Giornale Italiano della Ricerca Educativa 9-12

Page 1



Giornale Italiano della Ricerca Educativa Italian Journal of Educational Research RIVISTA SEMESTRALE anno V numero 9 Dicembre 2012


Direttore LUCIANO GALLIANI - Università degli Studi di Padova Condirettore PIETRO LUCISANO - Sapienza Università di Roma Comitato Scientifico ROBERTA CARDARELLO - Univeristà degli Studi di Modena e Reggio Emilia ARMANDO CURATOLA - Università degli Studi di Messina JEAN-MARIE DE KETELE - Université Catholique di Lovanio MARIA LUCIA GIOVANNINI - Alma Mater Studiorum – Università di Bologna ALESSANDRA LA MARCA - Università degli Studi di Palermo GIOVANNI MORETTI - Università degli Studi di Roma 3 ELISABETTA NIGRIS - Università degli Studi di Milano Bicocca ACHILLE M. NOTTI - Università degli Studi di Salerno VITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV - City University di Mosca RENATA VIGANÒ - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Redazione ANNA SERBATI - Università degli Studi di Padova Procedura di referaggio Gli articoli proposti, inediti e non ancora sottoposti ad altre riviste, saranno soggetti ad un procedimento di revisione, che prevede giudizi indipendenti da parte di studiosi di riconosciuta competenza italiani e stranieri. I giudizi saranno espressi in conformità a quanto previsto dalle norme ISI e comunicati agli autori insieme alle eventuali indicazioni di modifica. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non saranno pubblicati. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori abbiano espresso parere positivo. Nel caso di giudizi fortemente contrastanti, verrà utilizzato un terzo revisore. Responsabili della procedura di referaggio sono il direttore della rivista Luciano Galliani e il condirettore Piero Lucisano. Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato) Codice ISSN 2038-9744 (testo on line) Finito di stampare: DICEMBRE 2012 Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010 Abbonamenti Italia euro 25,00 • Estero euro 50,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: Licosa S.p.A. – Signora Laura Mori Via Duca di Calabria, 1/1 – 50125 Firenze Tel. +055 6483201 • Fax +055 641257 • mail: laura.mori@licosa.com

Editing e stampa Pensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435 www.pensamultimedia.it - info@pensamultimedia.it Progetto grafico copertina Valentina Sansò


SOMMARIO Editoriale 9

LUCIANO GALLIANI Abilitazione Scientifica Nazionale tra quantità e qualità

Ricerche 11

ANNA SERBATI, CRISTINA ZAGGIA Allineare le metodologie di insegnamento, apprendimento e valutazione ai learning outcomes: una proposta per i corsi di studio di istruzione superiore Alignment of teaching, learning and assessment activities to learning outcomes: a proposal for higher education courses

27

CONCETTA LA ROCCA La valutazione in itinere nell’e-learning: autovalutazione e valutazione collaborativa On-going evaluation in e-learning: self-assessment and collaborative assessment

39

DIEGO DI MASI Valutare percorsi di partecipazione tra scuola e città: un curriculum per la cittadinanza Evaluate partecipation program between school and local community: a curriculum for citizenship education

52

ELISA ANNA CRAVANA Dimensioni della literacy e prospettive didattiche dell’insegnare a leggere. Pratiche di facilitazione e significatività dell’apprendimento iniziale Literacy aspects and educational prospects of teaching reading. Activities aimed at making easier and meaningful the initial learning

64

ERICA GOBBI, ILARIA FERRI, ATTILIO CARRARO I giochi di lotta in educazione fisica: effetti sull’aggressività degli adolescenti Rough-and-tumble play in physical education: effects on adolescents aggressiveness

71

DONATELLA POLIANDRI, PAOLA MUZZIOLI, ISABELLA QUADRELLI, SARA ROMITI, La valutazione della qualità nelle scuole destinatarie dei Fondi strutturali europei Evaluating quality in school receiving european structural funds

83

MARIALUISA DAMINI, ALESSIO SURIAN Cooperative learning e valutazione in contesti multiculturali Assessment and Cooperative learning in multicultural contexts


96

ALESSANDRA CAVALLO Qualità nella scuola: il ben-essere come nuova frontiera educativa Quality school: well-being as a new educational challenge

108

ANDREA ZINI Misurare la competenza lessicale in contesto specifico attraverso prove di cloze Measuring lexical competence in specific context through cloze tests

120

LORENZA DA RE Il “Tutor Junior” come elemento di qualita’ della didattica universitaria. L’esperienza della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova Junior tutor and quality of teaching. The experience within the Faculty of Educational Science of Padua University

Informazioni 134

ALESSANDRA LA MARCA La ricerca nelle scuole di dottorato in Italia. Dottorandi e docenti a confronto Research in doctoral school in Italy. A comparison between doctoral students and teachers


hanno collaborato •

ANNA SERBATI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, anna.serbati@unipd.it • CRISTINA ZAGGIA Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, cristina.zaggia@unipd.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

CONCETTA LA ROCCA Dipartimento di Studi dei Processi Formativi, Culturali, Interculturali nella Società Contemporanea, Università degli Studi Roma Tre, concetta_la_rocca@virgilio.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

DIEGO DI MASI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, diego.dimasi@unipd.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

ELISA ANNA CRAVANA Università di Palermo, elisacravana@virgilio.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

ERICA GOBBI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, ericagobbi@libero.it • ILARIA FERRI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, ilariasofia.ferri@gmail.com • ATTILIO CARRARO Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, attilio.carraro@unipd.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

DONATELLA POLIANDRI INVALSI, donatella.poliandri@invalsi.it • PAOLA MUZZIOLI INVALSI, paola.muzzioli@invalsi.it • ISABELLA QUADRELLI INVALSI, isabella.quadrelli@invalsi.it • SARA ROMITI Ricercatore, sara.romiti@invalsi.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

MARIALUISA DAMINI Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, marialuisa.damini@studenti.unipd.it ALESSIO SURIAN Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, alessio.surian@unipd.it

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––


ALESSANDRA CAVALLO Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, alessandra.cavallo@unipd.it –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

ANDREA ZINI Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, andreazini3@gmail.com

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– •

LORENZA DA RE Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova, lorenza.dare@unipd.it

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––


Editoriale Abilitazione Scientifica Nazionale tra quantità e qualità per il lavoro di Commissioni al di sopra di ogni sospetto LUCIANO GALLIANI Le nuove norme per il reclutamento e lo sviluppo di carriera del personale universitario, previste dalla riforma Gelmini, hanno modificato sostanzialmente non solo le prassi precedenti dei concorsi – fondate su valutazioni comparative per posti di associati e ordinari, definiti precedentemente a livello nazionale prima e poi locale – con l’introduzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia attraverso procedure di ammissione che hanno previsto il superamento diversificato, da parte dei candidati, di tre mediane in riferimento ai settori bibliometrici e non bibliometrici e di modalità di valutazione fondate sulla utilizzazione di standard quantitativi uniformi e criteri qualitativi decisi delle Commissioni. Il MIUR, in relazione alla prima e seconda tornata dell’abilitazione per associati, ha assegnato fondi specifici alle Università per lo svolgimento di successivi concorsi locali, che hanno indotto gli Atenei ad approvare Piani straordinari per il reclutamento dei professori associati, anche ricorrendo all’integrazione di fondi locali e distribuendo un certo numero di posti ai Dipartimenti. In tal senso, sono stati anche varati Piani triennali di sviluppo tenendo conto di una ripartizione dei posti per fasce: ad un certo numero di professori ordinari deve necessariamente corrispondere per legge un altrettanto numero di ricercatori a tempo determinato. Le Commissioni per l’ASN, composte da quattro ordinari più uno straniero, uniche per la procedura di abilitazione dei candidati di prima e seconda fascia, si troveranno dunque di fronte ad un lavoro immane assai difficile da gestire, che riguarderà sia la prima che la seconda tornata. È molto probabile che presentino domanda tutti coloro che allo stato attuale sono associati e ricercatori a cui vanno aggiunti i ricercatori esterni (dottori di ricerca, assegnisti junior e senior, ecc.). Il rischio, per l’università italiana, è quello di attivare una sorta di promozione ope legis mascherata, che non tenga conto dei tagli operati sui finanziamenti e dei pensionamenti senza fondi per il turnover, con la conseguenza di avere todos caballeros alla ricerca di un posto, prima che l’abilitazione scada. Per evitare che ciò accada e che tutto questo possa trasformarsi in una “sciagura” per l’università, occorre, da un lato, prendere sul serio il lavoro svolto dalle Società scientifiche e dalle Consulte di settore in riferimento alla classificazione delle Riviste – che hanno iniziato a bonificare l’area delle scienze umane, sociali e del patrimonio culturale, senza cedere per questo a tentativi forzatamente legati alle indicizzazioni bibliometriche con relativo impact factor – e, dall’altro lato, considerare le mediane un valido indicatore quantitativo da difendere, nell’equilibrio tra monografie, capitoli o saggi in volume, full paper referati o relazioni invitate a convegni, articoli su riviste nazionali e internazionali, inserite o da inserire progressivamente in ISI o Scopus. Alle Commissioni e ad ognuno dei loro componenti è demandata la responsabilità di esprimere un giudizio sulla qualità delle singole pubblicazioni scientifiche presentate e sul profilo professionale di ciascun candidato, in cui dare particolare rilievo alle diverse esperienze individuali di sviluppo della ricerca scientifica, della didattica e della governance accademica, soprattutto per coloro che aspirano a conseguire l’abilitazione di prima fascia.

9


Editoriale

È chiaro tuttavia che i giudizi debbano necessariamente essere coerenti con i criteri stilati dalla Commissione, poiché l’auspicio è quello che, nell’analisi dei singoli prodotti, vengano adottati quelli già impiegati nella VQR, ovvero Rilevanza, Originalità, Internazionalizzazione, ognuno traducibile in punteggi da 1 a 9. In questo caso, i singoli Commissari si troverebbero a redigere un breve giudizio per ciascuno dei lavori presentati, utilizzando i medesimi indicatori: Rilevanza: importanza dei problemi indagati dal punto di vista disciplinare/interdisciplinare; influenza sulla comunità scientifica; utilizzazione di metodi, fonti e documentazione. Originalità: capacità di far avanzare la conoscenza nel settore; sviluppo di nuovi concetti o approcci o metodologie; utilizzo di nuovi dati o fonti originali. Internazionalizzazione: capacità di tenere conto del dibattito e della bibliografia internazionale; contributo offerto al dibattito; diffusione e ricezione attraverso banche dati, biblioteche, riviste nazionali e internazionali, nonché qualità e prestigio dell’editore. Una volta tradotti i giudizi dei cinque Commissari in punteggi e calcolata la media per le pubblicazioni di ogni candidato, si aprono due strade possibili per formare graduatorie relative alla qualità scientifica, dalle quali partire per definire, attraverso il calcolo della mediana, lo standard di legittimazione dell’Abilitazione Nazionale. La prima via è perseguibile formando graduatorie indipendenti per ognuno dei tre criteri (Rilevanza, Originalità, Internazionalizzazione) e calcolando le rispettive tre mediane: si dichiarano “abilitati” coloro che ne superino almeno due. La seconda via è percorribile costituendo una unica graduatoria, data dalla somma dei punteggi che si riferiscono ai tre criteri per ogni candidato, e procedere poi nel calcolo della mediana, considerando “abilitabili” solo coloro che superano il valore mediano. Nel primo caso vi è una maggiore flessibilità nel considerare l’importanza attribuita ai tre criteri ed ai loro relativi indicatori, con il risultato finale di ottenere un maggior numero di abilitati rispetto al secondo caso, in cui il valore dell’unica mediana potrebbe risultare molto elevato. Attiene comunque alla responsabilità della Commissione il giudizio complessivo relativo al profilo scientifico del candidato, anche se l’ancoraggio ad una misura quantitativa della qualità, definita preliminarmente, pone i Commissari “al di sopra di ogni sospetto”. Non consigliabile invece stabilire a priori le percentuali entro cui collocare i candidati in base ad un presunto merito qualitativo (20% Excellent, 20% Good, 10% Acceptable, 50% Limited), così come si verifica nella VQR per i prodotti della ricerca, eliminando di fatto almeno la metà di coloro che hanno presentato domanda. L’esercizio, a cui ci siamo applicati, per individuare procedure e formule atte a garantire l’applicazione di rigorosi criteri di qualità alla valutazione scientifica per lo sviluppo di carriera del personale docente universitario, riceverà forse pochi consensi e sicuramente molte critiche, ma va considerato un difficile e necessario passaggio fra vecchie pratiche concorsuali (non sempre limpide) e nuove modalità valutative. Se pensiamo poi che solo quattro professori ordinari, appartenenti a ciascun macrosettore concorsuale, avranno nelle mani il destino dell’università italiana dei prossimi vent’anni, limitare l’arbitrio e premiare il merito ci appare non solo un dovere, ma una scelta politica ed etica compiuta per il bene di un Paese, che ha bisogno di investire in donne e uomini di talento, dedicati alla ricerca scientifica e alla formazione dei giovani.

10


Ricerche Allineare le metodologie di insegnamento, apprendimento e valutazione ai learning outcomes: una proposta per i corsi di studio universitari Alignment of teaching, learning and assessment activities to learning outcomes: a proposal for higher education courses ANNA SERBATI • CRISTINA ZAGGIA* Following the Bologna Process, it becomes crucial to design and assess higher education courses describing learning outcomes expected at the end of learning processes and competences to be acquired at the end of the degree in order to enter in the professional and social contexts. This requires a new approach in teaching, learning and assessment methods for a “constructive alignment” of them with the learning outcomes. The paper presents a project carried out by the University of Padua, in partnership with the Venezia Ca’ Foscari University and the University of Verona, funded by European Social Funds and Veneto Region, which involved 10 master degrees: it proposes a model for identifying expected competences using Dublin Descriptors and giving connection with the European Qualification Framework levels, for linking them to achievable and measurable intended learning outcomes of each course and for relating to assessment techniques aligned to them.

In coerenza con il Processo di Bologna la centratura della didattica e della valutazione universitaria si sposta verso la declinazione di risultati di apprendimento attesi e di competenze da maturare al termine di un ciclo di studi per l’inserimento nella società e nel contesto professionale. Questo approccio richiede un ripensamento dei metodi di insegnamento, di apprendimento e di valutazione in direzione di un loro “allineamento costruttivo” con i learning outcomes attesi. L’articolo presenta un’esperienza condotta in 10 corsi di laurea magistrale nell’ambito di un progetto gestito dall’Ateneo di Padova, assieme agli Atenei di Ca’ Foscari Venezia e Verona e finanziato dalla Regione del Veneto, che ha proposto un modello per l’identificazione delle competenze dei corsi di studio (espresse mediante i Descrittori di Dublino con un tentativo di corrispondenza con i livelli dell’EQF), per la traduzione delle stesse in risultati di apprendimento specifici raggiungibili e misurabili su ogni attività curricolare e per il loro allineamento con i sistemi di valutazione usati al fine di verificarne il raggiungimento. Parole chiave: allineamento costruttivo, competenze, risultati di apprendimento, istruzione superiore, attività di insegnamento, apprendimento e valutazione

Key words: constructive alignment, competence, learning outcomes, higher education, teaching, learning and assessment activities

* La struttura del presente capitolo è stata pensata in maniera condivisa, mentre nella presentazione dei diversi aspetti e nella stesura dei paragrafi si è seguita la seguente suddivisione: § 1, 2.2 e 2.3 Anna Serbati, § 2.1 Cristina Zaggia.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V - dicembre 2012

11


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Lo scenario oltre dieci anni dopo il Processo di Bologna Quattordici anni fa con la Dichiarazione della Sorbona del 25 Maggio ’98 ha preso avvio il processo di Bologna, un’intesa intergovernativa che ha posto l’accento sul ruolo centrale delle Università per lo sviluppo della dimensione culturale europea e che ha individuato nella costruzione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore uno strumento essenziale per favorire la circolazione dei cittadini, la loro occupabilità, lo sviluppo del Continente. Sottoscrivendo la dichiarazione, molti paesi europei hanno raccolto l’invito ad impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi in essa prefigurati, in un processo che rappresenta senz’altro un significativo tentativo dei Ministri europei responsabili per l’istruzione di trasformare la formazione universitaria europea e di creare – pur mantenendo le diversità nazionali – un sistema più omogeneo ma soprattutto più competitivo e più attraente sia per gli studenti europei che per quelli provenienti da altri continenti1. Il processo di Bologna e le sfide da esso lanciate hanno rappresentato per i paesi una vera e propria rivoluzione culturale nell’higher education, per la quale sono stati proposti una serie di cambiamenti nella struttura, negli approcci, nei contenuti. Gli obiettivi sono stati negli anni maggiormente definiti e precisati, con l’aggiunta di alcuni aspetti rilevanti come il rapporto dell’istruzione con la ricerca e la dimensione lifelong dell’apprendimento, e il processo è stato strutturato sempre più grazie al contributo di un gruppo di lavoro permanente (Bologna Follow up Group) di supporto tecnico-scientifico agli incontri biennali dei Ministri. Come emerge dai rapporti Stocktaking2 e daiTrends redatti dall’European University Association3, si assiste, ormai a più di un anno dalla deadline del 2010, ad un panorama sicuramente mutato in termini di configurazione normativa dei Paesi interessati, ma al contempo ad una difficoltà da parte dei docenti a cambiare le loro pratiche didattiche. L’elemento senza dubbio più rilevante del Processo di Bologna, che rappresenta un cambiamento paradigmatico per l’istruzione superiore, consiste nella centralità del soggetto in apprendimento, elemento che ha posto l’attenzione sui risultati, ossia sul profilo di competenze acquisite in uscita dai percorsi di studi e sulle modalità didattiche e disciplinari di raggiungimento dei risultati stessi. Tale scelta ha permesso di non sacrificare la ricchezza della diversità dei percorsi formativi offerti nei vari Paesi, rendendo però comparabili i percorsi stessi e riconoscibili i titoli in uscita; l’elemento di comparabilità è stato possibile grazie all’adozione di un sistema europeo di crediti formativi (European Credit Transfer and Accumulation System - ECTS) che quantificano il tempo medio richiesto agli studenti per raggiungere determinati risultati di apprendimento attesi in esito agli insegnamenti e alle attività curricolari. La centratura sulle competenze di cui devono essere in possesso gli studenti in uscita dai percorsi di studio è stata ribadita e ampliata in modo significativo con l’adozione nel 2005 del Framework for the Qualification of the European Higher Education Area (EHEA) come riferimento per i quadri normativi nazionali e in modo particolare con la decisione di utilizzare i descrittori di Dublino, che definiscono cinque tipologie di apprendimento atteso al termine dei percorsi di primo, secondo e terzo ciclo. L’adozione dei tre cicli e dei corrispondenti

1 http://www.bolognaprocess.it/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=5718 2 Si veda in merito: A. Rauhvargers, C. Deane ,W. Pauwels (2009) Report from working groups appointed by the Bologna Follow-up Group to the Ministerial Conference in Leuven/Louvain-la-Neuve - 28-29 April 2009 3 Reperibili su: http://www.eua.be/eua-work-and-policy-area/building-the-european-higher-educationarea/trends-in-european-higher-education.aspx

12


SIRD • Ricerche

descrittori di Dublino ha indirizzato i paesi alla declinazione degli esiti dei percorsi su tre livelli (primo ciclo con un intervallo tra i 180 e i 240 crediti, secondo ciclo tra i 90 e i 120 e terzo ciclo misurato in anni) in termini non solo di conoscenze, ma soprattutto di abilità e competenze, garanzia di maggiore flessibilizzazione e personalizzazione dei corsi di studio, ma anche elemento di grande complessità per i docenti universitari. I risultati di apprendimento sono stati declinati in modo progressivo per ogni ciclo in termini generali rispetto a: conoscenza e capacità di comprensione, conoscenza e capacità di comprensione applicate, autonomia di giudizio, abilità comunicative e capacità di apprendimento. In parallelo al Processo di Bologna si è sviluppato inoltre un ulteriore percorso promosso dalla Commissione Europea che ha portato all’approvazione per gli Stati dell’UE di un European Qualification Framework fo Lifelong Learning (EQF) articolato in 8 livelli, di cui gli ultimi tre dedicati all’istruzione superiore. Complessa e tuttora discussa è la compatibilità dei due quadri così delineati, in modo particolare nell’articolazione di ogni livello in termini di conoscenze, abilità e competenze non del tutto sovrapponibili ai descrittori di Dublino; in particolare si fanno corrispondere il livello 6 al primo ciclo di Bologna, il 7 al secondo e l’8 al terzo. I riferimenti dei due approcci sono però diversi: se infatti il processo di Bologna è centrato sui titoli, l’EQF lo è sulle competenze, secondo una prospettiva orientata all’apprendimento permanente. Numerosi sono stati i tentativi internazionali, nazionali e locali di messa in opera del processo di Bologna e dell’European Qualification Framework e di una loro possibile conciliazione. Primo fra tutti il progetto Tuning, finanziato dalla Commissione Europea, che ha coinvolto un gran numero di Università nel mondo e prodotto numerose pubblicazioni su questioni di carattere generale e su tematiche specifiche rispetto a settori disciplinari. Il merito del consistente lavoro di Tuning4 è sicuramente quello di una chiarificazione terminologica e creazione di un lessico condiviso, in particolare rispetto alla distinzione tra competenze e risultati di apprendimento, e di un supporto metodologico alla progettazione ed erogazione dei percorsi di studio. La competenza viene declinata come «qualità, abilità o capacità di utilizzare conoscenze e abilità che viene sviluppata da uno studente e che gli appartiene», e il risultato di apprendimento (learning outcome) è invece declinato come «risultato misurabile di una esperienza di apprendimento, che consente di verificare a quale estensione/livello/standard una competenza è stata formata o accresciuta. I risultati di apprendimento non sono acquisizioni uniche di ciascuno studente, bensì definizioni che consentono alle istituzioni di istruzione superiore di misurare se gli studenti hanno sviluppato le loro competenze al livello richiesto» (Lokhoff et al., 2010)5. L’interpretazione Tuning di learning outcomes li vede riferiti ad una singola unità didattica o modulo, o a un determinato periodo di studio a differenza delle competenze, il cui sviluppo costituisce l’obiettivo dei corsi di

4 In particolare il Tuning-CoRe (Competences in Recognition and Education) ha contribuito a fornire materiali molto utili per la progettazione dei corsi di studio, nello specifico linee guida circa come descrivere competenze e learning outcomes nei profili di laurea in modo consistente e uniforme, fornendo numerosi esempi. Ogni degree profile prevede l’esplicitazione dello scopo/obiettivo generale del corso di studi, delle caratteristiche, dell’occupabilità o degli studi posteriori possibili, dello stile educativo in termini di attività di insegnamento, apprendimento e valutazione poste in essere e, parte centrale, delle “competenze generiche e specifiche” e dei risultati di apprendimento attesi. Per maggiori informazioni si veda: http://www.unideusto.org/tuningeu/home.html 5 Il testo A guide to formulate degree programme profiles è reperibile in lingua originale nel sito: http://www.coreproject.eu/documents/Tuning%20G%20Formulating%20Degree%20PR4.pdf

13


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

studio e avviene nelle varie unità didattiche; esse, tuttavia, per essere sviluppate e valutate, devono essere articolate in learning output (Zaggia, 2008). L’apprendimento per competenze (competence-based learning) proposto, e già in buona parte adottato dalle due università coordinatrici Deusto e Groningen, vede come punto di partenza la definizione, condivisa con gli stakeholder, delle competenze ritenute più importanti per il profilo professionale in uscita, distinte in due categorie: competenze specifiche di area diciplinare e competenze trasversali (definite fa Tuning “generiche”), divise in strumentali (capacità cognitive, metodologiche, tecnologiche e linguistiche), interpersonali (di interazione sociale e collaborazione) e sistemiche (concernenti sistemi integrati). Scopo dei percorsi di studio è che gli studenti apprendano non solo le conoscenze disciplinari, ma anche le modalità di una loro applicazione soddisfacente in contesti diversi, seguendo le proprie attitudini e i propri valori e personalizzando quindi l’azione. Un tale modello di progettazione ed erogazione dei corsi di studio richiede un grande coordinamento a livello accademico (Villa Sanchez, Poblete Ruiz, 2008), in cui le diverse discipline siano interrelate e interdipendenti in direzione dello sviluppo autonomo da parte degli studenti di apprendimenti significativi per le loro vite professionali e personali. Tale approccio è realizzabile e implementabile solo se vi è un reale coinvolgimento congiunto di tutti i fattori e gli agenti intervenienti nel processo di apprendimento: management universitario – in termini di politiche e strategie –, servizi amministrativi di supporto – in relazione all’articolazione dei corsi e alla gestione dei crediti, personale docente – chiamato a concepire i propri insegnamenti con modalità di supervisione, assessment e risorse nuove – e infine gli studenti – veri protagonisti del proprio imparare. Nel caso dell’Italia, l’introduzione dei due livelli di laurea è avvenuta con la riforma degli ordinamenti didattici prevista dal D.M. 509/1999, che ha ridisegnato i percorsi formativi, e che è stata seguita da una successiva riforma con il D.M. 270/2004, la quale ha sancito che “nel definire gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea, le università specificano gli obiettivi formativi in termini di risultati di apprendimento attesi, con riferimento al sistema di descrittori adottato in sede europea, e individuano gli sbocchi professionali anche con riferimento alle attività classificate dall’ISTAT” (art. 6 comma 7). Così come richiesto dai decreti attuativi del D.M. 270 in tutti i corsi di laurea è stato adottato il sistema europeo dei Descrittori di Dublino, definendo così i risultati di apprendimento attesi da un laureato di uno specifico corso di studio; rimane però ancora irrisolta la problematica di come definire e allineare i risultati attesi (conoscenze, abilità, competenze) specifici dei singoli insegnamenti con i risultati complessivi del corso di studio e, infine, i risultati del corso di studio con i risultati generali equiparabili nei tre livelli di qualifica 6° (laurea), 7° (laurea magistrale) e 8° (dottorato) definiti dall’European Qualification Framework for Life Long Learning (Galliani, 2011). Nonostante gli aspetti problematici, nel documento di riferimento sulla qualità all’interno del Processo di Bologna Standards and Guidelines for Quality Assurance in the EHEA elaborato da ENQA (European Network of Quality Assurance Agencies) con la collaborazione di EUA (European University Association), EURASHE (European Association of Institutions in Higher Education) ed ESIB/ESU (European Student Union) nel 2005 si dichiara infatti che i sistemi di Assicurazione di Qualità interni alle istituzioni devono comprendere una strategia, politiche e procedure pubbliche, meccanismi di approvazione, controllo e revisione dei corsi di studi, criteri e regole per l’accertamento del profitto, sistemi di promozione della competenza dei docenti, risorse e supporto adeguati per l’apprendimento, sistemi di raccolta di informazioni sull’efficacia dei corsi, sistemi per la trasparenza e pubblicità dell’informazione sui corsi di studio. La centratura sulla competenza dei docenti, e quindi su un loro coinvolgimento attivo, nella progettazione

14


SIRD • Ricerche

dei corsi di studio, appare un elemento chiave di garanzia di coerenza interna, assieme alla consultazione con le parti interessate per creare profili culturali rilevanti in contesto professionale, alla coerenza tra profili, competenze, contenuti delle attività formative, numero di crediti, metodologie didattiche e di valutazione dei risultati di apprendimento e, infine, ad una politica di comunicazione e informazione interna ed esterna trasparente.

2. Un progetto innovativo di didattica e valutazione per competenze all’Università di Padova Nel quadro delle azioni progettuali rivolte alla promozione dell’occupabilità dei laureati e alla partecipazione nella società civile, si inseriscono i 47 Progetti per il riconoscimento e la certificazione delle competenze finanziati dalla Regione del Veneto nell’Ambito del Programma Operativo FSE 2007/2013 Asse “Capitale Umano”, coinvolgendo nella sperimentazione una molteplicità di organizzazioni, enti e associazioni dei mondi della scuola, della formazione professionale, dell’università, della produzione di beni e servizi e del lavoro, con l’ambizione di farli dialogare e sperimentare strumenti condivisi, perché assieme costruiti. Coerentemente con gli orientamenti europei e nazionali e con lo scopo di contribuire alla costruzione del sistema veneto delle competenze e rafforzare i legami tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro, la Regione del Veneto ha approvato due linee progettuali: la prima rivolta agli ambiti formali di apprendimento finalizzata a definire e descrivere i risultati di apprendimento (competenze/conoscenze/abilità) al termine dei percorsi formativi e a progettare e sperimentare strumenti operativi di verifica e valutazione per competenze nell’ambito di percorsi formativi, la seconda per gli ambiti non formali e informali di apprendimento con lo scopo di progettare, costruire e sperimentare modelli, strumenti, procedure di riconoscimento, validazione e certificazione delle competenze acquisite in ambito non formale e/o informale. Nella prima categoria l’Università di Padova – con CNA e Confocooperative del Veneto come partner operativi e Confindustria Veneto come partner di rete – e le Università di Ca’ Foscari Venezia e di Verona hanno realizzato tre progetti intrecciati per rendere più leggibili e trasparenti alcuni percorsi formativi offerti. Per fare in modo di coprire tutti i livelli di istruzione superiore i tre Atenei si sono coordinati fin dalla progettazione, suddividendo le aree di studio e di sperimentazione: l’Università Ca’ Foscari si è occupata del primo ciclo di studi (lauree triennali), l’Università di Verona del post-lauream (master di primo e di secondo livello), mentre l’Università di Padova ha focalizzato l’attenzione sul secondo ciclo di studi, ovvero sui corsi di laurea magistrale. Il progetto patavino si è posto nello specifico l’obiettivo di sensibilizzare gli attori degli Atenei del Veneto alla problematica della definizione e descrizione dei risultati di apprendimento attesi in uscita dai corsi di laurea magistrale, individuando 10 percorsi di laurea magistrale6 e descrivendoli in termini di risultati di apprendimento attesi; ulteriore scopo è

6 La volontà tre Atenei è stata quella di coprire per quanto possibile le varie aree scientifico-disciplinari e di creare alcune filiere tematiche interateneo. Di seguito si riportano i CdLM per ogni Ateneo coinvolto. Università degli Studi di Padova: Scienze e tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata, Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi, Scienze del governo e politiche pubbliche, Biologia sanitaria, Ingegneria per l’ambiente e il territorio. Università Ca’ Foscari Venezia: Storia dal Medioevo all’età contemporanea, Scienze del linguaggio, Economia e finanza. Università degli Studi di Verona: Servizio sociale e politiche sociali; Editoria e giornalismo.

15


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

stato, all’interno di questi, quello di individuare le modalità di allineamento tra descrittori di Dublino e risultati di apprendimento di ogni singola attività prevista (insegnamenti, stage/tirocini, tesi di laurea), scegliere alcuni insegnamenti riprogettati e sperimentarne all’interno metodi didattici e strumenti di valutazione per competenze. 2.1. Articolazione metodologico-organizzativa del progetto Nell’azione di sistema sopraccennata, il progetto ha coinvolto 10 corsi di laurea magistrale afferenti agli Atenei di Padova, Ca’ Foscari Venezia e Verona, che hanno declinato le competenze in uscita espresse tramite i Descrittori di Dublino, e ha previsto la completa riprogettazione per competenze di 31 insegnamenti, i cui docenti hanno costruito opportuni learning outcomes e declinato le modalità di insegnamento, apprendimento e valutazione coerentemente con essi. L’azione progettuale è stata proposta in Ateneo mediante incontri di sensibilizzazione in cui si sono raccolte le disponibilità alla partecipazione da parte dei docenti. La scelta dei corsi di laurea, tuttavia, è stata molto complessa, poiché ha previsto da una parte, il coordinamento tra i tre Atenei per la segnalazione e l’individuazione delle reciproche disponibilità di corsi di laurea, corsi di laurea magistrale e di master e, dall’altra, la definizione di alcuni criteri di scelta da parte del Comitato Tecnico Scientifico, tra cui in primis l’importanza di coinvolgere corsi di laurea, corsi di laurea magistrale e master appartenenti a diverse aree disciplinari e, ove possibile, creare delle filiere (anche inter-progettuali e interateneo), andando così ad indagare il percorso accademico nel suo dispiegarsi dall’entrata nella laurea di primo livello fino all’inserimento in contesto professionale. Il progetto ha previsto una fase iniziale articolata in seminari informativi; l’obiettivo era quello di condividere le finalità del progetto con i Presidenti e i docenti dei 10 corsi di laurea magistrale coinvolti e con i Presidi delle relative Facoltà di afferenza, di individuare e coinvolgere le parti sociali interessate (stakeholders) per ciascun corso di laurea, di definire un linguaggio comune tra i diversi attori e di individuare le modalità di definizione dei learning outcomes attesi in uscita dai corsi di laurea magistrale (CdLM). All’interno di ciascun corso di laurea il presidente ha svolto un ruolo rilevante nel coinvolgimento dei docenti, in particolar modo quelli con insegnamenti nel corso del primo semestre, in cui si sono temporalmente concentrate le attività di progetto. Il cuore del progetto ha previsto la realizzazione di incontri collettivi per tutti i corsi di laurea, tenuti dai membri esperti del Comitato Tecnico Scientifico, alternati ad incontri specifici (un focus group e due workshop) per ciascuno dei CdLM condotti da operatori di progetto (ricercatori, assegnisti, dottorandi) opportunamente formati. Di seguito si riporta uno schema sintetico delle fasi progettuali con i relativi destinatari e le attività e gli strumenti usati. Il livello di partecipazione da parte dei docenti è stato variabile in base ai loro impegni accademici: oltre 100 professori hanno partecipato alle azioni di sensibilizzazione, circa 70 ai seminari informativi e lo stesso numero ai focus group e workshop. Una trentina sono i docenti che hanno effettivamente riprogettato il proprio insegnamento indicando competenze e risultati di apprendimento attesi e che hanno proposto metodologie di insegnamento e valutazione più partecipative e orientate allo sviluppo di capacità di apprendimento autonomo, per un coinvolgimento totale di circa 400 studenti frequentanti tali insegnamenti.

16


livello di partecipazione da parte dei docenti è stato variabile in base ai loro

i

SIRD • Ricerche

p g

gli strumenti usati

FASE PROGETTUALE PARTECIPANTI ATTIVITA’ e STRUMENTI UTILIZZATI Seminari informativi e azioni di Presidenti e docenti dei ! Seminari collettivi ospitati dai tre Atenei sensibilizzazione corsi di laurea dei tre Veneti e seminari mirati di diffusione Atenei Veneti per ogni Ateneo ! Piattaforma online di lavoro collaborativo e condivisione dei materiali Seminario di formazione tenuto da Docenti, Presidente di ! Scheda RAD del corso docenti universitari esperti ciascun corso laurea di ! Inizio compilazione della matrice di appartenenti al Comitato Tecnico magistrale, tutor, incrocio tra obiettivi espressi tramite i Scientifico di progetto e successivo rappresentanza degli descrittori di Dublino e attività focus group studenti e esperti didattiche del corso di laurea professionisti del settore Seminario di formazione tenuto da Docenti, Presidente del ! Conclusione della matrice di incrocio docenti universitari esperti corso di laurea tra obiettivi espressi tramite i descrittori appartenenti al Comitato Tecnico magistrale di Dublino e attività didattiche del corso Scientifico di progetto e successivo di laurea workshop ! Inizio compilazione della tabella di allineamento delle metodologie ai learning outcomes Seminario di formazione Docenti, Presidente del ! Conclusione della tabella di appartenenti al Comitato Tecnico corso di laurea allineamento delle metodologie ai Scientifico di progetto e successivo magistrale learning outcomes incontro per la progettazione della ! Rassegna di metodologie di didattica e valutazione per insegnamento e apprendimento competenze Sperimentazione della didattica e Docenti, Presidente del ! Questionario di autovalutazione dei valutazione per competenze corso di laurea risultati di apprendimento magistrale ! Revisione da parte dei docenti delle attività di assessment in atto

Tab 1: Fasi progettuali con i relativi destinatari, le attività e gli strumenti usati

Il primo focus group è stato finalizzato all’analisi condivisa, da parte dei docenti, del presidente del corso di laurea magistrale, del tutor, di una rappresentanza degli studenti e di esperti professionisti del settore, dei descrittori di Dublino (contenuti nella scheda RAD), allo scopo di rivederli e, qualora necessario, integrarli, tenendo conto delle conoscenze, capacità e competenze richieste dal settimo livello dell’EQF, del punto di vista degli stakeholders, degli sbocchi occupazionali (utilizzando la classificazione dell’Istat) e, infine, del curriculum del corso di laurea. Il focus group è apparsa infatti come una valida metodologia di discussione di gruppo su un tema specifico (Zammuner, 2003) per perseguire l’obiettivo di verificare in modo congiunto e condiviso la corrispondenza tra i risultati di apprendimento declinati attraverso i descrittori di Dublino con la figura professionale in uscita e le relative competenze e la pertinenza del curriculum del corso (insegnamenti, laboratori, tirocini / stage, tesi) per il loro raggiungimento. Lo strumento proposto è stata la matrice di incrocio tra obiettivi espressi tramite i descrittori di Dublino e attività didattiche del corso di laurea nella quale è stato chiesto a ciascun docente di ragionare su quali fossero i descrittori interessati da ogni insegnamento, tenendo conto della figura professionale in uscita con l’obiettivo di arrivare a descrivere come le singole attività didattiche concorressero a sviluppare i descrittori attesi al termine del corso di laurea. La compilazione della matrice è stata svolta individualmente dai docenti e poi condivisa e completata dal collegio dei docenti in modo da poter avere una visione di insieme sul curriculum e riflettere sulle lacune (descrittori che non venivano poi sviluppati da nessun insegnamento

17


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

e/o attività specifica del curriculum risultavano poco pertinenti o quantomeno da rivedere) e sulle ridondanze presenti. Il valore aggiunto di tale riflessione collettiva è stato senza dubbio quello di ottenere un’analisi completa sui risultati di apprendimento attesi in uscita dal percorso di studi e uno scambio tra i docenti i cui insegnamenti concorrevano a sviluppare i medesimi descrittori, ipotizzando in alcuni casi anche nuove integrazioni e collaborazioni interdisciplinari. La fase successiva realizzata in ciascun CdLM coinvolto ha previsto un passaggio dal livello macro di analisi e revisione dei descrittori del corso di laurea e di incrocio con le attività didattiche curricolari che li promuovono ad un livello micro di definizione dei risultati di apprendimento specifici di ogni attività. Il riferimento teorico scelto è stata una teoria riconosciuta a livello europeo per la progettazione dei moduli didattici nell’istruzione superiore, ovvero l’allineamento costruttivo7 di John Biggs (2003); lo studioso australiano è considerato il padre di un approccio alla progettazione dei curricula dell’istruzione superiore che ottimizza le condizioni per la qualità dell’apprendimento costruendo un ambiente di insegnamento coerente in cui modalità di insegnamento e pratiche di valutazione sono allineate agli scopi dell’insegnamento. Il processo ha previsto prima, come detto, due workshop collettivi di condivisione e discussione della metodologia e successivamente una progettazione della didattica per competenze personalizzata realizzata da ciascun docente, con il supporto, se necessario, dello staff di progetto. La linea metodologica prevista dalla teoria dell’allineamento costruttivo di John Biggs è costituita da quattro fasi: 1. Definizione dello scopo, degli obiettivi e dei risultati attesi, realizzata nei focus group sopradescritti in relazione ai learning outcomes del corso di laurea e nei workshop a seguire per la definizione di quelli specifici degli insegnamenti. Poiché un risultato di apprendimento è “una dichiarazione di cosa ci si attende che lo studente sappia, comprenda e sia in grado di fare alla fine di un percorso di apprendimento e di come questo apprendimento debba essere dimostrato” (Moon, 2002), esso richiede, nella sua formulazione, l’utilizzo di un verbo (preceduto dalla locuzione “essere in grado di”) che indica cosa ci si attende che lo studente sappia fare alla fine del periodo di apprendimento, un termine che indica su cosa o con cosa lo studente sta agendo e un termine che indica la natura della performance richiesta come evidenza che l’apprendimento è stato raggiunto. Nel corso del primo workshop, lo staff del gruppo di lavoro ha fornito e condiviso con i docenti numerosi esempi di formulazione dei learning outcomes, affinchè ciascuno di loro potesse declinarli in modo che fossero raggiungibili e misurabili e direttamente collegati ai criteri usati per valutarne il raggiungimento (Jackson, Wisdom, Shaw, 2003). 2. Scelta delle attività di insegnamento/apprendimento, delle risorse che permettono che i risultati siano raggiunti e dimostrati (metodi, materiali, forme di supporto…)8 e dei criteri per valutare se i risultati

7 Il termine “allineamento” si riferisce al fatto che il docente predispone un ambiente di apprendimento che supporta le attività di apprendimento adeguate per raggiungere i risultati di apprendimento prefissati: metodi di insegnamento e prove di valutazione devono essere allineate alle attività di apprendimento presupposte dai risultati attesi. L’aspetto “costruttivo” si riferisce al fatto che gli studenti costruiscono significati attraverso rilevanti attività di apprendimento e, sapendo quali sono i risultati di apprendimento attesi e a che livello, è più probabile che si sentano motivati e interessati ai contenuti e alle attività programmate dal docente per facilitare il loro apprendimento. Il coinvolgimento degli studenti, inoltre, consiste nel farli riflettere sul loro processo di apprendimento e sulle loro percezioni e opinioni in merito al processo di allineamento costruttivo. 8 Qualora l’obiettivo sia trattare il contenuto di un argomento in profondità, le attività di insegnamento/ap-

18


SIRD • Ricerche

di apprendimento sono stati raggiunti9: negli incontri individuali è risultato cruciale ragionare sull’allineamento dei diversi metodi di insegnamento, apprendimento e valutazione a seconda del risultato atteso mediante un’apposita tabella di allineamento delle metodologie ai learning outcomes con una richiesta di quantificazione oraria del carico di lavoro. Secondo la teoria di Biggs, infatti, è di fondamentale importanza adeguare le metodologie poste in essere per la didattica e la valutazione a quelli che sono gli obiettivi che il docente si propone di perseguire e ai singoli risultati di apprendimento attesi. Rispetto all’analisi e alla scelta delle metodologie di insegnamento e apprendimento è stato utile attingere al repertorio di metodologie consegnato ai docenti durante il workshop dedicato alla progettazione, che ha permesso la comprensione delle peculiarità di alcune metodologie maggiormente interattive e quindi più adatte allo sviluppo di competenze. 3. Esplicitazione da parte dei docenti di scopo, obiettivi e risultati di apprendimento attesi del proprio insegnamento e creazione di un clima d’aula positivo che favorisca l’apprendimento: una volta ultimata la fase di progettazione della didattica e valutazione per competenze, i docenti sono stati sollecitati a costituire un clima di classe collaborativo e trasparente. Alla prima lezione, cui hanno partecipato anche gli operatori di progetto, i docenti hanno reso espliciti i risultati di apprendimento da conseguire in modo trasparente, aumentando così il coinvolgimento e la motivazione degli studenti. 4. Valutare/giudicare se e quanto gli studenti raggiungano i risultati attesi differenziando la performance e, in caso di valutazione formativa, dare feedback per aiutare gli studenti a migliorare il loro apprendimento; la fase finale del progetto ha previsto la messa in opera da parte dei docenti delle modalità valutative più consone per la verifica del raggiungimento di ogni risultato di apprendimento. Oltre all’aspetto eterovalutativo, il gruppo di progetto ha predisposto anche due strumenti autovalutativi: il primo è stato un questionario di autovalutazione dei risultati di apprendimento ovvero una scheda di autovalutazione dei learning outcomes attesi al termine di ogni insegnamento somministrata agli studenti a monte e a valle del corso, in cui attribuire su una scala da 1 – minimo – a 10 – massimo – un valore rispetto a quanto ritenessero di possedere in quel momento ciascun risultato atteso. Lo strumento si è rivelato utile per tracciare il miglioramento ottenuto al termine dell’insegnamento, responsabilizzando così gli studenti in direzione del proprio apprendimento e della consapevolezza dei risultati di apprendimento da raggiungere. Il secondo strumento è invece consistito in un diario di apprendimento dello studente, una tabella utile per tenere traccia di come siano stati raggiunti i risultati di apprendimento attesi al termine dell’insegnamento, annotando le attività di apprendimento svolte dallo studente e quelle di insegnamento e di valutazione messe in atto dal docente per promuovere e sviluppare le conoscenze e le abilità – dichiarate nei descrittori di Dublino e nei risultati di

prendimento sono perlopiù dirette dal docente (le lezioni, i seminari, i laboratori, le escursioni, ecc.), mentre se lo scopo è che siano attività utili per elaborare la comprensione, per risolvere problemi e fornire punti di vista e prospettive diversi, possono essere dirette dai pari (il lavoro di gruppo, il peer teaching, la collaborazione spontanea, ecc.,) o, ancora, se sono orientate a sviluppare conoscenze approfondite, così come capacità di auto-apprendimento, monitoraggio e autovalutazione, possono essere attività autodirette (lo studio e l’apprendimento metacognitivo). 9 Il processo svolto da ogni docente con il supporto dell’operatore di progetto è consistito proprio nella riflessione circa le modalità valutative che egli pone in essere nel proprio insegnamento e nella scelta di cambiamento ed eventuale integrazione delle stesse con l’uso di testi e saggi scritti, in risposta a una domanda o un problema (usati per valutare alti livelli cognitivi), test a risposta chiusa, valutazione di performance (in cui lo studente dimostra di comprendere e saper agire in una situazione data) o ancora rapid assessment, ossia forme di valutazione rapidamente completate e valutate (utilizzabili in classi numerose).

19


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

apprendimento – attese al termine dell’insegnamento, riportando indicativamente il numero di ore dedicate ad ogni attività di insegnamento, di apprendimento e di valutazione svolta. L’integrazione di strumenti eterovalutativi ed autovalutativi ha permesso che l’azione di valutazione divenisse un’istanza intersoggettiva, assumendo così un carattere negoziale di co-reponsabilità e impegno condiviso di studenti e docenti più che costituirsi come un percorso di sola raccolta di informazioni (Semeraro, 2006). Di seguito si riportano, a titolo esemplificativo, i due strumenti redatti nel corso di laurea magistrale in Biologia Sanitaria dell’Università di Padova, uno dei 10 coinvolti nel progetto, i cui docenti hanno svolto con successo l’attività di revisione collettiva dei descrittori di Dublino (tab. 2) e la redazione individuale delle tabelle di allineamento (si riporta un esempio in tab. 3)10. Il corso fornisce agli studenti una preparazione che consente di dedicarsi all’attività di ricerca in strutture pubbliche e private che svolgono ricerche nel campo delle Scienze Biomediche; le competenze attese e la struttura del Corso di Laurea sono stati definiti in funzione dei possibili ambiti occupazionali, anche secondo quanto emerso a livello nazionale nell’ambito delle riunioni periodiche del Collegio dei Biologi delle Università Italiane (CBUI), con la partecipazione dei rappresentanti dell’Ordine dei Biologi, dei sindacati dei Biologi, rappresentanti di Enti e del mondo produttivo nazionale. 2.2. Risultati e discussione In tutti i casi, i questionari di autovalutazione dei risultati di apprendimento sono stati proposti agli studenti nel corso della prima e dell’ultima lezione di ciascun insegnamento coinvolto, con opportuna spiegazione della finalità dello strumento. La variazioni di autovalutazione degli studenti rispetto al raggiungimento dei learning outcomes sono state sempre significative, con incrementi anche molto elevati. La scelta dell’utilizzo della modalità autovalutativa per gli studenti si motiva per la volontà, da un lato, di responsabilizzare lo studente in direzione del proprio apprendimento e della consapevolezza dei risultati di apprendimento da raggiungere e, dall’altro, di stimolare ad maggiore trasparenza il docente: quest’ultimo, infatti, ha, in sede di lezione iniziale, dichiarato scopi e risultati attesi del proprio insegnamento con le relative attività didattiche e valutative, esplicitando quindi le sue attese nei confronti degli allievi e stimolando la creazione di un clima collaborativo e motivante. Nella fase di riprogettazione degli insegnamenti, è stato chiesto ad ogni docente coinvolto, nella propria autonomia, di rivedere le proprie prove d’esame e di modificarle rendendole maggiormente performanti, strutturando quesiti aperti e problematici, proponendo casi critici, stimolando discussioni, richiedendo tesine ed elaborati, in modo da permettere agli studenti di dimostrare non solo i saperi acquisiti, ma anche una loro applicazione critica e una riflessione più ampia. Il progetto ha infatti promosso un ripensamento effettivo delle attività valutative, assieme ad una riflessione sulle modalità di attribuzione di criteri e punteggi alle diverse tipologie di prove o di parti di prove (singole domande). Non è stato possibile, come era intenzione primaria, operare un confronto tra i risultati delle prove d’esame da parte degli studenti e

10 Si ringraziano le proff. Barbara Baldan, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Biologia Sanitaria, e Paola Costantini per gli esempi forniti.

20


Tab.2 - Matrice di incrocio tra Descrittori di Dublino e attività didattiche del corso di laurea – Biologia Sanitaria

x

x

x

x

Patologia molecolare

Istopatologia

x

Igiene e Legislazione sanitaria

Patologia

x

Farmacologia e Tossicologia

Genetica molecolare applicata

Enzimologia

Fisiologia umana

Statistica applicata

Microbiologia medica

Anatomia umana Abilità

Competenze

Conoscenze

EQF

Microbiologia generale

Attività didattiche

Prova Finale (Comprende tirocinio e stesura finale)

SIRD • Ricerche

Descrittori di Dublino Conoscenza e capacità di comprensione Conoscenze culturali avanzate (rispetto alle conoscenze in entrata) in ambito biomedico Comprensione integrata dei fenomeni biologici a livello biochimico, cellulare, molecolare, fisiopatologico; Preparazione scientifica avanzata (rispetto alle conoscenze in entrata) in riferimento alle discipline microbiologiche, fisiopatologiche e farmacologiche. Capacità di applicare conoscenza e comprensione Capacità applicative di tipo metodologico, tecnologico e strumentale, e dal carattere multidisciplinare, con riferimento a metodologie biochimiche, biomolecolari, immunologiche, microbiologiche, statistiche e bioinformatiche, rilevanti alla salute dell'uomo e degli animali Autonomia di giudizio Capacità di maturare una completa padronanza del metodo scientifico di indagine. Capacità di assumersi responsabilità di progetti Capacità di avere responsabilità di strutture e personale Capacità di individuare nuove prospettive/strategie di sviluppo Capacità di mettere in atto azioni di valutazione, interpretazione e rielaborazione di dati di letteratura Capacità di utilizzare un approccio critico e responsabile alle problematiche etiche, bioetiche e deontologiche Abilità comunicative Compilazione corretta e adeguata di un report di laboratorio utilizzando il lessico disciplinare anche in una lingua straniera dell’UE Capacità di lavorare in gruppo Presentazione orale di un processo di ricerca o di un approfondimento tematico Capacità di illustrare i risultati del proprio lavoro (di ricerca, di approfondimento,...) Capacità di apprendimento Adeguate capacità per lo sviluppo e l’approfondimento continuo delle competenze, con riferimento a: consultazione di banche dati specialistiche Adeguate capacità per lo sviluppo e l’approfondimento continuo delle competenze, con riferimento a: apprendimento di tecnologie innovative (con un valore aggiunto rispetto agli aspetti di base) Adeguate capacità per lo sviluppo e l’approfondimento continuo delle competenze, con riferimento a: strumenti conoscitivi avanzati per l'aggiornamento continuo delle conoscenze.

x

x x

x

x

x

x

x

x

x

x

x

x x

x

x

x

x

x

x

x

x x

x

x

x

x

x

x

x

x x x x

x

x

x

x x

x x

x x

x

x

x

x

x x

x

x

x

x

x

x

x

x

x

Tab. 2 - Matrice di incrocio tra Descrittori di Dublino e attività didattiche del corso di laurea – Biologia Sanitaria

21

x

x


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

, apprendimento e valutazione – insegnamento di Enzimologia.

g EQF

DESCRITTORI DI DUBLINO

Conoscenze

Comprensione integrata dei fenomeni biologici a livello biochimico, cellulare, molecolare, fisiopatologico

ATTIVITÀ DI INSEGNAMEN TO

ORE DI LAVORO PREVISTE PER LO STUDENTE

Avere una conoscenza avanzata dei fenomeni biologici a livello biochimico, cellulare, molecolare, fisiopatologico

Essere in grado di applicare conoscenze di tipo metodologico, tecnologico e strumentale, e dal carattere multidisciplinare, con riferimento a metodologie biochimiche, biomolecolari, immunologiche, microbiologiche, statistiche e bioinformatiche, rilevanti alla salute dell'uomo e degli animali

Lezione Cooperative Learning

10 12

Competenze

Capacità applicative di tipo metodologico, tecnologico e strumentale, e dal carattere multidisciplinare, con riferimento a metodologie biochimiche, biomolecolari, immunologiche, microbiologiche, statistiche e bioinformatiche, rilevanti alla salute dell'uomo e degli animali

RISULTATI DI APPRENDIMENTO

Abilità

Capacità di mettere in atto azioni di valutazione, interpretazione e rielaborazione di dati di letteratura

Capacità di lavorare in gruppo Capacità di illustrare i risultati del proprio lavoro (di ricerca, di approfondimento,...)

