STUDIUM EDUCATIONIS Anno XV – numero 2 – giugno 2014
– Anno XV – n. 2 – GIUGNO 2014 Rivista quadrimestrale per le professioni educative Direttore Responsabile
Comitato Scientifico
Comitato di Redazione
Diega Orlando Cian
Sergio Angori Roberta Caldin Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Renato Di Nubila Luciano Galliani Anna Genco Sira Serenella Macchietti Anna Marina Mariani Giuseppe Milan Giuliano Minichiello Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato Milena Santerini Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello
Giuseppe Milan (caporedattore) Luca Agostinetto Mirca Benetton Chiara Biasin Carla Callegari Alessandra Cesaro Mino Conte Emma Gasperi Paola Milani Emanuela Toffano Patrizia Zamperlin Orietta Zanato Comitato Editoriale
Diega Orlando Cian Mino Conte Emma Gasperi Giuseppe Milan Emanuela Toffano
Peer-review
Gli articoli ricevuti dalla Redazione sono sottoposti, in forma anonima, al parere di due membri del Comitato di Referee, le cui decisioni sono inappellabili. In caso di richiesta di integrazioni o correzioni, gli articoli sono rinviati agli autori, che dovranno apportare le modifiche necessarie. Studium Educationis, fondata e diretta da Diega Orlando, professore emerito di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Padova, è uscita come bimestrale, con regolarità, dal 1996 a tutto il 2000. A partire dall’anno successivo ha assunto cadenza quadrimestrale. Quattro anni fa la rivista è passata dalla casa editrice Cedam alla casa editrice Erickson, giungendo infine, a partire dal 2011, alla casa editrice Pensa MultiMedia. Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 1520 del 19 luglio 1996 ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Finito di stampare Giugno 2014 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata
Comitato di Referee
Giuditta Alessandrini Sergio Angori Roberta Caldin Paolo Calidoni Mirella Chiaranda Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Renato Di Nubila Agustin Escolano Benito Luciano Galliani Anna Genco Alberto Granese Maria Luisa Iavarone Daniele Loro Sira Serenella Macchietti Susanna Mantovani
Umberto Margiotta Anna Marina Mariani Giuseppe Milan Marco Milella Giuliano Minichiello Ferdinando Montuschi Agostino Portera Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato Milena Santerini Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello
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INDICE
7 17 39
51 57
69
81 95
Antonio Bellingreri Il maschile e il femminile. Una riflessione sulla radice di senso dell’identità di genere Chiara Biasin Studenti in autoformazione: esperienze significative Raffaella Biagioli La formazione orientativa
Fabrizio d’Aniello Knowledge management: la conoscenza al lavoro Luigina Passuello Quel sapere sull’insegnamento costruito dal banco
Marcella Milana Europe: Strategies and agendas for lifelong learning at time of crisis Emanuele Isidori, Mirca Benetton La pedagogia dell’allenamento sportivo tra epistemologia e lifelong learning Elena Marescotti Per una curvatura educativa del lifelong learning
107 Margherita Cestaro Mediazione interculturale
111 Documento della Consulta dei Presidenti delle Società Scientifiche di Area Pedagogica in materia di ASN
113 Mirca Benetton Seminario di studio.Verso il riconoscimento delle professioni educative. Quali spazi per il Pedagogista professionale? 117 Carla Callegari Convegno. Il positivismo italiano e i suoi centri di elaborazione
121
(a cura di) Giuseppe Acone Mirella Chiaranda Emma Gasperi
Antonio Bellingreri • Università degli Studi di Palermo Chiara Biasin • Università degli Studi di Padova Raffaella Biagioli • Università degli Studi di Firenze Fabrizio d’Aniello • Università degli Studi di Macerata Luigina Passuello • Università degli Studi di Verona Marcella Milana • Aarhus University and University of California-Los Angeles Emanuele Isidori • Università degli Studi di Roma “Foro Italico” Mirca Benetton • Università degli Studi di Padova Elena Marescotti • Università degli Studi di Ferrara Margherita Cestaro • Università degli Studi di Padova Carla Callegari • Università degli Studi di Padova
Il maschile e il femminile. Una riflessione sulla radice di senso dell’identità di genere
di Antonio Bellingreri
Abstract Il tema del maschile e del femminile e il senso della loro reciprocità è percepito come problematico in una cultura come quella attuale, segnata da una propensione all’indifferenziazione sessuale. La questione, per l’elaborazione di un’antropologia pedagogica della sponsalità e della paternità/maternità, è nodale. Il saggio propone una riflessione di stile fenomenologico, volta a ritrovare la radice di senso delle categorie di maschilità e di femminilità, ritrovandole nell’aspetto per cui esse si mostrano costitutive dell’esistenza personale. Tale senso originario resta sempre presente in ogni ricerca e in ogni momento della costruzione della propria singolare identità di genere. Parole chiave: Indifferenziazione sessuale, sessualità genitale, identità di genere, significato originario del maschile e del femminile, ineguaglianze storico-sociali, liberazione sessuale, operatori dell’identità di genere, identità di genere come esistenziali
The topic of the masculine and the feminine and the meaning of their reciprocity is perceived as problematic in the contemporary culture determined by an inclination to the gender non-discrimination.This matter is very important in order to elaborate a pedagogical anthropology of the couple and father/mother figures. The essay proposes a phenomenological reflection, aimed at finding the source of sense of the categories of the masculine and feminine that are essential in the building up of the personal existence.This original sense is always present in any research anytime during the upbringing of every singular gender identity. Key-words: Gender non-discrimination, genital gender, gender identity, original meaning of the masculine and the feminine, social-historical inequalities, sexual freedom, identity gender professionals, existential identity gender
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014
Studenti in autoformazione: esperienze significative
di Chiara Biasin
Abstract L’articolo presenta i risultati di un’indagine quali-quantitativa tra gli studenti universitari volta a conoscere le esperienze di autoformazione significative da loro vissute al fine di valorizzare le capacità di autodirezione nell’apprendimento in contesti formali, come quello universitario, ma anche non formali e informali. Parole chiave: autoformazione, apprendimento autodiretto, esperienze di autonomia nell’apprendimento, università, educazione permanente e degli adulti
This article presents and discusses results of a qualitative-quantitative survey of students at university. Did the students know significant experiences of self-directed learning they had lived? Could knowing these experiences enhance their capacity for self-direction within formal contexts (like university) and in non-fomal and informal milieu? From the data a possible track for increasing the students capacity for self-directed learning emerges. Key-words: self-directed learning, self-regulated learning, autonomous learning experiences, higher education, adult and lifelong education
