Rivista lasalliana trimestrale di cultura e formazione pedagogica
anno 75, n. 2, aprile-giugno 2008
RL
Rivista lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle e delle Scuole cristiane da lui fondate. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, in particolare in area italiana ed europea, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi sulle fonti lasalliane e aggiorna su ricerche e sperimentazioni in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un comitato di Lasalliani e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche e universitarie della Regione Europa. Rivista lasalliana Trimestrale di cultura e formazione pedagogica fondato in Torino nel 1934 anno 75, n. 2 (298), aprile - giugno 2008 Direzione e Redazione: Rivista lasalliana – via Aurelia 476 – 00165 Roma Tel. 06.66523305 - 06.665231; fpajer@lasalle.org Amministrazione, abbonamenti: ACL, viale del Vignola 56 – 00196 Roma tel. 06.32294503 - 3471033855 - fax 06.3236047; gabriele.pomatto@gmail.com Gruppo redazionale: Mario Chiarapini, Gabriele Di Giovanni, Flavio Pajer (direttore), Marco Paolantonio, Nicolò Pisanu, Mario Presciuttini, Roberto Zappalà. Comitato scientifico: Emilio Butturini (Verona), Sergio De Carli (Varese), Lluís Diumenge (Barcellona), Mario Ferrari (Pavia), Teódulo Regidor (Madrid), Pedro Gil (Madrid), Edgard Hengemüle (Porto Alegre), Herman Lombaerts (Leuven), Vito Moccia (Torino), José M. Pérez Navarro (Madrid), Lino Prenna (Perugia), Gerard Rummery (Australia), Jean-Louis Schneider (Paris-Roma), Lorenzo Tébar Belmonte (Madrid). Abbonamento annuo 2008 in Italia: Ordinario € 20,00 - Docenti lasalliani € 10,00 Sostenitore € 50,00. Estero: € 26,00. Conto corr. postale n. 12378113 int. a ACL. Libri in recensione e riviste in cambio: Rivista lasalliana, CP 9099, 00167 Roma RM Composizione, stampa: Graphisoft, via Labicana 29, 00184 Roma, tel.06.7001450 fax 0677255402 - www.graphisoft.it - graphisoft@fastwebnet.it - M. Proetto Art dir. Registrazione Tribunale di Torino 26.01.1949 n. 353
Registrazione Tribunale di Roma 12.06.2007 n. 233
Periodico associato all’USPI ISSN 1826-2155
Questo fascicolo è finito di stampare il 1 marzo 2008. Il fascicolo 1/2008 è stato consegnato alle Poste di Roma il 3 gennaio 2008.
2008, n. 2 (298) RICERCHE E STUDI
147 Roberto Zappalà, Educare insieme nella scuola. La risposta della
scuola cattolica alle sfide formative della società complessa
163 Francesco Trisoglio, La catechesi nella teologia: San Gregorio di
Nazianzo
181 Sergio De Carli, «I care» la scuola. A quarant’anni dal Sessantotto 195 Nicolò Pisanu, Conoscere e prevenire il bullismo. Un’indagine del
Progetto ‘Braccio di ferro’
PROFESSIONE DOCENTE
209 Marco Paolantonio, Il docente in relazione: con allievi, colleghi, 225 232 237 241
genitori
Ugo Basso, C’è spazio per educare alla legalità Anna Lucchiari, La pedagogia e il cuore (Tagore) Lorenzo Dani, Per un galateo del dialogo religioso Elzbieta Osewska - Jozef Stala, Catholic School. Polisch perspective LASALLIANA
249 Álvaro Rodríguez Echeverría, Nuestras Universidades lasallistas,
camino de misión y de asociación
263 Josean Villalabeitia, ¿Religiosos o maestros? 271 Marco Paolantonio, I FSC nella storia della scuola in Piemonte 277 Alain Houry, F. Alexis Marie Gochet (1835-1910), ou quand la
Géographie devenait une science
284 Documentazione. Riviste scientifiche e di animazione - Cronache BIBLIOTECA
Recensioni e segnalazioni. Bernardi C. 294 - Butturini E. 292 - Canella V. 295 -
Corradini L. 291 - De Vidi A. 296 - Fausti S. 295 - Fiore C. 294 - Frabboni F. 289 - Giovanetti G. 290 - Mattioli A. 290 - Nosengo G. 291 - Salsa F. 290 - Sarnataro C. 293 - Scanagatta S. 291 - Segatto B. 291 - Susa C. 294. Libri pervenuti 299
Sommario ROBERTO ZAPPALA’ 147-162 Educare insieme nella scuola. La risposta della scuola cattolica alle sfide formative della società complessa – Il nuovo documento della Congregazione vaticana per l’Educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica, 2007, indica agli educatori un percorso di riflessione e di impegno perché la scuola diventi soggetto ecclesiale più consapevole e operi all’altezza delle istanze educative che salgono dalla società. Un percorso che trova nella antropologia di comunione il punto di riferimento essenziale in vista della costruzione di una “scuola per la persona e delle persone”, espressione di una missione autenticamente condivisa tra consacrati e laici. Kw: comunità educativa – cultura di comunione – personalismo – scuola cattolica FRANCESCO TRISOGLIO 163-179 La catechesi nella teologia: san Gregorio di Nazianzo – Teologo tra i più eminenti della cultura patristica, il Nazianzeno fu al tempo stesso pastore, ermeneuta, evangelizzatore, catechista. A una lettura attenta delle sue opere emerge un quadro organico delle diverse componenti “metodologiche” di chi professa il ministero della parola: i requisiti per parlare con pertinenza di teologia, le precauzioni per superare l’inadeguatezza di ogni linguaggio su Dio, il ruolo insostituibile della ragione da valorizzare nella ricerca della fede e nella pedagogia della iniziazione cristiana, le condizioni personali e ambientali per una attività formativa che dia risultati di eccellenza, quali siano infine i principali criteri didattici per una proposta ragionata e responsabile dell’annuncio di fede. Una lezione di ‘teologia catechetica’ di alto profilo, che conserva tutta la sua validità nell’oggi dell’azione pastorale. Kw: catechesi – linguaggio – ragione – teologo/catecheta – Trinità SERGIO DE CARLI 181- 194 I care la scuola. A quarant’anni dal Sessantotto – Una rievocazione del contesto socio-culturale degli anni Sessanta serve a guardare con maggior oggettività e distacco critico la più vistosa evoluzione della scuola in questo quarantennio: da scuola di élite a scuola di massa. Don Milani, con Lettera a una professoressa, è figura emblematica che ha dato vita a un ripensamento radicale del modo di fare scuola, ancor oggi fecondo di indicazioni stimolanti. L’articolo mette in evidenza la centralità della persona nella sua totalità, comprensiva anche della sua dimensione politica, come riferimento fondamentale per progettare l’educazione del futuro. Kw: docente – don Milani – educazione – persona – politica - scuola NICOLO’ PISANU 195-208 Conoscere e prevenire il bullismo. Un’indagine del progetto “Braccio di ferro” – Nel quadro di una ricerca conoscitiva in ambiente scolastico, l’obiettivo era di verificare
entità, cause, motivi e caratteristiche del fenomeno bullismo e individuare strumenti efficaci per prevenire e gestire il disagio giovanile. Il sondaggio d’opinione è stato effettuato mediante questionario sulle varie categorie di persone cointeressate (genitori, insegnanti, alunni). Alcune indicazioni operative, collaudate dall’esperienza, concludono il resoconto ragionato dei risultati dell’indagine. Kw: adolescenza – bullismo – violenza – valori MARCO PAOLANTONIO 209-224 Il docente in relazione: con allievi, colleghi, genitori – Morfologia e sintassi della comunicazione. Insegnanti e allievi nel processo insegnamento/apprendimento: compiti di base nel rapporto con il singolo allievo e nel rapporto collettivo con la classe. I rapporti con i colleghi docenti tra comunicazione carente e soluzioni auspicabili. I rapporti con i genitori tra comunicazione burocratica e comunicazione costruttiva. Kw: allievo – comunicazione – genitori – insegnante – relazione educativa UGO BASSO 225-231 C’è spazio per educare alla legalità – La legalità fra i giovani - e non solo fra loro, purtroppo - non è più un valore perseguito e spesso neppure condiviso. La scuola ha una grossa parte di responsabilità nell’aver ceduto alla cultura dell’illegalità. Perché e come rivalutare in modo pertinente l’educazione civica, sostituendo al diffuso lassismo dimissionario un supplemento di vigorosa e laica eticità costituzionale. Kw: cittadinanza – costituzione – educazione civica – legalità ANNA LUCCHIARI 232-236 La pedagogia e il cuore. Rievocando l’ideale pedagogico di Tagore – Uno dei massimi poeti indiani del primo Novecento, Tagore, ideatore tra l’altro di modelli di scuola e di una università internazionale, è riconosciuto come profeta dell’educazione integrale della persona, fautore di una filosofia di vita in armonia cosmica con l’esistente, voce critica verso le derive antiumanistiche e antiecologiche della civiltà occidentale, avendo smarrito la capacità di una “educazione del cuore”. Kw: bambino – ecologia – educazione olistica/affettiva – persona LOENZO DANI 237-240 Per un galateo del dialogo religioso – Lettera aperta agli “intermediari di Dio”, sulle condizioni per realizzare un’equa relazione comunicativa sulla religione, tale cioè che entrambi gli interlocutori siano salvaguardati, assieme al bisogno religioso. Kw: comunicazione – dialogo – libertà religiosa – violenza simbolica ELZBIETA OSEWSKA, JOZEF STALA 241-246 Catholic School. Polisch perspective – Una presentazione documentata dello status della scuola confessionale in Polonia. Rievocata la storia recente fino al ritorno delle libertà di religione, gli aa. illustrano le caratteristiche dell’educazione scolastica catto-
lica, sotto scorta delle direttive vaticane e della gerarchia locale. Tra i problemi emergenti l’urgente formazione del corpo docente e la resistenza etica al clima di rapida scristianizzazione della società dell’Est europeo. Kw: confessionalità – libertà religiosa – Polonia – scuola cattolica ÁLVARO RODRÍGUEZ ECHEVERRÍA 249-262 Nuestras Universidades lasallistas, camino de misión y de asociación – Parlando a un simposio internazionale dei rappresentati delle università lasalliane, il Superiore dell’Istituto traccia un ampio quadro esigente ma realistico delle sfide epocali cui deve saper rispondere oggi l’istruzione superiore: una educazione di qualità cominciando dalla formazione dei docenti, un insegnamento disciplinare basato sulla ricerca scientifica, una scelta etica di valori di fondo (giustizia, solidarietà, democrazia) che non miri solo ad analizzare e gestire i processi sociali, ma abiliti a trasformare la società ingiusta, a rispettare i diritti della persona, a ridare dignità ai poveri e un futuro ai giovani. Kw: istruzione superiore - opzione per i poveri - ricerca - segni dei tempi - università JOSEAN VILLALABEITIA 263-269 ¿Religiosos o maestros? – A conclusione della sua recente ricerca per il dottorato in teologia, l’a. condensa il queste pagine gli esiti essenziali del suo percorso, sia sul versante della metodologia investigativa che ha seguito, sia su quello dei contenuti propriamente teologici cui è pervenuto. Il nucleo centrale dell’analisi verte sul superamento del (presunto) dilemma che tradizionalmente si è posto nella spiritualità del Fratello a un tempo persona consacrata e persona impegnata in una professione secolare qual è l’insegnamento. Il carisma lasalliano consiste nel “non fare differenza”. Kw: carisma lasalliano – ministero laicale – professione religiosa MARCO PAOLANTONIO 271-276 I FSC nella storia della scuola in Piemonte – Annotazioni critiche a margine di una recente rivisitazione storica della ‘scuola congreganista’ nel primo Ottocento piemontese (G. Chiosso, Carità educativa e istruzione in Piemonte , Sei, Torino 2007). ALAIN HOURY 277-283 F. Alexis Marie Gochet (1835-1910), ou quand la Géographie devenait une science Profilo bio-bibliografico di un Lasalliano belga che, oltre un secolo fa, contribuì non poco allo sviluppo della Geografia come disciplina scientifica. Lo testimonia la sua cospicua produzione bibliografica, sia scientifica che didattica, che qui si è potuto documentare almeno parzialmente.
Documentazione
284-288 Riviste scientifiche e di animazione – Un primo elenco di schede segnaletiche di pubblicazioni periodiche - alcune di carattere scientifico e formativo, altre finalizzate alla animazione pratica - edite oggi nel mondo da centri universitari e scolastici lasalliani. Cronache dal mondo lasalliano – Pluralismo e dialogo alla Betlehem University - Bogotá: edizioni lasalliane in America Latina - Parma: Spettacolo musicale sul La Salle.
RICERCHE E STUDI
RivLas 75 (2008) 2, 147-162
Educare insieme nella scuola
La risposta della scuola cattolica alle sfide formative della società complessa Roberto Zappalà
Dirigente scolastico, Istituto Gonzaga, Milano
La Congregazione vaticana per l’Educazione Cattolica ha recentemente pubblicato un nuovo documento sulla scuola cattolica, intitolato: Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici,
Città del Vaticano, 8 settembre 2007. Il documento propone un’articolata riflessione attorno ad un tema di particolare attualità: il tema non semplicemente dell’educare, ma dell’educare insieme. Tema attuale perché la scuola, di fronte alle sfide culturali della società complessa – caratterizzata dal moltiplicarsi di evidenze sempre meno condivise, dal diffondersi dell’individualismo e del relativismo morale che espongono, soprattutto le giovani generazioni, al pericolo di essere «sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14) –, è sollecitata, come indica in esordio lo stesso documento, a «trovare risposte adeguate non solo al livello dei contenuti e dei metodi didattici, ma anche sul piano dell’esperienza comunitaria che caratterizza l’azione educativa» (n. 1). Tale sollecitazione è valida, di per sé, per ogni istituzione educativa e scolastica che intenda seriamente promuovere, attraverso gli strumenti dell’insegnamento e dell’apprendimento, un processo di vera e propria educazione e
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Roberto Zappalà
non solo di trasmissione di nozioni. Con ragioni ancor più stringenti, poi, essa vale per la scuola cattolica, che si propone intenzionalmente come una comunità educativa protesa non soltanto a professare e trasmettere un determinato quadro di valori (i valori evangelici), ma impegnata a vivere ed a far vivere un’esperienza di comunione in cui quei valori sono «assunti come norme educative, spinte motivazionali ed insieme mete finali del percorso scolastico»1. Con questo nuovo documento, dunque, la Santa Sede offre un contributo di riflessione che può aiutare a mettere a fuoco il cammino che la scuola cattolica è chiamata a percorrere, da un lato, per essere sempre più espressione viva della Chiesa e, dall’altro, per essere all’altezza delle sfide che la nostra società complessa prospetta al mondo dell’educazione e della scuola.
La spiritualità della comunione come anima della scuola cattolica Ad una lettura complessiva del documento non è difficile individuare l’indicazione fondamentale che la Chiesa offre al cammino della scuola cattolica. Tale indicazione si compendia in «quella spiritualità della comunione che è stata additata come la grande prospettiva che si spalanca alla Chiesa del terzo millennio»2. Del resto, si può dire che la spiritualità della comunione costituisce la matrice ecclesiologica a cui si ispira e si riporta l’intero documento. Animata dalla spiritualità della comunione, la scuola cattolica è chiamata, anzitutto, a maturare la consapevolezza di essere partecipe, come «vero soggetto ecclesiale»3, del cammino che l’intera Chiesa sta compiendo, sotto l’impulso dello Spirito, verso una sempre più profonda comprensione di se stessa come “Chiesa-comunione”, vale a dire come popolo di Dio in cammino e, al tempo stesso, come corpo di Cristo le cui membra sono in reciproca relazione tra loro e con il capo. Ne discende, di conseguenza, che «anche in quella particolare espressione della Chiesa che è la scuola cattolica, la spiritualità della comunione deve diventare il respiro della comunità educativa, il criterio per la piena valorizzazione ecclesiale delle sue componenti ed il punto di riferimento essenziale per l’attuazione di una missione autenticamente condivisa»4, tra persone consacrate e fedeli laici. Allo stesso modo, lo slancio missionario della scuola cattolica deve trarre alimento dalla spiritualità della comunione perché «la comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e s’implicano mutuamente, al punto
1
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (d’ora in poi: CpEC), Educare insieme nella scuola. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici (2007), n. 5. 2 Ibid., n. 16. Com’è noto, il significato della «spiritualità della comunione» è stato ampiamente spiegato da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001), nn.43ss. 3 Ibid., nn. 3 e 46. 4 Ibid., n. 16.