Adeguate capacità per lo sviluppo e l’approfondimento continuo delle competenze, con riferimento a: apprendimento di tecnologie innovative (con un valore aggiunto rispetto agli aspetti di base)

Essere in grado di mettere in atto azioni di valutazione, interpretazione e rielaborazione di dati di letteratura Essere in grado di lavorare in gruppo Essere in grado di illustrare i risultati del proprio lavoro (di ricerca, di approfondimento,...)

Journal club

5

Discussione di gruppo

2

Journal club

5

Lezione Discussione di gruppo Supervisione tesi e tirocinio Essere in grado di sviluppare e approfondire continuamente le competenze, con riferimento a: apprendimento di tecnologie innovative (con un valore aggiunto rispetto agli aspetti di base)

Lezione

Esercitazioni

10

12

Tot. 56 ore

ATTIVITÀ DI APPRENDIMENTO

ORE DI LAVORO PREVISTE PER LO STUDENTE

MODALITA’ DI VALUTAZIONE DEL PROFITTO

Studio di testi e periodici Frequenza alle lezioni Ricerca di materiale in biblioteca e/o online Produrre relazioni e resoconti Preparare e sostenere presentazioni orali

5

Esame (scritto) Relazione di gruppo

Attività di laboratorio in gruppo Tirocinio Tesi Ricerca di materiale in biblioteca e/o online Lavorare con vincoli di tempo stretti

10

Esame (scritto)

Studio di testi e periodici Tesi Ricerca di materiale in biblioteca e/o online Produrre relazioni e resoconti Preparare e sostenere presentazioni orali

5

Tesi Preparare e sostenere presentazioni orali Lavorare in gruppo Comunicare agli altri domande e scoperte

Studio di testi e periodici Tirocinio Ricerca di materiale in biblioteca e/o online Comunicare agli altri domande e scoperte

Relazione di gruppo 9

Relazione di gruppo

15

Esame (scritto) Relazione di gruppo

Tot. 44 ore

Tot ore 100 = 4 CFU

Tab. 3 - Tabella per l’allineamento tra risultati di apprendimento attesi e relative modalità di insegnamento, apprendimento e valutazione – insegnamento di Enzimologia

22


SIRD • Ricerche

gli esiti dei questionari di autovalutazione. La difficoltà maggiore è stata infatti quella di coinvolgere i docenti nella condivisione delle modalità didattiche e valutative poste in essere a seguito della riprogettazione, sfatando l’idea di una finalità valutativa nei confronti dei docenti stessi. Un impedimento oggettivo è stata inoltre la scarsa disponibilità di tempo dei professori, legata ai numerosi impegni accademici tradizionali, cui si sono aggiunti impegni legati alla riorganizzazione dei dipartimenti e alla gestione della protesta dei ricercatori. Rilevando quindi la criticità della tematica rispetto ai docenti, si è scelto di raccogliere il loro punto di vista rispetto al percorso svolto e alle difficoltà di messa in opera di metodologie didattiche e valutative orientate alle competenze. È stato predisposto e proposto a fine progetto un questionario a domande aperte per indagare la percezione sugli aspetti positivi e negativi riscontrati nella progettazione e nella sperimentazione della didattica basata sui risultati di apprendimento, sulla validità e utilità degli strumenti utilizzati, su eventuali indicazioni e consigli in merito ad altre metodologie utilizzabili e infine sulle modifiche che apporterebbero al proprio insegnamento a seguito della partecipazione al progetto. Dall’analisi testuale delle risposte dei docenti11 è emerso come punto di forza il generale miglioramento dell’insegnamento dato dalla progettazione per competenze: il punto di maggior rilievo fa riferimento all’accresciuta capacità dei professori di delineare ed esplicitare gli obiettivi di apprendimento allineandoli con i contenuti del corso e gli strumenti utilizzati. Risulta significativo il coinvolgimento dei docenti in un ragionamento più ampio circa l’architettura dell’intero corso di laurea, creando connessioni tra insegnamenti, ripensando i risultati di apprendimento di ciascun insegnamento anche in relazione con gli altri insegnamenti e orientando gli sforzi verso gli obiettivi formativi del corso di laurea e verso il profilo occupazionale in uscita. Il progetto ha poi consentito lo sviluppo di riflessione sui processi di insegnamento e apprendimento, stimolandola anche negli studenti rispetto all’organizzazione del corso; sembra infatti rilevante lo sforzo dichiarato da molti docenti di avvicinarsi al mondo degli studenti, nel tentativo di creare un dialogo proficuo e arricchente rispetto alle esigenze dei ragazzi da un lato e alle competenze che dovrebbero acquisire dall’altro. In generale quindi si riscontra dai commenti dei professori una spinta che questo progetto ha contribuito a dare in direzione dello sviluppo di una didattica per competenze e quindi di una reale centralità dello studente nel processo di apprendimento. D’altro canto, però, sono state sottolineate alcune criticità, legate da un lato alla difficoltà di utilizzo della tabella di allineamento, ritenuta rigida ma soprattutto complessa dal punto di vista linguistico, dall’altro alla variabile temporale relativa all’impegno progettuale gravoso in un periodo accademico già molto denso e impegnativo. Per quanto riguarda il primo punto, si è riscontrata una certa difficoltà terminologica nell’espressione dei learning outcomes e una certa confusione nella distinzione tra risultati attesi e conseguiti, elemento che ha reso necessari ulteriori approfondimenti e un affiancamento specifico da parte degli operatori di progetto opportunamente formati. I docenti interpellati hanno sottolineato che sarebbe stato necessario un loro maggior coinvolgimento anche nella fase sperimentale di proposta agli studenti dei questionari di autovalutazione, accanto ad un problema reale di compressione dei contenuti all’interno dei

11 Il lavoro di analisi è stato condotto dalla dott.ssa Emilia Restiglian con il software ATLAS.ti 5.0 e riportato in modo completo in E. Restiglian (2011), Il punto di vista dei docenti universitari: punti di forza e criticità emergenti in L. Galliani, C. Zaggia, A. Serbati (a cura di), Apprendere e valutare competenze all’università. Progettazione e sperimentazione di strumenti nelle lauree magistrali, Pensa MultiMedia, Lecce, pp. 175-188.

23


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

corsi che non sempre rende possibile modalità di didattica e valutazione partecipative, soprattutto con grandi numeri di studenti. Alcuni professori propongono inoltre un affiancamento al questionario per l’autovalutazione dei risultati di apprendimento (magari proposto in modalità telematica) di altri strumenti quali ad esempio interviste e focus group, utili per approfondire e comprendere al meglio le motivazioni espresse dagli studenti nell’autovalutazione. Persiste in parte ancora la resistenza da parte di alcuni docenti a modificare i propri insegnamenti orientandoli allo sviluppo di competenze in ottica sinergica con i colleghi, resistenza che si motiva anche per in numerosi impegni che vedono coinvolti i professori e quindi per il poco tempo che spesso è possibile dedicare alla progettazione della didattica. Tuttavia pare essere riconosciuto che il progetto ha favorito una visione integrata e interdipendente dei corsi di studio, con una ricostruzione reale del profilo occupazionale in uscita, mediante il coinvolgimento degli stakeholder, e con la definizione delle finalità del percorso “come tensioni formative, come compiti da svolgere, come esperienze entro le quali si esercitano speciali competenze e quindi prendono senso nella loro interdipendenza, nel loro collegamento sistemico, nella trama e nell’ordito delle interrelazioni che si stabiliscono fra momenti diversi del lavoro didattico o nei nessi interdisciplinari del sapere” (Paparella, 2011, p. 56). 2.3 Elementi di innovazione del progetto Alla luce dei risultati brevemente descritti nel paragrafo precedente, sembra di poter rilevare che un valore aggiunto di tale progetto sia stato il coinvolgimento diretto di docenti e studenti a livello delle istituzioni locali di istruzione superiore, che tuttora permane uno degli aspetti più critici e problematici dell’attuazione del processo di Bologna, facendo sì che la declinazione degli ordinamenti in termini di Descrittori di Dublino non sia stato solo un adempimento burocratico, ma sia diventato il punto di partenza dell’effettiva progettazione (Luzzatto, 2011). La preparazione dei docenti ad essere progettisti di programmi formativi è infatti un elemento molto importante per l’innalzamento della qualità dei risultati nelle università e per la traduzione in linee guida e buone prassi del processo di Bologna. Questi progetti e l’azione più ampia della Regione del Veneto hanno costituito un esempio di buona pratica, di impegno reale dei docenti nella riflessione e nel miglioramento delle attività riguardanti il processo di insegnamento e di apprendimento. Secondo Villa Sanchez e Poblete Ruiz (2008) il primo aspetto della riflessione e della professionalità di un docente riguarda proprio l’opportunità di esplorare strategie, metodi e tecniche di insegnamento e di apprendimento nuove e non praticate12 e integrarle nella propria attività didattica, ragionando sul livello di impegno richiesto agli studenti fuori e dentro l’aula e cercando di calibrarlo in termini di tempo e di corrispondenti crediti formativi; il secondo aspetto concerne le modalità di erogazione della didattica, contemplando

12 Biggs presenta un’ampia rassegna di metodologie, dividendo in attività di insegnamento e apprendimento dirette dal docente, dai pari o auto-dirette (cfr Teaching for Quality Learning at University (2nd edition). Buckingham, UK: Society for Research into Higher Education & OU Press). Anche De Miguel (cfr Metodologia de Enseñanza Aprendizaje y para el desarrollo de competencias: orientaciones para el profesorado universitario ante el espacio de Europeo Educación superiore. Madrid. Alianza) propongono un’ampia rassegna di modalità di insegnamento, descrivendone aspetti vantaggiosi e problematici.

24


SIRD • Ricerche

le possibilità di erogazione in presenza, a distanza e mista; il terzo si focalizza sul monitoraggio dell’apprendimento e l’ultimo sulla valutazione di quali conoscenze e competenze siano state apprese e di come queste vengano rilevate. Il progetto descritto nel presente contributo ha preso in analisi in modo condiviso con i docenti una rassegna di metodologie di assessment allineate con specifici obiettivi e tipologie e livelli di comprensione, offrendo spunti di integrazione tra modalità etero-valutative e auto-valutative e promuovendo un coinvolgimento attivo degli studenti verso una pratica valutativa che integra le dimensioni oggettiva e soggettiva. Nella tradizione accademica italiana si rintraccia una prevalenza della modalità “lezione” cui corrisponde la modalità “esame finale” a discapito di metodologie didattiche come seminari, workshop, esercitazioni, casi studio, progetti, cooperative learning e di metodologie valutative quali self assessment, peer assessment e portfolio. Galliani (2011) fa esplicito riferimento a due “corni problematici, uno epistemologico ed uno pedagogico” che l’Università italiana si è trovata ad affrontare a seguito della Riforma: il primo consistente nell’eccessivo frazionamento dei saperi in discipline e in settori scientifico-disciplinari troppo specialistici rispetto alle conoscenze di base e caratterizzanti dei corsi di studio; il secondo legato alla pretesa di trasmettere e insegnare sapere con una centratura sul docente e sulle conoscenze disciplinari piuttosto che sullo studente e sulle sue competenze attese al termine del percorso di studi. La volontà è quella di procedere verso un superamento del paradigma informazionista dell’“apprendimento significativo per ricezione” e del paradigma comportamentista, in direzione di un paradigma interazionista con una concezione bruneriana di “apprendimento per scoperta”, in cui viene valorizzato però il modo di apprendere del singolo predisponendo “esperienze formative” con modalità didattiche problematizzanti e partecipate. La finalità è quella di orientarsi verso un paradigma costruttivista-sociale dell’apprendimento situato, fondato su processi collaborativi in comunità reali/virtuali di studio e/o di lavoro con modalità di insegnamento e apprendimento che coinvolgono la dimensione cognitiva assieme a quella emotiva e che prevedono una figura di docente più vicino al coach e al mentore, che promuova la collaborazione tra pari e lo sviluppo di pensiero critico e apprendimento autonomo (Galliani, 2011). Se si volesse tentare un bilancio conclusivo dell’esperienza progettuale, si può affermare che l’azione si è inserita in quest’evoluzione paradigmatica di prospettiva, procedendo con una logica il più possibile condivisa, affrontando con i docenti problemi e resistenze e proponendo possibili soluzioni ed esplorazioni di strumenti e metodi di insegnamento, apprendimento e valutazione. Si è trattato di una buona opportunità per gli Atenei della Regione del Veneto di allinearsi alle richieste europee e nazionali con una vera comprensione delle azioni poste in essere che vada oltre i meri adempimenti burocratici, esperienza che ci si augura possa essere ripetuta e ampliata nel prossimo futuro. Nonostante persistano difficoltà di coinvolgimento dei docenti e siano necessari un tempo maggiore, una riflessione e una formazione più approfondite per lo sviluppo di un vero interesse da parte di docenti e studenti, si riscontra piena coerenza tra le attività di didattica e valutazione per competenze promosse nel progetto e gli elementi di assicurazione della qualità dell’istruzione superiore. Come richiamato nel paragrafo iniziale, lo sviluppo di sistemi di promozione della competenza dei docenti nella progettazione dei corsi di studio appare un elemento chiave per l’Assicurazione di Qualità: il docente è sempre più chiamato ad un adeguamento delle proprie azioni e metodologie didattiche allo sviluppo di un sapere connesso, reticolare (Siemens, 2005), negoziato, che comprende contenuti disciplinari in continua evoluzione, ma anche competenze di relazione, di comunicazione, di pensiero critico e di apprendimento continuo (si pensi ai tre descrittori di Dublino riferiti a competenze trasversali).

25


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

In un momento di crisi che si configura sempre più come un cambiamento strutturale della politica, dell’economia e della società mondiale, l’istruzione superiore è chiamata ad un compito tanto importante quanto arduo che ha richiesto, richiede e richiederà uno sforzo di convergenza nazionale e internazionale: quello di accompagnare la formazione e lo sviluppo completo dei giovani, veri protagonisti chiamati ad imparare come si impara e a sviluppare saperi e abilità per essere lavoratori, cittadini, persone.

Riferimenti bibliografici Biggs J. (2003). Teaching for Quality Learning at University (2nd edition). Buckingham, UK: Society for Research into Higher Education & OU Press. De Miguel M. (coord.) (2006). Metodologia de Enseñanza Aprendizaje y para el desarrollo de competencias: orientaciones para el profesorado universitario ante el espacio de Europeo Educación superiore. Madrid. Alianza. Galliani L., Zaggia C., Serbati A. (a cura di). Apprendere e valutare competenze all’università .Progettazione e sperimentazione di strumenti nelle lauree magistrali. Lecce: Pensa MultiMedia. Galliani L. (2011). Progettare e gestire nuove forme di didattica in un’Università cambiata. In L. Galliani (a cura di), Il docente universitario. Una professione tra ricerca, didattica e governance degli atenei (pp. 511-522). Atti della VIII Biennale sulla Didattica Universitaria, Padova, 2 e 3 dicembre 2010, tomo II. Lecce: Pensa MultiMedia. Jackson N., Wisdom J., Shaw M. (2003). Guide for Busy Academics, Using learning outcomes to design a course and assess learning. Learning and Teaching Support Network. Lokhoff J., Wegewijs B., Durkin K., Wagenaar R., González J., Isaacs A. K., Donà dalle Rose L. F., Gobbi M. (2010) (Eds.). A guide to formulate degree programme profiles, Tuning, Bilbao, Groningen and The Hague: University of Deusto, disponibile al sito: http://www.coreproject.eu/documents/Tuning%20G%20Formulating%20Degree%20PR4.pdf Luzzato G. (2011). La progettazione della didattica universitaria per risultati di apprendimento. In L. Galliani, C. Zaggia, A. Serbati (a cura di), Apprendere e valutare competenze all’università .Progettazione e sperimentazione di strumenti nelle lauree magistrali (pp. 33-44). Lecce: Pensa MultiMedia. Moon J. (2002). The module and programme development handbook. Kogan Page. Paparella N. (2011). Insegnare per competenze in università Modelli, procedure, metodi. In L. Galliani, C. Zaggia, A. Serbati (a cura di), Apprendere e valutare competenze all’università. Progettazione e sperimentazione di strumenti nelle lauree magistrali (pp. 45-58). Lecce: Pensa MultiMedia. Rauhvargers A., Deane C., Pauwels W. (2009). Report from working groups appointed by the Bologna Follow-up Group to the Ministerial Conference in Leuven/Louvain-la-Neuve. 28-29 April 2009. Semeraro R. (2006). La valutazione della didattica universitaria. Paradigmi scientifici, rivisitazioni metodologiche, approcci multidimensionali. Milano: Franco Angeli. Siemens G. (2005). Connectivism: A learning theory for the digital age. International Journal of Instructional Technology and Distance Learning, 2, 10, pp. 123-142. Villa Sanchez A., Poblete Ruiz M. (2008). Competence-based learning. Tuning Project, Bilbao: University of Deusto. Zaggia C. (2008). L’università delle competenze. Milano: Franco Angeli. Zammuner V.L. (2003). I focus group. Bologna: Il Mulino. SITOGRAFIA http://www.unideusto.org/tuningeu/home.html http://www.eua.be/eua-work-and-policy-area/building-the-european-higher-educationarea/trends-in-european-higher-education.aspx http://www.bolognaprocess.it/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=5718

26


Ricerche La valutazione in itinere nell’e-learning: autovalutazione e valutazione collaborativa On-going evaluation in e-learning: self-assessment and collaborative assessment CONCETTA LA ROCCA Questa nota nasce nell’humus del Progetto, cofinanziato dalla Regione Lazio e dall’Università Roma Tre, Innovazioni multimediali nei processi di formazione con adulti professionisti su piattaforme e-learning, del quale è Responsabile Scientifico Gaetano Domenici. Nella sua sezione sperimentale, il Progetto si riferisce al Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e-learning attivo presso l’Università Roma Tre, nell’ambito del quale sono stati costruiti percorsi formativi per il potenziamento dell’e-learning attraverso l’implementazione multimediale di materiali di insegnamento, delle relative attività didattiche e delle forme di valutazione e autovalutazione in itinere.Tale sperimentazione è in svolgimento: gli esiti riguardano un aumento della partecipazione alle attività didattiche e di interazione, un miglioramento dell’apprendimento anche in senso meta-cognitivo.

This note is rooted in the humus of the “Multimedia Innovations, in training by e-learning platform to professionist adults” Project, of which Gaetano Domenici is Scientific Director. The Project – financed both by Regione Lazio and Roma Tre University – refers to the Degree Course in Sciences of Education e-learning activated within University Roma Tre. Its experimental section regards the building training paths for the full utilization of the potential of e-learning through the implementation of multimedia teaching materials and the related didactic activities and forms of on-going evaluation. Experimenting is in progress: the expected results will focus on an increased participation in the educational activities and interaction, and an improvement in learning also in a meta-cognitive sense.

Parole chiave: e-learning; “moduli multimediali”; valutazione in itinere; auto-valutazione; valutazione collaborativa; meta-cognizione.

Key words: e-learning; “ multimedia modules”; on-going evaluation; self-assessment; collaborative assessment; meta-cognition

Si ringrazia la Prof.ssa Rosa Capobianco, docente di Statistica presso l’Università Roma Tre, per i preziosi consigli sulla elaborazione dei dati utilizzati in questo lavoro.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

27


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione Il dibattito scientifico contemporaneo sulla valutazione vede la convergenza degli autori in merito alla funzione di arricchimento e di risorsa che essa svolge nelle attività formative, non essendo intesa come un mero strumento conoscitivo applicato da un osservatore (esterno o interno) ad un contesto di insegnamento/apprendimento prima, durante e dopo l’attività svolta, ma essendo considerata parte integrante della stessa azione educativa (Domenici 2009a; 2009b; Trinchero 2006). In questa ottica è particolarmente interessante un’analisi della valutazione in itinere poiché essa accompagna costantemente il percorso di formazione, consentendo ai docenti un monitoraggio analitico e regolare di tale percorso ed ai discenti un esercizio di riflessione continua sul procedere del proprio apprendimento (Pellerey 2006). Naturalmente questa concezione riguarda a pieno titolo anche l’e-learning, dove emerge uno degli aspetti più interessanti rilevabili nell’esercizio della valutazione in itinere, quello dell’interazione e della relazione tra gli attori del processo formativo, ovvero tra gli studenti, i docenti, i tutor (Calvani & Rotta 2000; Galliani 2004; Ranieri 2005; Rowntree1995;Trentin 2001). Infatti l’uso degli spazi (forum, chat, video) e dei tempi (sincrono, asincrono, differito) consentito da una piattaforma on line, permette l’emergere di forme di condivisione delle esperienze e delle conoscenze (Rivoltella 2003), oltre che lo sviluppo di abilità e competenze relazionali e collaborative che contribuiscono notevolmente all’accrescimento qualitativo dell’apprendimento e alla padronanza dello stesso (Maragliano 2004), dal punto di vista della consapevolezza e della meta-cognizione (Cornoldi 1995). Per sostenere lo studente nel suo essere il protagonista attivo del proprio apprendimento in senso significativo e non meccanico (Novak 2001, pp. 37-48) è necessario prevedere nel percorso didattico forme che consentano lo sviluppo di una dimensione meta-cognitiva attraverso un monitoraggio attivo e costante dei propri processi di pensiero (Fedeli & Tanburri 2003). La valutazione in itinere ha proprio l’obiettivo e la funzione di attivare negli studenti la capacità di essere soggetti consapevoli del proprio percorso formativo, utilizzando sostanzialmente forme di problem solving e choice simulation nell’ambito di: esercitazioni, che consentono di rielaborare operativamente i contenuti teorici appresi; laboratori, che permettono di applicare in un contesto reale o simulato quanto svolto nell’esercitazione; prove semi-strutturate di auto-valutazione che rendono possibile una riflessione personale sul livello di apprendimento raggiunto (Domenici 1993). Nell’ambito delle valutazioni effettuate nel corso dell’apprendimento è interessante rilevare anche la funzione attribuita alla valutazione collaborativa (Trentin 2004; 2005; 2007) che tende a rilevare non solo il livello quantitativo dei contributi che ciascuno studente apporta alle attività svolte con il gruppo, ma anche quanto tali attività possano incidere sull’apprendimento di ciascuno. Trentin (2004; 2005) individua sostanzialmente nel collaborative problem-solving su un problema dato e nel co-writing su un determinato argomento di studio, gli strumenti che possono porre in atto la strategia del collaborative learning (c-learning) che ha l’obiettivo di riconquistare e rivalutare la dimensione collaborativa dell’apprendimento, creando le condizioni di una crescita conoscitiva individuale come risultato dell’interazione di gruppo (Trentin 2007, p.4). In particolare nel suo studio del 2007, Trentin individua nel wiki lo strumento in grado di favorire il processo di monitoraggio e valutazione del c-learning poiché esso consente di “ridistribuire su tutti i membri del gruppo il compito e la responsabilità dell’editing del documento complessivo; stimolare ogni partecipante, attraverso una specifica strutturazione del lavoro di gruppo, a collaborare alle diverse fasi del processo di produzione dell’intero elaborato; mettere a punto un meccanismo valutativo basato sull’analisi delle interazioni fra i partecipanti, la valutazione delle singole

28


SIRD • Ricerche

produzioni e la struttura reticolare dell’elaborato finale, utilizzando allo scopo i dati tracciati di default dal wiki (comment, linker, tag, versioning, ecc.)” (Trentin 2007, p.5). Naturalmente, anche nell’ambito dell’e-learning, le attività di valutazione in itinere assumono un senso se riferite ad un contesto didattico strutturato secondo prospettive progettuali ben definite. Calvani e Rotta (Calvani & Rotta 2000) ritengono che la qualità dell’e-learning sia subordinata alla presenza di specifici elementi, tra i quali: materiali di studio strutturati in modo da essere fruibili on line secondo criteri di chiarezza, comprensibilità, essenzialità, modularità, aggregatività, etc; attivazione di un monitoraggio del corso per controllare in tempo reale la tipologia e la durata della connessione; forme di valutazione in itinere che, con il sostegno del tutor, si presentano come uno strumento di autorientamento per il discente e di monitoraggio del sistema. Sembra quindi che l’organizzazione dei materiali di studio erogati on line possa essere elettivamente proposta in forma modulare, poiché il costrutto modulare si presta particolarmente alla tipicità della rete e perché prevede strutturalmente la presenza di forme di valutazione in ingresso, in uscita e in itinere, le quali svolgono funzioni di monitoraggio degli apprendimenti e di auto-valutazione (Domenici 2009a). Inoltre la rete rappresenta un ambiente formativo idoneo alla ricezione di materiali di studio strutturati in forma multimediale: ciò consente di osservare le eventuali ricadute sull’apprendimento determinate dall’uso didattico delle immagini, o meglio, anche delle immagini (Calvani, 2011). Infatti nei materiali didattici le immagini sono di solito accompagnate da supporti letterari, in forma di testi scritti o di espressioni orali che attivano contemporaneamente due canali di comunicazione i quali, se riferiti allo stesso oggetto, in linea di massima producono un rinforzo positivo nel processo di memorizzazione (Mayer 2003; Paivio 1971, come citato da Landriscina 2011, p.50). Landriscina (2011) analizza l’uso delle immagini nella didattica da un punto di vista descrittivo in riferimento allo studio di Clark & Lions del 2010 (come citato da Landriscina 2011, p. 55) nel quale, tra le diverse funzioni ad esse attribuite, viene annoverata quella detta “organizzativa” che ha lo scopo di mostrare relazioni qualitative tra elementi, come accade per esempio nel caso di un organizzatore grafico dei contenuti di una lezione. Particolarmente interessante sembra a questo proposito il riferimento agli studi di Novak (Novak, 1991; 2001) sull’uso alle mappe concettuali in didattica poiché queste possono essere considerate una rappresentazione visiva di contenuti organizzati graficamente in modo da esplicitare i rapporti che legano tra loro i concetti significativi di una certa unità di studio. In particolare, da esperimenti sul campo condotti con il suo gruppo di ricerca e confermati dagli esiti di ricerche eseguiti da altri autori, Novak osserva che in ambito cognitivo, <<le mappe concettuali erano un valido sistema per aiutare i docenti ad organizzare le conoscenze per l’insegnamento, e un buon metodo per gli studenti per scoprire i concetti chiave e i principi contenuti nelle lezioni, nelle letture e nel materiale didattico>> (Novak, 2001, p. 32). In sintesi, in riferimento agli studi richiamati, si può ritenere che la stimolazione plurisensoriale (vista-udito) dovuta all’utilizzo di materiali multimediali (materiali di studio organizzati in forma modulare attraverso mappe concettuali con supporto vocale) e l’attivazione di forme di valutazione in itinere (esercitazioni, laboratori, prove semi-strutturate per l’auto-valutazione e situazioni di co-writing) possono rappresentare una modalità di costruzione ed erogazione dei contenuti disciplinari per il raggiungimento di un apprendimento significativo e lo sviluppo di processi meta-cognitivi. L’osservazione della ricaduta in abito educativo di tali costrutti che si diranno “moduli

29


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

multimediali” rappresenta l’ottica assunta nel presente contributo, che nasce nell’humus costituito dal progetto di ricerca “Innovazioni multimediali nei processi di formazione con adulti professionisti su piattaforme e-learning”.

2. Il Progetto di Ricerca 2.1 Ipotesi della ricerca Il progetto “Innovazioni multimediali nei processi di formazione con adulti professionisti su piattaforme e-learning”, di durata triennale (2010 - 2013), al quale partecipano, a vario titolo e con prospettive culturali e interessi scientifici differenti, docenti universitari ed esperti informatici, cofinanziato dalla Regione Lazio e dal Dipartimento di Studi dei Processi Formativi Culturali e Interculturali dell’Università degli Studi Roma Tre, utilizza come campo di azione sperimentale la piattaforma Moodle impiegata nel Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione in modalità Formazione a Distanza (FAD) presso l’Università degli Studi Roma Tre. In sintesi, l’ipotesi della ricerca che si assume in questo lavoro può essere così declinata: • I materiali di studio strutturati in forma modulare e multimediale potenziano il processo di memorizzazione e di comprensione dei contenuti contribuendo alla produzione di un apprendimento significativo • Le attività per la valutazione in itinere, nella forma di esercitazioni, laboratori e prove semi-strutturate1 per l’auto-valutazione contribuiscono alla produzione di un apprendimento significativo e allo sviluppo di una dimensione meta-cognitiva • Le forme di condivisione delle conoscenze e delle relative attività didattiche svolte favoriscono forme di valutazione collaborativa. Nel concetto di “modulo multimediale” si intendono compresi gli elementi che secondo la letteratura precedentemente analizzata contribuiscono alla costruzione di un “pacchetto didattico” in grado di sviluppare, negli studenti che ne usufruiscono, un apprendimento significativo e una dimensione meta-cognitiva, oltre che una disponibilità alla reciprocità nella condivisione di saperi e di esperienze. 2.2 La metodologia e il contesto della ricerca Come detto in precedenza, questo studio nasce nell’ambito del progetto “Innovazioni multimediali nei processi di formazione con adulti professionisti su piattaforme e-learning” ed utilizza come campo sperimentale la piattaforma Moodle impiegata nel Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione FAD dell’Università Roma Tre. Le procedure metodologiche utilizzate sono inserite in un quadro di tipo sperimentale, con l’individuazione di un Gruppo Sperimentale (GS) e di un Gruppo di Contrasto (GC) con funzioni di controllo; il GC è

1 Si definiscono semistrutturate tutte quelle prove di verifica dell’apprendimento costituite da una serie articolata di quesiti che richiedono ai soggetti cui si somministrano di formulare autonomamente il testo delle risposte osservando però alcuni vincoli prescrittivi capaci di renderle confrontabili con criteri di correzione predeterminati. G. Domenici, Gli strumenti della valutazione, Tecnodid, Napoli, 1991, Cap VII.

30


SIRD • Ricerche

determinato attraverso l’applicazione di un campionamento bilanciato, utilizzando le variabili età, genere, provenienza geografica, familiarità pregressa nell’uso delle ICT, atteggiamento verso lo studio e verso il lavoro, grado di successo scolastico precedentemente ottenuto; queste informazioni sono rilevate attraverso un questionario, somministrato agli studenti FAD, in ingresso al Corso di Laurea. Tra i vari corsi presenti in piattaforma si è scelto di implementare in forma multimediale e didattica una specifica sezione dei materiali di studio di Docimologia e Didattica Generale nel piano della ritenuti insegnamenti fondamentali per il Corso di Laurea FAD, mantenendo inalterati sia r i programmi che i docenti titolari degli insegnamenti; nel pianodeidella ricercamultimediali” originario, il relativi ai servendosi “moduli GS avrebbe ddovuto essere costituito dagli studenti che avrebbero studiato, e sostenuto l’esame finale, servendosi dei “moduli multimediali” relativi ai due insegnamenti e il GC dagli studenti che avevano seguito gli stessi corsi, e sostenuti i Questa relativi esami i ma-è stata però primafinali, sceltautilizzando metodologica teriali lineari r presenti in piattaforma prima della attivazione dei “moduli multimediali”. Questa prima scelta metodologica è stata però rivista perché, nell’arco temporale a cui si riferisce questo lavoro, gli studenti che hanno partecipato all’insegnamento di Didattica Generale sono risultati in numero tanto esiguo da non poter essere presi in considerazioneUn peraltro motivo analisi statistiche, pertanto è stato posto sotto osservazione, al momento, il solo insegnamento c di Docimologia. Un altro motivo che ha ulteriormente supportato questa scelta è stato determinato dal fatto che Docimologia sembra presentare maggiore difficoltà rispetto agli altri insegnamenti del Corso. Infatti i primi dati relativi alla rilevazione della votazione ottenuta al test d’esame confrontano il voto medio che ciascuno studente del GS ha conseguito negli esami sostenuti per tutti gli altri insegnamenti con il voto riportato all’esame di Docimologia. Nella Fig.1 si osservano due box-plot: il primo fa riferimento alla distribuzione del voto medio per studente, dove la media è stata calcolata ponderando i voti con i crediti corrispondenti. Il secondo box-plot descrive la distribuzione del voto riportato all’esame di Docimologia. È evidente dal grafico che, in media, il voto conseguito all’esame di Docimologia è inferiore rispetto al voto medio e che la distribuzione mostra una maggiore variabilità. Infatti mentre la media dei voti relativi a Docimologia oscilla tra 20 e 26, la media dei voti relativi agli altri esami si posiziona tra 24 e circa 28. Fi Fig.1: g.1: Box-plot Box-plot in pparallelo ar l lo per llaa di distribuzione sttribuzione del voto medio vot o m edio ddegli egli altri ri esamii sost sostenuti esam enuti e per p la distribuzione di sttribuzione del voto dell’esame ll’esame ddii D Docimologia de ocimo

. Fig.1 – Box-plot in parallelo per la distribuzione del voto medio degli altri esami sostenuti e per la distribuzione del voto dell’esame di Docimologia

“Trattamento dei dati

v Di conseguenza le considerazioni, le analisi, i dati che si riportano in questo lavoro si riferiscono al solo insegnamento di Docimologia, e più specificamente alla unità di studio rielaborata in forma di “moduli multimediali” denominata “Trattamento dei dati valutativi”. In termini operativi, relativamente alla erogazione dei contenuti, i “moduli multimediali”, inseriti in piattaforma utilizzando un plug-in di Moodle, sono costruiti rispettando i seguenti step: si individuano i concetti chiave dell’unità di studio; ogni concetto viene esplicitato in una serie di slide; ogni serie di slide relativa al concetto trattato è introdotta da un riferimento

31


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

al concetto precedente; i concetti sono organizzati e visualizzati attraverso schemi e/o mappe concettuali; la visualizzazione dei concetti è accompagnata da un supporto vocale, e da una freccia mobile (cursore) che ne segue le parole; sono previsti eventuali link a glossari e a pagine web; lo studente può inoltre scegliere se tornare indietro sulle diapositive precedenti, se soffermarsi sulla stessa per tutte le volte che desidera, se andare avanti. Al fine di motivare e di introdurre gli studenti allo studio della nuova proposta formativa, il docente di Docimologia presenta i “moduli multimediali” attraverso Al unfine video/audio, nel corso del quale di motivare e di introdurre gli esplicita gli sobiettivi dell’unità di studio, il rapporto tra le unità precedenti (che continuano ad essere erogate in forma lineare) e quella che si dovrà studiare e fornisce indicazioni sulle nuove modalità di apprendimento. La motivazione in ingresso, efficacemente stimolata dall’intervento del docente, è poi esercitata, nel percorso, dal tutor esperto disciplinare che accompagna e sostiene lo studente nello svolgimento delle attività di studio e di verifica in itinere. I “moduli multimediali” rispondono a requisiti grazie ai quali lo studente potrà: • ricevere una maggiore stimolazione multi-sensoriale ( audio, video, etc), • usufruire di una facilitazione nei percorsi di navigazione e di interazione online, • approfondire i materiali di studio attraverso link a pagine web, • mettere in pratica le conoscenze teoriche acquisite utilizzando esercitazioni, laboratori, simulazioni, ricerche, etc., • verificare in itinere le conoscenze acquisite attraverso le attività didattiche (esercitazioni, laboratori, prove semi-strutturate per l’auto-valutazione) attraverso proposte le al termine della tratattività didattiche tazione di ogni(singolo argomento, • acquisire una meta-cognizione relativa al proprio percorso di apprendimento grazie alle attività didattiche svolte, alle domande-guida del tutor disciplinare e alla partecipazione alle attività di co-writig • mantenere contatti con il gruppo anche a corso concluso (community on line). Fi g.2: E sempio Fig.2: Esempio Laa slide L slide 9.1 9.1 indica indica che ivi trattta del ivi si tratta argomento nono ar gomento svolto (l’item svol to (l ’item analysis) anal ysis) e del primo passaggio pr imo passaggi o concet concettuale tu uale ad relativo. esso rel ativo. Laa sslide 9.11 L lide 9 .11 mo stra llee aattività mostra ttiv ità di didattiche datttiche rrelative elative alla al la valutazione valutazione in in itinere itinere cche he proposte vengono pr oposte al ttermine della ermine del la tra ttazione trattazione dell’argomento. del l’argomento.

del Si ttenga enga cconto onto del fatto line, fatto che, on line, visualizzazione la v isualizzazione concetti dei concet ti è accompagnata accom pagnata da supporto to un suppor vocalee e da una vocal freccia mobile fr eccia m obile (cu rsore) ch ne (cursore) chee ne parole. segue llee parol e.

Fig. 2 – Esempio: La slide 9.1 indica che ivi si tratta del nono argomento svolto (l’item analysis) e del primo passaggio concettuale ad esso relativo

32


SIRD • Ricerche

Si riportano di seguito i contenuti delle attività didattiche proposte nell’esempio: Esercitazione-9: Si costruisca una griglia per effettuare l’Item Analysis e si inseriscano i dati rilevati nel Laboratorio1 (nel Lab.1 si somministrava una prova oggettiva, costruita nell’Eserc.1, in una classe reale o simulata ottenendo punteggi grezzi, ndr). Quindi si calcolino l’indice di Difficoltà e di discriminatività. Laboratorio-9a: Utilizzando i dati elaborati nell’Esercitazione 7, si identifichino gli item che non discriminano, che non rilevano le abilità previste, che risultino troppo facili o difficili. Laboratorio-9b: Utilizzando i dati elaborati nell’Esercitazione 7, si individuino gli allievi che non hanno raggiunto gli obiettivi previsti dagli item. Si espongano le considerazioni elaborate sul forum relativo. Autovalutazione-9: ( si risponda utilizzando lo spazio previsto) Si espongano le ragioni per le quali è importante e necessario effettuare l’Item Analysis ………..……………………………………………………………………………… ...( cinque righe)

Le attività svolte individualmente sono pubblicate nei forum relativi, in modo da essere visibili al gruppo e, con il sostegno e la direzione del tutor disciplinare, divenire gli elementi di partenza per attivare forme di c-learning e di valutazione collaborativa, in particolare attraverso il co-writing espresso in forma di wiki. I “moduli multimediali” sono stati resi visibili e attivi in piattaforma a partire dal 1 agosto 2011, in modo da consentire un periodo di familiarizzazione al nuovo linguaggio in cui sono stati espressi i contenuti del segmento curriculare e quindi permettere un sereno svolgimento della prima prova d’esame prevista per la seconda metà del mese di settembre. 2.3 Il monitoraggio Contestualmente all’inserimento in piattaforma dei “moduli multimediali”, è stata avviata una attività di monitoraggio per la rilevazione continua dei dati. Il monitoraggio prevede forme di valutazione delle modificazioni occorse, come: A) “evaluation” degli interventi in piattaforma relativamente al solo GS, rilevati attraverso • gli esiti della check-list somministrata agli studenti (percentuali e calcolo dell’Indice di Valutazione Positivo-IVP) • il conteggio numerico delle partecipazioni alle attività didattiche relative alla valutazione in itinere • il conteggio numerico delle partecipazioni alle attività di condivisione di conoscenze ed esperienze sollecitate e gestite dal tutor disciplinare per attivare una valutazione della collaborazione; B) “assessment” delle conoscenze, competenze, abilità che gli studenti del GS, in contrasto con il GC, avranno conseguito in itinere e al termine dello studio dei “moduli multimediali”, rilevate attraverso: • votazione ottenuta al test d’esame • item analysis del test d’esame, incrociando i risultati degli item relativi al segmento curriculare elaborato come “moduli multimediali” con gli altri item • confronto tra item analysis e votazione ottenuta al test d’esame • confronto tra item analysis e partecipazione alle attività didattiche

33


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

• analisi e interpretazione dei contributi alle attività di c-learning (co-writing in forma di wiki) gestite dal tutor disciplinare al fine di attivare una valutazione collaborativa.

3. I primi esiti del monitoraggio 3.1 Osservazione del GS Per rilevare le opinioni degli studenti in rapporto alla fruizione dei moduli multimediali e delle relative attività didattiche, sono state elaborate due check-list, somministrate tramite piattaforma on line. Le due check-list sono costruite in modo da ricevere informazioni distinte sulle osservazioni che ciascuno studente ha espresso in merito alla fruizione dei contenuti in formato multimediale e in merito alla percezione della funzione svolta dalle attività didattiche; le check-list utilizzano gli stessi descrittori nelle risposte per rendere comparabili i dati. Come è possibile comprendere dalla legenda riportata in calce al grafico Fig.3, le risposte previste nelle check-list, fino al punto 8, sono strutturate in riferimento alla tassonomia degli obiettivi di Bloom (Domenici 2009a); i punti dal 9 al 13 tendono a rilevare elementi relativi a meta-cognizione, creatività, comunicazione e c-learning; gli studenti hanno risposto attribuendo un valore a ciascuno dei descrittori utilizzando una scala di Likert (per niente; poco; abbastanza; molto). La Fig. 3 mostra la distribuzione delle risposte degli studenti alle due check-list. Nell’elaborazione dei dati è stato utilizzato l’Indice di Valutazione Positiva (IVP) (Diamond & Jefferies 2006), indicatore statistico che esprime la percentuale di opinioni positive (abbastanza e molto) rispetto al totale delle risposte. L’indice varia tra 0 e 100%: assume il valore minimo 0 quando tutti i giudizi sono negativi mentre è pari a 100% quando tutti gli intervistati esprimono giudizi pari ad abbastanza e/o molto. Per avere una interpretazione più accurata delle risposte e per poter effettuare un confronto tra le due check-list, i risultati sono stati analizzati attraverso l’analisi in componenti principali (Johnson & Wichern, 2002) (cfr. Fig. 3). Ciascun item è stato proiettato sul piano fattoriale e la vicinanza ad uno dei quattro giudizi rappresenta l’opinione media degli studenti. Nel grafico della pagina seguente sono stati sottolineati gli item relativi alla prima domanda mentre quelli della seconda sono riportati in corsivo. Una osservazione generale degli esiti delle due check-list, mette in evidenza come l’attivazione dei “moduli multimediali” e delle relative attività didattiche abbia ottenuto un largo consenso visto il valore sempre elevato degli IVP. I punteggi maggiori per il primo quesito sono stati raggiunti negli item dall’1 al 7 con un valore massimo dell’IVP (100%) nell’item 3 e tra i più elevati negli item 1 e 2 (96,67%): ciò conferma di fatto l’ipotesi della ricerca che vede nell’organizzazione multimediale e nell’uso di mappe concettuali una modalità di facilitazione dell’apprendimento in senso cognitivo, particolarmente in rapporto alle operazioni cognitive di base quali la memoria e la comprensione. I valori maggiori dell’IVP nel secondo quesito sono risultati per gli item 9,10,11, confermando anche in questo caso le attese della ricerca, poiché questi item si riferiscono propriamente alla funzione sostanziale attribuita alle attività didattiche, ovvero quella di consentire una meta-cognizione nell’attività auto-valutativa e una rielaborazione personale ed originale dei contenuti appresi. L’item 12 presenta, invece, una anomalia rispetto a quanto ci si attendeva; infatti ci si sarebbe aspettati che la possibilità di comunicare efficacemente i contenuti disciplinari fosse soprattutto legata alle attività didattiche, intese come una “palestra” in cui esercitarsi per comprendere come esporre efficacemente i contenuti degli insegnamenti, invece il valore dell’IVP per l’item 12 risulta molto più elevato nel primo quesito. Questo fatto induce a

34


SIRD • Ricerche

Fi g.3: pi ano ffattoriale atttoriale ccon on pr oiezione de gli iitem te m Fig.3: piano proiezione degli

Le Legenda genda de deii de descrittori: scrittori: L Lee ddue ue ddomande omande pposte oste ssono ono le seguenti: seguenti: so di di mappe mappe co Do Domanda manda 11:: Ne Nell’e-learning ll’e-learning l’u l’uso concettuali ncettuali e ddii m materiali ateriali m multimediali ultimediali fa facilita: cilita: (item e IVP IVP sottolineati) sottolineati) ttività didattiche did dattiche qquali resenza ddii fr equenti aattività uali Do Domanda manda 2: Ne Nell’e-learning ll’e-learning la ppresenza frequenti IVP in corsivo) corsivo) esercitazioni, laboratori, prove per l’auto-valutazione facilita (item e IVP l’auto valutazione facilita: Ri sposte: Risposte:

l

-

ite item m 11:: laa m memorizzazione emorizzazione ddii ccontenuti ontenuti in ggenere enere (IVP (IVP = 96, 96,67; 9 67; 86,67 86,67 ) 67; 86,67) ite item m 22:: laa m memorizzazione ontenuti ccomplessi omplessi ((IVP= IVP= 96, 96,67; 9 86,67) emorizzazione ddii ccontenuti ite item m 33:: laa rif riformulazione fo ormulazione dei ontenuti aappresi ppresi in ggenere enere ((IVP= IVP= 100, 100,00; 00; 90, 90,00) 00) dei ccontenuti ite item m 44:: laa rif riformulazione fo ormulazione dei cont contenuti appresi particolarmente complessi plessi ((IVP= IVP= 93, 93,33; 33; enuti appr esi se par ticolarmente com

-

ite item m 5: 5: l’applicazione, l’applicazione, inn altri altri ccontesti, onoscenza aap appresi ppresi (IVP= (IVP= 93, 93,33; 33; ontesti, ddegli egli eelementi lementi di di cconoscenza

-

ite item m 6: 6: laa sscomposizione composizione degli degli eelementi lementi ddii cconoscenza onoscenza aap appresi ppresi ((IVP= IVP= 93, 93,33; 33; 80,00) 80,00) item l’aggregazione lementi ddii cconoscenza onoscenza aappresi IVP= 90, 90,00; 00; 86,67) 86,67) ite m 77:: l’a ggregazione ddegli egli eelementi ppresi ((IVP= ite item m 88:: laa ffo formulazione ormulazione ddii ggiudizi merito di cconoscenza onoscenza aappresi ap ppresi (IV (IVP= IVP= iudizi ccritici ritici in m erito aagli gli elementi elementi di

-

ite item m 9: 9: l’a l’acquisizione cquisizione ddii consapevolezza consapevolezza ddegli egli eelementi lementi di di cconoscenza onoscenza possedut possedutii ((IVP= IVP= 93, 93,33; 9 33;

-

ei ppropri ropri pprocessi rocessi ccognitivi ite item10: m10: l’a l’acquisizione cquisizione ddii consapevolezza consapevolezza ddei ognitivi ((IVP= IVP= 83, 83,33; 33; 100, 100,00) 00 00) item combinazione originale gli elementi elementi di di conoscenza ppresi ((IVP= IVP= 86, 86,67; 67; 93, 93,33) 33) ite m 11: laa combinazione originale traa gli conoscenza aappresi 00; 76,67) ite item12: m12: l’e l’esposizione sposizione eefficace fficace ddei ei concet concetti tti appresi (IVP= (IVP= 90, 90,00; 76,67) item l’integrazione un ccontesto ontesto di di lavoro laav voro o ddii sstudio, tudio, m mettendo ettendo i propri propri saperi saperi ite m 113: 3: l’in tegrazione pproficua roficua inn un raendo benefi cio dai saperi degl altri m a disposizione beneficio deglii altri membri embri del gruppo e disposizione del gruppo, ttraendo 83,33; 33; 83,33) 83,33) uppo ((IVP= IVP= 83, promuovendo gruppo promuovendo un sapere sapere di gr

z

90,00)

93,33) 93,33)

86,67; 86, 67; 86,67) 86,67)

100, 00) 100,00)

g

mette in evidenza come n o

i

Fig. 3 – Piano fattoriale con proiezione degli item

ritenere che gli studenti abbiano interpretato l’item in senso organizzativo più che in senso relazionale, infatti la comunicazione dei contenuti disciplinari è sicuramente più efficace se strutturata in senso multimediale, come viene confermato anche dalle risposte date ai primi sette item della check-list. L’ultima considerazione è relativa all’item 13, dove si osserva una assoluta parità tra gli IVP, per cui si può affermare che per gli studenti della FAD le attività di collaborazione e cooperazione dipendono in egual misura dalla dimensione organizzativa 9 q q e strutturale dei materiali e dalle attività didattiche e di auto-valutazione ad essi connesse. , Gli esiti del monitoraggio relativo al conteggio numerico, e ai relativi incroci statistici, una 9 35


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

delle partecipazioni alle attività didattiche, ai forum per la condivisione di conoscenze ed esperienze, alle attività sollecitate dal tutor per una valutazione della collaborazione non sono al momento riportate perché in via di elaborazione. 3.2 Confronto tra il GS e il GC Le prime attività di monitoraggio per il confronto tra GS e GC sono state eseguite utilizzando un test statistico in rapporto al voto medio ottenuto nella prova dell’esame di Docimologia; il test non ha prodotto risultati statisticamente significativi. Analizzando le caratteristiche del GS si è osservato che non tutti coloro che fanno parte del GS hanno svolto le attività didattiche, pertanto il GS è stato suddiviso in due sotto-gruppi e si è proceduto al confronto tra: - GS¹ = studenti che hanno svolto esercitazioni, laboratori ed auto-valutazioni; - GS² = studenti che non hanno svolto esercitazioni, laboratori ed auto- valutazioni. Le performance sono state stimate attraverso le tecniche di ricampionamento. In particolare è stato calcolato un intervallo bootstrap poiché rappresenta una buona sintesi tra la stima puntuale e il test dell’ipotesi (DiCiccio & Efron, 1996). In questo caso l’ipotesi nulla implicita è che tra GS¹ e GS² non vi sia alcuna differenza. Fissata una lunghezza dell’intervallo di confidenza pari ad =0,05, l’intervallo bootstrap per il GS¹ è risultato pari a [25,80 – 30,19], notevolmente maggiore dell’intervallo bootstrap calcolato per il gruppo di controllo, [21,75 – 25,81]. Dal momento che i due intervalli non si sovrappongono è possibile non accettare l’ipotesi nulla, ossia si può affermare che c’è una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi; in altre parole gli studenti che hanno partecipato alle attività didattiche hanno risultati, in media, migliori rispetto agli studenti che non hanno partecipato alle attività didattiche. Di conseguenza, per ottenere una informazione più mirata, sono stati presi in considerazione gli item del test d’esame di Docimologia, osservando come hanno risposto agli item gli studenti che hanno svolto le attività didattiche rispetto a coloro che non le hanno sostenute, come riportato nei grafici in Fig.4. In entrambi i grafici è possibile rilevare che le performance degli studenti che hanno sostenuto le attività didattiche (nell’ovale) sono mediamente superiori all’andamento complessivo, sia per quanto riguarda gli item specifici sui “moduli multimediali” che per gli altri item.

Fig.4 : Fig.4 Grafici- delle % di risposte relative aglirelative item delagli test item di Docimologia Grafici delle % diesatte risposte esatte del test di Docimologia

36


SIRD • Ricerche Fig.4 : Grafici delle % di risposte esatte relative agli item del test di Docimologia

È interessante osservare che gli esiti, in media, maggiormente positivi, come si vede nel grafico Fig. 5, sono stati raggiunti per quegli item che riguardano i contenuti dell’unità di studio “Costruzione delle prove oggettive”che permane in piattaforma in formato lineare e che affronta questioni propedeutiche alla unità di studio “Trattamento dei dati valutativi” rielaborata in forma di “moduli multimediali”. Questo induce a dedurre che gli studenti che hanno svolto le attività didattiche hanno potenziato le proprie competenze anche relativamente agli argomenti strettamente collegati ai “moduli multimediali”, essendosi verificata, evidentemente, in questo ambito, una ricaduta positiva, anche in senso meta-cognitivo, degli argomenti appresi. Fi Fig.5 g.5 : Grafico Graffico delle delle % risposte poste re relative lative aall’unità ll’un di ddii ris studio stu udio “C “Costruzione osttruzione del delle l prove prove oggettive”, oggetttive”, propedeutica propedeutica al alla la uni unità tà ddi studio stu udio “T “Trattamento rattamento dei datii valutativi” valutativi” rrielaborata ielaborata iin n forma “moduli for ma di “m oduli multimediali”. multimediali”.

