Giornale Italiano della Ricerca Educativa Italian Journal of Educational Research RIVISTA SEMESTRALE anno V Numero speciale OTTOBRE 2012
Direttore LUCIANO GALLIANI - Università degli Studi di Padova Condirettore PIETRO LUCISANO - Sapienza Università di Roma Comitato Scientifico ROBERTA CARDARELLO - Univeristà degli Studi di Modena e Reggio Emilia ARMANDO CURATOLA - Università degli Studi di Messina JEAN-MARIE DE KETELE - Université Catholique di Lovanio MARIA LUCIA GIOVANNINI - Alma Mater Studiorum – Università di Bologna ALESSANDRA LA MARCA - Università degli Studi di Palermo GIOVANNI MORETTI - Università degli Studi di Roma 3 ELISABETTA NIGRIS - Università degli Studi di Milano Bicocca ACHILLE M. NOTTI - Università degli Studi di Salerno VITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV - City University di Mosca RENATA VIGANÒ - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Redazione ANNA SERBATI - Università degli Studi di Padova Procedura di referaggio Gli articoli proposti, inediti e non ancora sottoposti ad altre riviste, saranno soggetti ad un procedimento di revisione, che prevede giudizi indipendenti da parte di studiosi di riconosciuta competenza italiani e stranieri. I giudizi saranno espressi in conformità a quanto previsto dalle norme ISI e comunicati agli autori insieme alle eventuali indicazioni di modifica. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non saranno pubblicati. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori abbiano espresso parere positivo. Nel caso di giudizi fortemente contrastanti, verrà utilizzato un terzo revisore. Responsabili della procedura di referaggio sono il direttore della rivista Luciano Galliani e il condirettore Piero Lucisano. Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato) Codice ISSN 2038-9744 (testo on line) Finito di stampare: OTTOBRE 2012 Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010 Abbonamenti Italia euro 25,00 • Estero euro 50,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: Licosa S.p.A. – Signora Laura Mori Via Duca di Calabria, 1/1 – 50125 Firenze Tel. +055 6483201 • Fax +055 641257 • mail: laura.mori@licosa.com
Editing e stampa Pensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435 www.pensamultimedia.it - info@pensamultimedia.it Progetto grafico copertina Valentina Sansò
SOMMARIO Editoriale 11
LUCIANO GALLIANI
Studi 13
PIETRO LUCISANO Responsabilità sociale, valutazione e ricerca educativa
21
ROBERTA CARDARELLO Ricerca didattica e valutazione
27
PAOLO SESTITO La valutazione del valore aggiunto della scuola
37
VITO ANTONIO BALDASSARRE, CARMELO PIU Teorie e pratiche di valutazione: tra selezione controllo e promozione di crescita
Ricerche VALUTAZIONE DEI RISULTATI DI APPRENDIMENTO
44
PIETRO LUCISANO, LUDOVICA SCOPPOLA, GUIDO BENVENUTO Misurare gli apprendimenti in Educazione musicale Measuring the learning outcomes in music education
62
SERAFINA PASTORE Silent assessment? Cosa pensano della valutazione gli studenti universitari Silent assessment? What university students think about assessment
74
FRANCESCA PEDONE Valutazione ed autovalutazione delle composizioni scritte per la promozione delle abilità linguistiche negli alunni della scuola primaria Assessment and Self-Assessment of written essays for the promotion of language skills in primary school pupil
88
EUGENIO DI RAUSO, TIZIANA CAVEDONI, PAULA DE WAAL Blended learning al traguardo: verso un framework progettuale per i corsi universitari Blended learning on the threshold: towards a project framework for university courses
QUALITÀ E VALUTAZIONE
99
MARINA SANTI, ELISABETTA GHEDIN Valutare l’impegno verso l’inclusione: Repertorio multidimensionale Evaluating the commitment toward inclusion: a multidimensional Repertoire
112
GIOVANNI MORETTI Gli strumenti organizzativi dell’autonomia: il punto di vista degli insegnanti sui documenti Organizational tools of school autonomy: teachers’ point of view on the documents
130
ANTONIO MARZANO L’organizzazione universitaria: una ricerca sulla percezione degli studenti The university management: a research about students perception
145
ANDREA PINTUS La sperimentazione dello strumento valutativo ACEI-IGA nelle scuole dell’infanzia comunali di Parma: un percorso di ricerca-formazione The experimentation of ACEI-IGA assessment tool in the kindergartens run by the Municipality of Parma: a teacher-training and research project
157
VALENTINA GRION, MARTINA GROSSO Valutare la qualità della scuola. Centralità del punto di vista degli studenti School quality evaluation. Centrality of the students’ perspective
VALUTAZIONE DELLA DIDATTICA
173
DONATELLA POLIANDRI, PAOLA MUZZIOLI, ISABELLA QUADRELLI, SARA ROMITI La Scheda di osservazione in classe: uno strumento per esplorare le opportunità di apprendimento The classroom observation form: a tool to explore the opportunities to learn
188
MICHELE CAPUTO, MARIA TERESA MOSCATO, GIORGIA PINELLI Problemi di valutazione della qualità di un corso universitario. Uno studio esplorativo Some problems pertaining the evaluation of didactic quality in university. An explorative study
201
SILVANA CALAPRICE, ANGELA MUSCHITIELLO, STEFANIA MASSARO Qualità dell’insegnamento e valutazione della didattica. Un modello universitario di job placement innovativo Quality of teaching and didactic evaluation. A university model of innovatory job-placement
214
VINCENZO BONAZZA, PAOLO PASETTI, CLAUDIO SEVERONI Fare programmazione. Una ricerca empirica nella scuola primaria di Bologna Curriculum designing. Empirical research on teachers’ professional competencies in Bologna primary school
VALUTAZIONE E NUOVE TECNOLOGIE
230
ORLANDO DE PIETRO Nuove tecnologie e didattica:uno studio comparativo tra i tradizionali e i nuovi ambienti della formazione New technologies and education: a comparative study between traditional and new environments of training
246
GIOVANNI BONAIUTI, ANTONIO CALVANI, PATRIZIA PICCI Tutorship e video annotazione: il punto di vista degli insegnanti Tutorship and video annotation: teachers’ perspectives on innovation
259
ATTILIO CARRARO Valutare il piacere nelle attività motorie: il PACES-It Assessing enjoyment of physical activity: the PACES-It
VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE
266
FEDERICO BATINI Competenze: sistemi in dialogo Skills: dialoguing systems
279
ETTORE FELISATTI, RENATA CLERICI Le competenze per la scuola: i giovani laureati di fronte alla professione di insegnante Skills for school: young graduates in front of the teaching profession
291
MARIALUISA DAMINI, ALESSIO SURIAN L’uso degli incidenti critici nella valutazione dello sviluppo delle competenze interculturali Intercultural competence assessment through the use of critical incidents
VALUTAZIONE COMPARATIVA
303
DONATELLA POLIANDRI, PAOLA MUZZIOLI, ISABELLA QUADRELLI, SARA ROMITI L’archivio degli indicatori internazionali dell’istruzione Dynamic Database for Quality Indicators Comparison in Education
hanno collaborato •
PIETRO LUCISANO Dipartimento di Filosofia, Università Sapienza di Roma, pietro.lucisano@uniroma1.it ________________________________________________________ • ROBERTA CARDARELLO Dipartimento di Educazione e Scienze umane, Università degli Studi di Modena-Reggio roberta.cardarello@unimore.it ________________________________________________________ • PAOLO SESTITO INVALSI, Servizio Studi di struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia, commissario@invalsi.it ________________________________________________________ • VITO ANTONIO BALDASSARRE Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche, Università degli Studi di Bari, baldas@gmail.com • CARMELO PIU Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università della Calabria, carmelopiu@yahoo.it ________________________________________________________ • PIETRO LUCISANO Dipartimento di Ricerche storico filosofiche e pedagogiche, Università Sapienza di Roma pietro.lucisano@uniroma1.it • LUDOVICA SCOPPOLA Dipartimento di Ricerche storico filosofiche e pedagogiche, Università Sapienza di Roma ludoscoppola@libero.it • GUIDO BENVENUTO Dipartimento di Ricerche storico filosofiche e pedagogiche, Università Sapienza di Roma guido.benvenuto@uniroma1.it ________________________________________________________ • SERAFINA PASTORE Dipartimento di Psicologia e Scienze pedagogiche e didattiche, Università degli Studi di Bari s.pastore@formazione.uniba.it ________________________________________________________ • FRANCESCA PEDONE Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo, francesca.pedone@unipa.it ________________________________________________________ • EUGENIO DI RAUSO Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova eugenio.dirauso@unipd.it • TIZIANA CAVEDONI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova tizianacavedoni@gmail.com • PAULA DE WAAL Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova paula.dewaal@unipd.it _______________________________________________________ • MARINA SANTI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova marina.santi@unipd.it • ELISABETTA GHEDIN Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova elisabetta.ghedin@unipd.it ________________________________________________________
•
GIOVANNI MORETTI Dipartimento di Studi dei Processi Formativi, Culturali e Interculturali nella Società Contemporanea, Università degli Studi di Roma Tre, gmoretti@uniroma3.it ________________________________________________________ • ANTONIO MARZANO Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, Università degli Studi di Salerno amarzano@unisa.it ________________________________________________________ • ANDREA PINTUS Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia andrea.pintus@unimore.it ________________________________________________________ • VALENTINA GRION Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata Università degli Studi di Padova valentina.grion@unipd.it • MARTINA GROSSO Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata Università degli Studi di Padova, grossomartina@hotmail.it ________________________________________________________ • DONATELLA POLIANDRI INVALSI, donatella.poliandri@invalsi.it PAOLA MUZZIOLI INVALSI, paola.muzzioli@invalsi.it ISABELLA QUADRELLI INVALSI, isabella.quadrelli@invalsi.it SARA ROMITI INVALSI, sara.romiti@invalsi.it ________________________________________________________ • MICHELE CAPUTO Dipartimento “G. M. Bertin”, Università degli Studi di Bologna, michele.caputo@unibo.it • MARIA TERESA MOSCATO Dipartimento “G. M. Bertin”, Università degli Studi di Bologna, mariateresa.moscato@unibo.it • GIORGIA PINELLI Dipartimento “G. M. Bertin”, Università degli Studi di Bologna, giorgiapinelli@tiscali.it ________________________________________________________ • SILVANA CALAPRICE Dipartimento di Scienze Scienze della formazione, psicologia, comunicazione, Università degli Studi di Bari s.calaprice@sc-formaz.uniba.it • ANGELA MUSCHITIELLO Dipartimento di Scienze Scienze della formazione, psicologia, comunicazione, Università degli Studi di Bari angelamuschitiello@virgilio.it • STEFANIA MASSARO Dipartimento di Scienze Scienze della formazione, psicologia, comunicazione, Università degli Studi di Bari, s.massaro@sc-formaz.uniba.it ________________________________________________________ • VINCENZO BONAZZA Università Telematica Pegaso, coord.bologna@unipegaso.it • PAOLO PASETTI Università degli Studi di Ferrara, p.pasetti@ausl.fe.it • CLAUDIO SEVERONI Università Telematica Pegaso, claudio_severoni@fastwebnet.it ________________________________________________________ • ORLANDO DE PIETRO Dipartimento di Economia e Statistica, Università della Calabria, depietro@unical.it
• GIOVANNI BONAIUTI Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia, Università di Cagliari, g.bonaiuti@unica.it • ANTONIO CALVANI Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi, Università di Firenze, calvani@unifi.it • PATRIZIA PICCI Università di Firenze, patrizia.picci@tiscali.it ________________________________________________________ • ATTILIO CARRARO Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova attilio.carraro@unipd.it ________________________________________________________ • FEDERICO BATINI Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione, Università di Perugia, federico.batini@unipg.it ________________________________________________________ • ETTORE FELISATTI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova ettore.felisatti@unipd.it • RENATA CLERICI Dipartimento di Scienze statistiche, Università degli Studi di Padova renata.clerici@unipd.it ________________________________________________________ • MARIALUISA DAMINI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova marialuisa.damini@studenti.unipd.it • ALESSIO SURIAN Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova alessio.surian@unipd.it ________________________________________________________
Editoriale
Numero speciale
LUCIANO GALLIANI
Il VII Congresso nazionale della SIRD – svoltosi a Padova nei giorni 1, 2, 3 dicembre 2011 con la partecipazione di oltre 200 studiosi non solo di area pedagogica, dei massimi dirigenti dell’ANVUR e dell’INVALSI – ha voluto richiamare in primo luogo la comunità accademica multidisciplinare, che si occupa della valutazione e i cui esponenti vengono chiamati a vario titolo ad ispirarne e spesso a gestirne le conseguenti politiche, ad un confronto e ad una riflessione, che riportasse al centro il ruolo della ricerca educativa. La valutazione, infatti, accompagna oggi più che mai la gran parte delle attività delle grandi organizzazioni, sia pubbliche che private, educative, sociali e professionali. Tutti gli ambiti e livelli del sistema formativo – in particolare Scuola, Università, Formazione continua – ne sono coinvolti, anche attraverso indagini e comparazioni internazionali. Eppure non possiamo affermare che si sia diffusa una “cultura della valutazione”, in grado non solo di migliorare le pratiche di insegnamento-apprendimento e di gestione delle organizzazioni educative, ma anche di direzionare le risorse pubbliche per l’istruzione e la ricerca scientifica, secondo criteri premianti la qualità e l’innovazione. Una “cultura della valutazione” non può essere tale se ignora il contributo specifico della ricerca scientifica di ambito pedagogico e docimologico, per chiudersi entro l’area pur importante delle scienze statistiche ed economiche.Vi è infatti una duplice complessità della valutazione educativa: una prima, riferita al sistema organizzativo dei servizi educativi alla persona dotato di autonomia (scuola e università) e, una seconda, concernente la specificità-originalità dell’educazione come “bene relazionale” di interesse pubblico non mercificabile, connessa non solo alla trasmissione, ma anche alla produzione della cultura attraverso la ricerca. Sottovalutare questa duplice complessità della valutazione del processo formativo conduce a dare priorità, da un lato, ad esigenze top-down di controllo e di gestione delle risorse umane e finanziarie impiegate nei servizi formativi e, dall’altro lato, all’uniformità di metodi e strumenti quantitativo-statistici, scientificamente insufficienti a valutare l’efficacia della didattica negli interventi formativi e la qualità della ricerca nei lavori scientifici individuali e di gruppo. Gli 85 contributi specifici di ricerca pedagogica ed educativa, condotti nei contesti scolastici, universitari e sociali – presentati al nostro Congresso da oltre 130 ricercatori – hanno evidenziato ulteriormente la necessità di un movimento bottom-up, che coinvolga tutti gli attori interessati del sistema formativo (interni ed esterni: docenti, studenti, famiglie, stakeholders sociali, decisori politici), per una valutazione partecipata e condivisa nelle finalità e negli utilizzi individuali e sociali, che si vogliono fare dei suoi risultati. Per dare maggiore autorevolezza alle nostre posizioni culturali abbiamo deciso di far seguire agli abstract e alle comunicazioni accettate al Congresso una richiesta di contributi di ricerca
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Editoriale
(62 i full paper pervenuti) da sottoporre alle procedure di referaggio e di pubblicare gli articoli, accettati dopo le revisioni richieste, sui due numeri di giugno (già pubblicati 12) e di dicembre ( previsti 10) e su un numero speciale. In questo numero speciale di ottobre oltre ai 20 contributi di ricerca referati, suddivisi secondo le sessioni del Congresso, pubblichiamo anche le tre relazioni invitate, non sottoposte a referaggio, di Piero Lucisano, Roberta Cardarello, Paolo Sestito, e il contributo dei colleghi Tonino Baldassarre e Carmelo Piu, coordinatori di sessione nel Congresso. Richiamando quanto già affermato nella presentazione del Congresso Nazionale, questa significativa rassegna di prodotti di ricerca dimostra come l’attività dell’attribuire valore a fatti ed eventi educativi, utilizzando metodi diversi e strumenti coerenti di indagine e di misurazione con trattamento-elaborazione-interpretazione dei dati raccolti, non può mai avvenire separando i mezzi dai fini, ma considerandoli un continuum. Dobbiamo liberarci in fretta di una cultura della valutazione centrata sugli strumenti e non sugli scopi per cui li usiamo, su ragionamenti di semplificazione causale e non sulla comprensione di fenomeni complessi, che cerca le difficili vie del miglioramento personale e del cambiamento organizzativo e sociale.
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Studi Responsabilità sociale, valutazione e ricerca educativa PIETRO LUCISANO
Ad Corneliam, Gracchorum matrem,olim matrona Campana venerat, ut pulcherrima sua ornamenta ei ostenderet. Aurea enim erant; Cornelia singula diligenter inspexit, pretium notavit, mirum artificium laudavit. Id tamen fecerat ut hospitam sermone traheret, dum e schola liberi reverterent. Hi tandem pervenerunt. Tum Cornelia eos ad se vocavit, matronae ostendit eique dixit: “Haec sunt ornamenta mea!” (autore sconosciuto)
Il problema della valutazione è senza dubbio un tema le cui radici affondano fino alle origini dell’esperienza umana. Molti grandi pensatori del passato si sono arenati di fronte a una sistematizzazione adeguata dei concetti su quali fondare una scienza del bene e del male.Tuttavia in questi tempi il modello del pensiero tecnocratico imperante, abbacinato dall’idea di poter ridurre la complessità ad un algoritmo, ha fatto del concetto di valutazione una sorta di parola d’ordine, immaginando che sia possibile instaurare un ordine nuovo, più efficiente e più efficace, estendendo e formalizzando la pratica del valutare tutti e tutto. Così in questi ultimi anni sono state messe in opera strutture finalizzate a raccogliere dati alle dipendenze di decisori politici in modo quantomeno frettoloso, approssimativo, poco scientifico, e ovviamente a confermare giudizi e decisioni assunte in modo ancor più approssimativo, liquidando una grande tradizione di riflessione e di ricerca. È forse anche troppo facile, in questa situazione, assumere il ruolo della autocoscienza agente e giudicata proprio perché agente, nel cogliere la trave della coscienza giudicante, così preoccupata della sua funzione da non rendersi conto le infinite contraddizioni in cui si avvolge. È troppo facile nei panni di chi la mattina entra a scuola e affronta in aule sgarrupate e insane, senza laboratori e senza palestre, per chi fa lezione in università a 120 studenti in una tensostruttura e che paga con i fondi ricavati da attività conto terzi i materiali didattici per i suoi studenti e i suoi dottori di ricerca, cogliere la contraddizione di chi in nome del* Relazione inviata al Congresso SIRD, non sottoosta a referaggio.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
l’efficienza ti chiede conto dei risultati e pensa che con qualche spiccio di incentivi e con qualche punizione agli inefficienti si possano risolvere i problemi e spende risorse notevoli in queste attività di valutazione che non reggerebbero a un esame di docimologia. Per decidere che servono scuole decenti, laboratori universitari, ricercatori giovani, non occorrono l’INVALSI o l’ANVUR. Per decidere che il personale è inadeguato alla massa di studenti basta una occhiata alle statistiche di Education at a Glance o meglio basterebbe uscire dall’Olimpo e farsi un giro. Se i docenti del Regno Unito, della Germania e della Francia sono il doppio di quelli italiani, se le condizioni strutturali delle loro università sono decisamente migliori, se i fondi per la ricerca sono un multiplo di quelli di cui disponiamo, se la spesa per studente è la meno della metà di quanto impiegano gli altri, l’unica cosa su cui fare ricerca rimarrerebbe il fatto di come è possibile che sia per la qualità scientifica, sia per la qualità didattica la distanza tra noi e questi paesi è così ridotta.
1. Valutare perché, valutare come, valutare cosa Il problema del perché e come valutare ha una lunga tradizione negli studi educativi. Nel ragionare sul funzionamento della valutazione e delle misurazioni ad esse connessa in ambito didattico si sono costruite conoscenze abbastanza consolidate che non sono state per nulla considerate quando il problema si è spostato dalla valutazione scolastica alla valutazione universitaria e alla “Folie evaluation” che sembra permeare l’attuale società1. Non a caso Visalberghi (1955) insisteva sul fatto che è necessaria “misura intesa come abito di equilibrio e di discrezione” nell’esercitare le operazioni di misura intese come conteggio. Per valutare è necessaria una teoria, Dewey affronta questo problema nel saggio Theory of valuation ospitato nella International Encyclopedia of Unified Science, nella quale scrive anche un breve contributo introduttivo sull’Unità della scienza come problema sociale. In entrambi i lavori è evidente lo sforzo di stabilire ponti con gli ospiti neopositivisti, ma al tempo stesso di cercare di salvaguardare un approccio meno rigido, più comprensivo, senza, tuttavia, rinunciare ad una dimensione progettuale all’interno della quale da un lato l’unità della scienza e dall’altro la possibilità di formulare giudizi sui valori vengono perseguite con decisione. È utile tenere considerare assieme i due lavori e le loro implicazioni per chi come noi va cercando di costruire conoscenza intorno ai fenomeni educativi e al tempo stesso cerca di verificare se le esperienze che abbiamo elaborato possano in qualche modo risultare utili. Che cos’è la scienza? – si chiede Dewey, all’inizio del primo saggio – e quale unità è possibile e auspicabile? Se la scienza è l’insieme delle soluzioni che l’umanità ha costruito per risolvere
1 “In questo inizio di XXI secolo in occidente, la follia – sociale – ha preso nome: valutazione. Da due tre ? – decenni, non ci sono più amministrazioni o istituzioni che possano sfuggire al suo controllo, ai suoi dictat. Si impone, si propaga in ogni luogo, si fa agente e vettore di una potente ideologia, assicura il suo regno, diventa un modo di governo. […] La valutazione non si accontenta di esercitare i suoi talenti su ogni aspetto della vita di ciascuno, gioca anche la carta del proselitismo, ha sete di servi, i valutati di oggi sono impazienti di diventare i valutatori di domani. In questo modo si sviluppa, sotto la bandiera dell’efficacia e del pragmatismo: conquista nuovi settori, si nutre dell’umano, facendo adepti preoccupati di portare a loro volta la buona parola, di nuove reclute impazienti di riprodursi a loro volta, dei nuovi convertiti al culto del numero – che usa come equivalente della scienza e dell’oggettività su cui pretende di fondare i suoi valori”.
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Studi
i problemi incontrati nel corso della storia, è necessario tuttavia introdurre una distinzione tra le soluzioni intese come prodotto dello sforzo di ricerca e il processo che ha portato a raggiungerle, una distinzione che viene introdotta per essere subito superata. “Rispetto alla domanda sul significato di scienza, è necessario proporre una distinzione tra scienza come atteggiamento e metodo e scienza come corpo di conoscenze. Non voglio dire che le due cose possano essere separate, poiché un metodo è un modo di trattare delle conoscenze, e la scienza come insieme di conoscenze è il prodotto di un metodo. Ciascuna esiste solo in relazione all’altra”. Dunque se la costruzione dell’unità di tutte le conoscenze acquisite appare una mèta auspicabile ma difficile da raggiungere ciò che è urgente è promuovere l’unità dell’atteggiamento scientifico promuovendo apertura mentale e dialogo tra gli scienziati di diverse discipline. Ma “il metodo scientifico non è patrimonio riservato di coloro che vengono definiti scienziati” – afferma Dewey contestando la distinzione tra scienza pura e scienza applicata, “L’insieme di conoscenze e di idee che è il prodotto del lavoro, è il risultato di un metodo che è stato seguito da un numero molto più grande di persone, che hanno interagito in modo intelligente e con apertura mentale con gli oggetti e gli eventi dell’ambiente comune”. Il nostro autore così riammettere alla mensa della scienza non solo gli ingegneri, ma anche “l’agricoltore, il meccanico e l’autista, in quanto queste persone fanno il loro lavoro con una scelta intelligente dei mezzi e un adattamento intelligente dei mezzi ai fini, e non per abitudine o a caso”. È dunque l’adattamento intelligente dei mezzi ai fini e assieme “il desiderio di ricercare, esaminare, discriminare, tracciare conclusioni solo sulla base dell’evidenza, dopo essersi presi la pena di raccogliere tutti i dati possibili” a contrassegnare quell’atteggiamento scientifico che segna assieme il punto d’arrivo e il percorso del nostro lavoro educativo. Nel secondo saggio Dewey affronta in termini diretti il problema della possibilità di costruire proposizioni di valore concludendo che è possibile costruire queste proposizioni, che in generale riguardano la relazione che si stabilisce tra fini e mezzi se si tiene conto del contesto in cui sorgono i problemi e i bisogni, dei desideri e degli interessi che debbono essere considerati come mezzi nell’interazione con le condizioni esterne ambientali, dei fini in vista che fungono da ipotesi di lavoro, da piani di azione e dunque coordinano i mezzi e dei risultati ottenuti. La ricerca educativa ha sviluppato queste indicazioni confrontandosi nel concreto con i problemi quotidiani dell’esperienza scolastica e dando vita già nel 1929 ad opera di Piéron a una disciplina, la Docimologia, intesa inizialmente come studio scientifico destinato alla critica e al miglioramento delle istituzioni scolastiche, disciplina che via via ha esteso il suo campo di indagine fino a proporsi come descrive Benvenuto (2003. p. 30) come ambito di ricerca che ha per oggetto lo studio dei sistemi di valutazione in educazione. In Italia questi studi hanno avuto un grande sviluppo grazie ai lavori tra gli altri di Aldo Visalberghi, Mario Gattullo, Maria Corda Costa, Luigi Calonghi, Mauro Laeng e quelli dei numerosi colleghi impegnati nella ricerca educativa. Il contributo di queste ricerche e dei molti lavori internazionali su questi temi sembra oggi poco frequentato e la maggior parte delle valutazioni a cui siamo esposti da parte di chi ha il potere di decidere e di fare opinione tende a basarsi su una analisi dei risultati che non tiene conto di non o più dei passaggi e delle cautele scientifiche necessari. Il più comune dei fenomeni è quello di valutare i prodotti senza tenere conto delle condizioni di contesto e dei mezzi. Quando in Lettera a una professoressa si contesta il trattamento uguale a Pierino del dottore e a Gianni, si rende evidente che non c’è più grande ingiustizia che fare parti uguali tra disuguali. La cultura della valutazione corrente improntata ai modelli economici la cui efficacia è sotto gli occhi di tutti vorrebbe che si incentivasse Pierino e si
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penalizzasse Gianni (“lo sfigato”) che è solo un peso, anzi che si punisse anche l’insegnante di Gianni e se del caso il suo dirigente scolastico. Allo stesso modo viene messa sotto accusa la scuola media che pure ha rappresentato probabilmente la sola rivoluzione culturale del sistema scolastico italiano dall’unità ad oggi. Ora negli anni Sessanta a riforma ancora in corso Visalberghi scriveva con chiarezza che per realizzare gli obiettivi della riforma sarebbero stati necessari i mezzi che nessuno ha mai provveduto a fornire. Oggi gli stessi che non hanno fornito i mezzi lamentano gli scarsi risultati e ne attribuiscono la responsabilità agli insegnanti. Ci sono ben altre responsabilità. Qui entra i gioco la parola responsabilità, ma vorrei che fosse chiaro che uso questo termine solo per cercare di comprendere e non di giudicare. Il problema è comprendere e evitare di costruire attribuzioni causali nel sonno dogmatico da cui Hume aveva tentato di svegliarci parecchio tempo fa. Ad esempio se i finanziamenti per la ricerca raggiungono solo un piccolo gruppo di ricercatori della nostra comunità scientifica, certamente perché i loro progetti sono valutati migliori da commissioni al di sopra di ogni valutazione, come potrà essere valutata l’attività scientifica di coloro che non hanno avuto finanziamenti? E quelli che li hanno ricevuti ne hanno ricevuti in misura ragionevolmente adeguata ai progetti? E le condizioni di lavoro in cui operano sono adeguate? Osservate la tabella 1 in cui l’OCSE confronta la quantità di ore lavorate con la produttività rapportata a quella USA (100): l’Italia risulta il Paese in cui si lavora di più e si produce di meno. Ora pensate alle condizioni in cui lavoriamo in università e usate questo per spiegare i dati.
Olanda Germania Francia Danimarca Svezia Gran Bretagna Spagna Finlandia Italia
media ore di lavoro procapite
GDP per ora
1377 1408 1439 1537 1624 1647 1674 1690 1778
99,8 90,9 97,9 87 84,6 78,3 80,1 81,2 74,4
Tabella 1 – Ore lavorate e produttività del lavoro in alcuni paesi europei data extracted on 14 Apr 2012 17:49 UTC (GMT) from OECD.Stat
Una mania della “cultura della valutazione” di moda sono le classifiche Yale e la Sapienza possono essere confrontate in termini di produttività scientifica? La tabella 2 in cui confronto alcuni dati di queste università di per sé è eloquente, sarebbe interessante conoscere le risorse pro capite per l’attività di ricerca di cui si giovano i ricercatori di queste due università e anche il carico didattico di cui sono gravati e il tempo netto per la ricerca. Solo una delle famose classifiche considera qualcosa di pro capite, ma gli attribuisce solo un piccolo peso. Studenti Docenti Personale tecnico e amministrativo
Yale 11560 3695 9267
Harvard 21115 4393 8052
Sapienza 140937 4434 4397
Tabella 2 – Dati 2010 su studenti, docenti e personale tecnico amministrativo di Sapienza e Yale e Harvard
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Studi
Nello sport proprio per consentire una equa competizione, nasce il concetto di handicap. Nel 1854 viene introdotta la (Thames Measurement Rule), che attribuiva una penalità in termini di tempo alle barche le cui caratteristiche determinavano un vantaggio che avrebbe reso insensata la competizione sulla base di una formula che stimava la lunghezza della barca e il peso del baglio. Poiché la lunghezza era calcolata dallo slancio di prua all’attacco timone, risultò presto facile aggirare la formula, spostando in avanti il timone e lasciando inalterata la lunghezza al galleggiamento. Immaginiamo ad esempio un confronto sull’efficacia della scuola in contesti diversi nel nostro paese. L’Indagine ASPIS promossa dall’INVALSI quando era ancora diretto da un pedagogista rilevo che nel combinato di spesa degli Enti Locali e dello Stato nel 2000 una scuola elementare di 500 studenti del Sud riceveva circa 2 miliardi delle vecchie lire l’anno in meno di una scuola del nord est. La differenza di risultati in termini di apprendimento tra una scuole del Nord e una scuola del Sud, anche tralasciando tutte le altre penalizzazioni, che la scuola del Sud riceve dal contesto, vale davvero due miliardi? Diranno che bisogna mettere ordine e che da qualche parte bisogna cominciare e che ogni operazione di conoscenza comporta comunque una qualche forma di riduzionismo, ma i riduzionismi della valutazione burocratica sembrano a senso unico, pieni di intenti moralisti e colpevolizzanti2. Inoltre se pure ridurre i problemi ad aspetti misurabili è sempre stato un primo approccio alla costruzione di una conoscenza normativa ogni normalizzazione corre il rischio di perdere di vista proprio quelle diversità e quelle eccellenze che sono il motore primo del progresso scientifico3. La nostra comunità scientifica da tempo si occupa di problemi di valutazione, abbiamo appreso ad esempio che non sono i voti ad aiutare il miglioramento degli allievi, anzi l’uso dei voti se non accompagnato da attenzioni educative aumenta la forbice4. In questa cultura della valutazione gli economisti dopo avere devastato l’economia si occupano del sistema formativo e chiedono al sistema formativo di produrre alte competenze per un sistema produttivo non in grado di recepirne. Noi abbiamo visto le imprese rubare studenti alla scuola nelle fasi di espansione tanto che nel nord si registrava un fenomeno di abbandono scolastico legato all’eccesso di offerta di impiego. Ma dietro a questa cultura della valutazione che tende a colpevolizzare sempre la parte più debole: un vecchio trucco del potere. Se non trovi lavoro la colpa è tua che pretendi
2 Merita citare Pirsig (1991) “Il mondo è pieno di rompiscatole come Rigel, ma i peggiori sono quelli che si atteggiano a moralisti. Un moralismo esentasse. Grandi idee su come migliorare il prossimo senza pagare di tasca propria. E poi c’era un problema di ego. I tipi come Rigel usano le questioni morali per interiorizzare l’altro e così apparire migliori loro”, p. 111. 3 A questo proposito merita considerare il testo apparso nella bozza finale del gruppo di lavoro CUN designato per le aree 10 e 11 (18/12/2009) “Ciò che occorre a questa agenzia sono dei criteri per giudicare, con un margine di errore possibilmente basso, e in modo intelligente, strutture collettive, in modo da produrre piramidi più o meno articolate e il più possibile conformi al reale valore scientifico di quanto è stato valutato. È a questo proposito evidente che tale valutazione di massa è per definizione uno strumento capace di definire uno standard , di spingere verso comportamenti medi e di isolare la parte inferiore. Essa sembra invece incapace di cogliere sempre le punte di eccellenza, alcune delle quali, proprio perché innovative e essenzialmente di nicchia, possono anzi sfuggirle, magari perché pubblicate su riviste più giovani e coraggiose, o meno dominate dall’opinione comune prevalente nella comunità degli studiosi in un momento dato. Tali punte hanno però altrove, per esempio nel riconoscimento futuro e nelle soddisfazioni di chi le anima, il proprio premio.” (pp. 3-4). 4 Ad esempio è evidente che cattivi voti e bocciature molto raramente migliorano i risultati scolastici degli studenti.
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mille euro di stipendio, che non vuoi lavorare fuori orario e pretendi pure sicurezza sul lavoro. A questo punto del discorso vorrei tornare al ruolo del concetto di responsabilità perché in questa dialettica tra mezzi e fini, chi detiene il potere di determinare i mezzi e i fini, non può evitare di assumersi anche la responsabilità dei risultati. Chi omette di formare gli insegnanti o decide di farlo a costo zero, chi manda a insegnare inglese persone che non lo sanno per risparmiare, chi spende, ma non investe, non può poi additare al discredito gli operatori colpevoli dei mancati risultati. Se proprio vogliamo costruire una cultura della valutazione potremmo cominciare dal valutare la testa perché è da lì che si capisce la qualità del pesce. Costruito così il ragionamento sembrerebbe solo una riproposizione della ideologia degli anni Settanta, anch’essa su un modello deterministico, le responsabilità sono del sistema e tutte le responsabilità individuali vengono dissolte. Invece è necessario tenere conto che al di là dei condizionamenti esiste per ciascuno un terreno in cui le scelte e le valutazioni chiamano in causa responsabilità personali. La responsabilità nel comportarsi secondo scienza e coscienza rientra nel terreno della Deontologia, dal greco deontos (“dovere”). La deontologia è l’insieme dei doveri inerenti a una particolare categoria professionale. Alcune professioni, per il loro carattere sociale, sono tenute a rispettare un certo codice di comportamento atto a non ledere la dignità o la salute di chi è oggetto del loro operato.
2. Della deontologia dei falegnami e dei fabbri Nel criticare l’impianto dei test costruiti dal MIUR per selezionare i dirigenti scolastici Bottani (2011) ha dovuto ricordare che per fare bene queste cose occorrono specialisti5. Rafforziamo questa affermazione: per costruire test ben fatti occorre una conoscenza esperta, un sapere attraversato da molta pratica, che non può essere sostituito da una rapida lettura di istruzioni per l’uso. Cercare di insegnare a lavorare scientificamente alla rilevazione e alla misura di abilità e fare manutenzione di questa competenza, assomiglia alla fatica di fare acquisire buone abitudini. L’arte di fare test richiede una competenza da artigiani, ma anche la presenza di un progetto complessivo, una architettura e, dunque, di un architetto, perché in questa pratica il perché conta quanto il come. Se il progetto è insensato poco possono fare gli artigiani, se poi l’architetto sceglie artigiani che in maggioranza sono bravi, ma a fare cose diverse da quelle necessarie… Il MIUR, dopo il disastro delle prove per dirigenti scolastici, scarica le sue responsabilità,
5 “Qui inoltre abbiamo a che fare con una preselezione di dirigenti scolastici, non di semplice personale amministrativo o ausiliario. Una professione che negli ultimi anni ha subito profonde modificazioni e che non è assimilabile a quella di altri funzionari dello Stato. Bisognava avere pertanto ben chiare quali conoscenze andavano testate. Un “pasticciaccio” La costruzione di oltre 5000 quesiti è una cosa da brivido. Infatti, ogni parola conta in una domanda, La formulazione di una domanda non è mai neutra. La pulitura e ponderazione dei quesiti esige molto tempo, la preparazione delle risposte pure e la verifica finale anche. Questi lavori richiedono l’intervento di specialisti. Come sono state costruite le domande della batteria pubblicata, come sono state verificate e calibrate? Non ne so nulla, ma ho il sospetto, dopo avere letto parte dei quesiti, che non tutte le tappe richieste dagli standard qualitativi a livello internazionale per un esercizio simile siano state rispettate”. (Bottani, 2011).
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pubblicando i nomi delle persone incaricate di fare domande: ma era l’impianto ad essere inconsistente. I singoli esperti disciplinari chiamati a proporre domande hanno però anch’essi dei torti: il primo riguarda quelli che hanno accettato di fare i fabbri, ma erano falegnami, il secondo riguarda quelli tra loro che sono falegnami che non si sono ritirati quando hanno visto che il progetto era irrealizzabile. Anche i professori universitari e i dirigenti dovrebbero avere una deontologia che impedisce di accettare incarichi non ragionevolmente realizzabili. È in questa prospettiva che in un editoriale della rivista SIRD dedicato alla formazione degli insegnanti, proponevo una posizione ferma sulla questione della formazione degli insegnanti a costo zero (Lucisano, 2010). Noi sappiamo bene che nelle condizioni date i fini proposti non potranno essere raggiunti. In realtà basterebbe già un po’ di common sense per comprendere questo, ma abbiamo anche avuto evidenze empiriche nel corso degli anni di lavoro con le SSIS. Non può funzionare un percorso formativo senza un corpo docente dedicato, senza quei requisiti che vengono considerati minimi per gli altri corsi di laurea e allora accettare di operare nella certezza di insuccesso comporta responsabilità individuali e collettive, individuali per i singoli docenti che accettano, collettive per le università che accettano. E il “non si può fare diversamente” è un ritornello da processo di Norimberga. Se è stato possibile per dodici docenti universitari rifiutare di giurare fedeltà al regime fascista, ed erano in grado di valutare le conseguenze, vuol dire che considerato il contesto, ne valeva la pena. Dico questo perché noi siamo oggi una comunità scientifica messa ai margini, ma nella nostra messa ai margini esiste una nostra responsabilità, se un fabbro accetta di fare il falegname e il cuoco e all’occorrenza il chirurgo, non può poi stupirsi di non essere stimato né come falegname, né come chirurgo e nemmeno come fabbro. Se abbiamo e io ritengo che abbiamo una comune esperienza di ricerca allora il nostro compito è di difendere la conoscenza che abbiamo costruito, condividere le nostre esperienze, costruire ponti con gli altri studiosi e fare in modo che gli errori del passato non si debbano ripetere e questa responsabilità è ancora più grave perché gli errori nel nostro settore sono errori che producono cattiva educazione e che si ripercuotono in modo grave sulle generazioni a venire. E se il nostro compito è educare alla libertà di pensiero non possiamo non tornare al cercare una coerenza tra mezzi e fini e testimoniare una libertà che pur nel rispetto delle abitudini, delle tradizioni e delle regole, non si manifesti nel ragionare seriamente con rigore critico sui temi sui quali siamo chiamati a lavorare. Così credo che in primo luogo dobbiamo opporci a questa cultura della valutazione basata sulla tradizionale pedagogia delle mele marce. Non è premiando i buoni e punendo i cattivi che si costruisce un percorso educativo, ma cercando di coinvolgere tutti nel raggiungere obiettivi condivisi. Non puntiamo a una aristocrazia, ma a una democrazia che ha la ha forza nel demos, uscirne insieme è la politica. Così che io credo sia necessario superare il problema della valutazione senza rinunciare alla ricerca ma integrando questo concetto e quello di ricerca con il contributo delle scienze umane. Dobbiamo porre al centro della nostra ricerca lo sforzo di comprendere il significato delle nostre esperienze. Dobbiamo cercare di mettere al centro del nostro lavoro la qualità, a partire dal restituire a questa parola il suo significato autentico. Non quello della tecnocrazia che interpreta la qualità come adeguamento a standard predefiniti, ma quello che porta a cercare di comprendere la natura delle cose e delle persone nella sua unicità. La qualità dei tecnocrati è meno della quantità è rinuncia all’eccellenza e alla singolarità. La qualità inizia quando si comincia a tenere alle cose e alle persone e si cerca di scoprire in ciascuno ciò che è e che può dare e a valorizzarlo. La pedagogia ha
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ancora qualcosa da dire e forse bisogna cominciare a farlo senza paura e senza adeguarsi né alle medie, né alle mode. E se riusciremo anche solo ad educare i nostri studenti ad un atteggiamento scientifico capace di comprendere senza valutare allora potremo dire come Cornelia “Haec sunt ornamenta mea”.
Riferimenti bibliografici Asquini G., Bettoni C. (Eds.) (2003). La ricerca Aspis. Analisi delle spese per l’istruzione. Milano: Franco Angeli. Benvenuto G. (2003). Mettere i voti a scuola. Roma: Carocci. Bottani N. (2011). Concorso per dirigente, non si scherza sui questionari. Tuttoscuola, 13 settembre 2011. From: http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=26489. Dewey J. (1939). Theory of Valuation. Chicago: University of Chicago Press (Trad. it. Teoria della valutazione, La Nuova Italia, Firenze, 1967). Dewey J. (1939). Unity of science as social problem. In O. Neurath, R. Carnap, C. Morris (Eds.), Foundations of the unity of science. Toward an international encyclopedia of Unified science (pp. 29-38). ChicagoLondon: University of Chicago Press (Trad. it. in P. Lucisano, L’unità della scienza come problema sociale di John Dewey. Cadmo, 22, 2000, pp. 33-37). Lucisano P. (2004). Impari opportunità. Valore scuola, 6, pp. 15-19. Roma: CGIL Scuola. Lucisano P. (1991). La spesa formativa nel Mezzogiorno. Scuola Democratica, 1-2, gennaio-giugno 1991, pp. 27- 41. Lucisano P. (2010). Se l’obbedienza non fosse una virtù. Giornale italiano della ricerca educativa, III, 2, pp. 7-8. Pirsig R. M. (1974). Zen and the art of Motocycle Maintenance (trad. it. Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, Milano, 1990). Pirsig R.M. (1991). Lila (trad it. Lila, Adelphi, Milano, 1990). Scuola di Barbiana ( 1967). Lettera a una professoressa. Libreria Editrice Fiorentina. Visalberghi A. (1955). Misurazione e valutazione nel processo educativo. Milano: Edizioni di Comunità.
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Studi Ricerca didattica e valutazione ROBERTA CARDARELLO
1. La valutazione e i temi della ricerca didattica Se guardiamo alla valutazione dal lato della ricerca accademica, non vi è dubbio che il tema continua ad occupare un importante posto negli studi di tipo empirico sia nel panorama internazionale che in quello italiano. La recente Conferenza della EARLI (European Association for Research on Learning and Instruction) tenutasi a Exeter ai primi di settembre del 2011 fornisce un eloquente quadro dei temi attualmente affrontati dalla ricerca, e continua a documentare la centralità delle forme di accertamento e valutazione. Se si pensa infatti che esistono ormai molte riviste e associazioni specializzate sul tema valutazione, colpisce la sua rilevanza in un convegno per così dire di generalisti, cioè di ricercatori, di area psicopedagogica, interessati al complesso dei processi di insegnamento apprendimento. ( EARLI Exeter 2011) PAPER PRESENTATION COMPUTER SUPPORTED LEARNING & MULTIMEDIA TEACHER EDUCATION INSTRUCTION STRATEGIES DESIGN SOCIAL INTERACTIONS
n. sessioni 15 14 10 10
PROFESSIONAL DEVELOPMENT READING &WRITING COGNITIVE SKILLS SCIENCE EDUCATION
9 9 8 7
SELF REGULATION / SELF EFFICAY ASSESSMENT EVALUATION HIGHER EDUCATION
7 6 5
MOTIVATIONAL AFFECTIVE PROCESSES SPECIAL EDUCATION
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Tab. 1
* Relazione inviata al Congresso SIRD, non sottoosta a referaggio.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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La tabella che riportiamo che abbiamo ricavato dal programma della Conferenza (www.earli2011.org) consente anche di segnalare quanto i temi trattati dalla ricerca internazionale coincidano con quelli della ricerca italiana. Per esempio gli argomenti là emergenti della tecnologia nei processi formativi e della formazione degli insegnanti risultano ampiamente coltivati anche nella cultura di casa nostra, e certamente ben rappresentati dalla Sird, come abbiamo avuto modo di vedere in un recente seminario su “Le linee evolutive della ricerca” (Cardarello, 24 febbraio 2010). Quello della valutazione è un tema centrale per la Sird, fin dalle origini, e non solo per la presenza di un nucleo consistente di studiosi di docimologia tra i suoi fondatori. Infatti la Società si è costituita vent’anni fa con intenti di valorizzazione della ricerca empirica in ambito pedagogico, e il tema della valutazione, con i suoi principi e i suoi criteri, vi è risultato intrinsecamente connesso, perché introduce nel discorso pedagogico principi e fiducia di controllo dei risultati di azioni e imprese educative. Ipotizza cioè di aggiungere giudizi ‘di fatto’ alla trattazione teorica e speculativa dei processi educativi e ai relativi ‘giudizi di valore’. Ma proprio questa aspirazione a conoscere e promuovere azioni educative migliorative, peculiare della prospettiva pedagogica, ha dato luogo ad un avvicinamento progressivo ai luoghi della formazione reale (scuole, istituzioni della formazione e dell’extrascuola) e generato una problematizzazione e articolazione dei temi della valutazione. Se tale tema si è espresso in primo luogo attraverso le rilevazioni quantitative, più o meno sistematiche, circa gli esiti di apprendimento degli allievi, apprendimenti perlopiù relativi alle conoscenze curricolari, ben presto proprio la sensibilità pedagogica alla complessità dei fenomeni educativi ha denunciato i rischi di assolutizzazione delle informazioni provenienti dalla rilevazione e valutazione degli output. E non mi riferisco tanto all’attuale rischio del “teaching to test”, che esprime bene una preoccupazione sugli effetti indotti nelle scuole dalla valutazione sistematica degli apprendimenti. Ma mi riferisco proprio ai rischi di semplificazione del risultato scolastico che certa valutazione può sostenere, e alla necessità di valutare, e dunque conoscere, molti fattori rilevanti del processo formativo che oltrepassano la mera rilevazione degli esiti di apprendimento.
2. L’articolazione della valutazione La ricerca infatti ha proceduto in una doppia direzione, e cioè sia in vista di un allargamento del concetto di esito formativo (anche scolastico), sia in direzione di un’estensione dei fenomeni del processo di educazione e istruzione da conoscere e valutare. Per il primo aspetto, infatti, si sono fatte strada esigenze di valutazione viepiù raffinate e meno banali, per esempio di competenze intese come capacità complesse non ridotte a meri e scolastici saperi dichiarativi. Anche sulla scia di ricerche internazionali, a cui l’Italia ha partecipato, sono state concepite prove capaci di rendere conto non solo di conoscenze disciplinari puntuali (più facili per la verità da saggiare ma di qualche pochezza sul piano culturale) ma anche di capacità o abilità connesse alla alfabetizzazione culturale. Si pensi alle prove di comprensione del testo, per esempio (Pavan, 2001; Lucisano, 2010; Nardi, 2004). Si sono cercati strumenti per testare gli atteggiamenti culturali, e le disposizioni motivazionali, includendoli tra i prodotti, intendendo giustamente che gli esiti sostanziali del percorso formativo risiedono almeno altrettanto nelle disposizioni all’apprendimento, nelle motivazioni allo studio, nella profondità degli apprendimenti e delle rielaborazioni di conoscenza operate. Queste produzioni non si sono poste in alternativa alla valutazione dei risultati, ma hanno cercato di articolarne l’ambito e di reperire strumenti più raffinati. Del resto si conducono analisi puntuali, anche sotto il profilo quantitativo, e revisioni critiche degli strumenti stessi di
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rilevazione impiegati nelle ricerche comparative (per esempio De Luca, Lucisano, 2010). La seconda direzione di ampliamento ha creato un vortice allargato che ha incluso nel processo di valutazione, rivendicandone la centralità, gli attori della valutazione, i contesti e i processi. Il modello spesso citato di Scheerens che include i fattori indicati costituisce un frame che ha alimentato l’attenzione e gli studi dei pedagogisti nella direzione conoscitiva appunto di aspetti del percorso valutativo più articolato, comprensivo, di diversi aspetti, superando la mera focalizzazione sugli esiti. La tradizione italiana ha messo a punto strumenti per la rilevazione, e valutazione, dei contesti: si pensi a quelli prescolari e alle scale relative (per esempio Bondioli, 2001) che in Italia hanno conosciuto una discreta diffusione anche sul piano dei servizi educativi. Ma soprattutto dà luogo ad una ricca produzione di strumenti di autovalutazione, promettenti ed esplicitamente dedicati alla formazione e al miglioramento delle istituzioni e delle pratiche educative. L’attenzione agli attori ha coinciso poi fortemente con il rinnovato interesse per la descrizione dell’identità e del saper professionale degli insegnanti, anche in connessione con la centralità assunta dalla loro formazione universitaria dal 1998 in poi (con il DM 26 maggio 1998). Ma l’aspirazione pedagogica ad una valutazione sistemica ha soprattutto prodotto modelli e procedure di autovalutazione, valevoli per gli attori stessi (insegnanti, allievi, giovani), per la comprensione olistica, e non riduttiva, della scuola e delle istituzioni formative. Insomma la preoccupazione tutta pedagogica, e utilmente diffusa, di evitare i rischi di semplificazione e riduzione connessi alla rilevazione degli esiti dell’insegnamento, ha generato anche ricerche valutative di altri aspetti del processo, spesso piuttosto descrittive che valutative, ed evidenziato una destinazione principale alle pratiche di formazione degli insegnanti. In un’ottica di promozione della riflessività come garanzia di miglioramento, tale disegno ovviamente si autopromuove. Tuttavia è ben vero che la verifica dei cambiamenti indotti con questi mezzi presso gli insegnanti è lontana dall’essere sistematicamente indagata. Ciò che Lucia Giovannini indica come “l’impatto delle imprese formative” in una interessante ricognizione, risulta poco esplorato a livello internazionale, e certamente anche in Italia (Giovannini, 2012). In altre parole non è estranea alla comunità scientifica dei pedagogisti quell’articolazione tra dimensione macro della valutazione e dimensione processuale, micro nelle parole di Galliani, e gli sforzi in questa direzione non sono mancati. La mia impressione è tuttavia che anche all’interno della nostra comunità scientifica persistano rischi di separatezza tra tali due dimensioni e che la prospettiva da perseguire, anche sul piano della nostra ricerca, sia quella di potenziamento ed esplicitazione del loro collegamento.
3. I codici di collegamento Forse uno dei tratti che caratterizzano la ricerca educativa in Italia è rappresentato proprio dalla ricchezza e dal fiorire di descrizioni articolate di esperienze rilevanti con caratteri fortemente idiosincratici. E forse una linea prospettica da coltivare è quella che va nella direzione di un migliore integrazione tra dati di ‘prodotto’ ed valutazioni di contesto. La priorità riconosciuta e talvolta teorizzata alla singolarità del contesto in cui si è svolta una ricerca volta alla promozione e al miglioramento, che discende dalla necessità di rendere conto della specificità della situazione, raramente si connette a dati valutativi confrontabili, e a quei dati valutativi che attraversano, anche con fragore mediatico, la scuola e le comunità accademiche. Penso alle prove di PISA o di altre rilevazione internazionali. Laddove, come in Svizzera e in Germania, esse hanno dato luogo a studi puntuali sui ‘processi di insegnamento connessi’, promettono di fornire conoscenze sulle condizioni e le strutture educative collegate ai risultati (sia a quelli positivi, ovviamente, che a quelli critici) e
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prefigurano quindi una connessione rilevante, nella ricerca didattica, tra risultati e processi didattici collegabili. A queste connessioni (già incontrate nella tradizione di ricerca etichettata appunto come di processo-prodotto, ovvero su ‘gli insegnanti efficaci’ esplorata da Doyle) va attribuito il giusto peso, e cioè ne va riconosciuta la portata solo parzialmente esplicativa. Tuttavia, e nondimeno, gli studi che connettono i fenomeni sono utili almeno nell’evidenziare ipotesi di miglioramento didattico più precise e circostanziate. Per intraprendere una simile direzione occorre però preliminarmente accettare l’ipotesi che nelle situazioni di insegnamento apprendimento – soprattutto scolastico – esistano dei fenomeni e delle procedure analoghe, o comparabili, ovvero descrivibili con nomi comuni. Senza questa condizione si rischia quello che possiamo chiamare “l’effetto Funes’”. Molti ricorderanno il protagonista di un celebre racconto di Borges, “Funes el memorioso”, appunto Funes il memorioso, che, per la sua prodigiosa memoria, disponeva della possibilità, e della maledizione, di ricordare ogni cosa che incontrasse con infinitesimale precisione di tutti i dettagli esperiti: tutti i chicchi di un grappolo d’uva, tutte le fattezze di un oggetto, come si era presentato alle 15 e un quarto, e alle 16. In questo modo rubricava tutti gli eventi esattamente come li aveva percepiti, ed era destinato a fare i conti con quella precisione e quel dettaglio per ciascuna delle sue conoscenze (Borges, 1984, 1944). Se la nostra documentazione della ricerca in ambito didattico inseguisse questo modello di storage non si potrebbe in alcun modo passare a tesaurizzare le esperienze e le ricerche che pure vertono anche su elementi comuni. Avremmo una congerie di nomi propri (il cane delle 15 e un quarto) che permettono al massimo l’ascolto della narrazione altrui, e nessun nome comune (il quadrupede), cioè quelle concettualizzazioni sintetiche utili a dialogare, condividere, e fare avanzare il ragionamento. All’estremo opposto stanno, ovviamente, i rischi di schematizzazione dei processi che possono non essere perspicui nell’orizzonte della ricerca per il miglioramento della didattica. Per esempio le variabili di scuola individuate nella ricerca ICONA (PIRLS 2001) sulle capacità di lettura dei bambini di 9 anni. Come si ricorderà vengono isolati, e connessi agli esiti di apprendimento, alcuni dati non irrilevanti per descrivere i processi scolastici: la quantità di tempo dedicata alla lettura a scuola, l’organizzazione della classe, le risorse di aula destinate all’insegnamento della lettura, le strategie impiegate dall’insegnante ecc. (Invalsi 2003, pp. 94 e segg.). All’interno delle singole voci risultano categorizzate alcune, ritenute comuni, modalità, che si approssimano ad una descrizione, con nomi comuni, delle azioni didattiche. Sono di questo tipo, a mo’ di esempio, le attività di lettura in classe e la lettura ad alta voce dell’insegnante (ivi, p. 132 e segg). I modi della rilevazione non si spingono a descrivere con puntualità maggiore tali attività, che si presentano con una grande variabilità possibile e che forse necessitano di essere più attentamente categorizzate. Presentano tuttavia il vantaggio di selezionare elementi salienti, e di categorizzarli in modo comprensibile: a partire da essi è possibile parlare dei processi e delle pratiche scolastiche e avviare ricerche che assumano uno sfondo condiviso, tale per cui sia possibile comparare elementi, e costruire conoscenze comuni. Se ciò appare più facile quando le variabili indagate sono di tipo strutturale e organizzativo, è nondimeno a partire da tale base che diventa produttiva una contestualizzazione più precisa e che è possibile un approfondimento di rilevanza pedagogica. Un esempio di approfondimento di alcune variabili strutturali dell’organizzazione scolastica proviene da una bella ricerca condotta nel Regno Unito su oltre 600 classi scolastiche di scuola primaria e secondaria, su un tema rilevante quale è la variabile ‘numerosità delle classi’. In quella ricerca emergeva che nella scuola, e soprattutto in quella secondaria, l’elevata numerosità degli allievi per classe non riduceva l’interazione interpersonale per tutti gli allievi, ma solo per quelli più sfavoriti, ovvero meno attrezzati sul piano
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scolastico/accademico (Blatchford, Bassett, Brown, 2011). L’interesse della ricerca consiste nel fatto di descrivere un effetto della numerosità delle classi, con conforto empirico, su un elemento di qualità patente del fare scuola come l’interazione tra insegnante e allievi. E di saggiare il rapporto tra una variabile strutturale (numerosità) ed una rilevante variabile di processo, categorizzata come coinvolgimento e partecipazione, decisiva per l’apprendimento scolastico. Il tentativo da apprezzare è quello di un collegamento esplicito tra dimensioni che possiamo annoverare tra quelle macro e micro.
4. Processi e buone pratiche : la trasparenza Sulla medesima linea di riflessione vanno annoverato gli studi sulle ‘pratiche del fare scuola’ che ormai da un ventennio esprimono un’esigenza di avvicinamento della ricerca didattica alla scuola e ai luoghi formativi. Non vi è dubbio che si tratti di una linea di lavoro che arricchisce la conoscenza dell’universo dell’insegnamento e alimenta linee di lavoro sulla formazione. Ad ora, in Italia, questa linea ha privilegiato gli insegnanti, le loro rappresentazioni ed opinioni, la loro percezione dell’insegnamento, costituendo un indubbio arricchimento della conoscenza di quel contesto cruciale, ed indicando come agire nella formazione degli insegnanti. Accanto ad essa si moltiplicano le documentazioni di buone pratiche, educative e scolastiche: esse tra l’altro spesso includono in un’ottica comprensiva anche quegli elementi organizzativi e gestionali (della scuola e della classe) che intervengono nel processo educativo e sono tradizionalmente meno studiati dai pedagogisti e dagli insegnanti. La ricerca didattica di questi anni ha molto focalizzato la propria attenzione sulla illustrazione di buone pratiche, e la platea della società civile si mostra affamata di presentazione delle best practices. Proprio perché il loro destino (positivo) è quello di essere diffuse, ciò significa che esse si offrono per essere replicate, copiate, riprodotte. E la loro riproducibilità è sia una risorsa che una sfida per la ricerca didattica. Infatti bisogna distinguere almeno tra buone pratiche che introducono cambiamenti positivi e buone pratiche che risolvono i problemi. Quando sono innovative, esse esplorano organizzazioni, metodi, strumenti, procedure nuove e ne segnalano vuoi l’economicità, vuoi il successo; a volte semplicemente una buona idea che si può replicare. Più complesso risulta apprezzare le buone pratiche, esportarle e replicarle, quando esse rappresentano anche un modo per affrontare o risolvere un problema (di apprendimento; di motivazione, di equità sociale, di dispersione scolastica, eccetera). Se la narrazione o documentazione di quelle pratiche aspira a rappresentare un prototipo, o un modello, e ad essere generalizzabile, il problema cruciale è discernere nel progetto che complessivamente va sotto il nome di “buona pratica” gli aspetti cruciali, irrinunciabili, specifici, motivati che ne fanno sia una pratica migliore di altre, sia uno strumento utile alla soluzione di problemi. Se cioè vengono identificate e descritte le ragioni in base alle quali quella pratica ha funzionato e dovrebbe/ o potrebbe funzionare anche introdotta in un diverso contesto. Si badi bene che la buona descrizione di tale pratica non coincide obbligatoriamente con il ricorso a misure quantitative. Le descrizioni qualitative, l’analisi di caso, la ricerca-azione: tutto il repertorio delle procedure e delle tradizioni di ricerca qualitativa può ugualmente bene documentarne i tratti salienti. Il problema è che tali tratti salienti vengano concepiti e illustrati e possano essere individuati e o categorizzati in modo da garantire un’architettura giustificata, da tesaurizzare l’esperienza, e da fare dialogare i dati di ricerca. Su questa linea si collocano, ovviamente, quei lavori sperimentali che non si accontentano di segnalare progressi rilevanti in qualche campo a seguito di un intervento programmato e controllato, ma che fondano quell’intervento su precisi assunti metodologici, su ipotesi dei tratti salienti che lo rendono promettente, e che ne documentano gli esiti. Un esempio chiaro in questa direzione è
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testimoniato dal recente lavoro di Lucia Lumbelli che compendia sue ricerche sperimentali sulla promozione della comprensione dei testi scritti. Muovendo dall’assunto pedagogico che la partecipazione e il coinvolgimento attivo di un allievo sono condizioni favorevoli al suo apprendimento, la Lumbelli ha ideato e sperimentato strategie dell’insegnante tese al potenziamento di tale coinvolgimento e iniziativa degli allievi. Non solo ne ha riscontrato ripetutamente la produttività, ma ha documentato analiticamente i tratti salienti che dicono a quali condizioni, e con quali strumenti, tali strategie hanno un impatto positivo (Lumbelli 2009). È una bella risorsa, per la ricerca didattica, la disponibilità di ricerche di questo tipo, e in particolare la pubblicità data ai materiali e alle strategie, insomma la trasparenza dei tratti salienti, soprattutto se pensiamo che nel panorama internazionale la stessa pubblicistica scientifica diventa sempre più avara di descrizioni puntuali degli interventi didattici operati, che rischiano una grave opacità. Grandi nomi della ricerca psicopedagogica oggi tendono, dopo averne testato sperimentalmente l’efficacia, a trasformare le loro strategie didattiche in ‘pacchetti’ pronti per l’uso (e per l’acquisto), rendendo più oneroso (sotto ogni punto di vista) il confronto e l’accumulo della conoscenza. In questo caso le istanze della ricerca scientifica, di cui la pubblicità è tratto costitutivo, e la messa in chiaro di risorse per il miglioramento delle pratiche educative sembrano trovare un buon punto di incontro, che è etico e scientifico allo stesso tempo. Ci sembra, concludendo, e riprendendo gli auspici di Luciano Galliani (in questo stesso numero), che “la dialettica tra macro e micro, tra sistema e processo, tra accountability e improvement” possa trovare vie di composizione anche attraverso il potenziamento di collegamenti entro la stessa ricerca scientifica, e segnatamente attraverso la nostra Società.
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Studi La valutazione del valore aggiunto della scuola*
PAOLO SESTITO1
La qualità del sistema educativo è oggi una grande questione nazionale.Vi si connettono le opportunità di crescita economica – che per un paese come l’Italia dipendono dalla capacità innovativa, non dalla presenza di risorse naturali da sfruttare, e che sarebbe controproducente perseguire tramite una sistematica compressione dei livelli salariali. Ma anche le prospettive della coesione sociale – l’Italia caratterizzandosi come un paese in cui troppo spesso la condizione professionale e reddituale dei figli ricalca quella dei genitori, con una scarsa capacità del sistema scolastico, nonostante la sua natura e il suo finanziamento quasi esclusivamente pubblici, di spezzare tale immobilità intergenerazionale. Affrontare una simile questione significa colmare il gap medio negli apprendimenti che, crescentemente al progredire lungo il ciclo degli studi, caratterizza gli studenti italiani rispetto al dato medio Europeo o dei paesi OCSE e significa ridurre le diseguaglianze interne al sistema scolastico2. Un tratto di queste, specifico del caso italiano, è la forte differenziazione esistente tra scuole3, delle diverse regioni – con un marcato ritardo del Mezzogiorno, che si ricollega e influenza il più generale gap socio-economico di queste regioni – ma anche tra scuole della stessa regione4. È anche e soprattutto con riferimento a queste che nel dibattito di
* Relazione inviata al Congresso SIRD, non sottoosta a referaggio. 1 Lo scritto riprende i temi fondamentali dell’intervento svolto al VII Congresso SIRD “Università e scuola: valutare per quale società?”, svoltosi a Padova nei giorni 1 - 2 - 3 dicembre 2011. 2 L’evidenza internazionale è che i due obiettivi, di innalzamento dei livelli medi e di riduzione delle diseguaglianze interne al sistema, non sono in contraddizione (cfr. ad es. Freeman et al., 2010). 3 L’obiettivo di una riduzione dei divari tra scuole e tra regioni nel caso delle scuole di primo e di secondo ciclo, differenzia queste dal segmento universitario. In quest’ultimo, una certa differenziazione della struttura dell’offerta formativa – con la concentrazione delle eccellenze in un ridotto numero di poli attivi nella competizione a livello mondiale – ha invece una sua ragione d’essere (cfr. Cipollone et al., 2012), obiettivo dell’Università non essendo quello di fornire a tutti almeno una base formativa adeguata. 4 I differenziali tra regioni (cfr., per un quadro aggiornato, Invalsi, 2012) non sembrano in prima battuta ascrivibili a una diversa disponibilità di risorse materiali: la dotazione infrastrutturale delle scuole del Mezzogiorno è di minore qualità – un dato che dipende dalle minori disponibilità degli enti locali di quell’area ma anche da una minore propensione di questi a spendere per la scuola – ma il grosso della spesa è in Italia legata alle retribuzioni del personale - in Italia finanziate dallo Stato centrale e che nel
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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questi ultimi anni si è fatto crescente riferimento al tema della comparabilità degli esiti formativi degli alunni tra le diverse scuole e della accountability delle scuole come possibile leva di miglioramento. È ai problemi connessi con l’uso di questo canale di miglioramento, e in particolare al tema del come stimare e adoperare il concetto di valore aggiunto – inteso come stima del contributo che una scuola può aver dato all’evoluzione delle competenze dei propri alunni – che sono dedicate queste pagine. Preliminarmente è però opportuno chiarire, non foss’altro che per evitare fraintendimenti sulle opinioni di chi scrive, che l’evidenza internazionale secondo cui autonomia e accountability delle scuole, peraltro se e solo se abbinate l’una all’altra5, si associano a una migliore performance del sistema scolastico, non implica l’irrilevanza di altri importanti aspetti. Un innalzamento della qualità del sistema scolastico non può oggi prescindere dal puntare su docenti più qualificati e motivati – quindi meglio selezionati e meglio pagati, in sostanziale discontinuità rispetto alle prassi degli ultimi decenni, con docenti in numero elevato6 ma sottopagati, selezionati (ma spesso nel senso sbagliato) quasi solo dallo spauracchio del lungo precariato attraverso cui transitare e sostanzialmente abbandonati a se stessi nella loro attività quotidiana. Anche opportuno appare essere un rinnovamento degli stessi orizzonti culturali della scuola italiana – dove l’orientamento alle competenze e l’abitudine a stimolare la motivazione e l’interesse degli allievi sono spesso disattesi. Alcuni di tali temi sono legati alla governance del sistema scolastico, e si avrà modo di parlarne, sia pur brevemente, nelle pagine che seguono. Più in generale, però essi si ricollegano a un’esigenza di maggior attenzione sociale al tema della scuola e del suo funzionamento. E tale attenzione trascende lo stesso mondo della scuola in senso stretto: conta ad esempio un funzionamento più inclusivo del mercato del lavoro. Un mercato del lavoro inclusivo e tale da valorizzare i talenti dei più giovani che la scuola può e deve sviluppare è il miglior viatico per stimolare i ragazzi all’impegno ed evitare una pressione sociale al ribasso, al mero ottenimento del “pezzo di carta” (possibilmente con la minore fatica possibile), che tante volte caratterizza invece, specie in alcune aree del paese, il modo con cui le famiglie si relazionano con la scuola. L’idea che gli “utenti del servizio” possano indurre una maggiore qualità delle scuole – alla stessa stregua di quanto avviene in tanti altri settori ed attività ove la pressione della domanda e le logiche di mercato “disciplinano” i comportamenti dell’offerta, è stata in Italia tradizionalmente trascurata. L’ipotesi implicita era che gli utenti – in primis le famiglie - non fossero in grado di formulare scelte consapevoli o che addirittura potessero formulare scelte distorte, ad esempio a favore di scuole “più facili”, pronte a garantire l’ottenimento del famoso “pezzo di carta” più che allo sviluppo delle competenze; si noti che è proprio per questo motivo che quanto prima detto sul mercato del lavoro rileva anche per un buon funzionamento della scuola. Più in generale, la fornitura dei “servizi educativi” è comunque, alla stregua di tanti altri servizi professionali, un’attività i cui utenti (gli alunni, ma anche i loro genitori) per definizione hanno un handicap informativo, che ne rende meno ponderate
Mezzogiorno, in rapporto agli alunni, sono semmai leggermente più elevate (per la maggiore anzianità media del corpo docente di quell’area, ove più bassa è l’incidenza di docenti precari, e per via di una dimensione media delle classi che è spesso inferiore e non sempre per motivi ragionevoli, perché legati alla presenza di alunni disabili o di una struttura abitativa più frammenta e la più diffusa presenza di scuole di minore dimensione). Cfr. in generale su tali temi Cipollone e Sestito (2011). 5 Cfr. Woessmann et al. (2009) 6 Anche dopo i “tagli” degli ultimi anni, il modulo organizzativo e l’impegno orario dei docenti italiani si sostanziano in un rapporto tra studenti e docenti che, nel confronto internazionale, rimane piuttosto basso.
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le scelte. Pur con queste qualificazioni, pare però indubbio che la pressione degli utenti, un fenomeno che comunque tenderà a manifestarsi, possa contribuire a innalzare la qualità della scuola. Perché ciò avvenga occorrono però meccanismi che guidino e incanalino tale spinta: regole di trasparenza – che rendano “informata” e non distorcano la pressione delle famiglie – e regole di funzionamento del sistema – che tramutino le scelte informate delle famiglie in stimoli a ben fare. Molte di queste cose sono oggi assenti in Italia e non se ne potrà qui parlare.Vale però la pena sottolineare come un contributo rilevante stia già venendo dalla presenza delle rilevazioni Invalsi. Le fughe in avanti da taluni a volte ipotizzate7 sarebbero però controproducenti, anche per il rischio di enfatizzare eccessivamente il significato di tali prove – che non sono e non vogliono essere una sorta di giudizio di Dio sulle singole scuole (e tanto meno sui singoli alunni), essendo mirate a fornire innanzitutto informazioni comparate alle singole scuole – ed il cui svolgimento rischierebbe di essere deformato, più di quanto già oggi non accada, se divenissero il metro per “giudicare”, e quindi premiare o punire, le singole scuole o i singoli insegnanti. La trasparenza anche nell’uso di tali prove può però essere migliorata già da subito e in questo senso si muovono talune recenti iniziative: a partire dall’autunno 2012, con riferimento ai risultati delle rilevazioni Invalsi della precedente primavera, l’Invalsi sta ad esempio restituendo alle scuole i propri risultati al netto degli effetti stimati della presenza di cheating – così evitando che le scuole finiscano col farsi forti di risultati ottenuti in maniera fraudolenta8 – e sta prevedendo un preciso format dei dati che la scuola, a sua scelta, potrà rendere pubblici; tale format in particolare enfatizza l’evoluzione dei risultati della scuola tra i diversi gradi scolastici e il posizionamento della scuola rispetto a scuole con una popolazione studentesca simile, in termini di background socio-economico delle famiglie di origine, sì da approssimare il concetto di valore aggiunto. Più in generale, il documento rendicontativo standard che la bozza di regolamento sul SNV (Sistema Nazionale di Valutazione) approvato in prima lettura dal Governo nell’agosto 2012 immagina debba esser prodotto da ogni singola scuola seguendo un format affidato all’Invalsi, potrà col tempo includere anche altre informazioni atte a cogliere la qualità del servizio scolastico. Si potrà così evitare di enfatizzare, con eccesso spasmodico, i risultati delle rilevazioni Invalsi, che colgono aspetti importanti ma non esaustivi dei risultati raggiunti in ciascuna singola scuola. La pressione derivante dalle “scelte di mercato” delle famiglie, oltre a non essere l’unica possibile spinta al miglioramento, non è comunque un meccanismo privo di controindicazioni e rischi. Sul piano empirico, non vi è in effetti nessun sistema scolastico governato unicamente da logiche di mercato. Il motivo è presto detto: non tutte le famiglie sono egualmente sensibili al tema qualità del servizio scolastico; svariati fattori – ad esempio la presenza di ostacoli geografici o di reti di trasporto mal funzionanti – possono limitare la reattività della domanda alla qualità del servizio, per cui quel che magari è ottenibile in un ambiente urbano non è possibile in situazioni a bassa densità di popolazione; sarebbe comunque difficile, per la sua problematicità intrinseca, avere che le scuole mal funzionanti “escano dal mercato” per venire rimpiazzate da scuole di migliore qualità. Vi è perciò il rischio che una logica di quasi-mercato esalti la dicotomia tra “scuole buone” – che, sommerse dalle richieste e spesso impossibilitate ad espandersi, razionano l’accesso dei
7 Cfr. ad esempio Abravanel (2011). 8 L’obiettivo è ovviamente quello di stimolare al controllo del cheating. A tale fine le informazioni sulla presenza di cheating nelle diverse classi della scuola sono anche fornite al dirigente scolastico e al presidente del consiglio d’Istituto (un genitore).
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propri alunni, magari proprio sulla base delle loro competenze e della loro motivazione, finendo così col migliorare ulteriormente i propri risultati – e “scuole cattive” – con problemi accentuati dal dover servire quasi solo studenti difficili e poco motivati. Oltre che regole sulla trasparenza, occorrono perciò regole che impediscano tali derive – ad esempio limitando la possibilità per le scuole di scegliersi gli studenti più bravi e motivati9 – e meccanismi e logiche che vadano a sovraimporsi a quelli di mercato – ad esempio, la presenza di interventi esterni che impongano, dall’alto e sulla base di un principio gerarchico-autoritativo, una riorganizzazione delle “scuole cattive”, che non possono esser lasciate andare alla deriva col loro carico di studenti innocenti. Quella di individuare situazioni critiche ove sia necessario intervenire è in effetti un’altra grande funzione d’un sistema di valutazione che compari tra loro le diverse scuole. Una non banale precisazione è doverosa sul concetto di situazione critica. Gli esiti formativi ed educativi10 degli alunni d’una scuola possono ovviamente discendere tanto dal contesto in cui la scuola si trovi ad operare, in primis il background socio-economico dei propri studenti, quanto dal suo modus operandi. Nel linguaggio aziendale, dei risultati scadenti – e quindi la presenza di una situazione critica – possono discendere dalla scarsità delle risorse o dalla bassa produttività con cui queste vengono adoperate. Individuare come “critica” la situazione di una scuola non significa pertanto giudicare come inefficace, e quindi da rivedere, il suo modus operandi: ad esser necessario potrebbe essere un supplemento di risorse e un aiuto esterno, prima ancora che una riorganizzazione dei suoi processi organizzativi interni. È proprio al fine di distinguere tra queste due possibilità che entra in campo il concetto di valore aggiunto, un costrutto analitico, di per sé non apprezzabile dagli utenti che, anche quando informati, tenderanno peraltro a reagire più agli esiti formativi ed educativi che alla quota parte di questi ascrivibile alla scuola. Visto che è all’ottenimento di elevati esiti formativi ed educativi che dovrebbe mirare un buon sistema scolastico, è importante
9 In caso di razionamento ciò significa adoperare delle vere e proprie lotterie. Più in generale ciò significa impedire che le scuole buone si caratterizzino per un costo, per le famiglie, troppo difforme da quello esistente per la generalità delle scuole (anche con riferimento ad attività accessorie, ad esempio i contributi per il laboratorio o i viaggi di istruzione). La presenza di vincoli di tale tipo non deve peraltro stupire in quello che comunque sarebbe destinato a rimanere un “mercato regolato”. 10 Esiti formativi ed educativi che possono a loro volta essere visti come l’assieme delle competenze di natura più propriamente cognitiva e dei valori e degli atteggiamenti comportamentali (i cd skills non cognitivi). Una “buona scuola” dovrebbe infatti consentire lo sviluppo di competenze di qualità, ma anche promuovere efficacemente i valori e le norme collettive congruenti con una società libera e democratica e preparare adeguatamente al mondo professionale e del lavoro. Trascurare nella prassi applicativa questa multidimensionalità delle misure di outcome rilevanti rischierebbe di distorcere i comportamenti degli attori del sistema – che saranno indotti a tenere in conto solo gli aspetti più facilmente misurabili e quindi oggetto di esplicita rilevazione, ad esempio restringendo indebitamente il curricolo alle sole cose oggetto delle rilevazioni Invalsi – e di deformare la stessa capacità segnaletica delle misure adoperate – incentivando ad esempio meccanismi di cheating e di vera e propria frode nell’attuazione delle prove. E’ perciò importante ragionare e costruire un sistema basato su misure intrinsecamente multidimensionali, oltre che definire procedure di contrasto di tali fenomeni discorsivi. Inoltre, proprio perché la potenza segnaletica delle rilevazioni standardizzate delle competenze è molto elevata – sul piano dell’indicazione anche culturale di quali siano le competenze chiave verso cui le scelte educative debbano andare – tali strumenti vanno adoperati con cautela e consapevolezza, evitando di dare indicazioni incongrue e precipitose al sistema. Pur attesa l’importanza di tali questioni, riassumibili nella considerazione secondo cui l’outcome di una scuola non possa ridursi ai risultati dei suoi alunni nelle prove Invalsi, da qui in poi tale questione verrà trascurata, implicitamente immaginando di basare sulle rilevazioni Invalsi la misura dell’outcome di una scuola da cui poi derivare il concetto di valore aggiunto.
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individuare le situazioni scolastiche caratterizzate da esiti insoddisfacenti; è però solo ragionando in termini di valore aggiunto che si potrà concludere, con riferimento al singolo caso concreto, se il problema richieda un’azione di supporto – maggiori risorse – o di riorganizzazione – un modo più efficace di adoperare le risorse esistenti. Beninteso, all’atto pratico in molti casi potrà essere necessario sia supportare che riorganizzare. Inoltre, anche ove la conclusione fosse a favore della necessità di maggiori risorse, la concreta definizione del “che fare” richiede di ragionare sul come intervenire. L’unico caso in cui ci si potrebbe limitare a ragionare sul valore aggiunto è quello in cui tale metrica venga adoperata per premiare le scuole ritenute migliori, agli stimoli derivanti da tali forme di premialità11 venendo affidata la funzione di indurre miglioramenti nella qualità delle diverse scuole. Ma l’uso di forme premiali non supera i problemi prima visti per i meccanismi di quasi mercato: non è possibile far progressivamente mancare le risorse alle “scuole cattive”, che non possono essere lasciate andare alla deriva, privandole di risorse, col loro carico di innocenti studenti. Nel caso della scuola, prima o poi (e meglio prima che poi) occorrerà intervenire, non essendo contemplato e contemplabile il “fallimento di mercato” delle singole scuole12! Se l’obiettivo non è (solo) quello di premiare le singole scuole o di cercare di meglio informare le scelte delle famiglie13, la valutazione non può però limitarsi a stimare, dall’esterno, il valore aggiunto delle diverse scuole – rendendone comparabili i risultati e soprattutto tenendo conto del fatto che questi possono dipendere dalle conoscenze pregresse degli alunni di una certa scuola, dal loro background familiare e da altri fattori di contesto che poco hanno a che fare con le scelte compiute nelle singole scuole. Occorre anche passare per un esame in loco del modus operandi della singola scuola, per poter individuare su cosa e come concretamente intervenire. Una valutazione che voglia innescare processi di miglioramento deve perciò anche comprendere la dinamica di funzionamento di quella singola organizzazione scolastica, sì da individuare le specifiche ragioni dei risultati ottenuti e orientare le stesse azioni innovative. Per fare tutto ciò non basta misurare gli esiti formativi ed educativi degli alunni di quella scuola e neppure la loro evoluzione nel tempo
11 Se lo stimolo deve venire dalla presenza di un possibile premio, i meccanismi di elargizione dello stesso – e quindi il cosa si intenda premiare – dovrebbero essere ben segnalati in anticipo. A contare dovrebbe essere l’anticipazione d’un possibile premio – potenzialmente ottenibile da tutti, impegnandosi adeguatamente – e non tanto la gratificazione, per pochi, ex post. La potenza d’un sistema premiale – che ove tarato sul valore aggiunto e non sugli esiti in livello dei propri alunni potrebbe stimolare a ben fare tutti e non solo i pochi le cui condizioni di partenza consentano di raggiungere un livello assoluto abbastanza elevato – non è però priva di rischi. Dovendo precisare prima cosa si intenda premiare, forte è il rischio di incentivare le scuole a occuparsi solo degli aspetti esplicitamente considerati nella “gara”, col rischio di corrompere la stessa validità degli indicatori adoperati nella “gara”. In altre forme, ritorna il problema generale già prima discusso con riferimento al rischio di sovraccaricare di significati le rilevazioni Invalsi. Sulla questione, sia pure con riferimento ad un diverso contesto, si veda anche Barley e Neal (2012), che discutono di come strutturare una “gara”, esplicitamente definendola in termini relativi (rank tournament) e basandola sull’uso di misure che, non mirando a comparazioni nel tempo ma solo tra “partecipanti alla gara”, siano non prevedibili e quindi non tali da distorcere i comportamenti dei partecipanti. 12 Questa obiezione all’uso della premialità vale peraltro per le scuole, ma non per i loro dirigenti, per i quali premi e sanzioni ben potrebbero essere adoperati senza particolari rischi (beninteso, al di là di quelli, non piccoli, connessi con la qualità degli indicatori adoperati per misurarne la performance, a partire da quella della scuola a ciascuno di essi affidata, e delle possibili distorsioni che l’esplicitazione di un meccanismo premiale può indurre nei loro comportamenti). 13 Nel senso di cercare di indurle a ragionare in termini di valore aggiunto e non solo di confronto tra livelli assoluti.
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o stimare il valore aggiunto attribuibile alla scuola: è necessario interpretare, in loco, come certi esiti derivino dall’insieme dei processi interni alla scuola e delle risorse a sua disposizione, tenendo conto del contesto in cui essa opera. Vi è qui in altri termini uno spazio che è proprio anche dei processi di autovalutazione. Questa è proficua nella misura in cui – proprio perché svolta da chi dispone di quella soft information che dall’esterno è più difficile rilevare e codificare – riesce a individuare concrete piste di revisione dell’organizzazione interna. Essa è perciò innanzitutto un processo di continua riconsiderazione, a fini di miglioramento, del proprio modus operandi. Così interpretata l’autovalutazione non va peraltro contrapposta alla valutazione esterna. Momenti di valutazione esterna – la presenza di una funzione ispettiva – e, più in generale, l’individuazione di criteri e strumenti comuni e di standard omogenei per la stessa autovalutazione, servono innanzitutto ad impedire che, banalmente quanto inutilmente, ogni scuola (ogni team di insegnanti o ogni singolo insegnante) dia peso solo agli aspetti di rendicontazione e, soprattutto, li deformi attribuendosi il “massimo dei voti”. I riferimenti esterni comuni e omogenei possono però servire anche ad orientare ciascuna scuola verso una prospettiva sistemica di analisi organizzativa interna, utile a riconoscerne le componenti essenziali e le reciproche relazioni ed a leggere il singolo caso comparativamente agli altri. L’autovalutazione, pur avendo il proprio vantaggio comparato proprio nell’uso di informazioni di tipo soft e non codificate, ha senso solo se praticata con criteri omogenei e adoperando un comune modello interpretativo14. Avendo chiarito che stimare e identificare il valore aggiunto non è quindi la fine della storia, occorre ora comunque chiedersi più in dettaglio cosa sia questo costrutto del valore aggiunto. La via maestra – che empiricamente è stata in Italia sperimentata all’interno del progetto VSQ e che da questo anno scolastico potrà essere generalizzata, quantomeno con riferimento al momento di passaggio dalla V primaria alla I media inferiore - è quella di seguire l’evoluzione degli apprendimenti nel tempo per ogni alunno, considerando poi la media per scuola (o per gruppi di insegnanti) di questi “progressi cognitivi” al posto del livello medio delle competenze. Affinamenti ulteriori dovrebbero in realtà tenere conto del fatto che tale evoluzione può avere una sua dinamica complessa. Quando si considerano gli apprendimenti relativi a una singola disciplina bisognerebbe ad esempio tener conto della presenza di effetti incrociati, per cui le competenze iniziali in una disciplina possono favorire lo sviluppo delle competenze in un’altra disciplina e non solo quelle della propria disciplina. L’impatto del livello iniziale delle competenze in un dato anno di studi può inoltre riverberarsi non solo sui livelli raggiunti durante l’anno immediatamente successivo, ma anche avere effetti a più
14 I processi di autovalutazione rappresentano inoltre un possibile anello di congiunzione tra il livello di scuola e quanto accade al suo interno. Un maturo processo di autovalutazione all’interno delle singole scuole può infatti consentire di fornire un feedback anche ai singoli insegnanti, o comunque ai diversi team di insegnanti, basato non esclusivamente su indicatori desumibili dall’esterno – ad esempio i risultati (o l’evoluzione dei risultati) nelle rilevazioni Invalsi dei loro alunni. Si noti che oggi in Italia il collegamento tra singoli (team di) insegnanti e rilevazioni Invalsi non è istituibile a livello centralizzato e non è quindi certo dall’esterno della singola scuola che si possa valutare, su una base comparativa e standardizzata, i singoli insegnanti. Ma l’impossibilità tecnologica e organizzativa non è l’unico aspetto rilevante; vi sono anche aspetti di inopportunità da considerare. Basare solo su dati di questo tipo la valutazione dei singoli insegnanti accentuerebbe i rischi di distorsioni nei dati medesimi. Soprattutto, basare esclusivamente su dati di questo tipo la valutazione dei singoli insegnanti trascurerebbe l’informazione di tipo soft che è invece disponibile all’interno della scuola e renderebbe impossibile fornire un feedback ai valutati sugli aspetti ove sia possibile migliorare.
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lungo termine (ad esempio, la performance negli studi universitari potrebbe dipendere dalle competenze nel dominare la lingua acquisite nel ciclo primario, prima ancora che dalle competenze acquisite nel ciclo secondario superiore). La dinamica di ciascun singolo anno potrebbe inoltre risentire di fenomeni di mean reversion, legati anche al momento del ciclo di vita in cui ciascun alunno si viene a trovare (pur a parità di percorsi a lungo termine, vi può essere chi sviluppa prima e chi dopo certe competenze). Anche a poter disporre di informazioni longitudinali sui singoli alunni – cosa che come detto solo ora inizia ad essere possibile e con riferimento solo ad uno specifico momento di passaggio, da un singolo grado scolastico a quello immediatamente successivo15 – la stima del valore aggiunto richiederebbe perciò un’attenta considerazione della possibile complessità della dinamica sottostante. L’obiettivo delle stime del valore aggiunto dovrebbe del resto essere quello di cogliere il contributo della scuola alle prospettive di sviluppo di più lungo termine dei propri alunni, evitando di “premiare” performance e risultati di breve termine. Si è detto del fatto che gli esiti formativi sono un costrutto multidimensionale, solo malamente circoscrivibile nei risultati delle rilevazioni Invalsi e del fatto che, anche accettando in prima battuta una simile limitazione, vi sono problemi intrinseci nell’uso di tali rilevazioni come misura dell’output di una certa scuola.Vi è da chiedersi in che misura l’uso di tali misure in un’ottica di valore aggiunto, inteso come stima del progresso nel tempo di tali misure e non del loro livello, esalti o attenui tali problemi. La buona notizia è che è poco plausibile ritenere che venga aumentato il peso delle distorsioni derivanti dalla specifica natura delle rilevazioni di base.Visto che la performance degli studenti in una certa prova è funzione della motivazione personale e degli incentivi a ben fare16 oltre che delle loro competenze, la considerazione dei progressi cognitivi anziché del livello delle competenze dovrebbe semmai ridurre il peso di questi aspetti motivazionali, in generale abbastanza costanti nel tempo per ciascun individuo, e di risposta agli incentivi17 come componente esplicativa della variabilità complessiva18. La cattiva notizia è che l’ordinamento delle scuole in base al valore aggiunto è plausibilmente più variabile nel tempo di quello ottenibile sulla base dei risultati in livello19. In parte ciò è una buona cosa, nel senso che si rimuovono quei fattori di contesto e di composizione che costantemente differenziano le diverse scuole e da cui il concetto di valore aggiunto vuole affrancarsi. È proprio in tale modo che si può evitare di dire che una scuola frequentata da ragazzi con uno sfavorevole
15 Col tempo, questa possibilità è però destinata ad accrescersi: le rilevazioni Invalsi - che non sono un’esaustiva misura degli esiti formativi ed educativi degli studenti italiani ma hanno il pregio di essere comparabili tra le diverse scuole – consentiranno di ricostruire l’intero percorso scolastico e formativo, dall’inizio della scuola primaria al termine del secondo ciclo (quando l’Invalsi realizzerà rilevazioni, come previsto dalla normativa, anche nella V classe della secondaria superiore). 16 Questi possono essere influenzati dall’eventuale natura high stakes di una data prova, ad esempio laddove questa sia parte di un esame ufficiale. 17 Almeno laddove le due prove abbiano la stessa natura e non si confrontino i risultati per lo stesso individuo di prove high stakes e low stakes. 18 Nel caso di meccanismi premiali, focalizzare questi sul valore aggiunto, inteso come sviluppo nel tempo delle competenze, oltre a fornire stimoli diffusi ed evitare che solo chi sia abbastanza vicino al target da raggiungere abbia un incentivo a darsi da fare, potrebbe anche aiutare nel contrasto del cheating: gli insegnanti di un dato grado scolastico sono i più naturali “controllori” dei comportamenti, in sede di prova, degli studenti (e degli insegnanti) del grado immediatamente inferiore (cfr. anche Ferrer, 2012). 19 L’esperimento mentale che qui si sta effettuando è quello di considerare tre rilevazioni sulle competenze – coi conseguenti tre possibili ordinamenti delle scuole ciascuno basato su una delle tre rilevazioni – e le due stime di valore aggiunto ottenibili dal confronto nel tempo delle prime due e delle seconde due rilevazioni.
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background socio-economico è una scuola poco efficace!. In parte però questa variabilità nel tempo dipende dal fatto che la considerazione della performance in termini di progressi cognitivi, anziché di livello delle competenze, esalta il peso, come componente della variabilità complessiva, degli errori di misurazione comunque presenti in ciascuna singola rilevazione20: una scuola potrebbe apparire come particolarmente efficace (inefficace) solo perché nella rilevazione finale (iniziale) determinati fattori casuali abbiano favorevolmente influenzato la momentanea performance dei suoi studenti. Come detto, al momento è solo con riferimento a pochi casi che si può seguire la performance nel tempo dei singoli studenti. Occorre quindi parlare brevemente anche di quelle che sono delle possibili proxies del valore aggiunto basate su dati che non siano propriamente longitudinali a livello di singolo studente. In altri termini, cosa si può fare laddove si disponga solo dei dati di diverse rilevazioni sezionali, magari ripetute nel tempo ma senza che sia possibile misurare i progressi cognitivi dei singoli studenti tra queste diverse rilevazioni sezionali? Posto che l’obiettivo è quello di comparare le scuole al netto dei fattori di composizione e di contesto che le distinguono l’una dall’altra, una prima via è quella di considerare i risultati in livello relativi a una singola rilevazione (ad esempio la rilevazione di un certo anno riferita alla V primaria) ma depurando dagli effetti stimati di composizione della popolazione studentesca della singola scuola (metodo A). Una seconda via è quella di confrontare i risultati ottenuti dalle classi di due diversi gradi della stessa scuola (metodo B) ed una terza considera infine le differenze nel tempo ma calcolate al livello non dei singoli studenti ma della scuola nel suo complesso (metodo C). E’ facile vedere pregi e difetti di tali metodi. Il primo è poco affidabile laddove a contare siano soprattutto fattori di contesto e di composizione che risultino essere non osservabili (ad esempio per indisponibilità di molte misure sui fattori di composizione della popolazione degli alunni) ed il cui effetto nopn possa quindi essere stimato ed eliminato tramite opportune tecniche statistiche (ad esempio tramite l’uso di modelli di regressione multipla). Nel caso italiano, il background familiare del singolo alunno è ricostruito con una certa precisione nella V primaria, nella I media inferiore e nella II superiore, mentre si dispone solo di poche informazioni nella II primaria (perché i ragazzi censiti sono troppo giovani per rispondere in maniera affidabile a quesiti del genere) e nella III media inferiore (nel cui caso la prova è parte dell’esame di stato21). Gli altri due metodi offrono specularmente il vantaggio di poter tenere conto anche di quei fattori di composizione e di contesto che differenziano tra loro le diverse scuole e che siano non osservabili: questi verrebbero semplicemente rimossi, pur senza passare per la stima dei loro effetti. Tale vantaggio però si concretizza se e solo se tali fattori non cambiano nel tempo. Confrontare la V primaria e la II primaria di oggi di una data scuola può ben approssimare il confronto tra gli alunni oggi di V e i risultati di quegli stessi alunni in II se gli odierni alunni di II sono molto simili – in base a caratteristiche osservabili e non – agli alunni di II di tre anni prima. Per gli stessi
20 Ogni singola rilevazione per definizione sarà imprecisa a causa di errori di misurazione o di accadimenti del tutto estemporanei e poco legati alle competenze sottostanti dei diversi alunni: la performance in un dato giorno e in una data prova di un singolo studente, o anche di un’intera classe, potrà ad esempio discendere dallo stato di salute, dal clima o dall’umore in quel momento prevalenti. Se tali errori di misurazione, come probabile, sono indipendenti tra loro nel tempo, la considerazione delle variazioni nel tempo tra due rilevazioni porta ad amplificarne il peso come componente esplicativa della variabilità complessiva. 21 Per inciso, ciò rende tra l’altro high stakes tale prova, rendendola meno comparabile, anche a livello di singolo studente, con le altre.
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motivi, confrontare la V primaria di oggi con la V primaria di un anno prima può dare indicazioni sulla presenza di tendenze al miglioramento o al peggioramento d’una data scuola - un dato estremamente rilevante al fine di monitorare gli effetti dell’arrivo di un nuovo dirigente scolastico o l’efficacia di un certo piano di miglioramento adottato dalla scuola – ma se e solo se la composizione della V primaria di oggi e di un anno prima non sono mutate; se tra gli studenti di oggi, o tra quelli di un anno prima, vi sono studenti “anomali” (nel senso di avere risultati anomalmente positivi o negativi) o se i fattori di contesto della scuola sono molto cambiati, attribuire il miglioramento o il peggioramento ai comportamenti della scuola (al nuovo dirigente scolastico o all’implementazione di un dato piano di interventi) diventa impossibile. I metodi B e C sono inoltre poco robusti laddove le politiche di passaggio da un grado scolastico al successivo variano rispettivamente tra scuole o nel tempo (per la stessa scuola): ove varino tra scuole, un elevato differenziale cognitivo tra alunni, ad esempio, di III e di I media inferiore, potrà essere legato al fatto che quella scuola selezioni grandemente i propri studenti nel percorso sino alla III media, per cui arriveranno a tale traguardo solo un gruppo fortemente selezionato della propria popolazione iniziale di studenti22; anche ipotizzando una costanza nel tempo della composizione degli studenti iscritti nella I classe della media inferiore, il gruppo di quanti siano arrivati nell’anno corrente in III media inferiore potrebbe differire dal gruppo di quanti vi siano arrivati l’anno prima se nel tempo sono variati i criteri di selezione adoperati dalla singola scuola. Come detto, il metodo C apparentemente dovrebbe consentire di focalizzarsi sulla tendenza al miglioramento o al peggioramento di una data scuola e quindi sul contributo al margine proveniente dalla presenza di un nuovo dirigente scolastico o dall’attuazione di un piano di miglioramento appositamente formulato, grandezze di indubbia rilevanza dal punto di vista della governance del sistema nel suo complesso. Esso è però particolarmente soggetto all’impatto della già prima richiamata presenza di errori di misurazione. Qualsiasi elemento temporaneo – la presenza ad esempio di pochi alunni che, in una data annualità, siano particolarmente brillanti o problematici – influenzerà la stima del valore aggiunto basata su tale metodo23. Alla luce di tali considerazioni, pare ragionevole evitare di dare troppo affidamento alle variazioni nel tempo della performance di ciascuna singola scuola. Per tener conto della presenza di fattori temporanei – lato sensu assimilabili agli errori di misurazione – una buona prassi potrebbe esser anzi quella di escludere le osservazioni “estreme”, concentrandosi su indicatori rappresentativi della situazione di scuola diversi dalla media24. Quanto agli altri due metodi, una buona prassi potrebbe essere invece quella di combinarli tra loro. Ad esempio, all’interno del metodo A, in aggiunta a tutti i fattori di composizione osservabili, si potrebbero includere come ulteriore fattore di controllo i risultati medi nei gradi
22 Questo meccanismo è particolarmente rilevante nel caso della scuola media superiore. 23 In effetti Falzetti e Ricci (2012) rilevano come le variazioni da un anno all’altro nell’ordinamento delle scuole in base al valore aggiunto, anche dopo aver tenuto conto degli effetti dei fattori di composizione lungo le linee del metodo A, sono piuttosto marcate. 24 La media di scuola – costruita sommando i risultati di tutti i singoli alunni e dividendo per la numerosità – è fortemente influenzata dalla presenza di osservazioni singole aberranti; indicatori come la mediana (che identifica il risultato dello studente che divide esattamente in due metà l’intera distribuzione dei risultati individuali) o una media troncata (ovvero una media costruita dopo aver eliminato le osservazioni con valori estremamente bassi o estremamente alti) potrebbero meglio indicare quale sia la tendenza “centrale”.
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precedenti misurati a livello di scuola25; oppure, all’interno del metodo B si potrebbero adoperare dati prima depurati dall’effetto dei fattori di composizione che siano comunque osservabili26. Implicitamente è a una simile combinazione delle logiche di cui ai metodi A e B che fa riferimento il frame disposto dall’Invalsi nel piano di restituzione dei risultati nelle rilevazioni Invalsi alle scuole messo in atto dall’autunno del 2012: oltre al risultato grezzo, della scuola e di vari possibili benchmark di rilievo (la regione e l’Italia nel suo complesso), si evidenzia la differenza tra i risultati di scuola e quelli di una scuola con simile composizione della popolazione studentesca (la logica del metodo A) e si evidenzia il posizionamento – sempre rispetto a questi diversi benchmark – dei diversi gradi scolastici presenti in quella scuola e coperti dalle rilevazioni Invalsi (la logica del metodo B, in quanto tale e messo in atto su dati già depurati per gli effetti di composizione, ovverosia una combinazione dei metodi A e B).
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25 Martini el at. (2012) considera ad esempio un modello, per la V primaria, che utilizza l’indicatore di background familiare (costruito con precisione in tale grado scolastico) ma anche, a livello di scuola, i risultati odierni nelle classi II, il valore aggiunto essendo definito come il residuo stimato di un simile modello. 26 Questa è la strada adoperata da Frontini e Montanaro (2012).
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Studi Teorie e pratiche di valutazione: tra selezione controllo e promozione di crescita* VITO ANTONIO BALDASSARRE • CARMELO PIU
1. Premessa Ogni attività umana ha a che fare con la valutazione, sia essa consapevole ed esito di un processo intenzionale sia essa spontanea. A maggior ragione il processo valutativo caratterizza le attività nelle quali, pur non trascurando il suo tradizionale compito, che è quello di monitorare, controllare e verificare costantemente l’andamento del percorso formativo, diviene uno strumento dinamico che tende a favorire l’autovalutazione, o, meglio ancora, la scoperta del sé. Essendo, pertanto, uno strumento dinamico, il suo quadro di riferimento e le sue modalità operative variano e devono rapportarsi alla situazione sociale, al valore, alla funzione e al significato che gli si vuole assegnare, per cui ogni riflessione sulla valutazione deve necessariamente tenere conto dell’evoluzione storica della ricerca scientifica e, con essa, delle teorie dell’apprendimento (comportamentismo, cognitivismo, costruzionismo socio-educativo), della strategia didattica attivata, della prospettiva filosofica e culturale e della motivazione e dell’interesse che ci si prefigge rispetto al perché si valuta, al cosa e al come si valuta. Quale strumento dei processi formativi, dunque, la valutazione necessariamente deve contribuire in maniera decisiva al perseguimento delle finalità che quei processi si prefiggono e che oggi mirano ad assicurare l’autonomia e la flessibilità cognitiva ai soggetti nei confronti dei quali essa si pone quale ausilio per lo sviluppo delle proprie potenzialità. Da qui la necessità per la valutazione di essere in grado di modificarsi e di rapportarsi adeguatamente alla situazione che si vuole valutare, seguendo i principi metodologici dell’efficacia e dell’efficienza, che in campo formativo sono determinati e legittimati dai fatti educativi (Piu, 1996). Un punto fermo riteniamo vada posto a proposito del rapporto tra processi formativi e dimensione valutativa. La ricerca empirica, la letteratura psico-pedagogica hanno abbondantemente dimostrato che, in qualunque campo dell’apprendere, l’esperienza deve precedere la comprensione: il gusto di imparare va conquistato a questo prezzo e sul campo. Tutto il processo di apprendimento, a qualunque età, dall’infanzia alla vecchiaia, consiste
* Relazione inviata al Congresso SIRD, non sottoosta a referaggio.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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nella capacità di trasformare l’esperienza in consapevolezza culturale servendosi in modo sempre più affinato e perfettibile degli strumenti/linguaggi disciplinari (Baldassarre, 2010, p. 19). Di conseguenza, non è più questione di polarizzare da una parte i metodi deduttivi che pongono prima le basi teoriche del sapere e poi procedono secondo uno sviluppo logico verso la comprensione della realtà e, dall’altra, i metodi induttivi che partono dalla realtà, dall’osservazione e dall’esperienza tangibile per andare verso l’astrazione. Questa polarizzazione costruita in modo artificiale fuori dal soggetto umano, trova la sua sintesi dentro il soggetto umano, il quale, fin dall’inizio del suo rapporto con il mondo e con la realtà fisica e sociale si costruisce, e quindi possiede, una teoria tacita sulla base della quale avvia il suo contatto con la realtà stessa e che rimette in discussione secondo un procedimento di cui Piaget ci ha fornito primariamente le connotazioni. L’essenziale dov’è? È evidente che sta nel risveglio della curiosità, del gusto, dell’amore, della passione. Quando è soddisfatto questo principio, addirittura come incipit, le scelte metodologiche costituiscono piuttosto un caso di specie. Un alunno non si innamora di una definizione, di un’esperienza o di un esercizio. Quale che sia l’approccio, rischia di provocare noia se viene ignorato l’incipit, quello che permette di ottenere l’adesione dell’alunno. Non si può chiamare buona una metodologia se non comincia con il risveglio del desiderio di imparare. Il problema della valutazione ha radici molto antiche e si è sempre sviluppato in progress, trasformandosi da regolatore e orientamento interno (con prospettiva metacognitiva) a controllore e verifica della qualità del servizio erogato dai vari sistemi scolastici, a supporto e strategia didattica, per cui si riferisce non solo alla qualità degli apprendimenti e alla certificazione delle competenze sociali, valide per tutta la vita, ma anche alla qualità dei sistemi e del servizio offerto. Nella situazione attuale, in cui si registra un periodo di piena trasformazione sociale ed economica, la problematica della valutazione riappare in tutta la sua complessità e dinamicità e anche in tutta la sua difficoltà e in tutta la sua urgenza e significatività. In tutti i paesi europei, e anche in Italia, si richiede in modo urgente l’individuazione, la realizzazione e sperimentazione di nuove ipotesi progettuali di valutazione sia di processo sia di sistema sia di strategia didattica complessiva. Si richiede l’instaurarsi di un nuovo rapporto con il territorio, con la collettività e la propria utenza, che chiedono di essere adeguatamente informati e che vogliono comprendere e capire con chiarezza cosa si progetta; quale progetto si realizza e come viene strutturato; come si intende realizzarlo e cosa propone di nuovo e di concreto; quali risultati intende conseguire e quali gli strumenti di verifica e di controllo in itinere e finale si intendono utilizzare e perché. Ai soggetti si chiede di rendicontare, ossia di esplicitare e rendere palese quello che fanno e quello che producono (accountability). Per questi motivi anche la messa a punto di modalità di autovalutazione, gestite direttamente o indirettamente o in forma integrata dalle istituzioni o dai soggetti e da personalità giuridiche, è di fondamentale importanza. In generale, l’autonomia non è solo una ricerca o sperimentazione o un’innovazione pedagogica che va costruita ricercata, condivisa costantemente e continuamente passo passo, in modo graduale ma progressivo. Essa è anche, e forse soprattutto, un paradigma politico-culturale-pedagogico forte che tocca sia l’organizzazione scolastica o aziendale sia un modo diverso di organizzazione della didattica e dei percorsi formativi nonché di un loro funzionamento, poiché introduce, nel sistema pubblico, principi del tutto nuovi quali sussidiarietà, trasparenza, concorrenzialità, responsabilità, qualificate professionalità e qualità. Le parole chiave del processo valutativo sono relazione, interattività, dialogicità, riflessività, che, del resto, sono comuni a quelle del processo formativo in quanto ne richiamano gli
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aspetti didattici (la didattica quale mediazione: la dialogicità la relazione e l’interattività) e le finalità [(la riflessività “critica su di sé”, che riguarda sia il docente o l’operatore territoriale sia il dirigente sia l’alunno sia la comunità in cui si realizza il percorso formativo). La valutazione in tal senso non misura, non giudica ma aiuta, prende atto di come si è e cosa si fa per progettare il futuro. In questo scenario i processi di verifica e di valutazione degli apprendimenti e delle competenze negli ambiti in cui la formazione è intenzionale sono strettamente correlati alla filosofia di fondo di natura educativa e quindi al paradigma di riferimento, relativo al modello teorico d’apprendimento. In ogni attività educativa si richiede sempre una mediazione tra gli aspetti teorici e le dimensioni operative e pratiche, entrambi strettamente interagenti. Le pratiche didattiche e professionali degli operatori educativi sono di necessità sempre guidate dalla riflessione teorica sulle proprie esperienze che possono portare anche a riflessioni personali e a eventuali proposte innovative che possono essere oggetto e risultato della ricerca psico-pedagogico-didattica. Lo stesso processo di valutazione, che occupa uno spazio rilevante all’interno delle più ampie questioni formative e innovative, non può ritenersi separato né dal processo né dal percorso formativo, rappresentando un segmento significativo del più complesso itinerario pedagogico, didattico, aziendale o istituzionale. I processi valutativi, comunque, al di là dell’approccio, non interessano solo ed esclusivamente l’attività e il profitto dei soggetti in formazione ma riguardano anche l’attività del docente/dirigente (insegnamento-innovazione) e i micro (scuola-ente-azienda) e macrosistema. All’interno di una comunità (scuola, ente, azienda), la valutazione consente da un lato di conoscere continuamente la qualità dei processi attivati, perché da tale conoscenza si può effettuare un’opera di regolazione, capace di rendere progressivamente ottimali non solo i processi, ma anche buona parte degli stessi esiti formativi e innovativi. Dall’altro lato essa, questa è l’idea innovativa, diventa una strategia didattica in grado di contribuire in chiave formativa (Piu, 2005, p. 115) all’acquisizione autonoma delle conoscenze e alla costruzione delle competenze, contribuendo così alla crescita complessiva del soggetto e della comunità di riferimento. In altri termini, le più recenti prospettive sottolineano che la valutazione se per un verso si configura come un vero e proprio sistema di regolazione per l’ottimizzazione dei processi e dei prodotti stessi della formazione (Domenici, 1996)/innovazione per un altro verso può configurarsi come una strategia in grado di superare il tradizionale processo eterodiretto (si parla a tal proposito di eterovalutazione) in un processo autovalutativo, ossia in un processo interno di metacognizione, di azione e di riflessione critica circa la padronanza delle proprie conoscenze, promuovendo la consapevolezza, la responsabilità e l’autonomia dei soggetti (Varisco, 2004). In questa ottica la valutazione nei contesti formali e non formali, oltre a svolgere una funzione di orientamento e di regolazione del sistema, svolge anche la funzione di favorire la riflessività e l’autonomia dei soggetti coinvolti nell’azione formativa o innovativa.