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che la comunione rappresenta la sorgente ed insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione»5. Anche sotto quest’aspetto, la missione educativa della scuola cattolica s’inscrive compiutamente nella missione evangelizzatrice della Chiesa. E, giacché «la Chiesa non è fine a se stessa, esiste per mostrare Dio al mondo; esiste per gli altri»6, analogamente «in quanto soggetto ecclesiale, la scuola cattolica si pone come fermento cristiano del mondo»7, educando «gli studenti a crescere autenticamente come persone, capaci di aprirsi progressivamente alla realtà e di formarsi una determinata concezione di vita, che li aiuti ad allargare il loro sguardo ed il loro cuore al mondo che li circonda, con capacità di lettura critica, senso di corresponsabilità e volontà d’impegno costruttivo»8. Da ciò risulta evidente che la spiritualità della comunione rappresenta la “linfa” vitale che deve permeare l’azione educativa della scuola cattolica e deve «emergere come principio educativo» capace di orientare la sua missione e di tradursi in un cammino di crescita, in un efficace percorso formativo per gli alunni9.
La sfida della complessità tra relativismo e nichilismo Occorre, tuttavia, chiedersi se ed in quale misura il tracciato di questo percorso formativo sia compatibile con la fisionomia delle giovani generazioni cui vorrebbe rivolgersi. Una fisionomia i cui tratti appaiono oggi più che mai sfuggenti, assimilabili a quelli di una nebulosa, con stratificazioni diverse e con percorsi differenziati, con linguaggi e pratiche che si giustappongono, quando addirittura non si oppongono ed escludono reciprocamente10. A ben vedere, in questa fisionomia poco omogenea, variegata e sfaccettata si evidenzia il riflesso della complessità sociale e culturale in cui concretamente i giovani si muovono e che influenza diffusamente il loro vissuto. Dire “complessità” è dire di un universo sociale e culturale che è ormai divenuto pluriverso, strutturandosi come un sistema articolato in miriadi di subsistemi funzionali
specializzati. Dire complessità sociale è dire di una società, ad un tempo, globalistica e plurale, locale e planetaria in cui i modi di interpretare il mondo e la vita si sono moltiplicati e drasticamente diversificati. Non è difficile, peraltro, rintracciare la matrice culturale della complessità nel relativismo e nel nichilismo, quali paradigmi di un modello di sapere in rapida e continua trasformazione, teso a cercare non ciò che resta (le verità e i valori permanenti), ma 5
GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (1988), n. 32. CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 45. Cf. anche J. RATZINGER, La comunione nella Chiesa, San Paolo, Milano 2004, Prefazione, p. 7. 7 Ibid., n. 46. 8 Ibid., n. 43. 9 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 43; cf. anche CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 39. 10 Un’interessante panoramica della condizione culturale giovanile è rintracciabile in U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007. 6
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ciò che cambia; non giustificazioni universali e totalizzanti, ma, al più, giustificazioni locali, parziali, relative e sempre reversibili. Un modello, dunque, che perde definitivamente la forma di un macro-sapere globale e tende, invece, a configurarsi come una costellazione di micro-saperi, sempre più efficaci e penetranti nella loro capacità di lettura e di intervento su singoli e circoscritti settori della realtà, allo scopo di produrre beni e servizi che rispondano alla domanda di benessere che sale dai singoli e dalla società. Sennonché, in quest’orizzonte di frammentazione, l’uomo si ritrova a sua volta ridotto «in frammenti»11. Ormai incapace di comporre in unità i molteplici pezzi della sua vita, egli ospita dentro di sé più realtà, più valori o disvalori o, almeno, più informazioni relative a valori o disvalori, di quante non ne sappia scegliere consapevolmente. In definitiva, si rende conto di ospitare in sé, per dirla con Nietzsche «il più inquietante di tutti gli ospiti»12, il nichilismo. E «che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi si svalorizzano»13. Dunque: «che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; − ciò stesso è un nichilismo, è anzi il nichilismo estremo» (n. 27). Ora, è proprio il nichilismo che genera e diffonde quel sottile disagio interiore, quel senso di smarrimento e spaesamento che Heidegger definisce Heimatlosigkeit, cioè «perdita della patria»14, dell’orizzonte e del senso ultimo. Ma più inquietante ancora è che l’uomo sembra non avvertire nemmeno più il bisogno, la nostalgia della patria, ormai acquietato nell’«assenza del bisogno» (Notlosigkeit) di un orizzonte di senso; assenza che «è la massima e più nascosta indigenza (Not)»15. Si radica qui «quel deficit di speranza e di fiducia nella vita che costituisce il male “oscuro” della moderna società occidentale»16. Non stupisce che questo clima culturale diffonda una penetrante e pervasiva mentalità individualistica che erode dall’interno le relazioni interpersonali, perché sgretola le
motivazioni che le sottendono, disperdendo quel patrimonio di convinzioni condivise e di valori profondamente umani e cristiani che hanno costituito la spina dorsale delle società occidentali. Non a caso il volto concreto della società complessa non è quello di una società libera, ma di una sorta di “grande piazza” nella quale l’uomo si scopre disperso, e massificato; disorientato circa la sua identità propria, ma anche costretto a convivere costantemente con gli altri; bombardato da una molteplicità di messaggi eterogenei, quando non addirittura contraddittori tra loro.
11
Cf. C. M. MARTINI, L'uomo “in frammenti”, intervento alla Tavola rotonda conclusiva del Convegno nazionale «Incontri sul futuro», organizzato dalla Confindustria (Milano, 2-3 marzo 1984), in ID., Verso la città, Città Nuova, Roma 1984, pp. 29ss. 12 F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1885-1887, fr. 2 (127), in Opere, Vol. 8 - Tom.1, trad. S. Giametta, Adelphi, Milano 1975. 13 F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1887-1888, fr. 27. 14 M. HEIDEGGER, Zur Seinsfrage (1955), tr. it. La questione dell’essere, Adeplhi, Milano 1987, Sopra la linea, p. 337. 15 M. HEIDEGGER, Vorträge und Aufsätze, Pfullingen, Neske 1954; tr. it. G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, Oltrepassamento della metafisica, § XXV, p. 59. 16 BENEDETTO XVI, Omelia per la celebrazione dei Vespri e del Te Deum (31 dicembre 2007).
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Del resto, la società complessa non riesce ad elaborare e proporre una propria paideia, a dare riferimenti valoriali unitari. Al contrario essa tende, per la sua stessa con-
figurazione, a moltiplicare indefinitamente le proposte di valore. Sennonché, nel mercato culturale, l’eccesso di offerta (di proposte di valori) appiattisce e deprime la domanda, anche perché le differenti proposte vengono messe tutte sul medesimo piano, come perfettamente indifferenti tra loro. Nell’impossibiltà di valutare e selezionare le proposte, ciascuno dovrebbe giorno per giorno fondare e legittimare i valori in cui crede. Non stupisce, allora, che i più, soprattutto tra i giovani, si sottraggano a questa fatica e si lascino, così, catturare dalla cultura dell’indifferenza.
In questo contesto di contenuti sfuggenti e di riferimenti valoriali dubbi e precari, sia a livello privato che a livello pubblico, ci si muove in una sorta di vuoto o spazio indeterminato che, però, soprattutto dai giovani viene valorizzato in quanto aperto, occasione propizia per sperimentare la propria libertà. Ma si tratta di una libertà intesa, ricercata e vissuta come anomia, assenza di regole. Una libertà come mera espressione dell’io, cioè possibilità di es-primere, proiettare la propria energia fuori di sé. Libertà, dunque, come possibilità di un’indefinita moltiplicazione e frammentazione delle proprie scelte, tutte indistintamente considerate temporanee e revocabili, emanazione di «quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie»17. Va da sé che, nella logica di una libertà che vive all’insegna della frammentazione e del cambiamento continuo, l’unica dimensione abitabile del tempo è quella del presente, contratto fino alla misura dell’istante, dell’attimo fuggente da cogliere e di cui godere intensamente, estinguendosi in esso, senza preoccuparsi di alcuna verità e finalità. Ma – ci chiediamo – una vita che non abbia ne verità né scopo, a che cosa si riduce? Il modello per eccellenza dell’agire che non mira ad alcun fine ed è, perciò, letteralmente fine a se stesso è il gioco: l’agire ludico, infatti, s’ispira ad un certo numero di regole, che però non hanno altro valore se non di rendere possibile e divertente lo stesso giocare. Il gioco si presenta, dunque, come icona e paradigma esistenziale dell’etica senza verità né finalità. È la figura a cui il relativismo ed il nichilismo riducono l’intera esistenza. L’esito ultimo di questa frantumazione interiore si manifesta in una cultura che vorrebbe condurre l’uomo a guardarsi ed accettarsi per quello che è: un essere relativo e debole, segnato dalla propria contingenza, in definitiva, dalla propria animalità. Ed un essere siffatto non può ragionevolmente aspirare ad altro che a vivere come un “buon animale”, riducendo il suo rapporto con la realtà ad «una semplificazione ai fini della vita»18, vale a dire alla manipolazione del mondo per il soddisfacimento di sé19. Eppure, qui si ripresenta il paradosso: se da una parte, infatti, l’uomo dovrebbe e fors’anche vorrebbe acquietarsi nella sua animalità, accettando di abitare il frammento e l’istante, finalmente “libero” da qualsiasi vincolo di verità, dall’altra parte, 17 18
Ibid.
F. NIETZSCHE, Nachgelassene Fragmente 1887-1888, n. 27. In questa linea, del resto, va l’ermeneutica antropologica del «pensiero debole». Cf. G. VATTIMO, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1980, 170ss.
19
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sembra che una profonda inquietudine lo costringa a riavviare la riflessione su di sé, quanto meno per rispondere alle questioni che la sua stessa condizione di vita continuamente gli pone: «senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono»20. E, proprio per questo, è anche stimolata chiedersi: ha senso fare progetti particolari senza progettarsi per la totalità? È coerente essere fiduciosi sul caso singolo, se si è per principio diffidenti? Del resto, come può il singolo passo divenire sensato, se si ritiene che l’intero cammino sia assurdo? Nello stesso tempo, però, ci domandiamo se sarà mai possibile all’uomo ritrovare se stesso, nell’epoca che ha ormai oltrepassato il tempo della «morte di Dio» ed oggi vive il tempo della «morte dell’uomo». Un tempo che − come ha scritto Michel Foucault − oppone «un riso filosofico, cioè in parte, silenzioso» appunto «a tutti coloro che vogliono ancora parlare dell’uomo, del suo regno, della sua liberazione, a tutti coloro che pongono ancora delle domande su ciò che l’uomo è nella sua essenza, a tutti coloro che vogliono partire da lui per avere accesso alla verità»21. Di nuovo, ci chiediamo: sarà mai possibile all’uomo ritrovare se stesso nell’epoca di quel nichilismo che Nietzsche così definiva: «che cosa è oggi il nichilismo se non questo? … Siamo stanchi dell’uomo»22.
La scuola cattolica di fronte alle nuove sfide educative Di fronte alla gravità di questa situazione problematica ed alla vertiginosa portata della sfida educativa che essa racchiude, la scuola cattolica (come ogni altra istituzione scolastica) percepisce il rischio di perdere terreno nei confronti della possibilità di incidere sulla mentalità delle giovani generazioni. Ma, al tempo stesso, si rende conto che la possibilità del giovane di ritrovare se stesso passa proprio attraverso il processo educativo: educare significa appunto aiutare la persona in formazione a trovare se stessa, a comprendersi ed a camminare verso la realizzazione di sé. Ed un momento fondamentale di questo percorso è senz’altro legato all’esperienza educativa scolastica perché la scuola è luogo in cui il giovane può indagare e promuovere in modo decisivo la piena verità del suo essere23. Ora, se il nostro tempo postmoderno è il tempo in cui l’uomo appare «tanto potente, ma sradicato da se stesso»24, e disperso in una tecnopoli che sembra fondata esclusivamente sui “valori” e sui ritmi della produzione e del consumo; se «la tragedia del-
20
BENEDETTO XVI, discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005). 21 M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Milano 1967, p. 368. 22 Genealogia della morale (1887), tr. it. V. Perretta, Roma 1993, Newton Compton, n. 12,
p. 597. 23 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione all’UNESCO, 2 giugno 1980, n. 14. 24 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai giovani universitari, 26 gennaio 1980.
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l’uomo di oggi è che si è dimenticato chi è: l’uomo non sa più chi è»25, allora l’interrogativo-chiave di chi oggi vuole educare nella scuola non può essere soltanto «come educare» o «a che cosa educare», ma «chi si educa?» O, forse, meglio ancora: «a diventar chi, si educa?». In questa prospettiva, la scuola cattolica non può non sentirsi richiamata a mantenere viva la consapevolezza non solo «dei compiti gravosi che è chiamata ad affrontare», ma anche e soprattutto della «somma importanza» che essa riveste «anche nelle circostanze presenti», in un mondo in cui la sfida culturale è la prima, la più provocante e gravida di effetti»26. Consapevole che non è possibile una vera educazione senza la luce della verità27, la scuola cattolica sa di avere una grande responsabilità ed «un grande compito da svolgere nei confronti della gioventù: aiutarla a dare un significato alla vita»28. Per questo, con gli strumenti dell’insegnamento e dell’apprendimento, essa vuole aiutare i giovani ad affrontare la crisi di verità che attraversa il nostro tempo. E, proprio lo smarrimento antropologico ed esistenziale delle giovani generazioni la sollecita ad attingere forza ed ispirazione alla spiritualità della comunione, ad assumerla come principio educativo, facendone emergere la forte valenza antropologica. Nella spiritualità della comunione si sintetizzano, infatti, gli estremi di una precisa antropologia: l’antropologia cristiana della persona. Non, dunque, un’antropologia debole (del frammento, del provvisorio, della situazione…), bensì un’antropologia forte, che «ha il suo fondamento in Cristo»29, e che, proprio per questo, può realmente promuovere l’uomo integrale: infatti, «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo»30, perché solo in Cristo, «uomo perfetto»31, tutti i valori umani trovano la loro realizzazione piena e, quindi, la loro unità. Egli, «proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»32: l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26-27) che è Amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore, reca inscritto nel proprio essere «la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano»33. In questo senso, riconoscendo nella comunione la cifra della costituzione ontologica e della vocazione esistenziale della persona umana, l’antropologia cristiana della persona si configura essenzialmente come un’antropologia della comunione.
25
Cit. in E. CARLIER (ed.), Lo splendore della verità. Intervista con Ramón García de Haro, in «Studi Cattolici» n. 393/1993, p. 677. 26 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 54. 27 BENEDETTO XVI, discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005). 28 CPEC, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica (1998), n. 13. 29 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 3. 30 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes (1965), n. 22. 31 Ibid., nn. 22- 49, passim. 32 Ibid., n. 22. 33 GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris consortio (1981), n. 11.
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Ora, l’azione formativa della scuola cattolica, centrando il proprio progetto educativo sull’antropologia della comunione, mira ad elevare la persona, a farla crescere nell’unità integrale del suo essere, aprendola intenzionalmente alla dinamica dell’amore e della comunione, già attraverso l’esperienza scolastica. Ed è proprio con questo progetto educativo che essa si definisce e si propone con coraggio alle nuove generazioni di questo tempo come «come scuola per la persona e delle persone»34.