Fig.5 – Grafico delle % di risposte relative all’unità di studio “Costruzione delle prove oggettive”, propedeutica alla unità di studio “Trattamento dei dati valutativi” rielaborata in forma di “moduli multimediali”.

4. Considerazioni conclusive Allo stato attuale della sperimentazione, le prime considerazioni da effettuare riguardano le tra di glitutto studenti che lanon hannopossibilità svolto le di attività didattiche e quelli criticità emerse in corso d’opera. Prima si rileva mancata comparazione tra GS e cGC, compensata però dal raffronto effettuato, nell’ambito del GS, tra gli studenti che non hanno svolto le attività didattiche e quelli che vi si sono cimentati, con una netta positività di questi ultimi nello svolgimento del test finale di Docimologia. Questo evento induce a ritenere che un potenziamento delle conoscenze acquisite in un corso elearning sia maggiormente attribuibile alle attività didattiche di sostegno che all’utilizzo di forme di rappresentazione multimediali. O meglio, come raffigurato dalla lettura degli esiti delle check-list, la strutturazione dei materiali di studio attraverso mappe concettuali ed elementi multimediali facilita soprattutto la memorizzazione e la comprensione, mentre le attività didattiche sembrano indurre soprattutto ad una assunzione di consapevolezza dei propri processi cognitivi e delle conoscenze possedute. Un ulteriore elemento di criticità riguarda il fatto che allo stato attuale della sperimentazione non è stato ancora possibile avviare una valutazione collaborativa poiché troppo pochi sono risultati i contributi postati nello spazio-forum per attivare un processo di co-writing utilizzando un wiki. Le linee di sviluppo del progetto riguardano l’avvio delle attività di co-writing e della valutazione collaborativa e la introduzione di tecniche per la self-regulation (Pellerey 2009; Zimmerman 2001) le quali, congiuntamente alle attività di auto-valutazione previste, dovrebbero sollecitare ulteriormente negli studenti un ruolo attivo nel proprio processo di apprendimento.

37


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Riferimenti bibliografici Ausubel D.P. (1963). The psychology of meaningful verbal learning. New York: Grune & Stratton. Ausubel D.P. (1968). Educazione e processi cognitivi. Guida psicologica per gli insegnanti. Milano: Franco Angeli. Bonaiuti G., Calvani A., Fini A., Landriscina F., (2011). Principi di comunicazione visiva e multimediale. Fare didattica con le immagini. Roma: Carocci. Calvani A., Rotta M. (2000). Fare formazione in Internet, Manuale di didattica online. Trento: Erickson. Calvani A.(2005). Rete, comunità e conoscenza. Costruire e gestire dinamiche collaborative.Trento: Erickson. Clark R.C., Lyons C. (2010). Graphic for Learning: Proven Guidelines for Planning, Designing, and Evaluating Visuals in Training Materials. San Francisco: Pfeiffer. Cornoldi C. (1995). Metacognizione e Apprendimento. Bologna: Il Mulino. Diamond I., Jefferies J. (2006). Introduzione alla statistica per le scienze sociali. Milano: MacGraw Hill. DiCiccio T.J., Efron B. (1996). Bootstrap confidence intervals. Statistical Science, 11, pp.189-228. Domenici G. (1991. Gli strumenti della valutazione. Napoli: Tecnodid. Domenici G. (1993). Manuale della valutazione scolastica. Roma-Bari: Laterza. Domenici G. (2009a). Manuale dell’orientamento e della didattica modulare. Roma-Bari: Laterza. Domenici G. (2009b). Ragioni e strumenti della valutazione. Napoli: Tecnodid. Fedeli D.,Tanburri D. (2003), La metacognizione in azione. Dalla teoria alla pratica. Psicologia e Scuola XXIII, 114. Galliani L. (2004). La scuola in rete. Roma-Bari: Laterza. Johnson R.A., Wichern D.W. (2002). Applied multivariate statistical analysis. New York: Prentice Hall. Kintsch W. (1980). Learning from text, Level of Comprehension, or: Why Anyone Would Read a Story Anyway. Poetics, 9, pp. 90-94. Mayer R.E. (2003). The Promise of Multimedia Learning: Using the Same Instructional Design Methods across Different Media. Learning and instruction, 13, pp. 125-139. Mayer R.E. (2009). Multimedia Learning. New York: Cambridge University Press (2° edizione). Maragliano R. (2004) Pedagogie dell’e-learning. Roma-Bari: Laterza. Novak J.D.(1991). Clarify with concept maps. The Science Teacher, 58, 7, pp. 45-49. Novak J.D. (2001). L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza.Trento: Erickson. Paivio A. (1971). Imagery and verbal processes. New York: Holt, Rinehart, and Winston. Pellerey M (2006). Dirigere il proprio apprendimento. Brescia: La Scuola. Pellerey M. (2009). In http://www.cospesitalia.it/public/Segreteria%20Cospes/Documenti Ranieri M. (2005). E-Learning: modelli e strategie didattiche. Trento: Erickson. Rivoltella P.C.(2003). Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line. Trento: Erikson. Rowntree D., (1995). The tutor’s role in teaching via computer conferencing. British Journal of Educational Technology. Estratto da http://www.iet.open.co.uk/pp/D:G:F:Rowntree/ Trentin G.(2001). Dalla formazione a distanza all’apprendimento in rete. Milano: Franco Angeli. Trentin G. (2005). Apprendimento collaborativo in rete: un possibile approccio metodologico alla conduzione di corsi universitari online. TD Tecnologie Didattiche, 36, pp.45-59. Trentin G.(2007). I wiki nell’organizzazione e nella valutazione del c-learning. TD Tecnologie Didattiche 42, 3, pp. 4-14 Trinchero R. (2006). Valutare l’apprendimento nell’e-learning. Dalle abilità alle competenze. Trento: Erikson. Zimmerman, B.J. (2001). Theories of Self-Regulated Learning and Academic Achievement: An Overview and Analysis. In B.J. Zimmerman, D.H. Schunk (Ed.), Self-Regulated Learning and Academic Achievement: Theoretical Perspectives (pp. 1-65). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, Publishers.

38


Ricerche Valutare percorsi di partecipazione tra scuola e città: un curriculum per la cittadinanza Evaluate partecipation program between school and local community: a curriculum for citizenship education DIEGO DI MASI Lo scopo di questo lavoro è quello di presentare un curriculum per l’educazione alla cittadinanza e la sua possibile implementazione dentro e fuori la scuola. A partire dal modello della trasposizione del curricollo (Chevallard, 1985; Perrenoud, 1998; McCowan, 2008) si propone una trasposizione esterna, analizzando i documenti internazionali e nazionali elaborati per l’educazione alla cittadinanza, e una trasposizione interna al fine di progettare un curricolo reale che sostenga sia le opportunità di partecipazione ai processi decisionali che lo sviluppo di un pensiero complesso (Lipman, 2003). Il curriculum reale per l’educazione alla cittadinanza (Poli§ofia) è stato realizzato trasformando il Consiglio Comunale delle Ragazze e dei Ragazzi della città di Rovigo in una Comunità di Ricerca Filosofica secondo la metodologia della Philosophy for Children. Saranno presentati e discussi i risultati relativi al Moral Judgment Test (Lind, 2008), impiegato per valutare lo sviluppo del giudizio morale nei bambini che hanno preso parte alla sperimentazione.

The aim of this paper is to present a citizenship curriculum design and its possible implementation in and out the school.Taken in account the curriculum transposition model (Chevallard, 1985; Perrenoud, 1998; McCowan, 2008) we propose an external transposition, analyzing the International and national document about the citizenship education and an internal transposition in order to design a real curriculum to enhance at the same time the concrete opportunity to participate in decision-making process and improve the complex thinking (Lipman, 2003).The Implemented citizenship curriculum (Poli§ofia Project) has been realized in the Municipal Council of Children (opportunities) applying the methodology of Philosophy for Children (abilities).Will present and discuss the Moral Judgment Test’s results (Lind, 2008), used to evaluate the development of moral judgment in children who took part in Poli§ofia.

Parole chiave: Cittadinanza, Trasposizione Curriculare, Partecipazione, Philosophy for Children, Giudizio Morale

Key words: Citizenship, Curricular Transposition, Participation, Philosophy for Children, Moral Judgment

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

39


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. La trasposizione curriculare e la progettazione a ritroso per una valutazione autentica Nel momento in cui un sapere savant1 deve essere insegnato, quando dallo spazio sociale o dalla comunità scientifica che lo ha prodotto, viene inserito in un percorso curriculare, questa conoscenza subisce quella che Chevallard chiama una transposition didactique2. La trasposizione didattica è un meccanismo che trasforma il sapere scientifico, quello prodotto dalla ricerca, al sapere insegnato, quello adattato dall’insegnate nella pratica in aula che ha sempre un carattere singolare e unico. Secondo Perrenoud (1998) la trasposizione avviene in tre fasi, dai saperi e pratiche prodotti nella società, si passa al curricolo formale; il secondo passaggio permette la costruzione del curricolo reale; per arrivare infine all’ultima fase che contiene gli apprendimenti effettivi e duraturi degli studenti. Chevallard analizza il processo di mediazione e adattamento del sapere in termini didattici, individuando due livelli di “trasposizione”. Il primo, definito “trasposizione didattica esterna”, avviene tra la società e il sistema educativo ed è realizzato dall’insieme delle persone che si occupano dei processi di apprendimento-insegnamento fuori dal sistema educativo (i trasposizione didattica interna – èdanno realizzato del ricercatori universitari, gli autori di manuali, i pedagogisti,…) e che vitaall’interno a quella che Chevallard (1985) chiama noosfera. Il secondo livello – trasposizione didattica interna – è “ realizzato all’interno del “triangolo didattico”3 composto da tre elementi: l’insegnate, lo studente e il sapere. La prima trasposizione permette la costruzione del curriculum formale, la seconda elabora il curriculum reale. Il modello, nato nell’ambito dell’insegnamento della matematica e successivamente fatto proprio anche dalle altre discipline, è stato ripreso da McCowan e adattato all’educazione alla cittadinanza, inserendolo in uno schema che tiene conto della dimensione ideale/reale e di quella dei fini/mezzi: il curriculum transposition (McCowan, 2008). FINI

MEZZI

persona/società ideale

IDEALE

Curriculum Formale (Official Curriculum)

Curriculum Raggiunto

REALE

Curriculum Insegnato

Tab. 1 – Trasposizione del curriculum (McCowan, 2008) """""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""" 1

"

La tabella 1 rappresenta i quattro livelli della trasposizione curriculare proposta da McCowan. Nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza, nel primo riquadro si definiscono la dimensione ideale e i fini: verso quale idea di cittadino ci si muove e quale società si intende " "

1 Scientifico. 2 Il concetto di trasposizione didattica è stato formulato per la prima volta dal sociologo francese Michel Verte nel 1975 e successivamente ripreso da Chevallard nell’ambito della didattica della matematica. 3 Modello del sistema didattico elaborato da Chevallard nel 1982.

40


SIRD • Ricerche

costruire. Queste possono essere ricavate per esempio dalle sollecitazioni che provengono dai diversi documenti internazionali – la Convenzione della Nazioni Unite dei Diritte delle Bambine e dei Bambini, il Progetto di Educazione alla Cittadinanza Democratica del Consiglio d’Europa – cosi come la letteratura scientifica, e rappresentano il corpo di saperi esperti (Joshua, 1996) con i quali la noosfera si relaziona e costruisce. Il secondo livello, il curriculum ufficiale (McCowan, 2008), o curriculum formale (Perrenoud, 1998), può essere ricavato dalle diverse indicazioni che i governi producono in materia di educazione alla cittadinanza. In questo fase, risultato della trasposizione esterna, trovano spazio gli obiettivi e i programmi del curriculum (Perrenoud, 1998). Il terzo spazio, dedicato al curriculum insegnato nella classe (curriculum reale), e frutto della trasposizione interna condotta dall’insegnante, è il luogo del curriculum implementato nella realtà scolastica, storicamente e culturalmente determinata. Nel quarto ed ultimo riquadro abbiamo il risultato del processo letto in termini di apprendimenti acquisiti dallo studente: il cittadino reale. Come sottolinea McCowan nel suo lavoro “Questo processo comporta dei “salti” tra diversi piani: da quello dei fini a quello dei mezzi educativi (come nel caso del passaggio dal primo al secondo livello e dal terzo al quarto) e dall’ideale al reale (dal secondo al terzo). Questo salti sono altamente problematici” (McCowan, 2008, p 171 [trad. it. mia]). Queste problematicità derivano dal fatto che il processo che lega le quattro fasi non segue la logica della causa/conseguenza, ma, come suggerisce lo stesso Chevallard, dipende dalle condizioni e restrizioni che di volta in volta, in funzione del contesto, si incontrano durante il processo. Sono proprio queste sollecitazioni “esterne” che generano quel cambiamento che impone una continua ridefinizione di tutto il percorso. In una prospettiva didattica, uno strumento significativo per governare la complessità dell’impresa educativa (che l’insegnante deve saper fronteggiare in quella che abbiamo definito trasposizione interna), ci viene offerto dal lavoro di McTighe e Wiggins conosciuto come progettazione a ritroso. Nella progettazione a ritroso il docente organizza il curriculum a partire dalla definizione della comprensione durevole (McTighe & Wiggins, 2004) e tenendo conto, oltre che dei mezzi a sua disposizione e del contesto nel quale si trova, anche degli interessi degli studenti con i quali lavora. Una volta individuati i contenuti significativi da insegnare, ovvero quelli che pur rappresentando il nucleo della disciplina hanno un valore anche al di là dell’ambito scolastico e che necessitano di essere chiariti, disambiguati o pensati in modo nuovo e originale, vengono stabilite le evidenze che permetteranno di accertare se gli studenti hanno fatto proprie le comprensioni desiderate. Solo dopo aver esplicitato cosa e come valutare sarà possibile “predisporre un processo di apprendimento fondato su alcuni principi di apprendimento autentico” (Comoglio, 2004, pag.12). Nei paragrafi successivi verrà presentato il curriculum per una educazione alla cittadinanza, Poli§ofia (Santi & Di Masi, 2010; Di Masi & Santi, 2011), cosi come è stato realizzato nella città di Rovigo, la presentazione seguirà il modello della trasposizione del curriculum e nel presentare il curriculum reale verranno evidenziate le tre fasi della progettazione a ritroso.

2. Il progetto Poli§ofia Il progetto Poli§ofia è nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova e il Comune di Rovigo il quale ha accettato nel 2008 di prendere parte a una ricerca coordinata dalla docente Marina Santi e finanziata dalla Fondazione CARIPARO su un tema vincolato per una borsa di studio presso la Scuola di Dottorato in Scienze Pedagogiche, dell’Educazione e della Formazione.

41


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

La ricerca ha avuto lo scopo di esplorare piste di indagine relative alla promozione della cittadinanza attiva e della convivenza civile attraverso la partecipazione diretta dei bambini e dei giovani alla vita delle istituzioni democratiche. In particolare si sono sostenute le capacità dialogico-riflessive e argomentative e lo sviluppo del pensiero morale in rapporto al problema dell’educazione alla cittadinanza, elaborando modelli di intervento e materiali didattici, nonché attuando ricerche empiriche atte a validarne l’efficacia. 2.1 Il cittadino ideale Il Consiglio d’Europa definisce il cittadino come “a person co-existing in a society” (O’Shea, 2003). Questa definizione è importante per due ragioni. La prima è che il concetto di cittadinanza non è più affermato solo in termini di relazione con lo Stato Nazione, ma supera i confini nazionali a favore di un concetto di comunità che include la dimensione locale, nazionale, regionale e internazionale nel quale l’individuo vive. La seconda ragione è che il concetto di cittadinanza, oltre a esprimere uno status diventa anche un ruolo. Non si esercita il proprio diritto di cittadinanza solo attraverso la facoltà di votare per esempio, ma anche attraverso azioni che hanno un impatto sulla vita della comunità, dentro quello spazio pubblico che l’individuo condivide con l’altro. Definire il cittadino come un individuo che co-esiste in una società apre a un modello di cittadinanza che non si acquisisce semplicemente alla nascita, ma va educata affinché l’individuo possa impegnarsi nello spazio pubblico, sviluppando tutte quelle competenze ed abilità necessarie ad esercitare il proprio diritto-dovere in un mondo in cui l’altro non è un incontro fortuito, ma parte della propria condizione. Accanto alla posizione che sostiene un concetto formale di cittadinanza, come stato giuridico che attribuisce al cittadino diritti e responsabilità all’interno della propria comunità, si afferma una visione che interpreta la cittadinanza declinandola come partecipazione e impegno alla vita pubblica. L’educazione alla cittadinanza implica dunque che vengano educate competenze necessarie al dibattito e alla deliberazione su tematiche comuni e promosse le opportunità di partecipazione. Se nella prima prospettiva la cittadinanza è un prodotto, nella seconda interpretazione essere cittadini significa essere in grado di esercitare il proprio pensiero critico e riflessivo per trasformare la società, tenendo insieme sia la dimensione dell’essere che quella del fare (Sen, 1999). La cittadinanza diventa una pratica, “un processo di apprendimento nello spazio pubblico” (Bolivar, 2007, p. 27, trad. it. mia). Queste due posizioni sono definite da McLaughlin come minimal e maximal. Un approccio minimal all’educazione alla cittadinanza è quello che si limita a fornire le informazioni relative al funzionamento della democrazia e delle sue istituzioni, mentre l’interpretazione maximal “richiede lo sviluppo di una comprensione critica delle strutture e dei processi sociali, in modo tale da poterli mettere in questione, e “virtù” che permettano agli studenti di poterle cambiarle” (McLaughlin, 1992, p. 238, trad. it. mia). Il primo approccio interpreta la cittadinanza come uno status legale, il secondo invece possiamo definirlo come agency-based. Entrambi gli approcci, distinti solo per sottolineare che il primo non è sufficiente alla costruzione di una cittadinanza attiva e responsabile, contribuiscono alla realizzare di una educazione alla cittadinanza che sviluppa l’agency degli studenti. Come afferma Losito (2009) l’educazione alla cittadinanza si propone di contribuire a sviluppare negli studenti le conoscenze, le abilità, gli atteggiamenti e i valori necessari per una partecipazione attiva, consapevole e critica alla vita democratica della propria comunità. La partecipazione dei cittadini diventa, dunque, una condizione fondamentale per la vita delle democrazie moderne che si fondano necessariamente su una idea di società educante in cui colui che apprende “è con-

42


SIRD • Ricerche

siderato come una persona in relazione con gli altri, che presuppone una co-cittadinanza, responsabilità condivise, comprensione reciproca, cooperazione e partecipazione ai processi deliberativi” (Bîrzéa, 2000, p. 12). 2.2 Il curriculum formale in Italia Con la Legge n°169 del 30 ottobre 2008 si istituisce la disciplina “Cittadinanza e Costituzione”, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione con un monte ore complessivo di 33 ore annue, previste per l’intero curricolo scolastico. Dal punto di vista della terminologia impiegata, l’aspetto più significativo rispetto ai precedenti tentativi di pensare l’educazione civica è la scelta di mettere in evidenza il termine Costituzione, sottolineando così la volontà di trovare nella Carta Costituzionale una “mappa valoriale” utile alla costruzione dell’identità personale, locale, nazionale e umana capace di esercitare una cittadinanza attiva. Nonostante le numerose riflessioni critiche4 che l’approvazione della legge ha suscitato, l’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione” ha il merito di affermare il principio della partecipazione e del coinvolgimento degli studenti per la promozione di una cultura democratica e della legalità e di superare alcuni limiti cha hanno caratterizzato gli ultimi ’50 anni della storia dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole italiane, insistendo nella formazione dei docenti e, anche se in modo discutibile5, nella sperimentazione didattica. In particolare, nel Documento d’indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” del 4 marzo del 2009, tra i nuclei tematici e obiettivi di apprendimento, si indica, come una delle situazioni di compito per la certificazione delle competenze personali, proprio la partecipazione. Per quanto riguarda gli studenti delle scuola secondaria di primo grado, alla fine del triennio devono “essere consapevoli delle caratteristiche del territorio in cui si vive e degli organi che lo governano, ai diversi livelli di organizzazione sociale e politica; partecipare alle iniziative promosse per una sempre maggiore collaborazione tra scuola ed enti locali e territoriali; riconoscere i provvedimenti e le azioni

4 All’indomani dell’istituzione dell’ora di “Costituzione e Cittadinanza” è stato pubblicato sul Corriere della Sera un editoriale di Ernesto Galli della Loggia critico nei confronti della Legge che invitava a riflettere su questo tipo di iniziative da parte del governo che finiscono per affermare l’idea di uno Stato etico che educa tutti i suoi cittadini secondo un modello unico e che trasforma la scuola da luogo di apprendimento a agenzia della socializzazione. All’editoriale di Della Loggia, risponde Gerardo Colombo che invece sottolinea la necessita di insegnare la nostra Carta Costituzionale in quanto fondamento dei valori della Repubblica. 5 Per quanto riguarda la sperimentazione, nonostante nel documento di indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” del 4 marzo del 2009, si faccia esplicito riferimento al progetto ICCS 2009 (International Civic and Citizenship Education Study), terza indagine internazionale sull’educazione civica e cittadinanza promossa dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), non sembra che i risultati della ricerca abbiano in qualche modo influenzato i decision makers. Come sottolinea Losito (2009, p. 101) “sono numerosi gli aspetti discutibili della proposta di sperimentazione”. In particolare Losito ritiene che un primo punto di debolezza sia da individuare nella mancata attenzione al contesto che al contrario permetterebbe di individuare l’approccio migliore per l’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza. Una seconda criticità emerge dalla lettura degli “obiettivi di apprendimento” e delle “situazioni di compito per la certificazioni delle competenze”. I primi vengono rappresentati come un lista di contenuti, i secondi raccolgono valori piuttosto che competenze rendendo difficile la valutazione.

43


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

concrete che promuovono e tutelano il principio della sussidiarietà verticale ed orizzontale in un territorio; […] collaborare all’elaborazione e alla realizzazione dei diversi progetti (salute, ambiente, sicurezza ecc.) promossi dalla scuola e dal territorio”. 2.3 Il curriculum reale 2.3.1 Identificare i risultati desiderati Sulla base dell’analisi dei documenti e del dibattito internazionali è possibile individuare un’ampia gamma di obiettivi che l’educazione alla cittadinanza si propone e che permettono di stabilire quali siano le priorità curriculari. Nella ricerca Eurydice del 2005 questi diversi obiettivi vengono raggruppati in tre principali categorie interdipendenti tra loro: 1. Alfabetizzazione Politica 2. Sviluppo di valori e atteggiamenti per la cittadinanza responsabile 3. Partecipazione attiva Il primo obiettivo si riferisce all’acquisizione di conoscenze teoriche relative ai diritti umani e alla democrazia, cosi come al funzionamento delle istituzioni politiche e sociali e agli aspetti storici e culturali del proprio paese. Il secondo, invece, concerne lo sviluppo di quelle abilità necessarie all’impegno nella sfera pubblica e alla risoluzione pacifica dei conflitti, al rispetto di sé e dell’altro, lo sviluppo di un pensiero critico e creativo. Infine il terzo riguarda sia lo sviluppo di quelle abilità necessarie per realizzare un impegno attivo, critico e responsabile, nella vita della scuola e della comunità, che favorire le opportunità per sperimentare direttamente le regole e i principi della democrazia: partecipazione attiva. Per ogni raggruppamento è possibile associare un livello di competenze necessarie alla formazione del cittadino. Il primo livello è cognitivo e comprende lo sviluppo dell’autonomia e del senso critico che richiede sia l’acquisizione di conoscenze precise e documentate (Knowledges), che la capacità di analizzare e riflettere sulle principale problematiche della democrazia e della cittadinanza (Skills), entrambe necessarie a sviluppare una “cittadinanza riflessiva” (Santerini, 2010) dove trova spazio l’autonomia di giudizio, il pensiero critico e la capacità di decentramento. Questo primo livello, definito da Audigier (2002) compétence cognitives si compone di competenze di ordine giuridico e politico che si riferiscono alle conoscenze delle istituzioni pubbliche e democratiche e delle regole della vita in comune; alle conoscenze sul mondo contemporaneo in una prospettiva storica e culturale; alle conoscenze relative ai principi e ai valori dei diritti dell’uomo e della cittadinanza democratica; l’ultima dimensione delle competenze cognitive è rappresentata dalle competenze di tipo procedurale, trasferibili e applicabili in diverse situazioni: capacità d’argomentare e capacità riflessiva. Il secondo livello di competenze creano quella che la Santerini chiama cittadinanza vissuta “il livello delle disposizioni e delle scelte interiorizzate che solitamente si sintetizzano nel saper essere, […] nella capacità di interiorizzare le regole e nella sensibilità ai valori democratici e ai diritti umani” (Santerini, 2010, p. 81). Queste competenze le ritroviamo di nuovo nel documento elaborato da Audigier (2002) Le concepts de base et compétences-clés pour l’éducation à la citoyenneté démocratique e vengono definite “competenze etiche e scelte di valori”.Viene sottolineato il ruolo dei valori - dimensione etica - nella costruzione della propria personalità e delle relazioni con gli altri e come questa dimensione sia il risultato di aspetti razionali e affettivo-emotivo. Infine un terzo livello di competenza di “tipo decisionale e partecipativo (saper fare) che riguardano l’impegno e l’assunzione di responsabilità da esercitare quando si è di fronte a situazioni complesse: una cittadinanza deliberativa” (Santerini, 2010, p. 104).

44


SIRD • Ricerche

Anche questo livello trova corrispondenza nella definizione delle competenze chiave di Audigier, il quale le definisce “competenze sociali” (2002): capacità di cooperare, capacità di risolvere i conflitti, capacità di intervenire nel dibattito pubblico. Cittadinanza

Obiettivi

Competenze

Riflessiva

Alfabetizzazione Politica

Cognitive-procedurali

Vissuta

Sviluppo di valori e atteggiamenti responsabili

Etico-valoriali

Deliberativa

Partecipazione attiva

Sociali

Tab. 2 – Schema Riassuntivo Curriculum Reale

2.3.2 Determinare le evidenze di accettabilità Per quanto riguarda la modalità di accertamento delle comprensioni durevoli - conoscenze e competenze individuate e descritte nel paragrafo precedente – nel progetto Poli§ofia sono stati scelti, tra i diversi strumenti del continuum di valutazione, il dialogo, i test e la realizzazione di prestazione (Santi & Di Masi, 2010; Di Masi & Santi, 2011). Nel presente contributo verrà illustrato solamente uno dei test scelti per valutare le competenze etico-valoriali, il cui sviluppo, tenendo conto dello schema riassuntivo riportato nella tab.2, è necessario per educare alla “Cittadinanza Vissuta” che si prefissa lo sviluppo di valori e atteggiamenti responsabili. Il test scelto si chiama Moral Judgment Test (MJT) ed è stato elaborato per misurare la competenza morale (C-index) nella sua dimensione cognitiva e affettiva: dual approach (Lind, 2008). Composto da due dilemmi, chiede di giudicare la scelta fatta dal protagonista e di esprimere il proprio giudizio (scala likert da “completamente sbagliato” -2 a “ assolutamente " giusto” +2) rispetto agli argomenti proposti. Per ogni dilemma, infatti, sono presentati 12 " argomenti, di cui 6 a favore e 6 contro la scelta fatta dal protagonista della vicenda. Gli argomenti sono costruiti in modo tale da presentare i diversi livelli del giudizio morale a partire dal modello di Kohlberg (pre-convenzionale, convenzionale, post-convenzionale). Il test è stato somministrato in pre e post a un gruppo di 6 classi di prima di due scuole secondarie di primo grado, di cui 3 per il gruppo target (che hanno partecipato alle attività che verranno presentate nel paragrafo successivo) e 3 per il gruppo di controllo. Scuola

Gruppo

Maschi

Femmine

Tot

A (sperim.)

6

10

16

D (sperim.)

7

14

21

C (controllo)

9

9

18

E (controllo)

12

6

18

A (sperim.)

7

14

21

C (controllo)

10

8

18

Tot

51

61

112

2

1

Descrizione Gruppo Tab. 3

– Descrizione Gruppo

45


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

2.3.3 Pianificare esperienze e istruzione A partire dalla definizione di competenze di cittadinanza nelle sue dimensioni cognitive, etico-valoriali e sociali, abbiamo trovato nel curriculum della Philosophy for Children (P4C) un modello didattico efficace per sviluppare nei bambini quelle competenze che le democrazie richiedono (Santi, 2006;2007). La proposta di Lipman conosciuta come Philosophy for Children (Cosentino, 2002; Santi, 2005; Santi & Oliverio 2012), recupera la filosofia e il filosofare come pratica generatrice per formare le capacità di ragionamento necessarie per la realizzazione di un pensiero democratico. La filosofia che Lipman auspica possa imparata in tutti gli ordini e gradi dell’istruzione non è quella accademica, ma, come afferma lui stesso “una filosofia narrativa che ponga l’accento sul dialogo, sulla deliberazione e sul rafforzamento del giudizio e della comunità” (2002, p. 12). Il cuore metodologico della proposta è rappresentato dalla “community of inquiry”, comunità di ricerca filosofica, una comunità riflessiva e deliberativa che promuove un pensiero complesso nella sua articolazione critica, creativa e affettivo-valoriale (Lipman, 2003). Nella P4C il pensiero critico è basato sua criteri come la rilevanza, la precisione e la coerenza, il pensiero creativo è capace di immaginazione e infine il pensiero affettivo-valoriale è in grado di riconoscere i valori, condividerli e farli diventare patrimonio di tutte e tutti. Nel progetto Poli§ofia, il curriculum reale per la cittadinanza si è articolato secondo due linee: promuovere opportunità di partecipazione a un dialogo pubblico e deliberativo (Consiglio Comunale delle Ragazze e dei Ragazzi), dall’altro sviluppare le abilità specifiche per realizzare una partecipazione autentica al dialogo deliberativo6 (Philosophy for Children). Al fine di promuovere attività di dialogo filosofico a scuola e in contesti pubblici, sia il Consiglio Comunale delle Ragazze e dei Ragazzi di Rovigo che le classi dei consiglieri sono state trasformate in comunità di ricerca filosofica, in modo tale da coniugare la metodologia della Philosophy for Children, esempio emblematico di pratica dialogico-argomentativa di tipo comunitario, con le numerose sperimentazioni di carattere partecipativo come i “Consigli Comunali delle Ragazze e dei Ragazzi” presenti a livello locale (quartieri e comuni), dando vita a un’esperienza formativa di carattere emancipativo e trasformativo. Il progetto, cosi come la ricerca, si è articolato su tre livelli: il Consiglio, le Commissioni, le Classi dei Consiglieri. La struttura e il funzionamento del Consiglio Comunale dei Ragazzi ha seguito lo Statuto approvato dal Consiglio Comunale di Rovigo. Il CCR era composto da 41 bambini di età compresa tra i 9 e i 13 anni eletti dai propri compagni di scuola. Il suo mandato dura due anni e si riunisce una volta ogni tre mesi per discutere le proposte avanzate dalle Commissioni. Sono stati coinvolti tutti gli Istituti Comprensivi e le scuole paritarie della città di Rovigo. Le commissioni, ognuna delle quali composte da dieci bambini, sono state individuate a partire dai programmi elettorali presentati dai candidati, dagli interessi dei bambini, tenendo

6 La definizione di dialogo deliberativo che viene assunta in questo lavoro è quella proposta da Walton (2006) “In a deliberation dialogue the participants are always confronted by a practical problem of this sort that requires a decision on how to take action. The deliberation dialogue is a group activity in which it is assumed that although the participants have differences of opinion, they also share common goals, and want to move ahead in taking a collective action to carry out some tasks. Deliberation is a type of dialogue in which a group of agents collaborates to make a decision about what course of action to take. Deliberation involves making a choice among a set of alternatives courses of action, premised on goals and values, and is thus based on practical reasoning.The purpose of the deliberation dialogue is for the group to move ahead in a situation where a problem is confronted in relation to a specific situation”.

46


SIRD • Ricerche

conto dell’età dei Consiglieri e della rappresentatività degli Istituti Comprensivi coinvolti nel progetto. All’inizio del mandato sono state individuate 4 commissioni: Ambiente e Trasporti, Scuola e Gemellaggi, Sport e Musica e Turismo e Cultura. Le commissioni si sono riunite una volta al mese, allo scopo di individuare le questioni problematiche e avanzare delle proposte progettuali da ridiscutere nelle classi prima di essere presentate al Consiglio. Coerentemente con il modello di cittadinanza basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini ai processi deliberativi che vada oltre alla semplice, per quanto fondamentale, partecipazione al voto, sono stati coinvolte anche le classi dei consiglieri. Il coinvolgimento degli Istituti Comprensivi e Paritari ha quindi permesso l’implementazione della Philosophy for Children anche nelle scuole. Nei due anni di lavoro sono stati realizzati 20 incontri di un’ora in tutte le classi. Le prime 12 da febbraio a maggio 2009 e le restanti 8 da novembre a gennaio 2010. I testi usati per facilitare le discussioni filosofiche sono stati: i racconti elaborati durante il secondo anno del Corso di Perfezionamento in “Philosophy for Children: costruire comunità di ricerca in classe e in altri contesti educativi”7; i documenti elaborati dalle commissioni e alcuni dilemmi morali ritenuti utili per l’attivazione di discussioni durante le sessioni di discussione. Gli incontri settimanali sono stati condotti da formatori esperti sul curricolo. Durante l’anno scolastico 2008/2009 hanno partecipano 31 classi, di cui 19 alla scuola primaria (1 IV; 18 V) e 12 delle scuole secondarie di primo grado (9 I; 3 II), mentre l’anno scolastico 2009/2010 ha visto la partecipazione di 26 classi, di cui una alla scuola primaria (1 V) e 25 alle scuole secondarie di primo grado (13 I; 9 II; 3 III).

3. Risultati e discussione L’analisi condotta sulle classi coinvolte nel progetto, mostra che l’intervento (discussione filosofica in Comunità di Ricerca secondo la metodologia della Philosophy for Children) produce nel gruppo target un incremento della competenza del giudizio morale, che rimane invece sostanzialmente invariata nel gruppo di controllo, come mostra il grafico sotto:

Fig. 1. Grafico relativo all’effetto dell’intervento sul gruppo di controllo e target rxy =0,23; F(1,110)=6.14; p=0,015 7 Corso di Perfezionamento attivato presso l’Università di Padova e diretto da Marina Santi.

47


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Per quanto riguarda gli effetti dell’intervento nella classi della Scuola 2, il grafico di seguito riportato mostra come il C-index cresce significativamente nelle classi target. La sez A e D hanno, rispettivamente, un incremento pari a 7,3 e 2.7; mentre nelle classi del gruppo di controllo il C-index decresce di 0.9 nella sezione C e di 5,2 nella sez E.

Fig. 2 – Grafico relativo all’effetto dell’intervento Scuola 2 rxy =0,37; F(3,69)=2.93; p‹0,0394

Nella Scuola 1, invece, rileviamo un incremento del valore del C-index in entrambe le classi. Sebbene i risultati non siano statisticamente significativi (p‹0.4213), si evidenzia tuttavia un incremento nella classe target maggiore di quello della classe controllo.

Fig. 3 - Grafico relativo all’effetto dell’intervento Scuola 1 rxy =0,14; F(1,37)=0.66; p‹0.4213

48


SIRD • Ricerche

Il valore del C-index nel pretest della sez A è pari a 15,0 e nel post test arriva a 26,6 con un incremento pari a 11,6 punti percentuali. La sez C invece, pur partendo con un valore del C-index superiore nel pre test rispetto alla sez A (16,8) nel post test il C-index arriva a un valore pari a 23,6, per un totale di 6,8 punti percentuali di incremento. I risultati del MJT dimostrano che la partecipazione a una comunità di ricerca filosofica e la pratica costante del dialogo contribuiscono allo sviluppo di un giudizio morale. I bambini che hanno partecipato al progetto Poli§ofia, nel cercare giustificazioni a scelte di carattere morale, abbandonano argomenti basati sui propri interessi personali, tipici di un pensiero pre-convenzionale (Kolhberg, 1984), per orientarsi verso argomentazioni che fanno appello a principi universali caratteristici di un pensiero post convenzionale. Per concludere ripercorriamo i passaggi presentati nell’articolo al fine di sottolineare come l’integrazione tra la trasposizione curriculare e la progettazione a ritroso risulti un possibile percorso per progettare un curriculum per l’educazione alla cittadinanza (tab. 4). FINI

MEZZI 1. Identificare i risultati attesi

IDEALE

persona/società ideale

Curriculum Formale

2. determinare evidenze di accettabilità REALE

3. pianificare esperienze e istruzione

Curriculum Raggiunto

Curriculum Insegnato

Integrazione tra Trasposizione del Curriculum e Progettazione a Ritroso

Tab. 4 – Integrazione tra Trasposizione del Curriculum e Progettazione a Ritroso

Abbiamo visto come un pensiero scientifico si traduce in un sapere insegnato attraverso il processo della trasposizione didattica nella sua declinazione esterna e interna. Mutuando il linguaggio della progettazione a ritroso, la trasposizione esterna ci consente di identificare i risultati attesi in termini di comprensioni durevoli (abilità e conoscenze). L’articolo presenta come il progetto Poli§ofia abbia valorizzato la dimensione della “cittadinanza vissuta” (Santerini, 2010) sostenendo in particolare lo sviluppo di competenze etico-valoriali. Una volta definiti i risultati attesi (sviluppo di valori e atteggiamenti responsabili), la progettazione a ritroso ci invita a costruire il curriculum insegnato determinando in primo luogo le evidenze di accettabilità. Una volta definito lo sviluppo di competenze etico-valoriali come risultato atteso, ovvero come promozione dello sviluppo di un pensiero morale, è stato possibile individuare nella compilazione del Moral Judgment Test uno dei compito di prestazione che avrebbe permesso di determinare le evidenze di # accettabilità. Poiché il test, composto da due dilemmi, chiede di giudicare la scelta fatta dal protagonista e di esprimere il proprio #

49


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

giudizio rispetto agli argomenti proposti, l’esperienza di apprendimento è stata pianificata in modo tale da promuovere discussioni filosofiche in comunità di ricerca, sul modello della Philosophy for Children, a partire da dilemmi di natura morale. In termini didattici il dialogo tra la trasposizione curriculare e la progettazione a ritroso ha permesso di progettare un curriculum per l’educazione alla cittadinanza come un’esperienza di apprendimento autentico.

Riferimenti bibliografici Audigier F. (2002). Concetti di base e competenze chiave per l’Educazione alla Cittadinanza Democratica. Scuola & Città, 1, pp. 156-182. Bîrzéa C. (2000). Education for Democratic Citizenship: A Lifelong Learning Perspective. Project on “education for Democratic Citizenship”. Strasbourg: Council for Cultural Co-Operation, CDCC. Bolivar A. (2007). Educación para la ciudadanía. Algo más que una asignatura. Barcelona: Graó. Comoglio M. (2004). Introduzione. In J. McTighe, G.Wiggins (Ed.), Fare Progettazione (p.12). Roma: LAS. Cosentino A. (a cura di) (2002). Filosofia e formazione. 10 anni di Philosophy for Children in Italia (19912001). Napoli: Liguori. Chevallard Y. (1985). La transposition didactique. Du savoir savant au savoir enseigné. Grenoble: La Pensée Sauvage. Colombo G. (2009). La Costituzione è la prima legge, giusto farla conoscere agli studenti. Corriere della Sera, 13 novembre 2009, p. 13 Di Masi D. (2010). Educare alla Cittadinanza dialogando: il ruolo del curriculum implicito. Magma, 8. Reperibile sul sito http://www.analisiqualitativa.com/magma/0802/ Di Masi D. (2010). Friendship: a reflection about children participation in public space. Childhood and Philosophy, 6, pp. 335-347. Di Masi D. (2012). Dialogical and Reflective Activities in the Classrooms to Improve Moral Thinking. In D. Alt, R. Reingold (a cura di), Changes in Teachers’ Moral Role.From Passive Observers to Moral and Democratic Leaders. Rotterdam: Sense Publishers. Di Masi D., Santi M. (2011). Learning Democratic Thinking: Philosophy for Children as Citizen paper presented EARLI Conference “Education for a Global Networked Society”. 30 Agosto-3 settembre 2011, University of Exeter (UK). Di Masi D., Santi M. (2012). Poli§ofia: A P4C Curriculum towards Citizenship Education in Santi, M., Oliverio S. (a cura di), Educating for Complex Thinking through Philosophical Inquiry. Models, Advances, and Proposals for the New Millennium. Napoli: Liguori. Galli Della Loggia E., Cosi la Democrazia diventa catechismo. Corriere della Sera, 8 novembre, 2009, pp. 28-29. Eurydice (2005). Citizenship Education at School in Europe. Brussels: Eurydice. Joshua S. (1996). Le concept de transposition didactique n’est-il proper qu’au mathématiques? In C. Raisky, M. Caillot, Au-delà des didactiques, le didactique. Débats autour de concepts fédérateurs (pp. 6173). Bruxelles: De Boeck. Kohlberg L. (1984). Essays on Moral Development. Volume II. The psychology of moral development. San Francisco: Harper & Row. Lind G. (2008). The meaning and the measurement of Moral Judgment Competence. A Dual-Aspect Model. In D. Fasko, W. Willis W. (Eds.), Contemporary Philosophical and Psychological Perspective on Moral Development and Education (pp. 185-220). Creskill: Hampton Press . Lipman M. (2002). Pratica filosofica e riforma dell’educazione. La filosofia con i bambini. In A. Cosentino (a cura di), Filosofia e formazione. 10 anni di Philosophy for Children in Italia (1991-2001) (pp. 11-27). Napoli: Liguori. Lipman M. (2003, 2nd edition). Thinking in Education. Cambridge: Cambridge University Press (trad. it. Educare al pensiero, Vita e Pensiero, Milano 2005).

50


SIRD • Ricerche

Losito B. (2009). La costruzione delle competenze di cittadinanza a scuola: non basta una materia. Cadmo, 1, pp. 99-112. McCowan T. (2008). Curricular transposition in citizenship education. Theory and Research in Education, 6, 2, pp. 153-172. McLaughlin T. H. (1992). Citizenship, Diversity and Education: a philosophical perspective. Journal of Moral Education, 21, 3, pp. 235-250. McTighe J., Wiggins G. (2004). Fare Progettazione. Roma: LAS. O’Shea K. (2003). Developing a Shared Understanding. A Glossary of Terms for Education for Democratic Citizenship. Strasbourg: Council of Europe. Perrenoud P. (1998). L’évaluation des élèves. De la fabrication de l’excellence à la régulation des apprentissages. Entre deux logiques. Brussels: De Boeck. Santerini M. (2010). La scuola della cittadinanza. Roma-Bari: Laterza. Santi M. (2005). Philosophy for Children: un curricolo per imparare a pensare. Napoli: Liguori. Santi M. (2007). Democracy and inquiry. The internalization of collaborative rules in a community of philosophical discourse. In D. Camhy, Philosophical foundations of innovative learning (pp.110123). Saint Augustin: Academia Verlag. Santi M., Di Masi (2010). Citizenship capability: A Philosophy for Children project to promote flourishing participation to political life. Paper presented: “Children’s Capabilities and Human Development: Researching Inside and Outside of Schools”, 1-2 aprile 2011. Cambridge (UK): Faculty of Education, University of Cambridge. Santi M., Oliverio S. (a cura di) (2012). Educating for Complex Thinking through Philosophical Inquiry. Models, Advances, and Proposals for the New Millennium. Napoli: Liguori. Sen A. (1999). Development as freedom. New York: Knopf.

51


Ricerche Dimensioni della literacy e prospettive didattiche dell’insegnare a leggere. Pratiche di facilitazione e significatività dell’apprendimento iniziale Literacy aspects and educational prospects of teaching reading. Activities aimed at making easier and meaningful the initial learning ELISA ANNA CRAVANA Le prime esperienze linguistiche del bambino hanno un peso determinante sul successivo apprendimento delle abilità di letto-scrittura, in quanto influenzano in modo significativo la velocità con cui i bambini si impadroniscono del codice, la correttezza del suo utilizzo, le prime competenze testuali e la motivazione al codice scritto. Al fine di promuovere il processo di alfabetizzazione emergente in bambini di cinque anni sono stati attuati alcuni moduli formativi, costituiti da situazioni stimolanti diversificate e specifiche, secondo una precisa impostazione metodologica. I risultati mostrano che l’attuazione del percorso didattico ha prodotto un sensibile miglioramento delle prestazioni dei soggetti.

The first linguistic experiences of a child play a decisive role on the following learning of the reading and writing skills, influencing significantly the rate at which children learn the code, use it in the proper way, the first textual competences and the motivation to the written code.To promote in children five years old the emergent literacy process have been carried out some of educational modules, made of different and specific stimulating situations, according to a specific methodological setting. The results show that the carrying out of the educational path produced an appreciable increasing of the individual performances.

Parole chiave: Apprendimento, abilità di letto-scrittura, abilità prerequisite, alfabetizzazione emergente, moduli formativi, metodologia

Key words: Learning, reading and writing skills, prerequisite skills, emergent literacy, educational modules, methodology

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

52


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione La scuola dell’infanzia è chiamata a considerare nuovi ambiti di attività e procedure capaci di promuovere il processo di prima alfabetizzazione. Ipotizzare ed attuare un percorso capace di promuovere un apprendimento significativo, caratterizzato dalla piacevolezza e dalla gioia di imparare, è una sfida per ogni insegnante che intenda accompagnare i propri alunni nella difficile e faticosa conquista della lingua scritta, procedendo con consapevolezza e competenza professionale. L’obiettivo fondamentale da perseguire è favorire nei bambini la disposizione a divenire lettori e scrittori competenti. Le ragioni della problematicità del compito risiedono, da un lato, nel complesso e faticoso lavoro di scoperta e costruzione del codice e delle sue funzioni che i bambini di età prescolare affrontano, dall’altro, nella difficoltà degli insegnanti nel pianificare e realizzare un curricolo di prima alfabetizzazione che, offrendo occasioni, stimoli e sollecitazioni utili alla conquista delle abilità prerequisite di lettura e scrittura, sia capace di far accostare i bambini al codice scritto con piacere e naturalità. Nel presente lavoro di ricerca, il tema dell’apprendimento della lettura, nelle sue fasi iniziali, è stato affrontato secondo una duplice prospettiva: da un punto di vista generale sono stati esplorati ambiti di indagine relativi alla formazione linguistica del bambino in riferimento all’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura; secondo una prospettiva più specifica si è cercato di definire un procedimento didattico capace di tenere conto, rispettivamente, delle caratteristiche cognitive ed affettive dei bambini e delle strategie favorevoli al superamento delle difficoltà fondamentali relative ai processi implicati nell’apprendimento in questione.

2. L’alfabetizzazione emergente La riflessione educativa e pedagogica sui processi di costruzione della lingua scritta ha messo in evidenza come il bambino, già in età abbastanza precoce, desideri penetrare i segreti che si celano dietro le parole scritte e di padroneggiarne le tecniche di costruzione. Il bambino, infatti, formula una serie di ipotesi e costruisce delle idee sul sistema di scrittura e sulla lingua scritta che lo porteranno gradualmente a scoprirla come sistema di comunicazione alternativo al linguaggio orale. La comprensione del sistema di scrittura da parte del bambino è un processo attivo di ricostruzione di un codice che si sviluppa gradualmente e per tappe successive, a partire da un’epoca molto più precoce di quella in cui al bambino viene istituzionalmente richiesto di leggere e scrivere. Si tratta di un complesso lavoro di natura cognitiva che si pone in stretta continuità con il successivo apprendimento della lingua scritta e si esplica in progressive concettualizzazioni intorno ai sistemi simbolici. Le diverse prospettive di ricerca (Ferreiro & Teberosky, 1985; Ferreiro, 2003; Le Bohec & Campolmi, 2001) convergono verso un fatto evidente: esiste una continuità significativa1

1 Dal punto di vista della costruzione, le scritture infantili seguono una linea evolutiva regolare. Dopo una prima fase di differenziazione funzionale fra disegno e scrittura, che in genere si completa non prima dei quattro anni, si possono individuare tre livelli di concettualizzazione che corrispondono a tre modalità di approccio alla lingua scritta: ad un livello definito presillabico, il bambino cerca dei criteri per distinguere sul piano grafico la scrittura dal disegno; il successivo livello, detto della differenziazione grafica, il bambino cerca delle modalità per diversificare le scritture guidato dalla scoperta del rapporto fra segni grafici e significati; infine, la scoperta che le parti della scrittura (le lettere) possono corrispondere ad altrettante parti della parola scritta segna il passaggio al livello sillabico (Ferreiro & Teberosky, 1985, pp. 124-130).

53


SIRD • Ricerche

tra le abilità sviluppate nel periodo prescolare tramite pratiche informali di insegnamento e l’apprendimento convenzionale del codice, frutto di intervento sistematico e formale. La disposizione a divenire lettori e scrittori competenti è tutt’altro che naturale e risente in larga misura del coinvolgimento in attività e contesti in cui si svolgono pratiche alfabetizzate e dell’interazione con adulti interessati alle graduali conquiste dell’alfabeto da parte del bambino. In particolare, l’ambiente familiare può definirsi più o meno “alfabetizzante” in riferimento sia alle esperienze di lettura congiunta che il bambino vive insieme al genitore sia alla presenza in casa di libri, soprattutto se destinati espressamente ai piccoli. Le prime esperienze di lettura, sostenute dai genitori, oltre ad avere un valore speciale per la loro forte coloritura affettiva, potenziano in modo peculiare la curiosità e la motivazione del bambino verso le attività che implicano le azioni del leggere e dello scrivere (Blezza Picherle, 1996). L’insieme delle abilità, delle conoscenze e degli atteggiamenti precursori dell’apprendimento di lettura e scrittura, sia le occasioni e le opportunità ambientali che ne influenzano naturalmente lo sviluppo e le pratiche messe in atto al fine di favorirne intenzionalmente l’incremento, costituiscono il processo di alfabetizzazione emergente (Pinto, 2003, p. 34). Le abilità ritenute significative ai fini dell’alfabetizzazione emergente sono, dunque, molteplici e di varia natura. Pinto (2003, p. 51) studiando le componenti dell’alfabetizzazione emergente, rilevanti per l’alfabetizzazione formalizzata, le colloca attorno a tre nuclei fondamentali: le abilità cognitivo-linguistiche, che sottendono le conoscenze semantiche e sintattiche, la comprensione e produzione di storie; le conoscenze fonologiche, intese come la consapevolezza dei pattern sonori e la consapevolezza fonemica; le conoscenze pragmatiche sul codice simbolico che racchiudono le conoscenze del codice e le conoscenze funzionali della lingua scritta. Nel modello proposto la narrativa costituisce il punto di incontro e di sviluppo delle competenze linguistiche. Il bambino, durante il periodo dell’infanzia, nutre un profondo bisogno e desiderio di conoscere e comprendere le sue esperienze, di arricchire e dilatare la propria esperienza; una storia, narrata o letta, può diventare strumento per motivare i bambini a conoscere il mondo, per alimentare la fantasia, per arricchire le loro emozioni. Inoltre, i testi narrativi, grazie ai principi di coerenza e coesione che li caratterizzano, possono promuovere lo sviluppo della competenza testuale e, al contempo, aiutare i bambini ad attivare operazioni cognitive e strategie (inferenze enciclopediche e da co-testo) utili alla comprensione (Cardarello, 2004). Il carattere costruttivo e personalizzato dell’apprendimento del codice di scrittura conferisce rilievo a tutte quelle acquisizioni che il bambino matura prima di essere avviato all’insegnamento formale. Appare opportuno ridefinire, secondo un’ottica nuova, il tema delle abilità ritenute prerequisite all’apprendimento della letto-scrittura: i prerequisiti non sono qualcosa che il bambino deve dimostrare di possedere in prove di abilità o destrezza prima che l’apprendimento formale abbia inizio, ma sono rappresentazioni, concetti, operazioni, sulle quali è possibile costruire ulteriori e nuove concezioni. Nella pratica scolastica, la paura di favorire precocismi ed il rimandare alla scuola primaria il compito di iniziare i bambini all’apprendimento delle letto-scrittura ha spesso provocato, nelle sezioni di scuola dell’infanzia, una scrupolosa pulizia volta a far scomparire di ogni traccia della lingua scritta; ogni possibile utilizzo o riferimento al codice scritto è stato evitato, sono stati utilizzati disegni per contrassegnare gli spazi dedicati a ciascun bambino e sono state raccontate storie evitando pratiche di lettura ad alta voce, creando la condizione paradossale di non far entrare a scuola la lingua scritta. A volte, al contrario, la didattica è stata modellata sulle pratiche più tradizionali della scuola primaria (Ferreiro, 2003, p.107).

