dell’apprendimento, sono dipendenti dal “contesto” e dalla “storia”, è possibile determinarne la funzione svolta nel processo di istruzione in base a operazioni di contestualizzazione, decontestualizzazione e ricontestualizzazione, poiché, compiendosi in precisi contesti di riferimento, prevedono passi e procedure rese accessibili e corrispondenti ai bisogni sia dell’insegnante che dell’apprendente. Rispetto agli obiettivi prefissati, l’insegnante è responsabile delle routine adoperate, che devono risultare favorevoli per colui che apprende, in quanto è accertato che il mancato riconoscimento dell’importanza della routine conduca il docente a non considerare i gradi interni ai processi di insegnamento; è pur vero però che non è pensabile indurlo ad avere un rapporto di dipendenza da essa. Bisogna allora volgere lo sguardo alla molteplicità delle routine in relazione alle competenze, agli atteggiamenti e
gressi operativi e ad itinerari didattici generatori di variazione. Un’azione efficace approda a risultati attesi: le “routine difensive” sono le principali cause dell’inefficacia educativa poiché impediscono agli individui e ai gruppi di apprendere modi di agire che incoraggiano i processi di rinnovamento, che vengono favoriti dalle opportunità ambientali, dalle caratteristiche culturali ed individuali e dai contesti di apprendimento.
Processi riflessivi, routine e azioni di programmazione Gli elementi atti a regolare una situazione di insegnamento sollecitano una riflessione sulle pratiche didattiche ricorrenti e sulle routine maggiormente adottate e sono espressione della “lucidità pedagogica” che accompagna la pianificazione dell’insegnamento e dell’apprendimento: un conto è, per esempio, definire obiettivi a partire dall’analisi dei programmi e un’altra cosa è porsi come scopo centrale il superamento di “ostacoli64 all’apprendimento e all’insegnamento”, i quali assumono un significato epistemologico profondo. Un’analisi della pratica sistematica delle routine può essere pensata in analogia ad un sistema cibernetico, basato sul meccanismo del feedback, cioè sulla retroazione che un’azione richiama e che a sua volta agisce innescando un meccanismo di correzione. Si tratta di ri-adeguare e ri-organizzare alcune routine con l’intento di rendere l’intero sistema informativo-didattico più adeguato alle esigenze delle singole unità di apprendimento e di agevolare l’inter-operabilità, il controllo e la collaborazione tra i diversi attori. La restituzione del funzionamento di tali processi consente di individuare alcune “strutture concettuali” che costituiscono lo spazio nel quale gli interventi didattici hanno luogo e di attuare il superamento degli ostacoli, di far avanzare il “disegno teorico” e di comprenderne la dinamica progettuale nell’azione, evidenziando rigidità pedagogiche e tenendo conto delle interazioni degli allievi. Quanto detto rinvia alla regolazione dei processi, delle decisioni, dei comportamenti strategici che accompagnano l’attività e che permettono di
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armoniosa tra routine e cambiamento, all’interno di un “orizzonte simmetrico di attesa” che vede interagire la “teoria” con la “pratica”. Questo approccio, integrando le componenti della conoscenza e dell’esperienza, traccia un filo rosso tra apprendimento, esperienza e consapevolezza, connessi all’azione e all’attività del docente, nonché alla specificità dei contesti. Assunto nel progetto REFLECT68, dove la riflessività si è posta rispetto all’esperienza dei soggetti come un dispositivo capace di identificare “i sentimenti e le azioni incoerenti” a livello educativo e di classificarli partecipando attivamente al loro trattamento, esso ha rilevato lo scarto tra due “visibilità”, il piano della consapevolezza e quello della concretezza della formazione69, i quali interessano aspetti come il saper scegliere ed assumere decisioni, il saper progettare, programmare e realizzare interventi formativi, il saper valutare costruendo strumenti adeguati, il saper (auto) apprendere, e che altre ricerche avevano riconosciuto come difficoltosi da incorporare nelle routine degli insegnanti, evidenziando così la problematicità di inglobare la “scienza dell’insegnamento” nell’habitus educativo e nelle “pratiche di insegnamento”70. I risultati del REFLECT e le analisi compiute in DIDarcheoMUS indicano come l’introduzione di paradigmi riflessivi nel campo della progettazione darebbe l’opportunità agli insegnanti di “scomporre la complessità” mettendoli nella condizione di imparare a gestire i processi (individuali, collettivi e collaborativi) di insegnamento-apprendimento, muovendo dalla delucidazione sia delle “forme pedagogiche” da loro assunte sia delle logiche che li guidano nell’azione didattica ed individuando meccanismi di stereotipia nei loro comportamenti. Un docente che “programma” adottando una “riflessione strutturata” mette in moto un percorso di de-contestualizzazione della routine che lo esorta progressivamente ad intraprendere un processo razionale, che gli fa prendere le distanze dalla routine, immediata e automatica, consentendogli di compiere un itinerario di formalizzazione finalizzato a mettere alla prova le proprie ipotesi interpretative sulla progettazione, accertando un’eventuale mancata corrispondenza tra livello teorico della progettazione e uso che si fa di essa. La padronanza del sistema di routine presuppone un
alle aspirazioni degli allievi. Come strutture sequenziali dei modelli d’azione, le routine, nella loro ripetitività65, analizzabilità e varietà, fanno parte degli schemi, definiti come «quadri di conoscenze costruiti attraverso l’esperienza che guidano l’interpretazione di nuove informazioni e controllano la nostra azione»66, rivestendo un ruolo essenziale nella pianificazione giacché concorrono a predisporre situazioni di apprendimento sempre più rispondenti alle esigenze dei soggetti. Infatti, i processi di pianificazione comportano l’elaborazione del piano, che si attua a partire dall’osservazione delle dimensioni schematiche e routinarie delle attività di istruzione preliminarmente eseguite con successo. La routine si delinea come un insieme di possibilità e opportunità, come una serie di eventuali modelli di comportamento funzionalmente simili a cui guardare, tanto che una stessa routine può produrre una varietà di piani. Pertanto, le attività routinizzate non sono da ritenersi semplicemente come elementi automatici in quanto tendenti alla realizzazione di qualcosa. Feldman67 illustra le modifiche essenziali da introdurre nella routine per farla evolvere: il mutamento interessa un repertorio di risposte e di norme che disciplinano la scelta e che sarà sufficientemente ampio per potersi adattare a numerose situazioni e abbastanza dettagliato per prevedere un’organizzazione precisa. Le routine, quale materiale ricorsivo dell’esistenza, costituiscono il legame tra stabilità e continuità nella ricreazione delle forme sociali ed il processo di routinizzazione, se accompagnato dall’azione riflessiva, non funge da impedimento all’acquisizione della competenza, ma al contrario è interpretato come una condizione indispensabile per rendere significativi i contesti. Da qui trae origine il senso della ri-concettualizzazione delle routine, in riferimento ai percorsi virtualmente possibili e alla pianificazione di un’azione didattica adeguata, che concorrerebbe a considerare l’effetto di una scelta in ordine all’efficacia, chiarendo i principi di coerenza e organicità connessi alla corrispondenza tra obiettivi e oggetto dell’insegna mento, tra quest’ultimo e gli strumenti della valutazione, tra scopi e procedure regolative. Tale concezione riconduce alla riflessività quale strumento in grado di ristabilire una relazione
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gativo, perché le routine, diminuendo il numero di decisioni da assumere durante l’intervento didattico, liberano uno spazio intellettuale e temporale che aiuta gli insegnanti a padroneggiare più facilmente gli elementi dinamici della progettazione: si aumenta la stabilità delle attività e la prevedibilità delle azioni degli allievi, con la conseguenza di ridurre in loro ansia e difficoltà nella disposizione ad apprendere. Le routine riconducibili alla “pianificazione”, spiegata come «la presa in conto delle decisioni concernenti la selezione, l’organizzazione, la ripartizione delle routine»74 e che contempla lo spoglio di queste ultime in un ampio repertorio, oltre che una riflessione sulla loro messa in opera75, sono da intendersi come insiemi di procedure stabilite con la funzione di controllare e di coordinare sequenze specifiche di comportamenti. Interpretate allora come sequenze di comportamenti standard, regolari, attivate in maniera spontanea durante l’insegnamento e costruite con l’esperienza, possono essere comparate ad habitus individuali, automatici e associati a programmi di perfomance euristici, e ad altri schemi d’azione come lo script, cioè a sequenze di eventi standard76, che si riferiscono a strutture di conoscenze culturali condivise utili nelle attività quotidiane (come, per esempio, correggere degli esercizi). Uno script, più facilmente verbalizzabile di una routine, è uno schema orientato all’azione e alla sua comprensione, determinato da certe condizioni e corredato di variabili che consentono di analizzare una situazione iniziale e i suoi risultati, ma anche di effettuare una descrizione guidata del contesto; esso permette di trattare e di gerarchizzare le informazioni a più basso costo cognitivo e di condividerle. L’insegnante adotta scripts sociali (che organizzano le interazioni) ed epistemici (centrati sulla costruzione delle conoscenze)77 per tentare di ridurre la complessità che domina il contesto lavorativo, il quale, essendo ampiamente imprevedibile, rivendica l’assunzione di decisioni immediate. Se, dunque, la letteratura spiega le routine come strutture nate dal bisogno di efficacia cognitiva e di riduzione della complessità, è bene ricordare come esse, in quanto prodotto di apprendimento78, rispecchino una risposta ad un certo modo di interpretare le finalità di conduzione
cammino di formalizzazione e di riflessione insieme, che costituisce la “condizione di possibilità” di riuscire «a capire determinate situazioni al fine di risolvere i problemi che esse pongono in rapporto all’azione operativa»71. Se occorre contestualizzare la routine progettuale è altrettanto indispensabile decontestualizzarla favorendo lo svolgimento di tutti quei processi che sono legati agli iter, alle procedure e ai sistemi pregressi, come pure agli interessi immediati. È ovvio che non si avvierà un processo di de-contestualizzazione e di formalizzazione senza riferirsi alle conoscenze acquisite in precedenza. Emerge così il tentativo di comprendere e spiegare gli elementi di cui dispone l’azione di routine e che costituiscono la padronanza del modello esplicativo della progettazione. L’insegnante è tenuto ad effettuare una distinzione tra competenze di programmazione e operazioni, cosa fattibile nell’istante in cui egli accetta di elaborare e costruire routine facendo riferimento sia ad una situazione contestualizzata, sia ad un processo decontestualizzato. Ma fino a quando il docente non sarà in grado di usare efficacemente le sue routine resterà subordinato al meccanicismo che gli impedisce una concreta trasformazione delle acquisizioni. Se allora non è auspicabile creare una dipendenza didattica dalla routine, in quanto è opportuno che gli insegnanti portino all’interno del gruppo di progettazione routine condivise ricavate da “repertori situazionali” costituiti da indicatori strutturali, è vantaggioso invece introdurre strumenti riflessivi che li facciano entrare dentro le pratiche routinizzate e gli script quotidiani per rintracciare precisi comportamenti ed atteggiamenti di insegnamento. Come componente costruttiva e produttiva, la routine rinvia alla variazione continua del fare didattico, rendendo possibile inferire lo stato di avanzamento dell’apprendimento e dell’esperienza72, oltre che tradurre i comportamenti degli allievi in compiti, saperi e vissuti relazionali. Se esiste la convinzione che introducendo un insieme di routine efficaci, sulle quali abbia “agito” un ciclo riflessivo, si faciliti la gestione del processo di insegnamento-apprendimento73, è similmente comprensibile che talvolta la routine si limiti al mero trattamento dell’informazione. Ciò non sempre è ne-
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dei processi di insegnamento-apprendimento79 o, per meglio dire, ad una maniera di resistere alle pressioni ambientali. Leinhardt e Greeno80 enfatizzano l’importanza delle routine nel gestire la variabilità e la complessità dei gruppi di allievi oltre che le situazioni imprevedibili, sostenendo che esse hanno la capacità di ridurre gli effetti che derivano da eventi “inattesi”, da alterazioni improvvise, e di governare i rischi con la predizione e il controllo. Sia che vengano intese come sequenze di comportamenti attivate in maniera spontanea durante l’insegnamento e costruite con l’esperienza, sia che vengano interpretate come procedure automatizzate atte a regolare serie di comportamenti applicabili a situazioni particolari81, le routine servono a controllare ed a coordinare le diverse componenti didattiche (luogo, tipo di attività, durata ecc.), ad intervenire in precisi “atti di insegnamento” (dare consegne, supervisionare ecc.), a trattare le procedure organizzative, ad eseguire appropriati compiti di pianificazione riconducibili all’esperienza acquisita in situazioni analoghe (è il caso delle meta-routine che inducono, stabilizzano, organizzano e cambiano altre routine e vengono impiegate per migliorare la qualità della gestione dei processi di insegnamento-apprendimento a tutti i livelli, essendo meccanismi in grado di produrre “capacità dinamiche”82 in termini di performance). Esse incrementano l’adattamento dei soggetti ai contesti e promuovono l’efficienza cognitiva solo se dispongono di dispositivi di auto-riflessione, che, permettendo di ragionare sui significati delle azioni e delle dimensioni schematiche dell’insegnamento, mettono a fuoco le strategie che affinano quella logica della pianificazione che facilita la razionalizzazione del tempo dell’azione, l’assunzione di decisioni, la realizzazione di attività che motivano gli allievi e incoraggiano in loro forme di partecipazione attiva. La riflessività esplicita le routine, le situazioni e le azioni che si ripetono, inquadrando gli aspetti durevoli e permanenti dell’insegnamento e dell’apprendimento, cioè le strutture, i regimi e i sistemi di azione individuali e collettivi, capaci di mutamenti endogeni ed esogeni. Connotate come pattern riconoscibili di azioni interdipendenti, le routine non devono essere percepite come oggetti statici non modificabi-
li, pur se è indubbio che rimarchevoli difficoltà si incontrano nel procedere ad una loro appropriata concettualizzazione83. “Programmare riflettendo” comporta la scansione di routine e sub-routine e di micro-pratiche efficaci sul piano della definizione degli obiettivi, dell’elaborazione di strategie e della predisposizione di attività di apprendimento, della strutturazione dell’apparato valutativo e dell’articolazione dello schema regolativo, includendo anche l’esigenza di monitorare tali pratiche con l’ausilio di strumenti idonei a riposizionare le routine stesse: ciò implica un’ontologia “riflessiva” della progettazione educativa. Il rapporto allora tra riflessività e routine è dato dalla “transizione”, vale a dire dalla estesa gamma di “transizioni”, piccole e grandi (ad esempio, il passaggio da un argomento all’altro nel lavoro di classe ecc.), vissute da insegnanti e allievi come stressanti, specie in quei contesti che impongono un’elevata organizzazione. Le attività di programmazione, comprendendo transizioni che terminano con una certa attività/azione, si spostano da un’attività/azione all’altra e si collocano all’inizio di una nuova attività/azione, contemplando precise parole, gesti, rituali ecc. adottati dagli insegnanti per portare a buon fine percorsi, piani o progetti, facendoli transitare per avviarne dei nuovi. La riflessione sull’azione viene allora usata per assistere gli insegnanti nell’assunzione di “routine di partenza” volte a pianificare l’attività successiva e a meditare su quanto sarebbe necessario fare per raggiungere l’obiettivo prefigurato; ciò dà l’opportunità di rivisitare continuamente il progetto formativo, avvalendosi della cessazione di un’attività per rivedere quella che si sta intraprendendo ed, eventualmente, revisionarla ancora; si consolidano le procedure e si crea l’abitudine a ripensare il lavoro che è stato completato, preparando il soggetto alla transizione stessa, la quale, come accettazione di una interruzione all’interno di una routine didattica consueta, può essere difficoltosa e fonte di disagio per chiunque. La transizione sostiene la creazione di routine abili a negoziare con successo le transizioni più complesse e ad agevolare l’orientamento e l’autoregolamentazione delle azioni di programmazione. Compromesso tra le aspettative degli studenti e quelle dei docenti, la pia-
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nificazione della transizione delle routine può: ridurre i disagi comportamentali (rendendo le transizioni meno gravose e prevenendo condotte “inadeguate”); facilitare l’acquisizione di regimi organizzativi (offrendo agli studenti l’opportunità di apprendere modalità di lavoro diverse, per esempio nelle attività di preparazione allo studio); favorire l’assunzione di routine auto-regolative ed esecutive (creando abitudini che contribuiscano ad impostare obiettivi, a revisionare il lavoro, a far uso del pensiero strategico e di altri elementi dell’auto-regolamentazione). L’azione di progettazione, concepita come routine “per e della transizione”, fa “agire e pensare” l’insegnamento in maniera organizzata, sistematica e coordinata, proiettando lo sguardo del docente prima verso il passato e poi verso il futuro, definendone i comportamenti in modo che risultino coerenti in un contesto di insegnamento-apprendimento condiviso e cogestito con l’allievo. La routine di transizione induce a vagliare che cosa viene fatto per far giungere l’attività a buon fine, che cosa è stato fatto per rendere proficuo il cambiamento e per muoversi in maniera efficace nelle azioni e nelle attività successive. Nei diversi momenti, l’azione riflessiva è capace di operare, a seconda dello studente, del livello di concretezza, delle abilità e del contesto, lo “spostamento guidato” da uno stato all’altro. Avviare l’azione di programmazione come routine di transizione vuol dire superare, sul versante delle prassi, le forme di pianificazione disorganizzate e dipendenti dal sistema di abitudini inconsapevoli che si stratificano nel tempo, per volgersi verso un’adeguata rappresentazione degli obiettivi e del piano delle attività, con l’intento di effettuare previsioni attendibili sul gruppo e sul singolo e di garantire che la programmazione divenga una reale esperienza sociale, una sorta di co-progettazione trasformativa dei singoli attori in una comunità di apprendimento che
riflette collegialmente sugli scopi, sulle strategie, sui processi e sugli ambienti adattandoli ai contesti e ai loro compiti funzionali. Sulla base delle ricerche condotte e dei risultati ottenuti, possiamo in conclusione affermare che se gli insegnanti sono dipendenti dalle routine e ne hanno bisogno per far fronte ai cambiamenti, i processi riflessivi si servono delle routine stesse per cambiarle, ovvero le progettano per modificarle. Tale ragionamento spiega come le “pratiche riflessive” facciano agire le routine dall’interno per rinnovare le abilità progettuali e per mettere in discussione stereotipie e abitudini improduttive, mutando così sia le pratiche delle routine sia le loro rappresentazioni e attivando forme di programmazione capaci di guidare verso gli obiettivi allievi e insegnanti. La pratica riflessiva postula che l’azione divenga l’oggetto di una rappresentazione, in cui si suppone che il soggetto sappia costantemente ciò che fa e sia in grado di interrogarsi in ogni momento sulle modalità e sugli effetti della sua azione. “Apprendere a riflettere” sulle pratiche di progettazione non consentirebbe allora soltanto di adattarsi a situazioni inedite, ma anche di apprendere dall’esperienza84 e di mettere alla prova le teorie assunte nel percorso di elaborazione e di interiorizzazione delle routine efficaci. Il paradigma riflessivo, cogliendo le peculiarità del processo di progettazione “invisibile”, riesce ad identificare le “tracce” lasciate dall’insegnante, smascherando il carattere inconsapevole dell’azione attraverso il carattere razionale delle procedure e rendendo palese lo scarto tra ciò che è evidente e ciò che non lo è. In questa chiave interpretativa, ripensare l’habitus professionale sotteso diventa inevitabile ed implica l’analisi di quelle disposizioni più o meno stabili che richiamano i valori, gli atteggiamenti, la personalità e l’identità del professionista dell’educazione. 1 L. Valli, Reflective teacher education: cases and critiques,
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Note State University of New York Press, New York, 1992. 2 La scrivente è stata Project Manager, di questo progetto internazionale per l’Università della Valle d’Aosta, dove è stato attivato uno dei Laboratori sperimentali della ricerca. Cfr. all’indirizzo www.reflect-project.net 3 Il Responsabile Nazionale del PRIN è stato il prof. Luciano Galliani dell’Università degli Studi di Padova e il Responsabile dell’Unità di ricerca locale di Lecce, di cui ho fatto parte, il Prof. Nicola Paparella. 4 Il progetto, del quale sono Responsabile scientifica, è ancora in corso e prevede una collaborazione tra l’Università, i Servizi educativi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo, le scuole della provincia di Chieti e gli Enti locali. 5 F. Robinson, J. Ross, F. White, Curriculum development for effective instruction, OISE Press, Toronto, 1985. 6 J.A. Zahorik, “Teachers’ planning models”, in Educational Leadership, XXXIII, 2, 1975, pp. 134-139. 7 P.H. 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Nicolas, 1999. 82 D.J. Teece, G. Pisano, A. Shuen, “Dynamic capabilities and strategic management”, in Strategic Management Journal, XVIII, 7, 1997, pp. 509-533.; D. Tranfield, S. Smith, “The strategic regeneration of manufacturing by changing routine”, in International Journal of Operations & Production Management, XVIII, 1/2, 1998, pp. 114-129. 83 M.D. Cohen, G. Dosi, M. Egidi, L. Marengo, M. Warglien, S.G. Winter, op. cit.; M.D. Cohen, “Individual learning and organizational routine: emerging connections”, in Organization Science, II, 1, 1991, pp. 135-139. 84 Ph. Perrenoud, M. Altet, M. Charlier, L. Paquay (a cura di), Former des enseignants professionnels. Quelles stratégies? Quelles compétences?, De Boeck, Bruxelles, 1996, p. 252.
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ricerche VAE: aspetti problematici e rapporto con le ICT FRANCESCO CLAUDIO UGOLINI
Il presente lavoro tratta i possibili nessi tra due aspetti centrali della strategia europea del decennio 2000-2010 (Strategia di Lisbona) riguardanti l’ambito universitario: il riconoscimento dell’apprendimento non formale e informale, e l’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pratiche educative. Lo studio analizza in particolare una realtà, quella dell’Università della Piccardia, che ha in funzione un collaudato dispositivo di e-learning, e che, dall’altro lato, come tutti gli atenei francesi, permette il riconoscimento dei diplomi in modo totale o parziale attraverso lo strumento della VAE (Validation des Acquis de l’Expérience – validazione di quanto acquisito con l’esperienza). Il lavoro presenta una descrizione e un’analisi di questo strumento innovativo che, in vigore dal 2002, vede oggi i primi bilanci; si sofferma quindi sul rapporto con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione: da una parte, si vede come queste possano favorire il processo stesso di validazione; dall’altra, secondo un diverso punto di vista, si rileva il modo in cui lo strumento della VAE viene sfruttato nel caso di percorsi di studi erogati completamente a distanza, mettendone in luce i risvolti problematici.
This paper discusses the possible relationships between two main issues of the 2000-2010 European strategy (Lisbon Strategy) concerning University: the acknowledgement of non-formal and informal learning, and the introduction of the Information and Communication Technologies in educational practices. This study examines particularly the case of the University of Picardie, where a well-tested e-learning system is running, and where, on the other hand, as in every French University, diplomas are totally or partially acknowledged by the mean of the VAE tool (Validation des Acquis de l’Expérience – validation of knowledge acquired by experience). The paper describes and analyses this innovative instrument, in force since 2002, whose first outcomes are now under examination, and then focuses on the relationship with information and communication technology: on the one hand, we see how technology can facilitate the validation process itself; on the other hand, according to a different point of view, we discuss the way VAE is exploited in the case of courses delivered completely on line, highlighting some problematic issues.
Parole chiave: e-learning, VAE, Apprendimento informale, Accreditamento, Certificazione
Keywords: e-learning, VAE, Informal Learning, Accreditation, Certification
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l tema di questo lavoro è l’accreditamento in ambito universitario dell’apprendimento non formale e informale degli adulti. In particolare, ci interessiamo qui al sistema, introdotto in Francia dal 20021, di validazione di quanto acquisito attraverso l’esperienza (VAE2). Si tratta di un complesso di norme che consente ad adulti che hanno maturato esperienza nella propria professione, di certificarla – in determinate condizioni – attraverso diplomi tradizionalmente erogati nell’ambito della formazione, ivi compresi i diplomi universitari.
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Dopo sette anni dalla sua istituzione, la procedura di VAE è al centro dei primi bilanci di una certa consistenza. In particolare, nel settembre del 2008 è stata pubblicata una valutazione del dispositivo3 da parte del Segretario di Stato per la valutazione delle politiche pubbliche e dello sviluppo dell’economia digitale Éric Besson. Tale rapporto sottolinea come coloro i quali hanno completato con successo la procedura sono in numero di molto inferiore alle attese del 2002 e, soprattutto, costituiscono una percentuale molto bassa rispetto a coloro i quali intraprendono tale procedimento.
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campo con l’ipotesi che una forma di collegamento tra VAE e e-learning vi sia, ferma restando la nostra intenzione di articolarlo in maniera più approfondita.
Per comprendere più a fondo i punti critici e le difficoltà che soggiacciono a questo tipo di dispositivo, abbiamo deciso di approfondire quanto già accennato in maniera superficiale in un nostro precedente lavoro4, nella realtà della Direction pour l’Éducation Permanente (DEP) dell’Università della Piccardia Jules Verne. Vogliamo in questo modo studiare una realtà che, pur essendo numericamente meno importante rispetto ad altre, può però essere rappresentativa di situazioni locali come possono esservi in diverse parti della Francia5. Teniamo tuttavia presente che l’Università della Piccardia possiede un servizio centralizzato di Ateneo – la DEP, appunto – che ha il preciso compito di occuparsi delle politiche legate all’educazione permanente, centralizzando quindi in esso anche le problematiche legate alla procedura di VAE. Inoltre, come abbiamo approfondito nel nostro precedente studio, la DEP dell’Università della Piccardia ha messo in funzione un collaudato dispositivo di e-learning che ormai si trova in una fase che possiamo chiamare “a regime”, e questa situazione ci permette di rispondere a quello che è un altro obiettivo principale del presente lavoro, ossia riscontrare se vi è, e in quale misura, un collegamento tra la VAE e l’e-learning. Si tratta di due aspetti centrali nel quadro delle politiche europee in ambito di istruzione superiore e di apprendimento permanente6, entrambi in pieno sviluppo nelle realtà universitarie europee che trattano di formazione degli adulti, ragione per cui è interessante valutare eventuali punti di contatto. Avevamo già avuto modo di rilevare un legame dovuto al fatto che la scomposizione dei diplomi in moduli da 40 ore, prevista dal modello di e-learning adottato, aveva facilitato l’individuazione delle competenze proposte dai diplomi stessi7. Tale situazione, come vedremo, risponde a una delle principali difficoltà di ogni dispositivo di VAE, che ha come punto costitutivo quello di mettere in relazione le competenze acquisite dai richiedenti adulti durante la loro esperienza professionale con quelle fornite dal diploma attraverso il tradizionale canale formativo. Abbiamo quindi potuto iniziare il nostro studio di caso sul
Durante la nostra visita presso la DEP, avvenuta il 7 e l’8 aprile 2009, abbiamo incontrato il responsabile dell’ufficio per la VAE, Jacques Vasseur, il direttore André Lebrun, e le persone che svolgono attività di accompagnement: Flavie Herbette, Laurent Josse, Dominique Maréchal, Helène Mariette, Emmanuel Marty. A loro vanno i nostri ringraziamenti per la cortesia e disponibilità dimostrataci, così come all’ex responsabile dell’ufficio VAE, Marie-Claude Kançal, che incontrammo durante il nostro precedente studio. La situazione normativa francese riguardo alla VAE. L’introduzione della VAE avvenuta nel 2002 è solo un’ulteriore tappa rispetto a quanto già introdotto nel 1985 e nel 1993. In effetti, già nel 1985, una legge8 permetteva il riconoscimento dell’esperienza acquisita per accedere ai diversi livelli di formazione anche a chi non ne avrebbe avuto i titoli. Un decreto innovativo che permette per la prima volta di valorizzare l’insieme delle esperienze di una persona per dispensarla dai titoli richiesti per iscriversi in un percorso universitario. Questa piccola rivoluzione è praticamente passata inosservata ma ha consentito ai servizi di formazione continua universitaria di sperimentare9.