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014
La formazione orientativa
di Raffaella Biagioli
Abstract Il saggio presenta una riflessione sulla complessità del concetto di orientamento e sulla necessità di ridefinirlo al cospetto degli attuali fenomeni sociali. Rispondere al bisogno di futuro delle giovani generazioni significa mettere in stretta relazione i percorsi di formazione con i loro progetti di vita. Parole chiave: orientamento, formazione, scuola, società, studenti
The paper presents a reflection on the complexity of the concept of orientation and the need to redefine it in the face of current social phenomena. Responding to the need for the future of the younger generation means putting closely related to your training routes with their life projects. Key-words: orientation, training, society, school, students
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014
Knowledge management: la conoscenza al lavoro
di Fabrizio d’Aniello
Abstract Questo contributo evidenzia alcuni aspetti del rapporto tra knowledge management (KM) e riflessione pedagogica, in particolare quella relativa alla pedagogia del lavoro. Pertanto, le brevi note che seguono mirano inizialmente ad inquadrare il principale cambiamento lavorativo introdotto dalla complessità post-fordista, quale cornice entro cui si colloca poi la genesi e l’identità in evoluzione del KM. Quindi, si soffermano sul duplice vantaggio che la riflessione suddetta può offrire sia alla teoria sul KM (e alla sua pratica) sia alla formazione del knowledge intermediary. Parole chiave: knowledge management, lavoro, post-fordismo, pedagogia, knowledge intermediary
This paper spotlights some aspects of the relationship between Knowledge Management (KM) and pedagogical reflection, in particular the one relating to pedagogy of work. Therefore, the following short notes firstly aim to contextualize the main working change introduced by postFordist complexity, that is a frame within which the genesis and the developing identity of KM place themselves.Therefore, these notes dwell on the twofold advantage that the above-mentioned reflection can offer both to KM theory (and its practice) and to knowledge intermediary's training. Key-words: knowledge management, work, post-Fordism, pedagogy, knowledge intermediary
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014
Quel sapere sull’insegnamento costruito dal banco
di Luigina Passuello
Abstract L’articolo intende richiamare il ruolo delle conoscenze sull’insegnamento che i futuri insegnanti ricavano dalla loro esperienza di studenti. Al riguardo, analizza i testi scritti dai partecipanti al Laboratorio di ricerca educativa e didattica della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) del Veneto, Verona, 2007/08, sugli insegnanti preferiti e sulle loro pratiche d’insegnamento. Dall’analisi emergono molti elementi significativi (immagini, credenze, teorie implicite ecc.) che complessivamente esprimono un punto di vista informale sull’insegnamento e i suoi problemi. Nella parte conclusiva l’articolo suggerisce di promuovere, nella formazione iniziale degli insegnanti, una riflessione critica dei partecipanti su alcuni aspetti della propria esperienza di studenti, come stimolo a ridefinire consapevolmente la loro concezione dell’insegnamento. Parole chiave: esperienza scolastica, riflessione autobiografica, relazione educativa, pratiche d’insegnamento, formazione iniziale degli insegnanti
The article intends to highlight the role of the knowledge about teaching that future teachers get from their own experience as students.To this end, it analyzes the texts written by the participants to the Laboratory of Educational Didactic Research of the School of Specialization for Secondary Instruction (SSIS) of Veneto,Verona, 2007/08, concerning their preferred teachers and their teaching practices.The analysis reveals many significant elements (images, beliefs, implicit theories etc.), which all together express an informal point of view on teaching and its problems. In the final part, the article suggests to encourage the future teachers, during their initial training, to reconsider critically their own student experience, as a stimulus to redefine consciously their concept of teaching. Key-words: school experience, autobiographical reflection, educational relationship, teaching practices, initial teacher training
© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014
Europe: Strategies and agendas for lifelong learning at time of crisis
di Marcella Milana
Abstract Per offrire una panoramica compiuta delle strategie politiche per il lifelong learning a livello europeo, e degli stati nazionali, è necessario comprendere i processi attraverso i quali queste vengono a formarsi. Nel presente articolo, pertanto, un’analisi di tali politiche viene condotta, più che sul piano descrittivo, attraverso uno sguardo critico sui processi di governance che le hanno generate. Processi che, a seguito della crisi del 2008 e del conseguente inasprimento della sorveglianza economica all’interno dell’Unione Europea, sono stati condizionati da una sempre più stretta collaborazione inter-istituzionale tra l’UE e l’OCSE, con evidenti conseguenze anche sulle politiche per il lifelong learning. Conseguenze riscontrabili, ad esempio, nel consolidarsi di una agenda politica condivisa tra l’EU e l’OCSE, incentrata sullo sviluppo di capacità funzionali (skills) degli adulti. Detta agenda, fortemente riduttiva, sembra destinata, in Europa, ad influenzare il futuro orientamento dei governi nazionali verso il lifelong learning, e l’educazione degli adulti in particolare. Parole chiave: apprendimento permanente, educazione degli adulti, politiche, Europa
Key-words: lifelong learning, adult education, policy, Europe
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dossier
A complete overview of lifelong learning strategies in Europe, at both international and national levels, calls for understanding the processes through which these strategies take shape. Accordingly, in this contribution, lifelong learning strategies are analyzed through a critical lens on the processes of governance from which they derive, rather than in terms of their content. Governance processes that, in the aftermath of the 2008 crisis and consequent tightening of economic monitoring within the European Union, have facilitated a closer inter-institutional collaboration between the EU and the OECD, with important consequences for lifelong learning policy. Evidence is found, for instance, in the formation of a reductionist skills agenda, joint between the EU and the OECD; an agenda capable of influencing future governmental thinking about lifelong learning and adult education in Europe.