2. Approcci e nuova impostazione Nella pratica sono presenti numerose contraddizioni legate al concetto di valutazione, perché si hanno di essa molte definizioni e conseguenti interpretazioni divergenti: “procedimento sistematico che mira a determinare in quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti” (De Landsheere); “processo di confronto tra i risultati raggiunti e gli obiettivi che (ci) si propone” (Calonghi); “processo di raccolta di informazioni volto ad accertare se gli obiettivi di un curricolo o di un corso sono stati raggiunti” (Boscolo). Il processo valutativo, sostiene la Varisco (2004), ha una sua legittimazione e validità quando da
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momento valutativo e di controllo esterno si trasforma in un reale momento di controllo interno, ossia quando il momento valutativo viene vissuto, compreso ed agito in modo autonomo da ogni soggetto coinvolto nello stesso processo. In tale impostazione la valutazione si caratterizza come strategia didattica, come occasione e opportunità di dialogo, di ascolto e di riflessione utile al confronto e alla presa d’atto del proprio modo di apprendere in maniera autonoma. E tale “processo riguarda e interessa tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel processo: scuola/istituzione/azienda (autovalutazione d’istituto), le attività d’intervento (autovalutazione dei processi e delle pratiche didattiche), i docenti/dirigenti (autovalutazione professionale), i soggetti (autovalutazione metacognitiva)” (Piu, 2005).Tale impostazione segna una svolta significativa non solo nel processo di valutazione ma anche in quello di formazione, in quanto il processo valutativo supporta ed è funzionale alla crescita professionale dei soggetti, per cui si auspica una formazione che sia assistita e favorita dalla valutazione. Nel panorama dello sviluppo della ricerca valutativa coniugata in paradigmi, s’apre una nuova prospettiva, quella del paradigma della formazione, che mira a integrare un’impostazione di matrice francofona, che aggiunge alle tradizionali funzioni della valutazione (diagnostica, formativa, sommativa) quella formatrice, con un’ipostazione di matrice anglofona che si sofferma sul concetto di valutazione per agevolare e favorire l’apprendimento. Secondo tutti gli studiosi, tra cui Calonghi, De Landsheere, Domenici, Frabboni,Vertecchi e lo stesso Visalberghi, il termine si riferisce al procedimento di raccolta sistematica d’informazioni iniziali, in itinere e finali per essere non solo guida e filo regolatore e coordinatore, ma concreto punto di forza dell’intero percorso che si progetta (Paparella, 1988, 1996). Il processo valutativo tende sempre, infatti, a documentare e verificare metodicamente l’efficienza e l’efficacia dei percorsi e dei processi. Fare valutazione significa essenzialmente essere nelle condizioni di decidere per il meglio cosa progettare (valutazione predittiva e diagnostica) ed essere nelle migliori condizioni per decidere di interrompere o di continuare, di modificare o di integrare e rettificare (valutazione formativa) certe azioni e certe relazioni. Si valuta all’inizio di ogni attività educativa e didattica in relazione ai bisogni che giustificano l’impostazione di un intervento, ne orientano l’esistenza e la continuità rispetto alle informazioni e ai contenuti, ai metodi e alle strategie che si vogliono utilizzare o che si utilizzano. Non si riferisce, oltretutto, solo al soggetto o ai soggetti verso i quali è rivolto l’intervento ma anche alle scelte, alle strategie adottate nonché ai docenti e dirigenti stessi nel loro relazionarsi e rapportarsi alla situazione, in quanto può essere utilizzata al meglio per essere di supporto significativo e funzionale alla formazione o meglio ancora rivolta a realizzare la crescita e la formazione perché si realizzi una formazione assistita dalla valutazione (Piu, 2005), in quanto può essere una valida strategia didattica per far acquisire consapevolezza delle e nelle proprie azioni. Le modalità valutative appartenenti ad una precedente impostazione si limitano ad accertare i processi cognitivi più semplici ed elementari, in quanto congruenti con le caratteristiche delle prove strutturate, mentre non sono in grado di apprezzare abilità più complesse quali processi di analisi e di sintesi, la riflessione critica, soluzioni creative ed originali a problemi aperti. Inoltre, il sapere scolastico tende a rimanere inerte, incapsulato nel contesto scuola ed incapace di connettersi a situazioni di realtà, con conseguenti riflessi sulla significatività dell’esperienza scolastica e la motivazione degli studenti nei suoi confronti.Tale incapsulamento si ripercuote anche sulla valutazione, la quale tende a basarsi su compiti astratti e decontestualizzati, incapaci di agganciarsi a contesti reali e significativi e comprensibili solo nel contesto della cultura scolastica. La valutazione scolastica così concepita impiega quasi esclusivamente prove individuali,
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in sintonia con un analogo approccio al processo di apprendimento centrato su un rapporto privato tra lo studente e il sapere.Viene attribuito scarso rilievo a prove di gruppo, richiedenti un’elaborazione e uno sforzo collettivo e, di conseguenza, ai correlati processi di comunicazione sociale, di confronto culturale e di collaborazione. Un’altra caratteristica è quella di rimanere implicita nei suoi criteri e di basare la sua credibilità sulla segretezza delle prove richieste e l’assenza di opportunità di comunicare con altri o di avvalersi di strumenti di consultazione e di supporto. Ciò evidenzia come, al di là delle affermazioni di principio e delle dichiarazioni di intenti, la funzione prevalente della valutazione scolastica rimanga quella di classificare gli studenti in rapporto alla qualità delle loro prestazioni e, in particolare in alcuni ordini di scuola, a selezionarli attraverso il successo scolastico. Ciò tende a perpetuare una netta separazione tra memento formativo e momento valutativo, impedendo a quest’ultimo di sviluppare la sua funzione promozionale e orientativa in rapporto al processo di apprendimento. Un’altra separazione tipica della valutazione di una precedente impostazione è quella tra i ruoli di valutatore e di valutato, relegando lo studente ud una funzione passiva di mero oggetto del processo valutativo. Ciò determina una deresponsabilizzazione da parte dello studente nei confronti della valutazione avvertita come estranea e minacciosa, evidente nel fiorire di strategie di sopravvivenza tipiche della cultura scolastica (copiare, fregare l’insegnante, ecc.). Diventa prevalente l’attività giudicante rispetto ad una mite volontà di promozione della crescita delle persone (Baldassarre, 2010). Da tale precedente impostazione che ne faceva strumento fiscale terminale si è passati a quella che la vede come strumento d’informazione ed, in prospettiva, ci si augura, un ulteriore passaggio: quello che ne fa strumento e strategia didattica di formazione e di innovazione. In un intervento di formazione o d’innovazione, scientificamente e metodologicamente impostato, i risultati non vengono considerati elementi per esprimere un giudizio finale o parziale, ma essenzialmente vengono considerati fonti di informazioni preziose per progettare interventi più calibrati, più appropriati e più efficaci, nel senso che le informazioni relative a un processo in corso consentono l’immediata ristrutturazione e calibratura della proposta anche di innovazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi (conoscenze, abilità e competenze, capacità) del processo stesso. In tale ottica il processo valutativo diventa funzionale a una progettazione atta a risolvere i problemi concreti di un allievo, di una scolaresca, di un’azienda, di una comunità.Valutare, infatti, significa verificare costantemente se l’intervento abbia conseguito o stia conseguendo o meno, in tutto o in parte, gli obiettivi prefissati, per cui è sempre da ritenersi un processo mirato a far prendere consapevolezza di ciò che si sta realizzando attraverso l’azione intrapresa. In sintesi, si può a ragione ritenere che il processo valutativo sia la strategia migliore, se correttamente impostata dal punto di vista scientifico e metodologico, di leggere, interpretare, prendere coscienza e rendersi consapevoli di ciò che si realizza nella situazione fattuale. Diventa cioè lettura significativa dell’esperienza in atto; controllo e verifica della gestione complessiva dell’intervento proposto ed attuato; processo di analisi, di interpretazione e comprensione nonché di metacognizione, ossia di autocontrollo e autovalutazione del processo in grado di acquisire e fornire i dati informativi e conoscitivi, individuare correlazioni significative, analizzare ed interpretare i dati acquisiti sul piano relazionale e cognitivo, orientare e favorire la crescita professionale dei dirigenti/docenti e lo sviluppo e crescita formativa dei soggetti (Piu, 1996). Di fronte, ora, al differenziarsi della domanda formativa e in un’ottica di costruzione delle competenze e di personalizzazione dei percorsi, è necessario attivare e sperimentare strategie e metodi di valutazione chiari, sistematici ed efficaci, considerando la valutazione come strumento strategico non solo per regolare e migliorare la qualità del servizio ma es-
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senzialmente quale strategia didattica di natura squisitamente formativa. Da quest’ultima impostazione viene a delinearsi una nuova frontiera epistemologica della valutazione, che potrebbe rappresentare un nuovo paradigma, che riflette sul modo di concepire e conseguire le competenze e sul modo di contribuire, in chiave formativa, alla costruzione delle competenze e alla crescita complessiva del soggetto per renderlo autonomo e in grado di rispondere in modo adeguato e coerente alla sfida della società della conoscenza, in cui il soggetto è chiamato più volte a rivedere il proprio processo e percorso di formazione. Il processo valutativo da strumento fiscale e certificatorio è passato a strumento d’informazione in grado di regolare e orientare in senso positivo il percorso degli interventi per approdare a una dimensione interpretativa e collaborativa per l’acquisizione e costruzione delle conoscenze e delle competenze e giungere, questo è il nostro punto di vista, a trasformarsi in una strategia didattica in grado di agevolare e favorire l’autonomia e la flessibilità cognitiva dei soggetti. Il paradigma della formazione, in effetti, costituisce un notevole passo in avanti rispetto allo stesso concetto di valutazione formatrice1 (d’impostazione francofona) e di valutazione per l’apprendimento (di matrice anglofona)2, perché cerca per un verso di coniugare in modo sinergico ed armonizzare le due impostazioni (francofona e anglofona), dandovi un respiro più ampio, legato alla formazione, dal momento che direttamente interviene sul processo formativo; e per altro verso di far agire insieme una valutazione scientifica e classica con il modello interpretativo, in cui prevale la natura ermeneutica e l’interpretazione è riferita a ciò che è stato precedentemente osservato e non tanto alle prestazioni; si tratta di saper utilizzare e armonizzare la dimensione quantitativa con la dimensione qualitativa. Il paradigma della formazione è, pertanto, un approccio che mira a integrare le due impostazioni e a trasformare una prova di valutazione in uno dei momenti che conducono alla costruzione della propria identità e della propria crescita culturale. Si valuta, cioè, per dialogare, per riflettere sui punti di forza e di debolezza, per incrementare il processo di autovalutazione della propria professionalità (autovalutazione di crescita professionale) e della propria crescita culturale ed intellettiva (autovalutazione e sviluppo metacognitivo). Si richiede, perciò, un ulteriore cambiamento: il passaggio da momento valutativo e di controllo esterno a momento valutativo e di controllo interno, ossia alla necessità che ogni momento valutativo venga vissuto, compreso ed attuato da ogni soggetto assicurando e salvaguardando la dimensione o la categoria della riflessività e della criticità e, didatticamente quella dell’ascolto, del dialogo e del confronto. Solo metabolizzando, accettando e rendendo personale, consapevole e convinto il giudizio valutativo, che deve sempre essere motivato e documentato, questo può contribuire in modo sostanziale e non solo formale alla formazione e alla crescita complessiva e all’autonomia del soggetto-persona. Ora è possibile conseguire tale obiettivo quando si realizza un reale, concreto e significativo processo autovalutativo. Quest’ultima dimensione consente non solo di aumentare e incrementare sia le conoscenze sia le abilità strategiche di autovalutazione ma anche di modificare l’ottica complessiva del processo valutativo. Sostiene la Varisco che alle forme tradizionali, rivolte principalmente a valutazioni esterne di tipo quantitativo e certificatorio degli esiti d’apprendimento, si sono aggiunte ulteriori modalità per far conseguire ai vari soggetti una
1 Il processo valutativo pone al centro della propria azione il soggetto e il docente assume il ruolo di mediatore più che di trasmettitore. È il prototipo, ossia il primo tentativo di autovalutazione, in quanto legato alla conoscenza delle strategie in grado di promuovere un’autoregolazione (Hadji, 2003). 2 Con l’espressione valutazione per l’apprendimento s’intende la valutazione che è progettata e realizzata allo scopo di promuovere l’apprendimento degli studenti (Black, Harrison, Marshall, Wiliam, 2002).
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Studi
consapevolezza e una comprensione “delle ragioni e dei processi che generano le singole performances”, non considerate singolarmente ma in una prospettiva di sviluppo migliorativo. In tale visione, cambia notevolmente la dimensione valutativa in quanto si privilegia un approccio integrato quantitativo-qualitativo-clinico, per cui il momento valutativo diventa momento ed occasione di crescita culturale, in quanto utilizzato non per valutare in senso stretto ma per costruire conoscenze, abilità e competenze. Si tratta, in definitiva, di porre la valutazione al servizio del processo formativo del soggetto, nel senso che viene utilizzata per dialogare, discutere, riflettere e individuare gli elementi di criticità e, quindi, in direzione della costruzione strategica e culturale di natura soggettiva dello sperimentare, del comprendere e del valutare unito alla capacità di prendere ed assumere decisioni in modo consapevole ed autonomo (Vertecchi, 1993). La valutazione, in tale visione, ha necessità di assumere una problematicità più ampia, più complessa, più articolata e più ricca, in quanto acquisisce una sua significativa valenza perché legata alla formazione di una mente critica e riflessiva che interessa i singoli soggetti, i gruppi, le istituzioni. Si tratta di legare il momento valutativo alla formazione di una mente plurima (Gardner, 1987; Olson, 1979; Cambi, 2004; Morin, 2001) per cui anche la valutazione deve essere caratterizzata dalla riflessività e dalla criticità e, quindi, deve muoversi verso l’imparare ad imparare, ossia verso la dimensione metacognitiva.
Riferimenti bibliografici Baldassarre V.A. (2010). Latenza valutativa e Pedagogia della mitezza. Lecce: Pensa MultiMedia. Black P., Harrison H., Marshall B., Wiliam D. (2002). Assessment for Learning: putting it into practice. Buckingham: Open University Press. Cambi F. (2004). Saperi e competenze. Bari-Roma: Laterza. Domenici G. (1996). Manuale dell’orientamento e della didattica modulare. Bari: Laterza. Gardner H. 1987). Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze. Milano: Feltrinelli. Hadji C. (2003). La valutazione delle azioni educative. Brescia: La Scuola. Morin E. (2001). La testa ben fatta, riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Milano: Raffaello Cortina. Olson D.R. (1979). Linguaggi, media e processi educativi. Torino: Loescher. Paparella N. (1988). Pedagogia dell’apprendimento. Brescia: La Scuola. Paparella N. (1996). Istituzioni di pedagogia. Lecce: Pensa MultiMedia. Piu C. (1996). Nuovi orientamenti della didattica. Roma: Armando. Piu A. (2005). Progettare e Valutare. Dalla comunità di apprendimento al portfolio. Roma: Monolite. Varisco B.M. (2004). Portfolio.Valutare gli apprendimenti e le competenze. Roma: Carocci. Vertecchi B. (1993). Decisione didattica e valutazione. Firenze: La Nuova Italia.
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Ricerche
Valutazione dei risultati di apprendimento
Misurare gli apprendimenti in Educazione musicale Measuring the learning outcomes in music education PIETRO LUCISANO • LUDOVICA SCOPPOLA • GUIDO BENVENUTO The work presents the construction and assessment of a finalized structured test designed to measure the results of training in musical education at the end of lower secondary school. The course followed by the definition of the validity of the contents of the test will be illustrated, based on the analysis of written work and interviews with teaching staff; the procedure regarding analyzed items, the assessment and construction of points based on Item Response Theory. The study looked at a sample of 1163 students and undertakes a comparison of the results of the teaching of music in traditional schools and those specializing in music at the end of the three year teaching cycle. The valid, reliable proof undertakes to provide students with useful information. A greater efficiency in the teaching of music also can be said to emerge in the classroom.
Il lavoro presenta il percorso di costruzione e taratura di una prova strutturata finalizzata a misurare gli esiti del percorso formativo in Educazione musicale al termine della scuola secondaria di primo grado.Verranno illustrati il percorso seguito per la definizione della validità dei contenuti della prova, basato sull’analisi dei testi scolastici e su interviste ai docenti; le procedure di item analisi, la taratura e la costruzione dei punteggi basate sull’Item Response Theory. Lo studio ha riguardato un campione di 1163 studenti e consente di confrontare gli esiti dell’insegnamento musicale nelle scuole ad indirizzo musicale e tradizionale al termine del ciclo triennale di insegnamento. La prova valida, affidabile consente di restituire agli insegnanti informazioni utili. Emerge inoltre una maggiore efficacia dell’insegnamento di Educazione musicale nelle classi ad indirizzo musicale.
Key words: music education, test, assessment
Parole chiave: educazione musicale, test, valutazione
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Introduzione Molte ricerche hanno esaminato l’importanza della musica gli adolescenti (Arnett, 1995; Gantz, Gartenberg, Pearson, Shiller, 1978; Larson, 1995; Roe, 1985; North, Hargraves, O’Neill 2001) e i risultati indicano che i giovani dedicano molto tempo alla musica per soddisfare bisogni emotivi, distrarsi dalla noia e rilassarsi dalla tensione e dallo stress. La stessa musica quando diventa oggetto di insegnamento sembra non raccogliere più l’interesse dei ragazzi (Ross,1998;Walzer,1994, Stavrou, 2006). L’insuccesso della educazione musicale scolastica è stato in alcuni casi attribuito alla figura dell’insegnante di musica nella scuola (Hallam, Burnard, Robertson, 2009): i dati mostrano che questa figura professionale è spesso il risultato di una scelta di ripiego poiché il principale motivo di studio musicale da parte dei docenti è stato in vista di una attività concertistica che non ha potuto avere luogo. Gli studi effettuati in Italia sulla musica e i giovani disegnano un quadro di questa realtà da diverse angolature: da una parte abbiamo ricerche che si sono interessate di rilevare, e in alcuni casi valutare, la presenza dell’educazione nel sistema scolastico italiano (Fiocchetta, 2008; Branchesi, 2003, 2006;), dall’altra troviamo studi di area sociologica che affrontano il rapporto sia qualitativo che quantitativo degli adolescenti con l’ascolto e la pratica musicale, intesa questa come attività del tempo libero1 (Gasperoni, 2004; Buzzi, Cavalli, de Lillo, 2007; Indagine Istat, 2006). Secondo Gasperoni gli adolescenti traggono il loro patrimonio culturale musicale soprattutto da esperienze extrascolastiche: solo il 4,2% degli intervistati dichiara che gli insegnanti hanno influito sul proprio modo di vivere la musica, mentre il 40,9% sostiene di non aver mai praticato e ascoltato musica alle scuola elementari. Risposte analoghe riguardano le scuole medie, dove la musica è materia obbligatoria: il 31,4% dei giovani sostiene di non aver praticato o ascoltato musica alle medie inferiori, il 41% dichiara di averlo fatto raramente e solo il 27,5% ricorda di averlo fatto spesso. L’ascolto della musica è una parte molto importante della vita degli studenti mentre suonare uno strumento è una pratica assai meno diffusa, del resto l’insegnamento di educazione musicale è prevalentemente teorico per motivi diversi sia legati alla organizzazione della scuola (aule, assenza di strumenti, tempi limitati), sia alla preparazione degli insegnanti (Biasutti, 2010). I generi proposti dagli insegnanti, con il prevalere della musica classica, appaiono non in sintonia con le esperienze degli adolescenti al di fuori delle mura scolastiche e, anche quando tentano di adeguarsi, la velocità dei cambiamenti nei gusti giovanili, dovuta anche all’uso dei nuovi media, è tale che faticano ad essere aggiornati (Delfrati, 2008). Nel nostro paese, attualmente, l’educazione musicale, a parte quella professionale dei Conservatori, è presente in modo formalizzato, nella scuola pubblica, solo nella secondaria di primo grado per due ore a settimana con programmi ministeriali le cui indicazioni curricolari sono abbastanza generali. Ai docenti viene lasciata la responsabilità di decidere il programma da svolgere nei tre anni con pochi suggerimenti metodologici e tecnici. Questa genericità2 può sortire un duplice effetto: se, da una parte, facilita ai docenti una programmazione e uno svolgimento delle lezioni adattabili alle caratteristiche degli studenti coinvolti, dall’altra produce una carenza di obiettivi concreti, condivisi e misurabili.
1 C.M. 31 luglio 2007, n. 45. 2 D.M. 31 gennaio 2011, n.8 – Pratica musicale nella scuola primaria.«Le istituzioni scolastiche – si legge nel decreto – affidano l’insegnamento curricolare di pratica musicale nella scuola primaria a docenti compresi nell’organico».
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
L’insegnamento della musica è inserito nei curricula della scuola primaria, ma la sua attuazione pratica dipende dalla possibilità di ogni singola scuola di poter attingere personale adeguato (cioè formato per la disciplina) dal proprio organico3. Di fatto, poiché la maggior parte dei docenti della scuola primaria non ha una formazione musicale idonea alle esigenze dell’insegnamento, la musica viene insegnata poco, spesso con effetti assai mediocri e in modo non continuativo. Per quanto riguarda poi la scuola secondaria superiore con l’ultimo decreto Ministeriale del 20084 l’educazione musicale è presente in modo formalizzato al solo liceo musicale. Tuttavia merita sottolineare come sia presente in Italia una pratica di grande rilievo educativo quella delle cosiddette scuole ad indirizzo musicale5. Gli argomenti esaminati e il rilievo che il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica presieduto dal professor Luigi Berlinguer, ha dato con lo studio sulle dotazioni delle scuole per l’educazione musicale (Musica Scuola 2008), ci hanno portato a ritenere utile la costruzione di uno strumento per rilevare gli esiti del percorso formativo musicale scolastico, anche per evitare che la valutazione della scuola venga ridotta alle sole abilità di leggere, scrivere e far di conto (Lucisano, 2010). La strumento è stato costruito con il fine di misurare quella parte dei programmi scolastici che è potenzialmente misurabile attraverso una prova oggettiva.Trattandosi quindi di abilità misurabili, mediante scale di valori numerici sono state escluse tutte quelle attività come l’improvvisazione, l’esecuzione (canora o strumentale) o la composizioni che, pur presenti nelle aule scolastiche, non sono misurabili attraverso una prova oggettiva. Per poter inoltre misurare l’effetto dell’insegnamento delle musica nella scuola per quanto riguarda abilità di tipo percettivo (distinguere e individuare) e mnemoniche , fondamentali per le attività musicali, è stato utilizzato il test di A Bentley (1966) standardizzato su circa 11.000 ragazzi tra i 7 e 14 anni ed utilizzato da molti anni in Italia (Marzano, Notti, 2007). L’interesse per la costruzione di test musicali ha coinvolto molti musicisti soprattutto di area anglosassone (Seaschore, 1938; Wing, 1947; Bentley, 1966; Gordon, 1979, 1982). Tuttavia la definizione di attitudine musicale e la conseguente costruzione di test relativi alla sua misurazione è stata spesso molto criticata (Karma, 2007). Il test di A. Bentley viene qui usato per confrontare queste abilità in relazione a variabili di tipo curricolare e di abitudini musicali extra scolastiche.
1. La ricerca Il lavoro di ricerca ha come obiettivo l’osservazione e l’analisi delle finalità, delle modalità e degli effetti dell’educazione musicale nella scuola secondaria di primo grado del comune di Roma. La ricerca si propone, da un lato di descrivere la stato dell’arte dell’insegnamento della
3 Legge 6 agosto 2008, n.133. Precedentemente del resto l’educazione musicale era presente solo nell’Istituto Magistrale, poi Liceo Pedagogico, e in alcune sperimentazioni. 4 Le scuole medie ad indirizzo musicale sono una realtà in Italia a partire dalle sperimentazione nate intorno al 1975. Il D.M. 6 agosto 1999 ha trasformato le sperimentazioni in corsi istituzionali. 5 La normativa analizzata mostra come alla musica sia stato attribuito sempre maggior rilievo fino ad arrivare all’ordinamento delle scuole medie ad indirizzo musicale (D.M. 6 agosto 2000) e alla creazione dei licei coreutici musicali (Legge del 6 agosto 2008, n.133), ma, allo stesso tempo, i programmi ministeriali offrono indicazioni curriculari in cui ai docenti è lasciata la totale responsabilità riguardo gli obiettivi da raggiungere e i programmi da svolgere.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
musica nella scuola secondaria di primo grado e, dall’altro, di analizzare i rapporti tra le diverse variabili ottenute dalla rilevazione nell’indagine di campo, al fine di valutare le competenze musicali degli alunni in uscita dal ciclo scolastico (secondaria di primo grado) e, di conseguenza, l’efficacia del percorso formativo. La ricerca ha preso le mosse da due ipotesi di lavoro. Sulla base di quanto disposto dalla normativa vigente in materia di insegnamento scolastico6 si è ipotizzato che vi siano differenze significative tra le abilità e conoscenze musicali acquisite dagli studenti in uscita dalla terza classe della scuola secondaria di primo grado in relazione a variabili di contesto sociale e culturale. Inoltre, partendo dall’ipotesi che suonare uno strumento musicale può favorire l’interesse per l’intera disciplina e il relativo apprendimento, si è cercato di valutare le abilità e conoscenze degli studenti in uscita dalla terza classe, confrontando classi appartenenti a curricola formativi differenti (Musicali e Tradizionali). Per definire il curricolo percepito e le competenze acquisite dagli alunni sono stati messi a punto due strumenti di rilevazione: un questionario che rileva variabili di sfondo e abitudini relative alla pratica e all’ascolto della musica e una prova strutturata sulle abilità e le conoscenze di cultura musicale. Per definire il curriculum svolto effettivamente nelle classi è stato inoltre costruito un questionario rivolto ai docenti sui contenuti e le metodologie utilizzate per l’insegnamento della musica. I questionari docenti e studenti vengono messi in relazione con la prova strutturata di conoscenza e abilità musicale, per cercare di individuare le strategie educative musicali maggiormente efficaci per la disciplina musicale.
2. La prova di abilità e conoscenze musicali Per la costruzione della prova il primo obiettivo è stato definire i contenuti da considerare. Per questo è stato svolto uno studio comparato tra i testi scolastici di materia musicale maggiormente adottati nelle scuola del comune di Roma. Dopo aver consultato diversi docenti e le liste di adozione dei testi da parte delle scuole sono stati scelti sette testi scolastici che sono stati analizzati per verificare gli argomenti trattati.
6 Di norma un volume è dedicato allo studio della storia della musica, degli strumenti musicali, mentre l’altro affronta le tematiche legate all’esecuzione della musica (teoria, scrittura, metodologia strumentale, antologia di brani da suonare sia con l’orchestra in classe sia con la base allegata in CD). Alcuni volumi presentano in aggiunta un Quaderno delle verifiche con test sulle abilità ritmiche, vocali, strumentali, sulle conoscenze relative alla storia della musica e agli strumenti musicali. Tutti i volumi sono corredati di materiale interattivo riguardante la scrittura musicale, l’esercitazione ritmica, l’ascolto degli strumenti, l’ascolto di brani e una selezione di basi in formato MIDI e MP3 da poter utilizzare a casa. Alcuni testi infine allegano anche un programma di scrittura musicale (Finale, Cubasis AV).
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Codice di riferimento * A B C D E
Titolo
Autori
Casa editrice
Anno
La musica insegna Suona Subito Musica Intorno Medi@musica Contesti Musicali
Il Capitello, De Agostini Bompiani Minerva Italica Le Monnier
2006 2007 2007 2007 2008
F
C’è musica nell’aria
Mondadori
2008
G
Musica con noi
L. Cardi, V. Natoli R. Paoli, L.Leone R. Deriu, A. Pasquali R. Castello S. Cervato, A. Portera A. Cristofori, G. Moletta S. Ertoli, V. Vacchi
Mondadori
2006
* Nelle tabelle successive saranno utilizzati i seguenti codici come riferimento al testo
Tab. 1:Testi scolastici analizzati per la costruzione della prova di abilità e conoscenza musicale
5
I testi si presentano di norma in due volumi da utilizzare per le tre classi della scuola media. La successione logica e tematica dei contenuti dei testi analizzati segue criteri disomogenei e approcci differenti. La parte teorica è generalmente incentrata sulla parte storica, sulla costruzione organologica e utilizzo degli strumenti con cenni sulle formazioni strumentali e la loro evoluzione nella storia. Alcuni testi, affrontano anche le funzioni della musica e del valore del suo insegnamento nella vita quotidiana. Per la costruzione della prova di conoscenza e abilità musicale si è scelto di analizzare la modalità di approccio e l’estensione dei singoli argomenti nei diversi testi. È stata usata una scala da 0 a 3, per rappresentare il livello di approfondimento dell’argomento esaminato dove 0= non trattato e 3= trattato in modo adeguato. Argomento
Testi scolastici
Totale
A B C
D
E
F G Media
Storia musica classica
3
2
2
3
2
2
2
2,3
Strumenti musicali
3
3
2
2
2
2
1
2,1
Storia Jazz, pop, rock, cantautori
3
1
3
2
2
2
2
2,1
Storia musica popolare
3
1
3
2
2
1
1
1,9
Funzioni
3
1
1
3
0
2
0
1,4
Formazioni strumentali
2
1
1
2
2
1
1,3
Totale
17 9 11 13 10 11 7
Tab. 2 :Testi scolastici. Livello di approfondimento per argomento: funzioni, strumenti e storia
Nei testi esaminati la parte che riguarda lo studio pratico della musica affronta argomenti inerenti il suono, la teoria, l’armonia e le diverse forme musicali (tab 3).
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Argomento
Testi scolastici
Totale
A
B
C
D
E
F
G
Media
Suono
3
2
3
3
1
3
3
2,6
Ritmo
3
3
3
2
1
2
3
2,4
Tastiere
3
2
2
2
2
2
2
2,1
Armonia
3
2
2
2
3
1
2
2,1
Scrittura Musica
3
2
2
2
1
1
3
2,0
Flauto
3
2
1
2
1
2
2
1,9
Chitarra
3
2
2
2
1
1
2
1,9
Forme
2
1
3
1
0
2
1
1,4
Informatica
3
0
1
3
1
3
1
1,7
Percussioni
0
0
1
2
2
2
2
1,3
Voce
2
0
0
3
1
2
1
1,3 0,9
Melodia
3
1
0
1
0
0
1
Totale
31
17
20
25
14
21
23
Tab. 3 :Testi scolastici. Livello di approfondimento per argomento: teoria e pratica musicale
Nella tabella 4 si presenta l’analisi del repertorio e dei generi musicali maggiormente utilizzati dagli insegnanti durante le lezioni scolastiche. La scala di valori è riferita, quindi, alla quantità di brani proposti per ogni genere musicale. Argomento
Testi scolastici
Totale
A
B
C
D
E
F
G Media
Canzone italiana
2
2
3
3
3
2
3
2,6
Canzone Straniera
2
3
2
3
3
2
3
2,6
Popolari dal mondo
2
3
3
3
2
2
2
2,4
Natalizie
2
3
2
3
2
2
3
2,4
Grandi classici
3
3
1
3
1
2
3
2,3
Gospel
3
2
2
2
3
2
2
2,3
Pace
2
3
2
3
1
2
2
2,1
Colonna Sonore
1
2
3
3
2
2
2
2,1
Musica insieme
3
2
3
1
2
0
1,6
Totale
20 23 21 24 19 16 20
Tab. 4: Testi scolastici. Valutazione della quantità di brani presenti in antologia, divisi per argomento
Dall’analisi dei libri di testo adottati dalle scuole medie per l’educazione musicale, nonché dalla lettura dei programmi ministeriali, gli argomenti per una prima definizione dei conP tenuti della prova sono risultati: storia della musica, strumenti musicali, forme musicali, forP mazioni strumentali e teoria della musica. Per la storia della musica l’arco cronologico preso in esame nei testi è molto vario. Alcuni partono dalle civiltà antiche, altri dal mondo greco, altri ancora dal medioevo. Considerata tale disomogeneità si è deciso di riferire le domande ad un periodo compreso tra il medioevo e la dodecafonia. Rientra in questo settore anche la storia della musica del novecento non appartenente alla tradizione classica, quali la musica popolare, quella etnica, la canzone melodica italiana, il Jazz e il Rock.
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Gli strumenti musicali presentati nei testi esaminati sono principalmente classici con classificazioni tra loro spesso diverse. Le forme musicali sono la parte trattata con maggiore superficialità e confusione terminologica, sovente con omissioni di parti fondamentali per la comprensione della materia. Per questo l’argomento è stato successivamente eliminato dalla prova. Anche la parte riguardante le formazioni strumentali è trascurata: in molti casi l’unica formazione strumentale proposta è quella dell’orchestra sinfonica. Gli argomenti riguardanti la teoria musicale sono generalmente i seguenti: • la scrittura delle note e loro valore con rispettive pause, • tempi binari e ternari con ritmi irregolari fino alle terzine, • ritmi semplici e composti fino ai sedicesimi, • la scala e gli intervalli, • tonalità maggiore e minore • primi accenni sugli accordi, • cenni sul concetto di polifonia. Gli argomenti che generalmente necessitano di un apprendimento lento e diluito nel tempo, vengono a volte solo accennati. Alla luce di quanto osservato è stata ipotizzata la prima struttura della prova di conoscenza e abilità musicale con gli argomenti e le relative domande suddivise per difficoltà (tab. 5). Argomento Teoria musicale Storia della musica colta Gli strumenti musicali Storia della musica leggera Formazioni strumentali Forme musicali Ascolto Totale
facili 4 3 3 2 1 1 3 17
n. domande medie difficili 4 4 3 3 3 3 2 2 1 1 1 1 3 3 17 17
totale 12 9 9 6 3 3 9 51
Tab. 5: Prima ipotesi di struttura della prova di conoscenza musicale
Le interviste ai docenti di Musica hanno evidenziato la difficoltà di svolgere nei tre anni tutti gli argomenti previsti e poiché le direttive Ministeriali lasciano libertà ai docenti sulle tematiche da affrontare gli argomenti musicali presenti nelle aule possono essere molto diversi. Dall’analisi dei testi scolastici, integrata con interviste a docenti della scuola media, sono quindi scaturiti i contenuti e l’estensione di ogni argomento, per la costruzione della struttura delle prove di valutazione (tabella 6). Argomento Storia della musica classica Teoria musicale Strumenti musicali Ascolto Storia della musica leggera Totale
Facili 4 4 4 3 3 18
n. domande Medie Difficili 4 4 4 4 4 4 3 3 0 3 15 18
Totale 12 12 12 9 6 51
Tab. 6: Struttura definitiva della prova di abilità e conoscenza
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Il lavoro di analisi e valutazione del grado di approfondimento per ogni argomento trattato dai testi scolastici ha prodotto quindi il riferimento per la costruzione della prova a scelta multipla di Conoscenza musicale. La medesima impostazione è stata utilizzata per la costruzione della prova Ascolto. Il sistema teorico di riferimento risulta composto da tre macro-argomenti (strumenti musicali, storia della musica, percezione e scrittura del suono) valutabili ognuno attraverso due differenti processi: quello percettivo (prove Ascolto e Percezione) e quello cognitivo (prova Conoscenze). Tipologia del test per i diversi argomenti della prova
Strumenti musicali Appartenenti all’orchestra sinfonica, jazz e rock
Storia della musica In occidente dal medioevo al XX secolo
Teoria musicale
Percezione del suono (test Bentley)
Rispondere a domande
Caratteristiche strutturali e formali
Compositori, opere, forme, differenze stilistiche
Principali elementi della scrittura musicale
/
Riconoscere dall’ascolto
Il suono dei diversi strumenti
I diversi stili e generi musicali
Caratteristiche del suono di durata, dinamica e timbro.
Altezza dei suoni, Memoria tonale, Memoria ritmica
Forme degli strumenti
/
Corrispondenza suono/segno
/
Riconoscere da testi e figure
Tab. 7: Contenuti della prova di abilità e conoscenza musicale
La prova di conoscenze è stata costruita in due forme parallele per poter esaminare la padronanza di un numero più ampio di contenuti. Per quanto riguarda i subtest strumenti e storia si sono utilizzati rispettivamente 6 e 9 item di ancoraggio, mentre per la lettura del pentagramma gli stessi argomenti sono stati presentati nei termini di capacità di riconoscere o descrivere la scrittura musicale. La prova di conoscenze è composta da 67 item diversi. Prove
Sub-test
N. item
Durata prevista
Ascolto
Strumenti
10
10’
Stili
8
Caratteristiche suono
12
Strumenti
13
Conoscenze
Percezione (test Bentley)
Storia
17
Lettura pentagramma
11
Altezze
20
Memoria ritmica
10
Memoria tonale
20’
10’
10
Totale
109
40’
Tab. 8: Struttura del test e distribuzione degli item nei subtest
4. Validazione dello strumento Una volta completata la costruzione definitiva della prova in tutte le sue parti è stato fondamentale un riscontro valutativo con un gruppo di docenti di musica, esperti di didattica nella scuola secondaria di primo grado. Già nella prima fase di lavoro erano state utilizzate le osservazioni ricevute nel corso delle interviste a diversi docenti della materia, sui pro-
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
grammi seguiti e sulle metodologie applicate. Nella fase che ha preceduto la validazione con gli insegnanti sono stati chiesti ai docenti di Didattica della musica del Conservatorio di Milano, professor Carlo Delfrati e del Conservatorio di Roma, professoressa Franca Ferrari, nominativi di insegnanti della scuola secondaria di primo grado particolarmente esperti e interessati alle problematiche legate all’insegnamento della musica. Compilata una lista di venticinque docenti, appartenenti alle province di Roma, Bolzano, Milano e Bologna, è stata inviata la richiesta di collaborazione allo studio in questione tramite posta elettronica. Successivamente sono state inviate le prove Ascolto e Conoscenza, con la richiesta di esprimere un giudizio su ognuno degli item proposti tramite compilazione di un o questionario (tab. 9). La richiesta di valutazione ha riguardato tre diversi aspetti sulla costruzione di ogni item: • quantità di studio dedicato all’argomento proposto (Argomento studiato) • difficoltà dell’argomento che la domanda propone (Difficoltà testo argomento) • difficoltà di comprensione del testo della domanda (Difficoltà testo domanda). Tipo di quesito
Argomento Studiato
Difficoltà argomento
Difficoltà testo domanda
Per niente Poco Abbastanza Molto
Tab. 9: Schema per la valutazione delle domande della prova da parte di docenti esperti
Dei 25 insegnanti contattati 20 hanno risposto: 15 completando lo schema di valutazione e 5 con una valutazione generale delle prove. L’analisi delle risposte è stata realizzata attribuendo un punteggio a ciascuna risposta data (1= per niente, 2= poco, 3= abbastanza, 4= molto). Sintetizzando le risposte e i commenti ricevuti sono state ricavate le seguenti informazioni, utili per indirizzare la versione definitiva della prova: • argomento studiato: emergono realtà differenti in cui alcuni argomenti sono studiati in maniera approfondita e altri molto meno. La media delle risposte è comunque sbilanciata verso il valore ABBASTANZA. Le differenze più rilevanti riguardano lo studio della Storia della musica poiché in alcune classi questo argomento non viene PER NIENTE affrontato. Mentre la scrittura musicale sembra essere un argomento comune a tutti i docenti consultati; • difficoltà argomento: i docenti hanno in media valutato le domande tra il POCO e ABBASTANZA difficile. Le domande sulla scrittura musicale hanno avuto un punteggio vicino al PER NIENTE difficile mentre due domande sull’ascolto di diversi stili musicali (Prima prova-Discriminazione di diversi stili musicali) sono risultate MOLTO DIFFICILE. Per questo motivo si è deciso di modificare le risposte delle suddette risposte allargandone l’arco cronologico; • difficoltà testo domande: i testi delle domande sono risultati tutti tra POCO e PER NIENTE, quindi non è stato necessario portare alcuna modificazione.
5. La prova pilota Gli strumenti di rilevazione (prova di abilità e conoscenze musicali, questionario studenti e questionario docenti) sono stati verificati attraverso una prova pilota (try out) su un campione di giudizio, a grappoli, stratificato per area territoriale (centro/periferia) e curricolo (scuole medie ad indirizzo musicale e tradizionale).
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
S
Sono stati quindi scelte 17 classi, per un totale di 323 studenti, frequentanti le scuole con le seguenti caratteristiche: 1) a indirizzo musicale nel centro del Comune di Roma (2 classi) 2) a indirizzo tradizionale nel centro del Comune di Roma (6 classi) 3) a indirizzo musicale nella periferia del Comune di Roma (3 classi) 4) a indirizzo tradizionale nella periferia del Comune di Roma (7 classi) analizzati attraverso due diversi programmi statistici: Item La somministrazionesono deglistati strumenti, è avvenuta nel mese di maggio 2010. A I risultati del try out sono stati analizzati attraverso due diversi programmi statistici: Item Analisi Classica v18 (CTT) e Item Response Theory (IRT) a due parametri (Lucisano, Siniscalco 1992). Gli esiti del try out hanno evidenziato due differenti problematiche: 1) per la prima prova (Ascolto) l’item analisi ha evidenziato diversi item con indice di facilità e di discriminatività oltre i limiti di accettabilità (Tabella 10); 2) per la seconda prova (Conoscenze) è emersa invece la necessità di rendere equivalente la distribuzione della facilità degli item nelle due diverse forme A e B. Prove Numero soggetti Numero item Media punteggi tot. Deviaz. standard Alfa di Cronbach Kuder & Rich. 20 Soglia biseriale Bps: n. item critici P: n. item critici
Ascolto CTT ICR 323 323 29 29 21,5 21,4 3,1 3,2 0,58 0,58 0,63 0,20 0,20 5 3 12 9
Conoscenze A CTT ICR 161 161 41 41 23,5 23,5 6,2 6,2 0,77 0,77 0,79 0,20 0,20 5 1 1 0
Conoscenze B CTT ICR 162 162 41 41 24,0 24,0 6,7 6,7 0,81 0,81 0,83 0,20 0,20 6 1 0 0
Tab. 10: Item analisi delle prove 1 e 2 (forma A e B)
Per entrambe le prove si è quindi presentata la necessità di alcune lievi revisioni in vista della somministrazione definitiva, prevista per marzo 2011.
6. La prova principale La popolazione bersaglio della ricerca è composta dagli studenti frequentanti le classi di educazione musicale dell’ultimo anno della scuola secondaria di I° grado del comune di Roma. Il disegno della ricerca ha richiesto un campione di giudizio costruito a partire dall’universo delle scuole ad indirizzo musicale presenti nel territorio del comune di Roma (37 scuole)7.Tra queste sono state selezionate quelle che avevano una sezione musicale integrata in una sola classe (16 scuole). Successivamente si è proceduto alla definizione di una lista delle scuole ad indirizzo tradizionale appartenenti allo stesso territorio delle scuole musicali scelte. Da questa seconda lista sono state estratte a caso 16 scuole in modo che ad ogni scuola ad indirizzo musicale fosse affiancata una scuola ad indirizzo tradizionale insistente nello stesso territorio.
7 Nel Comune di Roma su 148 scuole medie 37, (il 25%) hanno un sezione dedicata all’insegnamento degli strumenti musicali, ogni anno quindi su circa un totale 22.750 studenti che si iscrivono per la prima alla volta alla scuola secondaria di primo grado circa 925 (4,06%) vengono ammessi a questa possibilità.
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Le aree territoriali identificate sono poi state classificate in base alle caratteristiche socioculturali dei quartieri in tre strati (centro/zona intermedia/periferia). Per ogni tipo di scuola, sia ad indirizzo Musicale che Tradizionale, sono state richieste due sezioni ai dirigenti scolastici coinvolti nello studio: per le scuole ad Indirizzo Musicale sono state scelte la sezione musicale e la sezione tradizionale con lo stesso docente di educazione musicale in orario mattutino e per le scuole ad Indirizzo tradizionale sono stati chieste due sezioni con diverso docente di musica per poter allargare maggiormente lo spettro dell’indagine. Il campione previsto era dunque composto da 32 scuole e 64 classi. Il campione raggiunto è composto da 29 scuole e 59 classi per un totale di 1163 studenti (Tab. 11). Il numero dei docenti raggiunti è di 33 di cui 16 appartenenti alle scuole ad indirizzo Musicale e 17 alle Tradizionali (non è stato sempre possibile nelle scuole ad indirizzo tradizionale avere due docenti diversi). Ordinamento della scuola
Campione previsto
Campione previsto
Campione
Musicale
16
16
400
336
Tradizionale
16
16
400
361
32
27
800
446
64
59
1600*
1.163
Campione
Curricolo
raggiunto
delle classi
Musicale
16
16
Tradizionale
16
13
Totale
32
29
Tradizionale
raggiunto
Campione stimato
Campione raggiunto
studenti
studenti
* Nel disegno del campione si era stimata una numerosità di 25 studenti per classe
Tab.11: Campione disegnato e campione raggiunto
La somministrazione degli strumenti (prova di abilità e conoscenza musicale, questionario sugli usi e abitudini musicali per gli studenti e questionario per i docenti) è avvenuta nei mesi di marzo e aprile del 2011.
7. Andamento dei punteggi alla prova 7
1- Analisi della distribuzione dei punteggi Di seguito (Tab. 12) si propone l’item analisi della prova, solo secondo il modello IRT, confrontando la prova pilota del 2010 con la prova principale del 2011. La validità della prova è confermata dal punteggio del test Kuder Richardson (KR20) che risulta nettamente migliore tra la prova pilota e quella principale. Gli item che nella prova pilota erano risultati al sotto del punto biseriale (Bps=0,20) e al di sopra della soglia della facilità definita (p=0,90) per l’item analisi sono stati modificati o eliminati nella prova definitiva. Tutti gli item delle prove costruite corrispondono ai criteri di discriminatività. Nello studio definitivo 6 item si presentano con valori di facilità maggiori di .90 nella prova di Ascolto. Tutti gli item della prova di Cultura musicale rispondono ai criteri ai criteri di facilità e discriminatività definiti. Mentre per il test di Bentley si evidenziano tre item sotto la soglia di biseriale prevista.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012 ai criteri di facilità e discriminatività d
Ascolto aa.ss. Soggetti
Conoscenze
Bentley
2010
2011
2010
2011
2010
2011
323
1.163
323
1.163
323
1.163
N.item
29
29
41
41
40
40
Media
21,5
20,9
23,8
24,6
27,3
27,1
Dev.st.
3,1
3,7
6,43
7,49
5,79
6,06
Range
22/29
23/29
32/41
39/41
35/40
37/40
Minimo
9
6
9
2
4
3
Massimo
28
29
41
41
39
40
0,63
0,74
0,79
0,86
0,72
0,83
3
0
1
0
0
0
12
6
0
0
1
3
KR20 Bps critici P critici
Tab.12: Item analisi delle tre prove: try-out (2010) e main-study (2011)*
L’andamento degli item è stato anche analizzato secondo il modello IRT, a due parametri, con il programma Xcalibre versione 4.1 (Assessment Systems Corporation, 2011). Per quanto riguarda la prova Ascolto il programma Xcalibre ha escluso due item perché P l’analisi statistica di questi ultimi è risultata al di fuori dei valori accettati. La seconda prova, omogenea per frequenza di difficoltà degli item tra il modello A e quello B, risulta più difP ficile della prima. Per quanto riguarda la distribuzione degli item secondo il parametro a (biseriale) non ci sono item sotto la soglia stabilita (>0.20) e tranne uno (prova Conoscenze, modello B) tutti gli altri item sono risultati con punteggio <0,30. Per quello che riguarda il grado di difficoltà degli item è interessante confrontare (tab.13) il giudizio dato dai docenti per ogni item e la effettiva risposta degli studenti. Come risulta evidente non sempre i giudizi coincidono in quanto molto item stimati difficili dai docenti sono risultati invece molto più semplici dai ragazzi esaminati. Conoscenze Strumenti
Facilità Valutaz. delle Docenti su facilità domanda
Conoscenze Storia musica
Facilità Valutaz. della Docenti su facilità domanda
Clarinetto Corno Fagotto Voci Percussioni Archetto Sassofono violino Pianoforte
0,62 0,60 0,62 0,65 0,60 0,60 0,47 0,30 0,47
0,53 0,43 0,65 0,58 0,85 0,81 0,92 0,47 0,74
Canto gregoriano Storia notazione Polifonia Madrigale Messa Orch. barocca J. S. Bach A. Vivaldi L .v. Beethoven
0,55 0,67 0,62 0,40 0,52 0,50 0,40 0,47 0,40
0,77 0,57 0,77 0,41 0,49 0,60 0,33 0,80 0,35
Oboe Basso tuba Banda
0,40 0,40 0,60
0,79 0,54 0,38
W .A. Mozart Pianoforte Orch. romantica Opera Dodecafonia Jazz Beatles E. Presley
0,52 0,55 0,45 0,27 0,47 0,52 0,67 0,57
0,48 0,54 0,36 0,77 0,40 0,67 0,58 0,67
Conoscenze Lettura Nome nota Valore nota Valore pausa Tempo Nota con il punto Battute Armatura chiave Ritornello Sequenza note corrispondenza valori note
Facilità Valutaz. delle Docenti su facilità domanda 0,60 0,62 0,47 0,57 0,55 0,65 0,70 0,55 0,60
0,84 0,72 0,57 0,50 0,59 0,70 0,66 0,71 0,74
0,62
0,62
Tab. 13: Valutazione dei docenti per i tre sub test della prova Conoscenze e confronto con le medie dei punteggi degli studenti
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
2 - Descrizione dei punteggi grezzi Nella tabella 14 si può osservare l’andamento degli studenti alle diverse prove di abilità musicale. La prima prova (Ascolto), è risultata anche nella somministrazione definitiva abbastanza facile: la media delle risposte giuste è alta (20,9 su 29), la deviazione standard è contenuta e questo dimostra che gli studenti hanno risposto in modo omogeneo, la gamma di 23 punti su 29 (il minimo di risposte giuste raggiunte è di 6 e il massimo è 29 su 29). Avevamo visto infatti che nell’item analisi sei domande risultano sopra il livello di facilità di 0,90. Poiché questa parte della prova ha l’obiettivo di rilevare quali strumenti, generi e caratteristiche del suono gli studenti in uscita dalla scuola media siano in grado di riconoscere è probabile che abbiano potuto utilizzare l’esperienza di ascolto per rispondere a queste domande8. La prova misura tuttavia differenze significative tra le scuole e le classi analizzate. Numero sogg. N. item Media E.S. della media Mediana Moda Deviazione std. Gamma Minimo Massimo 25 50 75 8
Ascolto 1.163 29 20,90 ,11 21 22 3,70 23 6 29 19 21 24
Conoscenze 1.163 41 24,62 ,22 25 26 7,49 39 2 41 19 25 30
Percezione 1.163 40 27,0 ,18 28 30 6,06 37 3 40 23 28 32
Tab. 14: Descrittive dei punteggi grezzi di tutte le tre prove
La prova di Conoscenza musicale risulta più difficile, la media è molto bassa rispetto al numero di item mentre la deviazione standard si avvicina al 29% del valore della media. In questa prova gioca un ruolo molto importante lo studio sia teorico sia pratico della musica perché gli argomenti sono strettamente collegati all’esperienza scolastica. La terza prova di abilità della percezione dei suoni9, il cui costrutto teorico rileva abilità non necessariamente legate all’esperienza scolastica, per i motivi precedentemente esposti, presenta comunque nei punteggi grezzi una media non elevata e una deviazione standard molto alta10. Nei grafici seguenti (1, 2, 3, 4) si presenta la distribuzione dei punti grezzi per le tre prove utilizzate nel presente studio.
8 I dati relativi al questionario sugli usi e abitudini musicali mostrano con evidenza che i ragazzi esaminati nello studio dedicano molto tempo all’ascolto di musica. 9 Si ricorda che per questa parte della prova è stato utilizzato il test standardizzato di A. Bentley (1966). 10 Rispetto al campione utilizzato da di Bentley (circa 12.000 studenti compresi tra i 7 e i 14 anni) i nostri studenti che suonano uno strumento musicale, a pari età, hanno punteggi lievemente più alti mentre quelli che non lo suonano hanno punteggi decisamente più bassi.
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Graf. 1: Punteggi grezzi prova Ascolto
Per la seconda prova11 viene mostrato un grafico generale e uno specifico delle due forme in cui è possibile confrontare l’andamento degli item con uguale argomento tra le due prove. Si ricorda che dall’item analisi le due prove risultano omogenee per la distribuzione della facilità degli item e che quindi eventuali differenze su singoli item sono comunque compensate. Lo spostamento della curva a destra per i tre grafici delle prove ci dimostra nuovamente che la facilità è maggiore per la prima e terza prova piuttosto che per la seconda.
Graf. 2: Punteggi grezzi della prova Conoscenze
9
1
Graf. 3: Punteggi grezzi della prova Conoscenze nelle due forme
11 Si ricorda che la prova Conoscenze è stata costruita in due diverse forme, A e B.
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Graf. 4: Punteggi grezzi della terza prova Percezione
Per quanto riguarda la variabilità delle distribuzioni dei risultati è stato calcolato il coefficiente di variazione delle diverse prove che viene rappresentata graficamente nei seguenti diagrammi a scatola (boxplot) in cui sono raffigurate le distribuzione degli item nelle tre prove. Possiamo notare che la prima prova ha un’estensione minore rispetto alle altre e che la linea della mediana è posta in basso a ddimostrare la facilità di questa prova nei confronti delle altre due. d
Graf. 5:Diagramma a scatola della distribuzione della facilità degli item nelle tre prove
3 – Punteggi IRT con base 500 Per l’analisi multivariata degli esiti della prova si sono utilizzati i punteggi IRT che sono stati trasformati secondo l’uso internazionale in punteggi con media 500 e deviazione standard 100. In tabella 15 si riportano le descrittive dei punteggi, IRT con media 500, delle tre prove analizzate e del punteggio del fattore ricavato con l’analisi fattoriale (metodo delle componenti principali che spiega il 71,74% della varianza).
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N. Studenti Media Deviazione standard 25 Percentile 50 75
Ascolto
Conoscenze
1163 500 100 435 487 556
1163 499 100 421 493 567
Percezione Fattoriale prove 1163 1163 500 500 100 100 442 433 500 489 560 561
Tab. 15: Descrittive punteggi IRT in 500 delle tre prove
Lo strumento si è rivelato valido ed affidabile e in grado di fornire indicazioni importanti sugli effettivi apprendimenti degli studenti in relazione all’insegnamento ricevuto nella educazione musicale scolastica. In particolare la prova Conoscenze consente di misurare punti di forza e di debolezza delle diverse classi esaminate e potrà in questo senso essere messa a disposizione degli insegnanti per una autovalutazione del proprio lavoro e l’identificazione dei punti di forza e di debolezza dei loro studenti. In questa sede non verranno presentati gli esiti delle analisi multivariate e ci limiteremo a descrivere solo alcune delle evidenze che emergono dai risultati dell’indagine. L’analisi dei dati ha evidenziato differenze significative nei punteggi tra le classi del campione in relazione a ciascuno dei subtest proposti. Differenze significative si presentano anche nelle classi con lo stesso insegnante. Queste differenze risultano maggiori nelle scuole ad indirizzo musicale dove gli esiti, anche e soprattutto nella prova di Conoscenze vedono la classe ad indirizzo musicale ottenere punteggi sempre maggiori della classe parallela ad in-
Graf. 6: Punteggi di due classi con uguale docente di musica relativi ai nove sub test delle prove
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
dirizzo tradizionale. Se ne ricava che l’esito della attività di insegnamento risulta fortemente influenzato dal contesto che determina una maggiore motivazione degli studenti. Non risultano significative al contrario le differenze tra classi ad indirizzo tradizionale nelle scuole con sezioni musicali e classi in scuole a solo indirizzo tradizionale, dunque non abbiamo verificato effetti della presenza dell’indirizzo musicale sulla scuola. Le successive analisi consentiranno di restituire alle scuole indicazioni sugli standard attesi in relazione sia al tipo di indirizzo della classe sia ai contesti territoriale, socioculturale e familiare che comunque hanno una incidenza sugli esiti della prova. Si prevede di mettere a punto un sistema automatizzato di analisi delle prove che restituisca all’insegnante gli esiti della sua classe in relazione a ciascun subtest della prova e agli standard emersi dalla presente ricerca. Nel grafico 6 presentiamo un esempio di come possono essere restituiti a un insegnante i dati delle sue classi in relazione ai diversi aspetti esaminati con la prova. Si tratta di un insegnante che ha due classi tradizionali e il grafico consente di cogliere le differenze tra i risultati di apprendimento delle due classi. Ricordando che la media del campione della ricerca è 500 è interessante notare come le due classi presentino profili significativamente diversi con aspetti al di sopra e al di sotto dei valori standard.
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Ricerche
Valutazione dei risultati di apprendimento
Silent assessment? Cosa pensano della valutazione gli studenti universitari Silent assessment? What university students think about assessment SERAFINA PASTORE La spinta innovativa della valutazione disperde la sua forza quando il focus di attenzione è rappresentato dal livello di apprendimento degli studenti. Gli studi attuali sono prevalentemente orientati verso l’individuazione delle modalità valutative della didattica, nelle sue diverse forme e articolazioni, e verso la definizione di sistemi di controllo dell’apprendimento. La pratica di valutazione più diffusa è quella tesa a raccogliere le opinioni degli studenti sul servizio formativo erogato/ricevuto all’interno del corso di studio frequentato. Il contributo si focalizza in particolare su cosa pensano e cosa sanno dell’assessment gli studenti della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bari e riporta i risultati del primo step di un più ampio multiple case study.
The pushing effect of assessment seems to be invalid when the focus is the student learning progression. Nowadays the research interests are mainly oriented to identify kinds and models for assess teaching-learning processes and to implement a system of control. The most common assessment practice is aimed to gathering students’ opinion about the teaching-learning services and formative pathways. This paper reports on a first step of a research conducted with the students of the Graduate School of Education-University of Bari and it is focused on what they think and know about assessment.
Parole chiave: assessment, formative assessment, self-assessment, insegnamento, apprendimento, università.
Key words: assessment, formative assessment, self-assessment, teaching, learning, university.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
1. Assessment in università Nel contesto della formazione universitaria, l’assessment ha finito con l’assumere connotazioni e significati profondamente diversi e, non rare volte, contrastanti (Boud, Falchikov, 2007; Brown, Glasner, 2003; Laurillard, 1993). L’onda lunga dell’accountability che ha investito i sistemi universitari europei negli ultimi dieci anni sembra aver veicolato un’attenzione esclusiva sul perseguimento di obiettivi limitati e risultati particolari a detrimento della diffusione di procedure e processi di assessment orientati, invece, alla raccolta e all’uso sistematico di informazioni per migliorare l’apprendimento e promuovere lo sviluppo degli studenti (Palomba, Banta, 1999). Rilevante la valenza assunta dalla considerazione, più o meno latente, che i learning outcomes debbano essere verificati sulla base di prove “evidenti”: si pensi, ad esempio, al dibattito sollevato dalle forme di valutazione con prove standardizzate in cui siano stati esplicitati i criteri di correzione che, se, da un lato, garantiscono una forma di oggettività nella valutazione, dall’altro, non sempre consentono di «apprezzare l’organizzazione personale delle conoscenze e […] giudicare competenze complesse come quelle prefigurate dalla valutazione universitaria» (Coggi, Ricchiardi, 2007, p. 137) o, ancora, agli effetti imprevisti (e in parte perversi) provocati dall’applicazione dei Descrittori di Dublino che, pur avendo posto una rinnovata attenzione agli aspetti della progettazione e organizzazione dei curricula formativi, nell’ottica della trasparenza e dell’efficacia, si sono eccessivamente curvati sulla verifica dei risultati conseguiti in termini di una performatività esasperata. Il “bisogno di certificazione” induce a non considerare aspetti diversi: quanto la valutazione influenza la vita degli studenti, le loro scelte future, gli orientamenti lavorativi? Quanto agisce come incentivo, o come ostacolo, allo sviluppo di un apprendimento efficace e rispondente alle esigenze dei singoli (Boud, Falchikov, 2007)? Le considerazioni sull’impatto e sugli effetti di valutazioni inadeguate rispetto all’apprendimento degli studenti finiscono così con l’essere eclissate dall’eccessiva attenzione rivolta all’individuazione del metodo più efficace di certificazione. Il discorso dominante ruota attorno alla misurazione e alla verifica e non riesce ad approfondire finalità ulteriori perseguibili attraverso l’assessment. Sulla base di tale sfondo si delinea un problema cruciale: siffatta visione del processo di assessment finisce con il porre in posizione marginale gli studenti incapaci di gestire, fuori da un contesto formale, una situazione di apprendimento, di individuare cosa e come apprendere e di stabilire se hanno o meno appreso. Notevole, allora, lo sforzo che a livello scientifico, ma anche pratico-operativo, è necessario compiere per ridefinire le pratiche di assessment: non si tratta, tra l’altro, solo di riavvalorare la dimensione “formative”, ma di rendere l’assessment stesso più “sostenibile” per contribuire effettivamente alla preparazione degli studenti alla vita futura (Boud, 2006).
2. Insegnamento, assessment e apprendimento A qualsiasi livello della formazione universitaria noi ci riferiamo l’assessment risulta essere strettamente correlato tanto all’insegnamento, quanto all’apprendimento. Nell’attuale clima di generale cambiamento, l’università è chiamata a riconsiderare le finalità dell’assessment se si intende davvero “equipaggiare” gli studenti con abilità e competenze necessarie per la vita futura personale e professionale. Perseguire tale finalità implica il coinvolgimento attivo degli studenti nel processo di assessment in modo che comprendano cosa è loro richiesto, quali i criteri e gli standard da applicare e come ottenere buoni risultati (Rust, O’Donovan, Price, 2005). L’intenzione di non schiacciare l’assessment sulla mera dimensione di accertamento e di non
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
ridurlo a momento finale del processo di insegnamento-apprendimento oltre a comportare la revisione del ruolo e delle finalità dell’assessment stesso investe le modalità attraverso cui poterlo realisticamente gestire rivalorizzandone la sua natura attiva e organica (Walvoord, 2004). Diversi gli interrogativi che, a questo punto, si sollevano: quanto l’assessment migliora l’apprendimento degli studenti? I docenti forniscono un feedback utile, adeguato e tempestivo? Consentono agli studenti di riconoscere e comprendere gli elementi che possono indurre un miglioramento nella loro performance? (Brookhart, Bronowicz, 2003; Elwood, Klendowski, 2002) A volte si tende a dimenticare come l’assessment abbia un’influenza più forte dello stesso insegnamento sull’apprendimento degli studenti, perché: • veicola ciò che è davvero importante apprendere; • ha un potente effetto su cosa e su come gli studenti apprendono; • consolida lo sviluppo delle strategie di apprendimento1; • influenza il valore che il soggetto attribuisce alla formazione, così come il senso di realizzazione personale e la volontà di portare a termine determinati compiti di apprendimento; • contribuisce a definire cosa gli studenti associano, in generale, all’esperienza della valutazione in ambito universitario. Se l’assessment ha un tale impatto, meriterebbe una maggiore attenzione da parte degli stessi docenti che, spesso, prestano eccessiva attenzione alla definizione di voti e punteggi e non considerano gli effetti che simili pratiche possono provocare (abbassamento del livello di stima personale, mancato incoraggiamento a migliorare). Per quanto l’assessment rivesta un ruolo fondamentale in ambito educativo e per quanto la produzione rifletta i rapidi cambiamenti nella pratica e nei contesti in cui opera, la ricerca nel settore universitario appare ancora incoativa. Gli studi attuali, specie a livello internazionale, muovono verso la revisione delle modalità tradizionali di testing, l’individuazione di forme alternative di valutazione e, soprattutto, l’analisi delle rappresentazioni e delle percezioni che dell’assessment hanno insegnanti e studenti (Brown, Hirschfeld, 2008; 2007; Brown, 2006; Struyven, Dochy Janssens, 2005). È all’interno dell’ultimo orientamento che si colloca la presente ricerca: un multiple case study condotto presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Bari, teso ad analizzare le pratiche e le visioni che dell’assessment hanno i protagonisti del processo formativo (studenti e insegnanti).
3. Metodo, partecipanti e strumenti Riportiamo, di seguito, gli esiti del primo step di ricerca focalizzato, in particolare, sulle rappresentazioni e sulle pratiche di assessment sperimentate dagli studenti durante il percorso universitario: che percezioni hanno, in generale, dell’assessment? Hanno familiarità con modalità e forme alternative di valutazione (self e peer assessment)? Come vivono l’assessement rispetto allo studio e all’apprendimento? Conoscono il formative assessment? Queste le domande-obiettivo con cui si è cercato di “fotografare” l’esistente. L’indagine di carattere esplo-
1 A riguardo, Craddock e Mathias (2005) ribadiscono come l’assessment sia strettamente correlato al personale stile di apprendimento degli studenti: un aspetto importante, evidenziato, già nelle prime ricerche sulle modalità di costruzione della conoscenza degli studenti universitari di Perry (1970), Belenky et al (19) e nei successivi studi di Miller e Parlett su valutazione e approcci all’apprendimento, fino ad arrivare alle più recenti indagini fenomenografiche di Entwistle e Ramsden. Per una prima ricognizione sul tema si veda Moon 2012.
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rativo (in questa prima fase, cioè, non si è inteso né indagare in profondità percezioni e rappresentazioni personali, né validare particolari ipotesi di ricerca) è stata condotta attraverso la somministrazione di un questionario a un campione casuale di studenti. Dalla popolazione complessiva di riferimento (pari a 5404, desumibile dalla Tab. 1) è stata individuata una di! mensione campionaria di 255 unità statistiche ricavata considerando la formula d’inferenza su frequenze relative: !
!
dove f rappresenta la frequenza relativa di uno dei caratteri oggetto della ricerca, a è il livello di significatività della ricerca, d/2 è lo scostamento massimo che ci indica l’errore massimo che si commette quando si stima la frequenza relativa del carattere nell’universo ed, infine, N è la numerosità della popolazione. Assegnando ad a un valore pari a 0,05 (da cui z0,025 uguale a 1,96), ponendoci nella condizione di massima variabilità possibile, che si verifica quando f(1-f)=0,25, e impostando, inoltre, uno scostamento massimo del 6% del parametro ! stimato, ricaviamo: !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
!
1
a
Dei questionari rilevati, 247 sono risultati validi per l’elaborazione dei dati. ! Immatric.
Iscritti in corso
Fuori corso
Totale
Scienze dell'educazione (d.m.270/04)
200
167
-
367
Scienze della comunicazione (d.m.270/04)
224
180
-
404
-
139
213
352
Lauree Triennali di 1° livello (3 anni)
!
Scienze della comunicazione Scienze della formazione (d.m.270/04)
187
96
-
283
Scienze e tecniche psicologiche (d.m.270/04)
243
225
-
468
-
212
197
409
95
112
98
305
-
94
146
240
-
475
872
1347
Informazione e sistemi editoriali (d.m.270/04) Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua (d.m.270/04)
49
31
1
81
87
45
-
132
Psicologia clinica (d.m.270/04)
120
2
-
122
Comunicazione e multimedialità
37
21
23
81
Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi
91
85
54
230
Scienze pedagogiche
Scienze e tecniche psicologiche Scienze e tecnologie della moda Educazione professionale nel campo del disagio minorile, devianza e marginalità Scienza dell’educazione e della formazione Lauree Magistrali di 2° livello (2 anni)
Lauree Specialistiche (2 anni)
97
83
65
245
Psicologia clinica dello sviluppo e delle relazioni
-
118
44
162
Psicologia delle organizzazioni e della comunicazione
-
49
31
80
Scienze della comunicazione sociale istituzionale e politica
-
-
50
50
Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua
-
1
45
46
1430
2135
1839
5404
TOTALE
Tabella 1 - Distribuzione in valore assoluto degli studenti iscritti alla Facoltà di Scienze della formazione a.a. 2009-2010 (dati aggiornati a luglio 2010)
65
Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Il questionario, consegnato “a caldo” al termine dell’esame prevedeva 31 domande, con modalità di risposta aperta e chiusa (con scala Likert a quattro punti), articolate in tre sezioni: 1. la prima relativa alle variabili socio-demografiche con informazioni sul corso frequentato e sull’esame sostenuto; 2. la seconda raccoglieva informazioni sul rapporto studio-apprendimento-assessment. Comprendeva domande relative al voto ottenuto al termine dell’esame, alle modalità di valutazione utilizzate dal docente, alla propria performance d’esame e alla carriera di studente universitario. Chiudevano questa sezione tre domande relative all’auto-valutazione; 3. la terza, invece, è stata costruita per analizzare il rapporto tra organizzazione didattica e formative assessment. Per tale motivo è stata riservata solo agli studenti frequentanti. Per validare il questionario si è fatto ricorso a due revisori che hanno analizzato la rilevanza e la rispondenza degli item all’interno del quadro di ricerca definito. Gli item considerati irrilevanti sono stati eliminati o rielaborati per una maggiore chiarezza.
4. Uno sguardo ai dati: analisi e interpretazione 4.1 Prima istantanea Analizziamo i dati (frequenze assolute e relative) per descrivere la “realtà”, seppur limitata, del campione di studenti ottenuto. Dalla lettura della prima sezione del questionario emerge come gli studenti intervistati, siano per la quasi totalità di sesso femminile (88,1% rispetto all’11,9% maschile): solo 3 non rispondono. Sono così distribuiti: 161 per le lauree triennali e 86 per le specialistiche. In media i soggetti intervistati hanno un’età di 23,5 anni. La maggior parte di loro è in regola, anche se cresce il numero dei fuoricorso, specie al primo anno (15,4%), dato che si riduce negli anni successivi. Il 49,4% degli intervistati è studente a tempo pieno; aumenta il numero di coloro che svolgono un lavoro: stabile nel 15,4% dei casi e saltuario nel 31,2%. La tipologia contrattuale è l’unica discriminante nel lavoro dei giovani, spesso di “basso profilo”: baby-sitter, commessi, operatori di call-center. Per quanto riguarda, invece, i corsi la percentuale degli studenti che frequentano in modo regolare è pari al 45,1% (abbastanza spesso + sempre), sebbene non sia da sottovalutare il numero di non frequentanti pari a 40,1%. 4.2 Seconda istantanea Dall’analisi di quanto riportato nella seconda sezione del questionario (lo studio, l’apprendimento, l’assessment) emerge come la modalità d’esame (Tab. 2) più “praticata” sia quella orale, considerata, nonostante gli intrinseci limiti che rendono i colloqui misurazioni imprecise e incostanti, come attendibile dalla quasi totalità dei soggetti intervistati.
Scritta Orale Mista (scritto/orale) Total Missing System Total
Frequency 39 179 27 245 2 247
Percent 15,8 72,5 10,9 99,2 ,8 100,0
Valid Percent 15,9 73,1 11,0 100,0
Cumulative Percent 15,9 89,0 100,0
Tabella 2 - L’esame che hai appena sostenuto che tipo di valutazione prevedeva?
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Il voto medio è assai alto, pari a 27,3 (15 i bocciati; 10 gli idonei)2. La tendenza a sovrastimare gli studenti è un dato confermato anche da altri fonti come Almalaurea: in riferimento a tutti i corsi di studio della Facoltà di Scienze della Formazione, per l’anno 2010, il punteggio medio degli esami è di 27,5. In una precedente analisi condotta sempre presso la Facoltà di Scienze della Formazione erano stati considerati i voti di tutti gli esami sostenuti dagli studenti iscritti ai nuovi corsi di studio triennali per gli anni accademici 2001-2002, 2002-2003, 2003-2004, ed il punteggio medio era, in quel caso, pari a 26 (Pastore, 2007). Non sorprende, quindi, che in genere gli studenti ritengano il voto (Tab. 3) rispondente alle loro attese e pensino di essere stati valutati in modo equo (60,7%). Prevedibilmente, coloro che reputano la valutazione dell’insegnante “ingiusta”, affermano di essere stati sottovalutati (14,6%). Frequency 38 108 55 26 227 20 247
No, affatto Si, abbastanza Si, del tutto Non saprei Total Missing System Total
Percent 15,4 43,7 22,3 10,5 91,9 8,1 100,0
Tabella 3 - Il voto è rispondente alle tue attese?
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 2
Frequency 150 7 36 34 227 20, 247
Si No, sopravvalutato No, sottovalutato Non saprei Total Missing System Total
Percent 60,7 2,8 14,6 13,8 91,9 8,1 100,0
Tabella 4 - Pensi di essere stato valutato in modo giusto?
Per quanto riguarda, invece, il comportamento del docente durante l’esame gli studenti riportano esperienze, tutto sommato, positive. I docenti sono gentili (72,5% abbastanza + molto) o al massimo neutrali (70,9% abbastanza + molto); non sono percepiti come freddi (59,1% per nulla + poco) e severi (54,6% per nulla + poco). L’unico dato che desta qualche preoccupazione è l’abitudine/tendenza dei docenti a non spiegare i motivi dell’attribuzione del voto. Il 51,5% degli studenti afferma, infatti, di non aver ricevuto indicazioni al riguardo3. Le modalità di valutazione più utilizzate, invece, confermano quanto già emerso in precedenza. A fronte di una pluralità di “valutazioni” la prassi sembra fossilizzata sull’esame orale utilizzato nel 91,1% dei casi. L’unica modalità “ulteriore”, tra quelle elencate, che agli studenti è più familiare, è quella della compilazione di una tesina: tutte le altre forme sono ben lontane anche solo dall’essere una mera routine e sembrano essere “mal tollerate” dagli studenti (Pa-
2 Nel calcolo della media, le idoneità non sono state considerate. 3 Emblematica, a riguardo, la testimonianza riportata da D. Boud: «I have strong memories from school and university of feeling frustrated and dismayed by the capricious nature of assessment. […] I started to realize then that there was a code of assessment to be learned and if I could crack this code, I could do well even when not confident of knowing much about the subject being assessed» (Boud, Falchikov, 2007, p. 6). 4 I punteggi e le relative frequenze percentuali di “mai” e “di rado” sono stati sommati.
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
store, 2012). All’esame scritto (66,4%), al lavoro di gruppo (84,6%), all’auto-valutazione (87,1%) e alla valutazione tra pari (85,8%) si ricorre, di rado, se non addirittura mai4. Nell’individuare, attribuendo a ciascun item un punteggio da 0 a 10, gli elementi che più hanno inciso sui voti migliori ottenuti nel percorso universitario, gli studenti forniscono risposte che in parte contrastano con quanto affermato circa le modalità di valutazione più utilizzate. L’impegno nello studio (8,6) e l’aver capito quali obiettivi aveva stabilito il docente (7,5) sono gli aspetti più importanti. Individuano poi, il confronto con i compagni (6,4); l’auto-valutazione (6,3) e il dialogo con il docente (5,1): tutte forme che, pur essendo presenti nella domanda precedente, non sono state prese in considerazione. Soffermiamoci ora sulle domande relative al self-assessment. Le risposte alla domanda aperta “Cosa significa auto-valutarsi” sono state distinte, sulla base della natura del corso di studi, in 3 macro-aree, pedagogia, psicologia, comunicazione, in modo da poter verificare l’eventuale incidenza disciplinare sulla definizione di auto-valutazione. Le risposte raccolte sono state classificate in definizioni operazionali, in cui cioè fosse esplicito il rimando ad un’azione e risposte non operazionali, in cui l’auto-valutazione è stata associata all’espressione/possesso di capacità o ad uno stato di consapevolezza (Tab. 5).
Pedagogia Psicologia Comunicazione Totale
Definizioni operazionali 77 43 33 153
Definizioni non operazionali 30 10 6 46
Non so
Non risponde
Totale
1 1
24 6 17 47
131 59 57 247
Tabella 5 - Definizioni di auto-valutazione divise per tipologia e per area di studio
Le definizioni degli studenti di pedagogia sono fortemente centrate sulla dimensione del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! controllo (evidente nelle espressioni “darsi un voto”; “valutarsi”, “esprimere un giudizio sul 3 proprio apprendimento”, “valutare in modo oggettivo il proprio impegno e il proprio lavoro”). Si tratta di definizioni in cui si avverte il richiamo alla radice semantica. Poco considerati, gli aspetti di carattere “costruttivo”, relativi cioè all’attenzione agli aspetti tipici di un lavoro ben fatto, soddisfacente, a quanto si è effettivamente appreso e all’individuazione delle eventuali lacune da colmare (“cercare di capire dove si sbaglia”, “capire i limiti e gli aspetti positivi che hanno portato ad un buon risultato del lavoro svolto”). Aspetto ulteriormente confermato dalla totale assenza, nelle risposte, di indicazioni relative ai modi con cui poter colmare i gap individuati. Le risposte non operazionali, invece, si muovono per lo più sulla dimensione della capacità di esprimere un giudizio, della consapevolezza di sé e, soprattutto, dell’autonomia nell’espressione del giudizio. Passiamo ad analizzare le risposte fornite dagli studenti di psicologia. Il numero delle risposte non operazionali si riduce: non ci sono, nelle definizioni, richiami a particolari abilità. Più frequente è invece l’associazione dell’auto-valutazione con una sorta di “postura” che richiede consapevolezza di sé e delle proprie conoscenze (“essere cosciente delle proprie competenze”, “essere obiettivi e consapevoli”). Anche per gli studenti di psicologia l’autovalutazione rimanda al controllo: un aspetto rimarcato è quello dell’oggettività e della centralità per una valutazione fortemente connotata dalla dimensione soggettiva e personale (“giudicare in maniera oggettiva e neutrale le proprie performance”, “valutare in modo totalmente oggettivo la preparazione personale”). L’auto-valutazione spazia dal controllo all’individuazione di aspetti positivi e negativi della propria performance; particolare attenzione è posta sugli strumenti per auto-valutarsi (“significa analizzare il percorso di preparazione all’esame, i propri punti di forza, i concetti appresi meglio e quelli più lacunosi”; “testare il
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proprio grado di comprensione dei contenuti appresi attraverso domande, riflessioni, collegamenti con altri concetti”). Si avverte nelle risposte una “curvatura cognitiva” che potrebbe essere imputabile alla dimensione disciplinare e curriculare del corso di studio: i dati raccolti non consentono però di provare una simile affermazione. Analizziamo, infine, le risposte degli studenti di comunicazione. Sebbene le definizioni fornite, come nei casi precedenti, gravitino per lo più attorno alla dimensione del controllo, è l’aspetto dell’autocritica ad essere presente, con un’attenzione, da un lato, alla comprensione dei propriL limiti e delle difficoltà e, dall’altro, alle modalità più idonee per superarle. Le definizioni di auto-valutazione sono state poi distinte sulla base delle variabili della frequenza (l’essere o meno uno studente frequentante influisce sul tipo di definizione fornita?) e dell’essere uno studente lavoratore. In questo caso abbiamo disaggregato le risposte P degli studenti triennalisti (Tab. 6) rispetto a quelli iscritti alla laurea specialistica (Tab. 7). Pedagogia Risposte operazionali Risposte non operazionali Non so Non risponde Totale Psicologia Risposte operazionali Risposte non operazionali Non so Non risponde Totale Comunicazione Risposte operazionali Risposte non L operazionali Non so Non risponde Totale
Studente frequentante Lavora Non lavora 20 24 5 7 6 7 31 38
Studente non frequentante Lavora Non lavora 7 11 3 6 1 5 11 22
Totale
Studente frequentante Lavora Non lavora 8 15 1 5 1 1 10 21
Studente non frequentante Lavora Non lavora 3 4 1 1 1 5 5
Totale
Studente frequentante Lavora Non lavora 8 8 1 5 2 13 11
Studente non frequentante Lavora Non lavora 9 5 2 3 4 14 9
Totale
62 21 19 102
30 7 4 41
30 3 14 47
Tabella 6 - Definizioni di auto-valutazione per status studenti nei corsi triennali Pedagogia Risposte operazionali Risposte non operazionali Non so Non risponde Totale Psicologia Risposte operazionali Risposte non operazionali Non so Non risponde Totale Comunicazione Risposte operazionali Risposte non operazionali Non so Non risponde Totale
Studente frequentante Lavora Non lavora 20 24 5 7 6 7 31 38
Studente non frequentante Lavora Non lavora 7 11 3 6 1 5 11 22
Studente frequentante Lavora Non lavora 8 15 1 5 1 1 10 21
Studente non frequentante Lavora Non lavora 3 4 1 1 1 5 5
Totale
Studente frequentante Lavora Non lavora 8 8 1 5 2 13 11
Studente non frequentante Lavora Non lavora 9 5 2 3 4 14 9
Totale
Tabella 7 - Definizioni di auto-valutazione per status studenti nei corsi specialistici
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Totale 62 21 19 102
30 7 4 41
30 3 14 47
Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Sono i frequentanti non lavoratori a fornire più risposte operazionali rispetto agli studenti che non frequentano. Situazione che invece si inverte per le specialistiche, specie nei corsi di pedagogia e psicologia. Gli studenti, in genere, conoscono l’auto-valutazione, ma per lo più in modo estemporaneo, non strutturato, informale. Rispondono alle successive domande di sapersi auto-valutare (Tab. 8) e di essere in grado di attribuirsi un voto corrispondente a quello espresso dal docente al termine dell’esame. Si No Non saprei Total Missing System Total
Frequency 176 30 29 227 12 247
Percent 71,3 12,1 11,7 91,9 4,8 100,0
Tabella 8 preso - Pensicorrisponde di saperti auto-valutare? Tabella 9 - In genere il voto a quello che ti saresti attribuito? Si No (voto inferiore) No (voto superiore) Non saprei Total Missing System Total
Frequency 135 32 13 55 235 12 247
Percent 54,7 13 5,3 22,3 95,1 4,8 100,0
Tabella 9 - In genere il voto preso corrisponde a quello che ti saresti attribuito?
A conferma di una generale contraddizione e “confusione valutativa” gli studenti, nel segnalare eventuali forme integrative di valutazione da suggerire al docente, oltre a proporre valutazioni scritte (36,8%) scelgono proprio l’auto-valutazione (34,4%) e, in seconda battuta, la valutazione tra pari (25,9%). Diari di apprendimento e portfolio non riscuotono particolare attenzione. È evidente, sebbene i numeri non siano statisticamente significativi, come la percezione che gli studenti hanno del self-assessment sia alquanto lontana dall’idea veicolata dalla letteratura al riguardo5: mentre diversi autori supportano l’idea che un apprendimento auto-regolato abiliti chi apprende a monitorare, dirigere le proprie azioni (Lopez, Kossack, 2007; Boud, Falckinov, 2004) gli studenti intervistati sembrano considerare poco gli aspetti della riflessività e della metacognizione (Bourdieu, Waquant, 1992; Giddens, 1991), da un lato, e della self-regulation, della consapevolezza, della capacità di capire cosa si è appreso e di controllare, regolare i propri processi cognitivi (Karoly, 1993), dall’altro.
5 A discapito dell’interesse veicolato dal self-assessment, è da rimarcare come la ricerca sia, specie nel settore universitario, ancora ad un primo livello di sviluppo, e si presenti variabile, frammentata e nebulosa, anche se da più parti si rimarcano i benefici correlati a questa forma di valutazione: «research reports positive findings concerning the use of self-assessment in educational practice. Students who engage in self-assessment tend to score most highly on tests. Self-assessment, used in most cases to promote reflection on one’s own work, a higher standard of outcomes, responsibility for one’s own learning and increasing understanding of problem-solving» (Sluijsmans, Dochy, Moerkerke, 1998, p. 300).
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4.3 Terza istantanea Nella terza sezione del questionario, riservata agli studenti frequentati6, si è cercato di indagare che idea avessero gli studenti, rispetto all’organizzazione didattica, del formative assessment. Non si registrano indicazioni su prove intermedie (effettuate solo per l’11,3% dei casi - Tab. 10 - e identificate con l’esonero), né forme di valutazione di entrata sul livello di preparazione degli studenti all’inizio del corso (effettuata solo nel 10,5% dei casi - Tab. 11). Si No Total Missing System Total
Frequency 28 112 140 7 247
Percent 19,5 76,1 95,2 4,76 100,0
Tabella 10 - Durante il corso ci sono state prove intermedie di valutazione? Tabella 11 - All’inizio del corso c’è stata una valutazione del livello di conoscenza degli studenti? Si No Total Missing System Total
Frequency 26 113 139 8 247
Percent 17,7 76,8 56,3 3,2 100,0
Tabella 11 - All’inizio del corso c’è stata una valutazione del livello di conoscenza degli studenti?
Raramente gli studenti forniscono al docente indicazioni o osservazioni sull’organizzazione del corso (si: 22,3%), a rimarcare come ancora troppo spesso ci sia la tendenza a vivere in modo passivo e non co-partecipato lo studio universitario. Gli stessi docenti, tra l’altro, tendono a non modificare il loro insegnamento: nei casi in cui gli studenti abbiano fornito un feedback, non modulano diversamente la loro performance e l’organizzazione didattica del corso. Insegnanti e studenti sembrano allora non considerare (secondo appunto l’impostazione del formative assessement) la valenza del feedback che può: • aiutare a chiarire cosa si intenda per buona performance (obiettivi, criteri, standard attesi); • facilitare la riflessione e l’auto-valutazione nell’apprendimento; • fornire informazioni di qualità sull’apprendimento; • incoraggiare il dialogo con l’insegnante e con i pari; • fornire opportunità per colmare il gap tra la performance attesa e quella effettivamente realizzata; !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 5 • consentire all’insegnante di raccogliere informazioni che siano di supporto alla sua pratica didattica (Hattie, 2009). La valutazione, eccetto singole occasioni, appare ancora una pratica muta, chiusa e non condivisa con gli studenti: un silent assessment che disperde così la sua valenza positiva tanto per chi insegna quanto per chi apprende. Le ultime tre domande del questionario si focalizzano sul formative assessment. Le risposte distinte rispetto a chi, pur essendo frequentante si è astenuto dal rispondere o ha risposto “non so”, sono state disaggregate rispetto ai corsi triennali e specialistici.
6 Il campione qui è ridotto a 147 studenti.
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
Pedagogia Psicologia Comunicazione Totale
Risponde 26 13 10 49
Non risponde 32 11 12 55
Non so 9 7 2 18
Totale 67 31 24 122
Tabella 12 - Definizioni di valutazione formativa nei corsi triennali Tabella 13 - Definizioni di valutazione formativa nei corsi specialistici
Pedagogia Psicologia Comunicazione Totale
Risponde 4 3 1 7
Non risponde 5 3 5 13
Non so 2 1 1 4
Totale 11 7 7 25
Tabella 13 - Definizioni di valutazione formativa nei corsi specialistici
Le definizioni fornite dagli studenti oscillano tra il “manualistico” e l’opinione comune. Anche in questo caso si è scelto di classificare le risposte sulla base del corso frequentato: non emerge comunque una distinzione rispetto agli studenti di pedagogia che si suppone debbano padroneggiare almeno il lessico didattico-educativo. Manca, allora, una reale comprensione della finalità educativa che sottende tale forma di valutazione: alla specifica richiesta di indicare una modalità di formative assessment nessuno risponde. Sono però in buona parte convinti che serva effettivamente a migliorare la formazione (il mito educativo del formative assessment è, ancora una volta confermato).
5. Per concludere… I Indagare le concezioni, le rappresentazioni che gli studenti hanno dei processi formativi vissuti durante il percorso universitario consente di individuare e analizzare le variabili di maggiore impatto sul loro apprendimento. Si pensi, ad esempio, alla percezione dell’ambiente educativo o allo stesso assessment che influenzano l’apprendimento più delle pratiche d’insegnamento (Entwistle et al., 2002; Ramsden, 2006). Il quadro che si ricava dai dati raccolti non è particolarmente incoraggiante. Gli studenti non vivono l’assessment come opportunità per migliorare il loro apprendimento, né come prova di responsabilità. Non ritengono sia un momento piacevole né irrilevante o negativo nella loro formazione (Brown, Hirschfeld, 2008). Sembrano, piuttosto, aver maturato una visione strumentale e tendono, pertanto, ad avere un atteggiamento performativo: la valutazione è, cioè, funzionale all’esame finale. Questo non solo si riverbera sulla mancata conoscenza e familiarità con le forme alternative di assessment (che potrebbero essere di sostegno allo studio e all’apprendimento), ma evidenzia quanto ancora profondo sia lo scollamento tra insegnamento, apprendimento e assessment.
Riferimenti bibliografici Boud D. (2006). Sustainable Assessment: Rethinking Assessment for the Learning Society. Assessment & Evaluation in Higher Education, 22, 2, pp. 151-167. Boud D., Falchikov N. (2007). Rethinking Assessment in Higher Education. Abingond: Routledge. Bourdieu P., Waquant L.J.D. (1992). An Invitation to Reflexive Sociology. Chicago: University of Chicago Press.
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Ricerche
Valutazione dei risultati di apprendimento
Valutazione ed autovalutazione delle composizioni scritte per la promozione delle abilità linguistiche negli alunni della scuola primaria Assessment and self-assessment of written essays for the promotion of language skills in primary school pupils FRANCESCA PEDONE La ricerca ha inteso coinvolgere un gruppo di insegnanti della scuola nella progettazione di una rubrica di valutazione attraverso la quale fosse possibile promuovere negli alunni di IV classe primaria la capacità di scrittura. Attraverso la ricerca un gruppo di insegnanti di scuola è stato sensibilizzato a utilizzare la valutazione delle composizioni scritte per diagnosticare e promuovere una serie di operazioni cognitive e metacognitive negli alunni. L’articolo documenta una concreta modalità di promozione dell’innovazione scolastica mediante l’affiancamento dei ricercatori universitari agli insegnanti in servizio.
The research involved a group of primary school teachers in the sharing of their opinions about essays evaluation. Teachers were asked to plan & project an assessment document to allow 4th primary school students to acquire writing skills. Thanks to this research, a first group of teachers has been driven to use the strategies of written essays correction to promote cognitive and meta-cognitive activities in students. The present work pinpoints a practical approach to school innovation by University Researchers helping school teachers.
Parole chiave: valutazione, composizioni scritte, autovalutazione, rubriche
Key words: assessment, written essays, selfassessment, rubric
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Introduzione Tra le competenze professionali che un docente deve possedere rientrano certamente quelle docimologiche1: una formazione specifica è necessaria affinché ogni docente diventi un esperto valutatore dei suoi alunni.Tale prospettiva si fonda sull’assunto teorico che considera la valutazione una componente strutturale dell’azione formativa (Galliani, 2011, p. 15) e una tappa decisiva per il buon esito del processo di apprendimento. Il tema della formazione degli insegnanti, elemento conduttore nella riflessione pedagogica sull’efficacia degli interventi educativi, oggi assume una rilevanza nel dibattito sociale e politico sia perché porta ad un miglioramento della qualità del sistema scolastico, sia perché entra nella discussione circa la professionalità dell’insegnante.Tale tema rimanda al concetto “professionalizzazione”2 che implica che l’insegnante assuma la funzione di insegnante-professionista decisore principale delle scelte delle operazioni del sistema. La professionalizzazione è una necessità inderogabile che la complessità, la delicatezza e la sofisticazione generate dai mutamenti sociali ha imposto e che richiede la presenza di una competente, solida e specifica professionalità da interpretare nella variabilità dei contesti umani in cui si compie la relazione educativa (Damiano, 2007). Il processo valutativo ed in particolare il momento in cui il docente comunica l’esito della verifica, è decisivo per l’elaborazione cognitiva e metacognitiva che compie l’alunno sulla propria attività di apprendimento. L’insegnante pertanto deve curare con intenzionalità educativa il processo di valutazione, proprio perché da questo dipende in buona misura la successiva modalità di impegno degli alunni nello studio. La valutazione scolastica non è un dovere burocratico o un controllo disciplinare. La valutazione consiste concettualmente nel confrontare una situazione osservata con una situazione attesa (Calonghi, 1976). Il confronto non prevede una semplice rilevazione di concordanze o discrepanze tra le due situazioni, ma un’interpretazione delle stesse alla luce delle informazioni raccolte e del quadro criteriale del valutatore (Trinchero, 2006). Il confronto e l’interpretazione nell’atto valutativo, sono finalizzati alla determinazione degli esiti di profitto; questi sono frutto non solo di un’analisi quantitativa e qualitativa dei prodotti, ma soprattutto di una ricostruzione, ben compiuta, dei processi che hanno determinato tali esiti, cercando di rintracciare se, come e perché esiste un certo scarto tra performance attesa e performance osservata. Il confronto e l’interpretazione dei processi e dei prodotti di apprendimento conducono inevitabilmente alla determinazione degli esiti di profitto attraverso la definizione dei livelli di raggiungimento o mancato raggiungimento degli obiettivi attesi. Analizzare e interpretare prestazioni umane di carattere intellettuale, non è cosa semplice; ecco perché è opportuno promuovere e perfezionare continuamente la competenza doci-
1 Perrenoud (2002) individua nella capacità di gestire la progressione degli apprendimenti, all’interno della quale rientra la capacità di osservare e valutare gli alunni in situazioni d’apprendimento secondo un approccio formativo, una delle dieci competenze che connotano la professionalità dell’insegnante. 2 Il termine professionalizzazione indica un incremento di conoscenze e capacità, definibili come «sviluppo professionale» (Damiano, 2004, p. 163). La professionalizzazione si fonda su un processo di razionalizzazione dei saperi messi in opera, ma anche su determinate pratiche efficaci in situazione; del resto il professionista è l’uomo capace di riflettere in azione e dominare una situazione nuova (Altet, 2003). Il termine professionalità indica un habitus, una disposizione duratura e trasmissibile, soggetta a evolversi in ragione dell’ampliarsi dell’esperienza e della capacità di saper apprendere dall’esperienza. Se una professione si può esercitare senza professionalità, una professionalità non è data indipendentemente da un percorso di formazione (Perla, 2007).
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mologica di ogni docente. In questo articolo si prenderà in esame un aspetto particolare della valutazione scolastica: la valutazione delle composizioni scritte.
1. La valutazione delle composizioni scritte Una composizione scritta è frutto di un’elaborazione intellettuale delle conoscenze possedute e di un lavoro espressivo e formale. Gli insegnanti si servono abitualmente dei temi per valutare competenze di vario genere, quali la capacità di stendere uno scritto correttamente, dal punto di vista linguistico o formale (ortografia, grammatica, punteggiatura); la capacità di comunicare contenuti (ricchezza o povertà di idee, aderenza al tema o fuori tema, presenza o assenza di giudizi personali critici); la capacità di strutturare il saggio (proporzioni, sequenza dei pensieri, nessi logici). Non sempre però si pensa alla possibilità di osservare, per mezzo delle composizioni scritte degli alunni, le operazioni che l’intelligenza compie, per attuarne una diagnosi dei livelli raggiunti, in vista di una progettazione didattica mirata al loro potenziamento cognitivo e metacognitivo3. Lo sviluppo e il consolidamento della capacità espressiva scritta esige degli esercizi finalizzati a sviluppare l’abilità di comunicare in forma meditata e controllata, autentica e chiara, fluida e originale. Gli insegnanti sono chiamati a sviluppare la capacità espressiva dei loro alunni, offrendo ad essi la maggiore varietà possibile di modi per esprimere bene per iscritto i loro vissuti personali, le loro idee, i loro pensieri, ideali e valori. Esistono vari tipi di composizioni scritte che, a scuola, si propongono agli alunni: la narrazione, la cronaca, il saggio breve, la lettera, il dialogo, l’invenzione poetica, la satira, il saggio o la dissertazione su un avvenimento o un personaggio. Le composizioni scritte sono considerate un mezzo valido, se non insostituibile, perché gli alunni imparino a esprimersi e perché sviluppino strategie metacognitive4 rilevanti, da trasferire anche in altri contesti (Coggi 1997, p. 315). Nello stesso tempo le composizioni scritte sono, per gli insegnanti, strumenti validi ed efficaci per la valutazione delle competenze linguistiche ed espressive e per la diagnosi delle abilità cognitive degli alunni, a condizione che la rilevazione delle prestazioni, la loro valutazione e la comunicazione del giudizio, vengano condotte costantemente con gli stessi criteri e procedimenti scientificamente validi (Calonghi, 2006). Partendo dalle critiche docimologiche sulla validità e l’attendibilità dei giudizi di valutazione, sintetici o argomentati, spesso funzionali solo ad una definizione dei livelli di apprendimento raggiunti dagli alunni, sono state elaborate negli ultimi decenni teorie e
3 Nell’ambito della produzione scritta, gli studi sulla metacognizione distinguono tra conoscenza metacognitiva e controllo esecutivo (Cisotto, 2009, p. 23). La prima componente riguarda la conoscenza che chi scrive ha dei propri processi cognitivi relativi allo scrivere, delle caratteristiche del compito; il secondo aspetto concerne le decisioni strategiche di contenuto, di scelta e organizzazione di idee, decisioni attraverso le quali lo scrittore regola il testo in via di composizione rendendolo corrispondente agli obiettivi comunicativi. Da ciò si evince che la conoscenza ed il controllo sono correlati: una conoscenza metacognitiva articolata rende lo scrittore attento e sensibile al rapporto tra prodotto scritto e significato espresso. Questa consapevolezza riduce progressivamente l’ambito della meccanicità esecutiva, cosicché il controllo esercitato in sede di composizione fa dello scrivere un’esperienza riflessa e sottoposta ad autoregolazione. Il costrutto dell’autoregolazione, che si riferisce a pensieri, sentimenti e azioni generate dalla persona, che sono pianificati e ciclicamente adattati al raggiungimento di obiettivi personali (Zimmerman, 2000), si presta particolarmente bene a render conto del controllo che la persona esercita quando scrive, poiché tale controllo non riguarda solo i processi di scrittura, ma la stessa motivazione a scrivere (Boscolo 2003, pp. 193-194).
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tecniche valutative particolarmente articolate e complesse, ma soprattutto adeguate alla tipologia degli alunni da valutare. Gli studenti che hanno significative difficoltà con la scrittura sono in una situazione di forte svantaggio nel mondo di oggi. Dalle ultime classi della scuola primaria, la scrittura diventa uno strumento critico sia dello stesso processo di apprendimento sia nella dimostrazione di ciò che si sa (Harris et al., 2009). La scrittura è un elemento essenziale per la raccolta, il perfezionamento, l’estensione, l’immagazzinamento e la trasmissione delle informazioni e per la loro comprensione; per la generazione di idee utili per la riflessione e la valutazione; per creare squilibri cognitivi che spronino all’apprendimento e per promuovere lo sviluppo della persona (Graham, 2006; Prior, 2006). Gli studenti che non scrivono bene, hanno difficoltà a supportare ed estendere l’apprendimento; gli adulti con capacità di scrittura inadeguate, possono incontrare significative barriere nel loro lavoro. L’espressione scritta è capace di manifestare l’interiorità dell’uomo. La scrittura è uno dei mezzi che ci permette di esplicitare idee, affetti, sentimenti, emozioni, ideali e valori; contemporaneamente, con la comunicazione scritta siamo impegnati altresì nel delicato processo di elaborazione cognitiva delle informazioni, che vengono ordinate e organizzate metacognitivamente in un piano espositivo. In questa operazione sono implicate almeno tre forme fondamentali di pensiero: il pensiero creativo, il pensiero critico e il pensiero strutturato logicamente. La formazione specifica del docente nel campo della valutazione delle composizioni scritte mira, pertanto, a metterli in condizione di valutare e promuovere anche questi aspetti dell’intelligenza degli alunni e non solo le loro competenze linguistiche, grammaticali e sintattiche. Le composizioni scritte costituiscono un mezzo valido affinché gli alunni imparino a esprimersi con chiarezza ed efficacia comunicativa e, allo stesso tempo, sviluppino strategie metacognitive4. Un approccio alla scrittura che si incentra sul suo carattere processuale, deve considerare il momento della valutazione come il punto di partenza di un percorso didattico volto al potenziamento della capacità espressiva scritta. Il rinnovamento che da trenta anni si nota in campo docimologico mira sostanzialmente a favorire l’integrazione e il connubio efficace tra valutazione e didattica, in vista di una progettazione organica di percorsi educativi. In questa direzione recenti ricerche (Andrade, Du,Wang, 2008) hanno dimostrato che l’utilizzo in classe delle “rubriche” si configura come mezzo efficace non solo per valutare ma anche per insegnare agli alunni delle scuole primarie a produrre una scrittura migliore e, allo stesso tempo, come strumento in grado di aiutarli a riflettere sul processo stesso di scrittura.
2. Finalità e metodologia della ricerca Sulla base degli assunti teorici appena esposti, ci si è interrogati su quale potesse essere un percorso che permettesse agli insegnanti di scuola primaria di promuovere e valutare la capacità di scrittura degli alunni.
4 Diversi autori (Hacker, Keener, Kircher, 2009; Zimmerman, Risemberg, 1997) hanno sostenuto che l’atto stesso della scrittura si identifica con la metacognizione: «Scrivere è la produzione di pensiero per sé o per altri, sotto la direzione del proprio monitoraggio e controllo metacognitivo, è la traduzione di quel pensiero in una rappresentazione simbolica esterna» (Hacker, Keener, Kircher, 2009, p. 154). Secondo Dimmit e McCormic (2012), gli atti di leggere e rileggere ciò che uno ha scritto e poi riflettere e rivedere ciò che è stato scritto si configurano come strategie di monitoraggio. Le strategie di controllo includono la generazione di idee, la redazione, la stesura e la revisione.
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Si è pertanto intrapreso un percorso di ricerca finalizzato alla costruzione di strumenti adeguati alla valutazione e alla promozione della capacità di scrittura negli alunni delle ultime classi, che fossero flessibili, adeguati al contesto e facilmente utilizzabili dagli insegnanti. Nella ricerca è stata utilizzata una metodologia prevalentemente qualitativa integrata con elementi di tipo quantitativo (Saukko, 2003; 2005).Vista la natura composita dell’indagine, la ricerca si collega ai paradigmi della complessità, per la multidimensionalità delle esperienze; della contestualità, poiché si considerano i fenomeni tenendo conto della realtà della situazione specifica; della processualità, per la dipendenza dei dati di indagine dalla dimensione temporale che caratterizza il processo di ricerca (Semeraro, 2011). Si è partiti dalla rilevazione di una criticità nelle competenze degli insegnanti in campo valutativo, per orientarli successivamente verso una riflessione sistematica e controllata sulla portata formativa delle composizioni scritte. Si è inteso giungere alla progettazione e alla costruzione di una rubrica mediante un percorso articolato in due fasi: I fase: training formativo rivolto a 50 insegnanti sulla valutazione delle composizioni scritte; correzione di 2583 temi attraverso l’uso della Guida di Calonghi e Boncori (2006); riflessione condivisa sull’esperienza di correzione dei temi, per individuare parametri e criteri in base ai quali analizzare le scritture prodotte dagli alunni e le loro modalità di lavoro. II fase: costruzione di una rubrica di valutazione per promuovere negli alunni di IV classe primaria la capacità di scrittura e la riflessione metacognitiva coinvolgendo 5 insegnanti fin dalla fase di progettazione; prima validazione della rubrica con 106 alunni.
3. La formazione degli insegnanti e la valutazione delle composizioni scritte attraverso la Guida La prima fase della ricerca si è avviata con un training formativo per 50 insegnanti di scuola primaria sulla valenza educativa della scrittura per la formazione della persona. Con gli insegnanti è stata avviata una riflessione, a livello epistemologico e metodologico, sulla composizione scritta nella scuola primaria. Partendo dalla significatività educativo-didattica del saggio, che costituisce un ottimo supporto alla riflessione metacognitiva, che consente di accertare i diversi livelli di competenza in redazione scritta e di cogliere le modalità di strutturazione logica del pensiero, di creatività e di capacità critica di un alunno. Una ricerca che ha per oggetto la valutazione delle composizioni scritte non può non prendere avvio dagli studi di L. Calonghi sull’argomento. In particolare, la Guida per la correzione dei temi (Calonghi, Boncori, 2006) si è configurata come strumento efficace attraverso il quale avviare la formazione per gli insegnanti e la riflessione sulla valutazione delle composizioni scritte. Tale preventiva azione di sensibilizzazione degli insegnanti – sempre necessaria quando si vogliono coinvolgere gli insegnanti stessi come co-protagonisti attivi in una ricerca – ha suscitato in loro la motivazione all’azione della ricerca. Al termine del training formativo, sotto la guida degli insegnanti precedentemente formati, gli studenti universitari, opportunamente preparati, hanno fatto svolgere durante le attività di tirocinio agli alunni di quarta classe primaria tre diversi temi che hanno poi corretto usando la Guida per la correzione dei temi di Calonghi e Boncori. Si è deciso che ogni classe scolastica svolgesse più di un tema5, per controllare in qualche modo l’effetto dell’incostanza
5 I tre temi sono stati svolti a distanza di un mese l’uno dall’altro (ottobre, novembre e dicembre dell’anno
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di rendimento degli alunni, tenendo conto anche dell’influsso che può avere sul rendimento l’argomento su cui si richiede di scrivere. Si sono scelte per questo motivo tre diverse aree di interesse: le relazioni affettive, l’ambiente familiare e la natura in trasformazione col ciclo delle stagioni. In questa prima fase, mediante la Guida, sono stati corretti 2.583 temi ed è stata condotta l’analisi delle abilità coinvolte nella produzione scritta di 861 alunni di 9-10 anni di età6, frequentanti scuole primarie di Palermo, Enna, Catania, Agrigento e Trapani. Dopo la correzione dei temi, sono stati raccolti, elaborati, analizzati e interpretati i risultati degli alunni. Sulle rilevazioni afferenti a ciascun criterio della guida di correzione, compiuti i debiti controlli per verificarne l’attendibilità, è stata calcolata la media aritmetica. Successivamente, sono stati discussi distintamente, criterio per criterio – considerando anche le differenze di profitto imputabili a determinate variabili –, gli esiti dell’intera attività valutativa. Dalla correzione dei temi sono emerse le difficoltà più frequenti che incontrano gli alunni del campione siciliano7.
4. Il focus group con gli insegnanti Dopo la correzione dei temi e l’analisi dei risultati, sono state condotte due sessioni di focus group parallele ciascuna con 25 insegnanti di scuola primaria in servizio, gli stessi che avevano partecipato al precedente momento di formativo, per rilevare ulteriori esigenze di formazione e di approfondimento da parte loro. Attraverso il focus group è stato possibile effettuare un’analisi qualitativa della percezione degli insegnanti rispetto alla valutazione delle composizioni scritte degli alunni. In particolare è stata sottoposta agli insegnanti una scaletta di 10 domande atte a sondare due specifiche aree di interesse: la definizione delle dimensioni e dei criteri da loro ritenuti fondamentali per la valutazione delle composizioni scritte; i punti di forza e le criticità dell’esperienza di valutazione con la Guida di Calonghi e Boncori. Nell’ambito del focus group con i 50 insegnanti sono state individuate le dimensioni fondamentali alle quali è possibile ricondurre il processo di scrittura: la prima contempla l’elaborazione concettuale dei contenuti del saggio, la seconda fa riferimento agli aspetti or-
2008) secondo tale ordine: Una persona cara; Siamo riuniti a tavola; È Autunno: la natura cambia aspetto. Nelle settimane precedenti lo svolgimento di ciascun tema, gli insegnanti coadiuvati dagli studenti universitari, in qualità di tirocinanti, hanno presentato agli alunni attività in qualche modo connesse con l’argomento del tema che avrebbero loro proposto in seguito, per far sì che gli alunni cominciassero a familiarizzare con l’argomento e raccogliessero un sufficiente numero di considerazioni sulla tematica da affrontare per iscritto successivamente. 6 Le attività di ricerca durante le fasi relative al coinvolgimento degli studenti universitari e alla supervisione dell’analisi delle composizioni scritte, sono state condotte dal dottore di ricerca Annastella Sangiuseppe. 7 La correzione dei temi è avvenuta seguendo scrupolosamente le modalità indicate nella Guida. Nei saggi redatti dagli alunni del campione sono stati rilevati pochi segni positivi che rivelano la presenza di originalità, strutturazione logica del pensiero e senso critico. Gli errori e le imperfezioni rilevate più frequentemente riguardano la sintassi, la punteggiatura, la grammatica, l’ortografia e il lessico. Le tipologie di errore e i relativi valori rilevati possono essere richiesti all’autore. I risultati ottenuti dalla correzione dei temi per mezzo della Guida, hanno permesso ai ricercatori e agli insegnanti di avere un quadro chiaro delle abilità linguistiche relative alla produzione di un testo scritto da parte degli alunni. La Guida di Calonghi e Boncori per la correzione dei temi, si è confermata scientificamente attendibile e concretamente efficace anche sul campione di alunni siciliani.
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ganizzativi delle idee esposte, la terza agli aspetti linguistico-formali. A queste tre dimensioni gli insegnanti unanimi hanno suggerito di aggiungere la dimensione metacognitiva, che Calonghi non prese esplicitamente in considerazione. Sollecitati durante la discussione, gli insegnanti hanno esplicitato quali segni ritenevano significativi della presenza nei saggi delle dimensioni individuate. Durante le sessioni di focus group tutti gli insegnanti hanno affermato concordemente che la Guida di Calonghi e Boncori rende il processo valutativo più trasparente e attenua i soggettivismi dei correttori.Tuttavia dalla discussione sono emerse anche delle criticità circa l’uso della Guida: per il gruppo di insegnanti che hanno usato la Guida la valutazione risulta un’operazione complessa; inoltre viene segnalata quasi da tutti la carenza di attenzione agli aspetti metacognitivi della scrittura; infine la maggior parte degli insegnanti evidenzia lo scarso coinvolgimento degli alunni nella valutazione dei loro prodotti scritti. Tutti gli insegnanti intervistati concordano nell’affermare che un importante obiettivo nell’insegnamento della scrittura consiste nell’aiutare gli studenti a sviluppare la capacità di autoregolazione delle abilità necessarie per gestire con successo la complessità del processo di scrittura. In questa direzione gli insegnanti stessi individuano nelle “rubriche” gli strumenti in grado di offrire il sostegno di cui gli alunni hanno bisogno per diventare scrittori “autoregolati”.
5. Le rubriche per valutare ed autovalutare le composizioni scritte A partire dai risultati emersi dalla correzione dei temi e dalle sollecitazioni sorte durante la sessione di focus group con gli insegnanti, è stata costruita, insieme a un ristretto gruppo di insegnanti che avevano seguito la formazione collegata all’uso della Guida, una rubrica di valutazione, autovalutazione e promozione della capacità di scrittura destinata ad alunni di IV classe primaria. Come è noto una rubrica articola chiaramente le aspettative per un compito attraverso una lista di criteri, descrivendone i livelli di qualità su una scala di punteggi numerica o qualitativa. Nelle rubriche le prestazioni complesse vengono scomposte in elementi semplici, per ciascuno dei quali è prevista una definizione il meno possibile ambigua dei livelli di prestazione attesi8. La definizione chiara ed esplicita dei criteri di valutazione costituisce un tassello essenziale per la valutazione delle competenze, in quanto si mostra come un’opportunità per rendere trasparente il processo di valutazione in relazione alla manifestazione di determinate competenze da parte degli alunni (Castoldi, Martini, 2011). La rubrica fornisce parametri non soggettivi di valutazione del processo di apprendimento, ma allo stesso tempo si muove in direzione della valutazione delle competenze degli alunni poiché consente di coniugare l’univocità dei riferimenti e la varietà dei percorsi possibili. La rubrica come “matrice della competenza” (Nicoli, 2009) consente all’insegnante di verificare, per una specifica competenza oggetto di valutazione formativa il legame che si instaura tra le sue componenti: gli
8 Le rubriche di valutazione si sono diffuse alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso nelle scuole statunitensi. Nascono come strumenti per valutare la qualità dei prodotti e delle prestazioni in un determinato ambito e si diffondono, in seguito, come strumenti per la valutazione autentica. Recentemente la letteratura scientifica sull’argomento sottolinea l’importanza e l’efficacia dello strumento non solo per la valutazione, ma anche per l’insegnamento e per l’apprendimento (Andrade, 2000; Moskal, Leydens, 2000; Arter, McTighe, 2001; Quinlan, 2006; Stiggins, 2001).
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indicatori, ovvero le evidenze (compiti, comportamenti osservabili) che costituiscono il riferimento concreto della competenza. I livelli, ovvero i gradi di padronanza che l’alunno è in grado di mostrare nello svolgimento di un dato compito. Le conoscenze e le abilità più rilevanti mobilitate dal soggetto nel corso dell’azione di apprendimento, ovvero quelle che costituiscono il centro di quel campo di sapere competente. Per la valutazione delle composizioni scritte si è deciso di sostituire la Guida con la rubrica poiché molteplici sono i vantaggi del suo uso per gli insegnanti e per gli alunni. In primo luogo l’insegnante che progetta una rubrica ha una rappresentazione chiara e concordata del livello a cui dovrebbe portare la preparazione degli alunni; inoltre è indotto a riflettere sulle abilità coinvolte nella specifica competenza esaminata; può monitorare i progressi degli allievi; ha un riferimento utile per personalizzare il piano di lavoro degli studenti, indicando su quali aspetti vanno indirizzati gli sforzi; ha una base condivisa e trasparente per la certificazione delle competenze; ha un riferimento oggettivo per l’interazione con gli alunni e i genitori; ha a disposizione uno strumento per costruire percorsi di autovalutazione e di valutazione reciproca tra pari; ha una base di partenza per una progressiva ridefinizione degli aspetti di competenza da promuovere poiché le rubriche devono essere concepite come strumenti sempre in divenire. D’altro canto l’utilizzo della rubrica in classe consente agli alunni di avere una rappresentazione chiara di ciò che bisogna saper fare; di conoscere in anticipo su che cosa saranno valutati; di autovalutare i propri punti di forza e i propri punti deboli; di sapere su che cosa devono indirizzare gli sforzi; di monitorare i propri progressi. I vantaggi per gli studenti appena elencati, sono effettivamente tali solo se la rubrica è resa nota agli alunni all’inizio di un percorso formativo o di un compito da svolgere, se è espressa con un linguaggio comprensibile, se è utilizzata in corso d’opera per rivedere e migliorare le proprie prestazioni, se è costruita e revisionata con gli alunni ed infine, se è corredata da esempi dei livelli di competenza (le cosiddette “ancore”). La rubrica facilita la pratica dell’autovalutazione che consente all’alunno di conoscersi sempre meglio per autoregolarsi, di imparare a far leva sui suoi punti di forza per migliorare anche negli aspetti meno sviluppati, di formulare dei progetti realistici sul suo futuro e di sapersi orientare nella scelta formativo-professionale (Laveaut, 1999, pp. 57-99). La rubrica può costituire uno strumento utile per lo sviluppo della capacità di autovalutazione oppure un appesantimento burocratico inutile, a seconda che sia inserita o meno all’interno di un progetto pedagogico mirante a promuovere il più possibile la capacità autovalutativa dell’alunno, una capacità che è stimolata se lo studente, all’inizio delle attività didattiche, è reso partecipe delle mete da raggiungere (Pellerey, 2004). Se da una parte distribuire e spiegare una rubrica fa migliorare negli alunni la conoscenza dei criteri per la scrittura, dall’altra tradurre quella conoscenza in scrittura vera e propria è un processo assai più impegnativo (Andrade, 2001). Per questa ragione gli insegnanti devono considerare la fase di progettazione e realizzazione delle rubriche come una fase che fa da “ponte” tra la correzione dei temi e la progettazione delle attività didattiche di recupero o di potenziamento per gli alunni, in una prospettiva che vede la valutazione come «componente ontologica e metodologica della scienza didattica» (Galliani, 2011, p. 52). È stato dimostrato che la progettazione di attività didattiche per favorire lo sviluppo delle strategie metacognitive specificatamente utilizzate nel processo di scrittura, come la pianificazione, la redazione di una bozza, la correzione e la stesura del testo (ad esempio Englert et al., 1991, Graham, Harris, 1994), migliorano la consapevolezza metacognitiva e la qualità della scrittura nelle ultime classi della scuola primaria. Il quadro teorico di riferimento all’interno del quale si colloca la progettazione e la realizzazione della rubrica per la valutazione delle composizioni scritte, considera la scrittura
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come un processo (Hayes, Flower, 1980) ricorsivo, strategico e multidimensionale, centrale nella pianificazione di cosa dire e come dirlo, nel tradurre le idee in testo scritto, nel correggere ciò che è stato scritto (Harris et al., 2010). L’enfasi sul processo piuttosto che sul prodotto indirizza chiaramente lo sviluppo della metacognizione nella scrittura. In altri termini in un approccio processuale all’insegnamento della scrittura, gli insegnanti creano un ambiente in cui studenti hanno il tempo non solo per scrivere, ma anche per pensare e riflettere su quello che stanno scrivendo. L’insegnamento si svolge in un ambiente favorevole in cui gli studenti sono incoraggiati a scegliere loro stessi gli argomenti, si aiutano a vicenda e assumono rischi. Gli studenti scrivono per scopi reali e per il pubblico reale, e non solo per i loro insegnanti, e viene data la possibilità per la scrittura estesa.