Nel 1993, un nuovo decreto10 permette l’attribuzione di unità di formazione. Si parla allora di Validazione di quanto Acquisito per via Professionale (VAP11). La differenza con la VAE, foss’anche la VAE parziale, è però sostanziale, dal momento che entrambi i decreti “collocano il beneficiario dei dispositivi in una logica e in una dinamica di formazione”12. Al contrario, il dispositivo di VAE mira comunque in ogni caso al riconoscimento totale di un diploma, e la parzialità del riconoscimento in questo caso si dovrebbe in realtà tradurre in una quasi totalità. In linea di principio, chi intraprende una procedura di
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• Vengono fissati i termini minimi di durata dell’esperienza: almeno tre anni cumulativi (anche non continuativi) di attività retribuite, non retribuite o di volontariato. • Quanto acquisito attraverso l’esperienza deve giustificare “in tutto o in parte le conoscenze e le attitudini richieste” per l’ottenimento del diploma desiderato. • Il candidato deve presentare un dossier nel quale vengono esplicitate, “in riferimento al diploma richiesto, le conoscenze, competenze e attitudini che ha acquisito con l’esperienza”. Il dossier comprende tutti i possibili certificati e attestazioni al riguardo. • La domanda di VAE e il dossier devono essere giudicati da una apposita Commissione, nominata dal Rettore, che deve essere composta in maggioranza da docenti universitari ma che deve anche contemplare la presenza di membri “aventi altra attività che l’insegnamento e competenti” nelle attività professionali richieste dal diploma. • La Commissione discute il dossier con il candidato. Eventualmente viene simulata una situazione professionale. • La Commissione quindi determina “le conoscenze e le attitudini che dichiara acquisite” e quindi consegna un rapporto al Rettore circa l’estensione della validazione e, eventualmente, le conoscenze e attitudini “che devono essere oggetto di un controllo supplementare”. Inoltre nel 2007 è stato armonizzato a livello nazionale il modulo della richiesta di VAE all’organismo certificatore (cioè, nel nostro caso, l’Università) che deve emettere un parere di ammissibilità della domanda di VAE per il diploma in oggetto18. Pertanto, è possibile determinare un modello delle tappe della procedura di VAE, peraltro descritte dettagliatamente dal rapporto Besson di settembre 200819:
VAE non vuole tornare in formazione; la VAP è quindi ancora in vigore per coloro che invece si pongono nell’ottica di tornarvi13. Vedremo però che l’ambiguità tra VAE parziale e VAP provoca ancora alcune storture che descriveremo più avanti. Il presente lavoro tratta specificamente della procedura di VAE nelle Università. Tuttavia è opportuno specificare che la Validazione di quanto Acquisito attraverso l’Esperienza non è una prerogativa dell’istruzione superiore. Si tratta infatti di un modo di ottenere, attraverso una modalità diversa dalla formazione, una qualsiasi certificazione riconosciuta a livello nazionale dall’apposita Commissione Nazionale delle Certificazioni Professionali (CNCP14) (e presente nel Repertorio Nazionale delle Certificazioni Professionali (RNCP15)). Sia il Repertorio sia la VAE sono stati introdotti dalla “legge di modernizzazione sociale” del 17 gennaio 2002. In essa è riportato un nuovo comma da aggiungere all’articolo 900-1 del Codice del Lavoro che così recita: Ogni persona impegnata nella vita attiva ha il diritto di far validare quanto acquisito dalla propria esperienza, tipicamente quella professionale, in vista dell’acquisizione di un diploma, di un titolo a finalità professionale o di un certificato di qualifica […] registrati nel Repertorio Nazionale delle Certificazioni Professionali […].
Di conseguenza, i diplomi universitari costituiscono solo una parte della totalità dei diplomi disponibili16; quando il Repertorio è stato creato, la VAE era possibile pressoché unicamente per i diplomi universitari, ma con il passare degli anni, il Repertorio si sta riempiendo di numerosi altri titoli (nel 2007 erano 4813 – circa 1000 più del 2006 – rispetto ai circa 12000 diplomi universitari17) e non è difficile immaginare che presto saranno in numero maggiore. La concessione dei diplomi negli Istituti di Istruzione Superiore attraverso il procedimento della VAE, è invece specificamente regolata dal décret del 24 aprile 2002. Il décret fissa alcune regole che, di conseguenza, valgono per tutte le Università:
1. 2. 3. 4.
Informazione sulla VAE Scelta della certificazione cui si mira Ammissibilità Riempimento del dossier, con eventuale accompagnamento 5. Discussione davanti alla Commissione.
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Le tappe sensibili, ai fini delle pratiche universitarie, sono, innanzi tutto, le prime due, con particolare riferimento alla scelta del diploma. In effetti tali tappe preparano al parere di ammissibilità da parte di un docente del diploma prescelto. Più la scelta del diploma è confacente all’esperienza del candidato, maggiori probabilità vi sono che la domanda sia giudicata ammissibile. Altra fase sensibile è quella che riguarda la compilazione del dossier corredata da un accompagnamento, che spesso è a pagamento e perciò facoltativo, e che conduce il candidato alla discussione davanti alla Commissione. Analizzeremo quindi queste due fasi della VAE nel seguito del presente lavoro, e vedremo, sulla base di quanto rilevato nella realtà della DEP dell’Università di Piccardia Jules Verne, quali aspetti problematici emergono, indicativi delle difficoltà di realizzazione di dispositivo complesso come quello della VAE. A tal proposito, abbiamo potuto rilevare dai nostri diversi interlocutori opinioni anche molto diverse tra loro; inoltre, il responsabile dell’Ufficio VAE della DEP, Jacques Vasseur, ha messo in atto alcune innovazioni rispetto alla precedente gestione da noi descritta nel già citato lavoro del 2007. Per questo motivo, faremo spesso riferimento alle opinioni da loro espresse.
In effetti, la difficoltà non risiede unicamente nella scelta del diploma, ma anche nella stessa definizione della procedura più adatta alle esigenze del candidato. La VAE è una procedura molto particolare, distinta dalle altre procedure di orientamento e anche di accreditamento parziale di competenze: chi la intraprende tipicamente non vuole riprendere gli studi20. Come abbiamo già accennato in precedenza, da un punto di vista concettuale, chi inizia un procedimento di VAE mira al riconoscimento totale del diploma unicamente in base alla propria esperienza lavorativa e, anche qualora la Commissione concedesse una validazione parziale, il gap da colmare dovrebbe consistere in un lavoro supplementare mirato o comunque di poche unità di insegnamento (uno o due moduli). Validazioni parziali di metà (o anche meno) di una formazione non dovrebbero in linea di principio avvenire con la VAE poiché vi è un fattivo ritorno allo studio. In questi casi, altre procedure, in particolare la VAP (detta anche VA85) risultano più appropriate21. La scelta del diploma più adatto, poi, è un punto nodale della procedura di VAE. Una situazione in cui si vuole semplicemente giungere a un dato livello di studi, ad esempio per partecipare a un concorso pubblico, non costituisce ancora una domanda di VAE, dal momento che il diploma cui si mira non viene specificato.
Informazione e scelta del diploma
Molto concretamente, quando qualcuno ci contatta – spesso per telefono o per posta elettronica – per iniziare una VAE, gli chiediamo di inviarci il suo curriculum vitae e una lettera di motivazione che specifica bene qual è il diploma cui egli mira. Per coloro i quali conoscono il loro diploma, verifichiamo che sia coerente con il curriculum e diamo inizio alla procedura. Gli altri vengono reindirizzati ad un altro ufficio22.
Una procedura vera e propria di VAE inizia con la domanda per un diploma specifico. Esiste una fase precedente molto delicata, quella in cui il potenziale candidato individua il diploma cui aspira. Si tratta di una delle fasi più sensibili dal punto di vista numerico: il rapporto Besson evidenzia come su sei milioni di potenziali candidati, solo 200.000 si informano presso gli uffici competenti, e di questi solo 75.000 presentano delle candidature. Di conseguenza, in questo primo approccio con la VAE risiedono le principali problematiche che determinano l’abbandono da parte dei potenziali candidati. Questa fase viene riassunta alla DEP con l’espressione “identificazione della domanda”.
L’ufficio in questione è l’ufficio di orientamento dell’Università della Piccardia23 – esterno alla DEP dal momento che non si occupa unicamente di educazione permanente – che è a conoscenza dell’intera offerta dell’Ateneo di Amiens ma anche a volte di diplomi di altre Università che potrebbero fare maggior-
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occupano tra le altre cose di pubblicizzare la VAE e di fungere da punti informativi. Hanno per esempio il compito di orientare le persone disoccupate che vogliono riqualificarsi non già verso un ritorno in formazione ma piuttosto verso una VAE qualora ne ravvisassero la possibilità. Dove finisce il loro compito e dove inizia quello dei certificatori dipende molto dai singoli casi. Come abbiamo detto, non è raro che una domanda ancora generica di VAE possa giungere direttamente all’Università e che sia l’ufficio di orientamento di quest’ultima eventualmente a riorientarla verso altri enti certificatori. Ad ogni modo, dal punto di vista di Vasseur, e quindi quello dell’ente certificatore, i centri non devono indicare il singolo diploma più adatto, bensì fermarsi a una valutazione generale del progetto professionale e un orientamento verso un settore professionale e in conseguenza verso gli enti certificatori appropriati. Sarà poi compito di questi ultimi indicare il diploma più adatto. Veniamo quindi nello specifico ad analizzare il rapporto tra e-learning e VAE relativamente a questi primi punti. Abbiamo due punti di vista completamente differenti. Da un lato abbiamo riscontrato delle differenze anche sostanziali quando le formazioni sono erogate in modalità e-learning. Anche se non sempre questo implica che la procedura di VAE sia anch’essa a distanza. Il secondo punto di vista invece è quello di verificare la possibilità di automatizzare la procedura stessa di VAE. In questo caso non dovremmo parlare propriamente di e-learning, bensì semplicemente di ICT all’interno delle pratiche universitarie, tenendo però ben presente che la peculiarità della procedura di VAE non la fa rientrare totalmente né nell’ambito organizzativo, né in quello propriamente di insegnamento apprendimento, assumendo tratti caratteristici di entrambi. Nel primo caso, la DEP dell’Università di Piccardia fa emergere spunti interessanti, in quanto ha un collaudato dispositivo di e-learning e a svolgere l’accompagnamento VAE per queste particolari diplomi sono le stesse persone che fungono da animateur27 all’interno del dispositivo di e-learning28. La situazione che ci viene palesata è completamente rovesciata rispetto a quella espostaci
mente al caso del candidato, così come di diplomi iscritti al Repertorio che non siano universitari. In questo elenco vi sono anche diplomi professionali di livello di scuola secondaria. Occorre qui precisare che, pur erogando i diplomi di laurea triennale (Licence), laurea magistrale (Master24) e dottorato25 come stabilito dal Processo di Bologna, il sistema universitario francese continua ad erogare diversi diplomi intermedi che spesso sono di tipo tecnico o professionale26, e questo, unito all’offerta dei diplomi non universitari presenti nel Repertorio, rende importante per il candidato una scelta vicina il più possibile alla propria esperienza. Per il candidato è questo l’essenziale. Se sceglie un diploma che è o troppo generalista, o a un livello superiore alle proprie responsabilità, oppure con solo una parte di esso che fa al caso suo, avrà molte difficoltà.
E qui Vasseur lamenta quello che è forse il principale problema di una VAE per i diplomi universitari e palesa una tendenza rilevante ai nostri fini: [Scegliere un diploma molto vicino alla propria esperienza] è molto difficile perché i diplomi non sono stati fatti in principio per essere adattati dal lavoro e per preparare attraverso l’apprendistato a un impiego. Siamo partiti prima di tutto partiti da un’Università, dall’insegnamento disciplinare, a poco a poco ci siamo aperti verso delle specialità, delle specificità professionali, e adesso ci troviamo effettivamente a fare dei diplomi professionali: Licence professionali, Master professionali.
A monte degli uffici specifici dell’Università di Piccardia, ossia di quello che è, rispetto alla VAE, l’ente certificatore, esiste una rete di strutture sul territorio, legate a quelle legate all’impiego, chiamate Point Relais Conseil (possiamo tradurli come centri di consulenza intermediari), definiti a livello nazionale ma gestiti nelle singole regioni. Questi centri hanno il vantaggio di essere molto diffusi sul territorio, specie nei piccoli centri urbani, e si
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da Vasseur. In effetti i tre animateurs – Laurent Josse, Emmanuel Marty e Hélène Mariette – vengono contattati da persone che vogliono frequentare le formazioni in modalità e-learning, e sono poi loro eventualmente a riorientarli verso una VAE. Non solo, ma spesso una validazione parziale di pochi moduli viene accettata. In effetti occorre precisare che le formazioni in modalità e-learning hanno un costo non irrilevante29, che viene fatturato per moduli. Per questo motivo, ci dice Josse, una validazione di due soli moduli – ad esempio in una formazione che ne ha tredici – copre di fatto la spesa dell’accompagnamento e quindi ogni ulteriore modulo riconosciuto crea già una situazione favorevole dal punto di vista economico per il candidato. Tuttavia in situazioni come queste, che sono in qualche modo non desiderate dal sistema che vorrebbe una VAE totale o, al limite, quasi totale (cioè con la richiesta di presentare un lavoro supplementare), si palesa un problema
relativamente al giudizio sul diploma, che, in Francia, è strettamente collegato alla media voto. In effetti, un diploma completamente riconosciuto con la VAE non prevede un giudizio, mentre un diploma parzialmente riconosciuto ha un giudizio determinato dai soli moduli non riconosciuti, ossia effettivamente superati con un esame universitario. E questo comporta delle forti distorsioni, sia nei casi in cui questi sono pochi, a volte addirittura uno solo, ma anche quando sono in maggioranza, dal momento che si suppone che i moduli riconosciuti siano quelli in cui lo studente si trova maggiormente a suo agio e in cui, si suppone, avrebbe ottenuti i risultati migliori. Il giudizio finale, pertanto, risulterebbe in molti casi inferiore rispetto al reale valore, o quantomeno al giudizio che avrebbe ottenuto qualora avesse seguito la formazione integralmente. Ovviamente, quando il modulo da sostenere è uno solo, possono esservi forti distorsioni in entrambi i versi.
Esempi di diplomi, l’uno ottenuto con la VAE totale (a sinistra) senza il giudizio e l’altro ottenuto senza VAE totale (a destra) con evidenziato il giudizio “mention assez bien”
te situazioni non sono dovute direttamente al fatto che le formazioni sono in e-learning, bensì al diverso approccio di chi vuole una VAE rispetto a chi concettualmente in realtà vorrebbe una VAP ma sceglie uno strumento diverso semplicemente perché più efficace. È quindi il costo economico delle formazioni in e-learning a favorire questa situazione. Possiamo però sup-
porre che chi inizia un vero e proprio percorso di formazione ponga maggior attenzione al giudizio finale sul diploma, rispetto a coloro che, dal principio, vogliono solo la certificazione del proprio lavoro e accettano quindi un giudizio che, per sua natura, ha poco significato reale. Ciò premesso, il diploma in VAE non è diverso da uno ottenuto con il tradizionale per-
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VAE per questi diplomi sia maggiore; tuttavia si tratta in realtà di numeri “sporcati” dal fatto che tale incremento è strutturalmente legato al fatto che queste VAE sono già nelle intenzioni parziali e quindi concettualmente piuttosto delle VAP. Veniamo adesso al secondo aspetto che lega ICT e VAE, ovvero quello di poter sfruttare le tecnologie per automatizzare le procedure di informazione e scelta del diploma. Occorre premettere che ad una modellizzazione del dispositivo di VAE si oppone in qualche modo la continua evoluzione del dispositivo stesso; tuttavia possiamo trarre qualche utile indicazione dal progetto ACTE31, cui ha partecipato la DEP dell’Università della Piccardia, tra il 2002 e il 2003, progetto finanziato con fondi dell’Unione Europea, anche se è stato poi interrotto. Il prodotto di questo progetto è un sito32 strutturato in sei sezioni ordinate in modo crescente – rappresentate da piani di un edificio – che vanno dalla semplice informazione su cos’è la VAE fino alla presentazione di un dossier direttamente on line. I punti più interessanti sono tuttavia quelli che riguardano i piani intermedi che gestiscono quella che abbiamo chiamato “identificazione della domanda”. Al quarto livello, infatti, vi è un test composto da semplici domande, che mira a stabilire se l’utente è un potenziale candidato per la VAE o per la VAP33. Al quinto livello vi è lo strumento più interessante, ovvero un test in autovalutazione sulle competenze richieste da un dato diploma, chiamato test di autoposizionamento. In effetti per tutti i diplomi che sono rientrati nel progetto (tra tutte le Università partner) vengono presentate le capacità relative ai moduli delle formazioni che portano al conseguimento di tali diplomi. Queste capacità sono presentate in un ordine casuale non raggruppato per moduli, in modo da presentarsi in un modo più possibile sganciato dall’erogazione tradizionale tramite la formazione. L’utente indica una percentuale di acquisizione di ogni capacità e lo strumento alla fine del percorso ricalcola le percentuali sui moduli e sull’intera formazione. In questo modo, l’utente ha un’idea delle possibilità che ha di ottenere il diploma tramite la VAE così come l’entità dei moduli che, eventualmente,
corso di studi, e lo stesso Josse ci dice che un direttore delle risorse umane di un’azienda potrebbe non sapere che un diploma è ottenuto in VAE e interpretare quindi in maniera distorta il giudizio in sede di colloquio di lavoro. Ad ogni modo, il fatto di poter seguire a distanza i moduli che servono per completare il percorso formativo verso il diploma possono favorire il numero di persone che richiedono una VAE per quei diplomi. Ad esempio, la laurea triennale professionale in “Mestieri dei tele-servizi30” è particolarmente richiesto per la VAE, e il fatto di poter essere seguita a distanza costituisce uno dei due elementi principali per spiegare tale predominio, insieme al fatto che Amiens è l’unica Università che rilascia un tale diploma. D’altro canto si riscontra un minor numero di abbandoni durante la procedura quando vi è possibilità che la formazione venga seguita a distanza. Come abbiamo potuto rilevare, gli abbandoni avvengono soprattutto quando chi vorrebbe una VAE totale si scontra con la concreta eventualità di dover riprendere gli studi e quindi, tra le altre cose, iscriversi all’Università con i relativi costi. Ciò avviene in modo palese a seguito del parere di ammissibilità. In alcuni casi, si tratta di un riorientamento verso, tipicamente, la VAP: si tratta dei casi in cui la possibilità di tornare a studiare viene accettata. Vasseur stima addirittura nel 50 % la parte di coloro che, avendo iniziato una procedura di VAE, vengono riorientati verso una VAP. Tuttavia vi sono ugualmente degli abbandoni proprio per la non accettazione a riprendere gli studi. In questo, la possibilità di frequentare a distanza una formazione si propone come un utile incentivo. Aggiungiamo anche che la popolazione di partenza è di molto più ampia. Alla DEP, ad esempio, vi sono diversi casi di persone in Costa d’Avorio che hanno intrapreso un progetto di VAE. Anche il problema della prima informazione è minore: quando uno si interessa alla formazione a distanza già in partenza si collega ad un sito, e in quel sito troverà anche le informazioni sulla VAE. Relativamente all’ipotesi che avevamo formulato possiamo quindi concludere che senz’altro la possibilità di seguire a distanza i moduli mancanti fa sì che i numeri di candidati alla
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un impiego fornite dal datore di lavoro – e un qualche diploma. E ciò contraddice lo spirito stesso della VAE, precedentemente riportato, e peraltro ben documentato in letteratura35. Per molti versi, la stesura del dossier costituisce precisamente quel passaggio che permette all’apprendimento informale di essere inquadrato in un contesto formale e si tratta quindi di un lavoro complesso e importante per il candidato, che peraltro non è abituato a riflettere sul proprio lavoro. Riprendendo il pensiero di Feutrie, la VAE crea senz’altro un “disaccoppiamento tra certificazione e formazione”36 ma durante la stesura del dossier, ha luogo un “processo di espressione e di strutturazione [che] è in sé una ‘formazione’ che viene effettuata in base al ritmo proprio di ciascuno”37. Tuttavia la procedura che viene richiesta al candidato non è usuale e gli richiede
ha maggiori probabilità di dover recuperare nel caso di una validazione parziale. Come appare evidente, la difficoltà nella predisposizione di un simile strumento non è tecnica, ma sta tutta nel convincere i docenti di una data formazione a fornire il dettaglio delle capacità dei loro rispettivi moduli, e quindi, a descrivere il loro diploma in termini di capacità professionali. Questa è stata una grossa componente per l’abbandono del progetto. D’altro canto è giusto descrivere una formazione universitaria unicamente in termini di capacità? A questo proposito riportiamo il pensiero, condivisibile, di Vasseur: Non è perché si lavora realmente che per questo si sa qualcosa sul proprio lavoro34. La VAE non è saper fare il proprio lavoro, ma esse consapevole del sapere che si ha quando si fa il proprio lavoro. E in questa consapevolezza c’è effettivamente una parte degli insegnamenti del diploma. Ed è per questo che non è facile da formalizzare semplicemente in termini di capacità professionali.
un investimento abbastanza pesante e soprattutto un ritorno su se stesso. Questo lavoro non è lineare; si tratta non già di descrivere un percorso professionale ma di analizzarlo rispetto a un riferimento. Ciò richiede: un lavoro per far rimontare alla consapevolezza, verbalizzare, formalizzare, organizzare; uno sforzo d’organizzazione, di strutturazione, di messa in concordia di elementi sparsi, non collegati consapevolmente tra di loro; uno sforzo di formalizzazione e di presentazione per rendere il risultato comprensibile a persone estranee alla data situazione concreta38.
Il principale strumento di cui dispone la VAE per far emergere questa consapevolezza è proprio l’accompagnamento, che vedremo quindi nel prossimo paragrafo. L’accompagnamento e la preparazione del dossier
In questo quadro, il lavoro dell’accompagnatore ha come compito principale quello di rendere allo stato cosciente le conoscenze implicite che risiedono nell’attività del candidato, con un ruolo che Paul Nkeng e Aline Ancel assimilano a quello che in chimica è rivestito dal catalizzatore.
La scrittura del dossier di VAE costituisce il vero punto nodale della procedura di VAE. Si tratta di una procedura complessa, molto simile, per certi versi e secondo i punti di vista che abbiamo raccolto alla DEP, alla stesura di una tesi, ivi compresa la discussione di fronte all’apposita Commissione. L’importanza di questo lavoro è spesso sottostimata nella percezione che si ha della VAE. Una possibile spiegazione riguarda la massiccia campagna pubblicitaria che vi è stata, nel 2002, per favorire la fruizione della VAE tra i lavoratori che però ha di fatto trasmesso un messaggio fuorviante, ovvero che la VAE fosse una sorta di scambio automatico tra le fiches de poste – ossia schede descrittive delle attività di
Una delle possibili definizioni dell’accompagnamento VAE è quella di un aiuto portato al candidato nella rammemorazione della sua esperienza, nell’esplicitazione di quanto acquisito da questa esperienza e nella sua formalizzazione, attraverso l’intervento dell’accompagnatore terzo. L’accompagnamento, così come lo mettiamo in pratica, ci appare come un approccio che permet-
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sì che alcuni sono loro più o meno noti mentre per altri l’apporto che essi danno durante l’accompagnamento sarà soprattutto in chiave metodologica. Ossia, laddove l’ingénieur d’études non riesca a mettere in contatto il candidato con un docente in grado di illustrare in modo specifico il diploma e il tipo di esperienza necessaria per il riconoscimento, si limiterà a consigliare il candidato sulla forma del dossier, sulla leggibilità e sulla comprensibilità di quanto vi è riportato, non potendo però rispondere a domande specifiche riguardo il livello di conoscenze del candidato. Secondo quanto ci dice Vasseur, questa mancanza di professionalizzazione è legata al fatto che lo Stato non ha garantito all’Università alcun finanziamento specifico nei riguardi della VAE, a differenza di quanto avviene con altri organismi certificatori. A suo parere questo è il motivo per cui le questioni relative alla VAE sono, a livello nazionale, accorpate ai servizi di formazione continua, servizi che godono di forme di finanziamento diverse da quelle statali. Inoltre, il rapporto consolidato che tali servizi hanno con il mondo delle professioni, li rende gli organismi più adatti per gestire questa particolare procedura, anche se, al rigore, come già precisato più volte in precedenza, questa non dovrebbe contemplare il ritorno agli studi e quindi sarebbe cosa ben diversa dalla formazione continua. Il dossier di VAE prevede tre allegati: • il primo è intitolato “scheda della missione” e prevede la descrizione della missione, o delle missioni, che sono appannaggio del candidato relativamente alla propria professione. Di ciascuna missione, descrive tre attività principali e il livello di responsabilità di ciascuna42; • il secondo riguarda la descrizione di una situazione lavorativa problematica nella quale il candidato ha dovuto mobilitare le proprie conoscenze e competenze. Si tratta di una descrizione dettagliata, ed è questa parte del dossier che spesso è un rapporto di 30 o 40 pagine; • il terzo allegato è quello che materialmente fa corrispondere le unità di insegnamento del diploma con le esperienze lavorative maturate dal candidato.
te l’emergenza di quanto acquisito e che deve essere validato, escludendo ogni intervento diretto sul suo contenuto. Ecco perché abbiamo scelto di paragonare questa azione a quella di un catalizzatore39.
Questo excursus sulla letteratura ci pare importante per chiarire meglio la natura stessa della VAE, che è quindi un procedimento lungo – Alla DEP viene stimato in 4 mesi il tempo necessario per la compilazione del dossier – e complesso, e per poter interpretare correttamente quanto rilevato nel nostro studio nella realtà della DEP. Veniamo adesso a descrivere la procedura che viene adottata alla DEP. Occorre precisare che essa viene spesso modificata e ci sono state preannunciate ulteriori modifiche. Tuttavia, più che il dettaglio delle singole voci del dossier, ci pare di maggiore interesse descrivere le pratiche che sono state messe a punto, e trarne utili spunti di riflessione. Innanzi tutto, l’accompagnamento, al momento in cui scriviamo, consta di 10 ore in presenza, oltre al supporto a distanza, via mail o via telefono, che viene stimato in ulteriori 10 ore. Le 10 ore in presenza vengono abitualmente suddivise in tre incontri (tre mezze giornate) le cui attività, come vedremo, variano da accompagnatore a accompagnatore, anche se alcune linee guida coincidono. Il costo dell’accompagnamento per il candidato è di 700 euro ed è facoltativo. Occorre precisare immediatamente che alla DEP non esiste personale specializzato per fare accompagnamento per la VAE, e sono dei cosiddetti ingénieurs d’études4, quindi personale non docente interno alla DEP, che segue le formations anche su altri aspetti, ad occuparsi di fare accompagnamento VAE, in maniera peraltro non remunerata in modo specifico. Anche se i numeri non sono poi così elevati41, molti accompagnatori lamentano questa situazione: a seconda di quanto si sentono personalmente implicati in questo tipo di attività, alcuni si dichiarano infastiditi da questo ulteriore carico di lavoro, mentre altri al contrario vorrebbero una maggiore professionalizzazione e una formazione specifica. Occorre anche precisare che molti accompagnatori si occupano di diversi diplomi. Ciò fa
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razione chiave per la trasformazione di attività professionali in conoscenze che possano essere considerate di livello universitario. La drastica conclusione di Herbette è che chi non vi riesce “non è pronto a validare un diploma”45. L’importanza in questo processo della “messa in parole dell’esperienza” è peraltro ben presente in letteratura. Citiamo a titolo di esempio ciò che scriveva Hugues Lenoir nel 2002, mentre i testi legislativi sulla VAE stavano per uscire:
Vasseur, in quanto accompagnatore, e Flavie Herbette, strutturano i loro tre incontri in questo modo: durante il primo, vengono presentati i contenuti del diploma. Il candidato deve capire bene tutto ciò che è necessario abbia acquisito per ottenerlo. Di conseguenza, il primo allegato che verrà riempito sarà il terzo, con le corrispondenze, in forma di elenco, delle unità di apprendimento con le esperienze lavorative. Flavie Herbette insiste anche sull’importanza di fare conoscenza e di creare da subito un buon clima; per questo motivo, quando è possibile, fa in modo che il primo incontro sia fatto in gruppo43. Tra il primo e il secondo incontro si svolge la parte centrale della stesura del dossier, che viene seguita dall’accompagnatore a distanza con e-mail o telefono, durante la quale il candidato deve prima descrivere le attività in maniera più approfondita e dettagliata (compilazione del primo allegato). E quindi inizia la stesura del rapporto previsto dal secondo allegato, nel quale devono emergere le conoscenze, i saperi, le competenze che vengono adoperati dal candidato nello svolgimento delle attività precedentemente descritte. Stando a quanto ci dice Flavie Herbette, al secondo incontro il dossier corrisponde per l’80% al documento finale. Infine il terzo incontro è soprattutto dedicato alla preparazione per l’esposizione orale davanti alla Commissione. Si tratta di trasformare quanto descritto in forma scritta in una presentazione in forma orale44. Sia Vasseur, sia Herbette concordano nell’individuare la principale difficoltà nella scrittura. Vasseur dice chiaramente che molte persone abbandonano la procedura non appena hanno chiaro che devono tornare a scrivere. Herbette parla esplicitamente di paura dello scritto. Ma d’altro canto precisa:
[La messa in parole dell’esperienza] è per molti la condizione essenziale della trasmutazione dell’esperienza in conoscenza, e di conseguenza, una condizione sine qua non della sua validazione e del suo riconoscimento sociale e/o accademico46.