La pedagogia dell’allenamento sportivo tra epistemologia e lifelong learning
di Emanuele Isidori, Mirca Benetton*
Abstract L’obiettivo principale del presente studio è quello di delineare per la prima volta, nel panorama della ricerca pedagogica italiana e all’interno della cosiddetta pedagogia dello sport, una ulteriore branca specialistica di studio dei principali problemi riguardanti lo sport come pratica educativa. Tale nuovo settore di ricerca sarà definito “pedagogia dell’allenamento sportivo”. In questo contributo gli autori individuano il campo scientifico in cui collocare la pedagogia dell’allenamento (sia come scienza dell’educazione che dello sport), evidenziandone i problemi e le funzioni principali. In conclusione, gli autori evidenziano le linee di sviluppo teoretico e metodologico di questa specifica pedagogia. L’obiettivo principale degli autori non è solo quello di diffondere tale disciplina nei diversi campi di ricerca applicata allo sport, ma anche di cercare di trasformare il nuovo campo di ricerca in un sapere di base per la formazione permanente degli allenatori e degli educatori sportivi. Parole chiave: pedagogia, allenamento, sport, lifelong learning, epistemologia
Key-words: education, training, sports, lifelong learning, epistemology
*
Il presente contributo è frutto della riflessione comune e condivisa dei due Autori. In particolare, sono da attribuirsi a Mirca Benetton i §§ 1 e 2 e a Emanuele Isidori i §§ 3, 4 e le Conclusioni.
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dossier
The main goal of this study is to sketch for the first time, within both the framework of Italian research on education and the so-called pedagogy of sport, a new research discipline in the study of sport as an educative practice. This new research field will be called “pedagogy of sport coaching”. In this study, we identify the scientific field in which the pedagogy of sport coaching should be placed (as a science of both education and sport) by highlighting its main topics and functions. To conclude, we highlight the lines of theoretical and methodological development of this particular type of pedagogy. Our main goal is not just to spread this new discipline across the diverse research fields in the pedagogy applied to sport. Rather, we also attempt to turn this new research field into a basic knowledge of sport coaches’ and educators’ lifelong learning.
Per una curvatura educativa del lifelong learning
di Elena Marescotti
Abstract Questo articolo propone una riflessione sul lifelong learning al crocevia di due istanze, contemporaneamente presenti, nell’attuale temperie storica: da una parte, certi orientamenti di natura prettamente economicistica, intitolati alla crescita della produttività e della competitività, e fondamentalmente volti a soddisfare interessi arbitrari; dall’altra parte, quella tensione genuinamente educativa che intende garantire a tutti e per tutta la vita l’accesso e l’esercizio alla conoscenza, intesa quale fattore principe di sviluppo umano in senso migliorativo. Entrambe queste istanze ripongono le loro aspettative di realizzazione nel lifelong learning che, quindi, necessita di essere vagliato nella sua identità e funzione, individuale e sociale. La posizione qui avanzata e avvalorata è quella di un lifelong learning che interagisce armoniosamente con i principi ispiratori e le linee guida della lifelong education. Parole chiave: lifelong learning, lifelong education, education/politics, educational theory
Key-words: apprendimento permanente, educazione permanente, educazione/politica, teoria dell’educazione
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dossier
This paper presents remarks on lifelong learning at the crossroads of two instances simultaneously present in our historical climate: on the one hand, there are certain guidelines exclusively relating economistic aspects, aiming to productivity and competitiveness increase, and basically aimed to satisfy arbitrary interests; on the other hand, there is a genuine education aiming to ensure at all people a lifelong access to knowledge as a needful factor of human development and improvement. Both instances are pinning their achievement expectations in lifelong learning; therefore, it needs to be examined in its identity and function, in individual and social perspective. The positions herein advanced and corroborated pay attention at harmonious interactions between lifelong learning and lifelong education guiding purposes.
Mediazione interculturale
di Margherita Cestaro
La parola “mediazione” deriva dal verbo del tardo latino “mediare” (“stare in mezzo”, “interporre”) che, a sua volta, discende – così come il sostantivo “mediatio-o¯nis” – dal termine “medium” del latino classico. A seconda del suo uso in qualità di sostantivo neutro o di aggettivo, esso indicava rispettivamente “il luogo accessibile, visibile, pubblico”, “la via di mezzo”, “il compromesso”, oppure qualcosa o qualcuno che, essendo in posizione centrale, poteva porsi ora come “neutrale”, “intermediario”, “mediatore” ora come “ambiguo”, “equivoco”, “mediocre”. Conservando le connotazioni positive legate allo “stare nel mezzo”, oggi il termine “mediazione” denota, nella lingua italiana, “l’azione svolta da terzi per il raggiungimento di un incontro e di un accordo” e, in filosofia,“l’attività che pone un termine in relazione con un altro” (Devoto, Oli, 1987). Nello specifico, si tratta di un’attività svolta dal termine medio del sillogismo, dalle prove della dimostrazione e dalla riflessione che, hegelianamente intesa, configura quell’attività di mediazione dal piano empirico dell’esperienza al piano meta-fisico dell’essere (Hegel, 1996). Passando dalla logica all’etica, l’idea del “mezzo” è presente nel concetto aristotelico di medietà. Esso, indicando nel “giusto mezzo” ciò che si pone tra l’eccesso e il difetto, qualifica la virtù etica, intesa come disposizione a “deliberare bene” secondo quella “rettitudine” che è propria dell’uomo saggio (Aristotele, 2007). In epoca contemporanea, la mediazione diventa oggetto di interesse di un ricco filone di studi centrati sull’analisi dei conflitti indicando una specifica strategia di gestione costruttiva e partecipata delle controversie. Quest’ultima, sviluppatasi negli Stati Uniti, durante gli anni Sessanta e – soprattutto – Settanta del secolo scorso, in ambito sociale e delle relazioni internazionali, dagli anni Ottanta incontra un’ampia diffusione anche in Europa, dove trova oggi
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Seminario di studio Verso il riconoscimento delle professioni educative. Quali spazi per il Pedagogista professionale? Padova, 28 febbraio 2014 di Mirca Benetton