La scuola cattolica come scuola per la persona Proprio dall’antropologia cristiana della persona, dall’antropologia della comunione, dunque, è possibile elaborare un percorso formativo teso a ritrovare la verità e l’unità dell’uomo, oltre la frammentazione della cultura postmoderna. Frammentazione che, come s’è visto, espone i giovani al rischio di essere trasformati essi stessi in una somma di frammenti, in una situazione nella quale, peraltro, essi già tendono a fermarsi sull’ultimo di questi frammenti e, dunque, ad appiattirsi sul presente. Nell’orizzonte di questa antropologia, infatti, l’uomo è concepito come una realtà integrale ed unitaria. E se, per un verso, quest’unità è un dato ontologico, cioè connaturato all’essere della persona come totalità unificata, per un altro verso, è una vocazione esistenziale, che impegna la libertà della persona a costruire l’esistenza come progetto di unificazione di sé. In questo senso, potremmo affermare che la tensione all’unità costituisce la persona umana nella sua essenza profonda. È la forma per la quale l’uomo è persona: è la forma del pensare come atto che raccoglie in unità le esperienze esterne e le percezioni interiori; è la forma della coscienza come unità dell’“io”; è la forma dell’incontro con l’altro come ricerca di un rapporto che avvicina; è, infine, la forma dell’apertura al Trascendente come ricerca del Senso unitario ed ultimo della realtà e della propria esistenza. Ne consegue che il processo formativo si traduce nella promozione della persona come unità integrata e, quindi, nella cura per lo sviluppo armonico delle diverse facoltà (intelligenza, volontà, libertà) o dimensioni (cognitiva, affettivo-emotiva, relazionale, spirituale) che costituiscono la “stoffa” dell’umano e che debbono integrarsi, in un equilibrio dinamico, nella unità personale di ciascuno. Tuttavia, l’unità della persona che occorre promuovere attraverso la formazione è una unità dinamica che esige di essere realizzata non tanto concentrando e combinando nell’interiorità del soggetto le sue diverse dimensioni, quasi fossero le tessere di un mosaico da far combaciare tra loro; quanto concentrando il soggetto, nella sua interezza, in uno slancio di apertura e di amore che lo porti “fuori di sé” verso l’altro. La formazione dell’unità della persona nel giovane passa, dunque, attraverso la proposta di un impegno capace di catalizzare e focalizzare tutte le sue dimensioni ed energie fuori di sé per l’altro, perché la «persona non è affatto un fascio di rivendica34
CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 13.
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zioni rivolte su se stesse (…), né un inquieto desiderio di affermazione»35. La dimensione ontologica fondamentale della persona è, infatti, quella del con-essere: essa «appare in quanto entra in relazione con altre persone» e mostra il suo volto nell’atto mediante il quale si espone e si apre ad «altri»36. Nell’ottica di una antropologia della comunione, dunque, l’esperienza formativa peculiare della persona è «l’esperienza della seconda persona. Il tu, e in esso il noi, precede o almeno accompagna l’io»37. Ciò significa che «l’io (…) non ha più il primo posto, (…) perde la sua sovrana coincidenza con sé»38, perché la persona non si esaurisce nell’io individuale. Anzi, essa si costruisce proprio nel trascendimento e nell’apertura dell’individuo all’incontro con l’altro. In questo senso, se l’individuo è un “io” chiuso in se stesso, teso ad affermarsi in opposizione agli altri, la persona è ancora quel medesimo “io”, ma aperto al rapporto con l’altro. Cosicché si può dire che «l’individuo è sé in se stesso; la persona è sé nell’altro»39. In questa medesima prospettiva, il progetto educativo della scuola cattolica, ispirato all’antropologia della comunione, si traduce in un processo non solo di integrazione della persona, ma anche di integrazione tra le persone. Ora, proprio perché «la persona, che in se stessa è comunione, (…) riesce ad essere uno in sé perché è uno con gli altri»40, occorre prospettare al giovane «un primo avvio verso il mondo, (…) una offerta di sé», cosicché possa sperimentare e comprendere che «non si trova se stessi se non quando ci si perde; [che] si possiede solo ciò che si ama (…): si possiede solo ciò che si dona»41. D’altra parte, il processo di integrazione tra le persone implica, poi, due esigenze: da una parte, l’esigenza di un “esodo”, cioè dell’uscita da sé verso l’altro e, perciò stesso, di una sorta di identificazione con l’altro; dall’altra parte, l’esigenza della distinzione delle persone cioè il mantenimento della propria differenza, ma non come ripiegamento egoistico che separa ed oppone all’altro, bensì come offerta di sé all’altro e come contributo del singolo all’unità. Di nuovo, l’antropologia cristiana della persona e della comunione ci chiariscono quale modello di relazione può rispondere ad entrambe le esigenze: la relazione d’amore. Ci chiariscono — per dirla con le parole di Mounier — che «il rapporto dell’io con il tu è l’amore, col quale la mia persona in qualche modo si decentra e vive nell’altro, pur possedendosi e possedendo il suo amore (…). L’amore non si aggiunge
35
E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, tr. it. L. Palli, Ecumenica, Bari 1984, Rifare il rinascimento, p. 54. 36 M. BUBER, Il principio dialogico, tr. it. P. Facchi e U. Schnabel, ed. di Comunità, Milano
1959, p. 57. 37 E. MOUNIER, Le Personnalisme, (1949), in Œuvres, vol. III, p. 453. 38 E. LÉVINAS, La traccia dell’altro (1963), cit. in E. BACCARINI, Lévinas. Soggettività e infinito, Studium, Roma 1985, pp. 102ss., passim. 39 G. M. ZANGHÌ, Dio che è Amore, Città Nuova, Roma 1991, p. 22. 40 G. M. ZANGHÌ, La filosofia ha oggi ancora un destino?, in «Nuova Umanità» XVIII (1996) 6, p. 636. 41 E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, tr. it. cit., Rifare il rinascimento, p. 54.
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alla persona come un lusso e senza di esso la persona non esiste. Bisogna procedere oltre: senza l’amore, le persone non riescono a diventare se stesse»42. Solo un’azione formativa ispirata a questi valori ed a queste dinamiche può aiutare i giovani ad uscire dalle secche di una esaltazione dell’“io” individuale, cercata attraverso una radicale affermazione di sé, spinta fino agli esiti drammatici del nichilismo. Questo significa aiutare i giovani a «distinguere, senza compiacimenti, la voce della persona dalle voci dell’individuo»43, ad assecondare non le esigenze individuali, spesso legate a valutazioni istintive e momentanee, ma le soluzioni che sospingono l’individuo a divenire persona, cioè un essere essenzialmente aperto all’altro nell’amore. Significa aiutarli a comprendere e sperimentare – sia nella quotidianità dei rapporti, sia attraverso situazioni ed occasioni formative appositamente pensate – che l’integrazione con l’altro si attua attraverso una serie di «disintegrazioni positive» dell’io individuale44, così da superare lo sbilanciamento sull’io che oggi è inteso spesso come un “idolo” che nessuno può permettersi di contrastare; così da disarticolare la tensione egoistica di chiusura in sé e sollecitare la libertà ad aprirsi verso l’altro. Del resto, se l’essenza della persona è amore, allora il modo di essere della persona è il modo d’essere dell’amore. Ed è dalla natura stessa dell’amore autentico che scaturisce l’esigenza dell’uscita da sé verso l’altro e, quindi, della denegazione di sé per l’altro; denegazione che è «iniziazione al dono di sé e alla vita altrui»45, e perciò è «il più personale degli atti» e non una gratuita rinuncia ad essere46. Ne segue che la persona è se stessa non quando si impone, o quando dispiega la forza del suo essere, bensì quando ama, quando cioè accetta, in certo senso, di non-essere per amore e come amore. E questo significa educare i giovani ad assumere una logica esistenziale opposta a quella esaltata dalla mentalità corrente, tutta tesa invece a mantenere ed imporre la propria identità. Significa portarli a riconoscere che, come insegna Tommaso d’Aquino, la persona è pienamente se stessa quando ama e non quando semplicemente è47.
La scuola cattolica come scuola delle persone Da tutto quello che s’è detto sin qui, risulta evidente che il progetto educativo della scuola cattolica, centrato sull’antropologia della comunione ed orientato alla formazione integrale della persona umana, non può compiutamente realizzarsi se non facendo della relazione scolare il luogo di un’autentica esperienza di comunione. Del resto, educare la persona significa coinvolgerla in un’esperienza comunitaria fatta di 42
Rivoluzione personalista e comunitaria, tr. it. cit., Rivoluzione comunitaria, p. 96. Ibid., p. 114. 44 B. PURCELL, Amare per educare. «Cuore per cuore»: educazione reciproca nella famiglia, in 43
«Nuova Umanità» n. 18/1981, p. 36. 45 E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, tr. it. cit., Rivoluzione personalista, p. 78. 46 Ibid., Rivoluzione comunitaria, p. 93. 47 «Anima verius habet suum esse ubi amat quam ubi est» (TOMMASO D’AQUINO, In I Sent., 15, 5, 3).
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rapporti personali e personalizzanti: ed «imparare a realizzare una persona è dura fatica che non si compie in serie. Perciò l’esperienza della comunità è anzitutto un’esperienza che avvicina. Non si dice: Tu amerai l’Uomo (o, volendo, gli uomini, oppure il prossimo) come te stesso; ma: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso, dedicandoti, cioè, a lui come alla realizzazione della tua Persona: senza misura. (…) Il tirocinio della comunità è quello del prossimo come persona nel suo rapporto con la mia persona. E’ quello che è stato definito, con un termine felice, il tirocinio del tu»48. Per questa ragione la sapienza pedagogica cristiana – che s’incarna in modo paradigmatico nella tradizione e nell’esperienza della scuola cattolica – ha sempre considerato il processo educativo non in astratto, ma nella prospettiva del magister, cioè nell’ottica di una relazione interpersonale forte, affidata all’amore ed alla sapienza di colui il quale ha il mandato di educare e, perciò, di essere un’amorevole-autorevole guida dell’altro. Su questa medesima linea, anche il nuovo documento sulla scuola cattolica ricorda che essa promuove la maturazione della persona non tanto o soltanto attraverso la comunicazione del sapere, «ma soprattutto coinvolgendola nella dinamica delle relazioni interpersonali che costituiscono e vivificano la comunità scolastica»49. Pertanto, la prima concreta risposta educativa culturale che la scuola cattolica può dare ai giovani disorientati quanto alla loro identità e dignità è la costruzione di «un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità» in cui, prima ancora di averne chiara nozione, l’alunno può fare esperienza della propria dignità, sentendosi accolto e riconosciuto nella comunità educativa50. Ciò significa che la scuola cattolica si muove in direzione opposta alla tendenza che induce la scuola a perdere la sua caratteristica di esperienza comunitaria, per ridursi a una fruizione individualistica e strumentale di un servizio, solo in vista del titolo da conseguire51. Essa, infatti, «si caratterizza principalmente come comunità educante» costituita da persone che intenzionalmente convergono in un progetto educativo rivolto alla promozione totale della persona. Ed è proprio questa convergenza che «assicura l’opera omogenea degli educatori, evitando interventi occasionali, frammentari, non coordinati, (…) con grave detrimento dello sviluppo della personalità degli alunni»52. Questa convergenza è, del resto, assolutamente necessaria tra i docenti, sia pure a diversi gradi di consapevolezza, se non altro per conferire unità all’insegnamento: infatti, l’unitarietà del processo educativo, per rispettare l’unità costitutiva della persona dell’educando, richiede contributi diversificati, ma convergenti. Tuttavia, la dimensione comunitaria della scuola cattolica non si esaurisce in questa pur doverosa convergenza progettuale. Nella scuola cattolica, infatti, «in ragione della sua identità e della sua radice ecclesiale», la comunità educativa aspira «a costituirsi in 48 E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, tr. it. cit., Rivoluzione comunitaria, pp. 93-94. 49 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 13. 50 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, dich. Gravissimum educationis (1965), n. 8. 51 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 13. 52 CPEC, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica (1988), n. 99.
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comunità cristiana, ossia comunità di fede, capace di creare rapporti di comunione, per se stessi educativi, sempre più profondi»53. In questa comunità, pertanto, il legame implica non soltanto il riconoscimento in un quadro di valori culturali condivisi, ma anche una comunione di vita radicata nella comune appartenenza a Cristo e nel riconoscimento di valori di vita che devono essere presenti in maniera operante. Ciò implica che le persone che compongono la comunità educativa, vivendo attivamente la spiritualità della comunione, strutturino «i loro rapporti, tanto sul piano professionale quanto su quello personale e spirituale, secondo la logica della comunione», assumendo «atteggiamenti di disponibilità, di accoglienza e profondo interscambio, di convivialità e vita fraterna all’interno della comunità educativa stessa»54. Nella piena consapevolezza che tali rapporti non sono indifferenti, né estrinseci all’azione educativa: al contrario essi sono sempre «per se stessi educativi»55. Se, infatti, «la comunione genera comunione»56, allora «dando testimonianza di comunione, la comunità educativa cattolica è in grado di formare alla comunione», perché la rete di questi rapporti interpella direttamente gli alunni e «coinvolge ciascuno di loro nella vita della comunità»57, rendendoli attivamente partecipi dell’esperienza della comunione.
Scuola cattolica e cultura della comunione È per questa via che il percorso formativo della scuola cattolica può superare quella separazione fra i contenuti culturali dell’insegnamento, da una parte, e il vissuto personale e relazionale dell’esperienza scolastica, dall’altra, che spesso costituisce una delle cause dell’indifferenza ed impermeabilità che gli alunni sembrano opporre alle diverse proposte culturali. E lo può fare traducendo i contenuti culturali del proprio progetto educativo in un’esperienza di scoperta e di crescita condivisa, vale a dire vissuta insieme, in comunione58. In questo modo, la vita di comunione della comunità educativa assume, nella scuola cattolica, il valore di principio educativo e di paradigma intellettuale per la promozione di una «cultura della comunione»59». E cultura della comunione significa elaborazione ed acquisizione del sapere non già «come mezzo di potenza e di dominio, ma come capacità di comunione e di ascolto degli uomini, degli avvenimenti, delle cose»60. Ora, giacché la via più efficace per formare i giovani alla «cultura della comunione» passa attraverso la capacità di offrire loro occasioni di formazione che siano “luogo” di elaborazione culturale di una esperienza di vita vissuta insieme, è di fondamentale importanza che il processo di acquisizione del sapere scolastico diventi, esso stesso, 53
CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 13. Ibid., n. 35. 55 Ibid., n. 37. 56 GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. post-sinodale Christifideles laici (1988), n. 32. 57 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 39. 58 Ibid., n. 2. 59 Ibid., n. 39. 60 Ibid. Cf. anche CPEC, La scuola cattolica (1977), n. 56. 54
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espressione di un’esperienza di comunione. Del resto, se obiettivo formativo prioritario della scuola cattolica è di far crescere la persona, in tutto il suo essere, secondo la logica dell’amore e della comunione, non occorrerà, allora, sollecitare anche l’intelligenza a lasciarsi informare dalla logica dell’amore, a lasciarsi riorganizzare secondo la dinamica della comunione? Non occorrerà educarla a quel pensare-insieme, centrato sull’«intelletto amante» della persona61, che esige un esercizio non solo intrasoggettivo, cioè individuale, ma anche inter-soggettivo, cioè relazionale, delle sue facoltà? Solo così la cultura della comunione può emergere per ciò che essa propriamente è: una cultura centrata non tanto sul pensiero del singolo o su un’elaborazione astrattamente teorica, quanto su una riflessione che scaturisce – per dirla con Platone – «dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come da luce che si accende da una scintilla che si sprigiona»62.