54


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

3. Insegnare a leggere e scrivere Insegnare a leggere e a scrivere è un’azione cardine dell’istruzione: questo è, in genere, il compito che gli insegnanti affrontano nel corso del monoennio della scuola primaria. Si tratta di un insegnamento che passa attraverso l’utilizzo di un “metodo didattico” che ha il compito di facilitare nei bambini l’acquisizione e il padroneggiamento delle abilità ritenute essenziali; a ciò si aggiunge che le modalità di approccio del bambino al testo scritto dovrebbero fargli sentire la “magia” della lettura e della scrittura poiché grazie ad esse è possibile scoprire nuovi modi di comprendere e di farsi comprendere, nuove occasioni di riflessione, di comunicazione ed espressione creativa. L’incontro con la parola scritta può essere per il bambino un’esperienza incantevole e affascinante o può trasformarsi in un evento traumatico, soprattutto se l’attenzione viene rivolta esclusivamente ad attività strumentali, ripetitive e meccaniche2. La consapevolezza del valore formativo della lettura ha, spesso, determinato una costante costrizione verso tale attività piuttosto che la messa in opera di pratiche che, in modo gioioso e ludico, fossero in grado di appassionare il bambino alla parola scritta (Detti, 1987). L’implicazione didattica più importante dei contributi di ricerca riguarda il primato da assegnare a metodologie a carattere processuale, interattivo, costruttivo, con cui migliorare le strategie degli alunni inesperti, ma anche il rilievo nell’esperienza di lettura e scrittura di fattori motivazionali e di implicazioni valoriali. Esiste una straordinaria varietà di metodi e di procedimenti per favorire nei bambini l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura; quale che sia il metodo scelto dall’insegnante, il bambino si trova impegnato nel superamento di due difficoltà principali, inerenti ai processi che l’apprendimento della letto-scrittura implica, ovvero il processo di analisi ed il processo di sintesi. L’esercizio connettivo di sintesi, inteso come l’unificazione dei fonemi nella totalità significativa della parola, può essere reso difficile sia da ragioni cognitive sia da ragioni metodologiche. Infatti, dal momento che la composizione delle singole parti nell’unità significativa della parola non coincide con la loro semplice somma, ma implica che queste siano riconosciute ed ordinate secondo caratteristiche funzionali e strutturali, la sintesi risulta essere frutto di un atto ideativo ed è proprio questo momento di ideazione che ne costituisce la difficoltà sul piano cognitivo; alle difficoltà insite nell’attività ideativa, se ne possono aggiungere delle altre che scaturiscono dal metodo di insegnamento impiegato. Infatti, nella maggior parte dei casi, sin dai primi tempi dell’apprendimento i bambini sono impegnati in esercizi di sintesi di grafemi che costituiscono rappresentazioni simboliche dei fonemi. Allo stesso modo, il momento dell’analisi costituisce una difficoltà perché richiede al bambino la capacità di analizzare la forma della parola separatamente dal contenuto e di concentrarsi, quindi, sul solo significante. La parola scritta, inoltre, si presenta come unita ed esercita una forte azione di mascheramento delle parti. All’attività discrimi-

2 Ferreiro e Teberosky si chiedono se sia veramente necessario seguire il percorso proposto dal metodo sintetico, il quale prevede di arrivare alla comprensione del testo scritto solo dopo essere giunti all’acquisizione della meccanica della lettura, e se questo modo di procedere non finisca per svilire l’intelligenza del bambino considerandolo come un ignorante recettore. Si domandano ancora le studiose: «fino a che punto è sostenibile l’idea che bisogna passare per i rituali del “ma, me, mi, mo, mu” per imparare a leggere? Qual è la giustificazione per cominciare dal calcolo meccanico delle corrispondenze fonema-grafema per procedere in seguito, e solamente in seguito, ad una comprensione del testo scritto? È sostenibile questa concezione dell’iniziazione alla letto-scrittura intesa come un’iniziazione cieca (cioè, in assenza di un pensiero intelligente) alla trascrizione dei grafemi in fonemi?» (1985, p. 24).

55


SIRD • Ricerche

nativa nel riconoscimento degli elementi che compongono la parola deve essere quindi associato il nuovo concetto di parola, intesa come totalità organizzata, formata da elementi distinti e separabili. In tal senso, per scomporre la parola questa deve essere prima percepita come divisibile; il bambino non ha però esperienza linguistica della scomposizione dei vocaboli perché all’interno della comunicazione le parole non vengono segmentate negli elementi che le compongono. Infatti, nel processo di analisi dei fonemi il significato della parola scomposta non è immediatamente evidente al bambino e il processo analitico diviene, dunque, difficile perché richiede di operare con elementi che da soli non significano nulla (Anello, 2008). Procedimento sintetico e procedimento analitico, applicati all’apprendimento della lettura e della scrittura, hanno consentito di definire due macrocategorie di metodi opposte tra loro: una comprende i metodi detti “sintetici”, l’altra i metodi “analitici” (Mialaret, 1967; Dottrens, 1968; Deva,Dehaene, 2009). Entrambe le tipologie di metodi si prefiggono di far comprendere al bambino che tra i segni della lingua scritta ed i suoni della lingua parlata esiste una certa correlazione, ma, per pervenire allo scopo, i metodi sintetici prendono avvio dallo studio dei segni o da quello dei suoni elementari mentre quelli analitici pongono di primo acchito il bambino di fronte alla lingua scritta, per quanto complessa questa possa essere. Il metodo sintetico, attraverso il rigore e l’ordine procedurale, assicura l’acquisizione di una perfetta tecnica di decifrazione ma prevede che la lettura intelligente, ovvero quella che implica la comprensione, debba intervenire solo ad un livello successivo. I metodi analitici propongono al bambino, fin dai primi tempi dell’apprendimento, di lavorare con significanti che sono sempre associati al significato corrispondente ma, al contrario del metodo sintetico, questi prevedono che l’insegnante predisponga una grande quantità di materiale utile alla loro realizzazione e tempi più lunghi per l’acquisizione dell’apprendimento. Le diverse metodologie, elaborate ed impiegate per fare acquisire ai bambini le abilità essenziali di lettura e scrittura, non dovrebbero essere considerate come regole indefettibili ma, piuttosto, come ipotesi progettuali o proposte per l’azione.

4. Le fasi della ricerca L’analisi degli aspetti cognitivi e metacognitivi, affettivo-motivazionali e relazionali implicati nel processo di apprendimento della lettura e della scrittura contribuisce ad avvalorare l’importanza di percorsi didattici definiti negli obiettivi e specificati nelle modalità di intervento. Gli insegnanti, se pur motivati dalla volontà di promuovere al meglio il processo di alfabetizzazione emergente, corrono l’arduo rischio di non far rispondere lo svolgimento delle attività ai principi di un intervento didattico programmato e di non organizzarle, quindi, in forma intenzionale e sistematica. In una prima fase di ricerca, di tipo conoscitivo, è stata realizzata una riflessione su esperienze riguardanti la formazione dei futuri insegnanti di scuola dell’infanzia, nel campo delle competenze metodologiche e didattiche riferite ai processi di prima alfabetizzazione. L’indagine conoscitiva si è prefissa di raggiungere i seguenti obiettivi: • definire un’aggregazione significativa di conoscenze, concetti e abilità funzionali inerenti al tema della prima alfabetizzazione del bambino; • attivare procedure di riflessione su pratiche già realizzate; • promuovere negli studenti, futuri insegnanti di scuola dell’infanzia, la consapevolezza delle modalità e delle condizioni in cui si realizza il processo di prima alfabetizzazione.

56


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

È stata elaborata una scheda di valutazione delle competenze3 per la verifica degli esiti di apprendimento a cui sono pervenuti gli studenti. L’autovalutazione delle conoscenze acquisite e delle competenze maturate è stata realizzata attraverso un quaderno operativo contenente i materiali prodotti, individualmente o in gruppo, ed una scheda di autovalutazione4 (Anello, 2010) che ha consentito allo studente una riflessione sintetica sui traguardi personali raggiunti in termini di acquisizione e padroneggiamento di abilità, spendibili nella pratica didattica, e in termini di assunzione metacognitiva del lavoro. I dati emersi hanno rilevato la presenza di uno scarto significativo fra il possesso delle nozioni apprese durante il corso di studi e l’acquisizione di competenze metodologiche e didattiche; i futuri insegnanti hanno mostrato di possedere buone conoscenze teoriche riguardanti il processo di alfabetizzazione e le modalità attraverso le quali tale processo si realizza, ma, nella competenza didattica, che dovrebbe costituire un loro punto di forza, sono stati riscontrati elementi di criticità. L’esigenza di un ripensamento delle prospettive metodologiche tradizionali, spesso consolidate nella pratica di insegnamento e non sempre assunte dai maestri con consapevolezza ed intenzionalità educativa, ha condotto all’esame di nuove ipotesi didattiche. L’attività di ricerca, dunque, è stata orientata allo studio e all’applicazione della proposta metodologica della fonematizzazione in quanto, nei suoi fondamenti costitutivi e nelle sue linee attuative, propone nuove soluzioni utili al superamento delle difficoltà che i bambini incontrano nei primi tempi dell’apprendimento. La seconda fase della ricerca è stata articolata in tre momenti: progettazione ed elaborazione di moduli formativi validi a rafforzare la consapevolezza e l’uso strategico di diverse prospettive metodologiche; costruzione di schede operative accompagnate da indicazioni procedurali; raccolta di situazioni didattiche ed analisi di buone pratiche (good practice). Il lavoro di ricerca si è prefisso, dunque, di verificare le potenzialità di un curricolo integrato di prima alfabetizzazione, nella scuola dell’infanzia, volto a favorire il processo in riferimento alle abilità di comprensione e di produzione di storie, all’acquisizione di conoscenze linguistiche, all’attivazione dei processi cognitivi di sintesi e di analisi. Diversi contributi di ricerca hanno, infatti, messo in evidenza la stretta relazione che intercorre fra lo sviluppo delle abilità riferite all’alfabetizzazione emergente ed il successivo apprendimento di lettura e scrittura. In particolare, la competenza fonologia e la scrittura creativa avrebbero carattere predittivo nei confronti delle capacità di codifica e decifrazione della parola scritta, della correttezza e della fluidità nei compiti di lettura e scrittura. L’ipotesi generale è stata così formulata: la progettazione e l’attuazione di una serie di moduli formativi promuove in bambini di cinque anni l’acquisizione delle abilità implicate nel processo di prima alfabetizzazione (analisi, sintesi) e la maturazione delle abilità prerequisite, sia linguistiche sia narrative. Per la sua verifica è stato utilizzato un disegno “quasi sperimentale con gruppo unico”. I destinatari dell’intervento progettato sono stati ventidue bambini di cinque anni appartenenti allo stesso contesto scolastico e a situazioni socioculturali eterogenee. Al fine di rendere possibile la sperimentazione in classe dell’innovazione metodologica presa in esame, è stato necessario un lavoro di costruzione e strutturazione di un materiale didattico costituito da schede illustrate e “trame narrative”5. 3 Per la codificazione dei segni comportamentali è stato attribuito un punteggio a ciascun livello di padronanza: 0 punti al livello per niente; 1 punto al livello solo in parte; 2 punti al livello abbastanza; 3 punti al livello del tutto. 4 Per la codificazione dei segni è stato assegnato un punteggio che va dallo 0 al 4 e che corrisponde, rispettivamente, ad un livello di competenza insufficiente, sufficiente, discreto, buono e ottimo. 5 Il materiale può essere disponibile inviando richiesta all’autrice.

57


SIRD • Ricerche

È stata condotta una preliminare osservazione dell’abilità di sintesi (pre-test e post test) allo scopo di determinare la situazione di partenza del gruppo; la stessa prova è stata, quindi, ripetuta dopo aver svolto i primi esercizi di sintesi; le rilevazioni successive sono state eseguite ad intervalli di tempo di circa 15 giorni. La verifica dell’andamento del gruppo nelle abilità di ricomposizione dei fonemi nell’unità significativa della parola (sintesi) e di scomposizione della parola orale nei fonemi costitutivi (analisi) è stata effettuata mediante l’utilizzo di schede di rilevazione utili alla misurazione dei livelli di competenza raggiunti dal gruppo nelle diverse fasi dell’intervento; per la codificazione dei segni comportamentali è stata utilizzata una scala numerica a tre livelli. La scheda di rilevazione delle competenze è stata elaborata in modo da accertare, contemporaneamente, sia la prestazione di un bambino nel compito di analisi sia la corrispondente prestazione di un compagno nel compito di sintesi. Per quel che concerne la rilevazione dell’andamento dello sviluppo delle abilità linguistiche e narrative sono stati analizzati i testi prodotti dai bambini, al fine di ricavare gli elementi inerenti alla coesione e alla coerenza del testo e ai vocaboli utilizzati; il livello di struttura raggiunto nelle produzioni è stato verificato individuando la presenza o l’assenza degli elementi costitutivi di uno schema narrativo: ambiente, episodio, evento iniziale, la risposta interna, tentativi, conseguenza, reazione. L’intervento didattico è stato articolato in tre fasi: nella prima fase i bambini sono stati impegnati in attività di ascolto e comprensione di storie lette o narrate; nella seconda fase sono stati proposti esercizi di sintesi e di analisi di parole bisillabe con sillaba diretta; nella terza fase i bambini sono stati invitati a produrre semplici trame narrative. È stata, quindi, redatta una raccolta dei diversi momenti di applicazione del curricolo con lo scopo di proporre un’occasione di confronto di pratiche didattiche in uso nella scuola ed offrire supporto e orientamento all’innovazione.

5. La realizzazione dell’intervento didattico L’azione formativa si è posta come finalità educativo-didattica lo sviluppo e la promozione negli alunni di cinque anni delle abilità di sintesi e di analisi di parole bisillabe, in quanto processi essenziali del leggere e dello scrivere, e delle abilità linguistiche e narrative. Quindi, sono stati definiti i seguenti obiettivi specifici: “riconoscere globalmente parole; scomporre in fonemi parole dalla struttura semplice; comporre i fonemi nell’unità significativa della parola; esprimere oralmente un vissuto personale o un’esperienza; produrre e comprendere semplici trame narrative; interagire con gli altri per realizzare giochi linguistici”. L’azione formativa è stata sperimentata per 10 ore settimanali nel periodo compreso tra ottobre e maggio, durante l’a.s. 2009/2010, su un gruppo di alunni (n=22) di cinque anni, frequentanti l’ultimo anno di scuola dell’infanzia6; il gruppo era composto da 13 maschi e 9 femmine. In prospettiva della continuità didattica fra i due ordini di scuola è apparso utile e necessario vagliare nuove alternative metodologiche capaci di favorire, in modo significativo, l’apprendimento iniziale del codice. Siamo stati orientati all’applicazione della proposta metodologica della fonematizzazione (Germano, 1982; 2003) poiché, nei suoi fondamenti costitutivi e nelle sue linee attuative, presenta nuove soluzioni ai problemi di apprendimento che i bambini incontrano nell’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura: la proposta me-

6 L’intervento formativo si è svolto nella scuola dell’infanzia del VI Circolo Didattico di Gela (CL).

58


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

todologica si fonda sul principio pedagogico di guidare a leggere coltivando prioritariamente l’attitudine a capire il messaggio nel contesto comunicativo e permette di graduare le difficoltà collegando la significatività dei procedimenti con la facilità. La linea operativa del metodo, infatti, non parte dalla parola scritta (totalità grafico-fonica) ma dalla sequenza dei fonemi (parte fonica della totalità). Le difficoltà incontrate dal bambino nell’esercizio di sintesi verrebbero superate valorizzando l’indipendenza funzionale del piano fonico da quello grafico; le problematiche connesse al processo di analisi troverebbero soluzione nel legare l’esercizio di analisi al significato e nel posporlo agli esercizi di sintesi. Seguendo le linee procedurali del metodo è possibile coltivare unitariamente sia l’aspetto emotivo-motivazionale sia quello cognitivo-euristico; il principio dell’autovalutazione trova, infatti, il suo sviluppo operativo già nei procedimenti iniziali. La specificità ludica e narrativa del metodo fonematico ha la sua ragione di pregio nel fatto che, attraverso il gioco ed il racconto, aspetti fondanti nello sviluppo del bambino, quest’ultimo familiarizzi con il codice di scrittura connotandolo in senso ludico ed amichevole. Per rendere attuabile l’intervento formativo mirato alla prima alfabetizzazione secondo la prospettiva metodologica della fonematizzazione, sono state costruite 162 schede illustrate. Al fine di assicurare la connessione fra i vocaboli proposti ed il significato corrispondente e di sottolineare la stretta relazione che intercorre fra il piano lessicale e quello sintattico, è stata redatta una raccolta di storie che accompagnano le prime 60 schede, riunite in 10 gruppi. Le 162 schede sono state raggruppate tenendo conto della progressione graduata della difficoltà secondo la “struttura” della parola; infatti, non è la lunghezza del vocabolo, data dal numero dei suoni o delle lettere, a determinare il problema dell’alunno di operare la sintesi e l’analisi, ma la “struttura”, individuata dalla posizione reciproca delle consonanti (C) e delle vocali (V) nella parola7. Durante la prima fase dell’intervento, l’insegnante ha proposto attività di lettura congiunta e di narrazione di storie ed avviato alcune situazioni di apprendimento volte a favorire la comprensione e la promozione della competenza testuale da parte dei bambini. Nel tentativo di costruire significati intorno ad una narrazione, i bambini hanno formulato ipotesi, fornito spiegazioni, ma soprattutto hanno cercato significati e sensi linguistici, giocando con le parole. Nella seconda fase dell’intervento i bambini hanno eseguito sul piano orale gli esercizi di sintesi e di analisi operando con i fonemi costituitivi delle parole bisillabe con sillaba diretta; i primi tre gruppi di parole, già conosciute attraverso le trame narrative, hanno così acquistato un legame sia narrativo sia ludico. Sono state svolte le attività di sintesi delle parole proposte nella modalità dialogica dell’indovinello che, posto dall’insegnante, è stato risolto dai bambini. Le attività sono state svolte esclusivamente sul piano orale ed i bambini sono stati impegnati a giocare rispondendo all’indovinello che l’insegnante ha posto loro8. Le attività di sintesi sono state proposte ini-

7 Ad esempio, la parola mela è appartenente alla classe delle bisillabe con sillaba diretta ed ha struttura CVCV. Nella scuola dell’infanzia, lo studio di parole bisillabe dalla struttura semplice permette al bambino di identificare una vasta gamma di vocaboli che hanno la stessa struttura (ad esempio PERA, SOLE, MARE, NEVE, ROSA); nella scuola primaria, secondo il criterio strutturale, partendo dallo studio di parole con struttura semplice è possibile pervenire agevolmente allo studio di parole via via più complesse. Ad esempio, la parola NUVOLA appartiene alla classe delle trisillabe sdrucciole (posizione dell’accento sulla terzultima sillaba e struttura CVCVCV; la parola PORTIERE appartiene alla classe delle parole trisillabe con due sillabe complesse ed ha struttura CVC CVV CV. 8 L’insegnante pone due schede l’una di fianco all’altra, una terza scheda nasconde uno dei due disegni esibiti. L’insegnante chiarisce che la scheda rovesciata nasconde uno dei due disegni, ovvero la risposta ad

59


SIRD • Ricerche

zialmente fra due possibilità; in seguito, le alternative di risposta al quesito sono state aumentate gradualmente, fino alla presentazione di quattro parole con le quali operare; infine, i bambini sono stati impegnati nell’esercizio di sintesi di parole che differivano per un solo fonema. In secondo luogo, i bambini sono stati chiamati ad essere protagonisti del processo comunicativo ponendo loro stessi gli indovinelli ai compagni9. La formulazione dell’indovinello, ovvero la scomposizione (analisi) di una parola nei fonemi che la realizzano, ha richiesto al bambino lo sforzo cognitivo di pensare i fonemi segmentali in riferimento alla totalità significativa della parola e, dunque, di conoscere in anticipo la risposta al quesito. La connessione dell’esercizio con il significato è stata assicurata attraverso la circolarità fra domanda e risposta e quella fra “analisi” e “sintesi”: i fonemi ottenuti dalla scomposizione della parola sono stati, infatti, subito ricomposti nell’unità significativa del vocabolo. Nella terza fase, i bambini hanno utilizzato i significati delle varie parole, già adoperate per svolgere gli esercizi di sintesi e di analisi, per inventare una storia; è stato ribadito, in questo senso, il valore funzionale della lingua. Il compito di produzione di un testo narrativo ha permesso ai bambini di prolungare esperienze vissute, di provarne altre, di precedere, di proiettarsi nell’avvenire (in ciò che può avere d’esaltante e in ciò che può avere di terrificante) e, al contempo, di misurarsi con i vincoli di coerenza e coesione tipiche del linguaggio decontestualizzato. I bambini sono stati, quindi, aiutati nel costruire la storia dall’insegnante che, attraverso lo schema generale della “Grammatica delle Storie” (Stein & Glenn, 1979), ne ha guidato la definizione degli elementi costitutivi (protagonista; ambiente; evento iniziale; risposta interna; tentativo; conseguenza; reazione). I bambini sono stati aiutati, quindi, a scoprire l’esistenza di uno schema regolare utile a legare gli elementi essenziali di un testo narrativo in una totalità logica e coerente. L’insegnante, inoltre, ha utilizzato forme di supporto verbale proattive al fine di incrementare la comunicazione dei bambini. L’insegnante ha, dunque, aiutato i bambini a completare le loro frasi con nuovi elementi, a riordinare i messaggi in modo da rendere evidenti gli eventuali aspetti problematici, a sottolineare la natura delle relazioni tra premesse e conclusioni, a prendere in considerazione possibili alternative evidenziando eventuali incoerenze.

6. Analisi dei risultati La significatività dell’apprendimento iniziale risulta essere il fattore determinante nella disposizione a divenire lettori maturi e competenti. Pur rimanendo su un piano esperienziale, che fornisce dati non generalizzabili, l’attuazione degli interventi ha consentito di precisare l’adeguatezza delle procedure utilizzate nel percorso. Attraverso l’analisi quantitativa dei dati emersi sono stati verificati i livelli di competenza raggiunti dal gruppo rispetto alle capacità di scomporre in fonemi parole dalla struttura semplice (sintesi), di comporre i fonemi nell’unità significativa della parola (analisi). È stata effettuata, inoltre, una analisi qualitativa delle storie inventate dai bambini al fine

un indovinello, e presenta le due alternative di risposta indicando le schede (ad esempio “melo o ramo?”); l’insegnante, quindi, opera la scansione della parola scelta negli elementi (fonemi) che la compongono (ad esempio m/e/l/o). I bambini sono, quindi, invitati a mettere in rapporto la scheda rovesciata con la risposta che ritengono corretta.

60


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

di ricavare elementi utili alla verifica dei risultati raggiunti dal gruppo rispetto alle abilità linguistiche promosse dall’intervento formativo. Dall’analisi quantitativa dei dati (cfr. Tab.1) si è ricavato che i livelli di prestazione del gruppo, sia nel compito di sintesi sia nel compito di analisi, sono progressivamente migliorati fino a raggiungere livelli di prestazione vicini al punteggio teorico massimo.

Abi Abilità lità à di sintesi sintesi Abi lità Abilità à di anal analisi isi

prestazione p del gruppo g pp V VI VII VII

pr preete test st

I

II

III

IV

0, 0,38 38

1, 1,05 05

1, 1,2 2

1, 1,3 3

1, 1,52 52

1, 1,71 71

1, 1,75 75

D.S. D. S. ME D IA MEDIA

0,58 0, 58

0,68 0, 68

0,80 0, 80

0, 73 0,73

0, 67 0,67

0, 56 0,56

0

0

0

0

1, 04 1,04

D.S. D.S.

0

0

0

0

0, 80 0,80

Verifica Ver rifica MEDIA MEDIA ((max max 2)

((max max 2)

VIII VIII

IX

X

postte test st

81 1, 1,81

1, 85 1,85

1, 95 1,95

2

2

0. 55 0.55

39 0, 0,39

0, 35 0,35

0, 21 0,21

0

0

1, 35 1,35

1, 5 1,5

76 1, 1,76

1, 85 1,85

1, 90 1,90

1, 95 1,95

2

0, 58 0,58

0, 59 0,59

43 0, 0,43

0, 40 0,40

0, 29 0,29

0, 21 0,21

0

Tab. 1. Dati dei livelli di prestazione del gruppo

I grafici seguenti forniscono una rappresentazione visiva dei cambiamenti avvenuti nelle prestazioni del gruppo nel corso dell’intervento formativo rispetto alle abilità si sintesi e di analisi di parole bisillabe con sillaba diretta.

Graf. 1 – Rappresentazione visiva dei cambiamenti

Dall’analisi qualitativa dei testi prodotti dai bambini è stato possibile rilevare la progressiva conquista di uno schema narrativo (Stein & Glenn, 1979). Nella prima storia inventata dal gruppo, dal titolo Un giorno al mare, gli eventi si susseguivano senza una particolare coerenza, non era esplicitato il perché di quanto accadeva e l’organizzazione del contenuto si presentava come una semplice descrizione dello svolgimento di una giornata trascorsa al mare. È possibile ipotizzare che i bambini, chiamati per la prima volta ad inventare una storia adoperando le parole di riferimento, si siano limitati a cercare di coglierne e chiarirne il legame, piuttosto che elaborare un testo narrativo complesso. Di contro, le storie successive hanno presentato varie combinazioni degli elementi strutturali in cui, sebbene fosse possibile riscontrare l’assenza di alcuni elementi quali l’ambientazione o i tentativi del protagonista, erano sempre presenti le parti significative della narrazione inerenti all’episodio ed alla reazione. Nell’ultima produzione, infine, è stato possibile individuare il modo formale di rappresentare un tipico svolgimento narrativo elementare. I bambini, quindi, grazie alle attività di lettura condivisa e di costruzione di storie,

61


SIRD • Ricerche

hanno colto l’esistenza di uno schema regolare dei testi narrativi e se ne sono serviti, in modo competente, nel compito di costruzione di una nuova storia. I bambini impegnati nel compito di comprensione di produzione di testi narrativi, fortemente caratterizzati dalle regole di coesione e di coerenza testuale, sono stati guidati ad una prima padronanza della competenza narrativa alla quale sono ascrivibili le capacità di riconoscere la funzione dei legami causali e temporali tra le varie parti della narrazione, di attribuire ai personaggi stati d’animo e pensieri, di comprendere la struttura di base delle storie e di produrre una storia che contenga, a sua volta, l’insieme delle caratteristiche appena descritte. L’apertura convenzionale “C’era una volta”, incipit di tutte le storie prodotte, è stata inizialmente utilizzata dai bambini come frase di rito per dare il via al compito di costruzione; successivamente la stessa frase è entrata a far parte della narrazione collocando lo svolgimento degli eventi in un tempo passato. L’analisi dei testi ha rivelato come i bambini abbiano tentato, a vario modo, di utilizzare forme verbali appropriate, acquisendo una progressiva padronanza dei tempi dell’imperfetto e del passato remoto; all’utilizzo corretto dell’imperfetto (le rane la prendevano sempre in giro; una bambina era andata; solo una mela che si era nascosta); è stato alternato lo sforzo di coniugare, a volte in modo errato, i verbi al passato remoto, ad esempio: “la piantina crescette; dai semi nascerono le piantine; quando stancò, si settò sotto a un pero e vide tante pere di caramelle muovette la sua chioma; tutti e tre decisero di partire; le mele che la bambina aveva mangiato uscirono fuori; arrivarono nel bosco; disse la bambina; la bambina allora si mise a camminare veloce e arrivò a casa sana e salva”. Per quel che concerne l’utilizzo dei connettivi causali e temporali, è stata rilevata l’acquisizione di una graduale abilità nell’adoperare i diversi connettivi in modo funzionale alla produzione di una narrazione coesa e coerente; tutto ciò può essere indice del fatto che i bambini impegnati nel compito di dettatura della storia abbiano ritenuto necessario rendere esplicite alcune parti del discorso che, invece, la lingua orale mantiene implicite e mostrando di assumerne, quindi, consapevolezza. Ponendo l’attenzione ai vocaboli impiegati nelle storie abbiamo ricavato che le parole, appartenenti ai gruppi di riferimento, sono state sempre adoperate secondo il corrispondente significato ed hanno gradualmente consentito ai bambini di ampliare il loro vocabolario soprattutto rispetto a quei termini che risultano essere collegati al significato di ciascuna delle parole studiate. Presentiamo alcuni esempi: “suo papà gli dà il remo e cominciano a remare; la rosa…voleva appassire; innaffia tutti i semi; il concime; i pini facevano i pinoli; la sua chioma”. L’esame del piano linguistico ha consentito, inoltre, di mettere in evidenza l’andamento delle abilità di coniugare correttamente le forme verbali, di organizzare frasi adoperando in modo adeguato i connettivi causali e temporali, di utilizzare in modo pertinente i vocaboli.

7. Conclusioni Il lavoro di ricerca, frutto di una riflessione teorica degli approcci più diversi e di un’attenzione costante alla pratica didattica, in un’ottica di miglioramento e di superamento degli ostacoli incontrati dai bambini nel processo di prima alfabetizzazione, offre indicazioni didattiche e orientamenti metodologici, corredati da un modello procedurale e da esemplificazioni operative scaturite da interventi sul campo, utili alla preparazione, al sostegno ed alla guida del bambino nella “faticosa” attività di scoperta del funzionamento segreto della lingua scritta. Pur rimanendo su un piano esperienziale, che fornisce dati non generalizzabili, l’attua-

62


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

zione degli interventi ha consentito di precisare l’adeguatezza delle procedure utilizzate nel percorso. Divenire competente nei processi di analisi e di sintesi potrebbe permettere al bambino di affrontare gli apprendimenti futuri, poiché, tali abilità, risultano essere sottese e necessarie all’apprendimento della lettura e della scrittura. Attraverso il gioco ed il racconto, aspetti fondanti nello sviluppo del bambino, è possibile favorire la familiarizziazione con il codice di scrittura connotandolo in senso ludico e gradevole. L’indicazione di strategie e di interventi didattici già strutturati non si propone come modalità di lavoro attuabile ed estensibile ipso facto; gli orientamenti metodologici richiedono sempre un lavoro attento di ricostruzione e di adattamento secondo gli specifici contesti. Il percorso sperimentato, senza alcuna pretesa di esaustività didattica, si caratterizza come un’indicazione di lavoro ben determinata, intesa a risolvere i problemi e le difficoltà nella fase dell’apprendimento iniziale nella scuola dell’infanzia e dell’apprendimento formale nella scuola primaria, in prospettiva della continuità fra i due ordini di scuola.

Riferimenti bibliografici Anello F. (2008). Insegnare a leggere e a scrivere. Linee metodologiche e pratica didattica. Palermo: Palumbo. Anello F. (2010). Verifica dell’efficacia didattica di un percorso laboratoriale per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole dell’infanzia e primaria. Studium Educationis, 3, 2, pp. 69-84. Blezza Picherle S. (1996). Leggere nella scuola materna. Brescia: La Scuola. Cardarello R. (2004). Storie facili e storie difficili.Valutare i libri per bambini. Bergamo: Junior. Cisotto L. (2006). Didattica del testo. Processi e competenze. Roma: Carocci. Deheane S. (2009). I neuroni della lettura. Milano: Cortina Raffaello. (Ed. orig. 2007). Detti E. (1987). Il piacere di leggere. Firenze: La Nuova Italia. Deheane S. (2009). I neuroni della lettura. Milano: Cortina Raffaello (Ed. orig. 2007). Deva F. (1982). I processi di apprendimento della lettura e della scrittura. Firenze: La Nuova Italia. Dottrens R. (1969). Metodo globale e scrittura script. Firenze: La Nuova Italia. Ferreiro E., Teberosky A. (1985). La costruzione della lingua scritta nel bambino. Firenze: Giunti & Barbera. Ferreiro E. (2003). Alfabetizzazione.Teoria e pratica. Milano: Raffaello Cortina. Germano G. (1982). L’apprendimento della lettura e della scrittura secondo un metodo fonematico. Brescia: La Scuola. Germano G. (2003). Il metodo fonematico per l’apprendimento del leggere e dello scrivere. Brescia: La Scuola. Le Bohec P., Campolmi B. (2001). Leggere e scrivere con il metodo naturale. Bergamo: Junior. Mialaret G. (1967). Apprendimento della lettura. Roma: Armando. Pinto G. (Ed.) (2003). Il suono, il segno, il significato. Roma: Carocci. Stein N. L., Glenn C. G. (1979). An analysis of story comprehension in elementary school children. In R. Freedle (Ed.), New directions in discourse processing (vol. 2, pp. 53- 120). Norwood, NJ: Ablex.

63


Ricerche I giochi di lotta in educazione fisica: effetti sull’aggressività degli adolescenti Rough-and-tumble play in physical education: effects on adolescents aggressiveness ERICA GOBBI • ILARIA FERRI • ATTILIO CARRARO Prevenire la violenza e altri comportamenti antisociali rappresenta un’importante sfida educativa. La scuola può giocare un ruolo chiave nella gestione dei comportamenti aggressivi degli adolescenti proprio per la sua funzione di agenzia di socializzazione. L’educazione fisica in questo senso ha delle potenzialità molto importanti proprio per la riconosciuta efficacia nel migliorare le abilità sociali e nella possibilità di sperimentazione e gestione delle emozioni. In particolare i giochi di lotta hanno un elevato valore educativo, e vengono riconosciuti loro importanti funzioni in ambito motorio, socio-affettivo e cognitivo. L’esperienza proposta riguarda un intervento educativo sui giochi di lotta condotto in due scuole secondarie di primo grado con l’obiettivo di valutare quali fossero gli effetti nella gestione dell’aggressività degli studenti.

To prevent violence and antisocial behaviours is an important educational challenge. Really due to its socializing function, the school can play a key role in the management of aggressive behavior of adolescents. Physical education gives the opportunity to significantly improve social ability and emotional management. Especially rough-andtumble plays have a high educational impact and their physical, psycho-social and cognitive functions are well recognized.The purpose of this research was to evaluate the effect of teaching rough-&-tumble play in physical education with the hypothesis that rough-and-tumble play during lessons could be an effective strategy to curb students’ aggressiveness.

Parole chiave: giochi di lotta, aggressività, adolescenza, educazione fisica, aggressive questionnaire, bullismo.

Key words: rough-and-tumble play, aggressiveness, adolescence, physical education, aggressive questionnaire, bullying.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

64


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione Il tema dell’aggressività non perde mai d’attualità e si colloca da tempo in vari ambiti di indagine e intervento, quali quello educativo, psicologico e istituzionale. Scoprire le ragioni che stanno alla base della condotta aggressiva, i fattori scatenanti, quali siano gli interventi per prevenirla o gestirla, costituiscono gli obiettivi di diverse generazioni di studiosi che hanno concettualizzato molteplici modelli interpretativi del fenomeno. Definire il concetto globale di aggressività risulta particolarmente difficile tuttavia la maggior parte degli psicologi è concorde nel definire l’aggressività come “l’insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui, tali da infliggere loro sofferenze di natura fisica o morale” (Bandura, 1973; Baron, 1977). Molti lavori e ricerche hanno enfatizzato il ruolo dell’aggressività fisica, verbale, della rabbia e dell’ostilità come “substrati” dell’aggressività intesa nella sua globalità (Buss, 1961; Buss & Durkee, 1957; Buss & Perry, 1992; Harris, 1995; Zillmann, 1979). Anche se le diversità esistenti tra i vari contributi disorientano chi si accinge allo studio del fenomeno, appare chiaro che i fenomeni di aggressività un tempo erano circoscritti all’ambiente domestico o al gruppo dei pari, mentre oggi assumono maggiori dimensioni sia a livello scolastico che urbano. Gli episodi di maleducazione, intemperanze, prepotenze, bullismo a scuola, o addirittura di vandalismo, delinquenza, criminalità, sono in costante aumento e presenti non solo sulle pagine dei giornali, ma riscontrabili da tutti noi nella vita quotidiana. In particolare desta preoccupazione l’aggressività dei giovani e dei giovanissimi, in quanto rappresenta un problema di grande rilevanza sociale che interferisce con il loro benessere (Olweus, 1994). Il contesto scolastico purtroppo offre un panorama ricco di episodi di ostilità e violenza, tra i banchi o nei corridoi, l’aggressività è in aumento anche in conseguenza ai rapidi cambiamenti della società. La povertà delle relazioni che si stringono tra pari, un ambiente scolastico negativo, la presenza di pregiudizi e le iniquità economiche possono essere considerati fattori di rischio per l’incremento della violenza (Blake & Hamrin, 2007). Il Ministero della Pubblica Istruzione ha cercato di arginare il problema ripristinando il voto in condotta e la strategia di intervento più comune è quella di soffocare e reprimere i comportamenti aggressivi, in tutti i contesti. Al contrario nel Web spopolano video di episodi di aggressività e bullismo e le pagine dei giornali riportano, con frequenza disarmante, la cronaca di fatti di violenza tra i più giovani. Gli insegnanti combattono quotidianamente con la questione di come gestire e contrastare l’aggressività dei ragazzi e c’è la reale necessità di interventi innovativi che possono essere di tipo preventivo o “curativo” (Shetchman & Ifargan, 2009). Il prevenire la violenza e altri comportamenti antisociali rappresenta un’importante sfida educativa: i professionisti sono chiamati a progettare strategie mirate al benessere pubblico e alla riduzione dell’aggressività giovanile soprattutto cercando di programmare interventi economicamente vantaggiosi (Dodge, 2006). La scuola, come istituzione educativa per eccellenza, può giocare un ruolo chiave nella gestione dei comportamenti aggressivi degli adolescenti proprio per la sua funzione di agenzia di socializzazione: è fondamentale che vengano sviluppate le abilità sociali, la capacità di gestire le emozioni, di negoziare soluzioni e risolvere conflitti. L’obiettivo dei programmi di intervento dovrebbe essere proprio quello di combattere la violenza non inibendo l’aggressività ma imparando a gestirla in maniera positiva, trasformandola dunque in iniziativa, creatività, volontà. L’educazione fisica in questo senso ha delle potenzialità molto importanti proprio per la riconosciuta efficacia nel migliorare le abilità sociali e nella possibilità di sperimentazione e gestione delle emozioni (Bailey, 2006). In particolare i giochi di lotta, anche se vengono inclusi nel curricolo di educazione fisica solo molto raramente, hanno un elevato valore educativo. Sono giochi semplici, fatti soprattutto di contatto corporeo e movimenti finalizzati a spo-

65


SIRD • Ricerche

stare, bloccare o ad atterrare il compagno, per questo vissuti con timore dagli insegnanti, invece si trasformano in vero conflitto in meno dell’1% dei casi (Scott e Panksepp, 2003). Ai giochi di lotta vengono riconosciuti importanti funzioni in ambito motorio, socio-affettivo e cognitivo (Olivier, 1998): • stimolano la capacità di azione e di adattamento; • migliorano la percezione spaziale; • stimolano il contatto fisico e la gestione dell’emotività; • aumentano il riconoscimento dell’altro come persona da rispettare; • sviluppano il rispetto delle regole; • stimolano la capacità di elaborazione e riorganizzazione dell’azione; • migliorano la valutazione azione-risultato. Secondo Olivier (1998) “ricollocare il combattere in un contesto istituzionale, in quanto espressione culturale di una società, non può che contribuire ad aiutare gli adolescenti a controllare la propria violenza e a subliminare la propria aggressività”. A partire da questa idea e riconosciuto il loro elevato valore educativo, la finalità della ricerca era di esplorare l’efficacia dei giochi di lotta, inseriti nel curricolo di educazione fisica, come strumento per la gestione e il controllo dell’aggressività in un gruppo di preadolescenti.

2. Metodo Partecipanti Hanno partecipato alla ricerca 213 studenti di 10 classi terze in 2 scuole secondarie di primo grado della provincia di Vicenza: 90 ragazze (42.2%) e 123 ragazzi (57.8%). L’età media dei partecipanti era di 13.25 (DS = 0.43) e il 7% di loro era figlio di immigrati di diversi paesi (Marocco, Cina, Moldavia e Romania). Le classi sono state suddivise in maniera randomizzata in un gruppo di controllo (GC, n = 109), che ha svolto 8 lezioni di pallavolo, e in un gruppo sperimentale (GS, n = 104) che ha partecipato ad un modulo di 8 lezioni sui giochi di lotta. I contenuti delle 8 lezioni sui giochi di lotta hanno seguito un ordine progressivo di complessità e di coinvolgimento emotivo. Si è iniziato con semplici giochi di contatto, si è passati per i giochi di gruppo e si è terminato con giochi di lotta uno contro uno. Le lezioni sono state svolte da uno studente della Scuola di Specializzazione per l’insegnamento Secondario (SSIS) durante il tirocinio, con la supervisione dell’insegnante di educazione fisica di classe. Al termine dell’intervento sono stati esclusi dalle analisi i dati riferiti ai ragazzi che fossero stati assenti a più di una lezione, per un totale di 6 partecipanti esclusi. Le analisi post versus pre sono state condotte sui partecipanti che secondo la valutazione baseline dell’aggressività si fossero collocati al di sopra del 75° percentile, quelli perciò con un più alto valore di aggressività. In tutto il gruppo un totale di N = 64 ragazzi sono stati identificati come “più aggressivi” e la suddivisione in base al gruppo di appartenenza è risultata essere così costituita: n = 34 ragazzi nelle classi sperimentali e n = 30 nelle classi di controllo. Strumento Per misurare l’aggressività è stata usata la versione breve dell’Aggression Questionnaire (AQ, Bryant & Smith, 2001). La prima versione dello strumento è nata nel 1992 (Buss & Perry) ed è composto da 29 items. Bryant e Smith hanno sviluppato una versione ridotta del questionario originale (da 29 a 12 items) dimostrando di preservare il contenuto concettuale

66


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

del modello originale ed ottenendo delle misure psicometriche superiori rispetto alla versione originale. Nella versione breve sono stati inoltre tolti i reverse item facilitando così l’elaborazione logica della proposizione. Non richiedendo un elevato livello di ragionamento verbale, con ragazzi di 13 anni si rivela migliore la scelta del questionario a 12 item. La versione breve dell’Aggression Questionnaire somministrata ai partecipanti è stata costituita selezionando i 12 item dalla versione validata in italiano del questionario originale a 29 item da Fossati, Maffei, Acquarini e Di Ceglie (2003). La somministrazione è avvenuta all’inizio e alla fine dell’intervento educativo. Il questionario è composto da 12 item con scala di risposta a 5 punti ed indaga la misura in cui il comportamento esplorato da ciascun item “è vero” (1 = “assolutamente falso per me”, a 5 = “assolutamente vero per me”). Il questionario comprende 4 diversi fattori, ciascuno formato da tre items, che rappresentano un comportamento aggressivo: aggressività fisica, aggressività verbale, rabbia, ostilità. Il punteggio totale di ogni sottoscala può variare in un range da 3 a 15 e a punteggio più alto corrisponde una maggiore espressione di aggressività. “Gli indici di aggressività fisica e verbale che si riferiscono al ferire o danneggiare qualcuno, rappresentano la componente strumentale del comportamento aggressivo. La rabbia, che comprende l’attivazione psicologica e la preparazione all’aggressione, rappresenta la componente emozionale e affettiva. L’ostilità, che comprende i sentimenti di malanimo e ingiustizia, rappresenta la componente cognitiva.” (Buss & Perry, 1992, p. 457). Lo strumento consente perciò non solo di valutare l’entità dell’aggressività, ma anche, in base ai punteggi delle sottoscale, come tale aggressività si manifesti. Analisi statistica I dati sono stati analizzati con un t-test per campioni appaiati per valutare le differenze postversus pre-intervento e la significatività è stata assunta con p < .01.

3. Risultati e discussione

La consistenza interna riportata dallo strumento è stata a = .73 per l’aggressività fisica, a = .50 l’aggressività verbale, per la rabbia a = .54 e per l’ostilità e a = .66. I valori ottenuti sono in linea con quelli di Fossati e con quelli riportati da Ang (2007) nel suo studio con adolescenti asiatiche. Al termine dell’intervento nel gruppo sperimentale si è registrata una diminuzione significativa (p < .001) dei punteggi di tutte le sottoscale dell’AQ nel sottogruppo dei ragazzi più aggressivi, nel gruppo di controllo invece non si sono rilevati cambiamenti significativi. I valori descrittivi pre- e post-intervento, per gruppo e dei ragazzi considerati “più aggressivi”, sono riportati in Tabella 1.

67


SIRD • Ricerche

Gruppo Sperimentale (n = 34)

Gruppo Controllo (n = 30)

Pre

Post

Pre

Post

M (SD)

M (SD)

M (SD)

M (SD)

Aggressività fisica

10.59 (1.71)

7.56 (2.45) *

10.87 (1.98)

9.87 (2.86)

Aggressività verbale

7.82 (2.04)

6.26 (1.78) *

6.60 (2.08)

6.67 (2.54)

Rabbia

9.21 (2.36)

7.47 (2.35) *

8.63 (2.47)

8.57 (2.37)

Ostilità

9.24 (2.19)

7.62 (2.10) *

7.70 (3.08)

8.47 (2.30)

Note. *p < .001 al paired t-test. Tabella 1. Valori descrittivi per le sottoscale dell’AQ prima e dopo l’intervento educativo per i ragazzi con valori più alti (a partire dal 75° percentile) alla valutazione baseline

I risultati ottenuti vanno nella direzione della letteratura, in particolare sembrano confermare l’ipotesi che i giochi di lotta permettono di esperire positive dimensioni sociali, educative, culturali e sportive che possono essere utili nella prevenzione di comportamenti violenti e per migliorare il benessere degli individui (Sigg &Teuber-Gioiella, 1999).Tutte le sottoscale dell’AQ, riportando una diminuzione significativa, evidenziano come i giochi di lotta favoriscano una migliore gestione degli aspetti comportamentali e cognitivo-emozionali. La scelta di considerare i risultati solo per un sottogruppo di ragazzi (con valori appartenenti a partire dal 75° percentile), si giustifica con il bisogno di indagare se l’intervento educativo proposto fosse significativamente efficace per i ragazzi che riportano al momento iniziale valori più alti e potenzialmente problematici. Il valore educativo della proposta motoria viene spiegato con il grosso impatto che hanno i giochi di lotta nel dominio sociale, come facilitatori della codifica e decodifica dei segnali non-verbali (Bjorklund e Brown, 1998). Sono una forma di gioco spontanea e vengono utilizzati in età infantile e adolescenziale come linguaggio socializzante proprio per definire meglio il proprio ruolo e misurare capacità e limiti personali. Inoltre i giochi di lotta, permettendo di sperimentare e misurare le proprio abilità in ruoli diversi, agiscono attivamente nel consolidamento dell’autostima (Sigg &Teuber-Gioiella, 1999). Scegliere uno sport come la pallavolo per l’attività di controllo è dettata dal fatto che consiste in uno sport che prevede collaborazione, ma che non prevede una vicinanza e un contatto fisico caratteristici delle espressioni delle condotte aggressive tra ragazzi. Dai risultati ottenuti si può ipotizzare che le otto lezioni sui giochi di lotta proposte ai ragazzi" abbiano stimolato gli stessi a ritrovare nel contatto con l’altro una forma di gioco, implementare il curricolo di educazione fisica con giochi di lotta sembra quindi una scelta importante che gli insegnanti possono effettuare per consentire ai ragazzi un più armonico sviluppo psicofisico. L’insegnamento dei giochi di lotta deve essere accompagnato da un assunto fondamentale: è necessario che gli insegnanti provvedano affinché lo svolgimento dei giochi di lotta av-

68

"


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

venga in completa sicurezza, secondo regole chiare e assoluto rispetto dell’altro. Consentire il gioco di lotta non significa consentire che avvenga senza la supervisione dell’insegnante: infatti le azioni di programmazione e di guida dell’insegnante sono necessarie perché gli interventi educativi riguardanti i giochi di lotta siano efficaci sulla gestione delle emozioni. La ricerca presenta alcune limitazioni che non consentono una generalizzazione dei risultati, tuttavia costituisce un primo studio esplorativo che vuole essere un trampolino di riflessione per futuri interventi educativi preposti alla gestione dell’aggressività nei ragazzi per mezzo dell’educazione fisica a scuola. Anche il fatto di proporre giochi a coppie e piccoli gruppi con persone sempre diverse all’interno della classe potrebbe aver favorito un miglioramento del clima di apprendimento generale della classe e quindi un miglioramento della gestione dell’aggressività da parte dei ragazzi con difficoltà di gestione delle emozioni. Future ricerche dovrebbero essere condotte per indagare più dettagliatamente quali possano essere le variabili che intervengono e si associano con una riduzione dell’aggressività durante un percorso educativo sui giochi di lotta. L’uso di un solo strumento per la rilevazione dei dati è un limite che può essere superato in futuro cercando di associare dati oggettivi come quelli di rilevazione diretta dei comportamenti. Altro suggerimento per le ricerche future è quello di considerare controlli di follow-up in modo da valutare il mantenimento nel tempo degli effetti del percorso educativo. L’obiettivo degli interventi volti alla riduzione della violenza giovanile dovrebbe essere quello di combattere la violenza non inibendo l’aggressività ma insegnando a gestirla in maniera positiva, trasformandola dunque in iniziativa, creatività, volontà. La scuola è chiamata quindi a ripensare gli interventi didattico-educativi in modo da favorire anche l’organizzazione del “dialogo conflittuale” e la sperimentazione della gestione positiva delle emozioni.

Riferimenti bibliografici Ang R. P. (2007). Factor structure of the 12-item aggression questionnaire: Further evidence from Asian adolescent samples. Journal of Adolescence, 30, pp. 671-685. Bailey R. (2006). Physical education and sport in schools: a review of benefits and outcomes. Journal of School Health, 76, 8, pp. 397-401. Bandura A. (1973). Aggression: A Social Learning Analysis. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. Baron R. A.(1977). Human aggression. New York: Plenum Press. Bjorklund D. F., Brown R. D. (1998). Physical play and cognitive development: integrating activity, cognition and education. Child Development, 69, pp. 604-606. Blake C. S., Hamrin V. (2007). Current approaches to the assessment and management of anger and aggression in youth: A review. Journal of Child and Adolescent Psychiatric Nursing, 20, pp. 209-221. Bryant F. B., Smith B. D. (2001). Refining the architecture of aggression: a measurement model for the Buss-Perry Aggression Questionnaire. Journal of Research in Personality, 35, pp. 138-167. Buss A. H. (1961). The psychology of aggression. New York: Wiley. Buss A. H., Durkee A. (1957). An inventory for assessing different kinds of hostility. Journal of Consulting Psychology, 21, pp. 343-349. Buss A. H., Perry M. (1992).The Aggression Questionnaire. Journal of Personality and Social Psychology, 63, pp. 452-459. Dodge (2006). Professionalizing the practice of public policy in the prevention of violence. Journal of Abnormal Child Psychology, 34, 4, pp. 475-479. Fossati A., Maffei C., Acquarini E., Di Ceglie A. (2003). Multigroup confirmatory component and factor analyses of the Italian version of the Aggression Questionnaire. European Journal of Psychological Assessment, 19, pp. 54-65.