Il convegno, promosso dal CIRPED (Centro Italiano di Ricerca Pedagogica) e dal Dipartimento FISPPA dell’Università di Padova, si è incentrato sul dibattito inerente il percorso di legittimazione all’accesso alla professione ed al riconoscimento giuridico delle figure professionali educative, in particolare di quella del Pedagogista. In tali figure, le competenze plurisettoriali relative ai saperi pedagogici e all’azione educativa si integrano per offrire interventi qualificati, che comprendono la consulenza pedagogica e il coordinamento di attività di servizio, in contesti diversi (sistemi formali, non formali e informali) e in età della vita differenti secondo la prospettiva della lifelong education. Il tema inerente il riconoscimento delle professioni educative appare di estrema attualità, presenta molti addentellati e può essere trattato muovendosi su più piani. Non si tratta di creare ex novo la figura del Pedagogista, cioè di inventarla, ma, in primo luogo, di definire in maniera più precisa le figure educative e nello specifico quella del pedagogista, identificandone gli ambiti di intervento e i relativi profili per competenze. Il che richiede una riflessione a livello politico, ma anche sociale, ad opera delle diverse associazioni professionali che agiscono nel territorio e soprattutto a livello accademico, per riconoscere la scientificità dell’azione che i professionisti educativi svolgono. Nella prima sessione, presieduta dalla prof.ssa Carla Xodo, il prof. Paolo Orefice ha preso in esame l’identità sociale, scientifica e lavorativa del pedagogista professionale alla luce di alcune chiavi di analisi e in riferimento a paradigmi pedagogici sviluppatisi nel corso del tempo: quello della pedagogia dell’essenza, quello della pedagogia dell’esistenza e quello della pedagogia complessa, che intende superare il dualismo presente nei primi due approcci. L’analisi si è poi soffermata su opportunità e criticità presenti nel percorso formativo del pedagogista, considerando i corsi di laurea triennale e magistrale per la formazione delle figure educative professionali, la formazione post lauream e il possibile ruolo dell’associazionismo professionale in relazione agli ambiti di specializzazione del pedagogista professionale. La prof.ssa Silvana Calaprice ha analizzato criticamente la formazione
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universitaria dell’Educatore e del Pedagogista, appartenenti alla stessa filiera professionale. Nello specifico, la laurea magistrale del Pedagogista rappresenta il completamento del percorso universitario dell’Educatore (laurea triennale); fra i due profili vi è complementarietà, ma anche indipendenza. Sul piano lavorativo, infatti, non vi è una corrispondente e necessaria sequenzialità dei percorsi (sono presenti pedagogisti che non sono stati educatori e viceversa). Del resto, nell’esercizio della professione la situazione lavorativa di entrambi si presenta ancora disorganica e spesso contraddittoria. La messa a regime delle due figure a norma della L. n. 4 del 20131 e del D.L. n. 13 del 20132 potrebbe condurre al superamento di tali incongruenze. Si pone anche il problema di come costituire un raccordo con le associazioni professionali. Il prof. Piero Crispiani riprende la tematica evidenziando le connessioni fra la pedagogia pratica e le competenze professionali e sottolineando l’opportunità di qualificare le professionalità educative, definendo l’epistemologia stessa che le individua, il rapporto tra la certificazione come atto scientificoculturale e l’accreditamento come atto normativo e la costruzione delle carte professionali. Prospetta le diverse e articolate opportunità nel mercato di lavoro che si offrono per la figura del Pedagogista. Nella sessione pomeridiana, presieduta dal prof. Giuseppe Zago, viene approfondito il tema della deontologia come elemento di qualificazione delle professioni educative. Interviene il gruppo di ricerca coordinato dalla prof.ssa C. Xodo, illustrando strumenti e ricerche che evidenziano l’imprescindibilità della connotazione etico-deontologica nelle professionalità educative. La dott.ssa Mirca Benetton presenta l’Osservatorio permanente sulla deontologia e qualità delle professioni educative, coordinato da C. Xodo. Si tratta di una struttura in costruzione, di osservazione multifocale, che intende valorizzare – nel suo divenire una comunità di pratiche – la costruzione dei codici deontologici e una feconda ibridazione fra teoria e prassi, conoscenza e azione, individuando il senso dell’agire educativo mediante un’interazione fra professionisti educativi, associazioni professionali e strutture di ricerca scientifica. Il dott. Andrea Porcarelli considera l’autopercezione circa la presenza e il valore della competenza etico-deontologica nei professionisti educativi che agiscono nel contesto scolastico: i dirigenti scolastici e i docenti. La dott.ssa Melania Bortolotto si sofferma sugli aspetti di qualificazione professionale a partire da una recente ricerca, rivolta alle realtà educative del cosiddetto Privato Sociale del Veneto, che ha preso in esame e interpretato criticamente i dati relativi alla rappresentazione e percezione di competenza dei responsabili delle risorse umane rispetto alla figura dell’educatore. Emergono tre ‘sfide’ su cui si
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Legge 14 gennaio 2013, n. 4 Disposizioni in materia di professioni non organizzate, (13G00021) (G.U. n. 22 del 26-1-2013). D.L. 16 gennaio 2013, n. 13, Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della Legge 28 giugno 2012, n. 92. (13G00043) (G.U. n.39 del 15-2-2013).
Mirca Benetton
gioca la qualificazione professionale in tale contesto: la ricerca scientifica, la razionalità tecnico-operativa vs riflessiva e l’etica personale vs professionale. Ha chiuso la giornata di studio la tavola rotonda – dal titolo Le professioni educative sul campo – presieduta dal prof. Hervé Cavallera e animata, fra gli altri, dagli interventi del prof. Franco Blezza, della prof.ssa Marina De Rossi, del dott. Gian Luca Bellisario e del dott. Alessandro Prisciandaro. Numerose le tematiche dibattute, fra le quali l’opportunità di coerenza tra bisogni formativi del mondo del lavoro e percorsi di crescita professionale; la necessità di operare una mappatura dei profili professionali dell’Educatore e del Pedagogista nei contesti nazionali per una loro definizione in termini di competenze, non omettendo di problematizzare i vincoli e le opportunità presenti nel mercato del lavoro. In definitiva, se la figura del Pedagogista sembra poter rispondere oggi ad un bisogno di accompagnamento educativo socialmente avvertito, pare fondamentale sostenerla definendone e valorizzandone compiti e competenze, così da orientare l’azione professionale in maniera più precisa e tale da evitare confusione o sovrapposizione rispetto ad altri ruoli aventi finalità diverse da quelle educativo-formative.