Sulle difficoltà nello scritto parla anche un altro accompagnatore che abbiamo potuto intervistare, ovvero Dominique Maréchal, che si occupa in modo specifico dei diplomi di formazione di adulti e di organizzazione della formazione dei formatori; si tratta di diplomi biennali di tipo professionale, di livello inferiore a una laurea triennale, comunque iscritti al repertorio nazionale47. Nonostante la forte professionalizzazione, tuttavia, tali diplomi hanno una forte componente teorica che impegna circa la metà della formazione che raramente viene validata (Maréchal ci parla di un solo caso di validazione totale). Di contro, il secondo allegato non si presenta come un rapporto lungo, ma come una scheda lunga circa due pagine. La descrizione che ci viene fatta da Maréchal è quindi sostanzialmente diversa dalle due precedenti e l’accento viene posto sulle competenze dal momento che egli rileva nella descrizione delle attività in termini di competenze il punto chiave della VAE e anche di conseguenza il problema principale nella compilazione del dossier, che viene invece completato senza problemi una volta superato questo scoglio. Secondo Maréchal, perché tutta l’esperienza del candidato possa essere letta e presentata in modo completo, non è sufficiente che si limiti a descriverla in termini di attività ma deve scendere al livello di precisione delle competenze. Questo è il punto essenziale, e molto
È sempre molto più difficile scrivere per sé che per gli altri. Sappiamo che abbiamo fatto tante cose ma non sappiamo parlarne. Ed è una vera ricchezza per queste persone quando hanno finito e che il loro dossier è messo a punto: vale un vero bilancio.
Ci dice quindi che occorre “portare la persona a parlare di se stessa in termini chiari”, ope-
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tavia il ruolo della posta elettronica e del telefono non è periferico, e anzi Vasseur ha ridotto le ore di accompagnamento in presenza da 20 a 10, stimando che le altre 10 possono costituire un forfait delle attività di accompagnamento a distanza. Dal momento, peraltro, che molte delle difficoltà sono a livello di scrittura, un ruolo importante è rivestito dallo strumento asincrono (la posta elettronica) sia per permettere all’accompagnatore di correggere in modo approfondito e adeguato i dossier al di fuori degli incontri, sia, nell’altro verso, per permettere al candidato di vedere scritte, e quindi sempre disponibili, le eventuali indicazioni che l’accompagnatore vuole segnalare52. Ancora una volta potrebbe essere interessante uno strumento per la compilazione del dossier in linea, che permette modifiche da parte del candidato e correzioni da parte dell’accompagnatore. Tuttavia, probabilmente sarebbe uno strumento prematuro dato che ancora oggi la forma dei dossier è costantemente soggetta a modifiche e la posta elettronica, data anche l’esiguità dei numeri, permette comunque gli scambi asincroni. Quando le formazioni sono erogate a distanza capita non di rado che non solo l’intero accompagnamento sia svolto a distanza, ma anche la discussione davanti alla Commissione, che contatta il candidato via telefono quando non con una videoconferenza. Abbiamo raccolto esperienze contrastanti al riguardo; alcune procedure sono andate a buon fine, altre meno, soprattutto da parte di candidati che hanno rifiutato l’accompagnamento e verosimilmente hanno sottostimato la procedura stessa. Va però detto che non è raro che persone che potrebbero seguire l’accompagnamento a distanza decidano comunque di venire a confrontarsi di persona con una procedura che, bene o male, coinvolge il loro vissuto e non è costituita semplicemente dalla compilazione meccanica di una domanda.
del lavoro di accompagnamento consiste nel far riscrivere o precisare meglio in termini di competenze. A vantaggio dell’accompagnatore, vi è il fatto che per questo tipo di diplomi, che sono certificazioni professionali, strettamente legate a un mestiere, è noto il sistema di riferimento48 delle competenze49, cosa non sempre vera per i diplomi universitari tradizionali. Di conseguenza, durante il primo incontro Maréchal può sottoporre tale riferimento ai candidati per agevolare la corrispondenza con le loro attività. In termini operativi, egli facilita tale operazione sottopondo loro la seguente scheda: Per tradurre le vostre attività in termini di competenze: • Una domanda che dovete porvi: quando svolgo questa funzione, dimostro50 che sono in grado di … • Tre regole di formulazione da rispettare: utilizzare un verbo d’azione concreto e osservabile; descrivere le condizioni di realizzazione; delimitare i criteri di performance.
Questo strumento è un utile ausilio per riempire la scheda – che nel dossier si trova a monte dei tre allegati precedentemente elencati – in cui devono essere elencate le funzioni esercitate nelle varie situazioni lavorative, con affiancate le conoscenze/competenze utilizzati in ogni funzione. Maréchal rileva problemi di redazione anche in questa descrizione ancora abbastanza schematica, ed è per questo che propone questo piccolo strumento semplice. Ad ogni modo, per diversi che siano gli approcci dei vari accompagnatori, o le schede del dossier che si rivelano più ostiche, la problematica di fondo è sempre la stessa, ovvero favorire nei candidati la piena consapevolezza e la collocazione su riferimenti condivisi delle attività che svolgono. Non è peraltro raro – e i diversi accompagnatori che abbiamo intervistato ce lo confermano – che coloro i quali si sottopongono a questa procedura escano molto soddisfatti e più realizzati51. In questo quadro facciamo un breve accenno al ruolo delle tecnologie nell’accompagnamento. In effetti non esistono strumenti organici; tut-
Conclusione La Validazione di quanto Acquisito con l’Esperienza costituisce una procedura rivoluzionaria nel mondo dell’istruzione superiore
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cui anche la discussione davanti alla Commissione è stata fatta per videoconferenza quando non direttamente al telefono. Tuttavia, per una vera e propria modellizzazione dell’intero processo di VAE perché possa essere informatizzato richiede come prima cosa una stabilità del dispositivo, che ancora deve essere delineata. Inoltre, perché possa essere realizzato uno strumento che permetta una corretta “identificazione della domanda” – e quindi del diploma – è necessario che vi siano le descrizioni dei diplomi in termini di capacità. Se possiamo ipotizzare che un numero sempre maggiore di formazioni, specie quelle di orientamento più professionale, possano avere questa caratteristica, dobbiamo però interrogarci in che misura l’Università sia un ente di formazione professionale e perciò in che misura il bagaglio di conoscenze, competenze e metacompetenze che l’effettiva frequenza di una formazione fornisce possa correttamente essere descritto da un insieme di capacità.
in virtù del fatto che “disaccoppia” – per dirla con Feutrie – certificazione e formazione. Vi sono diverse condizioni peculiari al sistema francese per cui è stato possibile realizzarla; in particolare essa viene favorita da un’offerta di diplomi molto ampia, a diversi livelli e non solo quelli previsti dal processo di Bologna delle lauree triennali e magistrali. Inoltre, come ci conferma anche Flavie Herbette, in Francia vi è una forte tendenza, nel mondo del lavoro, a basarsi molto sui diplomi e sulle certificazioni per gli avanzamenti di carriera. Ciò quindi provoca una domanda molto importante nei confronti degli enti certificatori che, lo ricordiamo, non sono le sole Università. Un altro motivo importante di cui è bene tenere conto quando si ha a che fare con il sistema francese di istruzione superiore, è la presenza delle “grandi scuole”, di alta formazione professionale, a numero chiuso e con connotazioni di élite. Tali percorsi di formazione non possono essere riconosciuti attraverso la VAE, e questo, pertanto, mantiene il tradizionale ruolo centrale della formazione nelle filiere di eccellenza. Per questi motivi, appare impossibile estrapolare dal contesto specifico l’impianto stesso della VAE per quello che attiene ai suoi principi fondanti, mentre, al contrario, appare molto più interessante ai nostri occhi descrivere alcune problematiche più concrete, e i modi con cui le Università francesi le affrontano, in modo che possiamo senz’altro definire pionieristico, vi sono ancora molti casi che vengono affrontati per la prima volta53: non dimentichiamo che il dispositivo è in vigore da appena sette anni e che anche a livello legislativo viene ancora spesso aggiornato. Riguardo al tema specifico dell’utilizzo delle ICT in questo settore, vi è un comprensibile interesse di fondo negli strumenti di comunicazione a distanza – e di conseguenza nella formazione a distanza – da parte di adulti che si interfacciano nuovamente con l’Università con la prospettiva concreta di dover riprendere gli studi, anche solo in parte. Abbiamo visto che una parte importante della procedura di accompagnamento si svolge di fatto a distanza ricorrendo alla posta elettronica e al telefono, anche specifici strumenti organici non sono diffusi. Abbiamo rilevato anche casi in
Nel nostro lavoro, oltre che sulla ricerca diretta, ci siamo basati su alcune pubblicazioni francesi recenti che riguardano la VAE, in particolare il volume curato da Laure Ben Moussi-Le Gall (Validation des Acquis de l’Expérience. Retour d’expériences à l’Université, Paris, L’Harmattan, 2008) promosso dalla Conferenza dei Direttori dei Servizi Universitari di Formazione Continua (CDSUFC, www.fcu.fr) e quello, frutto dei lavori di un Convegno svoltosi dal 22 al 24 maggio 2006 curato da Frédéric Neyrat (La validation des Acquis de l’Expérience. La reconnaissance d’un nouveau droit, Broissieux, Éditions du Croquant, 2007). Ci siamo rifatti altresì ad alcuni numeri speciali di riviste dedicati interamente alla VAE come i numeri 158 e 159 della rivista Éducation Permanente (2004), il numero 212 della rivista Actualité de la Formation Permanente (2008) e il numero 457 della rivista Cahiers Pédagogiques (2007). Abbiamo anche citato Hugues Lenoir (Considérations sur l’expérience et sa valeur sociale, in Éducation Permanente, n. 150, 2002, pp. 6377). Rimandiamo alle bibliografie ivi presenti per ulteriori riferimenti, anche precedenti all’introduzione della legge sulla VAE. In Italia recentemente vi è un crescente inte-
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dall’esperienza francese e anch’essa con un processo di formalizzazione dei saperi informali. Tra i numerosi titoli citiamo A. Alberici, P. Serreri, Competenze e formazione in età adulta. Il bilancio di competenze, Roma, Monolite, 2003 e I. Loiodice, Il laboratorio di bilancio delle competenze, in La rivista di Pedagogia e Didattica, n. 1/2, 2005.
resse verso l’esperienza francese. A tale proposito possiamo citare alcuni contributi specifici (citiamo in particolare quello di Agnès Veilhan) durante la VII Biennale della Didattica che si è svolta a Padova il 3-4 dicembre 2008 (gli Atti sono in via di pubblicazione). La letteratura italiana si è invece interessata in maniera più approfondita alla pratica del bilancio di competenze, anch’essa proveniente Note
1 Con il décret n° 2002-590 del 24 aprile 2002. 2 In francese, Validation des Acquis de l’Expérience. Abbiamo qui scelto di tradurre il sostantivo numerabile acquis con un’espressione non numerabile (“quanto acquisito”). Abbiamo in questo modo voluto privilegiare il significato di acquisizione a scapito tuttavia della numerabilità. In altri contesti viene mantenuta l’espressione francese acquis. Le traduzioni dal francese in questo lavoro sono dell’autore, siano esse relative a documenti o letteratura in lingua francese, oppure al materiale rilevato durante lo studio di caso. 3 La parola “dispositivo” viene qui intesa come italianizzazione del corrispondente termine francese dispositif tra le cui accezioni vi è anche quella di “insieme di misure prese e di mezzi messi in opera con uno scopo determinato” (Petit Larousse Illustré). 4 F. C. Ugolini, L’e-learning e le ICT nell’istruzione superiore europea. Un caso di studio, Aracne, Roma, 2007, in particolare pp. 64-67. 5 Ricordiamo qui che in Francia vi sono sostanziali differenze tra Parigi e il resto della Francia. 6 Si vedano in particolare le comunicazioni della Commissione Il ruolo delle università nell’Europa della conoscenza (Bruxelles, 05.02.2003 - COM(2003) 58) e Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere (Bruxelles, 23.11.2006 - COM(2006) 614). 7 F. C. Ugolini, op. cit., p. 67. 8 Il décret N. 85-906 del 23 agosto 1985. 9 Jean-Marie Filloque, presidente della Conferenza dei Direttori dei Servizi Universitari di Formazione Continua, nella prefazione a Laure Ben Moussi-Le Gall, Validation des Acquis de l’Expérience. Retour d’expériences à l’Université, L’Harmattan, Paris, 2008, p. 13. 10 Il décret N. 93-538 del 27 marzo 1993. 11 In francese Validation del Acquis Professionnels. 12 Laure Ben Moussi-Le Gall, Introduction, in Laure Ben Moussi-Le Gall, Validation des Acquis de l’Expérience. cit., p. 16. 13 Sebbene le leggi del 1993 siano stato abrogate con l’avvento del quadro normativo del 2002, la legge dell’85 prevede il riconoscimento delle unità di insegnamento dei primi anni di un percorso di studi (le unità si considerano gerarchizzate) purché ciò avvenga nell’ambito di un ritorno agli studi, nella misura in cui, qualora il percorso non fosse completato, tale riconoscimento andrebbe perduto. A fronte di ciò, la procedura è sensibilmente più semplice rispetto a quella della VAE. 14 Commission Nationale des Certifications Professionnelles. 15 È possibile consultare il Repertorio on line su cncp.gouv.fr. 16 I diplomi universitari sono tutti riconosciuti dalla Commissione Nazionale delle Certificazioni Professionali, anche se tecnicamente non sono ancora parte del Repertorio, per cui non figurano sul sito, per via della complessa operazione di inserimento nella banca dati del Repertorio. 17 Commission Nationale des Certifications Professionnelles, Rapport au Premier ministre 2007, http://cncp.gouv.fr/CNCP/index.php?cncp=rapport. 18 Si tratta dell’Arrêté del 6 aprile 2007. Il modulo è identificato dalla sigla CERFA 12818*01. 19 Si veda in particolare l’Allegato 3, pp. 43-54. 20 Vasseur ha voluto cambiare il nome all’ufficio di sua competenza, che inizialmente si chiamava Cellula d’Accoglienza per gli Adulti in Ripresa di Studi, e che invece adesso è specificamente dedicato alla VAE, che pone diversi problemi specifici. 21 Esiste anche una procedura di riconoscimento dei titoli, che ha come scopo il riconoscimento unicamente di diplomi, anche non universitari, quindi di apprendimento formale o non formale. Tale procedura è chiaramente diversa sia dalla VAE, sia dalla VAP in quanto non considera l’esperienza, e quindi l’apprendimento informale. 22 Jacques Vasseur, durante il nostro incontro.
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23 La denominazione completa è Bureau Universitaire d’Information, d’Insertion et d’Orientation (BUIIO). 24 Non si tratta qui dell’accezione di Master che viene fatta in Italia, che è quella di un diploma post-laurea. 25 Nel frequente ricorso agli acronimi che viene fatto in Francia, tale sistema viene correntemente individuato dalla sigla LMD (Licence-Master-Doctorat). 26 Vedremo più avanti il caso dei diplomi di Formatore e di Gestore della Formazione. Abbiamo realizzato una breve panoramica dei diplomi del sistema francese in F. C. Ugolini, op. cit., pp. 33-39. 27 Si tratta dei tutor non disciplinari. Nel dispositivo di VAE in funzione alla DEP, il termine “tutor” (tuteur) fa riferimento a una figura che ha reali compiti di docenza, come la moderazione di forum e chat o la concezione e la correzione dei compiti. L’animateur è invece un ruolo non disciplinare che si pone come referente per lo studente per le più diverse problematiche organizzative. Per maggiori approfondimenti sugli attori coinvolti nel modello e-learning della DEP si può vedere il nostro già citato lavoro F. C. Ugolini, op. cit., pp. 86-95, o direttamente M. Sidir G., M. Cochard, “Enseigner et apprendre autrement: nouveaux rôles du formateur, nouveaux acteurs”, in J.-P. Balpe et al. (a cura di), Hypertextes hypermédias: créer du sens à l’ère numérique. H2PTM’03, Hermes, Paris, 2003, pp. 223-239. 28 Occorre precisare che i numeri dei candidati in VAE per queste particolari formazioni sono esigui. Parliamo di meno di 10 persone l’anno da dividere per i tre animateurs che sono Laurent Josse, Hélène Mariette e Emmanuel Marty. 29 Ricordiamo peraltro che raramente la spesa della formazione a distanza – e più in generale della formazione continua – viene coperta dai singoli individui, ma più spesso dalle aziende o dalle regioni, per coloro che sono in cerca di un impiego. 30 La scheda del diploma sul sito della DEP è la seguente: http://www.dep.u-picardie.fr/formations/licenceprofessionnelle-metiers-tele-services-101.html. 31 Acquis, Compétences et Trajectoires d’Emploi 32 Il sito è ancora on line (www.vasup.net), anche se occorre dire che le informazioni relative al dispositivo di VAE e ai diplomi non sono aggiornate. 33 Le prime domande, relativamente alla VAE, sono “avete un’esperienza risultante da attività remunerate, non remunerate o di volontariato?”, “questa esperienza ha una durata cumulata di almeno 3 anni?”, “Questa esperienza è in rapporto diretto con il contenuto di un diploma erogato da questa Università?” etc. Ovviamente per passare alla domanda successiva, occorre rispondere in modo affermativo a quella precedente, altrimenti un messaggio indicherà che non è possibile iniziare una procedura di VAE. 34 Possiamo paragonare questa frase di Vasseur con una analoga espressa in letteratura da Alex Laimé “il candidato conosce la sua esperienza, ma non la sa” (A. Laimé, “L’accompagnement en VAE: un processus de connaissance et de reconnaissance de l’expérience”, in F. Neyrat (a cura di), La validation des acquis de l’expérience. La reconnaissance d’un nouveau droit, Edition du Croquant, Broissieux, 2007, pp. 249-262. 35 Si veda ad esempio M. Feutrie, “Une autre évaluation, une autre validation pour l’expérience”, in Education Permanente, 158, 2004-1, pp. 99-114, in particolare a p. 104, oppure il già citato lavoro di Alex Laimé, L’accompagnement en VAE, cit. 36 M. Feutrie, Une autre évaluation, cit., p. 100. 37 Ivi, p. 104. 38 Ivi, p. 111. 39 P. Nkeng, A. Mercier, “L’accompagnement: un catalyseur de l’émergence des acquis et de la (re)connaissance”, in L. Ben Moussi-Le Gall, op. cit., p. 39. 40 Gli Ingénieurs d’Études esercitano una funzione di raccordo tra i servizi di Educazione Permanente delle Università e il mondo aziendale potenzialmente interessato ai diplomi e alle formazioni erogate, per promuovere quelli già proposti dall’Università e eventualmente raccogliere le esigenze esterne crearne di nuovi. 41 Nel 2007, alla DEP, 62 persone hanno ricevuto una validazione totale o parziale, e coloro i quali hanno scelto di avvalersi del servizio di accompagnement sono 57. 42 Il livello di responsabilità è determinato da una scala a 4 livelli, dal più basso, “applicazione di consegne o di procedure”, al più alto “definizione di orientamenti o di strategie”. 43 Esiste un problema di fondo relativamente all’organizzare VAE di gruppo. A volte le aziende possono essere interessate a situazioni di questo tipo. Vasseur tuttavia fa notare che la VAE nasce come diritto individuale, come riconoscimento di un progetto professionale personale e denuncia situazioni in cui le aziende decidono chi può e chi non può vedersi riconosciute le proprie esperienze, magari in vista di una promozione, e quindi fanno pressione sull’Università per essere messe al corrente dello stato di avanzamento della procedura. La situazione non è di facile soluzione, in quanto il diritto individuale vorrebbe che ogni dipendente possa iniziare una procedura di VAE, ma d’altro canto è spesso l’azienda stessa a finanziarla. 44 Desideriamo qui puntualizzare che le modalità di valutazione previste dal sistema educativo francese, fin dalla scuola, sono in grande maggioranza in forma scritta; per questo motivo non deve stupire che una presentazione orale necessiti di una preparazione specifica. 45 Riguardo una certa raffinatezza di linguaggio, poi, Herbette fa delle considerazioni sul fatto che molto spesso
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i candidati fanno molte cose ma non ne conoscono il nome, mentre gli universitari conoscono ogni sfumatura terminologica. H. Lenoir, “Considérations sur l’expérience et sa valeur sociale”, in Education Permanente, 150, 2002-1, p.70. Sulla difficoltà di scrittura, specie per degli adulti che avevano prematuramente abbandonato gli studi, si può vedere la la testimonianza di una candidata in F. Beneyton, “Et me voilà devant ma feuille blanche…”, in Cahiers Pédagogiques, LXII, 457, 2007, pp. 31-32. I diplomi in questione sono presenti anche nel Repertorio Nazionale delle Certificazioni Professionali, e la scheda è accessibile sul Web. A titolo di esempio, quella del diploma di formatore di adulti è la seguente: http://cncp.gouv.fr/CNCP/fiche_gp.php?idfiche=247. Référentiel de compétences. Esiste in Francia il cosiddetto Repertorio Operativo dei Mestieri e degli Impieghi (Répertoire Operationnel des Métiers et des Emplois, ROME, http://www.anpe.fr/espacecandidat/romeligne/RliIndex.do). Riprendendo l’esempio del “Formatore di adulti”, il codice è il 22211, ed è indicato espressamente sulla scheda del diploma così come è catalogato nel Repertorio (vedi nota precedente). Flavie Herbette aggiunge che sempre più i nuovi diplomi professionali, anche con il livello di laurea triennale o magistrale, sono associati, nella stessa intitolazione, a dei mestieri, come ad esempio la già citata laurea triennale in “mestieri dei tele-servizi” e questo di conseguenza favorisce la definizione dei sistemi di riferimento delle competenze. La procedura di VAE come dimostrazione è un tema molto trattato in letteratura. Feutrie (op. cit., pp. 101-102) contrappone la valutazione di “capacità effettivamente dimostrate in un’attività concreta” (Ivi, p. 102) di una procedura di VAE con il “valore predittivo delle capacità di un candidato a esercitare tale o tal altra attività” (Ivi, p. 103) dei risultati della valutazione tradizionale universitaria, mentre con un gioco di parole che perde di efficacia nella traduzione in italiano, Agnès Veilhan parla di “logica di prova come dimostrazione” contrapposta a una “logica di prova come esame” (in francese esistono due parole diverse pur simili: “logique de preuve” et “logique d’épreuve”, A. Veilhan, “L’éthique de l’accompagnement en validation des acquis de l’expérience: de l’individuel au collectif”, in Education Permanente, 159, 2004-2, p.108. Flavie Herbette propone di usare coloro i quali hanno ottenuto un diploma con la VAE come veri e propri testimonials della stessa VAE. Maréchal invece cita il caso di una persona che è stata addirittura contenta di aver avuto una validazione solo parziale ed è quindi stata costretta a riprendere gli studi, per via del fatto che in questo modo è riuscita a collocare meglio le proprie attività e dar loro il fondamento teorico che mancava. Questo vantaggio della posta elettronica ci è stato esplicitamente riferito da Josse, nel suo ruolo di accompagnatore delle formazioni erogate in modalità e-learning. Egli però non trascura l’importanza del telefono, soprattutto come primo contatto per rendersi conto della singola situazione. Ricordiamo che spesso per le formazioni in modalità e-learning tutto l’accompagnamento viene spesso svolto a distanza. Esiste a questi fini una rete interuniversitaria dei responsabili della VAE, promossa dalla Conferenza dei Direttori dei Servizi Universitari di Formazione Continua (CDSUFC). Per stessa ammissione di Vasseur, in tale sede, è difficile trovare accordi sulle strategie di fondo che possono variare da Ateneo a Ateneo in virtù dell’autonomia di cui gode ognuno di essi. Tuttavia si tratta di un luogo in cui possono essere confrontate le esperienze pratiche per risolvere i problemi puntuali che possono essere nuovi per un Ateneo e magari sono invece già stati affrontati da un altro.
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studi Formazione degli insegnanti e competenze nelle tecnologie della comunicazione educativa LUCIANO GALLIANI
La formazione degli insegnanti a nuovi linguaggi audiovisivi e multimediali e alle nuove tecnologie informatiche e telematiche ha avuto in Italia una storia di interventi pubblici ma anche di riflessione pedagogica e didattica, che merita di essere approfondita. L’articolo si propone di dimostrare come la ricerca educativa, l’elaborazione culturale e la sperimentazione universitaria abbia anticipato e sostenuto scientificamente i piani nazionali e le azioni istituzionali per introdurre le tecnologie didattiche nel sistema scolastico. Vengono anche delineate le competenze plurime dell’e-teacher e dell’e-tutor a sostegno dell’innovazione metodologica e tecnologica della comunicazione educativa, che qualifica il nuovo ambiente integrato di apprendimento.
Teacher training about new audio-visual and multimedia languages and about new ICT has had an history of public activities but also an history of pedagogical and didactical reflection, that should be deepen. The aim of this article is to demonstrate how the educational research, the cultural elaboration and the higher education practices have foreseen and scientifically supported the national plans and the institutional actions for introducing ICT in the school system. The e-teacher and e-tutor competencies are identified for supporting the methodological and technological innovation in educational communication, that characterises the new learning integrated environment.