La comunione come “luogo” della formazione religiosa La comunione vissuta nella comunità educativa della scuola cattolica si rivela, infine, risorsa decisiva anche rispetto alla sfida della formazione religiosa delle nuove generazioni emergenti, spesso definite post-cristiane. Con ciò non s’intende dire semplicemente che le generazioni precedenti siano state più credenti. Piuttosto, si vuol sottolineare un dato di fatto: cioè che la Chiesa e la comunità cristiana sembra vadano progressivamente perdendo il tradizionale ruolo di referente spirituale ed etico dei giovani (talvolta anche di quelli che, in qualche modo, si riconoscono e professano credenti). In altri termini, i giovani tendono a non identificare più esperienza religiosa e Chiesa e, correlativamente, sono portati ad allineare ed omologare le varie proposte di fede. Rispetto a questa situazione, la scuola cattolica che vive e fa vivere una forte esperienza di comunione può, anzitutto, sostenere i giovani in formazione «a crescere e a maturare nella fede», accompagnando la loro ricerca. Ora, come ha osservato il papa Benedetto XVI63, è senz’altro vero che «molti di loro non sono in grado di comprendere e di accogliere subito tutto l’insegnamento della Chiesa»; ma proprio per questo è importante offrire loro l’occasione di «sentirsi amati dalla Chiesa, amati in concreto», attraverso l’amore concreto di una comunità che li accoglie. In questo senso, la dinamica comunitaria dell’esperienza formativa vissuta nella scuola cattolica diventa l’orizzonte nel quale i giovani possono sperimentare «l’amicizia e l’amore che ha per loro il Signore». Solo così, si potrà «risvegliare in loro l'intenzione di credere con la Chiesa» e forse, proprio coinvolgendoli in un’esperienza forte di 61
PLOTINO, Enneadi, VI, 7, 35. PLATONE, Lettera VII, 341 c. 63 BENEDETTO XVI, discorso all'Assemblea della Conferenza episcopale Italiana (Aula del Sinodo, 30 maggio 2005). Cf. anche CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 40. 62
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comunione, i giovani «comprenderanno che in Cristo la verità coincide con l’amore e impareranno a loro, volta ad amare il Signore». Del resto, è proprio nell’esperienza dell’amore e della comunione che si può incontrare Cristo e, in Lui, Dio che è Trinità d’amore: vedi la Trinità, – scriveva sant’Agostino – laddove vedi la carità64. E’ questo «il punto centrale della grande sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni»65.
La formazione dei formatori: in comunione ed alla comunione Le riflessioni che abbiamo sin qui condotto rendono evidente che «educare le giovani generazioni in comunione ed alla comunione, nella scuola cattolica, è impegno serio che non s’improvvisa»66. E la scuola cattolica, che si propone come scuola per la persona e delle persone, è consapevole che la sua risorsa fondamentale sono sempre le persone (con la loro competenza e dedizione). Per questo, la formazione, iniziale e permanente, degli educatori che compongono la comunità educativa della scuola cattolica rappresenta una esigenza prioritaria ed imprescindibile. Esigenza che, del resto, si è sempre mantenuta viva nella plurisecolare storia delle istituzioni educative cattoliche. Infatti, come ricorda anche il recente documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica67, fin dal primo costituirsi degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica impegnate nell’educazione, i Fondatori e le Fondatrici hanno posto una particolare attenzione alla formazione dei formatori e ad essa hanno spesso dedicato le energie migliori. Tale formazione deve senz’altro mirare a consolidare le competenze professionali, che, oggi più che in passato, esigono autonomia, capacità progettuale e valutativa, creatività, apertura all’innovazione e, soprattutto, attitudine all’interazione educativa e alla comunicazione interpersonale, da cui viene sostenuta la dimensione comunitaria della scuola. Ma forse ancor più stringente è l’esigenza di aiutare gli educatori a scoprire o riscoprire il proprio ruolo educativo, la loro vera identità, evidenziando «la dimensione vocazionale della professione docente»68, così da favorire «la maturazione di una mentalità ispirata ai valori evangelici»69, secondo i tratti «specifici della spiritualità e della missione dell’Istituto»70. In definitiva, come opportunamente ribadisce il documento al n. 25, «agli educatori cattolici è necessaria «anche e, soprattutto, la “formazione del cuore”» che sappia 64
«Vides Trinitatem, si caritatem vides» (De Trinitate, 8, 8 12, NBA IV, 354). BENEDETTO XVI, discorso all'Assemblea della Conferenza episcopale Italiana (Aula del Sinodo, 30 maggio 2005). 66 CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 20. 67 Ibid., n. 27. 68 CPEC, Le persone consacrate e la loro missione nella scuola (2002), n. 59. 69 Ibid., n. 58. 70 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, istr. Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel Terzo Millennio (2002), n. 31. 65
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«condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro», così da fare del loro impegno educativo «una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr. Gal 5, 6)»71. Infatti, anche «la cura dell’istruzione è amore» (Sap 3, 17). Solo così, essi potranno portare il loro insegnamento ad essere una scuola di fede, una trasmissione cioè del Vangelo, come richiesto dal progetto educativo della scuola cattolica»72. Tuttavia, l’aspetto più delicato ed al contempo decisivo di questa formazione è costituito dalla formazione alla comunione di tutti gli educatori della scuola cattolica. E formazione alla comunione significa, anzitutto, formazione ad una più profonda conoscenza della dottrina della Chiesa come comunione e ad una più matura ed attiva partecipazione al dinamismo ecclesiale della comunione, grazie al quale gli educatori, consacrati e laici, sono riconosciuti come una ricchezza e un dono dello Spirito. In questa dinamica squisitamente ecclesiale, l’impegno formativo deve accogliere ed armonizzare lo specifico contributo tanto delle persone consacrate quanto dei laici, dando vita una vera e propria formazione condivisa. E così, se, da una parte, i consacrati sono chiamati a contribuire con la radicalità evangelica della loro vita e condividendo i frutti della loro formazione anche con i laici73, soprattutto con quanti si sentono chiamati «a vivere aspetti e momenti specifici della spiritualità e della missione dell’Istituto»74, dall’altra parte, i laici porteranno il contributo della loro «piena soggettività ecclesiale» e della loro specifica «indole secolare»75, per aiutare la comunità educativa ad un più attento discernimento dei segni dei tempi, dei valori evangelici e dei controvalori che questi segni racchiudono. Ma anche, talvolta, assumendo un ruolo attivo nell’animazione spirituale della comunità che costruiscono insieme ai consacrati: «La comunione e la reciprocità nella Chiesa non sono mai a senso unico»76. Se, infatti, in altri tempi sono stati soprattutto i sacerdoti e i religiosi a nutrire spiritualmente e dirigere i laici, oggi può succedere che siano «gli stessi fedeli laici – come afferma con naturalezza l’Esortazione post-sinodale Christifideles laici – ad aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale»77 (n. 32). Vale la pena sottolineare come l’Esortazione non limiti il contributo dei laici ad un affiancamento ai consacrati nelle attività pastorali; ma lo estenda anche al cammino spirituale. Ciò lascia intendere che i laici, specialmente quelli che partecipano a carismi particolari in nuove forme aggregative e nei movimenti ecclesiali, «possono e devono»78 mettere in comunione i doni spirituali ricevuti, anche nei confronti di chi già possiede ministeri e carismi specifici. 71
BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (2005), n.31. CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 25. 73 Cf. Ibid., nn. 27-29. 74 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Ripartire da Cristo, n. 31. 75 Cf. CPEC, Educare insieme nella scuola, nn. 30-33. 76 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Ripartire da Cristo, n. 31 77 GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, n. 61. Cf. CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 32. 78 GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, n. 63. 72
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Da ciò è evidente che la formazione alla comunione può efficacemente attuarsi solo in comunione perché, in certo senso, l’una trae alimento dall’altra. Pertanto, «nella prospettiva della formazione, i fedeli laici e le persone consacrate, condividendo la vita di preghiera e, nelle forme opportune, anche di comunità, nutriranno la loro riflessione, il senso della fraternità e della dedizione generosa»79, arricchendo «la valenza ecclesiale della comunità educativa»80. E, in questo senso, il cammino formativo dei laici e dei consacrati nella comunione, saprà sollecitare la crescita tanto della singola persona verso una sempre maggiore conformità a Cristo, quanto «della comunità educativa attorno a Cristo Maestro»81. Così, nella la comunità educativa si stabilisce quell’interscambio umano e divino, quella «circolazione di amore e di grazia», che rende presente Cristo Maestro stesso, secondo la sua promessa (Mt 18,20), e «pone il sigillo di autenticità su una scuola cattolica»82.
Sommario
Il nuovo documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici (2007), indica alla scuola cattolica un percorso di riflessione e d’impegno che la aiuti ad agire sempre più consapevolmente come autentico soggetto ecclesiale e ad essere all’altezza della istanze educative che salgono dalla società. Un percorso che, nella spiritualità e nell’antropologia della comunione, trova il punto di riferimento essenziale in vista della costruzione di una «scuola per la persona e delle persone», espressione di una missione autenticamente condivisa tra consacrati e laici.
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CPEC, Educare insieme nella scuola, n. 33. Ibid., n. 36. 81 Ibid., n. 26. 82 CPEC, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica, n. 112. 80
RICERCHE E STUDI
RivLas 75 (2008) 2, 163-180
LA CATECHESI DEI PADRI DELLA CHIESA /2
La catechesi nella teologia: San Gregorio di Nazianzo Francesco Trisoglio, FSC
Docente emerito, Università di Torino
S
an Gregorio di Nazianzo1, grazie ai suoi cinque 'discorsi teologici' e ad una corona di altre trattazioni integrative, è passato alla storia della cultura, a partire dal concilio di Calcedonia (451), con la qualifica caratterizzante di 'Teologo', in riconoscimento dell'acutezza speculativa delle sue intuizioni dogmatiche e della tersa precisione con cui formulò i capisaldi della fede cristiana. S'impegnò soprattutto contro Ario († 336), il quale, dinanzi al mistero soprarazionale dell'unità-trinità di Dio, aveva ceduto all'impulso dell'immediatezza razionale di sopprimere l'antinomia sacrificando, all'inderogabile unità, la problematica trinità, per cui venne a stabilire una scala riduttiva discendente: divinità piena nel Padre, marginale ed evanescente nel Figlio, che da essa era più irraggiato che costituito, e nulla nello Spirito Santo, che era declassato a creatura, seppure di grado sublime.
1 Sono prese in considerazione le Orazioni XXVII-XXXI (i famosi cinque 'discorsi teologici' sulla teologia e sulla Trinità, Sources Chrétiennes 250, ed. P. Gallay), XLI (sulla Pentecoste, SC 358, ed. Cl. Moreschini), XXXII (sulla moderazione nelle discussioni teologiche, SC 318, ed. Cl. Moreschini), II (sul sacerdozio, SC 247, ed. J. Bernardi), inoltre i Carmi I,1,1-3 (PG 37, ed. Maurini, Migne).
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Era il facile arrendersi ad un razionalismo che, equiparando il 'mediatore' di S. Paolo con il 'demiurgo' di Platone, che non era né Dio né uomo, riduceva Cristo ad un raccordo tra Dio e l'uomo, nel quale la divinità era una concessione dialettica piuttosto che un'affermazione teologica e misconosceva totalmente lo Spirito Santo. Il concilio di Nicea (325) reagì impostando saldamente il rapporto tra il Padre ed il Figlio sull'idea centrale della 'consostanzialità'.2 Era un passo avanti, risolutivo, che arrivava ad includere il Figlio, ma che si arrestava, bloccato, dinanzi allo Spirito Santo. Nicea su di lui tacque; il problema non era ancora maturo. Sant’Atanasio, specie con il concilio di Alessandria (362), procedette, sostenendone la divinità, ma lasciando sussistere ancora talune oscurità espressive e qualche incompletezza; Basilio ne asserì la divinità in evidenza di concetto, ma in tenace evasività di formulazione, per cui lo affermò Dio senza mai dichiararlo esplicitamente tale. Questa cautela esitante costituiva un'aporia che inquietava e smarriva, anche perché un'analoga elusività era vistosamente radicata nella Sacra Scrittura, la quale alla divinità dello Spirito Santo alludeva solo copertamente ed in una forma sfuggente. La formula battesimale era bensì categorica nell'unire le Tre Persone, ma non scendeva a specificazioni esplicative. Il Nazianzeno sopravvenne a dissipare ogni equivoco specificando la dottrina con vigore di pensiero ed incisività di enunciati; fu il paladino della sua homousía con le altre due Persone, tanto risoluto che il mancato inserimento del vocabolo nel simbolo di Costantinopoli (381) fu uno dei motivi che lo indussero ad abdicare all'episcopato della capitale. Gregorio, in assoluta adesione alla tradizione della Chiesa, ne rilesse le formulazioni dogmatiche rifinendole, precisandole, integrandole, al punto da diventare il garante ufficiale dell'ortodossia. Si fece maestro e modello del modo di pensare e di parlare in area teologica.
2 L'intenzione, netta, del concilio era quella di asserire l'identità di natura o essenza delle due Persone, ma siccome in antecedenza, Paolo di Samosata, nel concilio di Antiochia del 268 aveva inteso il vocabolo come identità di persona, facendone un sola di Padre e Figlio, in piena accezione sabelliana, si venne ad una distinzione tra ipòstasi e persona. La soluzione non fu però felice, in quanto 'ipostasi' poteva glottologicamente venire interpretata sia come 'individualità distinta' sia come 'natura/essenza', per cui potevano venire a confondersi ortodossia ed eresia: infatti "tre ipostasi" era formula ortodossa se intese nell'accezione di persona, ariana se in quella di natura; "una ipostasi" era dizione ortodossa nel senso di natura, sabelliana in quello di persona. Il concilio di Alessandria , tenuto nel 362 sotto la guida di Atanasio, autorizzò le due interpretazioni, affidando l'ortodossia al retto intendimento di ciascuno. Si rimaneva però in un'ambiguità pericolosa, per cui S. Basilio precisò 'ipostasi' come 'persona', 'individualità distinta' e usía o phýsis come 'natura/essenza'. Anche per il contributo confermativo del Nazianzeno si venne quindi alla formulazione definitiva: una natura (o essenza) in tre ipostasi (o persone). Fr. Erdin, Das Wort Hypostasis. Seine bedeutungs-geschichtliche Entwicklung in der altchristlichen Literatur, Freiburg i. Br. 1939, alle pp. 77-79 dichiara che Gregorio collegò i concetti di persona e di ipostasi, attribuendo ad ipostasi, che prima indicava qualsiasi genere di individui, il carattere di razionalità; fu il primo ad enumerare espressamente le sue caratteristiche di contenuto, contribuendo così a gettare un ponte tra Greci (ipostasi) e Latini (persona), con l'asserire per i due vocaboli l'uguaglianza di contenuto nei punti essenziali.