6. La progettazione della rubrica Un recente studio (Rezaei, Lovorn, 2010) ha messo in evidenza che l’uso delle rubriche non può migliorare l’affidabilità e la validità della valutazione, se chi valuta non è ben formato su come progettare e impiegare in modo efficace le rubriche stesse. Se chi utilizza la rubrica non è attivamente coinvolto fin dalla fase della sua progettazione, la rubrica rischia di diventare poco più di una checklist. Per questa ragione la rubrica è stata progettata insieme a cinque dei cinquanta insegnanti di IV classe primaria, che erano stati sensibilizzati alla problematica della valutazione delle composizioni scritte nella precedente fase della ricerca. I cinque insegnanti si sono resi disponibili autonomamente per collaborare, in rapporto paritetico con il ricercatore, nella progettazione e nella costruzione di una rubrica, poiché ritenevano tale strumento particolarmente efficace per la promozione e la valutazione della capacità di scrittura dei loro alunni. Essi insegnano in cinque scuole statali ubicate in quartieri residenziali della città di Palermo. Gli insegnanti hanno utilizzato la rubrica nelle classi dove insegnavano. In totale sono stati coinvolti 106 alunni (49 maschi e 57 femmine), quattro dei quali con bisogni educativi speciali, di età media di 9 anni e di ceto medio alto. Per la costruzione della rubrica ci si è rifatti alla sequenza procedurale di Arter (1994), che si caratterizza per un procedimento di tipo induttivo basato sull’esperienza professionale degli insegnanti. Nello specifico, a partire dall’analisi dei temi corretti nella prima fase della ricerca, sono stati raccolti esempi di prestazioni rappresentative dell’abilità nella scrittura, riferiti a livelli diversi di padronanza. Sulla base degli studi di Calonghi (1972; 1993; 2006) e delle indicazioni emerse dalla sessione di focus group con gli insegnanti sono state definite le quattro dimensioni della rubrica. Partendo dagli studi di Calonghi-Boncori (2006), Boscolo (2003), La Marca (2003) e Cisotto (2009), sono stati definiti 24 criteri, ovvero ciò che si apprezza delle dimensioni che ci si propone di valutare. I criteri indicano gli scopi e gli obiettivi che si intendono raggiungere e sono poi utili per determinare quando sono stati raggiunti. L’esplicitazione dei criteri è indispensabile per coinvolgere gli alunni nel processo di valutazione del loro grado di maturazione della competenza nella scrittura. È stato quindi individuato, per ciascun criterio, un esempio di indicatore, ovvero che cosa si va ad osservare di un criterio. Sono stati scelti gli indicatori che andavano bene per tutte e cinque le classi che hanno partecipato alla ricerca. Ciascun indicatore è stato declinato su una scala a tre livelli (esperto, medio, principiante), che precisa i gradi di raggiungimento dei criteri considerati sulla base di una scala ordinale che si dispone dal livello più elevato (indicante il pieno raggiungimento del criterio) a quello meno elevato (indicante la condizione minima di successo). Il risultato di questo lavoro è un elenco ordinato di 4 dimensioni, 24 criteri e 24 indicatori che caratterizzano l’abilità di redazione di saggi.
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Dimensioni
Criteri Attinenza al tema
Elaborazione concettuale connessa al contenuto del saggio
Compiutezza dell'elaborato Quantità delle considerazioni Varietà lessicale Originalità Strutturazione logica dei pensieri Senso critico
Aspetti organizzativi
Autenticità Piano d'esposizione del saggio Ordine o concatenazione delle considerazioni Connessione tra proposizioni e tra periodi
Aspetti linguistico formali
Costruzione della frase o del periodo Punteggiatura Grammatica Ortografia Proprietà lessicale Impegno motivato Reazioni emotive Ricerca di aiuto
Aspetti metacognitivi
Metacomprensione Autoregolazione Autovalutazione Pianificazione Revisione
Possibili indicatori Esplicita una relazione significativa fra titolo del tema e il testo Tratta l’argomento da molteplici punti di vista Elabora diverse considerazioni e osservazioni Utilizza molte parole per esprimersi e argomentare Elabora confronti, similitudini e paragoni innovativi, fantastici e sorprendenti. Elabora nel testo scritto sillogismi (anche in forma non rigorosa), paragoni, proposizioni ipotetiche, proposizioni finali, proposizioni consecutive e proposizioni causali. Elabora giudizi con cui si affermano nessi e relazioni personali. Comunica i propri sentimenti Organizza il testo con un inizio chiaro, un corpo e una conclusione Ordina le frasi in modo da favorire al lettore la comprensione del testo Collega le frasi quando si cambia argomento, utilizzando congiunzioni dal significato specifico e generico Scrive il testo facendo attenzione a non lasciare le frasi in sospeso Scrive un testo utilizzando correttamente la punteggiatura Scrive un testo rispettando tutte le regole grammaticali Redige il testo scrivendo correttamente le parole Redige un testo utilizzando pertinenti e appropriati vocaboli Scrive un buon saggio anche quando l’argomento non lo interessa Manifesta un atteggiamento positivo nei confronti della scrittura e di se stesso come scrittore Utilizza qualche strumento come aiuto (ad es. il vocabolario) Nello scrivere cerca di chiarirsi lo scopo della scrittura Quando corregge una parte del testo controlla se la correzione va bene anche con le altre parti Formula giudizi circa le proprie conoscenze, abilità, strategie. Costruisce il testo in relazione ad un obiettivo e tenendo conto di chi lo leggerà Il testo presenta diversi segni di revisione (ad es. cancellature, autocorrezioni)
La rubrica progettata si colloca nella prospettiva della valutazione educativa, nell’ambito della quale vanno resi trasparenti e condivisi i criteri e gli strumenti per osservare e giudicare le prestazioni, i prodotti e i processi generati dagli allievi (Galliani, 2011, p. 53). La validazione della rubrica progettata si è articolata in due fasi (Nicoli, 2009, p. 136): nel momento della elaborazione si è riflettuto sulla sua struttura, sul linguaggio, sul suo carattere evocativo e di facilitazione dell’azione didattica. La seconda fase di validazione è av-
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Ricerche - Valutazione dei risultati di apprendimento
venuta dopo la concreta applicazione dello strumento in classe: sono stati raccolti i riscontri9 provenienti dalle classi in cui la rubrica era stata sperimentata, così da poter giudicare della sua consistenza e procedere ad una rielaborazione migliorativa. Grazie alla condivisione di una rubrica con gli alunni, gli insegnanti possono aiutarli a divenire progressivamente più consapevoli del loro scrivere e più attenti ai processi che mettono in atto allorché lo fanno, poiché permette, allo stesso tempo all’insegnante e ai suoi alunni, di identificare e chiarire le aspettative specifiche relative alla prestazione scritta e indica come si sono raggiunti gli obiettivi prestabiliti (Comoglio 2003, p. 63). Per questa ragione la rubrica è stata accuratamente presentata dagli insegnanti agli alunni ed è stata lasciata a loro disposizione, una per ciascuno studente, durante le prove scritte per aiutarli a comprendere gli obiettivi del compito e per insegnare loro ad auto-dirigersi nelle fasi di pianificazione, trascrizione e revisione del testo. Gli alunni hanno personalizzato le loro rubriche arricchendole con “ancore” scelte dai loro stessi saggi e, con l’aiuto delle insegnanti, hanno individuato i segni rivelatori dell’indicatore. In questo modo la rubrica ha consentito l’avvio di un dialogo educativo tra insegnanti e alunni sui processi cognitivi e metacognitivi dello scrivere. In particolare gli indicatori relativi ai criteri della dimensione metacognitiva del processo di scrittura sono stati oggetto di un colloquio tra insegnante e allievi poiché essi non sempre possono essere rilevati solo attraverso la lettura del testo scritto. Si riporta di seguito, a titolo esemplificativo, lo stralcio di una rubrica di un’alunna corredata dalle opportune ancore: Elaborazione concettuale connessa al contenuto del saggio (dimensione)
Varietà lessicale (criterio)
Ad esempio … (ancora)
“Utilizza molte parole per esprimersi e argomentare” (indicatore)
Esperto
In crescita
Principiante
Nel testo vengono utilizzate molte parole di diverso significato, o sinonimi, con varietà evitando ripetizioni.
Nel testo vengono utilizzati alcuni vocaboli di diverso significato. Talvolta vengono utilizzati sinonimi. Presenza di qualche ripetizione.
Nel testo sono presenti diversi vocaboli con lo stesso significato ripetuti a breve distanza (due o tre righe).
La mia mamma è una donna bellissima, una moglie innamorata, una divertente compagna di gioco per me e mio fratello. Mia madre è molto simpatica e generosa con tutti, una signora sempre vestita elegante, solo qualche volta sportiva.
La mia compagna Giulia è divertente, lei mi fa ridere e per questo quando sono seccata la cerco sempre per giocare con le barbi. Con la mia amica sono felice perché giochiamo con le barbi tutto il giorno. È proprio una bambina simpatica.
Ogni Domenica la mamma ma prepara un buonissimo pranzo. La cosa che mi prepara spesso sono le patatine fritte. Oltre le patatine fritte lei mi prepara la pasta , la carne, l’insalata. Ogni Domenica io e mio fratello ci divertiamo molto a vedere la mamma che prepara il mangiare.
9 La rilevazione dei riscontri è avvenuta attenendosi ai seguenti criteri: validità delle dimensioni; pertinenza, completezza ed essenzialità degli indicatori; fattibilità dei livelli di competenza rispetto alle caratteristiche degli alunni cui è destinata la rubrica; chiarezza e gradualità dei livelli di padronanza descritti in modo da indicare chiaramente la competenza rilevabile e da designare passaggi graduali ed equilibrati da uno all’altro; utilità della rubrica.
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Il criterio dell’esempio “varietà lessicale” corrisponde all’abilità di base denominata da Thurstone “fluidità verbale”; essa consiste nella capacità di rintracciare una grande quantità di parole diverse tra loro, nella facilità con cui un alunno trova molte, diverse e, allo stesso tempo, appropriate parole per descrivere cose e persone, argomentare e raccontare avvenimenti ed esperienze personali e non. La fluidità verbale in una composizione scritta può essere interpretata sia come capacità di apprendere e di usare svariati vocaboli (quindi: assenza di ripetizioni di vocaboli), sia come capacità di utilizzare, fra tanti, vocaboli appropriati e non troppo comuni. In accordo con Calonghi (1972, p. 178), durante la fase di progettazione si è stabilito con le insegnanti, di fare corrispondere al livello “principiante” quei lavori particolarmente poveri sotto l’aspetto lessicale, che presentano molte ripetizioni. Il livello “in crescita” si riferisce ad elaborati in cui le parole si alternano con varietà normale, salvo qualche ripetizione. Al livello “esperto” corrispondono i saggi la cui varietà lessicale è davvero insolita e che quindi si può definire spiccata. La progettazione e la realizzazione della rubrica ha inteso suscitare il desiderio di cambiamento della prassi educativa, fornendo agli insegnanti uno strumento di insegnamento e di valutazione che consentisse loro di acquisire maggiore consapevolezza della propria pratica educativa, in modo che essi fossero sollecitati a modificare atteggiamenti, stili comunicativi, metodologie educativo-didattiche, per rivedere la loro preziosa funzione di educatori, all’interno di un efficace processo d’insegnamento-apprendimento.
7. Risultati conseguiti In relazione all’obiettivo della ricerca, il percorso intrapreso con gli insegnanti ha consentito l’effettiva progettazione e costruzione di un nuovo strumento di valutazione delle composizioni scritte, capace di promuovere e valutare, allo stesso tempo, le abilità cognitive e metacognitive implicate nel processo di scrittura. L’approccio prevalentemente qualitativo ha permesso di coniugare il momento conoscitivo della ricerca, finalizzato alla produzione di conoscenza sulla realtà educativa presa in esame, con quello della messa in pratica di un adeguato piano di intervento. La progettazione e la realizzazione della rubrica si è configurata come un’occasione in cui insegnanti ed alunni hanno potuto intraprendere un dialogo sui processi dell’imparare a scrivere: in questo modo il focus valutativo si è spostato da aspetti di superficie del testo alle attività e alle operazioni sottese alla sua stesura. Le quattro dimensioni contemplate dalla rubrica progettata hanno fatto sì che gli insegnanti che l’hanno utilizzata per valutare le composizioni scritte dei loro alunni, prestassero attenzione non solo alle caratteristiche meccaniche della scrittura, ma tenessero presenti anche i processi cognitivi e metacognitivi coinvolti nel processo di scrittura. Si sa che una rubrica di valutazione è uno strumento realmente efficace solo se viene progettata e sviluppata a livello locale, per uno scopo specifico e per un particolare gruppo di studenti. La rubrica presentata in questo articolo è attendibile pertanto per il contesto per il quale è stata costruita e che è stato descritto in precedenza; ciononostante essa costituisce anche un esempio procedurale per chi volesse costruirne altre. Gli insegnanti che sono stati protagonisti nei vari momenti di questo processo di ricerca (training per la valutazione, correzione dei saggi attraverso la Guida, progettazione della rubrica e sua validazione) hanno dichiarato di aver acquisito un grande senso di professionalizzazione. La ricerca è servita anche a diffondere una “cultura della valutazione” nelle scuole degli insegnanti coinvolti nella ricerca. La costruzione di uno strumento per valutare le composizioni scritte ha offerto agli in-
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segnanti un’opportunità di sviluppo professionale. Si ribadisce così l’importanza di coinvolgere i docenti nel processo di costruzione degli strumenti di valutazione che dovranno utilizzare con i loro alunni se si vuole migliorare la qualità della valutazione scolastica. La partecipazione alla ricerca ha reso gli insegnanti più disponibili al cambiamento delle proprie prassi didattiche allo scopo di un miglioramento della qualità del servizio educativo in favore degli alunni e di un miglioramento continuo della propria professionalità.
Considerazioni conclusive Attraverso la ricerca qui presentata è stato possibile sensibilizzare un gruppo di insegnanti di scuola primaria circa la notevole valenza educativa della scrittura per lo sviluppo integrale della persona e far utilizzare loro la valutazione delle composizioni scritte per diagnosticare e sviluppare le abilità cognitive e metacognitive degli alunni, implicate nel processo di scrittura. In altri termini, attraverso la ricerca si è riusciti a consolidare la professionalità degli insegnanti a partire dalle loro competenze docimologiche relative alla valutazione delle composizioni scritte. Il processo di formazione degli insegnanti, sia mediante l’uso di uno strumento di valutazione affidabile e valido, come la Guida di Calonghi e Boncori, sia attraverso la costruzione e l’uso di una rubrica di valutazione, oltre ad arricchire la professionalità dei docenti, ha favorito il successo formativo dei loro alunni. Dai risultati ottenuti si è visto che la definizione chiara e sistematica dei criteri di valutazione consente agli insegnanti, allo stesso tempo, di aver presente la direzione del percorso formativo e di disporre di punti di riferimento precisi per aiutare i propri alunni a riflettere sulle operazioni da compiere quando si vuole elaborare un testo scritto. Il coinvolgimento degli insegnanti in tutte le fasi di una ricerca in un tema che rientra nel loro ambito professionale specifico è risultato ancora una volta determinante per introdurre un’innovazione didattica nella scuola.
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Ricerche
Valutazione dei risultati di apprendimento
Blended learning al “traguardo”: verso un framework progettuale per i corsi universitari Blended learning on the threshold: towards a project framework for university courses EUGENIO DI RAUSO • TIZIANA CAVEDONI • PAULA DE WAAL La ricerca osserva il framework progettuale degli insegnamenti del corso di laurea magistrale blended in “Programmazione e gestione dei servizi educativi, scolastici e formativi” attivato dall’Università degli Studi di Padova - Facoltà di Scienze della Formazione. Il framework è un elemento peculiare dell’offerta formativa, sul quale poggia l’architettura delle attività didattiche. Nella parte on-line dei corsi vengono analizzati la metodologia, i processi e gli strumenti di valutazione, le loro frequenze e la coerenza tra la comunicazione e l’orientamento fornito agli studenti. La ricerca evidenzia un’omogeneità strumentale quale punto di forza, mentre la relazione intercorrente tra le attività on-line e in presenza richiede un ulteriore approfondimento di analisi.
This paper studies the project framework of the BL courses run at the University of Padua in the degree course “Programmazione e gestione dei servizi educativi, scolastici e formativi” (Project and management of educational, scholastic and training services) of the Education Science Faculty. The framework is a peculiar element of the educational offer and it is the base of the didactic activities building. The methodology, the processes and the assessment tools, their frequency and the coherence between communication and student orientation are analyzed in the online part of the courses. This research points out the tool homogeneity as a point of strength, while the relationship between the online activities and the in-presence ones needs a further deeper analysis.
Parole chiave: blended learning, framework progettuale, processi valutativi, strumenti valutativi, coerenza comunicativa, coerenza orientante.
Key words: blended learning, project framework, assessment processes, assessment tools, communication coherence, orientation coherence.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Contesto ed oggetto della ricerca Una volta aver provato l’ebrezza del volo, quando sarai di nuovo coi piedi per terra, continuerai a guardare il cielo. Leonardo da Vinci
La presente ricerca è stata svolta nel contesto sperimentale di un framework progettuale, cioè di una cornice operativa applicata ad un percorso formativo universitario erogato in modalità blended learning, negli anni accademici 2009/10 e 2010/11, nel Corso di Laurea Magistrale in “Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi, Scolastici e Formativi” della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova nei suoi indirizzi “Div Extrascolastica” i i rigenza e “DirigenzarScolastica”. I due indirizzi si differenziano notevolmente in base al target di iscritti che nel secondo (“Dirigenza Scolastica”, che per comodità i i c o chiameremo d’ora in poi ISS) è totalmente composto da “lavoratori-studenti” (studenti che, secondo la consultazione AlmaLaurea 2009, hanno avuto un rapporto di lavoro continuativo a tempo pieno per almeno la metà del percorso universitario). Nel primo caso (“Dirigenza Extrascolastica”, che chiameremo d’ora in poi ISE), invece, la maggioranza degli iscritti è rappresentata da “studenti-lavoratori” (studenti che hanno avuto esperienze lavorative per lo più saltuarie durante il corso di studi). Il framework progettuale esaminato, che si caratterizza come elemento peculiare dell’offerta formativa, sul quale viene a poggiare l’architettura organizzativa delle attività didattiche nel suo aspetto comunicativo e didattico e, csvolte in blended learning, è stato f considerato o i conseguentemente, in quello valutativo. La presente ricerca, che ha un approccio di tipo quanto-qualitativo (basato su una tecnica di indagine con utilizzo di un protocollo osservativo applicato agli elementi del format progettuale del corso di laurea nei suoi due indirizzi), ha infatti la finalità di osservare analiticamente i processi didattici e di apprendimento e gli strumenti di valutazione adottati negli insegnamenti del corso di laurea al fine di far emergere i punti di forza, le criticità e i metodi del framework impiegato nella progettazione dei corsi stessi. L’indagine ha riguardato le attività didattiche (8 insegnamenti per il primo anno, 4 per il secondo anno e 2 insegnamenti specialistici) predisposte per lo specifico target dei corsi di laurea indagati. Le figure coinvolte sono stati 22 docenti, 22 tutor disciplinari, un tutor coordinatore e i tutor del corso di laurea.
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Fig. 1. - Numero degli insegnamenti erogati in BL in ISS e ISE negli A.A. 2009/10 e 2010/11 B
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Ricerche – Valutazione dei risultati di apprendimento B
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Fig. 2. - Numero dei docenti e tutor coinvolti nei processi in BL di ISS e ISE negli A.A. 2009/10 e 2010/11
Gli oggetti didattici del framework considerati nella presente ricerca sono: l’elaborato di gruppo; l’elaborato individuale; il glossario; il wiki e il forum. test
Il “test” consente al docente di progettare e realizzare TS un’ampia gamma di tipologie di questi, compresi quelli a risposta multipla, vero-falso e a risposta aperta breve.
elaborato di gruppo elaborato individuale glossario
Attraverso l’“elaborato di gruppo” il docente è in grado di EG raccogliere il lavoro di un gruppo di studenti e di fornire un feedback (comprensivo di eventuale valutazione). Con l’“elaborato individuale” il docente raccoglie il
EI
lavoro di un singolo studente e gli fornisce un feedback (comprensivo di eventuale valutazione). Il “glossario” permette ai partecipanti di creare e GL sviluppare un elenco di definizioni paragonabile ad un dizionario.
wiki
Il
“wiki”
rappresenta
uno
strumento
di
scrittura WK
collaborativa di documenti web. Essenzialmente è una pagina web in cui ogni studente di un gruppo di lavoro può creare in collaborazione e direttamente dal browser un documento condiviso. forum
Il “forum” è un’attività attraverso cui studenti e docenti si FR scambiano idee e postano commenti. I post del forum possono essere valutati da docenti, tutor e studenti.
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Fig. 3 – Rilevazione quantitativa degli oggetti e strumenti didattici costituenti il framework degli insegnamenti erogati in BL in ISS e ISE negli negli A.A. 2009/10 e 2010/11
Si ritiene qualitativamente significativo individuare frequenze e tendenze inerenti alle diverse tipologie di strumenti di apprendimento in relazione ai diversi insegnamenti del corso di laurea, per poter successivamente valutare il peso delle peculiarità disciplinari sulle scelte di campo nel percorso della valutazione. Inoltre, si considera di importanza decisiva l’osservazione del livello di coerenza tra la comunicazione e l’orientamento forniti agli studenti sui processi didattici, enucleando il peso della consapevolezza individuale e collettiva come fattore che può favorire un apprendimento significativo. Partendo dalla definizione di Wenger di programmazione quale “gestione sistematica, pianificata e flessibile del tempo e dello spazio al servizio di un’iniziativa” per poter sviluppare “un’architettura concettuale che individui gli elementi generali del progetto” (Varisco, 2002), uno degli oggetti della ricerca si colloca nella relazione che intercorre tra i processi di progettazione dei framework e quelli di miglioramento qualitativo degli stessi. In questo senso sono stati presi in esame il coinvolgimento, inteso come combinazione di azioni e interazioni, espressione di responsabilità, mutualità, perifericità e negoziazione situata; l’immaginazione, considerata come insieme di rappresentazioni e patterns che delineano i traguardi; l’allineamento, visto come comunicazione, conversazione, espletamento di compiti definiti in un’area esterna dall’iniziativa propria. Imboccare il “corridoio” della progettazione di un framework per un corso di laurea significa porsi nell’ottica di “traguardo” richiamata dal titolo del paper e dall’epigrafe leonardesca che lo introduce. Come il volo permette di “traguardare”, di guardare molto oltre la linea d’orizzonte di chi è rimasto a terra e di abbandonare una prospettiva necessariamente meno ampia, così con la progettazione del framework viene delineato un campo prospettico profondo, costituito dagli elementi basilari rappresentati dagli obiettivi da raggiungere al termine del percorso. “Traguardo” è qui inteso come superamento del modello normativo e affermazione di quello educativo descrittivo-esplicativo (Baldacci, 2001), che richiede dall’apprendente azioni di autoriflessione e autoregolazione a sostegno dei processi di conoscenza e metacognizione. In questo senso “traguardo” è inteso anche come accettazione della sfida dell’apprendente ad assumersi la responsabilità della propria formazione in una prospettiva di lifelong learning.
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Ricerche – Valutazione dei risultati di apprendimento
Il concetto di “traguardo” che innerva il framework si sostanzia nell’approccio situazionista, che individua nell’apprendimento le connotazioni contestualmente situate di pratica sociale. Posto il riconoscimento imprescindibile della sua natura cognitiva, il percorso di apprendimento interseca peculiarità di tipo culturale, teorico, prassico e di tipo sociale in uno scenario di regole e valori condivisi. Se da un lato l’apprendimento individuale/comunitario previsto dal framework attiva processi partecipativi che – seppur in modo differenziato (partecipazione periferica legittimata) – coinvolgono l’intero gruppo, dall’altro questi processi innescano l’attivazione di competenze situate in un’area proattiva di promozione dell’autoconsapevolezza rispetto al processo di costruzione della conoscenza individuale e collettiva (quella che Vygotskij ha definito “zona di sviluppo prossimale”). In altri termini, ritornando alla metafora leonardesca, il “traguardo” del blended learning a livello di formazione universitaria si può definire attraverso una “profondità cromatica” in grado di valorizzare le dimensioni culturale, sociale e professionale del percorso di apprendimento. Questo aspetto, che contraddice la teoria dell’esclusività dei processi adattivi (lo “sciame” che tende a sostituire il gruppo, Bauman, 2007), promuove “l’intelligenza collettiva” che concretizza la cooperazione comunitaria.
2. Obiettivi e metodologia della ricerca L’intelligenza collettiva è “un processo di crescita, di differenziazione e di mutuo rilancio delle diversità”. P. Levy, 1996
L’obiettivo della ricerca è l’approfondimento dei processi che definiscono le regole del framework progettuale, con particolare riferimento alle diversificate modalità valutative che connotano il modello progettuale e che risultano in stretta relazione con i contenuti specifici dei singoli insegnamenti. Il percorso di approfondimento focalizza l’attenzione sugli eventuali correttivi da attuare per rendere qualitativamente fruibili in relazione al target gli insegnamenti svolti parzialmente in rete. Il framework progettuale del corso di laurea si fonda sul confronto, sulla partecipazione e sull’accumulazione di expertise. L’informazione unidirezionale evidenzia asimmetrie cognitive, mentre la comunicazione pluridirezionale struttura la dimensione proattiva dell’intelligenza multipla. La predisposizione di tali strumenti di indagine – descrittori (D) e indicatori (I) – quali elementi di processo contiene elementi di necessità per la valutazione qualitativa e quantitativa. Mentre risultano misurabili gli indicatori (espressione quantitativa della qualità), non sono misurabili i descrittori (espressione prettamente qualitativa). Entrambi hanno una connotazione funzionale: gli indicatori si riferiscono ad aspetti misurabili delle azioni valutative, mentre i descrittori concernono aspetti di funzionamento non quantificabili. Inoltre indicatori e descrittori possiedono una connotazione trasformazionale, indicano infatti le trasformazioni quanto-qualitative per prefigurarne l’evoluzione in funzione della costruzione di una identità collettiva e di ambienti dotati di senso; di peculiarità sociale (che nasce dal confronto tra i vari soggetti); di processualità fondata su informazioni selezionate e continua (cioè priva di prodotti terminali e ricca di adattamenti e rielaborazioni). La cornice di riferimento è completata dal contributo di Argyris e Schön (1998) che, rifacendosi a Dewey nella prospettiva di attribuire senso ai processi valutativi (e autovalutativi),
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vedono nella relazione dialettica e dialogica un passaggio molto importante del processo costituito da double-loop learning (apprendimento produttivo) e deutero-learning (apprendere ad apprendere), fondato sulla consapevolezza del legame tra costruzione di un setting di apprendimento, valenze formative e processi comunicativi, della turbolenza dell’ambiente sociale, ovvero della caratteristica di continua mutazione e imprevedibilità dei vari cambiamenti, sulla ricerca di una flessibilità strutturale basata sulla cooperazione democratica, funzionale e proficua per la strutturazione un habitat dell’individuo riflessivo in senso lato e, dunque, di padroneggiare autovalutazione, dialettica, dialogica e apprendimento produttivo. L’utilizzo di descrittori e indicatori delinea l’integrazione di modelli qualitativi e quantitativi volti al superamento dei modelli lineari quantitativi a favore di una teoria integrata e di un modello globale più rispondenti alla dimensione a intensità di conoscenza (Ansaloni, 2002). Dal punto di vista terminologico i descrittori sono gli elementi dei modelli qualitativi che esprimono dei concetti, mentre gli indicatori sono gli elementi quantitativi che operativizzano i concetti stessi. Le matrici, ossia i diagrammi a matrice, sono gli strumenti ideali per analizzare in maniera sistematica le relazioni esistenti tra serie di elementi e valorizzarne il legame (Galgano, 1994). Nel dettaglio, i descrittori (D) individuano le seguenti aree di indagine: • interattiva (D1 - D2), con particolare riferimento alla formazione dei gruppi di apprendimento e alla valorizzazione delle relazioni di apprendimento, rispetto al corso di laurea, in prospettiva intrinseca (percorso di apprendimento) ed estrinseca (percorso professionalizzante): - apprendimento come processo sociale (D1); - apprendimento come processo attivo e intenzionale (D2); • performativa (D3 - D4), con particolare riferimento all’individuazione del focus valutativo autentico: - apprendimento come processo situato (D3); - apprendimento come processo esperienziale (D4); • progettuale (D5 - D7), con particolare riferimento alla costruzione di un syllabus per delineare l’ambiente di apprendimento: - apprendimento come processo costruttivo (D5); - apprendimento come processo non lineare (D6); - apprendimento come processo autoriflessivo (D7). Per quanto riguarda gli indicatori (I) le misurazioni, effettuate mediante la rilevazioni puntuale degli item afferenti alla valutazione, riguardano: • il registro linguistico narrativo/descrittivo (I1), analizzato nelle sue componenti strutturate (attraverso lo strumento glossario e l’elaborato individuale) e destrutturate (attraverso wiki, lo strumento per la scrittura collaborativa); • il registro linguistico comunicativo (I2), utilizzato prevalentemente nel forum; • il registro interattivo (I3), utilizzato con esclusività nei forum di discussione. In merito alle matrici, ricavate dall’intersezione tra descrittori e indicatori, è stata analizzata la ponderazione tra frequenze (espresse in numero) e strumenti per rendere la molteplicità dei punti di osservazione, al fine di esplicitare la sinergia e la dinamicità del rapporto tra descrittori e indicatori:
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Ricerche – Valutazione dei risultati di apprendimento - Matrice 1
I1 I2 I3
• Matrice 1 (D1 - D2 - I1): mette in correlazione il descrittore interattivo globale con il registro linguistico narrativo/descrittivo per evidenziare la qualità della diffusione dell’utilizzo di strumenti strutturati e destrutturati.
D1
30 EI; 1 EG; 3 GL; 17 WK.
D2
30 EI; 1 EG; 3 GL; 17 WK.
D3 D4 D5 D6 D7
Nell’analisi di questa matrice sono stati presi in considerazione 30 elaborati individuali, 1 elaborato di gruppo, 3 glossari e 17 wiki. Relativamente al glossario si può rilevare che la presenza dell’oggetto didattico proprio della scrittura semistrutturata e individuale è molto limitata; la sua introduzione si connota come “sperimentale” e come tale il peso valutativo è, allo stato attuale, da definirsi. Il wiki, che caratterizza la scrittura collaborativa (destrutturata), è maggiormente sensibile e sostiene i processi di co-costruzione degli elaborati dei gruppi di lavoro, quasi sempre presenti nei corsi. Sul piano della valutazione, wiki permette un’osservazione puntuale dei processi di sintesi, espansione, ricostruzione e generalizzazione, completando il quadro degli elementi valutativi afferenti ad ogni singolo studente. L’elaborato individuale, oggetto didattico strutturato, è presente nella maggioranza dei corsi e costituisce un “appuntamento valutativo” individuale che entra a pieno titolo nella ponderazione del voto che si completa con l’esame finale. In ogni insegnamento gli studenti vengono puntualmente informati sui criteri valutativi analitici con una comunicazione dedicata collocata nel book dell’insegnamento (programma su pagina web in piattaforma). L’elaborato collettivo, oggetto didattico semistrutturato che evidenzia i processi collaborativi e cooperativi, presenta una frequenza medio bassa nei vari insegnamenti ed è incluso nei processi valutativi con l’obiettivo di evidenziare il processo di crescita del gruppo degli studenti.
I1 I2 I3 D1
• Matrice 2 (D1 - I1 - I2 - I3): mette in correlazione il descrittore interattivo (processo sociale) con i registri linguistico narrativo/descrittivo, linguistico comunicativo e interattivo per evidenziare la presenza di strumenti culturali e operativi del framework.
D2 D3 D4 D5 D6 D7
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30 EI e 3 GL.
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Nell’analisi di questa matrice sono stati presi in considerazione 30 elaborati individuali e 3 glossari. Il glossario, che supporta un registro linguistico narrativo/descrittivo strutturato, ha una scarsa diffusione e pone l’accento su un aspetto di criticità del framework. In particolare viene a mancare la dimensione individuale aperta (definita in modo opposto all’elaborato individuale) che, opportunamente progettata, favorisce la disseminazione di conoscenze e saperi, supportando anche le fasi di studio. M L’elaborato individuale, inteso come compito assegnato dal docente, può essere considerato propriamente un oggetto didattico di carattere culturale e interattivo “docente/studente/docente”, dal momento che si identifica come concretizzazione della prova strutturata del percorso di apprendimento individuale. Anche l’elaborato collettivo si connota per le dimensioni culturale e operativa dal momento che vi convergono i processi cognitivi (aspetto culturale) e quelli esperienziali (ambito della professionalità). L’elaborato collettivo è presente una sola volta nei vari insegnamenti del corso di laurea. Mentre un primo forum – come spazio di confronto con il docente – pone l’accento sull’opportunità di potenziamento del registro interattivo quale fonte di scambio e confronto nell’area specialistica, il secondo – inteso come forum di discussione e spazio di confronto tra gli studenti – assume significatività nei processi di co-costruzione dei saperi mediante l’utilizzo del linguaggio narrativo/descrittivo, promuovendo non solo l’acquisizione di saperi ma anche la loro comunicazione in senso lato. I1 I2 I3
• Matrice 3 (D2 - I2): mette in correlazione il descrittore interattivo (processo intenzionale) con il registro linguistico comunicativo per cogliere la pervasività dei processi di distribuzione dei saperi e delle esperienze.
D1 D2
30 EI; 1 EG; 3 GL; 17 WK; 38 FR.
D3 D4 D5 D6 D7
Nell’analisi di questa matrice sono stati presi in considerazione 30 elaborati individuali e 1 elaborato di gruppo, 3 glossari, 17 wiki e 38 forum. Il forum di discussione, dedicato ai domini di conoscenza ed esperienza, registra presenze molto elevata: questo aspetto connota il framework con una componente significativa di scambio e confronto tra gli studenti.
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Ricerche – Valutazione dei risultati di apprendimento
I1 I2 I3 D1
• Matrice 4 (D3 - D4 - I1 - I2 - I3): mette in correlazione il descrittore performativo con i registri linguistico narrativo/descrittivo e comunicativo per evidenziare la frequenza degli strumenti nel framework che favoriscono lo scambio e il confronto valutativi.
D2 D3
30 EI; 3 GL; 17 WK; 38 FR.
D4
30 EI; 3 GL; 17 WK; 38 FR.
D5 D6 D7
Nell’analisi di questa matrice sono stati presi in considerazione 30 elaborati individuali, 3 glossari, 17 wiki e 38 forum. Il glossario non è ancora utilizzato stabilmente per la valutazione delle attività dei corsisti. Il wiki, inteso come scrittura collaborativa, favorisce i processi di ricostruzione e generalizzazione dei saperi. La frequenza di utilizzo nel framework è abbastanza elevata (17 volte) e testimonia l’orientamento situato del processo valutativo. Il forum, nelle due modalità partecipativa e di discussione, registra la frequenza massima nei vari insegnamenti e supporta il processo valutativo attraverso un procedimento di monitoraggio e validazione degli interventi. L’elaborato individuale, sempre presente nei vari insegnamenti, concretizza il processo valutativo riportato alla dimensione individuale con la scelta di criteri di valutazione esplicitati ai corsisti e riferiti ad aree che spaziano dalla riflessione linguistica, ai contenuti disciplinari e all’elaborazione personale. L’elaborato collettivo, presente solo in alcuni insegnamenti, testimonia il processo valutativo rispetto alla dimensione del gruppo, permettendo il monitoraggio delle fasi di negoziazione di significati, di concertazione dei contenuti e di armonizzazione del prodotto finale collettivo. I1 I2 I3 D1 D2
• Matrice 5 (D4 - D6 - D7 - I1 - I2 I3): mette in correlazione il descrittore progettuale con i registri linguistico narrativo/descrittivo, comunicativo e interattivo per enucleare i core del framework progettuale e le aree di intervento migliorativo.
D3 D4 D5 D6 D7
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“dinamici” (22 aree di intervento migliorativo) che non entrano p
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A differenza delle quattro precedenti in questa matrice sono stati presi in considerazione anche quegli oggetti “statici” (22 “Book”, ossia programmi dei corsi) e “dinamici” (22 aree di intervento migliorativo) che non entrano nei processi valutativi. I programmi degli insegnamenti e l’orientamento valutativo: l’utilizzo dello strumento “book” per esplicitare il programma globale dell’insegnamento e i criteri valutativi è ampiamente diffuso. Infatti il framework vincola la progettazione del corso rendendo prescrittiva la stesura analitica dei contenuti, delle attività, della scansione temporale, dell’organizzazione e dei parametri valutativi riferiti ai singoli ambiti. Gli studenti possono fruire di un percorso operativo definito in tutti i suoi aspetti. Ulteriori dettagli sono reperibili nei messaggi di apertura delle aree operative dei forum, di wiki e degli elaborati individuali e collettivi. Le aree di intervento migliorativo: la ricerca porta alla formulazione dell’ipotesi che il legame già stretto tra oggetti didattici e strumenti valutativi possa essere ulteriormente rafforzato attraverso un processo di riassestamento che renda l’interazione tra attività on line e attività in presenza maggiormente congruente. In dettaglio la calibratura tra parametri prescrittivi e parametri discrezionali potrebbe condurre allo svolgimento di un naturale filo conduttore all’interno dei processi applicativi, di transfer e ricostruzione, al fine di delineare come esito finale dell’insegnamento uno scenario di generalizzazione costituito dall’insieme degli input culturali ed esperienziali nelle dimensioni individuale e collettiva. Una seconda area di intervento migliorativo, legata alla prima, potrebbe derivare dall’analisi della percezione del framework da parte degli studenti al fine di ponderare l’erogato, il percepito e l’agito per comporne l’eventuale disarmonia.
3. Risultati attesi L’ipotesi di un framework progettuale rivolto ad un particolare target di lavoratori studenti deve poter integrare diversi elementi apprenditivi allo scopo di concorrere alla formazione di un futuro laureato competente dal punto di vista culturale e professionale. Allo stato attuale della sperimentazione, i descrittori e gli indicatori hanno evidenziato che: • l’autoefficacia e l’interazione favoriscono i processi di disseminazione dei saperi e caratterizzano l’esperienza collaborativa e cooperativa di apprendimento, basata sugli scambi intra- ed interpersonali (condivisione dell’informazione). La struttura dei saperi si modifica nella relazione tra individuo e gruppo, acquisendo connotazioni di flessibilità, apertura al nuovo e superamento dell’isomorifsmo pedagogico (Varisco, 2002); • lo studente costruisce il proprio sapere in base ad un disegno non rigido (progetto) che è in grado di modificare sia in presenza di organizzatori anticipati e/o facilitatori, sia per volontà propria. La rappresentazione delle conoscenze si articola all’interno di un processo culturale ed esperienziale, assumendo senso, significato e una profondità che potrà essere spesa nell’ambiente lavorativo e si costituirà come fattore di crescita individuale e collettivo (Varisco, 2002); • lo studente è in grado di destrutturare e strutturare sistematicamente i propri saperi in relazione agli stimoli esterni ed interni, acquisendo progressivamente competenze esperte, che – basate su criteri di scelta e di collegamento argomentati e in divenire – riguardano il transfer, la ricostruzione e le generalizzazione (Varisco, 2002); • la struttura mentale dello studente subisce e genera continui cambiamenti alimentati dall’autoriflessione e dall’autoregolazione, di cui è consapevole o che può osservare e che vengono stimolate dal contesto integrato del blended learning all’interno del quale abitano situazioni individuali e collettive in mutuo scambio (Bauman, 2012);
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Ricerche – Valutazione dei risultati di apprendimento
• la percezione della complessità da parte dello studente è possibile in un contesto che accoglie la molteplicità delle soluzioni, rivalutando, inglobando e valorizzando il dato esperienziale (Argyris, Schön, 1998); • lo studente compie un percorso trasformativo nel passaggio da una connotazione motivazionale di tipo deduttivo ad una di tipo induttivo in cui si manifesta l’intenzionalità di ancoraggio e di attribuzione di senso ai saperi posseduti e acquisiti, in un quadro di empowerment professionale; • lo studente è in grado di evolvere da scenari di tipo esecutivo (seppure di livello complesso) a scenari di tipo generativo non preordinati, ma legati a precise valutazioni criteriali e al proprio ambiente di apprendimento, modellizzati per abduzione (creatività), decontestualizzati e ricontestualizzati, esprimendo il proprio differenziale di apprendimento (Bauman, 2012). Il framework progettuale verrà sottoposto a valutazione in una fase successiva della ricerca attraverso una revisione iterativa dei dati raccolti.
Riferimenti bibliografici Ansaloni D. (2002). Indicatori dell’istruzione e autovalutazione d’istituto. Lecce: Pensa MultiMedia. Argyris C., Schön D. (1998). Apprendimento organizzativo. Milano: Guerini e Associati. Baldacci M. (2001). Metodologia della ricerca pedagogica. L’indagine empirica nell’educazione. Milano: Bruno Mondadori. Bauman Z. (2012). Conversazioni sull’educazione. Trento: Erickson. Bauman Z. (2007). Homo consumens. Trento: Erickson. Galgano A. (1994). I sette strumenti manageriali della qualità totale. Milano: Il Sole 24 Ore. Varisco B. M. (2002). Costruttivismo socio-culturale. Roma: Carocci.
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Ricerche
Qualità e valutazione
Valutare l’impegno verso l’inclusione: un Repertorio multidimensionale Evaluating the commitment toward inclusion: a multidimensional Repertoire MARINA SANTI • ELISABETTA GHEDIN In questo lavoro viene discussa la creazione di uno strumento valutativo in grado di operare in prospettiva formativa e autovalutativa nelle organizzazioni e negli istituti educativi. Il Commitment toward Inclusion Repertoire (CTI-Repertoire) ha come scopo il miglioramento della cultura, delle pratiche e delle politiche inclusive all’interno delle comunità attraverso la ricognizione e implementazione degli impegni assunti verso tale aspirazione. Questo Repertorio mantiene le prerogative valutative proprie di un Index, offrendo però un’alternativa all’indicizzazione per integrare, nel processo di revisione delle azioni inclusive intraprese, aspetti programmatici e “prescrittivi” propri di una Agenda e fungendo al contempo da repository di buone pratiche in funzione formativa. Esso può essere utilizzato per monitorare, modificare e implementare le prassi inclusive attuate nell’ambito delle diverse comunità – in particolare nelle realtà scolastiche - per promuovere il riconoscimento degli impegni personali e collettivi verso quella che viene definita una ‘inclusione situata’.
In this paper we discussed the creation of a multidimensional tool that can operate in self-evaluation perspective for educational organizations and institutions. The aim of the Commitment toward Inclusion Repertoire (CTI-Repertoire) is that of improving the cultures, practices and policies within inclusive communities by recognizing and implementing the commitments assumed toward this aspiration. This Repertoire maintains the evaluation prerogative of an Index, but offers an alternative to the logic of indexing, integrating programmatic and prescriptive dimensions of an inclusion Agenda, and the benefits of a repository of good inclusive practices. It can be used to monitor, review and evaluate inclusive practices implemented in the different communities - particularly in schools - to promote the recognition of personal and social commitments towards what is called “situated inclusion”.
Parole chiave: inclusione, repertorio, impegno, educazione, valutazione, differenze
Key words: inclusion, repertoire, commitment, education, evaluation, difference
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. La ricerca sull’/dell’inclusione “fiorente” La 48esima Conferenza internazionale sull’educazione, Inclusive Education: The way of the future (UNESCO, 2008) afferma come principio fondamentale la necessità di promuovere l’educazione inclusiva a tutti i livelli. Ne deriva che una delle sfide più significative per l’azione educativa, soprattutto per gli insegnanti, è quella della definizione dei principi fondativi e conformativi dell’educazione inclusiva.Tema, questo, che non sembra ad oggi avere ricevuto l’attenzione dovuta. La ricerca qui presentata prende avvio dall’analisi di alcune definizioni di inclusione all’interno della letteratura scientifica, cercando di approfondire i diversi aspetti del processo, con l’obiettivo di evidenziare le principali componenti che contraddistinguono il concetto. Una definizione interessante per il nostro discorso deriva dalla teoria degli insiemi e assimila l’inclusione ad una “relazione tra gli elementi di due insiemi, tale che gli elementi della relazione appartengono ad entrambi gli insiemi”. L’essere inclusi o contenenti non è una determinazione propria degli elementi, ma ciò che emerge da una relazione tra gli insiemi di appartenenza. L’antisimmetria che caratterizza questa relazione fa sì che si preservi l’identità degli insiemi pur nella reciproca appartenenza degli elementi coinvolti nella relazione. E proprio attraverso questa proprietà si può individuare la loro coincidenza, che avviene quando tutti gli elementi sono coinvolti nella relazione di appartenenza. L’inclusione riguarda dunque la relazione tra elementi considerati entro gli insiemi, non indipendentemente da essi. È per questo che essere inclusi in un insieme non coincide con l’essere parte di una collezione. Questo aspetto relazionale dell’inclusione, arricchito in termini di interdipendenza e reciprocità, si trova sviluppato anche nella moderna biologia, soprattutto nelle sue concezioni olistiche connesse ad una visione complessa dei sistemi viventi.Tali caratteristiche emergono anche quando si considera il concetto di inclusione nell’ambito delle scienze sociali in cui essa è considerata nel senso appunto “complesso” di (ben)-essere, che implica il sentirsi rispettati, valorizzati per quello che si è e la sensazione di un livello di supporto, energia e impegno da parte degli altri in modo che si possa fare del proprio meglio (Miller, Katz, 2002). Qui essere “dentro qualcosa”, parte di una comunità più ampia, è considerato in termini di uno stato psicologico che soddisfa le esigenze sociali ed esistenziali primarie e secondarie, e connota l’inclusione come luogo di ben-essere (Ghedin, 2009). Da questo punto di vista, la definizione ripresa da Miller e Katz assume un significato pro-attivo, che aiuta a definire le azioni per fronteggiare l’esclusione attraverso la promozione di sentimenti, stati d’animo, privilegi, opportunità, diritti raccolti sotto la parola ombrello “inclusione”. In ambito educativo l’inclusione potrebbe essere posta come valore alla base di una filosofia volta a massimizzare la partecipazione di tutti nella società e a minimizzare le pratiche di esclusione e discriminazione. La definizione e la pratica scolastica dell’inclusione, tuttavia, può variare in modo significativo non solo tra culture e sistemi educativi, ma anche al loro interno (Dyson, 1999). Dyson, sottolinea in particolare la necessità di parlare di versioni multiple di inclusione, dando così senso e importanza ad un discorso sulle “inclusioni” declinate al plurale. A supporto di questa tesi infatti, i documenti della Comunità internazionale (Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale della Sanità, Unione Europea) contengono molteplici versioni di inclusione e dei processi correlati, proponendola comunque come un valore positivo e promuovendola ampiamente come un obiettivo fondamentale e auspicabile per lo sviluppo della società umana contemporanea. In realtà l’inclusione in tali documenti non è mai definita in se stessa, ma viene sempre arricchita con aggettivi che servono a contestualizzare il processo, così da poter parlare di volta in volta di “inclusione sociale”, “inclusione economica” o di “politica inclusiva”, o di tutte queste cose insieme. In alcuni documenti, inoltre,
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l’inclusione viene menzionata insieme ad altri costrutti, come l’empowerment, la partecipazione o la costruzione della pace. Qui il significato, o meglio i molteplici significati di inclusione, non sono espliciti e univoci, ma emergono all’interno di linee guida operative che offrono indicazioni pratiche per possibili azioni di sostegno. In sintesi, ciò che risulta è la necessità di incoraggiare gli Stati ad impegnarsi per promuovere il processo inclusivo stabilendo le condizioni che permettono la conservazione del valore morale delle differenze umane per promuovere le pari opportunità di sviluppo verso diversi fini e valori che tutti i gli individui e le comunità dovrebbero scegliere liberamente. Se si assume dunque l’inclusione come concetto secondario e complesso, ne deriva che la sua definizione non può essere risolta in una sola frase attraverso poche parole, anche accuratamente scelte. Andrea Canevaro, per descrivere la complessità di tale concetto, afferma che la prospettiva inclusiva si collega implicitamente ad una doppia immagine che egli definisce entro la dialettica “farfalla-caos” (Canevaro, 2008b, p. 13). Tale dialettica si riferisce alla nota teoria nata per spiegare le situazioni complesse proprie di un ecosistema, in cui ad un micro-movimento può corrispondere una macro-perturbazione successiva e dislocata altrove, imprevedibile e apparentemente indipendente. Chi si avvia verso una prospettiva può percepirsi in cammino verso la farfalla – che si realizza nel singolo evento inclusivo o verso il caos – cui può portare ogni cambiamento nelle relazioni tra insiemi – percependosi “un po’ farfalla e un po’ caos”. Come sottolinea Santi (in press) il tema dell’inclusione ha trovato maggior spazio di riflessione dentro gli studi e i movimenti dedicati all’Inclusive Education – in particolare riguardo alle persone con disabilità e alle differenze interculturali – e all’Human Development e Human Rights. In tutti questi ambiti l’interesse per l’inclusione e gli sforzi di ricerca e di intervento partono dal denunciare uno stato di esclusione sociale cercando strumenti e modi alternativi per contrastarlo e prevenirlo, attivando processi di riconoscimento esistenziale, sociale, politico della dignità, prima ancora che dei diritti e delle potenzialità, di quegli esseri umani e/o comunità che si trovano in situazione di disconoscimento da parte di altri esseri umani e/o di comunità. Da questo punto di vista è emblematica la fusione di questi temi nel “Capability Approach” (CA) elaborato dal Nobel per l’economia Amartya Sen (1999), il quale ha riflettuto sulle condizioni e situazioni - esistenziali, sociali e istituzionali - che espongono le differenze individuali a divenire svantaggi, ineguaglianze e ingiustizie o che, viceversa, le possono valorizzare per lo sviluppo umano. Sen parte dal contrastare la “potente retorica dell’uguaglianza” che si riassume nell’assioma che afferma che “tutti gli esseri umani nascono uguali”, con la convinzione che invece gli individui vengano al mondo del tutto diversi gli uni dagli altri e che dunque ogni progetto egualitario debba muovere dalla presa d’atto di una “robusta dose di preesistente disuguaglianza da contrastare”. La spinta all’uguaglianza passa per Sen necessariamente attraverso la determinazione dei suoi ambiti relativi di espressione e sulla possibilità di esprimerli, ed è dunque direttamente connessa alla libertà di ognuno e alla libertà collettiva. La libertà si esprime per Sen in possibilità “di essere e di fare” (beings and doings) ciò che si ritiene dotato di valore (functionings), che valga la pena di essere scelto per contribuire al proprio benessere in termini di conseguimento di una “vita fiorente” (flourishing life), ovvero alla piena realizzazione di sé. Riteniamo che la prospettiva di Sen sia particolarmente interessante per il nostro discorso sull’inclusione, poiché ci suggerisce di considerare lo sviluppo spostando l’attenzione da ciò che un individuo o una comunità ha l’abilità di produrre, a ciò che è in grado e ha l’opportunità di scegliere di produrre come qualcosa che vale per sé. Se l’inclusione viene posta come condizione per lo sviluppo, in essa si dovranno incrementare equamente, ma differentemente, le opportunità di scelta e l’iniziativa degli individui nel contesto, anziché fornire in modo indifferenziato le risorse mancanti per soddisfare bisogni definiti aprioristicamente (Frediani, 2008). In tal senso l’in-
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clusione potrebbe essere letta in termini di autentica opportunità di scelta e di iniziativa di ognuno e insieme a tutti, nel contesto. È chiaro che offrire un modello di inclusione collegato a libertà e sviluppo prevede di immaginare una comunità aperta, dove essere inclusi non è un semplice “stare dentro”, ed essere esclusi un semplice “stare fuori”. Sembra piuttosto un voler/poter essere dentro sempre ridiscusso e condiviso, contrapposto ad un restare fuori dogmatico e subíto. Santi (in press) collega a questa immagine a ciò che auspica Habermas, in un’opera intitolata proprio L’inclusione dell’altro (1995), quando sottolinea che questa parola “non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche -e soprattutto- a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere” (ed. it. 1998, pag 10).Vivere in una “comunità aperta”, o in una “società aperta” come auspicava Popper, implica allora non solo che ogni persona abbia diritto di partecipare allo sviluppo dei sui contesti e nello specifico di quelli educativi, ma che i sistemi educativi stessi siano sviluppati per rispondere alle diversità in modo da attribuire pari diritti e valori a tutti i bambini, i giovani e le loro famiglie e a tutti coloro che operano in “prossimità” (Biggeri e Bellanca, 2010). Il principio di parità di valore è fondamentale per l’inclusione e implica un ulteriore principio che è quello di una scuola comune per tutti. Non è sufficiente dunque che i nostri sistemi siano semplicemente “sensibili” alle diversità, dal momento che spesso rispondono alle differenze in modo da creare una gerarchia di valore tra i bambini all’interno e tra le scuole, in base al successo scolastico, alle varie forme di disabilità, al credo religioso, e alla classe sociale di appartenenza. Lo stesso afferma Canevaro (2008) quando scrive: “L’inclusione è un diritto fondamentale ed è in relazione con il concetto di appartenenza […] Un’educazione inclusiva permette alla scuola regolare di riempirsi di qualità: una scuola dove tutti i bambini sono benvenuti, dove possono imparare con i propri tempi, e soprattutto possono partecipare, una scuola dove i bambini riescono a comprendere le diversità e che queste sono un arricchimento” (Canevaro, 2008a, p. 12). In questo modo allora le diversità e le differenze diventano così normali da non essere fattori di minaccia, ma di crescita di un sistema. A partire da queste considerazioni diviene una priorità, in particolare nel nostro Paese, l’analisi e la documentazione dei processi di inclusione sociale a partire dagli esiti, dalle conquiste e dalle criticità di trent’anni di integrazione scolastica (D’Alessio, 2007). Il concetto e le pratiche di integrazione scolastica sono parte esclusiva del contesto sociale italiano e culturale e del suo sviluppo storico (Armstrong, 2009). Lo studio di tale processo risulta privilegiato nel nostro contesto rispetto ad altre realtà internazionali che non hanno avviato, come è avvenuto in Italia, un processo di full inclusion dei bambini con disabilità nelle classi comuni. Sebbene il processo inclusivo non riguardi e non debba riguardare solo i bambini con “bisogni educativi speciali”, è rispetto a questa popolazione “vulnerabile” che è possibile riconoscere criticità e prerogative dei modelli di intervento adottati per contrastare l’esclusione sociale e culturale. Nel contesto italiano i bambini con bisogni educativi speciali e disabilità sono integrati nelle scuole comuni, a seguito di una serie di norme introdotte nella legislazione italiana (L. 118/71, L. 517/77, 104/92, Linee Guida del Ministero sull’integrazione degli studenti con disabilità) con cui si riconosce l’importanza del processo di inclusione per la promozione dell’attività e della partecipazione dei bambini e l’importanza dei fattori ambientali per l’emergere della disabilità. I cambiamenti conseguenti a tali provvedimenti normativi sia nell’organizzazione che nell’offerta formativa delle scuole possono essere considerati come delle vere e proprie cartine di tornasole per leggere sia gli esiti che le possibili interpretazioni pragmatiche che l’integrazione ha prodotto, nonché la loro reale affinità con il concetto di inclusione che qui si vuole proporre. Ciò in linea con quanto sostenuto ampiamente in letteratura, ove si avverte che il concetto di inclusione non pone
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dei limiti intorno a particolari tipi di disabilità o difficoltà di apprendimento, ma si concentra piuttosto sulla capacità delle scuole stesse di ospitare una varietà di esigenze (Booth et al. 2000, Kalambouka, Farrell, Dyson, e Kaplan 2005, Demeris, Childs, e Jordan, 2007). A questo punto, diviene allora un imperativo attuale e cruciale comprendere l’impegno – il commitment appunto – che le scuole profondono verso l’inclusione e anche le difficoltà che le scuole stesse incontrano in questa agency, nonché le criticità che a tale livello, più che a quello esecutivo delle norme, rischiano di compromettere il modello inclusivo alla base delle politiche del welfare del nostro paese.
2. Gli scopi del CTI-Repertoire L’accessibilità alla scuola da parte di tutti i bambini (con disabilità e non) è un diritto e una ricca opportunità per l’apprendimento e la cittadinanza. A questo scopo sono stati creati alcuni strumenti con l’obiettivo di sostenere il processo di inclusione (CSIE, Booth e Ainscow, 2002, 2006, 2011). Nel contesto italiano la necessità e l’importanza di allargare la partecipazione di tutti i bambini sono riconosciute e regolate dalla normativa ma il processo verso l’inclusione autentica, attraverso l’inserimento e l’integrazione, si è rivelato molto lungo e difficile. Ianes (2008) rileva una situazione complessa nel nostro Paese: nella scuola le sensazioni di impegno (ndr. corsivo nostro) e di motivazione positiva, le buone prassi di realizzazione, coesistono con sensazioni di fatica e difficoltà, con disfunzioni e inefficacia (Ianes e Canevaro, 2008; Canevaro, 2007).Va però detto che, in Italia, i processi di integrazione/inclusione scolastica hanno rappresentato il più importante fattore di prevenzione dell’esclusione sociale per gli alunni con ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione (che ha evitato l’emergere di handicap aggiuntivi per tutti), ma sono stati anche un formidabile fattore di cambiamento e di innovazione educativa e sociale che ha anticipato di circa trent’anni l’adozione del paradigma inclusivo in ambito internazionale. Caldin (2009) sottolinea che gli studi e le ricerche – italiani, europei e internazionali – che in anni recenti si sono focalizzati sul mondo scuola sono ormai numerosi e hanno posto in evidenza i molteplici fattori che possono facilitare o ostacolare l’inclusione, a partire dagli aspetti organizzativi e coinvolgendo via via altre dimensioni e dispositivi, quali “[…] i quadri normativi, le modalità di finanziamento, i sistemi di valutazione (ndr. corsivo nostro), le strutture scolastiche, le dimensioni delle classi, l’uso di programmi individualizzati di insegnamento, la disponibilità di insegnanti di sostegno e altro personale educativo, la formazione di docenti, il coinvolgimento della famiglia e la collaborazione con gli altri servizi” (Dovigo, 2008, p. 25) e rilevando come la sfida inclusiva costringa, in ogni caso, ad una ristrutturazione d’insieme – globale, complessiva – del sistema educativo/formativo (Caldin, 2009, p. 86).Tale ristrutturazione è anche in linea con i principi costitutivi del sistema di classificazione del funzionamento (ICF,WHO, 2001, 2007), che sono la valorizzazione della persona in quanto tale, l’approccio olistico e globale, il modello integrativo biopsicosociale, la considerazione dei fattori che circondano la persona, l’importanza del contesto e della prospettiva relazionale, la qualità dei processi e dei sistemi educativi e la partecipazione alla vita all’interno di una società inclusiva (Caldin, 2009, p. 86). È sulla base dei principi e degli orientamenti sopra esposti che prende corpo il CTI-Repertoire, che nasce con l’intenzionalità di sostenere le scuole nel definire la qualità e il livello dell’agency rivolta alla realizzazione di forme diverse e molteplici di educazione inclusiva, e ciò attraverso la ricognizione, il monitoraggio e la valutazione degli impegni assunti, in modo esplicito e rilevabile nel contesto, verso questo scopo e aspirazione. L’educazione, infatti, viene qui intesa come un processo dinamico realizzabile attraverso una serie di azioni
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intenzionali, responsabili e condivise, in grado di fornire esplicite declinazioni del valore assunto nella pratica e produrre cambiamenti valutabili ed “esternalizzati” (Bruner, 1995) nelle attività e nelle politiche scolastiche. In questo strumento l’inclusione non viene dunque concepita come uno stato attribuibile ai soggetti, dai contorni chiaramente definiti e immutabili, che può essere valutato mediante indicatori statici, ma come un processo cui tendere, continuamente in evoluzione, il cui valore può essere rintracciato nello sforzo assunto e mantenuto per realizzarla. Il Repertorio elaborato può quindi essere utilizzato dalle comunità/scuole per: • individuare le azioni culturali, politiche, didattiche di educazione inclusiva in cui le organizzazioni e i loro membri si impegnano e che possono essere esternalizzate, osservate, implementate e valutate nelle conseguenze e nei cambiamenti emergenti; • costruire un set principale di funzionalità (functionings) su misura per ogni scuola e studente, che possa essere tradotto in opportunità educative (capabilities) per tutti i membri della comunità, con l’aspirazione di promuovere il ben-essere (well-being) e il ben-diventare (well-becoming) entro culture, pratiche e politiche per lo sviluppo umano inclusivo; • valutare quantità, intensità e qualità dell’impegno profuso dalle organizzazioni e dai loro membri verso l’inclusione; • fornire un accreditamento qualitativo delle scuole in merito all’impegno assunto nella dimensione inclusiva delle attività e dell’organizzazione e una mappatura dell’agency inclusiva nel territorio, evidenziando tipologie e modi dell’impegno; • creare repository di buone pratiche ad uso delle comunità e del personale per l’aggiornamento, la sperimentazione e l’autoformazione continua. Il Repertorio contrasta un approccio demagogico all’inclusione, aiutando non solo ad identificare le caratteristiche proprie dei diversi contesti inclusivi, ma a riconoscere gli impegni che contribuiscono alla trasformazione inclusiva dei contesti e a individuare le responsabilità che agiscono nel cambiamento. Gli impegni e le responsabilità orientano le scelte e le azioni specifiche della comunità e possono essere concepite come la risposta pragmatica che ogni organizzazione e scuola alle linee guida dell’UNESCO per l’inclusione, considerate ideologicamente come “un modo dinamico di rispondere positivamente alle diversità degli alunni e di vedere le differenze individuali non come problemi, ma come opportunità di arricchimento dell’apprendimento” (UNESCO, 2005). Azioni utili all’inclusione favorevole e fiorente sono, secondo la prospettiva del Capability Approach, tutti quei fattori di conversione introdotti nel contesto in grado di trasformare le abilità e prerogative di ognuno in reali functionings. Paradossalmente, infatti, un’azione inclusiva potrebbe tradursi in una situazione sfavorevole e passiva (Sen, 1980) se non conduce ad assumersi la responsabilità di riconoscere, sostenere ed ampliare l’insieme personale e sociale delle capacità necessarie per vivere una vita apprezzabile. Sotto il profilo delle politiche pubbliche, il CTI-Repertoire è pensato per aiutare le agenzie educative a realizzare la crescente tendenza verso l’inclusione come sviluppo delle pratiche di integrazione già attuate e a comprenderla nelle politiche nazionali d’istruzione (Van Kempen et al., 2006). Il CTI-Repertoire prende in considerazione i diversi modi in cui viene sostenuta e promossa l’inclusione in termini di investimento e intensità dell’impegno collettivo e individuale verso lo sviluppo inclusivo, considerandolo come l’espressione complessa di componenti che si collocano su piani diversi: quello assiologico e culturale, quello politico economico, quello pragmatico ed esperienziale. Ciò che emerge ed è visibile e valutabile “in situazione” attraverso le griglie del Repertorio, sarà diverso e declinato in relazione alle diverse peculiarità, criticità e aspirazioni del contesto, offrendo l’opportunità di mettere in luce un con-
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fronto comparativo – nazionale, europeo e più largamente intercontinentale – tra le diverse agency adottate dalle comunità per promuoverla, non come insieme di mere “soluzioni” occorrenti a “problemi” di esclusione episodica, ma come occasioni di espressione e presa in carico di una responsabilità identitaria. In tal senso il Repertorio segna il passaggio dal processo di inserimento a quello di inclusione nei contesti educativi, andando oltre il semplice “far spazio” ai bambini entro le classi regolari (Yell, Drasgow, 1999) per monitorare piuttosto la co-evoluzione che ogni bambino produce nella comunità in modo irreversibile e plastico. In altre parole un Repertorio di impegni assumibili, implementabili e sostenibili, può aiutare amministratori e operatori a riconsiderare ogni volta il cosa si fa e il come si fa, prima ancora del dove si realizza l’inclusione (ibid.), coordinando continuamente l’azione educativa con il perché si deve fare scelto dalla comunità. Il rapporto strutturale e sistemico che nel Repertorio si stabilisce tra inclusione, ben-essere e ben-diventare poggia sull’affermazione centrale del Capability Approach, ovvero che le valutazioni su una persona, il suo ben-essere o la sua qualità della vita e i giudizi sull’uguaglianza o la giustizia, non devono concentrarsi in primo luogo sulle risorse o sugli stati mentali individuali, ma sulle opportunità pratiche (capabilities) che le persone hanno di condurre una vita che scelgono di vivere. Pertanto il Repertorio propone, anziché indicatori, vari set di impegni che corrispondono alle opportunità di inclusione concreta offerte dalle organizzazioni educative in termini di partecipazione alle decisioni e alle occasioni disponibili per lo sviluppo delle facoltà individuali e sociali, che consentono l’aumento di ben-essere soggettivo e collettivo. Il CTI-Repertoire è il risultato di un processo congiunto di ripensamento e di revisione di due noti Index for Inclusion (Booth, Ainscow, 2000, 2006 e edizione aggiornata del 2011) già diffusi e disponibili. La necessità di ripensamento deriva proprio dall’approccio sopra descritto e dalla necessità di offrire uno strumento non basato sull’indicizzazione. Nonostante i chiarimenti sull’uso degli indicatori esplicitati da Booth (2011), i limiti rilevati in questi strumenti hanno a che vedere con la dimensione descrittiva e statica che mantengono in rapporto all’inclusione, con una conseguente parcellizzazione e sovrapposizione degli indicatori adottati per individuare le tipologie e i livelli di qualità dei processi inclusivi realizzati. La lista degli indicatori offerti, pur ricca e differenziata, non cattura la complessità di questo processo e il peso che in esso giocano molteplici costituenti e fattori, anche assiologici, che sono implicati nella sua realizzazione. Gli Index non sono pensati per cogliere e operazionalizzare la dimensione fondamentale dell’impegno delle comunità verso l’inclusione in termini di facoltà promosse (abilità più opportunità), ma semmai per indicizzarne gli esiti, intesi come risultati ottenuti (achievement). Proprio l’impegno è invece oggetto del Repertorio; impegno che nel Repertorio si intende mettere “a tema”, “a punto” e “a prova” nelle varie fasi e possibilità del suo utilizzo, facendone emergere aspetti qualitativi e quantitativi riferiti alla sua intensità, persistenza e investimento e discriminandone e differenziandone le manifestazioni e gli esiti nelle diverse comunità inclusive. Gli Index, per loro stessa natura e struttura, sono inadatti per la rilevazione e il monitoraggio delle dimensioni valoriali che animano le scelte attuative nelle pratiche inclusive entro le comunità e le organizzazioni; agency che sfugge nella sua specificità ed eccellenza, ma anche nella sua criticità, soprattutto laddove, come nell’esperienza trentennale italiana, l’inclusione si innesta in procedimenti che si presentano come assodati sul piano normativo e culturale. In tal senso il Repertorio – di cui si stanno attuando le ultime fasi elaborative in lingua inglese, cui seguirà la prima sperimentazione e implementazione italiana in ambito regionale - sposta l’ottica descrittiva verso una prospettiva orientativa e regolativa in merito all’impegno che ogni comunità/organizzazione si assume in forma “prescrittiva” per la propria agency verso l’inclusione. L’impegno è appunto il commitment inteso come obbligazione che implica lo
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scrutinio dei propri valori e aspirazioni1. La prescrittività, nel senso di spinta pro-attiva, che riguarda l’attività scelta e intrapresa anziché la mera esecutività normativa, è dunque proprietà interna all’impegno e non caratteristica del Repertorio. Quest’ultimo funge quindi piuttosto da “Agenda”, collegando l’impegno verso l’inclusione al valore dell’agency soggettivo e sociale (Biggeri et al. 2010) per operazionalizzarla in “cose da fare”, ponendosi come “dispositivo” che mantiene memoria delle priorità assunte e rinnova gli impegni specifici facilitanti lo sviluppo di contesti inclusivi favorevoli e fiorenti.
3. La struttura del CTI-Repertoire Nel Repertorio, la struttura tripolare proposta negli Index considerati è stata assunta come portante, mentre le diverse componenti della triangolazione sono state declinate ispirandosi da un lato ad alcuni concetti chiave del CA, dall’altro riconducendole ai fondamenti e al lessico della recente Classificazione Internazionale del Funzionamento (ICF e ICF-CY, WHO, 2002, 2007), in particolare del modello biopsicosociale di salute in essa proposto. Gli autori degli Index editi dal CSIE britannico, assumono che il processo inclusivo comporti l’analisi approfondita dei punti di vista e delle esperienze dei principali soggetti interessati, in merito alle barriere e agli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione. Inoltre prevedono che venga attuata un’indagine ricognitiva sulle modalità attraverso le quali tali barriere possono essere ridotte o eliminate per tutti coloro che frequentano questi contesti (Polat, 2010, p. 50). A partire da questa condivisione di premesse, il Repertorio esplora la dialettica inclusione/esclusione lungo le tre dimensioni proposte da Booth e Ainscow (2000, 2006). Gli autori degli Index(es) of Inclusion, ritengono che le tre dimensioni individuate siano decisive per strutturare l’organizzazione dello sviluppo inclusivo, soprattutto nelle scuole, e siano tutte e tre necessarie per la promozione del processo di inclusione all’interno dei contesti educativi. Inoltre, gli autori sostengono che lo sviluppo di valori condivisi e la creazione di forti rapporti di collaborazione tra i vari interlocutori possano portare a cambiamenti nelle altre due dimensioni. Nel CTI-Repertoire le tre dimensioni sono intese come polarità interconnesse che si esprimono come volontà assunte di “Creare Culture” (prima dimensione), “Produrre Politiche” (seconda dimensione) e “Sviluppare Pratiche” (terza dimensione) rivolte a (toward) sostenere il processo di inclusione e a testimoniarlo concretamente. La prima dimensione, “Creare culture inclusive”, si riferisce alla creazione di una comunità sicura, accogliente, cooperativa e stimolante, in cui la valorizzazione di ciascuno diviene il punto di partenza per ottimizzare i risultati di tutti, diffondendo valori inclusivi condivisi a tutto il gruppo insegnante, agli alunni, ai dirigenti, ma anche a tutto il personale in servizio e alle famiglie, rendendone testimone e responsabile ogni Organo Collegiale. I principi e i valori alimentati nelle culture inclusive della scuola, orientano le decisioni sulle politiche educative e gestionali e sulle pratiche quotidiane nella classe, in modo che lo sviluppo della scuola divenga un processo continuo (Booth e Ainscow, 2008, p. 117). La dimensione della cultura inclusiva presenta negli Index due componenti fondamentali: “Costruire comunità” e “Affermare valori”, che sono interpretate nel Repertorio come intenzionalità comple-
1 Il valore del “commitment” individuale e collettivo nella formazione dell’identità è stato approfondito da Sen in diverse opere (Sen, 2002;2005 a,b; 2006) e sviluppato in numerosi contributi critici (Petitt, 2005; Hausman, 2005; Schmid, 2005, Giovanola, 2006).
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mentari dell’agency della comunità e che vengono articolate in set di impegni cui corrispondono le opportunità offerte nell’attività quotidiana di classe e nel contesto scolastico a sostegno degli effettivi functionings di ognuno. La seconda dimensione della triangolazione, “Produrre Politiche Inclusive”, mantiene la forte connotazione partecipativa che assume negli Index, raccogliendo in sé tutte le azioni volte ad incoraggiare la partecipazione di tutti i membri della comunità nella promozione dell’educazione inclusiva a tutti i livelli, minimizzando l’esclusione. Anche in questo caso, l’articolazione interna in due componenti, proposta dagli Index, è conservata, sebbene tradotta in impegni a “Sviluppare una scuola per tutti” e ad “Organizzare sostegni alle differenze”, anch’essi a loro volta declinati in opportunità concrete offerte. La terza dimensione, “Sviluppare Pratiche Inclusive”, offre pratiche educative che riflettono e operazionalizzano i valori culturali inclusivi e le politiche dell’organizzazione/scuola a sostegno dell’inclusione. Le due componenti dell’impegno sono: “Orchestrare apprendimenti” e “Mobilitare energie”. Anche qui, come in ogni componente delle tre dimensioni che accomunano Index e CTI-Repertoire – ogni impegno trova concretizzazione in opportunità offerte che sono riconoscibili attraverso liste di domande tese a proprio a far emergere le direzioni operative degli impegni assunti dalle comunità e ad investire di responsabilità autentica le risposte. A partire da questa struttura, il CTI-Repertoire operazionalizza quindi il commitment dell’organizzazione verso l’inclusione, sviluppandolo in termini di impegno individuale e sociale attorno alle tre principali dimensioni individuate. Gli impegni assunti sono poi tradotti in opportunità offerte all’espressione dei funzionamenti (functionings) specifici e personalizzati, attraverso i quali ogni singola organizzazione/scuola realizza di fatto il “proprio” processo di inclusione in rapporto alle differenti aspirazioni presenti o alimentabili nella comunità. Ogni impegno assunto corrisponde dunque ad un set di opportunità (capabilities) proposte nel Repertorio (elencate sulla base di una ricognizione iniziale di buone pratiche già documentate in letteratura e nel territorio, ma ampliabili attraverso l’implementazione dello strumento da parte delle varie comunità), per aiutare a identificare le azioni specifiche che possono essere messe in atto per sostenere i funzionamenti riconosciuti come rilevanti in quel contesto e per quella specifica popolazione e implementati dall’organizzazione per costruire un’inclusione favorevole e fiorente all’interno di quella scuola. I set di opportunità sono presentati nel Repertorio sotto forma di possibili domande che guidano il processo di revisione/promozione dell’agency distribuita nella comunità e hanno l’obiettivo di individuare le azioni concrete adottate verso l’inclusione nella scuola/organizzazione. Chiaramente, l’elenco delle domande proposte nel Repertorio non corrisponde ad un insieme chiuso di scelte pre-definite, dal momento che ogni organizzazione deve identificare e scegliere di volta in volta le azioni necessarie e adatte per progredire nel processo inclusivo nel proprio contesto educativo, in conformità con i valori della scuola e del singolo discente. In tal senso è possibile definire il CTI-Repertoire come uno strumento per l’attuazione di una “inclusione situata”. Caratteristica fondamentale del Repertorio è quella di collegare gli impegni verso l’inclusione con il concetto di functionings, nel senso che questo strumento permette alle scuole/comunità di valutare il grado e la natura del loro coinvolgimento responsabile espresso in pratiche, progetti e mission deliberatamente scelti ed esplicitati per perseguire l’educazione inclusiva in modo riconoscibile nelle attività educative quotidiane. Gli impegni suggeriti riguardano dunque “dichiarazioni di aspirazioni” che la scuola utilizza come proprie “agency priorities”, assunte e sostenute verso la promozione e la realizzazione di un’educazione inclusiva. Le domande/opportunità proposte chiariscono invece i molteplici significati di ogni impegno, in modi che invitano le scuole a esplorarli in dettaglio e a ricondurli alla prassi. Esse infatti, più che indagare in modo inquisitorio la realtà scolastica, promuovono la rifles-
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sione su ogni specifico impegno e aiutano a far emergere le conoscenze esistenti e le esperienze condotte utili ala definizione dell’identità inclusiva della scuola/comunità educativa. I set di domande fungono da modelli per l’operazionalizzazione di ogni altro possibile impegno individuato dalle comunità in direzione inclusiva, fornendo idee per lo sviluppo e la realizzazione di attività, nonché criteri per la valutazione dei cambiamenti attuati e dei progressi raggiunti. Nella versione del Repertorio attualmente in fieri in versione inglese, sono stati individuati 29 “impegni” come sub-categorie delle 3 dimensioni principali (culture, politiche e pratiche inclusive) in cui si manifestano e delle loro componenti interne. La scuola nel riconoscersi in molti o in parte di questi impegni, sarà chiamata immediatamente anche a riconoscere, recuperare, documentare le azioni concrete intraprese per testimoniare gli impegni assunti e renderli visibili e valutabili. Ciascun impegno è completato da una serie di domande/opportunità (circa 10) che approfondiscono l’analisi sullo stato attuale della scuola, forniscono idee aggiuntive per la costruzione di attività e servono come criterio per valutare i progressi realizzati e le aspirazioni della comunità verso l’inclusione. Oltre all’approccio del CA, la nostra revisione degli Index(es) ha preso in considerazione e assunto il lessico e il modello biopsicosociale di salute proposti dall’International Classification of Functioning (ICF, 2002), classificazione dell’OMS che introduce, come componenti fondamentali del ben-essere e del funzionamento umano, l’attività, la partecipazione e i fattori contestuali ambientali e personali. L’introduzione di questo lessico nel Repertorio non ha solo una funzione igienista della terminologia, ma assume un forte valore pragmatico. Le parole sono qui concepite come “atti-linguistici” e reti di significato vissuto, che si trasformano in strumenti intenzionali che agiscono e cambiano le cose nel mondo. Se dunque “le parole fanno cose” – per dirla con Austin (1962) – e il linguaggio si pone come strumento con cui è possibile modificare la realtà, il Repertorio diventa a sua volta un effettivo bagaglio disponibile di “opere e procedure di azione” significative contenute nei termini che lo sostanziano, oltre che nel repository che verrà messo a disposizione, cui attingere per trarre ispirazione e spunti per l’agency inclusiva. Dal punto di vista materiale, il CTI-Repertoire si presenta come una piattaforma accessibile in rete, previa registrazione, da parte delle comunità, che offre versioni degli impegni differenziate a seconda dei fruitori (personale docente, tecnico-amministrativo, ausiliare, dirigenti, studenti e famiglie) . Ogni fruitore nell’utilizzare le griglie del Repertorio è chiamato a scegliere gli impegni in cui si riconosce e a dettagliare le azioni corrispondenti in termini di risposte ai set successivi di domande. Per chiudere, anche provvisoriamente, il percorso di automonitoraggio e valutazione dell’impegno profuso verso l’inclusione, il sistema richiede che vengano “caricati” nella sezione repository, materiali (documentati attraverso video, immagini, testi…) in grado di testimoniare l’agency inclusiva intrapresa dalla comunità di appartenenza nella direzione dell’impegno assunto. Il sistema richiede ai fruitori anche dati quantitativi, oltre che qualitativi, circa la durata, la mole di energie impiegate e investite, la rete di relazioni attuata, la crucialità, centralità e intensità assunta dalle singole azioni nel corso della loro implementazione nella comunità. Attraverso questa sezione il CTI-Repertoire può offrire, oltre che una restituzione valutativa delle azioni in relazione agli impegni dichiarati e assunti, anche una lettura comparativa dei processi inclusivi promossi nelle diverse comunità, proponendo anche delle mappature territoriali degli stessi. Inoltre il CTI-Repository funziona da catalizzatore di “buone prassi” accompagnate da una riflessione sul loro significato. Ciò consente di trasformare questo contenitore da un semplice archivio ad un vero e proprio repertorio di pratiche utile in una prospettiva di self/reciprocal-education. Una sorta di training-pedia per insegnanti/genitori/tutori e, perché no?, per gli stessi alunni.
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4. Conclusioni Il “Commitment toward Inclusion Repertoire” ha come scopo e aspirazione il miglioramento della cultura, delle pratiche e delle politiche inclusive all’interno delle comunità. Questo Repertorio può essere utilizzato per monitorare, revisionare/implementare e valutare la prassi inclusiva attuata nell’ambito delle diverse comunità – in particolare nelle realtà scolastiche – per promuovere il riconoscimento degli impegni personali e sociali verso quella che viene definita “un’inclusione situata”. Il Repertorio da noi creato può così offrire un supporto pragmatico per l’attività quotidiana delle organizzazioni, e va oltre il limite di “astrattezza”, così spesso sottolineato in letteratura. La costruzione e lo sviluppo di società inclusive, basate sulla valorizzazione della differenza e del cambiamento, rappresentano un valore emergente nella nostra società complessa. Il diritto all’inclusione delle persone con disabilità viene riconosciuto e sottolineato in molti documenti di organismi internazionali (UNESCO, OECD, WHO). Il futuro dell’Europa è sempre più determinato dalla capacità dei suoi governi, delle sue aziende produttive e dei suoi cittadini di integrare e implementare processi di innovazione attraverso l’adozione di misure economiche, sociali e culturali capaci di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. L’innovazione coinvolge complessi processi di apprendimento, la conoscenza “informale” o tacita, la sperimentazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. L’Unione Europea auspica un maggiore impegno per gestire il cambiamento sociale e per stimolare i cittadini ad accettare e fare proprie le innovazioni che sono utili e necessarie per la risoluzione di problematiche sociali. Questo progetto cerca di rispondere alla richiesta “di essere vigili nel garantire che la nostra ricerca si rifletta nel linguaggio delle politiche e della legislazione, nonché nelle azioni di insegnanti, amministratori, comitati scolastici, gruppi di genitori, referenti di comunità, fondazioni, e funzionari di governo”, offrendo strumenti utili per individuare gli impegni, le responsabilità e le direzioni operative verso l’inclusione, intesa come valore positivo oltre che come situazione favorevole. La sfida proposta è collegata con l’imperativo: di promozione di un uso efficace della ricerca per migliorare l’istruzione e, quindi, servire il bene pubblico e creare una società migliore “(better society in linea con Horizon 20202). Questo imperativo si declina nella realtà attraverso la trasformazione della sfida in opportunità e abilità per l’individuo di generare risultati importanti, tenendo conto delle caratteristiche rilevanti personali e dell’interazione con i fattori esterni ambientali. Non mancano strumenti di indicizzazione dei risultati ottenuti entro le comunità in tal senso; ciò che il CTI-Repertoire vuole offrire in più è la possibilità di catturare non solo gli esiti, ma anche la qualità del coinvolgimento delle comunità nella sfida, le intenzioni che animano le scelte e orientano gli investimenti e li rendono più o meno sostenibili e trasferibili. Ciò si traduce in un supporto concreto alla necessità – sottolineata anche nel recente documento internazionale Horizon 2020 – di cogliere ogni opportunità, di costruire sui molteplici punti di forza e di agire rapidamente e con decisione per costruire il nostro futuro, migliorando il ben-essere e il ben-diventare dei nostri cittadini. Le implicazioni educative dell’uso del Repertorio di impegni sono considerevoli perché esso offre l’opportunità di trasformare un approccio top-down per l’inclusione, considerato in una prospettiva idealista, in una procedura di tipo bottom-up, che si concentra sul repertorio di azioni concrete proposte per creare/implementare comunità inclusive autentiche.
2 “Horizon 2020” è il nuovo programma europeo per la Ricerca e l’Innovazione nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale 2014-2020.
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Lo strumento prevede un’applicazione su piattaforma on-line che rappresenta una concreta possibilità di implementazione e diffusione delle prassi attuate nelle diverse comunità, verso l’individuazione di “buone prassi” trasferibili. Il CTI-Repertoire aiuta a valutare, gestire e monitorare sia le azioni/doings che le caratteristiche/beings per promuovere l’inclusione, che sono espresse/esternalizzate dalle comunità/scuole. Questo processo offre la possibilità di rendere tali azioni riconoscibili e condivisibili da tutta la comunità e disponibili e fruibili alle diverse istituzioni e a tutti i membri della comunità, che partecipano all’impegno assunto dall’organizzazione verso il processo di inclusione che deliberatamente ha deciso di promuovere. Come Reindal (2010) ha sottolineato: “La valutazione dei risultati scolastici o di un contesto scolastico che non riesce a tener conto delle varie opportunità di una data situazione in relazione a un funzionamento ottenuto sarebbe molto parziale e non affronterebbe la questione fondamentale dell’ingiustizia sociale nell’ambito dell’istruzione o in qualsiasi altro campo”(p. 7). Inoltre questo studio operazionalizza una serie di funzionalità nel sistema scolastico necessarie per promuovere il processo di “inclusione” per tutti. Le direzioni future riguardano la creazione di un portale web nel quale istanze reali di “pratiche di inclusione fiorenti” realizzate nella Comunità/scuola verranno caricate per monitorare il livello di impegno dichiarato e raggiunto e per fungere da modelli virtuosi nella direzione inclusiva. Ciò è in linea con il workshop tematico Horizon 2020 “Towards more inclusive, innovative and secure societies challenge” in cui si precisa l’importanza di sviluppare l’empowerment degli attori coinvolti nel processo, il quale, convogliato attraverso un rapido accesso a diverse fonti di informazione, cambi il ruolo dei cittadini da semplici fruitori di servizi a partecipanti attivi nell’erogazione e fruizione del servizio. La comunicazione tra interlocutori avrebbe così l’obiettivo di permettere la trasmissione di segnali sociali e aumenta la diversità delle fonti di informazione a disposizione dei cittadini. Inoltre questo potrebbe rappresentare la via giusta per raggiungere l’equilibrio tra approcci “top-down” (culture inclusive) e “bottom-up” (pratiche inclusive) che si rispecchino nella mediazione politica. Integrare gli approcci è fondamentale per poter affrontare specifiche emergenze sociali e per migliorare e condividere l’impegno organizzativo verso l’inclusione. In tal senso la prospettiva di rete, dove ogni polo è protagonista attivo e responsabile nella condivisione di impegni e aspirazioni, è cruciale e il CTI-Repertoire lo intercetta e rende “visibile” e “agito”. Se le relazioni e le dinamiche interattive tra insegnanti, scuole e comunità devono essere considerate fondamentali in tutti i processi trasformativi inclusivi, allontanandosi dalle percezioni precedenti della scuola e dei suoi “stakeholders”, come semplici destinatari o “sponsor” di riforme inclusive dei programmi scolastici. Diviene oggi una priorità rendere la gestione delle comunità/scuole più partecipativa e consultiva, coinvolgendo tutti i membri che vi si riconoscono in qualità di co-sviluppatori di approcci inclusivi (Govinda, 2009), ovvero come veri e propri inclusive community shareholders, impegnati per il successo e la crescita di ciò che condividono.
Riferimenti bibliografici Austin L.J. (1962). How to Do Things with Words. (trad. it. Come fare cose con le parole, Marietti, Genova, 1987). Biggeri M., Bellanca N. (Eds.) (2010). Dalla Relazione di Cura alla Relazione di Prossimità. Napoli: Liguori. Booth T., Ainscow M., Black-Hawkins K.,Vaughn M., Shaw L. (2006). Index for inclusion: Developing play, learning and participation in early years and childcare. Bristol, UK: CSIE. Booth T., Ainscow M., Black-Hawkins K.,Vaughn M., Shaw L. (2000). Index for inclusion: Developing learning and participation in schools. Bristol, UK: CSIE.
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Ricerche – Qualità e valutazione
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Ricerche
Qualità e valutazione
Gli strumenti organizzativi dell’autonomia: il punto di vista degli insegnanti sui documenti Organizational tools of school autonomy: teachers’ point of view on the documents GIOVANNI MORETTI Lo studio riguarda una indagine sulla qualità percepita soggettivamente dagli insegnanti circa i documenti di programmazione scolastica – quali il Piano dell’offerta formativa, il Programma annuale, la Contrattazione integrativa – e la loro efficacia come strumenti organizzativi nel quadro dell’autonomia scolastica. Un gruppo di 188 insegnanti partecipanti ad un Master sono stati intervistati utilizzando un questionario misto con il quale è stato chiesto loro di valutare l’impatto dei tre documenti di programmazione sulla pratica scolastica quotidiana nelle scuole di appartenenza e nelle “scuole osservate” (373 scuole in totale). La rilevanza che gli insegnanti assegnano ai documenti di programmazione come linee guida efficaci per orientare la pratica educativa richiama l’attenzione sull’importanza della loro preparazione attenta e condivisa e della loro continua revisione e/o integrazione.
The study concerns a survey on the quality of school planning documents, such as the school plan, the school budget and the “union bargaining plan”. It tackles their effectiveness as organisational tools in the school autonomy framework, investigating teachers’ perceptions. A group of 188 Master’s student teachers were interviewed using a blended questionnaire where they were asked to assess the impact of the three planning documents on school everyday practice.Two sets of data were therefore collected, concerning a) respondents’ perceptions on their own “familiar” schools and b) respondents’ perceptions on the “new” schools (373 schools in total).The relevance that teachers assign to the planning documents as effective guidelines to educational practice draws attention to how important it is to carefully prepare them in a shared way and to engage in a continuous updating process.
Parole chiave: autonomia scolastica in Italia, auto-valutazione, contrattazione integrativa, documenti di programmazione scolastica, piano dell’offerta formativa
Key words: planning documents, school autonomy in Italy, school development plan, school union bargaining, self-evaluation.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Introduzione L’autonomia scolastica in Italia, anticipata con un programma nazionale di sperimentazione organizzativa e didattica, è stata introdotta nelle scuole dal DPR 275/1999, è entrata a regime il 1° settembre 2000, ed ha come principali obiettivi: il miglioramento dei processi di insegnamento-apprendimento e l’innalzamento della qualità dell’istruzione; l’organizzazione flessibile delle attività scolastiche e l’ampliamento dell’offerta formativa, attraverso interazioni e integrazioni significative con il contesto territoriale e i fabbisogni formativi locali. Gli esiti delle indagini valutative nazionali e soprattutto internazionali (OCSE-PISA) tuttavia rilevano che i livelli di apprendimento degli studenti non sono cresciuti, nonostante le opportunità che l’autonomia ha offerto sul piano organizzativo e didattico (TALIS-OECD, 2009; Cavalli, Argentin, 2010; OECD, 2010a, 2010b; Asquini, 2011; Hanushek, Link, Woessmann, 2011). Il Rapporto annuale sulla scuola in Italia, curato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, mette in evidenza, nell’ambito della riflessione sulla efficacia della scuola dell’autonomia, la centralità del rapporto tra insegnanti e autonomia scolastica. La responsabilizzazione degli insegnanti, oltre a quella dei dirigenti scolastici, è da ritenersi fondamentale, per motivarli e riconoscerli come principale e insostituibile “massa critica” in grado di portare progressivamente tutte le scuole ai livelli più alti in termini di qualità delle proposte educative e degli esiti formativi raggiunti (Euridyce, 2008; Cavalli, Argentin, 2010; Fondazione Giovanni Agnelli, 2009, 2010, 2011). Responsabilizzare gli insegnanti significa oggi soprattutto ribadire o riscoprire quale sia la mission principale della scuola che è quella di innalzare la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento e di sviluppare quell’insieme di competenze di base e durature che possono consentire agli studenti di imparare ad apprendere, ad orientarsi ed a scegliere (ad es., Benadusi, Giancola, Viteritti, 2008; Bove, Moretti, 2009; Domenici, 2009; Scheerens, van Ravens, Luyten, 2011). A fronte di tale quadro problematico, con la presente indagine, si è ritenuto opportuno rilevare in che modo gli insegnanti frequentanti un Master universitario percepiscono soggettivamente la qualità di alcuni documenti di programmazione scolastica – il Piano dell’offerta formativa, il Programma annuale (Bilancio), la Contrattazione integrativa – che se ben elaborati permettono di orientare i comportamenti professionali e le scelte progettuali degli insegnanti sia individuali che di gruppo. L’indagine è stata progettata con la consapevolezza di rilevare giudizi che seppur soggettivi, sono tuttavia in grado di esprimere alcune possibili linee di tendenza riguardanti il processo di attuazione dell’autonomia in differenti contesti scolastici. Si è ritenuto utile, pertanto, procedere alla rilevazione del punto di vista dell’insegnante sui documenti, sia in riferimento al proprio contesto lavorativo, sia in riferimento ad una scuola diversa, conosciuta durante un periodo breve di osservazione (75 ore), condotta durante le attività di tirocinio del Master. In questo contributo sia la scelta di assumere il punto di vista dell’insegnante-osservatore che esamina contesti scolastici differenti, sia quella di individuare alcuni documenti di programmazione scolastica come unità di analisi, tiene conto in modo integrato di tre prospettive di ricerca, presenti nella letteratura scientifica di settore: la prospettiva di tipo bottom-up, che considera positivo il coinvolgimento degli attori implicati nei processi, e consente agli stessi attori-insegnanti, attraverso modelli di valutazione partecipati e democratici, di acquisire consapevolezza circa il proprio ruolo e le connesse responsabilità in merito all’innalzamento della qualità dell’istruzione (Stake, 1988; Domenici, 2000, 2009; Schratz, Jakobsen, MacBeath, Meuret, 2003; Castoldi, 2008); la prospettiva che valorizza il punto di vista dell’insegnante che assume lo sguardo di “novizio” (Wenger, 1998), ma che in quanto professionista competente assume anche lo sguardo di “attore sociale” senza mettere tra parentesi la propria esperienza, consapevolezza professionale e capacità riflessiva (Schön, 1983; Geertz,
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Ricerche – Qualità e valutazione
1988; Gobo, 2003); la terza prospettiva, infine, fa riferimento a quegli approcci che nell’analisi dei contesti, dei processi di cambiamento e della codifica delle policy dedicano particolare attenzione alla co-evoluzione degli “oggetti” o degli “attori non umani” e alla co-evoluzione tra “oggetti” e attori sociali (Latour, 2002; Landri, 2002, 2004, 2009; della Ratta-Rinaldi, Ricotta 2008). Sulla base delle prospettive di ricerca sopra indicate, si è deciso, ai fini della rilevazione della qualità percepita soggettivamente dagli insegnanti, di scegliere il Piano dell’offerta formativa, poiché ritenuto il principale oggetto-documento della scuola dell’autonomia che dichiara, comunica, pianifica, condivide e connette i discorsi dell’innovazione con quelli dell’equità e della qualità (Landri, 2002, 2004, 2009; della Ratta-Rinaldi, Ricotta 2008) oltre che contribuire a stimolare il processo di costruzione della identità delle singole istituzioni scolastiche (Sergiovanni,1994; Valentino, 2000; Castoldi, 2008; Moretti, 2009). Insieme al Pof sono scelti come unità di analisi, il Programma annuale o Bilancio, strumento duttile in grado di tradurre in pratica il Pof e sostenere la flessibilità didattica, e il Contratto integrativo d’istituto, che esprime la concertazione raggiunta nella singola scuola per favorire la migliore organizzazione del lavoro del personale in orario scolastico ed extrascolastico. I percorsi di elaborazione e condivisione dei nuovi “oggetti-documenti” di governo dell’autonomia scolastica dovrebbero dunque aiutarci a riflettere sul perché e sul come promuovere e diffondere orizzontalmente nella scuola competenze di leadership educativa e di management (Earley, Bubb, 2004; Barzanò, 2008; Domenici, Moretti, 2011). In letteratura sono presenti alcuni studi (per es. Bell, 2002; Landri, 2009; Fernandez, 2011) che in merito ai piani di miglioramento (improvement plans) e ai piani di scuola (school plans) segnalano alcune evidenze critiche: la diffusione di pianificazioni poco flessibili che possono portare a pratiche miopi e rigide con spreco di tempo e risorse; la predisposizione di piani che assumono forme diverse non tanto per rispondere alle esigenze dei contesti locali ma perché subiscono forti pressioni esterne.Tali studi in alternativa a forme di pianificazione rigide e imposte dall’alto, propongono percorsi progettuali di tipo bottom-up, nei quali diventa centrale il raggiungimento di accordi su una serie di obiettivi a breve termine scaturiti da valori comuni negoziati e condivisi da tutti gli attori coinvolti. Lo scopo e gli obiettivi della ricerca sono così definiti: • scopo della ricerca: rilevare, a dieci anni circa dall’avvio della autonomia scolastica, attraverso il punto di vista di un campione di insegnanti frequentanti un Master universitario, la percezione dello stato di attuazione dell’autonomia nelle diverse dimensioni: didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo; • obiettivo generale: rilevare la percezione degli insegnanti della qualità dei documenti di programmazione scolastica – il Piano dell’offerta formativa, il Programma annuale (Bilancio), la Contrattazione integrativa – e della loro efficacia come strumenti organizzativi nel quadro dell’autonomia scolastica oltre che come strumenti in grado di orientare i comportamenti professionali e le scelte progettuali degli insegnanti sia individuali che di gruppo; • obiettivi specifici: rilevare la percezione degli insegnanti del grado di coerenza tra i documenti, nonché esaminare in che misura questi possano contribuire a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia; rilevare in quale misura e eventualmente in riferimento a quali aspetti della organizzazione scolastica, varia il punto di vista dell’insegnante che assume il ruolo di “osservatore” nelle attività di tirocinio del Master, a seconda delle caratteristiche del contesto scolastico esaminato (contesto lavorativo di appartenenza o “scuola osservata”).
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2. Metodo 2.1 Partecipanti L’indagine ha coinvolto 188 insegnanti iscritti al Master in Leadership e Management in Educazione1 nell’anno 2009, di cui 151 donne (80.3%) e 37 uomini (19.7%) – prevalenti nella ripartizione territoriale del Sud e delle isole (35%) –, tutti impegnati nella scuola pubblica statale (il 97,9% con contratto a tempo indeterminato e il 2.1% con contratto a tempo determinato). L’età media della popolazione è di 44.8 anni, con una età minima di 27 anni e una età massima di 58 anni; solo l’8.5% degli insegnanti ha meno di 35 anni di età mentre la metà supera i quarantasei anni; la mediana della distribuzione è pari a 45. La popolazione degli insegnanti coinvolta nella ricerca è caratterizzata da una consolidata esperienza professionale testimoniata dal numero medio di anni di servizio piuttosto elevato (17 anni) con un numero minimo di 2 e un numero massimo di 30 anni; l’81% degli insegnanti è in servizio da oltre 10 anni, il 33% di essi lavora da oltre 21 anni. Ciò significa che la quasi totalità degli insegnanti era in servizio nel 1999, anno di approvazione del Regolamento dell’autonomia didattica. La popolazione scelta comprende insegnanti di tutti gli ordini e gradi scolastici, con la prevalenza delle scuole secondarie di secondo grado (36.2%); seguite nell’ordine dalle scuole primarie (32.4%), dalle scuole secondarie di primo grado (22.9%), dalle scuole dell’infanzia (5.3%) o da scuole professionali e scuole italiane all’estero (3.2%). 2.2 Strumenti A partire dai vari aspetti didattici, organizzativi, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, previsti dal Regolamento sull’autonomia scolastica (DPR 275/1999) è stato predisposto un questionario strutturato suddiviso in quattro sezioni (Tab. 1). Sezioni questionario
Domande chiuse
I - Caratteristiche sociodemografiche degli insegnanti II- Piano dell’offerta formativa III -Programma annuale (Bilancio) IV - Contrattazione integrativa Qualità complessiva scolastica ed educativa Totale domande
3 51 13 13 1 81
Domande a risposta aperta 3 4 3 3 13
Totale domande 6 55 16 16 1 94
Tab. 1 – Struttura del questionario: sezioni e tipologia di domande
Il questionario è stato messo a punto nel 2008, anno in cui lo strumento è stato adoperato da 35 insegnanti iscritti al Master per l’osservazione-valutazione delle scuole durante lo svolgimento delle attività di tirocinio. Tenendo conto degli esiti della prima sommini-
1 Il Master Universitario di secondo livello, a distanza e in presenza, in Leadership e Management in Educazione. Direzione e governo dei processi e delle strutture formative nella scuola dell’autonomia, Direttore prof. Gaetano Domenici, è attivo dall’anno 2003 presso il Dipartimento di Studi dei Processi Formativi Culturali e Interculturali nella Società Contemporanea, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Il tirocinio del Master è stato svolto in collaborazione con l’Associazione Professionale “Proteo Fare Sapere”, soggetto qualificato alla formazione ai sensi del Decreto Miur 177/2000 e del DM dell’8/6/2005.
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Ricerche – Qualità e valutazione
strazione alcune domande sono state migliorate nella loro formulazione linguistica, ed è stato individuato un numero ristretto di domande (tredici) ritenute adeguate per analizzare sia il Pof che il Programma annuale e la Contrattazione integrativa. La versione definitiva dello strumento ha mantenuto l’articolazione in quattro sezioni. La prima sezione raccoglie informazioni sulle caratteristiche sociodemografiche degli insegnanti (genere, professione, anni di insegnamento, tipo di contratto di lavoro, ordine, grado, tipologia e denominazione della scuola di appartenenza); la seconda sezione, Piano dell’offerta formativa, propone domande finalizzate a rilevare in che misura il Pof esaminato, a parere degli insegnanti, riflette, definisce, prevede o assicura azioni che concorrono a caratterizzare e rendere operativa l’autonomia scolastica. Nella terza e quarta sezione del questionario, rispettivamente intitolate Programma annuale (bilancio) e Contrattazione integrativa a livello di istituzione scolastica ed educativa, sono presenti tredici domande, analoghe a quelle già presentate per il Pof, finalizzate a confrontare tra loro i documenti. Ciascuna sezione del questionario si chiude con due domande a risposta aperta finalizzate a rilevare, sinteticamente, gli elementi di forza e gli eventuali elementi di debolezza dell’ “oggetto-documento” analizzato. Le domande chiuse, ad eccezione di quelle della prima sezione, che prevedevano una scelta unica tra più alternative, e della domanda conclusiva, che prevedeva di indicare un valore da 1 (minimo) a 10 (massimo) per ciascuno dei tre documenti esaminati, prevedevano risposte graduate con una scala a quattro livelli (decisamente sì, più sì che no, più no che sì, decisamente no), con la ulteriore possibilità di rispondere non saprei. 2.3 Procedure e contesti di ricerca Il questionario è stato somministrato agli insegnanti durante le attività di tirocinio del Master2: nella prima fase (A - 75 ore) è stato chiesto agli insegnanti (188) di analizzare i documenti più rilevanti della scuola dell’autonomia presso il contesto lavorativo di appartenenza; nella seconda fase (B – 75 ore) gli insegnanti (185) hanno esaminato i documenti di altre scuole di ordine o grado differente, individuate dai responsabili del Master nell’ambito della provincia di domicilio. Nella fase B del tirocinio, realizzata in continuità con la fase A, (settembre-ottobre 2009), gli insegnanti oltre che analizzare gli strumenti organizzativi dell’autonomia sono stati impegnati in attività di osservazione. In particolare gli insegnanti hanno osservato in situazione tutti gli attori della scuola: docenti, studenti, genitori, personale Ata, dirigente scolastico e hanno effettuato uno “studio di caso” attraverso il quale dovevano descrivere il contesto, prefigurare o ricostruire i processi decisionali e rilevare i comportamenti dei diversi attori coinvolti. Le finalità del tirocinio e l’utilizzo del questionario sono stati illustrati agli insegnanti mediante la piattaforma e-learning del Master e nel corso di un Seminario svolto in presenza (11 luglio 2009); i questionari sono stati inviati ai partecipanti in formato elettronico e sono stati compilati mediante autosomministrazione. La restituzione dei questionari è stata effettuata tramite la piattaforma e-learning nel periodo conclusivo della fase A (agosto 2009) e della fase B del tirocinio (ottobre 2009). In questo contributo ci si limita a prendere in esame la parte delle attività di tirocinio relativa alla analisi dei documenti nei differenti contesti scolastici; le evidenze raccolte saranno
2 In particolare con le attività di tirocinio si voleva sviluppare nei partecipanti la capacità di riflettere sulle pratiche professionali – sia di quelle individuali sia di quelle sedimentate a livello di Istituto –, evitando di assumere i tradizionali approcci autoreferenziali che separano rigidamente o contrappongono la leadership educativa al management.
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oggetto di ulteriori approfondimenti mediante l’analisi degli esiti delle osservazioni in situazione e dello studio di caso. Le scuole delle quali sono stati analizzati i documenti sono complessivamente 373; di queste 188 sono state analizzate durante la prima fase del tirocinio (il dato coincide con il profilo della popolazione poiché ciascun insegnante aveva il compito di analizzare la scuola di appartenenza), e 185 nella seconda fase (alcuni insegnanti non hanno portato a termine la seconda fase del tirocinio).Tra le scuole osservate troviamo rappresentati tutti gli ordini e gradi scolastici, con una prevalenza delle scuole secondarie di secondo grado (29.0%), seguite dalla scuola primaria (20.9%), dagli istituti comprensivi che raggruppano l’intero Primo ciclo di istruzione (17.2%) e dalla scuola dell’infanzia (3.2%). Le scuole sono distribuite sull’intero territorio nazionale con prevalenza del centro Italia (42.9%) e del sud e delle isole (34.9 %); seguono il nord est (10.7%) e il nord ovest (11.0%) e realtà di scuole italiane all’estero (0.5%). Le scuole hanno facilitato l’accesso ai documenti, tuttavia il 7% degli insegnanti afferma di aver incontrato problemi nell’ambito della scuola di appartenenza. 2.4 Analisi dei dati Le informazioni raccolte mediante il questionario A (scuola di appartenenza) e il questionario B (scuola osservata) sono state codificate con gli stessi criteri e le stesse modalità (assegnazione etichette alle variabili, assegnazione valori alle modalità, controllo dei dati, arrotondamenti dei valori decimali, trattamento valori mancanti, ecc.) e si è pervenuti alla costruzione di due distinte matrici dei dati, analoghe per struttura e di facile confronto. Le risposte date dagli intervistati alle domande aperte del questionario relative alla caratteristiche sociodemografiche (età anagrafica, anni di insegnamento) sono state aggregate e ricodificate in classi, con 5 modalità ciascuna; il dato relativo alla provincia nella quale i partecipanti svolgono il lavoro di insegnante è stato prima aggregato per regione e poi, prendendo a riferimento la classificazione Istat, per ripartizioni geografiche: nord ovest, nord est, centro Italia, sud e isole, con l’aggiunta della ripartizione “estero”. Conclusa la fase di costruzione delle due matrici dei dati per ciascuna di esse si è proceduto alla analisi monovariata prendendo in considerazione una sola variabile per volta mediante l’analisi della distribuzione di frequenza. Le informazioni sintetiche raccolte su alcune caratteristiche delle distribuzioni sono state approfondite ulteriormente mediante l’analisi bivariata con cui sono state messe in relazione alcune variabili principali (sesso, età, anni di insegnamento, ripartizione geografica, ordine e tipo di scuola), con le altre variabili generate dalle risposte date dagli insegnanti alle domande del questionario e relative alla loro percezione del Piano dell’Offerta formativa, del Programma annuale e della Contrattazione integrativa. Successivamente le due matrici dei dati sono state aggregate (la popolazione di riferimento sono le 373 scuole prese in considerazione per l’analisi dei documenti), e mediante l’analisi bivariata si è proceduto a mettere in relazione la variabile contesto (nelle due modalità: “scuola di appartenenza” e “scuola osservata”) con le altre variabili generate dalle risposte date dagli insegnanti alle domande del questionario e relative alla loro percezione dei tre documenti organizzativi dell’autonomia. L’analisi statistica delle relazioni fra le variabili esaminate si è basata principalmente sull’esame delle distribuzioni di frequenza congiunte, coerentemente con la finalità e gli obiettivi della ricerca, essenzialmente di tipo esplorativo e guidata da ipotesi operative, e dunque da non sottoporre a controllo per osservarne la direzione causale come nel caso ad esempio delle ipotesi sperimentali. Attraverso il calcolo del coefficiente di correlazione lineare di Pearson si è cercato di conoscere e misurare la forza della relazione esistente tra Piano dell’offerta formativa, Programma annuale e Contrattazione integrativa. Le risposte fornite dagli intervistati alle domande aperte relative alla indicazione di eventuali questioni
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rilevanti per la formazione presenti nei Documenti analizzati, ma non contemplati dai “descrittori” proposti, sono state lette e sono state individuate delle categorie semantiche in cui classificarle e codificarle. Le risposte fornite dagli insegnanti alle domande aperte, relative alla indicazione degli elementi di forza e agli eventuali elementi di criticità dei Documenti presi in esame, sono state sottoposte all’analisi del contenuto attraverso cui sono stati individuati concetti chiave e unità tematiche (Krippendorff, 1980). Nella procedura di codifica delle informazioni e di elaborazione dei dati3 è stato utilizzato il programma statistico IBM SPSS, (Statistical Package for the Social Sciences), versione 18.0.
3. Risultati In particolare, nell’esposizione degli esiti più rilevanti dell’indagine, sono affrontate diverse questioni: l’attenzione dedicata ai diversi livelli di progettazione (educativa, extracurricolare, curricolare e organizzativa); i punti di forza e di criticità del Piano dell’offerta formativa e la sua effettiva capacità di favorire l’acquisizione di competenze e di facilitare il raggiungimento dei traguardi formativi; l’esito del confronto tra i giudizi espressi dagli insegnanti in merito al Piano dell’offerta formativa, al Programma annuale e alla Contrattazione integrativa; l’effettiva capacità dei documenti di concorrere a caratterizzare e rendere operativa l’autonomia scolastica; il grado di coerenza dei documenti e la forza della loro relazione reciproca. 3.1 Il Piano dell’offerta formativa Dall’analisi delle risposte date dagli insegnanti emerge che le scuole nell’illustrare le loro differenti progettazioni (educativa, extracurricolare, curricolare e organizzativa), pongono maggiore attenzione a quella educativa e a quella extracurricolare mentre sono meno esaustive nell’esplicitare i criteri ed i contenuti della progettazione curricolare e organizzativa. In sintesi emerge, tra l’altro, che, a parere degli insegnanti: • i Pof delle scuole sono coerenti con gli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale; • i documenti fondamentali dell’autonomia scolastica appaiono ben integrati tra loro; • l’autonomia ha permesso di estendere e ampliare l’offerta formativa soprattutto in favore degli alunni; • i Pof dedicano scarsa attenzione alla progettazione di iniziative in favore degli adulti o destinate ai genitori degli alunni, alla determinazione della quota nazionale del curricolo con la precisazione dei limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività; • i Pof evidenziano alcune aree critiche relativamente ai temi della valutazione sia interna che esterna del servizio di istruzione e formazione. La tabella 2 rappresenta il ritardo accumulato dalla scuola nei riguardi di tutte le dimensioni valutative. Scuole e insegnanti sembrano avere maggiore familiarità con la valutazione degli alunni (85.7%) e con l’autovalutazione (72.5%), ma il calo delle frequenze riferito alla restituzione degli esiti delle valutazione sia agli alunni che alle famiglie (62.3%) testimonia
3 Hanno collaborato nella fase di elaborazione e interpretazione dei dati il Prof. Giuseppe Bove e nella fase di registrazione dei dati Stella Morgante.
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un disagio o una incapacità di dare senso e significato all’esperienza valutativa che per essere formativa va comunicata nei modi e nei tempi opportuni ai soggetti interessati. Inoltre l’adesione alle iniziative di valutazione esterna ritenute obbligatorie è messa in discussione così come la rendicontazione pubblica (accountability) delle scelte effettuate.
Esplicita i criteri e le modalità di verificavalutazione degli alunni Prevede l’attivazione di iniziative di autovalutazione a livello di istituto Esplicita i tempi e le modalità di restituzione degli esiti delle verifiche agli alunni e alle famiglie Prevede l’adesione volontaria a iniziative nazionali di monitoraggio e verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento (Invalsi, Miur,ecc) Stabilisce azioni di verifica e di rendicontazione pubblica delle scelte effettuate Prevede iniziative di valutazione esterna del servizio scolastico
Quest. A Scuola di appartenenza (%) 81.7
Quest. B Scuola osservata (%) 89.8
Totale Quest. A e B (%) 85.7
68.3
76.8
72.5
50.8
74.7
62.3
54.0
75.0
63.9
38.2
69.2
53.1
26.9
41.5
33.8
Nota: le percentuali sono relative alle opzioni “decisamente sì” e “più sì che no”.
Tab. 2: Punti di vista sull’esplicitazione nei Pofdeidei processi di verifica e di valutazione processi di verifica e di valutazione.
La tabella 3 riporta l’analisi delle risposte libere degli insegnanti relative agli elementi di forza e di debolezza del Pof delle scuole di appartenenza e delle scuole osservate. Le risposte sono state analizzate con riferimento ad alcuni concetti chiave – identità, contesto, ambiente, progettazione, programmazione, progetto didattico, collegialità, integrazione, individualizzazione, laboratorio, competenze, unità didattica, valutazione – che alcuni autori considerano irrinunciabili per definire un mini vocabolario empirico del Pof (Frabboni, 2000;Valentino 2000). Le parole chiave risultate più funzionali per individuare gli elementi di forza dei differenti contesti scolastici esaminati, tenendo conto dei sinonimi e dei riferimenti diretti e indiretti, sono nell’ordine: progettazione/programmazione/progetto didattico; contesto/ambiente; identità; integrazione e laboratorio.Viceversa le parole chiave che consentono di individuare nelle risposte degli insegnanti le unità tematiche relative agli elementi di debolezza della scuola dell’autonomia sono nell’ordine: valutazione; identità (anche elemento di forza); collegialità e curricolo. I riferimenti ai concetti chiave “Individualizzazione/Unità didattica”, rispetto agli altri, si collocano in modo equilibrato sia tra gli elementi di forza, sia tra gli elementi di debolezza del Pof.