Parole chiave: formazione degli insegnanti, educazione ai media, competenza ICT, comunicazione educativa, e-teacher
Keywords: teacher training, media education; ICT competency; educational communication; e-teacher
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l titolo di questa riflessione/ricostruzione può sembrare ai più demodé rispetto al dominante ICT – Information and Communication Technologies, spesso tradotto nel franco-italiano TIC – Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, costrutto ministeriale, a cui si è soliti far seguire “applicate all’istruzione” o “all’educazione” o “alla formazione”. Sembrerebbe un lessico neutro da tutti accettabile ed invece conferma il determinismo tecnocratico, per cui la “tecnologia” è la padrona, e la pedagoga o la didattica sicut ancillae (fantesche) ne devono curare l’applicazione/gestione, non solo nella prima casa dell’istruzione e dell’educazione (scuole, centri di formazione
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professionale, università), ma anche nella seconda casa dei loisirs (teatri, cinema, musei, stadi, mass-media, Internet, ecc.). Favorevole al costrutto “tecnologie didattiche” e non “tecnologie educative”, frutto anche di cattiva traduzione dall’inglese, ho scelto e difeso la centralità della “comunicazione educativa”, entrando a gamba tesa nel dibattito internazionale oltre 20 anni fa sulle riviste dell’AUPELF (Associazione delle Università parzialmente o interamente di lingua francese) e dell’ICEM (Consiglio Internazionale per i Media Educativi)1. Premessa storico-critica
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Dalla seconda metà degli anni ’60 a tutti gli anni ’70 la dicotomia “educazione ai media/educazione con i media” trovò alimento, da un lato, negli studi sociologici sulle comunicazioni di massa5 e in quelli psicologici sui processi percettivi-cognitivi-emotivi6 condizionati dall’esperienza audiovisiva e, dall’altro lato, nell’irruzione del computer, che si sarebbe rivelato agente principale dell’innovazione tecnologica non solo della comunicazione, ma della produzione e dell’organizzazione del lavoro. D’altra parte negli stessi anni la ricerca pedagogica e didattica sulle teorie dell’apprendimento, sull’individualizzazione dell’insegnamento, sulla programmazione per obiettivi, sull’organizzazione del curricolo, sulla costruzione delle abilità e delle competenze, sulla valutazione dei risultati, costituì le basi di quella “pedagogia scientifica”, empirico-sperimentale, da cui derivò la “rivoluzione dell’insegnamento” di cui parlava Richmond, guidata dalle Tecnologie dell’istruzione, che a loro volta andavano ad incrociare una rete interdisciplinare di “nuove scienze” come la teoria della comunicazione, la cibernetica, la scienza cognitiva, la semiotica, la teoria dei sistemi, l’informatica, le telecomunicazioni. Gli anni ’60 e ’70, assieme alla ricerca sul nuovo medium computer, videro anche la riflessione matura sul sistema complessivo dei media nell’educazione, in particolare di quelli audiovisivi, a partire dall’originalità delle provocazioni di Mc Luhan, che tagliava nettamente con l’interpretazione sociologica delle comunicazioni di massa, esaltando i media come “protesi” fisiopsicologiche dell’uomo, determinanti nell’influenzare non solo le modalità percettive ma anche i modi del conoscere, per cui i distinti linguaggi della comunicazione (orale, scritto, a stampa, radiofonico, televisivo, ecc.) avevano scandito lo sviluppo sociale, culturale, tecnologico dell’umanità. I media “caldi” e “freddi” avevano dominato così le differenti civiltà, per cui Ong poteva distinguere tre “ere” (orale-aurale, alfabetico-gutemberghiana, elettrico-elettronica) e Cloutier, con occhio rivolto all’educazione del nuovo “uomo di Emerec”, parlare delle quattro “stagioni” della comunicazione (interpersonale, d’élite, di massa, dei
sulle tecnologie Il punto di vista da cui intendo iniziare questa riflessione – dopo un trentennio di proposte, ricerche, interventi sulla formazione iniziale e in servizio degli insegnanti2 – è radicale: se le scienze dell’educazione, in primis la pedagogia e la didattica, non sono in grado di riconoscere che il loro territorio dal 900 (“secolo dei media”3 e non solo “secolo della scuola”) è innervato dalle tecnologie, non potranno individuare correttamente i fini, le competenze, i modi e i tempi della formazione degli insegnanti. E questo riconoscimento è possibile solo ripercorrendo criticamente le tre metamorfosi (multimedialità, interattività, virtualità) che le tecnologie hanno innescato nella comunicazione educativa, segnando profondamente gli apprendimenti formali dell’istruzione ma anche non formali dell’esperienza lavorativa e informali della vita quotidiana4. Questo riconoscimento ha le radici negli anni ’70 e ’80 del ’900 quando non solo ci affrancammo dalla concezione sussidiaria degli audiovisivi e poi delle nuove tecnologie informatiche nei confronti della comunicazione educativa e didattica, centrata sul linguaggio verbale del docente in aula, ma superammo anche la dicotomia “educazione ai media/educazione con i media”. Il riferimento è a due paradigmi scientifici e pedagogici dialettici, quello “semiologico” che considera centrale la conoscenza del linguaggio (cinematografico, televisivo, audiovisivo, e oggi aggiungeremmo multimediale) e dei suoi valori/significati/sensi (informativi, sociali, estetici) – i media come “oggetto” di studio, e quello “tecnologico” che considera centrale l’uso delle diverse tecniche (fotografiche, grafiche, cinematografiche, video-televisive, audio-visive e oggi aggiungeremmo computer grafiche, telematiche) nei processi di insegnamento-apprendimento, in quanto l’immagine essendo “rappresentazione analogico/digitale” della realtà, garantisce rispetto alla “mediazione”, su cui comunque va esercitata verbalizzazione e interpretazione per giungere alla conoscenza – i media come “strumento” di studio.
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self-media). Nel 1974 gli psicologi americani dell’educazione D. Olson e J. Bruner, ponendosi nella linea mcluhaniana, affermarono nel noto saggio Learning through Experience and Learning through Media che i vari sistemi simbolici collegati ai diversi media producono “specifici modelli di abilità mentali” determinando così i processi dell’apprendimento e della conoscenza e quindi ciò che chiamiamo intelligenza. In un nostro saggio del 19797, sostenemmo che anche la pedagogia e la didattica avevano finalmente portato a compimento un faticoso cammino critico nei confronti dei media nell’educazione e che si stava aprendo una nuova epoca in cui centrale sarebbe diventata la “comunicazione educativa integrata” con un “sistema multimediale”, guidato dalla “tecnologia didattica” e qualificato dai “processi” linguistici e logici di strutturazione del sapere, psicologici e metodologici di funzionalizzazione dell’apprendimento, didattici e organizzativi di utilizzazione dei media e di lavorazione dei prodotti tecnologici. Si intendeva dire che la dicotomia “educazione ai media/educazione con i media”, ovvero paradigma semiotico-ideologico versus paradigma tecnologico-funzionalista, trovava soluzione nel paradigma didattico-comunicativo ovvero nell’azione educativa di lettura-scrittura attraverso i media, che è allo stesso tempo conoscenza critica dei linguaggi mediali contestualizzati socialmente, uso dei media tecnologici nello studio-apprendimento individuale e collaborativo dei saperi, forma espressivo-artistica originale di comunicazione tecnologica e sociale8. All’inizio degli anni ’80 la riflessione pedagogica e la ricerca didattica più avvertita intorno ai media – e ne dava ampia e informata testimonianza anche nel raffronto internazionale Cosimo Scaglioso9 – era finalmente in grado di ispirare e di sviluppare una ampia azione educativa nell’università, nella scuola, nella formazione professionale.
La revisione dei programmi della Scuola Media del 1979, il varo dei Nuovi Programmi della Scuola Elementare nel 1985 in sostituzione di quelli del 1955, l’entrata in vigore dei nuovi Orientamenti per la Scuola Materna nel 1991 al posto di quelli del 1969, offrirono alla scuola di base italiana, pur nella disomogeneità dell’intervento riformatore, una formidabile chance per introdurre sistematicamente nei curricoli formativi i cosiddetti linguaggi non verbali (corpo, suono, immagine) come oggetti culturali, come strumenti di studio, come forme di espressione e di comunicazione10. MPI, IRRSAE, Enti Locali, Associazionismo professionale (CIDI, MCE, AIMC) intervennero con un piano generale di aggiornamento che coinvolse tutti gli insegnanti della scuola materna ed elementare, attraverso la mobilitazione di docenti e ricercatori universitari, personale dirigente e docente della scuola. Un grande contributo, da un lato, alla riflessione epistemologica sui linguaggi e sui media visivi e audiovisivi e, dall’altro lato, al confronto nazionale e internazionale della miglior produzione didattica mediale della scuola fu dato, per tutti gli anni ’80, rispettivamente dalla rivista bilingue (italiano e francese) Quaderni di Comunicazione Audiovisiva e Nuove Tecnologie11 e dalla Rassegna Internazionale “Audiovisivi & Scuola” di Mondavio12. La presenza italiana all’interno dell’ICEM – organismo non governativo filiato dall’UNESCO al quale aderiscono attualmente circa trenta Paesi da tutto il mondo (oltre a quelli europei: USA, Giappone, Canada, Messico, Israele, Nigeria, ecc.) – fu in quegli anni molto intensa, tanto da vedersi affidata l’organizzazione nel 1989 dell’Assemblea Generale e del Convegno Internazionale “Multimedia: Produzione, sperimentazione e valutazione di pacchetti multimediali per la formazione manageriale, professionale e scolastica”13. Nel 1985 viene avviato il 1° Piano Nazionale per l’introduzione dell’Informatica nella scuola secondaria superiore rivolto agli insegnanti di matematica e fisica del primo biennio finalizzato a mettere in condizione docenti e studenti di usare le tecnologie informatiche. Solo dal
La formazione degli insegnanti ai nuovi linguaggi e alle nuove tecnologie
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terventi del FSE, si prepararono con corsi biennali post-lauream non solo i primi mediatecari italiani, ma più adeguatamente i Tecnologi della comunicazione formativa19, in grado di progettare-gestire interventi educativi con i media audiovisivi, informatici e multimediali nell’ambito educativo-scolastico, sociale-sanitario, giornalistico-massmediale. Un secondo intervento che segnò gli anni ’90 e che coinvolse tutte le scuole medie inferiori del Paese, fu la formazione e la successiva utilizzazione della nuova figura professionale dell’Operatore Tecnologico20. Si trattò di una grande occasione di dibattito culturale e pedagogico, che dimostrò sia l’originalità di un dominio culturale e disciplinare, quello delle tecnologie dell’istruzione, ben radicato nell’autonomia epistemologica della didattica intesa come “scienza sperimentale e normativa che ha come oggetto l’organizzazione, la gestione e l’ottimizzazione delle azioni formative”, sia la necessità di una figura professionale di specializzazione trasversale rispetto ai saperi disciplinari, che rappresentasse la complessità dei media nel contesto sociale ed educativo, segnato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allo stesso tempo causa ed effetto, sostanza e forma del mutamento e dell’innovazione. La figura dell’Operatore Tecnologico21 fu delineata nel suo profilo professionale (componenti strategiche, tecniche, operative), didattico (multimedialità e trasversalità progettuale), organizzativo (specializzazione e gestione del contesto scolastico-lavorativo); nelle sue competenze scientifiche (processi di apprendimento con i media, linguaggi audiovisivi e cultura dei massmedia, linguaggi digitali e reti di comunicazione), didattiche (programmazione didattica con le tecnologie, micromondi e ambienti di apprendimento, didattica integrata e tecnologie per l’handicap) e organizzative (gestione degli spazi e organizzazione dei laboratori a supporto degli insegnamenti, gestione dei tempi e collaborazioni con gli insegnanti). L’OT ha rappresentato, nel tempo, l’espressione migliore dell’insegnante-esperto multimediale che, riconosciuto tale dai suoi colleghi, ha saputo introdurli (vero scaffolding peer to peer!) alla cultura e all’uso delle tecnolo-
1992, con l’allargamento ai docenti dell’area linguistica (PNI 2 – Rete), si fa strada l’idea che l’uso del computer e dei relativi software andasse reso pedagogicamente significativo con le tecnologie ipermediali e telematiche. I pochi insegnanti coinvolti in queste esperienze nelle scuole POLO, si trasformano in “formatori-tutor per i loro colleghi14. I temi dell’interattività, a cui era stato dedicato il Convegno ICEM del 1988 in Olanda15 e della multimedialità, anticipati in solitudine nel mondo pedagogico italiano fin dal 198616, dovevano diventare indicatori di qualità di una nuova “educazione ai/con/attraverso i media”, nel senso di dare vita ad ambienti di apprendimento determinati “dall’uso integrato di tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Integrazione delle specificità tecnologiche dei vecchi e nuovi media, delle loro potenzialità rappresentativo-semantico-espressive e delle strategie educative di interazione comunicativa. Per diffondere queste linee di ricerca e di azione fu lanciata una nuova rivista “MultiMedia. Comunicazione, Formazione e Tecnologie”, che rappresentò per alcuni anni un luogo di riflessione epistemologica sui media, nel passaggio alla CMC (Computer Mediated Communication) e all’uso degli ipertesti nella didattica17, di proposte metodologiche e di esperienze didattiche, di studi sui nuovi linguaggi e nuovi media, di informazione dettagliata sull’evoluzione delle tecnologie didattiche e sulle loro applicazioni. Si arrivò anche a realizzare il primo Annuario Italiano del Multimedia, con l’inventario critico di tutta la produzione educativa. Due altre iniziative importanti degli anni 90 vanno segnalate, anche per gli effetti prodotti nel tempo. Per intervento dell’ISFOL e di alcune Regioni (fra cui Piemonte, Lombardia, Trentino, EmiliaRomagna, Lazio, Puglia, Calabria, Basilicata) si studiò un sistema di catalogazione dei materiali didattici audiovisivi, del software per l’istruzione, dei prodotti/pacchetti multimediali e si diede vita ad una rete nazionale di mediateche al servizio della formazione professionale e dell’educazione permanente18. Si aprirono così nel decennio successivo servizi mediatecari in molte Regioni e, attraverso in-
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per innovare la didattica e con essa la scuola italiana, occorreva andare oltre l’idea e la pratica dell’alfabetizzazione informatica e delle sue metodologie di ricerca delle informazioni e di esplorazioni/uso di software, verso una comunicazione educativa iper-multimediale praticata tutorialmente da insegnanti ed allievi, attraverso una metodologia off/on line cooperativa e collaborativa. Per operare questo passaggio occorreva formare insegnanti, particolarmente competenti e motivati all’uso delle tecnologie, a diventare formatori/tutor per i loro colleghi. Pubblicando nel 1991 il 1° Rapporto sulle Tecnologie educative nelle scuole del Veneto24, a conclusione di una indagine avviata nel 1989 in 1220 scuole, avevamo individuato sul campo le esigenze di aggiornamento e di formazione professionale degli insegnanti, mettendo a punto attraverso la ricerca empirica nuove metodologie e tecnologie di Formazione a Distanza25, sperimentate e applicate per un decennio con IRRSAE, Regioni ed Enti di Formazione Professionale e poi direttamente condotte come Università di Padova a partire dal 1997-98 con il 1° corso di perfezionamento (10 UU.DD multimediali) in Tecnologie della comunicazione educativa, continuato poi dai colleghi delle Università di Ferrara e Bari. Seguirono quattro edizioni del nuovo corso di Multimedialità e Didattica, una di Manager di reti e una del corso di Gestione di Reti e Contenuti in Ambienti Scolastici e Formativi. Si qualificarono così negli anni oltre 1800 insegnanti esperti26 provenienti da tutte le regioni, prima che partisse nel gennaio 2003 FORTIC, il nuovo Piano nazionale di formazione degli insegnanti sulle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione27. FORTIC fu pianificato a livello nazionale in tre percorsi: a. il primo per circa 160.000 docenti (20 per scuola) finalizzato a fornire competenze di base per l’integrazione delle TIC nell’attività didattica; b. il secondo per circa 14.000 insegnanti (almeno 1 per scuola) indirizzato all’acquisizione di competenze avanzate circa l’intreccio fra TIC e didattica;
gie nella comunicazione didattica, operando il passaggio dai vecchi media audiovisivi ai nuovi media informatici fino alla multimedialità interattiva di rete. Senza la valorizzazione sistematica di queste figure, non solo di provenienza OT – vero patrimonio di competenze pedagogico-tecnologico-didattiche – non si sarebbe riusciti a rendere efficace il Programma di sviluppo delle Tecnologie Didattiche nel sistema scolastico nato con il Ministro Lombardi nel 1995 attraverso la sperimentazione di MULTILAB e realizzato con il Ministro Berlinguer (1997-2000), attraverso un finanziamento di miliardi per rendere “multimediali e telematiche” 15.000 scuole di tutti i livelli. Tre gli obiettivi fondamentali: a. educare gli studenti alla multimedialità e alla comunicazione; b. migliorare l’efficacia dell’insegnamento disciplinare e dell’apprendimento attraverso l’uso delle tecnologie; c. migliorare la professionalità progettuale, metodologica e tecnologica degli insegnanti. Il programma gestito in autonomia dalle scuole per i Progetti 1A (formazione degli insegnanti) e 1B (multimedialità in classe), si è sviluppato anche con Progetti nazionali speciali (es: insegnamento della lingua straniera nelle elementari) e pilota. Questi ultimi erano finalizzati a sperimentare, in numero limitato di scuole e con il supporto di esperti e ricercatori, soluzioni didattiche, tecnologiche, organizzative in grado di pilotare l’innovazione futura. In particolare vanno segnalati perché centrati sulla formazione degli insegnanti: il progetto Multilab sul confronto di modelli didattici sull’uso della multimedialità sperimentati nelle scuole22; il progetto Polaris sull’uso di ambienti di lavoro cooperativo on line23; il Progetto Telecomunicando sulla sperimentazione della videoconferenza a supporto del lavoro collaborativo tra le scuole, con produzione di ipermedia nell’area artistica; il Progetto Muse per l’autoformazione degli insegnanti di scuola primaria sull’educazione musicale, attraverso CD ipermediali. Alla ricerca di un modello per l’e-teacher Al termine di questo piano ci si rese conto che
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ti a svolgere nei corsi la funzione di tutor-senior (in presenza e on line) per i loro colleghi, per molti dei quali (quasi 20.000 dei percorsi B e C) si sono aperte poi prospettive analoghe di impiego nelle singole scuole. Proprio per favorire questa specializzazione di docentiesperti e per venire incontro anche alle difficoltà dell’INDIRE nella gestione delle attività di formazione del personale della scuola neoassunto o impegnato in progetti ministeriali di aggiornamento e non ritenendo più sufficienti i corsi di perfezionamento e aggiornamento in “e-Learning e formazione integrata” (2003/2004), abbiamo attivato nel 2004 il primo Master on-line in Tutoring per la formazione a distanza (web-enhanced, blended, on line) con docenti provenienti da sei università italiane e straniere29 (P.C. Rivoltella, G. Salmon, B.M. Varisco, P.G. Rossi, P. de Waal, R. Di Nubila, G. Trentin, C. Petrucco, P. Ghislandi, R. Trinchero, C. Sorge, G. Costa). La ricerca sul modello pedagogico-didattico da adottare nella formazione dell’e-tutor e dell’e-teacher, in quanto esperti di strategie di comunicazione educativa e di mediazione didattica attraverso le tecnologie, è stato l’obiettivo perseguito in due anni di sperimentazione30. Al di là dei contenuti del programma modulare e dell’articolazione del curricolo svolto in modalità blended (presenza/rete/campo)31, si è formalizzata una strategia autoriflessiva sul percorso di apprendimento, attraverso azioni di orientamento-riorientamento, negoziazione sulle macroaree di competenze trasversali, riflessioni personali sulle competenze specifiche, supporto tra pari in un forum specifico, che hanno portato alla redazione di un “portfolio”, come strumento di autoregolazione di processi di apprendimento e di consapevolezza dello sviluppo delle proprie capacità personali e professionali32. Il modello formativo, sperimentato e messo a punto nelle due edizioni, era finalizzato alla costruzione di tre tipologie di competenze: socio-comunicative di facilitazione dei processi di apprendimento attraverso scaffolding cognitivo, di moderazione dei processi di negoziazione sociale attraverso scaffolding emotivo, di modellazione della funzione dell’e-tutor/e-
c. il terzo per circa 5.000 docenti (1 per ogni rete di scuole) orientato all’acquisizione di competenze specialistiche informatiche e telematiche per progettare-organizzare e gestire reti di istituto e/o territoriali. Il primo prevedeva 120 ore (60 in presenza e 60 in autoformazione), tranne il percorso C di 168 ore (84 in presenza e 84 in autoformazione), con moduli-unità didattiche e materiali uguali per tutti, preparati da alcuni IRRE supportati da editoria privata. La gestione era delle Direzioni Regionali, che si sono affidate per gli interventi a Scuole Polo, Università, Enti di formazione, Agenzie private accreditate. INDIRE ha erogato i materiali tramite la sua piattaforma-ambiente di comunicazione PUNTOEDU e l’INVALSI ha condotto monitoraggio e valutazione con quattro rilevazioni: iniziale su atteggiamenti e competenze possedute; intermedia su grado di soddisfazione; finale su soddisfazione e autovalutazione delle competenze acquisite; dopo un anno sulla ricaduta della formazione nell’attività didattica. La valutazione complessiva dei corsi A,B,C, stando al campione Invalsi, presenta un quadro sicuramente positivo, rispetto all’obiettivo generale di concepire le TIC come un potenziale di innovazione didattica, che richiede competenze professionali specifiche, non solo tecnologiche. Una analisi in profondità è stata condotta26 nel Dipartimento di Scienze dell’educazione di Padova attraverso una ricerca empirica su un campione stratificato di 3.084 insegnanti e dirigenti provenienti da tutte le province e scuole del Veneto, indagando su quattro macro aree: le TIC per il miglioramento degli obiettivi curricolari; la formazione degli insegnanti e l’aggiornamento delle competenze; la gestione scolastica delle TIC; le attività e i prodotti realizzati dagli studenti. La situazione si è presentata confortante, anche se si sono evidenziati limiti e bisogni. L’analisi fattoriale delle variabili socio-culturali ha confermato l’influenza significativa dei tipi di scuola, ma non della differenza di età degli insegnanti. FORTIC ha rappresentato soprattutto una grande occasione di sviluppo di professionalità per un numero notevole di insegnanti chiama-
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cesso alle informazioni, per la condivisione delle informazioni prodotte direttamente, per la comunicazione interpersonale mediata da computer sincrona e asincrona, con il fine di costruire comunità di pratica di docenti. In questo quadro europeo va segnalato per la sua funzione anticipatrice il Progetto DIDAPAT35, che ha coinvolto docenti e dirigenti delle scuole del Trentino, ed ha sicuramente permesso di raggiungere risultati probanti circa l’acquisizione di conoscenze, abilità e capacità nell’uso delle LIM-Lavagne Interattive Multimediali e dell’AVAC-Ambiente Virtuale di Apprendimento Collaborativo, basato su Moodle. Tre aree di competenze dei docenti rispetto alle cinque sopra elencate sono emerse dalle sperimentazioni condotte nelle classi, anche se con intensità diverse: 1. conoscenze psicopedagogiche sui tipi di apprendimento (adattivo, interattivo, collaborativo) e sulle strategie comunicativotecnologiche per attivarli; 2. capacità di sviluppare professionalmente le competenze proprie e dei colleghi nell’utilizzo pedagogico delle ICT e in particolare delle LIM, anche come strumenti di ricerca-azione; 3. capacità di individuare e valutare le buone pratiche, contestualizzando lo sviluppo delle ICT all’innovazione complessiva dell’insegnamento e al miglioramento dei risultati di apprendimento degli allievi e della qualità della scuola. Con specifico riferimento alle tre tipologie di competenze (pedagogiche, tecnologiche, comunicative) dell’e-teacher/e-tutor da noi proposte, dinamicamente intrecciate nello sviluppo di professionalità dei docenti e dei dirigenti scolastici36, ci pare che andrebbero poste a tema del prossimo futuro nel Progetto del MIUR Cl@ssi 2.037: a. abilità nell’uso dell’hardware e delle applicazioni relative alle ICT, con particolare familiarità e sicurezza nell’agire dentro l’ambiente MOODLE per moderare il flusso comunicativo (push/pull), gli interventi (continui/mirati), il feed-back (individuale/collettivo);
teacher attraverso l’esercizio trasparente della leadership; tecnologiche di gestione delle risorse multimediali (content learning), di ambienti interattivi (come MOODLE), di network (scolastici e territoriali); strategiche di accesso alla comunicazione e alla selezione delle risorse attraverso l’integrazione dei contesti d’apprendimento, di personalizzazione dei percorsi e di autoregolazione degli apprendimenti attraverso la riflessione metacognitiva, di monitoraggio e valutazione delle azioni formative attraverso capacità di coordinamento33. Le esperienze formative di Didapate e di Cl@ssi 2.0 nel quadro europeo delle competenze Il quadro completo di riferimento delle competenze del docente nell’uso delle ICT e del loro sviluppo (nella progressione da aspirante e praticante per arrivare a consulente) è delineato nel Syllabus europeo sull’insegnante “pioniere”, risultato finale del Progetto U-learn,seguito per l’Italia dall’ITD-CNR di Genova34. Vengono individuate cinque tipologie di competenze relative: 1ª. alla conoscenza scientifica degli ambienti di apprendimento contestualizzati e dei relativi processi adattivi, reattivi, regolativi sia a livello individuale che collaborativo; 2ª. alle abilità di utilizzo delle ICT nelle didattiche disciplinari (reperimento, scelta e applicazioni dei software; siti web rilevanti, motori di ricerca e tesauri disciplinari; realizzazione e produzione di materiali didattici attraverso editor, ecc.); 3ª. alla organizzazione scolastica e all’impatto delle ICT sul modello istituzionale e sulla programmazione di istituto, con l’acquisizione di specifici strumenti e software per la gestione delle classi e dei servizi scolastici; 4ª. allo sviluppo professionale personale e dei colleghi attraverso attività blended di formazione in servizio, con metodologie di ricerca-azione coinvolgenti le classi; 5ª. all’information haudling e alla collaborazione, attraverso l’utilizzo della rete per l’ac-
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b. capacità didattiche di progettazione per integrare in classe (la LIM può essere un facilitatore e amplificatore) le potenzialità delle ICT (ambiente, applicativi, software didattico, siti web specializzati, produzione diretta di learning object) nella propria area disciplinare; c. capacità strategico-gestionali di progettazione per l’utilizzo pieno delle ICT nell’organizzazione degli Istituti e nel rapporto con le famiglie e con il territorio e di sviluppo delle competenze (tecniche, cognitive e soprattutto etiche) nell’uso di Internet da parte dei ragazzi (valorizzazione degli strumenti del web 2.0), dotando tutti gli studenti e docenti di un Net-book. Conclusione L’uso sistematico e integrato delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e di Internet, che ne è allo stesso tempo il driver e il meta-medium, nelle azioni formative finalizzate a sostenere e sviluppare i processi di apprendimento – corretta definizione di e-Learning – comporta tre sfide per il sistema scolastico e formativo38. La prima sfida nel pensare l’educazione del domani è fare propri il concetto e la pratica dell’apprendimento aperto e flessibile, ridefinendo le categorie di spazio e tempo, comunque determinanti nella didattica in presenza, sul campo e on-line. Le TIC permettono finalmente agli ambienti educativi formali/artificiali – come quelli scolastici – di essere contemporaneamente chiusi e aperti. Chiusi in quanto devono progettare e realizzare percorsi formativi e curricolari, monitorabili e verificabili nei loro esiti e riconoscibili in nuclei di specificità disciplinari e di corrispondenti conoscenze/competenze. Aperti in quanto devono ipotizzare uno sviluppo delle molteplici forme del sapere, attraverso i materiali, le esperienze, le fonti e le comunità presenti nella rete. In tale contesto l’approfondimento disciplinare, la ricerca più aggiornata, l’apprendimento incidentale – propri di Internet – possono mobilitare risorse connesse alla creatività, alla
flessibilità cognitiva e al rispetto della diversità delle persone e dei contesti di vita. La seconda sfida sta nel passaggio da un insegnamento basato sulle conoscenze curricolari ad una didattica centrata sulla costruzione sociale delle “competenze per la vita”, attraverso comunità di discorsi e di pratiche, reali e virtuali, nella società “connessa” in rete. L’innovazione degli “ambienti formativi” passa attraverso l’integrazione ricorsiva reale/virtuale (scuola-Internet), costruendo azioni educative radicate nelle comunità reali delle classi (condizioni etiche di impegno reciproco) e proiettate nelle comunità virtuali delle reti (coinvolgimento in imprese sociali). Le risorse culturali e didattiche dei contesti reali e quelle remote proprie della rete vanno costruite-condivise attraverso una negoziazione continua, possibile solo riferendosi ad “ontologie” di dominio scientifico esplorabili via web (ad esempo con CMAP), e ad “antropologie” di condivisione sociale pedagogicamente significative. La terza sfida, ma anche la grande chance della scuola e dei suoi attori, è quella di partecipare direttamente – attraverso le Tecnologie dell’Informazione (che trattano conoscenze e saperi) e della Comunicazione (che trattano linguaggi e relazioni sociali) – ai processi di produzione della cultura e non solo della sua trasmissione alle nuove generazioni. Due diversi paradigmi culturali e scientifici, uno informazionale e un relazionale, reggono rispettivamente le Tecnologie dell’Informazione, in quanto “tecnologie di prodotto”, e le Tecnologie della Comunicazione in quanto “tecnologie di processo”, e ne spiegano lo sviluppo attraverso le metamorfosi della multimedialità, dell’interattività e della loro amplificazione sociale attraverso Internet (virtualità). Educazione e istruzione si traducono in “azioni formative” finalizzate (strategie, metodi, tecniche) ad aiutare i soggetti ad organizzare, sviluppare, riflettere sul proprio apprendimento. Gli “ambienti formativi integrati” sono segnati dalle dinamiche didattiche che relazionano i processi di informazione (organizzazione scientifico-disciplinare dei saperi) con i processi di conoscenza (ricezione, esplorazione, contestua-
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lizzazione) e con i processi dell’apprendimento (paradigmi: cognitivista, interazionista, costruttivista). La scuola può diventare così luogo originale di costruzione mediatica dell’immaginario simbolico, regolatore dei comportamenti sociali. Le innovazioni “innescate” dalle tecnologie possono operare cambiamenti significativi nel sistema scolastico e formativo, se gli insegnanti acquisiranno non soltanto abilità tecniche – l’uso del computer e di Internet di impara “a casa” come risposta a nuovi bisogni di comunicazione quotidiana – ma tre tipologie di competenze: pedagogico-progettuali per organizzare ambienti integrati di apprendimento (formali, non formali, informali); metodologico-didattiche per gestire esperienze educative simulate; linguistico-espressive per produrre materiali multimediali-interattivi in specifici ambiti del sapere.