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Convegno Il positivismo italiano e i suoi centri di elaborazione Padova, 26 marzo 2014 di Carla Callegari
Il convegno di studi Il positivismo italiano e i suoi centri di elaborazione, svoltosi il 26 marzo 2014 presso l’Aula Nievo del Palazzo del Bo a Padova, ha avuto come argomento centrale la pedagogia positivistica italiana e in particolare un suo rappresentante padovano, Giovanni Marchesini (1868-1931). Il convegno si è articolato in due momenti, durante la mattinata e nel pomeriggio, dedicati rispettivamente all’analisi della pedagogia positivista nei vari centri culturali di elaborazione della penisola e alla presentazione del volume Il pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini e la crisi del positivismo italiano, edito da Pensa Multimedia e pubblicato a cura di Giuseppe Zago con la collaborazione di docenti e studiosi padovani. Dopo il saluto iniziale del pro-rettore, Francesco Gnesotto, il Convegno è stato introdotto dalle pertinenti e puntuali considerazioni di Vincenzo Milanesi, Direttore del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia, Psicologia applicata (FISPPA) e presieduto poi da Carla Xodo. Nell’arco della mattinata le relazioni di Giorgio Chiosso, Tiziana Pironi, Hervé Cavallera, Marco Antonio D’Arcangeli e Giuseppe Zago hanno delineato, con accenti diversi, le caratteristiche del positivismo pedagogico nelle città di Torino, Bologna, Napoli-Palermo, Pavia e Padova. Giorgio Chiosso ha precisato come il positivismo si sia manifestato, anche in campo pedagogico, in una duplice fisionomia: si è connotato in senso critico-metodologico e in senso evoluzionistico-naturalistico. Il tratto unificante delle due tendenze, e quindi dell’intero movimento pedagogico, è stata la convinzione che la modernità, il progresso e la scienza fossero indissolubilmente intrecciati. L’educazione assunse in quel momento una funzione strategica nella costruzione della società moderna, a patto che la pedagogia rinunciasse ad elaborare valori individuati oltre l’esperienza e si affidasse alla scienza sperimentale; così anche la scuola fu concepita come lo strumento più adatto per trasmettere i valori della modernità. Sul finire del secolo praticamente solo a Torino resisteva una traccia della pedagogia spiritualistica. Nel passaggio tra i due secoli però la cultura positivista cominciò a mostrare i segni di una crisi che nemmeno la seconda generazione di positivisti fu in
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grado di arginare e che venne sottolineata da Ferdinand Brunetière nel 1895 con un saggio dal titolo La bancarotta della scienza. Tiziana Pironi ha illustrato il contesto culturale bolognese nel quale furono attivi prima Andrea Angiulli, professore di antropologia e pedagogia, e poi Pietro Siciliani quando il primo si trasferì a Napoli. Hervé Cavallera ha affermato che l’Università di Napoli ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale per il Mezzogiorno continentale: presso quell’università insegnarono i più significativi positivisti del tempo e il loro insegnamento fu essenzialmente volto, dopo l’Unità, alla formazione della coscienza nazionale e borghese, assumendo anche un forte connotato istituzionale. Cavallera ha inoltre sottolineato come il passaggio dall’egemonia culturale positivistica a quella neoidealistica possa essere letto anche nei suoi aspetti di continuità, seppur non evidenti, oltre che in quelli di opposizione e contrasto. Marco Antonio D’Arcangeli si è occupato del positivismo pedagogico presso l’università di Pavia e in particolare dell’opera di Saverio Faustino De Dominicis. Il positivismo di questo autore, pur evoluzionistico, è “comtiano”: per De Dominicis la pedagogia è scienza normativa, fondata sulla biologia, l’antropologia e la sociologia e, insieme, scienza filosofica propulsiva delle idealità progressive della modernità, è pedagogia scientifica concepita come sistema teorico aperto a un confronto con le altre scienze, con il divenire storico e la concretezza delle prassi sociali e educative. Giuseppe Zago ha presentato un’ampia e argomentata relazione sul positivismo pedagogico a Padova con uno specifico riferimento a Giovanni Marchesini che ne è stato rappresentante all’interno della scuola fondata da Roberto Ardigò durante il suo magistero presso l’Ateneo patavino. Ardigò, il maggiore rappresentante del positivismo filosofico, aveva già manifestato un interesse pedagogico che aveva risolto l’educazione in una forma meccanicistica, tesa a creare abitudini e abilità nei discenti. Marchesini, sollecitato anche da aperture al pensiero europeo, declina il proprio “positivismo idealistico” in senso educativo fino a giungere alla teoria della pedagogia del “come se”. In questo autore il “finzionismo”, proprio delle idealità positive, trova pratica applicazione nell’educazione in un’espressione che è fedele al positivismo, ma ne costituisce anche un superamento critico. Nella seduta pomeridiana è stato presentato, a cura di Giovanni Cavallera dell’Università di Firenze, il volume sul pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini. Cavallera ha sottolineato come su tutto il positivismo italiano abbia pesato il giudizio di Giovanni Gentile e come la stroncatura che il filosofo attualista fece di Marchesini rivestì una valenza teorica. Marchesini invece fu un continuatore “critico” della dottrina di Ardigò e il pensiero sul quale valutare complessivamente le sue teorie è proprio quello pedagogico. Brevi riflessioni espresse dai vari autori del volume, sotto la direzione diVincenzo Milanesi, hanno delineato in sintesi le caratteristiche del volume che con-
Carla Callegari
tiene sette saggi che danno conto dei poliedrici interessi di Giovanni Marchesini. Fabio Grigenti ha posto l’attenzione sul fatto che il positivismo costituisce a fine Ottocento un pensiero condiviso in tutta Europa e in questo contesto si può leggere la dottrina filosofica di Marchesini ponendola a confronto con il “finzionismo” di Hans Vaihinger: tra i due autori ci sono molte assonanze anche se Marchesini, a differenza del filosofo tedesco, riesce a trovare nella pedagogia una via di realizzazione della sua dottrina del “come se”. C’è in Marchesini un ottimismo di fondo che sembra assente nel filosofo tedesco. Sempre in chiave comparativa Carla Callegari ha evidenziato il rapporto che è possibile stabilire tra Marchesini e Gabelli: il positivismo pedagogico del primo è metodologico così come lo era stato per il pedagogista bellunese. Anche se Marchesini non lo richiama mai esplicitamente, il pensiero pedagogico di Gabelli rimane “sotto traccia” ed emerge, pur se in maniera critica, nella sua dottrina morale, in quella religiosa e soprattutto in quella pedagogica. Dal confronto di testi emerge, a tratti, anche una assonanza terminologica che colloca Marchesini pienamente all’interno del movimento positivista. Mario Quaranta ha presentato Marchesini come un autore in forte polemica culturale con altre personalità del suo tempo come, ad esempio, Giovanni Papini: in un’età come quella giolittiana la posta in gioco era l’egemonia culturale e il positivismo faceva ormai avvertire i propri limiti. Nonostante questo Marchesini presenta una propria originalità che si scopre anche nella sua interpretazione di un fenomeno complesso come quello del misticismo sul quale egli riflette in due scritti inediti presentati da Quaranta. Fabio Targhetta ha illuminato la figura di Marchesini come pedagogista militante che ebbe molteplici interessi: fu Direttore del Corso di perfezionamento per i licenziati delle Scuole normali, scrisse numerosi e fortunati saggi di pedagogia e manuali per le scuole, diresse il Dizionario delle scienze pedagogiche, al quale collaborarono molti illustri pedagogisti del tempo, e fondò la “Rivista di filosofia e scienze affini” che costituì il principale luogo di elaborazione e rinnovamento del positivismo. Il costante impegno del Nostro verso la scuola e tutti i suoi interventi andarono a favore di un forte rinnovamento educativo e sociale. Giordana Merlo inoltre ha relazionato sulla voce “Letteratura per fanciulli”, curata da Cesira Viviani, presente nel Dizionario delle scienze pedagogiche diretto da Marchesini. Rispetto a questo ambito emergente di ricerca storico-critica, la Viviani sembra non voler entrare in disaccordo con l’impostazione crociana, ma anche cercare nelle parole di Croce una conferma in ordine alla propria idea di letteratura per i fanciulli e cioè quella che da un certo periodo storico sia esistita in diversi contesti una distinta letteratura per l’infanzia che non è stata semplice adattamento della letteratura per gli adulti. È infine intervenuta la dott.ssa Lucia Cappelli dell’Università di Firenze con una breve comunicazione sui rapporti di Marchesini con l’editore Bemporad e sulla fortuna editoriale dei manuali scolastici e delle opere del filosofo padovano pubblicati da questa casa editrice fiorentina.
Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014 • notiziario
Il Convegno di studi ha inteso anche, come scopo specifico, riscoprire il significato e il valore della figura e dell’opera di Giovanni Marchesini, autore “dimenticato” anche a causa delle polemiche, non solo ideologiche ma anche personali, che animarono il periodo di confronto e di contrasto tra il positivismo della scuola di Roberto Ardigò e il neoidealismo gentiliano. Marchesini può invece essere considerato come la coscienza inquieta della crisi del positivismo: il suo pensiero è teso verso soluzioni che lo proiettano oltre i tradizionali confini di quella corrente filosofica e pedagogica e lo caratterizzano, pur con alcuni limiti, come un autorevole rappresentante di quello che Mario Dal Pra ha definito il “positivismo critico”. A tale autore quindi il Convegno ha inteso riconoscere l’importanza storica, anche quale impegnato e leale studioso, pur critico di quella stessa visone filosofica cui si dichiarò sempre fedele, e della quale avvertì, con onestà, i limiti. Con il Convegno si è quindi assolto anche un debito di giustizia nei confronti di un insigne docente dell’Ateneo patavino che la storiografia ha per troppo tempo mantenuto in ombra.
Carla Callegari
Giuliano Minichiello Memoriale del tempo. Logica e metafisica del senso Monduzzi Editoriale, Milano 2013
Chi si aggira tra i territori, ormai desertificati, della teorizzazione come professione improbabile, conosce Giuliano Minichiello e conosce, forse, il legame che c’è tra me e lui. Chi va oltre la lettura rapida del recensore di mestiere (spesso anche i recensori professionisti fanno così) sa che il libro in oggetto è l’ultima prova, in ordine di tempo, dello straordinario impegno teoretico dello studioso irpino. Altri libri di Minichiello riguardano pur sempre un originalissimo sguardo rivolto a penetrare aspetti problematici (a volte, enigmatici) della filosofia della scienza prestata alla filosofia dell’educazione. Qui Minichiello si supera. Questo libro su logica e metafisica del senso è una piccola/grande sintesi dell’intelligenza possibile in un campo assai difficile e raffinato. Con il consueto rigore (a volte capace di essere spietato anche con sé stesso) l’intellettuale irpino scava dentro il destino sommerso del nostro tempo e della sua stessa coscienza culturale (esprimibile con parole, capaci di fornire concetti, metafore, ragionamenti e, comunque, simboli, tesi, appunto, ad intercettare il sogno del senso, o, almeno, ad ostinarsi ad inseguirlo fino a ricondurlo alla sua stessa indentità-autobiografia). Tempo e logica/metafisica del senso sono lì a sfidare chi voglia mettersi sulle spalle il rischio della trascendenza rispetto al fatto che le cose stanno sempre presso sé stesse e oltre sé stesse.