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Ricerche – Qualità e valutazione
Parole chiave Identità
Contesto/ Ambiente Progettazione/ Progetto didattico/ Programmazione Collegialità
Pof - Elementi di forza Scuola di Scuola Osservata appartenenza (n. 172) (n. 184) -Funzione identitaria -Funzione identitaria delle scelte educative, delle scelte educative, didattiche e curricolari didattiche e curricolari (26) (24) -Macroprogetti, -Condivisione (6) sfondo comune (10) -Apertura -Apertura legami solidi (40) legami solidi (22) - EELL, Regioni, -EELL, Regioni, Assoc.,Aziende .. (17) Assoc.,Aziende… (31) -Ampia quella -Coerenza extrascolastica (40) chiarezza (14) - reti, partenariati (23) -reti, partenariati (11) -Leadership diffusa (6) -Avvio Dipartimenti (4)
-Leadership diffusa (4) -Relazioni positive (2)
Integrazione
-Integrazione immigrati, disabili, DSA (28) -Prevenzione dispersione 10
Individualizzazione/ Unità didattica
-Flessibilità (10) -Strategie diversificate (8)
Laboratorio
- Riferimenti ai diversi tipi di laboratorio (31) -Sviluppo comp. di L2 (6) -Comp. comunicative (3) -Autovalutazione istituto (5)
-Accoglienzaintegrazione stranieri (6) -Accoglienza integrazione disabili (6) Metodologie d’insegnamento diversificate (10) -Uso tecnologie (5) -Riferimenti ai diversi tipi di laboratorio (9) -Ampliamento comp. disciplinari (9) -Formazione docenti e Ata (6) -Autovalutazione istituto (8) -Uso questionari di customer satisfaction (7)
Competenze
Valutazione
-Prove comuni per classi e studenti (4) Curricolo
TestoDocumento Elementi assenti
-Curricolo unitario (5) -Distinzione quota locale e nazionale (1) - Chiaro e comprensibile (24) - Consultabile anche online (17) (12)
Continuità verticale di progetti e valutazione (6) - Consultabile anche online (15) - Chiaro e comprensibile (13) (1)
Pof - Elementi di debolezza Scuola di Scuola Osservata appartenenza (n. 172) (n. 184) -Scarsa -Problemi condivisione (21) connessi al -Problemi dimensionamento (8) connessi -Scarsa dimensionamento (6) condivisione (4) -Scarsa apertura (8) -Autoreferenzialità (6) -Scarsa analisi bisogni (10) -Progettazione extrascolastica (7) -Scarsa partecipazione (18) -Scarse occasioni per riflettere (6) -Scarsa attenzione integrazione stranieri (4)
-Scarsa flessibilità (18) -Didattica frontale (9) - Riferimenti ai diversi tipi di laboratorio (6) -Scarsa formazione docenti e Ata (7) -Comp. inadatte per il futuro (3) Carenza/assenza autovalutazione istituto (29) -Assenza/carenza val. e rendicontazione esterna (22) -Poca trasversalità (8) -Curricolo verticale carente (7) -Non esaustivo (12) -Poco pubblicizzato e poco accessibile (10) (17)
-Insufficiente confronto con EELLL (7) -Scarsa apertura (3) Rigidità orario settimanale (6) -Scarsa Partecipazione (7) -Scarsa attenzione integrazione stranieri (3) -Scarsa prev. dispersione (2) -Rigidità orario settimanale (8) -Scarso uso tecnologie (2) -Scarsa formazione dei docenti (3) -Carenza/assenza autovalutazione istituto (20) -Assenza/carenza val. e rendicontazione esterna (7) -Curricolo verticale carente (9) -Carenza iniziative per adulti (2) -Poco pubblicizzato e poco accessibile (14) -Schematico e sintetico (4) (15)
Nota: la tabella riporta tra parentesi, per ciascuna parola chiave, il numero delle occorrenze delle due unità tematiche più ricorrenti quando presenti.
T
Tab. 3: Punti di forza e punti di debolezza dei Pof - Analisi delle risposte libere
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
3.2 Documenti caratterizzanti l’autonomia a confronto: Piano dell’offerta formativa, Programma annuale e Contrattazione integrativa Si è già detto che agli insegnanti sono state rivolte tredici domande riguardanti tutti e tre i documenti esaminati. Nella tabella 4 è descritto in che misura, sulla base dell’analisi effettuata dagli insegnanti iscritti al Master, le scuole dichiarano nei loro documenti quanto indicato nei descrittori sottesi alle tredici domande comuni. A tale scopo sono stati sommati i due valori più alti della scala a quattro livelli: decisamente sì e più sì che no. Nella valutazione degli insegnanti trova conferma il dato della positiva integrazione tra documenti (97.0%) accompagnato dalla coerenza rilevata dei documenti con gli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale (96,2%). I documenti riflettono (quarta posizione) sia le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale (82.4%) che della realtà nazionale ed europea (settima e ottava posizione). Uno scarto in termini di posizioni si nota nella capacità di prevedere i necessari rapporti da attivare con gli Enti Locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio. In tale caso a fronte della sesta posizione registrata per il Pof e per il Programma annuale, la Contrattazione è confinata più in basso, in decima posizione. La domanda “Stabilisce azioni di verifica e di rendicontazione pubblica delle scelte effettuate”, infatti, fa registrare frequenze di risposta che la collocano all’ultimo posto (Pof) o al terz’ultimo (Programma annuale e Contrattazione integrativa) della graduatoria complessiva. Nel caso della Contrattazione l’undicesima posizione dipende probabilmente dal fatto che i criteri utilizzati nella formalizzazione degli accordi non sono resi noti ai lavoratori interessati. La lettura dei dati disaggregati indica sempre il prevalere da parte degli insegnanti di un giudizio più benevolo nei confronti della scuola osservata rispetto a quella di appartenenza. Relativamente al Pof lo scarto in termini percentuali tra il giudizio espresso con il questionario A (scuola di appartenenza) e con il questionario B (scuola osservata) è sempre favorevole alla scuola osservata soprattutto in risposta alle seguenti domande: “Predisposto con la partecipazione di tutte le componenti scuola (+39.9%, 58.8% contro 98.7%); “Stabilisce azioni di verifica e di rendicontazione pubblica delle scelte effettuate (+31.0%, 38.2% contro 69.2%); “Ha tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e per le superiori anche degli studenti” (+26.1%, 60.4% contro 86.5%); “Favorisce l’attività professionale dei docenti attraverso modalità organizzative che sono espressione della libertà progettuale della scuola” (+22.6%, 70.0% contro 92.6%); “Favorisce l’attività professionale dei docenti attraverso modalità organizzative che sono espressione della libertà progettuale della scuola” (+22.4%, 72.0% contro 94.4%). Lo scarto minore è riferito alle domande “Prevede ampliamenti dell’offerta formativa in favore degli alunni” (+1.5%, 96.2% contro 97.7%);“È coerente con gli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale” (+1.6%, 98.4% contro 100%).
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Ricerche – Qualità e valutazione
Quest. A Scuola di appartenenza (%)
Predisposto con la partecipazione di tutte le componenti scuola È coerente con gli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale È coerente con gli altri documenti fondamentali esaminati nelle attività di tirocinio Riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale Riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà nazionale ed europea Prevede i necessari rapporti da attivare con gli Enti Locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio Ha tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e per le superiori anche degli studenti Assicura la realizzazione di iniziative di recupero, sostegno, continuità e di orientamento coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli Enti Locali Stabilisce azioni di verifica e di rendicontazione pubblica delle scelte effettuate Definisce i modi in cui renderlo pubblico e/o diffonderlo Prevede ampliamenti dell’offerta formativa in favore degli alunni Favorisce l’attività professionale dei docenti attraverso modalità organizzative che sono espressione della libertà progettuale della scuola Favorisce l’adozione e l’utilizzazione di metodologie e degli strumenti didattici, ivi compresi i libri di testo, con criteri di partecipazione nelle scelte e con tempestività
Quest. B Scuola osservata (%)
Totale Questionari AeB (%)
Pof
Program ma annuale
Contratt tazione di Istituto
Pof
Program ma annuale
Contrat tazione di Istituto
Pof
Program ma annuale
Contratt tazione di Istituto
58.8
56.7
87.2
98.7
87.3
90.4
98.4
96.2
96.2
99.2
100
96.2
78.2 10° 99.2 1°
71.4 10° 98.2 2°
86.4 6° 96.2 2°
94.6
96.8
96.2
99.4
100
97.8
97.0 3°
98.4 1°
97.0 1°
88.8
87.2
81.9
98.3
98.9
92.8
93.4 4°
93.0 4°
87.4 4°
79.1
79.0
75.3
93.8
93.9
88.2
86.3 7°
86.3 7°
81.7 8°
81.8
80.1
55.9
96.1
93.4
78.9
88.9 6°
86.7 6°
67.3 10°
60.4
55.1
38.5
86.5
81.6
67.1
72.7 11°
67.4 11°
51.9 13°
87.2
83.8
78.1
97.2
91.6
87.9
92.0 5°
90.4 5°
82.9 7°
38.2
57.6
59.3
69.2
80.0
65.0
53.1 13°
63.8 11°
65.0 11°
60.2
44.7
62.8
78.2
63.8
74.7
96.2
91.9
83.9
97.7
98.3
92.2
72.0
77.4
80.9
94.4
95.1
86.5
69.2 12° 97.0 2° 81.0 8°
52.4 13° 95.2 3° 86.2 8°
68.7 9° 88.0 3° 86.5 5°
70.0
67.2
47.8
92.6
87.7
71.6
81.0 8°
77.0 9°
59.0 12°
Note: le percentuali sono relative alle opzioni “decisamente sì” e “più sì che no”; le ultime tre colonne nella parte destra della tabella riportano l’ordine di importanza dei descrittori.
Tab. 4 : Punti di vista sull’esplicitazione nei Pof, nei Programmi annuali e nelle Contrattazioni integrative degli aspetti che caratterizzano l’autonomia scolastica
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Mediante l’ultima domanda del questionario si è chiesto agli insegnanti di indicare, attraverso la scelta di un valore minimo di 1 e uno massimo di 10, in che misura, a loro parere, i documenti analizzati, potessero effettivamente concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia dell’istituzione scolastica interessata. Il documento ritenuto maggiormente utile è il Piano dell’offerta formativa (84.1%), seguito dal Programma annuale o Bilancio (79.0%) e dalla Contrattazione integrativa (76.4%). Lo stesso ordine di graduatoria si riscontra sia in relazione alla scuola di appartenenza sia a quella osservata (Tab. 5). I valori della scuola osservata sono sempre più alti e confermano il maggiore atteggiamento critico che i docenti hanno nei confronti della propria scuola. Tuttavia anche in questo caso i dati rilevati manifestano un andamento analogo, che è indipendente dal contesto scolastico. Colpisce in particolare la difficoltà di praticare la contrattazione in modo funzionale e coerente con la pratica dell’autonomia e che tale considerazione è particolarmente evidente nel contesto che più si conosce direttamente (69.8%).
Piano dell’offerta formativa Programma annuale (Bilancio) Contrattazione integrativa
Questionario A Scuola di appartenenza (%) 78.0 71.4 69.8
Questionario B Scuola osservata (%) 90.5 86.4 83.1
Totale Questionari AeB (%) 84.1 79.0 76.4
Nota: le percentuali sono relative ai punteggi 8, 9 e 10 (1 valore minimo, 10 valore massimo).
Tab. 5: Punti di vista degli insegnanti sulla capacità dei Pof, dei Programmi annuali e delle Contrattazioni integrative di caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
Va segnalato che mentre tutti gli insegnanti esprimono il loro giudizio in merito al Pof, dimostrando di avere familiarità con i contenuti in esso trattati, quando sono chiamati a prendere in considerazione altri documenti ciò non accade. Riguardo la Contrattazione integrativa in tre casi (1.6%) pur riferendosi alla scuola di appartenenza si dichiarano non in grado di giudicare; in due casi (1.1%) accade anche in merito al Programma annuale. Gli insegnanti, mediante la scala proposta, esprimono un giudizio positivo sia complessivamente, sia separatamente per ciascun questionario, nei confronti della capacità del Pof, della Contrattazione integrativa e del Programma annuale di caratterizzare e a rendere operativa l’autonomia scolastica, seppure con una certa variabilità di punteggio. A tal proposito, possiamo osservare che a fronte di una media della distribuzione dei punteggi assai simile, la deviazione standard (DS) assume valori diversi (Tab. 6). Il valore della DS è sempre più alto quando i docenti sono invitati ad esplicitare in che misura ritengono che il Piano dell’offerta formativa, il Programma annuale e la Contrattazione integrativa concorrano a caratterizzare e a rendere operativa la pratica dell’autonomia nell’ambito della proprio ambiente di lavoro. Quando invece gli insegnanti sono invitati ad esprimere lo stesso giudizio riferendolo ai tre documenti elaborati dalla scuola osservata, allora i valori della DS diminuiscono testimoniando in questo modo una distribuzione più omogenea dei giudizi espressi, con valori assunti dalla DS rispettivamente: di 1,45 contro 1,06 per il Piano dell’offerta formativa; di 1,49 contro 1,10 per il Programma annuale. I giudizi relativi alla Contrattazione integrativa presentano le DS con i valori più alti (1,56, per la scuola di appartenenza e 1,41 per la scuola osservata) ma sono anche quelli che registrano lo scarto minore tra i valori delle rispettive deviazioni standard (0.15).
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Ricerche – Qualità e valutazione
Questionario A Scuola di appartenenza In che misura ritiene che il Pof può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia In che misura ritiene che il Programma annuale può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia In che misura ritiene che la Contrattazione integrativa può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
Questionario B Scuola osservata
Totale Questionari AeB
Media
N
DS
Media
N
DS
Media
N
DS
8,36
186
1,45
8,72
178
1,06
8,54
364
1,28
8,23
186
1,49
8,56
185
1,10
8,39
371
1,32
7,96
182
1,56
8,38
183
1,41
8,17
365
1,50
Tab. 6: Punti di vista degli insegnanti sulla capacità dei Pof, dei Programmi annuali e delle Contrattazioni integrative di caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia Calcolo della deviazione standard (DS)
Tra Piano dell’offerta formativa, Programma annuale (Bilancio) e Contrattazione integrativa c’è una relazione reciproca evidenziabile attraverso un’analisi di correlazione tra i punteggi espressi (Tab. 7). La concordanza dei giudizi forniti dai docenti quando valutano il Piano dell’offerta formativa e il Programma annuale è molto forte (r = 0,713), ma diventa bassa quando valutano il Programma annuale e la Contrattazione integrativa (r = 0,251), e molto! bassa quando valutano il Piano dell’offerta formativa e la Contrattazione integrativa (r = 0,156). ! !
In che misura ritiene che il Pof può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia In che misura ritiene che il Programma annuale può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia In che misura ritiene che la Contrattazione integrativa può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
In che misura ritiene che il Pof può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
In che misura ritiene che il Programma annuale può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
In che misura ritiene che la Contrattazione integrativa può concorrere a caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia
Pearson Correlation Sig. 2-tailed
1
,713** ,000
N
364
363
Pearson Correlation Sig. 2-tailed
,713** ,000
1
,251** ,000
N
363
371
368
Pearson Correlation Sig. 2-tailed
,156** ,003
N
361
,251** ,000 368
,156** ,003 361
1
369
** la correlazione è significativa al livello 0,01
Tab. 7: Punti di vista degli insegnanti sulla capacità dei Pof, dei Bilanci e delle Contrattazioni integrative di caratterizzare e rendere operativa la pratica dell’autonomia - Correlazioni (r)
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
5. Discussione La discussione dei risultati tiene conto dei limiti della ricerca, essenzialmente di tipo esplorativo, le cui evidenze potranno essere ulteriormente approfondite con le analisi di caso svolte nella fase B del tirocinio. Per quanto riguarda lo scopo della ricerca, quello di rilevare, a dieci anni circa dal suo avvio, lo stato di attuazione dell’ autonomia scolastica, attraverso il punto di vista di un campione di insegnanti frequentanti un Master universitario, possiamo cogliere alcuni tratti del processo in corso, su cui è opportuno riflettere per sviluppare ulteriormente l’autonomia scolastica nelle sue dimensioni: didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Nella fase di avvio dell’autonomia scolastica si è prevalentemente operato ampliando l’offerta formativa e promuovendo un crescente numero di progetti; tale arricchimento dell’offerta non sempre ha contribuito ad innalzare la qualità dell’istruzione e migliorare l’apprendimento, tuttavia sembra aver consentito alle scuole di rispondere alle esigenze del contesto e di costruirsi una propria identità culturale e progettuale riconoscibile. La presente indagine conferma che nonostante l’ampia autonomia didattica e organizzativa di cui hanno potuto disporre le scuole italiane, i livelli di apprendimento degli studenti non sono cresciuti (TALIS-OECD, 2009; Cavalli, Argentin, 2010; OECD, 2010a, 2010b; Asquini, 2011; Hanushek et al., 2011), ma nel contempo segnala che non pochi degli attuali spazi e strumenti di esercizio dell’autonomia risultano inadeguati o insufficienti. La ricerca evidenzia alcune criticità relative alla “qualità complessiva” delle azioni intraprese dalle scuole, considerato che alcune delle competenze ritenute fondamentali per continuare ad apprendere per tutto il corso della vita, a giudizio degli insegnanti, non sembrano perseguite con determinazione o comunque paiono non rappresentare come dovrebbero la mission delle scuole autonome. L’estensione quantitativa dell’offerta formativa e la moltiplicazione del numero dei progetti, infatti, rappresentano due processi più orientati a perseguire finalità extracurricolari, genericamente educative e socializzanti, che iniziative rivolte a qualificare il curricolo centrandolo sulle competenze e in una prospettiva verticale, scelte indispensabili per migliorare la qualità della didattica ordinaria. La maggiore consapevolezza degli attori, a partire da quelli interni, i docenti, dovrebbe alimentarsi di contesti educativi che favoriscono la circolazione delle informazioni e sollecitano il confronto soprattutto nelle fasi di predisposizione e revisione dei documenti di programmazione scolastica, ritenendole precondizioni indispensabili che le scuole dovrebbero garantire. Nella realtà, invece, accade che il ritardo o l’impedimento all’accesso dei documenti di programmazione scolastica si registra ovunque, ma soprattutto nella scuola di appartenenza, rispetto alla quale gli insegnanti esprimono giudizi più severi. Dalla analisi degli strumenti organizzativi dell’autonomia è confermata la necessità di motivare gli insegnanti e di coinvolgerli direttamente e pienamente nei processi di innovazione investendo sulla formazione in servizio e sullo sviluppo professionale, elementi questi oggi assai carenti. Tale evidenza andrebbe tenuta presente ogni qualvolta si affronta la questione, pure importante, delle carenze riscontrate nella “gestione autonoma delle risorse umane” e in particolare “della scelta del personale” (Euridyce, 2008). È infatti auspicabile che l’attenzione per la motivazione preceda sempre e accompagni quella per la semplice “gestione delle risorse umane” . Per quanto riguarda l’obiettivo generale gli esiti della ricerca presentano un quadro articolato con alcune linee di tendenza ben definite. Gli insegnanti in quanto esperti non si limitano a leggere i documenti interpretandoli come atti formali o burocratici, ma lo fanno tenendo conto della loro personale esperienza professionale, con la consapevolezza di confrontarsi con dispositivi che tutti considerano strategici perché capaci di esplicitare sia alla comunità
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Ricerche – Qualità e valutazione
interna alla scuola che alla più ampia comunità sociale quelli che sono i tratti più rilevanti della identità educativa, culturale e progettuale della scuola autonoma. Il Pof è effettivamente identificato come il principale documento-connettivo a vocazione intertestuale (Latour, 2002; Landri, 2002, 2004, 2009; della Ratta-Rinaldi, Ricotta, 2008), utilizzato dalle scuole per integrare, ordinare e dare senso a discorsi che devono tradursi in decisioni e azioni concrete e coordinate. A giudizio degli insegnanti il Piano dell’offerta formativa, pur non essendo esaustivo di tutte le attività svolte dalla scuola, nel complesso esplicita ampiamente i diversi tipi di progettazione previsti dal DPR 275/1999, con attenzione particolare rivolta alla progettazione educativa ed extracurricolare rispetto a quella curricolare ed organizzativa. Attraverso l’analisi delle risposte date alle domande chiuse ed aperte del questionario sono state individuate alcune dimensioni che sembrano caratterizzare positivamente l’autonomia scolastica e che a giudizio degli insegnanti rappresentano gli elementi di forza dei Pof: la coerenza con gli obiettivi educativi nazionali; la coerenza con gli altri documenti; l’ampliamento dell’offerta formativa; l’individuazione delle funzioni strumentali coerentemente con le progettazioni effettuate; l’aderenza alle esigenze della realtà locale; la realizzazione di iniziative di recupero, sostegno, continuità e orientamento; lo sviluppo della cultura di rete attraverso la stipula di convenzione ed accordi; l’utilizzo delle tecnologie innovative. Gli elementi individuati, alla luce dei contesti di lavoro che i docenti conoscono più approfonditamente, potrebbero rivelarsi più limitati di quanto possano apparire a seguito di una prima e breve osservazione; tuttavia la rilevanza strategica di questi pochi dati ci consente non solo di apprezzare alcuni punti di forza del processo di autonomia, ma ci permette anche di continuare a nutrire fiducia nei confronti delle potenzialità future di tale processo. Infatti, a fronte di una discussione formale verificatasi nell’ambito della Commissione a suo tempo incaricata di elaborare le Indicazioni per il curricolo nel corso della quale i partecipanti non hanno trovato il necessario consenso attorno al termine “nazionali” per connotare i contenti delle Indicazioni, è molto incoraggiante il dato secondo il quale i Pof delle scuole appaiono coerenti con gli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale e nel complesso sono coerenti e ben integrati con gli altri documenti fondamentali dell’autonomia scolastica che sono in grado di riportare a sintesi e coerenza. In una delicata fase storica del nostro Paese in cui si ripresentano costantemente spinte localistiche e tendenze alla frammentazione delle politiche, questa positiva rilevazione, che non poteva darsi per scontata, andrebbe valorizzata per la sua capacità di contribuire a creare quelle precondizioni ritenute indispensabili per fare sistema e per orientare gli attori sociali interessati al processo di autonomia scolastica nella direzione di una maggiore assunzione di responsabilità. Tra i punti di forza del Pof si sottolinea anche la soddisfazione di aver raggiunto per mezzo dell’autonomia l’obiettivo quantitativo di estendere l’offerta formativa soprattutto in favore degli alunni. Tuttavia molti di tali progetti hanno registrato una scarsa integrazione con il curricolo e non hanno modificato le tradizionali modalità di progettazione e organizzazione della didattica ordinaria (Cavalli, Argentin, 2010). Attraverso l’analisi delle risposte date alle domande chiuse ed aperte del questionario sono state individuate alcune dimensioni che sembrano caratterizzano in maniera critica l’autonomia scolastica e che a giudizio degli insegnanti rappresentano gli elementi di debolezza dei Pof: la mancata previsione di valutazioni esterne del servizio; la mancata individuazione dei criteri per il recupero dei debiti scolastici; la previsione di forme di progettazione rivolte agli adulti; la determinazione del curricolo; l’individuazione di criteri per il riconoscimento dei crediti formativi. Per quanto riguarda l’area più critica, quella relativa alla valutazione (Bottani, 2003), possiamo osservare che in generale è la cultura della valutazione che fatica a diffondersi nelle scuole. Nei confronti della valutazione esterna c’è un diffuso sentimento di fastidio e persino di ostilità da parte di molti insegnanti e dirigenti
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scolastici. La valutazione esterna è considerata invasiva, è subita e raramente è auspicata. L’atteggiamento di chiusura dimostrato da alcuni dirigenti scolastici che hanno ostacolato, o negato agli insegnanti l’accesso ai documenti, si alimenta di un contesto generale in cui la cultura della valutazione e dell’autovalutazione, soprattutto di tipo bottom-up è ancora poco diffusa ed è vista con diffidenza da molti insegnanti e da una parte considerevole di dirigenti scolastici (Schratz, Jakobsen, MacBeath, Meuret, 2003; Castoldi, 2008; Cavalli, Fischer, 2012). Nonostante gli anni trascorsi dall’avvio dell’autonomia, le scuole mantengono una sostanziale autoreferenzialità e sviluppano con troppa lentezza la propria cultura valutativa, che fatica a mettere al centro la rendicontazione pubblica. Coesistono differenti modalità di rendicontazione pubblica (accountability) delle scelte effettuate, alcune più orientate alla ricerca del consenso interno o esterno, altre invece effettivamente finalizzate a rendere conto alla comunità esplicitando pubblicamente il senso delle scelte compiute e la qualità degli esiti raggiunti (Eurydice, 2007; Barzanò, 2008; Moretti, 2009). Per quanto riguarda gli obiettivi specifici della ricerca emergono alcune evidenze assai interessanti. Nella valutazione degli insegnanti del Programma annuale e della Contrattazione trova conferma il dato della positiva integrazione tra documenti accompagnato dalla loro coerenza in relazione agli obiettivi generali ed educativi determinati a livello nazionale. La ricerca, evidenzia, in parziale controtendenza con quanto rilevato da alcune indagini (ad es. CNEL, 2007), la difficoltà che le scuole incontrano nell’avvalersi della contrattazione per favorire quelle soluzioni concertate in grado di rendere più flessibile l’organizzazione del lavoro. La ricerca evidenzia inoltre che a giudizio degli insegnanti il Piano dell’offerta formativa, il Programma annuale e la Contrattazione integrativa sono documenti coerenti nei contenuti ed efficaci nel caratterizzare, rendendola operativa, l’autonomia scolastica. In particolare, ciò emerge con una forte concordanza di giudizio quando gli insegnanti valutano il Piano dell’offerta formativa e il Programma annuale, ossia se un docente esprime un punteggio elevato (o basso) lo fa su entrambi i documenti. Tale concordanza si attenua quando si considerano gli altri confronti, per cui, ad esempio, si verifica spesso che un docente esprima un punteggio elevato sul Pof e basso sulla Contrattazione integrativa o viceversa. Queste evidenze, che confermano la opportunità di integrare tra loro, in misura sempre maggiore, gli aspetti progettuali con quelli organizzativi e gestionali, sono in linea con le argomentazioni di quanti auspicano che i dirigenti scolastici siano al tempo stesso leader educativi e manager (Earley, Bubb, 2004; Barzanò, 2008; Domenici, Moretti, 2011). Non solo, ciò significa anche che tali competenze di leadership educativa e di management devono essere diffuse e valorizzate nell’ambito della istituzione scolastica per favorire al massimo l’integrazione tra obiettivi di apprendimento, finalità educative e ottimizzazione delle risorse umane e materiali disponibili. Nella stesura del Piano dell’offerta formativa, del Programma annuale e della Contrattazione integrativa, documenti che caratterizzano l’autonomia scolastica, è indispensabile dunque la collaborazione attiva di tutti gli attori coinvolti nella scuola, e tra questi, in primo luogo, quella degli insegnanti. Tenendo conto degli esiti della indagine possiamo affermare che per molti insegnanti il processo di autonomia è stato fin qui ancora poco partecipato e ha rappresentato un progressivo accumularsi di tensioni e di contraddizioni spesso rimaste irrisolte che sembrano determinare una visione ipercritica nei confronti del proprio contesto lavorativo. Questo esito merita di essere approfondito con ulteriori ricerche perché uno degli obiettivi auspicati dell’autonomia scolastica è quello di far crescere il senso di identità delle scuole e il senso di appartenenza degli insegnanti alla propria scuola (Sergiovanni,1994;Valentino, 2000; Castoldi, 2008; Moretti, 2009). L’indagine nel complesso pare confermare, nell’ambito dei percorsi di formazione e ricerca, la rilevanza che può assumere, quanto a riflessività e consapevolezza, la possibilità per l’insegnante di interpretare il ruolo di osservatore-esperto che conosce le dimensioni tecniche che entrano in gioco nella for-
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Ricerche – Qualità e valutazione
mulazione del proprio giudizio ed è in grado di percepirle anche attraverso una osservazione di breve durata (Schön, 1983; Geertz, 1988; Wenger, 1998; Gobo, 2003). Dalla ricerca, in sintesi, emergono alcuni contenuti e delle traiettorie utili per orientare la necessaria estensione delle osservazioni, con riferimento particolare: • ai modi in cui le scuole autonome costruiscono e ridefiniscono la propria identità culturale e progettuale, anche in riferimento ai processi di dimensionamento scolastico, di generalizzazione degli istituti comprensivi, di maggiore presenza nelle scuole di insegnanti con contratto di lavoro a tempo determinato; • alle condizioni che possono favorire i processi di rendicontazione pubblica delle scelte effettuate e dei risultati ottenuti a fronte della progressiva diminuzione dei fondi assegnati dallo Stato e alla crescita dei contributi finanziari provenienti dalle famiglie, dagli Enti Locali, dalle Regioni o dalle Associazioni; • ai modi in cui la facilitazione dell’accesso alla documentazione scolastica e la maggiore chiarezza e comprensibilità dei testi possa effettivamente favorire l’ampliamento dei processi di partecipazione attiva e consapevole da parte degli insegnanti, degli studenti e dei genitori degli alunni e più in generale di tutti gli attori sociali interessati; • alla necessità di monitorare e sottoporre a revisione le finalità e l’impostazione dei documenti organizzativi dell’autonomia o altri dispositivi ad essi collegati (ad es. il curricolo verticale, il Regolamento di contabilità); • ai modi in cui l’istruzione superiore e i Master possono diventare risorse strategiche per sviluppare in modo integrato competenze di leadership e di management, particolarmente utili nel processo di autonomia organizzativa, didattica, di ricerca e gestionale, che caratterizza il sistema di istruzione e formazione in Italia. Questa prima ricerca, indubbiamente merita di essere proseguita, ad esempio affiancando all’indagine a mezzo questionario lo strumento del case study da proporre in un certo numero di scuole: ciò renderebbe possibile una lettura approfondita dei contesti scolastici capace di combinare insieme la dimensione quantitativa con quella qualitativa. In questa direzione si prevede di arricchire e approfondire ulteriormente le evidenze raccolte con la presente ricerca mediante l’analisi dei casi effettuata nella fase B del tirocinio.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
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Ricerche
Qualità e valutazione
L’organizzazione universitaria: una ricerca sulla percezione degli studenti The university management: a research about students perception ANTONIO MARZANO Il sistema universitario ha messo e sta mettendo in campo tutta una serie di continue rimodulazioni dell’offerta a cui corrispondono coerenti azioni di valutazione dell’efficacia dei servizi offerti. Numerosi contributi di ricerca sottolineano come la dimensione soggettiva è un fattore centrale e determinante dal quale, soprattutto per quanto riguarda gli studenti, dipendono molti aspetti in termini di esiti formativi ed outcomes. L’articolo presenta le risultanze emerse da una ricerca condotta con studenti iscritti al Corso di laurea triennale in Scienze dell’Educazione della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno allo scopo di indagare sul modo in cui le percezioni e i significati attribuiti in funzione della personalità, dei bisogni e delle caratteristiche culturali degli studenti influiscono sul modo di rappresentare e, di conseguenza, vivere tale realtà.
University System has been developing continuous supply remodulations which correspond to coherent actions to assess the effectiveness of the services offered. Many research papers emphasize that the subjective dimension is a central and important element from which, especially with regard to students, many aspects in terms of learning outcomes depend.The article presents the results of a study conducted with students of Educational Sciences of the Faculty of Scienze della Formazione Primaria of University of Salerno to investigate how perceptions and meanings depending on the personality, needs and cultural characteristics of students, affect the way in which they represent and, consequently, live this organization.
Parole chiave: qualità, didattica, comunicazione, valutazione, organizzazione universitaria
Key words: quality, didactics, communication, evaluation, university management
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
1. Presentazione, ipotesi ed obiettivi Negli ultimi anni l’accento posto sull’articolazione del sistema accademico ha assunto sempre più centralità da parte delle singole università. Si è fatta strada una impostazione che, al fine di garantire l’efficacia sistemica del sistema formativo, guarda con sempre maggiore attenzione al processo oltre che al prodotto della formazione cercando di coinvolgere nel cambiamento i docenti, il personale tecnico-amministrativo, il management universitario. La questione qualità ha così acquisito un posto di grande rilievo all’interno di una visione di servizio dell’organizzazione universitaria; lo studente (e, di conseguenza, il servizio offerto) è diventato l’elemento centrale di riferimento: per fornire una preparazione basata su conoscenze idonee ad orientare all’azione entro specifici contesti e capace di soddisfare i bisogni soggettivi di formazione da un lato e, dall’altro, per andare incontro alle esigenze sempre più rigorose di un mercato del lavoro in continuo cambiamento. Al fine di rendere attuabili queste condizioni, il sistema universitario ha messo e sta mettendo in campo tutta una serie di continue rimodulazioni dell’offerta e dei processi organizzativi interni a cui corrispondono coerenti azioni di monitoraggio e valutazione dell’efficacia dei servizi offerti. Numerosi sono stati i contributi di ricerca volti ad esaminare, secondo diversi approcci e metodologie, i contesti universitari. Alcuni, secondo un approccio fenomenografico, hanno posto al centro delle indagini il ruolo che gioca l’esperienza soggettiva dello studente nel conseguimento degli esiti dell’apprendimento. “Phenomenography is focused on the ways of experiencing different phenomena, ways of seeing them, knowing about them and having skills related to them.The aim is, however, not to find the singular essence, but the variation and the architecture of this variation by different aspects that define the phenomena” (Walker, 1998, p. 26). L’analisi fenomenografica privilegia, quindi, un metodo d’indagine atto a sondare come le persone, in base alle loro esperienze, percepiscono ed apprendono aspetti del mondo reale, “out of common-sense considerations about learning and teaching” (Marton, 1986, p. 40). Altri (Canestrari, 1989; Sanavio, Galeazzi, Baracchini, 1993) hanno sottolineato i problematici aspetti di transizione e di adattamento che caratterizzano gli studi universitari individuando l’esistenza di eventi stressanti nella condizione psicosociale dei “giovani adulti”1 quali la scelta della Facoltà (in particolar modo nel rapporto tra progetto di vita professionale ed opportunità di lavoro), le diverse condizioni d’insegnamento e di apprendimento fra la scuola secondaria di II grado e l’università (il metodo didattico, la distanza docente-studente), l’ambiguità e la precarietà strutturale del ruolo di studente universitario. Altri ancora hanno indagato le varie forme di disagio psicologico vissute dagli studenti e le possibili iniziative volte a limitare/eliminare tale disagio attraverso l’organizzazione di servizi di counselling secondo specifiche aree d’intervento: la socializzazione, le relazioni affettive, lo sviluppo/potenziamento delle abilità di studio, la realizzazione professionale ed individuale (De Beni, Lis, Sambin, Trentin, 1997; Hyun, Quinn, Madon, Lustig, 2006; Armando et al., 2008). L’ambiente universitario costituisce un insieme integrato di valori, proibizioni, comportamenti, tecniche, con cui ciascuno entra in relazione più o meno coscientemente (Dortu, 1992). Diventa allora di rilevante importanza la qualità della complessiva esperienza personale
1 Con l’espressione “giovane adulto”, si vuole sottolineare, concordemente con i numerosi studi di psicologia dello sviluppo, come la struttura di personalità degli studenti universitari non possa essere riportata né a quella dell’adolescente, né a quella dell’adulto, rappresentando, invece, una fase evolutiva con scopi e modalità specifiche.
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Ricerche – Qualità e valutazione
e sociale che lo studente vive durante il periodo di studi/attività. Da ciò la necessità di realizzare, rispetto a tali temi, trasformazioni continue di natura organizzativa idonee a promuovere e sostenere attività concretamente orientate al miglioramento continuo della qualità (Venza, 2008). In tal senso, per quanto riguarda la situazione di apprendimento influenzata dall’interazione con le caratteristiche di ingresso degli studenti, il contesto e le prassi didattiche e valutative, di particolare interesse risultano essere le indagini svolte da Grimaldi (2001) e Semeraro (2006a; 2006b) che pongono come oggetto di indagine ed analisi, secondo un approccio multidimensionale, la valutazione della didattica e delle strutture universitarie, con il coinvolgimento di docenti e studenti. L’esigenza di un sostanziale miglioramento dell’offerta formativa rispetto alle esigenze dell’utenza viene anche evidenziato dalle indagini di Coggi (2004; 2005a; 2005b), Notti (2010) e Galliani et al. (2011). Ci riferiamo, in particolare, alle evidenze emerse dagli studi sulla percezione degli studenti della loro situazione di apprendimento per il miglioramento delle strategie di studio, motivazionali, organizzative e progettuali. Le linee di ricerca finora esposte sottolineano come la dimensione soggettiva, legata agli aspetti di vita vissuta nei contesti accademici di tutti gli attori coinvolti (studenti, docenti, ecc.), è e diventa un fattore centrale e determinante e dal quale, soprattutto per quanto riguarda gli studenti, dipendono molti aspetti in termini di esiti formativi ed outcomes. Se dunque l’università va considerata una costruzione psico-sociale complessa ed organizzativamente articolata, diventa significativo indagare sul modo in cui le percezioni e i significati attribuiti in funzione della personalità, dei bisogni e delle caratteristiche culturali degli studenti (Berger P.L., Luckmann, 1966; Arcuri, Castelli, 2000) influiscono sul modo di rappresentare e, di conseguenza, vivere tale realtà. La ricerca ha avuto come principale obiettivo quello di indagare l’efficacia dell’organizzazione universitaria nella percezione degli studenti iscritti al Corso di laurea triennale in Scienze dell’Educazione della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. L’efficacia di una organizzazione può essere definita come la capacità di identificare le dimensioni strategiche che sono in grado di soddisfare le richieste provenienti dalle domande soggettive di formazione dell’utenza (Miles, 1980; Kleemann, Richardson, 1985) in riferimento a determinati obiettivi (la mission dell’organizzazione). Partendo da questo assunto, sono state individuate e definite alcune categorie/dimensioni significative che, successivamente operazionalizzate, fossero in grado di rilevare in maniera valida ed attendibile la percezione degli studenti circa l’efficacia organizzativa di alcuni processi/attività. Nell’attuale panorama scientifico internazionale la questione risulta ampiamente affrontata nell’ambito di ricerche che condividono un modello partecipativo che assume, come principo di fondo, il coinvolgimento degli attori coinvolti nel processo (e non solo gli studenti) per il continuo miglioramento della qualità complessiva dei processi organizzativi e, conseguentemente, dell’offerta formativa (Berger, Milem, 1999; Graham, Gisi, 2000; Hyland, 2003;Titus, 2004; Kamuche, 2005).Tenendo conto di queste premesse, quindi, si è proceduto a costruire e validare un questionario con un duplice obiettivo: • rilevare le esigenze degli studenti, le criticità di natura organizzativa e gli eventuali nodi problematici così come da loro percepiti; • utilizzare le informazioni raccolte per avviare un graduale processo di miglioramento. Le opinioni degli studenti, naturalmente, rappresentano solo uno dei tanti punti di vista e come tali non possono esprimere e spiegare tutta la complessità del sistema università; “si tratta però di un punto di vista importante in quanto ci può fornire utili informazioni riguardo a se e come gli studenti percepiscano l’offerta formativa come una risorsa per la loro
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crescita professionale” (Grimaldi, p.103), quali possono essere le opportunità ed i punti di forza, quali i nodi critici ed i vincoli.
2. La descrizione della ricerca Nella fase esplorativa preliminare sono stati effettuati due focus group ai quali hanno partecipato complessivamente 17 studenti iscritti al I, al II e al III anno della laurea triennale in Scienze dell’Educazione. Le narrazioni/risposte sono state analizzate con il metodo dell’analisi induttiva, definendo delle unità di analisi e, successivamente, raggruppando le unità nelle seguenti categorie: organizzazione, didattica, lezioni, esami, rapporto con i docenti, aule, apparecchiature tecnologiche, biblioteca. Si riportano, di seguito, alcuni stralci significativi. “Le aule sono sempre piccole e strette, però almeno si sa dove si tiene un certo corso (insegnamento). Il problema è però sempre quello della trasparenza, anzi, della comunicazione…non sempre gli avvisi sono affissi in tempi e luoghi adatti. Parliamo, per esempio, del signore alla guardiola, non c’è mai e quando c’è non sa darci le indicazioni giuste, quelle cioè che ci servono per seguire gli spostamenti dei corsi che vengono continuamente cambiati”(6.N). […] inoltre, i corsi si accavallavano tra di loro a vantaggio della Magistrale dove gli studenti hanno la possibilità di seguire tutti i corsi […] senza parlare poi del proiettore che si blocca spesso interrompendo di continuo le lezioni”(2.M). “[…] al di là del materiale propriamente didattico, è un ottimo posto per studiare, ma il problema della biblioteca è che c’è poco controllo, voglio dire che gli spazi di studio potrebbero essere sufficienti, ma ogni volta che ho cercato di studiare lì, ho trovato le sedie occupati da libri e materiale vario senza che ci fosse nessuno che studiava […] manca personale specifico, ci si basa troppo sugli studenti del part-time” […] in Facoltà, poi è peggio, ci tocca studiare nei corridoi […] ” (1.S).
Sulla base del quadro di riferimento poco sopra delineato e tenendo conto dei dati emersi dai due focus group, sono state individuate le dimensioni che, operazionalizzate in affermazioni, hanno consentito la costruzione della prima versione di uno strumento denominato Questionario sulla percezione dell’organizzazione universitaria costituito da 37 item suddivisi in 5 sezioni. Il questionario, nella fase di collaudo, è stato somministrato nei mesi di aprile e maggio 2011 a 64 studenti iscritti al I, II e III anno dello stesso corso di laurea. L’analisi dei dati raccolti (comprensibilità delle domande, adeguatezza delle modalità di risposta, validità di contenuto, coerenza interna complessiva della scala) ha permesso di realizzare la versione definitiva del questionario che è costituita da una prima sezione (Informazioni generali) nella quale vengono richieste allo studente informazioni circa il genere, l’anno di corso, l’età, la residenza, la situazione lavorativa, il voto e il tipo di diploma di scuola secondaria di II grado,
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Ricerche – Qualità e valutazione
la media dei voti degli esami universitari sostenuti e il numero di crediti acquisiti; nelle quattro sezioni successive si chiede di esprimere, per ciascuna delle complessive 32 affermazioni, il grado di accordo su una scala a 10 punti con due ancoraggi agli estremi (1 corrispondente all’opinione “per nulla d’accordo”, 10 a “completamente d’accordo”) allo scopo di forzare i rispondenti a prendere posizione riguardo il comportamento espresso dall’item senza rifugiarsi nei punti intermedi. Al fine di evitare le cosiddette pseudo-opinioni è stata, inoltre, prevista la risposta “non so” (Fig. 1).
Fig. 1: La scala a 10 punti
Di seguito si descrivono analiticamente le 4 aree/sezioni. A. la scala, composta da 11 item, propone affermazioni che si riferiscono alle competenze didattiche, relazionali e comunicative dei docenti. Queste caratteristiche definiscono globalmente un profilo ideale del docente: disponibile ad approfondimenti ma anche chiaro ed attento nella presentazione dei contenuti disciplinari; capace di stimolare l’interesse, la curiosità e riflessioni critiche e di proporre collegamenti ed interconnessioni tra gli argomenti; un docente puntuale ed attento agli impegni presi (il rispetto degli orari di lezione e delle date degli appelli d’esame). Per tali motivi abbiamo definito la sezione con l’etichetta Docenti; B. gli 8 item della scala si riferiscono alla facilità di reperimento delle informazioni (soprattutto sulla pagina web di Facoltà) relative ai calendari delle lezioni e degli esami, ai recapiti e agli orari di ricevimento dei docenti, ai programmi di studio. Allo stesso tempo, si richiede una valutazione circa l’aggiornamento delle comunicazioni in forma tradizionale (le bacheche) e per via telematica (sito web). Alla sezione, è stata attribuita l’etichetta Comunicazione; C. la scala è composta da 8 item con le variabili relative alle caratteristiche delle aule didattiche (la comodità, la luminosità, la pulizia e l’ergonomicità delle postazioni individuali), alle dotazioni tecnologiche (funzionalità delle attrezzature tecnologiche ed efficacia degli impianti di amplificazione audio) e alla presenza di spazi adatti (silenziosi e comodi) allo studio individuale. Per tali motivi alla terza sezione è stata assegnata l’etichetta Strutture ed attrezzature; D. le 5 affermazioni della scala riguardano l’aspetto organizzativo (gli orari dei corsi, le date degli appelli, gli orari della segreteria-studenti e della biblioteca) legato alla fruizione di alcuni servizi all’interno del campus universitario di Salerno. La quarta sezione è stata definita con l’etichetta Servizi. Lo strumento, che si riporta in calce al contributo, è stato somministrato, al fine di produrre effetti sulla validità dei risultati, nello stesso periodo (la terzultima settimana del mese di ottobre 2011) a un campione accidentale di 315 studenti frequentanti il II e il III anno del Cdl in Scienze dell’Educazione pari al 38,1% della popolazione di riferimento (il 42,5% degli iscritti al II anno, il 33,5% degli iscritti al III anno). Le istruzioni sono state fornite in forma scritta sul frontespizio del questionario e, comunque, lette oralmente; prima della compilazione (la cui durata è stata di circa 15 minuti)
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sono stati inoltre comunicati in maniera dettagliata gli scopi della ricerca e forniti, in qualche caso, ulteriori dettagli sul compito da svolgere. Sulla base dei dati registrati nella prima sezione (Informazioni generali), di seguito si riportano alcune delle caratteristiche degli studenti coinvolti. Il primo dato che emerge è la forte prevalenza del genere femminile su quello maschile (Tab. 1). Le percentuali sono in accordo con quelle che storicamente testimoniano l’alto numero di iscritti di genere femminile alle facoltà umanistiche. In sintesi:
Maschi Femmine Totale (N)
Iscritti II anno 6.1 93.9
Iscritti III anno 5.9 94.1
Campione II anno 2.8 97.2
Campione III anno 4.5 95.5
100 423
100 403
100 180
100 135
Tab. 1: Studenti del campione
Nella tabella che segue (Tab. 2) si è proceduto a distribuire l’intero campione per scuola secondaria di provenienza. Complessivamente, gli studenti provenienti dalle diverse tipologie di liceo rappresentano il 77,5% del totale. Liceo Istituto tecnico Istituto professionale Altro
77,5 12,1 7,6 2,8
Totale (N)
100 315
Tab. 2: le scuole di provenienza
L’82,5% del campione ha età compresa tra i 20 e i 22 anni; la giovane età è congruente con gli anni di corso frequentato. Il 21,9% dei partecipanti dichiara di risiedere in sede e comunque entro i 60 km dall’università; il 68,3% è costituito da studenti pendolari (con residenza oltre i 60 km); il restante 14,3%, risiede fuori sede ma con un alloggio nei pressi dell’università. Circa la situazione lavorativa, gli studenti a tempo pieno rappresentano la maggioranza del campione (Tab. 3). Studenti lavoratori Lavoratori part-time Studenti a tempo pieno
2.9 19.6 77.5
Totale (N)
100 315
Tab. 3: Situazione lavorativa
Riguardo la carriera universitaria, gli studenti a tempo pieno sono quelli con la migliore media dei voti d’esame e numero di CFU. Significativo è un dato: il 19,3% degli studenti iscritti al III anno dichiara di aver acquisito tra i 61 e 91 CFU e di questi nessuno lavora anche solo part-time.
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Ricerche – Qualità e valutazione i
o
i
i
o
i
I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi statistica. Di gseguito se ne espongono i risultati. o a della consistenza interna è stata verificata attraverso l’ di Cronbach (per il questionarioo La stima o a 0,902). I valori di dellegsingole sezioni (Tab. 4) sembrano completo il suo valore è pari a o confermare empiricamente la struttura concettuale che sta alla base dello strumento. Se Sezione zione A Sezione Se zione B Sezione Se zione C Sezione Se zione D
Alfa Al fa di di Cronbach Cronbach
N di di item ite m
0,813 0,813 0,861 0,861 0,895 0,895 0,736 0, 736
11 8 8 5
T
n
Tab. 4: alfa di Cronbach5
o
Le domande (o, come nel nostro caso, le affermazioni) presentate sotto forma di batterie o possonon talvolta ridurre la fedeltà delle opinioni rilevate in quanto l’intervistato può essere indotto a dare, in modo meccanico e sempre uguale, la stessa risposta indipendentemente dal contenuto dell’item proposto. Questa distorsione viene definita response test. In tal senso è stata effettuata un’ulteriore analisi sulle risposte fornite dagli studenti. Nella figura 2 sono riportate le frequenze di risposta per ciascuna delle affermazioni delle quattro sezioni del questionario. 22a: a: docent docentii (1 (11 1 item) item)
comunicazione item)) 22b: b: com unicazione (8 item
2c: attrezzature trezzatture (8 item item)) 2c: strutture sttruttture ed at
22d: d: servi servizi zi (5 item item))
Fig. 2: Distribuzioni di frequenza delle variabili
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I grafici delle distribuzioni di frequenza evidenziano come gli studenti utilizzino correttamente tutta la scala a 10 punti che hanno a disposizione per l’intero questionario. I dati del questionario sono stati sottoposti ad un’analisi fattoriale esplorativa (analisi delle componenti principali con rotazione Varimax e normalizzazione di Kaiser) utilizzando il software di analisi statistica SPSS 19.0. L’analisi fattoriale è una tecnica di analisi multivariata che consente di controllare ed evidenziare la natura delle relazioni tra più variabili esplicite e i fattori latenti dipendenti da queste relazioni. La soluzione fattoriale scelta, considerando gli autovalori maggiori di 1, presenta, dopo la rotazione, 4 fattori principali concettualmente ben distinguibili tra loro che contribuiscono a spiegare complessivamente il 52,66% della varianza totale (Tab. 5). Autovalori iniziali Componente
Totale
% di % varianza cumulata
Pesi dei fattori non ruotati Totale
% di % varianza cumulata
Pesi dei fattori ruotati Totale
% di % varianza cumulata
1
9,159
28,623
28,623
9,159
28,623
28,623
5,291
16,534
16,534
2
3,792
11,849
40,472
3,792
11,849
40,472
4,616
14,426
30,961
3
2,404
7,514
47,986
2,404
7,514
47,986
4,183
13,070
44,031
4
1,497
4,677
52,663
1,497
4,677
52,663
2,762
8,632
52,663
Tab. 5: Varianza spiegata con quattro fattori
Le variabili presentano le saturazioni principali nei fattori nei quali ci si aspettava che esse saturassero e non altrove. Nella tabella 6 si riportano i valori dei coefficienti della matrice ruotata dei componenti (saturazioni fattoriali) per ognuno dei 32 item. I valori di saturazione, considerate le correlazioni item-scala utilizzando un livello soglia di saturazione pari a 0.30, indicano che i soggetti hanno espresso opinioni/giudizi coerenti con ciascun item appartenente ad ognuna delle quattro sezioni/dimensioni rilevate. Il primo fattore, che spiega il 16,53% della varianza spiegata è saturato dalle 8 domande relative alla qualità delle strutture e dei sussidi/attrezzature; il secondo fattore estratto, saturato dalle 8 domande relative alle modalità di organizzazione delle comunicazioni della facoltà spiega il 14,42% della varianza; il terzo fattore spiega il 13,07% della varianza osservata ed è saturato dalle 11 domande che attengono alle competenze didattiche, relazionali e comunicative dei docenti; l’ultimo fattore (varianza spiegata pari all’8,63%) è saturato dalle 5 domande riguardanti orari e servizi di alcune strutture organizzative. Utilizzando il metodo grafico proposto da Cattell (1966) e conosciuto con il nome di scree test, infine, l’ipotesi fattoriale è stata confermata con i primi tre fattori i cui autovalori precedono il salto massimo di variabilità spiegata.
137
Ricerche – Qualità e valutazione
Componenti 1
2
3
A4. Presentazione contenuti
.104
-.033
.693
4 .114
A3. Disponibilità approfondimenti
.020
.129
.677
.017
A7. Collegamenti tra gli argomenti
.289
.059
.674
-.120
A9. Informazioni sulla valutazione
.000
.302
.646
.057
A2. Materiali didattici
.250
.047
.586
.172
A10. Stimolazione partecipazione
.175
.200
.578
.209
A6. Presentazione logica
.295
-.025
.562
-.011
A5. Utilizzo tecnologie
.268
.052
.537
-.219
A11. Rispetto date/orari appelli
.147
.125
.531
.358
A8. Puntualità e regolarità
-.079
.249
.523
.278
A1. Articolazione corso
.076
.170
.512
.059
B6. Aggiornamento web
.094
.852
.056
.160
B7. Informazioni bacheche Facoltà
-.028
.849
.077
.217
B8. Aggiornamento bacheche
.096
.822
.048
.223
B5. Informazioni web Facoltà
.034
.784
.148
.202
B3. Programmi di studio
.160
.693
.273
-.059
B2. Recapiti e orari ricevimento
.124
.647
.295
-.095
B1. Orario lezioni
.159
.511
.172
.378
B4. Calendario esami
.292
.501
.194
.125
C5. Audio efficace
.866
.042
.167
.071
C6. Aule attrezzate
.843
.093
.088
.079
C7. Attrezzature funzionanti
.822
.052
.136
.136
C3. Possibilità di scrivere
.769
.107
.144
.013
C8. Manutenzione efficiente
.753
.076
.108
.234
C1. Aule comode e luminose
.685
.052
.004
.269
C2. Aule pulite
.630
.081
.226
.172
C4. Spazi per lo studio
.431
.117
-.106
.229
D2. Organizzazione appelli d’esame
.156
.055
.182
.734
D4. Orari biblioteca
.255
.244
.042
.628
D3. Organizzazione orari segreterie
.098
.257
-.002
.606
D5. Servizio-prestiti biblioteca
.267
.252
.125
.582
D1. Organizzazione orari corsi
.070
.140
.241
.504
Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Varimax con normalizzazione di Kaiser. La rotazione ha raggiunto i criteri di convergenza in 6 iterazioni.
Tab. 6: Coefficienti della matrice ruotata
3. Analisi dei risultati Si presentano di seguito le risultanze emerse dall’analisi statistica delle risposte fornite dagli studenti (suddivise per ciascuna delle 4 sezioni). Nella prima sezione (Docenti) è stato chiesto agli studenti di esprimere un giudizio relativamente alla presentazione dell’articolazione dei corsi, ai materiali didattici utilizzati, alla disponibilità ad approfondire/chiarire alcuni argomenti su richiesta dello studente, alla presentazione chiara ed efficace dei contenuti delle lezioni (secondo una coerente progressione logica e proponendo collegamenti tra gli argomenti presentati), alle sollecitazioni per stimolare l’interesse e la partecipazione attiva degli studenti, all’utilizzo di computer e videoproiettore, alla regolarità delle lezioni e alla puntualità del docente, alla chiarezza delle informazioni sulle modalità di verifica degli esami, al rispetto degli orari/date degli appelli d’esame. Nella tabella 7 sono riportate le principali statistiche descrittive relative alle affermazioni proposte.
138
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
A1 A2 A3 A4 A5 A6 A7 A8 A9 A10 A11
Validi
Mancanti
Media
Moda
Mediana
312 310 313 310 312 310 309 310 311 311 311
3 5 2 5 3 5 6 5 4 4 4
5,98 6,80 7,06 6,70 7,88 6,82 6,76 5,05 5,96 6,32 5,27
6 7 8 7 10 6 7 6 7 6 6
6,0 7,0 7,0 7,0 8,0 7,0 7,0 5,0 6,0 6,0 5,0
Deviazione Asimmetria Curtosi standard 1,95 1,92 2,10 1,76 1,99 1,91 1,96 2,45 2,45 2,04 2,68
-0,446 -0,493 -0,697 -0,400 -0,981 -0,395 -0,337 0,068 -0,349 -0,343 0,029
0,326 0,274 0,277 0,514 0,737 0,209 -0,208 -0,760 -0,606 -0,103 -1,045
Tab. 7: Sezione “Docenti”
La distribuzione non è perfettamente normale (cfr. Fig. 2): i valori assoluti dell’asimmetria (ad eccezione dell’item A5) sono bassi come quelli di curtosi (ad eccezione degli item A5 e A11). I giudizi prevalenti si attestano intorno ai valori della media compresi tra 5 e 6; viene in particolar modo apprezzato l’utilizzo di sussidi informatici durante le lezioni (item A5). I giudizi prevalenti della seconda sezione (Comunicazione), ad eccezione degli item B2, B3 (la facilità di trovare recapiti, orari di ricevimento e programmi di studio) e B4 (la disponibilità del calendario d’esami con sufficiente anticipo) per i quali si esprime sostanzialmente una valutazione sufficiente o quasi sufficiente, sono negativi. Nel caso degli item B1 (disponibilità del calendario delle lezioni con sufficiente anticipo) e B5 (facilità di reperimento delle informazioni sul sito web di facoltà), si rilevano i valori delle medie più bassi pari, rispettivamente, a 3,81 e 3,92. Le statistiche descrittive relative alle affermazioni della sezione sono riportate nella tabella 8.
B1 B2 B3 B4 B5 B6 B7 B8
Validi
Mancanti
Media
Moda
Mediana
308 309 308 309 311 308 312 310
7 6 7 6 4 7 3 5
3,81 5,44 5,31 5,61 3,92 4,15 4,04 4,00
1 5 6 5 1 1 5 1
4,0 5,0 5,0 6,0 4,0 4,0 4,0 4,0
Deviazione Asimmetria Curtosi standard 2,27 2,60 2,52 2,58 2,39 2,42 2,13 2,20
0,389 0,052 -0,015 -0,316 0,431 0,290 0,269 0,281
-0,781 -0,887 -0,895 -0,723 -0,639 -0,853 -0,633 -0,606
Tab. 8: Sezione “Comunicazione”
Le affermazioni inserite nella sezione successiva (Strutture ed attrezzature) si riferivano all’adeguatezza delle aule (aule comode, luminose, pulite, aule nelle quali è possibile scrivere e prendere appunti), alle attrezzature in esse disponibili (efficacia degli impianti di amplificazione, presenza e funzionalità dei sussidi tecnologici, manutenzione efficiente), alla presenza di spazi adeguati per lo studio individuale. Ad eccezione degli item C4 (è facile trovare uno spazio adatto per lo studio individuale) e C8 (i guasti di computer e di videoproiettori sono subito riparati), per i quali i giudizi non sono positivi, la valutazione prevalente è distribuita in maniera omogenea intorno a valori medi di giudizio (Tab. 9).Va sottolineata la percentuale pari al 10,1% di studenti che, per quanto riguarda l’item C8, ha scelto l’opzione non so.
139
Ricerche – Qualità e valutazione
C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8
Validi
Mancanti
Media
Moda
Mediana
311 312 312 312 310 315 308 313
4 3 3 3 5 0 7 2
6,02 6,23 7,38 4,81 6,92 7,11 6,35 5,09
7 7 10 5 7 8 6 5
6,0 6,0 8,0 5,0 7,0 7,0 7,0 5,0
Deviazione Asimmetria Curtosi standard 2,56 2,43 2,14 2,50 2,33 2,20 2,32 2,43
-0,406 -0,372 -0,712 0,076 -0,586 -0,818 -0,463 -0,014
-0,706 -0,477 0,037 -0,953 -0,233 0,307 -0,324 -0,687
Tab. 9: Sezione “Strutture ed attrezzature”
Nell’ultima sezione (Servizi) è stato chiesto agli studenti di esprimere un giudizio circa l’efficienza del servizio-prestiti della biblioteca e l’adeguatezza organizzativa degli orari dei corsi, degli appelli d’esame, degli orari della segreteria-studenti e della biblioteca. I primi tre item (D1, gli orari dei corsi sono organizzati in modo adeguato; D2, le date degli appelli d’esame sono organizzate in modo adeguato; D3, gli orari della segreteria-studenti sono organizzati per rispondere alle esigenze degli studenti) presentano valori delle medie piuttosto bassi. Il giudizio espresso circa i servizi erogati dalla biblioteca si attesta su livelli di sufficienza. In questo caso va comunque segnalata l’alta percentuale di studenti che rispondono scegliendo l’opzione non so (il 15,1%). Le principali statistiche descrittive dell’ultima sezione del questionario sono riportate nella tabella 10. Validi Validi D1 D2 D D3 D4 D5
309 308 310 312 308
i
Mancanti Mancanti
Media Media
6 7 5 3 7
3,28 3, 28 3,69 3, 69 2,85 2, 85 5,80 5, 80 5,75 5, 75
a
Moda Moda
Mediana Mediana
1 1 1 6 5
3,0 4,0 2,0 6,0 6,0
Deviazione Deviazione Asimmetria Curtosi rtosi Asimmetria Cu standard standard e i 2,27 2,27 0, 0,717 717 --0,348 0,348 2,40 2,40 0, 0,532 532 0,590 --0,590 5 2,13 1,019 0,376 2,13 1, 019 0,376 2,26 -0,115 2,26 -0,115 --0,516 0,516 2,47 -0,177 2,47 -0,177 --0,596 0,596
T
Tab. 10: Sezione “Servizi”
Nella Figura 3, per finire, si presenta una sintesi dei valori delle medie aritmetiche di ciascuna sezione considerando tutti gli elementi/variabili sottoposti a valutazione.
Fig. 3: Quadro di sintesi
3
3 a
140
a
d
d
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
4. Considerazioni conclusive e problemi aperti Alcune riflessioni relative al questionario ed alle risultanze emerse dalla rilevazione ed elaborazione dei dati possono in conclusione essere presentate. Innanzitutto, circa la qualità dello strumento utilizzato, le elaborazioni statistiche, pur richiedendo ulteriori verifiche, sembrano confermare la sua struttura concettuale. In tal senso, l’analisi fattoriale ha permesso di misurare il grado di associazione tra i diversi gruppi di variabili e di identificare quattro distinti fattori che contribuiscono a spiegare il 52,66% della varianza complessiva. Il questionario, seppure migliorabile, mostra alcuni vantaggi: non richiede tempi lunghi per la compilazione; la veste grafica è chiara ed ordinata, le modalità di risposta non sembrano creare confusione circa la comprensione degli item. Ciò è testimoniato anche dal basso numero di risposte mancanti (per ciascuna sezione e a livello complessivo). Questo risultato, a parere di chi scrive, va anche attribuito alle modalità di somministrazione del questionario precedentemente descritte. L’aver comunicato, prima della compilazione, gli obiettivi sottesi all’indagine (rilevare i problemi così come percepiti dagli studenti per il miglioramento di specifici processi organizzativi) ha contribuito a favorire la partecipazione attiva dello studente che, diventato consapevole protagonista, ha considerato importante esprimere le proprie opinioni tentando quindi di “recuperare una valutazione precedentemente immagazzinata o, in mancanza di questa, di attivamente impegnarsi nella costruzione di un atteggiamento a partire da questo piccolo elemento di esperienza” (Arcuri, Castelli, 2000, p. 142). Quanto emerso dal response test è, in tal senso, significativo. Per quanto attiene l’analisi qualitativa delle opinioni degli studenti, il quadro che emerge è complessivamente poco confortante. Sono state rilevate numerose criticità in rapporto all’aspetto organizzativo legato alla fruizione di alcuni servizi all’interno del campus universitario (Sezione D. Servizi) e alla facilità di reperimento delle informazioni (Sezione B. Comunicazione). In particolare vanno sottolineate le opinioni negative relative alla disponibilità del calendario delle lezioni con sufficiente anticipo, alla facilità di reperimento delle informazioni sul sito web di facoltà, alla mancanza di sufficienti spazi adatti per lo studio individuale, all’organizzazione degli orari dei corsi e delle date degli appelli.Tutti questi elementi influenzano le percezioni degli studenti e meritano certamente approfondite riflessioni nelle sedi opportune al fine di individuare azioni efficaci per il miglioramento dei processi organizzativi. In tal senso, i risultati conseguiti dall’indagine rispondono in larga parte alle attese iniziali. Le prospettive immediate di sviluppo della ricerca riguardano l’analisi delle relazioni fra variabili di contesto significative e rilevanti dalle quali dipendono molti aspetti in termini di esiti formativi ed outcomes mediante l’utilizzo di altri strumenti di indagine da associare al questionario presentato in questo contributo.
141
Ricerche – Qualità e valutazione
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SALERNO Laboratorio di ricerca per la valutazione dei processi e delle azioni formative QUESTIONARIO SULLA PERCEZIONE DELL'ORGANIZZAZIONE UNIVERSITARIA
Il questionario, anonimo, serve a conoscere in modo sistematico le opinioni degli studenti. Queste conoscenze potranno aiutare a migliorare la qualità del servizio offerto. Esprimi il tuo grado di disaccordo o di accordo sulle affermazioni che seguono. Annerisci completamente la casella utilizzando la scala progressiva da 1 a 10 per effettuare la scelta. I criteri sono i seguenti: 1 significa "per nulla d'accordo"
10 significa "completamente d'accordo" 1
2
3
4
5
6
7
8
9
0 significa "non so"
10
0 INFORMAZIONI GENERALI 1
Sesso
2
Anno di corso
3
Età
4
Residenza
5
Situazione lavorativa
6
Diploma
7
Voto di diploma
8
Media del voto degli esami universitari
9
Numero di crediti acquisiti
Maschio
Femmina
I
II
III
Minore di 20
tra 20 e 22
Tra 23 e 25
In sede (meno di 60Km)
Pendolare (oltre 60Km)
Fuori sede ma con alloggio in sede
Lavoratore
Part-time
Liceo
Istituto tecnico
Istituto professionale
Altro
60 - 69
70 - 79
80 - 89
90 - 100
18 - 21
22 -24
25 - 27
28 - 30
da 30 a 60
da 61 a 90
meno di 30
Maggiore di 25
Studente a tempo pieno
da 91 a 120
con Lode
oltre 120
A . DOCENTI A1
L’articolazione dei corsi (obiettivi, programma, libri) è presentata in modo adeguato.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A2
I materiali didattici (testi di studio, dispense) sono coerenti con gli obiettivi del corso.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A3
I docenti sono disponibili ad approfondire/chiarire alcuni argomenti su richiesta dello studente.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A4
I contenuti delle lezioni sono presentati in maniera chiara ed efficace.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A5
I docenti utilizzano computer e videoproiettore.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A6
Gli argomenti delle lezioni sono presentati secondo una coerente progressione logica.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A7
Le lezioni sono organizzate proponendo collegamenti tra gli argomenti presentati.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A8
I docenti si presentano a lezione con regolarità e puntualità.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A9
Le informazioni sulle modalità di verifica degli esami sono chiare e precise.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
I docenti stimolano l’interesse e la partecipazione attiva A10 degli studenti (sollecitano coinvolgono con domande, interventi, ecc.).
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
A11 Gli orari/date degli appelli d'esame sono sempre rispettati.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
142
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
B . COMUNICAZIONE B1
Il calendario delle lezioni è disponibile con sufficiente anticipo.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
B2
È facile trovare i recapiti e gli orari di ricevimento dei docenti.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
B3
È facile trovare i programmi di studio.
1
2
3
4
5
6
7
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9
10
0
B4
Il calendario degli esami è disponibile con sufficiente anticipo.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
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0
B5
È facile trovare le informazioni che cerco esplorando la pagina web della Facoltà.
1
2
3
4
5
6
7
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0
B6
La pagina web della Facoltà è sempre aggiornata.
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4
5
6
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10
0
B7
È facile trovare le informazioni che cerco nelle bacheche della Facoltà.
1
2
3
4
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6
7
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9
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0
B8
Le informazioni poste nelle bacheche della Facoltà sono sempre aggiornate.
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2
3
4
5
6
7
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9
10
0
C . STRUTTURE ED ATTREZZATURE C1
Le aule sono comode e luminose.
1
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3
4
5
6
7
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9
10
0
C2
Le aule sono pulite.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
C3
Nelle aule è possibile scrivere e prendere appunti.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
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0
C4
È facile trovare uno spazio adatto (silenzioso, comodo) per lo studio individuale.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
C5
Gli impianti di amplificazione delle aule sono efficaci (si sente).
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
C6
Le aule sono attrezzate in modo adeguato (lavagna, computer, videoproiettore, internet).
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
C7
I computer ed i videoproiettori sono perfettamente funzionanti.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
C8
I guasti di computer e di videoproiettori sono subito riparati.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
D . SERVIZI D1
Gli orari dei corsi sono organizzati in modo adeguato.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
D2
Le date degli appelli d’esame sono organizzate in modo adeguato.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
D3
Gli orari della segreteria-studenti sono organizzati per rispondere alle esigenze degli studenti.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
D4
Gli orari della biblioteca sono organizzati in modo adeguato.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
D5
Il servizio-prestiti della biblioteca è efficiente.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
0
Grazie per la collaborazione
Riferimenti bibliografici Ajzen I., Fishbein M. (1975). Understanding attitudes and predicting social behavior. New Jersey: Prentice Hall. Andrew M.D., Gauthier S.A., Jelmberg J.R. (1993). Comparing student perception of instruction in teacher education and on education courses, Journal of Personnel Evaluation Quarterly, 20, pp. 57-64. Arcuri L., Castelli L. (2000). La cognizione sociale. Strutture e processi di rappresentazione. Roma-Bari: Laterza. Armando M., Fagioli F., Borra S., Carnevali R., Righetti V., Saba R. et al. (2008).Valutazione del disagio mentale e dello stress percepito tra gli studenti universitari, Rivista di psichiatria, 43(5), pp. 292-299.
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Ricerche – Qualità e valutazione
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Ricerche
Qualità e valutazione
La sperimentazione dello strumento valutativo ACEI-IGA nelle scuole dell’infanzia comunali di Parma: un percorso di ricerca-formazione The experimentation of ACEI-IGA assessment tool in the kindergartens run by the Municipality of Parma: a teacher-training and research project ANDREA PINTUS Il percorso di formazione-ricerca qui presentato si colloca all’interno di un progetto più ampio di adattamento e sperimentazione del Global Guidelines Assessment tool (GGA) sviluppato dall’Association for Childhood Education International (ACEI). Gli item di tale strumento (nella versione italiana denominato IGA - Indicazioni Globali per l’Autovalutazione) prevedono valutazioni sia quantitative (scale ordinali) sia qualitative (esempi/commenti). Il progetto ha coinvolto 32 insegnanti delle scuole dell’infanzia comunali di Parma, le quali hanno utilizzato l’ACEI-IGA per valutare una sezione della propria scuola. I dati raccolti hanno fornito sia informazioni utili alla riflessione delle insegnanti sulla propria attività professionale, sia feedback riguardanti i contenuti e le modalità di somministrazione dello strumento, utili tanto alle insegnanti quanto al gruppo di ricerca.
The teacher-training and research project described here is part of a project of adaptation to the Italian context of Global Guidelines Assessment tool (GGA) developed by the Association of Childhood Education International (ACEI).This tool (Italian version named “IGA – Indicazioni Globali per l’Autovalutazione”) is composed of 88 items. For each item quantitative data is gathered on a 6-point rating scale as well as qualitative data through classroom examples and comments. The project involved 32 teachers from kindergartens run by the Municipality of Parma; teachers involved used the ACEI-IGA as a means of evaluating and reflecting on their practices as well as determining the clarity and ease of use of the assessment tool itself. Data analysis provided helpful feedback on both of these aspects.
Parole chiave: strumenti di valutazione, auto-valutazione, valutazione formativa, scuole dell’infanzia, insegnanti, formazione.
Key words: assessment tools, self-evaluation, formative evaluation, kindergartens, teachers, training.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Scopi ed obiettivi del progetto Il percorso di formazione-ricerca qui presentato si colloca all’interno di un progetto più ampio di traduzione, adattamento e sperimentazione nel contesto italiano dello strumento valutativo GGA (Global Guidelines Assessment) sviluppato dall’Association for Childhood Education International (ACEI) in collaborazione all’U.S. National Committee dell’Organizzazione Mondiale per l’Educazione Prescolare (OMEP) (Hardin, Wortham, Mbugua, Bergen, 2005). Il progetto è stato realizzato dal Centro di ricerca VALFOR (Centro di ricerca sulla VALutazione, progettazione e documentazione dei processi educativi e FORmativi) del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane dell’Università di Modena e Reggio Emilia1. La filosofia che sta alla base dello strumento GGA dell’ACEI è finalizzata alla promozione di una cultura che pone come cardine della qualità dei servizi educativi rivolti all’infanzia il diritto dei bambini a crescere in ambienti sicuri, aperti alla partecipazione delle famiglie, stimolanti ed attenti al rispetto delle diversità. Uno dei criteri adottati dal gruppo di lavoro impegnato nel progetto è stato quello di mantenere la versione italiana dello strumento il più possibile fedele all’originale, sia nei contenuti sia nella struttura linguistica. Tuttavia, in fase di traduzione, è stato coinvolto un gruppo di insegnanti di scuola dell’infanzia di alcune provincie della regione Emilia Romagna2 al quale è stato chiesto di revisionare il testo tradotto al fine di verificarne l’adattabilità – sia per termini utilizzati, sia per concetti evocati – al contesto prescolastico italiano. È in questo percorso di sperimentazione che è nata e si è consolidata la collaborazione con il Servizio Scuola dell’Infanzia del Comune di Parma da cui è scaturita la realizzazione di uno specifico percorso formativo sulla valutazione rivolto alle insegnanti dello stesso comune. Il principale obiettivo da cui ci si è mossi è stato, quindi, quello di offrire agli insegnanti delle scuole dell’infanzia comunali di Parma occasioni di riflessione sulle loro pratiche educative, sulla qualità dei servizi rivolti all’infanzia e più in generale sulla loro esperienza come insegnanti. Un secondo obiettivo del gruppo di ricerca è stato, inoltre, quello di sottoporre a valutazione lo strumento valutativo stesso, che nella versione italiana è stato ribattezzato Indicazioni Globali per l’Autovalutazione (IGA), al fine di ricavare indicazioni utili sulla sua applicabilità ai contesti prescolastici italiani e procedere eventualmente ad un suo perfezionamento.
2. Indicazioni Globali per l’Autovalutazione Rispettando la struttura dello strumento ACEI-GGA (ACEI, 2006), la sua versione italiana (ACEI-IGA) si compone di una prima parte in cui si raccolgono informazioni di tipo socio-anagrafico (genere, posizione all’interno della scuola, anni di servizio, titolo di studio
1 Il gruppo di ricerca VALFOR che ha condotto il progetto è composto da: Luciano Cecconi (responsabile scientifico), Dolores Stegelin (Clemson University, SC, USA), Antonio Gariboldi (fino al 2008), Giuseppe Malpeli, Francesca Corradi (fino al 2009), Maria Alessandra Scalise (fino al 2009), Andrea Pintus (dal 2009), Rossana Allegri (Servizio Scuola dell’Infanzia del Comune di Parma). 2 3 insegnanti di Reggio Emilia (2 scuola paritaria, 1 scuola statale), 2 insegnanti di Modena (scuola statale), 2 insegnanti di Bologna (scuola statale) e 5 insegnanti di Parma (3 scuola comunale, 1 scuola statale, 1 scuola paritaria).
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Ricerche – Qualità e valutazione
dell’insegnante valutatore, ecc.) a cui seguono 88 item raggruppati in 5 sezioni corrispondenti a 5 specifiche aree di contenuto suddivise a loro volta in diverse sotto-categorie3: 1. 2. 3. 4. 5.
ambiente di apprendimento e spazio fisico; contenuti del curricolo e scelte pedagogiche; insegnanti per la prima infanzia; relazioni di collaborazione con le famiglie e la comunità; bambini con bisogni educativi speciali.
Ogni sezione è introdotta da una breve descrizione che inquadra l’area di contenuto affrontata e in cui vengono esplicitati i criteri che definiscono i diversi livelli di qualità rappresentati e quindi la filosofia di qualità che sottende la struttura dello strumento stesso. A titolo di esempio si riporta nel box n. 1 il testo introduttivo delle aree 1 (Ambiente di apprendimento e spazio fisico) e 2 (Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche). Box. 1: Testo introduttivo Area 1 e Area 2 AREA 1: AMBIENTE DI APPRENDIMENTO E SPAZIO FISICO L’ambiente di apprendimento del bambino deve essere sicuro sia dal punto di vista fisico sia da quello psicologico. Rientra nel concetto di sicurezza fisica la necessità di proteggere il bambino da tutti quei pericoli che, minacciando la sua salute, ne impediscono l’apprendimento e lo sviluppo. Promuovere la sicurezza psicologica del bambino significa che l’ambiente, nella sua globalità, dovrebbe infondere in tutti i bambini un senso di benessere e di appartenenza. Lo spazio fisico dovrebbe essere organizzato in modo tale da offrire una varietà di esperienze di apprendimento per tutti i bambini, indipendentemente dall’etnia, dal genere, o dalla disabilità. Le risorse disponibili all’interno dell’ambiente educativo dovrebbero accogliere e sostenere le esperienze culturali e le tradizioni dei bambini e delle famiglie cui è rivolto il progetto educativo della scuola. In generale, quindi, l’ambiente educativo dovrebbe potenziare lo sviluppo del bambino fornendogli opportunità di esplorazione, di gioco e di affinamento delle abilità. AREA 2: CONTENUTI DEL CURRICOLO E SCELTE PEDAGOGICHE Il curricolo della scuola dell’infanzia include la progettazione e la realizzazione di esperienze educative, la creazione di routine e di interazioni sociali che possono considerarsi eventi abituali della giornata di ogni bambino. Tali eventi sono ricorrenti e vissuti dal bambino sia in situazioni sociali di gruppo (per esempio, nelle scuole o in altre agenzie educative presenti sul territorio) sia nell’ambiente familiare. Il curricolo è progettato in modo tale da riflettere la filosofia educativa e fornire indicazioni agli insegnanti e agli operatori in merito alle interazioni tra adulti e bambini coinvolti nel progetto educativo. Il bambino deve essere al centro del curricolo.Tutti i bambini sono competenti e il loro apprendimento deve nascere da esperienze adeguate al loro livello di sviluppo e alla loro cultura. Un curricolo di qualità per la prima infanzia è incentrato sul bambino nella sua globalità e tiene conto della sua crescita fisica, cognitiva, linguistica, creativa, sociale ed emozionale. L’obiettivo fondamentale di un curricolo per la prima infanzia è quello di favorire la formazione di cittadini del mondo globalizzato che siano competenti, sensibili ed empatici.
3 Ci si riferisce qui alla II edizione dello strumento; attualmente è stata licenziata una terza versione (ACEI, 2011), ancora non tradotta in italiano, che si differenzia dalla versione precedente per un numero ridotto di item (76) e per una diversa veste grafica.
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A differenza di altri strumenti valutativi, come l’AVSI (Bondioli, 2001; Bondioli, Ferrari, 2008), la SOVASI (Harms, Clifford, 1994), il DAVOPSI (Bondioli, Nigito, 2008) e l’ASEI (Darder, Mestres, 2000), in cui sono presenti descrizioni dettagliate e puntuali delle condizioni necessarie per l’assegnazione dei punteggi4, l’ACEI-IGA si caratterizza, in primo luogo per l’assenza di descrittori analitici per i diversi livelli della scala proposta e, in secondo luogo, per la presenza di specifici campi aperti di annotazione libera. Nello specifico, ciascuno degli 88 items rimanda a precisi aspetti della vita di sezione rispetto ai quali viene chiesto di esprimere due tipologie di valutazione, una più prettamente “quantitativa” ed una più esplicitamente “qualitativa”. In particolare, per ogni item sono presenti: una scala di valutazione ordinale che comprende 6 gradi (eccellente, buono, adeguato, appena sufficiente, inadeguato, informazione non disponibile) e due spazi aperti, uno per riportare “Esempi in sezione” a supporto della valutazione quantitativa effettuata ed uno per registrare eventuali “Commenti” (vedi Fig. 1)5.
Fig. 1: Item 1 (area 1 - Ambiente di apprendimento e spazio fisico)
3. Il percorso di formazione-ricerca realizzato nelle scuole dell’infanzia comunali di Parma Il percorso di formazione-ricerca sulla valutazione attraverso l’adozione dello strumento ACEI-IGA ha coinvolto in un arco di tempo compreso tra febbraio e giugno 2011, 32 in2 segnanti, 2 per ognuna delle 16 scuole dell’infanzia comunali di Parma, affiancate da 4 coordinatori pedagogici e dal responsabile del servizio stesso. Sono stati in particolare 7 i 3 momenti in cui tale percorso si è articolato: 1. incontro di presentazione dell’ACEI-IGA e somministrazione di un questionario d’in5 gresso sull’atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative; 2.6 consegna di lavoro in gruppo ristretto tra 1 coordinatore pedagogico e 2 insegnanti per ogni plesso centrato sui contenuti dello strumento; 7 4 Nell’AVSI, ad esempio, ogni sezione ed ogni item sono introdotti da una breve premessa che ne precisa il senso, quindi ogni item è strutturato come una scala ordinale a nove livelli, alcuni dei quali (i livelli dispari, 1, 3, 5, 7, 9) presentano una descrizione precisa delle condizioni a cui corrispondono, stabilendo così le condizioni necessarie per l’assegnazione dei punteggi corrispondenti (Savio, 2004). 5 Nella III versione delle GGA (2011), tali spazi sono stati accorpati un unico spazio denominato “Examples Supporting Ratings”
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Ricerche – Qualità e valutazione
3. incontro allargato, confronto tra coppie e in plenaria su contenuti e procedure di utilizzo dell’ACEI-IGA; 4. osservazione/valutazione nelle scuole (in ogni scuola veniva valutata una stessa sezione da 2 insegnanti di altre sezioni); 5. analisi quantitativa e qualitativa delle valutazioni raccolte da parte del gruppo di ricerca VALFOR; 6. incontro di restituzione al gruppo delle analisi condotte, confronto sugli elementi emersi, somministrazione del questionario in uscita sull’atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative e sul percorso formativo realizzato; 7. incontro di sintesi, lavori in 3 piccoli gruppi sui nodi critici emersi, riflessioni conclusive. All’inizio del primo incontro è stato somministrato un questionario contenente una serie di domande a cui si poteva rispondere attraverso delle scale auto-ancoranti da 1 a 10, aventi come scopo quello di indagare l’atteggiamento delle insegnanti nei confronti delle pratiche valutative. In particolare, al fine di confrontare tale atteggiamento all’inizio e alla fine del percorso di formazione, si chiedeva alle insegnanti di contrassegnare il proprio questionario con un codice numerico da tenere a mente per possibili lavori di gruppo futuri. Durante lo stesso incontro è stato quindi presentato in modo puntuale lo strumento valutativo ACEI-IGA e ne sono state discusse le specifiche modalità di somministrazione. Al termine di questo incontro è stata data una consegna alle partecipanti, ovvero quella di leggere individualmente e con attenzione lo strumento e di individuarne i contenuti poco chiari, problematici o ambigui, e su questi confrontarsi con l’altro insegnante proveniente dalla stessa scuola e con il quale si sarebbe poi dovuto valutare in parallelo una stessa sezione, diversa dalla propria. Il secondo incontro è stato dedicato in parte ad attività di piccolo gruppo, in parte ad attività di condivisione in gruppo allargato. Inizialmente le insegnanti, coppia per coppia, hanno ripercorso, confrontato e condiviso nuovamente gli aspetti problematici evidenziati in precedenza. Dopodiché tali riflessioni sono state riportate e discusse in plenaria. Tra il secondo ed il terzo incontro, in un arco di tempo di 4 settimane, è avvenuta la somministrazione dello strumento ACEI-IGA, ovvero l’osservazione e la valutazione delle sezioni delle scuole oggetto di indagine. Durante il terzo incontro sono stati restituite al gruppo le prime analisi condotte sulle rilevazioni nelle sezioni, quindi le coppie di valutatori hanno avviato un processo di riflessione sulla somministrazione avvenuta. Questo incontro, una volta acquisite tutte le informazioni sullo strumento e sulla sua utilizzazione nelle scuole, si è concluso con la compilazione di un questionario in cui erano presenti domande concernenti la valutazione complessiva dello strumento ACEI-IGA (scale auto-ancoranti da 1 a 10) e le stesse domande riguardanti l’atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative presenti nel questionario d’ingresso. Tra il terzo e il quarto incontro si è proceduto all’approfondimento dei dati relativi alla somministrazione dello strumento ACEI-IGA nelle 16 scuole e all’analisi sia delle valutazioni dell’efficacia dello strumento valutativo, sia dell’atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative all’inizio e alla fine del percorso realizzato. Il quarto incontro, infine, è stato dedicato alla restituzione dei dati analizzati tra il terzo e il quarto incontro e alla sintesi sull’esperienza realizzata. In questo ultimo appuntamento, i partecipanti sono stati suddivisi in 3 gruppi a cui è stato proposto un lavoro di riflessione e confronto ulteriore, ma specifico, su 3 differenti nodi critici emersi dalle analisi, uno particolare per gruppo (i bisogni educativi speciali, la dimensione delle relazioni tra scuole, famiglie e territorio, la dimensione morale ed etica della professione di insegnante).
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4. Uno sguardo d’insieme Anche se non era negli scopi del percorso realizzato (formazione, riflessione, valutazione dello strumento), così come nelle condizioni in cui esso è andato realizzandosi (una sezione per scuola valutata da una coppia di insegnanti-valutatori), può essere utile fornire uno sguardo d’insieme sulla valutazione che le 32 insegnanti hanno dato dei contesti educativi di appartenenza6. Nel complesso emerge una valutazione molto positiva delle scuole coinvolte: in ogni area di cui si compone l’ACEI-IGA, le sezioni indagate sono state valutate generalmente in modo molto positivo, in particolare tra 4 (buono) e 5 (eccellente). Le aree in cui le sezioni delle scuole sono state valutate in modo più positivo sono l’area 2 (Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche) e l’area 5 (Bambini con bisogni educativi speciali) (vedi tab. 1).
1. 2. 3. 4. 5.
Ambiente di apprendimento e spazio fisico Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche Insegnanti per la prima infanzia Relazioni di collaborazione con le famiglie e la comunità Bambini con bisogni educativi speciali
M
DS
4,28 4,50 4,45 4,34 4,48
0,51 0,50 0,54 0,46 0,47
Tab. 1: Valutazioni (1 sezione per scuola) suddivise per area di contenuto ACEI-IGA
Valutazioni simili (in media superiori al punteggio di 4) sono rilevabili in quasi tutte le sottoaree in cui si articolano le cinque aree dell’ACEI-IGA. Le diverse aree nel loro complesso presentano una “variabilità” nei punteggi simile. Tuttavia guardando alle loro diverse sottocategorie se ne evidenziano 4 che presentano, rispetto alle altre, una deviazione standard leggermente più accentuata (maggiore di 0,6): tre dell’area 4 ed 1 dell’area 37. In sintesi ciò che emerge è, quindi, da un lato una generale soddisfazione in tutte le aree e sottocategorie indagate, dall’altro lato una variabilità di giudizio maggiore, e, quindi, una divergenza maggiore tra i valutatori rispetto ad alcune sottocategorie di contenuto specifiche che hanno a che fare con la dimensione delle relazioni tra strutture prescolastiche, le famiglie e la comunità (area 4), ma anche con la dimensione etica dei comportamenti degli insegnanti (sottocategoria “La dimensione morale ed etica” dell’area 3).
6 Si farà qui riferimento a delle analisi condotte sulla base della seguente codifica delle valutazioni effettuate: Inadeguato = 1 Appena sufficiente = 2 Adeguato = 3, Buono = 4 Eccellente = 5 Informazione non disponibile = Dato mancante. 7 Riconoscimento della diversità” (DS = 0,63); Opportunità di partecipazione per la famiglia e la comunità locale” (DS = 0,62); Comunicazione con le famiglie” (DS = 0,61); La dimensione morale ed etica (DS = 0,63).
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Ricerche – Qualità e valutazione
5. Lo scarto tra valutatori Avendo a disposizione i dati relativi alle valutazioni effettuate per ogni scuola da due rilevatori che in modo parallelo hanno valutato una stessa sezione, è stato possibile indagare lo “scarto medio” tra coppie di osservatori per ogni singolo item dello strumento. In altre parole, per ogni singolo item dell’ACEI-IGA si è calcolato lo scarto medio tra le valutazioni effettuate dalle coppie di rilevatori che, di volta in volta, hanno valutato la stessa sezione all’interno delle varie scuole8. Tale “scarto” è stato assunto come possibile indicatore della presenza di aree di contenuto critiche o sensibili a molteplici letture da parte dei valutatori. In altre parole si è inteso la discrepanza o l’accordo tra valutatori su uno stesso item o area dello strumento, sia come possibile misura della sua affidabilità9 sia come una possibile indicazione della complessità intrinseca a specifiche aree di contenuto. In modo più preciso, lo “scarto” è stato calcolato come la differenza in valore assoluto tra le valutazioni effettuate da ogni singolo insegnante componente la coppia di valutatori che doveva valutare la stessa sezione: Scarto = | valutazione A – valutazione B |. Lo scarto medio non si riferisce, quindi, alla singola coppia di valutatori, ma al totale delle 16 coppie (32 insegnanti). A differenza di quanto avvenuto per il calcolo della Media e della Deviazione Standard, in questo caso le risposte “Informazione non disponibile” sono state codificate come 0. Come si può vedere dalla tabella 2, lo scarto maggiore (maggiore disaccordo tra valutatori) è stato registrato nell’area 5 (Bambini con bisogni educative speciali), lo scarto minore (maggiore accordo tra valutatori) nell’area 2 (Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche): Scarto 1. Ambiente di apprendimento e spazio fisico 2. Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche 3. Insegnanti per la prima infanzia 4. Relazioni di collaborazione con le famiglie e la comunità 5. Bambini con bisogni educativi speciali Totale
0,41 0,39 0,42 0,48 0,69 0,48
Tab. 2: Scarto medio tra valutatori suddiviso per area di contenuto ACEI-IGA
6. Un approfondimento qualitativo: i bisogni educativi speciali Mettendo insieme i risultati emersi, relativi da un lato alle valutazioni delle sezioni e dall’altro allo scarto tra valutatori, è possibile abbozzare un quadro di sintesi degli aspetti salienti emersi
8 È il caso di specificare che la coppia di insegnanti-valutatori ha effettuato congiuntamente l’osservazione della sezione ma ha espresso il giudizio valutativo in modo indipendente l’uno dall’altro. 9 Per affidabilità (o attendibilità) di uno strumento di misurazione si intende la coerenza fra i punteggi rilevati con esso in due momenti successivi – rispetto allo stesso oggetto – da parte dello stesso rilevatore o da parte di rilevatori differenti (Dazzi, Pedrabissi, 1999).
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dalla fase di indagine del percorso realizzato. Questo quadro tiene conto di 3 aspetti particolari: 1) le valutazioni medie (M) danno un’indicazione di come gli insegnanti-valutatori hanno valutato le sezioni oggetto di osservazione; 2) le dispersioni nei valori medi delle valutazioni (DS), danno un’indicazione su come, nel complesso dei 32 insegnanti-valutatori, si distribuiscono le valutazioni medie sulle singole aree di contenuto, ovvero se vi è omogeneità vs eterogeneità nei loro giudizi; 3) gli scarti danno un’indicazione del grado di accordo medio tra coppie di osservatori rispetto a ciò che dovevano valutare in parallelo. Mettendo insieme questi tre aspetti, l’area di maggior interesse, ai fini della riflessione sui contenuti da valutare, così come sul processo valutativo stesso, è risultata essere quella relativa ai “Bambini con bisogni educativi speciali”. Tale area di contenuto si configura, rispetto alle altre, per essere, dopo l’area 2 (Contenuti del curricolo e scelte pedagogiche), quella valutata in modo più positivo, ma a differenza di quest’ultima, ed in modo opposto, anche l’area che presenta la maggiore discrepanza media tra valutatori. A fronte dei risultati emersi ci si è chiesti quale fosse il significato delle risposte date ai singoli item di questa sezione dello strumento ACEI-IGA da parte dei singoli insegnantivalutatori. A tale scopo sono stati, quindi, analizzati in modo qualitativo i testi prodotti a corredo dei giudizi valutativi presenti nei campi “Esempi in sezione” e “Commenti”. A titolo esemplificativo verrà qui presentata l’analisi dei testi relativi agli item 80 (“Viene identificato un responsabile a cui viene affidato il compito di pianificare, coordinare e monitorare i servizi erogati ai bambini con disabilità”; Scarto medio = 1,06; M = 4,45; Dati mancanti = 3) e 88 (“Le famiglie dei bambini con bisogni educativi speciali sono coinvolte nel processo decisionale, nella pianificazione, nell’erogazione e nella valutazione dei servizi”; Scarto medio = 1,00; M = 4,28; Dati mancanti = 3), gli item che presentano all’interno dell’area 5 il maggiore scarto medio tra insegnanti-valutatori. Per quanto riguarda entrambi gli item presi in considerazione, emerge come vi siano in 3 casi (sezioni), coppie di valutatori in cui una insegnante ha risposto “informazione non disponibile” (vedi Figg. 2 e 3). Il contenuto dei commenti delle insegnanti componenti queste coppie appare del tutto simile tra loro e rimanda sostanzialmente alla dimensione normativa che regola i servizi prescolastici rivolti ai bambini e le famiglie con bisogni educativi speciali (i commenti che seguono fanno riferimento all’item 80): “In caso di inserimento del bambino certificato (legge n. 104) nella classe viene inserita la terza insegnante e tutte hanno pari responsabilità.” (Eccellente = 5) “In caso di bambino certificato le insegnanti all’interno della sezione divengono tre e tutte hanno pari responsabilità.” (Informazione non disponibile = 0) Il motivo che può contribuire a spiegare la discrepanza di giudizio nelle valutazioni quantitative è più evidente nei commenti riportati da altre coppie di valutatori, dove si sottolinea l’assenza di bambini con bisogni speciali in queste sezioni: “Non sono presenti in sezione bambini con bisogni educativi speciali.” (Informazione non disponibile = 0) “Il coordinatore.” (Buono = 4)
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Ricerche – Qualità e valutazione
Fig. 2: Valutazioni Item 80 distinte per sezione (1-16) e per insegnante valutatore (A, B)
Fig. 3: Valutazioni Item 88 distinte per sezione (1-16) e per insegnante valutatore (A, B)
In altre parole, in questi casi alcuni insegnanti-valutatori hanno deciso di rispondere con una valutazione quantitativa a prescindere dalla presenza concreta di bambini con bisogni educativi speciali in sezione, altri in assenza di questi bambini non hanno ritenuto possibile compiere tale valutazione. Mentre i primi probabilmente hanno rivolto la propria attenzione alle norme che a livello centrale regolano l’erogazione dei servizi prescolastici rispetto ai bisogni educativi speciali, e/o come queste sono implementate a livello teorico dalle singole strutture, ovvero come la singola struttura si è predisposta all’eventualità dell’accoglienza di bambini con bisogni educativi speciali, i secondi si sono focalizzati su ciò che è stato con-
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cretamente messo in pratica in termini di comportamenti, procedure e pratiche quotidiane rispetto alla presenza di bambini con bisogni educativi speciali. Per questi insegnanti-valutatori non sono state probabilmente condivise a sufficienza le consegne della somministrazione, ovvero se ciò che gli veniva richiesto, come valutatori, fosse esclusivamente una valutazione delle pratiche realizzate (che hanno potuto osservare direttamente o rilevare indirettamente attraverso una qualche documentazione) o una valutazione su come il sistema si è predisposto in modo anticipatorio ai bisogni educativi speciali. Questa ipotesi è stata confermata dal confronto con gli stessi insegnanti negli ultimi due incontri del percorso formativo, dove sono stati presentati i risultati di queste analisi e discusse le ipotesi interpretative a cui il gruppo di ricerca era pervenuto. È possibile fare un discorso analogo per l’item 88, anche se in questo caso incide un ulteriore ordine di problema di natura squisitamente tecnica, ovvero la presenza di più contenuti evocati in una stessa domanda (coinvolgimento nel processo decisionale, nella pianificazione, nell’erogazione e nella valutazione dei servizi). I commenti che seguono sembrano confermare questa ipotesi: “Le famiglie non hanno poteri decisionali all’interno della scuola, ma a fine anno viene distribuito a tutta l’utenza un questionario sulla qualità del servizio erogato.” (Informazione non disponibile = 0) “Si.” ( Adeguato = 3)
7. La valutazione complessiva dell’esperienza Come si è visto per quanto riguarda l’area specifica dei “Bambini con bisogni educativi speciali”, la disponibilità per ogni item di fornire esempi e commenti si è rivelata una risorsa preziosa per comprendere i giudizi valutativi espressi. Utilizzati come materiale di discussione in precisi momenti del percorso formativo (terzo e quarto incontro), tali resoconti qualitativi si sono mostrati degli utili stimoli di confronto e discussione rendendo possibile una partecipata riflessione sia sulla complessità dei contesti educativi rivolti all’infanzia sia sui diversi e possibili modi di leggere tale complessità. Come sottolinea Gariboldi (2007, p. 58), in chiave formativa, il confronto sui contenuti di uno strumento valutativo, sulla sua capacità di leggere e descrivere i contesti a cui è rivolto, attiva in chi ha esperienza di tali percorsi, un processo di precisazione dei significati attribuiti all’azione educativa che permette di mettere in luce, e quindi di ragionare, sui diversi modelli pedagogici che sottendono specifici contesti educativi e di cui sono portatori in modo più o meno consapevole i diversi attori che vi operano (educatori, insegnanti, dirigenti, pedagogisti, personale ausiliare, ecc.). In questo senso, non solo la negoziazione dei significati a monte del percorso formativo (primo e secondo incontro), ma anche la discussione dei risultati valutativi emersi, così come l’analisi critica dello strumento utilizzato (terzo e quarto incontro), ha permesso alle insegnanti coinvolte in questo percorso di confrontarsi sulla qualità percepita e sulla qualità ideale (e quindi a cui tendere) dei contesti educativi in cui operano. In sintesi, quanto emerso dall’analisi dalle valutazioni delle sezioni mette in evidenza la presenza di aree di contenuto diversamente problematiche tra loro. Questo quadro è stato confermato durante gli incontri di restituzione dei risultati, ovvero negli incontri in cui le insegnanti potevano confrontarsi direttamente tra loro su quanto emerso dalle analisi dei dati.
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Ricerche – Qualità e valutazione
In chiave di valutazione dello strumento, ciò porta ad ipotizzare un’affidabilità variabile dell’ACEI-IGA in funzione di specifiche aree di contenuto, ,che vede, appunto, l’area dei bisogni educativi speciali, come l’area più critica. Tenendo conto anche di quanto emerso dalle valutazioni esplicite effettuate sullo strumento ACEI-IGA (terzo incontro), le considerazioni possibili sulla sua validità10 e sulla sua pertinenza al contesto prescolastico italiano sembrano, tuttavia, incoraggianti. In particolare, come si vede dalla figura 1, l’ACEI-IGA si afferma come uno strumento particolarmente utile, completo, efficace ed adeguato al contesto, seppur di non facile utilizzo (vedi Fig. 4).
Fig. 4: Valutazione strumento ACEI-IGA (valori medi, scale auto-ancoranti 1-10)
Un’ulteriore notazione positiva rispetto all’esperienza di formazione-ricerca qui presentata è il confronto tra la rilevazione dell’atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative effettuata all’ingresso e in uscita del percorso realizzato. Pur tenendo conto del numero ridotto di partecipanti, che rende difficile una possibile generalizzazione di questi risultati, ciò che ci pare si evidenzi in modo abbastanza netto è comunque una tendenza, nel tempo trascorso, al miglioramento in senso positivo di tale atteggiamento (vedi tab. 3): In quale misura le pratiche valutative possono aiutare a:
Inizio percorso
Fine percorso
Aumentare la consapevolezza rispetto ai propri contesti di lavoro
8,38
8,69
Migliorare la qualità del servizio educativo nel suo insieme
7,89
8,34
Migliorare la conoscenza del servizio da parte delle famiglie
6,59
6,97
Tab. 3: Atteggiamento nei confronti delle pratiche valutative (valori medi, scale auto-ancoranti 1-10)
10 Il concetto di validità è articolabile secondo Corbetta (2003, p. 60) in due aspetti, l’uno è detto “di contenuto” e l’altro “di criterio”. Il concetto di validità qui evocato si richiama sostanzialmente al primo aspetto e corrisponde in estrema sintesi alla capacità di un corpo di indicatori prescelti di coprire in modo soddisfacente i domini di contenuto di un dato concetto.
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Pensiamo che tali risultati siano legati principalmente al fatto di aver utilizzato lo strumento ACEI-IGA non come una scheda di valutazione fine a se stessa, uno strumento di valutazione esterna su cui essere addestrati individualmente, ma come uno strumento di formazione all’autovalutazione da condividere collettivamente, per riflettere sulle proprie e diverse intenzionalità educative, così come sulle diverse sfaccettature che qualificano un servizio educativo rivolto all’infanzia. Riteniamo pertanto sia utile sviluppare ulteriori percorsi di ricerca centrati sull’utilizzo dello strumento ACEI-IGA (o di altri strumenti auto valutativi) secondo un approccio che enfatizzi sia la funzione formativa della valutazione (Scriven, 1981), sia le potenzialità della pratica della valutazione come occasione di riflessione e di autoriflessione (Schön, 1983), di confronto e condivisione tra docenti dei significati delle loro pratiche e delle loro scelte pedagogiche. In tal senso, la possibilità fornita dall’ACEI-IGA di sfruttare un registro di annotazione qualitativo (esempi/commenti) costituisce una caratteristica peculiare dello strumento rispetto agli altri strumenti valutativi più diffusi (per esempio l’AVSI, il SOVASI o il DAVOPSI), e per questo è senz’altro una risorsa da valorizzare nella prospettiva di un uso integrato di strumenti valutativi diversi.
Riferimenti bibliografici ACEI - Association for Childhood Education International (2006). ACEI global guidelines assessment (2nd ed.). Olney, MD: Author. ACEI - Association for Childhood Education International (2011). ACEI Global Guidelines Assessment (GGA). Third Edition. An Early Childhood Care and Education Program Assessment. Estratto da http://acei.org/wp-content/uploads/introforgga.pdf. Bondioli A. (Ed.). AVSI auto valutazione della scuola dell’infanzia. Milano: Franco Angeli. Bondioli A., Ferrari M. (Eds.) (2008). AVSI - Autovalutazione della scuola dell’infanzia. Uno strumento di formazione e il suo collaudo. Azzano San Paolo (BG): Junior. Bondioli A., Nigito G. (Eds.) (2008). Tempi, Spazi, Raggruppamenti. Un Dispositivo di Analisi e Valutazione dell’Organizzazione Pedagogica della Scuola dell’Infanzia (DAVOPSI). Azzano San Paolo (BG): Junior. Corbetta P.G. (2003). La ricerca sociale: metodologia e tecniche. II. Le tecniche quantitative. Bologna: Il Mulino. Darder P., Mestres J. (2000). ASEI, Autovalutazione dei servizi educativi per l’infanzia. Traduzione e adattamento italiano di M.P. Gusmini. Milano: Franco Angeli. Dazzi C., Pedrabissi L. (1999). Fondamenti ed esercitazioni di statistica applicata ai test. Bologna: Pàtron. Gariboldi A. (2007). Valutare il curricolo implicito nella scuola dell’infanzia. Azzano San Paolo (BG): Junior. Hardin B. J., Wortham S., Mbugua T., Bergen D. (2005). Assessing and improving early childhood program quality using the ACEI global guidelines assessment. Montreal, CAN: American Educational Research Association. Harms T., Clifford R.M. (1994), Scala per l’osservazione e la valutazione della scuola dell’infanzia (SOVASI. Traduzione e adattamento italiano di M. Ferrari e A. Gariboldi. Azzano San Paolo (BG): Junior. Savio D. (2004). L’AVIS. In A. Bondioli, M. Ferrari (Eds.), Verso un modello di valutazione formative. Ragioni, strumenti e percorsi (pp. 181.189). Azzano San Paolo (BG): Junior. Schön D.A. (1983). The Reflective Practitioner: How professionals think in action. London:Temple Smith (trad. it. Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari, 1993). Scriven M. (1981). Evaluation Thesaurus. Inverness Ca: Edgepress.
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Ricerche
Qualità e valutazione
Valutare la qualità della scuola Centralità del punto di vista degli studenti School quality evaluation Centrality of the students’ perspective VALENTINA GRION • MARTINA GROSSO Molti ricercatori assumono oggi posizioni critiche nei confronti dei sistemi di valutazione delle scuole legati al Measurement Paradigm, sottolineandone i limiti e ritenendo di conseguenza necessario ricercare strategie per superare le deficienze. Alcuni rilevano la necessità che in tal senso si utilizzi una molteplicità di fonti di dati, fra cui anche quelli relativi a “soddisfazione” e percezioni dell’utenza. In questo contesto, è stata condotta una ricerca il cui obiettivo è stato quello di definire indicatori per costruire uno strumento di valutazione della qualità a partire dal punto di vista degli stakeholder. A un convenience sample di circa 150 studenti di scuola secondaria inferiore, è stata somministrata una domanda aperta sulle loro percezioni di “buona scuola”. L’analisi del contenuto sui testi raccolti ha evidenziato l’emergere di sei categorie di significati. Nonostante la ricerca sia ancora in corso, riteniamo siano emersi alcuni aspetti interessanti su cui riflettere.
Many researchers today assume a critical position toward the school evaluation systems linked to the Measurement Paradigm and highlight its limits and pernicious effects.They claim to employ strategies to remedy these deficiencies. Some authors affirm the importance to use a greater diversity of tools, to refer to multiple sources of data and measuring “client satisfaction” and perceptions. In this framework, we are conducting an empirical work to verify the possibility of establishing a set of evaluative indicators, based on students’ representations of “a good school”. A convenience sample of about 150 students was chosen from an Italian middle school. During normal class time, participants answered a written open question.We conducted a content analysis of the texts, in order to identify emergent categories of content. We find six significant categories and although our analyses are at an early stage, we think there are some interesting aspects to be discussed.
Parole chiave: qualità della scuola, valutazione di sistema, prove INValSI, measurement paradigm, approccio consulting pupils, analisi del contenuto.
Key words: school quality, school system evaluation, INValSI test, measurement paradigm, pupil consultation approach, content analysis.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Introduzione Il tema della valutazione della qualità delle scuole è oggi al centro del dibattito politico europeo (Grek, Ozga, 2008) e focus d’interesse di diversi gruppi di ricerca (Alexander, The Cambridge Primary Review, 2009; Castoldi, 2008; Croxford, Grek, Shaik, 2009). Di particolare attualità esso risulta nello specifico contesto italiano: una delle 39 richieste di chiarimento, sollevate all’Italia dal Consiglio europeo nel carteggio intercorso1 a fine 2011 in funzione del superamento della profonda crisi economica che ha investito l’Italia, riguarda proprio i passi che il nostro paese intenderebbe fare per ristrutturare le singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INValSI. Ciò che l’Europa chiede, ci sentiamo d’interpretare, è un’assicurazione da parte dell’Italia, che si lavori al miglioramento della qualità delle scuole, poiché l’avanzamento del livello medio della formazione è considerato, in ambito politico europeo, strumento fondamentale per i progressi sociali ed economici degli stati (Consiglio d’Europa, 2001). Focalizzando l’attenzione sulla valutazione della qualità delle scuole italiane, l’Europa politica non può che richiamare l’unico strumento che l’Italia utilizza, a livello nazionale, per l’apprezzamento della qualità del sistema d’istruzione, ossia le prove INValSI. All’interno di questo quadro, s’inserisce il presente contributo che, facendo riferimento agli apporti teorici di alcuni ricercatori legati alla prospettiva dell’Assessment for Learning2, intende perseguire due obiettivi. Innanzitutto quello di rilevare alcune criticità di un sistema valutativo come quello dell’INValSI, per giungere a metterne in discussione l’efficacia e l’adeguatezza all’interno di un contesto sociale come quello odierno. In secondo luogo, quello di presentare i primi risultati di una ricerca, attualmente in corso, volta alla individuazione di indicatori di valutazione della qualità delle scuole, a partire dal punto di vista degli studenti, per i quali la scuola non è solo luogo deputato alla crescita in prospettiva di un più o meno indefinito futuro, ma un fondamentale contesto di vita quotidiana.
2. Un paradosso a livello pedagogico-didattico Nel contesto di una pubblicazione dedicata alla riflessione su successi e fallimenti della Pedagogia Costruttivista (Tobias, Duffy, 2009), Swartz, Lindgren e Lewis (2009) discutono su alcune rilevate discrepanze fra i successi del Costruttivismo (scritto maiuscolo, affermano gli autori) quando inteso come filosofia educativa, in base alla quale acquisiscono significato formativo attività come la partecipazione, la ricerca, la scoperta, l’esplorazione, la manipolazione ecc., e gli scarsi risultati che si hanno dall’applicazione del costruttivismo (scritto minuscolo) adottato in singole lezioni o unità formative. In relazione a queste evidenze gli autori si chiedono se sia maggiormente efficace, ai fini dell’apprendimento, semplicemente “trasmettere” agli studenti ciò che essi devono apprendere, o se, al contrario, i processi di ricerca, problematizzazione, scoperta siano maggiormente significativi in tal senso. 1 La richiesta di chiarimenti è giunta all’Italia dal Consiglio europeo in rapporto alla dichiarazione d’intenti per il superamento della crisi proposta dal governo italiano e presentata agli organismi europei dall’ex primo ministro Berlusconi nell’ottobre 2011. 2 Riguardo alla prospettiva Assessment for Learning, si veda quanto sintetizzato da Grion (2011b). Una presentazione ampia della prospettiva è presente in P. Weeden, J. Winter, P. Broadfoot (2009).
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Ricerche – Qualità e valutazione
La risposta che essi propongono mette in luce quello che potremmo definire un paradosso interno all’odierna pedagogia. Essi ritengono che le apparenti discrepanze fra i risultati dell’applicazione del Costruttivismo (scritto maiuscolo) e quelli ottenuti in seguito a pratiche costruttiviste realizzate all’interno di singole lezioni siano riferibili alla natura dei processi valutativi utilizzati. Le pratiche costruttiviste messe in atto in singole unità d’apprendimento verrebbero infatti valutate attraverso modalità “non-costruttiviste”. In questo caso gli studenti verrebbero «sottoposti a test che misurano quale sia la loro efficienza nel ricordare fatti, applicare tecniche e risolvere situazioni simili. […] Una valutazione adeguata alla pedagogia costruttivista dovrebbe esaminare le abilità e le attitudini degli studenti nel costruire nuova conoscenza, non solo la capacità di applicare “vecchie” conoscenze» (Swartz, Lindgren e Lewis, 2009, p. 35). Una valutazione dallo “stile costruttivista” verrebbe invece adottata quando si tratta di valutare gli effetti di un approccio Costruttivista (scritto in maiuscolo) all’insegnamento, sulle competenze raggiunte dagli studenti, ad esempio alla fine di un percorso di studi orientato da tale filosofia educativa. Alla luce di queste considerazioni, va notato che le forme di valutazione oggi maggiormente adottate nella scuola, soprattutto nell’ambito della valutazione di sistema, sono test a risposta chiusa che si fondano su un approccio non-costruttivista, e misurano specifiche abilità, piuttosto che apprendimenti.Tale format valutativo implica e supporta un’istruzione di tipo trasmissivo con pratiche ripetitive che stimolano il miglioramento dell’efficienza nell’applicazione di abilità in contesti non complessi. Molto meno diffuse sono invece quelle forme di valutazione che gli autori citati definiscono “PLF”, Preparation for future learning, tipologia di valutazione in cui gli studenti hanno la possibilità di apprendere durante il processo valutativo stesso.Tali modelli sarebbero maggiormente appropriati per la valutazione di esiti di tipo costruttivista. Queste riflessioni gettano luce su quella che è l’attuale situazione, anche in Italia. Da una parte infatti gli organismi deputati a definire gli obiettivi educativi delle scuole, così come i recenti sviluppi del pensiero pedagogico, dirigono scuole e insegnanti verso l’assunzione di pratiche d’insegnamento orientate da un approccio costruttivista socio culturale (Varisco, 2002) all’insegnamento/apprendimento. Dall’altra, gli stessi organismi spingono in modo sempre più ampio e pressante verso l’adozione di forme valutative standardizzate, opposte a quelle denominate PLF, e legate invece ad una visione “trasmissiva” dell’apprendimento e insensibili agli esiti formativi dell’apprendimento costruttivista.