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Requisiti per parlare di teologia Gregorio parte subito con la convinzione che, nel campo della trasmissione culturale, il temperamento della persona prevale sul sistema dei concetti; la mente finisce per essere indirizzata da istintive spinte emotive e caratteriali. Nell'Or. 27, più che di teologia, egli tratta del modo con cui si deve parlare di teologia; implicitamente, ma nettamente, pone il principio che, in qualunque argomento, l'obiettività del tema viene soggettivizzata attraverso all'individualità del trattatista. Qualsiasi quesito, per quanto in se stesso monolitico ed unitario, può essere osservato da una molteplicità di punti di vista e viene inevitabilmente filtrato attraverso alla sensibilità specifica, e spesso alle precise precomprensioni, di colui che lo affronta. Queste derive istintive, e generalmente inconsce, predeterminando una direzione del pensiero, possono spingere verso impostazioni d'incerta obiettività; urge quindi un solerte controllo sulle proprie concezioni, perché non si riducano ad una validità contestabile, e sulle proprie formulazioni, perché non abbiano da produrre effetti che possono essere anche opposti alle intenzioni di chi parla. Si stabilisce infatti una naturale correlazione tra messaggio ed espositore. Gregorio, in Or. 27,5 p. 82,23-24, dichiara pertanto che l'ecclesiastico è un inviato "a parlare in maniera mistica delle cose mistiche ed in maniera santa delle cose sante, senza gettare ad orecchie profane ciò che non deve essere portato fuori". Segna un confine discriminante tra ciò che sta totalmente nell'ambito umano e ciò che lo supera; dove entrano direttamente in campo le realtà trascendenti, il linguaggio deve prendere coscienza di un'ineffabilità che non è incapacità del parlante ma insufficienza della parola. Va sempre tenuto presente che, se fino ad una determinata distanza basta la nostra intelligenza (che dev'essere totalmente investita), al di là essa conosce, non per produzione diretta ma per comunicazione esterna. Questa trascendenza dà il senso dell'infinita grandezza di Dio e produce quindi una religiosità autentica, che è adorazione, e quindi dedizione ed amore. Ne consegue che i pagani, avversari tuffati nel materialismo delle passioni indecenti, non riescono (Or. 27,6 p. 84,4-9) a capire certo realismo del linguaggio teologico (ad esempio la 'generazione di Dio', le distinzioni sulla sua 'natura', e tutto il duro lessico trinitario degli ariani), e sono quindi portati ad intenderlo "in maniera materiale, vergognosa, stupida, come suole avvenire" (p. 84,10) e finiscono per fare di talune formulazioni teologiche inadeguate "l'avvocato dei propiri dei e delle proprie passioni" (p. 84,11-12). La discussione accanita su temi trinitari, con le immancabili contrapposizioni tra ariani e ortodossi, ha prodotto uno svilimento del cristianesimo agli occhi dei pagani (p. 84,12-20);3 Gregorio si chiede quindi, scandalizzato: "Che cos'è quest'ambizione di primeggiare e questo prurito di muovere la lingua?" (§ 7 p. 86,67) Osserva che noi facciamo tante opere buone e tante preghiere e poi ci abbando3
Sono note le irrisioni del mimo che, dopo le beffarde profanazioni delle avventure degli dei pagani (cfr. Tertulliano, Apologetico 15), era passato alle rappresentazioni caricaturali e blasfeme dei misteri cristiani. Inoltre gli esponenti dell'intellettualità pagana ebbero presto buon gioco a schernire le violente zuffe dottrinali che contrapponevano le confessioni cristiane.
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niamo alla sfrenatezza delle discussioni teologiche, senza preoccuparci delle passioni che le esasperano (p. 86,8-28).4 Gregorio, signore della parola, percepì nettamente che essa ha un suono, e soprattutto delle risonanze, diverse sulla bocca di chi parla e nelle orecchie di chi ascolta; il docente ha doveri, il discente ha diritti; chi parla può, anche inconsapevolmente, improntare la sua esposizione con sfondi psicologici strettamente personali, che possono avviare l'uditore per sentieri imprevisti; la parola pronunciata parte da presupposti che la indirizzano in una particolare direzione; la parola udita spesso ne arriva spoglia, quindi indeterminata, quindi esposta al fraintendimento. Chi insegna, anche in grazia dell'insita autorevolezza del suo ruolo, deve perciò esercitare una sveglia autoanalisi sull'eventualità che la sua lezione possa giungere in un intendimento deviato. Gregorio (Or. 27,1 p.70,3-8) ammonisce quindi che il propositore della virtù, che deve agire con efficacia di parola, è esposto alla seducente tentazione di porre se stesso a centro di compiacimento della propria abilità verbale, assaporando l'ammirazione che suscita nel pubblico. Egli vede la luce concettuale e la signorilità formale di ciò che dice, ma non si premura di analizzare l'effetto illuminante che produce. Gregorio sfida questi campioni "dalla lingua spigliata ed abilissima nell'usare parole improntate di alta nobiltà e prestigio" ad impegnarsi nella praxis: escano dalle loro investigazioni speculative ed operino in mezzo alla gente, la quale di quelle sottigliezze non ha né comprensione né gusto, e si tiene ben stretta alla saldezza della formula battesimale (Or. 27,1 p.72,11-16). È un appello ad ancorare l'insegnamento al sensus Ecclesiae, tanto radicato tra i fedeli e soprattutto difeso con fervore dai monaci. Mette in guardia contro la predicazione (catechesi) come esibizione invece che come servizio, come presentazione di se stesso invece che della verità. Se oggi 'teologia' è essenzialmente 'studio di Dio', mentre inizialmente fu soprattutto 'vita di comunione con Dio',5 comprendiamo perché Gregorio condanni gli eunomiani, che avevano dissolto "ogni via di pietà" (Or. 27,2 p.72,1), avevano cioè incentrato il loro impegno religioso in una fredda speculazione che si ripiegava su se stessa spegnendo ogni fervore di vivente adesione6 all'integrità del mistero trinitario. Era l'esteriorizzazione del cristianesimo che, da via che conduce dall'oscurità umana alla luce di Dio, diventava ambito per assolutizzare i valori umani nei loro aspetti più futili, rinchiudendosi nel gioco verbale di una dialettica convenzionale. Al riguardo Gregorio dichiara che, per conseguire la salvezza, non sono necessarie le disquisizioni dialettiche, in quanto basta la pratica della virtù (27,8); in certe "argomentazioni speculative" egli non vede che "loquacità ciarlatanesca" (ibid. p. 90,28-29), una faciloneria unita ad una pretenziosa incompetenza (§ 9). 4
È un'acuta e disinibita analisi della situazione ecclesiale dei suoi tempi; ma è un quadro che si ripresenta in tutti i tempi. Il teologo imprudente o angusto, da dispensatore di una sicura luce rasserenante, può trasformarsi in seminatore di dubbi inquietanti e di nervosismi irritati. 5 Ilario di Poitiers, De Trinitate VI,19 CC 64, ringrazia Dio di averlo creato per conoscerlo. È la verità (teologia) vissuta ed elevata a preghiera, il credo fatto adorazione. 6 Evagrio Pontico, Sulla preghiera § 60 PG 79,1180 afferma: "Se sei teologo pregherai veramente e, se pregherai veramente, sarai teologo".
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È ben più alto il livello che Gregorio esige; il dottore teologico deve sentirsi investito dallo Spirito Santo: "È questo Spirito che oggi fa di me il suo animoso araldo presso di voi"; se ne sente pervaso e gli si abbandona, disposto sia al successo che allo scacco (Or. 41,14 p. 346,34-36). L'autenticità dell'apostolato non è determinata dall'adesione che viene dal di fuori, ma dalla vocazione che avverte al di entro; la sua purezza interiore dev'essere tale che, impulsivamente, lo allontana dagli scostumati: "Fuggite lontano, malvagi; le mie parole si rivolgono ai puri o a quelli che si purificano" (Carm. I,1,1,8-10).7 Dichiara infatti che chi ha ricevuto l'incombenza di formatore spirituale non basta che non sia cattivo, deve spiccare per il bene tra gli altri; per un semplice privato il male consiste nel compiere atti cattivi perseguiti dalla legge, per un superiore nel non essere buono quanto è possibile e nel non avanzare sempre nel bene (Or. 2,14-15);8 egli è infatti chiamato a sollevare la gente con la superiorità della sua virtù, usando non la violenza ma la persuasione (15 p.110,7-9).9 Questa tersa presentazione della verità è un servizio che il catechista rende agli uomini e, paradossalmente, a Dio; con un tratto di amara ironia Gregorio ricorda infatti la necessità di tutelare contro gli eunomiani la verità divina: in Carm. I,1,2,2-4 commenta: "È necessario che anche il mortale venga in soccorso ai celesti a causa di una lingua stolta, omicida, che combatte contro la divinità". Ed è spesso un compito gravoso; allora la polemica era serrata ed impegnata con tutte le risorse di un'intelligenza investigatrice, che doveva servirsi di una parola alacremente duttile: " Voi non sapete che dono di Dio sia il silenzio, ed il non essere obbligati ad intervenire in ogni questione" (Or. 32,14, p.114,11-12).
Necessità ed insufficienza della parola teologica Gregorio confida quanto avverta molesta l'impresa di esporre una verità ardua, soprattutto se complicata dalla connessa necessità di confutare l'errore che la insidia e la camuffa. Alla fine dell'Or. 29,21 p. 222,1-6, che è stata tutta uno stringatissimo duello dialettico, dichiara: ecco la mia risposta agli specialisti di enigmi; non ho replicato volentieri, ma ci sono stato tirato dalla necessità, a causa di coloro che ci attac7
Era la conferma personale di un assioma platonico, che vedeva nella conoscenza il risultato di un rapporto tra soggetto ed oggetto, reso tanto più facile, e quindi tanto più ricco, quanto più era forte la reciproca affinità. Gregorio, in confluenza di idee, sebbene in diversità di fonte, arriva ad una vigorosa esigenza di purezza per accostarsi al divino; infatti, basandosi su Esodo 24,1-14, misura la vicinanza di accesso a Dio dei vari personaggi con il loro grado di purezza: "Se c'è qualcuno nella folla che sia indegno dell'altezza del Sinai, se è assolutamente impuro, non si accosti, perché è pericoloso; se è almeno occasionalmente purificato, rimanga in basso; senta la voce e guardi la montagna fumante (da lontano)" e continua dilucidando le varie colpe che proibiscono l'ingresso (Or. 28,2). 8 S. Giovanni Crisostomo, Omelie sugli Atti degli Apostoli, VIII,2 PG 60,72 scrisse: "La virtù, una volta iniziato il cammino, va avanti; non si ferma mai". 9 È un'asserzione che ritorna regolare in tutta l'antichità cristiana.
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cano; debbono rendersi conto che non sono abilissimi in tutto né invincibili nei loro eccessi che distruggono il Vangelo. Per Gregorio il silenzio dinanzi all'errore è una sua indiretta convalida come verità; la replica è pertanto obbligo, anche se implica riluttanza.10 Gregorio chiede, a questo fine, il sostegno dello Spirito Santo: "Tu, Spirito di Dio, stimola la mia mente e la mia lingua a diventare tromba risonante della verità, affinché tutti provino la gioia di essere intimamente uniti alla divinità" (Carm. I,1,1,22-24). In Or. 30,1 egli afferma convinto che lo Spirito Santo lo ha aiutato nel demolire le obiezioni che i profanatori della Sacra Scrittura ne detraggono per scompigliare la via della verità, e si propone di proseguire nella sua analisi, affinché l'ascoltatore "non sia trascinato fuori percorso da un discorso seducente" (p. 226,13). Alla parola che svia contrappone quella che mantiene sul retto cammino. L'esordio dell'Or. 27 ha un'immediatezza aggressiva; riconosce agli eunomiani una disinvolta maestria nel maneggio dello stile, ma denuncia che ad esso riducano tutta la loro teologia. Discettavano sulla Trinità facendone il supporto di brillanti aforismi e di ingegnosi sillogismi; la racchiudevano nel recinto di una dialettica che restringeva la razionalità in razionalismo; sopprimevano il mistero nella Trinità per renderla più facilmente accettabile.11 I tre Cappadoci, nella loro accanita lotta contro l'arianesimo, s'impegnarono a fondo nello smontare quell'ammaliante dialettica; era il trionfo della parola sulla verità;12 era la catechesi eunomiana,13 che Gregorio mirava a smantellare, contrapponendole quella ortodossa. Per lui la parola non valeva tanto come abilità di suono elegantemente modulato, quanto come validità di messaggio, che, nella tecnica, può trovare un maggiore agevolezza di accesso. Va pertanto usata con la più solerte cautela; in Or. 27,6 p. 84,1-3 ammonisce che rinchiudere la speculazione teologica sulla Trinità nella terminologia umana espone ad imprigionarla nelle nostre medesime dimensioni, cioè a rinnegarla, offrendo buona materia di rifiuto ai nemici del cristianesimo.
10 S. Giovanni Crisostomo, Sul sacerdozio, IV,3 SC 272 p. 250,10-13 asserì che il sacerdote deve avere una grande potenza di parola; contro le malattie dell'anima "c'è, dopo le opere, una sola via di cura, l'insegnamento mediante la parola". E continuò (p. 250,21-29): "Quando si tratta del modo migliore di sistemare una vita, l'esempio di un'altra vita potrebbe stimolare all'imitazione; ma quando un'anima è malata di false credenze, allora c'è un urgente bisogno della parola, non solo per tenere al sicuro i propri fedeli, ma anche per combattere contro i nemici esterni. Se uno avesse la spada dello Spirito e lo scudo della fede al punto di poter compiere miracoli e di tappare la bocca degli sfrontati mediante prodigi, non ci sarebbe bisogno di ricorrere alla parola, o meglio, neppure allora, per la sua stessa natura, essa sarebbe inutile; resta anzi di assoluta necessità". 11 È la ricorrente tentazione di rendere appetibile il Vangelo demitizzandolo. Oggi va forte una campagna che interpreta Cristo come un filantropo che predica la comprensione e l'amore degli altri, non del Padre; gli si amputa ogni trascendenza ed ogni rivelazione sulla Trinità; lo si intruppa nella serie dei moralisti. 12 Oggi si è trasferita nella predicazione del relativismo, che annulla la verità, del materialismo, che svilisce la vita in una molteplicità di attrattive immediate, che dissolve la famiglia sotto ogni tipo di mascheratura, che soffoca la coscienza ponendo ad unici ideali il potere, il denaro, il piacere. 13 "Una lotta di parole che non conduce a nulla di utile" Or. 27,1 p. 70,7-8.
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L'annunciatore della fede, per la sua lunga consuetudine, può familiarizzarsi con vocaboli come 'persona', 'padre', 'figlio', 'nascita', 'processione', fino a perdere la sensibilità della loro assoluta inadeguatezza; l'uditore, non allenato a respirare nel clima soprannaturale, può materializzarli fino ai rapporti umani, con le loro componenti passionali ed emotive e con le loro caratteristiche temporali, in ciò aiutato dall'arido razionalismo di molte discussioni che ne derivavano. Per evitare che la presentazione della verità si corrompa a suo travisamento va sempre richiamato con chiarezza che quelle nostre parole, oltre al corrente senso lessicale, hanno una loro proiezione nell'area dell'infinito, irriducibile alla nostra; là le parole non dicono, stimolano a superarle in estensioni illimitate. Gregorio condanna perciò (Or. 28,11 p.122,3-4) lo stile delle discussioni contemporanee "che disprezzano ciò che è nobile e semplice ed introducono ciò che è tortuoso ed enigmatico". Il pericolo di fraintendimento non sconsiglia però la comunicazione, la richiede sollecita agli effetti che produce; non si tratta di non parlare, si tratta di parlare in una maniera da farsi inequivocabilmente capire. Gregorio, che l'oratoria se la sentiva nel sangue, è tanto lungi dal proscriverla quanto lo è dall'ignorarne i rischi, contro i quali ammonisce; sa che la condanna, come sempre, è sterile se non genera la correzione. Per Gregorio "criticare non è gran cosa; è facilissimo ed alla portata di chiunque; invece l'esporre in sostituzione la propria idea è tipico di un uomo pio ed intelligente" (Or. 29,1 p.176,4-6). Quello che vale è la propositività costruttiva, il surrogare al negativo il positivo. Il trasmettere agli altri implica, ma è diverso, dal meditare tra sé: nel proprio interno si possono vagliare anche ipotesi spericolate nella disponibilità ad una loro setacciatura critica ed al loro rifiuto; all'esterno, col pubblico, tale disponibilità-capacità non è per nulla garantita; le idee possono anche camminare per conto proprio al di fuori dell'intenzionalità del proponente, seminando scompiglio. E poi il pensare su Dio (dialettico) non equivale al pensare a Dio (mistico); Gregorio chiarisce: "Non dico che non si debba mai ricordarsi di Dio: dobbiamo invece ricordarci di lui più di quanto dobbiamo respirare; non dobbiamo fare altro che questo" (Or. 27,4 p.78,1-4).14 E di questa presenza continua vede, citando il Salmo 55(54), 18 LXX, una forma nel "raccontare il Signore alla sera, al mattino ed a mezzogiorno" e, richiamando il Salmo 34(33),2, nel "benedire il Signore in ogni tempo" (p. 78,68). Compone l'obbligo di parlare col senso dell'esiguità del proprio limite; era quanto egli si era proposto di fare nell'antifona ai proprii Carmi (I,1,1,1-4): "So che attraversiamo un grande mare su una minuscola zattera e che ci slanciamo verso il cielo stellato su piccole ali, noi che abbiamo sentito nella mente l'impulso a presentare quella divinità che neppure gli angeli riescono a venerare quanto conviene".