Come scriveva amaramente Cioran : “non c’è rimedio a nulla, non c’è rimedio alla vita”. È una bella sconfitta per chi, come me e Minichiello, si interessa di educazione (in termini strettamente calcistici, perdere in casa è molto peggio che perdere fuori casa). La domanda radicale, a questo punto, torna martellante: a che serve l’educazione se basta la vita? Ma, ad essa è strettamente connessa l’altra domanda: che senso ha la vita consapevole di essere vita? E, anche, che senso ha la condanna ad essere consapevole, se fin dall’inizio essa è priva di senso (e non solo per ciò che concerne il suo singolarizzarsi)? Lo stesso tempo come può aver senso (anche come biografia di sé stesso), se è privo di direzione, se è insidiato dal nulla, dal sempre e dal mai? Dove andiamo se l’andare è del tutto privo di meta? E come si fa a battere la testa contro il muro dell’ostinarsi a dar senso ad un andare che si risolve nell’andare stesso, senza meta, senza che non si sappia che alla fine non valeva la pena né di andare e né di immaginare qualcosa che non sia la fine (Hegel avrebbe detto: “il destino del finito è quello di finire”)? Spesso Minichiello ed io abbiamo discusso di queste strane tematiche o problematiche. L’autore del libro, che ho letto con straordinaria intensità e partecipazione (anche per la sua bellezza), sa, quanto e più di me, che se si scrive una
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logica e una metafisica del senso, nel tentativo di intercettare una connessione tra la memoria del tempo e lo sforzo di dare ad esso un senso, non si può concludere la marcia (mentale) se non sulla spiaggia del non-senso, in un continuo avvitamento per cui c’è bisogno di una teoria del senso, almeno postulata, pure per dire che nulla ha senso. Il tentativo messo in atto da Giuliano Minichiello, nella sua raffinata riflessione, alla fin fine, si risolve nel cercare di andare al di la del nichilismo. Esso ha una sua profonda nobiltà. Ed evoca anche, in modo lontanissimo come sempre, un’assonanza etico-pedagogica. Menomale, almeno per me. Credo di poter cogliere questo profondissimo significato latente in due affermazioni dell’Autore come queste: 1) “Ne consegue che l’etica, non ponendosi come figlia minore del conoscere, non può essere messa in crisi da una qualsiasi argomentazione teorica. Il nesso che il nichilismo stabilisce tra il nulla è vero e il tutto è permesso è da mettere in dubbio non solo per le argomentazioni generali relative alla definizione di ciò che si debba intendere per metafisica, ma per ragioni di tipo esistenziale…”. 2) “Come
nell’autobiografia, che non è solo il racconto di un inizio e di una fine ma anche l’esperienza, in una vita, della totalità della vita stessa. Se il senso ha una storia, essa è come un’autobiografia”. Insomma, il senso è il tempo stesso. È l’essere che tenta di avere almeno una storia. Il senso è il narrare di sé stesso, è la natura temporale di sé. Esso ha consistenza nel suo narrare e nel suo narrarsi. Perciò non ha bisogno di una metafisica se non di un continuo raccontarsi nel tempo. Ma, posta così la cosa, si è dentro ad un narrare in quanto tale, in una identità autoreferenziale che è il continuo reiterare sé stesso.Volendo azzardare, un trascendere che è il suo stesso trascendere. Fuori dalla narrazione (o auto-narrazione del senso medesimo) non vi è senso. È la contraddizione di ogni monismo radicale. E Giuliano Minichiello sa che il nichilismo è il più radicale dei monismi (è il monismo del nulla). Ed ha ragione Minichiello allorché coglie che esso si svela solo nel narratore, che rimane l’unico elemento meta, se si propone di andare oltre il nichilismo. [Giuseppe Acone]
Studium Educationis • anno XV - n. 2 - giugno 2014 • recensioni
G. Zago Percorsi della pedagogia contemporanea Mondadori Università, Milano 2013 (pp. 370)
Il lavoro scientifico di un docente universitario è talvolta illuminato da intenti di sospensione critica e di sintesi della propria vicenda intellettuale, per una rappresentazione utile alla ricerca e all’approfondimento tematico da parte di altri, allievi, studenti e ricercatori. Il volume di Giuseppe Zago si presenta, a nostro avviso, su questo piano propositivo, tenta in modo raffinato di coinvolgere il lettore e lo studioso di dimensioni storico-educative della realtà, nella ricerca propriamente pedagogica, con l’intento precisato di costruirne o approfondirne la mentalità, l’abito scientifico pertinente. L’indagine sulla natura della pedagogia, sui fondamenti teorici e concettuali, sulla particolarità del suo essere e delle sue metodologie è qui offerta all’intelligenza critica del ricercatore attraverso la pluralità delle ermeneutiche, rappresentate dai punti di vista degli Autori, in un contesto mondiale di appartenenza e nei limiti della loro contemporaneità. Il contatto diretto con le fonti, pur nella dimensione antologica della rassegna e nella provvisorietà del richiamo, vuole indurre a contestualità più ampie ed organiche, tipiche di un’analisi storica che non si accontenta del particolare monografico, ma esige una comprensione profonda dell’idea e del fatto educativo nella sua utopia e nel suo processo. L’Autore sollecita continuamente itinerari di ricerca e di scavo, orientati anche dagli spunti culturali della sua parola, in tal senso costruisce una tensione pedagogica, attenta a dinamiche di opposizione (teoria e prassi, ideali e fatti, finalità e processi…), sempre presenti nella realtà educativa, ben distinte e inconciliabili. La dimensione storica del discorso è fatta
consistere nella pluralità dei percorsi educativi, intesi come progetti ideali da attuare o realizzazioni concrete consapevoli “in un determinato contesto sociale”, secondo logiche scientifiche ben note. La storia della pedagogia è ricondotta quindi alla natura stessa dell’educazione, processo continuo della vita illuminato da un sapere, da un “discorso sempre aperto e rinnovato”, dalla cui costruzione formale non si prescinde, pur nella possibilità delle epistemologie, in un approccio storico-educativo ai diversi temi enunciati. Al di là delle eventuali soluzioni di spessore storiografico, sulle quali influiscono visioni della vita, disposizioni psicologiche, esigenze sociopolitiche, tradizioni antiche e immagini del futuro, l’Autore insegna che quando si fa riferimento alla educazione e al suo logos, la ricerca si misura con un dato ontologico, che ne rappresenta la natura e si esprime secondo un ordine di pensiero e di parola. Il volume introduce a questa legittimità di studio e di approfondimento, indica nella prima sezione approcci interpretativi del nucleo della realtà educativa, con precisazioni del suo essere, dei suoi significati e delle condizioni che la garantiscono per plausibilità ed efficacia. La definizione di Brezinka, da cui l’Autore inizia un percorso di analisi, offre con la sua radicalità un terreno di preliminare confronto e di apparente neutralità, in cui tuttavia domina l’esigenza della chiarezza e trasparenza delle terminologie, in una dimensione scientifica del linguaggio ritenuto idoneo a significare la realtà educativa. La storia della pedagogia rileva la parzialità dei significati impliciti nelle diverse definizioni e fa riconoscere nell’azione il loro comune elemento, riconosce inoltre alla pedagogia “autono-