3. Valutazione scolastica vs emergenze sociali? Un seconda e significativa osservazione, in relazione all’uso delle prove oggettive standardizzate per la valutazione dei sistemi scolastici, riguarda il ruolo che queste assumono in rapporto allo sviluppo di forme di apprendimento sempre meglio adeguate ad una Knowledge/Learning Society. Appare ormai assodato che, «nel nostro viaggio verso il futuro, un futuro dai contorni sfumati e dei quali nessuno sembra in grado di percepire i toni, un futuro che ha l’abitudine di arrivare molto prima di quanto ci serva per essere realmente pronti ad affrontarlo (Whitaker, 1997), futuro sempre più appartenente al presente (Volante, 2004)» (Grion, 2008, p. 11), i compiti e le responsabilità della scuola siano fortemente mutati. Nel secolo attuale, definito Age of unreason (Handy, 1989), le cui espressioni sociali vengono di volta in volta indicate come Knowledge Society o Learning Society, in ambito costruttivista-socio culturale (Varisco, 2002) si concorda sul fatto che la migliore formazione, quella orientata a offrire
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competenze per saper affrontare la vita (anche) fuori dalla scuola in situazioni sempre nuove e complesse, si fondi sull’acquisizione di un sicuro e strategico approccio allo studio e all’apprendimento autonomi, attraverso il quale continuare la propria formazione anche oltre le situazioni “guidate” dell’istruzione formale (Swartz et al., 2009). In tale prospettiva, le abilità di cui le attuali giovani generazioni sembrerebbero avere necessità sono quelle legate alla “fiducia e consapevolezza di sé”, alla “capacità di scegliere in contesti imprevedibili e complessi”, alla “creatività” in quanto potenzialità necessaria per generare soluzioni sempre nuove ai problemi, ossia, come significativamente espresso da Claxton (2001, p. 11), «la capacità di sapere cosa fare [proprio] quando non sai cosa fare». Anche a livello professionale, sono sempre più apprezzate abilità come quelle di saper comunicare, organizzare autonomamente il proprio lavoro, collaborare con i colleghi, essere in grado di valutare le situazioni, di prendere decisioni; vengono inoltre ricercate caratteristiche personali come l’essere flessibili, responsabili, maturi, consapevoli di sé (Hargreaves, 2004). Al contrario, nel momento stesso in cui ai futuri cittadini e protagonisti del mondo del lavoro è richiesto di essere individui riflessivi, capaci di risolvere problemi e di lavorare in gruppo, noi a scuola «sottoponiamo sempre di più i lavoratori del domani a test ed esami che richiedono accumulo [di conoscenze], riproduzione di saperi già esistenti e competizione individuale» (Broadfoot, 2007, p. 47); utilizziamo «prove inadatte a cogliere alcuni degli elementi essenziali dell’educazione del XXI secolo, come la capacità di problem solving, il pensiero critico, l’intraprendenza e il senso di cittadinanza» (Harlen & Gardner, 2010). Mentre a scuola ci limitiamo a valutare “semplici abilità”, dei lavoratori si apprezzano “qualità e attitudini”. Questa contraddittorietà fra pratiche sociali e pratiche valutative scolastiche sarebbe imputabile, secondo Broadfoot (2007) all’incapacità di riconoscere, da parte degli organismi politici, l’incompatibilità fra quella che l’autrice chiama The Standards Agenda, legata alla diffusione dei tradizionali test a fini rendicontativi come strumenti per valutare il raggiungimento di standard formativi normativi, e la necessità degli organismi formativi stessi di perseguire competenze e apprendimenti orientati dalle emergenze del XXI secolo. Tale limitata visione politica tenderebbe inoltre, ad inibire ogni sforzo diretto alla creazione di tecnologie valutative alternative, dirette a considerare quelle abilità, come quelle emotive, sociali, motivazionali che, oltre ad essere oggi fortemente apprezzate a livello sociale, giocano un ruolo chiave sia all’interno dei processi d’apprendimento, che in relazione alle competenze professionali. Ciò che va rilevato infine è che, se nell’ambito della valutazione di sistema, si continuerà a non considerare queste abilità, attitudini e qualità, esse saranno sempre meno apprezzate sia dagli insegnanti che dagli studenti, con il conseguente rischio di assistere alla progressiva definizione di una scuola sempre più lontana dal contesto sociale e sempre meno capace di rispondere ai bisogni formativi di Knowledge e Learning Societies.
4. Orientamenti della ricerca sulla valutazione di sistema in Europa Molti autori (Broadfoot, 2007; Gardner Harlen, Hayward, Stobart, 2010; Stobart, 2008), soprattutto di area anglofona, appartenenti a paesi con lunga tradizione d’uso dei test standardizzati di prestazione degli studenti come forma di monitoraggio nazionale della qualità delle scuole, esprimono attualmente forti dubbi rispetto alla possibilità che tali prove possano riflettere effettivamente ed in modo accurato la qualità delle scuole stesse. Pur riconoscendo un ruolo positivo alle attività di accountability, alcuni di questi autori
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rilevano la necessità che essa si realizzi come “rendicontazione intelligente” (Stobart, 2008), modalità di agire che sembrerebbe potersi attuare secondo alcune direttrici. La prima sarebbe caratterizzata da tutte quelle azioni dirette ad assegnare maggiore fiducia ai professionisti della scuola, affidando loro la responsabilità di assicurare la qualità, o comunque chiamandoli a posizioni maggiormente attive, come quella implicata in un rapporto di reciprocità con il sistema centrale (MacBeath, 2006). Una seconda direttrice sarebbe quella indirizzata al superamento dell’intento meramente rendicontativo della valutazione, caratterizzante quella che Guba e Lincoln (1987) definiscono “valutazione di prima generazione” e tipico dell’approccio School Effectiveness (Harris, Bennet, 2001) per assumere «caratteristiche più vicine a quelle dell’ottica School Improvement, all’interno della quale il principale fine valutativo è quello del “miglioramento” della qualità del sistema. Si tratta di una valutazione interessata non solo agli esiti delle azioni della scuola, ed invece orientata a considerare l’intero processo formativo» (Grion, 2011a, p. 223) al fine di cogliere le potenzialità di cambiamento della scuola stessa; valutazione in cui non contano unicamente i risultati ottenuti dagli studenti, utili “solo” a provare l’efficacia di un programma e invece coinvolgente le diverse componenti, con l’obiettivo di identificarne punti di forza e di debolezza, per farne motori di cambiamento migliorativo. Un’ulteriore direzione da intraprendere per garantire una “rendicontazione intelligente” sarebbe quella orientata alla moltiplicazione delle fonti di dati, necessaria per ottenere una valutazione della qualità che sia in grado di generare contemporaneamente lo sviluppo di adeguate strategie per il miglioramento. Tali fonti dovrebbero comprendere, secondo Broadfoot (2007), dati di prestazione degli studenti, osservazioni delle classi, piani di lavoro degli insegnanti, esempi di attività degli studenti e dei risultati ottenuti, elementi riferiti agli obiettivi da perseguire, dati riguardanti la collaborazione e l’indipendenza nell’apprendimento, auto-valutazioni dei ragazzi, percezioni degli stessi e dello staff della scuola. In simile prospettiva, Berger e Ostinelli (2006, p. 15) affermano che per creare un “modello sostenibile di scuola”, sia necessario considerare «la qualità non solo in termini di risultati, ma anche e soprattutto come qualità reale sia del vivere scolastico dei vari attori, sia dei loro apprendimenti, in un’ottica globale e quindi più estesa rispetto a quella disciplinare che va ancora attualmente per la maggiore». D’altra parte già nel 1975 Stake, nell’elaborazione del suo modello di “valutazione sensibile”, metteva in dubbio la possibilità che un’istruzione efficace possa produrre esiti completamente misurabili poiché «il “controvalore” della stessa può essere di tipo diffuso, può manifestarsi dopo molto tempo o essere tale da rimanere sempre al di là della portata dello studio dei valutatori» (Stake, 1975, riportato in Stame 2007, p. 164). È per questo – sosteneva il ricercatore – che il valutatore dovrebbe scegliere percorsi diversi ai fini della valutazione del beneficio di un programma. Secondo Walford (2002), per ottenere dati adeguati ad una effettiva valutazione della qualità della scuola, sarebbe necessario coinvolgere gli stakeholder delle comunità scolastiche nello sviluppo e nell’implementazione di diversi indicatori di qualità. Dovrebbe inoltre essere misurato il grado di soddisfazione degli utenti delle scuole, anche se tale misurazione risulta senza dubbio più complessa che in altri contesti di pubblico servizio. A parere di Flutter e Rudduck (2004), nei contesti educativi e scolastici, si sono finora comprese assai poco le potenzialità insite nell’ascoltare coloro che sono coinvolti nell’organizzazione. Alcuni autori (MacBeath, 2006; Stronge,Tucker, 2003;Walford, 2002) ritengono che gli studenti, in particolare, siano la maggiore, seppure scarsamente sfruttata, fonte di conoscenza di ciò che avviene nelle classi; essi possono perciò essere portatori di idee realistiche rispetto alle modalità attraverso le quali la scuola possa migliorare. La scuola rappresenta infatti per i giovani non solo un contesto in cui prepararsi per la vita dopo la scuola, ma anche una parte significativa della loro vita attuale. Ciò che essi si aspettano dalla scuola, ciò che
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sperano di trovare nell’ambiente scolastico e nelle persone che vi incontrano dovrebbero costituire aree fondamentali alle quali far corrispondere indicatori di qualità (Grion, 2011a). Ascoltare la voce dei giovani protagonisti della scuola e capire le loro prospettive permetterebbe, secondo Flutter e Rudduck (2004) di focalizzare l’attenzione sulle “realtà percepite”, tanto importanti poichè «…come le cose sono è spesso meno rilevante di come le persone pensano - o percepiscono – le cose siano […] poiché sono queste realtà “percepite” che danno forma e significato alla vita e alle azioni della gente» (Flutter, Rudduck, 2004, p. 6).
5. La ricerca empirica “Listening for understanding is a high art”3 All’interno del contesto teorico descritto, abbiamo progettato una ricerca empirica il cui obiettivo è stato quello di rilevare l’emergere delle “realtà percepite” dagli studenti, indagando la loro idea di “buona scuola” per definirne le dimensioni, a partire dal punto di vista di una componente importante (insieme a quelle degli insegnanti, del personale non docente, delle famiglie) fra gli stakeholder della scuola. Facendo riferimento ad un approccio di ricerca costruzionista (Holstein, Gubrium, 2008), all’interno del quale l’analisi si svolge come interpretazione dei significati emergenti dal contesto, non abbiamo formulato ipotesi precise e definitive che guidassero l’indagine. Esplorando il contesto di ricerca abbiamo però assunto come punto di partenza un “concetto sensibilizzante” (Tarozzi, 2008), ossia l’idea che, nel descrivere una “buona scuola”, gli studenti potessero far emergere un costrutto “qualità della scuola” più ampio rispetto a quello cui sembrano fare riferimento le prove valutative nazionali e sulla base del quale esse vengono strutturate e somministrate. Ci si aspettava dunque che nelle risposte degli studenti ci potessero essere forti richiami ad aspetti sociali, motivazionali, valoriali ed ambientali, completamente esclusi da una valutazione della qualità basata sull’uso dei test di performance. Partecipanti Questa prima fase del progetto di ricerca, le cui prospettive sono quelle di essere esteso ad un contesto molto più ampio, è stata condotta nell’ambito di un’attività di doposcuola4 rivolto a ragazzi di una scuola secondaria inferiore veneta. Ai fini dell’indagine abbiamo scelto di individuare un caso di studio nell’ambito del livello scolastico secondario inferiore. E’ stato così determinato un “convenience sample” (Silverman, 2010) composto da 145 studenti che frequentano un’attività di doposcuola. Di questi, n =68 frequentano il primo anno, n=36 il secondo anno e n =41 il terzo anno. Del campione totale, n = 72 sono di sesso femminile e n = 73 di sesso maschile; n = 103 sono di nazionalità italiana e n = 42 sono stranieri; n = 28 sono stati bocciati almeno una volta. In relazione a tale campionamento, è importante prendere in adeguata considerazione i limiti di rappresentatività (Silverman, 2010) in esso insiti. Nostra intenzione non è comunque quella di ricavare dati generalizzabili, ma di far emergere un “senso” del costrutto indagato, che sia rappresentativo dei termini di significato che i partecipanti hanno di esso.
3 S. Covey (2000). Riportato da J. MacBeath (2006), p. 70. 4 Il “Dopo la Campanella” è un’attività di doposcuola organizzata dall’Oratorio Don Bosco di San Donà di Piave, in cui una delle ricercatrici ha lavorato come educatrice per tre anni.
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Ricerche – Qualità e valutazione
Procedure Durante la fase organizzativa sono stati stabiliti tempi e luoghi della ricerca ed è stato richiesto il consenso alla partecipazione, ai genitori dei ragazzi potenzialmente coinvolti. In accordo con l’ente organizzatore del doposcuola, dopo la quotidiana attività, è stata somministrata ai soggetti una domanda aperta scritta in cui è stato richiesto “Che cos’è per te una buona scuola?”. Si è ritenuto che l’uso di una domanda aperta potesse permettere l’emergere del più ampio ventaglio di idee, aspettative, desideri degli studenti rispetto alla “buona scuola”, senza indirizzare o limitare l’esplicitazione dei loro pensieri. Si è lasciato che gli studenti rispondessero liberamente secondo i tempi individualmente necessari. Una volta raccolti i protocolli, si è proceduto alla loro digitalizzazione e al trattamento tramite il software di analisi testuale AtlasTi. Seguendo le indicazioni di Cohen, Manion e Morrison (2007) abbiamo compiuto un’analisi del contenuto sui testi archiviati. Al fine di perseguire una migliore comprensione della realtà indagata e maggiore appropriatezza nella ricostruzione della stessa, due codificatori indipendenti hanno svolto l’analisi (Johnson, 1997). Essi hanno proceduto inizialmente a considerare solo una limitata porzione di testi (circa 10% del totale) con lo scopo di: a) testare le modalità e i primi risultati della codifica (Weber, 1990; Silverman, 2010); b) confrontarsi per co-costruire procedure condivise. Una volta raggiunto un buon grado di accordo rispetto alle procedure di codifica, l’analisi è stata estesa alla totalità delle porzioni di testo analizzate. I codici, individuati a partire dai contenuti testuali, sono stati successivamente raggruppati in categorie corrispondenti con i principali nodi concettuali individuati a partire dal contenuto preso in analisi. Il processo ha implicato una serie di successive discussioni e negoziazioni per giungere a trovare l’accordo necessario ad una codifica unanimemente accettata per tutte le porzioni di testo. Dopo l’analisi, al fine di perseguire una maggiore “fedeltà” alla realtà indagata e ottenere in tal modo risultati maggiormente attendibili (Cohen, Manion, & Morrison, 2010), è stato fissato un ulteriore incontro con gli studenti, nel quale sono stati presentati e discussi codici e categorie da noi individuati. In seguito a questo incontro, abbiamo proceduto ai necessari aggiustamenti e quindi a stilare la lista definitiva delle categorie emerse. Va rilevato che la credibilità/autenticità dei dati, è stata garantita anche dalla prolungata permanenza di un ricercatore (in qualità di membro effettivo della comunità ossia come educatore nell’ambito dell’attività di doposcuola) all’interno del contesto indagato (Lincoln, Guba, 1985, Sorzio, 2005). Risultati Essendo la ricerca ancora in corso, si presentano qui solo i primi risultati. In base all’analisi di contenuto proposta, è emerso che i partecipanti hanno fatto riferimento a una moltitudine di posizioni soggettive riguardo il concetto di buona scuola, a sottolineare come il vissuto personale di ciascuno studente sviluppi punti di vista diversi riguardo all’importanza investita dai fattori che andrebbero a definire la scuola di qualità. All’interno di queste posizioni è stato possibile rilevare l’emergere di sei aree, che abbiamo codificato come “categorie emergenti” (Graf. 1). Come di seguito chiarito, ciascuna di esse raggruppa in sé i codici identificativi delle porzioni di testo che potrebbero costituire le diverse risposte degli studenti ad una specifica questione relativa alla qualità della “buona scuola”.
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Graf. 1: Categorie emergenti e loro frequenza espressa in percentuale
Come si può osservare dal grafico 1, la categoria che ha la percentuale di frequenza maggiore è l’“offerta formativa” della scuola (22%); a seguire compare la categoria “atteggiamento degli insegnanti verso gli alunni” (21%); al terzo posto quella relativa a “struttura/organizzazione della scuola” (19%); al quarto vi è “metodi/pratiche di insegnamento” (17%); al quinto “attività scolastiche” (13%); e in ultimo “prospettive future” (8%). L’“offerta formativa della scuola” è dunque la categoria che presenta maggiore frequenza. Al suo interno (cfr. tabella 1) sono stati raggruppati i codici identificativi delle porzioni di testo in cui i ragazzi sembrano rispondere alla seguente questione: “quali sono gli obiettivi formativi che una “buona scuola” dovrebbe garantire e attraverso quali modalità dovrebbe farlo”? Gli studenti fanno riferimento ad obiettivi a vari livelli di generalità/specificità, e di diverso tipo: sono citati obiettivi cognitivi/conoscitivi come quelli di “fornire conoscenze” e di “insegnare un metodo di studio”, obiettivi comportamentali come quelli di promuovere negli studenti la “socializzazione”, il “rispetto” fra membri della comunità, la “correttezza” e anche lo sviluppo di “amicizie” nell’ambito della vita scolastica; vi sono inoltre riferimenti alla “crescita personale” che una buona scuola dovrebbe promuovere, e allo sviluppo valoriale degli studenti. Tali obiettivi dovrebbero essere conseguiti all’interno di un “clima scolastico sereno”, attraverso attività svolte prevalentemente “in classe” (ossia in orario scolastico vs pomeridiano/casalingo), ma anche attraverso la promozione di visite d’istruzione per “conoscere posti nuovi”. Un’ulteriore modalità di realizzazione dell’offerta formativa che viene suggerita dai ragazzi riguarda il fatto che la “buona scuola” dovrebbe attivare forme di apprendimento maggiormente legate alla “pratica”: ci pare di poter leggere, in questo caso, l’emergere del principio pedagogico deweyano del learning by doing, che probabilmente caratterizza assai poco il fare delle scuole secondarie inferiori italiane ed è invece sentita come esigenza dai ragazzi. Un’analisi maggiormente dettagliata dei codici riferiti a questa categoria, permette di rilevare che fra i n.= 12 codici che la compongono, quello maggiormente citato è fornire conoscenze (n. = 30 occorrenze nel corpus testuale), a ribadire il radicamento, anche negli studenti, di un’idea di scuola legata ad un concetto trasmissivo del sapere (il verbo “fornire” ne mette chiaramente in rilievo questa funzione).Va rilevato però che, accanto a questo codice,
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Ricerche – Qualità e valutazione
buona parte degli altri, presenti all’interno di questa prima categoria, riguarda aspetti relazionali e sociali: promuovere le amicizie (15%), un clima scolastico sereno (14%), il rispetto (12%) e la socializzazione (4%), confermando quello che abbiamo considerato il “concetto sensibilizzante” (Tarozzi, 2008) della nostra ricerca, ossia che gli studenti tendano a fare ampio riferimento ad aspetti sociali e relazionali per definire le caratteristiche della scuola di qualità.
Codici Fornire conoscenze Promuovere amicizie Promuovere clima scolastico sereno Promuovere il rispetto Scuola più pratica e meno teorica Insegnare metodo di studio Promuovere socializzazione Far conoscere posti nuovi Promuovere comportamento corretto Promuovere crescita personale Trasmettere valori Lavorare in classe
N° occorrenze 30 19 17 15 15 11 5 4 3 3 2 1
Tab. 1: codici costitutivi della categoria “Offerta formativa della scuola”
La categoria “Atteggiamento degli insegnanti verso gli alunni” è al secondo posto in percentuale di frequenza all’interno del corpus testuale. I codici che vi rientrano sono n =10 (cfr. tabella 2) e identificano le porzioni di testo che potrebbero rispondere alla domanda: “Quali atteggiamenti dovrebbero assumere gli insegnanti nella relazione educativa?” Questi codici richiamano l’importanza di una figura docente non legata esclusivamente al rapporto insegnamento-apprendimento in senso stretto, ma attenta alla più ampia relazione “educativa”, all’interno della quale il docente si dispone in una situazione di ascolto e di disponibilità nei confronti degli allievi, è attento ai bisogni di ciascuno e sa personalizzare il rapporto. Va notato in particolare che il codice che compare con una maggiore percentuale di frequenza è “aiutare”. I partecipanti ribadiscono, in molte delle risposte date, l’importanza dell’aiuto, da parte dei professori, nel superare le difficoltà di vario genere (relazionale, relative all’apprendimento e alle prestazioni richieste ecc.) che gli allievi incontrano, quotidianamente nella scuola. La richiesta di aiuto degli studenti si esplicita in vario modo nelle porzioni di testo identificate dai codici “essere disponibili”, “non fare differenze”, “comprendere gli alunni” e “non trattare male”. Significativamente uno studente del secondo anno definisce la buona scuola come quella in cui: «devono esserci professori gentili e disponibili, che non fanno stare male gli alunni se fanno fatica a studiare e non capiscono le cose». Al contrario, secondo i partecipanti, in una scuola che si possa definire “buona”, i professori dovrebbero concentrarsi sull’aiuto, soprattutto di coloro che presentano problemi più seri. Un altro codice, su cui pare interessante soffermarsi, emerso dall’analisi di contenuto è “farsi rispettare”. Secondo i partecipanti, la capacità del docente di farsi rispettare modellerebbe negli studenti il rispetto verso tutte le persone adulte. Un alunno di terza, in proposito, afferma che «gli insegnanti devono sapersi fare rispettare perché così insegnano agli alunni il rispetto per gli adulti».
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Codici Aiutare Essere disponibili Non fare differenze Farsi rispettare Comprendere Considerare impegno Mettere a proprio agio nelle verifiche Non trattare male Incoraggiare Credere negli alunni
N° occorrenze 29 17 16 8 8 6 5 4 1 1
“Strutture/organizzazione della scuol
q Tab. 2: codici costitutivi della categoria “Atteggiamento degli insegnanti verso gli alunni”
L’idea di “buona scuola” emergente dalla terza categoria “Strutture/organizzazione della scuola”, quella che racchiude i codici relativi alla questione “quali caratteristiche strutturali e organizzative dovrebbe avere la “buona scuola?”. Essa mette in luce il fatto che anche gli aspetti strutturali e organizzativi (spesso assai trascurati o comunque poco considerati nella scuola italiana) rivestano un ruolo non indifferente nella definizione di una scuola di qualità. Oltre al fatto che gli studenti desidererebbero una scuola “nuova”, “attrezzata”, “pulita”, attività potrebberomigliore essere quelle laboratoriali “bella”, ciò che sembra interessante rilevare è che essiche riterrebbero una scuola ricca («u di laboratori, in cui siano assegnati maggiori spazi e tempi alle attività da svolgersi “oltre la classe”, attraverso il superamento della classica lezione ex-cathedra; attività che potrebbero essere quelle laboratoriali («una buona scuola deve avere tante ore di laboratori e non solo studio dai libri»), o comunque occupazioni volte a promuovere la socializzazione, il lavoro collaborativo, lo “stare con i compagni”. Un aspetto emergente riguarda l’esigenza, manifestata da alcuni studenti - attraverso le asserzioni identificate dai codici “compiti per casa” e “corsi di recupero pomeridiani” - che le attività assegnate dai professori come consegne da svolgere più o meno individualmente in orario extrascolastico, siano quantitativamente contenute perché «se si hanno professori che spiegano bene e severi in modo che gli alunni stiano attenti in classe e non disturbino […] non serve studiare da soli nel pomeriggio». Uno di loro manifesta l’esigenza che in luogo dei compiti, una “buona scuola” dovrebbe organizzare corsi di recupero per supportare gli allievi con maggiori difficoltà e «aiutarli a non restare bocciati». Codici Laboratori Spazi e tempi per promuovere la socializzazione Scuola nuova Scuola attrezzata Compiti per casa Organizzazione tempi Scuola bella Scuola pulita Servizi offerti Corsi di recupero pomeridiani
N° occorrenze 28 21 15 11 8 8 7 7 3 2
Tab. 3: codici costitutivi della categoria “Strutture/organizzazione della scuola”
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Ricerche – Qualità e valutazione
Oltre che in relazione alla categoria “atteggiamenti dei docenti verso gli studenti” precedentemente presentata, riguardante specificamente gli aspetti relazionali fra docenti e alunni, i ragazzi si sono espressi ulteriormente rispetto alla figura dell’insegnante, con numerose asserzioni, riguardanti la questione “quali metodi e quali pratiche d’insegnamento dovrebbero adottare i docenti di una buona scuola?”, asserzioni raggruppate nella categoria “Metodi/pratiche degli insegnanti” (cfr. tabella 4). Anche all’interno di questa categoria emerge un’idea tradizionale di scuola, nella quale la funzione docente è quella di spiegare bene ma, accanto a quest’ultimo codice, molti altri definiscono il docente come colui che propone forme d’insegnamento attraverso le quali sa coinvolgere gli alunni, fa leva sui loro interessi, dimostra passione nell’insegnamento. In effetti, il codice che presenta un numero maggiore di frequenze è proprio “promuovere un clima coinvolgente” (che peraltro riporta il più alto numero di ricorrenze rispetto a tutti gli altri codici del corpus testuale). La rilevanza di questo codice, dimostra il desiderio degli studenti di essere coinvolti in modo attivo nel processo di apprendimento. L’importanza attribuita alla capacità degli insegnanti di coinvolgere gli alunni è confermata ulteriormente dai codici “insegnare con passione” e “considerare gli interessi” con cui i partecipanti evidenziano l’importanza degli aspetti motivazionali per promuovere l’apprendimento, sia in relazione al docente che agli studenti. In proposito, un alunno lucidamente afferma che «in una scuola di qualità, i professori devono «avere passione per le materie che insegnano e la devono trasmettere agli alunni in modo che imparino volentieri». All’interno di una “buona scuola” inoltre, molti studenti ritengono che gli insegnanti non debbano “limitarsi a spiegare”, ossia focalizzarsi solo sulla trasmissione di conoscenze, ma perseguire anche lo sviluppo di competenze sociali, relazionali, organizzative e valoriali nei ragazzi: «una buona scuola deve avere professori validi che non spieghino solo le materie, ma insegnino anche a comportarsi bene in classe» e «i professori non devono solo spiegare ma anche insegnare a organizzarsi». Il docente deve inoltre promuovere “forme di orientamento” assumendo compiti di individuazione e sviluppo delle qualità personali di ogni studente, per «trovare il meglio in ognuno [ e permettere di…] capire veramente in cosa sei bravo e cosa ti piacerebbe fare da grande». Codici Promuovere clima coinvolgente Spiegare bene Non limitarsi a spiegare Insegnare con passione Usare buoni metodi Promuovere forme di orientamento Garantire una buona preparazione degli alunni Considerare interessi
N° ricorrenze 39 20 20 12 12 10 7 4
Tab 4: codici costitutivi della categoria “Metodi/pratiche degli insegnanti”
Nella categoria “Attività scolastiche” (cfr. tabella 5), al quinto posto in base alla percentuale di frequenza, sono stati raggruppati i codici relativi a quelle porzioni di testo che potrebbero costituire risposte alla domanda: “quali concrete attività dovrebbe promuovere una buona scuola?”. I codici fanno riferimento soprattutto ad attività, alternative alla classica lezione in classe, dirette da una parte a promuovere “lo stare con i compagni”, dall’altro a favorire un ap-
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prendimento che potremmo definire “situato” e legato a momenti di pratica. Gli studenti infatti elencano come qualificanti, attività come le “gite scolastiche”, che ritengono necessarie «per imparare le cose vedendole, così si imparano meglio» e «si apprezzano molto di più», e anche, «per stare con gli altri, fare amicizia e imparare cose nuove». Manifestando ulteriormente l’adolescenziale necessità di amicizia e di complicità fra coetanei, a cui forse la scuola non risponde adeguatamente, gli studenti dichiarano come importanti anche i “lavori di gruppo” «per fare amicizia con gli altri e imparare a lavorare assieme» e le “attività pomeridiane”, «come il corso di teatro, per continuare a stare insieme con i compagni anche dopo la scuola». Codici Gite scolastiche Attività pomeridiane Lavori di gruppo Attività alternative alla lezione per incrementare conoscenze Attività per promuovere un clima scolastico coinvolgente Ricerche Scambi culturali
N° occorrenze 19 16 15 13 4 4 3
Tab 5: codici costitutivi della categoria “Attività scolastiche”
La categoria “Prospettive future” (cfr. tabella 6) è all’ultimo posto in base alla percentuale di frequenza, ma risulta particolarmente interessante, soprattutto in relazione al fatto che il contesto della ricerca è la scuola secondaria inferiore (e non quella superiore, dove più facilmente ci si aspetterebbe l’emergere di questa categoria). In essa rientrano codici volti a identificare quelle porzioni di testo che potrebbero trattare la questione: “quali dovrebbero essere le attività di orientamento che una “buona scuola” deve offrire?” All’interno di questa categoria emerge la valorizzazione, da parte dei ragazzi, di aspetti legati al loro futuro, non solo per quanto riguarda le competenze personali e sociali di cui essi sentono la necessità per orientarsi verso la vita adulta, ma anche ad alcune competenze professionali. Si può notare che i codici individuati potrebbero essere letti alla luce del sistema di competenze personali, sociali e professionali che, secondo Vairetti (2004), dovrebbero essere fornite dalla scuola per promuovere il successo formativo. In particolare il codice “possibilità di scegliere il lavoro” può essere riferito allo sviluppo delle competenze professionali e identifica le porzioni di testo in cui i ragazzi esprimono l’idea che una “buona scuola” dovrebbe contribuire a formare le competenze per «scegliere quello che ti piacerebbe fare da grande, senza doversi accontentare», perché questo assicurerebbe «un futuro migliore». Il codice “preparare alla vita futura” invece, è riferito allo sviluppo di competenze sociali, cioè la capacità di entrare in relazione con gli altri, di comprendere i meccanismi della vita sociale e di adottare comportamenti idonei al raggiungimento dei propri obiettivi. Il codice “aprire possibilità per il futuro” è riferito allo sviluppo di competenze personali, ossia la capacità di comprendere e valutare i propri desideri, le proprie aspettative e le proprie risorse, per progettare, organizzare e gestire le esperienze in funzione di una maggiore realizzazione di sé. Una “buona scuola” (secondaria inferiore) è anche naturalmente e “tradizionalmente” anche quella che «prepara gli alunni agli esami e a entrare alle superiori bene», o ancora «ti aiuta a prepararti per entrare in qualsiasi scuola superiore».
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Ricerche – Qualità e valutazione
Codici Possibilità di scegliere il lavoro Preparare alla vita futura Preparare agli anni successivi di scuola Aprire possibilità per il futuro Preparare all’Esame di Stato
N° occorrenze 18 14 7 5 4
Tab 6: codici costitutivi della categoria “Prospettive future”
Discussione I risultati emersi offrono, a nostro parere, un panorama ricco di dettagli rispetto alla visione della scuola di qualità da parte dei ragazzi. Le categorie emergenti ci sembrano particolarmente significative in relazione alla definizione della qualità della scuola, toccando puntualmente i diversi aspetti costitutivi della vita scolastica. Riteniamo che da questi primi dati emergano due direttrici lungo le quali far procedere le nostre riflessioni. La prima riguarda la figura del docente che, rispetto all’assicurazione della qualità della scuola, sembra ricoprire un ruolo fondamentale. Quasi il 40% dei codici individuati si riferisce alla figura docente. Non si tratta, in questo caso, solo di caratteristiche relative alle capacità d’insegnamento in senso stretto, quali quella di saper spiegare, motivare, personalizzare i percorsi formativi, ma anche di qualità personali, quali quelle coinvolte nella relazione educativa, come la disponibilità all’ascolto e all’aiuto, la sensibilità nei rapporti interpersonali, l’autorevolezza. In particolare è interessante notare come sia sentita dai ragazzi la questione dell’aiuto. Essi paiono chiedere “a voce alta” – come a esprimere una forte carenza in tal senso - che il docente rappresenti anche una figura di supporto alla propria crescita, d’aiuto nelle difficoltà e di guida lungo il percorso formativo e, in genere, umano. Un docente, quello richiesto dai ragazzi, che – ci sembra di poter capire -non sia solo un distaccato “tecnico dell’insegnamento”, ma che metta in gioco maggiormente, nelle proprie azioni professionali, aspetti affettivi, emotivi, empatici, o meglio quelle componenti competenziali necessarie a coloro che praticano, come gli insegnanti, una delle professioni della cura. Che il docente giochi questo importante ruolo nella definizione della scuola di qualità risulta un’evidenza riconosciuta da tempo anche a livello di politiche scolastiche europee5, ma che le pratiche e gli atteggiamenti degli insegnanti vadano valutati ai fini della costruzione di un migliore sistema scolastico, è fatto che ci sembra importante essere emerso anche in questa ricerca, vista la scarsa attenzione finora assegnata a questi aspetti (in particolare alla valutazione degli insegnanti) da parte degli organismi deputati alla valutazione del sistema scolastico italiano. Un secondo punto di riflessione riguarda l’evidente distanza fra l’idea di “buona scuola” degli studenti e la scuola reale ricostruibile attraverso le loro parole. Quest’ultima sembra ancora reggersi ampiamente sulla struttura didattica della lezione ex-cathedra, sull’insegnamento come trasmissione conoscitiva, sull’apprendimento e sulla valutazione come percorsi individuali, piuttosto che azioni condivise. Le asserzioni di questi ragazzi sembrano denunciare da una parte l’assenza di forme d’insegnamento che si distacchino dalla tradizionale
5 Cfr.V. Reding (2002).
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lezione per assumere le sembianze di ambienti d’apprendimento costruttivisti (Varisco, 2002) che meglio sembrerebbero rispondere alle esigenze da loro manifestate; dall’altro le disattenzioni del sistema scolastico verso quegli aspetti sociali, relazionali, affettivi che, come evidenziato anche da Walford (2002) un tempo costituivano finalità prioritarie della scuola e che oggi invece potremmo rilevare essere “cadute in disuso”. L’enfasi posta, dagli attuali sistemi valutativi della scuola, sugli aspetti cognitivi meramente curricolari, come precedentemente discusso, ha contribuito fortemente a distogliere l’attenzione del mondo scolastico dalle altre competenze necessarie allo sviluppo della persona, e i risultati dell’analisi qui presentata sembrano una conferma chiara a questa situazione. Da una parte vi sono i ragazzi, che rappresentano il riflesso delle emergenze sociali attuali, dall’altra una scuola sempre più orientata a ridurre l’educazione a mera istruzione, a limitare l’attività formativa a sviluppo di conoscenze, possibilmente utili a superare i testi valutativi nazionali. Va comunque considerato che, seppure riteniamo questi primi dati interessanti in relazione all’obiettivo di ricerca che ci eravamo posti, sono da dichiarare i limiti dello studio, condotto in un contesto di doposcuola, e non propriamente nel contesto scolastico. In tal senso i risultati raggiunti potrebbero non rappresentare pienamente i genuini significati che avrebbero potuto emergere se la somministrazione dello strumento di ricerca fosse stata effettuata nell’ambito delle attività scolastiche. In tal senso ulteriori indagini potrebbero permettere di confermare (o inficiare) la validità dei risultati ottenuti. Le analisi finora compiute sui dati sono inoltre parziali e lasciano aperti alcuni percorsi d’approfondimento. Potrebbe essere interessante verificare ad esempio, attraverso analisi quantitative, se i codici e le categorie emerse siano completamente condivise dagli studenti coinvolti o vi siano differenze significative fra gruppi appartenenti ai tre livelli-classe della scuola secondaria inferiore. Oltre a ciò, vista anche la crescente presenza di alunni stranieri nelle nostre scuole, potrebbe risultare interessante verificare se tali differenze siano presenti anche fra gli alunni in relazione alla loro nazionalità.
6. Conclusione “When we measure life, we reduce it”6 La ricercatrice Broadfoot, discutendo intorno ai sistemi valutativi rendicontativi, quali le prove INValSI, oggi diffusi in modo pervasivo nella maggior parte dei paesi europei, li definisce “stretta alla gola”, rendendo perfettamente l’idea del fatto che essi non solo sono caratterizzati da limiti tecnici che li rendono insensibili a numerosi aspetti (che invece oggi dovrebbero essere valutati in quanto competenze necessarie all’interno della nostra società), ma anche del fatto, ancor più importante secondo la ricercatrice, che questo stesso approccio valutativo determina profonde barriere rispetto all’implementazione di innovazioni educative nel mondo della scuola. La necessità di sistemi di valutazione alternativi appare, come si è visto, un’urgenza chiaramente determinata. La ricerca qui presentata, che ha voluto andare a cogliere i mondi percepiti dei ragazzi rispetto alla scuola, rappresenta un tentativo, molto parziale e ancora in nuce, in tal senso. Ac-
6 David Boyle, Observer 14 January, 2001. Riportato in P. Broadfoot (2007).
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Ricerche – Qualità e valutazione
cogliendo la necessità, evidenziata da alcuni ricercatori, di includere il grado di “soddisfazione” degli utenti (Berger, Ostinelli, 2006; Stronge, Turker, 2003), fra le fonti utilizzabili per la valutazione di sistema, e aderendo a quell’approccio alla formazione e alla valutazione che, da una decina d’anni, è portato avanti dalle ricercatrici inglesi Flutter e Rudduck le quali ritengono che “ascoltando i ragazzi si può migliorare la scuola” (Flutter, Rudduck, 2004; Mac Beath, Demetriou, Rudduck, Myers, 2000), la ricerca ha messo in luce alcune aree alle quali riteniamo potrebbe essere possibile fare riferimento per definire indicatori di valutazione della qualità della scuola secondo il punto di vista degli studenti. Nostra prospettiva è quella di utilizzare queste categorie per costruire e validare un questionario valutativo della qualità, confrontandoci anche con alcune realtà europee che stanno contemporaneamente lavorando in questo senso. Ulteriore prospettiva è quella di estendere l’indagine ad ascoltare le altre “voci” dell’articolato mondo della scuola poiché, come lucidamente rileva un luminare della valutazione di sistema come John MacBeath (2006, p. 71) «la voce dei ragazzi va ascoltata nel momento in cui contemporaneamente siamo in grado di cogliere la complessa dinamica di credenze, relazioni, convenzioni e strutture che caratterizza la cultura di una scuola. […] È nell’ambito della fluttuante acustica fatta di opposizioni e bilanciamenti delle voci di insegnanti, ragazzi e genitori che la cultura scolastica insieme prospera si dibatte».
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Ricerche
Valutazione della didattica
La Scheda di osservazione in classe: uno strumento per esplorare le opportunità di apprendimento The classroom observation form: a tool to explore the opportunities to learn DONATELLA POLIANDRI • PAOLA MUZZIOLI • ISABELLA QUADRELLI • SARA ROMITI Il contributo presenta la scheda di osservazione in classe usata nella fase pilota del progetto Valutazione e Miglioramento. L’obiettivo era quello di validare lo strumento di osservazione e elaborare un modello di restituzione delle informazioni alle scuole. La check list con le azioni da osservare è stata costruita a partire dagli indicatori del Quadro di riferimento teorico per la valutazione del sistema scolastico e delle scuole progettato dall’INVALSI. Quattro ricercatori hanno osservato in modo strutturato 22 classi per 100 ore di lezione. I problemi di generalizzazione e trasferibilità sono stati affrontati con la presenza di due codificatori indipendenti. Gli indici elaborati per valutare l’accordo intercodificatore mostrano risultati soddisfacenti. Sono discussi i dati sulla frequenza di rilevazione degli indicatori e illustrato un indice che descrive quanto ogni indicatore è stato osservato. In base ai risultati lo strumento è stato in parte modificato e si è elaborato un codebook per guidarne la compilazione.
The present contribution describes the classroom observation form used in the pilot study of a research project called Evaluation and Improvement. The aims of the study were the observation form validation and the development of an effective procedure to return the results to the schools. A check list with the actions to be observed was realized following the theoretical framework developed by INVALSI for the evaluation of school system. Four researchers have observed 22 classes for 100 hours. Two independent observers filled the form in order to assure generalization issues. The indexes proposed in order to evaluate intercoder agreement shows good results. The frequency distribution of indicators is discussed and it is introduced a special index that quantifies how much any indicator has been observed. After the pilot study, the initial form was partially changed and a codebook has been realized, in order to guide its correct use.
Parole chiave: tecniche di osservazione in classe, valutazione esterna, indicatore, attendibilità
Key words: classroom observation techniques, external evaluation, indicator, reliability
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Il contesto della ricerca Il progetto Valutazione e Miglioramento (VM), realizzato dall’INVALSI con il contributo di finanziamenti europei1, è rivolto a supportare le scuole di quattro regioni del Sud Italia. La finalità del progetto è quella di valutare l’operato delle scuole al fine di individuarne punti di forza e di debolezza, e successivamente accompagnarle nell’attuazione di un piano di miglioramento (Poliandri e Romiti, 2012). L’impianto progettuale della parte valutativa poggia su un vasto studio dell’INVALSI, denominato VALSIS, che ha prodotto una proposta di indicatori e aspetti da considerare per la valutazione delle scuole, il Quadro di riferimento teorico della valutazione del sistema scolastico e delle scuole (QdR) (Poliandri, 2010). Gli indicatori sono articolati secondo il modello CIPP (contesto, input, processi, prodotti) in quattro dimensioni, ciascuna delle quali è organizzata in aree e sotto aree. Al fine di condurre la valutazione esterna delle scuole il gruppo di ricerca, nella fase pilota del progetto VM (A.S. 2009-10), ha selezionato un ampio numero di indicatori dal QdR e ha proceduto alla loro operativizzazione, costruendo gli strumenti di rilevazione. Gli obiettivi della fase pilota erano i seguenti: definire operativamente gli indicatori delineati del QdR, testare e validare le procedure e gli strumenti di rilevazione, sperimentare possibili modelli di restituzione alle scuole e di confronto fra scuole in un’ottica valutativa. Il presente contributo, dopo avere presentato la strategia di ricerca complessiva, si concentra sulla parte della ricerca che ha riguardato l’analisi dei processi a livello di classe. L’articolo descrive i costrutti teorici utilizzati e le scelte metodologiche adottate per rilevarli. Presenta quindi la struttura dello strumento di osservazione, e le procedure adottate per la sua validazione e ne discute i risultati.
2. Le scuole e la strategia di ricerca Il gruppo di ricerca ha visitato 12 istituzioni scolastiche (7 istituti comprensivi e 5 scuole secondarie di primo grado) che hanno usufruito del Fondi PON, collocate nelle regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Queste scuole sono state scelte per la loro eterogeneità, seguendo due criteri: i risultati degli studenti alla prova nazionale INVALSI dell’Esame di Stato 2008/09 (scuole di livello basso, medio, alto), la localizzazione geografica (urbana, rurale). Sono state considerate solo le scuole che avevano assenza di comportamenti opportunistici nello svolgimento della prova INVALSI (livello di cheating pari a zero). Come strategia di ricerca è stato adottato lo studio di caso “multiplo” o “strumentale” (Stake, 2000; Evers & Wu, 2006): l’oggetto di indagine non è solo il singolo caso, bensì l’approfondimento di una condizione generale, o di fenomeni o processi ricorrenti. Senza entrare nel complesso dibattito epistemologico circa la possibilità della generalizzazione nella ricerca qualitativa, è importante delinearne alcune questioni al fine di comprendere l’approccio complessivo del progetto e il modello di confronto fra le scuole. Hammersley (1992) individua due tipi di generalizzazione, distributiva e teorica. La distributiva (o statistica), sta-
1 Programma Operativo Nazionale del Fondo Sociale Europeo “Competenze per lo Sviluppo” e Programma Operativo Nazionale del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale “Ambienti per l’Apprendimento” della programmazione 2007/2013 nelle regioni dell’obiettivo “Convergenza” – Programmazione e gestione delle risorse nazionali del Fondo Aree Sottoutilizzate.
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bilisce probabilisticamente la distribuzione nella popolazione di un dato fenomeno a partire da un campione statisticamente selezionato, mentre la teorica individua relazioni. Con la definizione del campione a scelta ragionata i casi sono selezionati in base al loro stato su una o più proprietà, che di fatto rappresentano l’argomento di ricerca: il campione è quindi teoricamente significativo e alla scelta dei casi è attribuita una fondamentale importanza (Flyvberg, 2006). Questo tipo di generalizzazione è anche definita come “trasferibilità” (Guba, Lincoln, 1989) o come “generalizzazione analitica” (Yin, 2000). Negli studi di caso la generalizzazione fa riferimento all’ipotesi teorica che si vuole sostenere, e non alle popolazioni. Ne deriva che nel condurre uno studio di caso l’obiettivo sarà quello di generalizzare teorie (generalizzazione analitica) e non di enumerare frequenze (generalizzazione statistica), anche se queste possono contribuire a ingenerare teorie. Lo studio di caso si utilizza quando il fenomeno oggetto di indagine e così ricco e complesso da rendere difficile l’applicazione di disegni sperimentali e necessita di un’ottica che includa il contesto e i diversi soggetti coinvolti. La metodologia di questa strategia di ricerca prevede che un fenomeno sia meglio descritto dalla concordanza di elementi provenienti da diverse fonti, indagate con specifici strumenti (tecniche qualitative e quantitative): la ‘triangolazionÈ contribuisce ad accrescere l’attendibilità dei risultati e permette di operare una sintesi di più prospettive e punti di vista. Nella fase pilota del progetto VM sono stati operativamente messi in atto tre tipi di triangolazione (Denzin, 1970): delle fonti, dati o soggetti, dei metodi o strumenti, e infine dei ricercatori. Gli strumenti utilizzati nella fase pilota possono essere ricondotti alle seguenti categorie generali (Bezzi, 2003): incontri con le persone (interviste individuali e di gruppo), osservazioni (osservazione in classe e in laboratorio, foto documentazione degli spazi), analisi di documenti (testi di varia tipologia prodotti dalle scuole). A conclusione della fase pilota tutti i dati raccolti attraverso le diverse fonti e strumenti sono confluiti in un rapporto di ricerca per ciascuna scuola osservata. Alla descrizione dei fenomeni osservati nella singola scuola si è affiancato un confronto con quanto osservato in generale nelle altre scuole, in accordo con la strategia di ricerca dello studio di caso multiplo, in cui la comprensione del caso singolo è accresciuta dal confronto con gli altri casi.
3. I costrutti teorici utilizzati per osservare i processi a livello di classe All’interno del QdR, nella dimensione Processi, una macroarea concerne i ‘Processi a livello di classe’.Tali processi sono a loro volta suddivisi in tre aree descritte da indicatori: Flessibilità organizzativa e didattica, Sostegno, guida e supporto e Strategie didattiche. Per l’area Flessibilità organizzativa e didattica l’indicatore l’Articolazione del gruppo classe esplora in che misura gli insegnanti organizzano le attività ricorrendo a modalità diverse dalla lezione frontale, quali la divisione in gruppi di lavoro più piccoli o il lavoro individuale. L’indicatore Interdisciplinarità considera se gli insegnanti propongono collegamenti con altre aree disciplinari, in forma di semplici riferimenti o di attività strutturate. L’indicatore Personalizzazione dei percorsi cerca di comprendere se e come avvengono forme di differenziazione delle proposte educative (itinerari didattici differenziati per gruppi o singoli). L’area Sostegno, guida e supporto intende indagare se si realizzano nelle normali ore di lezione Attività di recupero, come fare esercizi di livello semplice, o rispiegare, e Attività di potenziamento, quali utilizzo di materiali supplementari e esercizi complessi. Si considera inoltre quale spazio viene dedicato alla Verifica dei compiti per casa e con quali modalità (es. correzione
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dell’insegnante, correzione tra pari). Infine l’indicatore Attenzione agli alunni con disabilità certificata e con bisogni educativi speciali (BES)2 dà conto sia di ciò che gli studenti con BES fanno durante l’ora di lezione (se svolgono attività del tutto uguali agli altri, semplificate, completamente diverse, se lavorano insieme a altri studenti), sia degli stimoli che offrono loro gli insegnanti (se ad esempio l’insegnante curricolare assegna loro compiti differenziati, o se il docente di sostegno li aiuta a partecipare all’attività della classe). All’interno dell’area Strategie didattiche sono compresi gli indicatori che fanno riferimento alla trasmissione di abilità trasversali o competenze chiave, ovvero l’abilità di imparare a imparare e le abilità comunicative e collaborative. L’indicatore Trasmissione di strategie per l’apprendimento considera in che misura gli insegnanti offrono indicazioni per fare acquisire un metodo di lavoro autonomo (ad esempio dando istruzioni sulle procedure da seguire, o offrendo feedback puntuali) mentre con l’indicatore Metodi di insegnamento che attivano la partecipazione degli allievi si considera quanto spesso gli studenti intervengono per fare domande, e se lavorano in modo autonomo a progetti e simili. Per la definizione degli indicatori si è fatto riferimento, oltre che alla letteratura pedagogica, alla normativa scolastica. Per rilevare i processi sopra descritti si è scelto di utilizzare come strumento l’osservazione in classe. Le osservazioni sul campo, a differenza di altre tecniche, si svolgono nello stesso luogo dove avvengono gli eventi oggetto di studio; questi possono essere rilevati solo in maniera diretta nel fluire dell’azione, mentre con altri strumenti (ad esempio un’intervista o un questionario) è presente la mediazione di un soggetto che li racconta (Patton, 2002). L’osservazione diretta di ciò che avviene in classe diventa quindi lo strumento essenziale per rilevare tutti quegli aspetti che, attraverso altre tecniche, non potrebbero essere conosciuti. In totale ai nove indicatori individuati sono stati associati 35 descrittori. L’operativizzazione degli indicatori in una lista di azioni osservabili in classe ha comportato alcuni problemi. La traduzione di alcuni costrutti, che presuppongono una progettazione durante un arco temporale esteso, in azioni che fosse possibile osservare senza avere una preliminare conoscenza del contesto, è risultata complessa. In particolare il gruppo di ricerca era consapevole che gli indicatori relativi al recupero e potenziamento erano connessi ai percorsi disciplinari attuati nel corso dell’anno, e quindi più difficili da leggere da parte di figure esterne. Attraverso la triangolazione delle fonti sono state raccolte le informazioni supplementari utili per indagare meglio questi due indicatori. Oltre che con l’osservazione in classe, sono stati infatti indagati anche nell’intervista al dirigente scolastico. Allo stesso modo gli indicatori connessi alle strategie didattiche sono stati esplorati anche nei focus group con gli insegnanti.
4. Le scelte metodologiche adottate per la conduzione dell’osservazione in classe Esistono diversi approcci per condurre l’osservazione in classe (Wragg, 1994). Alcuni derivano dalla tradizione positivista, che si appoggia sulla misurazione sistematica per verificare se una certa situazione si presenta e quante volte, e su un attento controllo delle condizioni
2 Gli studenti con bisogni educativi speciali sono coloro che, pur non avendo la certificazione di disabilità, necessitano di particolari attenzioni da parte dei docenti, o perché presentano difficoltà psicologiche, cognitive, sociali, oppure perché stranieri da poco in Italia, con difficoltà a seguire le lezioni.
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sotto le quali sono condotte le osservazioni (Flanders, 1970). In altri approcci, sviluppati in campo etnografico e antropologico, gli osservatori prestano attenzione alla descrizione qualitativa dei fenomeni, piuttosto che alla loro frequenza. L’attenzione si concentra sul significato, sull’impatto individuale o collettivo di un’azione o sull’interpretazione di un evento. Le tecniche di rilevazione qualitative e quantitative possono in ogni caso essere integrate, attraverso strumenti differenti a completamento l’uno dell’altro (Brannen, 1992), ad esempio integrando la rilevazione della frequenza di azioni con interviste qualitative, che aiutano a interpretare il perché si verificano quelle specifiche azioni (Tusini, 2006). La scheda di osservazione progettata per il progetto VM presenta una griglia strutturata per la registrazione di eventi già codificati. Gli indicatori contenuti nel Quadro di riferimento infatti hanno fornito l’indicazione dei fenomeni che dovevano essere osservati, suggerendo le modalità operative utili per l’elaborazione degli strumenti di rilevazione (Soresi, 1978), e favorendo un approccio quantitativo per la progettazione dello strumento e per la conduzione dell’osservazione. L’impiego di una scheda strutturata permette una pre-codifica delle informazioni, facilitando il processo di ricerca (Poliandri, 2002), consente il confronto fra i dati e limita l’arbitrarietà della rilevazione sul campo. Tuttavia uno spazio della scheda di osservazione è dedicato alle note sul campo, per permettere agli osservatori di precisare quanto registrato nella griglia, nonché di annotare altri aspetti non previsti, descrivere eventi, riportare proprie riflessioni, al fine di una possibile integrazione delle informazioni quantitative con elementi qualitativi, soprattutto per la restituzione alle scuole di quanto osservato. Un’altra importante distinzione nelle tecniche di osservazione riguarda la differenza fra osservazione partecipante e non-partecipante; la prima implica il coinvolgimento diretto dell’osservatore con l’oggetto studiato, la seconda comporta una presenza “in situazione” dell’osservatore di puro ascolto (Bichi, 2007). Durante la fase pilota il gruppo di ricerca - in coerenza con l’obiettivo di osservare la qualità dei processi a livello di classe a fini valutativi - ha condotto un’osservazione non-partecipante. Le osservazioni si sono svolte in coppia; i due osservatori hanno assistito contemporaneamente alle lezioni e registrato in modo indipendente le informazioni. Per ridurre il rischio di errori sistematici dovuti alla coppia, i quattro ricercatori coinvolti hanno ruotato i partner, formando quattro coppie (AB, AC, DB, DC). Nella progettazione dell’osservazione, per non perdersi nella vastità dei possibili aspetti di interesse, è opportuno selezionare gli elementi verso i quali l’osservatore deve focalizzare l’attenzione (Marshall & Rossman, 1995; Berg, 2007).Tra gli elementi che dovrebbero essere osservati secondo Merriam (1998) rientrano: il setting fisico della classe, i partecipanti (chi, quanti, ruoli), le attività e le interazioni (cosa accade, come le persone interagiscono con l’attività e tra loro, quando inizia un’attività, quanto dura, se è un’attività tipica o inusuale), il contenuto della conversazione e la sua direzione (chi parla, chi ascolta, cosa si dice), aspetti più sottili quali le attività informali e non pianificate, i significati simbolici o connotativi delle parole, la comunicazione non verbale (es. uso dello spazio, abbigliamento), cosa non accade, il comportamento dell’osservatore (ruolo, influenza sulla scena, interventi e azioni compiute, opinioni su cosa sta accadendo). La scheda di osservazione qui presentata mette a fuoco soprattutto i primi tre elementi sopra individuati (setting, partecipanti, attività). Un altro aspetto da considerare riguarda la durata delle osservazioni. Nella ricerca valutativa la durata delle osservazioni – a differenza di altri approcci quali quello antropologico – è solitamente limitata, in quanto il suo scopo è quello di produrre risultati in modo tempestivo, che siano utili per i decisori politici e per l’azione (Patton, 2002). D’altra parte, anche nel caso in cui si adotti un’osservazione non partecipante, quando un soggetto estraneo entra in una classe la sua presenza tende a influenzare di per sé le azioni osservate; per ridurre
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comportamenti reattivi da parte degli insegnanti l’osservazione dovrebbe essere condotta per un tempo sufficientemente lungo (Samph, 1976). Il gruppo di ricerca ha scelto di seguire una sola classe per scuola3 per l’intero arco di una mattinata, dall’ingresso all’uscita (o all’ora di andare a mensa). Ciò sia per permettere agli studenti e agli insegnanti di abituarsi alla presenza degli osservatori, sia per consentire agli osservatori di comprendere più profondamente le dinamiche di una classe, esplorando le modalità di azione di uno stesso gruppo classe nei confronti di ambiti disciplinari e insegnanti diversi. Un ulteriore aspetto da definire nell’osservazione è la scelta dell’intervallo di tempo entro il quale rilevare le informazioni. La letteratura propone diverse opzioni di campionatura del tempo (Wragg, 1994): l’unità di tempo definita entro cui registrare quanto osservato; il campionamento statico, che consiste nel rilevare una serie di istantanee in cui si codifica cosa avviene all’interno di intervalli regolari di tempo, non sequenziali; le unità naturali. Questo ultimo tipo di unità riflette i periodi di tempo reali in cui hanno luogo alcune attività specifiche e/o interessanti. Nel caso dell’unità di tempo definita sono possibili due soluzioni: registrare ogni qualvolta avviene un’azione (ad esempio se un’insegnante fa dieci domande agli studenti, è necessario registrarle tutte e dieci), oppure spuntare ciascuna categoria di azione una sola volta nel periodo di tempo prescelto. Nel presente studio si è scelto di registrare le azioni osservate sulla scheda di osservazione ogni 15 minuti, indipendentemente dalla frequenza con cui avvenivano all’interno del quarto d’ora considerato. Infine un aspetto metodologico ha riguardato la scelta delle classi da osservare. Gli anni di corso individuati per le osservazioni sono stati il 4° (perché punto di riferimento nelle indagini comparative internazionali sui livelli di conoscenze e competenze raggiunti dagli studenti) e l’8° (perché rappresenta la classe apicale del 1° ciclo di istruzione ed è anch’esso preso a riferimento nelle indagini comparative internazionali). Sulla base di queste indicazioni la scelta della classe è stata fatta dalla scuola; in fase di sperimentazione, infatti, era necessario incontrare la disponibilità dei docenti. Come criterio è stata suggerita la presenza in classe di studenti diversamente abili e di stranieri da poco in Italia, per permettere di osservare l’integrazione degli studenti con bisogni educativi speciali. Per creare un clima collaborativo Dirigente scolastico e insegnanti sono stati rassicurati sul fatto che le informazioni raccolte sarebbero state trattate in modo riservato e non sarebbero stati registrati i nomi degli insegnanti. L’obiettivo dell’osservazione non è infatti valutare l’attività professionale del singolo docente, bensì osservare la frequenza con cui determinate azioni, trasversali alle diverse discipline, si realizzano durante una mattinata di scuola e contribuiscono a offrire opportunità di apprendimento per gli studenti.
5. La struttura della scheda di osservazione La Scheda di osservazione in classe è strutturata in cinque parti distinte. La prima parte permette di registrare informazioni generali sulla classe come il numero totale di studenti nel registro, la distribuzione per genere, gli studenti non italiani4, gli studenti con disabilità certificata e
3 Nel caso di istituti comprensivi si è osservata una classe di scuola primaria e una di secondaria di I grado. 4 In base alla legislazione vigente, l’amministrazione scolastica considera studenti non italiani coloro che non posseggono la cittadinanza italiana. Rientrano in questo gruppo anche coloro che sono nati in Italia e hanno frequentato regolarmente la scuola in Italia.
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Ricerche – Valutazione della didattica
con bisogni educativi speciali. In questa sezione si raccolgono inoltre i dati sugli assenti. È possibile collezionare informazioni anche sulla disposizione della classe; collocazione dei banchi e degli arredi, posizione degli alunni. La piantina della classe, da disegnare attraverso una simbologia predefinita, è di supporto agli osservatori per fissare il setting, ricostruire eventuali spostamenti e descrivere meglio le azioni osservate. Nella seconda parte vengono raccolti i dati relativi all’ora di lezione osservata: gli studenti (studenti presenti in totale e per genere, studenti non italiani, studenti con disabilità certificata e con bisogni educativi speciali), gli insegnanti e la materia trattata. Se durante l’unità oraria sono presenti due insegnanti, è possibile registrare anche il ruolo che questi hanno nella conduzione del gruppo classe, ossia se lo gestiscono in co-conduzione oppure se hanno ruoli differenziati. Gli aspetti relativi al setting e ai partecipanti sono osservati all’inizio della lezione e all’interno dei primi 15 minuti di osservazione. A seguire, nella terza parte, la scheda presenta la check list nella quale registrare le azioni osservate. Con questa parte della scheda si indagano le azioni dei partecipanti (insegnanti e studenti) connesse ai processi a livello di classe individuati. Accanto alla check list sono presenti quattro colonne, corrispondenti ai quattro quarti d’ora di lezione5. Le azioni osservate vanno registrate nella colonna corrispondente al quarto d’ora considerato. La quarta parte della scheda, da compilare al termine di ogni ora di lezione, consente di indicare eventuali ruoli svolti dagli studenti, ovvero l’avere ricoperto un ruolo di responsabilità, o un ruolo di guida o supporto per altri studenti, o un ruolo attivo nella didattica. Si richiede di indicare, se presente, anche lo stile di conduzione dell’insegnante, tra direttivo6, intermedio, costruttivista7, o di regia ambientale8. La quinta parte offre uno spazio aperto per appuntare note personali dell’osservatore, al fine di argomentare o precisare quanto osservato, con riferimento alle azioni registrate nella terza parte, anche per segnalare elementi imprevisti o commenti personali. A ciascun cambio d’ora si compila una nuova scheda.
6. L’elaborazione dei dati L’osservazione dell’intera mattinata di lezione ha coinvolto 22 classi, di cui 7 classi quarte di scuola primaria (tra le quali una pluriclasse con studenti anche del terzo anno) e 15 classi terze di scuola secondaria di primo grado.
5 L’ora di lezione può avere lunghezza inferiore ai 60 minuti, ad esempio nella prima ora, nell’ultima ora, prima e dopo l'intervallo, mentre l’unità di osservazione è di 15 minuti; è necessario quindi tenere presente che in una lezione possono esserci meno di quattro quarti d’ora completi. 6 Lo stile direttivo può essere definito come uno stile centrato sull’insegnante e sul controllo che è in grado di effettuare sullo svolgere dell’attività e sugli studenti. La direttività consente di sapere sempre quali attività si realizzano e perché. Questo stile prevede un uso strutturato del tempo didattico e dei suoi contenuti, può però determinare uno scarso livello di coinvolgimento degli studenti e un basso livello di autonomia. È un insegnamento prevalentemente verbale. 7 Lo stile costruttivista si caratterizza per essere centrato sull’interazione e sulla comunicazione bidirezionale tra studenti e insegnante. L’insegnante che adotta questo stile possiede le informazioni utili cui gli studenti attingono perché guidati e sollecitati alla conoscenza e pone gli studenti in contesti di apprendimento reali. Il costruttivismo tende a favorire lo sviluppo dell’autonomia e a consentire la partecipazione di tutti e di ciascuno, e un elevato coinvolgimento, necessita però di tempi lunghi e di verifiche continue e può determinare difficoltà nel controllo sociale del gruppo classe. 8 Con la regia ambientale l’insegnante permette agli studenti di gestire in modo autonomo le proprie attività e i tempi all’interno della disciplina o dell’ambito disciplinare.
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In totale sono state seguite 100 unità orarie di lezione, per complessivi 395 quarti d’ora9. I due osservatori indipendenti hanno compilato nel complesso 200 Schede di osservazione. 6.1. I dati di concordanza Poiché ciascuna unità oraria è stata osservata da due ricercatori in modo indipendente, il primo passo consiste nel verificare se i due ricercatori abbiano rilevato le stesse azioni/indicatori all’interno del medesimo intervallo di tempo. La concordanza nell’osservazione è un importante elemento per valutare l’attendibilità di uno strumento. Il coefficiente di attendibilità intercodificatore (Kirk, Miller, 1986; Hughes, Garret, 1990; Neuendorf, 2002; Krippendorf, 2004) esprime quanto gli osservatori siano concordi nell’individuare la presenza di un certo evento. Nel nostro caso si è scelto di operare una sintesi delle concordanze a livello di indicatore, in modo da costruire un primo dato complessivo di concordanza all’interno di ciascuna unità oraria. C’è concordanza, a un livello generale, se entrambi i ricercatori hanno registrato la presenza o assenza di un indicatore nella stessa ora. Il coefficiente di attendibilità intercodificatore può variare tra 0 e 100 in termini percentuali e indica quanto gli osservatori sono stati concordi nel rilevare gli indicatori. Il coefficiente totale (Tab. 1) è risultato pari all’89,48%10, un valore nel complesso elevato; per i nove indicatori osservati, la concordanza di rilevazione media non scende mai al di sottoa dell’85%. T i In Indicatori dicatori
Coppia Coppia 1
Coppia Coppia 2
Co Coppia ppia 3
Coppia Coppia 4
TOTALE TOTALE
TOTALE TOTA LE Articolazione g.. classe Ar tic o la z io n e g classe (P_095) (P_095)
95,47% 95, 47%
93,67% 93, 67%
85,80% 85,80%
87,61% 87, 61%
89,48% 89, 48%
85,19% 85, 19%
95,40% 95, 40%
86,11% 86,11%
83,33% 83, 33%
87,88% 87, 88%
In terdisciplinarità (P_096) (P_096) Interdisciplinarità
88,89% 88, 89%
94,83% 94, 83%
86,11% 86,11%
88,46% 88, 46%
89,39% 89, 39%
P_097) Personalizzazione Per rsonalizzazione ((P_097)
100,00% 100, 00%
93,10% 93,10%
94,44% 94,44%
100,00% 100, 00%
95,96% 95, 96%
Re Recupero cupero ((P_098) P_098)
100,00% 100,00%
87,93% 87,93%
83,33% 83,33%
86,54% 86, 54%
86,87% 86, 87%
Potenziamento Potenziamento (P_099) (P_099)
100, 100,00% 00%
98,28% 98,28%
93,06% 93,06%
96, 96,15% 15%
95,96% 95,96%
At tenzione stud. s tu d . B ES (P_100) (P _ 1 0 0 ) Attenzione BES
100,00% 100,00%
94,54% 94,54%
94,44% 94,44%
92, 63% 92,63%
94,44% 94,44%
Verifica compiti compiti casa (P_101) (P_101) Verifica
100,00% 100,00%
97,13% 97,13%
92,13% 92,13%
96, 79% 96,79%
95,79% 95,79%
St rategie appr endimento (P_109) (P_109) Strategie apprendimento
96,30% 96,30%
95,40% 95,40%
81,48% 81,48%
85, 49% 85,49%
85,52% 85,52%
Metodi att. att. partecipazione partecipazione ((P_110) P_110) Metodi
92,59% 92,59%
93,10% 93,10%
78,24% 78,24%
85, 26% 85,26%
85,86% 85,86%
Tabella p 1 – coefficienti di attendibilità intercodificatore per indicatore e per coppia
à
Si è poi calcolato quanto sia rilevante e stabile tale concordanza per ciascuna unità oraria l questo caso si tiene conto n dell’entità della concordanza ai (intensitàodell’accordo intercodificatore). In in ciascuna unità oraria, a partire dai quarti d’ora che la compongono. L’indice è calcolato considerando quante volte nell’unità oraria i due osservatori hanno registrato la stessa informazione11. L 9 In pochi casi per ogni “ora” di lezione sono stati osservati un numero di quarti d’ora inferiori a quattro. 10 Sebbene non esistano standard circa i livelli di accettabilità dei coefficienti di attendibilità intercodificatore, normalmente i ricercatori accettano una ssoglia intorno al 90% (Miles, Huberman, 1994). Per Krippendorf n 9 e e (1980) i coefficienti sono da considerarsi buoni intorno all’80%, e accettabili dal 67 al 79%. In sintesi i coefficienti che raggiungono o superano il 90% sono sempre accettati, così come sopra o intorno all’80%; sopra o intorno al 70% possono essere appropriati per molti studi di tipo esplorativo. 11 0 esprime la massima concordanza di rilevazione su una scala che può arrivare fino a 4; il 4 rappresenta il massimo valore della discordanza, indice di una situazione in cui uno dei due osservatori ha rilevato sempre una determinata azione mentre l’altro non l’ha mai rilevata. Dei singoli valori calcolati per ogni azione è stata fatta una media per ciascun indicatore, riportando il risultato su una scala in centesimi per una migliore lettura.
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Ricerche – Valutazione della didattica
L’intensità dell’accordo intercodificatore non considera la direzione dell’accordo; in altri termini l’indice presenta l’accordo dei ricercatori sia sulla presenza sia sull’assenza di una certa azione. L’accordo è espresso su una scala che varia tra 0 e 100, dove 100 indica che le azioni sono state registrate nello stesso modo dai due osservatori per l’intera unità oraria di lezione, mentre il valore minimo indica una totale discordanza di osservazione lungo tutto l’arco di tempo considerato. L’intensità di accordo complessivo risulta pari al 93,18% (Tab. 2). La percentuale di accordo più bassa è relativa ai descrittori che afferiscono all’indicatore Articolazione del gruppo classe (88,33%), mentre la percentuale di accordo maggiore è relativa alle azioni legate al Potenziamento (98,17%). T c a T ri In Indicatori dicato
c
aTOTALE TOTALE
Coppia Coppia 1
Coppia Coppia 2
Coppia Coppia 3
Co Coppia ppia 4
TOTALE TOTA LE Articolazione g.. classe Ar tic o la z io n e g classe (P_095) (P _ 0 9 5 )
96,52% 96,52%
95,57% 95, 57%
90,86% 90,86%
92,12% 92,12%
93,18% 93,18%
87,96% 87,96%
93,49% 93,49%
86,72% 86,72%
84,38% 84,38%
88,33% 88,33%
In terdisciplinarietà (P _096 ) Interdisciplinarietà (P_096)
97,22% 97,22%
97,84% 97,84%
87,89% 87,89%
95,31% 95,31%
93,75% 93,75%
Per P_097) Personalizzazione errsonalizzazione ((P_097)
100,00% 100,00%
96,55% 96,55%
96,09% 96,09%
96,88% 96,88%
96,81% 96,81%
Re Recupero cupero ((P_098) P_098)
100,00% 100,00%
92,96% 92,96%
83,98% 83,98%
91,67% 91,67%
90,25% 90,25%
Potenziamento Pot enziamento (P_099) (P_099)
100,00% 100,00%
98, 98,28% 28%
98, 98,05% 05%
97,92% 97,92%
98,27% 98,27%
99, 54% 99,54% 0 54% 99, 99,54%
97, 37% 97,37%
93,49% 93,49%
95,82% 95,82%
98,66% 98,66%
95,12% 95,12% 0 96% 95, 95,96%
100,00% 100,00%
98,17% 98,17%
St rategie apprendimento apprendimento (P_109) (P_109) Strategie
96,30% 96,30%
92,82% 92,82%
86,72% 86,72%
87,50% 87,50%
89,72% 89,72%
Me todi att. att. Partecipazione Partecipazione (P_110) (P _ 1 1 0 ) Metodi
94,91% 94,91%
93,82% 93,82%
80,34% 80,34%
89,93% 89,93%
88,34% 88,34%
At tenzione stud. s tu d . B ES (P_100) (P _ 1 0 0 ) Attenzione BES P Ver ifica com piti casa (P_101) (P_101) Verifica compiti
Tabella 2 – intensità dell’accordo intercodificatore per indicatore e per coppia
6.2 oFrequenza di rilevazione ndegli indicatori
r r
a
r
o P avere verificato che sussiste n un ampio accordo tra glir osservatori, appare opportuno a Dopo focalizzare l’attenzione sugli indicatori, per trarre informazioni sulla loro validità nel contesto diPosservazione. Per rappresentare quante volte ciascun indicatore è stato rilevato, e se è stato rilevato in maniera concorde dai due osservatori, sono stati elaborati alcuni indici sintetici. Gli indici sono stati calcolati a partire dal confronto sulle informazioni registrate dai due osservatori r r o per ogni quarto d’ora di osservazione. In Indicatori dicatori
Presenza Presenza rrilevazione ilevazione
Ar ticolazione g. g. c lasse ((P_095) P_095) Articolazione classe
37,13% 37,13%
Interdisciplinarietà (P _096 ) Interdisciplinarietà (P_096)
6,96% 6, 96%
P_097) Personalizzazione Per rsonalizzazione ((P_097)
7, 85% 7,85%
Recupero Recupero (P_098) (P_098)
23,80% 23,80%
P_099) Potenziamento ((P_099) Potenziamento
2,78% 2, 78%
ES ((P_100) P_100) At tenzione stud. stud. B Attenzione BES
17,84% 17,84%
P_101) Verifica compiti compiti casa ((P_101) Verifica
3, 92% 3,92%
P_109) Strategie apprendimento apprendimento ((P_109) Strategie
o o
(P _ 1 1 0 ) Metodi att. att. Partecipazione Partecipazione (P_110) Metodi
n
20,68% 20,68%
o
21,65% 21,65%
Tabella 3 – Frequenza di rilevazione degli n o indicatori
s
i
s
i
Il confronto permette di evidenziare tre distinte situazioni a cui vengono assegnati tre punteggi differenti: se entrambi gli osservatori non hanno registrato la presenza di una determinata azione viene attribuito un punteggio pari a 0 per il calcolo dell’indice; se uno dei C C
3 3
d
e 1
d
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1
e
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due osservatori ha registrato la presenza di un’azione mentre l’altro no viene dato un punteggio pari a 1; se entrambi gli osservatori hanno registrato la presenza di un’azione il punteggio assegnato è pari a 2. In questo modo è possibile conoscere la direzione della concordanza e l’intensità di rilevazione degli indicatori. Come sopra illustrato (Tab. 3), le attività di Potenziamento risultano essere quelle meno rilevate, seguite dalle azioni relative alla Verifica dei compiti per casa; gli indicatori più osservati sono l’Articolazione del gruppo classe e il Recupero. In Indicatori dicatori
o
Concordanza Concordanza sull'assenza sul l'assenza
Co Concordanza ncordanza sulla sul la presenza
Discordanza Di scordanza
Totale Tot ale
Articolazione g.. classe Ar tic o la z io n e g classe (P_095) (P _ 0 9 5 )
62,87% 62, 87%
25,49% 25, 49%
11,65% 11, 65%
100
Interdisciplinarietà In terdisciplinarietà (P_096) (P_096)
93,04% 93, 04%
1,77% 1, 77%
5,19% 5,19%
100
Personalizzazione rsonalizzazione ((P_097) Per P_097)
92,15% 92, 15%
4,81% 81% 4,
3,04% 3,04%
100
Re Recupero cupero (P_098) (P_098)
76,20% 76, 20%
13,54% 13, 54%
10,25% 10,25%
100
Potenziamento Pot enziamento (P_099) (P_099)
97,22% 97, 22%
1,01% 1,01%
1,77% 1,77%
100
Attenzione At tenzione stud. stud. BES BES (P_100) (P _ 1 0 0 )
82,16% 82, 16%
9,91% 9,91%
7,93% 7,93%
100
Verifica Ver ifica compiti compiti casa (P_101) (P_101)
96,08% 96, 08%
2,19% 2, 19%
1,73% 1,73%
100
Strategie St rategie apprendimento apprendimento (P_109) (P_109)
79,32% 79, 32%
9,79% 9, 79%
10,89% 10,89%
100
Metodi Me todi att. att. Partecipazione Partecipazione (P_110) (P _ 1 1 0 )
78,35% 78, 35%
10,25% 10, 25%
11,39% 11,39%
100
consente diindicatori specificare se gli indicatori siano stati t Tabella 4 – Frequenza di rilevazione degli e discordanza tra osservatori
Un ulteriore approfondimento consente di specificare se gli indicatori siano stati osservati da entrambi gli osservatori, da nessuno dei due (concordanza sull’assenza di azioni), oppure da uno solo dei due (discordanza sulla presenza/assenza di azioni). Come si vede (Tab. 4) l’Interdisciplinarietà, il Potenziamento, le Strategie per l’apprendimento e i Metodi che attivano la partecipazione sono stati osservati in maniera discordante in un numero di casi superiore alle volte in cui sono stati osservati in maniera concorde. È questo uno degli elementi che ha sollecitato il gruppo di ricerca a ritornare sul processo di operativizzazione degli indicatori, al fine di descriverli in modo più puntuale. In seguito ai risultati si ottenuti si è inoltre ritenuto necessario elaborare una guida per interpretare in modo il più possibile univoco le situazioni osservate. Per questo motivo è stato messo a punto un codebook, come illustrato più avanti. 6.3 L’ora media di lezione Per poter operare confronti fra classi di scuole diverse si è scelto di sintetizzare le informazioni raccolte considerando un’ipotetica “ora media di lezione”. Le elaborazioni sono state condotte parallelamente per le classi della scuola primaria e per quelle della secondaria di primo grado. Per ciascun livello scolastico è stato calcolato quanto un indicatore sia stato mediamente osservato. L’indice così calcolato può variare tra 0 e 100, dove 0 indica che un determinato indicatore non è mai stato rilevato, 100 che l’indicatore è stato registrato durante tutte le ore di osservazione. I grafici che seguono riportano valori medi per gli indici considerati (Grafico 1 e Grafico 2).
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Ricerche – Valutazione della didattica
Grafico 1 - Frequenza indicatori nell’ora media - Scuola primaria
Nelle classi di IV primaria osservate gli indicatori rilevati mediamente con più costanza sono stati Articolazione del gruppo classe, Metodi che attivano la partecipazione e Strategie di apprendimento. Oltre alla lezione frontale, agli studenti sono state assegnate attività da svolgere individualmente o in gruppo in modo intenzionale. Gli insegnanti hanno incoraggiato gli studenti a prendere la parola, chiedendo loro di fare osservazioni o domande, di trovare da soli la soluzione, e utilizzando talvolta le idee proposte dagli studenti.
Grafico 2 - Frequenza indicatori nell’ora media - Scuola secondaria di I grado
Inoltre gli insegnanti hanno dato istruzioni sulle strategie da seguire per lo studio, proponendo agli studenti di fare riassunti, schemi o sottolineare parole chiave, li hanno incoraggiati a controllare le loro azioni e hanno fornito dei feedback sullo svolgimento delle loro attività.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Meno attenzione è stata posta alla Verifica dei compiti per casa, al Potenziamento, alla Personalizzazione e all’Interdisciplinarità. Le azioni afferenti all’indicatore Verifica compiti per casa sono apparse circoscritte ad alcuni momenti della mattinata; se a livello internazionale si ritiene importante questo aspetto12, nelle scuole primarie osservate non è stata data in media molta enfasi alle attività di verifica e controllo dei compiti. Ancora più rara è apparsa la Personalizzazione: è infatti estremamente difficile osservare studenti che lavorano su materiali o compiti differenziati, così come sono state osservate complessivamente poche lezioni dove gli studenti hanno svolto attività per ampliare, approfondire o potenziare contenuti già noti (Potenziamento). Mediamente è risultato poco comune che un insegnante proponesse un argomento o un tema trasversale, in modo che gli studenti potessero applicare conoscenze o abilità connesse a più discipline (Interdisciplinarità), nonostante i curricoli in vigore abbiano posto l’accento sull’unitarietà dei saperi e ribadito la necessità di un superamento della frammentazione disciplinare13. Le azioni di Recupero in un’ipotetica ora media di lezione ottengono il punteggio intermedio; gli insegnanti osservati hanno proposto in forma semplice contenuti già noti (ad esempio rispiegando o correggendo) e gli studenti hanno svolto attività che servono a consolidare (ad esempio svolgendo esercizi di livello semplice o ripetendo). Un altro aspetto considerato rilevante, anche a livello internazionale14, è l’Attenzione agli studenti con bisogni educativi speciali. Nel contesto scolastico italiano appare importante comprendere quanta attenzione venga dedicata agli studenti disabili e quali attività siano realizzate con studenti considerati a rischio o che esprimono esigenze particolari. Nelle classi dove erano presenti studenti con bisogni educativi speciali15 mediamente le azioni sottese a questo indicatore sono state osservate con una buona frequenza. Per ciò che riguarda le classi terze delle scuole secondarie di primo grado, le azioni riferite agli indicatori Metodi che attivano la partecipazione e Trasmissione di strategie per l’apprendimento sono state mediamente molto osservate anche in questo ordine di scuola. Con l’Articolazione del gruppo classe si individua una prima differenza fra primaria e secondaria; è mediamente più raro infatti osservare un’articolazione all’interno delle classi. Anche l’Attenzione agli studenti con BES è apparsa nel complesso inferiore a quella rilevata nella primaria. 12 Recentemente l’indagine Timss 2007 (Trends in International Mathematics and Science Study), ha indagato a fondo modalità di verifica e utilizzo dei compiti per casa, richiedendo agli insegnanti di esprimere con quale frequenza i compiti per casa sono controllati, sono corretti, sono oggetto di discussione in classe, sono fatti correggere dagli studenti stessi o sono utilizzati per valutare gli studenti. 13 Le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati recitano: “gli obiettivi specifici di apprendimento indicati per le diverse discipline e per l’educazione alla Convivenza civile, se pure sono presentati in maniera analitica, obbediscono, in realtà, ciascuno, al principio della sintesi e dell’ologramma: gli uni rimandano agli altri; non sono mai, per quanto possano essere autoreferenziali, richiusi su se stessi, ma sono sempre un complesso e continuo rimando al tutto” (D.L. 19.2.2004, n. 59 - Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione). Le Indicazioni per il curricolo individuano tra gli obiettivi prioritari “insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza – l’universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia – in una prospettiva complessa, volta cioè a superare la frammentazione delle discipline e a integrarle in nuovi quadri d’insieme” (D.M. 31.7.2007, Indicazioni nazionali per il curricolo delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo). 14 Un esempio è rappresentato dalla valutazione esterna delle scuole in Olanda dove il fatto che “Gli insegnanti offrono sufficiente cura e orientamento agli alunni a rischio di rimanere indietro” è considerato un criterio di qualità. 15 L’elaborazione dei dati per questo indicatore è stata effettuata solo in relazione alle schede di osservazione in cui erano presenti studenti con BES.
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Ricerche – Valutazione della didattica
D’altra parte le azioni volte al Recupero sono state osservate con una buona frequenza, così come la Verifica dei compiti per casa. Potenziamento, Personalizzazione e Interdisciplinarità sono stati osservati con una bassa frequenza anche nella secondaria. 6.4 La revisione delle azioni e la definizione di un codebook In seguito alle riflessioni maturate dall’esperienza sul campo e con il supporto delle elaborazioni statistiche effettuate la Scheda per l’osservazione in classe è stata revisionata, dettagliando meglio le azioni da osservare e razionalizzandone la struttura. La Scheda di osservazione in classe è stata quindi utilizzata nella fase estensiva del progetto VM, che ha coinvolto 76 istituzioni scolastiche e 40 osservatori. A corredo della check-list è stato elaborato un codebook, ovvero un manuale per la codifica, in cui il significato delle azioni è descritto distesamente, anche ricorrendo ad esemplificazioni e alla descrizione di casi concretamente osservati. Il codebook inoltre aiuta a ridurre le differenze individuali di interpretazione tra osservatori. La costruzione di un codebook è un processo complesso, che prevede revisioni ripetute, fino alla stesura il più possibile completa ed esplicita a supporto dello strumento. La procedura è stata mutuata dalle indicazioni metodologiche proposte da Neuendorf (2002) per l’analisi del contenuto.
7. Conclusioni Il percorso di ricerca presentato, a partire dal quadro di riferimento teorico adottato per la valutazione esterna delle scuole, ha portato alla realizzazione di uno strumento per raccogliere informazioni, la Scheda per l’osservazione in classe, e alla successiva sperimentazione sul campo per testare e validare lo strumento (fase pilota). Gli indici relativi all’attendibilità dello strumento (coefficiente di attendibilità intercodificatore e intensità dell’accordo intercodificatore), nella fase pilota, possono essere considerati soddisfacenti. Per avere risultati più robusti gli stessi indici dovranno essere calcolati anche per le osservazioni condotte nella fase estensiva. La lettura dei dati sull’accordo tra i due codificatori all’interno delle unità di tempo minime di osservazione (15 minuti), ha evidenziato percentuali di discordanza tra codificatori che hanno suggerito di rivedere il modo in cui gli indicatori sono stati operativizzati e tradotti in azioni osservabili, nonché di definire un codebook maggiormente strutturato, che potesse essere utilizzato come guida per la formazione e il lavoro degli osservatori della fase estensiva. I dati relativi alla fase estensiva sono ancora in corso di elaborazione: è necessaria un’analisi approfondita dei dati ottenuti, al fine di validare la nuova scheda. Si tratta infatti di un lavoro in progress, che deve essere sottoposto al vaglio critico della comunità scientifica, in particolare per quanto riguarda la validità dei costrutti teorici. Poiché la finalità del progetto VM è quella di utilizzare la valutazione come punto di partenza per la progettazione di azioni di miglioramento, la restituzione alle scuole dei dati relativi agli indicatori, e la descrizione qualitativa di quanto osservato ad esso corredata, rappresenta un punto qualificante. La check list della scheda di osservazione, e l’elaborazione dei dati sulla frequenza di rilevazione degli indicatori ad essa connessa, non può essere considerato uno strumento direttamente valutativo, quanto piuttosto un supporto al lavoro dell’osservatore. Se infatti la Scheda consente di registrare alcune azioni, la mediazione qualitativa dell’osservatore, che commenta i dati e li contestualizza rispetto alle altre informazioni raccolte nella scuola, appare indispensabile.
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La parte relativa ai processi a livello di classe non è pertanto isolata dagli altri aspetti (di contesto, input, processo e risultato), ma confluisce nel rapporto di ricerca valutativo, come prevede la metodologia dello studio di caso adottata. Lo strumento si presta ad essere utilizzato, con gli opportuni aggiustamenti, oltre che per la valutazione esterna, anche per percorsi autovalutativi e di riflessione professionale interna sulle strategie didattiche adottate, l’uso del tempo, l’integrazione degli studenti con bisogni educativi speciali. L’osservazione tra pari, ad esempio coppie di docenti della stessa classe, o docenti della stessa materia, è oggi poco diffusa in Italia. Un possibile sviluppo del lavoro potrebbe riguardare l’adattamento della scheda per offrire percorsi di autovalutazione agli insegnanti.
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Ricerche – Valutazione della didattica
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Ricerche
Valutazione della didattica
Problemi di valutazione della qualità di un corso universitario Uno studio esplorativo Some problems pertaining the evaluation of didactic quality in university An explorative study MICHELE CAPUTO • MARIA TERESA MOSCATO • GIORGIA PINELLI Il contributo discute il problema generale della valutazione dell’efficacia didattica a livello universitario, con il supporto dei dati ricavati in due anni accademici successivi (2010/11 e 2011/12) monitorando il corso di Teoria e pratica della formazione (Università di Bologna, Facoltà di Lettere) a partire dal giudizio dei frequentanti, per verificare la percezione degli studenti degli obiettivi formativi e delle scelte metodologiche e organizzative del corso stesso. A chi aveva completato l’esame nei primi tre appelli (43 studenti nel 2010/11 e 37 nel 2011/12) sono state rivolte due domande ee è stato somministrato un breve questionario (nei due anni il questionario è stato modificato). Questi elementi sono stati messi a confronto con i dati della scheda personale dello studente (che registra il percorso di scuola secondaria, quello accademico, il giudizio sull’esercitazione svolta all’interno del corso e il voto finale conseguito). I dati ricavati, che sono indicativi del riconoscimento, da parte degli studenti, degli obiettivi del corso e delle scelte metodologiche in esso operate, forniscono almeno alcune suggestioni e indicazioni per future ipotesi di lavoro in questa direzione.
The present essay pertains to the evaluation of didactic effectiveness at universitary level, with the support of data obtained in two successive academical years (2010/11 and 2011/12) by monitoring the course in Theory and Practice of Education (University of Bologna, Faculty of Liberal Arts), starting from the assessments given by the students and aiming to verify the students’ awareness of the formative goals and the organizational and methodological aspects of the course itself.The students who had passed the exam in the first three sessions in (43 students in 2010/11 and 37 in 2011/12) were given a short questionnaire (which was modified during the course of the two years). These elements were then compared to the data from the students’ personal dossier (which contains information about every student’s secondary school/academic career, mark obtained in the practical test taken during the course and final mark). The obtained data are indicative of students’ acknowledgement of the course’s aims and methodological choices, and provide some suggestions for future working hypothesis in this direction.
Parole chiave: valutazione dell’offerta didattica, qualità dell’insegnamento, profilo degli studenti, questionario, progettazione didattica, organizzazione didattica
Key words: evaluation of didactic offer, quality of teaching, students’ profile, questionnaire, didactic planning, didactic organization.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
1. La valutazione della qualità della didattica universitaria: un contesto complesso Lo studio esplorativo che presentiamo in questo contributo si colloca in un contesto contrassegnato dalla netta prevalenza di procedure di valutazione della didattica universitaria di tipo top-down, particolarmente orientate da finalità di governance del sistema universitario, sia da parte di decisori politici, sia di attori decisionali interni alle strutture d’ateneo (Semeraro 2006a, pp. 29-45). Un contesto certamente complesso, in cui dinamiche sociopolitiche (dalla globalizzazione alla integrazione economico-monetaria europea) si intrecciano con le continue sfide innovative della società della conoscenza e dei suoi bisogni formativi; dinamiche che mettono in discussione ruolo e funzione del sistema formativo, in particolare di quello universitario. Limitandoci al contesto italiano, l’università negli ultimi decenni è stata progressivamente investita di procedure di valutazione della didattica, man mano affinatesi (Amplatz, 2006), che hanno preceduto (L. 537/93) e accompagnato l’implementazione del processo di Bologna, avviata con la riforma degli ordinamenti didattici del 1999. Queste procedure hanno dato luogo ad un articolato dibattito sulle finalità e sugli strumenti di valutazione utilizzati (Galliani, 2006, pp. 97-104), e vanno ad intrecciarsi, in forza dell’obbiettivo di accountability, con la necessità di valutazione della ricerca (Domenici, 2005). La prevalenza di procedure top-down è legata ai tentativi di assicurare la qualità del sistema universitario (Semeraro, 2006a, pp. 32-39) in linea con la costruzione dello Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (Messina, 2006), e in relazione ai meccanismi di valutazione degli organismi internazionali interessati alla valutazione dell’istruzione superiore (UE, OCSE, UNESCO), in una prospettiva neoliberista di “economia della conoscenza” (Surian, 2006). Tuttavia sono ben presenti alla letteratura scientifica (Gazïel, Warnet, 1998; Galliani, 2006) i limiti di una valutazione condotta secondo il modello ingegneristico della “razionalità assoluta”, che mette al centro il sistema organizzativo come chiave della qualità dell’intervento formativo, presupponendo, nel suo determinismo, di possedere tutti gli elementi necessari per una “programmazione totale”. Questo modello risulterebbe poco adeguato all’analisi dei processi formativi in quanto non coerente con la natura relazionale dei processi formativi, come tale riconosciuta alla base dei modelli costruttivisti della conoscenza prevalenti nella ricerca delle scienze dell’educazione. Nell’opinione prevalente tra i ricercatori la specificità dei processi formativi richiede un modello di “razionalità procedurale” più adeguato della razionalità causale propria del modello ingegneristico. Il nostro contributo, condividendo un approccio costruttivista della formazione, si muove nella direzione di elaborare procedure bottom up della valutazione dell’efficacia didattica, pur tenendo conto, come mostreremo più avanti, anche dei risultati dei questionari di valutazione degli studenti elaborati dal nucleo di valutazione (NV) del nostro Ateneo.
2. I termini del problema La valutazione dell’efficacia della didattica universitaria costituisce un problema di difficile soluzione, in termini scientificamente rigorosi, già a partire da una definizione condivisa del termine “efficacia didattica”. Esiste nella prassi un uso tendenziale del termine, con un’accezione riduttiva di esso, che identifica l’efficacia del docente con la produttività dello studente: per conseguenza, nei dati dei rilevamenti statistici, l’indicatore utilizzato diventa la rapidità con cui lo studente sostiene l’esame relativo, e in qualche caso anche il livello di votazione conseguito. Riteniamo
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che si possa assumere già in partenza che la velocità e il ritmo nel sostenimento degli esami, e così le prestazioni fornite alla prova d’esame (colloquio o prova scritta) dipendano direttamente dal livello personale già posseduto dallo studente al momento del suo accesso all’Università. Ci riferiamo ad una serie di precondizioni, quali il corso di studi secondari seguito e le conoscenze personalmente acquisite, il metodo di lavoro e l’efficacia e precisione del linguaggio, la capacità di concentrazione, assiduità e ritmo nello studio personale. E fra tali precondizioni non sono irrilevanti il sistema motivazionale dello studente e il suo livello di aspirazione. A partire da tali differenziate situazioni di partenza, gli studenti universitari sono in grado di ricavare da un corso ad essi offerto (sia avendolo frequentato, sia avendolo studiato senza alcuna assistenza didattica) acquisizioni ampiamente diversificate e risultati difficilmente controllabili. Rispetto agli esiti formativi effettivi, la velocità di percorrenza dell’itinerario accademico e voti conseguiti costituiscono dei semplici indicatori, per quanto potenzialmente significativi. Se per “efficacia didattica” (o formativa) si intendesse l’esito, sulla professionalità successiva dello studente, in termini di conoscenze e competenze a lui proposte e in lui sollecitate, avremmo bisogno di rilevamenti nei tempi lunghi, con una strumentazione mirata e altamente differenziata in rapporto alle competenze specifiche. Nell’area delle discipline pedagogiche e della formazione degli insegnanti in particolare non esistono al momento ricerche di questo tipo. Esistono però dei dati, sondati anche da precedenti ricerche quantitative e qualitative (ad es. Corradini, 2004; Balduzzi,Vannini, 2008) in termini di opinione del soggetto intorno al proprio percorso formativo (in termini di utilità ed efficacia) e intorno ai propri bisogni formativi, per quanto l’interpretazione delle risposte fornite in tali ricerche presenti sempre notevoli margini di problematicità. In questo senso, anche per noi, nel tentativo di monitorare la funzionalità di un corso progettato per la formazione degli insegnanti, non è comunque irrilevante l’opinione dei destinatari e fruitori del corso stesso almeno rispetto al riconoscimento degli obiettivi perseguiti e delle metodologie privilegiate. Anche nella consapevolezza che, naturalmente, studenti diversi presentano percezioni diverse degli elementi del corso su cui vengono interpellati. Per quanto riguarda la condizione di partenza degli studenti universitari, i rilevamenti statistici operati all’interno degli Atenei nell’ultimo decennio, incrociando la scuola di provenienza e il voto di maturità alla produttività nei primi due anni, e al maggiore o minore ritardo nel completamento del percorso accademico, forniscono sufficienti indicatori tendenziali di questo rapporto, su cui in questa sede non diciamo altro, giudicandolo un dato già ampiamente acquisito (Moscato, 2010a; 2010b). Per quanto riguarda le lauree magistrali (cui è rivolto il corso di cui si tratta), ancora più forte appare la differenziazione e l’autonomia dello studente, inseribile in un differente universo di riferimento (rispetto alle matricole della laurea triennale).
3. Possibili caratteri dell’efficacia didattica in università Assumendo come dato acquisito (e scarsamente modificabile) la presenza di situazioni di partenza differenziate negli studenti universitari, un corso accademico potrebbe già essere definito “efficace” se non allontana lo studente, e se non gli pone degli ostacoli o impedimenti di tipo organizzativo (la difficoltà a trovare posto a sedere in aula costituisce già un ostacolo, e così il difficile reperimento di testi e materiali didattici). Questi elementi vengono già indagati dai questionari sulla didattica somministrati a tappeto dagli Atenei, e i dati di
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questi rilevamenti – ovviamente – sono da noi già tenuti presenti, nel caso del corso specifico di cui si riferisce. Sarebbe già un buon elemento di partenza, per l’efficacia didattica, se un corso accademico sollecitasse l’interesse iniziale dello studente. Questo elemento si può verificare, sempre per indicatori, solo per i corsi a scelta. Nel caso di un corso a scelta anche l’indice di frequenza alle lezioni potrebbe costituire un indicatore di interesse. Ma ci sono dei limiti oggettivi, tuttavia, nella valutazione di tali indicatori, perché la sovrapposizione dell’orario a quello di un corso obbligatorio, oppure particolarmente impegnativo, annulla il significato indicativo della frequenza/non frequenza. Anche l’indicatore legato alla scelta va valutato caso per caso: ci sono situazioni, all’interno dei diversi corsi di laurea, in cui lo studente non ha scelto tanto “qualcosa che lo interessa”, ma ha soprattutto “evitato” qualcos’altro (e per le ragioni più svariate). L’elemento di efficacia più importante, per quanto difficile da valutare e verificare empiricamente, permane il fatto che un corso accademico offra un contenuto, selezionato all’interno di un contesto scientifico definito, che sia congruente e funzionale, in termini di conoscenze e competenze, rispetto ad uno o più profili professionali ipotizzati. Ciò resta essenziale non solo tenendo conto delle condizioni differenziate di partenza, ma soprattutto in ragione del fatto che lo sviluppo intellettuale umano costituisce di per sé un processo auto espansivo, sia quando direttamente e intenzionalmente promosso dal soggetto stesso, sia nel caso in cui vengano sollecitate le sue componenti inconsce e involontarie, in cui sicuramente si sono stratificati, nel corso dell’età evolutiva, alcuni nuclei “germinali” (o germinativi), capaci di riattivarsi ed espandersi nel corso delle trasformazioni adulte. Meriterebbe una articolata discussione, che qui non possiamo sviluppare, il fatto che la ricerca psicologica, psicanalitica e psicopedagogica abbia oggi elaborato modelli di funzionamento della psiche umana molto più complessi di quelli che vengono tutt’ora utilizzati, o dati per scontati, sul piano gestionale ed amministrativo. Ad esempio, tutti i nostri interventi rivolti a studenti che accedono all’università con un voto di maturità inferiore al 70/100 (corsi “0” e attività tutoriali) sono strutturati secondo la logica della “rimessa a livello” (come del resto i corsi di recupero della scuola secondaria), vale a dire in base a un modello trasmissivo, di tipo meccanicistico-contenutistico dell’apprendimento umano, abbastanza riduttivo e superficiale, che non rispecchia certamente i modelli costruttivistici accreditati dalla nostra letteratura pedagogica (cfr. Moscato, 2008). Consideriamo perciò che buoni standard nella chiarezza comunicativa del/dei docenti, la scelta di testi e materiali didattici funzionali alla comprensione, che non siano troppo dispersivi riguardo ai contenuti disciplinari proposti, e una funzionale organizzazione per le frequenze e per lo svolgimento degli esami, non senza un tratto di cordialità e piacevolezza nello stile comunicativo del docente, costituirebbero di per sé una condizione di efficacia didattica quasi ottimale, che gli accademici dovrebbero poter garantire senza insormontabili difficoltà. In realtà, però, non solo questo non accade sempre e a tutti noi, ma le nostre condizioni di lavoro attuali (moltiplicazione di ore di didattica frontale in aule affollate e grandi numeri di prove di esame) tendono a ridurre le possibilità di efficacia didattica, perché ci fanno investire e disperdere energie professionali nella direzione opposta a quella desiderata (che potrebbe essere quella del tutorato, del colloquio diretto, della personalizzazione dei percorsi degli studenti) (Moscato, 2010c). Gli sforzi per il miglioramento della didattica universitaria, che stiamo compiendo in questi anni, legittimano quindi tutti i tentativi periodici di monitoraggio e di valutazione dei corsi attivi, anche se i risultati ottenuti difficilmente possono assumere valore di rappresentatività e generalizzabilità scientifica. Il problema non è neppure di numeri e di rigorose modalità di rilevamento, ma è piuttosto quello di una oggettiva non comparabilità fra i do-
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centi, i contenuti disciplinari e testi adottati, anche all’interno di uno stesso corso di laurea. In altri termini: ogni monitoraggio fa storia a sé stante con il corso monitorato e con le sue particolarità. E le risposte degli studenti saranno sempre significative solo relativamente a quel corso e in quello specifico anno di osservazione.
4. Il coinvolgimento degli studenti nei processi di valutazione È fuori discussione che ci servano le risposte dirette e le opinioni degli studenti nel monitoraggio di un corso universitario. Tuttavia la collaborazione degli studenti alle azioni di monitoraggio degli atenei incontra di fatto una forma di “resistenza passiva” nel corpo studentesco, che si traduce concretamente in compilazioni veloci e ridotte dei questionari proposti. Ad esempio, limitandoci all’esperienza diretta dei corsi di area pedagogica da noi curati nell’ultimo decennio a Bologna, si osserva che meno del 30% degli studenti che hanno compilato il questionario del NV ne compilano il retro, che contiene domande aperte di valutazione specifica del corso. In primo luogo sembra che essi presentino una resistenza a comunicare al docente le loro opinioni (per quanto protette dall’anonimato e dalla consegna al docente nel tempo lungo). Quelli che si esprimono mostrano di farlo soprattutto per due ordini di motivi opposti, vale a dire un gradimento ai limiti dell’entusiasmo, oppure una protesta da avanzare. Il risultato è che, di fatto, i questionari esprimono la misura del gradimento/ non gradimento suscitato dal singolo docente, e sono quindi uno specchio della sua “popolarità” accademica, piuttosto che della sua qualità didattica. È tendenzialmente raro il caso di osservazioni e suggerimenti di tipo collaborativo e comunque costruttivo. Occorre rilevare che, nel caso del corso di Teoria e pratica della formazione ci cui ci stiamo occupando, e per i due anni ultimi di osservazione (2010/11 e 2011/12), offerto solo a corsi di laurea Magistrali, si osserva un indice più elevato di risposte aperte (il 40%), sul retro dei normali questionari per la didattica, e l’espressione di alcune indicazioni più precise, rispetto a contenuti e metodologia. Nel 2011/12 (dati disponibili solo in questi ultimi giorni), si osserva che chi ha compilato una parte del retro esprimeva sempre un elemento di soddisfazione (elementi di scontento, come la sovrapposizione degli orari, non vengono neppure citati, pur essendoci noti per altra via). Rispetto al monitoraggio aggiuntivo di cui riferiamo, gli studenti interpellati si sono personalmente coinvolti, dichiarando una intenzionale volontà di collaborazione per lo sviluppo futuro del corso, e noi giudichiamo che questo atteggiamento sia di per sé indice di gradimento del corso frequentato. Per tutte le considerazioni sopra esposte, il nostro monitoraggio appena concluso, e di cui riferiamo in queste pagine, si è concentrato solo su alcuni elementi limitati, a partire da una acquisita maggiore consapevolezza, da parte nostra, circa la loro potenziale riconoscibilità. Per quanto abbiamo monitorato questo corso per tre anni consecutivi, solo nell’ultimo anno, in pratica, abbiamo cercato di verificare se, ed in quale misura, l’obiettivo formativo da noi definito nel programma del corso fosse stato effettivamente percepito, riconosciuto e condiviso dagli studenti interpellati; se le scelte contenutistiche e metodologiche specifiche fossero state analogamente percepite, riconosciute e condivise; ed infine se gli studenti avessero o meno elaborato un giudizio personale su tutto il corso che erano in grado di comunicare al docente (il breve questionario e le due domande sono stati posti individualmente alla fine del colloquio d’esame e dopo la trascrizione del suo risultato).Tutti i dati sono stati accuratamente tabellati e calcolati, ma non li riproduciamo nel dettaglio perché il numero limitato in valori assoluti non giustifica altre elaborazioni, e per la stessa ragione non riportiamo una serie di incroci interni che abbiamo effettuato, almeno a titolo di ipotesi (ricordiamo che possediamo di ciascuno studente interpellato una scheda di iscrizione che include
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il titolo di maturità, la laurea triennale conseguita, le esperienze lavorative e le attese rispetto al corso). Finora questi incroci interni non forniscono elementi significativi, o non altrimenti già noti: ad esempio, la provenienza iniziale dai licei della maggior parte degli studenti più competenti è ancora osservabile nei nostri gruppi, ma allo stesso tempo possiamo confermare anche che tale origine non discrimina più gli studenti in termini di votazione all’esame. Come dire che, al livello di corsi di Laurea Magistrale, l’autoselezione ha reso i gruppi più omogenei in termini di competenze, indipendentemente dalla scuola secondaria di provenienza (si tratta di dati già suggeriti dai rilevamenti statistici d’Ateneo negli ultimi tre anni).
5. Il corso monitorato e le sue caratteristiche Il corso monitorato è quello di Teoria e pratica della formazione (TPF), presente nel curriculum delle Lauree Magistrali della Facoltà di Lettere di Bologna (opzionabile per 6 o 12 crediti formativi) a partire dal 2008/09. L’insegnamento intende esplicitamente contribuire alla costruzione della professionalità di docenti e/o formatori, sviluppando deliberatamente alcune modalità di lavoro già sperimentate all’interno della SSIS di Bologna1. Dobbiamo quindi riprendere sinteticamente gli obiettivi e la struttura del corso e le prime valutazioni effettuate per l’a.a. 2010/11 (Moscato, 2011). Successivamente analizzeremo i risultati di un questionario di valutazione somministrato a 43 studenti, iscritti al corso nell’anno accademico 2010/11, che hanno sostenuto l’esame nei primi due appelli utili (febbraio 2011 e marzo 2011) e di un diverso questionario, integrato da due domande, proposto a 37 studenti che hanno sostenuto lo stesso esame nell’anno 2011/12 (febbraio, marzo, maggio e giugno 2012)2. Il nostro primo tentativo mirava alla costruzione di uno strumento di monitoraggio affidabile (sia pure relativamente ed unicamente per questo corso) che ci permettesse di individuare come lo studente aveva percepito e valutato gli elementi di innovazione da noi introdotti (e che giudicavamo rilevanti). L’ipotesi di lavoro si affiancava ad altre azioni di monitoraggio abituali (come l’osservazione in aula di un componente del gruppo diverso dal docente, il controllo annuale dei risultati d’esame degli studenti, la rilevazione presenze/assenze e i tempi di sostenimento dell’esame). Abbiamo pensato di richiedere una valutazione (o almeno una opinione esplicita) degli studenti, in un momento in cui la loro espressione non sarebbe stata condizionata dai ruoli rispettivi, e quindi abbiamo pensato a un questionario da somministrare subito dopo il colloquio d’esame (a esame già registrato).Volevamo inoltre che lo studente si pronunziasse sui singoli elementi dell’attività didattica seguita: nel primo tentativo (43 studenti 2010/11) avevamo sottovalutato che la presenza contemporanea, in sede di esami, di studenti frequentanti e non frequentanti, e anche la forte alternanza e oscillazione delle presenze a lezione, determinavano già una differenziazione in partenza fra i soggetti rispondenti. Nel secondo questionario (2011/12, 37 soggetti) abbiamo piuttosto chiesto di indicare, da una
1 L’esperienza si colloca nel periodo intercorrente tra la soppressione delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) e l’attivazione di nuovi corsi di laurea magistrale per la formazione degli insegnanti e del corso di Tirocinio Formativo Attivo (TFA) abilitante, previsti dal Decreto Ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 31 gennaio 2011. Relativamente alle relazioni tra ricerca, pratica didattica e formazione professionale del docente/formatore rimandiamo alla prospettiva delineata da Damiano, 2004, 2006; Moscato, 2008; Schön, 1987, Tochon 1993. 2 Di fatto si sono ridotti, dal 2010-11 al 2011-12, il numero degli iscritti effettivi, (da 71 a 45) e quindi il numero degli esami sostenuti entro la sessione di marzo.
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lista, gli elementi del corso che egli avesse percepito come significativi e/o utili, e le risposte sono state molto più nette. Come abbiamo già detto, il corso monitorato si colloca fra insegnamenti a scelta per le LM della Facoltà di Lettere di Bologna. La frequenza è facoltativa, ma caldamente raccomandata, proprio in funzione degli obiettivi formativi del corso, ed è controllata per mezzo di un foglio firme giornaliero. Si conseguiva, nel 2010/11, con 40 ore per l’esame da 12 crediti e con 20 ore per l’esame da 6 crediti. Nell’a.a. 2011/12 abbiamo innalzato il numero delle ore richieste a 48 per 12 CFU e a 24 per i 6 CFU. Per favorire il conseguimento della frequenza, è consentito agli studenti di distribuire la loro partecipazione per tutta la durata del corso, senza distinzioni fra un primo e un secondo periodo. La distribuzione della frequenza su tutti e due i periodi veniva consentita anche perché, data la particolare struttura partecipata, la presentazione di lezioni simulate, alternate ad esercitazioni di gruppo, non è possibile seguire ordinatamente la sequenza dei contenuti scientifici proposti in termini sistematici. La collocazione di molte lezioni frontali dopo una esercitazione, in qualche modo anche in derivazione da essa, ha comportato una flessibilità progettuale, fino ai limiti della estemporaneità comunicativa del docente. Nelle simulazioni ed esercitazioni, la partecipazione attiva degli studenti comporta che essi introducano temi, esempi, riflessioni e sensibilità che non possono essere previste specificamente dai docenti.Talvolta la stessa dinamica della comunicazione in gruppo è diventata oggetto di una lezione successiva. Gli studenti ricevono dal programma il suggerimento di tenere un “diario di bordo”, costruendosi così una sorta di testo personale del corso frequentato. In sede di colloquio finale pochissimi lo hanno esibito, evidenziando una grande variabilità di scelte, attenzioni e sensibilità. La stesura del diario non sembra in rapporto al livello di prestazione, ma al massimo in rapporto ad uno stile di lavoro e di studio personale. L’osservazione in aula ci porta ad ipotizzare che molti studenti non prendono appunti proprio perché sono concentrati nella partecipazione; la maggior parte prende appunti solo se un elemento ne colpisce l’attenzione; una parte quantitativamente molto limitata prende appunti in maniera dipendente, diligente e ancora molto scolastica. Certamente l’analisi del diario di bordo (per i pochissimi studenti che lo hanno esibito), permette di valutare la qualità del profilo dello studente. Anche il dato della frequenza però è estremamente variabile: questa oscilla molto, per durata e per ampiezza del periodo, in relazione a fattori eterogenei e comunque non ascrivibili all’offerta didattica. Nell’anno 2011/12 abbiamo chiesto, sempre alla conclusione dell’esame, i motivi della mancata frequenza o di una frequenza interrotta. In genere lo studente ha dichiarato plausibili ragioni di lavoro, eccezionalmente motivi di salute o (in un caso) una gravidanza difficile. Per conseguenza, la qualifica condivisa di “studente frequentante” attesta solo la quantità di ore firmate, ma non garantisce che siano state osservate le stesse dinamiche in aula e seguite le stesse attività. Nelle risposte fornite al questionario 2010/11 si è evidenziato che si poteva essere frequentante ed avere tuttavia perso, ad esempio, tutte le esercitazioni sul caso (sono quattro in tutto, distribuite nell’intero corso). L’obiettivo formativo caratterizzante il corso, nel triennio 2009/2012, nelle nostre intenzioni, si collocava soprattutto nel coinvolgimento attivo dello studente e nella sua più diretta interazione con il docente per mezzo dei seguenti elementi: • Scheda di iscrizione che identifica a grandi linee il percorso formativo pregresso (scuola secondaria e laurea triennale), ed eventuali attività lavorative, la motivazione della scelta del corso; la scheda, distribuita anche in aula, era reperibile sul sito web del docente. • Colloquio personale al momento di consegna della scheda (nelle prime settimane di corso le ore di ricevimento venivano ampliate); il colloquio personale aveva lo scopo di integrare le informazioni richieste allo studente e offriva la possibilità di condividere ed esplicitare gli obiettivi formativi del corso, unica occasione utile nei confronti degli stu-
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denti non frequentanti. A posteriori abbiamo verificato che non è possibile limitare il periodo delle iscrizioni: moltissimi studenti si presentano tardivamente, a corso concluso, e diventano inevitabilmente “non frequentanti”. • Richiesta di esercitazione personale concordata, affidata il più possibile alla scelta dello studente (relazione su attività professionali o di volontariato pregresse; analisi riflessiva sul proprio percorso di formazione; simulazione lezione in aula, quest’ultima riservata agli studenti frequentanti). • Introduzione in aula di studio di casi e di discussioni di gruppo. • Uso didattico delle simulazioni degli studenti per mezzo di valutazioni e discussioni da parte dei loro colleghi sulle modalità di elaborazione e conduzione della lezione, con sintesi finale e integrazione del docente3. Ogni atto di insegnamento può infatti essere considerato come un punto di partenza, un “testo” da sviscerare ed elaborare, sul quale riflettere, e da vagliare criticamente. Agli autori delle simulazioni didattiche era inoltre richiesta l’elaborazione di una traccia progettuale del percorso presentato in aula e una relazione analitica ex post sull’attività svolta.Tutte le esercitazioni svolte confluivano nella valutazione finale, attribuita al termine del colloquio d’esame. • Il docente ha praticato sistematicamente la strategia comunicativa dell’ascolto attivo per tutta la durata del corso, consentendo (e talvolta sollecitando) interventi anche nel corso delle lezioni frontali. • Appelli d’esame mensili cui si accede per appuntamento diretto con il docente, in subordine all’approvazione dell’esercitazione presentata. Le schede di iscrizione raccolte per i tre anni accademici ci hanno restituito il dato – più che prevedibile – dell’afferenza a diverse Lauree Magistrali, nonché la provenienza da un ancor più ampio ventaglio di Triennali: cosa che, come del resto è stato possibile constatare anche nello svolgimento del lavoro d’aula, ha sicuramente determinato una sostanziale eterogeneità del bagaglio formativo pregresso degli studenti. Di quest’ultimo elemento si è cercato di tener conto nell’organizzazione delle lezioni e nella progettazione relativa alla distribuzione degli argomenti e all’esplicitazione dei presupposti filosofico-epistemologici interessati. Sinteticamente, gli studenti provengono prevalentemente dai Corsi di Laurea Magistrale di Scienze Filosofiche, Italianistica, Scienze storiche, Arti Visive e Discipline della Musica. Presenza isolate da Antropologia, Filologia, Cinema e da altre Facoltà (Matematica). Per quanto concerne le motivazioni che hanno orientato gli studenti alla scelta del corso, in generale gli iscritti dichiarano di essere interessati all’attività di insegnamento: di conseguenza sostengono di attendersi dal corso di TPF elementi utili alla costruzione della loro professionalità. Ricorrono nelle schede anche informazioni relative allo svolgimento di attività professionali e/o di volontariato afferenti all’area della didattica/educazione.