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Era in una piena sintonia con Basilio, il quale nelle Regole estese, 5,2 PG 31,921 B1-2 aveva prescritto: "Non si rinunci mai al pensiero di Dio... ma portiamoci in giro la santa presenza mentale di Dio impressa nella nostra anima mediante un continuo e puro ricordo, come un sigillo incancellabile". Basilio, Omelia sulla fede § 1 PG 31,464 B,2-3 aveva inoltre assicurato che "il ricordarsi continuamente di Dio è cosa pia, che non reca sazietà all'anima che lo ama". E Gregorio ne aveva espresso un fervido desiderio: "Che io non mi dimentichi di te e che tu non ti dimentichi di me, o Signore" (Carm. II,1,62,1).
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Compito e dignità della ragione La parola è l'esternazione della ragione, la quale è la sublime facoltà che ci costituisce simili a Dio. In Or. 27,5 p. 80,2-4 Gregorio intensifica un ammonimento rivestendolo di una metafora a presa efficace: "Non imitiamo i cavalli focosi ed intrattabili; non disarcioniamo il nostro cavaliere, respingendo la ragione". La ragione è per Gregorio, come per tutti, la suprema e l'unica guida dell'uomo,15 capace di scoprire, nei proprii limiti, la verità per forza propria, e di accoglierla, al di là di essi, come rivelazione.16 In Carm. I,2,10,120 la definisce come la facoltà che ci segna la distinzione tra la vita fisica e quella spirituale e, ripetutamente, se la rivendica come lampada e signora della sua vita. Essa ci guida a Dio in sicurezza di cammino, anche se in incompletezza di percorso; di Dio arriva infatti con certezza all'esistenza, anche se si arresta davanti all'essenza. "È ben diverso il conoscere che una cosa esiste ed il sapere che cosa essa sia" (Or. 28,5 p.110,16-18). All'esistenza giungiamo senza nessun dubbio: "Che Dio sia la causa efficiente che tiene insieme tutte le cose ce lo insegnano gli occhi e la legge regolatrice della natura... Come infatti quest'universo sarebbe venuto all'esistenza e continuerebbe ad esistere, se Dio non avesse conferito sostanza a tutte le cose e non le mantenesse?" (Or. 28,6 p.110,1-8) Gregorio nel suo insegnamento insiste su questo tragitto17: "La ragione ci ha accolti quando aspiravamo a Dio18 e non sopportavamo che il mondo fosse senza un pilota... Non era ragionevole conferire la sovranità ad esseri che ci sono uguali quanto ai sensi (le creature); attraverso ad essi la ragione ci conduce verso colui che è al di so15
Didimo di Alessandria, Commento all'Ecclesiaste 5,19 § 165,23, in Papiri di Tura II p.46 asserì: "È propria dell'uomo la vita condotta in conformità con la ragione e con la conoscenza di Dio". 16 Per S. Giustino, I Apol. § 2 la ragione suggerisce a quelli che sono autenticamente pii e filosofi di onorare e amare soltanto la verità. 17 Ed è un invito implicitamente rivolto ad ogni catechista. Molti predicatori dilagano in un moralismo a tinta sociale, dimenticando di porgli le basi di una salda motivazione, che può essere fornita solo dalla chiara consapevolezza di una presenza di Dio, testimoniata da tutte le cose e da tutte le leggi del mondo. Urge vedere, ed insegnare a vedere, che tutto nel mondo reca la firma di Dio, che egli si scherma dietro ad ogni cosa, stimolando la nostra intelligenza a scorgerlo per stabilire un colloquio con lui. Solo questa presenza di un Dio vicino che ci accompagna nel nostro cammino può dare un senso alla vita, spiegare la morte, spogliandola della sua assurdità e repellenza e conferire allo spirito quella pace che egli promise e che egli solo può dare (Gv 14,27). Solo la fede, saldamente radicata in un razionale completato dal soprannaturale (fides et ratio) [per Gregorio, Or. 29,21 p. 224,13-14 "la fede è il completamento della ragione"] può dissolvere il diffuso smarrimento e scongiurare un'angoscia, contro la quale il laicismo esasperato non ha parole efficaci; è essenzialmente 'contro', non arriva a ciò che è seriamente propositivo; di fronte ai grandi problemi della vita e della morte tende ad evadere. Severiano di Gabala, Su Cristo pastore e pecora § 4 PG 52,834 dichiarò: "C'è una sola navigazione, una sola via, un solo porto, la fede... Chi si distacca dalla fede fa naufragio; chi segue la fede ormeggia il suo scafo in un porto tranquillo". S. Giovanni Crisostomo, Omelie varie VIII,2 PG 63,502 raccomandò di "avere la fede come guida della via... e come ancora della nostra salvezza". 18 Clemente Alessandrino, Stromati V,1,5,2 plaude alla ricerca che cammina insieme alla fede e costruisce sul fondamento della fede la conoscenza della verità.
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pra di essi e dal quale essi hanno ricevuto l'essere" (Or. 28,16 p.132,1-7). È il solido fondamento del metodo induttivo, che aveva già avuto, soprattutto nello stoicismo, vigorose asserzioni.19 Gregorio ribadisce il concetto dandogli un'intensificazione: le cose non sono soltanto il prodotto di una ragione, di una ragione sono anche contenitrici, poiché "l'Artefice ha introdotto in tutte una ragione, in base alla quale tutto l'universo è condotto e governato. Ma chi è l'Artefice di tutto questo? Non è forse colui che lo ha portato all'essere? Non è certo al caso che bisogna assegnare tanta potenza" (Or. 28,16 p.134,14-17).20 E, poco oltre, rincalza con vigoria la forza della ragione e la sua fondamentale vocazione elevatrice: "La ragione, che proviene da Dio e che è innata in tutti, legge primigenia dentro di noi, e connessa con tutte le cose, ci ha fatti salire a Dio partendo dalle cose visibili" (p.134,22-25). Gregorio inculca l'esercizio di questa osservazione meditativa del mondo e vi si abbandona in una sorta di rapimento gioioso; intesse infatti un vero 'poema della creazione' (capp. 22-31): è un'ampia, distesa contemplazione del cosmo e dei problemi che da ogni cosa emergono; è un'interminabile serie di come? di perché? Tutto parla, tutto interpella e sfida.21 Le considerazioni si sviluppano senza nessun ordine sistematico; gli interrogativi si sovrappongono e si intrecciano e dietro ad ognuno se ne dischiude una sequenza di altri. Sono domande che premono ma che non angosciano; l'infinita complessità del cosmo, se ci smarrisce con i suoi 'perché?' ci attrae con questo suo pullulare di meravi19
"Dal noto all'ignoto" fu l'assioma che l'intuizione assunse sempre a direttiva del proprio cammino. 20 Benedetto XVI, il 6 aprile 2006, in un discorso ai giovani, toccando il tema dell'eventuale contrasto tra fede e scienza, affermò che la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura della realtà coincidono; la ragione soggettiva e quella oggettiva della natura sono identiche; la nostra ragione non potrebbe scoprire quella che appare nel comportamento della natura, se non ci fosse un'identica ragione a monte di entrambe. 21 C'è un'estasi di chi fissa uno sguardo assorbente in Dio e ce n'è un'altra di chi lo fissa negli aspetti del mondo, sui quali si distende la presenza di Dio; la prima è carisma straordinario, la seconda è auspicabile punto d'arrivo di ogni intelligenza riflessiva e raccolta. Sarebbe afona la voce del catechista se non vi fa riferimento, fiacca la sua azione se non l'ha mai proposta e annebbiato il suo orizzonte mentale se non vi si sofferma con frequenza. L'appello dalle cose a Dio è così logico che accompagna regolarmente la successione dei Padri della Chiesa. Tra gli altri S. Basilio, Omelia sul Salmo XXXII,4 PG 29,329 B14 - C6 affermò: "Se tu consideri una pietra, possiede anch'essa un qualche potere dimostrativo della potenza di colui che l'ha fatta: e lo stesso accade per una formica, per una zanzara, per un'ape. Sovente anche negli esseri minimi traspare la sapienza dell'artefice. Colui che ha dispiegato il cielo e che ha versato le immense estensioni dei mari, è anche il medesimo che ha pure scavato, come una cannuccia, il sottilissimo pungiglione dell'ape". Ancora S. Basilio, Om. sull'inizio dei Proverbi § 3 PG 31,389 C3 - 392A asserì: "Arriva a conoscere la sapienza colui che studia con successo la natura di Dio... Ma anche chi riflette sull'artefice partendo dalla struttura del mondo arriva a conoscere Dio attraverso alla sapienza del mondo". S. Gregorio di Nazianzo, Or. 2,95 p. 214,10-11 invita ad "abituare l'occhio a guardare la creazione con uno spirito sano, unicamente per ammirare il creatore" ed in Or. 28,13 p.128,31-33 dichiara che l'uomo "attraverso la bellezza e l'ordine delle cose visibili viene a conoscere Dio e si serve della vista come guida verso quelle entità che stanno sopra la vista". Severiano di Gabala, Om 4 ediz. Aucher p.129 proclamò: "Quando si spiega la natura si glorifica il creatore".
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glie; questo susseguirsi di sempre nuove aperture potrebbe sembrare monotono, se non fosse affascinante; il ritmo incalzante sembra suggerire un panorama che non si esaurisca mai ed un'opera che emana genialità, bellezza e grazia.22 Gregorio che ha scandagliato i problemi dell'esistenza eterna del Dio trinitario e della sua azione salvatrice nell'Incarnazione, ha anche celebrato le meraviglie della sua presenza creatrice nel mondo.23 È una forma complementare di rivelazione: "La motivazione di tutto ciò ti è raggiungibile, se hai capito l'intelligenza che vi si esplica" (Or. 28,26 p.156,1-2). Gregorio dimostra le sue tesi teologiche con un ragionamento strettamente concatenato e lucido; procede con una coerenza evidente; le deduzioni si sviluppano senza fratture e senza oscurità; la mente è impegnata ma non appare tesa, perché il cammino gli si presenta come spontaneo, si autogenera. Gregorio convince con la perspicuità delle sue argomentazioni, ma sta bene attento a segnare il limite della loro estensione; esse sono persuasive perché non sconfinano nell'area del mistero, di cui egli asserisce, incisivamente, la presenza: "Noi non riusciamo a conoscere neppure ciò che abbiamo dinanzi ai piedi, né a contare i grani di sabbia del mare né le gocce di pioggia (Sir.1,2) e tanto meno ad inoltrarci «nelle profondità di Dio» (1 Cor 2,10) ed a rendere ragione della natura ineffabile che supera la nostra ragione" (Or. 31,8 p. 290,19-23). Invita pertanto al senso di responsabilità: "Discutiamo, ma rimanendo nei nostri limiti" (Or,27,5 p. 82,6); gli risulta infatti categorico "che non è possibile guardare a Dio in se stesso, poiché la purezza della sua luce vince la nostra capacità percettiva" (Or. 28,3 p.106,17-18). In contrapposizione a Platone, che nel Timeo 28 C aveva affermato che "capire Dio è difficile ed esprimerlo è impossibile", Gregorio ribatte: "Esprimere Dio è impossibile e capirlo è più impossibile ancora" (Or. 28,4 p.106,1-6);24 si tratta di un'alterità di natura, nella quale la nostra si esaurisce senza annullarsi. Respinge pertanto, con un moto d'insofferenza, la presunzione degli eunomiani, "che pretendevano di sapere tutto e tutto insegnare", definendo il loro atteggiamento "un'avventatezza, che poi, nella sua sostanza, è ignoranza ed arroganza" (Or. 27,2 p.74,29-31). È la celebrazione della razionalità nella sua depurazione dalla degenerazione in razionalismo.
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S. Agostino, De vera religione § 216 annotò: nihil est ordinatum quod non sit pulchrum. S. Basilio, Om. in Exaemeron I, 7 PG 29,17 C8-9; SC 26 bis p.116 aveva affermato: "Dio, in quanto buono creò il mondo utile, in quanto sapiente lo fece bellissimo, in quanto potente lo istituì immenso", e nell'om.V,2,7 aveva esortato: "Io vorrei che tu percepissi più profondamente il senso di ammirazione dinanzi al creato, perché, dovunque tu venga a trovarti ed a qualsiasi genere di piante tu risulti vicino, tu susciti in te chiaro il ricordo di chi ne è l'autore". 23 Clemente Alessandrino, Stromati IV,23,148,2 scrisse che il cristiano saggio dice: "O Signore, stupenda è l'economia del creato e tutto è bene amministrato, nulla avviene senza ragione. Io devo essere in tuo possesso, o Onnipotente; anche se sono quaggiù, sarò presso di te". 24 Origene, De principiis IV,4,8 dichiarò che "è per natura impossibile comprendere ciò che è infinito".
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Difficoltà ed eccellenza dell'attività formativa La parola e la ragione si esplicano in un'azione illuminativa di se stessi e degli altri. I due poli sono inseparabili, come ne è fissa la direzione. Gregorio dichiara suo pensiero costante ("riflessioni che mi accompagnano di notte e di giorno, tormentandomi la coscienza e deprimendomi l'anima": Or. 2,71 p.182,1-4), che "bisogna prima purificarsi e poi purificare, istruirsi e così istruire, diventare luce ed illuminare, accostarsi a Dio e condurvi gli altri, essersi santificato e (poi) santificare, condurre per mano e consigliare con intelligenza" (ibid. p.184,9-13). Distingue, con una punta d'angoscia connessa con la sua responsabilità, la parola che suona ostentandosi e quella che si fa voce di un'esperienza profonda. Vedeva infatti due tipi di insegnamento, quello dove la parola serve alla dialettica (eunomiani) e quello dove la dialettica serve alla parola (cappadoci). Egli si sentiva chiamato "a sollevare la gente alla giusta linea morale mediante la superiorità della virtù senza ricorrere alla violenza, che ha solo effetti superficiali e momentanei; voleva condurre con la persuasione" (Or, 2,15 p.110,7-9). 'Risanare' e 'rinforzare' era la sua missione, in analogia a quella del medico, nella distinzione e nel parallelismo dei due piani; stabilisce pertanto un insistito e particolareggiato confronto tra la medicina e l'arte pastorale-educativa.25 Entrambe debbono applicare rimedi differenziati, suggeriti da analisi attente. Osserva perciò quanto sia necessario sapere per curare bene e per lasciarsi curare, per trasformare la vita e sollevare allo spirito ciò che è terreno (Or. 2,28 p.126,3-6); "non hanno infatti lo stesso modo di pensare e non sono mossi dagli stessi impulsi l'uomo e la donna, il vecchio e il giovane, il povero e il ricco, chi sta di buon animo e chi è depresso, il malato e il sano, chi comanda e chi è comandato, i dotti e gl'ignoranti, i vili e i baldanzosi, gli irascibili e i miti, quelli che riescono e quelli che falliscono" (p.126,6-11) e continua rilevando la differenza tra sposati e celibi, tra gli eremiti ed i cenobiti, i cittadini ed i rurali (§ 29); pertanto, come c'è diversità di rimedi per il corpo, così ce ne debbono essere per le anime (30). A certuni giova la lode ad altri il biasimo, i rimproveri in pubblico o in privato (31); taluni vanno puntualmente ripresi, per altri è meglio chiudere gli occhi; talora bisogna "manifestare irritazione senz'essere irritati e disprezzo senza provarlo"(32). Ne scaturisce logica la deduzione: "A me sembra che non sia compito del primo che incontri e che non richieda uno scarso intuito il somministrare a ciascuno, al tempo opportuno, la sua razione di istruzioni e la verità della nostra dottrina" (35 p.134,5-8).26
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Di questo accostamento si trova un rapido anticipo in Origene, Omelie su Luca I,5: "Esiste una certa somiglianza tra la scienza e la pratica medica da una parte e la competenza ed il ministero della Parola dall'altra". 26 È la precisa richiesta di un esame delle disposizioni dei singoli nelle loro caratteristiche sociali, nelle loro abitudini professionali, nelle loro condizioni fisiche, nelle loro inclinazioni temperamentali, nei loro stati d'animo. Gregorio esige la compilazione di una cartella diagnostica personale. Se la scienza è una, le porte d'accesso sono numerose quanto lo sono i destinatari ed il valore del docente, oltre la sua efficacia d'azione, si misura su questa alacrità d'individuazione.