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mia scientifica”, quando il discorso educativo è fondato su particolari criteri. Il primo problema evidenziato da Zago è riferito all’intenzionalità che implica una scelta, nella direzione del processo educativo, definito storicamente nel tempo e negli ambienti, influenzato da visioni della vita proprie di una comunità o di un gruppo, che si traducono nella chiarificazione di ideali educativi. La comprensione della natura della realtà educativa è resa possibile quando si riflette sulla relazione tra soggetto educando e tutto quello che con lui comunica intenzionalmente, l’altro soggetto istituzionale che media gli influssi di tempo, luogo, ambienti.Tale relazione è connotata da una “certa asimmetria”, dall’opposizione tra “due poli”, interpretata storicamente con significati diversi. “Per secoli il rapporto educativo è stato colto come un rapporto sostanzialmente antinomico tra l’autorità (rappresentata dall’educatore) e la libertà (rappresentata dall’educando) oppure tra le esigenze della socialità e quelle della individualità. L’educazione è stata configurata pertanto come un rapporto tra una società (o un gruppo sociale) che tende ad operare sui singoli, e il singolo che non può non porre (e talvolta opporre) le ragioni della sua autonomia e della indipendenza, vale a dire le dimensioni insopprimibili della sua personalità, quali la libertà, l’inventiva e la creatività… Nella cultura educativa spesso si è privilegiata la considerazione (e soprattutto l’azione) di uno dei due termini del rapporto ponendo l’altro in posizione subordinata, altre volte si è preferito sottolinearne la complementarità o l’interazione… alla luce dei diversi sistemi di pensiero” (p. 86). L’educatore si avvale di procedimenti e mezzi adeguati, secondo metodi studiati dalla didattica, “disciplina che indaga sistematicamente l’azione educativa e i processi di insegnamento, con particolare riferimento alla scuola e ai saperi scolastici” (p. 123). L’Autore ne evidenzia l’autonomia rispetto ad altre costruzioni scientifiche e sottolinea, nella cultura contemporanea, l’ estensione del suo campo d’indagine “oltre la scuola per occuparsi
di tutte le età della vita e di una pluralità di ambienti educativi” (p. 126). L’educazione implica infatti soggetti vari, si svolge all’interno di molteplici istituzioni e agenzie, utilizza modalità formali ed informali che la pedagogia ha storicamente privilegiato con sguardi ineguali. La prima e la seconda parte del volume si compongono unitariamente in una prospettiva armonica di problematicità teoretica e densità culturale, propriamente storica, che integra il dato monografico con ampie dimensioni di biografia e bibliografia degli Autori dialoganti. Le scelte tematiche svolte nelle pagine introduttive, quell’ordine di rappresentazione di cui si parlava, pur nella controllata molteplicità e pluralità degli interventi, scoprono la linea culturale e scientifica di Zago, il suo percorso storico pedagogico prevalente, gli influssi significativi della cultura europea nella sua formazione, in particolare della scuola patavina personalista, con ampie risonanze francesi. L’indicazione di “discorso aperto” suggerito dall’Autore può essere interpretato come invito a proseguire secondo una prospettiva teoretica e storica di ricerca delle origini, antiche o moderne, delle diverse visioni filosofiche e pedagogiche che sono alla radice dei percorsi educativi. In tal modo la problematicità del logos pedagogico si misurerebbe dialetticamente con esigenze di conoscenza e di giustificazione storica dei contenuti, a sostegno di ermeneutiche storicistiche oppure di sorprendenti piani discontinui. L’Autore opportunamente lascia intravedere la fecondità del non detto e la provvisorietà delle scelte che in ogni caso legittimano sia il valore dei contenuti emersi che lo sforzo faticoso del bagaglio intellettuale espresso. L’attenzione alla completezza della ricerca si traduce nel volume in un duplice indice che conferma l’intento unitario dell’Autore.
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[Mirella Chiaranda]
Giuseppe Zago (a cura di) Il pensiero pedagogico di Giovanni Marchesini e la crisi del positivismo italiano Lecce – Brescia, Pensa MultiMedia, 2014, pp. 300
Il volume fornisce un significativo contributo all’approfondimento della conoscenza di Giovanni Marchesini (1868-1931), docente di pedagogia presso l’Università di Padova per circa un trentennio e figura di spicco del positivismo veneto, attraverso un’attenta analisi di alcuni aspetti della sua opera. A lungo considerato un epigono di Roberto Ardigò, di fatto egli seppe sviluppare una sua personale prospettiva, pur senza mai rinnegare la fedeltà al suo Maestro. Ciò è ben evidenziato dal curatore – Giuseppe Zago – che nel saggio di apertura propone un’accurata ricostruzione dell’evoluzione del pensiero di questo studioso, mettendolo in rapporto con le sue opere principali. Ne emerge un iter che si sviluppa coerentemente dal campo etico, attraverso la messa a punto della “teoria delle finzioni”, a quello educativo, con la pedagogia del “come se”, il contributo più originale di Marchesini in quest’ambito, attraverso il quale la pedagogia si trasforma in “scienza dell’ideale”. Seguono due saggi di taglio filosofico: nel primo Mario Quaranta propone un’analisi degli scritti di Marchesini sull’etica e sul misticismo; nel secondo Fabio Grigenti si sofferma sulle affinità e sulle differenze tra il “finzionismo” del docente patavino e la Philosophie des Als Ob del tedesco Hans Vaihinger. In chiave comparativa si sviluppa anche il contributo di Carla Callegari, che propone un confronto tra il Nostro e un’altra grande personalità del tempo, Aristide Gabelli, disvelandone “analogie, assonanze e differenze” (p. 116) Fabio Targhetta si sofferma, invece,
sull’incessante impegno di Marchesini verso la scuola e segnala l’opportunità di indagare ulteriormente alcune costanti del suo pensiero metodologico-didattico. Gli ultimi due contributi sono dedicati alla presentazione critica del Dizionario delle scienze pedagogiche, che Marchesini ideò e diresse negli ultimi anni della sua vita. Operando una lettura trasversale delle voci più significative, Mirella Chiaranda inquadra storicamente e mette a confronto le posizioni degli Autori rispetto ad alcuni concetti fondamentali, mentre Giordana Merlo, nell’esaminare la voce “Letteratura per fanciulli”, delinea un quadro delle teorie relative a questo genere letterario presenti in Italia sul finire degli anni Venti del Novecento. Nel complesso il volume offre più di qualche elemento di chiarificazione su un pedagogista poco studiato e a lungo ritenuto un pedissequo ripetitore del suo Maestro o, peggio – come ebbe a sostenere Giovanni Gentile, uno dei suoi più aspri denigratori – un ‘compilatore di manuali’ tratti dalle opere di Ardigò, del quale si mostrava […] appassionato panegirista più che serio biografo (p. 57). In realtà – come sottolinea Giuseppe Zago nell’Introduzione – “ad un attento e sereno esame dell’opera, Marchesini può essere considerato come la coscienza inquieta della crisi del positivismo e il suo pensiero come il momento di tensione verso soluzioni che, pur non prive di limiti, lo proiettano oltre i tradizionali confini e lo caratterizzano anche per non pochi accenti di modernità” (p. 14). [Emma Gasperi]
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