Proponiamo dunque un “passaggio al futuro” che richiede consapevolezza pedagogica, perché quando entrano in rete i luoghi e gli attori della formazione si abbandona per sempre l’ideologia della protezione a favore della contaminazione culturale e sociale. E la contestualizzazione globale-locale non riguarda solo le discipline, chiamate a confrontarsi con l’innovazione-diffusione in tempo reale dei saperi scientifici, umanistici e naturali, artistici, tecnologici e con le nuove domande dei saperi sociali, ma riguarda anche educatori-insegnanti-formatori, chiamati a confrontare finalità e metodi delle loro azioni formative (progettazione, comunicazione, valutazione) con una nuova trasparenza etica nell’esercizio della professione docente. 1 L. Galliani, “Technologies de l’éducation ou technologies de la communication educative?”, in Perspectives Universitaires, Revue de l’AU-
Note
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PELF, II, 3, 1984, pp. 159-169; L. Galliani, “Initial and in-service training of teachers in the new technologies – the Experience of Italy”, in EMI-Educational Media International, XXIV, 1, 1987, pp. 27-31. P. Rivoltella, “Educare nella società dell’informazione” in Vita e pensiero, LXXXV, 4, 2002, pp. 358373. L. Messina, Percezione e comunicazione visiva, Cleup, Padova, 2000. L. Galliani, “Appunti per una vera storia dell’educazione ai media, con i media attraverso i media”, in L. Galliani, R. Maragliano (a cura di), Educazione ai media, Studium Educationis, 3, numero monotematico, 2002, pp. 563-576. L. Galliani, “I mezzi di comunicazione”, in B. Vertecchi (a cura di), Il secolo della scuola, La Nuova Italia, Firenze, 1994, pp. 289-305. L. Galliani, “Metamorfosi della comunicazione e nuovi paradigmi pedagogici”, in Pedagogia oggi, III, 2, 2004, pp. 12-36. L. Galliani, Il processo è il messaggio, Cappelli, Bologna, 1979. Questa nostra elaborazione, argomentata ampiamente nei cap. V e VI del Il processo è il messaggio (1979), risulta confermata a livello internazionale nel passaggio dalla visual literacy alla media literacy proposta nel 1983 da Len Masterman (“L’èducation aux medias: problèmes thèoriques et possibilités concrètes”, in Perspectives, 2, 1983). C. Scaglioso, Mass-media, La Scuola, Brescia, 1984. Dal Settore di Tecnologie della Comunicazione Educativa del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova uscirono in quegli anni: M. Bernardinis, Il linguaggio delle immagini. Come educare il bambino a saper vedere, Fabbri, Milano, 1978; L. Galliani (a cura di), La progettazione audiovisiva nella scuola, Editrice MCM, Pavia, 1984; L. Galliani, Educazione ai linguaggi audiovisivi, SEI, Torino, 1988 (con contributi di M. Bernardinis, C. Amplatz, R. Costa, F. Luchi); L. Galliani (a cura di), Pacchetto multimediale di educazione ai linguaggi audiovisivi, Italiana Audiovisivi, Verona, 1989 (adottato in 1500 scuole elementari); M. Bernardinis, R. Costa, L. Galliani, Immagine continua. Mappe cognitive e percorsi
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curricolari dai 3 ai 14 anni, CLEUP, Padova, 1993 (che sintetizza parti di una ricerca-azione condotta con l’IRRSAE Lombardia). Furono pubblicati quindici numeri, di cui nove monotematici: Informatica e didattica; Audiovisivi e informatica nella didattica delle scienze; Comunicare con la lavagna luminosa; Mediateche e catalogazione del software; Multimedialità, interattività e videodisco; Immagine e parola nella comunicazione didattica; Tecnologia nella/della formazione; Televisione e educazione; Formazione a distanza degli insegnanti. La Rassegna, nata nel 1984 accanto ala Biennale del film per ragazzi di Pisa, continuò fino al 1989 e rappresentò un appuntamento nazionale e internazionale non solo per insegnanti, dirigenti, esperti universitari, che poterono finalmente aprire una riflessione comune e motivata su teorie/pratiche dell’“educazione attraverso i media”, ma anche per i bambini e i ragazzi presenti alle proiezioni e alle discussioni, veri protagonisti in quanto autori delle opere (diatape, cartoni animati, film, video, software). La Rassegna – preceduta da Rassegne Regionali (15 a partire dal 1986) con selezioni delle opere migliori (scuola elementare, media, superiore e Centri di Formazione Professionale) – sottoponeva a valutazione anche i prodotti di insegnanti ed esperti e i prodotti dell’industria/editoria audiovisiva. La Rassegna dal 1987 assunse dimensione internazionale con una sezione, organizzata con il CIME/ICEM (International Council for Educational Media/Conseil International des Moyens d’Enseignement), in cui l’autore di queste note rappresentava l’Italia. Gli atti del Convegno furono pubblicati dal Dipartimento per l’Informazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri: Multimedialità, Serie Quaderni, Roma 1990. Un numero intero della rivista EMIEducational Media International (XXVI, 4, 1989), dal titolo Multimediality 89 (coeditor L. Galliani) fu dedicato agli interventi più significativi del convegno. B.M. Varisco (a cura di), Nuove tecnologie per l’apprendimento. Guida all’uso del computer per insegnanti e formatori, Garamond, Roma, 1998. R. Tucker (a cura di), Interactive media – The humain issues, Proceedings of the international conference and exhibition “Interactivity ‘88”, London, 1989. L. Galliani, “Multimedialità, interattività e strategie di apprendimento”, in Quaderni di comunicazione audiovisiva e nuove tecnologie, III, 9, 1986; L. Galliani, “A pedagogic model of multimediality”, in Educational Media International, XXVI, 3, 1989; L. Galliani, “Multimedialità”, in G. Flores d’Arcais, Nuovo Dizionario di Pedagogia, Edizioni Paoline, Milano, 1992. L. Galliani, “Monomedia, multimedia, ipermedia: il senso della ricerca educativa”, in Ipermedia: nuovi strumenti per la didattica, Atti del Convegno 30-31 ott. 1991, CSI Piemonte, 1991. L. Galliani (a cura di), Mediateche e catalogazione del software, 8, 1986, numero monotematico dei Quaderni di Comunicazione Audiovisiva e Nuove Tecnologie; ISFOL (a cura di M. Verzolini), Sintesi: un servizio innovativo per gli insegnanti, Franco Angeli, Milano, 1995. Su questa linea uscirono ad opera del CERFAD – Emilia Romagna la Guida ai criteri di qualità dei materiali per la formazione a distanza (Bologna, 1996) e dell’ITD di Genova la Guida al software didattico (a cura di G. Olimpo e M. Ott). I corsi biennali realizzati nelle Regioni Puglia e Calabria costituirono, a 10 anni di distanza, la base per il Diploma e oggi laurea in Tecnologo della comunicazione audiovisiva e multimediale, attivato dall’Università di Ferrara. La legge 426 de 6-10-88 prevedeva l’introduzione nella scuola di nuove figure professionali, non direttamente impegnate nell’insegnamento disciplinare: l’operatore psicopedagogico, il coordinatore dei servizi per l’orientamento scolastico, il coordinatore dei servizi di biblioteca, l’operatore tecnologico. L’O.M. 282 del 108-89 istituì le quattro figure, che entrarono in servizio dall’anno scolastico 1989-90. A quattro IRRSAE (Lazio, Lombardia, Veneto, Puglia) furono affidate prima la progettazione delle nuove figure e poi la loro formazione, attraverso corsi pilota che si svolsero dal luglio 1990 ai primi mesi del 1991 nelle quattro Regioni. Nel Seminario nazionale di studio, organizzato nel marzo 1994 dall’IRRSAE Veneto e dal MPI per valutare formazione e impiego delle nuove figure nelle scuole, emerse che gli Operatori Tecnologici in servizio erano circa 2.300. L. Galliani (a cura di), L’operatore tecnologico, La Nuova Italia, Firenze, 1993; F. Foschini (a cura di), L’operatore tecnologico, la multimedialità e l’innovazione. Una ricerca dell’IRRSAE Emilia-Romagna, La Nuova Italia, Firenze, 1994. A. Calvani, “Tecnologie didattiche nella scuola. Recenti iniziative ministeriali e ricerca educativa”, in SIRD, La ricerca didattica per la riforma della scuola, Tecnodid, Napoli, 1997.
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23 G. Trentin, Telematica e formazione a distanza: il caso Polaris, Franco Angeli, Milano, 1999. 24 L. Galliani, Le tecnologie educative nelle scuole del Veneto, CLEUP, Padova, 1991. 25 Nuove tecnologie e aggiornamento degli insegnanti, Numero monotematico dei Quaderni di comunicazione audiovisiva e nuove tecnologie, IV, 15, 1988. 26 Nel 2000 ci fu affidato dal MPI-IRRE Veneto un Progetto di Ricerca su “Lo sviluppo professionale degli insegnanti: l’insegnante esperto”. Cfr. L. Galliani, P. Manfredi, S. Santonocito, Studio e ricognizione dei modelli didattici, organizzativi e tecnologici per la formazione on line degli insegnanti nell’ambito della formazione continua, Pensa MultiMedia, Lecce. Negli anni 1999 e 2000 coordinammo un PRIN-Progetto di Rilevante Interesse Nazionale, cofinanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, dal titolo Modelli e prototipi di didattica multimediale e interattiva per la formazione degli insegnanti, con gruppi di sei Università: Padova (prof. Galliani), Firenze (prof. Calvani), Roma Tre (prof. Vertecchi), Ferrara (proff. Magri, Frignani), Bari (prof. Baldassarre), Salerno (prof. Fragnito). 27 Il piano FORTIC fu varato dal Governo Berlusconi nel maggio 2002, in attuazione del Piano Nazionale di Formazione sulle Competenze Informatiche e Tecnologiche del Personale della Scuola, deliberato dal Governo Amato con decreto 22/3/2001 nell’ambito del Piano di Azione per la Società dell’Informazione, in sintonia con il Piano di Azione e-Europe di Lisbona e finanziato con i proventi dell’asta dei sistemi telefonici UMTS. 28 S. Santonocito, Le TIC nella didattica. Una ricerca empirica sui docenti e le scuole del Veneto, Cleup, Padova, 2006. 29 L. Galliani, “Comunità di insegnanti che apprendono on line”, in L. Galliani, La scuola in rete, Laterza, Roma-Bari, 2004. 30 L. Galliani, P. De Waal, Verso un nuovo modello didattico per la formazione degli e-tutor, in Atti del II Congresso Nazionale della Società Italiana di e-Learning (SI e-L), 2005. 31 A. Nadin, “Istruttore, facilitatore, moderatore: il Master in ‘Tutoring per la formazione a distanza’”, in L. Galliani, R. Costa, E-Learning nella didattica universitaria, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005. 32 A. Nadin, Autovalutazione in rete. Uso del portfolio nella formazione post-lauream, Tesi di Dottorato in Scienze Pedagogiche – Università di Padova, 2008. 33 L. Galliani, P. De Waal, Learning face-to-face, in action and on-line: integrated model of lifelong learning, EDEN Conference Proceedings, European Distance and e-Learning Network, Helsinky, 2005. 34 Cfr. V. Midoro (a cura di), Dossier U-LEARN-Insegnanti pionieri: un fattore chiave nell’innovazione della scuola, TD-Tecnologie Didattiche, III, 203, 2003. 35 A. Crestoldi (a cura di), Il frutto della conoscenza, Progetto DIDAPAT, Verona, 2008. 36 L. Galliani, “Metodologie integrate (in aula, in rete, sul campo) per la formazione continua degli insegnanti”, in Generazioni, III, 5, 2006, pp. 245-268. 37 Il Progetto Cl@ssi 2.0 innestato dal MIUR sul precedente progetto riguardante l’inserimento delle LIM nelle scuole, vuole sperimentare longitudinalmente dalla 1° alla 3° media in 156 classi (6 o 12 per Regione) l’uso avanzato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, all’interno di metodologie di innovazione educativa e didattica, fondate sull’integrazione di apprendimenti formali e informali coinvolgenti tutti gli insegnanti e gli studenti. 38 L. Galliani, La scuola in rete, Laterza, Roma-Bari 2004.
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studi Dalla Mediateca Didattica alla Biblio-Mediateca: alle radici di un percorso comune di media education LUCA LUCIANI
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I risultati della ricerca teorica e della sperimentazione nell’ambito dell’educazione mediale, oggi più conosciuta come media education o media literacy, per potersi tradurre in concreto sviluppo e miglioramento sociale deve trovare attuazione, sotto forma di azione formativa, anche all’esterno del mondo della scuola. Quindi soprattutto in Italia ci sarebbe bisogno di concrete azioni politiche formativo-culturali, di spazi idonei, nonché di una specifica e approfondita preparazione delle persone che dovrebbero attuare questa proposta formativa nei confronti di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro età. L’articolo, grazie ad un’indagine storica, che si svolge nell’ambito delle tematiche relative agli studi sulla comunicazione nella dimensione pedagogico-didattica, va dalle elaborazioni concettuali e sperimentali relative alla Mediateca Didattica e arriva a tracciare la proposta teorica della Biblio-Mediateca come una delle possibili nuove vie italiane per l’educazione mediale. Per raggiungere questo obiettivo si sono anche esplorate le esperienze e i contributi teorici sviluppatesi nell’ambito delle biblioteche e delle ricerche di biblioteconomia. L’articolo contribuisce poi a dimostrare anche la consequenzialità teorico-operativa tra gli studi e le sperimentazioni relativi all’educazione mediale compiuti in Italia dagli anni ‘50/’60 del secolo scorso e quelle più recenti che operano nello stesso campo di ricerca ed azione utilizzando la ormai più diffusa denominazione di media education.
The results of theories and of experimentation in the field of media education or media literacy need to be enforced also outside the domain of teaching: only in this way they will produce true development and social improvement. Therefore, above all in Italy, concrete political and educational actions should be undertaken, suitable spaces should be found, and a specific and thorough preparation of the people in charge of this educational proposal should be made, in order to supply all citizens with media education, apart from their age. The article, thanks to an historic survey in the fields of communication, pedagogy and teaching, begins with projects and experiments on the didactic media library, to end up with a hypothetical proposal of compromise between the traditional library and the media library as a possible Italian way to media literacy. To come to this result, experiences and theories developed in the field of libraries and researches of biblioteconomy have been surveyed. The article, then, demonstrates the theoretical and concrete links between the studies and experiments in media education made in Italy during the fifties and the sixties, and more recent ones operating in the same research field, using the by now widespread denomination of media education.
Parole chiave: Media; Mediateca; Didattica; Media Education; Biblio-Mediateca
Keywords: Media; Media library, Didactics; Media Education; Books and media library
’idea e la necessità della Mediateca e in modo particolare l’idea della “mediateca didattica” con specifiche finalità educative ha una lunga storia1. Fin dagli anni ’40 e ’50 del secolo scorso il prof. D’Arcais nei suoi studi relativi al linguaggio cinematografico aveva sempre posto il suo particolare interesse di ricerca scientifica nella relazione educativa che tale forma espressiva poteva assumere nei confronti sia dei bambini che degli adulti (in quella che oggi definiremmo come una prospettiva di formazione conti-
nua (lifelong learning). Ne è testimonianza la sua antesignana e precoce collaborazione con la Biennale di Venezia. Prima nell’ambito del settore di film per l’infanzia e immediatamente dopo, nel 1950, con l’organizzazione del primo “Festival Internazionale del film scientifico e didattico”, in un periodo in cui negli ambienti universitari tali collaborazioni o non venivano affatto considerate o venivano considerate come “une ingérence illégitime du monde du spectacle dans le domaine universitaire”2.
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Questa attenzione costante alle forme espressive cinematografiche e alla loro azione da un punto di vista educativo soprattutto nell’extrascuola, l’interesse per i testi e le forme espressive mediali in grado di agire cognitivamente sulla formazione dell’individuo, la considerazione valoriale di tutti i ruoli e le funzioni che concorrono alla realizzazione di un testo mediale, e quindi anche di quelli tecnologico-espressivi, trovò una concretizzazione con la nascita ufficiale nell’Università di Padova del Centro di Cinematografia Scientifica nel 19613.
La Mediateca: un’idea pedagogica correlata alla ricerca e alla produzione mediale Nel 1971 il Centro fu dotato di locali dove trovarono spazio anche la biblioteca, una sala di proiezione, una cineteca, uno spazio equipaggiato per la microcinematografia, dei locali dedicati al montaggio e uno spazio per il Circuito chiuso televisivo oltre alle numerose attrezzature tecnologiche per la ripresa delle immagini in movimento e dei suoni, per il montaggio e per la visione. In questo modo l’attività del Centro negli anni si è progressivamente estesa a quelle produttivo-realizzative. Sempre Galliani ci riferisce che le attività si assestarono principalmente su quattro settori: “diffusion de films scientifiques et didactiques, télévision en circuit fermé, service de documentation, collaboration à des travaux de recherche universitaire”4. Già in quegli anni per quanto riguarda più specificatamente le attività del Centro legate alla cineteca, il catalogo, aggiornato ogni due anni, era formato da 400 titoli di film significativamente diffusi presso i docenti dei vari istituti universitari con una richiesta fino a 600 film all’anno che a volte non si riusciva materialmente a soddisfare. Il servizio di documentazione comprendeva: circa 700 cataloghi di film italiani e stranieri in grado di offrire una buona panoramica generale dei documenti disponibili; una raccolta libraria che disponeva di circa 500 opere specialistiche (sulla fotografia, sul cinema, sulla televisione, sui mezzi audiovi-
sivi) e che riceveva regolarmente una ventina di riviste italiane e straniere; una documentazione tecnica relativa a tutte le attrezzature tecniche fotografiche, cinematografiche, televisive e audiovisive costantemente aggiornata e catalogata. Di fatto, come si può facilmente desumere, si trattava già di una “biblio-Mediateca specialistica”, così come già iniziavano ad emergere diversi problemi di catalogazione in relazione ai testi mediali audiovisivi che diventavano poi anche in parte problemi distributivi. Galliani5 così descrive l’attività di questo servizio in relazione agli obiettivi indicati nella costituzione del nuovo Centro di Cinematografia Scientifica e Audiovisivi avvenuta nel 1977 e che ne ha ereditato le strutture precedentemente costituite6: “médiathèque, avec recherche, conservation, copie, distribution de produits audiovisuel (film, cassettes, diatapes, micro-film, etc.) au service des Instituts universitaires de Padoue et du reste du pays”. Parallelamente, sempre su impulso iniziale del prof. Giuseppe Flores D’Arcais, presso l’allora Facoltà di Magistero, tra il 1964 e il 1966 furono introdotti tre nuovi insegnamenti: “Storia e critica del cinema”, Storia del teatro e dello spettacolo” e “Metodologia e didattica dell’audiovisivo”7. L’Istituto di Pedagogia si dotò nel 1967 di un circuito chiuso televisivo (CCTV) e nel 1973 di un’Unità Mobile Televisiva destinata alle riprese in esterni. A queste attrezzature sono da aggiungere tutta una serie di attrezzature tecnologiche fisse e mobili più tradizionali come proiettori di diapositive, macchine fotografiche, macchine da presa e relative moviole di montaggio 8/S8/16 e 35 mm, retroproiettori, ma anche più innovative per l’epoca e più specificatamente televisivo-elettroniche, come svariate telecamere, diversi banchi per la regia video, videoregistratori da un pollice, videoregistratori portatili, e diverso altro materiale tecnico di produzione. È attorno a questo Laboratorio Audiovisivo sperimentale, correlato all’allora Cattedra di Metodologia e didattica degli audiovisivi, che si è formato progressivamente un significativo gruppo universitario di ricerca e di produzione-sperimentazione nell’ambito degli audiovisivi. Un gruppo di ricerca che calandosi in
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questo “clima culturale e [nel]le radici pedagogiche-didattiche di una attività di ricerca scientifica ... iniziò a collegare riflessione teorica con esperienza sul campo, applicazioni in contesto scolastico con le prime sperimentazioni di laboratorio”8, dimostrando di voler superare la dicotomia esistente tra «educazione ai media» ed «educazione con i media», e che ne ha proposto fin dagli inizi una riuscita sintesi pedagogica-didattica riassumibile con la definizione di «educazione attraverso i media». Così Galliani ne delinea la problematica: “si intende dire che la dicotomia «educazione ai media/educazione con i media», ovvero paradigma semiotico-ideologico versus paradigma tecnologico-funzionalista, trova soluzione nell’azione didattica di lettura-scrittura, cioè nella comunicazione educativa mediatizzata (attraverso i media), che è allo stesso tempo conoscenza critica dei linguaggi mediali contestualizzati socialmente, uso dei media tecnologici nello studio-apprendimento individuale e collaborativo dei saperi, forma espressivo-artistica originale di comunicazione tecnologica e sociale”9. Comunque l’ambito di ricerca ed azione creativo-realizzativa che fa capo a questo gruppo di ricerca, e che a noi interessa qui maggiormente sottolineare è quello della scrittura con le tecnologie e i linguaggi mediali. «Scritture» che si diramavano in diverse direzioni produttive e di ricerca sebbene fossero portate avanti con un comune intento processuale: a) nella preparazione dei futuri insegnanti all’utilizzo delle tecnologie audiovisive e alla realizzazione di testi mediali, attraverso “l’utilisation créative des techniques et à l’élaboration de messages, produits et matériels audiovisuels, si possible dans une optique éducative”10; b) nella realizzazione in proprio di testi e materiali audiovisivi di tipo educativo da sottoporre nelle scuole per il loro controllo sperimentale in relazione alla loro funzionalizzazione didattica e alle problematiche pedagogico-comunicative che incontrano i processi di scrittura e lettura dei testi mediali educativi; c) nell’organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti mediante e verso le tecnologie audiovisive grazie a
laboratori produttivi di film-making, telemaking, etc., “qui ont entre autres contribué a èbranler quelques «certitudes» hâtivement acquises par des experts qui n’avaient pas suffisamment pris en considération la diffèrence existant entre la lecture de l’image et l’écriture par l’image, c’est-a-dire entre apprendre et comprendre les messages audiovisuel d’une part, et utiliser les techniques et produire des messages, d’autre part”11; d) nella realizzazione di trasmissioni televisive attraverso l’uso del circuito chiuso televisivo (CCTV), primo esempio italiano, collegate a degli insegnamenti universitari di scienze umane, “dans le «désert italien» de la recherche sur l’enseignement télévisé à distance”12; e) in relazione al territorio e in collaborazione con gli enti preposti alla sua gestione (Regione, Provincie, Comuni, enti di formazione professionale e dei lavoratori, scuole, enti di assistenza sanitaria, istituzioni culturali locali, informazione locale, associazioni di quartiere, biblioteche e altri centri culturali, consigli di fabbrica, associazioni di ricreazione sociale e del tempo libero dei lavoratori, etc.), puntando alla “formazione dei formatori”13, grazie all’organizzazione di corsi di formazione strutturati attraverso laboratori mediali con finalità produttivo-realizzative; f) nell’ambito di ricerche condotte con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sperimentando il mezzo televisivo con diverse comunità locali italiane (Montepulciano, Monticchiello, Revine) impegnate in esperienze teatrali collettive, da un lato con lo scopo di identificare le diverse forme della cultura locale, dall’altro per una riflessione delle comunità locali sulle proprie forme storiche di appartenenza grazie alle potenzialità espressive di questo mezzo e del suo linguaggio, e producendo quindi dei videofilm di documentazione antropologica. Tutto questo «fare», tutto questo «saper fare» audiovisivo connesso alle problematiche fruitive di funzionalizzazione pedagogico-didattica dei testi mediali educativi, doveva necessariamente rispondere all’esigenza di ca-
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talogare funzionalmente, sia da un punto vista didattico che da quello conservativo, questi e altri testi audiovisivi. Una volta catalogati i testi e ingaggiata una «battaglia» con le biblioteche tradizionali esclusivamente cartacee di allora, l’orizzonte scientifico e operativo successivo si sarebbe orientato anche nella direzione di uno spazio-sistema in grado di avvicinare i potenziali fruitori con il maggiore grado possibile di consapevolezza fruitiva e di utilizzazione finalizzata in ambito formativo dei testi mediali didattici. Uno spazio-sistema in grado di garantire una distribuzione locale, regionale e nazionale, e non ultimo in grado di assicurare anche la conservazione dei testi e la loro eventuale trasmissione nel tempo. Per questo gruppo di ricerca, che come abbiamo visto era significativamente inserito nel clima e nel dibattito culturale e scientifico di quegli anni intorno ai media, che progressivamente stavano occupando uno spazio sociale sempre più importante da un punto di vista comunicativo e quindi anche necessariamente culturale, formativo e politico, quello spazio-sistema aveva il nome di Mediateca anche se con una particolare specializzazione didattica. Queste necessità e intuizioni si incontrarono poi, da un punto di vista operativo e di ricerca, con esigenze e sensibilità analoghe che si stavano sviluppando a livello nazionale e che sfociarono in un articolato progetto-azione coordinato dall’ISFOL14. Così, dai primi anni ’60 e poi, successivamente, nei ’70, in qualche modo in anticipo sul percorso di altre istituzioni pubbliche preposte a questi scopi, nell’ambito scientifico universitario, si cominciavano ad elaborare delle soluzioni teoriche in relazione alla comunicazione audiovisiva che chiarivano come nell’ambito della problematica “[...] de la «politique des media audiovisuel’, le plus important est celui de la ‘formation’, sans lequel la recherche, la documentation et la production n’auraient aucune chance d’etre clairement définies au niveau conceptuel et pratique. Il ne faut pas perdre de vue qu’il s’agit de communication audiovisuelle et que cette dernière a sa place dans la «formation» humaine et professonelle. Et nous pouvons ici reprendre notre slogan, à savoir, qu’il faut être capable d’«écrire» et non seulement de lire; ce qui im-
plique une definition des objectifs qui, sans être exclusivement didactiques, ne peuvent qu’être abordés dans une optique méthodologique”15. Ed è proprio in questo contesto teorico e con questo centrale obiettivo formativo-culturale, che comincia a delinearsi, per poi diventare proposta concreta, l’idea di una Mediateca didattica di livello locale/provinciale/regionale. Un istituto che si propone anche come luogo di sperimentazione produttivo-realizzativa nell’ambito degli audiovisivi con finalità educative di formazione permanente in ambito mediale. Così a questo proposito di nuovo d’Arcais: “il est également impensable que la communication audiovisuelle ne soit pas elle même portée à favoriser la circulation de l’information et de la documentation, ce qui ne signifie pas qu’il faille pour cela la reconvertir en communication de masse, car ce qui nous intéresse est la qualité, et non la quantité. Ceci rend nècessaire la création de médiathèque: il faut parvenir à des systèmes unitaires de classification, à un système de consultation rapide et d’utilisation à tous les niveaux et selon toutes les modalités possibles des documents audiovisuels”16. Verso la Mediateca didattica: valutazione e schedatura dei testi audiovisivi didattici Era dagli inizi degli anni ‘7017, sebbene in forma certamente pioneristica rispetto al generale contesto sugli studi relativi ai media e alle loro potenzialità educativo-formative, che in questo contesto scientifico ci si era posti la problematica di una schedatura dei testi audiovisivi didattici che fosse conseguente ad una più possibile consapevole e completa valutazione comunicativa e pedagogico-didattica. Ma come ci dice Galliani18 è “ad iniziare dal 1980 – essendosi posto il problema della costruzione di Mediateche e quindi della valutazione-classificazione del software audiovisivo – [che] abbiamo revisionato assieme al dott. F. Luchi la scheda-questionario da noi elaborata negli anni ‘70 e [che] abbiamo costruito analogamente assieme alla dott.sa R. Costa una scheda-questionario per gli audiovisivi statici”.