3 “L’esercitazione serve quindi in primo luogo a far guadagnare una comprensione personale dell’agire didattico in termini diversi dalla sua concettualizzazione. Questo permane l’obiettivo formativo più importante e caratterizzante dell’intero corso. L’esercitazione si colloca in una maniera molto complessa fra la riflessione teorica e l’esperienza pratica, retroagendo sulla riflessione teorica più di quanto non anticipi effettivamente l’esperienza pratica in tutta la sua ampiezza. […] la valutazione che veniva fornita anche attraverso la discussione in aula, si riferiva sempre al processo e non al prodotto, perché lo studente si sentisse libero di sperimentarsi e i suoi colleghi liberi di criticarlo. In qualche caso è stato richiesto allo studente di mettere per iscritto le proprie riflessioni a posteriori, e/o di riformulare l’impianto del suo progetto didattico. La presa di coscienza immediata dei difetti della lezione è stata sempre valutata positivamente. Chiaramente, però, questa esperienza si può far fare, con esisti diversificati, solo agli studenti presenti in aula” (Moscato, 2011).
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Il primo elemento che quindi intendevamo verificare era se (e in che misura) l’obiettivo fosse stato riconosciuto dagli studenti, ed in questo caso quali elementi metodologici venivano da essi percepiti e giudicati più o meno utili.
6. Le valutazioni degli studenti Dall’esame delle loro schede di iscrizione, per quanto riguarda le motivazioni della scelta del corso, la maggioranza degli studenti in entrambi gli anni accademici (il 90,%) evidenzia una propensione/aspettativa specifica in ordine alla costruzione di una professionalità docente: 56 dichiarano di aver scelto il corso per via del proprio consapevole desiderio di insegnare, manifestando spesso anche la volontà di comprendere meglio le dinamiche dell’insegnamento e/o di sciogliere le ultime riserve riguardo alla professione di docente; 15 declinano lo stesso tema segnalando di aspettarsi dal corso un supporto per la comprensione di dinamiche didattiche, educative, formative in senso ampio. Anche le attività extrauniversitarie dei soggetti interpellati (43+37) testimoniano questo interesse di partenza: tra essi, infatti, il 70% dichiara di svolgere (o di aver svolto) attività pertinenti alla sfera didattico-educativa, sia dal punto di vista lavorativo (insegnanti in servizio, insegnanti di sostegno, tutor, insegnanti di ripetizione, docenti di canto, istruttori di nuoto, allenatori sportivi, guida turistica, coordinatori di centri diurni/doposcuola, operatori teatrali per laboratori destinati alla scuola, tutor universitari), sia dal punto di vista della formazione personale (tirocinio di 150 ore nella scuola durante la triennale, collaborazione con i propri docenti delle scuole secondarie superiori per sporadiche lezioni e/o progetti), sia in termini di volontariato (educatori, catechisti, animatori di oratori o centri estivi parrocchiali e comunali). Le votazioni conseguite dagli studenti interpellati sono mediamente elevate, in entrambi gli anni, con una netta prevalenza della fascia più alta (29,30,30 e L). È tuttavia un fenomeno ricorrente che ai primi appelli d’esame per ciascun anno accademico si concentrino le votazioni più alte, in termini significativamente difformi dagli appelli successivi, in cui le votazioni si collocano tendenzialmente in termini di maggiore distribuzione. È un dato di realtà che gli studenti meglio attrezzati culturalmente e intellettualmente siano anche i più veloci nel sostenere esami, e quindi si raccolgano tendenzialmente fra il primo e il secondo appello utile (nei corsi di laurea triennali il fenomeno, per la nostra esperienza, è ancora più nettamente osservabile). Nelle lauree magistrali il ritmo di sostenimento esami è più condizionato (e tendenzialmente rallentato) dall’esperienza di lavoro. Perciò, come abbiamo già detto, i voti conseguiti dicono qualcosa degli studenti, ma non possono essere considerati indicatori dell’efficacia didattica del corso. Semmai si registra una relativa “scollatura” fra i risultati dell’esame e l’entusiasmo profuso nella frequenza e nella partecipazione (studenti frequentanti, ma non particolarmente “visibili” o attivi, conseguono valutazioni ottime; e viceversa); non c’è sempre corrispondenza fra il voto conseguito e la valutazione espressa nel questionario (studenti protagonisti di un esame mediocre sostengono, nel compilare il questionario – ma spesso anche verbalmente, nel restituirlo – di essere convinti della valenza formativa del corso).
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7. Il questionario 2010/11 Avevamo costruito il questionario differenziando prima di tutto la categoria di “gradimento” da quella del “giudizio di valore” per ciascuno dei singoli elementi individuabili nella organizzazione del corso4. Ipotizzavamo che il confronto fra “gradimento” e “giudizio di valore” ci avrebbe confermato/ dis-confermato il giudizio ogni volta espresso. Per quanto riguarda il giudizio di valore avevamo articolato il giudizio su tre categorie distinte (difficile, impegnativo, produttivo), ipotizzando di poter discriminare così • se, agli occhi degli interpellati, vi fossero stati inciampi/difficoltà, ad esempio difficoltà di comprensione, connessi alle singole proposte (“difficile”); • se le prassi e le strategie adottate avessero richiesto loro un reale (o eccessivo) impegno (“impegnativo); assumevamo che – potenzialmente – il termine “impegnativo” avrebbe potuto nascondere una difficoltà soggettiva; • se e come ritenessero formativa ed efficace la modalità didattica specifica, rispetto agli effetti che essa aveva avuto, nella loro ricostruzione, sulla loro personale preparazione e qualificazione pre-professionale e nel percorso affrontato (“produttivo”). In ultima analisi, pensavamo che l’intreccio o la gerarchizzazione, fra i tre termini, collocati su una scala a quattro livelli (moltissimo, molto, poco, per niente) avrebbe fornito comunque una indicazione tendenziale. A posteriori dobbiamo concludere che i tre termini scelti come valutatori non abbiano avuto, nel linguaggio degli studenti, la stessa significazione che l’équipe aveva attribuito ad essi. Inoltre abbiamo commesso un evidente errore di costruzione collocando di fatto sullo stesso piano, nel questionario, elementi qualitativamente diversi, come i contenuti teorici proposti, i libri di testo adottati, il carico di lavoro richiesto allo studente (la esercitazione/relazione scritta) ed i due elementi organizzativi più tecnici, come la compilazione di una scheda di iscrizione e la prenotazione esami via mail. Di fatto non è possibile classificare questi elementi utilizzando il termine “produttivo” o “impegnativo” senza immediatamente gerarchizzarli, sul piano logico, in termini di importanza. L’avere utilizzato le stesse alternative per tutti gli elementi su cui chiedevamo il giudizio ha reso, in ultima analisi, ambigui in partenza i termini valutatori. Se due elementi non risultano effettivamente comparabili, chi risponde difficilmente può trattarli allo stesso modo. Da questo errore derivano tutte le incongruenze da noi osservate nell’analisi del questionario 2010/2011, da noi analizzato e incrociato nel dettaglio con esiti insoddisfacenti, che a questo punto non riportiamo, soprattutto dopo la nuova comprensione operata nel 2011/12 (con 37 soggetti). L’unico dato ben definito, nel questionario difettoso del 2010/11, era costituito dal giudizio rispetto ai contenuti teorici del corso (43 su 43 affermavano di averli apprezzati “molto” o “moltissimo”; solo un soggetto su 43 li riteneva “poco” produttivi) e sui testi adottati (la totalità dei rispondenti dichiarava di apprezzarli; 38 su 43 li giudicavano “molto” o “mol-
4 Oltre ai dati utili per ricostruire il profilo dello studente (scuola secondaria e laurea triennale di provenienza, laurea magistrale di iscrizione, eventuali esperienze lavorative/di volontariato – specialmente se in ambito della educazione/formazione/didattica), il questionario domandava di esprimere un giudizio di apprezzamento (calibrato nei termini di “per niente”, “poco”, “molto”, “moltissimo”) rispetto a contenuti teorici, dispositivi didattici come le simulazioni in aula e le discussioni sul caso, modalità comunicativa del docente, richiesta di esercitazione scritta, richiesta di iscrizione e colloquio col docente, modalità di prenotazione dell’esame, testi in programma e modalità di conduzione dell’esame. Successivamente si richiedeva un giudizio di valore relativamente agli stessi campi, domandando di segnalare per ciascuno di essi il grado di “difficoltà”, “impegnatività”, “produttività”, come si spiega nel corpo del testo.
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tissimo” produttivi, e i rimanenti cinque soggetti non rispondevano a questa domanda. Sembrava dunque abbastanza “certo” che la totalità degli interpellati 2010/11 esprimesse apprezzamento per i contenuti teorici e i testi adottati, mentre deludeva la nostra esigenza di comprendere se gli studenti avessero apprezzato l’organizzazione del corso, e se alcuni elementi organizzativi costituissero effettivamente un potenziale disturbo (per esempio, avevamo ipotizzato che la richiesta di una relazione scritta rallentasse il sostenimento dell’esame). Per l’anno 2011/12 abbiamo riprogettato il questionario mantenendo le singole voci, per conservare una relativa comparabilità del monitoraggio, chiedendo agli interpellati di segnare solo gli elementi del corso che essi giudicavano apprezzabili dal punto di vista formativo, numerandoli progressivamente in ordine di importanza. Abbiamo inoltre aggiunto due domande aperte, che l’esaminatore ha posto nel momento in cui ritirava il questionario, e cioè: • che cosa ti sei “portato a casa” da questo corso? • che cosa cambieresti nel corso dovendolo riprogettare? Le due domande hanno comportato per alcuni studenti l’espressione di una riflessione personale più articolata, che si è rivelata maggiormente utile, per noi, rispetto al questionario. Il primo luogo, il gruppo 2011/12 (37 soggetti) ha confermato esattamente l’indicazione del gruppo 2010/11 (43 soggetti) segnando i contenuti teorici del corso come l’elemento più apprezzato in assoluto. Il testo adottato è stato segnalato come “impegnativo” da alcuni, rispondendo alle domande, ma comunque assimilato all’apprezzamento globale per i contenuti del corso. Non si deve “cambiarlo”, ma piuttosto integrarlo,“serve ancora del materiale specifico”. Al secondo posto, nel questionario, si colloca, per i 37 del 2011/12, l’apprezzamento della/e esercitazioni proposte (anche se frequentanti e non frequentanti indicano naturalmente cosa diversa con lo stesso termine, perché hanno fatto cose diverse). Queste due indicazioni sono ribadite di fatto dalle risposte alla domanda “che cosa ti porti a casa?”, perché tutte le risposte fornite (dai 37 2011712) sono congruenti rispetto ai contenuti del corso, pur con una distinzione che permette due grandi sotto-raggruppamenti (all’incirca numericamente equivalenti): alcuni indicano temi e contenuti caratterizzanti il corso (ad es. il concetto di insegnamento, ma anche la distinzione fra il conoscere qualcosa e l’abilità di insegnarla ad altri); altri sottolineano piuttosto una importante componente metodologica di esso (l’ascolto attivo e la riverbalizzazione, la conduzione dei gruppi, l’uso di strategie induttive). Qualcuno infine aggiunge un giudizio sull’esperienza personale compiuta, evidenziando come l’esercitazione costituisse una forma di “messa in gioco”, una “sfida”, che a posteriori essi si dichiarano lieti di avere raccolto. Rispetto alla seconda domanda (che cosa cambieresti?) a parte alcune notazioni sugli orari e la disposizione dell’aula, la risposta collettiva è di rifare il corso “esattamente così”. Per questi studenti gli altri aspetti organizzativi non sembrano quindi percepiti come molto significativi e neppure come particolarmente problematici.
8. Considerazioni (provvisoriamente) conclusive Ci sembra comunque che, nonostante le difficoltà riscontrate, e nonostante l’oggettiva complessità intrinseca a qualsiasi attività di valutazione della didattica accademica, la via da privilegiare per ottenere valutazioni utili al monitoraggio resti comunque quella di interpellare gli studenti, pur senza abbandonare altri elementi come i risultati delle prove e degli esami, le percentuali di frequenza e di abbandono del corso, anche se nessuno di tali elementi, da solo, costituisce un indicatore adeguato della effettiva efficacia formativa di quel corso/attività
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didattica (non solo nei suoi termini reali, ma anche nella percezione degli stessi studenti). In aggiunta, il fatto di pianificare e calibrare – e fin dal suo inizio – un corso secondo modalità che prevedono la valutazione conclusiva da parte dei destinatari (pianificazione che ovviamente investe anche i momenti dedicati alle iscrizioni, ai colloqui individuali, alla raccolta dei dati degli studenti iscritti) apre eventualità preziose dal punto di vista didattico e metariflessivo: non ultima la possibilità di far percepire ciascuno studente come realmente inserito in un percorso, e di renderlo maggiormente partecipe e responsabile del proprio iter formativo. La nostra conclusione, per il momento, è che un questionario aggiuntivo, comunque elaborato, non sia lo strumento più affidabile. Nella nostra esperienza una rapida intervista post-esame rimane probabilmente la strategia migliore, e anche quella che, favorendo la riflessione e la corresponsabilità dello studente, conserva ancora una efficacia formativa. Resta non superabile, tuttavia, il dato che gli studenti interpellati rappresentino un sottouniverso qualificato che ha comunque compiuto un lavoro e sostenuto un esame in termini soddisfacenti. Gli interpellati non sono in grado di dirci nulla delle difficoltà e del gradimento/ non gradimento degli studenti assenti, quelli che hanno di fatto abbandonato la frequenza e mai sostenuto l’esame (nel triennio stimiamo un abbandono di circa trenta soggetti all’anno, con un recupero di esame tardivo, nel corso dell’anno successivo, che non sempre raggiunge le dieci unità). Un certo numero di iscrizioni tardive fa emergere studenti per cui questa modalità organizzativa rallenta di fatto il percorso. Abbiamo studenti non frequentanti e fuori sede, che presumibilmente lavorano, che sembrano esigere soprattutto molte possibili date di esami, spesso fuori appello, e che chiedono appuntamenti in funzione di personali specifiche esigenze, comunque classificabili nei termini dell’accorpare in un unico viaggio tutte le necessità di presenza nella sede accademica. Per costoro sembrerebbero più utili modalità blended e maggiori spazi di insegnamento a distanza, che però andrebbero nella direzione metodologica opposta a quella da noi perseguita. Per ciascun anno, inoltre, si presentano sempre alcuni studenti che non hanno neppure letto il programma del corso, pur avendolo scelto.
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Qualità dell’insegnamento e valutazione della didattica Un modello universitario di job placement innovativo Quality of teaching and didactic evaluation A university model of innovatory job-placement SILVANA CALAPRICE • ANGELA MUSCHITIELLO • STEFANIA MASSARO* I profondi cambiamenti nel modo di produrre e la globalizzazione hanno accentuato in tutti i paesi la “flessibilità” del lavoro con tutti i rischi, le insicurezze e le nuove opportunità che esso presenta.Tutto questo costituisce oggi una sfida non solo per i giovani ma anche per il mondo della formazione, in particolare per l’Università. Per tale motivo abbiamo avviato nell’Università degli Studi di Bari relativamente ai Corsi di Studio legati alla Facoltà di Scienze della Formazione una ricerca dal titolo Qualità dell’insegnamento e valutazione della didattica. Un modello universitario di job placament, con l’obiettivo di analizzare e dunque ricercare interventi pedagogico didattici capaci di sostenere percorsi formativi innovativi ed efficaci nell’accompagnamento degli studenti nella transizione università-lavoro. La ricerca di durata triennale in questo primo anno, in partenariato con Isfol, cerisCnr, Adapt, ha utilizzato il tirocinio universitario come opportunità di incontro tra domanda e offerta di lavoro per verificarne l’efficacia formativa connessa alle competenze e agli apprendimenti.
In all the States, the complex changes in the way to produce and the globalization have accentuated job flexibility, risks, insecurities and new opportunities. This represents a challenge both for the young collectively and for the world of education, specifically for the University, which is asked for giving a new kind of education, based not only on contents, but also on competencies. For this reason we have begun a research called “Quality of teaching and didactic evaluation. A university model of innovatory jobplacement” at the University of Bari-Faculty of Educational Sciences, with the main scope of look for didactic and teaching interventions that can sustain innovatory and effective educational careers able to guide students in the transition from university to job market. The Research is at the first of a tree years run and, until now, it has used the university traineeship, supported by Isfol, Ceris-cnr and Adapt, as an opportunity for making job demand and offer meeting each other and has tried to verify the educational effectiveness of competencies and learning processes.
Parole chiave: tirocinio, competenze, insegnamento, valutazione, qualità, lavoro
Key words: internship, competence, job, evaluation, quality, teaching
* Il presente lavoro è frutto della comune collaborazione degli autori, tuttavia, i §§ 1 e 1.1 sono da attribuirsi a Silvana Calaprice; il § 2 a Stefania Massaro; il § 2.1 a Angela Muschitello.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Le ragioni della ricerca In base ai nuovi Decreti Universitari Ministeriali e alle Raccomandazioni dell’U.E., la formazione universitaria richiede una rivisitazione in merito all’offerta formativa che deve essere più professionalizzante e maggiormente rispondente alle esigenze del contesto lavorativo. Per tale motivo il 5 settembre 2006 è stata varata la Proposta di Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’U.E. agli Stati membri per l’istituzione di un Quadro Europeo delle Qualifiche (QEQ) o European Qualification Framework (EQF), finalizzata alla promozione dell’apprendimento permanente. Il QEQ è strutturato secondo otto livelli di riferimento, declinati in conoscenze, capacità/abilità, competenze acquisite dallo studente, partendo dalle qualifiche ottenute al termine dell’istruzione obbligatoria fino ad arrivare a quelle del livello più alto, università, dottorato o equivalente. Tale proposta rientra in una serie di iniziative europee, tra le quali figurano: il sistema ECVET di sviluppo e applicazione del sistema di crediti per l’istruzione e la formazione, il sistema europeo ECTS di trasferimento di crediti accademici, il quadro comunitario EUROPASS per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze, la carta europea di qualità per la mobilità, i principi europei per l’individuazione e la convalida dell’apprendimento informale e non formale. Tra questi il QEQ si pone come strumento di riferimento per il confronto dei livelli delle qualifiche nei sistemi nazionali nonché nei sistemi delle qualifiche sviluppati dalle organizzazioni settoriali internazionali. L’obiettivo del QEQ è: • promuovere una migliore corrispondenza tra le esigenze del mercato del lavoro (conoscenze, capacità e competenze) e l’offerta di istruzione e formazione; • facilitare il trasferimento e l’impiego di qualifiche di diversi paesi e sistemi di istruzione e formazione. La rivisitazione dell’offerta formativa è frutto del cambiamento che l ’idea di università ha subito e cioè non più depositaria del sapere “ufficiale” e quindi istituzione dedicata alla trasmissione dello stesso alle giovani generazioni mediante l’istruzione, ma luogo che deve proporre una concezione attiva e olistica della cultura. Una concezione non dovuta soltanto alla velocità del cambiamento che rinnova rapidamente i saperi, ma dettata anche dall’aver messo in discussione più precisamente la separazione tra momento della “teoria” e momento della “pratica” che appare particolarmente resistente specie nella realtà italiana. Questa separazione risulta essere il principale gap esistente tra le competenze in uscita dall’Università e quelle richieste dal mondo del lavoro. Emerge quindi, partendo da questo gap, una sfida importante per l’Università che oltre a dover sollecitare per far considerare “cultura” ogni apprendimento e per dotare ogni cittadino di competenze chiave che gli consentano di vivere da protagonista la società della conoscenza, deve fornire linee guida affinché le conoscenze acquisite si possano trasformare in quelle che sono le competenze richieste dal contesto lavorativo nazionale ed internazionale. L’Università, attraverso la formazione e la ricerca sul Job Placement, le nuove skills e le competences ha come compito quello di aiutare lo studente o il laureato a formulare un progetto professionale realistico e sostenibile nell’ottica del lifelong learning, progetto che gli consenta di far convergere le attese, il processo formativo e le ambizioni professionali, con la domanda di lavoro espressa dal mercato locale, nazionale ed internazionale. Sulla base di queste urgenze è nata la necessità, all’interno della Facoltà di Scienze della Formazione di Bari, di realizzare una ricerca,di durata triennale, dal titolo Qualità dell’insegnamento e valutazione della didattica.Un modello universitario di job placement, con l’obiettivo di analizzare e dunque ricercare interventi pedagogico-didattici in grado di sostenere percorsi formativi innovativi ed efficaci nell’accompagnamento degli studenti nella transizione università–lavoro.
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Le domande iniziali che il gruppo di ricerca si è posto relativamente al problema sulla qualità dell’insegnamento ed sulla transizione università-mondo del lavoro sono state: • Quali le competenze che i CdS classe L. 19 oggi sviluppano durante il triennio formativo? • Qual è l’immagine che hanno le organizzazioni e le comunità educative relativamente alla professionalità espressa dai laureati della classe 19? • Come si può favorire il rapporto laureandi-laureati con le comunità lavorative per un miglior inserimento nel mondo del lavoro? La necessità di ricercare in tal senso il gruppo l’ha acquisita anche in base ai risultati ottenuti dall’indagine di ricerca PRIN 2007 dal titolo “Indagine nazionale e riconoscimento delle professioni formative nel contesto europeo: quali professioni, con quale profilo pedagogico e relativa formazione, per quale lavoro (D.M. 18 settembre 2007, n. 1175)” realizzata con le Università degli studi di Firenze in qualità di capofila, quindi Bari, Bologna, Macerata, Urbino. Tali risultati riscontrabili nel testo “Le professioni educative e formative: dalla domanda sociale alla risposta legislativa: il processo scientifico professionale innovativo del riconoscimento nazionale ed europeo”, infatti hanno rappresentato un primo strumento di consapevolezza professionale ma anche di azione rivendicativa per tutti coloro che provengono dai corsi di studio classe L.19 (triennale) ma soprattutto ex classe 18 triennale e quadriennale, in quanto hanno aperto altri interrogativi intorno alla formazione e al loro inserimento nel mondo del lavoro. 1.1 Il primo anno della ricerca Il primo approccio alla ricerca è stato di tipo critico ermeneutico in quanto il gruppo ha messo a fuoco le istanze cognitive e problematiche che, relativamente al tema del lavoro e delle competenze, erano offerte da altri campi del sapere (organizzativi, sociologici e dunque anche pedagogici). Questo per poter poi, in base ai risultati, scegliere le linee di intervento più adeguate all’obiettivo. Acquisita così la consapevolezza • che il lavoro oggi va visto nella sua dimensione di activity e non più di work (Calaprice, 2007); • che la flessibilità al lavoro e il lifelong learning ormai oggi devono far parte della nuova cultura educativa e formativa; • che tutti gli studi organizzativi ormai evidenziano come la formazione al e durante il lavoro sia l’unico strumento attraverso cui si può produrre sviluppo e cambiamento e come la formazione sia l’unico strumento in grado di incrementare un apprendimento organizzativo capace di individuare e sviluppare know-how (non si può conoscere una realtà se non si prova a cambiarla, Kurt Lewin, ricerca-azione) (Lewin, 2005) e di definire e rafforzare le competenze necessarie al cambiamento (l’apprendimento avviene con la riflessione sull’esperienza Dewey, Lewin, ecc), (Dewey, 1997); • che la nuova economia individua, per uno sviluppo organizzativo possibile, la necessità d’investire nel soggetto inteso come risorsa, (Morin, 2001; Sen, 1992) come persona e di coinvolgerlo a livello razionale, emotivo, produttivo, • che la formazioneoggi deve essere educante perché è solo la dimensione educativa che dà alla formazione delle competenze, della performance la dimensione della responsabilità, dei valori dell’essere persona capace di imprimere cambiamento e di essere parte integrante positiva o negativa di una struttura,
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il gruppo si è posto come obiettivi: lavorare, all’interno dell’università, con i corsi di studio, nello specifico quelli della cl.19 utilizzando il tirocinio come luogo privilegiato di indagine per verificarne l’efficacia formativa connessa alle competenze e agli apprendimenti; aprirsi, all’esterno, alla collaborazione con partners identificativi di una realtà lavorativa adeguata alle professionalità degli studenti della suddetta classe, quindi, dopo un adeguato processo di valutazione dell’esistente; teorizzare la sperimentazione di un nuovo modello di placement universitario in grado di costituire una best pratic del settore, facilmente replicabile nell’intero territorio nazionale; individuare e concettualizzare modalità di interazione tra i tre attori principali (università, imprese e giovani) creando sistemi virtuosi di apprendimento ed innovazione in grado di avere una ricaduta sullo sviluppo territoriale anche nella prospettiva del long life learning; elaborare una rubrica delle competenzeper fornire agli studenti in uscita (così come richiesto dal QEQ) una certificazione chiara e comprendibile.
Durante questo primo approccio alla ricerca il gruppo ha anche individuato e contattato dei partners che, avendo già mostrato sensibilità al tema e avendo attuato e sperimentato innovazioni nei processi didattici relativi all’apprendimento, all’accompagnamento e all’inserimento lavorativo dei giovani, avrebbero potuto, attraverso la condivisione e la contaminazione, offrire un valido aiuto alla realizzazione del progetto. Sono stati quindiattivati dei protocolli di intesa con: • l’Adapt in quanto associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro con l’obiettivo di svolgere un diverso modo di “fare Università”, costruendo stabili relazioni e avviando interscambi tra sedi della alta formazione, mondo associativo, istituzioni e imprese; • il Ceris-Cnr perché ha approfondito la metodologia PIL, (percorsi di inserimento lavorativo, riconosciuta dal ministero del lavoro) già elaborata ed applicata con successo all’Università di Ferrara in collaborazione con il CDS (centro documentazione studi). Questa metodologia di formazione quale sistema ciclico basato sulla riflessione e azione all’interno dei contesti universitari organizzativi e territoriali è stata utilizzata in alcuni progetti di placement per guidare processi di cambiamento organizzativo agevolando contemporaneamente l’occupabilità di giovani stagiste e la relazione tra tessuto economico ed università; • l’Isfol in quanto oltre ad essere un osservatorio privilegiato del mondo del lavoro detiene un importante know-how in materia di sviluppo delle competenze e orientamento al lavoro dei giovani. Il gruppo così ampliato ha avviato la seconda fase di questo primo anno utilizzando l’approccio della ricerca-azione partecipata ed articolandola in due percorsi paralleli: • il primo volto ad analizzare l’offerta formativa universitaria per renderla coerente con i bisogni delle parti interessate (Università, studenti, mondo del lavoro); • il secondo volto ad avviare un percorso di formazione integrato, rivolto alle aziende (cooperative, enti sociali, ecc.), per portarle a comprendere la propria domanda di sviluppo e a lavorare su essa con i tirocinanti.
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Per quanto riguarda il primo percorso, una volta individuati gli attori principali di questa fase cioè gli studenti che dovevano svolgere il tirocinio, è stato elaborato e somministrato un questionario per analizzare la percezione che gli studenti hanno relativamente: • alle conoscenze di base possedute dagli studenti relativamente agli esami sostenuti, alla finalità del tirocinio,alla conoscenza dei luoghi di tirocinio; • alle competenze trasversali, alle competenze da dover acquisire dalla esperienza di tirocinio. Per quanto riguarda il secondo percorso è in via di sviluppo. Questi i primi risultati.
2. Il tirocinio e alcune innovazioni didattiche Nell’ambito della nostra ricerca sul placement è stata focalizzata l’attenzione sul tirocinio universitario, di cui io personalmente sono referente per il corso di studi di Scienze dell’Educazione, in quanto esso si caratterizza per essere un’opportunità formativa e culturale, organizzata e strutturata, in grado di mettere lo studente nelle condizioni: • di esercitare le proprie esperienze di apprendimento in un contesto pratico, • di andare “oltre la conoscenza acquisita in aula”, • di porsi in modo aperto e innovativo di fronte alla realtà lavorativa ed ai suoi cambiamenti. L’esigenza di focalizzare l’attenzione sul tirocinio è scaturita dalla esperienza universitaria pregressa del gruppo di docenti afferenti al progetto Placement che ha evidenziato come gli obiettivi per cui il tirocinio è stato istituito nei corsi di studio appaiono spesso disattesi da pratiche in cui esso spesso si riduce: • per gli studenti al significato di prassi burocratica da espletare nel più breve tempo possibile; • per i tutor interni al controllo delle pratiche; • per le organizzazioni esterne spesso a supporto di segretariato. Il contesto della nostra ricerca è stato rappresentato dalle ore di tirocinio degli studenti dei corsi di studio di Scienze dell’Educazione e Scienze della Formazione relativamente all’a.a. 2010-2011. Solitamente l’offerta formativa dei suddetti corsi di studio prevede che il responsabile di tirocinio, attraverso un incontro di un’ora, indichi agli studenti la documentazione e le pratiche da avviare per poter svolgere le 100 ore di tirocinio esterno. Pratiche che per semplificazione delle procedure vengono offerte online dalla facoltà e che corrispondono: • nella documentazione iniziale da compilare a cura dello studente o dell’organizzazione in cui svolgerà la sua attività; • nelle scelte della sede in cui svolgere il tirocinio; • nelle pratiche da consegnare a fine dell’attività; nel tutor di riferimento interno. Da questo momento in poi gli studenti possono seguire il loro percorso senza obblighi di monitoraggio e di verifica da parte del tutor interno con il quale, al massimo, hanno un incontro iniziale di presa consegna ed uno finale di controllo pratiche (Università Cattolica del Sacro Cuore 1988). Per ridare al tirocinio il suo giusto valore le domande che hanno dato avvio a questa fase della ricerca sono state: il tirocinio, attraverso il processo didattico in cui si articola, offre agli studenti l’opportunità di una riflessione sulla propria identità e sul ruolo professionale? Si può migliorare l’offerta formativa per far incontrare il tirocinio con il mondo del lavoro?
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Il primo step di questa seconda fase della ricerca del primo anno (maggio 2011) è stato cosi articolato nel modo seguente: • inizialmente abbiamo somministrato un questionario (costruito in scala likert da 1 a 5) sia agli studenti che si accingevano a svolgere il tirocinio (a.a. 2010-2011, in numero 280), volto ad analizzare le loro aspettative, sia agli studenti che l’avevano terminato (a.a. 2009-2010, in numero di 100) e che si accingevano a verbalizzarla; • successivamente rivolgendoci esclusivamente agli studenti a.a. 2010-2011 abbiamo avviato un diverso percorso didattico introducendo molte novità. Prima di tutto: - chiarimenti e discussione su definizioni, finalità, procedure e profili professionali per evitare la logica del passaggio di informazioni e favorire un processo di attribuzione di significato personale al tirocinio insieme alla problematizzazione e riflessione sulle competenze da acquisire, - partecipazione dei responsabili delle strutture esterne per consentire una visione più ampia sul funzionamento dei contesti organizzativi, - assunzione di impegno, da parte del responsabile di tirocinio del corso di studio, di affiancamento di ogni studente sia con incontri ad personam, sia con contatti via mail. Quindi è stato spiegato agli studenti l’obiettivo del lavoro di ricerca ed è stata loro richiesta la disponibilità a partecipare ad incontri successivi. Disponibilità che doveva essere volontaria in quanto non prevista obbligatoriamente dall’offerta formativa dei corsi. Dalla comparazione dei risultati dei questionari rivolti ai due gruppi di studenti sono emerse notevoli criticità. Dai questionari compilati dagli studenti che avevano già svolto il tirocinio secondo la tradizionale procedura è emersa: • poca utilità attribuita all’attività di tirocinio; • assenza di feedback sia da parte dei tutor interni attribuiti casualmente ad ognuno di loro e chiamati semplicemente a convalidare relazioni senza riferimenti condivisi in merito al loro ruolo, sia da parte degli enti di riferimento. Dal questionario rivolti agli studenti in avvio di tirocinio invece è emersa 1. Assenza di una “cultura del tirocinio”. - La percentuale più numerosa (pari al 37%) ritiene che si tratti di apprendistato; - il 42% di studenti conosce la le procedure e le fasi solo a livello medio (pari a 3); - la percentuale più numerosa pari al 33% ritiene di conoscere la legislazione nazionale e regionale solo a livello medio (pari a 3); - solo il 10% asserisce di conoscere le ragioni formative sottese al tirocinio al livello massimo (pari a 5). 2. Forte motivazione. - Consapevolezza dell’utilità: ben il 73% di studenti attribuisce il valore massimo (livello 5) all’utilità dell’esperienza; - motivazione: il 55% si sente massimamente motivato (livello 5); - autopercezione :il 44 % si sente capace di affrontare l’esperienza attestandosi sul livello 4. 3. Eccessiva teorizzazione dei saperi universitari. - Solo il 12% afferma di aver acquisito conoscenze teoriche massimamente utili (livello 5) nella pratica di tirocinio durante il corso di studi; - il 73% afferma di aver ricavato conoscenze massimamente utili da altre esperienze formative; - sia le conoscenze che le esperienze, di cui si chiedeva l’elencazione, risultava in un’elencazione alquanto frammentata e dispersiva.
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4. Conoscenza frammentata e contrastante dei luoghi del tirocinio. - Ben il 73% afferma di avere una conoscenza massima dei luoghi, ma l’elencazione è molto frammentata: scuole, asili, ludoteche, centri educativi, etc. 5. Il tirocinio come sperimentazione di sé. Alla domanda Cosa si aspetta dal tirocinio? le risposte possono essere raggruppate in: - acquisizione di conoscenze su tirocinio, luoghi, mondo del lavoro; - acquisizione di competenze professionalizzanti; - messa in pratica conoscenze professionali, teoria, bagaglio culturale; - solo una piccola % si muove da logiche aggiuntive al bisogno di misurarsi con risposte che indicano una • messa alla prova di se stessi; • messa in discussione delle proprie vocazioni; • sperimentazione della propria identità professionale. Anche il secondo step (ottobre 2011) è stato caratterizzato dalla somministrazione agli studenti di un secondo questionario di monitoraggio e da un intervento didattico diverso. Il primo dato da sottolineare è stata la scarsa partecipazione degli studenti a tale incontro in quanto, pur avendo in molti dichiarato interesse a seguire il percorso,tramite mail poi hanno fatto sapere che per motivi di distanza dalla città, per necessità di svolgere il tirocinio in formula privata (dunque fuori convenzione con l’università), per i motivi più fantasiosi al non poter frequentare, non avrebbero seguito il percorso. Così, rispetto al numero iniziale di maggio ,si sono presentati solo 31 studenti. Qui di seguito i risultati più rilevanti del questionario di monitoraggio: • Il 97% degli studenti dichiara di aver trovato utili i primi incontri di tirocinio, in particolare: alla motivazione, allo svolgimento della attività ( 89%) e nella consapevolezza sulle finalità e sulla utilità della attività (94%); • il 79% dichiara di aver redatto un progetto di tirocinio ma il 25% dichiara di non averlo ancora portato a termine; • il 78% dichiara di aver svolto attività coerenti con il proprio profilo professionale: particolare importanza e rilevanza agli aspetti della relazione e della comunicazione. Il 18% ha svolto attività assolutamente non inerenti al proprio profilo professionale, il restante 4% non ha svolto alcuna attività. Quindi nella fase 2 del progetto risultano avviati e in fase di espletamento 2 percorsi paralleli di accompagnamento del tirocinante: • momenti di riflessione e discussione d’aula alternati al tirocinio in sede esterna per condurre un lavoro sulla biografia professionale dello studente al fine di elaborare nuove idee guida consapevoli e definire passi necessari a far sperimentare la loro identità professionale; • workshop con enti esterni per far emergere la loro domanda di cambiamento organizzativo dal titolo “Ripartiamo dalla domanda di sviluppo”, per mettere a fuoco le loro esigenze di innovazione organizzativa, sviluppare processi innovativi ed effettuare una mappatura qualitativa degli enti per evitare convenzioni con quelli non idonei allo sviluppo della professionalità dei nostri studenti.
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2.1. Le competenze Se il questionario nella prima parte si era posto come obiettivo quello di cogliere la percezione degli studenti rispetto al tirocinio (finalità, procedure, conoscenze di base possedute), nella seconda parte si è posto l’obiettivo di analizzare la loro percezione rispetto alle competenze da acquisire attraverso l’esperienza di tirocinio. Il gruppo di ricerca ha considerato necessario conoscere questi dati se si voleva creare all’interno dei corsi di laurea classe L19 (Scienze della Formazione e Scienze della Educazione), un modello sperimentale di rubrica di competenze in grado di essere esportabile ed applicabile a tutti gli altri corsi di studi. Perché la rubrica di competenze? Perché questa costituisce lo strumento chepermette identificare, per una specifica competenza oggetto di azione formativa, il legame che si instaura tra le sue componenti (D.Nicoli, 2009). E cioè: • le conoscenze ed abilità più rilevanti mobilitate dal soggetto nel corso dell’azione di apprendimento, ovvero quelle che si collocano al centro di quella “mobilitazione” attiva del sapere; • le evidenze che costituiscono il riferimento processuale e dinamico della competenza; • i livelli della competenza (EQF) che il soggetto mette in evidenza nel presidio di quei utilizzato compiti. c realizzare uPer costruire tale rubrica delle competenze in campo educativo-formativoil gruppo ha utilizzato come riferimento i primi quattro livelli EQF,riformulati individuatiper nella tabellaseguente, perdel adattarli agli obiettivi realizzare uno strumento di ricerca in linea con le normative europee (Raccomandazione p del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008) e li ha riformulati per adattarli agli obiettivi del progetto di ricerca. EVIDENZE: (abilità capacità dell’asse culturale)
I livello di padronanza: parziale (elementare)
II livello di padronanza: basilare (essenziale)
III livello di padronanza: adeguato (buono)
IV livello di padronanza: eccellente (esperto)
Abilità/Capacità 1
Descrittore livello parziale
Descrittore livello basilare
Descrittore livello adeguato
Descrittore livello eccellente
Abilità/Capacità 2
Descrittore livello parziale
Descrittore livello basilare
Descrittore livello adeguato
Descrittore livello eccellente
TAPPE DI SVILUPPO DELLA COMPETENZA
sapere: risorse cognitive
saper fare: risorse euristiche
saper essere: risorse strategiche
saper divenire: risorse esperte
Tab. 1
Dalla tabella 1 emerge che, specificando diversamente i descrittori e adeguandoli al tipo di professione considerata, la competenza esperta rappresenta il livello eccellente di padronanza deiI precedenti saperi che per essere raggiunto richiede un processo continuativo di sviluppo che procede per tappe (Giambelluca, Rigo, Tollot, Zanchin, 2009): • I tappa: le risorse cognitive (il sapere), ovvero le conoscenze e le abilità necessarie alla risoluzione di un problema; • II tappa: le risorse euristiche (il saper fare), ovvero le capacità di individuare il problema, di metterlo a fuoco e di rappresentarlo;
208
Ricerche – Valutazione della didattica
• III tappa: le capacità strategiche (il saper essere), ovvero le modalità con cui progettare la risposta, monitorare la soluzione, valutare le possibilità; • IV tappa: le risorse esperte (il saper divenire), ovvero: - la capacità di far fronte ad un compito o ad un insieme di compiti(ambito di manifestazione del comportamento competente) che presuppone l’utilizzazione del proprio sapere per fronteggiare situazioni problematiche ed evidenzia la dimensione operativa sottesa al concetto di competenza, indissolubilmente legata alla azione; - la messa in moto e la orchestrazione delle proprie risorse interne, che segna la natura olistica della competenza, non riducibile alla sola dimensione cognitiva ma estesa anche alle competenze motivazionali, socio emotive, meta cognitive; - l’utilizzo delle risorse esterne in funzione del compito da affrontare e la loro integrazione con le risorse interne, intendendo per risorse esterne sia gli altri soggetti implicati sia gli strumenti e i mezzi a disposizione, sia le potenzialità presenti nell’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’azione. Ciò sottolinea il valore situato e la capacità di lettura e osservazione critica della realtà da parte soggetto. il tirocinante possedere per affrontare chedelilche tirocinante deve deve possedere per affrontare Pertanto, sulla base di questi indicatori europei il gruppo di lavoro, in collaborazione con a a i partners della ricerca (Isfol, Ceris-cnr, Adapt), ha elaborato una prima griglia di competenze trasversali educative e formative(Tab. 2) che il tirocinante deve possedere per affrontare adeguatamente il percorso di tirocinio (Muschitiello, 2004). RISORSE PERSONALI
Capacità cognitive
SAPER DIAGNOSTICARE SAPERSI RELAZIONARE
SAPER AFFRONTARE
Motivazione
Analizzare Saper identificare le proprie competenze Cooperare Saper individuare le competenze altrui
Equilibrio emotivo Interpretare
Identificare i ruoli e rapportarsi ad essi
Ascoltare e fare domande
Produrre messaggi comprensibili agli interlocutori
Sapersi adattare alle diverse situazioni
Prendere decisioni
Essere creativi
Senso di responsabilità
Valutare
Capacità sociale Prestare attenzione
Tab. 2
realizzato realizzato i iÈ sulla base di questa griglia che è stata costruita la seconda parte del questionario rea-
lizzato in scala Likert da 1 a 5. RISORSE PERSONALI 1
Capacità cognitive
Equilibrio emotivo
Motivazione
Capacità sociali
0(0%)
0(0%)
0(0%)
0(0%) 2(2%)
2
2(2%)
4(4%)
0(0%)
3
14(14%)
29(29%)
15(15%)
7(7%)
4
59(59%)
46(46%)
39(39%)
48(48%)
5
24(24%)
21(21%)
46(46%)
43(43%)
1(1%)
0(0%)
0(0%)
100(100%)
100(100%)
Mancanti TOT
Tab. 3
209
100(100%)
0(0%) 100(100%)
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
SAPER DIAGNOSTICARE 1
Analizzare
Interpretare
Valutare
Prestare attenzione
0(0%)
1(1%)
1(1%)
0(0%)
2
3(3%)
2(2%)
3(3%)
0(0%)
3
27(27%)
24(24%)
25(25%)
9(9%)
4
54(54%)
57(57%)
58(58%)
41(41%)
5
16(16%)
16(16%)
13(13%)
50(50%)
0(0%)
0(0%)
0(0%)
0(0%)
Mancanti
Tab.4 Cooperare identificare le competenze proprie ed altrui
Identificare i ruoli e rapportarsi ad essi
Ascoltare e fare domande
Produrre messaggi comprensibili agli interlocutori
1
0(0%)
0(0%)
0(0%)
0(0%)
2
1(1%)
1(1%)
6(6%)
5(5%)
3
19(19%)
20(20%)
25(25%)
20(20%)
4
55(55%)
50(50%)
37(37%)
41(41%)
5
25(25%)
28(28%)
32(32%)
33(33%)
0(0%)
1(1%)
0(0%)
1(1%)
100(100%)
100(100%)
SAPERSI RELAZIONARE
Mancanti TOT
100(100%)
100(100%)
Tab. 5 Sapersi adattare alle diverse situazioni
Prendere decisioni
Essere creativi
Senso di responsabilità
1
0(0%)
0(0%)
0(0%)
0(0%)
2
1(1%)
5(5%)
7(7%)
0(0%)
3
10(10%)
31(31%)
26(26%)
4(4%)
4
45(45%)
35(35%)
31(31%)
29(29%)
5
42(42%)
28(28%)
36(36%)
67(67%)
2(2%)
1(1%)
0(0%)
0(0%)
100(100%)
100(100%)
100(100%)
100(100%)
SAPERE AFFRONTARE
Mancanti TOT
Tab. 6
210
Ricerche – Valutazione della didattica
Competenze
n
%
Approfondire
Recuperare
Capacità relazionali comunicativa Responsabilità Capacità di progettazione individualizzata
17 15
9,88% 8,72%
3,4 4,0
2,9 3,0
12
6,98%
4,4
5,0
Adattamento
11
6,40%
2,8
3,3
Capacità valutativa
10
5,81%
3,9
3,8
Capacità di gestione delle emozioni
8
4,65%
4,0
3,3
Competenza osservativa
8
4,65%
4,0
3,5
Capacità critica
6
3,49%
3,0
2,4
Capacità di scelta
6
3,49%
4,4
4,0
Competenze metodologiche Empatia
6 6
3,49% 3,49%
4,2 3,0
4,0 3,5
Diagnosticare
5
2,91%
4,0
4,0
Problem-solving Ascolto Interpretare
5 4 4
2,91% 2,33% 2,33%
2,6 3,3 3,7
2,0 2,0 5,0
Competenze pratiche
3
1,74%
5,0
Praticità
3
1,74%
3,4
Saper essere di aiuto
3
1,74%
5,0
Capacità di lavorare in gruppo Capacità sociali Collaborazione
2 2 2
1,16% 1,16% 1,16%
4,0 5,0 2,0
2,0 2,0
Competenza valutazione
2
1,16%
5,0
2,0
Identificare ruoli e rapporti fra essi Sicurezza
2 2
1,16% 1,16%
5,0 5,0
3,7
Tab.7
Quali allora i risultati? Se da un lato gli studenti dichiarano di possedere ad un livello acquisire e mediamente alto (4) e molto alto (5) le competenze trasversali (capacità di progettare, capacità p sociali, saper analizzare, interpretare, valutare, prestare attenzione, ecc.), dall’altro nella successiva domanda sulle aspettative, (Tab. 7) dichiarano loro stessi di voler acquisire e potenziare proprio quelle che avevano dichiarano già di possedere. Questa contraddizione dimostra che gli studenti se da un lato conoscono teoricamente la necessità del possesso di alcune competenze per lo svolgimento del tirocinio, dall’altro non hanno chiarezza sul significato delle definizioni di competenza, poiché non sanno valutare il loro operato. Come mai? Evidentemente all’interno dei corsi di studi di Scienze della Educazione e Scienze della Formazione la formazione per competenze è ancora carente sul lato pratico poiché si tende a dare molta importanza a ciò che lo studente sa non verificando ciò che lo studente sa fare con ciò che sa. Alla luce di questo, il tirocinio, come mediatore tra teoria e pratica, risulta ancora una volta il contesto più adeguato al raggiungimento di questo compito. Dalla analisi dei dati sono emersi però anche aspetti positivi e incoraggianti comela grande motivazione degli studenti ad iniziare il tirocinio ed il senso forte di responsabilità con cui inun secondo questionario di monitoraggio. L’obiettivo era tendono affrontarlo. q Giunti a questo punto della ricerca, si è passati allo step di lavoro successivo e, ad ottobre 2011 è stato somministrato agli studenti un secondo questionario di monitoraggio. L’obiet-
211
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
tivo era quello di verificare quale fosse il loro livello di acquisizione, sviluppo e potenziamento delle competenze trasversali dopo aver iniziato o, in alcuni casi, finito il tirocinio. Le domande del questionario di monitoraggio sono state per questo formulate in modo speculare a quelle del primo questionario in modo da poter effettuare un confronto reale. Dai dati e dalle risposte degli studenti è emerso che si è verificato per il 68% un miglioramento nella consapevolezza del significato di competenze trasversali (risolvendo in parte la lacuna precedentemente emersa), per il 72% una acquisizione di capacità di interpretazione, osservazione critica della realtà, progettazione pratica, sviluppo della capacità di problem solving e di gestione delle relazioni e dei conflitti, ed infine per il 74% un accrescimento del senso di sicurezza e di consapevolezza del proprio ruolo professionale. Questo dimostra che, la nuova attenzione prestata alla didattica interna, gli approfondimenti sui concetti di competenza e la presenza costante del tutor interno ha prodotto i suoi primi frutti. Attualmente, nel corso della fase 2 del progetto risultano in fase di espletamento 2 percorsi paralleli: • workshop con gli enti di tirocinio convenzionati con l’università per sostenerli nella individuazione di competenze esperte necessarie a sostenere i processi innovativi di sviluppo interno; • ulteriori incontri formativi con i tirocinanti per accompagnarli e aiutarli a sviluppare le competenze esperte richieste dalle strutture presso cui svolgono la propria esperienza di tirocinio.
Riferimenti bibliografici Alberici A. (2004). Le metacompetenze e la competenza strategica in azione nella formazione. In ISFOL (a cura di C. Montedoro), Apprendimento di competenze strategiche. L’innovazione dei processi formativi nella società della conoscenza. Milano: Franco Angeli. Alberici A., Serreri I P. (2003). Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze. Roma: Monolite. Alberici A. (2006). L’adulto, le sue transizioni: orientamento e apprendimento lifelong. In P.G. Bresciani, M. Franchi, Biografie in transizione. I progetti lavorativi nell’epoca della flessibilità. Milano: Franco Angeli. Alberici A. (2007). Competenze strategiche e apprendimento permanente. Contesti e modelli per una formazione riflessiva e alla riflessività. In C. Montedoro, D. Pepe (Eds.), La riflessività nella formazione: modelli e metodi. Roma: ISFOL. Alberici A. (a cura di) (2007). Adulti e Università. Accogliere e orientare nei nuovi corsi di laurea: Roma: Anicia. Calaprice S. (2007). La formazione educante tra lavoro ed età adulta. Bari: Laterza. Dewey J. (1997). Come pensiamo.una riformulazione del rapporto tra pensiero riflessivo e educazione. Firenze: La Nuova Italia. Giambelluca G., Rigo R., Tollot M.G., M. Zanchin G. (2009). Promuovere le Competenze. Lecce: Pensa MultiMedia. Lewin K. (2005). La teoria, la ricerca, l’intervento. Bologna: Il Mulino. Morin E. (2001). I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Milano: Raffaello Cortina. Muschitiello A. (2004). Formazione e competenza, un contributo pedagogico. Bari: Laterza. Orefice P., Carullo A., Calaprice S. (2011). Le professioni educative e formative: dalla domanda sociale alla risposta legislativa. Padova: Cedam. Pellerey M. (2004). Natura, diagnosi e sviluppo della capacità di autodeterminazione e autoregolazione nell’apprendimento e nel trasferimento di competenze professionali. In ISFOL, Apprendimento di competenze strategiche. L’innovazione dei processi formativi nella società della conoscenza. Milano: Franco Angeli.
212
Ricerche – Valutazione della didattica
Pellerey M.(2004). Apprendimento e trasferimento di competenze professionali”. In ISFOL, Orientare l’orientamento. Politiche, azioni e strumenti per un sistema di qualità. Roma: ISFOL. Quaglino G.P. (2001). Uno scenario dell’apprendere. In ISFOL, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca metodologica. Milano: Franco Angeli. Santoianni F., Striano M. (2003). Modelli teorici e metodologici dell’apprendimento. Roma-Bari, Laterza. Sen A. (1992). Risorse, valori e sviluppo. Torino: Bollati Boringhieri. Zaggia C. (2008). L’università delle competenze. Milano: Franco Angeli.
213
Ricerche
Valutazione della didattica
Fare programmazione. Indagine sulle competenze professionali degli insegnanti nella scuola primaria di Bologna Curriculum designing. Empirical research on teachers’ professional competencies in Bologna primary school VINCENZO BONAZZA • PAOLO PASETTI • CLAUDIO SEVERONI*
*
La ricerca che presentiamo, realizzata presso la scuola primaria del comune di Bologna, intende fare luce sulle conoscenze e sulle competenze professionali degli insegnanti nell’ambito della programmazione didattica, essendo essa una delle strategie fondamentali del fare scuola. Interessa conoscere come oggi viene utilizzata tale strategia di lavoro, in quanto la legislazione sull’autonomia ha creato le condizioni per sviluppare in toto le potenzialità che essa racchiude.
The present research, carried out at the primary school in the town of Bologna, aims to shed light on the knowledge and professional skills of teachers in the teaching program as it is one of the fundamental strategies of instruction. Focused to know how this working strategy is used today since the legislation on autonomy has created the conditions for a fully developing of the potentials it holds.
Parole chiave: programmazione, valutazione, individualizzazione, personalizzazione, aggiornamento
Key words: curriculum design, assessment, customization, training.
VINCENZO BONAZZA, ha scritto i commenti alle domande e costruito il questionario; PAOLO PASETTI ha elaborato la parte statistica e impostato la metodologia della ricerca; CLAUDIO SEVERONI ha effettuato il pretest e somministrato il questionario.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
214
Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Finalità generali e obiettivi specifici della ricerca In ambito internazionale la ricerca finalizzata a conoscere il lavoro docente, nelle sue molteplici sfaccettature, si è affermata da tempo (Cardarello, Martini, Antonietti, 2008) mentre in Italia è più recente e perlopiù è stata realizzata in ambito sociologico (Cavalli, 1992; 2000; Cavalli, Argentin, 2010). Nel nostro paese meritano di essere menzionate – tra le altre – le ricerche promosse da Mario Gattullo in quanto “hanno dato una importante risposta all’esigenza di uno ‘sguardo pedagogico’ sugli insegnanti e le loro rappresentazioni della professione esplorando, nell’arco di più di due decenni, gli atteggiamenti dei docenti della scuola italiana (in particolare dell’obbligo) di fronte al cambiamento, cercando di scorgerne – con occhi attenti alle dinamiche organizzative e didattiche della quotidianità scolastica – gli spiragli di apertura verso l’innovazione (Vannini, 2012, p. 63). La ricerca che presentiamo intende indagare le conoscenze e le competenze pedagogico-didattiche degli insegnanti relativamente ad uno dei principali aspetti sui quali occorre fare leva per un rinnovamento reale del fare scuola: la programmazione didattica. Ci interessa focalizzare questa tipologia di competenze (o almeno una parte di esse) dal momento in cui nella scuola, sovente, si continua a dare spazio – in forma ossessiva – al ritrovamento di nuove soluzioni, senza tuttavia essere in grado di dimostrarne l’efficacia. Gli ipse dixit o gli stessi irenismi teorici sotto certi aspetti la fanno ancora da padroni, mentre appare ancora incerta una solida cultura di riferimento sulla quale poggiare l’operatività. Il vuoto conoscitivo che si constata in ambito didattico è dovuto, principalmente, ad un forte ritardo della ricerca educativa, ad importazione empirica, nel nostro paese: se in ambito internazionale si sono sviluppati orientamenti miranti ad interpretare ex novo i processi di insegnamento e di apprendimento, nel nostro paese gli echi di tale ricerca si sono mescolati con il senso comune, che da sempre domina nella scuola di casa nostra, finendo così per snaturarne le finalità originarie (Vertecchi, 2003; 2008). Le conseguenze di un tale stato di cose si fanno sentire da tempo: il prodotto scolastico si presenta eterogeneo e laddove vi sia una qualche omogeneità ciò vuol dire che vengono dichiarati positivi risultati che non lo sono affatto. Indagini recenti (Fondazione Agnelli, 2009; 2010) dimostrano che il funzionamento del sistema scolastico è ben poco rassicurante, ed in modo particolare la qualità della formazione che in esso si eroga: non si deve dimenticare che il consolidamento di un sistema democratico, la qualità della vita di una comunità sociale, la crescita economica del paese sono strettamente legate al patrimonio culturale di ogni singolo cittadino. Se il Novecento, a giusta ragione, è stato definito “il secolo della scuola” occorre rilevare che, esauritasi la fase dello sviluppo quantitativo della solarizzazione (iniziata a partire dal 1962), ben poco si è fatto per adeguare la scuola ai nuovi bisogni ai quali andava incontro. È evidente come gli insegnanti, al riguardo, ricoprano un ruolo di primo piano: spetta ad essi far sì che il diritto all’istruzione trovi una concreta realizzazione; se in un recente passato si poteva fare affidamento sulle doti personali del docente, oltre che sulla sua preparazione professionale, oggi è assodato che è necessario un solido repertorio di competenze (in modo particolare didattiche) per far fronte alle sfide che pone con forza la “società della conoscenza”. Si cercherà di fare luce, pertanto, sulle conoscenze degli insegnanti e sulle conseguenti competenze legate alle pratiche quotidiane di insegnamento: focus quindi sulla programmazione didattica essendo essa l’ambito specifico del docente (dei docenti); è il contesto entro il quale all’insegnante si presenta l’occasione di esprimere al massimo la sua professionalità. Aggiungiamo che il regolamento sull’autonomia ha consentito al “fare programmazione” il pieno sviluppo delle sue potenzialità prevedendo ampi margini di flessibilità organizzativo-didattica. Obiettivi specifici dell’indagine: si è voluto individuare quale sia il modello di programmazione più diffuso tra i nostri docenti; identificare i metodi e le strategie didattiche adottate
215
Ricerche – Valutazione della didattica
all’interno del fare programmazione; conoscere le finalità attribuite alla valutazione e la tipologia di strumenti utilizzata, e infine rendere esplicita la tipologia di aggiornamento professionale fruita dai docenti. 1. Nota metodologica Collettivo esaminato: è composto da 155 docenti operanti nelle scuole primarie del Comune di Bologna. Per il reclutamento dei partecipanti allo studio, erano state contattate le cinque Direzioni didattiche comprese nel Comune di Bologna (rispettivamente, le Direzioni didattiche numero 3, 5, 8, 11 e 13). Due delle Direzioni didattiche interpellate hanno deciso di non partecipare allo studio: si tratta, rispettivamente, delle direzioni didattiche numero 3 e numero 8. L’organico di queste due direzioni didattiche ammontava complessivamente a 164 docenti. Hanno invece aderito allo studio le rimanenti tre Direzioni didattiche (la 5, la 11 e la 13), il cui organico ammonta complessivamente a 223 docenti. Una volta ottenuta l’adesione delle Direzioni, si è poi trattato di ottenere anche l’adesione individuale alla somministrazione del questionario.Tale adesione è risultata complessivamente soddisfacente: hanno aderito infatti 155 docenti sui 223 compresi nell’organico (in termini percentuali, il 65,9%). L’adesione dei docenti ha superato, per tutte e tre le Direzioni didattiche aderenti, la quota del 60%. La quota di adesione, all’interno di ciascuna Direzione didattica, è stata abbastanza omogenea, pur se con qualche differenziazione: è pari al 60,7% del totale dell’organico per la direzione didattica numero 5, al 69,6% per la direzione didattica numero 11, e all’81,7% per la Direzione didattica numero 13. Composizione del collettivo per genere, età e possesso di una laurea. Dal punto di vista del genere, come ci si poteva attendere, il collettivo esaminato ha una composizione quasi esclusivamente femminile (per il 95,5% è formato da donne). Dal punto di vista della distribuzione per età, il collettivo è rappresentativo di una vasta gamma di età, e varia da un minimo di 26 anni a un massimo di 62 anni. La distribuzione presenta un andamento pressoché simmetrico attorno al valore mediano dell’età, che è pari a 46 anni (mentre il valore medio è pari a 46,07 anni). Il 37,8% del collettivo (con l’esclusione di 7 persone che non hanno dichiarato l’anno di nascita) ha 50 anni o più. Dal punto di vista del possesso di un diploma di laurea, 89 docenti su 155 hanno dichiarato di esserne in possesso: una quota piuttosto elevata, pari al 57,4% del totale. Lo strumento di indagine: ai 155 docenti aderenti è stato somministrato un questionario strutturato, composto di 14 quesiti a risposta chiusa. Quasi tutti i quesiti erano strutturati secondo una scala ordinata di accordo rispetto alla affermazione proposta in quel momento al rispondente, di tipo Likert (con quattro modalità: da “molto d’accordo” a “per nulla d’accordo”. Due soli quesiti (il quesito 7 e il quesito 9) non sono stati strutturati secondo una scala ordinale, ma, semplicemente, si chiedeva al rispondente un “accordo”, oppure un “disaccordo” rispetto alla singola affermazione riportata in quel momento, generando così una variabile dicotomica. In via preliminare rispetto ai 14 quesiti che trattavano le problematiche investigate dallo studio, sono state rilevate alcune variabili “di sfondo”, per meglio contestualizzare il collettivo di docenti sottoposto a indagine. Tali variabili erano: anno di nascita, sesso, anno di inizio dell’attività didattica, il possesso o meno di un diploma di laurea e, in caso affermativo, quale era la specifica laurea in possesso del rispondente. La variabile “laureato/non laureato” (prescindendo dal tipo di laurea) è stata poi utilizzata nello studio per effettuare un’analisi disaggregata tra docenti laureati e docenti non laureati, allo scopo di evidenziare eventuali differenze tra questi due sottogruppi.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Le versioni intermedie della struttura generale del questionario sono state quattro, ed ognuna di esse è stata oggetto di un ampio confronto all’interno dell’équipe di ricerca; i criteri generali di costruzione dello strumento sono stati: a) la comparabilità con le ricerche affini (Grandi, 1990; Magri, 1995; Vertecchi, 1996; Bonazza, Frignani, Pasetti, 2002; Guskey, 2002; Richardson, 2002; Bonica, Sappa, 2010) e la frequentazione della letteratura di riferimento (Barbieri, 1997; Semeraro, 1999; Baldacci, 2005; Felisatti, Rizzo, 2007; Domenici, 2010). Dopo la sua stesura iniziale, per migliorarne la fruibilità, è stato effettuato prima un referaggio da parte di esperti e poi un pretest (Bailey, 1995) attraverso la somministrazione dello strumento d’indagine ad un gruppo di docenti di scuola primaria con caratteristiche diversificate (per età, sesso, anni di insegnamento, titolo di studio). A ciascun soggetto coinvolto, oltre alla lettera di presentazione e al questionario è stata proposta una scheda suggerimenti mirante a raccogliere informazioni finalizzate ad un’eventuale modifica dello strumento. Analisi dei risultati 2. Cosa s’intende per programmazione didattica? Le risposte al primo quesito (tab. 1) evidenziano come gli insegnanti intervistati, in larga maggioranza (ben l’85,2%), abbiano scelto la definizione di programmazione (la prima della serie) che più è legata alla letteratura pedagogico-didattica. Appare dunque presente, in forma diffusa (sia tra i docenti laureati che tra i non laureati), la consapevolezza che la programmazione non debba essere formulata principalmente in virtù di capacità intuitive dell’insegnante e/o debba essere dettata dalla sua “esperienza”, ma sia un paziente lavoro caratterizzato da razionalità, quest’ultima rappresentata – citiamo dalla definizione stessa – dai verbi individuare, organizzare, conseguire. Ci troviamo di fronte, per contro, con la seconda definizione, scelta dal 4,7% degli intervistati, ad una concezione ascientifica, molto vicina al concepire l’azione didattica esclusivamente come una sorta di arte, ovvero scevra di accurati presupposti teorici (sostituiti dall’indefinibile buon senso personale) e di conseguenti procedure e tecniche (sostituite dalla solipsistica esperienza maturata) (VEDI TABELLA 1). TABELLA 1 Docenti non laureati %
Risposta 1. La programmazione è l’attività mediante la quale si individuano e si organizzano i percorsi e le strategie per conseguire gli obiettivi stabiliti dalle "Indicazioni per il curricolo" del 2007
Docenti laureati %
Totale %
88,9
82,6
85,2
2. La programmazione didattica non presuppone una definizione rigorosa dei metodi di insegnamento e si realizza grazie al buon senso e all’esperienza accumulata negli anni
3,2
5,8
4,7
3. La programmazione implica una conoscenza degli allievi per decidere insieme ad essi il percorso formativo da svolgere
7,9
10,5
9,4
4. La programmazione permette di operare una trasmissione fedele e dettagliata dei contenuti selezionati dalle "Indicazioni per il curricolo" del 2007 di un determinato contesto disciplinare
0,0
1,2
0,7
100,0
100,0
100,0
Totale
Tabella 1. Quesito 1 del questionario: “Sotto sono riportate alcune affermazioni riguardanti la programmazione didattica. Scelga quella che maggiormente risponde al suo concetto di programmazione (indicare una sola preferenza)” (percentuali di colonna).
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Ricerche – Valutazione della didattica
3. Opinioni sulla scuola di oggi Il quesito 2 del questionario presenta una serie di affermazioni sul mondo della scuola (tab. 2); riunifichiamo, per il commento, ciò che appartiene al medesimo campo semantico: A. ambito istitituzionale-normativo, B. docenti, C. programmazione, D. alunni e genitori. Ambito “A”: aspetto istituzionale-normativo (item 1 e 2): osserviamo quanto risulti critico il rapporto tra chi vive la scuola dal di dentro e chi per mandato politico e/o gestionale ne condiziona l’esistenza. Risulta chiaro quanto gli insegnanti percepiscano l’apparato istituzionale come poco consapevole o, comunque, distante da ciò che avviene all’interno delle mura scolastiche. Si osservi l’89,5% di risposte positive (43,1% “molto d’accordo” + 46,4% “abbastanza d’accordo”) in merito al fatto che le riforme susseguitesi in questi anni non siano state adeguate (item 1) e al notevole gruppo (76,6%) di insegnanti che si trovano “molto d’accordo” (18,2% gli “abbastanza d’accordo”) sull’item 2. Ambito “B”: docenti (item 3, 4, 11 e 12): L’item 3 sulle “sperimentazioni ritenute difficili” evidenzia con chiarezza l’assenza di una cultura empirico-sperimentale nel nostro paese. Se questa è la situazione che si riscontra in ambito scolastico, non meno problematica risulta essere quella che si verifica nell’ambiente accademico. Nelle università italiane è ancora da costruire una rete di “centri di ricerca” capaci di offrire un valido contributo allo sviluppo di una cultura della didattica per la scuola. Lo scarso impegno della pedagogia accademica nel rispondere alle situazioni educative concrete aggrava la situazione. La ricerca empirico-sperimentale, si vuol dire, continua ad essere relegata ai margini (non è infrequente l’imbarazzo che si prova nel confronto tra ciò che si produce nel nostro paese e i contributi offerti dalla ricerca educativa internazionale) nonostante il sistema scolastico reclami, con forza, il bisogno di riferimenti precisi e di un’acquisizione sistematica di competenze – ciò di cui hanno necessità i professionisti di qualsiasi altro settore – per la gestione efficace delle pratiche quotidiane. Veniamo agli item 4 e 11 sulla professionalità docente: ebbene in questo caso (item 4) il gruppo appare spaccato in due: la metà ha dato risposte positive seppur, tra queste, le prevalenti sono quelle degli “abbastanza d’accordo” (34%); i “poco d’accordo” sono invece ben il 40,5%. Probabilmente l’annoso protrarsi in Italia della questione della formazione docente (iniziale e continua) ha prodotto negli anni occasioni formative che stanno via via soddisfacendo, anche se in misura contenuta, i bisogni degli insegnanti della scuola primaria. Nel complesso questa situazione ci appare “a macchia di leopardo”, ed è presumibile che i risultati di questo quesito dipingano proprio un quadro in lenta evoluzione che, se da una lato vede qualche frutto derivante dall’istituzione del corso di laurea specifico per l’insegnamento nel primo grado di scuola, dall’altro vuole, probabilmente, denunciare il ritardo storico nell’aggiornamento didattico-pedagogico e le situazioni in cui è forte l’ancoraggio a stilemi e prassi ataviche consolidate, sia dal punto di vista di chi dovrebbe aggiornarsi, che di coloro che dovrebbero adeguatamente aggiornare e formare. Il quesito più diretto sulle loro competenze didattiche (item 11), invece, aggrega un grosso consenso: non appare, questa, una contraddizione? Chiudiamo questa sezione con l’item 12 sulla possibilità di fare ricerca sull’attività didattica: come ci si poteva attendere la maggioranza concorda col fatto di non avere molto tempo da dedicare a tale attività (30,7% i “molto d’accordo” e 39,2% gli “abbastanza d’accordo”); interessante tuttavia sarebbe scoprire cosa ha portato quel 7,2% che non è “per nulla d’accordo” a rispondere che l’attività didattica confligge (nel senso del tempo da dedicarvi) con la ricerca. Ambito “C”: programmazione (item 5, 6 e 7): la maggioranza di questi insegnanti dichiarano che una delle conseguenze positive delle normative introdotte negli ultimi anni è il fatto di
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
aver reso più agevole programmare l’azione didattica (item 5), probabilmente sia quella di classe che quella a livello di progettualità di istituto. Per un terzo, circa, non è ancora così ma, a giudicare da quanto sono valutate negativamente le novità normative introdotte nella scuola (vedi sopra), questo dato, nel suo complesso, ha un valore indubbiamente positivo. Emerge poi - altro aspetto di notevole interesse - come la cultura della programmazione intesa come elemento fondamentale della propria professionalità e finalizzata all’efficacia didattica sia largamente diffuso, con quel 77,8% che giudica “per nulla” una perdita di tempo (item 6) dedicarsi a questa attività. Accostiamo ad essi anche l’item 7 che afferisce agli aspetti organizzativi e gestionali interni, come la capacità di razionalizzare le risorse e gestire il personale in modo adeguato: qui la situazione tende ad essere abbastanza negativa per i nostri intervistati, anche se il dato non sorprende. Ambito “D”: alunni e genitori (item 8, 9 e 10): in merito ai genitori, è qui certificata e quantificata la frequente lamentela degli insegnanti di oggi riguardo alla crescente ingerenza dei genitori, segno di un ormai mutato (e consolidato) rapporto famiglia-scuola, nell’ambito del quale ci si sente sempre più autorizzati a “dire la propria” anche nei confronti dell’insegnamento. Il 73,3% dei nostri intervistati (item 8) segnala pertanto questa difficoltà. Per quanto riguarda i due item sugli alunni, invece, abbiamo di fronte una conferma ed una smentita rispetto a ciò che il senso comune è incline ad affermare: per quanto concerne le risposte fornite all’item 10, infatti, gli insegnanti sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere che gli alunni adottano comportamenti spesso non adeguati, sono “indisciplinati” come recita l’item (42,5% gli “abbastanza d’accordo” e 26,1% i “molto d’accordo”). Tale risultato, dicevamo, è in linea con quanto sostiene, in genere, il mondo adulto, che rileva nelle nuove generazioni una maggiore intolleranza verso le regole e l’autorità. Smentiscono invece il senso comune le risposte date in merito alla motivazione degli alunni a svolgere le attività proposte nell’ambito scolastico (item 9): il 42,2% di questi insegnanti si ritiene “poco d’accordo”, mentre il 26% “per nulla d’accordo” sulla scarsa motivazione degli alunni. La percezione, dunque, che i docenti bolognesi hanno dei loro allievi è quella, in grande maggioranza, che questi ultimi gradiscano le attività che fanno a scuola, contrastando così palesemente quella concezione dei non addetti ai lavori che tende a vedere i bambini di oggi “troppo immersi nei loro dispositivi digitali” (VEDI TABELLA 2). 3. La valutazione Molti insegnanti (tab. 3) sottolineano che la valutazione ha un ruolo di raccolta di informazioni a fini migliorativi e non selettivo-punitivi (item 2); nella grande maggioranza sono consapevoli che valutare non è giudicare tout court ma aprire le porte a nuove sfide apprenditive (item 3). Inoltre – aspetto questo molto importante – valutare per questi insegnanti significa poter rilevare quali competenze sono state raggiunte (si osserva un plebiscito di gradimento per l’affermazione dell’item 7). Più complessa risulta invece la situazione delle risposte relative alle altre affermazioni; partendo dalla numero 1 – ovvero valutare significa esprimere giudizi sul profitto – notiamo un paritetico assembramento delle risposte nei valori centrali (“abbastanza d’accordo” e “poco d’accordo”) ed in quelli estremi (“per nulla d’accordo” e “molto d’accordo”): qui dunque si evidenzia un alto grado di indecisione. Una interpretazione potrebbe essere la seguente: da questo quadro appare come i docenti siano ben consapevoli del valore formativo della valutazione anche se ritengono, in seconda battuta, che gli esiti della valutazione serviranno da “trampolino di lancio” per l’inquadramento finale degli allievi ed il giudizio globale. Proseguiamo con la risposta numero 4 sulle attitudini: qui lo scarto tra le tre preferenze più frequenti (valori scarsi solo per il “per nulla d’accordo”) non è per niente accentuato,
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Ricerche – Valutazione della didattica
TABELLA 2 Affermazione
Per nulla Poco Abbastanza Molto d’accordo d’accordo d'accordo d’accordo % % % %
Totale %
1. Le riforme sono inadeguate 0,7
9,8
46,4
43,1
100,0
1,9
3,3
18,2
76,6
100,0
4,0
32,2
49,0
14,8
100,0
2. Manca un dibattito politico attento alle necessità della scuola 3. Le sperimentazioni sono difficili
4. La formazione dei docenti è inadeguata
7,8
40,5
34,0
17,7
100,0
5. Programmare è più agevole grazie alla legge sull’autonomia
9,9
27,6
46,7
15,8
100,0
6. Programmare vuol dire sottrarre tempo alla didattica
77,8
19,6
1,3
1,3
100,0
7. Assenza di cultura organizzativa
10,9
40,1
40,1
8,9
100,0
5,2
17,5
42,9
34,4
100,0
9. Gli alunni sono poco motivati
26,0
42,2
22,7
9,1
100,0
10. Gli alunni sono più indisciplinati
13,1
18,3
42,5
26,1
100,0
11. I docenti sono poco competenti nell’ambito della didattica
33,1
48,1
13,6
5,2
100,0
12. A scuola non c’è tempo per fare ricerca sull’attività didattica
7,2
22,9
39,2
30,7
100,0
8. Eccesso di interferenze da parte dei genitori
Tabella 2. Quesito 2 del questionario: “Qui di seguito, vengono fatte alcune affermazioni che riguardano la scuola, gli insegnanti, gli alunni e i genitori. Esprima, in ciascuna di esse, il suo accordo o disaccordo” (percentuali di riga).
con una maggioranza relativa di “molto d’accordo”. Questo item è uno fra i più complessi da interpretare: mediante un ricerca ad hoc sarebbe interessante capire quanto e come nella scuola sia ancora presente l’ideologia delle doti (il 65,5% di risposte sono pur sempre di gradimento dell’affermazione). Si registra ancora una scarsa consapevolezza di quali fattori influiscano realmente sul successo formativo? (VEDI TABELLA 3)
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
TABELLA 3 Per nulla Poco Abbastanza Molto d’accordo d’accordo d'accordo d’accordo % % % %
1. Esprimere giudizi sul profitto
Totale %
14,4
35,6
35,6
14,4
100,0
2. Fornire l’informazione necessaria per migliorare il processo formativo
1,3
2,0
29,6
67,1
100,0
3. Favorire negli alunni la disponibilità ad apprendere
3,9
16,5
32,9
46,7
100,0
4. Indirizzare gli alunni secondo le loro attitudini
7,2
26,3
29,6
36,9
100,0
5. Mettere in evidenza le differenze individuali degli alunni
51,7
19,9
13,2
15,2
100,0
6. Orientare l’insegnante nella scelta del giudizio più adeguato
24,6
26
33,6
15,8
100,0
0,0
5,9
49,0
45,1
100,0
7. Rilevare l’insieme delle competenze
Tabella 3. Quesito 3 del questionario: “Secondo lei, quali sono le finalità della valutazione nella scuola primaria? Esprima, nelle affermazioni seguenti, il suo accordo o disaccordo” (percentuali di riga).
3.1. Strumenti di valutazione Passiamo ora ad un quesito con una conformazione diversa (tab. 4): vengono raccolte qui informazioni sull’utilizzo o meno di vari strumenti di valutazione: osserviamo che il nostro gruppo di insegnanti utilizza regolarmente soprattutto le interrogazioni orali e i compiti scritti, poi le prove strutturate composte dal docente. Per chiudere la serie degli strumenti che la maggioranza dichiara di utilizzare regolarmente dobbiamo inserire l’item 4, ovvero l’osservazione, che addirittura l’83,7% dei rispondenti afferma di utilizzare. La domanda che ci poniamo però è la seguente: quanti si riferiscono all’osservazione in senso scientifico? Quanti di loro sono consapevoli che, ad esempio, un buona osservazione abbisogna di griglie o di check list? In quanti erano consapevoli, prima di aver letto il quesito, che l’osservazione guidata da criteri e capace di selezionare un aspetto della realtà (in questo caso didattica) è uno strumento di valutazione, nonché di ricerca? Questi insegnanti sembrano comunque aver chiara l’idea della necessità di integrare i vari strumenti di valutazione e l’uso di questi in base ai compiti formativi ed evolutivi del momento; ne sono prova di ciò anche i valori bassi relativi alla modalità di risposta “non lo uso”. (VEDI TABELLA 4)
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Ricerche – Valutazione della didattica
TABELLA 4 Lo uso qualche volta %
Non lo uso % 1. Interrogazioni individuali 2. Compiti scritti 3. Relazioni scritte di gruppo 4. Osservazione 5. Test di profitto (prove strutturate) costruite dal docente 6. Test di profitto (prove strutturate) recuperati da guide specifiche 7. Temi (produzioni personali) 8. Prove semistrutturate
Lo uso regolarmente Totale % % 63,2 100,0 84,5 100,0 12,6 100,0 83,7 100,0
5,9 1,3 22,5 0,6
30,9 14,2 64,9 15,7
5,3
35,5
59,2
100,0
13,7 16,8 2,0
50,3 40,9 53,9
36,0 42,3 44,1
100,0 100,0 100,0
Tabella 4. Quesito 4 del questionario: “Di quali, tra i seguenti strumenti della valutazione, lei fa un uso regolare, saltuario o non fa alcun uso?” (percentuali di riga).
4. Le metodologie didattiche: la lezione leader indiscussa Il quesito cinque del questionario (tab. 5) sottopone all’attenzione degli intervistati l’uso frequente o meno di alcuni metodi e strumenti didattici; la lezione frontale da parte dell’insegnante è l’indiscussa regina delle aule scolastiche (84,1% la usa regolarmente). A quasi tutto il resto, dal “quotidiano” alla “strumentazione tecnologica” – in sostanza, quei mezzi dell’innovazione comunicativa di ieri e di oggi che sono stati adottati dalla scuola – è riservato il posto di risorse aggiuntive, corollari di quello che continua ad essere ritenuto il perno del fare scuola, ossia la frontalità e la trasmissività del sapere dal docente all’allievo. Solo la “discussione in classe” presenta valori molto alti che si avvicinano al precedente, fungendo quasi da contraltare all’unidirezionalità cui la spiegazione frontale conduce. Sarebbe interessante, poi, scoprire nel dettaglio quale tipologia di lezione frontale e di discussione viene utilizzata. Un secondo dato che si discosta parzialmente da questo quadro è quello relativo al fatto che la modalità di risposta “non lo uso” del quesito, scarsamente rappresentata in tutta la casistica proposta, è invece stata scelta largamente all’item 4 che riguardava le “tecnologie didattiches come la LIM”, segno che gli ultimi dispositivi (in senso cronologico e di innovazione) prodotti per la didattica faticano ancora molto ad essere introdotti. (VEDI TABELLA 5) 5. Individualizzare: chiarezza semantica Gli insegnanti hanno mostrato di essere consapevoli di che cosa si tratta, non confondendo l’individualizzazione con ciò che prevede la personalizzazione. L’importanza di conoscere l’alunno reale, con le sue lacune e le sue potenzialità sembra abbia fatto breccia, almeno a livello teorico: dopo qualche decennio di diffusione di tali concetti e delle numerose sperimentazioni che li hanno supportati non ci si aspetterebbe di avere anche solo un 10% circa di docenti che non lo hanno riconosciuto tra le risposte proposte.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012 Q s
TABELLA 5 Non lo uso %
Lo uso qualche volta %
Lo uso regolarmente Totale % %
1. Lezioni frontali
2,0
13,9
84,1
100,0
2. Discussioni in classe
0,6
24,2
75,2
100,0
3. Dettatura di appunti
13,8
56,6
29,6
100,0
4. Tecnologie didattiche
48,3
41,6
10,1
100,0
5,9
59,5
34,6
100,0
6. Audiovisivi 7. Laboratorio di informatica
5,9 20,0
75,8 60,0
18,3 20.0
100,0 100,0
8. Drammatizzazione
15,5
68,3
16,2
100,0
9. Computer
12,6
64,9
22,5
100,0
10. Enciclopedie
35,8
56,8
7,4
100,0
11. Quotidiani o riviste
27,9
64,6
7,5
100,0
5. Visite guidate
Tabella 5. Quesito 5 del questionario: “Di quali, fra queste metodologie didattiche, lei fa un uso regolare, saltuario o non fa alcun uso?” (percentuali di riga).
5.1. La prassi dell’individualizzazione Questo quesito (tab. 6) ha inteso indagare quanto il nostro collettivo faccia tesoro delle possibilità offerte dalla didattica individualizzata. Il quadro che ne esce è abbastanza variegato: possiamo affermare che alcune procedure che caratterizzano decisamente una didattica individualizzata siano utilizzate circa da un docente su 2. La conoscenza delle caratteristiche individuali e la flessibilità del curricolo, infatti, risultano essere una prassi didattica di appena poco più del 50% degli insegnanti (item 2). Qualche punto in più lo ottengono la possibilità di lavorare in gruppi di alunni e l’attenzione ai ritmi e tempi degli stessi (item 4). Segue, con il 41%, l’utilizzo della valutazione formativa (item 8), per poi dispiegarsi la serie delle altre tre risposte rimaste, tutte con percentuali meno consistenti che vanno dal 31,3% di chi prevede l’utilizzo di materiale didattico alternativo, sino al 15,3% dell’item 3 (sulla “piegatura” dell’azione formativa sul singolo allievo), passando per il 19,4% della preparazione di segmenti didattici creati ad hoc in base al livello dei singoli allievi (item 7). Questa panoramica è, in sintesi, alquanto eloquente: se il quesito 6 (quello precedente) accertava la conoscenza del concetto di individualizzazione didattica, quest’ultimo ne certifica la parsimoniosa utilizzazione concreta, con punte, si permetta di evidenziare, di sorpresa, prendendo in esame i 6 docenti su 10 che non fanno uso della valutazione formativa e i 4 su 10 che non adattano il linguaggio e il tempo di apprendimento ai ritmi degli alunni. Sorprende ulteriormente l’adesione data in maggioranza dai docenti laureati all’item 3: concepire l’azione formativa in funzione delle caratteristiche dell’alunno, infatti, ci appare una risposta più legata al senso comune (rispetto alle altre che sono più analitiche) che ad una conoscenza delle finalità proprie dell’intervento individualizzato. (VEDI TABELLA 6)
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Ricerche – Valutazione della didattica
TABELLA 6 Docenti non laureati
Affermazione
Docenti laureati
Totale
1. Prima di procedere alla definizione di curricolo si cerca di conoscere le caratteristiche individuali degli alunni (prerequisiti di partenza, stili cognitivi, ritmi di apprendimento).
57,4
49,4
52,8
2. Si ipotizza un curricolo flessibile ed adattabile alle caratteristiche individuali degli allievi
55,7
48,2
51,4
6,6
21,7
15,3
4. Si considera la possibilità di lavorare per gruppi di vario genere
59,0
56,6
57,6
5. Si considera la possibilità di usare testi alternativi da parte degli allievi (schedari, eserciziari, attività Giochi Aneddoti Storia)
37,7
26,5
31,3
6. Si adattano linguaggio e tempi di insegnamento ai ritmi degli alunni.
49,2
63,9
57,6
7. Si strutturano segmenti didattici adatti ai prerequisiti posseduti da ogni singolo allievo.
21,3
18,1
19,4
8. Si utilizza la valutazione formativa come strumento di adattamento del percorso di insegnamento-apprendimento.
34,4
45,8
41,0
3. Si concepisce ogni azione formativa in funzione delle caratteristiche dell'alunno
Tabella 6. Quesito 7 del questionario: “Quali forme di individualizzazione sono praticate nella sua scuola? (è possibile scegliere più alternative di risposta)”. Valori percentuali: questi ultimi si riferiscono alla quota di coloro che hanno “risposto affermativamente” a ciascuna singola affermazione. NB: il totale a cui si riferiscono queste percentuali è formato dai soli docenti che hanno dichiarato di praticare, nella loro scuola, forme di individualizzazione.
6. Personalizzare: chiarezza semantica Passiamo ora al quesito 8 del questionario: i risultati, contrariamente a quanto emerso col concetto di individualizzazione, dicono che non vi è affatto chiarezza semantica sulla personalizzazione: si slitta dal concepire la personalizzazione in modo molto analogo all’individualizzazione (vedi il 35,1% di preferenze per il secondo item), sino all’ egocentrico adeguamento del curricolo allo stile di insegnamento del docente. Solo il 46% circa del collettivo ha le idee più chiare, e sa che la personalizzazione va oltre l’individualizzazione, nel senso che parte una volta che il soggetto sia stato capace di raggiungere un minimum di competenze imprescindibili. 6.1. Ombre sulla prassi della personalizzazione Prendiamo ora in esame il quesito 9, il quale restituisce una panoramica su quali forme di personalizzazione siano praticate. I risultati (tab. 7) presentano valori percentuali alquanto basse e disperse; probabilmente, sono spia di quell’incertezza rilevata in precedenza; gli intervistati
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
hanno scelto quelle affermazioni che più riflettono le più diffuse consuetudini scolastiche: in questo senso ci sentiamo di segnalare l’unico item (il settimo) che ha ottenuto un rilevante 61,9%: l’attività di laboratorio e il progetto didattico sono gli strumenti principali per creare proposte didattiche alternative e complementari alla classica sequenza lezione-valutazione. Dalla prima lettura dei dati delle altre risposte, che oscillano dal 17% circa al 39% circa, si evince che le attività che connotano la personalizzazione sono in genere poco frequentate; più che attenzione ai singoli talenti appare piuttosto che la scuola ove operano i nostri docenti riesca ad offrire perlopiù delle “finestre”, qualche opportunità espressiva attraverso la laboratorialità o la modalità del progetto, tenendo conto anche del contesto territoriale e culturale come variabile importante (vedi risultati item 2 e 4). Il commento al dato ottenuto dalla terza risposta, l’1,6%, in cui si afferma la possibilità di collaborare con la famiglia e con lo stesso allievo nella definizione e scelta collegiale dei percorsi di personalizzazione, ci informa dell’assenza di una radicata cultura della personalizzazione che prevedrebbe, senz’altro, da un lato una scuola con buone risorse (di personale, di offerta formativa e di strutture) e dall’altro la disponibilità a coinvolgere la famiglia nelle scelte di ciò che rappresenta la formazione non solo disciplinare. Non si notano, inoltre, differenze particolari nelle percentuali di risposta tra i docenti laureati e quelli non laureati. (VEDI TABELLA 7) TABELLA 7
Affermazione
Docenti non laureati
Docenti laureati
Totale
1. Si organizza, all’interno del POF, una pluralità di percorsi formativi.
33,9
20,0
26,2
2. Si tiene conto del contesto culturale in cui l'allievo è inserito
35,7
41,4
38,9
3. Attraverso opzioni predisposte dai docenti, l'alunno e la famiglia scelgono quelle a loro più congeniali
0,0
2,9
1,6
4. Si predispongono condizioni favorevoli per la realizzazione di un adeguato contesto didattico
37,5
40,0
38,9
5. Si cerca di individuare quali capacità e forme di intelligenza ogni singolo allievo può sviluppare.
26,8
25,7
26,2
6. Si aiuta ogni studente a conoscere e a sviluppare una propria forma di talento
14,3
20,0
17,5
55,4
67,1
61,9
16,1
18,6
17,5
7. Si predispongono progetti didattici e laboratori in modo tale che le attività prendano in considerazione le peculiarità dei singoli. 8. Si porta l'alunno ad autovalutarsi relativamente agli apprendimenti
Tabella 7. Quesito 9 del questionario: “Quali forme di personalizzazione sono praticate nella sua scuola? (è possibile scegliere più alternative di risposta)”. V
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Ricerche – Valutazione della didattica
7. Modelli e finalità della programmazione Il quesito 10 apre ad una nuova questione, quella della programmazione, affrontata anche nelle domande successive. Il dato che qui emerge con chiarezza è che, nella scuola primaria di Bologna, la programmazione per obiettivi ha una diffusione larghissima se non quasi abbracciante la totalità delle scelte dei docenti. Può aver contribuito il fatto che essa sia ritenuta più rispondente ai bisogni della scuola primaria nella quale si devono costruire – gradualmente – le conoscenze di base, ma anche al fatto che questa tipologia di programmazione sia stata largamente impiegata nelle riviste didattiche e nei libri di testo. Ci domandiamo: l’uso di questa tipologia di programmazione è frutto di una scelta consapevole? A parziale risposta a questo interrogativo viene in soccorso quanto possiamo osservare nei dati relativi al quesito 11: anche se la grande maggioranza (l’85% circa) afferma che la programmazione è un doveroso e utile strumento ai fini dell’efficacia del processo di insegnamento-apprendimento, abbiamo delle voci fuori dal coro che vedono in esso o solo un documento di tipo comparativo su “cosa fanno i colleghi”, o addirittura una semplice formalità burocratica. Globalmente, possiamo così dire che dopo anni di normativa sull’autonomia e di Indicazioni Nazionali ‘snelle’, è presente nella scuola una cultura della programmazione come elemento integrato nelle competenze e professionalità docente; tuttavia, ancora degli sforzi si debbono fare affinché la programmazione possa essere concepita ed utilizzata con competenza professionale. 8. L’aggiornamento professionale I quesiti finali riguardano la formazione e l’aggiornamento sulla programmazione. Negli ultimi 10 anni, risulta che un terzo dei docenti non ha avuto modo di partecipare a corsi di aggiornamento sulla programmazione, il 40% circa invece ha partecipato a corsi la cui durata non superava le 30 ore, mentre i restanti hanno assistito a corsi che hanno superato le 30 ore. Questa situazione non ci appare contrassegnata da negatività, anzi riflette abbastanza quanto è emerso dai dati precedenti sulla diffusione della consapevolezza inerente la necessità del programmare. Analizzando i risultati complementari ai dati appena commentati, ossia quelli relativi al quesito 13, sui risultati ottenuti dai corsi di aggiornamento, scopriamo che, in genere, essi sono considerati utili; nei tre item posti alla loro attenzione i “molto d’accordo” sull’aver ottenuto qualcosa da essi sono circa uno su tre, che si sommano ai 50,5% degli “abbastanza d’accordo” relativi all’acquisizione di competenze e tecniche e al 32,6% degli “abbastanza d’accordo” sull’incremento della motivazione all’insegnamento. In sostanza, i dati negativi sono in netta minoranza. Concludiamo col quesito 14 che affronta gli aspetti negativi riscontrati nei corsi di aggiornamento (tab. 8): il carattere prevalentemente teorico (gli “abbastanza d’accordo” e “molto d’accordo” danno come somma il 77,1%) e la difficoltà nel poter “spendere” empiricamente le conoscenze acquisite. Forse qualcuno sarebbe disposto anche a partecipare a corsi un po’ più estesi (tra gli “abbastanza d’accordo” e i “molto d’accordo” arriviamo al 50,5%) purché abbiano una decisa componente empirica e laboratoriale. (VEDI TABELLA 8)
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TABELLA 8 Per nulla Poco Abbastanza Molto d’accordo d’accordo d'accordo d’accordo % % % %
Totale %
1. L’aggiornamento ha avuto carattere prevalentemente teorico 2. La durata del corso è stata troppo limitata
7,3
15,6
35,4
41,7
100,0
14,0
35,5
34,4
16,1
100,0
3. Il corso è stato abbastanza “empirico”, anche se nella prassi scolastica ho incontrato difficoltà ad utilizzare le tecniche suggerite
9,9
41,7
39,6
8,8
100,0
31,5
40,5
21,3
6,7
100,0
4. Ho incontrato esperti non sufficientemente in sintonia con le mie esigenze
Tabella 8. Quesito 14 del questionario “In generale, quali sono gli aspetti negativi incontrati nei corsi di aggiornamento seguiti?” (percentuali di riga).
9. Un primo bilancio In queste note, per ragioni di brevità, ci siamo concentrati sugli aspetti principali emersi dalla ricerca. Ci riserviamo di approfondire le tematiche in un lavoro successivo. Risulta difficile trarre conclusioni definitive se prima non si evidenzia che la ricerca debba essere finalizzata al conseguimento di una sempre maggiore “obiettività” ottenibile soltanto mediante la diversificazione di più strumenti metodologico-empirici. Il questionario è uno strumento utile, ma non può essere esclusivo nell’ambito della ricerca empirica (Quaglino, Carrozzi, 1998). Fatta questa precisazione riteniamo che siano comunque emerse alcune “tendenze evolutive”, delle quali ora ci occuperemo. L’iniziativa è sorta anche al fine di “aprire un ponte” tra ricerca didattica e mondo della scuola, due mondi che non sempre comunicano, e con l’intento di promuovere, nelle scuole che lo riterranno opportuno, momenti di aggiornamento/formazione contestualizzati su quegli aspetti che la ricerca ha dimostrato essere più carenti. Schematicamente queste le conclusioni (provvisorie) scaturite da questo primo lavoro di ricerca: • i docenti hanno le idee chiare sul concetto di programmazione didattica, un dato che ci si aspettava – al di là di qualche piccola eccezione – anche in ragione di una normativa che negli anni ha insistito sull’importanza di tale pratica e ne ha agevolato molto la sua realizzazione (ci riferiamo, nello specifico, alla legge sull’autonomia).
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Ricerche – Valutazione della didattica
• La valutazione ha assunto il carattere formativo che gli studi sul mastery learning di Bloom hanno portato alla luce anche se persistono – il dato, comunque, non ci sorprende – coloro che credono nell’ideologia delle doti: Occorre approfondire la questione con una successiva intervista, ad esempio; riteniamo che nella scuola primaria, nello specifico, sia necessario prestare molta attenzione a questa sorta di psicologia popolare (così la definirebbe Bruner) al fine di evitare pericolosi effetti pigmalione. • Gli strumenti di valutazione sono abbastanza differenziati, sebbene quelli tradizionali abbiano la preminenza: al riguardo occorre capire come siano utilizzati: sappiamo, infatti, che questi ultimi sono forieri di effetti di distorsione nocivi al fare scuola quotidiano. • Le metodologie didattiche sono plurime, anche se è ancora la lezione a farla da padrone. Un dato che ci ha colpito particolarmente – e che desta qualche preoccupazione – riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie: queste ultime appaiono ancora molto distanti dalle aule scolastiche bolognesi e, laddove sono presenti, sembrano essere intese come mero supporto più che come ambiente di apprendimento vero e proprio. • L’individualizzazione è avvertita come bisogno, e anche la prassi adottata appare, almeno in parte, presente nell’expertise professionale dei docenti. C’è bisogno, comunque, di potenziare tale strategia di lavoro al fine di offrire a tutti gli allievi uguali opportunità di apprendimento: la scuola primaria, essendo finalizzata al raggiungimento delle competenze fondamentali, non può più ignorare l’insegnamento a misura di allievo. • La personalizzazione, invece, è una strategia ben poco conosciuta nonostante le Indicazioni nazionali per i Piani di Studio personalizzati nella scuola primaria del 2003. Sebbene la priorità spetti all’individualizzazione, entrambi gli itinerari sono comunque essenziali per la scuola del terzo millennio; diversificando i traguardi apprenditivi, si ha la possibilità di scoprire l’originalità del singolo al fine di consentirgli un inserimento sociale congruo al suo talento. Se nel passato abbiamo assistito, in ambito legislativo, al prevalere ora dell’uno ora dell’altro percorso didattico, e laddove si dava spazio all’individualizzazione non si mancava di rendere dignitosa la valorizzazione della diversità, al momento attuale si pretende, invece, in linea di principio, pari dignità per entrambi i percorsi. • Il modello di programmazione utilizzato nella maggioranza dei casi è quello per obiettivi. Al fine di evitare forme di partigianeria nocive alla ricerca pedagogico-didattica, e di conseguenza alla scuola militante, riteniamo che la scuola debba conoscere le diverse modalità di fare programmazione al fine di essere nelle condizioni di poter scegliere quella più consona alle finalità del momento. • C’è bisogno di un aggiornamento più legato alla quotidianità del fare scuola. Poiché ciò è un problema abbastanza generalizzato, si fatica a trovare una soluzione; sicuramente, come dicevamo, a causa della marginalità della ricerca empirica in ambito educativo nel nostro paese. Facciamo comunque appello ai dirigenti scolastici della zona a prestare maggior attenzione a tale problematica. • Tra le risposte fornite dagli insegnanti laureati e tra quelle degli insegnanti non laureati non appaiono differenze particolari: apparentemente il dato potrebbe sorprendere; in realtà la questione si dimostra più complessa in ragione – soprattutto – del già richiamato ritardo della ricerca educativa ad impostazione empirica e di quella che – con un evidente
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eufemismo - è stata definita “disattenzione della pedagogia accademica” ai problemi che i docenti affrontano quotidianamente nella loro realtà educativa.
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Ricerche
Valutazione e nuove tecnologie
Nuove tecnologie e didattica: uno studio comparativo tra i tradizionali e i nuovi ambienti della formazione New technologies and education: a comparative study between traditional and new environments of training ORLANDO DE PIETRO Gli attuali ambienti virtuali, orientati alla diffusione di modalità finalizzate all’insegnamento-apprendimento, richiamano molteplici innovazioni tecnologiche. Tali innovazioni, da un lato, comportano la rivisitazione e il confronto dei paradigmi da mettere in atto per una impostazione e riadattamento dei percorsi formativi, dall’altro lato consentono di attuare una didattica innovativa, proponendo nuovi modelli valutativi. Occorre, quindi, riflettere sugli aspetti didattici e tecnici dei processi di formazione e sugli strumenti che favoriscono e supportano una migliore acquisizione degli apprendimenti negli ambienti in rete. In riferimento a quanto suddetto, questo lavoro presenta una sperimentazione pilota condotta nell’ambito di un corso universitario, con l’intento di verificare se gli studenti che utilizzano ambienti di apprendimento in rete innovativi conseguono migliori o simili risultati rispetto alle prestazioni degli studenti che seguono le lezioni in presenza.
The current virtual environments oriented to the dissemination of teaching-learning modalities recall many technological innovations. These innovations, on one hand, involve the review and comparison of the paradigms to be implemented for a set of training paths, on the other hand, allow you to implement innovative teaching approaches, proposing new evaluation models. It should, therefore, reflect on the technical aspects of the educational and training processes and on the tools that encourage and support a better acquisition of learning in networked environments. With reference to the above, this paper presents a pilot trial conducted in a university course, with the aim to verify whether students, using innovative online learning environments, have better or similar results compared to the performance of students taking lessons in presence.
Parole chiave: ambienti di apprendimento in rete, valutazione, apprendimento collaborativo, e-learning 2.0, costruttivismo.
Key words: on line learning environments, evaluation, collaborative learning, e-learnin 2.0, constructivism.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Premessa Nel campo della formazione in generale e dei processi d’insegnamento/apprendimento, in particolare, gli attuali ambienti virtuali richiamano una molteplicità di nuove tecnologie che possono favorire l’innovazione didattica e, con essa, aprire la strada a nuovi modelli valutativi. Se inquadrata all’interno degli attuali ambienti dell’apprendimento in rete, e quindi nell’ambito di percorsi formativi erogati in modalità e-learning o blended-learning, la valutazione non può prescindere dal ricorso sempre più cogente ai processi di monitoraggio e di autovalutazione, che sono elementi costitutivi dell’azione didattico-formativa. Tenendo in considerazione il fatto che in questi ultimi anni si sta assistendo sempre più a un crescente interesse della comunità scientifica verso l’e-Learning e, contemporaneamente, a un frequente ricorso a questa nuova tecnologia per la formazione e per l’aggiornamento del personale, anche aziendale, vi è ancora poca convinzione sull’efficacia dell’e-learning nell’ambito dell’apprendimento formale universitario e scolastico. Molti studiosi, fra cui Clarke (1999), Rivera e Rice (2002), nelle loro ricerche, dimostrano quanto le performance di coloro che sono ricorsi alla ODL (Open Distance Learning) (Galliani, 2004) siano pari, se non addirittura superiori, a quelli che hanno “appreso” in presenza. Occorre, quindi, riflettere sugli aspetti didattici e tecnici dei processi di formazione e sugli strumenti che favoriscono e supportano una migliore acquisizione degli apprendimenti da parte dei soggetti coinvolti e, di conseguenza, l’attenzione deve incentrarsi necessariamente sulla valutazione, quale strumento scientifico e strategia didattica del fare formazione. Con riferimento a quanto premesso, in questo lavoro vengono presentati i risultati della prima fase di una sperimentazione che vede coinvolti gli studenti di un corso universitario allo scopo di verificare se coloro i quali hanno utilizzato le tecnologie della comunicazione educativa durante il corso hanno conseguito migliori o risultati simili rispetto alle prestazioni degli studenti che hanno seguito le lezioni solo in presenza. A tal fine, per la comparazione degli apprendimenti conseguiti dagli studenti in presenza e a distanza, è stata utilizzata una piattaforma e-Learning, con integrato un tool innovativo che consente al discente di fruire le lezioni e nello stesso tempo di avviare discussioni, osservazioni e collaborazioni con gli altri discenti e/o con il docente/tutor.
2. Contesto della ricerca Il rapporto, che negli ultimi anni si è venuto a instaurare tra comunicazione, tecnologie e formazione, deve essere attentamente analizzato affinché educazione e didattica continuino ad assumere un ruolo centrale nel processo di apprendimento. È necessario, pertanto, valutare e quantificare fino a che punto l’utilizzo delle tecnologie negli ambienti educativo-formativi risulta essere efficiente ed efficace per l’acquisizione di conoscenza e apprendimento, e, contemporaneamente, valutare come queste, attraverso un utilizzo pedagogicamente corretto, portano a migliorare qualitativamente l’offerta formativa e consentono di far raggiungere quantitativamente risultati più soddisfacenti ai soggetti in apprendimento. Anche se bisogna tenere presente che numerose ricerche sull’apprendimento, come quella spesso citata di Thomas Russell (1999), non hanno dimostrato notevoli differenze fra l’apprendimento in presenza e quello on line (e-learning), altre dimostrano (Shachar, Neumann, 2003) che vi è una migliore performance degli studenti nei corsi in ODL. È tuttavia evidente come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono sempre più presenti nei contesti educativi, consentendo di attivare innovativi processi formativi “a distanza”, con notevoli
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Ricerche – Valutazione e nuove tecnologie
vantaggi per chi, docenti/tutor e/o discenti, li deve utilizzare. Ovviamente, in tutto ciò, deve essere garantito il principio pedagogico-didattico secondo cui nei processi formativi, sia in presenza sia on line, non devono essere predominanti le tecnologie, ma lo devono essere le modalità e il come queste tecnologie vengono utilizzate e programmate per agevolare e favorire l’apprendimento. Il nostro convincimento è che ormai gli ambienti di apprendimento in rete, grazie ad un Web sempre più evoluto (web 2.0), devono essere orientati al paradigma del costruttivismo sociale. Infatti, il rapporto fra discente e docente deve andare oltre il semplice trasferimento di dati e informazioni; di conseguenza l’apprendimento deve essere una costruzione attiva e costante del sapere. Tale rapporto si deve configurare, quindi, come modello comunicativocostruttivo, caratterizzato da una flessibilità ed un’apertura al dialogo continuo tra tutti i soggetti coinvolti nel processo di apprendimento (Mason, 1998). Dal momento che oggi gli ambienti virtuali, finalizzati all’insegnamento-apprendimento, utilizzano e sfruttano elementi tecnologici sempre più innovativi, nasce l’esigenza di dover rivedere e, quindi, ridefinire i processi che riguardano l’ideazione, la progettazione e la realizzazione dei percorsi orientati all’apprendimento. In pratica, bisogna guardare agli attuali sviluppi tecnologici e alle nuove tecnologie multimediali come opportunità per poter favorire o proporre una didattica innovativa e nello stesso tempo poter attivare nuovi paradigmi valutativi alla cui base dovrebbe esserci un sistema di monitoraggio continuo, come sostengono Moore (1999), Calvani e Rotta (2000), e un sistema, è la nostra convinzione, di autovalutazione. Ovviamente, in questa cornice di riferimento occorre tener presente da una parte gli aspetti didattici e tecnici dei processi di insegnamento-apprendimento e dall’altra parte i soggetti coinvolti (non solo studenti, ma anche docenti, tutor, ecc.), in modo tale da realizzare una mediazione sinergica, cioè che si instauri tra di loro una sinergia in modo da rappresentare un unicum, per rispondere ai requisiti richiesti dall’attuale concetto di formazione. Ma le tecnologie quali vantaggi offrono per fare acquisire conoscenza, apprendimento e competenze a tutti quei soggetti che per vari motivi (studio, lavoro, aggiornamento professionale, ecc.) devono utilizzarle? È chiaro che per rispondere a questa domanda, volendone analizzare e valutare tutti i possibili contesti applicativi, non basterebbe la redazione di un lungo e corposo saggio. Per questo motivo, in questo lavoro, ci si è limitati, in riferimento soprattutto ai primi due concetti (conoscenza e apprendimento), a verificare in che misura le innovazioni tecnologiche possono favorire e ottimizzare i processi di apprendimento in un contesto universitario, dove le tradizionali modalità e strategie di insegnamento-apprendimento, nella maggior parte dei casi, sono ancora radicate al puro trasferimento dei contenuti didattici dal docente al discente mediante linguaggi, supporti e modalità usuali e consolidate.
3. L’apprendimento in presenza (off line) e in rete (on line) Nell’attuale società caratterizzata da una conoscenza diffusa, tale da denominarla learning society, il mondo dell’educazione-formazione e in particolare le dinamiche dell’apprendimento (Frauenfelder, Santoianni, 2006) sono sempre più influenzate dai diversi cambiamenti operati dall’attuale rivoluzione tecnologica. Quest’ultima ha messo in evidenza il rapporto di reciproca dipendenza che si è venuto a creare tra pedagogia e tecnologia nel momento in cui si realizzano ambienti di apprendimento in presenza e in rete, facendo così sorgere l’esigenze di dover necessariamente valutare il processo di apprendimento che in essi si viene ad attuare. A tale proposito, Dillon e Greene (2003), in un loro studio, mettono in evidenza quali possono essere le differenze oggettive che consentono agli allievi di ottenere risultati più
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soddisfacenti e che, di conseguenza, influenzano la validità e l’efficacia dell’ambiente di apprendimento, off ed on line, in cui il soggetto agisce. Fra queste “differenze” o variabili ritroviamo le categorie pedagogico-didattiche della dialogicità, riflessività, criticità, relazionalità e interattività; elementi basilari che diventano le parole-chiave del processo formativo in quanto ne rappresentano gli aspetti e le strategie didattiche messe in atto sia dal docente, per accrescere anche scientificamente la propria professionalità, sia dal discente, chiamato a riflettere sulle proprie capacità e strategie di apprendimento e sul proprio stile cognitivo. Per comprendere come queste categorie possono consentire al processo formativo il conseguimento di risultati altamente considerevoli, occorre riflettere sul significato che essi assumono in tale contesto. A tal proposito, le prime tre categorie (dialogicità, riflessività, criticità) fanno riferimento alla conoscenza del sé, alla costruzione dell’autonomia del soggetto, all’abitudine al dialogo e alla riflessione, all’individuazione degli elementi di criticità di una determinata situazione; in ultima analisi abituano e allenano il soggetto a riflettere, a pensare e ragionare sulla base degli elementi in suo possesso. Mentre le altre due categorie (relazionalità e interattività) vanno interpretate come la capacità per i soggetti, che costituiscono di fatto la comunità educativa, di sapersi relazionare, ovvero rapportare e confrontare, con tutti gli altri (colleghi, docenti, tutor, tecnici, ecc.) e di saper interagire tra di loro, attivando altresì una interazione comunicativa tra gli stessi soggetti in apprendimento e gli oggetti della conoscenza e di studio, in modo tale da realizzare un intenso e continuo scambio di informazioni e messaggi, espliciti e impliciti, fra tutti coloro che condividono e vivono la stessa esperienza educativa e formativa; per cui ognuno apprende dagli altri e ognuno fornisce informazioni e dati conoscitivi all’altro (Piu, De Pietro, 2008). In altri termini, queste categorie non sono altro che le azioni che vengono ad attivarsi all’interno della comunità di apprendimento dove, indipendentemente dal modello di insegnamento prescelto: in presenza, in presenza con supporto tecnologico in rete o e-Learning, tali azioni formative (Piu, 2009) devono supportare il soggetto nell’organizzare, sviluppare e riflettere sul proprio apprendimento e sulla propria costruzione delle conoscenze e delle competenze, attraverso specifiche relazioni e interconnessioni tra l’organizzazione scientifico-disciplinare dei saperi e i processi d’apprendimento; processi che si rifanno ai modelli didattici razionalista-informazionista, sistemico-interazionista e costruttivista socio-educativo (Galliani, 2004; Varisco, 2002). Quindi, il soggetto deve adeguare, secondo il nostro punto di vista e secondo quanto Cresson (1995), Delors (1996) e Morin (2001) evidenziano nei loro studi e ricerche, le proprie competenze, ovvero le sue capacità, alle diverse circostanze e contesti in cui si viene a trovare o, ancor di più, adeguarle a situazioni nuove, anche, e soprattutto oggi, in ambito tecnologico, come spesso sottolinea Galliani (2004). In questa cornice di riferimento è dunque necessario declinare gli aspetti didattici e tecnici dei processi di formazione e gli strumenti che favoriscono e supportano una migliore acquisizione degli apprendimenti da parte dei soggetti coinvolti. Particolare importanza nel processo di apprendimento riveste quindi l’ambiente, o meglio il contesto, in cui l’allievo agisce e le modalità, tecniche ed operative, attraverso le quali interagisce con e nell’ambiente (De Pietro, Piu, De Rose, 2008). Per la sperimentazione, oggetto di questo lavoro, l’analisi comparativa messa in atto, sia dal punto di vista delle dinamiche di insegnamento-apprendimento che caratterizzano tali modalità, sia dal punto di vista delle interrelazioni che si vengono ad attivare, si propone di mettere in evidenza come l’apprendimento elettronico può divenire significativo e colmare i limiti di un tradizionale insegnamento-apprendimento (Mammarella, Cornoldi, Pazzaglia, 2005; Calvani, 2005). A tal fine si è provveduto ad individuare ed organizzare le modalità di insegnamento-apprendimento da utilizzare per la sperimentazione. Nel caso specifico sono state individuate tre modalità: in presenza, in presenza con supporto tecnologico (sito web)
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e a distanza ovvero in modalità e-learning; a tale proposito, nel paragrafo successivo vengono descritte le caratteristiche della piattaforma e-learning utilizzata e del tool multimediale in essa integrato. Scopo finale della sperimentazione è anche quello di voler mettere in evidenza come le potenzialità tecnologiche offerte dalle piattaforme e-learning, sempre più orientate al modello costruttivista socio-educativo, sembrano connotare l’apprendimento stesso in termini di integrazione, relazionalità, flessibilità, modularità (Maragliano, 1998; 2004; Piu, 2009).
4. La piattaforma e-learning e il tool utilizzato per la sperimentazione Al fine di supportare gli studenti che hanno utilizzato la sola modalità di insegnamento-apprendimento a distanza (e-learning avanzato), si è proceduti con un utilizzo più esteso delle tecnologie al fine di poter garantire adeguati risultati dell’apprendimento e colmare l’assenza del docente in aula. Per tale scopo, è stata utilizzata la piattaforma e-learning GriadLearn1, all’interno della quale è stato integrato un tool multimediale web-based denominato I-Discussion2 (De Pietro, Piu, De Rose, 2008). Questo consente la gestione ottimale di differenti modalità di rappresentazione della conoscenza, integrati in un’unica interfaccia web. Scopo del tool è quello di ricreare un ambiente di apprendimento in rete di natura collaborativa, in grado di innescare forme di comunicazione tra tutti i soggetti coinvolti nei processi di insegnamento-apprendimento: discenti, docenti, tutor, tecnici. Il tool in questione si inserisce in un contesto di didattica web-based dove gli allievi apprendono nella sola modalità on line ma assumendo tuttavia ruoli attivi, nel senso che diventano parte integrante dell’intero processo di apprendimento, e diventando centrali nelle attività di formazione. Dall’altra parte, il docente e il team di supporto hanno la possibilità di monitorare costantemente le attività dei soggetti, potendo intervenire nei processi di apprendimento e stimolando la comunicazione in direzione di una maggiore condivisione delle conoscenze e dei loro significati. L’idea alla base del tool in oggetto è stata quella di creare un ambiente di apprendimento in rete nell’accezione di “ambiente di lavoro intelligente”, dove l’apprendimento scaturisce da un processo dinamico e collaborativo, in cui partecipano tutti gli attori coinvolti nei processi formativi (docenti e tutor inclusi) con l’obiettivo di instaurare un processo di condivisione e negoziazione delle conoscenze. Gli studenti hanno la possibilità di accedere al tool dalla stessa piattaforma e-learning, utilizzata anche per svolgere tutte le altre attività e risorse associate allo studio della Learning Unit3 proposta, mediante un semplice link presente nella sezione centrale dedicata ai contenuti didattici (Fig. 1).