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Quello formativo è un ministero che richiede solerte intelligenza, soprattutto in quella versione pratica che è il buon senso; nell'insegnamento della fede bisogna essere molto moderati, attenersi ai fondamenti, avere la percezione del limite, accontentarsi del pane senza pretendere le leccornie; "meglio cedere ad un altro per moderazione che elevarsi troppo in alto per temerità, quando si è ignoranti" (Or. 32,21 p.130,26-27). Nelle polemiche va usato un sollecito riguardo verso gli avversari, perché "non è la medesima cosa sradicare una pianta, un fiore caduco ed un uomo; sei immagine di Dio e parli ad un'immagine di Dio" (Or. 32,30 p.148,1-3). Se l'errore non ha diritti, l'errante li ha tutti. Questa saggezza di procedere premunisce da un grave pericolo, che Gregorio prospetta in tersa evidenza di ritratto: la mediocrità del docente può venire meccanicamente trasposta ad insignificanza della dottrina, provocando un vagabondaggio di ricerca che, col suo pluralismo di contatti, conduce al disorientamento. Capita infatti che coloro, che non hanno in proprio nessuna convinzione fondamentale, che si abbandonano a tutte le dottrine ed a tutti i maestri, pensando che trarranno dall'insieme quanto c'è di meglio e di più sicuro, che si sono riservati di giudicare personalmente sulla verità, vengano poi 'rivoltolati' in tutte le direzioni dalla verosimiglianza delle impostazioni e che, dopo aver più volte cambiato maestri e gettato molti libri al vento, esausti, finiscano per provare la medesima insoddisfazione per tutte le dottrine e disprezzare la nostra stessa fede, ritenendola sprovvista di solidità; deducono dalla persona che parla il valore della dottrina che espone (Or. 2,42). Gregorio proclama pertanto che, mettere mano ad istruire gli altri, prima di essere personalmente istruiti abbastanza, risulta essere il colmo della stoltezza e della temerità (Or. 2,47 p.152,1013). Può quindi lanciare il bando solenne: "Mi sembra che sia l'arte delle arti e la scienza delle scienze il condurre l'uomo, che, fra tutti gli esseri viventi, è quello più complesso e più vario" (Or. 2,16 p.110,4-6).
Criteri didattici Questa varietà va pertanto riconosciuta e su di essa va adeguato l'insegnamento. Gregorio, usufruendo di suggerimenti platonici, verificati e confermati dalla sua esperienza personale, che concordava con quella generale, inquadra in norme precise i procedimenti da tenere nella comunicazione della verità. Chi vuole illuminare gli altri sui contenuti, dev'essere illuminato sui modi; il pensiero ha anche una sua tecnica di seminagione. Gregorio, che proibisce di porgere le peculiarità cristiane ai nemici, i quali cercano di intossicare le ferite prodotte dalle discussioni ecclesiali pervase di astio, e invita quindi i teologi ad astenersi da ipotesi arrischiate ed aleatorie (Or. 27,5 p. 82,9-19), sente il valore della verità e non la vuole esporre alla profanazione del rifiuto o del disprezzo. Fissa pertanto alcune riserve preliminari alla sua presentazione: 1) la competenza (Or. 27,3 p.76,4-9), che implica "un esercizio antecedente ed un progresso nella contemplazione, ed ancora prima una purificazione dell'anima e del corpo, già compiuta o in corso di compimento". Gregorio ha percepito una realtà che emerge in tutti i tempi: passioni, pregiudizi, recinti culturali, costituiscono spesso
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argini insuperabili all'accesso della verità; chi ne è inficiato non la può accogliere e tanto meno indicare; 2) le circostanze (p. 76,9-15), per cui occorre scegliere il tempo in cui "la ragione non è sconvolta da immaginazioni perverse ed instabili... perché allora sarebbe come mescolare profumo alla melma" e ribadisce il concetto aggiungendo alla componente etica quella psicologica; 3) i destinatari (p.76,15-19), i quali debbono essere "coloro che trattano le cose con impegno e non come oggetto di una chiacchiera rilassata, godendo dell'elegante arguzia delle controversie". Rifiuta il dilettantismo degli scettici che, concettualmente, fluttuano nel relativismo, dandosi tono con l'estetismo; 4) l'argomento e la sua estensione (p.78,20-27), che vanno adeguati alla capacità recettiva dell'ascoltatore, per evitare un sovraccarico che finirebbe per vanificare anche l'accettabile. Segnala così l'eventualità delle 'crisi di rigetto'. Dinanzi all'ardua severità delle questioni teologiche più impegnative, Gregorio ne attenua l'astrattezza visualizzandole e drammatizzandole in un immediato emergere di domande e risposte (Or. 29,3-5). Acuisce la polemica in serrate antinomie dialettiche; mostra di saper replicare con disinvolta destrezza ai sillogismi eunomiani; ne smonta i cavilli con sicurezza di presa (29,5). Ha prontezza di ritorsione: al dilemma: "Padre è nome di sostanza o di azione?" ribatte deciso: lo è di relazione (29,16). Sul filo del dogma trinitario, alla sfida degli eretici risponde con un controsfida (Or. 31,10 p. 292,1-12) ed all'angusta acredine di taluni ortodossi oppone amaro: "La nostra religiosità consiste soltanto nel condannare l'irreligiosità altrui" (Or. 2,79 p.192, 4-5). Contro l'orgoglio di certo intellettualismo teologico, stimolato dall'ambizione, proclama che "nulla sarebbe più ingiusto della nostra fede, se fosse riservata ai sapienti, ai parlatori brillanti, alle dimostrazioni razionali" (Or. 32,26 p.140,1-3) ed invita a "non disprezzare ciò che è comune, a non dare la caccia alle novità, per farsi ammirare dalla folla" (ibid. p.140,12-14). Al tono variamente venato di biasimo alterna quello di una cordialità familiare. Di fronte alla difficoltà di cogliere il senso esatto di un passo biblico, invita: "Esaminiamo un po' la questione insieme" (Or. 30,2 p. 228,14-15); invece di comunicare un esito, prova a coinvolgere nella ricerca; la vicinanza psicologica facilita l'arrivo all'accordo gnoseologico; si crea una disponibilità iniziale: spera che imboccando la stessa via si possa giungere alla stessa meta. Partendo da un presupposto certamente condivisibile, procede in una chiara evidenza di ragionamento (25-30) per arrivare, insieme, ad una soluzione sicura. E, proprio per agevolare l'accettazione della sua tesi esegeticoteologica, scandisce i passi successivi della sua dimostrazione in una serie di motivi che vengono nettamente individuati da una numerazione progressiva, la quale conferisce specificità ad ogni argomento e ne evidenzia la somma che risulta imponente; il conteggio in dieci commi mette in risalto i punti d'appoggio e li impone all'attenzione (Or. 30 capp. 6-15). Gregorio ama il metodo della scansione, che presenta nitidi i concetti nei loro margini precisi e li dispone in una sequenza che invita a farne una sintesi; sono bagliori che conservano la loro fisionomia particolare, ma che alla fine si fondono in un molteplicità organica che possiede la completezza delle trattazioni sistematiche senza averne
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la frequente atonia. Così l'elenco degli epiteti che concernono il Figlio (Or. 30,20-21) costituisce una cristologia, che parte dalla concretezza di quelle designazioni che il fedele aveva sentito enumerare nelle cerimonie liturgiche considerandole celebratrici, ma che ora si trova approfondite a definitrici. Gregorio raccoglie queste nozioni che colpiscono l'immaginazione ma che facilmente slittano sull'intelligenza e ve le trasferisce; passa dal pittoresco al didattico, ricuperandoli entrambi; intesse una litania che diventa insieme adorazione e illuminazione. Altro fondamentale criterio espositivo che Gregorio applica nella sua catechesi, e che riscontra praticato da Dio nella Sacra Scrittura, è la progressività sistematica. Nell'Or. 41, pronunciata a Costantinopoli nella Pentecoste del 379, agli esordi della sua attività nella capitale, Gregorio getta i fondamenti dell'ortodossia trinitaria dinanzi a gente spaurita per il lungo ed oppressivo predominio ariano; è un discorso d'avvio, impostato sulla propedeutica per l'accettazione della divinità dello Spirito Santo. Gregorio sa che le parole (che stimolano l'emotività) colpiscono più delle idee (che si rivolgono all'intelligenza), per cui procede con una tecnica a fasi: "(Sullo Spirito Santo) concedetemi il concetto (dýnamis: la nozione) di divinità, ed io vi concederò la parola" (Or. 41,7 p. 330,16-17),27 non s'impunta sul vocabolo, mira alla sostanza della convinzione. Gregorio, così incisivo intagliatore di formule dogmatiche che sono diventate riferimento perenne, delle formule conosce chiaramente la relatività: in Or. 21,35 esprime la sua viva ammirazione per Atanasio che, esaminando i significati effettivi delle parole (essenza, natura, persona, ipostasi), aveva dissipato i dissensi di coloro che divergevano nei vocaboli mentre concordavano nella dottrina ed aveva così riportato la pace nella Chiesa.28 In Or. 41,7 p. 330,17-25 ammette pertanto variazioni sinonimiche sul concetto di divinità, non nascondendo tuttavia la ripugnanza verso la meschinità di chi si adombra di una parola di cui accetta il significato; gli paiono compromessi "autenticamente vergognosi", che testimoniano una "gracilità malaticcia". "Confessate la Trinità di un'unica divinità e noi chiederemo per voi allo Spirito la parola 'Dio'" (§ 8 p. 330,1-3); con un finissimo accorgimento psicologico, allontana 'Dio' da 'Spirito', unendolo con 'Trinità', che comprende lo Spirito Santo senza però evidenziarne la parola. Concede provvisoriamente, ma confuta: asserisce infatti l'eternità dello Spirito Santo, da sempre unito al Padre e al Figlio, notando l'insita assurdità che, ad un certo momento, il Padre sia stato privo del Figlio ed il Figlio dello Spirito Santo: "Sarebbe stata somma ignominia per la divinità se fosse arrivata al compimento della perfezione come in seguito ad un pentimento" (§ 9 p. 334,1-6). L'errore, oltre ad essere sbaglio, appare stoltezza. Gregorio si sente autorizzato nella sua gradualità didattica da quella stessa che Dio aveva usata nella storia della salvezza. Dio infatti non ci vuole costringere ma persuadere (Or. 31,25 p. 324,10-11). Alla pesantissima obiezione dei pneumatomachi, 27
Cioè, se voi mi dichiarate di riconoscerlo come Dio, io vi autorizzo a non denominarlo tale. J. Plagnieux, Saint Grégoire de Nazianze Théologien, Paris 1952, a p. 61 afferma che Gregorio si oppone risolutamente ad ogni specie di formalismo, usando comprensione tanto per le persone quanto per le formule; ci tiene a richiamare, e quindi a salvare, l'essenziale, che è l'accordo degli spiriti su Dio e l'unione delle anime nella carità. 28
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che nella Scrittura lo Spirito Santo non è mai proclamato Dio,29 replica con la progressività della rivelazione: l'Antico Testamento soppresse gli idoli, ma permise i sacrifici (cap. 25). Nella prassi si procedette per soppressioni, nella teologia si avanza per aggiunte: l'Antico Testamento proclamò chiaramente il Padre e più oscuramente il Figlio; il Nuovo ha manifestato il Figlio e fatto intravedere lo Spirito Santo, che rifulse in pieno nella Pentecoste. Sarebbe stato rischioso, quando non si confessava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente quella del Figlio e, quando non era ancora ammessa quella del Figlio, aggiungere lo Spirito Santo; sarebbe stato come esporre alla luce del sole occhi ancora troppo deboli; mediante ascensioni successive la luce della Trinità viene a risplendere più brillante (Or. 31,26 e lo ribadisce in Carm. I,1,3,10-20).
Esempi pratici Gregorio ha più volte espresso suggerimenti didattici nella catechesi; ha fatto vedere come si comportava egli personalmente, ma lo ha fatto in quanto omileta; vediamo ora come nei suoi discorsi ha trasmesso direttamente il suo messaggio ad un pubblico che accorreva bramoso, accalcandoglisi attorno (cfr. Carm. II,1,11,1113-1146). Alla sua presentazione della Trinità "gli ortodossi si affrettavano come fanno gli assetati all'apparire di una sorgente, per nutrire la loro fame alle mie parole, e come coloro che sono avvolti da una fitta tenebra si dirigono ad un bagliore di luce", ma anche gli estranei alla fede nell'udirlo provavano una profonda soddisfazione (vv.1141-1145). Allora, come parlava? come rendeva appetibile l'ostico mistero della Trinità? Il suo metodo era: estrema lucidità di dizione, perfetta obiettività nel discriminare il confine entro il quale la ragione vede da sé e dopo il quale solo intravede con il sussidio della rivelazione, rigoroso gioco logico nelle impostazioni e nelle deduzioni, puntuale analisi delle parole e dei concetti, in modo da presentarne, nella più lucida evidenza, i significati nella loro portata e nella loro polisemia. Egli afferma che l'esposizione del proprio pensiero e la confutazione di quello avversario "debbono essere brevi quanto è possibile, affinché si possa abbracciare con un solo colpo d'occhio ciò che si dice" (Or. 29,1 p. 178, 18-19). E ne dà l'esempio: sulla paternità del Padre scandisce: "Chi è dunque questo Padre che non ha cominciato ad esserlo? È colui che non ha neppure cominciato ad esistere; chi ha cominciato ad esistere, ha cominciato anche ad essere Padre. Non è dunque diventato Padre più tardi, poiché non ha cominciato; ed è Padre in senso proprio, perché non è anche Figlio; così il Figlio lo è nel senso proprio, perché non è anche Padre" (Or. 29,5 p. 184,1-5): le frasi, così nude, assumono un potente rilievo; hanno la definitività dell'e29
Era una constatazione autentica e quindi sommamente efficace nel minare la fede nella sua divinità. Si trattava di una tattica antica; Tertulliano, De praescriptione 15,2 SC 46 aveva già rilevato che gli eretici "mettono innanzi le Scritture e, con la loro arroganza, fanno subito impressione in certuni; con il loro attacco stancano i saldi, catturano i deboli, lasciano nell'inquietudine quelli che stanno a mezza strada".