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Le motivazioni di base relativamente all’ideazione di una scheda-questionario furono innanzitutto la convinzione che “la massima efficacia di un audiovisivo didattico è rilevabile soltanto da un controllo delle modalità del suo inserimento all’interno del processo insegnamento-apprendimento, per cui non esiste un software garantito didatticamente prima dell’uso”19, e per l’adozione di una prospettiva formativa nei confronti di insegnanti ed eventuali futuri mediatecari, i quali andavano preparati, da un lato, ad un utilizzo consapevole, funzionale ed efficace dei media nell’attività educativa e, dall’altro, ad una consapevolezza didattico-mediale nelle procedure-azioni di catalogazione, nel ‘reference’, nella distribuzione e nella conservazione dei testi mediali didattici. Ce ne fornisce una conferma l’indicazione di Galliani20 relativamente al fatto che “l’indispensabile qualificazione dell’insegnante può essere aiutata da un sistema di analisi/classificazione del software didattico21 che operi non solo censimento, ma ne indichi anche qualità scientifiche e didattiche, e da un sistema di raccolta/circuitazione, che metta a disposizione in tempo reale l’informazione e possa rispondere in tempi ragionevoli alle richieste di programmi”. Veniva quindi ipotizzata una sorta di imponente ricercaazione per alcuni aspetti non formalizzata (il tempo e la quantità), che avrebbe voluto/dovuto coinvolgere insegnanti e scuole di ogni ordine e grado e alla cui base, oltre a diversi e vari momenti formativi sui media, vi era lo strumento della catalogazione attraverso la scheda-questionario e la parallela costituzione di Centri Territoriali di Servizi Multimediali, che come argomenteremo nel prossimo paragrafo, potremmo forse meglio e più chiaramente definire come Mediateche didattiche. Sebbene il ‘focus’ ideativo e progettuale di questo gruppo di ricerca fosse stato inizialmente quello di realizzare una scheda-questionario per la valutazione e la schedatura dei testi mediali audiovisivi cinetici e statici in funzione didattica, in realtà l’orizzonte finale a cui ci si rivolgeva era quello dell’istituto della Mediateca, sia in funzione critica in relazione alla verificata mancanza di alcune loro funzioni fondamentali e per l’eccessiva semplificazione delle modalità di catalogazione che adottavano,
ma anche in funzione di supporto teorico auspicando per questi istituti una loro compiuta e diffusa realizzazione, possibilmente anche a vocazione educativa, oltre alla loro effettiva affermazione nel panorama culturale e formativo. Ad ulteriore conferma terminiamo questo paragrafo con l’affermazione di Galliani secondo cui “non si può avviare a soluzione il problema della catalogazione del software didattico (audiovisivo o informatico) senza contemporaneamente costituire Centri Territoriali di Servizi Multimediali da collegare entro un sistema interattivo di politica culturale ed educativa ...”22. Il Centro Territoriale di Servizi Multimediali ovvero la Mediateca didattica Dagli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso con la fine del monopolio radiotelevisivo e l’incessante evoluzione tecnologica delle nuove forme comunicative, che mutavano la relazione tra fruitore e realizzatore, c’era la speranza operativa, supportata da esigenze scientifiche e culturali, che una volta espansa l’area sociale delle nuove tecnologie della comunicazione fino a comprendere oltre alla scuola, l’extrascuola, il cosiddetto tempo libero, l’ambito più generale della cultura, della formazione degli adulti, della formazione permanente, che infine Stato, Regioni e Enti Locali decidessero di adeguare con un maggior grado di consapevolezza, come nel caso di molte altre esperienze straniere in modo particolare europee23, i propri interventi. Si sarebbe dovuto trattare quindi di improntare un piano sistematico in grado di rispondere all’accrescimento continuo della domanda di servizi, esplicita o implicita, nel settore della comunicazione mediale e delle nuove tecnologie della comunicazione. In un articolo che aveva il compito di tracciare le linee guida di progettazione per un Centro Territoriale di Servizi Multimediali, Luchi sottolinea come lo Stato intervenisse già sotto forma di gestione, regolamentazione e finanziamento, nei confronti della comunicazione audiovisiva di massa24, in modo particolare quella radiotelevisiva e cinematografica, e come da questo ne conseguisse che proprio lo
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Stato si legittimava e si riconosceva nel ruolo di tutela e di indirizzo in questo ambito comunicativo-sociale degli “interessi della collettività”25. Interessi che erano dettati “dall’evidente incidenza degli audiovisivi sull’individuo e sulla collettività [e che] fa definire strutturale il loro ruolo per gli odierni processsi informativo-formativo-culturali e di riflesso per l’intero assetto societario: l’approssimarsi della rivoluzione informatica e le nuove potenzialità che gli audiovisivi potranno sviluppare nell’interazione sistematica con il computer, accentueranno, se possibile, questo ruolo”26. Allora, se gli audiovisivi potevano rivestire questa funzione strategica di compensazione e al contempo di alfabetizzazione ai media con il coinvolgimento della scuola, dell’extrascuola, del tempo libero, degli spazi dell’assistenza, del sostegno sociale, dei luoghi e delle istituzioni della cultura e della formazione permanente, sarebbe stato necessario garantire un insieme stabile, organizzato e continuativo di risorse di tipo finanziario, tecnico, formativo e progettuale. Questo insieme di azioni veniva immaginato sotto forma di intervento pubblico, come peraltro già avveniva da diverso tempo in molti altri paesi europei, e lo si riconosceva come basilare per lo sviluppo tra i cittadini, nelle varie comunità di appartenenza, sia di specifiche competenze mediali critico-realizzative che per la formazione di un pubblico audiovisivo più consapevole, cercando di ottenere così un “controllo-partecipazione collettivo al sistema comunicativo, senza il quale [sarebbe risultata] comunque monca l’azione regolamentativa che lo Stato esercita sulle reti della comunicazione di massa”27. Tra le motivazioni che venivano addotte nel delineare la legittimazione di questo servizio vi era anche la soppressione del Centro Nazionale per i Sussidi Audiovisivi (nato nel 1956 e chiuso nel 1974) e dei collegati Centri Provinciali per i Sussidi Audiovisivi (1978) in vista di una ipotetica riorganizzazione con i Decreti Delegati per la scuola del 1976. Altro dato significativo che veniva portato a riprova della necessità dell’istituzione di un tale servizio erano le molteplici iniziative che venivano comunque adottate da Regioni ed Enti Locali nell’ambito della comunicazione audiovisiva e che si sosteneva finissero o in una ec-
cessiva parcellizzazione o in una eccessiva specializzazione nell’ambito dell’educazione agli adulti o della formazione professionale, confliggendo così con un complesso di bisogni comunicativi, quindi di richieste ed esigenze da parte di più gruppi sociali, particolarmente esteso e differenziato, anche se al contempo intrecciato. Si trattava quindi di proporre un Servizio integrato di comunicazione che agendo con consapevolezza nell’ambito della formazione continua avesse anche la capacità sia di costituire quel sistema integrato di risorse umane e materiali ad essa necessario, sia al contempo di essere in grado di erogare risposte coerenti e competenti rispetto alla molteplice varietà dei bisogni espressi dall’insieme del tessuto socio-culturale, da quelle necessariamente varie della formazione (scuole di diverso ordine e grado, formazione professionale, università, corsi di specializzazione e aggiornamento, etc.) a quelle altrettanto varie dell’extra-scuola. Ispirandosi, come già ricordato, ad alcune esperienze-modelli già da diverso tempo in atto in altri paesi europei come Germania occidentale, Olanda, Austria e Svizzera, ritenuti più consoni perchè più similari all’Italia per i rapporti esistenti fra gli ambiti nazionali e quelli regionali, si proponeva un modello organizzativo definito a “decentramento coordinato”28. Tale modello sistemico prevedeva tre livelli: uno nazionale, uno regionale e uno locale. Il Sistema operativo nazionale avrebbe dovuto avere compiti di indirizzo generale e di messa in comune di esperienze e materiali nonchè di tipo politico-organizzativo entro cui raccordare le diverse istituzioni e le relative specializzazioni in relazione alle rispettive aree di utenza. Tale livello operativo sarebbe potuto essere unitario o differenziato, ma se per Luchi29 la motivazione di questa possibile differenziazione stava nelle molteplici esigenze-richieste e conseguenti competenze specifiche, per Verzolini, più pragmaticamente e probabilmente in modo più realistico, l’ipotesi unitaria risultava difficilmente praticabile in Italia “perchè necessiterebbe di interventi legislativi finalizzati allo sviluppo della politica della comunicazione audiovisiva e multimediale di cui, ancora oggi il legislatore non ha
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maturato la necessaria sensibilità”30. Mentre, per quanto riguarda l’ipotesi del livello centrale differenziato si sarebbe potuto ricorrere ad un accordo, messo in atto operativamente da una apposita commissione, tra le diverse istituzioni che hanno maturato esperienze nell’ambito della comunicazione audiovisiva e delle tecnologie dell’educazione (Centro Europeo dell’Educazione di Frascati, Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze, Cinecittà, Associazione della cinematografia scientifica, ISFOL), per assumersi la responsabilità di attuare un’azione di indirizzo, di coordinamento e di servizio della rete dei centri territoriali ciascuno nell’ambito delle proprie competenze ed esperienze. Al secondo livello del sistema era posto il Centro Audiovisivo Regionale che era inteso come polo di riferimento istituzionale e organizzativo della rete locale. Tale livello era ritenuto il vero punto fondamentale di questo sistema, primariamente per soddisfare l’esigenza di decentramento di tale servizio. Se il livello nazionale offriva un quadro generale necessario di orientamento operativo, quello regionale era un inevitabile riferimento per le entità territoriali in quanto “scala ottimale di dimensionamento e strutturazione dell’intervento. Anzitutto perchè essa ricalca un’articolazione del territorio nazionale che ha profonde radici storico-culturali, alle quali si riconnette l’identità dei suoi abitanti e quindi la specificazione di quei bisogni cui il Servizio deve potersi intimamente collegare”31 A livello locale la proposta verteva su diverse entità istituzionali, in parte da creare ‘ex novo’ e in parte già esistenti, con compiti differenziati e poste su piani sfalsati. Nella parte alta di uno dei due piani si ponevano i Centri Audiovisivi Distaccati, che gestiti direttamente dal Centro Audiovisivo Regionale o in sintonia con questo, operavano in corrispondenza dell’ambito territoriale della Provincia, cui sarebbero stati delegati i coordinamenti delle strutture con le istituzioni formative e socioculturali. Sull’altro piano, quello che sta alla base della struttura “si colloca l’utenza ma in essa soprattutto quelle unità organizzate – biblioteche, scuole, ecc. – che possono a tutti gli effetti costituirsi come livello [base] della struttura: queste unità infatti, oltre ad essere
le prime destinatarie del servizio, possono capillarizzarne la distribuzione alle comunità che ad esse fanno capo [...] [divenendo] così veri e propri laboratori territoriali di servizio. È tramite questa rete capillare che la struttura può realmente rendere partecipe la collettività delle tecnologie audiovisive, trovando in essa il primario referente organizzativo in cui ha modo di esprimersi compiutamente la domanda dell’utenza e di svilupparsi organicamente e la risposta”32. Ecco di seguito una breve descrizione dei settori del servizio e delle relative azioni che venivano proposte per la struttura del Centro Territoriale di Servizi Multimediale33: a) Banca dati – di competenza del C.AV.R. Avrebbe avuto il compito di raccogliere informazioni e riferimenti su tutto quanto fosse accaduto relativamente all’audiovisivo statico o cinetico in ambito regionale sia di tipo formativo che culturale. Tali raccolte avevano lo scopo di evitare inutili repliche di sperimentazioni i cui risultati fossero già stati conseguiti da altre parti del sistema-struttura. b) Promozione-programmazione – competenza del C.AV.R. e solo parzialmente del C.AV.D.. Organizzazione di proposte culturali con l’obiettivo rendere più consapevoli gli utenti finali in relazione al ruolo comunicativo e sull’insieme delle potenzialità operative degli audiovisivi; c) Biblioteca specialistica – competenza del C.AV.R.. Era stata immaginata con il compito di realizzare una completa e sistematica raccolta dell’amplia pubblicistica che ormai esisteva sugli audiovisivi e che stentava ancora a trovare sistematici centri di raccolta. Sarebbe dovuta essere preposta alla redazione di particolari itinerari bibliografici; d) Mediateca – competenza di tutti e tre i livelli della struttura. Si ipotizzava che dovesse svolgere un importante compito di reperimento dei testi audiovisivi esercitando una scelta fortemente consapevole tra i circa 12.000 titoli formativo-didattici di testi audiovisivi che all’epoca venivano offerti annualmente sul mercato europeo, indicando all’utenza la scelta migliore per le loro esigenze informative e trovando solu-
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zione a problemi di copyright allora, come in parte ancora oggi, non risolti. Ad essa sarebbe stato delegato anche il delicato e fondamentale compito di valutazione-schedatura dei testi audiovisivi che doveva permettere la loro massima funzionalità didattica e operativa. Si prevedeva anche l’adattamento-equipaggiamento dei vari testi audiovisivi trattati e la funzione di servizio distribuzione programmi, sia come prestito che come consultazione in loco, ma anche via etere e via cavo o, con particolare sensibilità conoscitiva legata allo sviluppo della comunicazione (siamo nel 1985), per via telematica. Infine era previsto un accurato servizio di consulenza; Prestito hard (attrezzature tecnologiche per la visione) – in carico solo parzialmente al C.AV.R. e invece totalmente al C.AV.D. e ai Laboratori Territoriali. Avrebbe dovuto accompagnare il prestito dei testi audiovisivi quando ce ne fosse stato bisogno in relazione a situazioni estemporanee collettive (mostre, sperimentazioni, corsi di aggiornamento) Laboratorio tecnico – di competenza del C.AV.R. e del C.AV.D.. Per il livello locale si prevedeva la manutenzione corrente delle attrezzature, invece per il livello regionale si pensava alla possibilità di un costante collaudo tecnico sulle tecnologie in commercio. Consulenza hard (consulenza all’acquisto di attrezzature) – competenza C.AV.R. e parzialmente anche del C.AV.D.. Si trattava di giungere, attraverso le linee di politica audiovisiva adottata e l’esperienza concretizzata dal laboratorio tecnico, ad uno sviluppo razionale della dotazione delle tecnologie audiovisive territoriali e ad una serie di standardizzazioni tecnologiche che permettessero una diffusa compatibilità tra attrezzature. Produzione audiovisiva – si trattava di una competenza del C.AV.R., dei Laboratori Territoriali e solo parzialmente del C.AV.D.. Questa si sarebbe dovuta realizzare in modo particolare nei Laboratori Territoriali, diffondendo tale pratica come condizione di un’effettiva alfabetizzazione audiovisiva. La produzione era vista anche come il complemento necessario alla frui-
zione dei testi audiovisivi. Si prevedeva anche un livello produttivo professionale di testi audiovisivi che non ricalcasse però la produzione già reperibile nel mercato. La produzione era inoltre una significativa occasione di formazione per gli operatori territoriali (insegnanti, animatori, bibliotecari, ecc.); i) Edizione – competenza del C.AV.R. e del C.AV.D.. Si trattava di affidare soprattutto al livello regionale queste fasi della lavorazione del testo audiovisivo, che comportavano standard operativi di tipo professionale, necessari per arrivare al prodotto finito e per renderlo ottimale. l) Formazione e aggiornamento – competenza specifica del C.AV.R.. Non era stata immaginata come sostituto dell’inadempienza dell’epoca da parte dell’università nell’ambito della comunicazione mediale. Avrebbe dovuto operare nell’ambito della competenza regionale alla formazione professionale e in quella degli operatori socioeducativi e degli animatori (tecnici audiovisivi anche in funzione delle emittenti televisive private, dell’editoria audiovisiva o di altre agenzie del settore). Con la collaborazione degli I.R.R.S.A.E., i C.AV.D. avrebbero potuto svolgere l’aggiornamento specifico in ambito audiovisivo soprattutto nei confronti degli insegnanti; m) Ricerca e sperimentazione – di competenza fondamentalmente del C.AV.R. e in parte del C.AV.D. e dei Laboratori Territoriali. Per quanto riguarda il livello regionale si immaginava una dimensione sperimentale sostanzialmente intrinseca a tutte le varie attività, in grado di indagare a fondo i bisogni audiovisivi del territorio correlati alle risorse che questo era in grado di esprimere al fine di fornire delle coerenti linee guida, la verifica dei servizi, l’implementazione di interventi-pilota e lo sviluppo di capacità valutative dei testi audiovisivi prodotti e/o acquisiti. Era previsto anche un approccio sperimentale in relazione al ruolo e alle modalità d’uso degli audiovisivi a supporto alle attività condotte nelle scuole, nelle biblioteche, o in altre istituzioni socio-educative.
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Come si può evincere dalla tipologia dei servizi progettati e dagli obiettivi formativo-culturali tracciati, a parte la struttura sistemica a diversi livelli, si tratta di fatto della delineazione di quello che dovrebbe in gran parte costituire quell’istituto contemporaneo pubblico, più volte richiamato da manifesti e documenti dell’UNESCO e di altre organizzazioni internazionali e nazionali, che potremmo variamente denominare della Mediateca (in riferimento all’esperienza francese e in parte a quella regionale italiana), della Biblioteca multimediale (in riferimento all’esperienza dei paesi anglofoni), e della Biblio-Mediateca (in riferimento alla ancora sostanzialmente indefinita e possibile evoluzione dell’esperienza italiana). Come nel caso di questa istituzione pubblica, il progetto di Mediateca didattica mostrava attenzione all’informazione-formazione formale, informale e non formale, di tutti cittadini, qualsiasi fosse la loro provenienza e la loro iniziale preparazione culturale, ed era predisposto per agire in continua relazione in modo costante e dinamico, con gli altri istituti della cultura più o meno istituzionalizzati a livello sociale.
Dalla Mediateca didattica alla Biblio-Mediateca pubblica: istituti/concetti culturali per l’educazione ai media Come abbiamo visto è almeno dagli anni ‘60’70 che si sono cominciate ad ipotizzare e in qualche caso a sperimentare «mediateche didattiche» in grado di guidare gli utenti nei propri percorsi formativi in qualche modo strutturati e/o autoformativi informali. Ed è almeno da quegli anni, non a caso in corrispondenza con l’inizio della progressiva e più consistente diffusione di tecnologie della comunicazione ‘consumer’34, che anche le biblioteche (esclusivamente a livello episodico e marginale per quanto riguarda l’Italia) cominciano ad ospitare i media della comunicazione audiovisva. In alcuni casi poi, anche nel nostro paese, alcune Regioni (per es.: Friuli Venezia Giulia, Lazio), almeno a livello legislativo, arrivavano ad indicare che la biblioteca pubblica
aveva il compito di raccogliere/ordinare/ mettere a disposizione oltre ai libri anche ogni altro mezzo informativo-comunicativo35. A questo proposito Vecchiet ci ricorda anche che quando si teorizzava e si proponevano servizi audiovisivi nelle biblioteche pubbliche (nel nostro paese erano nell’ordine solo di qualche unità i casi concreti in cui trovavano realmente attuazione) si immaginava “[...] una fortissima occasione a disposizione della biblioteca pubblica per produrre documentazione locale e, ‘latu sensu’, cultura in proprio, attraverso i propri utenti. Perchè servizio audiovisivi non significava (limitatamente) la possibilità di proiettare, magari in un ciclo di cineforum, qualche film commerciale, ma era concepito soprattutto come laboratorio di documentazione locale […]”36. Sebbene questa esigenza educativa e formativa legata al servizio audiovisivi non si sia ancora concretizzata e diffusa realmente nel nostro paese, essa era comunque presente nei discorsi teorici della parte del movimento biblioteconomico più preparato ed aggiornato. Un altro passo di Vecchiet ci fa comprendere come in quegli anni le biblioteche pubbliche avevano avuto l’occasione, proprio a partire dalle nuove sezioni audiovisive, di delineare le loro potenziali specificità comunicativo-culturali: “[...] con le prime attrezzature audiovisive acquisite dalle biblioteche pubbliche, pronte a formare dei veri e propri laboratori di ricerca autonoma, in cui il possesso della macchina fotografica o di una telecamera, della lavagna luminosa o del proiettore di diapositive, di un lettore di videocassette o di una camera oscura, significava per la biblioteca non solo iniziare un rapporto assolutamente privilegiato con la scuola, ma poteva anche fortuitamente significare la raccolta di dati di assoluta unicità documentaria. O, quantomeno, l’inizio della formazione di una raccolta non più esclusivamente libraria [...]37. Una breve indicazione su come gli assunti teorico-operativi sulla potenzialità dell’educazione mediale in ambito biblio-Mediatecario, elaborati in quegli anni, si riverberano anche nell’esperienza italiana delle Mediateche regionali degli anni ‘80 e ‘90 per poi affluire alla nostra contemporaneità ce la fornisce Landucci: “il ruolo che il progetto [Mediateca 2000 – varato alla fine
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degli anni ‘90 –] ora riconosce alla Mediateca, quando si parla di didattica innovativa, di alfabetizzazione all’informatica, educazione alla multimedialità, non è molto dissimile da quello proposto circa vent’anni fa: allora si parlava più modestamente di educazione al linguaggio audiovisivo. [...] La diffusione della multimedialità non può essere slegata da programmi di educazione all’utilizzo delle sue risorse così come un tempo si è pensato a formulare programmi di educazione al linguaggio audiovisuale”38. Sta però ai biblio-mediatecari, che dovrebbero avere una specifica, approfondita e strutturata preparazione39, «ipotizzare/costruire/proporre» percorsi-approci alla conoscenza mediale nel suo complesso, anche ovviamente attraverso le loro tradizionali funzioni relative al catalogo, alla costituzione e collocazione tipologica delle collezioni, al supporto all’utente per un’effettiva ed accogliente funzionalità fruitiva dell’ambiente e delle tecnologie, al ‘reference’, amichevole, qualificato, disponibile, non invadente o supponente, e saggiamente intuivo. Infatti “l’autoapprendimento per essere realmente efficace deve essere, dove possibile, ammorbidito da processi comunicativi e relazionali tra le persone”40. Ci sembra inoltre di poter rintracciare anche in un suggerimento operativo di Cattaneo, in relazione all’esigenza di ripensare l’identità della biblio-Mediateca pubblica, una similitudine concettuale rispetto a quella appena delineata: “[...] primo elemento di ripensamento è il ruolo educativo esplicito a cui ci costringe la comunicazione multimediale con i mutamenti che induce nelle forme di diffusione dell’informazione, nelle modalità di apprendimento, nella capacità di operare su masse di dati che non hanno confronti nella storia dell’uomo. Il secondo elemento del ripensamento consiste nel proporre la biblioteca impegnata nella multimedialità come luogo non solo deputato alla fruizione oltre che del libro di altri media (video, cd e cd-rom), ma anche come luogo dove è possibile creare, sviluppare le nuove forme di produzione artistica, produzione che si caratterizza sempre di più per l’interdisciplinarietà dei linguaggi e per il lavoro di gruppo dove l’artista delle arti figurative è accanto al musicista ed entrambi lavorano con un informatico”41.
Del resto anche analisi abbastanza recenti sulla figura dell’esperto di educazione ai media (‘media educator’) individuano la biblio-Mediateca e i suoi spazi ludici (ludoteca), interni o anche esterni ad essa, come alcuni degli spazi fisici e sociali della sua possibile azione culturale didattico-formativa. Così “nel primo caso il ‘media educator’ potrebbe diventare quella figura, dotata di competenze integrate, cui affidare l’aggiornamento e la gestione del servizio di Mediateca, i servizi informativi multimediali, l’offerta formativa al territorio nell’ambito dei media e delle tecnologie (organizzazione di corsi, aggiornamento degli insegnanti, ecc.). Nel secondo caso, quello della ludoteca, il ‘media educator’ si potrebbe invece proporre come responsabile di una vasta area di esperienze di gioco e animazione che si possono organizzare attorno ai media, dalla televisione al computer, costituendo per il bambino un importante aiuto nel processo di adattamento educativo al loro consumo”42. Una conferma e un approfondimento proveniente dalla specifica progettualità teorica dell’ambito biblioteconomico e che va nella direzione dei nuovi possibili ruoli occupazionali nell’ambito dell’educazione ai media nella biblio-Mediateca ci è proposto da Cattaneo: “la Mediateca e la multimedialità [... possono essere] luoghi di una moderna bottega artigianale, per la sperimentazione di idee che possono trasformarsi in prodotti e in occasioni occupazionali. Ma per «ottenere» questo modello di Mediateca occorre che l’istituzione non conti unicamente sulle proprie risorse sia tecnologiche che di personale ma che sia in grado di mettere in campo un modello gestionale che definirei aperto. Il servizio Mediateca deve sapere coinvolgere gruppi di utenti nelle attività di animazione multimediale, favorire, mettendo a disposizione spazi e attrezzature, la formazione di gruppi di incontro e scambio di professionalità”43. Ad oggi almeno una parte del movimento biblioteconomico nel nostro paese, quella più avanzata da un punto di vista delle problematiche della contemporanità comunicativo-formativa, ha ormai compiuto relativamente all’educazione ai media un significativo percorso di adesione. Quello che manca ancora è purtroppo l’aspetto concreto della prassi pro-
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positivo-realizzativa come spesso e in campi diversi della cultura accade in Italia. Di fatto a mancare sembrano essere gli spazi adatti e specifici per queste attività formative oltre alle effettive proposte di «formazione continua» nel consolidamento più certo e definitivo della relazione tra «tecnologie mediali dell’informazione e della comunicazione» e le «biblio-Mediateche»44. Proviamo allora ad evidenziare attraverso gli interventi di diversi studiosi come, anche in linea con i contenuti di educazione ai media espressi dai diversi manifesti e dichiarazioni internazionali sulle biblio-Mediateche pubbliche, venga particolarmente considerato sia l’ambito dell’alfabetizzazione informativa ed informatica che quello più generale e omnicomprensivo dell’educazione ai media o alfabetizzazione mediale (‘media education’, ‘media literacy’). Prati, pur prendendo le distanze dagli specifici percorsi e modelli didattico-formativi sviluppati in ambito scolastico, finisce con l’affermare che “la biblioteca, oggi, deve a nostro avviso, sperimentare ed inventare un nuovo modo di insegnare; relazionare il doposcuola, o il dopolavoro, a ipotesi innovative di «tempo libero», di lavoro creativo. Un nuovo rapporto tra fantasia ed interazione tecnologica, dove la tecnologia non sia solamente il videogioco, il navigare senza meta su Internet. Dove la tecnologia riesca realmente ad aprire squarci di fantasia, far nascere nuove occasioni, o meglio ancora, nuovi progetti per il lavoro. [...] la biblioteca non sarà una scuola, ma un centro di didattica creativa che permetterà di mettere in relazione diretta necessità quotidiane, fantasie e lavoro. Nell’ipotesi del domani non dovremmo mai dimenticare che il ruolo della cultura (per non essere definitivamente emarginata) sarà quello di dare strumenti, creare metodi, porre prospettive per progetti di vita differenti, contribuire a realizzarli, all’interno della piccola comunità in cui la biblioteca si mette a disposizione. [...] «Didattica creativa» è, quindi, il primo punto che a nostro avviso potrà competere direttamente alla struttura della biblioteca tecnologica. [... E se] il primo è la necessità/utilità di imparare dalle «proposte» provenienti dalla realtà (il mondo informatico legato alla comunicazione è presente in quasi
tutti i meccanismi di svago intellettuale e non – videogiochi, Internet, ecc – [...]), il secondo è la necessità/utilità di adoperarsi affinché i frequentatori sviluppino un sistema personale di analisi e sintesi di queste «proposte» la capacità quindi di saper scegliere e saper valutare; il terzo punto è [infine] la capacità [...] di elaborare un sistema personale di utilizzo dei mezzi”45. Emerge poi anche l’urgenza di colmare un «divario culturale e digitale» di cui le istituzioni biblio-Mediatecarie dovrebbero farsi sempre più carico. Così se “la multimedialità, i CD-Rom, Internet (ma anche i video e i cd), la TV satellitare sono strumenti che possono ampliare la funzione dei servizi bibliotecari, che possono contribuire ad avvicinare nuovi segmenti di popolazione e ad imprimere un maggior ruolo culturale ed educativo della biblioteca a cui potranno corrispondere maggiori risorse per la stessa, [... contestualmente] promuovere la multimedialità nelle biblioteche vuole dire renderle soggetto educativo per fasce consistenti di popolazione che altrimenti verranno escluse da questo processo di alfabetizzazione. Le biblioteche pubbliche quindi come soggetto educativo pronte a confrontarsi su questo tema con le altre agenzie educative territoriali [...]”46. Nelle riflessioni legate all’educazione ai media viene anche ribadita in modo esplicito la consapevolezza della specificità dei diversi linguaggi mediali e della loro sostanziale equiparazione valoriale nella ricerca informativo-conoscitiva da parte degli utenti. Infatti, “[...] le tecnologie non servono solo a veicolare la mediazione catalografica: è importante che le biblioteche le usino anche come linguaggio, per accompagnare gli utenti nella scoperta di nuovi mezzi espressivi, di un nuovo modo di leggere, studiare e fare ricerca, nella scoperta di un nuovo modo di interagire con i testi e con i documenti. Ancora una volta le biblioteche possono essere il luogo di una nuova alfabetizzazione”47. Infine, ad emergere è anche l’idea e la consapevolezza della necessità della biblio-Mediateca come reale «laboratorio tecnologico-mediale», completamente attrezzata per essere in grado di svolgere servizi comunicativi di sus-
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sidio, di autoformazione informale e di formazione non formale. Così “la Mediateca veramente «utile» [... diventa] quella in cui sia possibile per l’utente, un docente uno studioso in genere, non solo consultare ma anche «realizzare» un CD-Rom, un nastro audio-video, una serie di lucidi per lavagna (da file grafici, ovvio) per una lezione o un esame; ricavando tutto questo da una sofisticata ricerca, sia ’in loco’ che in rete, tra tutti i materiali disponibili sull’argomento di interesse”48. Questa consapevolezza di un necessario adeguamento tecnologico delle strutture biblioMediatecarie emerge variamente, almeno a livello di proposizione teorica, e con la previsone di attivare tutte le possibili connessioni ormai viste come indispensabili si pone l’accento sul fatto che deve soprattutto “[...] essere dotata di una strumentazione che consenta di promuovere un’attività didattica permanente, attraverso la realizzazione di corsi di base rivolti in particolare alla scuola ed alla cittadinanza e tenuti da un operatore specializzato che svolga sia l’attività didattica collettiva sia un’opera di assistenza individualizzata e di consulenza alle ricerche”49. Stando quindi agli intenti teorici e alle indicazioni operative fin qui raccolte potrebbe sembrare che l’educazione ai media nelle biblio-mediateche del nostro paese sia una consuetudine che si svolge con una certa costanza e che coinvolge un numero significativo di persone. In realtà non è così: non solo sono ancora poco diffuse le Biblio-Mediateche e quelle minimamente costituite molto spesso non hanno fino in fondo la consapevolezza di esserlo, ma anche le proposte di educazione ai media sono prevalentemente episodiche e non arrivano a coinvolgere un numero sufficiente di persone. Al contrario, sarebbe proprio l’istituto della Biblio-Mediateca che oggi dovrebbe essere in grado di interpretare i compiti di
divulgazione e accrescimento formativo-culturale nell’ambito della comunicazione mediale e delle sue tecnologie. Per poter svolgere con compiutezza questi compiti sarebbe però necessario agire anche e soprattutto sulla formazione degli operatori professionali preposti alla conduzione di questo istituto culturale (bibliotecari). Infatti, ben sapendo che sarebbe comunque impossibile trasporre alla situazione attuale tutte le proposte delle ricerche del gruppo di studiosi alla base delle teorizzazioni sulla mediateca didattica, molti aspetti, dalla valutazione-catalogazione dei testi mediali alla loro funzionalizzazione didattica e alla specifica strutturazione di percorsi-processi formativi mediali, rimangono ancora oggi purtroppo sostanzialmente scoperti. Si tratterebbe probabilmente di predisporre dei corsi di aggiornamento, in qualche modo obbligatori per gli operatori in servizio, con l’obiettivo di formare dei Biblio-Mediatecari che almeno in parte possano ricalcare “quella figura di «tecnologo dell’educazione», da tempo prevista all’estero, [che sappia unire] capacità progettuali-produttive sui media e competenze relative alla loro finalizzazione educativa e culturale in genere”50. Purtroppo, quindi, si può di nuovo parlare di una certa avanguardia teorico-operativa51, che ha ben chiaro come dovrebbe essere implementato uno strutturato servizio socio-culturale di media education all’altezza delle esigenze comunicativo-formative contemporane, anche in relazione a quanto già da tempo accade negli altri paesi sviluppati, ma di fatto, in assenza di concreti impegni politico-amministrativi, questa resta sostanzialmente «solo» un’avanguardia e le varie azioni messe in campo si concretizzano soprattutto a livello sperimentale o in modo ancora estemporaneo e isolato.