69


SIRD • Ricerche

Harris J. A. (1995). Confirmatory factor analysis of the Aggression Questionnaire. Behavior Research and Therapy, 33, pp. 991-993. Olivier J. (1988). Giochi di lotta. Como: Red. Olweus D. (1994). Bullying at school: basic facts and effects of a school-based intervention program. Journal of Child Psychology and Psychiatry and Allied Disciplines, 35, pp. 1171-1190. Scott E., Panksepp J. (2003). Rough and tumble play in human children. Aggressive Behavior, 29, pp. 539-551. Shechtman Z., Ifargan M., (2009). School-based integrated and segregated interventions to reduce aggression. Aggressive Bahavior, 35, pp. 342-356. Sigg B., Teuber-Gioiella Z. (1999). Meno violenza grazie agli sport di combattimento. Mobile, la rivista di educazione fisica e sport, 2 (inserto pratico), pp. 1-8. Zillmann, D. (1979). Hostility and aggression. Hillsdale, NJ: Earlbaum.

70


Ricerche La valutazione della qualità nelle scuole destinatarie dei Fondi strutturali europei Evaluating quality in school receiving european structural funds DONATELLA POLIANDRI • PAOLA MUZZIOLI • ISABELLA QUADRELLI • SARA ROMITI L’INVALSI, nell’ambito del progetto Valutazione e Miglioramento, ha messo a punto un’azione di valutazione della qualità progettuale, gestionale e organizzativa delle scuole destinatarie dei Fondi strutturali europei. Il contributo presenta il percorso di ricerca a partire dalla fase di definizione di un concetto di qualità multiattore e multidimensionale e di scelta del metodo di indagine: l’audit esterno. Vengono anche presentati gli strumenti, le rubriche di valutazione, illustrati i protocolli di ricerca e presentati alcuni risultati preliminari. Il progetto è un esempio di ricerca che, partendo dall’esplicitazione dei criteri di qualità, intende integrare la funzione sommativa e formativa della valutazione e innescare un processo di riflessione e un eventuale confronto tra committenti, valutatori e destinatari delle risorse.

Within the scope of the project Valutazione e Miglioramento, the National Institute for the Educational Evaluation of Instruction and Training has developed a model for the evaluation of the quality of schools receiving European Structural Funds. The article presents the research process, starting with the definition of a multi-actor and multi-dimensional concept of quality, and the choice of the research method: the external audit. It also illustrates the research tools, the evaluation rubric, the research protocol and some preliminary results. Starting with the clear definition of quality criteria, this project attempts to integrate summative and formative evaluation and to promote selfreflection and dialogue among those involved in the evaluation process.

Parole chiave: qualità; valutazione; Fondi strutturali europei; audit; rubriche di valutazione; valutazione formativa

Key words: quality; evaluation; European Structural Funds, audit, evaluation rubric; formative evaluation

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

71


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione A partire dalla programmazione 1994-1999, il Miur è titolare della gestione di fondi strutturali europei con la finalità di migliorare le competenze di base e favorire l’inclusione nei percorsi scolastici e formativi nelle regioni a maggiore rischio di svantaggio sociale ed economico. Nella programmazione 2007-2013, i Programmi Operativi Nazionali “Competenze per lo sviluppo” (cofinanziato dal FSE) e “Ambienti per l’apprendimento” (cofinanziato dal FESR) sono destinati agli istituti scolastici delle regioni dell’Obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) per la realizzazione di attività di apprendimento per gli studenti, la formazione dei docenti, del personale della scuola e degli adulti, e di interventi infrastrutturali per migliorare la qualità dell’offerta di istruzione. I due PON dedicati al settore dell’istruzione hanno messo a disposizione delle scuole quasi 2 miliardi di euro. Il Miur ha attivato assi di intervento e obiettivi specifici entro i quali le scuole possono progettare azioni che rientrano nelle finalità perseguite dai due fondi1. L’Autorità di gestione dei PON ha anche il mandato di effettuare azioni di valutazione ex post dei programmi operativi con la finalità di esaminare il grado di utilizzo delle risorse, l’efficienza e l’efficacia della programmazione e il suo impatto rispetto agli specifici obiettivi perseguiti. Nel 2009 il Miur ha affidato all’INVALSI il compito di valutare l’utilizzo dei fondi europei da parte degli istituti scolastici destinatari dei finanziamenti; l’azione di valutazione è stata inserita all’interno del progetto “Valutazione e Miglioramento”. Il progetto è articolato in fasi distinte che si svolgono in modo progressivo in diversi anni scolastici. La Fase 1 ha l’obiettivo di valutare la qualità progettuale, organizzativa e gestionale delle singole istituzioni scolastiche nell’attuazione dei PON Istruzione. La Fase 2 si prefigge di identificare i punti di forza e i nodi critici del servizio scolastico offerto nel suo complesso in un’ottica sistemica. La Fase 3 ha l’obiettivo di sostenere azioni di miglioramento con l’intervento di esperti esterni che affiancano i team di valutazione interni alle istituzioni scolastiche, per la progettazione e gestione delle azioni di miglioramento nei settori della didattica e del management scolastico. Per lo svolgimento della Fase 1, il gruppo di ricerca dell’INVALSI ha messo a punto un percorso per la valutazione della qualità progettuale, gestionale e organizzativa dei PON Istruzione. Di seguito sono illustrate le premesse teoriche e metodologiche che hanno portato alla costruzione degli strumenti e dei protocolli di ricerca, e presentati i principali risultati.

2. La valutazione della qualità dei programmi Il tema della qualità è molto dibattuto nell’ambito della valutazione dei sistemi scolastici e formativi. I molti contributi sul tema evidenziano una molteplicità di approcci alla questione della qualità e la diversità delle metodologie utilizzate. In primo luogo, molto è stato scritto sulla difficoltà, se non impossibilità, di definire il concetto “qualità” (Ceccon, 1999; Bertin,

1 Per il FSE sono stati attivati i seguenti obiettivi: A: Sviluppare la capacità diagnostica e i dispositivi per la qualità del sistema scolastico; B - Migliorare competenze del personale; C - Migliorare competenze degli studenti; D - Promuovere la società dell’informazione; E – Sviluppare reti tra gli attori del sistema e con le istanze del territorio; F - Promuovere successo scolastico, parità e inclusione; G - Migliorare i sistemi di lifelong learning; I – Migliorare l’efficienza, efficacia e la qualità degli interventi finanziati; L – Migliorare e sviluppare modalità, forme e contenuti dell’informazione e pubblicizzazione del Programma. Per il FESR gli obiettivi sono: A - Promuovere e sviluppare la società dell’informazione e della conoscenza nel sistema scolastico; B - Incrementare il numero dei laboratori per migliorare l’apprendimento delle competenze chiave in particolare quelle matematiche scientifiche e linguistiche.

72


SIRD • Ricerche

2007; Oddo, 2002). Lo stesso termine “qualità” è stato associato a significati diversi: tensione verso l’eccellenza e perfezione del prodotto o del processo, conformità agli scopi prefissati, rapporto ottimale tra costi e benefici, ricerca continua del miglioramento e, nelle versioni più recenti, soddisfazione del cliente/utente (Ferrari, 2000; Bertin, 2007). Questa peculiare polisemicità segnala l’origine del concetto, nato nell’ambito degli studi organizzativi e impiegato dapprima nei contesti aziendali; questa origine rende più difficoltosa la trasposizione di concetti e strumenti associati alla valutazione della qualità a contesti non riducibili a imprese di tipo commerciale, come i servizi sociali e sanitari, gli istituti scolastici e i centri di formazione2 (Palumbo 2003, Bertin 2007). Altri autori hanno sostenuto che quello di qualità è un costrutto relativo, strettamente dipendente dai contesti, dai valori e dagli interessi dei soggetti coinvolti (Moss, 1994) e dalle finalità conoscitive perseguite (Bertin, 2007). Gli attributi associati al concetto di qualità sono legati agli specifici processi dell’organizzazione, alle interazioni tra gli attori e a quelle tra l’organizzazione e il contesto. Quindi parlare genericamente di buona o cattiva qualità di un servizio o di un programma non avrebbe molto senso dal punto di vista della ricerca valutativa: solo attraverso l’esplicitazione dei criteri associati all’idea di qualità e alla loro diffusione e conoscenza tra i soggetti coinvolti nell’azione di valutazione si può trarre utilità dall’impiego di tale costrutto. Tra i diversi approcci alla qualità occorre distinguere il total quality management (TQM), orientato a implementare e verificare la qualità dei processi di un’intera organizzazione al fine di produrre qualità per i clienti/utenti (Negro, 2003), dalla valutazione della qualità, che riguarda un aspetto specifico di un servizio o di un programma che andrà poi correlato con altri, quali il costo, i risultati e gli impatti (Palumbo, 2003). Il TQM è un approccio che ha come ambito privilegiato di applicazione le imprese di tipo commerciale; ma che è stato ampiamente utilizzato anche nelle organizzazioni no profit, nei servizi sociali e sanitari, nelle agenzie formative e negli isitituti scolastici. Il focus principale del TQM è sui processi piuttosto che sui prodotti (Palumbo, 2003) e il suo obiettivo finale è il raggiungimento di precisi standard di qualità o di eccellenza pubblicamente riconosciuti perché certificati da enti esterni (es. ISO 9000, EFQM, ecc.). L’approccio totale alla qualità non è strettamente valutazione della qualità, anche se, come è stato sostenuto (Greco, 2003; De Ambrogio, Lo Schiavo, 2003) sono fra loro legati, essendo “facce della stessa medaglia” che perseguono lo sesso obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni. La valutazione della qualità invece si inserisce nell’ambito più ampio dei programmi di valutazione, anche se non può essere ridotta alla valutazione tout court. Come sostiene Oliva, la valutazione della qualità è “la sintesi e il risultato di una serie di valutazioni più particolari che, insieme, definiscono la qualità di una performance (ovvero, la qualità di un programma, di un progetto, di un’azione, ecc.)” (Oliva, 2003, p. 78). In questo senso la valutazione della qualità è una forma specifica di valutazione e come tale essa fa riferimento ai concetti e ai metodi delle scienze sociali (De Ambrogio, Lo Schiavo, 2003). Per fare valutazione della qualità è quindi necessario affrontare una serie di questioni ampiamente dibattute nell’ambito di tali discipline, come la definizione dell’oggetto, le finalità della valutazione e la scelta della metodologia. Per quanto riguarda la definizione dell’oggetto di studio, si è già detto della natura situata del concetto di qualità; ne deriva che l’oggetto della valutazione va definito e costruito a partire dalle singole realtà osservate, dagli obiettivi conoscitivi e dagli attori in campo. Oc-

2 Il dibattito si è incentrato in particolare su questioni quali: la non riducibilità del cittadino/utente dei servizi al concetto di cliente; la necessità di considerare una pluralità di attori e soggetti tra i destinatari degli interventi/servizi (es. non solo il minore, ma anche la sua famiglia, la comunità, ecc.), la natura relazionale dei “risultati” prodotti dai servizi pubblici; ecc.

73


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

corre essere consapevoli che si possono individuare definizioni di qualità diverse quanti sono i punti di vista specifici sull’organizzazione e gli scopi della valutazione. Come ampiamente dibattuto in letteratura, la valutazione si muove tra diversi punti di vista; Palumbo ricorre alla rappresentazione del triangolo per individuare i tre poli costituiti dagli obiettivi, dai bisogni e dagli standard di prestazione ai quali corrispondono punti di vista diversi: quello dell’organizzazione, quello degli operatori/professionisti e quello degli utenti/cittadini (Palumbo, 2003). Allo stesso modo Bertin individua il punto di vista manageriale, quello professionale e quello partecipativo (Bertin, 2007). Strettamente legata alla prospettiva multiattore è anche la questione dell’inclusione di punti di vista interni ed esterni all’organizzazione (Palumbo, 2003). Nel caso delle istituzioni scolastiche e formative ciò risulta fondamentale perché non sempre chi individua gli obiettivi da perseguire (decisori politici, amministratori) controlla direttamente i processi erogati da un’ organizzazione, attuati dai singoli professionisti (insegnanti). Inoltre, il concetto di cliente non rappresenta in maniera adeguata la peculiarità dell’utenza del servizio scolastico e formativo, che non può essere ridotta al singolo studente, ma che deve includere anche le famiglie, in quanto entità relazionalmente connesse, e la società che nutre aspettative e investe risorse nell’azione educativa. Si rende quindi necessaria una composizione di punti di vista interni ed esterni e un allargamento della platea dei clienti/utenti che comprenda anche i cosiddetti stakeholder (Bertin, 2003). Per quanto riguarda le finalità, la valutazione della qualità è generalmente associata ad una valutazione di tipo sommativo (Scriven, 1996) piuttosto che formativo. Tuttavia da più parti è stata sostenuta la necessità di integrare queste due funzioni nei disegni valutativi. In tal senso si esprimono Bondioli e Ferrari che parlano di complementarietà tra valutazione sommativa e formativa, intendendo “il lavoro di valutazione come pratica di accertamento che riflette su se stessa per esplicitare criteri e idee di qualità in vista di un rilancio della progettualità organizzativa e formativa delle istituzioni educative” (Bondioli, Ferrari, 2003, p. 20). De Ambrogio e Lo Schiavo (2003) sostengono che la valutazione della qualità non dovrebbe limitarsi a una funzione di accountability, pure necessaria e doverosa quando le istituzioni ricevono risorse pubbliche a seguito dell’assunzione dell’impegno a raggiungere specifici obiettivi, ma dovrebbe promuovere forme di apprendimento indispensabili per la risoluzione di eventuali criticità e per garantire la tensione al miglioramento. Infine, la scelta della metodologia riflette le finalità conoscitive perseguite ma non è del tutto estranea anche a opzioni di tipo valoriale. È noto nelle scienze sociali il dibattito tra i sostenitori dell’approccio ermeneutico, per il quale le indagini hanno la finalità di comprendere una specifica realtà attraverso l’interpretazione del punto di vista dei soggetti coinvolti, e chi ritiene che finalità della scienza, compresa quella delle scienze sociali, sia spiegare un dato fenomeno attravero l’individuazione di un nesso tra cause ed effetti (Fornari, 2002). Questi due orientamenti sono solitamente associati a metodologie di ricerca diverse: l’approccio ermeneutico fa propria una metodologia di tipo qualitativo attenta alla qualità del dato che privilegia l’osservazione dei contesti naturali e tecniche di intervista discorsive. Una metodologia quantitativa, che cerca di produrre procedure oggettive di raccolta dei dati, interessata alla generalizzazione dei risultati è associata agli approcci che perseguono l’obiettivo della spiegazione dei fenomeni sociali. Tuttavia il dibattito più rcente ha messo in discussione questa netta separazione tra approcci, metodologie e strumenti sostenendo la necessità di una loro integrazione (Smith, Heshusius, 1986; Cardano, 2003). Inoltre, la necessità di sondare il punto di vista di più attori coinvolti, interni ed esterni, e la scelta di privilgiare forme più o meno partecipative di valutazione, può orientare la scelta verso specifici disegni di ricerca che possono basarsi su un’impianto di valutazione esterna o di valutazione interna o, ancora, su una combinazione delle due.

74


SIRD • Ricerche

3. Definizione della qualità progettuale, gestionale e organizzativa delle scuole destinatarie dei Fondi PON La definizione di qualità progettuale, gestionale e organizzativa riferita all’uso dei Fondi PON da parte delle scuole destinatarie dei finanziamenti europei è stata effettuata dal gruppo di ricerca dell’INVALSI a partire dalla consapevolezza del carattere relativo del concetto di qualità e della necessità di articolarlo a partire da una prospettiva multiattore e multidimensionale. Nell’individuazione delle dimensioni o aree si è tenuto conto di diversi punti di vista. In primo luogo quella del committente, l’Unione Europea, rappresentata dell’Autorità di gestione presso il Miur. Come rilevato da Oliva (2003) a questa prospettiva corrisponde la definizione delle finalità e degli obiettivi. Si è pertanto fatto riferimento alle finalità generali dei Programmi Operativi Nazionali nell’ambito dell’istruzione, ovvero l’innalzamento delle competenze di base e la riduzione della dispersione scolastica, degli obiettivi specifici, entro i quali devono rientrare le specifiche azioni progettuali della scuola (cfr nota 1) e delle linee guida del Miur3 che si configurano come veri e propri obiettivi operativi4. È stato poi considerato il punto di vista degli operatori/professionisti dell’istituzione scolastica, ovvero il DS, gli insegnanti curriculari, i tutor e gli esperti reclutati per lo svolgimento dei corsi e dei progetti finanziati. Si tratta di punti di vista diversi rispetto alla realizzazione delle attività che, per questo loro differente posizionamento, restituiscono uno sguardo articolato sul processo di erogazione del servizio. Abbiamo infine il punto di vista degli utenti: gli studenti che hanno avuto un’esperienza diretta dei corsi e delle iniziative finanziate con i PON; i loro docenti curriculari che hanno potuto valutare le ricadute delle azioni realizzate sulla partecipazione e i risultati scolastici degli studenti. A partire da questa articolazione sono state individuate tre aree all’interno delle quali sono stati esplicitati specifici criteri di qualità, ossia: l’area gestionale/organizzativa, quella progettuale/didattica e, infine, i risultati. L’area gestionale/organizzativa comprende i criteri di qualità che riguardano l’impianto organizzativo necessario per la gestione dei PON: azioni di promozione, reclutamento degli esperti, funzionamento del Gruppo operativo di piano5, valutazione del Piano integrato6. Nell’area progettuale/didattica sono inclusi i criteri che fanno riferimento alla qualità della progettazione in senso stretto con riferimento sia alla sua coerenza con le priorità individuate dalla scuola nell’Autodiagnosi7 e all’integrazione con gli obiettivi e le azioni previste nel POF, sia alla definizione delle strategie didattiche (es. definizione delle competenze, articolazione tra competenze e metodologie didattiche, valutazione degli studenti). Infine nell’area dei risultati

3 Disposizioni e istruzioni per l’attuazione delle iniziative cofinanziate dai Fondi strutturali europei 2007-2013 – Miur 2009. 4 Si tratta di linee guida che definiscono l’impianto organizzativo per la gestione dei Fondi e la realizzazione delle attività progettuali, come ad es. la costituzione del gruppo operativo di piano (GOP), l’individuazione di figure all’interno della scuola con specifiche finalità (referente per la valutazione, facilitatore, tutor, ecc.), la realizzazione di specifiche azioni di promozione, ecc.). 5 Il Gruppo operativo di Piano è una struttura operativa che comprende oltre al DS diverse figure previste dal Miur (Facilitatore, Referente per la valutazione, tutor di obiettivo) che ha la funzione di gestire la progettazione e la realizzazione delle azioni finanziate. 6 Il Piano integrato è costituito dall’insieme dei progetti presentati dalla scuola e afferenti uno stesso bando. 7 L’autodiagnosi è uno strumento predisposto dall’INVALSI che permette di evidenziare i punti di forza e le criticità della scuola in diversi ambiti. Si tratta di uno strumento autocompilato dalle scuole che dovrebbe costituire il punto di riferimento per la progettazione su fondi PON.

75


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

e degli impatti si prende in considerazione il punto di vista degli studenti relativamente all’utilità e soddisfazione per i corsi e quello degli insegnanti con riferimento all’impatto dei corsi sull’attività curricolare degli studenti. Nell’ambito di ciascuna area sono stati operazionalizzati specifici criteri di qualità. L’esplicitazione dei criteri di qualità ha rappresentato un aspetto fondamentale della progettazione dell’intervento di valutazione (Tabella 1); questa operazione ha permesso di rendere trasparente il significato del concetto di qualità per tutti i soggetti coinvolti (committenti, operatori e utenti). qualità Area Criterio di qualità Area Azioni di promozione gestionale/organizzativa Reclutamento esperti Verbali del GOP Valutazione del Piano integrato Area progettuale/didattica Coerenza tra Piano intgrato e Autodiagnosi Integrazione tra Piano integrato e POF Declinazione delle competenze del corsista Coerenza tra competenze e attività didattiche del corsista Strategie didattiche Valutazione iniziale, in itinere e finale Area risultati/impatti Soddisfazione dei corsisti Integrazione tra progetto e attività curricolare (solo per progetti dell’obiettivo C e F) Ricadute del progetto sulle competenze dei corsisti (solo per progetti dell’obiettivo C e F) Utilizzo a scuola delle competenze acquisite dal personale (solo per progetti dell’obiettivo B e D) Tab. 1 – Aree e criteri di qualità

Inoltre, partendo dall’idea della necessaria complementarietà tra funzione sommativa e formativa della valutazione, riteniamo che una chiara esplicitazione dei criteri di qualità possa contribuire a fornire indicazioni chiare per formulare un giudizio sull’efficacia dei fondi PON e allo stesso tempo consegnare alle singole istituzioni scolastiche elementi sui quali riflettere e confrontarsi per promuovere forme di apprendimento organizzativo. Come già evidenziato, la finalità del miglioramento è chiaramente perseguita dall’impianto progettuale complessivo all’interno del quale la valutazione della qualità progettuale, gestionale e organizzativa dei fondi PON è solo un primo passo per la realizzazione di azioni di miglioramento. Infine, l’esplicitazione dei criteri di qualità, che ha riguardato anche l’individuazione di precisi indicatori per la definizione di diversi livelli di qualità (cfr sotto), ha anche la funzione di orientare lo sguardo del valutatore fornendogli elementi da osservare e indicazioni sul concetto di valore e di eccellenza alla base del criterio di qualità, a partire dai quali comporre il proprio giudizio.

4. Strumenti e protocolli di ricerca L’obiettivo della valutazione della qualità progettuale, gestionale e organizzativa dei PON istruzione è di descrivere le singole istituzioni scolastiche a partire dai criteri di qualità individuati e di classificare le realtà osservate sulla base delle modalità operative prevalenti e

76


SIRD • Ricerche

dei risultati ottenuti. Il metodo utilizzato è quello dell’audit esterno, con il quale un soggetto esterno e indipendente rispetto all’istituzione osservata esprime dei giudizi a partire dalla rilevazione di uno scostamento tra la realtà osservata e alcuni standard predefiniti (Scott Parsowith, 1995). Per la realizzazione dell’audit il gruppo di ricerca INVALSI ha messo a punto due schede di valutazione (Scheda di valutazione 1° parte e 2° parte). La prima ha la finalità di valutare alcuni aspetti della qualità a partire dall’analisi di documenti che l’auditor recupera dalla piattaforma informatica di gestione dei Piani integrati8 da visionare prima della visita a scuola. La seconda viene compilata dopo la visita a scuola a partire dalle osservazioni e dalle opinioni raccolte nel corso delle interviste. Per la costruzione di tali schede è stata esaminata l’ampia letteratura riguardante la valutazione autentica delle prestazioni degli studenti e l’utilizzo delle rubriche di valutazione (Comoglio, 2002; Comoglio, 2007; Wiggins, 1996). Le rubriche di valutazione sono state adattate negli anni ad altri contesti, come la valutazione delle prestazioni delle scuole (si vedano le griglie utilizzate dagli Ispettori dell’Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills - Ofsted). Una rubrica per essere tale deve contenere i criteri oggetto di valutazione e una descrizione delle prestazioni buone e meno buone per ciascun criterio; le rubriche possono essere costruite con un approccio più olistico, quando richiedono di esprimere un giudizio generale su un insieme di aspetti, o più analitico, quando è necessario formulare un giudizio su singole componenti. L’obiettivo della scheda di valutazione è quello di aiutare l’auditor ad esprimere un parere orientato da indicazioni in grado di supportare empiricamente l’espressione del giudizio. Sono stati preliminarmente definiti una serie di criteri di qualità (22 criteri) relativi alla progettazione, gestione e impatto delle azioni finanziate con i PON.; questi criteri di qualità o standard sono definiti come proposizioni. Ad esempio nella Scheda di valutazione 1° parte, un criterio di qualità è il seguente: “le strategie didattiche descritte sono innovative e stimolano la partecipazione”; nella 2° parte della Scheda, un criterio di qualità è: “i corsisti esprimono soddisfazione per il corso frequentato”. Per ciascun criterio di qualità sono state predisposte delle scale di valutazione a quattro livelli (inadeguato, accettabile, buono, eccellente); ogni livello è descritto in modo analitico in relazione al criterio di qualità corrispondente9. La descrizione del livello contiene gli elementi o le evidenze empiriche da considerare per esprimere un giudizio. Rispetto ad altri strumenti di valutazione della qualità, specie quelli con modalità dicotomica che prevedono di indicare la presenza o l’assenza di un criterio di qualità, la rubrica di valutazione consente di superare il rischio di una rappresentazione semplificata della realtà, permettendo di modulare il giudizio e fornire indicazioni sugli elementi che contribuiscono al raggiungimento di uno specifico livello di qualità.

8 Il Sistema integrato per la gestione degli interventi è una piattaforma elettronica gestita dall’ANSAS nella quale le scuole devono inserire diversi dati e documenti relativi ai progetti avviati (numero di iscritti, assenze, verbali del GOP, bandi per il reclutamento degli esperti, materiali relativi alla progettazione didattica, ecc.). 9 A titolo esemplificativo, per il primo criterio di qualità sopra definito (“le strategie didattiche descritte sono innovative e stimolano la partecipazione”), è riportata la descrizione dei livelli: livello 1 (Inadeguato) Non sono descritte le strategie didattiche adottate, oppure sono descritte in modo troppo sintetico o generico; livello 2 (Accettabile) Vengono descritte sinteticamente alcune strategie didattiche adottate, con una prevalenza di una medesima strategia (es. lezione frontale); livello 3 (Buono) Sono adottate strategie didattiche di vario tipo e viene sollecitata la partecipazione attiva degli studenti; livello 4 (Eccellente) Le strategie didattiche descritte sono molteplici e diversificate in relazione agli obiettivi da raggiungere, appare evidente l’impegno a sollecitare la partecipazione attiva dei corsisti durante tutto il corso.

77


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Entrambe le schede sono strutturate in due parti: una relativa al Piano integrato nel suo complesso e una dedicata alle azioni progettuali afferenti i vari obiettivi; inoltre, prevedono la raccolta di dati strutturali sui singoli progetti e nella Scheda di valutazione 2° parte è presente uno spazio nel quale indicare per ogni criterio di qualità i materiali visonati e le persone intervistate. Infine, nell’ultima sezione l’auditor può esprimere in forma discorsiva ma sintetica un giudizio sui punti di forza e di debolezza riscontrati e presentare una buona pratica osservata. Nella Scheda di valutazione 1° parte sono contenuti criteri di qualità riconducibili principalmente all’ambito progettuale/didattico (coerenza della progettazione con l’autodiagnosi, integrazione con il POF, declinazione delle competenze dei corsisti, descrizione delle strategie didattiche e valutazione degli studenti) e gestionale (promozione, valutazione, reclutamento esperti e verbali del GOP). Il protocollo di ricerca prevede che per la compilazione della Scheda di valutazione 1° parte l’auditor deve effettuare l’analisi della documentazione prodotta dalla scuola, accessibile tramite la piattaforma dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (ANSAS). La Scheda di valutazione 2° parte presenta criteri di qualità riconducibili all’area dei risultati/impatti (soddisfazione dei corsisti, incremento delle competenze, ricadute curricolari e utilizzo a scuola delle competenze acquisite nei corsi PON) e all’area gestionale (integrazione con le attività della scuola). Come già detto, essa deve essere compilata dopo la visita a scuola: il protocollo di ricerca prevede di effettuare interviste individuali e di gruppo con le persone coinvolte a vario titolo nei progetti PON, l’analisi della documentazione messa a disposizione dalla scuola e l’osservazione non strutturata, principalmente finalizzata alla valutazione dell’utilizzo delle dotazioni tecnologiche e dei laboratori acquistati con i FESR.

5. Risultati della ricerca Le scuole oggetto dell’audit sono stati gli istituti secondari di II grado delle quattro regioni dell’Obiettivo convergenza che, nell’a.s. 2008/09, sono state campionate per somministrare le prove della rilevazione OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment) e che hanno usufruito dei fondi PON. La scelta è legata alla possibilità di utilizzare i risultati OCSE-PISA per una valutazione più ampia, anche con riferimento ai risultati, dal momento che per le scuole secondarie di II grado non erano ancora disponibili i dati del Servizio Nazionale di Valutazione. Le scuole selezionate sono state in totale 109 (25 in Calabria, 33 in Campania, 28 in Puglia e 23 in Sicilia). L’azione di audit è stata realizzata dai Dirigenti tecnici del Miur nel corso dell’anno scolastico 2010-2011. Il bando oggetto di valutazione è stato il 2096 del 03-04-2009, Piani Integrati 2009. Per ogni scuola assegnata, l’auditor doveva valutare un Piano integrato e due azioni progettuali assegnate dall’INVALSI. La selezione dei progetti sui quali concentrare l’attività di audit è stata effettuata sulla base della distribuzione delle tipologie di richiesta attivate dall’universo delle scuole di riferimento; sono stati esclusi dall’audit i progetti/moduli destinati ad adulti e genitori, ma non quelli dedicati al personale della scuola10. Il protocollo previsto per lo svolgimento delle attività di

10 Sono stati considerati i progetti afferenti gli obiettivi B, C, D e F.Tuttavia, non sono valutate le azioni progettuali dell’obiettivo F rivolte ai genitori. Questa scelta è stata motivata dalla necessità di standardizzare e semplificare le procedure di audit che richiedevano, oltre all’analisi di documenti, osservazioni sul campo e interviste con le figure istituzionali e i destinatari degli interventi PON.

78


SIRD • Ricerche

audit prevedeva che per ogni scuola fosse valutato almeno un progetto dell’obiettivo C (riferito al miglioramento delle competenze degli studenti), e un secondo progetto/modulo afferente uno dei quattro obiettivi C, B, D o F. L’analisi dei dati è ancora in corso; tuttavia dalle elaborazioni preliminari è possibile cogliere alcune tendenze generali sulla qualità progettuale, gestionale ed organizzativa ed effettuare una riflessione sulla validità degli strumenti. Quasi la metà delle scuole (48,6%) ha ottenuto un giudizio complessivo11 pari a 3, posizionandosi sul livello “buono”; il 42,2% è stata valutata “accettabile” e solo una minoranza si è collocata sui valori estremi della scala di giudizio (l’8,3% è stata valutata “eccellente” e lo 0,9% “inadeguata”). In primo luogo, si è osservata la relazione statisticamente significativa (p > 0,05) tra le segnalazioni effettuate dagli auditor in merito all’impossibilità di reperire il materiale documentario e l’inadeguatezza dello stesso e i bassi giudizi espressi; ciò conferma la validità di contenuto degli strumenti poiché gli indicatori associati ai livelli di qualità facevano riferimento a evidenze empiriche che dovevano essere rintracciate principalmente nei documenti; nelle rubriche l’assenza di tali evidenze o la non adeguatezza dei materiali era associata all’espressione di giudizi di inadeguatezza e di mera accettabilità. I punteggi medi dei criteri di qualità relativi al Piano integrato (Grafico 1) evidenziano che il valore più basso (2,46) è associato alla qualità del reclutamento degli esperti per i corsi PON: in quasi la metà dei casi infatti le scuole non esplicitano chiaramente nei bandi le competenze richieste per lo svolgimento degli stessi. Punteggi medio-bassi sono anche associati con due criteri che fanno riferimento all’integrazione della gestione dei PON nel funzionamento ordinario della scuola: la capacità del GOP di promuovere tale integrazione è giudicata accettabile in oltre un terzo delle scuole, mentre è inadeguata nel 9,2% dei casi; il coinvolgimento degli Organi collegiali e di tutte le componenti scolastiche nella definizione dei criteri per la selezione degli esperti ottiene un punteggio medio di 2,72, con il 38% circa delle scuole che riceve un giudizio di inadeguatezza o di mera accettabilità. Anche i criteri di qualità relativi alla progettazione ottengono punteggi medio bassi: nel 40% circa

Grafico 1 – Criteri di qualità relativi al Piano integrato

11 È stato calcolato un indice di qualità complessiva attraverso la media dei punteggi ottenuti da ciascuna scuola su tutti i criteri di qualità

79


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

delle scuole, pur in presenza di elementi di collegamento tra progettazione PON e Piano dell’offerta formativa, non è possibile ravvisare una strategia unitaria di scuola; la coerenza con l’autodiagnosi viene giudicata “buona” nel 47,7% dei casi nei quali le azioni previste nel Piano integrato corrispondono alle priorità individuate nell’autodiagnosi, con una o due eccezioni. Il 30% circa si posiziona invece sul livello “accettabile”. Infine, le azioni di promozione, la documentazione delle attività del GOP e la valutazione del Piano integrato ricevono giudizi prossimi o superiori a 3, evidenziando un buon livello di qualità. Per quanto riguarda i progetti, l’analisi è limitata a quelli afferenti l’obiettivo C (Grafico 2). Si evidenzia in primo luogo l’elevato gradimento ottenuto dai corsi PON e la buona performance dell’altro criterio di qualità dell’area dei risultati: l’incremento delle competenze dei corsisti. Inoltre, risulta positiva anche l’integrazione dei progetti nell’attività curricolare. La valutazione degli studenti viene in generale valutata meno positivamente: più frequente e di migliore qualità è la valutazione finale mentre la valutazione in itinere risulta inadeguata nel 30% dei casi. Ottengono punteggi medio bassi anche i criteri relativi alla declinazione delle competenze dei corsisti (2,37): oltre un quinto delle scuole si posiziona sul livello “inadeguato” che evidenzia situazioni nelle quali le competenze sono state declinate in maniera generica o metodologicamente errata. Infine, le strategie didattiche sono state valutate con riferimento alla loro innovatività e capacità di stimolare la partecipazione degli studenti. Il punteggio medio ottenuto da questo indicatore è 2,37. La distribuzione di frequenze evidenzia che oltre il 50% delle scuole si posiziona sui primi due livelli segnalando situazioni nelle quali le strategie didattiche sono presentate in maniera molto generica, con la prevalenza di una sola strategia.I risultati ottenuti sui singoli criteri di qualità sono molto coerenti con i giudizi finali espressi dagli auditor sui punti di forza e di debolezza osservati. Questi ultimi sono considerazioni espresse dagli auditor in forma discorsiva come valutazione complessiva al termine dell’audit. In particolare, tra i dieci punti di debolezza indicati con maggiore frequenza risultano: la mancata integrazione tra PON e attività della scuola, la mancanza o inacessibilità della documentazione, la mancata declinazione delle competenze dei corsisti e l’assenza diqqualità strategie didattiche riferiti ai p progetti g innovative. afferenti l’obiettivo C

i

Grafico 2 – Criteri di qualità riferiti ai progetti afferenti l’obiettivo C

a

r

e

Tra i punti di forza si segnala più frequentemente l’incremento delle competenze dei corsisti, l’integrazione con le attività della scuola – che nelle situazioni in cui viene riscontrata è considerata uno dei principali elementi di positività – la competenza e disponibilità dei I d

s

80

ei


SIRD • Ricerche

componenti del GOP e la soddisfazione dei corsisti. I risultati dell’analisi qualitativa confermano quindi che le aree individuate per l’audit coprono gli aspetti fondamentali dell’oggetto di studio e che gli indicatori selezionati risultano rilevanti e significativi. I primi risultati permettono anche di individuare alcuni elementi di criticità riconducibili principalmente alle aree progettuale/didattica e gestionale. Si evidenzia la difficoltà di predisporre una progettazione centrata sulle competenze i cui effetti possono essere osservati anche nella gestione dei corsi, sostanziandosi nella genericità dei bandi per il reclutamento degli esperti, nella definizione di strategie didattiche poco innovative e nell’inadeguatezza della valutazione degli studenti. Sul versante della gestione, la sfida dell’integrazione tra attività curricolari ed extracurricolari e tra funzionamento ordinario della scuola e sistema di gestione dei PON richiede di essere ulteriormente affrontata con strumenti che permettano di promuovere la partecipazione di tutte le componenti scolastiche e di mettere a sistema procedure basate su una visione strategica e complessiva della scuola.

6. Conclusioni La definizione di un costrutto di qualità multidimensionale, in grado di integrare diverse prospettive e punti di vista, ha rappresentato il punto di partenza per intraprendere un’azione di valutazione della qualità della progettazione e della gestione delle attività realizzate dalle scuole destinatarie di fondi strutturali europei. Gli strumenti utilizzati – le rubriche di valutazione – hanno permesso di individuare per ciascun criterio gli indicatori che definiscono i diversi livelli di qualità. Da alcuni iniziali riscontri empirici, gli strumenti sono risultati validi, sia dal punto di vista della completezza e rilevanza degli indicatori utilizzati che coprono il dominio di significati associati all’oggetto di studio, sia per la capacità di rilevare ciò che si è inteso analizzare. Dal punto di vista del disegno di valutazione, il principale punto di debolezza dell’esperienza illustrata è da individuare nei limiti intrinseci dell’approccio alla qualità, poco attento alla dimensione del contesto. Nel progetto Valutazione e Miglioramento questo limite viene compensato dal fatto che l’audit è solo la prima fase di un percorso nel quale la valutazione della qualità è affiancata dalla valutazione dell’intera offerta di istruzione erogata dalla scuola – nell’ambito della quale viene recuperata la dimensione del contesto – che costituisce il punto di partenza per la progettazione delle successive azioni di miglioramento.

Riferimenti bibliografici Bertin G. (2007). Governance e valutazione della qualità nei servizi socio-sanitari. Milano: Franco Angeli. Bondioli A., Ferrari M. (a cura di) (2000). Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola. Milano: Franco Angeli. Cardano M. (2003). Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali. Roma: Carocci. Ceccon A. (1999). Ragionando sulla qualità e sulla valutazione della qualità, per una scuola dell’autonomia, Rivista dell’istruzione, 6, pp. 811-820. Comoglio M. (2002). La valutazione autentica. Orientamenti Pedagogici, 49 (1), pp. 93-112. Comoglio M. (2007). La Valutazione autentica. L’Educatore, annata 2006/2007, 11, pp. 43-48. De Ambrogio U., Lo Schiavo L. (2003). Piccoli equivoci senza importanza. Qualità degli interventi e valutazione delle politiche nel settore sociale, Rassegna italiana di valutazione, VII, 26, pp. 5969 Ferrari M. (2000). Differenti approcci al problema della qualità nella scuola. In A. Bondioli, M. Ferrari

81


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

(a cura di) (2000). Manuale di valutazione del contesto educativo: teorie, modelli, studi per la rilevazione della qualità nella scuola (pp. 66-77). Milano: Franco Angeli. Fornari F. (2002). Spiegazione e comprensione. Il dibattito sul metodo nelle scienze sociali. Bari: Laterza. Moss P. (1994). Defining Quality:Values, Stakeholders and Processes. In P. Moss & A. Pence (Eds.), Valuing Quality in Early Childhood Services (pp. 1-9). Londra: Paul Chapman Publishing. Negro G. (2003). Qualità e valutazione binomio per l’eccellenza. Rassegna italiana di valutazione, VII, 26, pp. 53-58 Oddo P. (2002). La certificazione della qualità. La valutazione dei contesti educativi. Psicologia e scuola, XXI, 109, pp. 3-11 Oliva D. (2003). La qualità della formazione tra accreditamento e valutazione. Rassegna italiana di valutazione, VII, 26, pp. 71-83 Palumbo (2003). Qualità e valutazione un dibattito che prosegue. Rassegna italiana di valutazione, VII, 26, pp. 41-51 Scott Parsowith B. (1995). Fundamentals of Quality Auditing. Milwaukee: ASQC Quality Press. Scriven M. (1996). Types of Evaluation and Types of Evaluator. American Journal of Evaluation, 17, 2 pp. 151-161. Smith J. K., Heshusius L. (1986). Closing down the Conversation.The End of the Quantitative/Qualitative debate among Educational Inquirers. Educational Researcher, 1, pp. 4-12 Wiggins G. (1996).What is a rubric? A dialogue on design and use. In R. E. Blum, J.A. Arter (a cura di), A handbook of student performance assesment in an era of recostructing. Association for Supervision and Curriculum Development, Alexandia,Va.

82


Ricerche Cooperative learning e valutazione in contesti multiculturali Assessment and Cooperative learning in multicultural contexts MARIALUISA DAMINI • ALESSIO SURIAN L’articolo presenta una sintetica rassegna delle metodologie di valutazione del cooperative learning, con particolare riferimento a contesti multiculturali e alla fascia d’età 1418 anni.Vuole inoltre identificare strategie e strumenti in risposta alle resistenze più frequenti e significative da parte degli insegnanti ad includere in fase di verifica e valutazione giudizi “collettivi”. Facendo riferimento a quanto emerge da interviste condotte con testimoni privilegiati, si mette in evidenza l’importanza della motivazione intrinseca all’interdipendenza positiva, che porta alla scoperta del fatto che imparare con l’altro può essere davvero una risorsa. Il confronto con l’analisi della letteratura evidenzia come approcci quali Group Investigation e la Complex Instruction e tecniche come il Jigsaw siano coerenti con questa prospettiva e particolarmente significativi per valorizzare la diversità.

The paper presents an overview of cooperative learning assessment methodologies. It focuses on pupils aged 14-18 in multicultural contexts. It attempts to identify tools and strategies to respond to the most frequent and most significant objections raised by teachers concerning collective assessment and evaluation. The authors have conducted interviews with a selected number of teachers.They focus on the role and the weight of intrinsic motivation towards positive interdependence.This leads to the discovery that learning together with a partner can be a valuable source of learning.The analysis of available literature indicates that methodologies that are consistent with this approach such as Group Investigation and Complex Instruction and techniques such as Jigsaw can be instrumental to appreciate and to value diversity.

Parole chiave: Valutazione, diversità culturale, cooperative learning, Complex Instruction, Group Investigation, Jigsaw

Key words: Assessment, cultural diversity, cooperative learning, Complex Instruction, Group Investigation, Jigsaw

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

83


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione All’interno della scuola, e in particolare della scuola secondaria di secondo grado, la scelta di introdurre metodi nuovi che risultino efficaci nel promuovere la formazione globale degli studenti è un’esigenza quanto mai attuale, come si evince anche nei Nuovi Regolamenti di riforma della scuola secondaria di secondo grado, in particolare dove si sottolinea la necessità di contribuire alla formazione di studenti “con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi” (Regolamento dei Licei). Questa necessità nasce sia da uno sconvolgimento di un impianto secolare, anzi millenario, di organizzazione dell’accesso al sapere, di strutturazione e classificazione delle conoscenze, di trasmissione dei codici discorsivi assunti come criteri per stabilire ciò che è vero e ciò che è falso o sbagliato (Bottani, 2007, 37)

sia dall’importanza via via sempre maggiore assunta dall’imparare a stare e a lavorare con gli altri. Queste nuove suggestioni certamente portano ad un ripensamento rispetto alle pratiche didattiche “tradizionali” e “trasmissive”, in cui – in particolare, rispetto ai tre modelli importanti di interazione nell’ambito della classe (interazione tra insegnanti e studenti, tra studenti e i contenuti del curricolo, tra studente e studente) – è stato da sempre assegnato un privilegio alle prime due a scapito dell’ultima, relegata talvolta a elemento di disturbo e disagio per il buon andamento della vita della classe. Troppo spesso è stato, infatti, tralasciato che “le relazioni interpersonali sono un fattore essenziale dello sviluppo cognitivo, relazionale e sociale dei ragazzi” (Comoglio, 1996, 19) perché, oltre a fornire occasioni per mettere in atto e modellare comportamenti sociali, influiscono sullo sviluppo dell’autonomia, consentono di condividere con coetanei un’ampia gamma di sentimenti, dando la possibilità di esperire un’ampia varietà di ruoli sociali, condizione imprescindibile per integrare la percezione di se stessi e appaiono efficaci nell’orientare scelte che riguardano il futuro (Ibidem, 19; Johnson, 1981; Johnson & Johnson, 1987). Per questi motivi la capacità di “interagire in gruppi sociali eterogenei” viene considerata da tutto il progetto DeSeCo1 (Definition and Selection of Competencies) un elemento centrale all’interno della definizione delle “competenze chiave”, ovvero di quelle “competenze individuali che contribuiscono ad una vita realizzata e al buon funzionamento della società” (Ceriani, 2007, 11). In particolare, ciò che è richiesto in particolare alle giovani generazioni è di imparare a relazionarsi in modo adeguato con gli altri, a cooperare, a gestire e risolvere i conflitti (Rychen, 2007, 123-124; Halász & Michel, 2011, 293). Questo aspetto diventa imprescindibile all’interno di un contesto multiculturale, in cui le relazioni tra realtà culturali anche molto diverse si fanno sempre più strette (CantoSperber & Dupuy, 2001, 74) e in cui l’interazione in gruppi eterogenei dal punto di vista sociale riguarda anche lo sviluppo di legami sociali e la coesistenza con chi possiede un background culturale diverso dal nostro, sia dal punto di vista linguistico che storico che socioculturale e socioeconomico (Rychen, 2007, 124). Il ruolo della scuola appare fondamentale

1 Il progetto DeSeCo, lanciato nel 1997 dall’OCSE, rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per le interpretazioni relative ai risultati dell’insegnamento e dell’apprendimento. Inoltre, in maniera ancora più significativa a livello sociale, accerta “come i giovani sono pronti e preparati ad affrontare le sfide della vita [e] contribuisce alla definizione delle competenze che dovranno essere considerate prioritarie quando i programmi di formazione e di insegnamento verranno riformati e riorganizzati” (Ceriani, 2007, 11).

84


SIRD • Ricerche

per insegnare ed apprendere pratiche di incontro, nonché per riflettere intorno ai modi in cui le differenze vengono costruite e percepite (Giroux, 1992). Come recentemente sottolineato da Chiari non c’è apprendimento senza democrazia, senza cooperazione democratica e non c’è democrazia senza reale apprendimento cognitivo e metacognitivo. La democrazia nel mondo attuale – globale – ha un bisogno estremo di persone capaci di pensare, di persone che sappiano stare assieme e che sappiano fare e ragionare assieme (Chiari, 2011, 70).

Tuttavia, gli ostacoli che spesso ancora si incontrano a scuola, e in particolare nella scuola secondaria di secondo grado, ancora molto strutturata per discipline tra loro poco “dialoganti”, sono molti. L’abitudine al particolarismo e all’individualismo è inveterata e difficile da mettere in discussione, non solo tra i docenti, ma anche tra gli studenti. Le parole dei docenti raccontano, pertanto, di contesti e di esperienze quotidiane, fatti spesso di fatica nel pensare e nel progettare (nonché, come vedremo, nel valutare) in un modo “altro”, in grado di privilegiare la cooperazione all’interno della diversità, la condivisione di idee e punti di vista e il potenziale conflitto che ne derivano rispetto a pratiche individualistiche e meramente competitive. La sfida per gli educatori è, quindi, creare le condizioni per cui gli studenti possano superare i confini dei propri pregiudizi per sperimentare altre modalità di percepire e leggere la diversità (Slavin & Cooper, 1999, 1-2).

2. Lavorare a scuola con il Cooperative learning Il metodo che più di altri fa della cooperazione la propria ragion d’essere è il cooperative learning, dal quale può, almeno potenzialmente, prendere vita quello che Bay (2008, 5) definisce come “un nuovo fascio di sfumature energetiche che compongono un’identità rinnovata, appassionata, ‘integralizzata’”. Il cooperative learning può essere definito, infatti, pur nella differenza dei vari approcci che lo caratterizzano2, come un metodo “a mediazione sociale” che, senza escludere la possibilità di momenti di lavoro individuale o competitivo, riconosce come risorsa principale dell’insegnamento-apprendimento l’interazione tra gli studenti, in particolare per risolvere compiti complessi, sfidanti e reali che richiedono una varietà di risorse e processi cognitivi di ordine superiore. Nello stesso tempo, le strategie proposte dal cooperative learning possono essere considerate tra le più innovative per trasformare la crescente diversità presente nelle classi un punto di forza (Slavin, 1995). La centralità attribuita all’interazione tra studenti è infatti fondamentale per imparare a realizzare quelle “forme di attenzione e rispetto” (Gobbo, 2010, 7) che richiamano l’importanza, da un punto di vista educativo e politico, di imparare ad ascoltare, a riflettere su, a confrontarsi con le esperienze diverse dalla propria. Il cooperative learning si propone pertanto, oltre che come buona pratica scolastica, anche come buona pratica culturale e, dunque,

2 Le differenze tra i vari approcci del cooperative learning sono state discusse da diversi autori (Gillies & Ashman, 2003; Comoglio, 1996; Sharan, 1980, 2002; Slavin 1991, 1995), che hanno rilevato in essi specificità e punti in comune. Rispetto ai punti in comune, tutti gli approcci riconoscono la centralità all’interno del metodo dei seguenti punti: interdipendenza positiva, interazione promozionale faccia a faccia, insegnamento diretto delle abilità sociali, responsabilità individuale e di gruppo, valutazione individuale e di gruppo.

85


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

anche civica e civile (Gobbo, 2010, 8). Dal punto di vista degli effetti del cooperative learning sul piano dell’apprendimento numerose meta-analisi hanno concluso che il cooperative learning tende a promuovere rendimenti più alti rispetto alle metodologie di lavoro tradizionale generalmente basate su modalità di apprendimento competitivo o individualistico in tutti i livelli di età, in tutte le materie e in quasi tutti i compiti scolastici (Johnson, Maruyama, Johnson, Nelson & Skon, 1981; Qin, Johnson & Johnson, 1995; Slavin, 1980; 1983; 1991). In particolare questo avviene utilizzando la Group Investigation e il Jigsaw (Johnson, Johnson & Stanne, 2000). Altri studi hanno inoltre preso in considerazione altri aspetti del Cooperative learning rispetto allo sviluppo sociale, constatando un miglioramento a livello di motivazione all’apprendimento, di relazioni interpersonali e interetniche (Johnson et al. 1981; Johnson & Johnson, 2002; Nastasi & Clements 1991; Sharan & Sharan, 1994; Sharan, 1980; Sharan & Shachar, 1980; Slavin, 1991, 1995). Rispetto a ciò, le evidenze da ricerche sperimentali hanno spesso contestualizzato positivamente i principi della teoria del contatto (Allport, 1954). Con un ristretto numero di eccezioni, si è infatti dimostrato che quando si realizzano nella classe le condizioni per un contatto “positivo”, in particolare quando gli studenti possono apprendere cooperativamente gli uni dagli altri riconoscendosi come “individui” piuttosto che appartenenti ad uno o ad un altro gruppo, appaiono più inclini a stabilire relazioni e amicizie al di fuori del proprio gruppo “etnico”. In pratica, in particolare in contesti multiculturali e in riferimento al raggiungimento di condizioni di equità nei contesti educativi (Banks, 1995; 2005; 2008; Cohen, 1994; Cohen & Lotan, 1997; Cohen et al., 1999), è necessario promuovere con studenti “la scoperta dell’imparare con l’altro come risorsa” (Triani, 2002, 229). Perché questo avvenga è necessario fare dell’uguaglianza educativa non solo un fine, ma anche una condizione necessaria per realizzare più alti livelli di apprendimento, come proposto – seppur con modalità diverse dalla Complex Instruction, dal Jigsaw e, più in particolare, dalla Group Investigation. Ciò che accomuna questi approcci è la centralità del compito assegnato e delle caratteristiche che esso deve possedere. Esso dev’essere sufficientemente “complesso” e strutturato in modo da richiedere “una molteplicità di abilità” (Cohen, 1999, 132). Se infatti, come previsto dalla Complex Instruction (Cohen, 1999), un compito assegnato ad un gruppo richiede abilità cognitive, capacità e competenze diverse, il risultato è uno “scardinamento” delle aspettative all’interno del gruppo classe rispetto alle differenze di status, che si perpetuerebbero nel momento in cui, assegnato un compito, si proponesse agli studenti di lavorare in base a quelle che ritengono essere le loro capacità o caratteristiche. Infatti, quando lavorano cooperativamente, gli studenti hanno l’opportunità di confrontarsi in base a ciò che hanno effettivamente conseguito in relazione al compito assegnato al gruppo piuttosto che sulla base di stereotipi (McLemore & Romo, 1998). Nel Jigsaw3 (Aronson et al., 1978) gli studenti lavorano in gruppi eterogenei su una parte di materiale che è stata assegnata dall’insegnante. Il materiale da studiare è suddiviso in sezioni complete in se stesse. All’interno di ciascun gruppo, dopo una breve discussione, i membri si suddividono le parti su cui lavorare. Dopo un termine fissato, i membri di gruppi diversi che hanno letto la stessa parte del materiale formano un gruppo di esperti. Essi si ritrovano per preparare una presentazione per il proprio gruppo e quindi ritornano nel loro gruppo per “insegnare” ai compagni le parti che hanno

3 Per ragioni di spazio facciamo qui riferimento al Jigsaw I (originario), che ha tuttavia avuto alcuni sviluppi nel Jigsaw II (Clarke, 1994; Slavin, 1988b;VanSickle & Bailey, 1995) e III (Steinbrink, Walkiewicz & Stahl, 1995).