1 GriadLearn è una piattaforma e-Learning, utilizzata per l’erogazione di diversi corsi e master universitari. È stata progettata e sviluppata dal GRIAD - Gruppo di Ricerca per l’Informatica Applicata alla Didattica, responsabili scientifici proff. C. Piu e O. De Pietro, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università della Calabria. 2 Il Tool I-Discussion, è il risultato di precedenti lavori progettati e sviluppati nell’ambito della cattedra di Pedagogia Sperimentale, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università della Calabria, sperimentato in diversi contesti di formazione universitari e post-universitari. 3 Una Learning Unit rappresenta un modulo didattico o parte significativa di una disciplina; è strutturata in paragrafi, ognuno dei quali può essere erogato sotto forma di abstract, testo, mappa concettuale, video lezione, slide: singolarmente o combinati.
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Fig. 1 – Accesso al Tool Multimediale I-Discussion
In sostanza, lo studente oltre alla “tradizionale piattaforma e-learning”, utilizzata in maniera similare anche dagli studenti che hanno seguito la modalità didattica “presenza più supporto on line”, ha a disposizione la possibilità di attivare il Tool dall’apposito link “Accedi al TOOL Multimediale”, preceduto da una breve guida all’uso (link: Guida all’utilizzo del TOOL Multimediale). Una volta attivato il Tool, lo studente si ritrova la schermata di autenticazione al sistema così come rappresentato in Fig. 2.
Fig. 2 - Schermata di autenticazione al Tool
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Tale maschera riconosce lo studente poiché il Tool è stato integrato all’interno della piattaforma e-learning, quindi ne condivide la stessa base di dati anche in relazione all’autenticazione. Ciò, è di fondamentale importanza ai fini della tracciatura delle attività dell’utente ed anche per ridurre la ridondanza delle informazioni. La schermata successiva, invece (Fig. 3), mostra l’interfaccia Web del Tool fruibile dal discente attraverso un normale browser ed il plug-in gratuito Real Player.
Fig. 3 - Interfaccia Web del Tool
La pagina web, che consente la fruizione della video-lezione, viene suddivisa in alcune “regioni”, ognuna delle quali richiama i relativi componenti audio-video, il testo, le immagini, e tutti gli altri elementi necessari all’interazione con il video. Sulla parte sinistra della pagina viene visualizzata l’area contenente i metadata della lezione in oggetto: titolo ed indici attraverso i quali è possibile “navigare” nella video-lezione. Nella regione destra della pagina, invece, viene visualizzata la video-lezione, che può essere fruita dal discente in maniera diversa da un tradizionale video, grazie alla possibilità di potere egli stesso decidere quale parte seguire. Il discente, inoltre, ha la possibilità di compiere diverse operazioni sul video, grazie alla possibilità di interagire mediante i tradizionali pulsanti presenti nel pannello di controllo del video: play, stop, pause, forward e rewind. Aspetto di notevole rilievo è rappresentato dal fatto che il video durante la fase di scorrimento diventa “cliccabile” in alcuni intervalli di tempo definiti a priori dal docente; ciò viene segnalato dalla comparsa di una icona (indice-mano), dando così la possibilità di poter linkare a risorse di approfondimento collegate all’argomento in fruizione; nell’esempio mostrato in Figura 3 viene visualizzata una Mappa Concettuale che meglio illustra gli argomenti oggetto di trattazione. Quanto appena descritto fa riferimento alla sola fruizione della video-lezione, senza possibilità di compiere interazioni ed attivarelaforme di comunicazione. garantire, un meccanismo che consente possibilità di inviare la Per propria “d invece, livelli di interazione e di apprendimento collaborativo, si è pensato di estendere le funzionalità appena descritte, prevenendo un meccanismo che consente la possibilità di inviare la propria “discussione” durante la fruizione della video-lezione. La stessa viene inoltre memorizzata avvia, pertanto, la c
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nella base di dati ed associata al tempo (timer) relativo alla parte di video “corrente” in cui è stata posta. Per postare tale discussione è sufficiente cliccare sul pulsante “Proponi”, mostrato in Figura 3. Si avvia, pertanto, la costruzione automatica di un puntatore al video che tiene conto del valore assunto dal timer del video-streaming nel momento in cui viene attivata tale operazione. Questo, diventa fondamentale ai fini delle successive attività di monitoraggio da parte del docente, ma anche e soprattutto per le fasi di retrieving delle osservazioni da parte dei soggetti che apprendono, poichè avranno la possibilità di visualizzare le discussioni inviate, rispondere, postarne delle altre, ecc. (Fig. 4). Si avvia così una forma di comunicazione tra studenti-studenti e studenti-docenti-tutor, che viene incrementata nel tempo e potrà costituire una base per forme successive di autovalutazione e ririflessione.
Fig. 4 - Visualizzazione Discussioni
5. Obiettivo, sviluppo e risultati della ricerca/sperimentazione Lo scopo di questa sperimentazione, come detto in premessa, è quello di verificare se gli studenti che, durante un corso universitario utilizzano ambienti di apprendimento in rete innovativi, riescono a conseguire, in termini di apprendimento, migliori o, eventualmente, . g n simili risultati e prestazioni pari a quelli degli studenti che seguono le lezioni del corso in presenza. Il piano di lavoro della sperimentazione, organizzato in più fasi operative, ha visto scegliere in modo casuale un campione di studenti iscritti ad un corso universitario e in base alle diverse modalità di rappresentazione della conoscenza (Muti, 1988) utilizzate dal docente, per esporre le lezioni. Gli studenti sono stati organizzati in tre gruppi, corrispondenti alle dif-
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ferenti modalità di fruizione della proposta didattica. In particolare, per la sperimentazione sono state individuate tre modalità di esposizione e di fruizione degli argomenti, e cioè: in presenza (1° gruppo), in presenza con supporto tecnologico (2° gruppo), a distanza con solo utilizzo di una piattaforma e-Learning (3° gruppo). Riflettendo successivamente sul fatto che per poter pervenire ad una sperimentazione più significativa, che dia, cioè, risposte affidabili rispetto all’ipotesi che ci si propone di dimostrare, tenendo conto delle variabili e delle problematiche legate alla comparazione delle diverse “metodologie didattiche” prese in considerazione (in presenza ed on line), in questo lavoro viene presentata la prima fase della sperimentazione, che potremmo definire di sondaggio e taratura dei materiali. Questa fase è iniziata con l’esposizione in presenza dell’argomento della Learning unit, precedentemente individuata, sia al 1° che al 2° gruppo e la registrazione della video-lezione, successivamente indicizzata, per il 3° gruppo che, ovviamente, non ha partecipato alla lezione in presenza. L’obiettivo è quello di valutare da un lato i risultati conseguiti in termini di apprendimento dagli studenti dei 3 gruppi, e dall’altro “tarare” le scelte organizzative, gestionali e tecnologiche fatte al fine di definire gli standards di riferimento da tenere presente nella successiva e concreta sperimentazione di natura più significativa, che verrà organizzata in seguito. Alla fine di questa fase, a tutti gli studenti, indipendentemente dal gruppo di appartenenza, è stato somministrato, in presenza, un test di valutazione e si è proceduto all’analisi comparativa dei risultati ottenuti dai tre gruppi. I risultati vengono presentati e commentati nei paragrafi successivi. Inoltre, sono stati analizzati i punti di forza e di criticità della piattaforma e-learning utilizzata, per individuare eventuali miglioramenti da apportare e, di conseguenza, predisporre e poi proporre uno standard delle caratteristiche tecniche di cui dovrebbe essere dotato un tipico ambiente di apprendimento in rete che rispetti il modello costruttivista socio-educativo. Modalità formative e predisposizione dei contenuti didattici Per la sperimentazione sono state individuate, come anzidetto, tre diverse modalità di insegnamento-apprendimento. La prima modalità (Modalità A) fa riferimento alla tradizionale lezione in presenza ed allo studio individuale attraverso il quale ogni studente utilizza libri di testo consigliati dal docente e/o le dispense da questo predisposte, ovvero attraverso supporti cartacei. La seconda modalità (Modalità B) oltre a consentire la fruizione della lezione in modo tradizionale, ovvero in presenza, a differenza della Modalità A, gli studenti utilizzano un “supporto tecnologico” costituito da una semplice piattaforma web appositamente predisposta sia per consultare ed eventualmente effettuare il download dei contenuti didattici utilizzati durante il corso sia per attivare forum quale modalità di comunicazione/interazione docente-studente e studente-studente. Infine, la terza modalità (Modalità C) consente agli studenti di fruire il corso a distanza utilizzando una piattaforma e-learning con integrato il tool precedentemente descritto. In riferimento alla Modalità B, sul sito web sono stati caricati i contenuti didattici forniti dal docente relativi alle lezioni tenute durante il corso e attivati i forum per consentire agli studenti di fare commenti e/o richiedere chiarimenti al docente. La Modalità C, invece, ha previsto la realizzazione di una video-lezione tenuta dal docente con l’indicizzazione dei principali argomenti, l’organizzazione e la digitalizzazione del materiale didattico ad esse associato: file testuali, mappe concettuali, slides, e la predisposizione della piattaforma e-learning con il tool multimediale; per una descrizione più dettagliata della piattaforma e del tool si veda il paragrafo 4. Successivamente e per l’intera sperimentazione saranno realizzate e associate al tool le video-lezioni dell’intero corso.
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La prima fase della sperimentazione è stata incentrata sulla lezione, o meglio ancora sull’Unità didattica (Learning Unit), “I modelli didattici dell’apprendimento”, uno degli argomenti significativi del programma del corso. La selezione del campione Il campione della sperimentazione è costituito da 195 studenti del corso di Didattica generale, tenuto nell’a.a. 2011/2012 nel Corso di Laurea di Scienze della formazione primaria dell’Università della Calabria, suddivisi in tre gruppi. Agli studenti è stato consentito di scegliere autonomamente il Gruppo a cui afferire. Dare la possibilità agli studenti di scegliere la “tecnologia” da utilizzare sulla base delle abilità ICT possedute, ci consente di salvaguardare la nostra ricerca dalla contaminazione di un determinismo tecnologico4, che avrebbe portato inevitabilmente a far pensare che la qualità del processo di insegnamento-apprendimento sia dovuta principalmente alle tecnologie utilizzate e non alle modalità di organizzazione e strutturazione del percorso formativo e alle modalità qualitative della comunicazione e dell’interazione con e tra gli allievi. Il primo gruppo (Gruppo A), che ai fini della sperimentazione è anche il gruppo di controllo, ha fruito le lezioni e svolto la fase di studio nella modalità tradizionale, vale a dire: ha seguito le lezioni in presenza, utilizzato i contenuti didattici (libri, dispense) cartacei, ha interagito con il docente in presenza (orario di ricevimento) o al massimo via e-mail. Il secondo gruppo (Gruppo B) ha fruito le lezioni in presenza e consultato, ed eventualmente scaricato, i contenuti didattici attraverso il portale web del corso. Sul portale sono stati attivati i forum per discutere, col docente e con gli altri studenti, intorno agli argomenti delle lezioni. Questo secondo gruppo ha potuto utilizzare anche la posta elettronica per comunicare col docente. Il terzo gruppo (Gruppo C) ha fruito dell’insegnamento e dei materiali didattici inseriti nella piattaforma e-learning descritta precedentemente. Lo studio off e on line Durante tale periodo, della durata di una settimana, agli studenti è stata proposta la lezione, ovvero la Learning unit, da studiare. Gli studenti del Gruppo A e del Gruppo B hanno seguito la lezione in presenza. Successivamente hanno fruito, in modo individuale, i contenuti didattici relativi alla lezione: con supporti tradizionali (dispense, libro di testo), il Gruppo A; con supporti tradizionali e mediante il sito web appositamente predisposto, il Gruppo B. Gli studenti del Gruppo C, invece, hanno utilizzato la piattaforma e-learning e, oltre a fruire e studiare i contenuti didattici, hanno potuto interagire fra di loro mediante gli strumenti e gli spazi di comunicazione in essa presenti: forum, chat, messaggistica interna, gruppi di lavoro. In particolare, attraverso il tool multimediale, hanno fruito la video-lezione e attivato momenti di condivisione e collaborazione sia fra essi stessi (studente/studente) sia con il docente e con il tutor. La fase di studio, per questi studenti, ha compreso anche due giorni
4 Il determinismo tecnologico, di cui Marshall McLuhan è stato uno dei più fervidi sostenitori, attribuisce ai media, e quindi alla tecnologia, la tendenza di influenzare e trasformare la società e, nel rapporto tra tecnologia e cultura, far assumere alla tecnologia un ruolo attivo e alla componente culturale un ruolo secondario, poiché quest’ultima non agisce sulla tecnologia, ma si adatta ad essa. A questo pensiero si contrappone quello, pienamente condiviso da noi, di Pierre Lévy (1999) il quale afferma che la tecnologia non può essere considerata esterna alla cultura ma interagisce con essa che la accoglie e la modifica.
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di “esplorazione” per consentire loro di effettuare delle navigazioni libere all’interno della piattaforma, al fine di osservarne caratteristiche e strumenti, e familiarizzare con l’interfaccia Web. Valutazione degli apprendimenti conseguiti Alla fine della fase di studio, agli studenti dei tre gruppi è stato somministrato, in presenza, un test di valutazione per rilevare i risultati conseguiti. Il test, riferito solo ai contenuti della Learning unit, oggetto della prima fase della sperimentazione, è stato strutturato in dieci domande a risposta multipla, punteggio 0/1. I risultati sono commentati nel paragrafo successivo. Valutazione dell’usabilità dell’ambiente Al termine della sperimentazione, ai componenti del Gruppo C è stato somministrato un questionario on-line per determinare il gradimento dell’ambiente di apprendimento in rete, relativamente alle sue principali funzionalità: struttura dei moduli della lezione, comunicazioni sincrone/asincrone, interfaccia, ecc., e del tool in generale. Lo scopo è stato quello di raccogliere opinioni, criticità e suggerimenti da parte degli studenti al fine di ipotizzare eventuali miglioramenti e sviluppi futuri all’ambiente di apprendimento online.
6. Analisi dei dati e risultati 6.1 Valutazione dell’apprendimento Le risposte al questionario, proposto al termine della fase di studio, sono state elaborate mediante analisi statistiche e i risultati ottenuti dai tre gruppi sono stati comparati al fine di rilevare il livello di apprendimento raggiunto dagli studenti nelle tre modalità di studio precedentemente descritte. Per l’analisi dei risultati sono stati individuati i seguenti indicatori: a) media e coefficiente di variazione; b) soglia della sufficienza, ovvero studenti che hanno risposto esattamente ad almeno 6 domande su 10 (60%); a) Media e coefficiente di variazione Con riferimento al primo indicatore, come si evince dai grafici seguenti, il Gruppo C ha conseguito una performance migliore; più precisamente ha registrato una Media dei voti pari a 8.43 rispetto a quella del Gruppo A pari a 7.98 e del Gruppo B pari a 8.03.
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Graf. 1 – Media dei punteggi
Riflettendo proprio su questi valori, e al fine di valutare la significatività della differenza tra i punteggi medi conseguiti dai tre gruppi di studenti (A, B, C) si è utilizzato il test t di Student, il quale sottopone a verifica statistica l’ipotesi nulla che le medie di due gruppi siano uguali contro l’ipotesi alternativa bilaterale che le medie siano diverse5. Si è proceduto assumendo, pertanto, sia il caso in cui i gruppi presentano varianze diverse nei punteggi, sia il caso in cui i gruppi presentano varianze uguali. In entrambi i casi i risultati del test conducono alle medesime conclusioni. In particolare, limitando l’attenzione al caso in cui i gruppi presentino varianze diverse, risultano essere significativi i punteggi medi nei gruppi A e C (p-value=0.0258) e nei gruppi B e C (p-value=0.0361). Non risultano, invece, significative da un punto di vista statistico i punteggi medi ottenuto dagli studenti dei gruppi A e B (pvalue=0.799). Da una ulteriore analisi sui dati a nostra disposizione emerge anche un’altra caratteristica, riferita alla dispersione rispetto alla media dei punteggi conseguiti. Calcolando, infatti, il Coefficiente di Variazione (CV) dei tre gruppi, si evidenzia, come riportato nel grafico 2, che gli studenti del Gruppo C, con CV=0.12, presentano un livello di preparazione più omogeneo e livellato verso l’alto. Mentre quelli del Gruppo A, con CV=0.18, presentano un livello di preparazione più eterogeneo, ovvero presentano una maggiore dispersione della distribuzione rispetto al valore medio, e quelli del Gruppo B, CV=0.16, si posizionano su un livello intermedio rispetto ai gruppi A e C.
5 Il test t di Student, è uno dei test statistici cosiddetti di significatività.Viene utilizzato quando il parametro da considerare fra due campioni è la media e si vuole sapere se l’eventuale differenza fra le medie dei campioni osservati è significativa. Con tale test si assume come ipotesi di lavoro che le medie di due gruppi siano uguali tra di loro: ipotesi nulla. Si cerca, allora, di stabilire se questa ipotesi è suffragata o meno dai dati. L’attendibilità dell’ipotesi viene valutata attraverso il cosiddetto p-value (o significatività osservata).Valori del pvalue inferiori alla soglia 0.05 conducono a rifiutare l’ipotesi di lavoro, ovvero le medie verranno ritenute significativamente diverse; per un approfondimento si veda (Spiegel, 1994).
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Graf. 2 â&#x20AC;&#x201C; Coefficiente di variazione
b) Soglia della sufficienza, ovvero studenti che hanno risposto esattamente ad a almeno 6 domande su 10 (60%) Con riferimento al secondo indicatore, vedi il grafico successivo, nel Gruppo A, il 95,24% degli studenti ha superato la soglia della sufficienza, rispondendo correttamente ad almeno u il 60% delle domande, nel gruppo B il 96,92% degli studenti ha raggiunto tale soglia, mentre nel Gruppo C tutti gli studenti (100%) hanno risposto esattamente ad almeno 6 domande su 10.
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Graf. 3 â&#x20AC;&#x201C; percentuale degli studenti che hanno raggiunto la soglia della sufficienza: confronto fra i gruppi
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6.2 Analisi sull’utilizzo del tool integrato nella piattaforma e-learning Come dimostrano i dati memorizzati nel database del tool I-Discussion, durante il periodo di studio attraverso la piattaforma ed il tool in questione, sono stati rilevati alti livelli di interazione e partecipazione fra gli studenti. Le osservazioni e le discussioni avviate tramite il tool, che si ricorda è relativo ad una sola lezione, sono state poco meno di 200, per l’esattezza 191; di queste osservazioni/discussioni, 44, ovvero il 23% circa del totale, sono state ulteriormente commentate/discusse da almeno un partecipante. Ciò vuol dire che quasi una discussione su quattro ha attivato risposte da parte degli studenti, stimolando così successive interazioni che hanno portato a riflettere su quanto postato in precedenza all’avvio della discussione. Nello specifico, il numero complessivo di risposte generate a partire da quelle iniziali, è stato pari a 124, che rappresenta il 65% circa dei commenti (osservazioni/discussioni) avviati in fase iniziale. 6.3 Considerazioni sul gradimento della piattaforma e-learning utilizzata Al termine di questa prima fase della sperimentazione, per comprendere l’utilità percepita dagli studenti ed ottenere dei feedback utili per sviluppi futuri, è stato somministrato, in modalità on line, un questionario di gradimento sul tool multimediale utilizzato. Nel complesso, I-Discussion insieme alle sue funzionalità, in una scala da mediocre ad ottimo, è stato giudicato ottimo dal 61% del campione (Gruppo C), e buono dal 39%. Da ciò si denota una percezione ed un’opinione positiva dei partecipanti alla sperimentazione nei confronti dello strumento utilizzato. Per quanto riguarda le funzionalità presenti, la totalità dei partecipanti ha giudicato utile la possibilità di inviare una osservazione/discussione durante le fasi di fruizione della VideoLezione. Il 93% degli studenti ritiene significativa la possibilità dei collegamenti a risorse esterne di approfondimento durante la fruizione della video-lezione; nel caso specifico lo studente si riferiva ai collegamenti verso le mappe concettuali e le slide degli indicatori relative all’argomento spiegato dal docente. Nel questionario di gradimento somministrato, inoltre, è stato chiesto ai discenti di esprimere il proprio parere sull’esperienza vissuta, di segnalare aspetti positivi e negativi e dare eventuali suggerimenti per apportare miglioramenti al tool. Dalle risposte fornite si è rilevato che gli studenti apprezzano la qualità dei contenuti multimediali presentati attraverso il tool e ritengono che le modalità attivate hanno consentito lo sviluppo di forme di personalizzazione dell’apprendimento. Le risposte degli studenti hanno evidenziato che il tool ha suscitato una maggiore motivazione allo studio e soprattutto al dialogo tra i colleghi e tra questi ed i docenti/tutor. Gli studenti hanno dichiarano altresì, che grazie al tool è stato possibile creare una Comunità di Apprendimento in rete; quindi, di sviluppare apprendimenti di natura sociale. Di seguito vengono riportati alcuni commenti forniti dagli studenti, i quali dimostrano un forte interesse verso il tool e la modalità sviluppata attraverso lo stesso: “lo reputo molto interessante da tutti i punti di vista, anche più della classica lezione frontale...In aula gli interventi non possono essere numerevoli e prolungati dovuti alle poche ore di lezione che ci costringono a “compattare” le spiegazioni”. “Il tool è interessante sotto tutti i punti di vista perché da a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione attraverso domande o impressioni ..cosa che a lezione pochissime persone riescono a fare”. “questo è il modo migliore per sentirmi presente e attiva”.
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“dopo la sperimentazione mi piacerebbe utilizzare il tool per interagire con i colleghi del corso per gli altri argomenti da studiare e per i dubbi che mi possono venire”. “Complimenti !Ottimo sistema per apprendere più velocemente e soprattutto con gli altri. Ho potuto apprendere cosa si intenda quando si parla di conoscenza come prodotto sociale: condividere e poi apprendere con qualcuno, in un preciso momento ed in uno specifico contesto”. “Non avrei mai pensato di poter studiare in questo modo”.
Per quanto riguarda eventuali miglioramenti da apportare, è stato suggerito di integrare all’interno del tool la sincronizzare delle diapositive durante la fase di fruizione della videolezione e di sviluppare un motore di ricerca che consenta di effettuare la ricerca delle osservazioni memorizzate per parola chiave. È stata segnalata inoltre l’esigenza di rendere più semplice l’interfaccia relativa al modulo di invio/visualizzazione osservazione.
7. Risultati conseguiti e prospettive di sviluppo future Gli esiti della prima fase della sperimentazione dimostrano come, in riferimento all’apprendimento, i risultati ottenuti dagli studenti si avvicinano molto alle ipotesi iniziali che ci si era posto. Infatti, gli studenti che hanno studiato attraverso la modalità “a distanza”, ovvero che hanno utilizzato la piattaforma tecnologica ed i materiali correlati, hanno conseguito risultati più soddisfacenti rispetto agli studenti che hanno studiato utilizzando le altre modalità prese in esame: solo in presenza e presenza con supporto di materiali didattici on line; si confronti a tal proposito anche la ricerca di Junaidu e Al Ghamdi6 (2004). L’analisi dei dati dimostra anche come la modalità di studio-apprendimento a distanza degli studenti non solo li ha resi mediamente più bravi ma che vi è stata anche una maggiore uniformità nella loro prestazione. Questi primi risultati mettono in evidenza, come le nuove piattaforme e-learning, orientate alla condivisione ed alla partecipazione attiva tra i membri della comunità, siano rilevanti nei processi di apprendimento. L’ambiente sperimentato e gli strumenti messi a disposizione nella fase di studio si sono confermati, infatti, dei validi mezzi capaci di offrire alte opportunità di riflessione e di interazione socio-culturale. Anche i commenti fatti dagli studenti sull’utilizzo della piattaforma e del tool dimostrano un forte apprezzamento per questa modalità di studio-apprendimento e un elevato interesse a continuare ad utilizzare anche in futuro la piattaforma. Con questa prima fase della sperimentazione si è potuto già verificare da un lato che gli strumenti tecnici (piattaforma, tool) e i materiali didattici utilizzati (diverse modalità di rappresentazione della conoscenza) sono idonei e sono risultati efficaci nel corso a distanza e dall’altro che attraverso le nuove tecnologie, che consentono di ricreare e proporre ambienti formativi in cui i soggetti possono interagire, collaborare e cooperare in modo semplice e flessibile, si raggiungono modalità di insegnamento capaci di far conseguire agli studenti migliori perfomance e, nello stesso tempo, al docente una maggiore professionalità scientifica. È chiaro che, avendo effettuato la comparazione e l’elaborazione dei dati su una sola lezione del programma di insegnamento, non possiamo che considerare questa prima fase come una
6 La ricerca ha messo a confronto i risultati conseguiti, in termini di votazione, dagli studenti universitari che hanno seguito l’insegnamento in modalità faccia-a-faccia (F2F) e on-line; la comparazione dei risultati, riscontrati nelle due modalità, dimostra che in 4 semestri su 5 gli studenti on-line hanno raggiunto maggiori competenze.
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fase esplorativa in prospettiva, come è nel nostro intento, di proseguire con la seconda fase e completare la sperimentazione. Pertanto, sulla base del feedback fornito dagli studenti, le modalità di erogazione-fruizione, prima descritte, verranno attivate e tarate su tutte le altre lezioni dell’insegnamento e, quindi, sulla piattaforma e-learning e verranno effettuate più valutazioni durante tutto il corso. In tal modo, come diverse ricerche mettono in evidenza, si perverrà a risultati più attendibili per poter confermare o meno le ipotesi inizialmente definite.
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Tutorship e video annotazione: il punto di vista degli insegnanti Tutorship and video annotation: teachers’ perspectives on innovation GIOVANNI BONAIUTI • ANTONIO CALVANI • PATRIZIA PICCI* L’impiego dei video digitali presenta interessanti promesse per la formazione degli insegnanti, in particolare grazie alle potenzialità offerte dalla video annotazione, che consente a più soggetti, anche a distanza, di inserire e condividere commenti e opinioni sugli stessi video. Questo lavoro intende studiare il punto di vista di insegnanti verso questa tecnologia, tenendo conto sia delle loro valutazioni esplicite che di connotazioni più emotive che possono caratterizzare la loro percezione. A questo scopo vengono confrontate diverse modalità d’uso della video annotazione, impiegata da un lato come forma di autoriflessione personale, dall’altro in contesti variamente supportati da tutorship: con un mentore di fiducia, con una gruppo di pari, con un esperto del mondo accademico. Si sottolinea come, per un’eventuale messa a regime di questa tecnologia, sia importante intervenire anche sugli aspetti culturali e psicosociali che regolano la condizione emotiva che si genera nel rendere oggetto di osservazione e di valutazione il proprio comportamento didattico.
The use of digital video offers interesting opportunities in teacher training, particularly thanks to the possibilities provided by video annotation, whereby people can add and share comments and opinions on the same videos, even from different places. This research study aims at examining teachers’ perspectives on this technology, taking into account both their explicit evaluations and the emotional implications that might characterize their perception. Different methods of using video annotation for training are compared, one based on the individual use as a form of personal reflection, another supported by various types of tutorship.The data were collected and analyzed through an explicit evaluation, an indirect evaluation and shared interpretations in a focus group. It is pointed out that to make this technology fully operational it is important to work on the cultural and psychosocial aspects that control the emotional conditions that arise when one’s teaching behavior is observed and assessed.
Parole chiave: formazione insegnanti, video annotazione, tutorship, valuatazione dell’efficacia delle tecnologie
Key words: teacher training, video annotation, tutorship, evaluation of technology’s effectiveness
* Il presente lavoro è frutto della comune collaborazione degli autori, tuttavia, i §§ 1 e 6 sono da attribuirsi a G. Bonaiuti; i §§ 2 e 7 sono dovuti a A. Calvani; i §§ 3, 4 e 5 a P. Picci.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Introduzione Sono ormai numerosi gli autori che ritengono utile e promettente l’impiego dei video quale strumento per favorire l’acquisizione e il miglioramento della capacità di insegnare e di riflettere sull’insegnamento (Bryan, Recesso, 2006; Wright, 2008; Rich, Hannafin, 2009; Santagata, Angelici, 2010; Snoeyink, 2010; Calvani, Bonaiuti, Andreocci, 2011). Le metaanalisi di cui disponiamo, del resto, mostrano come il microteaching (videoregistrazione della lezione e successivo riesame) risulti tra i sistemi più efficaci per la formazione iniziale degli insegnanti con Effect Size tra 0,70 e 0,85 (Hattie, 2009). Parallelamente alcuni autori sottolineano come sia importante il coinvolgimento di altri soggetti a supporto del processo riflessivo. La possibilità di riesaminare le proprie modalità didattiche con il supporto di tutor o esperti è, secondo alcuni, un irrinunciabile condizione per lo sviluppo della “expertise didattica” (Knoll, Stigler, 1999; Jacobs, Kawanaka, Stigler, 1999, Putnam, Borko, 2000;Wilson, Berne, 1999).Vari progetti, basati sull’utilizzo della videoanalisi, sottolineano la potenzialità della condivisione e del confronto con il gruppo dei pari, come ad esempio il progetto MATH (Lampert, Ball, 1998), il progetto MILE (Goffree, Oonk, 1999), i gruppi di studio sui video (Tochon, 1999), le “lesson study” (Lewis, Perry, Hurd, 2004), i “videos Clubs” (Sherin, Han, 2004) o i video casi nella didattica della matematica (Seago, 2004; Sherin, 2003). Rimane tuttavia aperto il problema di stabilire quali siano le condizioni di supporto interpersonale che offrano le migliori opportunità di affiancamento a questa tecnica e cosa gli insegnanti ne pensino in proposito. Nel nostro caso abbiamo ritenuto importante soffermarci e confrontare tre diverse condizioni ad integrazione della pratica di revisione dei video: una amicale (con un esperto di fiducia conosciuto e scelto dal soggetto, in seguito definita condizione mentore, una comunitaria (tre colleghi scelti a caso nella scuola), in seguito definita condizione comunità, una con un esperto estraneo appartenente al mondo della ricerca, in seguito definita condizione esperto. Accanto alle potenzialità offerte dalla tecnologia possono infatti esistere criticità legate alla sua amichevolezza, alle difficoltà implicite ed esplicite ed alla dimensione emotiva legata al suo utilizzo, che possono accentuarsi o attenuarsi nel contesto interpersonale. Nella letteratura sulla diffusione e accettazione dell’innovazione tecnologica è noto come l’effettiva diffusione di un’innovazione sia il risultato, non tanto delle sue stesse caratteristiche, ma piuttosto, delle percezioni legate al suo utilizzo (Moore, Benbasat, 1991). Rogers (1983) individua cinque caratteristiche chiave dell’innovazione tecnologica la cui percezione da parte dei potenziali utilizzatori influenza il successo dell’implementazione: il vantaggio relativo, che riguarda quanto l’utilizzo di un’innovazione sia considerato migliore dei sistemi precedenti, la compatibilità relativa alla coerenza con i preesistenti valori, degli utilizzatori, la complessità, cioè la difficoltà di utilizzo, l’osservabilità e la sperimentabilità che riguardano quanto i risultati di un’innovazione siano osservabili da altri e l’innovazione sperimentabile prima della sua adozione; su questa linea altri lavori più recentemente si sono aggiunti, come il Technology Acceptance Model di Davis (1989) con i riferimenti alla facilità ed all’utilità d’uso percepiti e le formulazioni più recenti dei modelli di accettazione tecnologica (ad esempio Venkatesh et al., 2003).
2. Metodo e domande di ricerca L’oggetto di indagine riguarda il punto di vista degli insegnanti circa il possibile impiego di una innovazione tecnologica quale la video annotazione come pratica per la loro formazione. All’espressione punto di vista diamo un senso ampio, includendo sia valutazioni esplicite
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che valutazioni raccolte in una forma più indiretta (connotazioni); ci chiediamo se gli insegnanti considerino l’impiego di questa tecnologia come una strada effettivamente praticabile e sostenibile nel tempo e, in caso affermativo, se siano indotti per qualche motivo a prediligere un particolare uso rispetto ad un altro, una volta che essa sia inserita in un contesto interpersonale di tutoring. La ricerca è impostata secondo una metodologia mista (mixed methods) che, come noto, prevede l’uso sia di dati quantitativi che qualitativi (Tashakkori, Teddlie, 1998; Hesse-Biber, 2010). Sul versante quantitativo è stato previsto un disegno longitudinale a misure ripetute, nel quale i soggetti, che effettuano una lezione, valutano comparativamente, con gli stessi strumenti (un questionario ed un differenziale semantico), le diverse modalità di svolgimento dell’esperienza di video annotazione. Sul versante qualitativo si raccolgono e si interpretano, invece, i risultati di un focus group finale durante il quale i partecipanti riflettono e discutono sui risultati emersi. Le ipotesi da cui il nostro lavoro prende avvio e che la ricerca intende verificare sono le seguenti: 1. che gli insegnanti riconoscano l’utilità e l’importanza della video annotazione come supporto alla propria formazione rispetto ad una formazione tradizionale (face to face) e che quindi ne preferiscano l’impiego; 2. che gli insegnanti mostrino di preferire nel complesso l’impiego della video annotazione supportata da tutoring, qualunque essa sia, rispetto ad un impiego solitario; 3. che nell’ambito dell’impiego della video annotazione supportata da tutoring, tra le tre tipologie possibili (mentore, comunità di pari, esperto) esistono significative differenze con preferenza verso la soluzione comunità. Questa ultima soluzione, infatti, dovrebbe teoricamente essere quella che garantisce il miglior equilibrio tra competenza e capacità di riconoscersi nella situazione vissuta; il modello della comunità di pari che si confronta e discute del resto sembra assumere particolare rilevanza in un contesto in cui il web si candida ad essere sempre più la sede per lo sviluppo professionale, attraverso esperienze condivise in comunità di pratica, in cui anche gli insegnanti cominciano a documentare tramite videoclip le proprie esperienze in classe (So et al., 2009; Huppertz, Massler, Ploetzner, 2005; Rich, Hannafin, 2009). Per studiare il punto di vista degli insegnanti verso l’uso di questa tecnologia ci siamo rifatti alla letteratura relativa all’adozione di un’innovazione tecnologica, che si fonda essenzialmente sull’approccio di Rogers (1983) e Davis (1989) e sulla cui base sono state distinte tre dimensioni: 1. utilità d’uso, intesa come rilevazione dei vantaggi e dell’utilità percepita in termini di sviluppo di competenze nell’ottica di Davis (1989); 2. facilità d’uso, intesa come la facilità d’uso percepita (Davis, 1989) e percezione del livello di agevolezza e amichevolezza tecnologica (Rogers 1983); 3. attrattiva, intesa come percezione di un sentimento con implicazioni emotive riconducibili a desiderabilità, serenità, coinvolgimento, affine al concetto di compatibilità della tecnologia con i propri valori, bisogni ed esperienza (Rogers 1983). Queste tre dimensioni sono state osservate e rilevate con una triangolazione di dati quantitativi e qualitativi nel tentativo di cogliere i diversi livelli di consapevolezza individuale e sociale. In particolare sono stati utilizzati: • una rating scale (RS) per la raccolta di valutazioni esplicite sull’esperienza (per brevità, parleremo in seguito di “valutazione esplicita”); • un differenziale semantico (DS), secondo lo schema di Osgood, Suci e Tannenbaum (1957), orientato a catturare attribuzione di significati ed emozioni associati all’oggetto di valutazione (per brevità, parleremo in seguito di “connotazione”, intese come valutazioni implicite o indirette); • un focus group (Bloor, Frankland,Thomas, Robson, 2001) finale, volto a esplorare i vissuti
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che hanno giustificato le risposte alle misure precedenti e ad individuare un’ interpretazione socialmente condivisa delle motivazioni implicite. Sia la RS che il DS sono state costruite ad hoc in considerazione delle dimensioni interessate dalla ricerca; si è così proceduto alla verifica della struttura ipotizzata tramite l’analisi fattoriale delle componenti principali, (eighenvalue over 1, rotazione varimax) e all’analisi del livello di attendibilità (Cronbach’alpha) di ciascuna dimensione estratta1.
3. Contesto e procedura La ricerca è stata condotta all’interno di due circoli didattici di Quartu S.Elena, un comune in provincia di Cagliari, che da anni collaborano fra loro su progetti innovativi riguardanti la formazione e la didattica. Su un totale di 60 insegnanti, 13 hanno accettato volontariamente di partecipare alla sperimentazione, svolgendo il ruolo di tutee, cioè rendendosi disponibili a condividere la propria esperienza videoregistrata anche con altri soggetti che, svolgendo il ruolo di tutor, avrebbero comunicato loro le proprie video annotazioni. Il gruppo delle 13 insegnanti è risultato costituito solo da donne, per i tre quarti di un’età compresa tra i 35 e i 40 anni, con un’esperienza di insegnamento tra i 6 e i 10 anni, con laurea specialistica quinquennale e buona esperienza di formazione pregressa in ambito didattico.Tutte hanno, però, una modesta familiarizzazione tecnologica, con occasionale uso delle tecnologie in classe, senza aver mai usato video digitali. Le classi scelte per le lezioni videoregistrate sono di I - III elementare (bambini tra i 6-9 anni), con una numerosità media di circa 20 bambini per classe (M =20; SD=2), in un contesto socio culturale medio-basso, con inserimento di almeno un alunno/a con una forma di disabilità medio-grave per classe. La procedura si può riassumere in tre fasi: preliminare, sperimentale e finale. La fase preliminare, della durata di circa 20 giorni, ha preso avvio con alcuni incontri precedenti alla sperimentazione. Scopo degli incontri è stato quello di chiarire il senso complessivo della ricerca, precisare il ruolo dei diversi soggetti coinvolti e prepararli – anche tecnicamente – all’esperienza. Le azioni compiute in questa fase sono state: • somministrazione del DS e la della RS per acquisire le valutazioni degli insegnanti verso la formazione professionale face to face; • definizione di uno schema comune di lezione da tenere e degli obiettivi della stessa, in virtù dei quali i diversi tutor avrebbero potuto orientare i loro commenti; • scelta da parte di ogni soggetto sperimentatore (tutee) di un mentore di sua fiducia e abbinamento per sorteggio ad ogni tutee di un gruppo di tre insegnanti che avrebbero costituito la comunità di revisione. • prove tecnologiche volte alla familiarizzazione con il sistema di video annotazione e predisposizione di un supporto tecnico per eventuali necessità in itinere. Al termine di questa fase i tutee hanno concordato con i ricercatori i seguenti tempi e le caratteristiche della lezione oggetto della videoripresa: durata massima di circa 20 minuti, svolgimento in modalità dialogica su un nuovo argomento inerente il curriculum scolastico.
1 La RS nella sua versione finale risulta composta da 12 item (4 per dimensione) con un livello di attendibilità medio calcolato su tutte le somministrazioni superiore a .70 (utilità d’uso a=.84; attrattiva a=.74; facilità d’uso a=.78). Il DS risulta composto da 24 item, 8 item per ciascuna delle tre dimensioni guida della ricerca: con un livello di attendibilità medio calcolato su tutte le somministrazioni superiore al.70 (utilità d’uso a=.77; attrattiva a=.80; facilità d’uso a=.87).
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Si è anche stabilito e reso chiaro che le lezioni sarebbero state oggetto di ulteriori valutazioni da parte dei tutor previsti (mentore, comunità, esperto) in relazione alla chiarezza comunicativa, alla adeguatezza cognitiva ed alla capacità di gestione del clima della classe, senza tuttavia entrare a questo riguardo in ulteriori dettagli. Nel corso della fase sperimentale, della durata di circa 15 giorni, l’insegnante sperimentatore ha effettuato la lezione. Le lezioni di tutti gli insegnanti sono state video registrate utilizzando, per semplicità una telecamera fissa posta in fondo all’aula e focalizzata esclusivamente sull’insegnante. La stessa lezione video registrata è stata messa a disposizione, online, in spazi separati ai diversi soggetti che hanno dato vita all’esperienza: al tutee stesso (per la video annotazione personale), al mentore, alla comunità, all’esperto2. Ogni soggetto coinvolto è stato invitato ad inserire sul sistema di video annotazione i propri commenti in modo autonomo, senza conoscere le valutazioni degli altri (tranne la comunità, che ha lavorato congiuntamente). Lo strumento di video annotazione utilizzato per questo scopo è, per tutti,VideoAnt, una applicazione online di facile utilizzo, sviluppata dall’Università del Minnesota (http://ant.umn.edu/). Il tutee ha rivisto e video annotato immediatamente il proprio video ed ha espresso la sua valutazione su questa esperienza attraverso gli strumenti DS e RS. Ad una distanza temporale di due-tre giorni l’uno dall’altro il tutee ha poi ricevuto i diversi feed-back, cioè le altre video annotazioni: quella del mentore, della comunità, dell’esperto, secondo un ordine randomizzato da soggetto a soggetto. In ciascun caso, il tutee ha riesaminato il proprio video, focalizzando l’attenzione sui commenti inseriti dal tutor in questione; dopo ogni esperienza di feed-back, egli ha compilato gli strumenti DS e RS. La terza ed ultima fase, quella conclusiva, si è articolata nelle seguenti azioni: presentazione al gruppo sperimentale dei dati quantitativi e ipotesi risultanti, discussione per far emergere significati e interpretazioni, ulteriore discussione sulle motivazioni e sulla sintesi interpretativa emersa. L’intera procedura è sintetizzata nella Fig. 1.
Fig. 1. Schema sperimentazione
2 Il ruolo dell’esperto è stato svolto da uno dei tre autori che, non avendo partecipato direttamente all’esperienza sul campo, non era conosciuto personalmente dagli insegnanti.
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4. Risultati indagine qualitativa Il primo obiettivo dell’indagine era volto a comprendere il punto di vista degli insegnanti sulla video annotazione sperimentata nelle due condizioni, uso personale e uso con tutorship, in rapporto con le esperienze pregresse di formazione tradizionale in presenza (ipotesi iniziali 1 e 2). La tabella 1 mostra la distribuzione delle medie e delle deviazioni standard relative alle misure utilizzate per rilevare la valutazione esplicita (RS) risultante. Formazione
Video annotazione
Video annotazione
face to face
Personale
con tutorship
M
D.S.
M
D.S.
M
Utilità d’uso
2.63
.64
Attrattiva
4.11
.82
Facilità d’uso
3.33
.57
D.S.
3.46
.76
3.85
.99
3.65
1.14
3.04
1.14
3.10
.72
2.92
.69
Tab. 1 Media e deviazione standard delle variabili riferite alle diverse tipologie di formazione (valutazione esplicita) N = 13
Si può osservare un andamento opposto della dimensione utilità d’uso rispetto alle altre due. L’utilità d’uso si accentua nel passare dalla formazione face to face alla video annotazione personale, a quella con tutorship dove ottiene i valori più alti. All’opposto l’attrattiva e la facilità d’uso seguono l’ andamento contrario coi valori più alti nella formazione face to face. La tabella 2 mostra la sintesi dei dati descrittivi relativi alle dimensioni di utilità d’uso, attrattiva e facilità d’uso valutate attraverso il DS per le tre diverse tipologie di formazione messe a confronto. Formazione
Video annotazione
Video annotazione
face to face
Personale
con tutorship
M
D.S.
M
D.S.
M
D.S.
Utilità d’uso
5.74
.54
6.34
.35
6.02
1.32
Attrattiva
6.08
.97
5.92
.42
5.90
.99
Facilità d’uso
5.23
.89
5.55
.87
5.28
1.16
Tab.2 Media e deviazione standard delle variabili riferite alle diverse tipologie di formazione (connotazione) N = 13
È interessante osservare come la video annotazione personale ottenga qui sempre punteggi più alti rispetto a quella con tutorship per tutte e tre le dimensioni; dunque, rispetto alla valutazione esplicita (ottenuta con la RS), l’impiego di uno strumento più indiretto (DS) pare accentui i giudizi positivi nei confronti della autovalutazione, estesa anche sul piano dell’utilità d’uso. Altro obiettivo della ricerca era quello di approfondire, all’interno della video annotazione con tutorship, la percezione del livello di utilità d’uso, di attrattiva e di facilità d’uso delle tre forme diverse di tutorship (mentore, comunità, esperto) con una ipotesi preliminare circa la preferenza verso la soluzione comunità (terza ipotesi iniziale). La tabella sotto riporta i dati medi relativi alle misure dell’utilità d’uso, della attrattiva e della facilità d’uso utilizzate per rilevare la valutazione esplicita (RS) nelle tre condizioni di tutoring.
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Video annotazione
Video annotazione
con mentore
Video annotazione
con comunità
con esparto
M
D.S.
M
D.S.
M
D.S.
Utilità d’uso
3.85
2.07
2.96
.96
3.58
.90
Attrattiva
3.79
.72
3.60
.79
3.77
.71
Facilità d’uso
3.42
.68
3.27
.72
3.60
.57
Tab.3 Medie e deviazione standard delle variabili riferite alle diverse tipologie di tutorship (valutazione esplicita) N=13
Come si osserva nella tabella 3, i punteggi medi si collocano in prevalenza sul range medio-alto della scala Likert da 1 a 5 punti utilizzata per le risposte, delineando, quindi, una buona percezione delle variabili osservate nei tre tipi di video annotazione; solo nella condizione di video annotazione supportata dalla comunità i dati si abbassano rientrando nel range medio, specie in relazione alla dimensione dell’utilità e della facilità d’uso. L’analisi del DS, sul versante della connotazione (tab. 4), evidenzia di nuovo un generale abbassamento dei valori in corrispondenza dell’esperienza di video annotazione con comunità. Video annotazione
Video annotazione
Video annotazione
con mentore
con comunità
con esperto
M
D.S.
M
D.S.
M
D.S.
Utilità d’uso
6.03
1.14
5.80
1.58
6.21
1.23
Attrattiva
6.01
.73
5.57
1.41
6.10
.83
Facilità d’uso
5.27
.92
5.23
1.59
5.39
.96
Tab.4 Medie e deviazione standard delle variabili riferite alle diverse tipologie di tutorship (connotazione) N=13
I valori sono in linea con quanto emerso nella valutazione esplicita, evidenziando, complessivamente una percezione maggiormente positiva verso la video annotazione con esperto, seguita da quella con il mentore e, infine, dalla comunità. La tutorship del mentore e dell’esperto appaiano nella sostanza entrambe valutate e connotate positivamente, in particolare, le medie della dimensione dell’attrattiva e dell’utilità d’uso si collocano nel range medio alto del RS (3 - 4 della scala Likert a 5 punti) e nel range alto del DS (6 - 7 nella scala Likert a 7 punti); rimane una sostanziale incerta preferenza verso l’una o verso l’altra forma di tutorship.
5. Il focus group Allo scopo di comprendere in profondità atteggiamenti e inclinazioni delle 13 insegnanti che hanno preso parte alla sperimentazione, è stato condotto un focus group, mirato all’interpretazione dei risultati dell’indagine statistica, secondo gli usi evidenziati da Bloor, Frankland, Thomas e Robson, (2001) e la modalità esemplificata in letteratura psicosociale (Kinzinger, 1994;Waterton,Wynne, 1999). Nel corso dell’incontro sono stati presentati dapprima i risultati quantitativi ottenuti e, a partire da questi, si è avviata con i partecipanti una discussione volta a farne emergere il significato. Il focus group ha permesso di rilevare alcune rappresentazioni fondamentali in riferimento alla metodologia della video annotazione in
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sé ed alla valutazione delle diverse forme di tutorship sperimentate. Il primo importante elemento emerso riguarda la maggiore utilità attribuita alla video annotazione rispetto alla formazione tradizionale. Dal materiale analizzato si evince come l’esperienza di video annotazione venga valutata da tutte le insegnanti coinvolte, nel complesso, positiva e utile. Le insegnanti hanno convenuto nel definire la video annotazione come una tecnica, più che utile, “incisiva”, sottolineando i suoi diretti rimandi al comportamento di insegnamento e ad aspetti specifici legati all’articolazione della lezione e dell’interazione con la classe. Emblematica di questo significato condiviso è l’affermazione seguente: “… mi è servita per rivedermi, per valutare ogni eventuale passaggio durante la spiegazione della lezione, è stata incisiva perché ha agito su aspetti specifici, ora posso valutare dove e se cambiare qualche atteggiamento”. Nonostante sia emersa così una certa consapevolezza dell’utilità d’uso della video annotazione, solo quattro delle insegnanti hanno dichiarato di preferirla, in maniera assoluta, alla formazione face to face. Le altre hanno, invece, ammesso un certo atteggiamento di resistenza e di scarsa fiducia in questo metodo, attribuendolo alla scarsa conoscenza e familiarità con tecnologie non appartenenti all’esperienza ed al bagaglio di formazione personale. Si manifesta quindi, un secondo importante elemento, riconducibile alla ridotta attrattiva attribuita alla video annotazione ben sintetizzato dalla seguente affermazione: “.. io non sono stata completamente me stessa, perché avevo paura ….dico la verità, non ero “vera”, perché l’esperienza era del tutto nuova, ci dovremmo prima abituare ad avere questo strumento in classe e farlo per un po’ di tempo senza che nessuno ci possa dire niente sul nostro lavoro …”. Complessivamente c’è un sostanziale accordo sul fatto che questa pratica debba essere vista ad integrazione di altre tipologie di formazione, come testimoniato da questa affermazione: “La video annotazione è efficace, ma non in sostituzione alla formazione tradizionale, non può essere il fondamento nel curriculum... va bene in affiancamento, indubbiamente la formazione tradizionale appoggiata ad una formazione di questo tipo ci guadagna…”. Un altro elemento riscontrato riguarda la difficoltà di gestione del processo, in particolare se accompagnato da tutorship. La maggior parte delle insegnanti dichiara di ritenere questa modalità poco sostenibile rispetto ad altre modalità. In particolare due partecipanti suggeriscono l’idea che si possano avere gli stessi benefici della video annotazione con tutorship in modo più economico e spontaneo, coltivando maggiormente la quotidiana e informale condivisione tra colleghi sulle proprie attività di insegnamento. Oltre alle tradizionali problematiche della formazione in servizio, quali ad esempio la difficoltà ad individuare il tempo, vengono qui indicate anche difficoltà logistiche legate alla mancanza di aule attrezzate per la videoripresa, la scarsa spontaneità della situazione (inibizione delle insegnanti e degli alunni di fronte alla telecamera), timori per la tutela della privacy relativamente ai video inseriti in rete (seppure in uno spazio protetto). Il dibattito sulle tipologie di tutorship, poi, conferma nella sostanza i dati quantitativi. Tra le diverse modalità è la comunità ad essere complessivamente giudicata come la meno idonea. La maggior parte delle insegnanti ha percepito il supporto della comunità associato alla video annotazione come dispersivo, poco coerente e scarsamente significativo. In generale non piace l’idea di ricevere o dover “esprimere un giudizio su una collega…”. Solo tre insegnanti sono disposte a riconoscere che un confronto tra pari sia un’utile forma di riflessione e apertura verso differenti punti di vista, anche se si lamenta l’esigenza di una maggiore “condivisione sui criteri di osservazione” “…e analisi” come pure, per altri versi, la mancanza di una specifica formazione delle insegnanti all’uso di una comunicazione incisiva ed efficace per essere effettivamente da supporto. Se l’idea di affidare il giudizio ad una comunità di pari non è piaciuta, il giudizio sulle altre due modalità: quella del mentore e quella dell’esperto esterno, rilevano una netta spaccatura nel gruppo. Circa la metà delle insegnanti considera preferibile il supporto di un
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mentore, in quanto testimone privilegiato della competenza effettiva dell’insegnante/tutee e migliore conoscitore del contesto specifico di riferimento. Questo punto di vista è ben riassunto dalla seguente dichiarazione: “…..la conoscenza del tutee conta molto, perché il video ti da un’idea a volte distorta della realtà, se conosci la persona la valuti in base alla sua personalità, quindi è più sostenibile l’utilizzo della video annotazione con un mentore, è utile, infatti, che chi osserva conosca bene gli alunni, le dinamiche della classe, o se ci sono e come sono gli alunni che hanno dei problemi... l’esperto rischia di interpretare il contesto in modo sbagliato”. L’altra metà, invece, caldeggia per un supporto esterno adducendo motivazioni opposte, ovvero, che proprio perché totalmente estraneo al contesto specifico e detentore di strumenti conoscitivi diversi, il giudizio dell’esperto assume una valenza più importante ed utile: “… nella video annotazione del mentore siamo portati a pensare che i suoi giudizi siano dettati dal fatto che ci conosce, è più confidenziale, ma, il fatto che qualcuno non mi conosca per niente, e che comunque sia un esperto della formazione degli insegnanti, rende il suo giudizio più oggettivo, allora do più valore e attenzione a quello che dice e quindi rifletto maggiormente, se dovessimo fare una scala, quest’ultimo è il più importante”. Dall’analisi delle interazioni del focus group emergono infine anche riflessioni sui problemi e i vincoli che, l’uso de video annotazione, pone soprattutto a livello emotivo. La maggioranza ha sottolineato la difficoltà di essere oggetto di valutazione e quattro insegnanti hanno esplicitamente ammesso di aver provato sentimenti riconducibili all’ansia, all’imbarazzo, alla paura ed alla difficoltà. Il complesso intreccio di tensioni psicologiche è, in questo senso, ben sintetizzato dalla seguente affermazione: “l’esperienza è stata forte a causa della paura e della difficoltà che ognuno di noi ha, ed io per prima, di essere appunto valutata …ripensandoci, ogni volta che ho trovato una annotazione che non è stata di mio gradimento, mi sono resa conto che il primo impatto è stato forte… perché si cercano più conferme dagli altri, laddove il commento mi ha spiazzato, sulle prime ho sentito un po’ di ostilità”.
6. Discussione Il risultato relativo alla preferenza per la video annotazione a confronto con la formazione face to face sul piano dell’utilità, intesa come capacità di incidere sui comportamenti operativi degli insegnanti, è un dato che va a conferma delle evidenze riportate sia nella letteratura sulla video analisi in generale (Santagata, 2005) che in quella più specifica che si sofferma sull’efficacia della video annotazione (Bryan, Recesso, 2006): le insegnanti apprezzano esplicitamente l’affordance tecnica della video annotazione, rappresentata essenzialmente dall’ancoraggio del commento al momento particolare del video e la sua incisività. La maggiore disponibilità degli insegnanti a ricevere un feed-back ed interagire con esperti remoti, rispetto alla condivisione con i pari, può essere considerato un segnale incoraggiante per future sperimentazioni in cui il comportamento didattico in classe possa essere anche seguito e supportato da remoto, da parte di centri ed osservatori specializzati. Se in buona parte, l’interazione con dei tutor-osservatori esterni viene riconosciuta utile e incisiva, la disposizione ad accoglierla appare tuttavia condizionata dalla percezione del rischio insito nella dinamica che si viene a creare nel particolare sistema di comunicazione mediata. Diversi dati della ricerca convergono in tale direzione. La maggiore attrattiva e facilità d’uso attribuita alla formazione face to face, la non netta preferenza per la video annotazione con tutorship rispetto a quella personale e un discreto apprezzamento anche per la soluzione del mentore, nonché le stesse dichiarazioni raccolte nel focus group parlano a favore dell’esistenza di preoccupazioni più generali legate alla difesa della propria autostima ed al rischio di esporre la propria attività al giudizio esterno, in linea con teorie classiche sulla dinamica dell’ansia e
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dei meccanismi di difesa connessi al giudizio da parte degli altri (Sullivan, 1970; Rogers, 1951). Il setting tecnologico specifico rappresentato da una comunicazione asincrona e scritta, non negoziabile in modo immediato, con scarsa chiarezza di regole condivise tra interlocutori, impossibilità, può aver reso ancor più problematica la gestione di queste dinamiche accentuando fattori di ansietà, aspetto presente nella comunicazione mediata da computer (Harasim, 1990; Tu, 2000; Lobry de Bruyn, 2004). Il riconoscimento dell’utilità attribuita alla video annotazione accanto ad un’attribuzione più positiva all’ uso personale (ed in parte anche alla soluzione mentore) sono spiegabili allora come il tentativo di trovare un compromesso tra due istanze di segno opposto, da un lato quella di riconoscere il carattere oggettivamente pungolante della tecnologia, e dall’altro quella di mitigare il rischio derivante da un’esposizione pubblica del proprio comportamento didattico, soluzione culturalmente non del tutto accettata, in quanto percepita come possibile fonte di rischio per la tutela della propria autostima personale. Il fatto che la tutorship della comunità a supporto della video annotazione, contrariamente all’ipotesi avanzata appaia alle insegnanti complessivamente la soluzione meno preferibile rispetto alle altre due opzioni, invita ad una maggiore cautela verso orientamenti e pratiche che oggi vanno per la maggiore. Come noto, in rapporto all’evoluzione del Web 2.0 l’enfasi sulla partecipazione, condivisione e costruzione collaborativa di conoscenza nelle comunità professionali online rappresenta una sorta di trend crescente ed anche la letteratura sulla video analisi sottolinea l’utilità e l’efficacia del confronto comunitario (Knoll, Stigler, 1999; Jacobs, Kawanaka, Stigler, 1999, Putnam, Borko, 2000; Wilson, Berne, 1999). Va, d’altro canto, detto che ci sono anche autori che già hanno sottolineato possibili criticità, ad esempio legate all’insorgere di sentimenti negativi, qualora gli insegnanti, appartenenti alla stessa comunità, non riscontrino all’interno del gruppo di colleghi efficaci esempi di didattica o alternative di insegnamento valide rispetto ai personali standard (Santagata, 2005). Oltre a ciò un uso condiviso della tecnologia comporta comunque una maggiore complessità che si ripercuote in un corrispondente maggiore dispendio di tempo ed energie, come già riscontrato da Krammer et Al. (2006).
7. Conclusioni La presente ricerca si è proposta di studiare il punto di vista degli insegnanti nei confronti di un’innovazione tecnologica introdotta nel processo formativo, rappresentata dall’utilizzo della video annotazione inserita in un contesto di tutorship. I dati raccolti ed analizzati hanno evidenziato come la pratica della video annotazione venga percepita sostanzialmente come più utile della formazione face to face, perché più incisiva sul comportamento didattico, ma all’opposto meno attrattiva e meno facile da utilizzare nella pratica quotidiana degli insegnanti in servizio. Tra le tre forme di tutorship ipotizzabili ad accompagnamento della video annotazione, considerate nella sperimentazione (mentore di fiducia, comunità dei colleghi, esperto remoto) inaspettatamente la soluzione rappresentata dalla comunità di colleghi appare nel complesso la meno desiderabile; questo dato solleva perplessità circa la trasferibilità di questa pratica nei contesti di condivisione delle comunità professionali online, dato in controtendenza rispetto al forte interesse per in questa direzione all’interno della filosofia dell’apprendimento collaborativo e del Web 2.0. Nell’ambito della video annotazione rimane preferito un uso del tutto personale, mentre tra le diverse tipologie di tutorship c’è una forte considerazione verso la soluzione rappre-
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sentata da un mentore ben conosciuto, dati che esprimono la presenza di meccanismi volti a tutela della propria autostima personale e a ridurre i rischi connessi all’esposizione; gli insegnanti riconoscono esplicitamente il valore dell’innovazione tecnologica e sono anche disponibili per soluzioni di osservazione e interazione personale a distanza con tutor estranei esperti, ma in generale manifestano una evidente preoccupazione per i commenti che ricevono e prediligono soluzioni che non rendono pubblicamente visibile il proprio comportamento didattico interno alla classe. È comunque doveroso ricordare che le dimensioni ridotte del gruppo sperimentale, dovute anche alla difficoltà ed onerosità nella realizzazione di questo tipo di esperienza di ricerca, rappresentano i limiti principali del lavoro. Oltre a questo è da valutare con maggiore attenzione il possesso di competenze tecnologiche e la familiarità con l’uso dei video che, nel caso delle nostre insegnanti erano particolarmente limitate, e che possono giocare un qualche ruolo nella valutazione dell’esperienza. Ricerche precedenti hanno mostrato che gli insegnanti con poca o nessuna esperienza di osservazione di video propri o altrui tendono a non trarre tante rilevazioni o idee dalla visione del video di classe, mentre invece, gli insegnanti con esperienza pregressa di video analisi possono beneficiare maggiormente di interventi formativi con i video e di conseguenza mostrare di apprezzarli maggiormente non solo in termini di utilità, ma anche di facilità d’uso (Atkins, 1998: Friel, Carboni, 2000; Krajcik et al., 1996; Rosaen et al., 2002). Una buona familiarità con questi strumenti avrebbe potuto probabilmente aumentare il livello di attrattiva della procedura. Ulteriori indagini dovranno quindi chiarire come percorsi di preparazione più lunghi ed accurati ed una maggiore familiarizzazione con le tecnologie in gioco, possano facilitare il processo e attenuare i fattori di ansietà specificatamente connessi all’interazione tecnologica asincrona. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio quali siano le problematiche di ordine culturale e psicologico-emotivo che accompagnano i processi di innovazione tecnologica e, in particolare, su quali accorgimenti possano accompagnare la diffusione su larga scala di un’esperienza, come quella dell’uso dei video per lo sviluppo della professionalità docente, che la nostra esperienza indica, in linea con la letteratura internazionale, essere efficace.
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Ricerche
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Valutare il piacere nelle attività motorie: il PACES-It Assessing enjoyment of physical activity: the PACES-It ATTILIO CARRARO Il piacere è una delle principali ragioni per cui gli individui si impegnano nelle attività motorie. Piacere e motivazione intrinseca sono strettamente correlati: esperienze piacevoli durante l’attività motoria accrescono la motivazione intrinseca, sviluppano attitudini positive e promuovono l’aderenza a lungo termine alla pratica. Nonostante questo, è stato condotto solo un numero limitato di ricerche per sviluppare specifici strumenti di valutazione, una importante eccezione è rappresentata dalla Physical Activity Enjoyment Scale (PACES) proposta da Kendzierski e De Carlo nel 1991 e rivista da Motl et al. nel 2001. Le finalità di questo lavoro sono discutere il ruolo del divertimento e del piacere nelle attività motorie e sportive e presentare la struttura della versione Italiana della Physical Activity Enjoyment Scale (PACES-It, Carraro, Young e Robazza, 2008).Vengono inoltre date alcune esemplificazioni di impiego dello strumento in diversi contesti.
Enjoyment is one of the main determinant of physical activity. Enjoyment and intrinsic motivation are strictly related: enjoyable experiences during physical activity increase intrinsic motivation, sustain positive attitudes and promote longterm adherence to the practice. In spite of this fact, only few studies focused on developing specific assessment instruments. A notable exception is the Physical Activity Enjoyment Scale (PACES) originally developed by Kendzierski and De Carlo in 1991 and revised by Motl et al. in 2001. The aims of this paper are to discuss the role of fun and enjoyment in physical activity and sport and to present the structure of the Italian version of PACES (PACES-It, Carraro, Young & Robazza, 2008). Moreover, information on the use of the instrument in different contexts are discussed.
Parole chiave: attività motoria, divertimento, piacere, motivazione, sport.
Key words: enjoyment, fun, motivation, physical activity, sport.
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Il piacere nelle attività motorie La pratica regolare di attività fisica è riconosciuta in moltissimi documenti come un fondamentale elemento per la promozione e il mantenimento della salute, fisica e psicologica, in tutte le età della vita (Chou, Hwang, Wu, 2012; Strong et al., 2005; Wanner et al., 2012; WHO, 2004). Nonostante questo, la maggiore parte degli individui nei paesi industrializzati non raggiunge i livelli minimi raccomandati di attività fisica (150 minuti/settimana per gli adulti, 300 minuti/settimana per i bambini, ACSM, 1998; Centers for Disease Control and Prevention, 2006), non si impegna con costanza in attività fisiche e adotta sempre più frequentemente comportamenti sedentari. Il divertimento e il piacere (fun ed enjoyment nella tradizione culturale anglosassone a cui si riferisce la maggior parte della letteratura su questo argomento) sono tra le principali ragioni per cui gli individui, a tutte le età, si impegnano nelle attività motorie e sportive, mentre la mancanza di piacere porta frequentemente ad una partecipazione saltuaria o all’abbandono (Garn, Cothran, 2006; O’Reilly,Tompkins, Gallant, 2001). Le attività motorie, e il gioco motorio in particolare, generano nell’individuo sensazioni di grande piacere e!" " gradevolezza e, specialmente nei bambini più piccoli, il movimento produce gratificazioni o che non hanno pari in nessun’altra attività. Revisionando la letteratura sull’enjoyment, Scanlan e Simons (1992)odefiniscono l’enjoyment nello sport come “una risposta affettiva positiva verso l’esperienza sportiva che riflette sen, timenti generalizzati come il piacere, la simpatia e il divertimento”. Gli autori continuano:, “questo costrutto è più differenziato rispetto all’affetto globale positivo, ma più generale di una specifica emozione, come l’eccitazione” (pp. 202-203). Il divertimento nelle attività fisiche e nello sport è un costrutto pervasivo che dovrebbe essere studiato in una prospettiva multidimensionale in cui possono essere distinti due ambiti strettamente interdipendenti l’uno dall’altro, il divertimento “orientato al successo” e il divertimento “non-orientato al successo”, e due dimensioni una intrinseca, l’altra “estrinseca” (vedi Figura 1).
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Figura 1. Un modello multidimensionale del divertimento nello sport (adattato da Scanlan e Lewthwaite, 1986) 1
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La dimensione intrinseca di divertimento orientato al successo è legata alla percezione e di competenza e di controllo nel movimento, alla maestria e alle abilità percepite direttamente dall’individuo durante le attività. Il piacere deriva dalla pereczione che il soggetto ha dei propri movimenti: “mi diverto perché sento di essere bravo”. ) ;
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La dimensione estrinseca di divertimento orientato al successo dipende dalla percezione di competenza e controllo che deriva da altre persone; il piacere viene dalla positiva valutazione dei compagni, dalle lodi dell’insegnante, dagli elogi dell’allenatore o dei genitori: “mi piace perché l’allenatore mi dice che sono bravo”. La dimensione intrinseca di divertimento non-orientato al successo è legata alla percezione dei movimenti e dell’attività fisica in sé, alle sensazioni, alle tensioni, al gusto per la fatica, all’eccitazione, al piacere per la competizione: “mi piace perché il mio corpo si sente bene” oppure, “mi piace perché si provano emozioni forti”. Infine, la dimensione estrinseca di divertimento non-orientato al successo dipende da elementi non direttamente legati alla performance motoria, come l’affiliazione con i pari e una positiva interazione con l’allenatore o con l’insegnante: “mi piace perché sto bene con gli altri” (Garn, Cothran, 2006). Scanlan e Lewthwaite (1986) sottolineano quattro elementi chiave in materia di piacere nelle attività motorie e sportive: 1) è importante comprendere il significato delle emozioni positive (principalmente il piacere e il divertimento) quando si considera la motivazione individuale nelle attività motorie e nello sport; 2) ci sono diversi elementi che possono rendere lo sport e l’attività motoria piacevoli e questi possono variare secondo le caratteristiche di ciascun individuo (ad esempio amicizie, esperienze, abilità percepita, il riconoscimento da parte degli altri, la sensazione fisica del movimento). Per questo è importante che nelle situazioni di movimento venga sempre resa accessibile un’ampia varietà di elementi in modo da garantire un’esperienza motoria piacevole al più grande numero possibile di persone; 3) tanto i fattori intrinseci, quanto i fattori estrinseci di divertimento orientato al successo possono risultare piacevoli. Un individuo potrebbe ugualmente trovare piacevole il sentirsi competente nello svolgimento del compito (il che equivale ad essere intrinsecamente motivato) o il vedere riconosciuta la sua prestazione, in termini di approvazione ed elogi, da una fonte esterna (il che equivale ad essere estrinsecamente motivato); 4) i fattori non orientati al successo nelle attività motorie e nello sport, come il socializzare con i compagni, possono aumentare la motivazione, il piacere e la realizzazione individuale. Nella letteratura internazionale si sottolinea come studenti ed insegnanti collochino il piacere tra i principali obiettivi per l’educazione fisica (O’Reilly, Tompkins, Gallant, 2001; Supaporn, Griffin, 1998), allo stesso modo il piacere sembra essere un fattore determinante nella pratica dello sport e, più in generale, nella partecipazione regolare ad attività fisiche ricreative, per giovani, adulti ed anziani (Frederick, Morrison, Manning, 1996; Hashim, Grove, Whipp, 2008; De Gracia, Marcò, 2000). Nonostante questo, il piacere rimane un elemento scarsamente considerato nelle ricerche che riguardano le relazioni tra attività fisica e salute, dove vi viene dedicata solo un’attenzione marginale. In Italia, in particolare, lo studio di dimensioni legate al divertimento e al piacere nello sport e nelle attività motorie è rimasto sino a pochissimo tempo fa pressoché ignorato e solo negli ultimi anni si è iniziato ad includere questo aspetto in ricerche che riguardano soprattutto l’educazione fisica, ma anche la pratica sportiva giovanile e il mondo del fitness. Per promuovere la pratica delle attività motorie e per migliorare i servizi esistenti è necessario comprendere i motivi che portano le persone ad impegnarsi regolarmente nell’attività fisica, superando la dimensione tipica della prescrizione di esercizio fondata sulla medicalizzazione, sull’eccessiva tecnicizzazione dell’attività motoria e su meccanismi collegati alla paura: “devi fare esercizio fisico perché altrimenti ti ammali”. Studiare le determinanti dei processi decisionali e il ruolo che il divertimento e il piacere giocano nell’assunzione e
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nel mantenimento di uno stile di vita attivo rappresenta un elemento fondamentale per la progettazione di azioni volte a promuovere la pratica regolare di attività motorie negli individui. Diversi autori (Deci, Ryan, 1985; Pelletier et al., 1995) sottolineano come vi sia una stretta connessione tra piacere e motivazione intrinseca, quasi come i due costrutti fossero tra di loro intercambiabili. Ci si aspetta che esperienze piacevoli durante l’attività motoria accrescano la motivazione intrinseca, sviluppino attitudini positive e promuovano l’aderenza a lungo termine alla pratica.
2. Valutare il piacere nelle attività motorie Nonostante il piacere sia una delle principali determinanti delle attività motorie, è stato condotto solo un numero molto limitato di ricerche per sviluppare specifici strumenti di valutazione. Una importante eccezione è rappresentata dalla Physical Activity Enjoyment Scale (PACES), sviluppata da Kendzierski e De Carlo nel 1991 e rivista da Motl et al. nel 2001. La scala supera i limiti posti da altri strumenti, per lo più costituiti da singoli item con scarsa affidabilità, e permette di distinguere tra l’esperienza di esercizio svolta in condizioni piacevoli rispetto a quella in condizioni spiacevoli. Kendzierski e De Carlo (1991) condussero originalmente due studi di validazione sul PACES dimostrandone l’affidabilità e la validità, la versione originale della scala era formata da 18 item con risposte su scala bipolare a 7 punti. La scala si proponeva di valutare in maniera generale il grado con cui un individuo gradiva praticare qualsiasi tipo di attività fisica. Motl et al. (2001), con uno studio su un campione costituito da 1797 ragazze di scuola secondaria, fornirono evidenze per la validità fattoriale di una versione rivisitata del PACES. La nuova versione è costituita da 16 item con punteggi dati su una scala di Likert a 5 punti, da 1 (completamente in disaccordo) a 5 (completamente d’accordo). Lo stem per ciascun item è: “Quando pratico attività fisica …”. Nove item sono positivi: “Mi diverto”, “Lo trovo piacevole”, “Mi dà energia”, “È molto piacevole”, “Il mio corpo si sente bene”, “Ottengo qualcosa”, “È molto eccitante”, “Mi dà una forte sensazione di successo”, “Mi fa sentire bene”. Sette item hanno una direzione negativa “Mi annoio”, “Non mi piace”, “Non mi diverto per niente”, “Mi fa sentire depresso”, “Mi dà frustrazione”, “Non è per niente interessante”, “Mi sento come se preferissi fare qualcos’altro”. Un elevato punteggio nella scala positiva ed un basso punteggio in quella negativa indicano un alto piacere nell’attività fisica. Può essere calcolato anche un punteggio totale, rovesciando i punteggi degli item negativi e sommandoli a quelli positivi, con questa procedura il punteggio totale del PACES può variare tra 16 e 80 punti. La validità e la consistenza del PACES sono state testate in diversi studi: con bambini e adolescenti (Carraro,Young, Robazza, 2008; Dishman et alii, 2005; Dunton, Tscherne, Rodriguez, 2009; Moore et al., 2009; Motl et alii, 2001; Paxton et al., 2008), con adulti (Carraro, Ferri, Gobbi, Benvenuti, 2011) e con anziani (De Gracia, Marcò, 2000). In tutti questi studi lo strumento ha sempre dimostrato buone affidabilità e validità.
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3. Il PACES-It Il PACES è stato tradotto e validato in Italiano (PACES-It) nel 2008, lo studio di validazione dello strumento (Carraro,Young & Robazza, 2008) coinvolse 5934 studenti (3079 ragazze e 2855 ragazzi) di scuole secondarie di primo e secondo grado del Veneto, con età compresa tra 11 e 19 anni. L’analisi, condotta per i sottogruppi di età di ragazze e ragazzi (11-12, 1314, 15-16 e 17-18-19 anni), confermò la struttura fattoriale e l’affidabilità del PACES anche nella versione in lingua Italiana, con indici di adattamento GFI, AGFI e CFI uguali o superiori a 0,90 e con RMSEA < 0,10. Anche la consistenza interna, tanto della sottoscala positiva, quanto di quella negativa, si dimostrò buona, con valori di alfa di Cronbach compresi tra 0,78 e 0,89. Il momento di correlazione di Pearson tra le due sottoscale per l’intero campione era r = - 0,67. Nello studio di Carraro, Young e Robazza (2008), che rimane quello più ampio sinora condotto con il PACES, erano state inoltre analizzate mediante una MANOVA 2 (genere) x 4 (gruppi di età) le differenze per genere ed età sul punteggio totale delle sottoscale positiva e negativa. I risultati fecero emergere differenze significative sia per genere (p < .001), che per età (p < .001) e per le interazioni genere x età (p < .001). Le ragazze, confrontate con i ragazzi, riportarono punteggi medi più bassi nella sottoscala positiva e più alti in quella negativa, con un trend stabile nei diversi gruppi di età. Si notò inoltre come la media dei punteggi nella sottoscala positiva diminuisse con l’aumentare dell’età in ragazzi e ragazze, mentre aumentasse quella dei punteggi negativi. Da un punto di vista applicativo, la disponibilità di uno strumento per la misura del piacere nelle attività motorie e sportive può permettere agli insegnanti di valutare l’efficacia delle loro strategie di insegnamento, particolarmente quando queste sono finalizzate ad aumentare la partecipazione attiva e la motivazione degli studenti. Gli insegnanti di educazione motoria e di educazione fisica possono incontrare difficoltà nell’adattare le loro proposte di insegnamento alle diverse classi, incontrando resistenze legate alle esperienze pregresse degli allievi, alle loro abitudini, alla composizione per genere del gruppo classe e al forte impoverimento delle abilità dovuto alla progressiva diffusione della sedentarietà. Poter valutare semplicemente e rapidamente una dimensione psicologica ed emotiva come il piacere può aiutare a modificare i contenuti e la struttura delle attività didattiche adattandole ai bisogni e alle aspettative degli allievi. Inoltre, in un contesto extrascolastico, la valutazione del piacere può portare ad aumentare indirettamente la conoscenza delle cause che portano gli individui a praticare attività motorie e sportive nel loro tempo libero. Il PACES-It sembra essere apprezzato dagli insegnanti di educazione fisica e motoria che hanno avuto modo di conoscere lo strumento. Il PACES-It viene utilizzato da gruppi di insegnanti della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, sia per la valutazione del gradimento di attività curricolari, ovvero di specifiche unità di insegnamento/apprendimento, sia per indagare gli effetti di particolari progetti didattici, soprattutto di quelli legati all’avviamento allo sport e alla promozione dell’attività fisica nel tempo libero. Inoltre, sempre nell’ambito dell’educazione fisica e motoria, il questionario viene impiegato in progetti scolastici regionali e nazionali (progetto della Regione del Veneto “Più sport @ scuola”, progetto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del CONI “Alfabetizzazione motoria”). Il PACES-It è stato utilizzato anche in progetti di ricerca riguardanti adolescenti ed adulti. Scarpa, Gobbi, Nart e Carraro (in stampa) hanno svolto uno studio per indagare le relazioni tra la vittimizzazione tra pari e il piacere provato nelle attività motorie in un gruppo di 395 adolescenti (219 ragazzi e 176 ragazze) di 12 e 13 anni di età (M = 12.2), osservando
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un influenza negativa della vittimizzazione tra pari (misurata attraverso la versione Italiana della Multidimensional Peer-Victimization Scale, Carraro, Scarpa, Paggiaro e Ventura, 2011) sul piacere. Carraro, Ferri, Gobbi e Benvenuti (2011) hanno utilizzato una versione adattata a 12 item del PACES-It per valutare il piacere provato nell’esercizio aerobico svolto con tre differenti macchine per il cardio fitness prodotte da una ditta specializzata (treadmill, ellittica e vario) da un gruppo di 41 volontari (12 uomini e 29 donne, età media 25.6 anni). I risultati dello studio hanno evidenziato come, nonostante l’esercizio aerobico venga considerato nell’ambito del fitness essenzialmente in termini di vantaggiosità della spesa energetica, la struttura del movimento condizioni il piacere provato e come questo sia una determinante fondamentale per la motivazione ad aderire a programmi a lungo termine. Da ultimo, sembra importante segnalare come il PACES-It venga impiegato anche in contesti clinici per studiare l’influenza del piacere nella pratica motoria di gruppi di popolazione speciali, in particolare persone con cardiopatie, con problemi metabolici e con disturbi psichiatrici. Comprendere le ragioni del piacere nelle attività motorie e le relazioni tra il piacere e altre variabili psicologiche potrebbe aiutare i ricercatori ad elaborare strategie di intervento sempre più efficaci che tengano conto delle diverse caratteristiche ed esigenze degli individui.
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Ricerche
Valutazione delle competenze
Competenze: sistemi in dialogo Skills: dialoguing systems
FEDERICO BATINI Il contributo presenta una ricerca azione tesa ad indagare quali possano essere pratiche e linguaggi comuni necessari a consentire la transizione da un sistema all’altro dei soggetti in apprendimento, all’interno di un percorso di formazione per docenti del sistema dell’istruzione, dell’IDA (istruzione degli adulti), della formazione professionale. La ricercaazione si è svolta all’’interno di un progetto teso a sviluppare modalità di valutazione delle competenze (con ovvia retroazione su una didattica coerente). L’azione formativa si è svolta in più zone della Provincia di Grosseto (progetto Cer.co). Il progetto, realizzato attraverso la particolare modalità formativa dei circoli di studio, in cui agli incontri con esperti si alternano momenti di scambio ed autoformazione ha valorizzato lo scambio intragruppo ed intergruppo tra i docenti dei differenti sistemi sino a condividere modalità e capacità di progettare la didattica e gli strumenti di valutazione per competenze. L’esito è stato quello dell’avvio di un alfabeto e una strumentazione comuni, sul territorio, tali da consentire una maggiore leggibilità e permeabilità dei sistemi tra loro.
This paper presents a research activity aimed to investigate what common languages and practices may be necessary to enable the learners to perform the transition from one system to another in the field of training courses for education systems, AE (adult education), vocational training teachers.The research/action was carried out as a part of an internal project aimed at enhancing the development of appraisal skills (with an obvious feedback on the teaching), which took place in several areas of the Province of Grosseto (project Cer.co). The project was undertaken in a particular mode of formation called study circles, where meetings with experts alternate with moments of exchange and self-training. Thanks to that, it has enhanced intra-and inter-exchange between teachers of different educational systems up to sharing know-how and ability to design and project teaching and skills assessment tools. The outcome has been a common alphabet and instrumentation on the territory, enabling a greater permeability among different systems.
Parole chiave: competenze di base, ricerca azione, programmazione, progettazione, valutazione, istruzione, formazione e lavoro
Key words: basic skills, action research, planning, design, assessment, education, training and employment
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare. (Albert Einstein)
1. Introduzione Le competenze costituiscono, senza dubbio uno dei costrutti più pervasivi, un “concettovaligia” all’interno del quale si sono succedute centinaia di definizioni e di sguardi, ora “apocalittici”, ora “integrati” (Le Boterf, 1990; 2008; Pellerey, 2004)1. Come è noto con differenti velocità e con lentezze burocratiche i differenti sistemi di istruzione e formazione si stanno adeguando alle richieste dell’Unione Europea e dei ns. Ministeri in ordine alla ridefinizione dei risultati attesi di apprendimento (Galliani, Zaggia, a cura di, 2011) in termini di competenze (seppure non sia affatto scontato che se ne sia compresa la complessità e l’articolazione multireferenziale). Il processo di adeguamento sta avvenendo ora con approccio top-down (è il caso del noto decreto ministeriale 139 del 22 agosto 2007 con l’introduzione delle sedici competenze di base e delle otto competenze chiave nel sistema di istruzione di secondo grado2) ora bottom-up (come le decine e decine di sperimentazioni avvenute in singoli istituti di istruzione o la sperimentazione più massiva avviata da alcune Amministrazioni Provinciali o Regionali). Il problema si è posto con maggior forza e cogenza negli snodi in cui i sistemi entrano in dialogo (è il caso delle certificazioni di competenza a sedici anni per i ragazzi/e laddove decidano di transitare dal sistema di istruzione a quello della formazione professionale, è il caso dell’IDA, è il caso del tanto contestato “test di conoscenza della lingua italiana per stranieri”), situazioni nelle quali la reciproca comprensione, la leggibilità, la trasparenza di obiettivi, didattiche e valutazioni tra differenti sistemi appare imprescindibile. Si è creduto pertanto di rintracciare, all’interno di questo progetto di ricerca-azione formativa, nelle competenze un costrutto che costituisca un valido supporto, seppur provvisorio e perfettibile, seppur non scevro da problemi ancora aperti (Batini, Gadotti, Mayo, Reggio, Surian, 2008; Batini, Del Sarto, Perchiazzi, 2007), al dialogo tra sistemi e tra i sistemi e i soggetti che li abitano e di rispondere così a un problema professionale evidenziato dai docenti (come si valutano le competenze?) allargando la questione sino ad investire la ridefinizione degli obiettivi in termini di risultati di apprendimento (espressi anche tramite il costrutto delle competenze) e, di conseguenza, la didattica, nel precipuo interesse di tutti i discenti.
1 L’espressione fa riferimento al titolo di un noto saggio di Umberto Eco (Eco U., 1964, Apocalittici e integrati: comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano, Bompiani) e indica, appunto, come vi sia stata, almeno inizialmente, una divisione tra coloro che hanno sostenuto le competenze in modo molto forte, vedendo in quel costrutto il superamento di una serie di mali endemici e, probabilmente, assegnandogli un “potere” che non avevano e altri che invece le hanno demonizzate, spesso mal interpretandole, vedendo, specie nel sistema di istruzione, nelle competenze medesime una sorta di “genuflessione” della scuola al mondo del lavoro e della produzione (da notare come in Italia a questo equivoco abbiano contribuito, inconsapevolmente, attori e rappresentanti dei comparti produttivi che hanno ritenuto di poter “indicare” alla scuola, le competenze obiettivo). Il problema, seppur non del tutto risolto, è oggi fortemente attenuato e le posizioni, da una parte e dall’altra, paiono più sfumate. 2 L’applicazione del quale disegna, come spesso accade, una carta geografica a “macchie di leopardo” nella penisola italiana.
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2. Contestualizzazione Cer.co è un acronimo che sta per “Certificatori di Competenze”, è il titolo di un progetto che è stato presentato nel marzo 2010 in risposta ad un bando dell’Amministrazione Provinciale di Grosseto relativo all’asse IV, Capitale Umano (POR Ob. 2, F.S.E. 2007-2013, Regione Toscana), con la nuova formula dei circoli di studio (Batini, 2008; Batini, Capecchi, a cura di, 2005)3. La ricerca azione che viene qui presentata si è svolta all’interno di un percorso di formazione con logica mista tra formazione in aula con esperto e il 50% del monte orario dedicato all’autoapprendimento collettivo. Il percorso si rivolgeva a docenti del sistema dell’istruzione, dell’IDA, della formazione professionale. Il tema del percorso formativo era la valutazione e la didattica per competenze, all’interno di un progetto multi aula svoltosi nel territorio provinciale di Grosseto (i gruppi-aula coinvolti erano 4). La parte corsuale si è svolta ad Arcidosso, Grosseto, Follonica, Orbetello, per un impegno orario di 24 ore in presenza per ciascun gruppo (articolate in dodici ore di lezione e dodici ore di autoapprendimento). L’input per la redazione del progetto è venuto da parte di istituti di istruzione attivi come CTP che si sono trovati allo snodo tra diversi sistemi in ragione del loro ruolo nei confronti degli adulti in genere e degli immigrati più in particolare. Era previsto dal progetto anche un seminario finale che presentasse i risultati e gli strumenti costruiti nel progetto. L’azione sul campo vera e propria ha avuto inizio nel febbraio 2011 per concludersi, con il seminario finale (che ha integrato i diversi gruppi in un solo incontro svoltosi a Grosseto, presso l’Istituto Einaudi), nel settembre 2011. L’obiettivo che era assegnato agli esperti individuati era quello di aumentare il dialogo e la leggibilità reciproca dei sistemi tramite lo sviluppo nei docenti degli stessi sistemi della cultura delle competenze, di un linguaggio e di strumenti comuni in ordine alla valutazione e certificazione delle competenze partendo dalle pratiche in uso e dalle conoscenze possedute dai docenti dei diversi sistemi partecipanti. I docenti impegnati hanno concordato, con il coordinatore, gli obiettivi da raggiungere e il metodo didattico da utilizzare nello svolgimento della parte di aula condotta dal docente stesso e quali potessero invece essere i compiti e i materiali da assegnare per le fasi di autoapprendimento. La ricerca si inserisce proprio in questo orizzonte di condivisione, vi trova ragione e ne “approfitta” come strumento di rilevazione. L’approccio usato, coerentemente agli assunti della riflessività professionale (Schön, 1993; Schön, 2006) ha indagato prima le pratiche ed i saperi espliciti e impliciti (cfr. paragrafi successivi) per poi fornire elementi aggiuntivi (spiegazioni, definizioni, analisi di pratiche) che potessero implementare quanto già noto e “correggere” eventuali distorsioni, favorendo anche processi di negoziazione reciproca sia dei significati che delle procedure facilitati dall’avere, nel congegno formativo, momenti già esplicitamente dedicati all’autoformazione e, dunque, al confronto. Il bisogno di trasparenza e di comunicazione tra sistemi trova il proprio riferimento, senza dubbio, nell’EQF (European Qualification Framework4) che, come argomenta Paparella, non è
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I circoli di studio sono stati, infatti, rivisti rispetto al modello originario proprio in occasione di questo bando (coerentemente con la programmazione del POR 2007-2013 della regione Toscana) assumendo uno scopo maggiormente formativo e meno di inclusione sociale (pur conservando il carattere “non formale” dell’intervento), più teso allo sviluppo di competenze e meno all’aggregazione di soggetti sulla base di interessi comuni che aveva costituito la “cifra” iniziale del modello dei circoli di studio. 4 L’EQF è una sorta di dispositivo di traduzione – una griglia di conversione e lettura – che consente di mettere in relazione e posizionare, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi, certificati
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soltanto un dispositivo che consente la reciproca leggibilità dei sistemi, utile solo a “garantire trasparenza, mobilità, riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, né può essere adoperato per negoziare un gradino in più o uno in meno nel confronto internazionale dei corsi di studio, perché punta principalmente a definire e ad espandere gli spazi di apprendimento, affinché ciascuno possa giocare la propria formazione in termini di massima dinamicità e massima flessibilità” (Paparella, 2011, p. 45).Assumendo questo orizzonte la ricerca azione si è snodata tenendo l’attenzione ferma in direzione delle opportunità che un sistema integrato può consentire agli utenti finali e cercando di riportare il lavoro dei corsisti sempre in quella direzione che essi stessi hanno fatta propria ed adottata condividendola.
3. La metodologia impiegata La ricerca si è svolta facendo riferimento al paradigma della ricerca azione5, ma ispirandosi anche al metodo del gruppo nominale6. L’assunto di base era infatti quello di favorire l’implementazione di un linguaggio e di pratiche comuni rispetto alle “competenze” dei docenti dei diversi sistemi, partendo, tuttavia, dalla rilevazione delle pratiche attuali e quelle potenziali/possibili in un’ottica di dialogo, confronto e al fine di rendere possibili le transizioni degli utenti tra i sistemi medesimi. Il confronto tra i partecipanti, anche al di là della presenza degli esperti (che hanno comunque offerto anche un supporto a distanza per gli incontri denominati “in autoapprendimento” ove era prevista la sola presenza del tutor di aula come supporto/facilitazione agli utenti). Fondamentale si è rilevato condividere i diversi step rag-
ecc.) rilasciati nei Paesi membri; il confronto si basa sugli esiti dell’apprendimento. Si tratta di una griglia che agisce su un livello “meta”, ovvero gli Stati membri sono chiamati (non obbligati) a rileggere i propri sistemi di istruzione e formazione, in modo tale che ci sia un collegamento tra i singoli sistemi nazionali di riferimento per i titoli e le qualifiche e il Quadro europeo EQF. L’EQF non riproduce né duplica, a livello europeo, i sistemi nazionali, e non rende omogenei titoli e qualifiche a livello europeo, ma in quanto servizio principalmente ai cittadini, consente loro di ripensare e progettare i propri tragitti formativi in una dimensione travalicante i confini degli stati nazionali, spesso troppo angusti nella società attuale. 5 Ci riferiamo, qui, alla definizione classica di ricerca azione secondo la quale essa viene definita attraverso due concetti fondanti: la ricerca deve essere al contempo anche intervento (come viene indicato dalla stessa denominazione); il secondo concetto fondante é che l’apporto degli scienziati sociali può servire come guida, supporto e facilitazione, ma il lavoro di diagnosi e cambiamento deve essere gestito dai cittadini stessi che compongono la comunità sulla quale si interviene. La spiegazione di questa idea risiedeva nella famosa “teoria del campo”, secondo la quale il comportamento dei soggetti viene influenzato da un campo di forze psicologiche che lo circondano. Quando un ricercatore penetra in questo campo, non compie soltanto un atto conoscitivo, ma, con la sua presenza e le sue azioni diventa, anche, un fattore di mutamento del campo e dunque un elemento che stimola il cambiamento del comportamento dei soggetti che ne sono all’interno. La teoria (o discorso teorico) pertanto non costituisce il punto di partenza (come per esempio in un percorso top down) e neanche il punto di arrivo. La teoria trova il suo posto nel momento in cui si riflette sulla prassi. I risultati delle attività di teorizzazione contribuiscono direttamente ad informare i tipi di cambiamento o innovazione da introdurre o decisioni da adottare nella situazione concreta in oggetto. Gli ovvi riferimenti sono a Kurt Lewin che sviluppò, nella seconda metà degli anni ‘40 del secolo scorso, il metodo dell’action research (denominata poi, in alcuni casi con sfumature o differenze più marcate di significato, ricerca-attiva, o ricerca partecipata, o ricerca-intervento o ricerca-azione) attraverso il quale furono portate avanti oltre 50 ricerche nel campo della devianza giovanile, dell’autovalutazione di una comunità, della discriminazione, dell’appartenenza, della integrazione e molte altre. 6 In un gruppo nominale dato un tema si richiede ad un gruppo di soggetti di scrivere le proprie idee su un foglio anonimo, questi fogli verranno poi raccolti e, pur mantenendo anonimi gli autori, verranno resi pubblici i contenuti. Successivamente a questa “condivisione” si richiede, agli stessi soggetti, di formulare nuove idee (usufruendo così dello scambio reciproco avvenuto nella fase intermedia).
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giunti (proprio come avviene, con i successivi momenti di condivisione, in un gruppo nominale) all’interno di ogni gruppo e tra i gruppi e le azioni di confronto svoltesi tra i tre esperti che guidavano i differenti gruppi (4 gruppi) in formazione. La documentazione di ogni fase, grazie anche all’impiego di una mailing list di gestione didattica (e di rilevazione) ed alla fattiva collaborazione dei tutor, ha consentito di operare davvero in una logica di ricerca azione, mediante il continuo coinvolgimento dei partecipanti nella definizione e ridefinizione del/dei problemi presenti e delle piste di soluzione. I risultati finali, ma non definitivi, sono costituiti dagli elaborati di progettazione (comprensivi dei dispositivi di valutazione) per competenze dei partecipanti redatti sia in forma gruppale durante i momenti di autoformazione previsti nella fase formativa, sia nel corso dei lavori di gruppo del seminario finale7. Le strumentazioni atte alla rilevazione ed i descrittivi delle competenze hanno richiesto il riferimento a paradigmi di tipo narrativo (Batini, Giusti, a cura di, 2010; Batini, 2011) almeno come transizione tale da consentire poi una verbalizzazione (o redazione) con un linguaggio adeguato all’oggetto culturale. Tra i guadagni della ricerca azione va dunque sicuramente rubricata la capacità di “parlarsi” tra attori di differenti sistemi, con un linguaggio veicolare comune e l’aver acquisito le prime abilità progettuali in ordine alla didattica e valutazione per competenze8. Occorre precisare che i circoli di studio previsti dal Bando sul quale è stato presentato il progetto Cer.co, pur facendo riferimento al congegno formativo del “circolo di studio”, conservavano, dei circoli propriamente detti solo alcune delle caratteristiche (in specifico il carattere non formale dell’intervento, il monte orario rilevante dedicato all’autoformazione, costituente la metà dell’orario previsto per ogni gruppo, da svolgersi con il supporto di un tutor facilitatore) ma ne perdevano altre fondamentali, come, ad esempio, la scelta del tema da trattare effettuata dai partecipanti stessi e la composizione dei gruppi sulla base di un interesse comune9. La scelta operata dalla Regione Toscana è stata, infatti, nella programma-
7 Ovviamente per comprendere ciò che era avvenuto è stato necessario anche confrontare le produzioni iniziali con quelle finali (verifica ex ante versus ex post), confronto a proposito del quale si propone un esempio nelle pagine successive del contributo. 8 Tra gli attori dei differenti sistemi coinvolti è emersa anche la necessità di un’azione culturale su questi temi, come sarà chiaro nei paragrafi successivi. 9 Come anticipato nella nota 1 infatti questo Bando prevedeva per i circoli medesimi differenze notevoli rispetto al modello classico: Il circolo di studio è un’attività fatta non solo per la gente, ma attraverso la gente. Esso rappresenta un metodo che deve consentire alla gente di tener vivo e far crescere l’impegno e la capacità di creare vita e cultura. (Oscar Olsson fondatore dei circoli di studio). I circoli di studio infatti, nella loro versione classica, sono una modalità molto interessante per incentivare la cittadinanza attiva. Si tratta di piccoli gruppi di persone (dodici persone maggiorenni, per ogni circolo) che si riuniscono sulla base del comune interesse per un argomento (e, proprio sulla base dell’interesse da loro espresso vengono aggregati). Il circolo, solitamente articolato in una decina di incontri, è teso dunque a favorire il confronto e la discussione sull’argomento medesimo. Il gruppo è seguito, in tutti gli incontri, da un tutor e può servirsi di un esperto sull’argomento in questione sino ad un massimo di 15 ore (sulle 30 totali che costituiscono l’attività complessiva di un circolo). Un circolo di studio ha l’intenzione di creare legami, reti di relazione, modalità innovative di apprendimento reciproco in modo che i partecipanti divengano risorsa l’uno per l’altro. L’esperienza dei circoli di studio ha preso avvio circa 100 anni fa in Svezia, dove, certo stimolati dalle circostanze ambientali, piccoli gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi durante le lunghe notti dell’inverno artico attorno ad uno scopo condiviso: l’apprendimento. Nell’epoca della quale stiamo parlando le occasioni di apprendimento erano senz’altro minori di oggi e indissolubilmente legate da una parte al sapere accademico, dall’altra al mondo del lavoro. Si imparava a scuola, si imparava in bottega. I circoli di studio hanno rappresentato e rappresentano un punto di rottura in tale contesto. Documentazione completa sui circoli di studio e sulle principali esperienze realizzate in Toscana, prima delle modifiche ricordate in nota 1 e nel testo, si possono trovare nel sito: www.pratika.net (area risorse gratuite).
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zione 2007-2013 del FSE, quella di assegnare anche alle azioni non formali, tra le quali i circoli di studio rientrano, finalità esplicitamente legate al mondo del lavoro e all’aggiornamento professionale (sotto l’etichetta di “cultura del lavoro”).
4. Un “diario” della formazione (e della ricerca) L’approccio didattico scelto è stato quello di condividere un alfabeto comune a partire dalle conoscenze ed esperienze dei partecipanti, provenienti dai differenti sistemi (istruzione, istruzione degli adulti, formazione professionale). Il dialogo nei gruppi è partito dalle occasioni di certificazione delle competenze con le quali si sono incontrati/scontrati, occasioni che sono rubricabili nelle seguenti10: • gli attori provenienti dal sistema della formazione professionale hanno avuto l’obbligo di confrontarsi con il SRC (sistema regionale delle competenze) messo in campo dalla Regione Toscana, rispetto al quale si è notato un atteggiamento ambivalente (interesse per gli input che un sistema per competenze offre in fase di progettazione dei percorsi formativi, atteggiamento fortemente critico nei confronti dei complessi dispositivi tecnici messi in atto dai decisori politici e un giudizio negativo piuttosto condiviso circa la qualità della formazione offerta nella fase di cambiamento). Da questa esperienza hanno maturato l’esigenza di apprendere a strutturare non soltanto prove finali (esami ed altro) centrate sulle competenze obiettivo, ma anche a ripensare la didattica con fini non soltanto dichiarativi (la redazione dei progetti nei nuovi formulari o la documentazione finale da produrre) ma anche di facilitazione dell’apprendimento (ponendo il problema di un notevole conflitto laddove la formazione è ancora centrata su modalità formali/frontali e le prove tentano di rilevare le competenze, mentre i “formulari” in cui si redigono i progetti e le norme regionali sulla scelta dei docenti presentano contraddizioni sia a livello di logica di impianto, sia di terminologia utilizzata); • gli attori provenienti dal sistema dell’IDA si sono trovati a dover certificare, quasi improvvisamente, in conseguenza del Decreto del 4 giugno 2010 - Ministero dell’Interno. “Modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana, previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 286/1998”, i livelli di competenza d’uso dell’italiano, per i richiedenti un permesso di soggiorno di lunga durata, andando incontro a numerosissimi problemi di interpretazione della loro funzione (in estrema sintesi si possono semplificare in: occorre correggere la grammatica o occorre focalizzarsi sulla dimostrazione di comprensione e sulla capacità di farsi capire?). In coloro che avevano un’esperienza rilevante come insegnanti nell’istruzione con la popolazione adulta i problemi sono stati, tuttavia, minori in quanto già abituati a proporre una didattica legata alla vita quotidiana e dunque a focalizzarsi sulle competenze d’uso; • gli attori provenienti dal sistema di istruzione si sono posizionati, invece, come i meno esperti: il loro incontro con le competenze è, infatti stato molto blando (nonostante il Decreto Ministeriale del 22 agosto 2007, n. 139 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” preveda che le competenze obiettivo riguar-
10 Per questa specifica attività iniziale è stato usato il focus group centrato sul racconto delle esperienze di certificazione (e delle procedure e modalità seguite) delle competenze di ciascuno dei partecipanti. L’analisi delle note su campo è stata triangolata con Elisabetta Batini e Simone Cini che qui ringrazio.
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dino tutti gli istituti scolastici di istruzione secondaria di secondo grado11). L’incontro si è comunque sostanziato nell’obbligo di certificare le sedici competenze di base (Batini, Cini, Paolini, 2012) almeno a coloro che avendo abbandonato il percorso di istruzione a sedici anni (al momento stesso del proscioglimento anagrafico dall’obbligo di istruzione) si collocavano in un altro sistema (formazione professionale o apprendistato) per assolvere al diritto dovere di conseguire una qualifica di II livello EQF, come condizione minima per uscire, a diciotto anni, dalla propria formazione iniziale. La certificazione è divenuta, come i partecipanti stessi hanno testimoniato, una mera ripetizione delle valutazioni disciplinari senza alcun collegamento con l’acquisizione o meno di determinate competenze. Ciò che accade è che gli assi culturali, in cui le competenze di base sono organizzate, vengono correlati ad alcune discipline (l’asse storico sociale con la storia e la storia dell’arte ove presente, l’asse linguistico con l’italiano e la lingua straniera etc...) e si certifica il possesso o meno delle competenze comprese in quell’asse attraverso una semplice equazione con la valutazione espressa in voti conseguita nelle discipline. Questo tipo di procedura produce una confusione rilevante, ma poco avvertita (proprio in quanto le certificazioni riguardano soggetti che poi escono dal sistema di istruzione scolastico) in virtù della mancanza di feedback. Questa fase di confronto è stata molto utile anche per confrontarsi sui “meta-messaggi” che ogni sistema fornisce all’altro in relazione, soprattutto, ai transiti di un soggetto da un sistema all’altro.
5. Definizione dei problemi/obiettivi Dopo il confronto delle esperienze, in cui sono state condivise anche le modalità operative e i supporti usati, si è passati ad un confronto operativo delle schede e dei documenti usati (approfittando dell’alternanza tra componente di formazione con l’esperto e auto-formazione con la presenza del tutor facilitatore) si è passati alla ridefinizione dei problemi aperti e degli obiettivi che i gruppi si assegnavano. Sono state raccolte anche unità didattiche reali progettate, complete dei relativi strumenti di valutazione ed eventuale certificazione, il cui confronto ha consentito di evidenziare ancora sovrapposizioni tra conoscenze e competenze e difficoltà a organizzare la didattica in relazione ad obiettivi espressi in termini di competenze in uscita (risultati di apprendimento, learning outcomes) (Castoldi, 2009). I problemi che i partecipanti hanno, in una prima fase, condiviso, attraverso una elencazione dei problemi avvertiti da ciascuno e tramite una successiva discussione degli stessi, sino ad addivenire ad una concertazione di quelli ritenuti emergenti, sono stati comuni (seppur con formulazioni leggermente differenti) a tutti i gruppi coinvolti e possono essere sintetizzati in:
11 Il comma 2 dell’articolo 2 del Decreto Ministeriale citato, recita infatti: “I saperi e le competenze di cui al comma 1 assicurano l’equivalenza formativa di tutti i percorsi, nel rispetto dell’identità dell’offerta formativa e degli obiettivi che caratterizzano i curricoli dei diversi ordini, tipi e indirizzi di studio. Per il loro recepimento nei curricoli dei primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore di ordine classico, scientifico, magistrale, tecnico, professionale e artistico previsti dai vigenti ordinamenti, le istituzioni scolastiche possono avvalersi degli strumenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, con particolare riferimento all’articolo 4, comma 2, nonché dell’utilizzazione della quota di flessibilità oraria del 20% ai sensi del decreto del Ministro della Pubblica istruzione 13 giugno 2006, n. 47.”
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• difficoltà nella “leggibilità” reciproca degli output tra sistemi; • didattica svolta con modalità varie ma con prevalenza della lezione frontale in tutti i sistemi e con progettazione ancorata principalmente ai contenuti (con eccezione della formazione professionale obbligata a progettare per competenze dalle disposizioni normative regionali e dai supporti cartacei richiesti per la progettazione); • distanza tra il dichiarato e l’agito; • difficoltà a far comprendere socialmente (all’interno e all’esterno dei sistemi) l’importanza di apprendimenti di questo tipo per la scarsa informazione a livello sociale; • difficoltà di dialogo e riconoscimento reciproco tra sistemi, tendenza a giudicare gli altri sistemi senza conoscerli12. Dopo queste fasi si è ritenuto di provare a condividere i significati assegnati al termine competenza per poi confrontarli con quelli presenti in letteratura ritenendo che il costrutto delle competenze (visto che consente l’espressione degli obiettivi didattici in termini di risultati di apprendimento), potesse permettere una maggiore leggibilità reciproca delle azioni apprenditive messe in campo in ogni sistema, favorisse il dialogo e la conoscenza tra i sistemi stessi, permettesse di strutturare sistemi di valutazione reciprocamente leggibili (anche nei processi). La necessità di azioni culturali come, per fare soltanto un esempio, quello che si è svolto in Australia dal 27 agosto al 2 settembre 2012, la settimana nazionale delle competenze (organizzata istituzionalmente in modo eccellente e con forte ricaduta sociale) è stata rubricata come indifferibile onde vincere le differenti tipologie di resistenze interne ed esterne ai sistemi13. Viene qui riportato in estrema sintesi un procedimento che è stato molto complesso, con uno scambio tra i docenti ed i tutor impegnati che hanno condiviso quanto stava emergendo nei diversi gruppi per poi renderne edotti i gruppi stessi (in tal senso il riferimento al gruppo nominale richiamato sopra e in una nota appare più chiaro) e favorire una discussione certa sino ad addivenire ad accordi su alcuni punti fondamentali (ovviamente vi sono state singole eccezioni di “non accordo” su temi specifici). I significati condivisi grazie al supporto dei docenti hanno spinto ad una prima ridefinizione del problema. I partecipanti stessi hanno ritenuto che: “imparare a progettare la didattica per competenze sia necessario per costruire sistemi di valutazione e certificazione delle competenze stesse.” Mentre dunque in fase iniziale l’attenzione era concentrata in special modo sui dispositivi di valutazione, in questa fase più avanzata lo sguardo si è allargato sino a interrogare la propria professionalità docente. Sulla base di questi confronti si è chiesto agli esperti di commentare, insieme all’aula, le unità didattiche disponibili, afferenti ai vari sistemi sollecitandone la centratura su risultati di apprendimento espressi in termini di competenze, l’interdisciplinarietà, la relazione tra ogni azione didattica e il contributo che essa avrebbe potuto dare allo sviluppo della competenza obiettivo e di mostrare esempi concreti di unità didattiche organizzate per competenze e i dispositivi di valutazione messi in campo con i quali i gruppi avessero potuto confrontarsi. La seconda fase del progetto ha allora, coerentemente a quanto richiesto dai gruppi target,
12 Occorre notare come gli attori della formazione professionale hanno sì riconosciuto e negoziato con gli altri, nei quattro gruppi, le stesse aree di problema, ma hanno formulato anche una loro difficoltà a relazionarsi con il sistema di istruzione per il giudizio solitamente negativo che avvertono nei propri confronti da parte degli insegnanti quando, invece, ritengono che spesso i livelli di competenza didattica e valutativa siano maggiori negli attori del sistema della formazione professionale. 13 Per info sul “National Skill Week” si rimanda al sito: http://www.nationalskillsweek.com.au
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previsto una breve formazione alla progettazione e alla valutazione per competenze a partire da unità didattiche concrete e da esperienze già realizzate (Castoldi, 2010). In particolare ci si è soffermati su alcune delle sedici competenze di base identificate, dai partecipanti, come oggetto di interesse comune per tutti i sistemi (in relazione al decreto ministeriale citato nell’istruzione, in relazione ai drop out scolastici che intendono acquisire una qualifica professionale nella formazione, in relazione all’utenza adulta immigrata nell’IDA).
6. Risultati e criticità I risultati riguardano elementi più generali quali: • una soddisfazione evidenziata dai partecipanti per il dialogo avviato con colleghi di altri sistemi; • un loro orientamento nelle norme, nei principali documenti e nelle regole che governano l’introduzione del costrutto delle competenze (come variamente inteso, ivi comprese le contraddizioni) nelle diverse articolazioni e “visioni” (comunitario, ministeriale, regionale); • una consapevolezza reciproca dei limiti presenti nella propria formazione circa i nuovi obiettivi assegnati al ruolo (e alle modifiche della realtà); I risultati principali del progetto rubricabili per questa ricerca azione sono tuttavia: l’acquisizione di una prima alfabetizzazione dei docenti partecipanti per pensare e progettare le didattiche e gli strumenti necessari a sviluppare e valutare le competenze all’interno del proprio curricolo (e utilizzando i materiali dello stesso); una loro disponibilità in questa direzione (a fronte di reazioni iniziali oppositive); un incremento della consapevolezza (una sorta di “avvio” alla riflessività) circa le proprie modalità didattiche; l’identificazione di una rete di riferimento di colleghi del proprio e di altri sistemi (ma del medesimo territorio) con i quali dialogare. A puro scopo esemplificativo, tra i molti materiali raccolti, si è deciso di riportare, una testimonianza concreta che evidenzi il differente approccio all’inizio ed alla fine. Si propone qui la lettura comparata di due griglie di valutazione (una prodotta in fase iniziale e una nel seminario finale del progetto), relative alla stessa competenza-obiettivo, per evidenziare come il processo di ricerca azione formativa abbia alimentato una differenza in termini di comprensione di una “logica” per competenze:
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Competenza obiettivo: Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti.
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In questo caso come si vede la griglia proposta sembra costituire la guida alla correzione di una produzione scritta di tipo classico (un tema o un testo argomentativo), seppure con un approccio piuttosto evoluto alla correzione, in cui si cerca di verificare la completezza di tutte le fasi e di far ripetere in forma orale quanto già espresso in forma scritta. L’azione complessiva di valutazione perde, tuttavia, di vista la competenza obiettivo e si focalizza, invece, sull’interazione comunicativa verbale. A conclusione del percorso, durante il seminario finale, un gruppo (non totalmente sovrapponibile al gruppo che in aula aveva predisposto la prima griglia) ha lavorato sulla stessa competenza obiettivo redigendo la seguente griglia:
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È in grado di presentare un prodotto sulla base di una scheda tecnica per proporne l’acquisto (comunicazione efficace, comunicazione persuasiva).
È in grado di proseguire un dialogo informale di cui si fornisce l’incipit (comunicazione e relazione nella vita quotidiana in situazioni differenti).
È in grado di formulare correttamente una richiesta ad un adulto in modo formale (comunicazione nella vita quotidiana in contesti formali).
È in grado di sostenere un’opinione di fronte a terzi portando argomenti a sostegno della stessa anche a fronte si altri che sostengano un’opinione contraria (comunicazione assertiva, capacità di argomentazione).
È in grado di raccontare un’esperienza positiva o negativa ad un coetaneo, accogliendone i feedback (comunicazione dei vissuti, capacità di sintesi e di restituzione di un’esperienza).
Indicatori
Chiarezza Correttezza Completezza Ricchezza linguistica
Discussioni con assegnazioni di ruoli
Script di istruzioni
Simulazione
Presentazione
cooperative learning
Produzione di un video di presentazione del prodotto
Incipit di di- Dialoghi a coppie alogo da testo sulla base di un o video incipit dato mantenendo coerenza di toni, linguaggio etc.
Richiesta permessi al dirigente e simili
Dialoghi a coppie con report invertito
Report su form
Interazione a coppie
Compiti di realtà all’interno ed esterno della scuola
Attività
Strumenti
Metodi
Contenuti
Competenza obiettivo: Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti
Ricerche – Valutazione delle competenze
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Come risulta evidente in questa seconda griglia, seppure non esaustiva (la griglia è stata composta senza il supporto di esperti che hanno soltanto fornito indicazioni iniziali ad ogni gruppo) e per quanto perfettibile, esiste un riferimento chiaro alla competenza obiettivo, ci si focalizza, cioè sull’interazione verbale, sulla padronanza, sull’efficacia, prendendo in considerazione elementi e logiche prima non presenti (seppure si possa ampiamente discutere sull’efficacia ed efficienza di determinati strumenti). Tra le criticità: i partecipanti medesimi vedono ancora poco realistica la possibilità, per loro stessi come discenti, di accedere a percorsi di livello alto che possano supportarli in modo pragmatico (anche loro hanno bisogno di competenze) e non attraverso lezioni frontali o conferenze, per acquisire dimestichezza con queste logiche; altra criticità evidente è stata quella legata al poco tempo a disposizione in ordine alla brevità dei percorsi per giungere a risultati più strutturati. Permangono peraltro ulteriori criticità nei gruppi considerati in ordine alla traduzione in pratiche didattiche costanti (emergono motivazioni auto-assolutorie14) con resistenze prodotte specie da parte degli insegnanti dell’istruzione di secondo grado (e, in particolare, dei licei)15, ma, vi sono alcuni segnali, evidenziati da un follow-up del gennaio 2012, che fanno ben sperare (per una parte dei soggetti coinvolti) in ordine ai cambiamenti auspicati: due degli istituti scolastici coinvolti hanno attivato una progettazione curricolare in verticale (in continuità dalla scuola dell’infanzia sino alla secondaria di secondo grado) per le competenze chiave di cittadinanza, partecipando ad un bando del MIUR gestito dall’ANSAS e risultando assegnatarie di finanziamento16; alcuni tra gli altri partecipanti hanno ridefinito in termini di competenze la propria progettazione didattica (ed i relativi strumenti di valutazione), seppure in via sperimentale. Le resistenze che progetti come quello qui descritto incontrano spesso nei vari sistemi di istruzione e formazione hanno forse, in questo caso (seppur presenti), avuto un effetto minore sugli esiti proprio in relazione al ruolo fortemente attivo che il progetto ha previsto per i protagonisti del processo di cambiamento e per la valorizzazione della loro esperienza resa visibile sin dalla prima attività formativa. Significativo in tal senso si considera anche il loro ridefinire il problema professionale (e il conseguente bisogno formativo) in termini differenti e più comprendenti tali da segnare come obiettivo raggiunto non soltanto l’apertura di un dialogo reale, dal basso, tra i sistemi di un territorio e la costruzione, incipitaria, di un alfabeto comune, ma anche di far percepire necessaria una ridefinizione e un adeguamento delle competenze professionali dei docenti dei diversi sistemi.