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Note 1 Questa idea ha seguito e in un certo qual modo ha permeato le attività di ricerca e sperimentazione del prof. Flores D’Arcais prima, e poi del gruppo di ricerca che si è costituito intorno alla Cattedra di Metodologia e didattica degli audiovisivi dell’ex Facoltà di Magistero dell’Università di Padova. 2 L. Galliani, “Audiovisuel et Universitè: l’expèrience de Padue”, in Cahiers de communication audiovisuelle, I, 2/3, octobre 1983b, p. 123. 3 Dal 1964 il Centro acquisì una struttura più definita, sia nell’organizzazione direttiva, con un comitato di direzione interfacoltà composto da un direttore nominato dal Rettore e da un docente di ciascuna Facoltà nominato dal relativo Consiglio, sia nei suoi scopi e nelle sue finalità culturali, formative e scientifiche. La sintesi che ne faceva lo statuto del Centro è stata così riportata da Galliani: “Le centre se propose d’encourager l’étude de la cinématographie scientifique et de diffuser la connaisance sous les formes et avec les moyen les mieux adaptés, grace à des publications, à l’organisation de congrès, à des projections, des rencontres, des conférences et diverses autres manifestations”, Ivi, p. 123. 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 124. 6 Il nuovo Centro, oltre a quelle precedentemente possedute, aveva acquisito anche tutte quelle del Laboratorio Audiovisivo dell’Istituto di Pedagogia, grazie ad una riunificazione voluta dall’allora Senato Accademico con l’approvazione del Consiglio di Amministrazione. Se inizialmente si trattò di un duro colpo alle attività del Laboratorio Audiovisivo, questo riuscì ad essere abbastanza velocemente ricostituito grazie a dei finanziamenti del Ministero della Pubblica Istruzione. 7 Nel corso degli anni ‘70 gli insegnamenti di “Storia e critica del cinema” e di “Storia del teatro e dello spettacolo” e di Metodologia e Didattica degli Audiovisivi si staccarono dall’Istituto di Pedagogia per fondare un Istituto interfacoltà di Storia del Teatro e dello Spettacolo tra l’allora Facoltà di Magistero e quella di lettere e Filosofia. 8 L. Galliani, “Note introduttive - Appunti per una vera storia dell’educazione ai media, con i media, attraverso i media”, in L. Galliani, R. Maragliano (a cura di), Educazione ai media, in Studium Educationis, 3, 2002, p. 565. 9 Ivi, pp. 568-569. 10 L. Galliani, “Audiovisuel et Universitè: l’expèrience de Padue”, cit., p. 126. 11 Ivi, p. 129. 12 Ibidem. 13 In seguito ad una serie di esperienze condotte sia internamente che esternamente all’università nacque all’interno di quel gruppo di ricerca la convinzione che la “formazione dei formatori” fosse l’azione culturale e sociale fondamentale in relazione alle problematiche dell’audiovisivo nei confronti del monopolio comunicativo della radio-televisione. 14 L’Istituto, attivato dal Ministero del Lavoro e neonato in quel periodo, era dotato di un Centro Nazionale diFormazione e Produzione sito ad Albano Laziale. 15 G. Flores D’Arcais, “Introduction scientifique (Première Rencontre Européenne sur la Communication Audiovisuelle)”, in Cahiers de communication audiovisuelle, 1ére Année - n. 4 - décembre 1984, pp. 19-20. 16 Ivi, p. 21. 17 In una nota L. Galliani, “Valutazione e schedatura del software audiovisivo didattico”, in Quaderni di comunicazione audiovisiva, I, 2, 1983a, p. 79, ci informa che le prime schede di valutazione furono messe a punto da G. Bechelloni e altri e che servirono nel 1971 e 1972 per l’analisi di varie trasmissioni televisive scolastiche. Nel 1973 lo stesso autore poneva le basi critiche per una schedatura didattica e per una revisione della scheda elaborata da Bechelloni. Nell’ambito di un lavoro di ricerca la Sezione Audiovisivi dell’Istituto di Pedagogia di Padova ebbe poi modo di costruire e applicare in molte scuole del Veneto un questionario negli anni 197576-77. 18 Ibidem. 19 Ibidem. 20 L. Galliani, “La governabilità del software”, in Quaderni di comunicazione audiovisiva e nuove tecnologie (mediateche e catalogazione del software), III (nuova serie), 8, 1986 - trimestrale, p. 7. 21 La denominazione “software didattico” non veniva utilizzata soltanto come nell’attuale uso linguistico più consueto, e cioè in relazione ai programmi informatici che permettono di utilizzare i computer (elaboratori elettronici), ma anche come indicatore di tutti i possibili programmi didattici a diversa base linguistica e tecnologica. 22 L. Galliani, “La governabilità del software”, cit., p. 8. 23 Ci si riferisce alle esperienze di Paesi quali la Germania occidentale, l’Olanda, l’Austria, la Svizzera, la Francia,il’Inghilterra, i cui differenti modelli organizzativo-funzionali furono studiati approfonditamente da
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questo gruppo di ricerca e di cui ci riferisce in particolare in nota F. Luchi, “Linee di progettazione per un Centro Territoriale di Servizi Multimediali”, in Quaderni di comunicazione audiovisiva, II, 4, 1985, pp. 64-81. Sebbene fossero del 1974 e del 1976 le due sentenze della corte costituzionale che liberalizzarono il sistema televisivo e radiofonico italiano via etere, secondo la legge questo ampliamento verso una comunicazione audiovisiva privata era limitato al diritto di emissione soltanto a livello locale. Risale solo ai primi anni ‘80 (canale 5 nasce con estensione nazionale autonoma nel 1981) l’idea di aggirare la legge attraverso l’uso di trasmissioni preregistrate su cassette che venivano poi diffuse simultaneamente sul territorio italiano finendo così per creare dei nuovi canali televisivi privati a carattere nazionale. Fu poi il cosiddetto «decreto Berlusconi» (1984) e qualche tempo dopo la legge Mammì (1990) che resero effettivamente possibile la trasmissione televisiva a livello nazionale anche alle reti private (P. Ortoleva, Mediastoria, Net Nuove Edizioni Tascabili, Milano, 2002; P. Ortoleva, Mass media: dalla radio alla rete, Giunti, Firenze, 2001). In ogni caso, sebbene da allora ad oggi si sia assistito ad un incessante sviluppo tecnologico (trasmissione satellitare, digitale terrestre, televisione via cavo telefonico –Web TV – e più in generale la sempre maggiore possibilità di trasmettere immagini in movimento attraverso internet) anche in relazione ai sempre più contemporanei self-media, l’ambito della comunicazione televisiva resta ancora non stabilmente delineata da un punto di vista giuridico, ma soprattutto nessuna istituzione culturale a livello nazionale si è ancora presa in carico in modo realmente sistematico, diffuso e certo, le problematiche della formazione formale, non formale e informale connessa ai media. Così se non è certamente migliorata forse è anche peggiorata la capacità-possibilità di una fruizione critica e di una produzione mediale alternativa, popolare e locale, da parte dei cittadini. F. Luchi, op. cit., p. 64. Ibidem. Ibidem. Ivi, p. 66. Ibidem. Ivi, p. 65. Vi erano però anche altri motivi per ritenere il livello operativo regionale quello istituzionalmente più importante del sistema: a) la Regione era (ed è anche oggi) un soggetto politico-amministrativo che ha una propria facoltà legislativa in materie che interessano direttamente un siffatto Servizio audiovisivo e i settori da cui provengono le istanze (diritto allo studio, promozione culturale, assistenza, formazione professionale, orientamento, formazione permanente, ecc.); b) si considerava la Regione come un interlocutore privilegiato del sistema formativo statale in modo particolare attraverso gli I.R.R.S.A.E. (oggi I.R.R.E.), cioè dei suoi istituti territoriali di aggiornamento e di ricerca, promossi dal Ministero della Pubblica Istruzione; c) la Regione poi era vista come l’entità più consona a relazionarsi con l’ambito operativo nazionale di intervento e coordinamento; d) la Regione infine veniva considerata importante perché era in grado, grazie alla sua posizione nei confronti degli Enti locali, di organizzare il Servizio e tutta la sua necessaria articolazione sub-regionale in modo razionalmente funzionale potendolo supportare anche con la dovuta forza legislativa; F. Luchi, op. cit., p. 67. F. Luchi, op. cit., p. 68. Per brevità d’ora in avanti C.AV.R starà per Centro Audiovisivo Regionale e C.AV.D starà per Centro Audiovisivo Distaccato, mentre Laboratorio Territoriale continuerà ad essere indicato per esteso. Per tecnologie ‘consumer’ si intendono quei mezzi di comunicazione prima meccanico-chimici (cineprese/moviole/ proiettori 8mm e Super8, macchine fotografiche portatili e relativi sistemi di sviluppo e stampa commerciali, ecc.) e poi elettronici ed elettronico-digitali (telecamere, videoregistatori a nastro e a cassetta, sistemi di montaggio analogici e digitali, ‘personal computer’, ecc.) che per portatilità, accessibilità economica, a volte facilità d’uso, vengono progettate e prodotte per un pubblico più ampio dei soli utenti professionali. R. Vecchiet (a cura di), “Cinema in biblioteca: materiali preparatori per le linee guida sulle sezioni cinema in biblioteca”, in Quaderni della biblioteca civica “V. Joppi” – Atti 1, Biblioteca Civica “V. Joppi” – Comune di Udine, Udine, 2006, p. 10. Ivi, pp. 11-12. Ivi, p. 10. G. Landucci, “Dall’audiovisivo al multimediale: nuovi servizi e vecchi problemi”, in «AIB. Sezione Veneto», 1997, http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/landucci.htm Tra le figure professionali emergenti nel contesto della comunicazione mediale Galliani (1993) aveva prefigurato anche quella del “mediatecario” (dal neologismo francese ‘médiathècaire’), indicando con questo termine colui che presiede la Mediateca, intesa come struttura di documentazione comunicativo-formativa che meglio interpreta la molteplicità e l’interrelazione/interconnessione evolutiva dei media. Il mediatecario, insomma, come figura professionale in grado di offrire un servizio informativo-culturale integrato e finalizzato ad una polisemia dei beni culturali mediali. A. Antonioli, “Educazione degli adulti con l’ausilio di tecnologie multimediali: l’esperienza delle biblioteche
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comunali di Parma”, in O. Foglieni, (a cura di) Biblioteca e nuovi linguaggi, Editrice bibliografica, Milano, 1998, pp. 117-121. G. Cattaneo, “Una biblioteca orientata alla multimedialità nell’interland milanese: linee di servizio”, in O. Foglieni (a cura di), Biblioteca e nuovi linguaggi, Editrice bibliografica, Milano, 1998, p. 185. P.C. Rivoltella, C. Marazzi, Le professioni della media education, Carocci, Roma, 2001. G. Cattaneo, op. cit. Vedi a questo proposito anche Antonioli, op. cit., p. 117. W. Prati, “Nuove tecnologie e creatività: una proposta di lavoro per biblio-mediateche”, in O. Foglieni (a cura di), op. cit., pp. 187-189. G. Cattaneo, op. cit., p. 185. G. Solimime, “Sul concetto di biblioteca amichevole”, in O. Foglieni (a cura di), La biblioteca amichevole. Nuove tecnologie per un servizio orientato all’utente, Editrice Bibliografica, Milano, 2000, p. 36. G. Bastianello, “La mediateca: risorse attuali e futuri sviluppi nella biblioteca”, in O. Foglieni (a cura di), op. cit., p. 156. M. Cagnoli, Multimedialità in una biblioteca pubblica, in «AIB. Sezione Veneto», 1997, http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/cagnoli.htm. F. Luchi, op. cit., p. 78. R. Vecchiet (a cura di), op. cit., p. 12.
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n tutti i settori si riconosce il ruolo centrale della ricerca e la si considera strumento indispensabile per garantire la qualità dei prodotti, l’efficacia dei servizi, nonché per migliorare i comportamenti, gli atteggiamenti e le strategie di quanti, esperti e non esperti, sono chiamati ad assumere decisioni le cui conseguenze coinvolgono ampie fasce di cittadini. La qualità della vita e persino il grado di coesione sociale di una comunità, specie se analizzate da un punto di vista diacronico, sono definite tenendo conto della capacità complessiva di ricerca e della capacità di quella stessa comunità di avvalersi il più rapidamente possibile degli esiti della ricerca. Nelle società moderne il cambiamento ed i processi di innovazione si coniugano sempre più con gli esiti avanzati della ricerca e con le sue applicazioni. È a tutti noto che la ricerca in ambito educativo e didattico, contrariamente a quanto accade in altri settori, è tuttora ritenuta carente sia per quantità sia per qualità, ma nonostante si auspichi una maggiore diffusione e si denuncino carenze di vario tipo, di fatto nel nostro paese la ricerca incontra un contesto poco amichevole. Alla cronica carenza di fondi si aggiunge la scarsa sensibilità dei decisori politici tradizionalmente poco sensibili agli esiti effettivi della ricerca ed anche incapaci di tradurre le evidenze osservate, empiriche o sperimentali, in decisioni politiche e di governo, sia locale che nazionale. Indubbiamente permangono alcuni problemi irrisolti, che hanno a che fare con il fragile sta-
tuto scientifico delle discipline educative e con la complessità dei temi oggetto di interesse della ricerca didattica. Tuttavia è evidente la distanza, specie in educazione e nella didattica, tra ricerca e decisione politica. A quanto detto si deve aggiungere l’uso strumentale della ricerca svolto soprattutto per finalità ideologiche, per avvallare l’introduzione di “mode” o per importare acriticamente da altri sistemi di istruzione soluzioni e riforme da pubblicizzare e “propagandare” rivolgendosi ad una opinione pubblica sempre più distratta e poco attenta ai temi della formazione, dell’insegnamento e dell’apprendimento. Per quanto detto è apprezzabile l’impegno profuso dalla SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica) nella promozione di contesti di confronto sulla ricerca in ambito didattico, presidiando in particolare la formazione dottorale, che indubbiamente rappresenta il percorso più importante per motivare i giovani alla ricerca e attraverso la ricerca. La SIRD, dando continuità alle iniziative di Veroli del 2005 e di Roma del 2007, ha organizzato a Roma, nei giorni 25-26-27 giugno 2009, il terzo Seminario “La ricerca nelle scuole di Dottorato in Italia. Dottorandi e Docenti a confronto”. L’ampia adesione manifestata dai dottorandi, provenienti da varie sedi universitarie rappresentative dell’intera realtà italiana, ha testimoniato l’evidente interesse dei giovani ricercatori e delle Scuole di dottorato per l’iniziativa assunta dalla SIRD. Attraverso il Seminario del 2009 si è voluto, da una parte, consolidare e ampliare una tra-
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dizione di coinvolgimento e di ascolto da parte della SIRD, dall’altra, si è voluto segnalare con forza la volontà della SIRD di proporsi come soggetto che intende farsi carico della qualità della formazione alla ricerca in ambito didattico promuovendo sistematiche e intense occasioni di dibattito e di confronto, esperienze queste oggi da tutti ritenute carenti. Il Seminario SIRD 2009 si è caratterizzato per l’ampia e differenziata partecipazione dei dottorandi, nonché per la richiesta di spazi anche non formali e informali di interazione e discussione. Il dibattito di cui si è avuta esperienza ha confermato la necessità di mantenere uno spazio di confronto autorevole, aperto e fiducioso, tra la comunità dei novizi (i dottorandi) e la comunità degli esperti (i ricercatori ed i docenti). In particolare sono emersi, contestualmente e positivamente, tre livelli di confronto tra loro strettamente intrecciati: quello sviluppato tra dottorandi, quello costruito tra dottorandi e docenti e quello non meno importante tra dottorandi, ex dottorandi o giovani ricercatori. Si tratta di tre livelli di interazione che meritano specifica attenzione: a) il confronto tra dottorandi è rilevante perché risponde ad una esigenza assai diffusa di conoscenza diretta di persone, situazioni e rapporti che altrimenti si faticherebbe a costruire anche in considerazione della mancanza di spazi predisposti per il confronto persino, talvolta, all’interno delle singole sedi universitarie o delle Scuole di dottorato. Il confronto tra dottorandi è considerato importante quando è svolto con modalità strutturate, ma anche quando si svolge adottando modalità informali, sia in presenza che a distanza, nei momenti preparatori e in quelli successivi ai lavori seminariali e non limitatamente durante il loro svolgimento; b) il confronto tra dottorandi e docenti si è confermato come aspetto importante oltre che stimolante, perché in molti casi ha rappresentato l’unica occasione in cui poter presentare il proprio lavoro di dottorato fuori dalla sede universitaria di appartenenza a confron-
to con la più ampia comunità scientifica. La presentazione del lavoro di tesi da parte di tutti i dottorandi è ritenuta una esperienza di maturazione “alla ricerca”, perché li costringe ad esporsi, volontariamente e consapevolmente, davanti ad un pubblico di esperti che spesso comprende persone direttamente o indirettamente impegnate su temi di ricerca analoghi a quelli presentati. L’eventuale critica rivolta al proprio lavoro, al pari dell’apprezzamento, sono entrambi elementi costruttivi di una identità collettiva dove formulare domande e dare risposte rappresenta un modo condiviso per costruire (e ricostruire) il discorso sulla ricerca che dovrebbe riconoscere come protagonisti anche i dottorandi; c) il confronto tra dottorandi, ex dottorandi o giovani ricercatori è stato esplicitamente proposto dal Direttivo SIRD, che ritenendolo strategico ai fini della progressiva costruzione di una identità di giovani ricercatori, ha deciso di titolare una sezione del Seminario “Da Dottori a Ricercatori ovvero dalla tesi agli articoli e ai saggi”. Molto interessante è stato il contributo alla discussione dato dagli interventi di Cristina Zaggia dell’Università di Padova, di Giuseppa Cappuccio dell’Università di Palermo e di Marco Catarci dell’Università Roma Tre, che hanno illustrato criticamente le loro differenti, ma ugualmente ricche, esperienze di successo nel percorso post-dottorale. Le proposte di candidatura per la presentazione delle tesi sono state rilevate entro la data del 30 aprile 2009 mediante l’attivazione della rete dei soci SIRD e attraverso la sensibilizzazione dei Direttori o Coordinatori delle Scuole di dottorato; in particolare si è optato per dare possibilità di esprimersi ai dottorandi del secondo anno, con l’ipotesi (ambiziosa da parte della SIRD) di favorire tramite la presentazione e la discussione dei lavori di tesi eventuali focalizzazioni dei temi trattati ma soprattutto di fornire maggiori precisazioni ed esplicitazioni in merito al disegno della ricerca, alle ipotesi di ricerca e agli strumenti utilizzati. Ciascun dottorando ha avuto a disposizione venti minuti per la
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presentazione della tesi e dieci minuti per la discussione. La tabella 1 riporta i nominativi dei dottorandi che hanno presentato i loro lavori, le sedi universitarie di provenienza ed i titoli delle tesi. Il Seminario SIRD del 2009 ha anche dedicato uno spazio di discussione ai problemi e alle prospettive delle scuole di dottorato attraverso la tavola rotonda intitolata ”Le Scuole di Dottorato in Italia: problemi e prospettive”, coordinata da Alessandra La Marca dell’Università di Palermo e con la partecipazione di Carmela Covato dell’Università Roma Tre, di Milena Manini dell’Università di Bologna, di Emma Nardi dell’Università Roma Tre, di Luciano Galliani dell’Università di Padova, di Renata Maria Viganò dell’Università di Milano Cattolica S. Cuore. Gli interventi svolti e la discussione che ne è seguita hanno evidenziato la diversa articolazione e caratterizzazione delle esperienze di formazione dottorale presentate, ma soprattutto hanno confermato e identificato alcune problematiche trasversali comuni ai vari Corsi di dottorato e alle Scuole dottorali. Gli aspetti critici segnalati hanno riguardato pressoché tutti i dieci principi base per lo sviluppo di programmi di dottorato enunciati nel febbraio 2005 nel Bologna Seminar tenutosi a Salisburgo intitolato “Doctoral Programmes for the European Knowledge Society”. Dalla tavola rotonda è emerso in particolare che alcuni principi base nonostante siano diventati punti di riferimento per il Processo di Bologna sono a tutt’oggi parzialmente realizzati. Tali aspetti sono così riassumibili: a) il dottorato, in quanto terzo livello della istruzione superiore, ha un valore sociale ancora poco riconosciuto dai decisori politici, dall’opinione pubblica, dal mercato del lavoro e dalla pubblica amministrazione, nonostante sia riconosciuto essere il volano indispensabile per trasferire conoscenza e sostenere l’innovazione. Per superare questo elemento critico emerge l’esigenza di favorire al massimo partnership, partenariati, attivazione di borse di studio in collaborazione con soggetti del territorio interessati all’innovazione. Soprattutto andrebbe curata la diffusione dei prodotti della ricerca dottorale
mediante iniziative pubbliche e nonché attraverso pubblicazioni a stampa e on line nell’ambito di collane e siti web dedicati; b) il dottorato, in quanto terzo livello della formazione universitaria, deve integrarsi maggiormente nelle strategie istituzionali delle università. L’impegno dei docenti deve essere ampiamente riconosciuto come parte del carico istituzionale. Il dottorato andrebbe considerato parte integrante dell’offerta formativa delle università. L’università delle competenze, è chiamata a costruire competenze pedagogiche e di ricerca, deve prestare attenzione al triennio in cui si formano i dottori di ricerca; c) il processo di razionalizzazione e qualificazione dell’offerta formativa in corso impone la necessità di prevenire e ridurre la frammentazione, favorendo invece tutti quei processi collaborativi finalizzati a raggiungere una massa critica capace di definire ambienti vivaci che possono progettare programmi dottorali robusti, sostenuti da un’ampia comunità scientifica in grado di garantire la qualità della ricerca svolta. Si va diffondendo la consapevolezza che la parcellizzazione della formazione dottorale in tanti piccoli Corsi con pochi studenti non permette di fare massa critica e non garantisce la qualità della ricerca. Pur evitando di dare priorità ad un solo modello organizzativo, l’esperienza dimostra che le Scuole dottorali, soprattutto se fondate su accordi interdipartimentali, interateneo o internazionali, sono quelle maggiormente in grado di valorizzare le competenze, di attirare studenti stranieri, di acquisire borse di studio, di attivare ulteriori relazioni, partenariati e partnership; d) la necessità di favorire l’internazionalizzazione della ricerca e della didattica universitaria si coniuga perfettamente con l’urgenza di ampliare l’internazionalizzazione nella formazione dottorale mediante scambi, forme di mobilità, e soprattutto prestando attenzione alla traducibilità e fruibilità in ambito internazionale delle ricerche svolte; e) favorire la qualità della ricerca, soprattutto
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mediante il ricorso costante alla valutazione tra pari, da attuarsi in tutte le fasi del processo, senza limitarla come spesso accade ai soli prodotti finali. La comunità scientifica ai vari livelli dovrebbe adottare la pratica della valutazione tra pari come elemento essenziale di apertura al confronto disciplinare prestando tuttavia la massima attenzione alla necessità di favorire la dimensione multidisciplinare della ricerca. Si comprende facilmente che la risoluzione delle problematiche sopra indicate richiede scelte strategiche e interventi di sistema di lungo periodo che non si possono limitare alla modifica, sia pur necessaria, dell’unica normativa che disciplina oggi il Dottorato di ricerca in Italia (D.M. 30 aprile n. 224/1999). I ministri responsabili per l’istruzione superiore nei 46 paesi del Processo di Bologna nel recente incontro di Lovanio, in Belgio, il 28 e 29 aprile 2009, hanno elaborato un Comunicato che tiene conto degli obiettivi raggiunti dal Processo di Bologna, che è altresì consapevole del parziale raggiungimento di alcuni di essi e della necessità di consolidare i successi ottenuti. Il documento di Lovanio soprattutto individua alcune priorità per lo spazio Europeo dell’Istruzione Superiore per il prossimo decennio (2010-2020). La dimensione sociale della formazione (equità nell’accesso e nel completamento degli studi) e l’attuazione di politiche di apprendimento permanente sono gli aspetti su cui si insiste maggiormente nel decennio che va fino al 2010. L’educazione, la ricerca e la formazione hanno un ruolo importante e nello specifico il dottorato. Si afferma infatti che “L’istruzione superiore a tutti i livelli deve essere basata sulla ricerca più recente, in modo da promuovere nell’intera società innovazione e creatività. Riconosciamo il potenziale dei programmi di istruzione superiore, inclusi quelli basati sulle scienze applicate, per l’avanzamento dell’innovazione. Di conseguenza, il numero delle persone capaci di fare ricerca deve aumentare. I corsi di Dottorato devono fornire ricerca disciplinare di alta qualità, ma essere anche sempre più aperti ad attività interdisciplinari ed intersettoriali.