86


SIRD • Ricerche

studiato. Anche questa modalità di lavoro si rivela estremamente utile all’interno di un contesto multiculturale, come rivelato da alcune ricerche condotte da Blaney e altri (Blaney et al., 1977). Anche nella Group Investigation (Sharan & Sharan, 1992) è l’obiettivo – ovvero il ricercare insieme – che “cementa” il gruppo. Per rispondere al problema di ricerca che viene formulato in forma più generale dall’insegnante e sviscerato dagli studenti in relazione anche ai propri interessi, gli studenti devono lavorare in stretta collaborazione tra loro, costruendo un senso di impegno verso il gruppo e il suo progetto, ricorrendo alla suddivisione del lavoro e ad abilità di elaborazione in gruppo. Riprendendo le parole di Sharan (2010, 36), possiamo concludere che in alcune situazioni di cooperative learning come, in particolare, il Jigsaw, la Complex Instruction e la Group Investigation, si propongono agli studenti questioni rilevanti e plurivalenti che invitano a una varietà di soluzioni, le quali permettono agli studenti di cercare informazioni nuove connettendo la loro esperienza e background personale con le nuove informazioni che scoprono e che sono loro insegnate. L’apprendimento è così negoziato in un ambiente rispettoso, che permette loro di avere il tempo necessario per imparare come fare connessioni significative fra il loro mondo e il mondo della scuola (Ibidem, 36).

Tuttavia, un modo inedito di lavorare presuppone anche un ripensamento sulle forme più “tradizionali” di valutazione, che è un elemento spesso considerato discriminante rispetto alla partecipazione degli allievi all’attività cooperativa. Il cooperative learning, infatti, mentre riconosce la centralità della valutazione individuale, valorizza appieno anche la valutazione di gruppo, sia a livello di obiettivi prestabiliti prima del lavoro sia a livello delle attività cooperative come controllo e revisione del lavoro. Se è vero infatti, come sottolineato da Comoglio che “il cooperative learning privilegia la valutazione individuale rispetto a quella di gruppo” e che “nella filosofia del metodo, il gruppo è considerato solo un mezzo o uno strumento operativo che media l’apprendimento dei singoli” (Comoglio, 1996, 187), è pur vero che un bilanciamento tra valutazione individuale e valutazione di gruppo è fondamentale. In altri termini, la questione è dare il giusto rilievo alle responsabilità individuali, che non devono sparire all’interno del gruppo, facendo contemporaneamente “apparire”, in particolare nel momento della valutazione, l’importanza di aver svolto quel compito in gruppo e non da soli, valutando anche le abilità auspicabilmente via via sempre maggiori di lavorare insieme. Pertanto, non è il mero lavorare in gruppo che costituisce il cooperative learning (Johnson, Johnson & Holubec, 1993). L’apprendimento diventa effettivamente cooperativo quando si creano le situazioni per cui i risultati individuali vengano potenziati proprio dall’aver lavorato in gruppo (Slavin, 1995; Slavin & Cooper, 1999). Il problema non è di poco conto, perché su questo si gioca, in qualche modo, l’autenticità del lavorare insieme, anche per gli studenti. Vari approcci del Cooperative learning hanno tentato di rispondere a questo problema. Slavin (1989, 9-10; 1996, 13) sottolinea, ad esempio, che è fondamentale creare le condizioni per cui il gruppo o i gruppi della classe siano ricompensati sulla base del comportamento dei membri di ciascun gruppo, utilizzando quindi un programma di valutazione – oltre che di insegnamento – altamente strutturato (De Vries & Slavin, 1978). Tuttavia anche questa “interdipendenza di valutazione” può creare difficoltà (Triani, 2002, 228 – 229), in primo luogo rispetto al rapporto tra responsabilità individuale e responsabilità di gruppo per cui ciascuno, all’interno di un percorso di lavoro di tipo cooperativo, è responsabile del proprio lavoro e, potremmo aggiungere, dei propri risultati, ma lo è – in qualche misura – anche del lavoro e dei risultati degli altri. La criticità è più evidente quando il risultato degli altri è negativo e questo ha una “ricaduta” all’interno di tutto il gruppo. Inoltre, l’interdipendenza

87


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

di valutazione si muove sul piano della valutazione estrinseca e quindi limitarsi a questo potrebbe significare andare contro ai principi stessi dell’apprendimento cooperativo. Quali strategie e strumenti, quindi, possono essere identificati in risposta alle resistenze più frequenti e significative da parte degli insegnanti ad includere in fase di verifica e valutazione giudizi “collettivi”? Questa è stata la nostra domanda di ricerca e a cui abbiamo cercato di dare una risposta attraverso la voce degli insegnanti.

3. La ricerca in corso L’indagine che viene di seguito presentata è inserita all’interno di un progetto di ricerca più ampio volto a ricercare se, attraverso percorsi didattici strutturati con il cooperative learning (in particolare con l’approccio della Group Investigation), le studentesse e gli studenti maturino, nella loro stessa percezione e nella percezione dei loro insegnanti, atteggiamenti di maggiore apertura verso la diversità. I soggetti della presente indagine sono un gruppo di 17 insegnanti, appartenenti a cinque istituti diversi (liceo linguistico, istituto tecnico industriale, istituto professionale per l’agricoltura) di Verona e provincia (Damini, 2011). Il fine del progetto all’interno del quale è inserito questo filone di indagine è quello di aiutare gli insegnanti a prendere maggiore coscienza della realtà in cui essi si trovano ad operare, sostenendoli nel progettare, osservare e gestire processi interculturali all’interno del proprio “lavoro sul campo” in una logica di ricerca-azione. Il tema della valutazione all’interno di percorsi cooperativi è stato “caldo” sin dall’inizio della ricerca e per questo più volte accennato e ripreso nel corso della ricerca-azione. È stato dando voce a questa situazione problematica e “perturbante”, capace di generare incertezza e instabilità che abbiamo tentato di individuare – lavorando con gli insegnanti – delle strategie e degli strumenti per fare della valutazione un momento “democratico” all’interno della pratica didattica cooperativa. Agli insegnanti è stato quindi proposto di rispondere ad un’intervista on line con le seguenti domande: 1. Quali strategie e strumenti hai utilizzato nel valutare le attività di Cooperative learning? Quali sono i punti di forza di questa strategia e di questi strumenti di valutazione? 2. In quale misura ritieni valido valutare il gruppo nel suo complesso e in quale misura ritieni necessario effettuare valutazioni individuali e come possono essere effettuate (sia in riferimento alla valutazione individuale sia in riferimento al gruppo)? 3. Che opinioni ritieni possano avere i tuoi colleghi che non usano strategie cooperative e i tuoi alunni in relazione alla dimensione gruppo-individuo nelle attività di Cooperative learning? Sapresti identificare posizioni diverse in questi due gruppi? In che modo queste posizioni potrebbero evolversi nelle interazioni con insegnanti esperti di Cooperative learning? 4. Che cosa ti aiuterebbe a valutare meglio?

L’intervista on line è servita come stimolo per avviare una discussione su queste tematiche e per meglio esplicitare pensieri e opinioni rispetto al tema della valutazione, e in particolare della valutazione in contesti “cooperativi”. Successivamente agli stessi insegnanti è stato proposto un focus group in cui sono stati trattati gli stessi temi. Dopo aver proceduto ad una prima riflessione individuale, infatti, è stato possibile passare alla condivisione delle risposte,

88


SIRD • Ricerche

che ha permesso di passare da un piano più didattico (“Come organizzo io, in quanto insegnante, il problema della valutazione”) ad uno più “metadidattico” sul significato della valutazione anche come possibile “agente di cambiamento”. Questo lavoro previo di riflessione ha evitato di cadere in una delle criticità che si manifestano con frequenza nell’utilizzo dei focus group. Infatti, pur configurandosi come strumento di ricerca particolarmente utile per esplorare in modo approfondito le opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti della collettività, per approfondire le motivazioni sottostanti al pensiero ed al comportamento umano (Zammuner, 2003), è talvolta penalizzato da una certa tendenza al conformismo nelle risposte di chi vi partecipa. Lo spazio della riflessione individuale ha, quindi, aiutato gli insegnanti a rielaborare concetti ed esperienze che sono poi stati condivisi in gruppo. Dal punto di vista strettamente metodologico, tutte le risposte sono state trascritte ed analizzate, in modo da evidenziare all’interno di esse delle “unità analitiche”, formate da parole, frasi, brevi paragrafi (Semeraro, 2011, 104), che fossero all’interno del discorso maggiormente ricorrenti o significative. In un secondo momento, sono state confrontate queste “unità analitiche” con quanto emerge dalla letteratura di riferimento, relativa, in particolare, alla Group Investigation e alla Complex Instruction e, più specificamente, a quanto emerge a partire da questi due approcci rispetto al tema della valutazione. Come si evince da alcuni rilievi già espressi poco sopra, ciò che accomuna questi due approcci è, prima di tutto, l’attenzione per la valutazione in itinere. Per quanto riguarda la Group Investigation, questo significa che ad ogni fase dello sviluppo della ricerca di gruppo (Sharan & Sharan, 1992) può corrispondere una fase di verifica individuale degli apprendimenti acquisiti da ciascuno studente rispetto al proprio specifico “ambito di ricerca” all’interno del percorso di ricerca di gruppo. La valutazione finale potrà prendere atto di queste rilevazioni, e tenerne conto, pur non limitandosi ad una “somma di valutazioni”. Come già detto, un momento qualificante per la Group Investigation e, contemporaneamente, un aspetto importante per la valutazione del percorso è la presentazione del lavoro da parte del gruppo: agli studenti viene chiesto di evidenziare gli apporti di ciascun membro del gruppo alla realizzazione del lavoro finale. In questo modo l’interdipendenza di risorse, materiali e idee viene davvero valorizzata e diventa conditio sine qua non per la realizzazione del lavoro. Inoltre, nel momento della presentazione la valutazione è davvero “ponderata”: al voto finale concorrono sia il risultato nella prestazione individuale, sia il lavoro svolto con il gruppo, sia l’opinione dei compagni degli altri gruppi che, in base a criteri precedentemente stabiliti, valutano anch’essi il lavoro dei compagni. Essendo i criteri per la valutazione dei lavori prodotti dai gruppi i medesimi in tutta la classe, è evidente che mentre gli studenti valutano il prodotto degli altri studenti non possono non riflettere sul proprio, connettendo quindi così valutazione e autovalutazione. Per quanto riguarda la Complex Instruction, l’enfasi viene posta sul processo di apprendimento (e non solo sulla verifica finale). Per gli insegnanti si tratta di una “conversione intellettuale” (Triani, 1998, 261). La Complex Instruction prevede che un compito venga progettato in maniera il più possibile complessa a partire da un’idea unitaria (Big Idea). Compito dell’insegnante è progettare percorsi all’interno di gruppi eterogenei che richiedano di risolvere questioni complesse mettendo in atto abilità multiple. Ciò che l’insegnante deve aver chiaro sin dall’inizio sono, da un lato, i contenuti che devono essere acquisiti e, dall’altro, attraverso quali strumenti sia possibile raggiungere gli obiettivi di apprendimento, prevedendo anche dei materiali di lavoro differenziati, in modo che tutti possano contribuire al compito proposto al gruppo. In questo modo le attività in classe vengono ri-orientate in modo da non essere finalizzate solo all’acquisizione di conoscenze e a favorire la disposizione a “pensare e agire in modo flessibile” (Wiggins & McTighe, 2004, 71; Chiarle, 2008, 200). Ciò ha evidenti implicazioni per le modalità di valutazione: una verifica finale “unica” e uguale per tutti non può essere sufficiente. L’insegnante è chiamato a strutturare prove che

89


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

evidenzino ciò che chi apprende “sa fare con ciò che sa” (Wiggins, 1993, 50) e che “possono richiedere agli studenti di utilizzare processi di pensiero più complesso, più impegnativo e più elevato” (Comoglio, 2002). La prova di valutazione può essere svolta individualmente o può includere attività strutturate con metodologie del cooperative learning, purché sia chiaro e specificato il contributo che ciascuno ha apportato ai risultati finali. Come nella Group Investigation, la valutazione non si esaurisce con la prova finale. Al fine di valorizzare la riflessione sul processo si utilizzano strumenti di rilevazione, per esempio “griglie” con indicatori, che possano aiutare gli insegnanti e gli studenti a monitorare i propri progressi. Queste “rubriche” vengono condivise con gli studenti che possono in questo modo “auto-valutare” il proprio processo di apprendimento, tenendo conto di aspetti diversi del processo stesso. L’importanza dell’autovalutazione è messa in luce anche dalla normativa, in particolare nel DPR 22 giugno 2009: la valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo.

Tali rubriche di valutazione possono evidenziare le modalità di costruzione collettiva dei saperi, una delle competenze chiave richiamate dal già citato DeSeCo, esplicitata come imparare a “interagire in gruppi sociali eterogenei” (Rychen, 2007, 123). E’ evidente che si tratta di una modalità di valutazione “complessa”, che invita a prendere in considerazione una “pluralità di sguardi” sui medesimi studenti, e sollecita a collaborare fra insegnanti anche in spazi diversi da quelli istituzionali del consiglio di classe e del collegio docenti: “affinché l’originalità e l’innovazione possano emergere, occorre che il campo modifichi la sua struttura” (Santagata, 2007, 48-52). Le risposte degli insegnanti alle interviste aiutano a contestualizzare e dare concretezza alle osservazioni sopra riportate sia in termini di nuovi modi di valutare a partire dai due approcci cooperativi, sia per quel che riguarda l’utilizzo di spazi diversi in cui condividere riflessioni a carattere valutativo. In particolare, i punti salienti che emergono dalle interviste con gli insegnanti sono i seguenti: rispetto alle resistenze: - necessità di un voto individuale per ogni studente; - difficoltà di trovare strumenti che valutino il processo; - difficoltà ad osservare (e quindi a valutare) tutti i ragazzi; - scarsa conoscenza delle dinamiche di gruppo e di gestione dei possibili conflitti; - tempi scolastici troppo concitati; - rischio della deresponsabilizzazione degli studenti all’interno del lavoro di gruppo; - senso di solitudine nel cercare nuovi modi per lavorare (e valutare); rispetto alle strategie adottate: - progettare lavori che siano alla fine un “mosaico” e non una “somma” di lavori; - evidenziare (in prima battuta) agli studenti che lavorare insieme “conviene” anche a livello di risultati scolastici; - mettere in relazione il voto individuale con quello di gruppo in modo che cresca l’interdipendenza;

90


SIRD • Ricerche

- progettare attività “complesse” in cui i compagni debbano essere considerati risorse (e non potenziali avversari); - scindere (soprattutto dal punto di vista temporale) osservazione e valutazione; - per quanto possibile, coinvolgere più colleghi nell’osservazione; - condividere tra colleghi quanto viene osservato per affinare insieme le proprie strategie; - individuare dei momenti in cui parlare con gli studenti, finalizzati a far emergere il vissuto su agio-disagio rispetto al lavoro di gruppo nello sforzo di identificare – attraverso l’individuazione di situazioni concrete – cause e possibili soluzioni alle difficoltà del lavorare insieme. Le considerazioni che gli insegnanti hanno riportato ci sembrano significative, anche in riferimento a quanto emerge in letteratura rispetto a cooperative learning e valutazione, in particolare in contesti multiculturali. Se confrontiamo quanto emerge dalle risposte con quanto detto rispetto alla letteratura su Group Investigation e Complex Instruction, i punti che gli insegnanti richiamano come strategie fanno riferimento prima di tutto alla necessità di ripensare la valutazione come un processo e non come il momento finale di un’attività (aspetto, questo, spesso trascurato nella pratica didattica quotidiana). Questo implica – come evidenziato da Cohen (1999) – la necessità di trovare e condividere strumenti (tipicamente griglie per l’osservazione e per l’auto-osservazione da parte degli studenti) per valutare il processo, al fine da distinguere il momento dell’assessment (“raccolta di informazioni sullo studente”) dall’evaluation (“valutazione”). La distinzione è importante non solo perché richiede all’insegnante durante il percorso dell’apprendimento di stabilire feedback frequenti agli studenti (Comoglio, 2006, 189), ma anche perché presuppone un confronto tra colleghi, che devono necessariamente accordarsi su che cosa, quando, come osservare e condividere i risultati dell’osservazione, e con gli studenti, che diventano più consapevoli del proprio rendimento. In che termini le griglie di osservazione possano rientrare nell’on-going assessment? Le griglie di osservazione permettono all’insegnante di “registrare” non solo ciò che accade, ma anche come si evolvono gli apprendimenti. Un passo previo riguarda la decisione su cosa osservare, sia in relazione a come lo studente si pone di fronte al compito assegnato, sia rispetto a come interagisce con i compagni in merito al compito, aspetti ripresi nelle griglie di osservazione generate dai lavori di Johnson e Johnson (1996). All’interno di un contesto multiculturale significa guadagnare una pluralità di informazioni e di punti di vista rispetto allo stesso studento, aspetto importantissimo in particolare in contesto multiculturale, in cui le aspettative generali tendono a produrre profezie che si auto-avverano, spesso deleterie per gli studenti percepiti o che si percepiscono con status inferiore (Cohen, 1999). Un altro elemento importante sta nel tentativo – attraverso l’uso di griglie di osservazione condivise – di osservare non solo quanto gli studenti stanno apprendendo, ma anche come gli studenti stanno apprendendo, vedendo quindi quali relazioni vengono istaurate nei gruppi, quali sono i punti di forza e di debolezza individuali, senza aspettare la conclusione dell’attività per rendersi conto della qualità del lavoro o dei problemi incontrati. La possibilità di un tempo “distribuito” è un aspetto fondamentale nella classe multietnica, in cui la problematicità di valutare gli studenti in difficoltà – in molti casi proprio quelli stranieri – è determinata dall’incertezza nel “vedere” le loro abilità pregresse e i loro progressi, con il rischio di generalizzare tali difficoltà. Così, all’interno di un lavoro ad alta complessità e strutturazione si può potenzialmente verificare da un lato che ogni membro sia spinto a dare il proprio contributo per la riuscita del compito (sperimentando che lavorare insieme è “conveniente”) e dall’altro che l’osservazione in itinere diventi più fattibile e la va-

91


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

lutazione più completa e, in una certa misura, più “democratica”. Non è da tralasciare, inoltre, che se gli studenti sono più coinvolti nelle varie fasi del lavoro può essere richiesto un loro maggior coinvolgimento nella fase finale, in cui essi possono concorrere alla valutazione del “mosaico” uscito dalle loro attività. Per questo la Group Investigation non esclude forme di valutazione ponderata tra docenti e studenti. Ancora una volta, in contesto multiculturale questa “presa di parola” assume una valenza estremamente forte tale da non essere sottovalutata.

4. Limiti della presente indagine e considerazioni conclusive Il principale limite della presente indagine è certamente costituito dal ristretto numero di interviste effettuato. Tuttavia, il fatto di aver scelto di restringere il campo e di condurle su alcuni “testimoni privilegiati” ci ha permesso di effettuare alcune interessanti considerazioni. Un primo aspetto emergente, e che sicuramente potrebbe essere esteso a gran parte del personale della scuola, in particolare in questo delicato momento storico, riguarda la difficoltà a realizzare percorsi realmente cooperativi a scuola, sia per limitazioni contingenti (poco tempo, classi numerose…) che gli insegnanti ben esplicitano tanto nelle interviste quanto nel focus group. Tuttavia, essi sottolineano spesso come certe rigidità si associno a modelli e “repertori interiorizzati” da cui, seppur con fatica, essi cercano, con una buona dose di coraggio, di uscire, dando fiducia a nuovi modelli educativi, di conoscenza, di socializzazione centrati proprio sulla parità degli allievi adolescenti, sulla vicinanza, sulla interdipendenza (Chiari, 2011, 71).

Facendo riferimento e attualizzando questi modelli è possibile fare della scuola non solo un luogo di costruzione della conoscenza, ma anche di co-costruzione della stessa sulla base della condivisione di strumenti e strategie e del proprio background anche culturale. Contemporaneamente, un aspetto importante pare proprio che sia la maturazione di strumenti e strategie “nuovi”all’interno di un percorso di ricerca-azione. Come sottolineato da Chiari: L’acquisizione dei valori di cooperazione è un viaggio lungo ed implica un grosso lavoro personale e di gruppo. Riuscire a mettere insieme in modo corretto i numerosi elementi teorici del modello cooperativo è arte da buoni insegnanti che assumono l’impegno, la responsabilità, la determinazione di stare assieme, di sperimentare in prima persona che cosa vuol dire cooperare. […]. Non possiamo insegnare con il modello dell’apprendimento cooperativo ai ragazzi se noi non lo abbiamo imparato, capito a fondo, creduto, allenato, sperimentato con i compagni di viaggio – i colleghi – in modo corretto: questo è possibile, ma è una precondizione non facile nella società attuale. Non si può partire da soli e andare in modo individualistico verso il modello di cooperazione (Chiari, 2011, 71).

In gioco c’è la coerenza tra obiettivi e valori, che è uno dei prerequisiti della coerenza democratica e, in particolare, della pratica educativa. È la coerenza dunque che spinge a lavorare a fondo, partendo lentamente e dando un grandissimo valore agli elementi di feedback, di retroazione, di valutazione, di verifica, di monitoraggio, di riflessività, che diventano centrali anche e soprattutto nel momento della valutazione.

92


SIRD • Ricerche

Riferimenti bibliografici Allport G. (1954). The nature of prejudice. Cambridge M.A.: Addison Wiley. Aronson et al. (1978). The Jigsaw classroom. Beverly Hills, CA: Sage. Banks J.A. (1995). Handbook of research on multicultural education. New York: Macmillan. Banks J. A., et al. (2005). Democracy and diversity: Principles and concepts for educating citizens in a global age. Seattle: Center for Multicultural Education, University of Washington. Banks J.A. (2008). Diversity, Group Identity, and Citizenship Education in a Global Age. Educational Researcher, 37, (3), pp. 129-139. Bay M. (2008) (a cura di). Cooperative Learning e scuola del XXI secolo. Confronto e sfide educative, dell’editore. Roma: LAS. Blaney N. T. et al. (1977). Interdependence in the classroom: A field study. Journal of Educational Psychology, 69, pp. 121-128. Bottani N. (2007). La scuola di fronte allo “tsunami” delle competenze. In D.S. Ryken, L. Hersh Salganik (a cura di), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole (pp. 27-44). Milano: Franco Angeli. Canto-Sperber M., Dupuy J.P. (2001). Competencies for the good life and the good society. In D.S. Rychen, L.H. Salganik (eds.), Defining and Selecting Key Competencies (pp. 228-231). Göttingen: Hogrefe & Huber. Ceriani A (2007). Presentazione dell’edizione italiana. In D.S. Ryken, L. Hersh Salganik (a cura di), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole (pp. 11-14). Milano: Franco Angeli. Chiari G. (2011). Educazione interculturale e apprendimento cooperativo.Teoria e pratica della educazione tra pari. Quaderno 57. Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Trento. Chiarle A. (2008). Progettare apprendimenti significativi e percorsi individualizzati in letteratura con il cooperative learning. In M. Bay (a cura di), Cooperative Learning e scuola del XXI secolo. Confronto e sfide educative (pp. 247-291). Roma: LAS. Clarke J. (1994). Pieces of the puzzle:The Jigsaw method. In S. Sharan (Ed.), Handbook of Cooperative learning methods. (pp. 34-50). Westport, CT: Greenwood Press. Cohen E. G., Lotan R. A. (Eds.) (1997). Working for equity in heterogeneous classrooms: Sociological theory in practice. New York: Teachers College Press. Cohen E.G., Lotan R.A., Scarloss B.A., Arellano A. R. (1999). Complex instruction: Equity in cooperative learning classrooms. Theory into Practice, 38, pp. 80-86. Comoglio M., Cardoso M. (1996). Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative learning. Roma: LAS. Comoglio M. (2002). La valutazione autentica. Orientamenti pedagogici, 49 (1), pp. 93-112. Damini M. (2011). Costruire competenze interculturali attraverso il Cooperative learning: un percorso di ricerca-azione nella scuola secondaria di secondo grado. Giornale Italiano della Ricerca Educativa, 7, pp. 23-38. De Vries D.L., Slavin R.E. (1978). Teams-games-tournament (TGT) in the elementary classroom: A replication. (Report No. 190). Baltimore, MD: Johns Hopkins University. Gillies R.M., Ashman A.F. (2003). Co-operative learning:The Social and Intellectual Outcomes of Learning in Groups. London, UK: Routledge Falmer. Giroux H. (1992). Border crossing: Cultural workers and the politics of education. New York: Routledge. Gobbo F. (2010). Il Cooperative learning nelle società multiculturali. Una prospettiva critica. Milano: Unicopli. Halász G., Michel A. (2011). Key Competences in Europe: interpretation, policy formulation and implementation. European Journal of Education, 46, 3, pp. 289-306. Johnson D.W. (1981). Student-student interaction: The neglected variable in education. Educational Research, 10, pp. 5-10. Johnson D.W., Maruyama G., Johnson R.T., Nelson D., Skon L. (1981). Effects of cooperative, competitive, and individualistic goal structures on achievement: A meta analysis. Psychological Bulletin, 89, pp. 47-62.

93


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Johnson D.W., Johnson R.T. (1981). Effects of cooperative and individualistic learning experiences on interethnic interaction. Journal of Educational Psychology, 73, pp. 444-449. Johnson D.W., Johnson R, Maruyama G. (1983). Interdependence and interpersonal attraction among heterogeneous and homogeneous individuals: A theoretical formulation and a meta-analysis of the research. Review of Educational Research, 53, pp. 5-54. Johnson D.W., Johnson R.T. (1987). Learning togheter and alone. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. Johnson D. W., R. T. Johnson E. J. Holubec. (1993). Circles of Learning: Cooperation in the Classroom. Edina, MN: Interaction Book. Johnson D.W. & Johnson R.T. (1996). Meaningful and manageable assessment through cooperative learning. Edina, MN: Interaction Book Company. Johnson D.W., Johnson R.T. (2002). Cooperative learning methods: a meta-analysis. Journal of Research in Education, 12, pp. 5-24. Johnson D. W., Johnson R. T., Stanne M.B. (2000). Cooperative learning Methods: A Meta-Analysis. Estratto da: http://www.tablelearning.com/uploads/File/EXHIBIT-B.pdf. McLemore S. D., Romo H. D. (1998). Racial and ethnic relations in America (5th ed.). Boston: Allyn and Bacon. Nastasi B.K., Clements D.H. (1991). Research on cooperative learning: Implications for practice. School Psychology Review, 20, pp. 110-131. Qin Z., Johnson D.W., Johnson R.T. (1995). Cooperative versus competitive efforts and problem solving, Review of Educational Research, 65(2), pp. 129-143. Rychen D.S. (2007). Competenze chiave: affrontare le sfide importanti della vita. In D.S. Ryken, L. Hersh Salganik (a cura di), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole (pp. 103-141). Milano: Franco Angeli. Santagata W. (2007). La fabbrica della cultura. Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese. Bologna: Il Mulino. Sharan S. (1980). Cooperative learning in Small Groups: Recent Methods and Effects on Achievement, Attitudes, and Ethnic Relations. Review of Educational Research, 50 (2), pp. 241-271. Sharan Y., Sharan S. (1992). Expanding cooperative learning through group investigation. New York:Teachers College Columbia University. Sharan Y., Sharan S. (1994). Group Investigation in the cooperative classroom. In S. Sharan (Ed.). Handbook of Cooperative learning methods (pp. 97-114). Westport, CT: Greenwood Press. Sharan S. (2002). Differentiating methods of cooperative learning in research and practice. Asia Pacific Journal of Education, 22, pp. 106-116. Sharan Y. (2010). Cooperative learning: un approccio pedagogico diversitificato per classi eterogenee. In F. Gobbo (a cura di). Cooperative learning nelle società multiculturali: Una prospettiva critica (pp. 2338). Milano: Unicopli. Semeraro R. (2011). L’analisi qualitativa dei dati di ricerca in educazione. Rivista della Società Italiana di Ricerca Didattica, 7, pp. 97-106. Slavin R.E. (1980). Cooperative learning. Review of Educational Research, 50, pp. 315-342. Slavin R.E. (1988). Student Team Learning: An overview and practical guide. Washington, DC: National Educational Association. Slavin R.E. (1989) A theory of school and classroom organization. In R.E. Slavin, School and Classroom organization (pp. 3-21). Hillsdale, NJ: Erlbaum. Slavin R.E. (1991). Synthesis of research on cooperative learning. Educational Leadership, 48, pp. 7182. Slavin R. E. (19952). Cooperative learning: Theory, research, and practice. Boston: Allyn & Bacon. Steinbrink, Walkiewicz & Stahl. Slavin R.E. (1996). Research on Cooperative learning and achievement: What we know, what we need to know. Contemporary Educational Psychology, 21, pp. 43-69. Slavin R.E., Cooper R. (1999). Improving Intergroup Relations: Lessons Learned From Cooperative learning Programs. Journal of Social Issues, 55 (4), p. 647-663. Triani P. (1998). Il dinamismo della coscienza e della formazione. Il contributo di Bernard Lonergan ad una “filosofia” della formazione. Milano:Vita e Pensiero.

94


SIRD • Ricerche

Triani P. (2002). Il metodo cooperativo. In L. Guasti (a cura di), Apprendimento e insegnamento. Saggi su metodo (pp. 199-238). Milano: Vita e Pensiero. VanSickle R.L., Bailey S.K. (1995). Jigaw II: Cooperative learning with “Expert group” specialization in language arts. In R.J. Stahl (Ed.), Cooperative learning in language arts. A handbook for teachers (pp. 139-157). Menlo Park, CA: Addison-Wesley Publishing Company. Wiggins G. (1993). Assessing student performance: Exploring the purpose and limits of testing. San Francisco, CA: Jossey-Bass. Wiggins G.., McTighe J. (2004). Fare progettazione. La “teoria” di un percorso didattico per la comprensione significativa. Roma: LAS. Zammuner V. (2003). I focus group. Bologna: Il Mulino. Riferimenti normativi D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122 (in GU 19 agosto 2009, n. 191) – Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti e ulteriori modalita’ applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169. D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89 – Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. (10G0111).

95


Ricerche Qualità nella scuola: il ben-essere come nuova frontiera educativa Quality school: well-being as a new educational challenge ALESSANDRA CAVALLO La presente ricerca, è parte di un più ampio progetto internazionale intitolato: “Promoting Psychological Well-Being Globally” (Nastasi, 2004) nato dallo scopo studiare le definizioni di ben-essere a partire dai significati espressi da specifici stakeholders: studenti, insegnanti, genitori, Dirigenti scolastici e psicologi dell’età evolutiva. L’utilizzo di focus group e di interviste ha permesso di esplorare le dimensioni oggetto di indagine. I risultati raggiunti dalla ricerca dimostrano come l’influenza positiva di una buona relazione con gli insegnanti e con i genitori, agisca sulla capacità di adattamento scolastico e psico-sociale del bambino e dell’adolescente. Gli esiti della ricerca ci offrono, da questo punto di vista, informazioni che potrebbero tradursi in linee progettuali tali da sollecitare una fattiva collaborazione tra Dirigenti, insegnanti, studenti e famiglie, nella costruzione di un ambiente scolastico, in cui si stimoli la libertà d’espressione ed il rispetto reciproco.

This contribution represent the Italian part of a large international project titled: Promoting Psychological Well-Being Globally (Nastasi, 2004). The purpose of this international project is to develop definitions of students well-being and healthy schools, based on perspectives of key stakeholders: students, parents, teachers, school administrators, child psychologists. Data collection activities were carried out through qualitative data collection techniques including focus group and individual interviews. Results show the positive influence of a good relationship with teachers and parents (as a support and presence of positive communication), is acting on the capability to the psycho-social adaptation of child and adolescents. Such information may in fact result in lines as design active collaboration between school administrators, teachers, students and families in building school environment, which stimulate the freedom of expression and mutual respect.

Parole chiave: ben-essere, educazione, infanzia ed adolescenza, focus group, ecomappa, interviste

Key words: well-being, education, childhood and adolescence, focus group, eco-map, interview.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

96


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Contesto della ricerca: il piano teorico Questa ricerca è parte di un più ampio progetto internazionale intitolato: “Promoting Psychological Well-Being Globally”. Tale iniziativa nasce come un vero e proprio tentativo di collaborazione fra diversi ricercatori e psicologi scolastici provenienti da svariate nazioni. Questa proposta è stata sviluppata dall’International Iniziative Commitee (Coordinatrice, Bonnie Nastasi), fortemente supportata dall’ International School Psychology Association e dalla Society for the Study of School Psychology (Nastasi, 2004). I partners di ricerca provengono da più di venti nazioni nel mondo: Australia, China, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, India, Irlanda, Israele, Italia, Latvia, Libano, Messico, Porto Rico, Romania, Russia, Slovacchia, Sri Lanka, Turchia, Gran Bretagna, Stati Uniti. L’obiettivo di questo progetto è lo studio delle definizioni di ben-essere psicologico a partire dai significati espressi da specifici stakeholders: studenti, insegnanti, genitori, Dirigenti scolastici e psicologi dell’età evolutiva. Il progetto vuole rappresentare un primo passo verso la comprensione del ben-essere psicologico degli studenti in una prospettiva socio-culturale. Tale analisi è di fatto finalizzata allo sviluppo di susseguenti programmi di miglioramento dello star bene degli studenti, attraverso la promozione di cambiamenti individuali di sistema (Pyhältö, 2009). Per evitare un’imposizione implicita di nozioni fortemente ancorate ad una dimensione occidentale delle concezioni di ben-essere, i diversi collaboratori si sono impegnati a condurre le proprie ricerche all’interno delle proprie nazioni di residenza avendo cura di cogliere le reali concezioni di ben-essere psicologico di bambini ed adolescenti (Nastasi, 2005). Ad ogni partner di ricerca è stato chiesto di raccogliere dati nel proprio stato e/o nella propria comunità locale attraverso l’utilizzo di metodologie qualitative che includono focus group ed interviste, strettamente correlate all’indagine dei costrutti legati ai significati del ben-essere di bambini ed adolescenti. La scelta di privilegiare, in questa fase esplorativa della ricerca, metodologie di tipo qualitativo, è avvenuta perchè è stato ritenuto di importanza centrale poter puntare sull’analisi delle dimensioni di un ambiente scolastico salutare che riesca a riflettere il linguaggio e la terminologia locale per ciascun gruppo di stakeholder (Nastasi, 2007). La seguente pianificazione di ricerca riflette una cornice di sviluppo ecologico nella concettualizzazione del ben-essere (Nastasi et al., 1998). Procedere attraverso una logica di tipo ecologico significa ipotizzare una struttura relazionale secondo la quale la dinamica delle connessioni fra gli attori che fanno parte del sistema scolastico influisca sul modo di concepire il ben-essere individuale in termini di percezione del sé, competenze e risorse personali (Christenson & Sheridan, 2001). In tal senso, il processo educativo attento alla salute ed al ben-essere degli studenti, si fa processo regolativo dello sviluppo sia cognitivo sia etico-sociale, delineandosi nella sua funzione centrale e complessa. È educazione come coltivazione di sé, come sviluppo orientato ad una cultura, come modello regolativo da programmare e da verificare costantemente, nell’obiettivo di dare fondamenta ad una società globale, caratterizzata dalla piena cittadinanza attiva e responsabile di tutti (Cambi, 2010). Lo specifico della pedagogia in questo ambito, è sia individuale che sociale ed è ascrivibile ad una forma di cura che non pone l’accento sulla patologia, ma sostiene individui e gruppi in vista di un equilibrio del sé e di una integrazione sociale (Rossi, 2004). In questo contesto la cura pedagogica si lega a tecniche psico-sociali legate all’ascolto, all’organizzazione, alla ri-pianificazione di progetti di sé e di ruoli sociali, ma soprattutto ad interventi di risveglio delle potenzialità attraverso interventi educativi connotati dal coinvolgimento, dall’ascolto e dal sostegno socio-emotivo. Qui la pedagogia svolge un compito specifico: di affiancamento della persona, di chiarifica-

97


SIRD • Ricerche

zione degli obiettivi indispensabili per la formulazione di un progetto di vita e nel sostegno per il raggiungimento degli stessi. C’è in atto un’azione pedagogica complessa che si innerva nella società, che promuove un’azione che attiva modelli di cura olistici centrati sulla capacità di sviluppare una dialettica dentro ai microgruppi sociali (la famiglia, la scuola, il gruppo classe) che faccia crescere gli individui in modo da renderli più forti e assicuri, nel promuovere il loro progetto esistenziale, la propria gerarchia di valori e l’immagine del sé (Palmieri, 2003). Allora, tra mente e cuore, la pedagogia procede all’elaborazione un proprio modello di cura, diverso da quello medico o da quello psicologico, se pure intrecciato con tutti questi. Questo modello è contrassegnato dal sostegno, dal dialogo e dall’aiuto ed è capace di ridefinire costantemente i propri percorsi di pensiero e di azione e di tutelare il proprio compito di azione (individuale e sociale ad un tempo), definendo li prendere il proprio posto tra le pratiche di cura, un posto sempre più diffuso ed attivo. La categoria dell’attenzione verso il ben-essere individuale e sociale si pone dunque su di una frontiera aperta e trasversale della pedagogia in quando disciplina capace di affinare il concetto e le pratiche di formazione e di educazione, declinandole nel loro statuto attuale e nella loro complessità. Ogni fenomeno può essere effettivamente compreso solo se osservato all’interno del suo campo fenomenico, quando le diverse componenti che costituiscono un insieme non sono separabili, quando c’è un tessuto interdipendente ed interattivo tra le parti per cui non è possibile capire un fenomeno se non all’interno di questa complessità. Per superare questa difficoltà, è necessario adottare una lettura globale ed integrata di un particolare fenomeno attraverso il metodo critico-dialettico, per sviluppare l’attitudine a organizzare le conoscenze, integrarle, connetterle, cercando nessi, relazioni, retroazioni per ogni fenomeno e tra il fenomeno ed il contesto che lo comprende.

2. Obiettivi e metodologia Gli obiettivi generali di questo progetto di ricerca sono sostanzialmente due. Il primo obiettivo si riferisce alla possibilità di identificare e capire le differenti concezioni di ben-essere psicologico espresse dai vari stakeholders, ovvero studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, insegnanti degli stessi ordini di scuola, genitori, Dirigenti scolastici e psicologi dell’età evolutiva. Il secondo obiettivo riguarda invece l’opportunità di descrivere e di capire le definizioni di ambiente scolastico salutare, espresse dai principali soggetti interessati. Questi obiettivi si articolano poi in cinque domande di ricerca: • Cos’è il ben-essere psicologico? • Che cos’è, che cosa definisce un ambiente scolastico salutare? • Quali fattori influenzano lo star bene di bambini ed adolescenti? • Qual è il ruolo giocato dalla scuola nella promozione del ben-essere psicologico dei propri allievi? • Quali sono le vie effettive attraverso le quali poter promuovere il ben-essere psicologico di bambini ed adolescenti? L’impostazione sistemica di questo studio si riflette in particolar modo nel tipo di composizione degli stakeholders che hanno partecipato alle diverse attività di raccolta dei dati. In termini di composizione numerica i gruppi di partecipanti sono stati suddivisi in modo seguente:

98


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012 In termini di composizione numerica i gruppi di partecipanti sono stati suddivisi in m bambini dai 6 ai 11 anni (16 femmine e 16

• Nm= 64 studenti totali, di cui N = 32 bambini dai 6 ai 11 anni (16 femmine e 16 maschi), • N = 32 bambini dai 12 ai 17 anni (16 femmine e 16 maschi) . • N = 32 genitori (16 genitori di bambini frequentanti la scuola primaria e 16 genitori di adolescenti che frequentano la scuola secondaria). • N = 32 insegnanti (16 di scuola primaria e 16 di scuola secondaria superiore). • N = 5 Dirigenti scolastici. • N = 5 psicologi scolastici. • Le caratteristiche socio-demografiche dei i partecipanti sono riassunte nelle tabelle che seguono. T Studenti: n. 64 Età

6-8 9-11 12-14 15-17

Identità di Genere

Grado

Femmine Maschi Primaria Secondaria I Grado Secondaria II Grado

Titolo di studi del padre

Titolo di studi della madre

Tipologia di lavoro padre

Tipologia di lavoro madre

Scuola dell’obbligo Scuole Secondarie Laurea Scuola dell’obbligo Scuole Secondarie Laurea Bassa (operaio/ artigiano) Media (impiegato/ insegnante) Alta (professionista/ dirigente) Bassa (operaia/ artigiana) Media (impiegata/ insegnante) Alta (professionista/ dirigente)

Frequenze

Percentuali

16 16 16 16

25 25 25 25

32 32

50 50

32 16 16

50 25 25

17 34 13

25 54 21

10 40 14

15 63 12

14 35 15

22 54 24

19 36 9

30 57 13

Tab. 1 – Caratteristiche socio-demografiche degli studenti

99


SIRD • Ricerche

Insegnanti: n.32 Età

40 50 60

Frequenze 8 14 10

Percentuali 25 44 31

Identità di Genere

Femmine Maschi

28 4

88 12

Livello di Istruzione

Scuole Secondarie Laurea

15 17

47 53

Abilitazione

Scuola Primaria Scuola Secondaria

17 15

53 47

Anni di insegnamento

1-10 10-20 + di 20

19 9 4

59 28 13

Tab. 2 – Caratteristiche socio-demografiche degli insegnanti

Genitori: n. 32 Età

40 50 60

Frequenze 4 24 4

Percentuali 12,5 75 12,5

Identità di Genere

Femmine Maschi

27 5

84,4 15,6

Titolo di studi del padre

Scuola dell’obbligo Scuole medie superiori Laurea

5 6 11

15,6 50 34,4

Titolo di studi della madre

Scuola dell’obbligo Scuole medie superiori Laurea

6 16 10

15 50 35

Tipologia di lavoro padre

Bassa (operaio/ artigiano) Media (impiegato/ insegnante) Alta (professionista/ dirigente)

7 12 13

21 38 41

Tipologia di lavoro madre

Bassa (operaia/ artigiana) Media (impiegata/ insegnante) Alta (professionista/ dirigente)

9 17 6

28 53 19

Situazione Familiare

Sposati Divorziati Genitori Single

25 6 1

78 19 3

Tab. 3 – Caratteristiche socio-demografiche dei genitori

100


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Dirigenti scolastici: n. 5

Frequenze

Percentuali

40 50 60

0 2 3

0 40 60

Identità di Genere

Maschi Femmine

2 3

40 60

Anni di esperienza

4-10 10-20 + di 20

1 1 3

20 20 60

Età

Tab. 4 – Caratteristiche socio-demografiche dei Dirigenti scolastici

Psicologi: n. 5

Frequenze

Percentuali

Età

40 50 60

1 2 2

10 45 45

Identità di Genere

Maschi Femmine

4 1

80 20

Anni di esperienza

4-10 10-20 + di 20

2 2 1

45 45 10

Tab. 5 – Caratteristiche socio-demografiche degli psicologi dell’età evolutiva

L’utilizzo di focus group e di interviste ha permesso di esplorare le dimensioni oggetto di indagine. In particolar modo gli studenti di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, divisi in piccoli gruppi di 4 o 8 partecipanti, sono stati coinvolti in due sessioni di raccolta dei dati. Durante la prima sessione, di focus group, si sono seguiti tre passi fondamentali. In primo luogo ogni sessione iniziava con delle considerazioni di carattere generale in cui ogni studente potesse fornire le proprie opinioni rispetto alla descrizione di un buono (e non buono) studente; amico; cittadino; genitore ed insegnante. In un secondo momento ai partecipanti è stato chiesto di focalizzare la loro attenzione sulle emozioni. Senza fornire alcuna definizione o lista di emozioni a cui fare riferimento, la discussione si è svolta effettuando un breve brainstorming riguardante i sentimenti e le emozioni comunemente provati e poi, per ogni categoria di emozioni individuate, sono state poste domande riferibili a che cosa facesse provare loro queste emozioni e quali caratteristiche ne determinassero il riconoscimento e la l’espressione. Infine ai partecipanti è stato chiesto di focalizzare l’attenzione solo sulle emozioni negative segnalate. Dalla lista di emozioni sono state individuate alcune fonti di stress comuni, ed è stato chiesto come si sentissero nel provare queste

101


SIRD • Ricerche

emozioni, come reagissero, come chiedessero aiuto e quale effetto avesse in genere esperire queste emozioni negative. In una seconda sessione di raccolta dati, ogni gruppo di studenti ha proceduto alla elaborazione di un disegno, l’ecomappa, che potesse fungere da stimolo di partenza per la conduzione di un’intervista individuale riguardante le fonti di stress e di supporto (Nastasi, 2006). L’ecomappa in letterature viene concepita come uno strumento grafico di ricerca. Le ecomappe sono diagrammi che rappresentano individui o gruppi all’interno del proprio contesto di appartenenza (Varjas, 2005). Esse permettono al partecipante di illustrare la natura del rapporto, le energie veicolate, le fonti di supporto e le risorse che mantengono le relazioni. Questo strumento viene utilizzato come un metodo di comunicazione interdisciplinare, perché fornisce un linguaggio comune ed una comprensione della situazione relazionale del partecipante. Le ecomappe vengono utilizzate in quelle ricerche che riconoscono studenti e famiglie come membri attivi della comunità scolastica, i quali possiedono emozioni, sentimenti e relazioni che possono influenzare le abilità di performance a scuola e le modalità con cui gli studenti maturano e si preparano a diventare cittadini attivi. Le ecomappe sono dei diagrammi, che mostrano visivamente lo studente, le sue relazioni familiari e le altre relazioni significative. Sono in genere utilizzate nelle ricerche sociali per raffigurare e riassumere la varietà di influenze reciproche esistenti tra il partecipante all’indagine e le persone che con esso sono in relazione. Ogni ecomappa è sensibile alla dimensione temporale, nel senso che ogni elaborazione grafica riflette l’insieme delle relazioni della persona in un particolare momento. Infatti, durante l’elaborazione delle ecomappe, ogni partecipante è invitato a disegnare se stesso e le persone che appartengono alla sua vita, e a descrivere la relazione tra lui e queste persone tramite linee che rappresentano la natura di tali connessioni (Nastasi, 2000). Le ecomappe rappresentano la visione di insieme delle relazioni che ogni individuo intrattiene con le persone che appartengono al proprio ambiente di vita dimostrando allo stesso tempo il flusso o la mancanza di fonti di supporto e di risorse (Green, 1999). Ogni studente, dopo aver disegnato la propria ecomappa, è stato invitato a descriverne il contenuto selezionando all’interno della mappa una relazione supportiva o una relazione stressante e di raccontare una storia riguardante i momenti in cui ha provato tali emozioni. I focus group sono inoltre stati utilizzati per sondare le opinioni di insegnanti e genitori, riguardanti le caratteristiche di un ambiente scolastico capace di promuovere il ben-essere degli studenti. Insegnanti e genitori sono stati suddivisi in piccoli gruppi distinti da 4 o 8 partecipanti. Le sessioni di discussione di gruppo hanno seguito due passi principali. In un primo momento ai partecipanti sono state sottoposte domande di carattere generale riguardanti le aspettative nutrite verso i propri studenti ed i propri figli, il ruolo giocato da genitori ed insegnanti nell’aiutare lo sviluppo dei propri studenti e dei propri figli ed il ruolo giocato dalla comunità di appartenenza. In seguito la discussione si è maggiormente focalizzata sulle fonti di stress e di supporto esperite a insegnanti e genitori. Le interviste a Dirigenti scolastici e psicologi, sono invece state condotte con lo scopo specifico di fare emergere possibili definizioni di ben-essere psicologico. Le domande che hanno composto il protocollo dell’intervista hanno riguardato le caratteristiche di una scuola attenta al ben-essere psicologico dei propri allievi, il ruolo giocato dalla scuola e le possibili vie effettive con le quali si potrebbe promuovere il ben-essere degli studenti.