14 “Sarebbe bello ma non c’è il tempo” o “Poi i colleghi ti ostacolano” o “Con tutte le riunioni... e poi i genitori ...” 15 L’osservazione esterna degli esperti e dei tutor ha evidenziato anche l’incremento di queste resistenze nella fase finale (quando cioè veniva richiesto un ulteriore contributo in termini di elaborazione). 16 Gli esiti di questo secondo processo di ricerca azione formativa sono documentati nel volume: Verso le competenze chiave. Cittadinanza e costituzione (Batini F., a cura di, 2012), citato nei riferimenti bibliografici. In questa seconda fase si è giunti sino alla microprogettazione delle unità didattiche per competenze relative ad ogni ordine e grado di scolarità.
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Riferimenti bibliografici Batini F., Capecchi G. (Eds.) (2005). Strumenti di partecipazione. Trento: Erickson. Batini F., Del Sarto G., Perchiazzi M. (2007). Raccontare le competenze. Massa: Transeuropa. Batini F. (2008). Mettere in circolo. Una ricerca sui circoli di studio: dalla pratica al metodo. Massa: Transeuropa. Batini F., Gadotti M., Mayo P., Reggio P., Surian A. (2008). Competenze e diritto all’apprendimento. Massa: Transeuropa. Batini F., Giusti S. (Eds.) (2010). Imparare dalle narrazioni. Milano: Unicopli. Batini F. (2011). Storie, futuro e controllo. Napoli: Liguori. Batini F., Cini S., Paolini A. (2012). Le 16 competenze di base.Vademecum per docenti, tutor ed operatori. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Batini F. (2012). FLFL Fun Learning For Life. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Batini F. (Ed.) (2012). Verso le competenze chiave. Cittadinanza e costituzione. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Castoldi M. (2009). Valutare le competenze. Percorsi e strumenti. Roma: Carocci. Castoldi M. (2010). Valutazione delle competenze. In G. Cerini, M. Spinosi (Eds.), Voci della scuola. Il sistema educativo in una società che cambia, vol. IX. Napoli: Tecnodid. Cerini G., Spinosi M. (Eds.) (2010). Voci della scuola. Il sistema educativo in una società che cambia, vol. IX. Napoli: Tecnodid. Domenici G. (2009). Manuale dell’orientamento e della didattica modulare. Bari: Laterza. Galliani L., Di Nubila R. D. (2003). Comunicare nel gruppo. Lecce: Pensa MultiMedia. Galliani L., Zaggia C., Serbati A. (Eds.) (2011). Apprendere e valutare competenze all’Università. Lecce: Pensa MultiMedia. Gallina V. (2006). Letteratismo e abilità per la vita. Roma: Armando. Giusti S., Papponi Morelli G. (Eds.) (2012). Accesso al diploma. Un progetto di didattica blended per l’istruzione degli adulti in Toscana. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Le Boterf G. (1990). De la compétence: Essai sur un attracteur étrange. Paris: Les Ed. de l’Organisation Le Boterf G. (2008). Costruire le competenze individuali e collettive. Napoli: Guida. Paparella N. (2011). Insegnare per competenze in università. Modelli, procedure, metodi. In L. Galliani, C. Zaggia, A. Serbati (Eds.) (2011). Apprendere e valutare competenze all’Università. Lecce-Brescia: Pensa Multimedia. Pellerey M. (2004). Le competenze individuali e il Portfolio. Firenze: La Nuova Italia. Schon D. A. (1993). Il professionista riflessivo. Bari: Dedalo. Schon D. A. (2006). Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni. Milano: Angeli (ed. italiana a cura di M. Striano). Spinosi M. (Ed.) (2010). Sviluppo delle competenze per una scuola di qualità. Napoli: Tecnodid.
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Ricerche
Valutazione delle competenze
Le competenze per la scuola: i giovani laureati di fronte alla professione di insegnante Skills for school: young graduates in front of the teaching profession ETTORE FELISATTI • RENATA CLERICI La ricerca intende rendere espliciti i livelli di preparazione dei giovani laureati che esercitano attività di insegnamento, valutando l’efficacia della formazione universitaria in rapporto alle competenze per la professione. Viene considerato un campione rappresentativo di 153 laureati dell’Università di Padova, invitati ad esprimere, tramite intervista CATI a un anno dal conseguimento della laurea, un giudizio in merito alle competenze possedute per il lavoro. I rispondenti sono ripartiti in tre cluster con riferimento al tipo di laurea conseguita e alle caratteristiche dell’attività svolta. Le risposte sono analizzate attraverso modelli ispirati alle dimensioni della pratica in riferimento ad indicatori specifici di competenza per la professione insegnante. I risultati, statisticamente trattati, indicano una valorizzazione generale delle competenze inerenti l’apprendimento degli allievi e la costruzione della professione, mentre la percezione delle competenze fuori d’aula si presenta in forma meno rilevante, con differenze significative tra i cluster che invitano a riconsiderare gli assetti dei curricoli formativi universitari.
This research wants to explain the levels of background of young graduates engaged in teaching, evaluating the effectiveness of their university education in relation to the competencies for profession. The research takes into account a representative sample of 153 graduates at the University of Padua who, through CATI interview a year after graduation, express an opinion on the skills possessed for their job.The graduates are divided into three clusters relating to the kind of degree and the characteristics of the activities developed.The answers are analyzed using models inspired by teaching practice dimensions and refers to specific indicators of competence for the profession of teacher. The results, statistically analyzed, indicate that the competences related to the learning of the students and the construction of profession are more stressed, while the perception of the competences outside the classroom appears to be less significant.We found significant differences between clusters that lead us to rethink the structure of university curricula.
Parole chiave: valutazione, formazione per la professione, formazione all’insegnamento, competenze per l’insegnamento, indagine longitudinale
Key words: assessment, professional training, teaching training, teaching skills, follow-up survey
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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1. Il contesto di riferimento 1.1 La valutazione della didattica universitaria La valutazione è considerata un dispositivo indispensabile per conoscere e comprendere i fenomeni umani e per esprimere in modo fondato giudizi di adeguatezza. In campo didattico e formativo essa contribuisce allo sviluppo di attività di miglioramento (Coggi, 2005; Seldin, 2007) nella pratica di insegnamento-apprendimento, nella ri-progettazione di interventi formativi e nella riorganizzazione dei sistemi, coinvolgendo nel contempo gli aspetti specifici dell’azione insegnativa e le dimensioni organizzative che la sostengono. Nel contesto accademico nazionale la valutazione didattica e formativa, pur all’interno di un quadro generale non pienamente soddisfacente (Minelli, Rebora, Turri, 2008; Turri, 2009), sta assumendo uno spessore sempre più rilevante, sotto la spinta del movimento riformatore in atto (Legge 240/2010) e in parallelo con un allargamento delle pratiche valutative ai diversi campi dell’organizzazione. La valutazione è un’azione complessa, condotta secondo disegni e procedure formalizzate e scientificamente ispirate, i cui approcci favoriscono logiche orientate allo sviluppo di attività rivolte: all’attribuzione di giudizi, di valore e di merito (Ramsden, 1988) per sostenere le decisioni; alla elaborazione di informazioni e dati di feedback (Feldman, 1999) per intervenire in forma mirata sui fenomeni considerati. Essa assolve a finalità normative, nel momento in cui stabilisce – come abbiamo visto – giudizi di merito, validità e valore, ma anche strumentali, quando interviene nel supportare le scelte che dovranno essere assunte ai vari livelli (Scriven, 1993, 2003, 2007). Oggi sempre più la valutazione si propone come contesto e strumento di dialogo nella dinamica di confronto tra i soggetti che a vario titolo sono implicati nel fenomeno studiato; essa contribuisce così, in veste strategica, alla costruzione di visioni negoziate e condivise rispetto alle possibili linee di sviluppo per l’azione di miglioramento. Su tale linea, i modelli valutativi nella didattica e nella formazione tendono ad articolarsi attraverso fisionomie complesse, assumendo in proprio la sfida della ricerca odierna che accoglie pienamente l’esigenza di “spiegare” e di “comprendere” i fenomeni nelle loro peculiarità identitarie e nel confronto competitivo con l’esterno. Al tempo stesso si riconosce l’esigenza di una valutazione interna in grado di promuovere nell’organizzazione processi metacognitivi ed autoriflessivi, senza perdere di vista la destinazione ultima del prodotto formativo da collocare in contesti esterni, dove laureati, professionisti, forze produttive, decisori e stakeholders metteranno in prova la qualità del risultato offerto e dove la competizione si esprimerà in termini di confronto sulla validità del modello formativo rispetto all’efficacia, all’efficienza e all’impatto sui contesti lavorativi e professionali. La valutazione della didattica universitaria si esplica secondo qualificazioni multidimensionali (Marsh, 1987, 1991, 2005; Semeraro, 2005) e sviluppa al suo interno: • processi e assetti che coniugano in forma sinergica polarizzazioni autoreferenziali di valutazione interna ed eteroreferenziali di valutazione esterna; • rilevazioni che si innestano in forma sincronica e diacronica rispetto agli oggetti valutati e alle loro progressioni nel tempo; • prospettive emergenti da processi a carattere ascensionale (top-down) e di tipo discensionale (bottom-up); • pluralità di sguardi valutativi, in riferimento ai soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nell’azione didattica, nel prodotto formativo e negli esiti conseguiti. L’integrazione di tutti questi aspetti converge verso la costruzione di un sistema in grado di intervenire per migliorare.
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1.2 La valutazione della didattica nell’Ateneo di Padova e il Progetto Agorà L’Ateneo di Padova sul piano strutturale sviluppa queste logiche di sistema attraverso l’azione di organismi periferici (Presìdi dei CdS) deputati alla promozione e garanzia della qualità della didattica offerta in sede decentrata e di organismi centralizzati con funzioni di coordinamento, raccordo, indirizzo (Presidio di Ateneo per il miglioramento della didattica) e studio (Commissioni di lavoro) costituiti con i criteri della rappresentanza locale.Vengono in tal modo garantiti interventi specifici in relazione a tre aree fondamentali: 1. la valutazione degli insegnamenti da parte degli studenti; 2. l’autovalutazione dei docenti; 3. l’indagine sui laureati. Nello specifico le tre aree indicate procedono in forma integrata con attività di ricerca e di implementazione di interventi innovativi sul campo. Rispetto all’area 3, relativa all’indagine sui laureati, l’Università di Padova ha promosso il Progetto Agorà – Follow-up dei laureati1, finalizzato alla valutazione e al miglioramento della didattica, che ha seguito per un triennio dopo la laurea gli studenti laureati nel 2007-2008. Gli obiettivi perseguiti riguardano l’individuazione di un sistema di indicatori per la valutazione esterna dei corsi di laurea e l’analisi delle competenze impiegate dai laureati nei contesti lavorativi, attraverso una rilevazione dei livelli di adeguatezza/inadeguatezza delle stesse in relazione al successo professionale. Il progetto permette di valutare su base diacronica l’efficacia della formazione universitaria, rilevando l’impatto che i learning outcomes assumono rispetto alle competenze agite nei contesti reali della professione. Le dinamiche progettuali offrono dati e informazioni per un feed-back particolarmente utile alla riflessione sulla qualità della formazione dei corsi di studio e in particolare per intervenire sul loro miglioramento. Le competenze considerate nell’indagine riguardano le diverse figure professionali e, per quanto concerne quelle relative alla professione di insegnante, si fa affidamento ad un modello di competenze articolato sulle pratiche professionali. Le competenze, infatti, sono considerate nella loro dimensione personale ma anche sociale e assumono un carattere dinamico e creativo. Esse si presentano come sintesi di saperi teorici, pratici e contestuali che tendono a strutturarsi come insiemi di “saper agire”, “voler agire” e “poter agire”, sviluppati mediante una mobilitazione/combinazione delle risorse disponibili (Le Boterf, 2004). Si costituiscono dunque in un “abito generativo” di pratiche secondo modelli o schemi di azione in costante equilibrazione (Vergnaud, 1999; Perrenoud, 1999) che si fondano sull’esperienza e intervengono anche sui livelli identitari. La prospettiva su cui si procede indica una visione unitaria della professionalità docente, curvata verso la costruzione di un habitus professionale (Wittorski, 2005; Perrenoud, 2006) delinabile attraverso un solido profilo multicompetenziale in grado di affrontare le sfide poste da un continuo cambiamento dei processi di insegnamento e apprendimento (Bottani, Poggi, Mandrile, 2010).
1 Il Progetto si avvale di un finanziamento dell’Ateneo di Padova. La responsabilità scientifica è del prof. L. Fabbris che coordina un gruppo di lavoro costituito da docenti e ricercatori in rappresentanza di 12 Facoltà.
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2. La ricerca 2.1. Il campione A un anno dalla laurea sono stati intervistati, nell’ambito dell’indagine Agorà2, 2596 laureati dell’Università di Padova nell’a. a. 2007-083.Tra di essi il 6% ha dichiarato di svolgere attività di insegnamento nella scuola pre-universitaria. Poco meno del 60% degli intervistati ha conseguito una laurea in ambito psico-pedagogico, gli altri provengono da corsi di laurea in ambito disciplinare. Riportando però queste percentuali all’universo dei laureati della coorte analizzata, quelli di area psico-pedagogica rappresentano l’81% dei laureati (di cui 67% provenienti dalla Facoltà di Scienze della Formazione e 14% da quella di Psicologia), quelli di ambito disciplinare solo il 19% (di cui 9% provenienti dalla Facoltà di Lettere e Filosofia, 5% dalla Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali i rimanenti dalle altre Facoltà dell’Ateneo). Si stima che il 58% dei neolaureati, impegnati in attività di insegnamento a un anno dal conseguimento del titolo, provengano dal Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, un corso a ciclo unico (che ha mantenuto l’ordinamento quadriennale pre-riforma fino all’a.a. 2010-11), specificamente finalizzato a formare insegnanti di scuola primaria e caratterizzato da un percorso didattico che si sviluppa nell’integrazione tra teoria e pratica attraverso unità formative, comprensive di attività laboratoriali, e di tirocinio. È questo l’unico percorso universitario specificamente orientato alla formazione degli insegnanti nel periodo interessato dall’indagine4. Gli altri laureati indagati, pur essendo impegnati in attività didattiche nella scuola preuniversitaria, non hanno dunque seguito percorsi formativi specificamente rivolti all’insegnamento, ma si sono perfezionati nelle discipline di area scientifica o umanistica, nell’ambito dei piani di studio di ben 47 diversi corsi di laurea. Tra questi, solo i laureati provenienti dalle Facoltà di Scienze della Formazione e di Psicologia hanno potuto sviluppare, nel proprio percorso formativo, le conoscenze relative agli aspetti psico-pedagogici e didattici essenziali per la professione insegnante. Inoltre, i laureati che a un anno dalla laurea sono stati osservati dall’indagine provengono sia da lauree di secondo livello (cioè magistrali, o a ciclo unico, nell’85% dei casi) che da lauree di primo livello (cioè triennali, nel 15% dei casi). Oltre che della diversa formazione universitaria, occorre tener conto della varietà di ruolo e collocazione dei neo-laureati impegnati come insegnanti nella scuola pre-universitaria. Questa, infatti, si articola in scuola primaria (dell’infanzia ed elementare), secondaria di primo grado (media inferiore) e secondaria di secondo grado (scuola superiore e formazione professionale).
2 Progetto Agorà-Follow-up dei laureati 2007-08”, ha coinvolto 12 su 13 Facoltà dell’Ateneo patavino, seguendo i laureati nel tempo, fino a 3 anni dopo la laurea, nella ricerca di lavoro e nell’inserimento professionale.Tra i vari obiettivi, il progetto mira a rilevare e analizzare dettagliatamente le competenze utilizzate dai laureati nello svolgimento dell’attività lavorativa e quelle che gli stessi considerano carenti per il proprio successo professionale (Fabbris, 2010). 3 Il campione iniziale di laureati della coorte 2007-08 era formato da 4859 casi; a 12 mesi dalla laurea sono rimasti nel panel 3169 casi, da cui sono stati esclusi i “filtri a priori”, cioè i soggetti che hanno dichiarato di essere impegnati in un’attività formativa prevalente rispetto alla scelta lavorativa. Il collettivo “sopravvivente” a 12 mesi è inoltre stato decurtato da un tasso di non risposta dell’8%. 4 La formazione degli insegnanti di scuola secondaria veniva infatti demandata a percorsi specifici post lauream attivati dalle SISS (Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario).
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La specificazione dell’attività svolta è stata lasciata alla libera espressione dei rispondenti. Il quesito “Quale attività principale svolge attualmente?” è stato infatti somministrato in forma non pre-codificata, e la codifica ex post delle risposte fornite in forma libera non ha permesso, per il 27% dei casi, di riconoscere la precisa collocazione professionale per livello scolastico del rispondente, ma solo di ipotizzarla tenendo conto delle risposte complessivamente fornite nell’intervista (in questo caso, nella Tab. 1, un “?” segnala una classificazione presunta). Anche il ruolo di insegnante di sostegno non è stato dettagliato chiaramente per livello scolastico e quindi si è preferito considerarlo come categoria a parte. Attività Insegnante di scuola primaria Insegnante di scuola primaria? Insegnante di scuola secondaria Insegnante di scuola secondaria? Insegnante di sostegno Totale
Campione n. casi % casi 78 51,0 9 5,9 26 17,0 32 20,9 8 5,2 153 100,0
Universo (stima) N. laureati % laureati 421 74,4 26 4,6 39 6,8 55 9,7 26 4,6 566 100,0
Tabella 1 Laureati per attività dichiarata (codificata ex post) Dati campionari e riporto all’universo
Integrando le informazioni sull’attività dichiarata con quelle relative al tipo di formazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! conseguita nei corsi di studio universitari, è possibile delinearne le associazioni attraverso " l’analisi delle corrispondenze5 (Fig. 1). I dati confermano ! per i laureati in Scienze della Formazione Primaria la collocazione in via principale nel ruolo professionale atteso di insegnante di scuola primaria. I laureati provenienti dai percorsi formativi di ambito disciplinare (sia triennale che specialistico, svolgono invece prevalentemente la loro attività nella scuola secondaria. Molto variegata appare la collocazione dei laureati provenienti dai corsi di ambito psico-pedagogico, che ricoprono ruoli docenti di vario tipo, sia nella scuola primaria (come insegnanti di classe o di sostegno) che nella scuola secondaria. Va notato che pur avendo rappresentato le associazioni tra caratteristiche dei rispondenti su un piano bidimensionale, è la prima dimensione (quella rappresentata dall’asse orizzontale) ad avere una certa capacità interpretativa (Inerzia=0,444). Dal momento che l’osservazione è svolta a distanza di un solo anno dal conseguimento dalla laurea, è ragionevole immaginare un giovane insegnante con incarichi temporanei e precari. Solo i laureati in Scienze della Formazione Primaria posseggono quell’abilitazione all’insegnamento, conseguita contestualmente alla laurea, che permette loro di aspirare ad accedere, prima o poi, ad una posizione in ruolo stabile. Le lauree conseguite dagli altri giovani insegnanti non assicurano la stessa prospettiva e dunque permettono solo l’assunzione di ruoli provvisori, a meno del conseguimento dei titoli o delle abilitazioni richiesti per i vari gradi dell’insegnamento pre-universitario6.
5 PASW Statistics 18. Correspondence.Version 1.1 by Data Theory Scaling System Group (DTSS) Faculty of Social and Behavioral Leiden University, The Netherlands Sciences. 6 La presenza di una quota comunque importante di neolaureati che dichiarano di svolgere una attività di insegnamento a tempo indeterminato (18,5%) è spiegata in massima parte dalla presenza nel campione di studenti lavoratori che svolgevano l’attività già prima del conseguimento del titolo qui considerato, che in passato hanno potuto accedere alla professione insegnante in ambito pubblico attraverso corsi o concorsi abilitanti, o in ambito privato con un diploma di scuola superiore (o con altra laurea) coerente con l’inse-
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Figura 1 Analisi delle corrispondenze tra percorso formativo e attività dichiarata (insegnante di scuola primaria, Grafico di dispersione dei punti di riga e colonna
Condurremo ora una analisi dettagliata delle caratteristiche del lavoro svolto. Tutti i rispondenti dichiarano di lavorare con contratto di lavoro dipendente e in maggioranza operano nella scuola pubblica (64%), in particolare i laureati triennali formatisi in ambito disciplinare (78%) e i laureati in Scienze della Formazione Primaria (72%). !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Il tempo di lavoro, considerato sia nell’aspetto della stabilità (se indeterminato o determinato) che dell’impegno orario (se a tempo pieno o parziale), assume la forma prevalente del lavoro a tempo pieno (79%), ma determinato (82%). Attraverso l’Analisi delle corrispondenze multiple7, è possibile estrarre due dimensioni principali del fenomeno analizzato, ottenendo una efficace sintesi grafica delle caratteristiche fin qui descritte singolarmente. Si delinea in tal modo una sorta di mappa percettiva, in cui vengono collocati i centroidi delle categorie delle caratteristiche analizzate, che fa emergere È gnamento da svolgere. Abbiamo quindi laureati con laurea non specifica nella formazione primaria che comunque sono insegnanti di ruolo nella scuola primaria essendo in possesso di diploma magistrale (e presumibilmente di abilitazione nel caso di insegnanti di scuola elementare); laureati che insegnano nella scuola secondaria (presumibilmente nei corsi professionali o in qualità di tecnico di laboratorio negli istituti superiori) che avevano conseguito diplomi di maturità di area tecnica. 7 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! PASW Statistics 18, Multiple Correspondence 1.0, Data Theory Scaling System Group (DTSS), Leiden 7 University, The Netherlands. Analisi delle corrispondenze multiple - Riepilogo del modello Normalizzazione principale per variabile Varianza spiegata Dimensione Alfa di Cronbach Totale (autovalore) Inerzia 1,692 0,338 1 0,511 2
0,393
Totale
284
1,459
0,292
3,151
0,630
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somiglianze e differenze in termini di prossimità tra i punti che le rappresentano e permette altresì di interpretarle in riferimento alla posizione ricoperta nel piano cartesiano (Fig. 2). La prima dimensione risulta associata all’ambito in cui i laureati si sono formati (tipo di laurea conseguita e indirizzo degli studi) e al tipo di attività svolta (insegnante di scuola primaria, secondaria o di sostegno), caratteristiche strettamente tra loro correlate. La seconda dimensione risulta associata al tipo di scuola (se pubblica o privata), alla condizione lavorativa al momento della laurea (già lavorava o non lavorava) e, pur se in misura meno forte, al grado di stabilità del lavoro svolto (a tempo indeterminato o determinato). Mentre la prima dimensione esprime le caratteristiche dell’insegnante, la seconda evidenzia quelle dell’attività svolta. Sul piano sono stati proiettati i punti che rappresentano i soggetti osservati, la cui posizione è determinata dai punteggi soggettivi sulle due dimensioni estratte. Essi possono essere classificati in gruppi omogenei attraverso procedure di raggruppamento. Nel caso specifico è stata applicata la Cluster analysis8 che ha permesso l’identificazione di tre gruppi di soggetti i cui profili caratteristici possono essere così sintetizzati: 1. Cluster1 (40 casi, che rappresentano 160 laureati, cioè il 33% dell’universo dei laureatiinsegnanti). È formato da laureati che insegnano nella scuola primaria (9% nel sostegno), provenendo dal percorso formativo specifico di Scienze della Formazione Primaria (57%), ma anche da altri percorsi di ambito psico-pedagogico non specifici. Insegnano nella scuola privata (92%) con contratti in maggioranza a tempo determinato (67%) ma anche in una parte non banale a tempo indeterminato (33%). Sono rappresentati in questo gruppo gli insegnanti di scuola primaria con formazione psico-pedagogica, sia specifica che generica, che operano nella scuola privata. 2. Cluster 2 (28 casi, che rappresentano 41 laureati, cioè l’8% dell’universo). È costituto per il 93% dei suoi componenti da insegnanti nella scuola secondaria provenendo da percorsi formativi sia di ambito disciplinare (59%) che psico-pedagogico (tranne che da formazione primaria). Lavorano prevalentemente nella scuola pubblica (66%), con una parte comunque consistente che opera nella scuola privata (34%). I contratti di lavoro sono nel 76% a tempo determinato. Si può ipotizzare in questo gruppo la presenza di soggetti che già svolgevano la professione prima della laurea qui considerata.Vi sono rappresentati gli insegnanti di scuola secondaria formatisi sia in ambito disciplinare che in ambito psico-pedagogico. 3. Cluster 3 (44 casi, che rappresentano 285 laureati, cioè il 59% dell’universo). È composto da laureati che insegnano nella scuola primaria (4% nel sostegno) provenienti in via principale da Scienze della Formazione Primaria (83%). Insegnano nella scuola pubblica (99%) con contratti a tempo determinato (92%). Anche in questo gruppo si può ipotizzare la presenza di soggetti che già svolgevano la professione prima della laurea qui considerata. Il gruppo è costituito da insegnanti di scuola primaria che svolgono la loro attività nella scuola pubblica ma con ruolo precario.
8 La Cluster analysis è stata realizzata col metodo K-means di PASW Statistics 18.
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Figura 2 – Analisi delle corrispondenze multiple, mappa percettiva con proiezione nel piano definito dalle due dimensioni principali dei centroidi di categoria e dei soggetti classificati nei Cluster
L’appartenenza ai tre cluster così individuati costituirà, nella presentazione dei risultati dell’indagine, il criterio di classificazione in base al quale analizzare, attraverso opportune procedure di comparazione, le capacità, le abilità e le competenze trasversali e specifiche ritenute dagli intervistati necessarie per lo svolgimento del ruolo insegnante. L’ipotesi che guida questa classificazione è che possano evidenziarsi atteggiamenti e capacità diversi tra coloro che hanno avuto una specifica formazione alla professione docente e coloro che hanno affinato in modo specifico conoscenze e capacità disciplinari. 2.2. Le capacità professionali L’indagine Agorà, non ha avuto alle spalle un chiaro ed univoco modello concettuale che definisse le capacità auspicabili o richieste dal mondo delle professioni in generale e dalla scuola in particolare. Il questionario d’indagine ha proposto tre batterie di item in cui veniva rilevata, su scala ordinata a parziale autonomia semantica (per niente, poco, abbastanza, molto), l’importanza percepita dal rispondente circa il possesso, nel proprio lavoro, di una serie di attitudini personali e di capacità trasversali e tecnico-professionali. Ponendosi nella prospettiva di studiare il punto di vista dei neo-laureati impegnati nella professione insegnante, è parso opportuno riorganizzare gli indicatori rilevati dall’indagine Agorà facendo specifico riferimento ad un modello interpretativo proposto in letteratura, che permettesse una riflessione più mirata rispetto alla professione insegnante e ai suoi percorsi formativi. A tal fine, in questo studio sono stati considerati solo gli item riconducibili
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a quelli che esplicitano, secondo Perrenoud (1999, 2003), le tre dimensioni della professionalità docente: la sfera dell’apprendimento, il lavoro dell’insegnante fuori dall’aula, la costruzione del senso della professione (Box 1). Box 1 Le dimensioni della professionalità docente secondo Perrenoud (2003)
SFERA DELL’APPRENDIMENTO Organizzare ed animare situazioni di apprendimento Gestire la progressione degli apprendimenti Ideare e far evolvere dispositivi di differenziazione Coinvolgere gli alunni nei loro apprendimenti e nel loro lavoro Lavorare in gruppo LAVORO DELL’INSEGNANTE FUORI DALL’AULA La partecipazione alla gestione della scuola L’informazione ed il coinvolgimento dei genitori L’uso delle tecnologie COSTRUZIONE E SENSO DELLA PROFESSIONE L’affrontare i doveri e i dilemmi della professione La gestione della propria formazione continua
Anche se non c’è perfetta corrispondenza tra gli indicatori disponibili e quelli suggeriti dal modello, la classificazione presentata nel Box 2, costruita a partire dagli item di Agorà, mantiene una forte coerenza di contenuto e si dimostra affidabile dal punto di vista della capacità di misurare le dimensioni sottese dagli elementi considerati. Box 2 Riorganizzazione degli indicatori nelle dimensioni del modello di Perrenoud (2003)
SFERA DELL’APPRENDIMENTO (9 item; Alfa di Cronbach = 0,76; media = 3,8) Capacità di lavorare con informazioni e conoscenze disciplinari Capacità di elaborare progetti complessi anche di tipo interdisciplinare Capacità di scegliere e utilizzare strategie e tecniche di insegnamento specifiche e contestualizzate Capacità di utilizzare una molteplicità di materiali e di strumenti nell’insegnamento Capacità di condurre interventi educativi e didattici coerenti e funzionali agli obiettivi posti Capacità di motivare all’apprendimento e personalizzare gli interventi in relazione agli allievi Capacità di favorire la cooperazione tra allievi e creare un clima di classe per l’apprendimento Capacità di scegliere strumenti di valutazione dell’apprendimento funzionali alla crescita degli allievi Capacità di gestire situazioni complesse sul piano dell’intercultura o della disabilità LAVORO DELL’INSEGNANTE FUORI DALL’AULA (4 item; Alfa di Cronbach = 0,61; media=3,2) Capacità di essere soggetto partecipe e propositivo per l’organizzazione scolastica Scrivere progetti per ottenere fondi/finanziare attività Presentare/sostenere le proprie idee in pubblico Essere persuasivo e influente COSTRUZIONE E SENSO DELLA PROFESSIONE (2 item; Alfa di Cronbach = 0,62; media = 3,7) Capacità di riflettere sui propri valori professionali, su pratiche e contesti di insegnamento Essere capace di apprendere
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La verifica della affidabilità delle aggregazioni degli item nelle sottoscale costruite con gli indicatori presenti nel questionario Agorà, che non corrispondono sempre esattamente a quelli previsti nel modello originario, è stata condotta mediante il calcolo dell’indice Alfa di Cronbach, lo studio della relazioni elemento-scala9. I risultati sono soddisfacenti per la scala “Sfera dell’apprendimento”, mentre per le altre due risultano più deboli, soprattutto sul fronte della validità di contenuto, in quanto non sono stati individuati, nelle batterie dell’indagine Agorà, item idonei a rappresentare compiutamente le dimensioni del modello teorico. Le tre dimensioni che articolano la competenza dell’insegnante verranno ora analizzate tenendo conto del profilo specifico dei rispondenti, così come emerso dalla precedente analisi di raggruppamento. I valori medi10 degli item che compongono le scale risultano generalmente elevati, se si considera che le valutazioni sono state richieste su 4 gradi di giudizio. In tabella 7 sono dettagliatamente riportate le valutazioni medie fornite dai tre cluster in cui i giovani insegnanti sono stati classificati. È così possibile analizzare ed interpretare le posizioni relative, in termini di maggiore o minore importanza mediamente attribuita all’elemento considerato, e valutare il grado di significatività delle differenze riscontrate osservando i valori dei test considerati: il primo (Brown-Forstyte) che verifica l’uguaglianza delle medie, il secondo (Kruscal-Wallis) di tipo non parametrico applicato alle distribuzioni ordinali (Siegel, Castellan, 1992). p
p
g
Cluster
Scale 1° SFERA DELL’APPRENDIMENTO Lavorare con informazioni e conoscenze disciplinari Elaborare progetti complessi anche di tipo interdisciplinare Scegliere e utilizzare strategie e tecniche di insegnamento specifiche e contestualizzate Utilizzare una molteplicità di materiali e di strumenti nell’insegnamento Condurre interventi educativi e didattici coerenti e funzionali agli Motivare all’apprendimento e personalizzare gli interventi in relazione Favorire la cooperazione tra allievi e creare un clima di classe per Scegliere strumenti di valutazione dell’apprendimento funzionali alla crescita degli allievi Gestire situazioni complesse sul piano dell’intercultura o della disabilità LAVORO DELL’INSEGNANTE FUORI DALL’AULA Essere soggetto partecipe e propositivo per l’organizzazione scolastica Scrivere progetti per ottenere fondi/finanziamenti Presentare/sostenere le proprie idee in pubblico Essere persuasivo ed influente COSTRUZIONE E SENSO DELLA PROFESSIONE Riflettere sui propri valori professionali, su pratiche e contesti di insegnamento Essere capace di apprendere
2°
3°
Brown- Kruskal Forsyte Wallis Sig.(b) Sig.(a)
3,80 3,77 3,74 3,35 3,32 3,46
0,420 0,148
0,446 0,123
3,77 3,78 3,73
0,706
0,928
3,84 3,92 3,98 3,83
3,78 3,90 3,94 3,83
0,267 0,382 0,174 0,939
0,355 0,382 0,221 0,634
3,73 3,75 3,85
0,045
0,001
3,82 3,73 3,78
0,431
0,253
3,85 2,60 3,43 3,12
3,70 2,70 3,37 3,28
0,000 0,027 0,134 0,000
0,000 0,018 0,015 0,000
3,79 3,61 3,79
0,070
0,024
3,81 3,68 3,68
0,048
0,276
3,78 3,83 3,94 3,81
3,41 2,27 3,13 3,61
(a)
Test robusto di Brown-Forsyte per la verifica dell’uguaglianza delle medie nel (b) Test non parametrico sui ranghi di Kruskal-Wallis
Tabella 2 Competenze specifiche: confronto tra medie dei Cluster e test sui ranghi
9 L’analisi di affidabilità è stata condotta mediante la procedura Reliability di PASW Statistics 18. 10 Pur essendo la scala di natura ordinale, sono stati calcolati indici analitici quali la media aritmetica e assunta la sommatività degli elementi. Una corretta interpretazione dovrà comunque riferire i risultati in termini di “ranghi” medi dei giudizi di importanza espressi, anziché di “misure” in senso cardinale dei giudizi raccolti.
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Ricerche – Valutazione delle competenze
Le capacità attinenti alla sfera dell’apprendimento e alla costruzione e senso della professione sono generalmente considerate molto importanti da tutti i giovani insegnanti. L’unico elemento che si segnala per una considerazione d’importanza significativamente superiore nel terzo cluster, formato principalmente da laureati in Scienze della Formazione Primaria, riguarda la capacità di scegliere strumenti di valutazione funzionali alla crescita degli allievi. Differenze costantemente significative si evidenziano invece nelle valutazioni delle capacità che attengono al lavoro dell’insegnante fuori dall’aula. Il secondo cluster, quello cioè che raccoglie gli insegnanti di scuola secondaria che non hanno beneficiato di una formazione specifica alla professione docente, presenta in particolare valutazioni molto più basse degli altri sulla capacità di partecipare attivamente all’organizzazione scolastica, mentre sono più elevate sull’attribuzione di importanza a doti di personalità quali la capacità di essere persuasivi ed influenti.
3. Conclusioni L’azione del docente si sviluppa attraverso interventi con gli allievi che si snodano prevalentemente nelle attività di insegnamento-apprendimento, per le quali si richiedono competenze specifiche in campo metodologico e didattico, relazionale, progettuale e valutativo. L’esercizio di una adeguata professionalità docente coinvolge dimensioni motivazionali, comunicative, pratiche e vocazionali che vanno ben oltre le specificità dei contesti d’aula, partecipando allo sviluppo complessivo dell’organizzazione scolastica e ad iniziative e progetti condotti dalla scuola nel rapporto con la più ampia realtà di ordine familiare, comunitario e sociale in cui è immersa. Così posta, la professionalità dell’insegnante si caratterizza per una sua dimensione ampia e multiprospettica, motivo per cui la formazione iniziale degli insegnanti necessariamente dovrà considerare adeguatamente un modello formativo che sia articolato a livello di quadro di competenze perseguite e al tempo stesso sia ben integrato rispetto alla unitarietà della funzione docente perseguita. All’interno del D.M. 249/2010, all’art. 2, una simile prospettiva trova corpo nel momento in cui, per la formazione iniziale del docente, si richiede: da un lato, “l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento vigente”, dall’altro lato “l’acquisizione delle competenze necessarie allo sviluppo e al sostegno dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Queste ultime diventano parte integrante della formazione iniziale dei docenti e determinano i contesti organizzativi entro cui diviene possibile – e assume significato – la qualità stessa dell’azione educativa e formativa. Gli esiti prodotti dal campione considerato esprimono criticità non tanto in merito alle funzioni tradizionali connesse alla sfera dell’apprendimento degli allievi e alla costruzione di senso della professione, quanto piuttosto in quelle riguardanti il lavoro fuori dell’aula. Queste ultime richiedono un impegno all’interno dell’organizzazione scolastica per contribuire in modo partecipe e propositivo alla vita dell’organizzazione, alla realizzazione di progetti e al reperimento di fondi e finanziamenti. Senza ombra di dubbio, quella dell’insegnante appare come una professione vissuta in modo dinamico e attento alle esigenze del cambiamento richiesto dalla knowledge society: si presenta come un professionista che valorizza la capacità di apprendere, riflette sui propri valori, sulle pratiche e sui contesti dell’apprendimento. Ma ciò che sembra caratterizzare le rappresentazioni degli intervistati è il fatto che la professionalità rimane ancorata ad una concezione quasi esclusivistica, riferita prevalentemente al rapporto fra insegnante e allievi; è una concezione che pone ai margini le problematiche di sviluppo di una cultura dell’organizzazione e che recepisce con difficoltà le
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dimensioni della scuola come sistema e come realtà pubblica in dialogo continuo con il più ampio contesto locale. Questa visione parziale del ruolo docente emerge in modo evidente nel gruppo di coloro i quali si sono formati in ambito prettamente disciplinare. Simili considerazioni riportano inevitabilmente la riflessione verso le scelte curricolari. Nello specifico, la soluzione del problema non può essere circoscritta solamente alla revisione di uno o più insegnamenti, ma va posta in termini di modello di professionalità docente che si intende costruire e ciò comporta, in primo luogo, una riconversione degli assetti strutturali del curricolo esplicito, in secondo luogo, una analisi delle componenti del curricolo implicito veicolate dai docenti universitari.
Riferimenti bibliografici Bottani N., Poggi A.M., Mandrile C. (2010). Un giorno di scuola nel 2020. Bologna: Il Mulino Coggi C. (2005). Per migliorare la didattica universitaria. Lecce: Pensa MultiMedia. Fabbris L. (Ed.) (2010). Dal Bo’ all’Agorà. Il capitale umano investito nel lavoro. Padova: Cleup. Feldman S. (1999). Only connect - Professors and teachers with a common mission. Academe-Bulletin of the AAUP, vol. 85. Le Boterf G. (2004). Construire les compétences individuelles et collectives. Paris: Editions d’Organisation. Marsh H. (1987). Students’ evaluations of university teaching: Research findings, methodological issues, and directions for future research. International Journal of Educational Research, 11, 253-388. Marsh H. (2005). La valutazione della didattica universitaria da parte degli studenti. In R. Semeraro (Ed.), La valutazione della didattica universitaria in Italia, in Europa e nel mondo. Bologna: Il Mulino. Marsh H. (1987). “Students’ evaluations of university teaching: Research findings, methodological issues, and directions for future research”. International Journal of Educational Research, 11, 3, 253-388. Marsh H. (1991). “Multidimensional students’ evaluations of teaching effectiveness: A test of alternative higher-order structures”. Journal of Educational Psychology, 83, 2, 285-296. Perrenoud P. (1999). Dix nouvelles compétences pour enseigner. Invitation pour voyage. Paris: ESF. Perrenoud P. (2003). Costruire competenze a partire dalla scuola. Roma: Anicia. Perrenoud P. (2006). Il lavoro sull’habitus nella formazione degli insegnanti. Analisi delle pratiche e presa di coscienza. In M. Altet, E. Chartier, L. Paquay, P. Perrenoud, Formare gli insegnanti professionisti. Quali strategie? Quali competenze? Roma: Armando. Ramsden P. (1988). Improving Learning: New Perspectives. London, Kogan Page. Minelli E., Rebora G.,Turri M. (2008).“How can evaluation fail? The case of Italian universities”. Quality in higher education, 14, 2, 157-173. Scriven M. (1993). Hard-Won Lesson In Program Evaluation. New Directions for Program Evaluation, Number 58. San Francisco CA: Jossey-Bass. Scriven M. (2003). Evaluation Theory and metatheory. In T. Kellaghan, D.L. Stufflebeam, L.A. Wingate. International handbook of educational evaluation. Dordrecht: Kluwer. Scriven M. (2007).The logic of evaluation. In H.V. Hansen et. al. (Ed.), Dissensus and the Search for Common Ground, CD-ROM (pp. 1-16). Windsor, ON: OSSA. Seldin P. (2007). Changing Practices in Evaluating Teaching. Bolton: Anker Publishing Co. Semeraro R. (2005). (Ed.). La valutazione della didattica universitaria in Italia, in Europa, nel mondo. Milano: Franco Angeli. Siegel S., Castellan N. J. Jr. (1992). Statistica non parametrica. Milano: McGraw-Hill. Turri M. (2009). 15 anni di valutazione nelle università italiane: conseguenze e prospettive. In S. Sangiorgi (Ed.), Il peso della ricerca: valutare una materia umanistica: architettura per esempio. Parma: CNBA. Vergnaud G. (1999). Le developpement cognitif de l’adulte. In Ph. Carré, P. Caspar, Traité des sciences et des tecniques de la formation. Paris: Dunod. Wittorski R. , Sorel M. (2005). (coordonnée par). La professionnalisation en actes et en questions. Paris: L’Harmattan.
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Ricerche
Valutazione delle competenze
L’uso degli incidenti critici nella valutazione dello sviluppo delle competenze interculturali Intercultural competence assessment through the use of critical incidents MARIALUISA DAMINI • ALESSIO SURIAN L’articolo fornisce una sintetica rassegna delle principali ricerche scientifiche che fanno riferimento all’utilizzo degli incidenti critici in funzione di un loro potenziale utilizzo in percorsi di formazione del personale docente e di una contestuale applicazione didattica. Si ipotizza una modalità di valutazione dello sviluppo di competenze interculturali attraverso l’utilizzo di strumenti di analisi di tipo qualitativo, realizzata all’interno di un progetto di ricerca che riguarda lo sviluppo di competenze interculturali attraverso il cooperative learning. Vengono presentate alcune considerazioni sulle modalità di redazione ed utilizzo degli incidenti critici in riferimento alla formazione degli insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado che operano in contesti multiculturali, evidenziando le potenzialità e i nodi pedagogici relativi all’utilizzo di tale metodologia come pratica riflessiva e didattica.
The paper presents an overview of key scientific research approaches concerning the use of critical incidents as teacher training and educational tools. It suggests that they can be implemented as intercultural competence assessment tools based on qualitative analysis. This assessment approach is being developed within a broader research project focusing on intercultural competence development through cooperative learning methodologies. The paper discusses how to identify, to draft and to use critical incidents in relation to multicultural secondary school teacher training. Such an approach is being reviewed in terms of the pedagogical potential of this methodology to promote reflective educational practice.
Parole chiave: incidenti critici, competenza interculturale, diversità culturale, formazione interculturale, cooperative learning, professionista riflessivo
Key words: critical incidents, intercultural competence, cultural diversity, intercultural education, cooperative learning, reflective practitioner
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Inciampa pure, così rifletti Argyris, 1991
1. Introduzione Prima di iniziare la nostra riflessione sull’uso degli incidenti critici nella valutazione delle competenze interculturali, è bene procedere ad una definizione preliminare degli stessi. Essi rappresentano una strategia per favorire la riflessione all’interno dei gruppi (Mortari, 2005, 118). Possono essere definiti come brevi descrizioni di eventi problematici che, producendo sorpresa, stimolano la riflessione (Tripp, 2003; Mortari, 2005) sull’evento stesso che, in questo modo, acquisisce un significato particolare per chi lo vive. Come sostiene Tripp (1993), già la scelta di individuare una determinata situazione come “incidente” e di interpretarla come “critica” implica un giudizio di valore sulla situazione stessa. Gli incidenti critici, quindi, come rilevato da Flanagan, che per primo ha prodotto un’ampia riflessione sugli incidenti critici, possono essere visti come un insieme di procedure per la raccolta di osservazioni dirette del comportamento umano in modo da facilitare la risoluzione di problemi di ordine pratico (1954, p. 327). In altri termini, come suggerito da De Frankrijker (1998, p. 105), la tecnica dell’incidente critico consiste nel raccogliere fatti importanti relativi al comportamento umano in determinate situazioni e nel renderne ragionevolmente predicibili le conseguenze. Per quanto detto, gli incidenti critici rappresentano un utile strumento formativo all’interno di diversi ambiti disciplinari (Collins, Pieterse, 2007, p. 17), da quello educativo a quello infermieristico, a quello della gestione delle risorse umane e di sostegno alle figure di dirigenza (Smith, Russel, 1991; Minghella, Benson, 1995; Dilworth, 1998). L’elemento accomunante la possibilità di utilizzare questa tecnica in ambienti così diversi sta nel fatto che, visti all’interno di una cornice epistemologica di tipo costruttivista, gli incidenti critici non vanno considerati fenomeni oggettivi, cioè esistenti indipendentemente dall’osservatore, ma sono creati dal modo particolare con cui il pratico guarda alla propria esperienza (Mortari, 2005, p. 118).
Essi rimandano pertanto ad una situazione o a un evento che può indurre un senso di potenziale dissonanza (Festinger, 1957; Van Overwalle, Jordens, 2002) offrendo l’occasione per sperimentare difficoltà elaborative fra rappresentazioni tra loro divergenti e per elaborare in modo personale tale esperienza, fornendo l’opportunità di generare soluzioni a eventuali problemi, ma soprattutto dando la possibilità di vedere gli stessi eventi problematici da altri punti di vista, che vengono condivisi. È importante evidenziare come sia la condivisione della critica e la sua comunicazione ad indurre il processo di co-costruzione di significati. C’è quindi una stretta relazione tra incidenti critici e pratica riflessiva e sviluppo di apprendimenti significativi che si ancorano strettamente all’esperienza (Parker et al., 1995, p. 112). È la riflessione sull’esperienza, nella sua natura ciclica, a sollecitare e permettere, come vedremo, aspetti di metariflessione.Tale aspetto induce a riflettere sull’importanza dell’utilizzo di questa tecnica all’interno della formazione interculturale e che ci porterà a considerarli inoltre uno strumento per leggere lo sviluppo di competenze interculturali.
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Ricerche – Valutazione delle competenze
2. Gli incidenti critici dal punto di vista della formazione interculturale Se, come si è poc’anzi accennato, la tecnica degli incidenti critici può essere fatta risalire alla fine del XIX secolo, essa è stata introdotta nel campo della formazione interculturale intorno ai primi anni Sessanta del secolo scorso (de Frankrijker, 1998, pp. 55-56) e utilizzata all’inizio per lavorare con gruppi che dovevano stare all’estero per un periodo considerevolmente lungo, in particolare i Peace Corps, ma anche insegnanti, infermieri, manager che dovessero trasferirsi all’estero per un periodo considerevolmente lungo (Wight, 1995; Brislin, 1986). Dal punto di vista interculturale, essi possono essere definiti come brevi descrizioni di situazioni in cui si verifica un malinteso comunicativo derivante dall’incontro di due diversi sistemi culturali. Ogni descrizione dell’“incidente” contiene informazioni sufficienti per identificare la situazione, descrivere che cosa è successo e, auspicabilmente, far riflettere sui sentimenti e le reazioni delle parti coinvolte. Le differenze culturali (intese come diverse premesse implicite) delle parti in causa non vengono descritte in modo analitico, ma vengono messe in luce e si riflette su di esse attraverso l’attività stessa (Wight, 1995; Fowler, Blohm, 2004). Il punto nodale sta nel fatto che essi si concentrano su situazioni di potenziale incomprensione che vanno “al di là” dello specifico linguistico (Weeks et al., 1979; Kohls, Knight, 1994; Fowler, Mumford, 1995; Cushner, Landis, 1996). Parimenti, non si tratta di considerare le culture come entità autonome, dotate di invalicabili confini. Grazie, infatti, al contributo della psicologia sociale, è stata abbandonata – almeno sul piano teorico – una concezione “reificata” della cultura, per cui, ad esempio, una popolazione si identifica necessariamente con il proprio territorio o con una sorta di patrimonio comune e coerente in cui tutti gli appartenenti di quella stessa cultura possono riconoscersi. Se “reifichiamo” la cultura, infatti, “reifichiamo” anche l’identità. Per costruire competenze realmente interculturali e non multiculturali è necessaria, invece, una lettura in cui i confini vengono visti come permeabili (Hermans, 2001). Crediamo che solo questa visione del mondo possa concorrere a costruire spazi di incontro. Nessuno ha una sola identità, ma è la compresenza di più identità che invita a costruire linguaggi comuni. Questo assunto è fondamentale per sostenere la possibilità ermeneutica delle relazioni interculturali e, nello stesso tempo, per credere nella possibilità di costruire competenze interculturali. Come nota inoltre Deardorff (2009), un punto su cui tutti gli studiosi di quest’ambito si trovano d’accordo è che per sviluppare competenza interculturale è necessario imparare a vedere il mondo, anche il proprio, da altri punti di vista. In questi termini, la competenza interculturale non riguarda solo il “saperci fare” con la diversità e in particolare con l’immigrazione, ma fa riferimento anche al modo in cui guardiamo noi stessi, ovvero il modo in cui viviamo e guardiamo il mondo. Nello stesso modo, la competenza interculturale riguarda anche l’abilità di identificare e lasciarsi sfidare da assunti culturali diversi, da altri valori e credenze, di sviluppare empatia (Belenky et al., 1986). Questo significa anche imparare a “pensare se stessi” mentre si osservano contemporaneamente l’“altro” e sé (Fitzgerald, 2000), sviluppando l’abilità di analizzare e trovare una risposta a quelli che Spradley e McCurdy (1972) definiscono “scenari culturali” e Turner (1974) “social dramas” della vita quotidiana, in modi che possano essere considerati come “dotati di senso” per tutti gli attori coinvolti (McAllister et al., 2006, pp. 367-368). Per esplorare “mondi possibili” (Sclavi, 2000) è allora necessaria una costante pratica autoriflessiva che, attraverso l’ascolto attivo e un decentramento rispetto allo “sguardo degli altri” (Augé, 2008), richiami, da un lato, la possibilità di farsi permeare dall’alterità e, dall’altro, di pensare ogni individualità in possibile divenire. Una proposta per sviluppare l’autoriflessione
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è proprio la tecnica degli incidenti critici (Fitzgerald et al., 1996; Fitzgerald, 2001). Essi infatti danno la possibilità di mettersi in gioco in situazioni “sicure” (Fitzgerald, 2000, p. 196), sviluppando nel contempo pensiero critico (Kirtchner, King, 1990) a partire dalla propria esperienza. In riferimento a quanto detto, ci sembra quindi che lavorare con gli incidenti critici diventi fondamentale anche in altri contesti interculturali, in particolare a scuola, in cui la diversità culturale è un fenomeno sempre più diffuso e che viene spesso associata ad una minaccia e, talvolta, ad un pericolo, in particolare dagli adolescenti (Rapporto IARD 2007; Aquario et al. 2008; “I giovani italiani e l’integrazione sociale degli stranieri”1, presentata dall’istituto GfK Eurisko, 2010).
3. Sviluppare competenze interculturali a scuola L’educazione interculturale in Italia corre spesso il rischio di una riduzione, di venire associata e confinata esclusivamente all’accoglienza degli studenti stranieri nella scuola, mentre meno presente è, invece, la riflessione sulle opportunità di sviluppare competenze interculturali in ambito educativo e su quali percorsi formativi siano necessari agli insegnanti che intendano raggiungere obiettivi, in questo ambito, per l’insieme della popolazione scolastica (Coulby, Gundara e Jones, 1997). Autori come Damiano (1998), Gobbo (2000), Cambi (2001) ritengono che un processo educativo che miri a favorire l’acquisizione di efficaci competenze interculturali implichi un profondo rinnovamento nell’impostazione pedagogica. Da un punto di vista didattico, acquista un ruolo centrale la riflessione sull’idea di cooperazione e di ascolto attivo. L’educazione – collettiva nelle sue modalità, ma individualizzata nelle sue procedure valutative – comincia a porsi il problema di come si impara a vivere insieme, di come favorire la capacità di “mettersi nei panni degli altri”, di come imparare a progettare insieme, prevenire e trasformare i conflitti. Per privilegiare la componente cooperativa nei rapporti con gli altri, è essenziale saper favorire sentimenti di empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri a partire da una pratica di ascolto attivo. Abituarsi per esempio a utilizzare una pluralità di sguardi sullo stesso argomento. Educare alla differenza non può essere soggetto specifico di una materia del curricolo ed acquisisce fondamentale importanza comprendere quali siano gli elementi formativi che contribuiscono a sviluppare adeguate competenze relazionali ed interculturali. Come articolare dunque elementi di riferimento per lo sviluppo di competenze interculturali in ambito educativo? Hannerz (2001) ha formulato sette ipotesi, tutte problematiche, a difesa della diversità, a partire dalla considerazione che la diversità culturale differisce da quella biologica2. Mentre le specie biologiche si estinguono in tempi più rapidi rispetto a quanto sarebbe necessario perché si sviluppino specie
1 http://www.osservatorionline.it/index.php?id=24789&page=Giovani+e+integrazione+sociale%3A +2010#content 2 “In ogni caso, rivolgerò la mia attenzione ad alcune tesi a favore della diversità culturale (…). Uno di questi ragionamenti prende le parti della diversità culturale in quanto tale, cioè come una sorta di monumento alla creatività dell’umanità. Un altro argomento è basato sui principi di equità e autodeterminazione. Un’altra ipotesi ancora è volta a dimostrare che la diversità culturale è benefica nell’adattamento dell’umanità alle limitate risorse ambientali del globo. Quarto, si può dire che la diversità culturale serve a mitigare i rapporti di dipendenza economica e politica. Quinto, si può anche assumere una posizione essenzialmente estetica nei confronti della diversità culturale; o, sesto, vederla come un’utile provocazione per il nostro torpore intellettuale; oppure, sette, attingervi come ad un serbatoio di conoscenza sedimentata sui diversi modi di fare le cose” (Hannerz, 2001, pp. 90-91).
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Ricerche – Valutazione delle competenze
nuove, in ambito umano assistiamo ad una continua ricostruzione culturale, con la trasformazione di nuove diversità “nutrite dall’ecumene globale” (un’affermazione che però non fa del tutto i conti con la rapida scomparsa della varietà linguistica sul pianeta). In ambito educativo il tema dell’abilità degli individui e dei gruppi nel confrontarsi con la diversità è stato affrontato da ricercatori come Bennett (1993), ripresi in ambito scolastico con l’utilizzo di incidenti critici da Goebel e Hesse (2000), in riferimento ad uno sviluppo di competenze interculturali che può essere riassunto in un modello di maggiore o minore sensibilità interculturale, il Developmental Model of Intercultural Sensitivity (DMIS), messo a punto da Milton Bennett, tra il 1986 e il 1993, articolato in sei fasi, suddivise in stadi etnocentrici (rifiuto, difesa, minimizzazione) e stadi etnorelativi (accettazione, adattamento, integrazione) (Miltenburg, Surian, 2002, p. 14)3. Dal punto di vista educativo, una raccomandazione forte è quella di utilizzare quello di Bennett o simili modelli più in termini di strategie interculturali, piuttosto che come rigide progressioni da uno stadio di apprendimento al successivo. È stato quindi proprio recependo questa raccomandazione che, all’interno di un percorso di ricerca-azione ancora in corso sullo sviluppo di competenze interculturali attraverso il cooperative learning, abbiamo adottato il modello di Bennett per “leggere” con gli insegnanti che partecipano al percorso di ricerca-azione, che meglio esplicheremo nel prossimo paragrafo, i cambiamenti degli studenti.Tale lettura è avvenuta in due modi: da un lato costruendo delle griglie osservative che permettessero di riflettere sull’evoluzione delle competenze interculturali; d’altro lato, abbiamo messo in relazione le risposte degli studenti ad un incidente critico proposto all’inizio, a metà e alla fine del percorso di ricerca con gli stadi di sviluppo delle competenze interculturali proposti dagli stessi Bennett. Agli stessi studenti è stato inoltre richiesto di compilare un questionario, che analizzasse la loro percezione rispetto alla diversità, culturale ma non solo, ripreso da una ricerca precedente (cfr. Aquario et al., 2008), le cui domande erano a loro volta state predisposte per permettere un confronto con l’Eurobarometro 2007 (Eurobarometer, 2007a; 2007b).
4. La ricerca La ricerca, come si è detto, è parte di un progetto di ricerca più ampio, tuttavia è sembrato importante “isolarla” rispetto al resto per le potenzialità che, a nostro modo di vedere, essa può implicare. I soggetti della presente indagine sono un gruppo di 160 studenti, appartenenti a sette classi di cinque istituti diversi (una classe di liceo linguistico, due classi di istituto tecnico industriale, quattro classi di un istituto professionale per l’agricoltura). Le classi partecipanti al progetto sono quelle che i 18 insegnanti impegnati nel progetto di ricerca-azione hanno deciso di coinvolgere, una volta accettato di partecipare al percorso di ricerca. L’obiettivo principale di tale ricerca è indagare se percorsi didattici strutturati con il Cooperative Learning, in particolare con l’approccio della Group Investigation (Sharan & Sharan, 1992), possano far maturare negli studenti atteggiamenti di maggior apertura verso la diversità, in particolare culturale (Damini, 2011). In quanto metodo “a mediazione sociale”, il cooperative learning, pur nella differenza dei molteplici approcci che lo caratterizzano4, può essere rico-
3 Per un’analisi nel dettaglio di tali stadi e relative indicazioni educative si veda: Miltenburg, Surian, 2002, pp. 14-21. 4 Le differenze tra i vari approcci del cooperative learning sono state discusse da diversi autori (Gillies, Ashman, 2003; Comoglio, 1996; Sharan, 1980, 2002; Slavin 1991, 1995), sottolineandone specificità e punti in co-
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nosciuto come particolarmente significativo e innovativo per trasformare la crescente diversità presente nelle classi in risorsa positiva (Slavin, 1995). La Group Investigation, in particolare, è una strategia di apprendimento cooperativo che integra il processo di studio dei contenuti scolastici con l’interazione e la comunicazione in classe (Sharan, Sharan, 1992). Gli studenti progettano insieme ciò che studieranno in merito ad un determinato argomento, suddividendosi in base all’interesse condiviso per un “sottoargomento” e cooperando nella realizzazione di tale progetto. Il lavoro viene suddiviso fra i membri del gruppo anche in base all’interesse suscitato da tale “sottoargomento”. Una volta completata la ricerca, i gruppi integrano e riassumono i risultati. Nel momento in cui gli studenti connettono l’esperienza e il proprio background personale con le informazioni che vengono via via scoperte, “l’apprendimento viene negoziato in un ambiente rispettoso, che permette agli studenti stessi di avere il tempo necessario per imparare come fare connessioni significative fra il loro mondo e il mondo della scuola” (Sharan, 2010, p. 36). All’interno di queste finalità di tipo più generale, l’indagine di seguito presentata si preoccupa di comprendere se è possibile valutare, attraverso l’utilizzo di strumenti di tipo qualitativo, lo sviluppo di competenze interculturali attraverso l’utilizzo degli incidenti critici. Se, infatti, attraverso gli incidenti critici è possibile riflettere sugli aspetti cognitivi del confronto culturale e sul riconoscimento di diversità culturale in quanto facente riferimento a premesse implicite (di partenza) diverse, che non richiedono quindi di entrare in un quadro di riferimento valoriale, è importante allora far emergere come possono evolversi questi aspetti cognitivi all’interno di contesti didattici di tipo cooperativo. Nei periodi dicembre-gennaio 2010-2011 e novembre 2011 è stata sottoposta agli studenti l’analisi di un incidente critico. Ugualmente si farà alla fine del percorso, nel periodo maggio-giugno 2012. Nello stesso periodo è stato somministrato agli studenti il questionario citato nel paragrafo precedente. L’incidente critico è stato presentato sia in forma scritta sia attraverso l’utilizzo di vignette, in quanto, come ben evidenziato da de Frankrjiker (1998, p. 62), la forma scritta rischia di “stereotipizzare” ulteriormente la situazione. Le vignette sono state realizzate da Elisabetta Damini seguendo le indicazioni di Marialuisa Damini in modo da realizzare disegni semplici che rappresentano i vari “passaggi” della storia proposta per aiutare gli studenti a focalizzarne i punti chiave (Aldo a Copenaghen – L’ospitalità della famiglia – Ciò che Aldo ha comunicato a parole alla famiglia ospitante – Il ritorno a casa – La perplessità di Aldo). Agli studenti è stata data prima l’opportunità di confrontarsi in gruppo e quindi di riprendere le suggestioni derivate dalla situazione a livello di gruppo classe e con la guida dell’insegnante, per evitare il rinforzo di eventuali stereotipi negativi (Fitzgerald, 2000, p. 193). L’incidente critico proposto non è partito, in questo caso, da una situazione di incomprensione realmente sperimentata dagli studenti. E’ stato scelto come ice-breaker (De Frankrijker, 1998) per aprire una rielaborazione dei propri vissuti. Attraverso la riflessione su tale incidente si è cercato di avviare con gli studenti una riflessione su situazioni di malinteso comunicativo da loro stessi vissute. Questo aspetto – potenzialmente estremamente interessante - è stato il più complesso, in particolare per la difficoltà evidenziata dagli studenti di operare una meta-riflessione su questi temi. Si è pertanto deciso di proporre a metà e a fine percorso altri incidenti critici, a partire da situazioni realmente accadute, in modo da stimolare ulteriori riflessioni.
mune. Nella molteplicità è tuttavia possibile riconoscere alcuni punti in comune, ovvero: interdipendenza positiva, interazione promozionale faccia a faccia, insegnamento diretto delle abilità sociali, responsabilità individuale e di gruppo, valutazione individuale e di gruppo.
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Di seguito, viene riportato il primo incidente critico presentato (ottobre-novembre 2010): Aldo è a Copenhagen (Danimarca) per frequentare un corso di lingua danese ed è ospite di una famiglia che lo ha accolto amichevolmente e dove resterà per due settimane. Il giorno di inizio del corso, a colazione, Aldo informa la famiglia che terminerà le lezioni alle 17.30, prenderà l’autobus delle 18.00 e cenerà a casa. Arrivato a casa trova la famiglia davanti al televisore mentre sorseggia una tazza di tè. Il figlio di 10 anni sta lavando i piatti e comunica a Aldo che può riscaldare la sua cena nel microonde. Ma Aldo non capisce perché non l’abbiano aspettato. Cosa è successo? Cosa provano le persone coinvolte? Come ti comporteresti tu in questa situazione? [Fonte: adattato da Garcea E. (1998) La comunicazione interculturale, Armando, Roma]
L’incidente critico è stato proposto seguendo un’identica procedura in ognuna delle sette classi degli istituti coinvolti. Prima di tutto, agli studenti è stato chiesto di comprendere bene la situazione, anche grazie all’utilizzo delle cinque vignette. In un secondo momento, agli studenti è stata consegnata una scheda che conteneva il testo dell’incidente critico, tre domande aperte e una serie di cinque possibili risposte per ciascuna delle tre domande aperte. Per ognuna delle risposte gli studenti erano invitati ad indicare il grado di probabilità, segnando una fra sette posizioni all’interno di una scala Lickert (da “Mi sembra molto probabile” a “Mi sembra molto improbabile”). Ognuna di queste risposte corrisponde ad uno dei primi cinque stadi (tre etnocentrici e due etnorelativi) del modello DMIS (Bennett, 1993), seguendo un approccio già realizzato da Goebel e Hesse (2000). La parte del lavoro con la scheda è individuale. Quindi, agli studenti è stato proposto di confrontare le rispettive risposte prima in coppia e poi in piccolo gruppo (4 persone). I gruppi sono stati costituiti secondo criteri casuali. A ciascun gruppo è stato chiesto di formulare una risposta di gruppo alle tre domande aperte. Le risposte formulate dai gruppi sono state poi riprese all’interno del gruppo classe sotto la guida dell’insegnante in un contesto non giudicante che aiutasse gli studenti a esplorare il problema facendo ricorso a “nuove lenti” (McAllister, 2006, p. 367). Le risposte alle domande aperte sono fondamentali perché inducono a ri-narrare la situazione e, quindi, a leggere all’interno di essa gli elementi di significato salienti (Fitzgerald, 2000; 2001) che, come vedremo, raramente identificano il malinteso a livello culturale. Ogni ri-narrazione concorre altresì a sviluppare maggior riflessione su se stessi e sugli altri. Attraverso la seconda domanda viene chiesto agli studenti uno sforzo di “decentramento cognitivo” importante in particolare in un contesto multiculturale (Cohen-Emerique, 1993; 1999), presupposto fondamentale per entrare nel cuore di quell’umanesimo etnografico che chiede di alleggerire le proprie forme identitarie, facendo della precarietà che ne deriva la condizione per prendere di esse consapevolezza, ritrovando la disponibilità alla comunicazione e agli scambi, premessa di ibridazioni da sempre feconde nella storia del genere umano (Miltenburg, Surian, 2002, p. 23). In altre parole, gli incidenti critici vengono utilizzati contemporaneamente sia come strumento per valutare lo sviluppo di competenza interculturale sia come modo per riflettere in modo diverso sulla realtà, favorendo atteggiamenti, più che di “empatia”, di “exotopia”, favorendo la tensione dialogica in cui l’estraneità è considerata una condizione necessaria alla comprensione:
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Per “exotopia” si intende una tensione dialogica in cui l’empatia gioca un ruolo transitorio e minore, dominata invece dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra (Sclavi, 2003, p. 172).
In questa logica, anche la terza domanda diventa importante per chiedere agli studenti di “ripensarsi” in una situazione altra. Tutte le risposte sono state analizzate al fine di evidenziare all’interno di esse delle “unità analitiche di significato”, le quali sono state messe in relazione con il DMIS e ci hanno quindi aiutato a identificare negli studenti una sorta di “livello” di sensibilità interculturale che, auspicabilmente, dovrebbe poter aumentare nel corso di tutto il progetto di ricerca.
5. Risultati provvisori Essendo la presente ricerca ancora in via di svolgimento, i risultati sono ancora provvisori e riguardano per ora l’analisi dei risultati relativi all’incidente critico su cui sono state raccolte le osservazioni dei 160 studenti nel periodo ottobre-novembre 2010. Rispetto a ciò è già possibile formulare alcune considerazioni. La prima considerazione riguarda il contesto e il taglio dell’incidente critico, che è stato probabilmente non sufficientemente pregnante per tutti gli studenti. Infatti, va notato che, per quanto riguarda le risposte chiuse – in cui erano sollecitati a fornire un’interpretazione più o meno etnocentrica o entnorelativa di quanto accaduto secondo cinque opzioni – gli studenti hanno optato in maggioranza per atteggiamenti etnorelativi. Quando si analizzano, però, le risposte aperte sollecitate a commento dell’incidente, si notano considerazioni non in linea con tale atteggiamento prevalente e sostanzialmente a carattere etnocentrico (più accentuato fra gli studenti del professionale rispetto a quelli dei licei) con una leggera prevalenza di atteggiamenti di minimizzazione della diversità culturale, caratterizzanti il malinteso, i quali sottendono ad un orientamento universalista. Rimane cospicuo in questo contesto il gruppo di studenti che rinuncerebbe al confronto e/o abbandonerebbe la situazione senza approfondire o risolvere il malinteso. Questi risultati si pongono in linea con una ricerca sperimentale di durata triennale condotta da Mitchell Hammer (2004). La ricerca ha coinvolto 2100 studenti, 1500 dei quali erano studenti che hanno partecipato a programmi di scambio annuale dell’American Field Service (AFS) / Intercultura in 9 Paesi diversi tra i mesi di settembre 2002 e luglio 2003; mentre i restanti 600 formavano il “gruppo di controllo”, costituito da compagni di scuola e amici di coloro che partecipavano al programma di scambio. Con questi gruppi è stato effettuato sia un pre test prima del periodo all’estero, sia un post test alla conclusione del periodo e un post-post test a sei mesi dal rientro degli studenti. Lo strumento utilizzato nella ricerca è stato l’IDI (Intercultural Development Inventory), basato sul già citato DMIS. Al di là della complessità della ricerca, quello che a noi preme osservare è che, all’inizio del programma, la maggior parte degli studenti (sia i partecipanti ai programmi AFS, sia il gruppo di controllo) si colloca soprattutto ad un livello etnocentrico, con un 56% dei partecipanti AFS e un 41% del gruppo di controllo con un atteggiamento universalistico di minimizzazione. Inoltre, l’indice di competenza interculturale diminuisce nel gruppo di controllo, mentre tende a salire negli studenti AFS. Anche nella nostra ricerca vediamo un orientamento più “aperto” al riconoscimento della diversità culturale negli studenti del liceo linguistico che partecipano costantemente a programmi di scambio culturale e quindi sono “costretti” a confrontarsi in tali situazioni con la diversità, cercando strategie per risolvere problemi di comunicazione interculturale.
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Come è possibile intervenire su questo stato di cose? Qui sta il cuore di tutto il progetto di ricerca che è nato come risposta alla domanda esplicitata da un gruppo di insegnanti referenti per l’educazione interculturale in merito agli atteggiamenti di “chiusura”, che spesso sfociano in atteggiamenti più o meno razzisti da parte degli studenti: come lavorare sull’accettazione e la valorizzazione della diversità a scuola, all’interno di percorsi curricolari “ordinari”? La risposta è stata quella di cercare una modalità didattica centrata sulla cooperazione e sullo scambio tra pari, attraverso l’utilizzo del Cooperative Learning, riflettendo continuamente anche e soprattutto con i propri studenti sulle criticità che tale scelta può comportare. In altri termini, si tratta di facilitare contesti (cooperativi) di interazione interculturale tali da poter provocare cambiamenti in termini di categorie e rappresentazioni cognitive, sostenendo parimenti processi di de-costruzione di quegli stereotipi che rafforzano le categorie noi-loro e che sono alla base di atteggiamenti razzisti (Aquario et al., 2008, 276).
6. Limiti della presente ricerca e questioni ancora aperte All’interno di questo percorso, permangono certamente ancora dei nodi da sciogliere, dovuti anche al fatto che si tratta di un lavoro ancora in fieri. In prima battuta, sicuramente, la presentazione di un incidente non “reale” (nel senso che non parte da un’esperienza realmente vissuta da loro) agli studenti coinvolti nel progetto può essere utile a stimolare negli studenti e, ovviamente, negli insegnanti, una riflessione su quali situazioni potrebbero essere potenzialmente critiche dal punto di vista della comunicazione interculturale, pur nella già esplicitata difficoltà di indurre una meta-riflessione su questi temi. Ciò che appare importante è allora, come nota de Frankijkrer (1998, p. 68), è formare in primo luogo gli insegnanti, ma in seconda battuta anche gli studenti, oltre che gli insegnanti con gli studenti, a leggere le “situazioni critiche” a livello interculturale (ma, ovviamente, non solo) che costituiscono i “bumpy moments” (Romano, 2004) di ogni percorso educativo, ovvero le situazioni irregolari, i momenti accidentati, quelle in cui è necessario dare una risposta immediata, certo, ma che possono trasformarsi in esperienze di apprendimento e riflessione (Mortari, 2009, pp. 130131). Il tentativo, risultato peraltro sin dall’inizio non privo di difficoltà, è stato quello di invitare gli insegnanti e gli studenti, in momenti diversi e una volta individuata la tipologia generale del problema su cui riflettere (in questo caso relativo ai malintesi possibili nella comunicazione interculturale), a raccontare e a raccontarsi, nella convinzione che in particolare quando si è chiamati a riflettere su ciò che viene dalla propria esperienza, allora ci si sente davvero protagonisti di un processo formativo (Brookfield, 1995, p. 163), che contiene le premesse per diventare trasformativo. Diventa quindi importante, alla luce di quanto detto, trovare delle strategie per far emergere situazioni problematiche e, nel contempo, identificare incidenti critici sufficientemente “chiari” per un contesto scolastico da poter essere considerati dei buoni indicatori del livello di competenza interculturale (secondo il DMIS), minimizzando il numero di risposte casuali. Più riusciamo a identificare tali incidenti nei contesti scolastici stessi, più aumentano le possibilità di miglior lettura e di maggior rilievo da parte e per gli allievi. Inoltre, considerando la possibilità di utilizzare gli incidenti critici come strumento di valutazione dello sviluppo di competenze interculturali, al fine di “validarlo” sarebbe utile metterlo a confronto con reattivi basati su scale che si propongono simili obiettivi come l’Intercultural Development Inventory. Nonostante ciò, ci sembra che, per ora, possa rimanere uno strumento di verifica e valutazione di particolare utilità per la sua immediata spendibilità formativa sia con insegnanti, sia con gli studenti, potendo, quindi, utilizzare in classe uno strumento didattico già condiviso nei percorsi di formazione con gli insegnanti che ne sol-
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leciti le capacità di osservazione delle dinamiche e delle narrazioni condivise all’interno del gruppo classe.
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Ricerche
Valutazione comparativa
L’archivio degli indicatori internazionali dell’istruzione* Dynamic Database for Quality Indicators Comparison in Education
DONATELLA POLIANDRI • PAOLA MUZZIOLI • ISABELLA QUADRELLI • SARA ROMITI The purpose of this study is to explore aspects and indicators most commonly used to assess the quality of education systems in 12 countries, trough the comparison of national publications describing the state of educational system. To compare indicators the CIPP model was chosen. On this model an electronic dynamic database for quality indicators comparison has been designed and implemented. Using the database it’s possible to compare indicators according to several criteria. The database is in public view and is designed for researchers and school decision makers. First comparisons show that processes at classroom level are rarely considered, whereas public financial resources are always included as well as achievement results.The study concludes with a discussion of the findings of comparison, as well as suggestions for future research, in order to further define relevant indicators to assess education quality.
Scopo dello studio è esplorare gli aspetti e gli indicatori usati per valutare la qualità dei sistemi educativi in 12 paesi, attraverso il confronto di pubblicazioni che descrivono il proprio sistema educativo. Per confrontare gli indicatori è stato utilizzato il modello CIPP, sulla cui base è stato implementato un database con il quale è possibile confrontare gli indicatori secondo diversi criteri. Il database è pubblico e definito per tutti coloro che si occupano di questioni educative. Un primo confronto mostra come i processi a livello di classe siano raramente inclusi come criteri di qualità per la valutazione dei sistemi scolastici, mentre le risorse finanziarie pubbliche sono sempre considerate, così come i risultati degli apprendimenti degli studenti. La discussione dei risultati offre suggerimenti per definire ulteriori indicatori rilevanti ai fini della valutazione della qualità dell’istruzione nel nostro paese.
Key words: indicator database, CIPP model, school statistics, educational indicators, education system, international comparisons
Parole chiave: archivio indicatori, modello CIPP, statistiche sull’educazione, indicatori dell’educazione, sistema scolastico, confronti internazionali
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Testo tradotto e adattato da: Poliandri D., Cardone M., Muzzioli P., Romiti S. (2010). Dynamic Database for Quality Indicators Comparison in Education.WP n. 4/2010, Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione. Disponibile su http://www.eric.ed.gov/PDFS/ED510974.pdf e su http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1639398
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - numero speciale - ottobre 2012
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Introduzione Lo studio delle pubblicazioni di 12 paesi europei ed extraeuropei relative alla valutazione della qualità del sistema scolastico attraverso indicatori ha permesso di comparare sia le scelte metodologiche e concettuali (modelli di riferimento teorici, indicatori, ecc.), sia quelle tecnico-pratiche (modi e tempi delle pubblicazioni, argomenti, ecc.) operate dai diversi paesi. Il lavoro ha evidenziato come nel tempo ciascun paese sia passato da una elaborazione di informazioni già presenti in database istituzionali, alla costruzione di un quadro di riferimento teorico (framework) più ampio in grado di organizzare sia dati già collezionati, sia rilevati ad hoc per individuare aspetti considerati rilevanti per descrivere e valutare la qualità dei sistemi scolastici nelle sue varie articolazioni (nazionale, locale, di singola unità scolastica, di studente). Gli aspetti / indicatori individuati da ogni paese considerato rispetto al proprio contesto, sono tali da permettere confronti sia temporali che territoriali. I confronti temporali permettono di capire le evoluzioni e i cambiamenti dei diversi sistemi educativi e gli eventuali effetti di riforme o di altri provvedimenti amministrativi. I confronti territoriali consentono da una parte la comparazione tra i sistemi educativi dei diversi paesi, dall’altra favoriscono analisi interne a ciascun territorio sulla “distribuzione” delle possibilità d’istruzione a tutti i livelli (nazionale, locale, di singola unità scolastica, di studente). In conclusione, la valutazione della qualità del sistema scolastico attraverso indicatori risponde alle finalità di rendere trasparenti e accessibili all’opinione pubblica informazioni sintetiche sugli aspetti più rilevanti del sistema educativo, e di offrire ai decisori politici elementi oggettivi per valutare lo stato di salute del sistema di istruzione del proprio paese.
1. La valutazione della qualità dei sistemi educativi attraverso “sistemi di indicatori” L’utilizzo di sistemi di indicatori viene ormai considerato in ambito internazionale il principale strumento per rilevare informazioni oggettive utili alla valutazione dei sistemi scolastici. Questi strumenti permettono un confronto nel tempo e nello spazio, rendendo possibile monitorare come cambiano i singoli fenomeni osservati nell’arco di un periodo di tempo e negli specifici contesti (diversi sistemi di istruzione, differenti aree geografiche, diverse istituzioni scolastiche, ecc.). In termini generali un indicatore nell’ambito della ricerca educativa può essere considerato come un mezzo per fornire informazioni sullo stato del sistema di istruzione, un dispositivo che ne segnala il corretto o cattivo funzionamento (analogamente a quanto avviene sul cruscotto dell’automobile, dove i vari strumenti consentono di tenere sotto controllo il funzionamento dell’auto). L’indicatore in sé non consente di stabilire la causa di un determinato problema o di definire un rimedio, semplicemente costituisce un sintomo che permette di dirigere l’attenzione su uno o più aspetti dello stato di salute del sistema educativo (Castoldi, 1996). Per una definizione più tecnica degli indicatori in ambito scolastico si vedano Oakes (1986) e Shavelson, McDonnel (1987). Queste definizioni, centrate sul sistema di istruzione, vanno integrate con la prospettiva della singola scuola, in un’ottica di schoolbased management, ovvero di decentramento del processo decisionale di istruzione tramite il coinvolgimento dei genitori e della comunità nelle scuole (World Bank, 2008). La metafora del cruscotto dell’automobile è stata spesso utilizzata – e poi variamente ripresa – nel linguaggio scolastico. In un’ottica strategica l’utilizzo di indicatori è funzionale
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a potenziare la ‘logica del cruscotto’ ovvero a creare le condizioni perché la scuola possa tenere sotto controllo l’efficienza e l’efficacia del curricolo (Romei, 1991, 1999). Gli indicatori utilizzati dai diversi paesi sono riconducibili a tre principali tipologie. In alcuni casi essi forniscono semplicemente delle informazioni, che non danno luogo a un particolare giudizio: quante unità scolastiche, quanti alunni, ecc. Sono informazioni che servono a programmare il servizio, non a valutarlo. Ad esempio sapere quanti alunni stranieri sono presenti all’interno di un determinato sistema scolastico permette di programmare interventi specifici, e allora sarà la presenza o meno di questi interventi che aiuterà a formulare un giudizio. In altri casi gli indicatori sono rilevati per approfondire determinati aspetti (ad esempio la formazione in ingresso o in itinere degli insegnanti), ossia con una valenza descrittiva. Altri indicatori, invece, si riferiscono a variabili alle quali si attribuisce un valore, ossia un criterio di qualità: positivo se si pensa che favorisca l’apprendimento, negativo se si pensa che sia un ostacolo (ad esempio le richieste di trasferimento dei docenti). In alcuni casi è sufficiente sapere se tale criterio esiste o meno (se ad esempio l’utilizzo dei laboratori è orientato agli obiettivi educativi), ma nella maggioranza dei casi questo non basta, poiché interessa sapere anche in che misura il criterio esiste e, soprattutto, quanto questa misura sia ritenuta accettabile. Agli indicatori è strettamente connesso il concetto di standard: non basta sapere quanto alto o basso sia il valore raggiunto per un certo indicatore, ma bisogna anche sapere quanto si avvicina allo standard ritenuto ragionevole in quella situazione. Gli standard possono essere: • requisiti minimi, come quelli stabiliti dalle autorità di ciascun paese (ad esempio il numero di studenti per classe); • standard di benchmark, in cui il proprio livello reale viene messo a confronto con quello che si ritiene dovrebbe essere il proprio livello teorico (ad esempio considerando scuole dello stesso tipo, o studenti nella medesima fascia socio-economica); • standard di meta, ovvero obiettivi di eccellenza a cui si può mirare. Se si considera la complessità inerente alla realtà sotto analisi, nella maggior parte dei casi, lo sviluppo di un singolo indicatore è insufficiente; diventa necessaria quindi la combinazione di una serie di indicatori, ciascuno dei quali in grado di focalizzare una parte di tale realtà. Gli indicatori non sono misure giustapposte, ma costituiscono una struttura coerente, un ‘sistema’ di dati in grado di fornire una rappresentazione valida del sistema educativo. In questo senso l’espressione ‘sistema di indicatori’ è preferibile a quella di ‘singolo indicatore’. L’utilizzo di un quadro di riferimento, un framework, è legato alla struttura e alla selezione del ‘sistema di indicatori’, in quanto fornisce una motivazione delle scelte compiute, una spiegazione delle connessioni tra gli aspetti descritti dagli indicatori, le procedure e le modalità di raccolta dei dati. La continua evoluzione dei sistemi di indicatori risponde all’esigenza di arrivare ad una lista sempre più adeguata alle istanze di valutazione espresse dai differenti sistemi educativi; questo processo spesso coincide con la progressiva diminuzione e selezione del numero degli indicatori stessi1. L’esperienza di molti paesi europei ed extra-europei2, così come quella del
1 Un esempio di questa situazione è la mappa di indicatori pubblicata sul sito dell’Instituto de Evaluacion spagnolo, disponibile su http://www.institutodeevaluacion.mec.es/sistema_estatal_de_indicadores_de_la_educacion/indice_de_indicadores/ [Data di accesso: aprile 2010]. 2 Ad esempio in Francia è dal 1991 che si pubblica un rapporto dove viene descritto il sistema educativo tramite indicatori; in Spagna un rapporto analogo si pubblica dal 2000; in Nuova Zelanda dal 2006, mentre l’Inghilterra si interroga sulla qualità del servizio scolastico e della scuola da quasi un secolo.
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progetto INES (International Educational Indicators) che ha iniziato il suo lungo percorso nel 19873, mostra che anche dopo decenni di sperimentazioni, le pubblicazioni relative alla qualità del sistema scolastico e delle scuole sono rimaneggiate e aggiornate, sottendendo un profondo lavoro di rielaborazione continua dei quadri concettuali e delle relative strutture di raccolta delle informazioni. Nel corso degli anni è aumentata l’attenzione per i risultati educativi e i processi ad essi considerati connessi, e quindi per gli indicatori necessari per misurarli. È cresciuta così anche l’esigenza di una comparazione tra gli approcci utilizzati dai diversi paesi per osservare il proprio sistema educativo.
2. I rapporti sui sistemi scolastici di alcuni paesi europei ed extraeuropei Sono stati studiati i sistemi educativi di alcuni paesi europei ed extraeuropei, e i relativi rapporti ufficiali prodotti. L’obiettivo è stato quello di capire come vengono presentate le informazioni, quale framework viene definito e utilizzato, e quali aspetti sono stati scelti per descrivere / presentare / rendicontare alla comunità lo stato dell’istruzione. I rapporti hanno in alcuni casi una forma molto discorsiva (ad esempio quello della Germania), mentre in altri presentano solamente informazioni sintetiche (come nel caso della Finlandia). In molti casi si fa riferimento a un insieme di indicatori, ma solo in alcuni casi questi sono organizzati sulla base di un quadro di riferimento chiaramente illustrato (ad esempio il rapporto della Nuova Zelanda e quello della Spagna). La frequenza di pubblicazione è diversificata tra i paesi: la Francia pubblica più rapporti con cadenza annuale, in Spagna la cadenza è biennale. Alcuni paesi producono rapporti basati su indicatori in modo sistematico da molti anni, per altri è una conquista recente, per altri ancora (come la Finlandia) è stata fatta una sola pubblicazione fino ad oggi. Di seguito sono brevemente descritte le caratteristiche dei rapporti finora esaminati. In Australia dal 2000 il “Ministerial Council on Education, Employment, Training and Youth Affairs” (MCEETYA) ha sviluppato un insieme di dati rilevanti a livello nazionale per valutare le performances e assicurare che le informazioni sul proprio sistema educativo siano diffuse. Nel rapporto del 2008 sono inserite informazioni sugli studenti, le scuole, gli insegnanti e gli insegnamenti, le risorse, la frequenza e i risultati degli apprendimenti nazionali e internazionali (http://cms.curriculum.edu.au/anr2008/index.htm). In Danimarca una pubblicazione annuale presenta i dati più importanti del sistema educativo con tabelle e grafici, mostrando serie storiche e confronti internazionali. I dati vengono aggiornati continuamente, in alcuni casi i dati già pubblicati vengono rivisti. Facts and Figures 2007 fornisce una panoramica completa del sistema educativo danese. La maggior parte di quanto riportato nella pubblicazione è anche disponibile sul sito del Ministero dell’Educazione Danese (www.uvm.dk). In Inghilterra un report annuale presenta i risultati delle ispezioni e delle visite effettuare dal “Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills” (Ofsted). Il rapporto attinge dai risultati che emergono sia dalle visite ispettive, sia da visite a campione attraverso
3 Il Progetto INES ha costituito la più importante iniziativa internazionale di costruzione di un set di indicatori per poter confrontare l’evoluzione dei diversi sistemi scolastici, e per valutarne efficacia e spessore qualitativo. Il progetto si è evoluto nella pubblicazione annuale Education at a Glance.
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le quali gli ispettori raccolgono informazioni più dettagliate su elementi inerenti assistenza sociale, istruzione e competenze degli alunni. The Annual Report of Her Majesty’s Chief Inspector of Education, Children’s Services and Skills 2008/09 (2009) è disponibile su http://www.ofsted.gov.uk/Ofsted-home/Annual-Report-2008-09. In Finlandia l’Ufficio Nazionale di Statistica produce un ampio insieme di statistiche relative all’istruzione. La pubblicazione Education in Finland 1999, raccoglie le informazioni sul sintema educativo e altre informazioni relative a impiego, insegnanti, spesa per l’istruzione, laureati, risultati scolastici, passaggio dalla scuola al mondo del lavoro e esiti sociali. In Francia il “Ministère de l’Éducation Nationale” pubblica annualmente The State of Education (in lingua inglese), un’analisi sintetica delle principali caratteristiche del sistema educativo francese. Si tratta di una raccolta di 30 indicatori riguardanti i costi, le attività e i risultati del sistema scolastico, a partire dalla scuola dell’infanzia fino all’università. Inoltre per il monitoraggio delle differenze interne al sistema scolastico francese, dal 2000 sono pubblicati annualmente gli Indicateurs generaux. Aide au diagnostic, au pilotage des académies et à la contractualisation. Questi forniscono una serie di informazioni statistiche sul funzionamento e le prestazioni del sistema educativo di ciascuna ripartizione territoriale in cui è articolato il servizio scolastico in Francia (académie). Il loro uso facilita l’analisi delle situazioni nelle académie e contribuisce allo sviluppo e al monitoraggio dei piani d’azione territoriali (L’état de l’École de la maternelle à l’enseignement supérieur – 30 indicateurs sur le sistém éducatif franc is. Disponibile su http://media.education.gouv.fr/file/etat19/82/3/etat19_129823.pdf). In Germania il report Education in Germany 2008 presenta un resoconto sul sistema educativo tedesco. Il volume analizza tutti gli aspetti del sistema educativo, a partire dalla scuola dell’infanzia, fino alla formazione professionale e alla formazione continua degli adulti. Il rapporto è sviluppato da “Standing Conference of the Ministers of Education and Cultural Affairs of the Länder in the Federal Republic of Germany” (KMK) e “Federal Ministry of Education and Research” (BMBF). Il rapporto, gli indicatori e tutti i dati sono disponibili sul sito www.bildungsbericht.de Nei Paesi Bassi il “Dutch Ministry of Education, Culture and Science” (OCW), presenta annualmente la pubblicazione “Key figures” riguardo i risultati e lo stato delle politiche in ambito educativo, della cultura e delle scienze degli ultimi 5 anni. La pubblicazione Key figures 2004-2008 contiene informazioni su studenti, scuole, personale, risultati e spesa per l’educazione, pre-scuola e scuola dell’infanzia, abbandoni scolastici, apprendimenti degli adulti, mercato del lavoro per gli insegnanti e prospettive internazionali. In Nuova Zelanda è stato sviluppato dal Ministero dell’Educazione il sito“Education Counts” per facilitare l’accesso a una serie di dati sul sistema educativo. Qui è pubblicato un sistema di indicatori (www.educationcounts.govt.nz/indicators) e il relativo framework che descrive gli indicatori raccolti. Gli indicatori sono raccolti in sei aree principali: educazione e risultati, insegnamento efficace, partecipazione degli studenti, coinvolgimento delle famiglie e della comunità, scuole di qualità, risorse. In Spagna l’Instituto de Evaluacion, che dipende direttamente dal Ministero dell’Educazione, ha il compito di elaborare il “Sistema statale di indicatori dell’educazione”. A partire dal 2000 ogni anno gli indicatori vengono aggiornati. Dal 2006 un gruppo di indicatori, chiamati indicatori prioritari, vengono aggiornati annualmente, mentre gli altri vengono aggiornati con una cadenza biennale. Nell’edizione completa del 2006, e nella successiva edizione del 2009, sono stati pubblicati 38 indicatori, di cui 15 prioritari. Le dimensioni nelle quali si raggruppano gli indicatori sono: contesto, risorse, scolarizzazione, processi e risultati. I rapporti e la mappa degli indicatori sono disponibili sul sito dell’Instituto de Evaluacion http://www.educacion.gob.es/portada.html. In Svezia la pubblicazione Descriptive data on preschool activities, school-age childcare, schools
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and adult education in Sweden 2006 fornisce un quadro aggiornato su come il sistema educativo è organizzato. Fornisce inoltre un resoconto delle spese per l’educazione per i differenti livelli scolastici e i risultati che sono stati raggiunti. È basato anche sulle statistiche che sono a disposizione del sistema di monitoraggio nazionale del settore educativo (disponibile su http://www.skolverket.se/sb/d/356/a/1326). In Svizzera la Confederazione (DFE/DFI) e i Cantoni (CDPE) si sono accordati riguardo alla realizzazione di un monitoraggio dell’educazione a lungo termine. Nel 2006 è stata pubblicata una versione pilota del rapporto sull’educazione e nel 2010 la prima versione ufficiale. Il Rapporto sul sistema educativo svizzero 2010 raccoglie le attuali informazioni sul sistema educativo svizzero. Contiene dati provenienti dai settori ricerca, statistica e amministrazione relativi all’intero sistema educativo, dalla scuola dell’infanzia alla formazione continua (disponibile su http://www.skbf-csre.ch/fileadmin/files/pdf/bildungsmonitoring/epaper_bildungsber icht2010it/index.html#/2). Negli Stati Uniti il Congresso ha demandato al “National Center for Education Statistics” (NCES) la realizzazione di un report annuale, The Condition of Education. Nella pubblicazione del 2009 sono presentati 46 indicatori, questi sono incentrati sugli studenti e la permanenza nel sistema educativo, sui risultati e su altre misure degli apprendimenti, sulle strutture e sulle risorse per l’educazione. In molti casi i dati fanno riferimento agli ultimi due o tre anni, in alcuni casi ad anni precedenti (2004, 2005, 2006). Sul sito http://nces.ed.gov/programs/coe/index.asp sono presenti tutti gli indicatori.
3. Il modello scelto Il modello scelto per leggere e confrontare tra loro i rapporti dei diversi paesi esaminati è il modello CIPP, Context, Input, Process, Product, (Stufflebeam, 1971, Stufflebeam & Shinkfield, 2007). L’idea che sta alla base del modello è semplice: per una corretta valutazione dei risultati (di un sistema, di un programma o di un progetto), è necessario collegare questi ultimi a una preliminare valutazione degli input, delle risorse e dei processi attivati in un determinato contesto. Il CIPP va inteso non tanto come un modello in cui i risultati sono legati da un rapporto deterministico alle altre variabili, ma come uno schema o approccio concettuale che permette, almeno su un piano logico, di offrire un quadro completo degli effetti e delle possibili cause. Il CIPP fornisce elementi informativi alle differenti teorie che provano a spiegare il complesso delle relazioni esistenti fra i diversi fenomeni in campo educativo. Permette inoltre di prendere in considerazione una vasta gamma di concezioni sulla qualità della scuola, da quella di tradizione economica della produttività del servizio (prevalentemente orientata sugli outcome e i loro impatti sociali a partire da determinati Input), a quella rivolta allo sviluppo educativo, basata maggiormente sullo studio dei processi a livello di scuola e/o di classe per migliorare gli output. Un ulteriore utilizzo del modello è quello di considerare ogni elemento di per sé, giudicando se ciascun indicatore si manifesta in modo ‘accettabile’, o ad un livello ‘accettabile’; la pubblicazione OECD Education at a Glance, (Organisation for Economic Co-operation and Development, 2009), rappresenta l’esempio più autorevole di questo modo di concepire la qualità del sistema scolastico.
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4. La struttura del modello CIPP Il quadro di riferimento (framework) adottato per la classificazione degli indicatori è quindi il modello CIPP che prevede una struttura ad albero: le ‘dimensioni’ del modello (Contesto, Input, Processi, Risultati) sono articolate in ‘macroaree’ che comprendono a loro volta ‘aree’, descritte da ‘indicatori’. Le quattro dimensioni del modello CIPP utilizzate come punto di partenza per la categorizzazione degli indicatori sono: • il Contesto in cui le scuole operano; • gli Input, ossia le risorse di cui il sistema educativo e le singole unità scolastiche dispongono; • i Processi attuati, ossia le attività realizzate dalla scuola; • i Risultati ottenuti, immediati, a medio e lungo periodo. Conoscere la dimensione del Contesto è di grande importanza, in quanto permette di adeguare la realtà scolastica alle condizioni locali. In generale il contesto rappresenta un dato strutturale non direttamente modificabile dall’azione educativa; alcune situazioni di contesto possono però essere definite ‘malleabili’ in quanto è comunque possibile agire su di esse, mentre altre sono ‘condizioni date’ più difficilmente modificabili, e rappresentano dei vincoli da tenere in considerazione. La dimensione degli Input considera le risorse di cui la scuola dispone nella prestazione del servizio.Tali risorse fanno riferimento al capitale umano (personale e studenti), a fattori economici (finanziamenti e fondi disponibili) e a fattori materiali (strutture e dotazioni a disposizione). Le ricerche sulle scuole efficaci (school effectiveness) hanno negli anni contribuito a individuare quei processi che risultano maggiormente collegati ai risultati, e quindi ai livelli degli apprendimenti degli studenti e alla loro riuscita scolastica. Solitamente gli indicatori di Processo sono ricondotti a due grandi gruppi: i processi a livello di scuola e quelli a livello di classe; si è scelto di dare evidenza e autonomia anche a una terza macroarea, quella dei processi che avvengono in sinergia tra scuola e comunità locale. I Risultati dei sistemi educativi assumono importanza sia in sé, sia posti in relazione con i processi attivati per ottenerli, con le risorse investite e con il contesto in grado di favorire o meno il successo scolastico. Nel concreto, sulla base dello studio dei rapporti e dei materiali che presentano le informazioni relative agli esiti della valutazione nei differenti paesi considerati, gli indicatori e gli aspetti desunti per presentare / rendicontare alla comunità lo stato dell’istruzione, sono stati classificati all’interno di tale modello. L’articolazione del modello teoricamente individuato è stato necessariamente adattato ai reali contenuti riscontrati nei materiali analizzati. L’attuale articolazione delle macroaree e delle aree è stata quindi effettuata cercando di mettere in relazione le scelte tecniche necessarie per la strutturazione e la fruizione dell’archivio degli indicatori, con le linee di sviluppo individuate da ciascun paese per la valutazione del proprio sistema di istruzione. Ad esempio, la dimensione Input è articolata nelle seguenti macroaree: “Aspetti demografici / economici della popolazione”, “Scolarizzazione”, “Ampiezza e diffusione del servizio scolastico”, “Caratteristiche socio-economiche-culturali delle famiglie” e “Partecipazione della comunità alla scuola”. Quest’ultima macroarea a sua volta è suddivisa nelle aree “Partecipazione”, “Servizi aggiuntivi” e “Sovvenzioni allo studio”, ciascuna delle quali classifica un sottoinsieme di indicatori. In particolare Spagna, Francia e Olanda rilevano numerosi aspetti che sono inseriti nella dimensione di Input ma, ad esempio, solo Spagna e Francia considerano come indicatore il “Prodotto Interno Lordo” che è inserito nell’area
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“Sviluppo Economico” e, di conseguenza nella macroarea “Aspetti demografici / economici della popolazione”. In funzione del continuo sviluppo dei sistemi di valutazione dei differenti paesi, la definizione delle aree e delle macroaree del framework è quindi in evoluzione, così come la struttura dell’archivio degli indicatori.
5. La struttura utilizzata per catalogare gli indicatori Per ciascun indicatore, vengono messi in evidenza alcuni aspetti tali da esplicitare in che modo è stato costruito, che cosa intende illustrare, e la chiave di lettura definita dal paese che lo utilizza. In particolare si è scelto di dare rilevanza ad elementi quali: • la posizione dell’indicatore rispetto al framework di riferimento (modello CIPP); • la descrizione dell’indicatore; • la spiegazione sull’utilizzo, sull’interpretazione dell’indicatore, e sulla motivazione per la quale è stato considerato rilevante da ciascun paese; • le note tecniche che forniscono dettagli ad esempio sulle modalità di calcolo dell’indicatore; • il livello ISCED4 a cui fa riferimento l’indicatore; • il livello di presentazione dei dati ossia il dettaglio rispetto al quale vengono elaborati / presentati i dati (per ripartizioni territoriali / istituzionali, a livello nazionale per un confronto tra diverse annualità, oppure per confronti internazionali); • l’unità di rilevazione considerata, ovvero se i dati sono stati raccolti a livello di singolo individuo (lo studente, il genitore, l’insegnante), oppure a livello di classe o di scuola. In aggiunta a questi elementi, per ciascun indicatore sono inserite alcune indicazioni funzionali a rintracciarne l’origine, quali: • la nazione che lo ha definito; • il nome originale; • il codice originale (se presente); • la macroarea e l’area rispetto al framework originale (se individuato dal paese di origine); • la fonte, con riferimento al documento originale da cui è stato tratto.
6. L’archivio on-line: struttura, funzioni, implementazione Gli indicatori studiati sono stati organizzati in un archivio dinamico pubblico on-line (Dynamic Database), accessibile ed esplorabile, strutturato secondo il modello CIPP. Permette di personalizzare le visualizzazioni, di filtrare gli indicatori e di visualizzare schede descrittive di ogni indicatore5. La struttura dinamica del database permette di essere costantemente aggiornata: l’archivio è infatti implementabile ad aggiornabile con nuove o più recenti pubblicazioni.
4 L’ISCED (International Standard Classification of Education, classificazione internazionale standard dell’educazione) è uno standard creato dall’UNESCO come sistema internazionale di classificazione per l’istruzione. 5 La home page dell’archivio degli indicatori internazionali è http://valsisindpub.invalsi.it/.
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Nella visualizzazione principale, sono presentate le quattro dimensioni principali del modello CIPP6; per ciascuna dimensione è possibile ampliare la vista per esplorarne l’intero contenuto, con riferimento a tutte le macroaree, le aree e gli indicatori in essa contenuti secondo la struttura ad albero definita dal modello. Nella sezione del sito denominata ‘Ricerca’7 è possibile passare dalla visualizzazione principale predefinita a visualizzazioni personalizzate, filtrando e/o ordinando gli indicatori presenti in archivio rispetto ad una serie di criteri: • il codice identificativo di ciascun indicatore inserito in archivio attraverso un campo libero: conoscendo il codice di un indicatore, si può procedere direttamente alla sua individuazione; • la dimensione: scegliendo una tra quelle già definite è possibile visualizzare tutti gli indicatori in essa contenuti; • la macroarea: è possibile scegliere una delle macroaree già inserite oppure fare una ricerca in base ad una parola chiave; • l’area: è possibile inserire una parola specifica e filtrare gli indicatori rispetto alle sole aree che contengono tale parola (esempio: inserendo la parola “risorse” vengono visualizzati gli indicatori contenuti nelle aree Risorse delle scuole, Risorse economico / finanziarie, Risorse materiali, Risorse umane); • il nome di un indicatore: è possibile inserire una parola chiave e visualizzare solo gli indicatori che contengono tale parola (esempio: inserendo la parola “spesa” vengono visualizzati gli indicatori quali Spesa totale per l’istruzione in relazione al PIL, Spesa pubblica totale per l’istruzione, Spesa dell’istruzione per alunno, ecc.); • il livello ISCED: è possibile selezionare gli indicatori in base a uno o più livelli che si vogliono considerare (esempio: livello 1 – scuola primaria -, livello 1 e 2 – scuola primaria e secondaria inferiore); • il livello di presentazione dei dati: è possibile selezionare gli indicatori in base al livello territoriale rispetto al quale sono presentati dai vari paesi (esempio: solo indicatori confrontati a livello internazionale, oppure solo indicatori che presentano un dettaglio regionale); • l’unità di rilevazione: è possibile selezionare gli indicatori in base all’unità elementare rispetto alla quale è stata rilevata l’informazione (esempio: per individuo, per scuola). 6.1 La scheda specifica dell’indicatore In qualsiasi modalità venga visualizzato il contenuto dell’archivio, sia principale, sia personalizzata, è possibile selezionare ciascun indicatore ed aprire una scheda che ne riporta i seguenti dettagli: • Id: un codice univoco identificativo per ciascun indicatore. • Nazione: il paese che lo ha definito. • Dimensione: la dimensione nella quale è classificato ciascun indicatore secondo il modello CIPP considerato. • Macroarea: la macroarea nella quale è inserito ciascun indicatore secondo il modello CIPP. • Area: l’area nella quale è inserito l’indicatore secondo il modello CIPP. • Nome indicatore: il nome dell’indicatore considerato (traduzione in lingua italiana).
6 http://valsisindpub.invalsi.it/archive.php 7 http://valsisindpub.invalsi.it/search.php
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• Nome originale: il nome dell’indicatore in lingua originale. • Descrizione: una breve descrizione dell’indicatore (esempio: la percentuale della popolazione adulta tra 25 e 64 anni che ha completato un certo livello di studi). • Spiegazione: i commenti introduttivi o esplicativi sull’utilizzo dell’indicatore e sulla sua interpretazione (esempio: in questo indicatore si presentano i dati riferiti ai giovani scolarizzati tra 0 e 29 anni […]). • Note tecniche: le eventuali note esplicative sulla costruzione dell’indicatore, se contenute nel documento o nel sito web di origine (esempio: per la definizione dei livelli di studio inferiore all’educazione primaria si intendono i cittadini analfabeti e coloro che sanno leggere e scrivere ma non hanno completato almeno i primi 5 anni di scolarità […]). • Livello ISCED: i codici internazionali che indicano il livello di istruzione a cui si riferisce l’indicatore. I livelli ISCED considerati sono: 0 – scuola pre-primaria, 1 – scuola primaria, 2 – scuola secondaria inferiore, 3 – scuola secondaria superiore, 4 – formazione post-secondaria (non universitaria), 5 – istruzione terziaria (laurea), 6 – istruzione terziaria avanzata (dottorato di ricerca). • Presentazione dati: il dettaglio rispetto al quale vengono elaborati / presentati i dati. Il livello di presentazione può essere internazionale se i dati vengono usati per essere confrontati con altre nazioni (esempio: Spesa pubblica per l’istruzione), nazionale se i dati vengono presentati aggregati per tutto il Paese (esempio: Numero di scuole), per ripartizione territoriale / istituzionale (esempio: Numero di studenti per regione) se i dati vengono presentati e confrontati rispetto ad unità territoriali o amministrative interne al paese. • Unità di rilevazione: l’unità fisica rispetto alla quale vengono raccolti i dati. I dati possono essere raccolti a livello centrale e presenti in database già esistenti (esempio: Prodotto interno lordo per abitante), possono essere raccolti a livello di scuola (esempio: Profilo del capo di istituto), a livello di classe (esempio: Alunni per classe), e/o a livello di singolo individuo (esempio: Risultati in matematica in una prova standardizzata di apprendimento). A seguire, nella stessa scheda, vengono presentati i dati che permettono di rintracciare l’indicatore nel suo documento originale: • Fonte documento: la fonte (documento o sito web) dalla quale sono state tratte tutte le informazioni riportate nella scheda. • Fonte dati: le fonti dati ufficiali utilizzate per la creazione dell’indicatore (se presenti). • Codice: il codice di riferimento originale utilizzato dalla nazione (se presente). • Macroarea – origine: la macroarea nella quale è classificato l’indicatore dalla nazione che lo ha definito / utilizzato (esempio: per la Nuova Zelanda gli indicatori sono classificati in sei macroaree: Educazione e apprendimento, Partecipazione degli studenti, Famiglia e comunità, […]). • Area – origine: l’area nella quale è classificato l’indicatore dalla nazione che lo ha definito / utilizzato (esempio: per la Spagna gli indicatori della scolarizzazione sono raggruppati in diverse aree, quali Scolarizzazione per ciascuna tappa educativa, Scolarizzazione e popolazione, Evoluzione dei tassi di scolarizzazione […], Accesso all’educazione superiore, Alunni stranieri, Attenzione alla diversità […], Partecipazione all’apprendimento permanente).
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7. La comparazione fra indicatori utilizzati da alcuni paesi: primi esiti Da una prima lettura complessiva offerta dalla visualizzazione principale dell’Archivio online, emergono le priorità che nazioni come Spagna, Olanda, Francia e Nuova Zelanda pongono nella scelta degli aspetti da illustrare nelle pubblicazioni ufficiali relative alla valutazione della qualità del sistema scolastico attraverso indicatori. Ad esempio osservando la dimensione del Contesto e tenendo in considerazione la nazione, si evince come la macroarea Scolarizzazione (e le due aree in essa inserite, ossia Scolarizzazione in ciascuna tappa educativa e Titolo di studio della popolazione adulta) sia tra gli aspetti prioritari indicati da tutti i paesi; al contrario la macroarea relativa alla Partecipazione della comunità alla scuola è descritta attraverso differenti aree dai paesi studiati: la Spagna utilizza indicatori afferenti la Partecipazione, la Francia quelli relativi ai Servizi aggiuntivi, mentre l’Olanda approfondisce l’area delle Sovvenzioni allo studio. Anche gli indicatori relativi al Backgound socio-economico-culturale delle famiglie degli studenti sono particolarmente utilizzati: sono infatti misure spesso associate con i risultati degli studenti. La macroarea delle Risorse economico / finanziarie è quella che rappresenta maggiormente la dimensione degli Input; in particolare l’area della Spesa pubblica per l’istruzione è approfondita da tutti i paesi. Infatti l’indicatore relativo alla Spesa totale per l’istruzione in relazione al PIL è abitualmente utilizzato per comparazioni internazionali. Anche l’area relativa alle Caratteristiche della scuola è regolarmente presentata nelle pubblicazioni sui sistemi educativi, con particolare attenzione a tutti gli indicatori relativi alla numerosità degli studenti e degli insegnanti, dati molto usati per costruire rapporti e misure relative (ad esempio Numero degli studenti per insegnante). Le Caratteristiche degli studenti vengono descritte attraverso numerosi indicatori tra i quali i più ricorrenti risultano essere quelli legati a situazioni che richiedono attenzioni specifiche, come ad esempio la numerosità degli studenti stranieri o degli studenti ripetenti. Contrariamente al senso comune, solo la Spagna pubblica dati relativi alle dotazioni informatiche a disposizioni degli studenti; in generale i diversi paesi studiati sembrano porre scarsa attenzione alle Risorse materiali. La dimensione relativa ai Processi risulta in generale quella meno indagata attraverso l’utilizzo di indicatori; spesso i paesi che individuano per questa dimensione chiari aspetti di indagine, sono quelli che hanno sistemi di valutazione esterna della scuola o di valutazione interna strutturata. Ad esempio la Spagna elabora indicatori per approfondire l’utilizzo delle Strategie didattiche, il Clima di scuola, la Collaborazione fra insegnanti e gli Stili di direzione / coordinamento. Alcuni aspetti di processo vengono considerati dall’Olanda in relazione alla Progettazione del curricolo e dell’azione didattica (ad esempio con l’indicatore Autonomia dei docenti nella determinazione dei contenuti del curricolo). Le informazione afferenti alla dimensione dei Risultati circa il Livello di istruzione conseguito ed il Successo scolastico, e quelle relative ai Risultati diretti dell’istruzione sono presenti nelle pubblicazioni di tutti i paesi considerati; in particolare i Tassi di abbandono, così come i Livelli delle conoscenze e delle competenze degli studenti esplorati attraverso i risultati ai test di apprendimento standardizzati, non mancano mai di essere illustrati sia per confronti territoriali (internazionali, nazionali, locali, di singola unità scolastica), sia temporali. Solo l’Olanda tratta anche aspetti legati agli Esiti delle politiche per le pari opportunità. Alcuni paesi scelgono di approfondire aspetti particolarmente legati al proprio contesto sociale; ad esempio la Nuova Zelanda mette in evidenza le difficoltà dei propri giovani studiando temi come il Tasso di suicidio giovanile, ritenendo che questi abbiano implicazioni sia per le famiglie, sia per le scuole.
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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • NUMERO SPECIALE • 2012
Una chiave di lettura degli indicatori francesi rispetto al Livello ISCED evidenzia una maggiore attenzione verso la scuola secondaria inferiore e superiore (livelli ISCED 2 e 3), rispetto a quella primaria (livello ISCED 1). Infatti, rispetto all’istruzione secondaria, vengono forniti diversi indicatori sia di Input (in particolare sulle Caratteristiche degli studenti e delle scuole) che di Risultato. Uno studio più dettagliato di questa dimensione mostra come il sistema francese sia molto più orientato verso indicatori di Successo scolastico (23 indicatori) piuttosto che su quelli relativi al Livello delle conoscenze e delle competenze degli studenti (4 indicatori), al contrario di quanto accade invece per altri paesi. Ad esempio in Nuova Zelanda, Spagna e Olanda ad un certo numero di indicatori di Successo scolastico corrisponde circa lo stesso numero di indicatori relativi al Livello delle conoscenze e delle competenze degli studenti, dove in questi ultimi rientrano i risultati dei test internazionali PISA, TIMSS e PIRLS. Un’altra chiave di lettura è quella relativa all’unità di rilevazione dei dati; si può vedere come tutti i paesi studiati utilizzino per la costruzione della maggior parte degli indicatori database già definiti dai diversi ministeri dell’istruzione o dagli istituti preposti alla valutazione (dati raccolti a livello centrale). Minore è l’utilizzo di indicatori rilevati a livello di classe. Se il livello con cui vengono rilevati i dati corrisponde all’individuo, facendo una comparazione fra le nazioni, emerge una differenza tra le pubblicazioni francesi ed olandesi da un parte, e quelle spagnole dall’altra. Nei primi due paesi le informazioni rilevate a livello di individuo sono quasi esclusivamente quelle relative ai risultati dei propri alunni; la Spagna integra questi dati con alcune informazioni sull’attitudine e il comportamento degli studenti. Questa prima rassegna di esiti mostra le potenzialità dell’Archivio on-line, inteso come uno strumento in grado di comparare e individuare gli indicatori maggiormente utilizzati dai differenti paesi per illustrare la situazione del proprio sistema scolastico. L’obiettivo futuro è quello di esplorare, approfondire e definire nuove chiavi di lettura, offrendo spunti di riflessione ai decisori politici, agli operatori della scuola e, più in generale, all’opinione pubblica.
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Finito di stampare nel mese di OTTOBRE 2012 da Pensa MultiMedia Editore s.r.l. Lecce - Brescia www.pensamultimedia.it