Alle autorità pubbliche e alle istituzioni di istruzione superiore spetta, inoltre, rendere più appetibili le prospettive di carriera dei giovani ricercatori.” Nel Comunicato di Lovanio i Ministri europei sottolineano con forza la dimensione sociale della formazione universitaria, e dunque anche della formazione dottorale, ribadendo la necessità di rinnovare la responsabilità pubblica, sia nel promuovere politiche di coesione e promozione sociale, sia nel riconoscere che i finanziamenti pubblici “restano la risorsa principale per garantire pari opportunità di accesso e lo sviluppo sostenibile di istituzioni di istruzione superiore autonome”. L’impegno della SIRD nei confronti della formazione dottorale, che si è sin qui manifestato attraverso l’organizzazione di tre Seminari, terrà sempre più conto della necessità di contribuire, in quanto Società scientifica, alla costruzione e sperimentazione dei nuovi meccanismi di valutazione della ricerca, alla condivisione degli indicatori di qualità e alla individuazione di alcuni standard minimi. La SIRD consapevole della dimensione sociale del dottorato, della formazione universitaria e della ricerca educativa e didattica opererà in modo da creare le opportunità per contribuire a motivare i giovani alla ricerca e all’impegno favorendo l’apertura al confronto, allo scambio di esperienze a livello nazionale e internazionale. La SIRD, inoltre, ritenendo cruciale il rapporto tra ricerca e innovazione, nonché quello tra gli esiti della ricerca e la decisione politica, ha intitolato il proprio Convegno annuale del 24 e 25 febbraio 2010 “10 Anni di ricerca educativa in Italia. Analisi storica, innovazione didattica, confronti istituzionali”. Il Convegno, aperto ai dottorandi oltre che ai Soci, rappresenta un ulteriore contributo per fare un bilancio critico della ricerca in Italia “con particolare riferimento” ai sei Congressi SIRD e ai relativi Atti, ai PRIN, alle ricerche degli IRRSAE-IRRE e alle ricerche collegate alle competenze delle Regioni negli ambiti dell’orientamento, della formazione professionale e permanente dei giovani e degli adulti. In questa prospettiva evolutiva, che non in-
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tende limitarsi ad esaminare sia pur criticamente quanto è stato già realizzato, Luciano Galliani, attuale presidente della SIRD, rivendica un ruolo da protagonista da parte delle Società scientifiche di ricerca rammentando che “Il Direttivo ha pensato di candidare la SIRD per realizzare, in collaborazione
con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con la Conferenza Stato-Regioni, degli “Osservatori Nazionali delle Buone Pratiche di Innovazione Formativa”, elaborando Report a servizio delle istituzioni politiche, delle organizzazioni formative, degli operatori del settore”.
Nominativo dottoranda/o Alessandra Cavallo
Università
Titolo della tesi di dottorato
Università di Padova
Promozione globale del ben-essere a scuola
Annalisa Vio
Università di Modena e Reggio Emilia
Cinema ed Educazione
Giovanna Barzanò
Dirigenza scolastica nel contesto internazionale
Università Roma Tre Raffaela Tore
Università Roma Tre
Chiara Ferotti
Università di Palermo
Francesca Pensa
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Lorena Di Felice
Università di Milano Cattolica S. Cuore
Analisi e monitoraggio della formazione nelle Scuole di Polizia in Europa
Barbara Nalon
Università di Padova
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Leonarda Longo
Università di Palermo
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Valeria Pica
Università Roma Tre
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Università Roma Tre
Aspetti della comunicazione intergenerazionale e interculturale nella scuola dell’infanzia Ambienti di apprendimento in rete. Progettazione, Valutazione, Tutoring on line ,%51&/"+$%(,6#%+$1+$
Alessandra Rosa
Francesca Corradi Maurizio De Rose
Università della Calabria
Comunità di pratiche e scuola inclusiva: modalità di collaborazione tra insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno attraverso l'e-learning Le buone pratiche di insegnamento: metodologie e strumenti
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Tab. 1- Nominativi dei dottorandi, sede di provenienza e titolo della tesi di dottorato
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studi La ricerca nelle scuole di Dottorato in Italia. Dottorandi e Docenti a confronto LEONARDA LONGO
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urante i giorni del III Seminario svolto a Roma, nei giorni 25-26-27 giugno 2009, tutti i dottorandi partecipanti hanno avuto modo di crescere nella consapevolezza che la formazione di ricercatori competenti nella padronanza dei modelli teorici e delle diverse metodologie di ricerca, per i differenti ambiti del sapere pedagogico e didattico, e quindi capaci di declinare obiettivi, processi e metodologie, implica il possesso di conoscenze e competenze metodologiche atte a promuovere e realizzare attività di ricerca educativa in contesti scolastici ed extrascolastici. I docenti universitari presenti hanno espresso le loro osservazioni sull’adeguatezza delle procedure di ricerca usate da ogni dottorando che ha presentato la propria ricerca. Sono state fornite indicazioni sull’appropriatezza metodologica delle ricerche in corso. Durante il convegno ci sono state fornite delle indicazioni che hanno arricchito le competenze metodologiche necessarie alla ricerca. Ogni docente universitario presente, da ricercatore esperto, ha aiutato i dottorandi ad identificare i problemi metodologici posti, formulando ipotesi di miglioramento, suggerendo strumenti e strategie più opportune. Si è più volte insistito sulla opportunità che i dottorandi, per formarsi alla ricerca, sviluppino la capacità di auto-osservazione e perfezionino e diffondano le tecniche che consentono di evitare gli influssi della soggettività nella valutazione delle situazioni, degli stimoli, dei procedimenti e dei risultati. Un dottorando che vuole perfezionare la sua formazione metodologica, servendosi degli apporti della ricerca
scientifica e imparando lui stesso a fare ricerca, dovrebbe seguire ogni volta un percorso così articolato: assunzione delle informazioni, scambi di informazioni e di esperienze con i colleghi, formazione e verifica dell’azione formativa svolta. Nel presentare le nostre ricerche in corso siamo stati aiutati, grazie alle numerose indicazioni ricevute, a migliorare la consapevolezza che ogni ricercatore, mentre opera, ha bisogno di saper formulare e condurre un piano di ricerca; di saper costruire prove di verifica; di saper progettare ed attuare tecniche di intervento; di saper apprezzare le condizioni per la estendibilità dei risultati conseguiti. In generale le osservazioni dei docenti ci hanno aiutato a riflettere sull’importanza di avere dei chiari riferimenti teorici e delle specifiche metodologie di ricerca. Si è insistito sul fatto che, per acquisire un’adeguata formazione alla ricerca scientifica, è indispensabile partire dalla profonda convinzione che c’è ancora molto da studiare sui molteplici fattori che interagiscono nel processo educativo; sarebbe pertanto errato mantenere l’atteggiamento di chi crede che, per aver operato sempre nello stesso modo senza problemi, non ha motivo di cambiare. Nel sottolineare come la conoscenza dei risultati delle ricerche ampli l’esperienza del dottorando, perché accelera la sua formazione e gli dà la possibilità di utilizzare i frutti dell’esperienza altrui per prevedere la possibile evoluzione dei fenomeni educativi, si è sempre ricordato che i risultati sono utili a condizione che se ne conoscano i limiti; infatti, siccome
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ogni ricerca viene condotta sempre su un gruppo limitato e caratterizzato di soggetti, i risultati ottenuti forniscono soltanto delle “verità di media” che sono validi per quel gruppo e, parzialmente, anche per altri ad esso molto simili. Chi frequenta un dottorato non può essere un semplice “consumatore” di ricerche: i risultati di quelle già condotte vanno infatti presi esclusivamente come ipotesi probabili perché costituiscono insieme, una fonte di ipotesi e uno strumento per l’affinamento e per l’articolazione delle ipotesi; ciò costituisce un notevole arricchimento per ogni dottorando perché può così prevedere la possibile evoluzione dei fenomeni educativi che osserva e può formulare delle ipotesi di soluzione dei problemi che deve affrontare. La riflessione sulle scuole di dottorato è stata molto utile. Dai vari interventi della tavola rotonda, che si è svolta l’ultimo giorno, è emerso che le Scuole di Dottorato sviluppano attività di indirizzo, coordinamento e supporto ai corsi di Dottorato di Ricerca nei settori scientifici previsti; propongono un proprio progetto formativo, mirato ad allargare l’orizzonte culturale e la preparazione dei dottorandi sia in ambito scientifico interdisciplinare sia in ambito sociale; cercano di mettere insieme le forze dei vari atenei ed anche le competenze scientifiche, per migliorare la professionalità dei dottori di ricerca uscenti, assicurando una mobilità, anche interna, e lo sviluppo di progetti comuni, con il contributo di più competenze; attuano iniziative che valorizzano le attività scientifiche dei singoli Corsi di Dottorato favorendo la nascita di accordi di collaborazione con realtà istituzionali; esplicano inoltre attività di coordinamento delle iniziative di collaborazione con Scuole di Dottorato internazionali, allo scopo di consentire l’attuazione di dottorati in co-tutela ed il rilascio di titoli congiunti. È stato possibile evidenziare alcune caratteristiche comuni delle scuole di dottorato. 1. Nei tirocini i dottorandi sono effettivamente inseriti nei gruppi di lavoro di ricerche in atto. 2. Le attività scelte autonomamente dagli studenti sono autorizzate sulla base di un pro-
getto sostenuto da ipotesi e da un idoneo apparato metodologico, tecnico e bibliografico. 3. La valutazione avviene tramite incontri per la verifica delle competenze acquisite. 4. Le esperienze all’estero sono autorizzate sulla base di progetti sostenutio da fondate ipotesi e idonei apparati metodologici, tecnici e bibliografici. 5. Per la partecipazione a seminari, congressi, convegni ai dottorandi si richiede di presentare relazioni adeguatamente critiche. 6. Gli incontri con docenti visitatori, con ricercatori italiani e stranieri, capi progetto, responsabili di istituzioni di ricerca sono concordati con i dottorandi, sulla base delle disponibilità degli studiosi da incontrare. Lo schema di attività per le scuole di dottorato dovrebbe fondarsi su tre assi principali: la formazione per la ricerca, le relazioni con l’esterno e la valutazione. La formazione per la ricerca sicuramente può avere una diffusione generale per tutta la scuola, può essere transdisciplinare, per sviluppare le competenze trasferibili, ritenute essenziali anche a livello europeo, cioè quelle che non sono relative solo alla disciplina oggetto della propria formazione scientifica; su di essa si innesta la formazione metodologica specifica per il campo disciplinare proprio del singolo dottorando. L’altro asse è quello delle relazioni con l’esterno; questo è forse l’asse principale che può dar effettivamente valore allo strumento “scuola di dottorato”. Le relazioni con l’esterno significano una maggiore internazionalizzazione, quindi una mobilità in tutti i sensi, inclusa quella tra pubblico e privato, l’attivazione di co-tutele con enti e istituzioni straniere, di convenzioni, di consorzi che però devono permettere un vero e proprio scambio culturale. Il terzo asse di attività proposto per le scuole di dottorato è la valutazione. La valutazione esterna è molto importante ma non è sufficiente: ogni la scuola deve stabilire internamente i propri indicatori e deve in qualche modo valutarsi internamente per poi sottoporsi alla valutazione esterna. L’accertamento del profitto dei dottorandi avviene sia nel corso, sia al termine di ciascun anno accademico. In relazione alle singole proposte didattiche e alle attività
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di tirocinio, i docenti che ne sono responsabili verificano la qualità della partecipazione di ciascuno. Nelle varie sedi sono inoltre organizzate apposite iniziative di ricerca, alle quali i dottorandi sono chiamati a collaborare nelle diverse fasi di impostazione, attuazione, verifica, discussione. Sono richieste periodicamente relazioni scritte sulle attività svolte. Al termine di ciascun anno il Collegio valuta il livello di preparazione conseguito dai dottorandi in vista dell’ammissione all’anno successivo. Il primo anno di dottorato è dedicato all’approfondimento teorico della problematica di ricerca di interesse del dottorando, con lo studio della letteratura rilevante e la messa a punto di uno specifico disegno di ricerca.Il secondo e il terzo anno sono dedicati alla realizzazione della ricerca e alla stesura della tesi finale. Spesso, oltre alle relazioni valutative predisposte dal tutore del dottorando, i singoli lavori sono proposti alla revisione critica di studiosi italiani e stranieri, competenti sui problemi affrontati. Il dottorando è ammesso alla prova
finale se tutti i giudizi, compreso quello riassuntivo espresso dal Collegio dei Docenti, sono favorevoli. Da più parti nel nostro Paese è stata ribadita la necessità di colmare la carenza di strutture dedicate alla ricerca empirica e sperimentale in campo educativo, indispensabili a sviluppare quelle competenze che si ritengono essenziali per il progresso dei sistemi formativi. Sono stati infine evidenziati alcuni problemi ancora aperti come: migliorare la qualità del dottorato di ricerca; valorizzare la professionalità del dottore di ricerca; stimolare gli investimenti finanziari sul dottorato; innalzare la qualità delle scuole di dottorato in Italia. Per il tipico ricercatore italiano, che in generale è un po’ individualista, magari bravo, ma più focalizzato sul proprio gruppo di ricerca e che ha già ottime collaborazioni con l’estero, la scuola di dottorato sembra in alcuni casi una limitazione alla libertà di ricerca. Questo tipo di mentalità deve evolvere verso forme più ampie di cooperazione.
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Recensioni I programmi di ricerca di interesse nazionale (PRIN) 2006-2008 ALESSANDRA LA MARCA
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i presenta di seguito una sintesi delle tematiche di ricerca educativa affrontate nei PRIN 20062008 dell’area 11 maggiormente attinenti ai SSD M-PED/03 e M-PED/04, con delle brevi indicazioni sugli obiettivi del lavoro svolto dalle varie unità di ricerca e sui convegni finali in cui sono stati presentati i risultati ottenuti.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1. Titolo della Ricerca ONTOLOGIE, LEARNING OBJECT E COMUNITÀ DI PRATICHE. NUOVI PARADIGMI EDUCATIVI PER L’E-LEARNING Coordinatore Scientifico Luciano GALLIANI Unità di Ricerca Università degli Studi di PADOVA Responsabile Scientifico Luciano GALLIANI Università Cattolica del Sacro Cuore Responsabile Scientifico Pier Cesare RIVOLTELLA Università degli Studi di MILANO-BICOCCA Responsabile Scientifico Paolo Maria FERRI Università degli Studi del SALENTO Responsabile Scientifico Nicola PAPARELLA Università degli Studi di SALERNO Responsabile Scientifico Arturo VANNI (cessato dal servizio) Obiettivo della Ricerca Con la ricerca si è inteso estendere ed integrare i risultati raggiunti in un precedente progetto Prin “L’e-Learning nella formazione universitaria: Modelli didattici e criteriologia pedagogica” – (coordinatore N. Paparella), attraverso la costruzione, la sperimentazione l’evoluzione di un ambiente di apprendimento integrato denominato “EduOntoWiki”, che fosse supportato da strutture ontologiche relative alle scienze dell’educazione basate su un consenso attivo di specifiche comunità di pratica; avesse una valenza didattica: sia attraverso la navigazione delle ontologie, sia con la selezione e l’incorporazione nelle strutture ontologiche di materiali didattici (“Learning Object”) a sostegno dell’apprendimento; si realizzasse come setting in cui abbiano una rilevanza sia le descrizioni formali (codifica dell’ontologia) che quelle informali (narratività e contestualizzazione dei concetti); in cui le possibili relazioni intra e inter-comunità fossero esplicitate e riconosciute da tutti i partecipanti attraverso appositi “social software” in modo tale da favorire soluzioni creative a problemi comuni nelle pratiche quotidiane di lavoro e di studio. Questo ultimo punto in particolare ha guidato l’ ipotesi secondo cui solo il passaggio da un modello technology driven (formale-statico) ad un modello dinamico e community-driven, integrato in un ambiente di apprendimento aperto, potesse rendere veramente fruttuosi e significativi dal punto di vista pedagogico e didattico le ontologie costruite dalle varie comunità di pratiche. La direzione di ricerca
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più attuale e promettente in questo senso coinvolge infatti lo studio delle cosiddette “complex constellations of communities of practice” (Wenger, 2004), definizione adottata per descrivere le relazioni che uniscono le varie comunità e le rendono permeabili l’una all’altra, in modo da condividere reciprocamente la conoscenza, contestualizzandola ed arricchendola di nuovi significati, e in ultima analisi, favorendo la soluzione a problemi complessi attraverso il riconoscimento di modelli differenti e poco conosciuti, proprio perché percepiti come appartenenti ad ambiti e discipline diversi. Il percorso di ricerca è consistito sulla trasformazione dell’ambiente “EduOntoWiki” da sistema ontologico/formale a sistema ontologico/relazionale. Il convegno conclusivo si è svolto ad Argenta (FE), il 15-16 giugno 2009.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 2. Titolo della Ricerca INTERNET E SCUOLA: PROBLEMATICHE DI ACCESSIBILITÀ, POLITICA DELLE UGUAGLIANZE E GESTIONE DELL’INFORMAZIONE Coordinatore Scientifico Antonio CALVANI Università degli Studi di FIRENZE Unità di Ricerca Università degli Studi di FIRENZE Responsabile Scientifico Antonio CALVANI Università degli Studi di CASSINO Responsabile Scientifico Antonio CARTELLI Università degli Studi di TORINO Responsabile Scientifico Rocco QUAGLIA Università degli Studi di SALERNO Responsabile Scientifico Antonio IANNACCONE Obiettivo della Ricerca La ricerca ha messo al centro il problema dell’accessibilità, intesa non nella sua dimensione tecnica, bensì nelle sue determinanti implicazioni socio-culturali, psicologiche e formative; essa globalmente ha inteso avvicinare la riflessione scientifica che si svolge nel nostro paese alla letteratura internazionale, proponendo alcuni strumenti originali per la realtà italiana ed avviando un percorso di indagine sperimentale caratterizzato sul piano delle rappresentazioni sociali delle tecnologie. Il progetto, in linea generale, ha sviluppato la consapevolezza nelle istituzioni educative circa il ruolo che esse (volenti o meno) vengono (e sempre più verranno) ad avere in rapporto alle problematiche dell’accessibilità. Più concretamente ha prodotto alcune guidelines impiegabili per una democrazia dell’accesso all’informazione (nel rapporto scuola/territorio); uno strumento per l’autovalutazione degli atteggiamenti dei docenti rispetto agli artefatti tecnologici; una indagine empirica sui comportamenti giovanili in merito all’impiego di Internet e, in particolare, sui fattori socio-culturali che influenzano l’accesso a Internet; un modulo formativo, rivolto alla formazione degli insegnanti (relativo da un lato agli aspetti profondi della percezione delle tecnologie e dall’altro alle competenze verso l’accesso critico all’informazione); un percorso didattico per favorire un approccio critico e consapevole all’analisi dell’informazione ed alla sua valutazione da parte degli alunni. Durante il Seminario di studi “Internet e scuola: problematiche di accessibilità, politica delle uguaglianze e gestione dell’informazione”, coordinato dal prof. A. Calvani che si è svolto a Firenze il 21-22 aprile 2008 sono stati presentati i primi risultati della ricerca.
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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 3. Titolo della Ricerca EQUIVALENZE E DISEQUIVALENZE DELLA DIDATTICA UNIVERSITARIA ON LINE. MODELLI PEDAGOGICI, PROCESSI DIDATTICI, AMBIENTI VIRTUALI ED INTEGRATI E CRITERI DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ Coordinatore Scientifico Cosimo Raffaele LANEVE, Università degli Studi di BARI Unità di Ricerca Università degli Studi di BARI Cosimo Responsabile Scientifico Raffaele LANEVE Università degli Studi di PALERMO Responsabile Scientifico Giuseppe ZANNIELLO Università della CALABRIA Responsabile Scientifico Carmelo PIU Università degli Studi ROMA TRE Responsabile Scientifico Gaetano DOMENICI Obiettivo della Ricerca Alla luce dei cambiamenti apportati dagli scenari proposti dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, si è imposta una riprogettazione della formazione e della didattica universitaria on line, attraverso una riconfigurazione dei possibili modelli pedagogici, dei processi didattici che i modelli informano, dei criteri di gestione, controllo della qualità e valutazione. Ri-conoscere le equivalenze e le disequivalenze della didattica universitaria on line in un quadro scientifico di riferimento e nel contesto storico-culturale di utilizzo è essenziale se si vogliono trarre indicazioni per prototipizzare alcuni modelli delle attività formative da progettare per la Rete. La ricerca si è proposta di raggiungere alcuni obiettivi che configurano una serie di azioni e di fasi tra cui: 1. l’analisi delle tipologie presenti nella formazione universitaria on line, sviluppo di una piattaforma pedagogica virtuale e portali dei Corsi di Laurea e delle Facoltà, al fine di descrivere le equivalenze e le disequivalenze tra la didattica in presenza e la didattica on-line; 2. la caratterizzazione dell’Open Distance e-Learning, con collaudo e validazione di metodologie di progettazione, implementazione e valutazione di modelli didattici Learner Centered e modelli didattici Learning Team Centered; 4. lo studio di ambienti efficaci per comunità di apprendimento e comunità di costruzione della conoscenza, delle metodologie di scambio comunicativo e del ruolo del tutor; 5. la valutazione delle strategie e delle metodologie di apprendimento costruttivista e socio-costruttivista dei modelli didattici problem based learning e project based learning; 6. lo studio degli effetti della simulazione nello sviluppo delle competenze metacognitive, delle condizioni e dei processi di autovalutazione nella formazione personalizzata; 7. lo studio della progettazione e della gestione della conoscenza, con produzione di formati di moduli on site e on line, validati sotto il profilo dell’efficacia comunicativa e dello scaffolding; 8. lo sviluppo e la sperimentazione di criteri di valutazione della qualità dell’e-learning nella didattica universitaria. Il convegno conclusivo si è svolto a Bari il 28-29 ottobre 2009.
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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 4. Titolo della Ricerca SVILUPPO DELLE FUNZIONALITÀ DIDATTICHE IN PIATTAFORME OPEN SOURCE PER L’E-LEARNING Coordinatore Scientifico Roberto MARAGLIANO Università degli Studi ROMA TRE Unità di Ricerca Università degli Studi ROMA TRE Responsabile Scientifico Roberto MARAGLIANO Università degli Studi di TRENTO Responsabile Scientifico Patrizia GHISLANDI Università degli Studi di PERUGIA Responsabile Scientifico Floriana FALCINELLI Università Politecnica delle MARCHE Responsabile Scientifico Tommaso LEO Obiettivo della Ricerca Gli obiettivi del programma di ricerca sono stati: 1. individuazione delle variabili che caratterizzano il processo didattico nella piattaforma open source Moodle con particolare attenzione alla formazione universitaria; 2. analisi delle discussioni in atto nella comunità Moodle, al fine di individuare il livello di consapevolezza relativo alle variabili didattiche e ai problemi connessi; 3. proposta di interventi finalizzati all’integrazione di funzionalità didattiche, dentro l’ambiente Moodle, secondo logiche di sistema; 4. comunicazione dei risultati degli interventi indicati nei punti precedenti dentro la comunità Moodle
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5. Titolo della Ricerca EDUCARE ALLA CITTADINANZA NEL PLURALISMO CULTURALE Coordinatore Scientifico Milena SANTERINI Ateneo Università Cattolica del Sacro Cuore Unità di Ricerca Università Cattolica del Sacro Cuore Responsabile Scientifico Milena SANTERINI Università degli Studi di VERONA Responsabile Scientifico Agostino PORTERA Università degli Studi della BASILICATA Responsabile Scientifico Emilio LASTRUCCI Università degli Studi di SASSARI Responsabile Scientifico Paolo CALIDONI Obiettivo della Ricerca La ricerca ha inteso analizzare gli sviluppi dell’educazione alla cittadinanza nella scuola alla luce dei cambiamenti sociali e dei fenomeni collegati al pluralismo culturale. Si è cercato di sviluppare riflessioni, strumenti e metodologie efficaci per contribuire alla consapevolezza dei diritti-doveri del cittadino e all’integrazione di culture diverse nella società di accoglienza. In questa direzione, essa si è proposta di: • Sviluppare un’analisi dell’evoluzione dell’educazione alla cittadinanza in chiave italiana ed internazionale (attraverso l’analisi di programmi e normative, acquisizione di buone pratiche, esperienze e proposte); fornire contributi utili alla costruzione di curricoli scolasticimultidimensionali; sviluppare una indagine delle iniziative ed esperienze intraprese su questo tema dalle scuole (singoli istituti e
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reti territoriali) e da parte degli organismi scolastici periferici. Indagare sulle ricadute delle innovazioni pedagogiche e didattiche svolte dalle scuole sugli alunni e studenti destinatari. Effettuare una ricognizione dei modelli teorici ed operativi di EC sviluppati ed eventualmente collaudati nel contesto italiano, finalizzata soprattutto a porre in evidenza buone pratiche e situazioni di eccellenza. Rilevare e promuovere pratiche di Educazione alla cittadinanza nelle scuole italiane, utilizzando le strategie e metodologie proposte nel ‘Tool for quality assurance of EDC in schools’ del Consiglio d’Europa, a partire dalla autovalutazione delle scuole. Indagare sulle modalità di inclusione delle seconde generazioni immigrate attraverso l’esame dei loro percorsi rispetto alla cittadinanza e al senso di appartenenza, sia per quanto riguarda gli italiani, sia gli immigrati. Tale analisi potrà contribuire a individuare, in particolare, le caratteristiche dell’integrazione delle seconde generazioni nel paese di accoglienza, per poter prevenire fenomeni di disagio e emarginazione. Analizzare il modo in cui la dimensione interculturale deve essere integrata nell’educazione alla cittadinanza, anche sotto l’aspetto della lotta ai fenomeni di razzismo, antisemitismo e islamofobia, analizzando le strategie educative più opportune per contrastarli. Studiare i diversi approcci con cui l’educazione alla cittadinanza viene introdotta nella formazione iniziale universitaria degli insegnanti in Italia e all’estero, in particolare nel tirocinio. Elaborare nuovi modelli di educazione alla cittadinanza degli insegnanti in servizio, necessari per fornirli di un bagaglio culturale e di strumenti adatti per affrontare un tema complesso e in continua evoluzione.
I risultati sono stati presentati al Convegno Internazionale – International Conference EDUCAZIONE INTERCULTURALE ALLA CITTADINANZA a Verona 15-16 Maggio 2009 in occasione del Decennale di fondazione del Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 6. Titolo della Ricerca LA QUALITÀ NELL’ALTA FORMAZIONE. MODELLI TEORICI E METODOLOGIE PER LA FORMAZIONE ALLA RICERCA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE COMPETENZE PEDAGOGICHE, E DISPOSITIVI DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ PER L’INNOVAZIONE ED IL TRASFERIMENTO DEI SAPERI NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA Coordinatore Scientifico Paolo OREFICE Ateneo Università degli Studi di FIRENZE Unità di Ricerca Università degli Studi di FIRENZE Responsabile Scientifico Paolo OREFICE Università degli Studi “G. d’Annunzio” CHIETI-PESCARA Responsabile Scientifico Gaetano BONETTA Università degli Studi di NAPOLI “Parthenope” Responsabile Scientifico Antonia CUNTI Università degli Studi ROMA TRE Responsabile Scientifico Giuditta ALESSANDRINI Obiettivo della Ricerca La ricerca si è articolata su livelli teorici ed empirici coniugando metodologie quantitative e qualitative, utilizzando modelli teorici e metodologici adeguati alla progettazione ed alla realizzazione di curricoli di alta formazione alla ricerca, all’innovazione ed al trasferimento del sapere scientifico (con particolare attenzione ai saperi pedagogici ed educativi) costruiti sulla base di una ricognizione di profili di competenze (generali e specifiche) altamente qualificanti e professionalizzanti e monitorati attraverso dispositivi di qualità già sperimentati e validati nei sistemi universitari italiani ed internazionali.
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Il progetto, di durata biennale, si è articolato in tre Workpackages che sono stati realizzati in parallelo dalle diverse unità operative impegnate, ciascuna con il suo specifico focus di indagine in relazione alle competenze scientifiche che la connotavano. Martedì 5 maggio 2009 la prof. Giuditta Alessandrini, Responsabile dell’Unità di Ricerca Roma TRE, in occasione della Giornata della Ricerca, organizzata e promossa dal Dipartimento di Studi dei processi formativi, culturali e interculturali nella società contemporanea dell’Università degli Studi Roma TRE, ha presentato i risultati della ricerca “La qualità nell’Alta Formazione: modelli e metodologie per la formazione alla ricerca e dispositivi di valutazione per il trasferimento e l’innovazione dei saperi nella società della conoscenza”.
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Finito di stampare nel mese di FEBBRAIO 2010 da Pensa MultiMedia Editore s.r.l. Lecce-Brescia www.pensamultimedia.it