102


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

3. Analisi dei dati e risultati Le discussioni avvenute durante i focus group, le narrazioni associate alle ecomappe, e le interviste effettuate con i Dirigenti scolastici e gli psicologi dell’età evolutiva, sono state audioregistrate e successivamente sbobinate, in modo da poter procedere all’analisi dei testi scritti. I dati raccolti, sono stati sottoposti ad un processo di codifica dei significati espressi, mediante l’uso del software per l’analisi dei testi ATLAS.ti. L’analisi dei testi ottenuti tramite la trascrizione delle discussioni di gruppo e dei commenti individuali alle ecomappe, si è avvalsa di una strategia top-down, cioè si sono scelti codici di analisi preesistenti a livello teorico che hanno orientato poi, la ricerca di citazioni nei testi da analizzare. Il processo di attribuzione di un’etichetta alle porzioni di testo sulla base del tema oggetto di indagine si è articolata avvalendosi del seguente sistema di codici: competenze; difficoltà di adattamento; emozioni; stress; fattori di supporto; reazione allo stress; reazione al supporto; ruolo; socializzazione; definizione di ben-essere psicologico (Nastasi, 1998). Di seguito, la presentazione dei dati si focalizzerà sui fattori di stress e di supporto e sulle definizioni di ben-essere psicologico. Per quanto riguarda le fonti di stress esperite dagli studenti, le analisi dei dati hanno permesso di osservare come le maggiori fonti di stress siano ascrivibili a due sfere principali: quella scolastica e quella amicale. Le responsabilità scolastiche come le interrogazioni ed i compiti e le sensazioni correlate alla competizione ed alla paura di prendere un brutto voto; sembrano generare fra i partecipanti una costante sensazione di impotenza rispetto alla propria capacità di gestione degli eventi. Per quanto riguarda invece la sfera degli amici, uno dei maggiori motivi di stress vissuti dai partecipanti sarebbe ascrivibile alla possibilità di perdere un amico e di subire tradimenti ed esclusioni, che sfociano in una sorta di divisione del gruppo classe in una serie di gruppetti caratterizzati da una carenza di comunicazione e dall’incapacità di entrare in relazione reciproca. Le reazioni allo stress descritte dagli studenti sono generalmente indicate come una sorta di blocco e di chiusura emotiva e funzionale, che porta all’assunzione di atteggiamenti apatici e alla perdita di interesse, che spesso potrebbe tradursi in una sorta di tentativo di conformarsi alle aspettative del gruppo di appartenenza per evitare il confronto. Lo stress allontana, genera conflitti che portano a rompere le amicizie e a commettere azioni sbagliate nei confronti degli altri. In altri casi, invece, lo stress determina un generale senso di inibizione, di impossibilità ad esprimere tutte le potenzialità personali. Questo sfocia nuovamente in un desiderio di restare in disparte ed in isolamento. Per quanto riguarda i fattori di supporto esplicitati dagli studenti, il dialogo sembra essere descritto come una delle principali fonti di sostegno. Il dialogo, si definirebbe secondo i partecipanti, come la possibilità di essere ascoltati e di potersi confrontare liberamente con chi ha maggiore esperienza. Il supporto, si definirebbe invece come la sensazione di avere energie da spendere, il godere di libertà di azione, l’assumere un atteggiamento positivo, che poggia sulla possibilità di esprimersi liberamente e di poter godere di una progressiva autonomia. Per quanto riguarda invece i risultati ottenuti tramite le attività di raccolta dati effettuate con i genitori, le difficoltà che questo gruppo di partecipanti si trova ad osservare, sembrano sottolineare la portata stressogena di situazioni scolastiche caratterizzate da un’assenza di dialogo e da scarsa partecipazione. Secondo i genitori coinvolti, i maggiori stress vissuti dai propri figli, sarebbero attribuibili ad una eccessiva disciplina, un atteggiamento di superiorità della classe docente e al non saper come rimediare ai brutti voti. I genitori, riferendosi alle difficoltà da affrontare, paiono tutti concordare con un diffuso senso di incertezza. L’incertezza viene descritta come una condizione in cui i ragazzi, avendo la chiara sensazione di

103


SIRD • Ricerche

non poter contare su delle sicurezze ed evitando un confronto costruttivo con la realtà, si sentano quasi invitati a vivere il presente come se tutto fosse possibile. Questi giovani infatti, sembrano programmare la propria vita incuranti dei potenziali pericoli e rischi che appartengono alla nostra società. Rispetto alle fonti di supporto, i genitori paiono attribuire alla scuola un ruolo rilevante nell’aiutare lo sviluppo dei propri figli. Ciò che sembra determinare un maggiore sostegno per i propri figli è la partecipazione degli insegnanti nella creazione di un progetto di vita comune, in cui gli studenti possano sentire di essere capiti ed accolti e possano essere motivati a dare il loro meglio in un contesto collaborativo, in cui gli altri assumono la funzione di risorsa. Certo un tale tipo di accordo educativo, passa attraverso un reciproco riconoscimento di ruoli e responsabilità, ma anche attraverso l’accettazione della libertà individuale di ciascuno. Per i genitori coinvolti, sembra essere essenziale che la proposta dei saperi disciplinari si affianchi alla trasmissione di strategie utili ad apprendere corrette modalità di espressione delle emozioni. Una grossa importanza viene rivestita dal contesto familiare, inteso come luogo in cui poter trovare una presenza adulta capace di fornire supporto incondizionato e motivazione. La famiglia svelerebbe la sua valenza positiva soprattutto nel momento in cui i ragazzi in essa possano sperimentare la presenza di adulti emotivamente centrati e capaci di reagire con calma, adulti che sappiano facilitare la realizzazione di sé. Per quanto riguarda invece gli stress vissuti dagli insegnanti essi sembrano essere collegati alla necessità di dover progettare un lavoro di classe in cui possano trovare risposta le diverse esigenze degli alunni. Questo aspetto, insieme alla difficoltà di dover gestire numerosi impegni personali e professionali, è esasperato da alcune difficoltà che configurano la professionalità docente di oggi. Tali aspetti sono riscontrabili nella mancanza di riconoscimenti, nella mancanza di prospettive, ma soprattutto nel non conoscere metodologie diverse da quelle normalmente utilizzate in classe e, di conseguenza, nel non sapere come affrontare i problemi che alcuni alunni mostrano relativamente all’apprendimento. Gli insegnanti lamentano situazioni in cui sono chiamate a reindirizzare continuamente l’operato delle famiglie e a trovare momenti in cui sia possibile comunicare con i genitori. Questa situazione getta l’insegnante in una condizione di chiusura in cui sente di non riuscire a capire le esigenze dei propri alunni. Parecchio difficoltoso appare poi il rapporto professionale con i colleghi che non condividono gli stessi presupposti didattici e con i quali pare sia difficile esperire la stessa motivazione a realizzare un insegnamento efficace. I fattori di supporto descritti dagli insegnanti sembrano riferirsi alla possibilità di condividere le problematiche e nel riuscire a trovare momenti per fermarsi a riflettere e discutere insieme. Grande importanza sembra essere data alle dimensioni che appartengono alla collaborazione con colleghi e con i genitori, ed alla creazione di un ambiente rilassato in cui possa essere dato spazio ad emozioni positive ed alla presa in carico dello studente, un ambiente caratterizzato dall’assenza di tensione e dalla partecipazione attenta a riflettere sulla qualità della vita di ciascuno a scuola. Per quanto riguarda i risultati emersi dalle interviste svolte con i Dirigenti Scolastici il ben-essere potrebbe essere definito come un atteggiamento positivo di fronte al mondo. Questo costrutto verrebbe concepito dai Dirigenti come una dimensione da esplorare, una condizione che si costituirebbe a seguito di una somma di piccole scoperte. Il ben-essere inoltre verrebbe definito come una finalità integrata negli obiettivi formativi della scuola, rappresentando in questo modo una sorta di equilibrio tra la vita fisica, la vita psichica e spirituale, equilibrio che deve essere stimolato attraverso un’attenzione alla qualità della proposta educativa veicolata dalla scuola. Secondo i Dirigenti il ruolo della scuola nella promozione del ben-essere dei propri stu-

104


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

denti sarebbe riferibile alla capacità della stessa, di prendere in carico i bisogni di ciascun alunno facendo emergere in essi abilità e competenze utili ad un buon adattamento. Tale ruolo si eserciterebbe nella capacità di coltivare relazioni costruttive fra studenti e docenti e nel curare il rapporto scuola-famiglia. In tal senso appare importante definire le reciproche assunzioni di ruolo e valorizzare le differenze individuali. Ciò che sembra importante per i Dirigenti coinvolti è stimolare la domanda “come voglio essere adulto” nei ragazzi, e “come voglio essere insegnate” nei docenti. In tal senso a scuola sarebbe importante creare possibilità di comunicazione e di contatto in cui studenti e professori possano riflettere sulle proprie reciproche responsabilità. Gli psicologi coinvolti nelle attività di raccolta dati sembrano infine definire il ben-essere come una dimensione individuale e sociale in cui la persona sente di star bene con se stessa e con gli altri. Il ben-essere rappresenterebbe inoltre una tensione verso il conoscere se stessi, un conoscersi per avere consapevolezza degli eventi. Il ben-essere di bambini ed adolescenti verrebbe visto quindi come un punto di arrivo e sarebbe correlato alla possibilità di sentire di avere a disposizione una fonte di protezione sempre accessibile. Il ben-essere però non coinciderebbe con un costrutto stabile, perché ha di fatto a che fare con la cultura di riferimento. Esso potrebbe essere meglio concepito come una finalità sociale che varia a seconda della dimensione valoriale di riferimento. Ciò che pare emergere dalle interviste effettuate con gli psicologi, è il ruolo della scuola concepita come luogo di socializzazione e di tutela dello sviluppo. In tal senso, a scuola si dovrebbero creare spazi e momenti in cui gli alunni possano capire come diventare protagonisti della propria vita. La scuola verrebbe vista come il contesto entro cui imparare a star bene, anche perché la relazione con un adulto consapevole come l’educatore, può fungere da relazione preventiva e, in alcuni casi, correttiva. Anche senza declinare l’educazione al ben-essere in specifiche tematiche, ciò su cui paiono convergere le osservazioni degli psicologi è relativo al fatto che in generale l’alunno a scuola dovrebbe imparare come costruire un personale modello di sicurezza interna. La scuola, pertanto, dovrebbe assumersi la responsabilità di fare propria una prospettiva in cui il benessere venga concepito come una finalità sociale articolata nel sostegno funzionale all’attività degli studenti.

4. Conclusioni I risultati raggiunti dalla ricerca dimostrano soprattutto come la salute e il ben-essere siano da ritenere come il frutto dell’interazione di un soggetto, biologicamente peculiare, con il suo ambiente in un contesto sociale che permette l’attivazione delle competenze personali. La scuola attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (POF) dovrebbe integrare in un’unica strategia educativa e formativa, la dimensione didattica e disciplinare con quella psico-sociale, relazionale ed etica, orientata a formare la persona e il cittadino. Il ben-essere, quindi, dovrebbe essere inteso come una dimensione globale e trasversale dell’essere a scuola e del fare scuola. In accordo con quanto sta recentemente emergendo in letteratura, in riferimento a ciò che viene definito Pedagogical Well-Being (Pyhältö, 2010), l’obiettivo ben-essere dovrebbe diventare un indicatore, oltre che un fattore di successo della scuola. Come tale, l’interesse al ben-essere degli studenti dovrebbe essere presente in tutte le componenti della comunità scolastica che possono esercitare una funzione di sostegno al loro sviluppo. Il principio guida di qualunque modello, dovrebbe quindi essere quello di sintonizzarsi con le istanze interne degli allievi per intercettarne i bisogni e le potenzialità. Gli esiti della ricerca, in linea con

105


SIRD • Ricerche

quanto riscontrato dagli altri partners internazionali (Nastasi, 2011) ci offrono da questo punto di vista, informazioni che potrebbero tradursi in linee progettuali tali da sollecitare una fattiva collaborazione tra Dirigenti, insegnanti, studenti e famiglie, nella costruzione di un ambiente scolastico, in cui si sviluppino progetti di educazione al ben-essere, inteso come occasione formativa tesa a sviluppare e rafforzare pensieri e pratiche capaci di superare le visioni parcellizzate di cui sono portatrici le singole attività, per recuperare un disegno di insieme e di processo che restituisca il senso degli interventi in funzione degli obiettivi e della mission dell’organizzazione scuola. Ciò fa sì che si possa immaginare un progetto pedagogico che abbia a cuore il ben-essere e la qualità della vita dei soggetti, occupandosi della loro istruzione ma anche della loro educazione, tutelando la salute e lo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto, psicosociale (Hoyle, 2008). Da qui deriva l’importanza di identificare i fattori contestuali legati alle dinamiche relazionali all’interno della classe: i soli sui quali le risorse e le competenze dei diversi attori del sistema scolastico possono agire con la massima efficacia. A questa reinquadratura corrispondono modi originali di pensare e di agire che possono contribuire a realizzare lo “star bene a scuola”, vale a dire favorire condizioni relazionali che garantiscano un ben-essere sufficiente affinché docenti e allievi possano svolgere bene ed efficacemente il lavoro richiesto. Il ben-essere a scuola non è fine a se stesso, ma è una condizione che serve a garantire a docenti e allievi buoni presupposti per svolgere il loro compito principale, insegnare ed apprendere. Nella scuola, la qualità della vita è data dalla costruzione di un clima di relazioni che favorisca la crescita personale ed un sereno apprendimento dei giovani. È necessario, pertanto, determinare un confronto positivo e aperto tra gli studenti e tra gli studenti e gli adulti, dove i rapporti comunicativi e relazionali siano significativamente improntati all’autenticità, al rispetto dell’altro, alla responsabilità individuale e all’identificazione positiva.

Riferimenti bibliografici Cambi F. (2010). La cura di sé come processo formativo. Roma: Laterza. Christenson S. L., Sheridan S.M. (2001). School and Families: creating essential connection for learning. New York: Guilford Press. Green L.W., Kreuter M.W. (1999). Health Promotion Planning: An Educational and Ecological Approach. Palo Alto: Mayfield Publishing. Hoyle T. B., Samek B., Valois R. F. (2008). Building Capacity for the Continuous Improvement of Health-Promoting Schools. Journal of School Health, 78, 1, pp. 1-9. Nastasi B. K., Borjas A., Cadenhead C., Cavallo A., Clinton A., Morillas C., Varjas K., Leonard A. (2011). Proceedings from 33th ISPA Conference: Educational Psychology in the Context of Globalization, Diversity and Societal challenges. Chennai: VIT. Nastasi B. K., Hitchcock J. H., Burkholdera G.,Varjasc K. (2007). Assessing Adolescents’ Understanding of and Reactions to Stress in Different Cultures, Results of a Mixed-Methods Approach. International School Psychology, 28, 2, pp.163-178. Nastasi B. K. (2006). Multicultural Issues in School Psichology. Philadelphia: Haworth Press. Nastasi B. K., Schensul S. L. (2005). Contributions of qualitative research to the validity of intervention research. Journal of School Psychology, 43, pp.1 77-195. Nastasi B. K., Moore R. B., Varjas K. M. (2004). School-Based Mental Health Services: Creating Comprehensive and Culturally Specific Programs. Washington, DC: American Psychological Association. Nastasi B. K.,Varjas K., Bernstein R., Jayasena A. (2000). Conductin participatory culture-sopecific consultation: a global perspective on multicultural consultation. School Psychology Review, 29, 3, pp. 400-413.

106


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Nastasi B. K.,Varjas K., Sarkar S., Jayasena A. (1998). Participatory model of mental health programming: Lessons learned from work in a developing country. School Psychology Review, 27, 2, pp. 260-276. Palmieri C. (2003). La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare. Milano: Franco Angeli. Pyhältö K. (2009). Proceeding of 13th EARLI Conference: Fostering Communities of Learners. Digital Book of Abstract: www.earli2009.org Pyhältö K., Soini T., Pietarinen J. (2010). Pupils’ pedagogical well-being in comprehensive school significant positive and negative school experiences of Finnish ninth graders. European Journal Psychology of Education, 25, pp. 207-221. Rossi B. (2004). L’educazione dei sentimenti. Prendersi cura di sé, prendersi cura degli altri. Milano: Unicopli. Varjas K., Nastasi B. K., Bernstein Moore R., Jayasena A. (2005). Using ethnographic methods for development of culture-specific intervention. Journal of School Psychology, 43, pp. 241-258.

107


Ricerche Misurare la competenza lessicale in contesto specifico attraverso prove di cloze Measuring lexical competence in specific context through cloze tests ANDREA ZINI In questa sede si espongono alcuni risultati di uno studio esplorativo sull’uso di prove di cloze di tipo mirato costruite seguendo procedure automatizzabili per selezionare parole di uso peculiare in un ambito specialistico (nel caso in questione, quello della Medicina riabilitativa). La principale domanda di ricerca riguarda l’efficacia di questo strumento per la verifica della competenza lessicale degli studenti in relazione a un testo di studio universitario e al lessico del campo di discorsi al quale il testo appartiene. L’analisi dei risultati ai cloze-test posti a confronto con altre prove somministrate in concomitanza, evidenzia relazioni positive con l’estensione del patrimonio terminologico del lettore misurato fuori contesto e con il livello delle conoscenze specifiche possedute sul tema.

The exploratory study reported in this article examined the use of the rational-deletion cloze procedure combined with corpus analysis to select words in the specialized language of a discipline (in the present case, Rehabilitation Medicine) that have a peculiar frequency of use in comparison to the use they have in common language. The main research question concerns the effectiveness of this test for measuring the extent to which learners can handle the relevant vocabulary while reading discipline specific texts. A positive relationship was found with concurrent measurements of thecnical vocabulary and prior knowledge on the topic.

Parole chiave: cloze test; competenza lessicale; vocabolario tecnico; linguaggio specialistico; testo di studio; università.

Key words: cloze test; lexical competence; technical vocabulary; language for specific pourposes; academic text; university.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

108


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Il contesto della ricerca I dati presentati in questo studio sono stati raccolti nel corso di attività condotte dall’Unità di ricerca insediata nel Dipartimento di Educazione e Scienze umane dell’Università di Modena e Reggio Emilia nell’ambito del progetto “adaptive-message learning” (Firb 2009 – 2013;Vertecchi, 2010). Il progetto ha l’obiettivo di mettere a punto un ambiente adattivo di istruzione in rete, cioè un sistema esperto capace di effettuare una ricognizione delle competenze degli studenti e di differenziare la proposta di apprendimento secondo le esigenze individuali. In particolare, il sistema che è allo studio del progetto provvede all’adattamento della formulazione verbale dei testi di studio sulla base della competenza lessicale dei singoli destinatari, stimata sia attraverso l’analisi delle interazioni che avvengono nell’ambiente di istruzione in rete, sia attraverso l’analisi delle risposte a prove di cloze informatizzate. Le prove di cui si dirà nel seguito sono state costruite secondo criteri differenti da quelli che utilizza il sistema attualmente adottato nel progetto Firb, la cui costruzione è affidata ad un dispositivo automatico, sviluppato all’interno del Dipartimento di Progettazione Educativa e Didattica dell’Università Roma Tre (Agrusti, 2010), che consente a chi lo utilizza di definire in base a misure di frequenza d’uso riferite a un corpus specifico la categoria delle parole lessicali da nascondere nei testi selezionati per costruire le prove di cloze mirato.

2. Alcune premesse su lessico e comprensione 1. Assunta la distinzione tra termini e parole, «i termini dotati di significati determinati, le parole dotate di significati indeterminati e dilatabili nell’uso per estensioni e metafore», si può affermare che «in un campo di discorsi quanto maggiore è il ricorso a termini, tanto maggiore è la quota di tecnicità e scientificità» (De Mauro, 1988, 14). Ciò non comporta né che i termini siano «parole di fisionomia diversa dall’ordinario», né che il repertorio sia esteso, ma «comporta solo che molta parte dei discorsi deve essere costruita con termini ben definiti, anche tratti da un repertorio assai ristretto». 2. La letteratura attesta l’importante relazione che lega la conoscenza del vocabolario alla capacità di comprensione del testo, per quanto questa relazione non vada intesa ingenuamente: conoscere il significato delle singole parole non assicura necessariamente la comprensione dei contenuti espressi o impliciti di un testo (inteso come discorso coeso e coerente), che implica altri processi, e così di converso, una limitata disponibilità lessicale non compromette sempre la comprensione (Oakhill, Cain, Bryant, 2003).

3. Contenuti e strumenti della valutazione: parole in contesto e cloze-test mirato Il cloze-test è una prova composta da quesiti a completamento. Il compito consiste nel leggere e completare un testo dal quale è stato cancellato un certo numero di parole. Il tipo classico del test è quello con lacune disseminate ad intervalli regolari (normalmente, di cinque oppure sette parole), che l’esaminato deve colmare ripristinando esattamente la forma originale (correzione con chiave rigida) o comunque integrare con parole adeguate (cor-

109


SIRD • Ricerche

rezione in base a criteri di accettabilità semantica). L’altro tipo di procedura cloze, denominato rational deletion (“mirato”, negli studi in lingua italiana), è quello in cui è stabilita a priori non la distanza fra le lacune ma la natura delle parole da eliminare, per esempio limitando la scelta ad una classe grammaticale o ad altra categoria che deve essere comunque possibile descrivere in modo oggettivo (secondo W.Taylor, 1953, l’autore che per primo ha codificato il cloze-test). Nel cloze di tipo classico è normale che il formato dei quesiti sia quello con risposta aperta, mentre nel caso del cloze mirato è comunemente utilizzato anche quello con risposte a scelta multipla, cioè si offre una lista di alternative di risposta in calce al testo. Gli studi che si sono occupati della prova di cloze sono numerosi, soprattutto in ambito anglofono, e numerose sono le applicazioni e le varianti attestate (formali e di contenuto). J.R. Bormuth (1967) ha sviluppato l’applicazione della tecnica alla valutazione della difficoltà dei materiali didattici e della comprensione della lettura. L’esperienza in lingua italiana (Lucisano, 1989; 1993) conferma la validità del cloze per le stesse rilevazioni, oltre ad esplorarne le potenzialità come strumento didattico (Marello, 1989; Salerni, Siniscalco, 1991). Il cloze test è stato ampiamente utilizzato come test linguistico “integrato” (Oller, 1979) adatto alla valutazione globale del livello di competenza (proficiency) ed esistono anche in questo campo importanti applicazioni e studi in lingua italiana (Grassi, Nuzzo, 2011). Presso i ricercatori che si sono interessati a questa tecnica, sembra prevalente la descrizione del cloze come di un tipo di prova che «mette in gioco una rete di abilità che vanno dalla conoscenza della sintassi a una più ampia capacità di contestualizzare il discorso e di utilizzare sia meccanismi di lettura top-down, sia meccanismi di controllo bottom-up» (Lucisano, 2010, 31). Peraltro, in letteratura si trovano evidenze a sostegno di diverse ipotesi riguardo a quali abilità linguistiche siano misurabili con prove di cloze con cancellazioni “a tasso fisso” (una rassegna in lingua italiana è in Chiari, 2002) oppure “mirate” (Oller, Jonz, 1994). Diversi tipi di cloze si sono dimostrati essere strumenti economici ed efficaci in relazione a particolari obiettivi. Limitando l’esame agli studi strettamente attinenti al tipo di cloze di cui ci occupiamo qui, si trovano in J. Read precisi riferimenti sia all’applicazione dell’analisi di corpora alla verifica del vocabolario nel contesto di particolari registri o linguaggi (2007), sia all’uso del formato del cloze-test mirato con risposte a scelta multipla in funzione dell’obiettivo di ottenere indicazioni sulla capacità degli studenti di elaborare le academic words quando vengono incontrate in un compito di lettura (2004) e con la finalità di completare le informazioni fornite da prove lessicali fuori contesto. Lo stesso autore considera con attenzione i rischi di validità connessi all’uso del cloze come prova lessicale: proprio perchè attraverso il cloze si ottiene una valutazione legata al contesto, «è difficile discernere quale sia il contributo specifico del lessico nell’esecuzione di questi test» (Read, 2000, come cit. da Davies, 2008, 108). Nell’applicare la tecnica cloze a testi di studio occorre inoltre controllare attentamente i campioni testuali selezionati e la natura delle parole da nascondere per escludere che i risultati dipendano in misura prevalente da apprendimenti precedenti, ciò che muterebbe il test in prova di profitto (Lucisano, 1989, 161; Cardarello, 2010). La ricerca della parola mancante è anche una attività produttiva, quando il formato del test è quello a risposta aperta, è invece una duplice attività di lettura se per la scelta si offre, a margine del testo, una lista di parole. Le risposte a quesiti di cloze mirato con risposte a scelta multipla, che riguardino esclusivamente parole lessicali, possono dar conto di tre abilità operative, la prima delle quali si applica alla lettura del testo “bucato”, le altre due alla lettura dell’elenco delle parole offerte per colmare le lacune: – anticipare correttamente il significato delle singole parole mancanti utilizzando gli indizi presenti nel testo e le proprie conoscenze (generali e specifiche);

110


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

– ricordare il significato di parole note (cioè delle quali sia già noto il significato pertinente); – inferire il significato che le parole parzialmente note o sconosciute assumono in base al contesto.

4. Una prova sul campo L’esperienza di cui nel seguito si raccontano alcuni aspetti è stata condotta all’Università di Modena e Reggio Emilia nell’ambito del Corso di Laurea in Fisioterapia della Facoltà di Medicina e Chirurgia, che appartiene alla classe di laurea delle professioni sanitarie della riabilitazione (insieme ai CdL in Logopedia e Tecnica della riabilitazione psichiatrica). Si tratta di un corso triennale al quale sono ammessi circa trenta studenti ogni anno. L’esperienza ha coinvolto l’intera coorte di studenti immatricolati nell’anno 2011-20121. In base ai valori modali riscontrati nelle risposte ad alcune domande di un questionario somministrato a questo scopo, è possibile disegnare questo sintetico profilo dello studente: – età regolare o quasi all’immatricolazione (meno di 21 anni); – proveniente dal liceo scientifico; – uno dei genitori è laureato; è impegnato in attività connesse allo studio (lezioni in aula, attività laboratoriali e di tirocinio, studio individuale) per più di otto ore al giorno. Le attività di ricerca sono state ospitate all’interno corso di Cinesiologia tenuto dal prof. Adriano Ferrari, che è uno degli insegnamenti fondamentali del primo anno e si svolge nel secondo semestre. Gli studenti ricevono questo insegnamento dopo aver seguito nel corso del primo semestre i corsi di Anatomia e Fisiologia che forniscono loro i necessari fondamenti. Parallelamente alle normali lezioni in presenza gli studenti hanno frequentato un corso di Cinesiologia a distanza, costruito utilizzando il sistema esperto che è allo studio del progetto “am-learning” (Vertecchi, Poce, Angelini, Agrusti, 2010), del quale non ci occupiamo in questa sede. Il corso è suddiviso in due unità didattiche, che hanno per tema la postura (UD1), il cammino e la manipolazione (UD2). Nel percorso didattico che gli studenti seguono all’interno di ciascuna unità del corso si alternano attività di studio, prove di cloze e prove di profitto tradizionali (questionari con risposte a scelta multipla). Qui si prendono in esame le prove d’ingresso, svolte in presenza.

5. Struttura delle prove La prova d’ingresso alla prima unità didattica è articolata in quattro parti. La prima è una prova di cloze mirato, che è oggetto dello studio, alla quale si affiancano altre prove la cui funzione è quella di raccogliere informazioni da confrontare con quelle ottenute attraverso

1 Questo studio deve molto alla collaborazione degli studenti e dei responsabili del Corso di Laurea in Fisioterapia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, in particolare alla prima tutor Vittoria Mamoli, alla coordinatrice Luisa Montanari e al presidente del corso Adriano Ferrari.

111


SIRD • Ricerche

la prova principale: un cloze-test di tipo classico a risposta aperta; una breve batteria di quesiti di comprensione di un testo con risposte a scelta multipla; una prova inferenziale in forma di cloze-test sui connettivi e infine una prova di definizione di 22 termini del glossario della disciplina, composta da quesiti con risposte a scelta multipla e quesiti a corrispondenza, dove l’abilità richiesta dal compito è quella di riconoscere il significato di un termine presentato fuori contesto. La prova somministrata in ingresso alla seconda UD è composta da un cloze-test mirato e da una prova di valutazione delle conoscenze pregresse sui contenuti specifici di questa parte del corso, composta da 15 quesiti con risposte a scelta multipla.

6. La scelta dei testi Tutti i brani utilizzati per costruire le prove possiedono un grado di coesione e coerenza sufficiente a definirli testi. Risultano fra loro simili dal punto di vista degli indicatori di leggibilità comunemente utilizzati (Tabella 1)2. Per quanto riguarda le conoscenze pregresse richieste per la comprensione e la complessità dei contenuti espressi, sono stati giudicati accessibili agli esaminati da esperti della materia che conoscono il curricolo svolto dagli studenti. Per costruire i cloze-test mirati sono stati selezionati due testi che costituiscono l’esordio di altrettanti capitoli di un manuale di cinesiologia destinato a studenti, i cui contenuti hanno attinenza rispettivamente con quelli della prima e della seconda unità del corso: la postura eretta (15 lacune) e la prensione (20 lacune). Per il cloze-test classico, che segue dappresso quello mirato nella prima prova d’ingresso, si è utilizzata una porzione dello stesso capitolo, immediatamente successiva, che ha ancora per oggetto la postura eretta. Dal testo è stata eliminata una parola su sette, per un totale di 47 lacune. Come negli altri cloze-test, non sono state cancellate parole dai primi due periodi del testo. I quesiti di comprensione riguardano un passaggio testuale tolto dalla medesima fonte ma da un luogo diverso, dove si parla della postura seduta. In tutti e quattro i casi, per preservare l’autenticità dei testi selezionati si è stabilito di conservare il paratesto (figure e didascalie). La prova sui connettivi è invece costruita su un testo di tipo argomentativo, tratto da un articolo apparso su una pubblicazione di settore nel quale l’autore sostiene alcune proposte di semplificazione del glossario della medicina riabilitativa; in particolare nel passaggio estratto si occupa del termine “fisioterapia”. La lettura del testo selezionato, a differenza dei testi precedenti, non presuppone conoscenze specifiche. Sono state cancellate congiunzioni che esercitano la loro funzione all’interno di periodi e altre usate per collegare fra loro periodi indipendenti che costituiscono una successione di ruoli argomentativi (qui il compito consiste quindi nell’esplicitare la logica discorsiva).

2 Peraltro, nel corso del lavoro per la messa a punto della formula di leggibilità Gulpease, Lucisano (1993, 80-81) ha rilevato che mentre nei testi di divulgazione scientifica, «in cui spesso i vocaboli di base sono utilizzati con significati particolari», il confronto con «il vocabolario di base non ha alcun valore predittivo della difficoltà di comprensione, esso acquista una certa significatività nei testi storici», cioè di ambito umanistico.

112


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

La postura eretta La postura eretta La postura La prensione seduta – parte 1 – parte 2

Proposta di semplificazione del glossario riabilitativo

Totale parole

468

437

671

428

261

Media parole per frase

31

33

26

32

29

Fo*

50%

46%

46%

48%

48%

Au*

12%

15%

12%

12%

10%

Ad*

16%

18%

20%

17%

17%

Estranee al VdB*

20%

19%

20%

21%

22%

Indice Gulpease**

28

32

31

28

29

!

*FO, Lessico Fondamentale; AU: Lessico di Alto Uso; AD: Lessico di Alta Disponibilità. L'insieme delle parole che rientrano in uno di questi repertori costituisce il Vocabolario di Base (VdB) della lingua italiana, che conta circa 7000 lemmi (De Mauro, 1980). **Indice di leggibilità Gulpease: scala dei valori per il livello di scolarizzazione “diploma superiore”. Livello di frustrazione [0-15]; livello di lettura scolastica [15-40]; livello di lettura indipendente [40-100]. Soglie di leggibilità: quasi incomprensibile [0-10]; molto difficile [10-30]; difficile [30-40]; facile [40-70]; molto facile [70-100]. Cfr. M. E. Piemontese (1996, 102).

Tabella 1 – Misure sui testi selezionati

7. La costruzione dei cloze-test mirati Sono state cencallate soltanto parole lessicali (non parole grammaticali), appartenenti a due classi di parole: nomi e aggettivi. Nel testo La postura eretta sono state prodotte 15 lacune, mentre la lista delle alternative di risposta offre 17 alternative: sono stati inseriti due distrattori per garantire in ogni circostanza che la scelta della risposta corretta implichi lo scarto di almeno tre alternative plausibili dal punto di vista dei valori grammaticali richiesti dal co-testo. Nel testo La prensione sono state prodotte 20 lacune e per ottenere lo stesso risultato non è stato necessario aggiungere alcun distrattore all’elenco delle parole nascoste. Le parole da 1.100.000 nascondere nei cloze(t mirati sono state scelte all’interno di un particolare occorrenze repertorio, cioè il lessico peculiare della medicina riabilitativa. È stato allestito un corpus rappresentativo del linguaggio della medicina riabilitativa (CMR), stratificato in base a tre variabili (autore, destinatario e tipologia testuale), che conta circa 1.100.000 occorrenze (token) di 64.000 parole (intese come forme grafiche diverse, type). L’estrazione del linguaggio peculiare consiste ! nel «selezionare le parole da analizzare non in funzione della loro frequenza assoluta, bensì del loro sovra-sotto uso rispetto all’uso medio in un linguaggio di riferimento» (Bolasco, 2008). Confrontando il vocabolario del corpus CMR con il lessico di frequenza dell’italiano standard POLIF2002 contenuto nel database di TalTac2, si è definito l’insieme delle forme grafiche che sono rappresentate sia nell’italiano standard, sia nel linguaggio della medicina riabilitativa (intersezione) e che all’interno di quest’ultimo sono sovra-rappresentate (cioè presentano rispetto all’italiano standard uno scarto sulle occorrenze di segno positivo e di valore significativo). Questa lista comprende il 2% circa delle forme grafiche presenti nel CMR (1250), alle quali corrisponde il 16% circa delle occorrenze totali.

113


SIRD • Ricerche

Figura 1 – Come sono state scelte le parole nascoste

8. La natura delle parole nascoste Quali parole appartengono a questa lista e quali invece ne sono escluse? In primo luogo sono escluse tutte le parole “originali” del corpus di medicina riabilitativa, cioè tutte quelle forme grafiche non attestate in POLIF. Inoltre, fra le parole presenti sia in CMR sia in POLIF, rimangono escluse le parole “banali”, che presentano una frequenza di occorrenza equivalente in CMR e in POLIF. In questo settore disciplinare, come in generale in ambito medico, il vocabolario tecnico-scientifico è particolarmente esteso. Sappiamo che un “termine” non è tale perchè ha un aspetto insolito, cioè una forma grafica poco comune, ma perchè in un dato campo di discorsi ad esso è associato un significato ben preciso. Sappiamo anche che parole assai comuni assumono in determinati contesti significati specifici. Per questo, togliere dal novero delle parole eleggibili le forme grafiche originali del corpus di medicina riabilitativa, che sono molto numerose, non significa escludere dall’esame i termini di questo linguaggio, al contrario: scegliendo di esaminare parole delle quali in questo corpus si fa un uso peculiare (in termini quantitativi) rispetto all’uso comune, si intende appunto identificare parole particolarmente legate a un campo di discorsi, cioè in buona parte termini3. L’obiettivo è pre! cisarne la tipologia. La conoscenza dei termini di una disciplina è normalmente legata all’apprendimento dei concetti e per misurarne semplicemente l’estensione si può utilizzare una prova di definizione fuori contesto. Il principale obiettivo di questi cloze-test è invece quello di verificare la capacità di elaborare le parole mentre si legge un testo, quindi è importante che nella ricerca intorno alla parola nascosta ci sia qualcosa da capire e non solo da richiamare alla memoria. Il fatto che le parole prese in esame appartengano o meno all’intersezione di un linguaggio specialistico e della lingua comune è qui assunto come indicatore di questa loro qualità. La ragione per escludere le parole “banali” è invece che queste ultime hanno normalmente significati meno determinati nel contesto e una loro verifica mediante cloze-test a risposta chiusa può presentare difficoltà di correzione, cioè possono verificarsi casi di incertezza della risposta corretta dovuti al loro grado di ambiguità.

3 Consultando il Dizionario De Mauro (2000), si trova per quasi tutte le parole nascoste nei testi di cinesiologia un’accezione specifica che ricade nell’ambito delle scienze mediche (prevalentemente: anatomia e fisiologia).

114


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

9. Analisi dei risultati alle prove di cloze-test mirato Utilizziamo alcuni strumenti dell’item analisi classica per capire come hanno funzionato i cloze-test sul gruppo di studenti che ha completato tutte le prove (28 soggetti su 30). Di ciascuna prova si osservano in particolare (Tabella 2) la difficoltà (P, proporzione di risposte corrette sul totale dei rispondenti), la discriminatività degli item (Rpbis, coefficiente di correlazione punto biseriale, cioè la correlazione tra la risposta data al singolo item e l’esito ! complessivo alla prova degli stessi soggetti) e la coerenza interna (misurata dall’indice KR20 di correlazione tra le risposte date dagli stessi soggetti ai diversi item). UD1: La postura eretta Chiave

P

UD2: La prensione

Rpbis

Chiave

articolari

0,86

0,41

momenti

0,39

0,64

articolazioni

1,00

tessuti

0,43

0,54

oscillazione

0,86

-0,01

riflessi

0,71

0,35

muscoli

0,71

0,42

patologie

0,89

0,15

Min:

terapeutici

0,96

0,08

Max:

flessione

0,64

0,59

estensione

0,43

0,44

rotazione

0,82

0,20

segmenti

0,89

0,46

muscolari

0,46

0,53

tibiotarsiche

0,89

0,31

Statistiche sul test

P

Rpbis

posizione

0,79

0,67

mano

0,48

0,56

Statistiche sul test

Soggetti:

28 catena

0,76

0,58

Soggetti:

28

Items:

15 spalla

0,52

0,52

Items:

20

0,45

0,49

Media dei 10,93 punteggi:

0,48

0,60

Deviazione 4,49 standard:

0,08

0,28

Varianza: 20,14

0,61

0,44

Min:

0

0,32

0,36

Max:

18

0,61

0,49

KR-20: 0,82

0,43

0,44

SEM: 1,90

funzione

0,72

0,50

corteccia

0,86

0,52

coinvolgimento 0,59

0,48

Media dei 10,96 programma punteggi: Deviazione 2,25 controllo standard: Varianza: 5,07 raggiungere 6 visiva 15 conformazione

KR-20: 0,56 contatto SEM: 1,49 attivazione

Statistiche sugli item

Statistiche sugli item

P medio: 0,73 primaria

0,64

0,57

P medio: 0,56

[anteriori]

Min P: 0,39 presa

0,61

0,24

Min P: 0,08

[protesi]

Max P: 1,00 forza

0,31

0,37

Max P: 0,86

Rpbis medio: 0,37 stimolazione

0,72

0,59

Rpbis medio: 0,48

Min Rpbis: -0,01 movimento

0,57

0,49

Min Rpbis: 0,24

Max Rpbis: 0,64 sollevamento

0,55

0,39

Max Rpbis: 0,67!

!

Tabella 2 – Item analisi delle prove di cloze mirato

115


SIRD • Ricerche

Complessivamente gli item che compongono i cloze-test mirati coprono livelli di difficoltà ben differenziati. Si nota una differenza tra il funzionamento dei due cloze-test, in particolare il secondo risulta essere più difficile, più discriminativo e più affidabile del primo. Nel primo test si evidenziano in particolare tre item critici, per eccessiva facilità e scarsa discriminatività. La parola “articolazioni” è stata correttamente inserita nel testo da tutti i rispondenti, di conseguenza il quesito non ha alcun valore informativo. Poiché nella vita quotidiana l’uomo è costretto a mantenere la posizione eretta per lungo tempo, il sistema nervoso centrale garantisce il mantenimento di quest’ultima con il minore sforzo possibile per le strutture muscolo articolari utilizzando essenzialmente due strategie: 1. ottimizzando l’allineamento dei segmenti corporei (ottimizzando i rapporti tra forze esterne e assi [articolari] si riduce l’effetto destabilizzante delle forze esterne, l’intensità dei [momenti] da controllare, la richiesta di intervento muscolare, il carico prodotto sulle [articolazioni], il consumo energetico).

Fra le alternative alla risposta corretta “articolazioni”, in particolare fra quelle accettabili dal punto di vista delle concordanze, c’era l’iponimo “tibiotarsiche”, che è a sua volta una parola nascosta che quasi tutti gli studenti hanno correttamente inserito nel luogo opportuno (in quest’ultimo caso le risposte sbagliate si concentrano appunto sull’alternativa “articolazioni”). Le linee di gravità relative ai diversi [segmenti] del corpo passano quasi tutte molto vicine alle articolazioni, o le incrociano, in modo da ridurre o annullare i momenti esterni destabilizzanti e quindi la necessità di interventi [muscolari] importanti. Unica eccezione si ha a livello della occipito-atlantoidea e delle [tibiotarsiche], dove sono presenti momenti esterni di flessione di una certa entità (Fig.2.26).

Appare eccessivamente facile e poco discrimativo il quesito sull’aggettivo “terapeutici”, probabilmente a causa della scarsa attrattività delle alternative, e così anche la lacuna “oscillazione”: […] una volta stabilita una postura ideale di riferimento, economica, confortevole, sicura, indolore, ecc., attivando una serie di meccanismi neuromuscolari tali da evitare il mantenimento statico di questa postura, che sarebbe dannoso per la salute dei [tessuti] di sostegno. In pratica, il soggetto effettuerà una continua [oscillazione] attorno alla postura ideale di riferimento, che quindi verrà continuamente persa e riguadagnata per effetto di meccanismi automatici e [riflessi].

È possibile che il funzionamento insoddisfacente di quest’ultimo quesito sia da attribuire al margine di ambiguità che in un contesto d’uso non specialistico sarebbe offerto dall’unica alternativa scelta dai rispondenti che hanno sbagliato, “rotazione”. Nel secondo test si nota un solo item critico, il nome verbale “raggiungere”, che quasi nessuno degli esaminati ha reintegrato, benché compaia in un paragrafo intitolato Raggiungimento dell’oggetto, il che avrebbe potuto renderlo altamente prevedibile. Il raggiungimento dell’oggetto presuppone, al di là dell’intenzione: 1. la localizzazione dell’oggetto rispetto al nostro corpo (misura della posizione nello spazio); [...]

116


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

4. l’eventuale [controllo] a feed back dell’azione, anche se il movimento di [raggiungere], una volta iniziato, difficilmente può essere corretto in corso d’opera (sono invece spesso possibili correzioni a “feed forward”, ossia correzioni del programma prima che questo venga messo in opera, grazie a circuiti interni di retroazione).

L’insolita collocazione (“il movimento di raggiungere”) e la particolare natura della parola nascosta hanno probabilmente determinato l’eccessiva difficoltà del quesito, attivando un numero insolitamente alto di distrattori, tutti plausibili almeno per quanto riguarda i valori grammaticali richiesti dalle immediate circostanze testuali, per quanto nessuna delle alternative alla risposta corretta (come quella scelta dai più, “presa”) presenti margini di accettabilità dal punto di vista dei contenuti espressi nel testo. La presenza di alcuni item critici per facilità è un dato che non sorprende e si riscontra frequentemente nell’analisi dei cloze-test. Si tratta infatti di un tipo di prova che, come abbiamo visto, non consente all’autore di controllare pienamente tutti i fattori che possono influire sulla difficoltà di un quesito. La selezione degli item condotta attraverso l’analisi IRT per tre parametri (che permette di considerare la difficoltà degli item in relazione all’abilità dello studente) porta all’esclusione di due item del primo cloze (“articolazione” e “oscillazione”), mentre risultano tutti accettabili quelli del secondo. Per quanto riguarda la consistenza interna delle prove, si osserva innanzitutto un indice di coerenza diffusamente utilizzato nell’analisi dei test, il coefficiente di correlazione KR20, che esprime il livello di interrelazione tra gli item. Si assume che quanto più una prova è omogenea, tanto più essa misura effettivamente un unico tratto latente. Normalmente si considerano pienamente accettabili valori superiori a 0,70. Il valore di KR-20 relativo al primo test si considera discutibile, mentre è pienamente soddisfacente il secondo. A questo proposito occorre considerare che l’indice utilizzato è influenzato dalla numerosità degli item che compongono una prova, nel senso che esso tende ad assumere valori più elevati quando cresce il numero degli item (nel nostro caso, da 15 a 20). Si è calcolato anche l’indice di coerenza interna fra componenti parallele, cioè assunte come equivalenti, di una singola prova. Il criterio arbitrario di suddivisione della prova fra item pari e item dispari si è ritenuto particolarmente adatto alla natura delle prove di cloze. L’indice di correlazione fra le componenti, corretto con la formula di Spearman-Brown (cioè riferito a un test che contiene tanti item quanti ne contiene la prova intera), assume nel caso del primo test il valore 0,72 - sensibilmente superiore a quello della correlazione inter-item - e nel caso del secondo test il valore 0,82 – identico a quello assunto dall’indice KR-20.

10. Analisi dei risultati alle prove affiancate Un esame della relazione fra i punteggi alle prove affiancate condotto utilizzando l’indice di correlazione per ranghi di Spearman (rho) permette di osservare una correlazione significativa (0,52**) tra la collocazione ottenuta dagli stessi soggetti al primo cloze mirato (La postura eretta) e alla prova di lessico specialistico. Nel caso del secondo cloze-test (La prensione) si trova una relazione positiva, più debole (0,38*), coi risultati alla prova di valutazione delle conoscenze pregresse. La prova di comprensione del testo (La postura seduta) e il cloze sui connettivi appaiono indipendenti dalle altre prove e fra loro. Occorre tuttavia segnalare che entrambe le prove si sono rivelate piuttosto facili per la popolazione considerata e di conseguenza non hanno fornito le informazioni attese.

117


SIRD • Ricerche

11. Il cloze “classico” Il cloze-test con calcellazioni “a tasso fisso” e risposte aperte si è dimostrato in questo contesto meno affidabile e non economico rispetto al cloze mirato con risposte a scelta multipla costruito su una porzione adiacente dello stesso testo (La postura eretta). Meno affidabile, perché caratterizzato da un indice di coerenza interna insufficiente e da un alto tasso di item che non risultano accettabili (né in base all’analisi classica, né in base all’IRT). Non economico, perché la correzione della prova con chiave rigida determina una collocazione dei soggetti correlata (0,77**) ma non assimilabile a quella che si ottiene correggendo le stesse prove secondo criteri di accettabilità semantica. Il metodo di correzione con chiave rigida del cloze “a tasso fisso” produce una collocazione degli esaminati positivamente correlata con quella al cloze-test mirato (0,50**), mentre il secondo metodo di correzione fa apparire i risultati al cloze “classico” come indipendenti da quello mirato. Il completamento di parole grammaticali (29 lacune su 47) risulta tipicamente troppo facile in questo contesto, tranne in un caso, quello della congiunzione “dunque”, qui usata per rendere esplicito il valore riassuntivo della frase rispetto a quanto precedentemente esposto nel testo, che ha offerto una difficoltà eccessiva. Gli interventi muscolari richiesti per mantenere [la] stazione eretta, nella persona senza alterazioni [del] SNC o della periferia motoria, sono [dunque] minimi.

La maggioranza dei rispondenti ha scritto “sempre” o “pressoché” al posto di “dunque”, non ha reintegrato puntualmente il testo ma ha mostrato di averene tuttavia compreso il significato. Si nota anche che in particolari circostanze l’integrazione di parole originali del linguaggio specialistico può risultare assai più facile rispetto a quella di parole comuni utilizzate in senso tecnico. Nell’esempio riportato, sia la relativa facilità di “tricipite”, sia l’estrema difficoltà di “esterno”, si spiegano considerando innanzitutto la loro diversa prevedibilità nelle rispettive collocazioni (“tricipite della sura”; “momento esterno di flessione”). L’attività muscolare è modesta. I [muscoli] che rimangono costantemente contratti sono: il [tricipite] della sura, per contrastare il momento [esterno] di flessione dorsale alle tibiotarsiche […].

L’uso di un cloze-test di tipo classico in questo contesto fornisce una grande quantità di dati, una parte dei quali potrebbe essere interpretata con riferimento alla competenza lessicale del lettore, ma soltanto procedendo ad una analisi puntuale delle risposte, un lavoro che difficilmente si potrebbe definire nei termini di una routine replicabile con strumenti automatici.

12. Conclusioni La relazione riscontrata con misurazioni concomitanti dell’estensione del patrimonio terminologico dei lettori e con prove che riguardano l’apprendimento pregresso di concetti, spiega in parte la natura di queste prove di cloze mirato come prove di vocabolario specifico e in parte come prove di conoscenza. Sono necessarie ulteriori esperienze su testi analoghi, con alto con-

118


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

tenuto di informazione, per approfondire la relazione del compito con i processi implicati nella comprensione del testo. In particolare, sarebbe utile uno studio di tipo qualitativo per fare emergere i ragionamenti che gli studenti fanno mentre risolvono questo tipo di cloze-test.

Riferimenti bibliografici Agrusti F. (2010). From LexMeter to Adapter.Towards a match up between the Virtual and the Real Reader. Cadmo. Giornale Italiano di Pedagogia sperimentale. An International Journal of Educational Research, 1, pp. 97-108. Bolasco S. (2008). Corpora e liste di frequenza d’uso: criteri e tecniche per l’analisi automatica dei testi. In M. Barni, D. Troncarelli, C. Bagna (Eds.), Lessico e apprendimenti (pp. 113-142). Milano: Franco Angeli. Bormuth J.R. (1967). Implications and Use of the Cloze Procedure in the Evaluation of Instructional Programmes. Occasional Report No. 3, Centre for Study of Evaluation of Instructional Programmes. Los Angeles: University of California. Cardarello R. (2010). Un approccio integrativo per l’analisi della comprensione. Documento di lavoro, Progetto Firb “am-leaning”, Unità di ricerca Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Chiari I. (2002). La procedura cloze, la ridondanza e la valutazione della competenza della lingua italiana. Italica, 4, pp. 466-481. Davies A. (2008). Che cosa ci dicono i test lessicali riguardo alla padronanza linguistica? In M. Barni, D. Troncarelli, C. Bagna (a cura di), Lessico e apprendimenti. Milano: Franco Angeli. De Mauro T. (1980). Guida all’uso delle parole. Roma: Editori Riuniti. De Mauro T. (1988). Linguaggi scientifici e lingue storiche. In A.R. Guerriero (a cura di), L’educazione linguistica e i linguaggi delle scienze (pp. 9-19). La Nuova Italia: Firenze. De Mauro T. (2000). Dizionario italiano. Milano: Paravia. Grassi R., Nuzzo E. (2011). Analizzare le (in)competenze di scrittura all’università: evidenze dai test di valutazione iniziale. In Bernini et al. (eds.), Competenze e Formazione linguistiche. Perugia: Guerra. Lucisano P. (1989). Il cloze. In P. Lucisano, A. Salerni, G. Benvenuto, M.T. Siniscalco (a cura di), Lettura e comprensione (pp. 152-173). Torino: Loescher. Lucisano P. (1993). Misurare le parole. Roma: Kepos. Lucisano P. (2010). Una prova di abilità linguistiche per l’uscita dai percorsi di Formazione professionale. ECPS Journal, 1, pp. 25-54. Marello C. (1989). Alla ricerca della parola nascosta. Firenze: La Nuova Italia. Oakhill J.V., Cain K., Bryant P.E. (2003). The dissociation of single-word reading and text comprehension: Evidence from component skills. Language and Cognitive Processes, 18, pp. 443-468. Oller J.W., (1979). Language Tests at School. London: Longman. Oller J.W., Jonz J. (1994). Cloze and Coherence. London: Associated University Presses. Piemontese M. E. (1996). Capire e farsi capire. Teorie e tecniche della scrittura controllata. Napoli: Tecnodid. Read J. (2000). Assessing vocabulary. Cambridge: Cambridge University Press. Read J. (2004). Second Language Vocabulary Testing:Taking a Broader Perspective, 2004 International Conference on English Instruction and Assessment. Read J. (2007). Second Language Vocabulary Assessment: Current Practices and New Directions. International Journal of English Studies IJES, 2, pp. 105-125. Salerni A., Siniscalco M.T. (1991). I livelli di comprensione della lettura. In G. Asquini, P. Lucisano, (Eds.), L’italiano nella scuola elementare. Aspetti psico-pedagogici e didattici. Firenze: La Nuova Italia. Vertecchi B. (2010). Nuove ipotesi per lo sviluppo della didattica in linea. Journal of e-Learning and Knowledge Society, 1, pp. 31-42. Vertecchi B., Poce A., Angelini C., Agrusti F. (2010). Orbis dictus. Un ambiente adattivo multilingue per l’istruzione in rete / Orbis dictus. A Self-Adaptive Environment for Multi-language Teaching and Learning Opportunities. Milano: FrancoAngeli.

119


Ricerche “Tutor junior” e qualità della didattica. L’esperienza della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova Junior tutor and quality of teaching. The experience within the Faculty of Educational Sciences at Padua University LORENZA DA RE Il paper presenta una parte di una ricerca biennale, ancora in fase di sviluppo, che s’inserisce in un Progetto Strategico dell’Università di Padova (STPD08HANE_005), finalizzato a studiare e ad affrontare le difficoltà di apprendimento degli studenti. Questo contributo tratterà la tematica della dispersione universitaria in relazione agli interventi di peer tutoring, cioè in relazione a quelle attività atte ad accompagnare e sostenere gli studenti durante tutto il percorso universitario.Verrà presentata l’esperienza di Tutorato dell’ex Facoltà di Scienze della Formazione e verranno presentati i risultati di una ricerca su alcuni interventi di potenziamento realizzati nell’a.a. 2010-2011, partendo dalla ricostruzione evolutiva del servizio.

The paper presents a part of a two-year research, still under development, which is part of a strategic project of the University of Padua (STPD08HANE_005), aimed to studies and thwarts student learning difficulties. In this paper we will discuss the issue of university study delay and the impact of peer tutoring, a service set up to accompany and support students during their entire academic path.We’ll present the experience of peer tutoring in the ex Faculty of Education and we’ll show the results of a research about measures adopted to upgrade the Service Tutoring of the Faculty of Education in the academic year 2010-2011, departure year of the service’s reconstruction.

Parole chiave: educazione superiore, tutor, educazione tra pari, tutorato universitario, abbandono degli studi, dispersione universitaria, didattica universitaria.

Key words: higher education, tutor, peer education, academic tutorials, dropout, study delay, university teaching.

Ringrazio: Prof. Giuseppe Zago, referente del Servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione; i Tutor Junior per aver collaborato alla realizzazione della ricerca e all’elaborazione dei dati ed il Servizio Tutorato centrale per aver fornito i dati.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

120


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

1. Introduzione La Dichiarazione di Lisbona (1998), e la successiva dichiarazione di Bologna (1999) hanno evidenziato la necessità di creare uno Spazio Europeo dell’Educazione Superiore allo scopo di creare la convergenza dei sistemi di Educazione Superiore dei diversi Stati Europei e di stabilire degli standard di qualità per la formazione universitaria. L’Università, e in modo particolare l’attività del docente, si mettono a confronto con la formazione tradizionale e con la creazione di nuove metodologie d’insegnamento e di trasmissione delle conoscenze: le logiche del tutorato possono rivestire un importante ruolo in questo processo (Arbizu, Lobato, del Castillo, 2005). Nell’ultimo decennio l’Università Italiana ha attraversato profondi rinnovamenti che hanno portato al passaggio dall’Università delle Conoscenze all’Università delle Competenze (Galliani, 2008). La riforma universitaria degli ordinamenti ha dato ampio spazio al ruolo della qualità della didattica, evidenziando l’importanza delle strutture informative e di supporto in grado di rendere effettivo il diritto allo studio universitario. Il Tutorato rappresenta un sistema di interventi e fa parte dei Servizi di supporto per gli studenti previsti a livello di Ateneo. Il Tutor Junior, se adeguatamente formato, può rappresentare un efficace strumento di supporto alla didattica universitaria, in quanto può agire come mediatore tra gli studenti e il sistema universitario, supervisore dell’utenza e facilitatore nella comunicazione e nell’apprendimento.

2. Modelli di tutorato in Europa In ambito europeo, l’attività di tutoring all’Università si differenzia molto a seconda della nazione: possiamo fare una macro-distinzione tra la tradizione anglosassone e la tradizione mitteleuropea, se pur con grandi differenze tra una nazione e l’altra. La distinzione riguarda il fatto che, nella cultura anglosassone e nordamericana, il tutor compie azioni e attività legate alla didattica, poiché è un professore o un assistente incaricato di seguire lo studente. Nel resto d’Europa, in modo diverso, il tutor si occupa di educazione, formazione, orientamento ma non è, in genere, un docente universitario.

3. Modelli di tutorato in Italia Negli ultimi trent’anni l’Università italiana è fortemente cambiata, sia in conseguenza di riforme strutturali, sia per l’utenza che vi accede. Oggi non s’iscrivono più solamente gli studenti socialmente e culturalmente selezionati, che arrivavano all’Università fino a trenta o quarant’anni fa, ma vi accedono anche giovani che possono avere alle spalle un debole background culturale, ed un curriculum scolastico non finalizzato al proseguimento degli studi. Si tratta dunque di studenti che trovano spesso difficoltà nell’inserirsi in un insegnamento di tipo universitario (Crui, 1995). Negli anni ’90, in Italia, si è aperto un dibattito su quali potessero essere gli interventi da attuare per questi studenti, potenzialmente in difficoltà, e circa la necessità di fornire forme stabili di supporto in grado di assicurare maggiore assistenza durante il percorso universitario, dal momento della scelta della Facoltà fino al completamento del corso di studi. Il Tutorato venne istituito con la Riforma degli ordinamenti didattici universitari (L. 19

121


SIRD • Ricerche

novembre 1990, n. 341, art. 13) per offrire una serie di attività e di servizi finalizzati ad orientare e ad assistere gli studenti, per prevenire l’abbandono ed il rallentamento del percorso degli studi universitari, aiutando i giovani ad operare scelte consapevoli e a sentirsi sostenuti in eventuali fasi critiche. A livello normativo, in Italia, il Tutorato era stato già introdotto nel 1980 dalla legge n. 382, anche se nessuna iniziativa venne intrapresa fino al 1990, quando l’articolo 13 della legge 341 ha riproposto l’idea di tutorato per la seconda volta. L’articolo 13 definisce il Tutorato come «finalizzato ad orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi, a renderli attivamente partecipi del processo formativo, a rimuovere gli ostacoli ad una proficua frequenza dei corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle attitudini ed alle esigenze dei singoli». Il Tutorato rappresenta una delle maggiori innovazioni didattiche degli ultimi decenni e rappresenta un metodo valido per ridurre il divario tra qualità della didattica e la quantità di studenti iscritti all’Università (Laneve, 2000). Nel 1995, la Commissione per l’orientamento e il tutorato della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui) ha stabilito i principi e le linee guida all’interno delle quali le Università potevano organizzare le attività di orientamento e tutorato. Sintetizzando, possiamo definirne così le funzioni: – conoscere e considerare i bisogni degli studenti, – seguire lo studente dall’iscrizione fino, almeno, a sei mesi dopo l’inizio delle lezioni (fase di accoglienza), – proseguire con attività di sostegno ed accompagnamento per tutto il corso degli studi (Crui, 1995). La bibliografia esistente su questo tema mostra come la funzione tutoriale sia ampia e diversificata, se posta in relazione alle aree di riferimento e ai possibili interventi messi in atto: ad esempio, Lazaro (1997) definisce quattro opzioni e Zabalza (2003) definisce quattro livelli di tutorato (Mundina, Pombo, Ruiz, 2007). La funzione di tutor, nell’università italiana, venne dapprima affidata al docente e, solo negli ultimi anni, a studenti “capaci e meritevoli”, per un periodo del loro percorso accademico. La figura dello studente-tutor venne introdotta grazie alla legge recante disposizioni per le Università e gli enti di ricerca nonchè in materia di abilitazione all’esercizio di attività professionali (L. 11 Luglio 2003, n. 170, art 1).Tale legge prevede «l’assegnazione agli studenti capaci e meritevoli, iscritti ai corsi di laurea specialistica (oggi laurea magistrale), delle scuole di specializzazione per le professioni forensi, delle scuole di specializzazione per gli insegnanti della scuola secondaria e ai corsi di dottorato di ricerca, di assegni per l’incentivazione delle attività di tutorato di cui all’articolo 13 della legge 19 novembre 1990, n. 341, nonchè per le attività didattico-integrative, propedeutiche e di recupero (Art 1, comma b.)». La Crui (Crui, 2000) ha rilevato, nell’arco degli ultimi anni, un enorme incremento delle attività di tutorato ed un notevole impegno delle Università dal punto di vista sia finanziario sia organizzativo, pur evidenziando una forte eterogeneità delle iniziative e delle modalità di attuazione.

4. Peer Tutoring universitaria e qualità della didattica Il Tutorato, anche a norma della legge 19 novembre 1990, n. 341, può essere letto come una cerniera in cui convergono setting organizzativo e setting formativo (Binetti, 2000).

122


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

La complessità del sistema formativo impone di scegliere tra modelli diversi a seconda delle esigenze degli studenti e delle risorse messe a disposizione, adattando i modelli alle specificità che caratterizzano le singole realtà formative. Creare un sistema formativo più efficace ed efficiente costituisce una sfida importante per l’Università. Possiamo sviluppare delle considerazioni riguardo a quale possa essere il ruolo che il sistema di tutorato, potenzialmente, riveste per il raggiungimento di una maggiore qualità formativa all’Università e circa il rapporto tra la qualità in ambito scolastico ed in ambito universitario. Fin dal “Processo di Bologna”, il tema della qualità all’Università risulta essere centrale di rilevante priorità indispensabile per dare forma all’Area Europea dell’Istruzione Superiore. La valutazione della qualità della didattica universitaria assume valore se consideriamo come bene pubblico il prodotto dell’università, e se consideriamo il sistema universitario tra i servizi di pubblica utilità alla persona (Zaggia, 2003), cioè «tutti quei servizi tesi a migliorare particolari condizioni di vita dell’utente connessi con il suo benessere complessivo (es. salute, istruzione, formazione per il lavoro») (Carpita, D’Ambra,Vichi,Vittadini, 2006). Per l’Università di Padova, un obiettivo specifico previsto dal Regolamento del Tutorato (1999) riguarda il «migliorare la qualità delle condizioni di apprendimento, favorendo un rapporto produttivo tra docenti e studenti, fornendo indicazioni sul metodo di studio e promuovendo modalità organizzative idonee a favorire la partecipazione all’attività didattica anche degli studenti lavoratori». Il tutorato letto come sistema di interventi per gli studenti, finalizzato al miglioramento della didattica, permette di sviluppare alcune riflessioni circa quale efficacia possa avere l’azione dello studente-tutor al fine di risultare strumento valido per lo sviluppo dell’offerta didattica. Gli obiettivi che risultano importanti da raggiungere per un percorso di studi ottimale sono: – la riduzione degli abbandoni e della dispersione degli studi, – la qualità del percorso di studi e il contenere lo scostamento tra la durata legale degli studi e la durata reale (che dà origine al cosiddetto fuoricorsismo). Tali obiettivi possono essere raggiunti sia attraverso il miglioramento della didattica, sia per mezzo di azioni di tutorato (Messeri, 2010). Negli ultimi anni, si è diffuso in molte realtà, dalla formazione professionale all’ambito universitario, il modello del peer tutoring, nato nel mondo anglosassone (Arbizu, Lobato, del Castillo, 2005) e che recentemente è stato importato e adattato anche in varie realtà universitarie, come quella francese ed italiana, come strumento di contrasto alla dispersione negli studi (Pedicchio e Fontana, 2003). Il tutoring tra pari vede i suoi antecedenti nell’insegnamento realizzato da Joseph Lancaster (Lancaster, 1805) e poi sviluppatosi in esperienze scolastiche dell’Educazione Nuova. Questo approccio gode di grande prestigio in molte Università europee ed extraeuropee, nelle quali gli studenti rivestono, per un determinato periodo, il ruolo di mentore e di mediatore (Mundina, Pombo, Ruiz, 2007). La pratica dello studente-tutor risulta per vari aspetti una strategia positiva ed è stata definita di peer tutoring universitario. Tale modello incentiva la relazione ed il dialogo tra studente e tutor: lo studente si sente più vicino al tutor per una questione anagrafica e di status; il tutor, motivato dal suo nuovo ruolo, mette a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze ed il proprio vissuto per gli studenti che ne avessero bisogno. Inoltre, uno studente che ha vissuto lo stesso percorso della matricola a cui si trova a dare un aiuto, sa quali sono le difficoltà che si possono incontrare e i “consigli” giusti da offrire. Allo stesso tempo, lo studente matricola che si approccia al mondo universitario ha meno difficoltà nel relazionarsi con lo

123


SIRD • Ricerche

studente che al momento veste il ruolo di tutor, e a lui si sente più libero di fare domande, chiedere chiarimenti, senza aver paura di sbagliare e il timore di chiedere cose scontate o ovvie. Questo modello alla pari incentiva, quindi, la relazione ed il dialogo tra studente e tutor (Da Re e Zago, 2011).

5. Il tutorato all’Università degli Studi di Padova La storia del Servizio Tutorato dell’Università di Padova nasce con la costituzione di una Commissione che, all’inizio degli anni Novanta, individuava problemi ed aree d’intervento. Il primo modello di tutorato affidava ai docenti delle Facoltà la funzione di tutor. È soltanto successivamente che la relazione con gli studenti venne svolta da “pari”, ossia da studenti più “anziani” che hanno intrapreso lo stesso percorso degli studenti stessi, e perciò sono loro vicini dal punto di vista emotivo e del vissuto (Arcuri, Paggin, Zago, 2002). L’Ateneo di Padova ha adottato fin dal 2001 il peer-tutoring, che venne confermato nel 2003, anche grazie alla Legge 170. I Tutor Junior sono stati presenti fino ad oggi nelle 13 ex Facoltà dell’Ateneo di Padova. Le azioni delle Facoltà sono state definite ed organizzate dalle Facoltà stesse. Ogni Facoltà ha incaricato un docente Referente per il Tutorato, che ha coordinato, organizzato e monitorato le singole attività. Oltre ad essere presente in tutte le Facoltà (tutorato informativo e tutorato didattico), come servizio di supporto per gli studenti e per le stesse Facoltà, il Servizio Tutorato di Padova ha creato delle relazioni con altri Servizi dell’Ateneo e ha progettato le sue attività allo scopo di creare un sistema di servizi che lavori in rete con gli altri Servizi dell’Ateneo e delle Facoltà.

6. La ricerca: “Tutor Junior” l’esperienza della Facoltà di Scienze della Formazione di Padova nell’a.a. 2010-2011 La ricerca s’inserisce in un progetto più ampio che prevede la ricostruzione evolutiva, la progettazione e realizzazione di interventi di peer tutoring al fine di contrastare il fenomeno della dispersione universitaria, attraverso l’azione dei Tutor Junior messi a disposizione dal Servizio Tutorato dell’Ateneo. La ricerca qui descritta presenta l’esperienza di Tutorato dell’ex Facoltà di Scienze della Formazione e i risultati di una ricerca su alcuni interventi di potenziamento del servizio realizzati nell’a.a. 2010-2011. L’obiettivo generale è stato quello di conoscere le funzioni e le attività svolte dai Tutor Junior del servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione per compararle con le altre Facoltà, per esaminarne i punti di forza e le criticità, al fine di proporre degli interventi di potenziamento del servizio stesso. Gli obiettivi specifici della ricerca sono stati: – valutare la progettazione e la realizzazione delle attività del Servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione di Padova nell’a.a. 2010-2011, alla luce dell’esperienza pregressa di Peer Tutoring (dall’a.a. 2001-2002 all’a.a. 2010-2011); – individuare le buone pratiche e formulare proposte per incrementare l’efficacia del Servizio;

124


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

– verificare il livello di conoscenza, utilizzo ed apprezzamento del Servizio Tutorato di Facoltà. La metodologia utilizzata per la ricognizioni dei dati analizzati ha riguardato: – l’analisi e la comparazione dei dati raccolti, attraverso griglie di confronto, estrapolate dalle relazioni di fine attività del Servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione dall’a.a. 2001-2002 all’a.a. 2010-2011; – la preparazione e l’analisi dei dati emersi da un questionario somministrato agli studenti, ora iscritti al 2° e 3° anno dei Cdl di Scienze dell’Educazione e della Formazione (sede di Padova e Rovigo), della Facoltà di Scienze della Formazione. 6.1. Il Servizio Tutorato di Scienze della Formazione Il Tutorato parte come progetto per la Facoltà di Scienze della Formazione nell’a.a. 20012002, in linea con le altre Facoltà dell’Ateneo di Padova. Nell’a.a. 2001-2002 esistevano due tipi di Tutor per la Facoltà: i Tutor Junior e i Tutor Senior. I Tutor Junior avevano il compito di monitorare gli studenti con problemi di recupero dei debiti formativi accertati al momento dell’immatricolazione. I Tutor Senior (presenti solo per l’anno accademico 20012002 e a livello sperimentale per le Facoltà di Giurisprudenza e Scienze della Formazione), avevano come obiettivo quello di disporre un sistema di osservazione per rilevare il fenomeno della dispersione e di analizzare le condizioni strutturali e soggettive che causano i ritardi nei percorsi di studio (Arcuri, Paggin, Zago, 2002). Nel corso degli anni sono stati attivati e realizzati alcuni progetti sperimentali di Tutorato, creati ad hoc per le singole Facoltà o a supporto dei servizi centrali. Essi hanno coinvolto anche la Facoltà di Scienze della Formazione. È il caso del progetto di Tutorato di Lungimiranza dell’a.a. 2007-2008, che ha visto la realizzazione di una ricerca nella Facoltà di Scienze della Formazione. Lo scopo era quello di rilevare l’entità del fenomeno della dispersione e dell’abbandono degli studi, negli anni accademici 2002-2003 e 2003-2004, in un campione selezionato di studenti, di individuare i fattori che principalmente ostacolano la conclusione del primo ciclo del percorso universitario, causando un rallentamento o l’abbandono degli studi (Codato, 2008). Nell’anno 2010, la Facoltà di Scienze della Formazione ha partecipato al progetto sperimentale “Verso un sistema regionale di istruzione, tutorato e scelte disciplinari nel rapporto Scuola-Università” che aveva come scopo quello di analizzare i punti di criticità nella continuità educativa tra Scuola e Università. Attraverso l’analisi delle relazione di fine attività dei tutor della sede di Padova, dall’a.a. 2001-2002 al 2010-2011, è stato ricostruito lo “storico” del Servizio Tutorato. Sono emersi alcuni dati che descrivono l’evoluzione del servizio in questi anni di attività. In termini generali, possiamo sintetizzare le attività che i Tutor Junior hanno realizzato in questi dieci anni di servizio in azioni di: – accoglienza ed orientamento informativo, – informazioni e consulenza, – monitoraggio dell’utenza. I Tutor Junior della Facoltà di Scienze della Formazione hanno offerto un servizio di sostegno e consulenza agli studenti iscritti ai Corsi di Laurea Triennali delle sedi di Padova e Rovigo ai corsi di Laurea arretrati/disattivati e vecchio ordinamento, agli studenti che riprendono gli studi dopo anni, agli studenti lavoratori e agli studenti Erasmus. I Tutor Junior dispongono di una sede fisica e ricevono gli studenti, durante l’orario di ricevimento in presenza, per mail e per telefono.

125


SIRD • Ricerche

I Tutor della sede di Padova e di Rovigo svolgono le stesse attività e funzioni (a parte l’attività di orientamento al tirocinio che per la sede di Padova viene svolta dai Tutor di Tirocinio), ma esiste una distinzione per quanto riguarda l’organizzazione del servizio che a Rovigo è seguito da un’unica Tutor full-time, mentre a Padova si avvicendano 6 Tutor Junior che garantiscono un servizio di circa venti ore settimanali.

Graf. 1.: Contatti del Servizio Tutorato e numero Tutor a.a. 2003-2011

N

Graf. 2: Contatti del Servizio Tutorato a.a. 2009-2011

126


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

N

Sintetizzando i dati emersi, presentiamo alcuni grafici circa l’evoluzione del servizio. Nel grafico 1 possiamo vedere l’andamento dei contatti annui totali pervenuti al Servizio, dall’a.a. 2003-2004 all’a.a. 2010-2011, in relazione al numero di Tutor presenti. Se prendiamo in considerazioni l’ultimo biennio (grafico 2), vediamo come nell’a.a. 2010-2011, anno in cui sono stati introdotti gli interventi di potenziamento del Servizio, ci sia stato un incremento dei contatti del 45 % rispetto l’a.a. precedente, tenuto conto, anche, all’aumento del 15% delle ore totali di servizio.

Graf. 3.: Tipologia di richiesta a.a. 2009-2010 \ 2010-2011

Per il biennio 2010-2011 e 2009-2010 (grafico 3), è stata descritta la tipologia di richieste che gli studenti hanno rivolto ai Tutor Junior. La maggioranza delle richieste riguarda le informazioni legate alla didattica (esami, informazioni generali sulla didattica e sui Cdl), informazioni di carattere amministrativo-burocratico (Servizi della Facoltà e dell’Ateneo, passaggi di corso e riconoscimento dei crediti); emerge inoltre una richiesta legata all’orientamento in itinere e post lauream. 6.2. Gli interventi di potenziamento dell’a.a. 2010-2011 Dopo aver analizzato l’evoluzione del servizio e studiato le relazioni finali che, ogni anno i Tutor Junior sono tenuti a stendere, sono stati individuati alcuni punti potenziali di miglioramento, e sono stati poi introdotti, per l’a.a. 2010-2011, alcuni interventi di potenziamento del servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione, tra cui: – Un’azione di coordinamento e supporto ai nuovi tutor: è emersa la mancanza di un collegamento operativo tra i Tutor in quanto, ogni Tutor, svolge servizio una o due volte a settimana (a seconda del contratto di cui dispone), pertanto risultava difficile la comunicazione e a volte lacunoso il passaggio di consegne tra Tutor. La figura che realizza il coordinamento si è occupata, oltre alla gestione del Servizio, della sua innovazione, promozione e del suo possibile sviluppo. La progettazione dell’attività di coordinamento ha dato priorità al fatto che la persona incaricata conoscesse bene la

127


SIRD • Ricerche

Facoltà (e che avesse già rivestito il ruolo di Tutor Junior) e che avesse competenze relazionali e predisposizione alla comunicazione, al problem solving e capacità di collaborazione, oltre che con i Tutor, anche con il personale dei servizi che fanno parte della Facoltà. In secondo luogo, sono stati definiti dei turni di servizio di compresenza (almeno per i primi tre mesi) tra Tutor “esperti” e nuovi Tutor al fine di agevolare l’inserimento di questi ultimi e di permettere un passaggio “alla pari” delle conoscenze. Attività di formazione in-itinere: nel mese di Settembre i Tutor di tutte le Facoltà beneficiano di due giorni di formazione intensiva, organizzata a livello centrale dal Servizio Tutorato di Ateneo. Per i Tutor Junior di Scienze della Formazione, sono stati pensati e realizzati, in aggiunta, degli incontri partendo dalle esigenze dei Tutor stessi. Sono stati progettati e realizzati degli incontri conoscitivi ed informativi con delle componenti della Facoltà (Presidenti dei Cdl, Servizio Erasmus di Facoltà, Segreteria Didattica, ecc..), al fine di fornire informazioni utili per l’attività dei Tutor. Creazione di materiali per gli studenti e per i Tutor: sono stati progettati e realizzati degli strumenti che avessero una duplice funzione: in primo luogo, per essere utilizzati come materiali di supporto per i Tutor Junior, in secondo luogo, come materiale da consegnare agli studenti durante gli incontri di orientamento o a chi ne avesse necessità. Sono state realizzate delle mini-guide, o “Vademecum”, divise per tematica: pre-immatricolazione ed immatricolazione, passaggio di corso di laurea, sospensione degli studi, rinuncia degli studi, vademecum per i laureandi, vademecum per gli Erasmus, vademecum per il fuoricorso. In relazione a quest’ultimo, ossia al vademecum per il fuoricorso, è stato creato un ulteriore strumento costituito dal caso dei Piani di Studio di tutti i Cdl, seguiti dai Tutor, dall’ a.a. 2001-2002 all’a.a. 2010-2011. Il materiale è stato raccolto in cartaceo ed è consultabile a richiesta presso l’ufficio dei Tutor Junior. Attività di promozione e continuità: è stata potenziata la promozione del servizio nelle sedi della Facoltà (attraverso depliant e cartelloni). Durante gli incontri organizzati per le matricole è stato consegnato un volantino ad ogni studente contenente le modalità per il contatto con il Servizio. Per favorire una continuità del servizio è stato introdotto un servizio mail, per il mese di Agosto, periodo in cui solitamente i Tutor non sono operativi, ma allo stesso tempo, periodo in cui gli studenti si stanno per iscrivere all’università e hanno maggiormente bisogno di informazioni e di sostegno. Bozza di auto-etero valutazione: per focalizzare i punti di forza e le possibili aree di miglioramento è stata creata una bozza di auto-etero valutazione, somministrata dal coordinatore del Servizio ai Tutor Junior, alla fine dell’anno di servizio.

6.3. Il Questionario Al fine di conoscere il servizio, di capirne le specifiche funzioni e di verificare la soddisfazione degli studenti è stato somministrato, nel mese di Novembre 2011, un questionario strutturato, in cui è stata inserita una domanda aperta, ad un collettivo di studenti del 2° e 3° anno dei Corsi di laurea triennali di Scienze dell’Educazione e della Formazione, sede di Padova (indirizzi di Scienze dell’Educazione, Formazione e sviluppo delle risorse umane) e di Scienze dell’Educazione e della Formazione, sede di Rovigo (indirizzi di Educazione sociale ed animazione culturale, Educazione della prima infanzia). Sono stati raccolti 469 questionari compilati (243 per la sede di Padova e 226 per la sede di Rovigo). L’età media dei rispondenti è di 22 anni e circa il 90% degli studenti si è iscritto all’a.a. 2009-2010 e 2010-2011. Per quanto riguarda il genere, si nota una forte maggioranza

128


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

del genere femminile (grafico 4), in linea, con le iscrizioni alla Facoltà. Il 45 % sono stati somministrati alla sede di Padova ed il 44% alla sede di Rovigo. (Il 30% frequenta Scienze dell’Educazione, il 27% circa Educazione della prima infanzia, il 17% Educatore sociale e animazione culturale ed il 15% Formazione e sviluppo delle risorse umane).

Graf.: 4. Genere

G Graf. 5.: Conoscenza del Servizio Tutorato Graf. 5.: Conoscenza del Servizio Tutorato

G Graf. 5.: Conoscenza del Servizio Tutorato

L’87% degli studenti intervistati conosce il servizio (grafico 5). Il canale di conoscenza principale risulta essere le presentazioni in aula (i Tutor Junior presentano il servizio tutorato e le attività che svolgono durante le giornate di orientamento per la matricole organizzate all’inizio dell’anno accademico), seguito dal passaparola tra studenti e dal sito di Facoltà, il quale ospita la pagina Web del Servizio Tutorato di Scienze della Formazione (grafico 6).

Graf. 6.: Canale di conoscenza del Servizio Tutorato

Il 42% dei rispondenti dichiara che, se pur conoscendo il servizio, non ne ha mai usufruito (grafico 7). Di coloro che ne hanno usufruito, il 58% dei rispondenti dice di aver ricevuto informazioni sulla didattica e sulle strutture della Facoltà (offerta didattica, piano di studi, esami, idoneità, docenti, aule, biblioteca, ecc.), il 43% accoglienza ed orientamento informativo in entrata (Open Day, Scegli con noi il tuo domani, Welcome Day, ecc..); il 31% informazioni sugli adempimenti amministrativi della Facoltà (immatricolazione, tasse, UNIWEB, passaggio, riconoscimento, recupero carriera universitaria, ecc).

129


SIRD • Ricerche

o o

G Graf. 7.: Motivo della richiesta G Graf. 7.: Motivo della richiesta

Graf. r 7.: Motivo della richiesta

r

A coloro che hanno usufruito del Servizio è stato chiesto di esprimere il grado di soddisfazione (grafico 8) riguardo a: – l’aver risolto la questione per la quale si erano rivolti al servizio, – la modalità di relazione e la disponibilità dei tutor, – gli orari e le modalità di contatto con i tutor, – la pagina web, – la soddisfazione generale. La soddisfazione generale è mediamente di 7.2 (in una scala che va da 1 a 10) con deviazione standard di 2.Viene valutata in maniera maggiormente positiva la disponibilità dei Tutor e il tipo di relazione che instaurano con gli studenti (7,4), seguita dal gradimento degli orari di apertura del servizio (7,1), dalle modalità di contatto con i Tutor Junior (7) e dall’aver risolto la questione per cui si sono rivolti al servizio (6,9). Sopra la sufficienza la valutazione circa la pagina web dei Tutor Junior (6.3).

Graf. 8.: Livello medio di gradimento del Servizio Tutorato

130


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Il questionario si è concluso con una domanda aperta: “In cosa ritieni potrebbero esserti utili i Tutor Junior durante il tuo percorso di studi?” (grafico 9). Sono state analizzate le 138 proposte dei rispondenti. Sintetizzando, possiamo dire che, dai dati raccolti, emerge una richiesta di tipo didattico (ricevere maggiori informazioni circa la tesi e la laurea, i piani di studio, gli esami a scelta, i docenti, avere più sostegno riguardo di metodo di studio), una necessità di tipo amministrativo (informazioni sui servizi di Facoltà ed adempimenti amministrativi di vario tipo), ed una richiesta di orientamento in uscita (offerta formativa postlauream, possibili sbocchi professionali, orientamento lavorativo).

G Graf. 9.: Esigenze e bisogni degli studenti rispetto al Servizio Tutorato Graf. 9.: Esigenze e bisogni degli studenti rispetto al Servizio Tutorato

D

Dalle risposte, emergono vari tipi di esigenze da parte degli studenti: non è detto comunque che a tutte debbano rispondere direttamente i Tutor Junior. Inoltre, in questi dati non vengono presentate le esigenze degli studenti non frequentanti (essendo stati i questionari somministrati ad un collettivo di studenti frequentanti) e degli studenti-lavoratori, che per la Facoltà di Scienze della Formazione risultano essere una presenza importante, come emerge da altre indagini svolte in precedenza dalla Facoltà.

7. Conclusioni: “Buone” Pratiche e Proposte

I

D

Tra i servizi di Tutorato delle 13 ex Facoltà dell’Università di Padova emerge una macro distinzione tra le Facoltà di tipo scientifico e quelle umanistiche: le prime utilizzano i Tutor maggiormente come “sussidio alla didattica” (gruppi studio, approfondimento, rinforzo di abilità e concetti), le seconde utilizzano i tutor maggiormente come risorsa per l’orientamento in itinere degli studenti e come “mediatore universitario”, ossia come un ponte tra docenti, studenti e sistema universitario. Esiste una forte eterogeneità delle attività e delle funzioni svolte dai Tutor Junior. Il Tutor Junior svolge funzioni diverse a seconda delle necessità che gli studenti manifestano. Solitamente, si valutano tali esigenze per Corso di Laurea, in quanto nella stessa Facoltà,

131


SIRD • Ricerche

possono coesistere percorsi di studio molto diversi tra di loro. Il valore aggiunto dell’azione del Tutor Junior sta, oltre che nella relazione alla pari con lo studente, anche nella possibilità di valutare, organizzare e promuovere nuove attività in itinere durante l’anno accademico, in modo da poter soddisfare i bisogni degli studenti in difficoltà. Dai dati analizzati emerge come il ruolo del Tutor, nel contesto della didattica universitaria, possa divenire strategico se abbinato a tre precise funzioni: quale “ponte” tra gli studenti ed il mondo universitario (Tutor come mediatore); quale “elemento di monitoraggio” dei bisogni degli studenti (Tutor come supervisore) e quale “mediatore didattico” nella gestione della comunicazione e dell’apprendimento, ossia come expertise in attività laboratoriali didattiche, di gestione di gruppi studio e di esercitazioni e come guida operativa nella personalizzazione di percorsi formativi (Tutor come facilitatore). Attraverso questa ricerca, il Servizio Tutorato della Facoltà di Scienze della Formazione di Padova ha promosso alcuni interventi tra cui un’azione di coordinamento delle attività e la progettazione di nuove azioni e strumenti, con particolare riferimento agli studenti a rischio di abbandono universitario. Alcuni interventi attuati possono essere presentati come “buone” pratiche. L’analisi dei dati raccolti, grazie alla somministrazione dei questionari che hanno valutato la percezione degli studenti, ha evidenziato dei punti di forza e delle criticità degli interventi introdotti. Dai dati emerge che, rispetto all’a.a. precedente, nel 2010-2011, anno in cui sono stati realizzati gli interventi di potenziamento del servizio; si è verificato un incremento del 45% dell’affluenza degli studenti al servizio, inoltre, è stata riscontrata una maggiore partecipazione al servizio da parte di studenti-lavoratori, studenti fuori corso e di studenti Erasmus. Va evidenziato, anche, rispetto all’anno precedente, un potenziamento delle risorse strumentali (nuovi pc e telefoni) ed un miglioramento logistico: questo ha consentito una vicinanza strategica con gli altri servizi della Facoltà e, di conseguenza, una maggiore condivisione delle informazioni. Dai dati emersi e dalle riflessioni fin qui sviluppate, possiamo ipotizzare delle ulteriori proposte di miglioramento del Servizio: – la creazione, a livello sperimentale, di uno sportello informativo telematico (tramite Skype) per agevolare gli studenti fuori sede e gli studenti-lavoratori in tre momenti della settimana: in orario tardo pomeridiano, durante la pausa pranzo e il sabato mattina; – il potenziamento del tutorato didattico, ad esempio, organizzando degli incontri circa la stesura della tesi e le procedure che portano alla laurea. Dai dati raccolti emerge la necessità da parte degli studenti, di avere maggiori informazioni circa questi argomenti; – il potenziamento della promozione del Servizio, soprattutto circa le attività che svolgono i Tutor Junior, in modo da orientare subito gli studenti su quali possono essere le attività che i Tutor svolgono e a quali altri servizi, invece, far riferimento; – il miglioramento del sito web, aggiungendo delle Faq di Facoltà, allegando i materiali che i Tutor Junior hanno creato in modo da renderli fruibili agli studenti anche on line; – una maggiore flessibilità dei Tutor: i Tutor Junior potrebbero raggiungendo direttamente gli studenti in aula a fine lezione, durante le pause tra le lezioni o la pausa pranzo. Questo potrebbe consentire, a chi non avesse la possibilità di raggiungere i Tutor in ufficio, di incontrarli direttamente per avere chiarimenti e per risolvere dubbi.

132


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Riferimenti bibliografici Alcon E. (2003).Tutoria personalizada y pedagogia reflexiva en el contexcto universitario. In F. Michavila, J. Garcia Delgado (Ed.), La tutoria y los nuevos modos de aprendizaje en la universidad. Madrid: Catedra Unesco. Arbizu F., Lobato C., del Castillo L. (2005). Algunos modelos de abordaje de la tutoría universitaria. Revista de Psicodidáctica, 10, 1, pp. 7-21. Arbizu F. (1994). La funzion docente del profesorado universitario. Bilbao: Universidad del Pais Vasco Arcuri S., Paggin N., Zago P. (a cura di) (2002). Una parte per il tutor. Padova: Cleup. Barrows H. S. (1996). Problem-based learning in medicine and beyond: A brief overview. In L.Wilkerson, W.H. Gijselaers (Eds.), New directions for teaching and learning, vol. 68. Bringing problem-based learning to higher education:Theory and practice (pp. 3-13). San Francisco: Jossey-Bass. Binetti P., Pontalti I., Santini D. (1999). Il tutorato, modelli ed esperienze nella didattica universitaria. Roma: SEU. Binetti P. (1999). Il Tutorato: modelli a confronto. Cort quaderni, 1, pp. 29-40 Codato M. (2008). Report per la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Padova. Progetto di tutorato di lungimiranza Ci piace guardare lontano, Padova. Conseill de L’Europe (2004). Domino a manual to use peer group education as a means to fight macis, xenophobia, anti-semitism and intolerance. Hungary. Crui (1995). Orientamento e Tutorato. From: www.crui.it Crui (2000). Sul tutorato nelle università. From: www.crui.it Da Re L., Zago G. (2011). Academic tutoring and dispersion: a project of research of the university of Padua Atti del convegno ICERI 2011. International Conference of Education, Research and Innovation (pp. 1457-1467). Madrid, 14-16 Novembre 2011. Fenizia R., Pasquino F., Spasiano M.R. (1994). Il tutorato: esperienze universitarie. Napoli: E.DI.S.U. Galliani L. (2011). La riforma universitaria e le responsabilità dei docenti. In L. Galliani (a cura di), Il Docente Universitario. Una professione tra ricerca, didattica e governance degli atenei (pp. 3-9). Atti della VIII Biennale Internazionale sulla Didattica Universitaria, Padova, 2 e 3 dicembre 2010. LecceBrescia: Pensa MultiMedia. Gemma C. et al. (2010). Percorsi di orientamento e pratiche di tutorato, l’esperienza della Facoltà di Scienze della Formazione di Bari. Lecce-Brescia: Pensa MultiMedia. Laneve C. (2000). Il tutorato un’istanza emergente. Scuola e Didattica, 4, pp. 20-21 Lucangeli D., Mirandola A., De Gasperi M., Rota G.,Vanin C., Zago P. (2009). Il bisogno di orientamento prima, durante e dopo gli studi. In L. Fabbris (a cura di), I servizi a supporto degli studenti universitari (pp. 107-138). Cleup: Padova Lázaro A. (1997). La acción tutorial de la función docente universitaria (2a parte). Revista Complutense de Educacion., 8, 2, pp. 109-128. Messeri A. (2010). Orientamento e tutorato nell’Università italiana. Georivista.it. Mundina J., Pombo N., Ruiz E. (2007). Dimension convergente de la tutoria en la universidad: tutoria entre iguales.V Jornadas de Redes de Investigación en Docencia Universitaria. Alicante, pp. 68-76 Pedicchio M.C., Fontana I. (eds.). (2000). Tutoring in European Universities.Trieste: Commissione Europea. Pierre A., Wilson V., Harden R.M. Elsegood, J. (1998). Promoting cohesive practice in health care. Medical Teacher, 20, 5, pp. 409-416. Sarkin R.T., Greenberg L.,Wilking A. P. (1997).Twelve tips for a successful clerkship. Medical Teacher, 19, 3, PP. 95-98. Snadden D.,Thomas M. (1998). Amee Guide n. 11.The use of portfolio learning in medical education. Medical Educacion, 20, 1, pp. 192-199. www.unipd.it\tutorato Zabalza M.A. (2003). Competencias docentes del profesorado universitario. Calidad y desarrollo profesional. Madrid: Narcea. Zaggia C. (2008). L’Università delle competenze. Progettazione e valutazione dei corsi di laurea nel processo di Bologna. Milano: Franco Angeli.

133


informazioni VI Seminario – Roma 14-15-16 giugno 2012

LA RICERCA NELLE SCUOLE DI DOTTORATO IN ITALIA Dottorandi e docenti a confronto RESEARCH IN DOCTORAL SCHOOL IN ITALY A comparison between doctoral students and teachers ALESSANDRA LA MARCA L’articolo presenta la sesta edizione del Seminario SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica), svolta a Roma nel giugno 2012. Dell’iniziativa sono messi in evidenza alcuni degli aspetti più rilevanti emersi, in particolare la necessità di implementare ulteriormente la cultura della trasparenza e della riflessione sulle difficoltà incontrate durante la ricerca, nonché della opportunità di presentare pubblicamente resoconti delle ricerche in corso. Nell’impostare il lavoro di indagine che un dottorando si prefigge di svolgere nel contesto del terzo ciclo universitario una questione importante è costituita dalla scelta del metodo di ricerca da utilizzare. Spesso tale scelta è dettata da questioni epistemologiche e da preferenze individuali. Tuttavia è ancora più importante garantire che il metodo adottato risulti coerente con gli obiettivi e le ipotesi di lavoro che si intendono perseguire

The article deals with the sixthy edition conference of the SIRD (Italian Society for Educational Research) that was held in Rome in June 2012.The article underlines some important aspects of the conference, in particular the need to improve a culture of transparency and in-depth reflection about research strengths, the opportunity to do a public presentation of on-going research reports. In the elaboration of the doctoral dissertation one of the main point is the selection and activation of the research method. Many times the choice is driven by epistemological and personal preferences. However is more important that the student gives the required importance to the coherence between the objectives and hypothesis intended and the method used.

Parole chiave: ricerca didattica, dissertazione di dottorato, scelta del metodo di indagine, risorse per la ricerca

Key words: educational research, doctoral dissertation, selection of methods, resources for research

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line) Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno V – dicembre 2012

134


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

La sesta edizione del Seminario SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica), La ricerca nelle scuole di dottorato in italia dottorandi e docenti a confronto, si è svolta a Roma nel giugno 2012. L’iniziativa ha coinvolto anche quest’anno dottorandi e docenti di diverse Scuole di dottorato italiane.Tra gli obiettivi del seminario la promozione della qualità della ricerca, la riflessione sul significato e il valore del dottorato di ricerca, il confronto tra docenti, giovani ricercatori e dottorandi. I partecipanti hanno avuto una straordinaria opportunità per conoscersi e far conoscere i loro temi di ricerca e per evidenziare le eventuali difficoltà metodologiche incontrate nel proprio lavoro. In generale, come hanno sottolineato gli stessi partecipanti all’iniziativa, il vero valore aggiunto è stato, oltre alla trattazione di tematiche inedite per i percorsi di dottorato ma assolutamente attuali e urgenti, la creazione di un network trasversale e la condivisione di un’esperienza di fertile contaminazione disciplinare e metodologica. Renata Viganò dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nella relazione Dal rigore scientifico alla rilevanza dell’oggetto. Snodi e scenari per la ricerca educativa ha affrontato il tema della ricerca in relazione al suo rapporto con le pratiche e le politiche educative, ancorando l’analisi ad alcune questioni significative sottolineando il valore del fare ricerca in educazione quale prassi – di pensiero e di azione – che esige di essere, da un lato, teoricamente fondata e, dall’altro lato, metodologicamente rigorosa. Durante l’intervento sono state delineate alcune direzioni principali di impegno per una ricerca didattica intesa a qualificarsi come interlocutore originale ed essenziale della pratica e delle politiche educative. Infine sono state poste in evidenza le tendenze internazionali, nel campo delle politiche educative e della ricerca. Lucia Lumbelli dell’Università di Trieste, affrontando il tema La costruzione dell’ipotesi nella ricerca di pedagogia sperimentale ha ripercorso le fasi principali attraverso le quali si sviluppa un percorso di ricerca empirica e sperimentale in educazione, allo scopo di riflettere su alcune questioni importanti che si pongono al ricercatore durante il suo lavoro di indagine. Sono stati delineati i momenti più significativi che caratterizzano un itinerario di indagine che predilige l’approccio più propriamente sperimentale e quantitativo, al fine di evidenziarne le peculiarità e le valenze nell’ambito della ricerca empirica in pedagogia; tale approccio è stato analizzato e discusso criticamente alla luce delle più recenti riflessioni sui paradigmi teorici della ricerca nelle scienze sociali e sulle possibilità e i limiti dell’integrazione, teorica e metodologica, tra gli approcci quantitativo e qualitativo. Durante il seminario è stato più volte ribadito che sono le teorie di riferimento ad orientare la natura degli interrogativi di ricerca e il modo di porli; le risposte che agli interrogativi di ricerca vengono date dal ricercatore, come ipotesi di lavoro, prima di raccogliere l’evidenza empirica; le definizioni operative che il ricercatore assegna ai fattori presenti nelle ipotesi stesse. È stato sottolineato che nel decidere la rilevanza di un tema di ricerca – e nel formulare “buoni” interrogativi di ricerca – bisogna esercitare una doppia sensibilità, che porti sia ad ascoltare le istanze e i problemi che vengono dagli operatori “sul campo”, sia a costruire una conoscenza approfondita dei lavori precedenti e del dibattito corrente, sul piano teoretico, metodologico ed empirico, allo scopo di individuare temi rispetto ai quali la ricerca non si è interrogata (o non si è interrogata abbastanza, in relazione alle possibilità che la poca ricerca condotta ha fatto intravedere) oppure ha formulato risposte lacunose e insufficienti. I dottorandi hanno avuto la possibilità di diventare più consapevoli del fatto che gli interrogativi di ricerca non sono “dati”, ma vanno “costruiti” sulla base della sensibilità del ricercatore capace di ottenere risposte attraverso un processo di ricerca empirica effettivamente attuabile con le risorse a disposizione. Porsi invece interrogativi troppo ampi ed ambiziosi

135


SIRD • Informazioni

è il modo migliore per mettere in atto indagini di “superficie” che producono risultati difficilmente utilizzabili per orientare interventi che abbiano effettiva possibilità di impatto. Accanto ai momenti di inquadramento teorico, è stato dedicato altrettanto spazio a forme di apprendimento interattivo, che hanno richiesto un coinvolgimento “guidato”, dei partecipanti, e al confronto tra situazioni esperienziali su tematiche legate alla metodologia della ricerca. Sono emerse alcune indicazioni per migliorare la qualità della ricerca dei dottorandi: individuare la questione attraverso una conoscenza della letteratura di base; utilizzare il metodo più adatto al raggiungimento dell’obiettivo; essere aiutati sistematicamente dal proprio relatore; evitare la superficialità e la tendenza a utilizzare acriticamente gli strumenti esistenti; sviluppare in modo chiaro, intelligente e logico gli argomenti. Le proposte di candidatura per la presentazione delle tesi sono state presentate entro la data stabilita mediante l’attivazione della rete dei soci SIRD e attraverso la sensibilizzazione dei Direttori o Coordinatori delle Scuole di dottorato; anche quest’anno i dottorandi del secondo anno hanno avuto a disposizione venti minuti per la presentazione della tesi e dieci minuti per la discussione. Nella tabella allegata sono riportati i nominativi dei dottorandi che hanno presentato i loro lavori, le sedi universitarie di provenienza ed i titoli delle tesi. Ad ogni presentazione dei lavori di ricerca ha fatto seguito un breve dibattito, durante il quale sono stati posti e chiariti alcuni problemi che ci si trova ad affrontare nel percorso di ricerca. I dottorandi hanno così avuto la possibilità di ricevere osservazioni e suggerimenti sulle loro ricerche in corso da parte dei docenti, dei dottorandi e dei ricercatori presenti al Seminario. Sono state discusse le diverse metodologie utilizzate dai dottorandi nelle loro ricerche con particolare riferimento alle problematiche riguardanti la rilevanza di un tema di ricerca, la funzione che ha il quadro teorico nel guidare le scelte del ricercatore, le differenti visioni insite nei concetti di “metodo” e di “strategia” di ricerca, la necessità metodologica di integrare ed utilizzare in modo congiunto i principi e le tecniche tradizionalmente associati agli approcci “qualitativo” e “quantitativo”, l’importanza di ragionare sui limiti di validità dei risultati della ricerca, sia per valutarne la qualità intrinseca sia per definirne l’estensione logica, requisito primario per una loro effettiva applicabilità in contesti educativi e formativi. Si è più volte evidenziato come da una buona formulazione dell’interrogativo di ricerca discende la chiarezza dell’obiettivo di ricerca e che a seconda degli obiettivi contingenti, il ricercatore può adottare indifferentemente le tecniche e gli strumenti tipici della ricerca di impostazione “quantitativa” o “qualitativa”. È stata richiamata l’attenzione sulla irreprensibilità richiesta allo studioso: nel reperimento e nell’uso della documentazione, nella presentazione delle diverse prospettive e contributi, nell’evitare le possibili distorsioni, nel dichiarare il metodo di lavoro seguito, nel rispettare alcuni principi deontologici. Durante le discussioni si è evitato di difendere l’uno o l’altro paradigma di ricerca adottato cercando piuttosto di far riflettere i dottorandi sull’importanza di produrre risultati dotati di validità, il che richiede una stretta tra coerenza tra l’obiettivo di ricerca e la strategia utilizzata per raggiungerlo. Il rigido dualismo quantitativo-qualitativo è stato in quest’ottica presentato come anacronistico. Si è potuto osservare come i dottorandi più accorti utilizzano spesso gli strumenti concettuali derivati da entrambe le epistemologie, anche se a volte in maniera inconsapevole. Il terzo giorno è stato dedicato uno spazio di discussione ai problemi e alle prospettive delle scuole di dottorato con la tavola rotonda, “Prospettive future dei Dottorati pedagogici” coordinata da Luciano Galliani (Università di Padova) in cui sono intervenuti Roberta Car-

136


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

darello (Università di Modena e Reggio Emilia), Carmela Covato (Università Roma Tre), Maria Lucia Giovannini (Università di Bologna), Alessandra La Marca (Università di Palermo), Pietro Lucisano (Università Roma “La Sapienza”) e Simonetta Ulivieri (Università di Firenze). Gli interventi svolti e la discussione che ne è seguita hanno evidenziato ancora una volta che la formazione dottorale non può che essere fatta “con” e “per” la ricerca e quindi richiede, per il suo espletamento, una documentata attività di ricerca ad alto livello. Il Dottorato costituisce il terzo livello di formazione universitaria ed è il grado più alto di specializzazione offerto dalle Università sia per le carriere accademiche e di ricerca sia per quelle nel mondo produttivo, attento all’innovazione. È pertanto necessario che il valore del dottorato sia alto e, come tale, riconosciuto internazionalmente. Le sfide e le criticità relative al dottorato di ricerca sono molte e complesse, ma possono essere ricondotte a una sfida principale, di carattere culturale. Si tratta di stimolare lo sviluppo e il consolidamento di una percezione nuova del valore “dottorato” da parte delle Università, del mondo extra-accademico e degli stessi dottorandi e dottori, che potrebbero così trovare condizioni più favorevoli per la restituzione delle conoscenze e delle competenze altamente qualificanti acquisite durante i percorsi di studio e ricerca. L’istituzione di una Scuola di Dottorato risponde normalmente a precisi requisiti di dimensione e di qualità e ad un progetto fondativo culturale e scientifico di ampio respiro che appartiene ad una o più macroaree di ricerca. La riflessione comune sui dottorati durante la tavola rotonda ha fatto emergere lo sviluppo di esperienze molto differenziate. Le Scuole di Dottorato sono istituite dalle Università, singolarmente o in consorzio tra più sedi universitarie a livello regionale o nazionale, attraverso i loro dipartimenti o le loro strutture di coordinamento della ricerca, previo accreditamento di una agenzia di valutazione nazionale; la struttura consortile può consentire alla Scuola di Dottorato di superare agevolmente i livelli dei requisiti richiesti come minimi, e a realizzare comunità di studio più ampie e più varie per esperienze di ricerca la ove manchi tale varietà in una singola università. Le attività didattiche e di ricerca si svolgono interamente in Italia oppure, in una prospettiva sempre più ampia e diffusa di internazionalizzazione, all’estero. In questa direzione vanno ad esempio le esperienze dei dottorati internazionali, che rilasciano il titolo congiunto con altri atenei stranieri, dei dottorati in cotutela, a seguito dei quali vengono rilasciati dei diplomi (doppi o congiunti) riconosciuti nei paesi dove si svolgono le attività, e della menzione nel diploma del titolo di Doctor Europaeus. Si è insistito sul potenziamento delle forme di internazionalizzazione, con lo scopo di migliorare la validità dei programmi anche in ambito extra-nazionale e sullo sviluppo di meccanismi più efficaci di raccordo con il mondo produttivo e delle professioni. È stato sottolineato come le Scuole di Dottorato garantiscono un ambiente di ricerca fertile ed un’attività didattica specialistica di qualità, consentono percorsi interdisciplinari per la formazione di competenze trasversali (transferable skills o soft skills) utili per migliorare l’appetibilità dei futuri dottori nei diversi contesti professionali. Una potenziata partnership tra Università ed enti pubblici e privati, fin dall’identificazione di progetti di ricerca di interesse comune, non solo garantirebbe la disponibilità di fondi esterni in tempi di riduzione delle borse di studio ministeriali, ma permetterebbe soprattutto la creazione di un circuito virtuoso e vantaggioso per tutti i soggetti coinvolti. Per questo motivo è necessario fare una politica di sostegno per l’inserimento dei dottori di ricerca presso il mondo produttivo ai livelli adeguati al loro grado di specializzazione e alle potenzialità che offrono ai processi di innovazione. Tale politica deve prevedere opportuni incentivi di carattere finanziario a favore di quelle imprese che favoriscono questi pro-

137


SIRD • Informazioni

cessi. Il Paese ha bisogno di avere molti più dottori di ricerca di quanti l’accademia ne possa e debba assorbire. Il dottore di ricerca deve diventare il prodotto finale e più specializzato che l’università da alla società per una classe dirigente preparata e consapevole. Come è stato sottolineato in una varietà di documenti della Commissione Europea e dell’OCSE (Careers of Doctorate Holders), i dottori di ricerca rappresentano un capitale umano cruciale per l’innovazione e lo sviluppo ed è pertanto necessario sostenerli nella transizione verso le loro future carriere professionali, dentro e fuori l’Università, rafforzando la loro employability. Per rispondere a queste sollecitazioni in tutti i Paesi europei si è attivato, con tempistiche e modalità differenti, un processo che ha portato al mutamento del concetto stesso del dottorato: la produzione di un lavoro di ricerca originale non è più l’unico obiettivo, pur restando la componente centrale della formazione dottorale. In pochi anni sono più che raddoppiate le Scuole di dottorato, identificate come la forma più idonea per la gestione di programmi innovativi e strutturati, il che ha permesso il superamento della concezione tradizionale del dottorato concentrato sul progetto di ricerca individuale e ruotante intorno al rapporto tra dottorando e relatore. In parallelo alle iniziative europee, le Università italiane hanno avviato una riflessione sull’evoluzione e il rinnovamento del dottorato di ricerca. Una serie di iniziative sono state recentemente intraprese per rafforzare la spendibilità delle conoscenze apprese nei diversi contesti lavorativi, dall’attivazione di percorsi formativi trasversali, all’internazionalizzazione dei dottorati, al finanziamento di servizi di sviluppo di carriera.

138


Giornale Italiano della Ricerca Educativa • V • 9 / DICEMBRE • 2012

Silvia Biondi

Università di Macerata

Didattica generale e didattiche disciplinari: strumenti e modalità operative per favorire il dialogo

Anna Cristini

Università di Padova

Fare ricerca in Biblioteca Scolastica con i libri di divulgazione

Giuseppe Cosimo De Simone Università del Salento

Mobile learning, tra ubiquità e mobilità

Gilberto Ferraro

Università di Padova

La percezione di competenza degli insegnanti nell’azione didattica per lo sviluppo di abilità di studio

Vincenza Rocco

Università di Bergamo

L’Inquiry Based Science Education come metodo per una didattica attiva: elementi per una valutazione

Ilaria Ferri

Università di Padova

Motivare ad uno stile di vita attivo col piacere di fare movimento

Daniela Marcucci

Università Roma “La Sapienza”

L’integrazione linguistica degli immigrati. Il ruolo dei Centri territoriali Permanenti e dei loro docenti

Valentina Martini

Università di Modena e Reggio Emilia

Le competenze argomentative dei bambini promosse dalla Philosophy for Children

Emanuela Zappella

Università di Bergamo

La sfida dell’inserimento professionale delle persone disabili: un’indagine nelle PMI

Lorena Pirola

Università di Macerata

Il middle management nella scuola dell’autonomia: il docente funzione strumentale. Il portfolio come strumento di sviluppo professionale ed organizzativo

Amalia Rizzo

Università Roma Tre

Forme di sostegno nella dimensione inclusiva: il ruolo dell’insegnante per le attività di sostegno alla classe nella scuola secondaria di I grado

Rossana Sicurello

Università di Palermo

La valorizzazione delle specificità di genere nel primo ciclo di istruzione

Ivan Traina

Università di Bologna

Progettazione partecipata, accessibilità e fasce vulnerabili. Proposte di cittadinanza e innovazione sociale per la disabilità

Fekede Tuli

Università Roma Tre

Professional Learning of Teachers in Secondary Schools: Exploring Perceptions and Practices

Silvia Zanazzi

Università Roma “La Sapienza”

Valutazione e finanziamento della ricerca universitaria. Studio di caso comparativo: Italia, Francia, Germania, Spagna

Tab. Presentazione delle tesi di Dottorato

139



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.