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pigrafe. In Or. 30,19 p. 266,20-23, dopo aver elencato alcuni appellativi proprii della divinità nel suo complesso, scende alle specificazioni trinitarie e proclama: "Il nome particolare di colui che è senza principio è Padre; di colui che è generato senza principio è Figlio; di colui che procede senza essere stato generato è Spirito Santo". P. Gallay, SC 250 p. 50, afferma che «questa formula è forse l'enunciato più perfetto del mistero trinitario». Corrispondente è la risoluta, stringata, individuazione della peculiarità tipica dello Spirito Santo: "In quanto lo Spirito Santo procede dal Padre non è creatura; in quanto non è generato non è Figlio; in quanto è collegamento posto tra l'ingenito ed il generato è Dio" (Or. 31,8 p. 290,11-14). Continuando sulla natura della Trinità, un concetto lucidissimo ha trovato un'espressione esattissima; né nel pensiero né nella forma permane ombra di foschia: "Il Figlio non è il Padre, poiché il Padre è uno solo, ma è ciò che è il Padre; lo Spirito Santo non è il Figlio, in quanto proviene da Dio, poiché uno solo è nato da Dio (l'Unigenito), ma è ciò che è il Figlio. I Tre sono Uno quanto alla divinità e l'Uno è Tre quanto alle proprietà; ne deriva che l'Uno non è quello di Sabellio, e che i Tre non sono quelli della scellerata spaccatura ariana" (Or. 31,9 p. 292,14-19). È il punto d'arrivo d'una speculazione acuminata e tesa all'estremo ed è la consegna agli uomini di un traguardo definitivo. Intonandosi all'onda più solenne dell'esametro, che infonde nel messaggio un'anima di vibrazione epica, e guardando da un punto di vista complementare, Gregorio propone la dottrina conservandole la sua tersa limpidezza: "Uno solo è Dio, senza principio e senza causa, non circoscritto da nulla che esistesse in passato o che sarebbe sopraggiunto in futuro; avvolge l'eternità ed è senza confini; grande Padre di un grande, eccellente Figlio Unigenito; nella generazione del Figlio non subì nessuna di quelle affezioni che sono inerenti alla carne, dato che è spirito. Uno solo è un altro Dio, ma non è diverso per la divinità, il Verbo di Dio; egli è la viva immagine del Padre, il solo Figlio di colui che è senza principio, colui che è assolutamente solo di colui che è solo, pienamente uguale, così il Padre rimane totalmente genitore ed il Figlio creatore e timoniere del mondo, forza ed intelligenza del Padre. Uno solo è lo Spirito, Dio proveniente dal sommo Dio" (Carm. I,1,1,25-35). La teologia sembra incisa nel marmo, a testimonianza di rispetto per la verità e per il fedele. In questo modo individualizza l'essenza della divinità al suo interno e, con la medesima netta concisione in perfetta intelligibilità, la delimita verso l'esterno, sul lato delle creature: "Tutto ciò che in un dato momento non esistette è creatura, anche se lo è di Dio" (Carm. I,1,2,45): indica insieme un'opposizione ed una connessione. Gregorio insegnò come parlare di Dio, ma non dimenticò di indicare quale fosse la sorgente da cui attingere quelle parole: "Nutri la tua anima delle Scritture divinamente ispirate; è lì che puoi vedere i ministri della verità, che annunziano perennemente la vita con una voce che sale fino al cielo" (Carm. I,1,35,11-13). La voce dell'annunziatore avrà una risonanza illimitata, se è conforme alle segnalazioni di verità intellettuale e di integrità morale, che Dio ci comunicò. Gregorio pertanto intima: "O non insegnare o insegna con il tuo modo di vivere; non attirare con una mano e respingere con l'altra; avrai meno bisogno di parlare se fai ciò che si deve; il pittore insegna so-
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prattutto facendo vedere" (Carm. I,2,33,13-16). Ed ancora: "Si insegna formando con le azioni e con le parole" (Carm. I,2,34,127)*.
2. continua. Prossimo articolo:
La catechesi nell’ascetica: la Scala Paradisi di S.Giovanni Climaco
------------------------------* Nota redazionale - Come documentazione supplementare del presente articolo, pubblichiamo alcuni passaggi dell’ampia recensione che La Civiltà Cattolica (quaderno 3775, 6 ottobre 2007, pp. 99-100) ha riservato alla edizione critica italiana della Autobiografia del Nazianzeno, curata dal nostro Autore. GREGORIO DI NAZIANZO, Autobiografia. Carmen de vita sua, a cura di FRANCESCO TRIMorcelliana, Brescia 2005, pp. 249.
SOGLIO,
L’opera, di cui si dà il testo con versione a fronte e con un commento ricco di rimandi e di dati eruditi, ha un grande interesse come documento di una vicenda intellettuale e umana varia e complessa, per la quale il protagonista può essere definito “il più completo e il più moderno” (p.9) tra gli antichi Padri della Chiesa. Per predisporre alla lettura e alla comprensione dell’opera, si fissano, nell’introduzione, alcuni dati relativi alla biografia del Nazianzeno e al contesto storico in cui egli si trovò ad operare. Di speciale importanza furono gli studi ad Atene, verso la metà del quarto secolo, e il singolare percorso di ascesa ai vertici della gerarchia ecclesiastica, nonostante il carattere schivo e amante degli studi più che della prassi. Ordinato sacerdote dal padre, vescovo di Nazianzo, e giunto all’episcopato per le pressioni ancora del padre e dell’amico Basilio, Gregorio fu chiamato alla sede di Costantinopoli, ove rimase soltanto dall’inizio del 379 alla metà del 381. Passò gli ultimi anni di vita nella solitudine di Ariano, dedito agli studi e all’ascesi. […]. Il commento al carmen (pp.143-219) è di grande interesse per i dati eruditi che ne illustrano il senso e perché è allestito in modo da tener fede all’esplicito intento “di immergerlo in tutta la produzione dell’autore” (p.47). Si nota una particolare cura nel chiarire il senso di vocaboli tipici del lessico usato e nei quali l’ampiezza del contenuto semantico è, in fondo, una spia della ricchezza ma anche della complessità delle esperienze intellettuali vissute […]. Importanti, per i temi affrontati e per la rievocazione dei grandi dibattiti dell’epoca, sono le quattro appendici con cui si conclude il volume. La prima è dedicata all’ecclesiologia di Gregorio vista alla luce dei criteri fissati nel concilio di Costantinopoli del 381. Nella successiva, che ha per tema l’apollinarismo, si precisa che in Gregorio era chiara la dottrina della singolarità e autenticità delle due nature in Cristo. La terza appendice riprende il tema dei dissensi nella comunità dell’Anastasia, mentre la quarta ricorda che la dottrina di Gregorio sullo Spirito Santo “si sigilla nella formula trinitaria: una sola sostanza e tre ipostasi, una natura tre proprietà” (p.233). L’edizione del testo autobiografico, il ricco e ampio commento e gli studi posti in appendice sono un prezioso contributo agli studi sul Nazianzeno, complessa e affascinante figura di teologo e di presule (G. Cremascoli).
RICERCHE E STUDI
RivLas 75 (2008) 2, 181-194
I care la scuola
A quarant’anni dal Sessantotto Sergio De Carli
Libera Università di Urbino
P
arlare del Sessantotto non è facile, soprattutto quando quegli eventi si allontanano nel tempo e si cercano chiavi di lettura che ne consentano una comprensione partecipata e insieme distaccata. A maggior ragione la questione si pone per chi, come chi scrive, lavora nella scuola da alcuni decenni e rimane convinto del valore che essa riveste per uno stato che voglia garantire ai suoi cittadini un percorso significativo verso la conquista dei diritti di cittadinanza. Se è vero che la storia è sempre contemporanea, secondo la nota affermazione di Benedetto Croce, come porsi nei confronti del Sessantotto, vicino ormai alla distanza del mezzo secolo? Non è senza significato che si sia ormai vicini alla distanza nel tempo che consenta la riflessione storica: arriverà anche il momento della ricostruzione dei fatti compiuta da chi allora non c’era, e quindi può permettersi la distanza critica, sempre necessaria per ogni analisi. E sulla premessa di analisi storiche più significative, saranno possibili riflessioni (probabilmente) più ricche. Lo scritto che segue è invece intriso di passione, di quella passione che caratterizza un uomo di scuola verso i suoi allievi e verso la scuola stessa: ché senza di essa il lavoro educativo (come quello di ricerca) non può procedere. Penso che una possibile e significativa chiave di accesso possa essere la crisi, il cambiamento come domanda di fondo che la vita umana pone in alcuni momenti storici particolarissimi, di passaggio. Dunque la crisi attuale e il Sessantotto, cioè: quel tem-
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po di cambiamenti radicali e significativi nel e del modo di vivere delle persone, può insegnare qualcosa a noi, oggi, che viviamo situazioni difficili da decifrare e che, però, appaiono come radicali e profonde, capaci di disegnare un mondo nuovo, certamente diverso da quello che siamo abituati a vedere attualmente? La crisi attuale1, fatta di insignificanza e nostalgia di senso, di ricerca disordinata e spesso di difficile comprensione, di slancio verso un futuro migliore che non si riesce a descrivere e a delineare almeno nelle sue caratteristiche più importanti, può comprendersi meglio riandando al Sessantotto e ai messaggi che da esso scaturirono? Può aiutarci – quel tempo di cambiamenti profondi e radicali – a meglio comprendere la crisi della vita e quella della scuola di oggi?
Gli anni sessanta, dopo la guerra fredda È possibile comprendere lo sconquasso che invase il mondo con la contestazione a tutto campo degli studenti, se si parte da quello slancio ideale che sognava il futuro e che aveva come guide Giovanni XXIII, John Kennedy, Nikita Krusciov, e poi Martin Luther King, Bob Kennedy, Herbert Marcuse… Nel discorso di investitura alla Convention democratica di Los Angeles, del luglio 1960, quello che sarebbe diventato uno dei presidenti più giovane degli Stati Uniti descrisse così la nuova frontiera “La nuova frontiera non consiste in una serie di promesse, consiste in una serie di
impegni. Esprime non ciò che intendo offrire al popolo americano, ma ciò che intendo chiedergli”. E poco oltre: “Io chiedo a ciascuno di voi di essere uno dei pionieri di questa nuova frontiera”2. Il futuro, quindi, non come tempo di impegno degli altri, ma come luogo e spazio per l’impegno e la responsabilità proprie, personali.
È significativo che dopo la tragedia immane della seconda guerra mondiale, con il suo carico terribile di morti e invalidi, si cominciasse a pensare a un futuro migliore, possibilmente senza più guerre e distruzioni. Non è un caso che, proprio dopo quegli orrori, nacque l’idea di realizzare una realtà politica sopranazionale – l‘Europa unita – con l’obiettivo di dare ai suoi cittadini un tempo, il più possibile lungo, di pace e di serenità. Dopo la ricostruzione, che vide enormi difficoltà insieme a grandi entusiasmi e passioni, arrivarono gli anni sessanta, con il boom economico e grandi speranze per il futuro dell’umanità. In Italia, si ebbe anche un aumento delle nascite, simbolo di apertura di credito per gli anni successivi. Una speranza non solo sognata, ma declinabile anche secondo prospettive molto concrete, esperienze vivibili nella quotidianità. Ma quegli stessi anni non sono stati solo positivi: rimandano anche a situazioni di dolore 1
Ho cercato di specificare cosa intendo per crisi del nostro tempo in un mio precedente articolo: Verso la terza cultura. Dall'ossimoro alla sintesi personale nella scuola del XXI secolo, “Rivista lasalliana”, 74 (2007) 4, 405-420. 2 Cito da Arthur M. Schlesinger Jr., A Thousand Days. John F. Kennedy in the White House, 1965, trad. it. di Giancarlo Carabelli, I mille giorni di John F. Kennedy alla Casa Bianca, Rizzoli, Milano 1966, pp. 78-79. Su questa figura si veda anche il saggio di Gianni Bisiach, Il Presidente. La lunga storia di una breve vita, Newton Compton, Roma 1991.
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e sofferenza, a errori di previsione nella gestione politica delle situazioni mondiali. Basti ricordare la guerra del Vietnam3 e la ricaduta che ne ebbero gli Stati Uniti sul piano sociale e – soprattutto – nella esperienza quotidiana dei giovani, nel loro immaginario. Il ritorno dei reduci, le notizie dal fronte, richiamavano la frantumazione di quei sogni che avevano spinto i giovani a sperare in un futuro nuovo e positivo, sereno e appagante. Da qui il crescere delle manifestazioni contrarie a quella guerra e agli orrori che vi furono perpetrati, e – l’aumento – della sensibilità per la pace. Mentre aumentavano i consensi per la lotta dei neri, che chiedevano il riconoscimento dei loro diritti civili, l’America assisteva all’assassinio di Martin Luther King e Bob Kennedy, il fratello del presidente ucciso solo alcuni anni prima a Dallas, nel Texas. Lo sconcerto del popolo americano era certamente alto, ma alla fine dell’anno successivo, il 1969, gli stessi americani trovarono motivo per un sussulto di orgoglio con la conquista della Luna. Un’impresa di enorme valore tecnico e scientifico, ma anche un’esperienza di grande ostentazione del potere tecnico e scientifico, della quantità in ultima analisi. La qualità della vita aveva cominciato da qualche anno a dare segnali di insoddisfazione profonda. Già dai primi anni sessanta, proprio i giovani dei campus universitari manifestavano insoddisfazione per il modello di vita americano, per l’idea del self made man, dell’uomo fatto da solo, che si era costruito – da solo appunto – uno stile di vita fondato sulle cose possedute e usate. Tutto ciò, pur importante per vivere, non era sufficiente per dare un senso all’esistenza. Da qui la ricerca di stili diversi per vivere secondo criteri e valori nuovi. Questo messaggio non poteva restare contenuto nei soli Stati Uniti: le notizie relative alle rivolte, alle manifestazioni creative, giunsero in fretta anche in Europa. I giovani europei raccolsero il testimone e aggiunsero qualcosa di loro, uno specifico legato al loro contesto, per far lievitare un messaggio che difficilmente poteva essere contenuto nelle sole aule universitarie. E infatti esplose a livello mondiale. E fu il Sessantotto.
Il Sessantotto in Europa e in Italia In quell’anno gli studenti rifiutarono di accettare – fatalisticamente – la società che gli adulti consegnavano loro: dopo i primi segnali apparsi alla fine del 1967, ci fu l’esplosione del maggio francese4, che conquistò l’attenzione dei media e della gente. 3
Si vedano i saggi seguenti: Peter N.Carroll,David W. Noble, The Free and the Unfree. A new History of the United States, 1977, trad. it. di Ugo Rubeo, Storia sociale degli Stati Uniti, Ed. Riuniti, Roma 1991, pp. 402-458; Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti, Laterza, Roma–Bari 2002, pp. 165-222. 4 Si vedano i seguenti studi: J.-J. Servan-Schreiber, Le réveil de la France, Denoël, Paris 1968, trad. it. di Carlo Bianchi, Il risveglio della Francia. Maggio-giugno 1968, Etas Kompass, Milano 1968; Gianni Statera, Storia di un'utopia. Ascesa e declino dei movimenti studenteschi europei, Rizzoli, Milano 1973; Dadi Mariotti (a cura di), Compagni del '68, Marsilio, VeneziaPadova 1975; Achille Occhetto, A dieci anni dal '68, intervista di Walter Veltroni, Ed. Riuniti, Roma 1978; AA.VV., Dov'è finito il '68?, "Studi Cattolici", XXII, n. 206-207, aprile-maggio 1978, pp. 242-318; Paolo Flores D'Arcais, Giampiero Mughini, Il piccolo sinistrese illustrato,
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Non solo degli strumenti di comunicazione, quindi, ma delle persone comuni, di chi viveva ogni giorno secondo prospettive consolidate da tempo e percepiva una certa insoddisfazione emergere proprio da quel vissuto. Se è vero che le masse studentesche furono guidate da capi riconoscibili, è anche doveroso notare che si trattò di eventi corali e nati dal basso, senza alcuna regia esterna che li guidò. Se poi è vero, e secondo me è vero, che alcuni di questi esponenti divennero militanti del partito armato5, è doveroso però introdurre una distinzione significativa: se alcuni (pochi) si arruolarono nelle Br (o in altri gruppi che fecero dell’ideologia eversiva il centro delle loro preoccupazioni), altri (molti) cercarono di cambiare il modo di essere e di vivere quotidiano, e (forse) in questo fallirono. Ha infatti notato con acume Michele Brambilla che “i ventenni del 1968 saranno i quarantenni che gestiranno, negli anni Ottanta, la più spietata ed edonistica delle società, quella del reaganismo e dello yuppismo rampante”6. Ahimé! È però fondamentale ricordare che alcuni tentarono. È doverosa una precisazione: alcuni tentarono di cambiare il mondo e di cambiare se stessi, spesso senza riuscirci o riuscendoci solo in parte, e però tentarono. Da istanza di rivolta che era, quel movimento ha portato idee sulle quali si continua a discutere oggi, e a partire dalle quali si cerca ancora di cambiare il mondo. Certo con strumenti e modalità differenti, anche perché – nel frattempo – il mondo e le persone che lo abitano sono cambiati profondamente7. Una domanda doverosa: perché un movimento così vasto e diffuso, così montante, non è riuscito a conservarsi e tramandarsi a coloro che sono venuti dopo? Perché una spinta al cambiamento così diffusa, così ampiamente coinvolgente, che provocò un movimento simile tra gli operai8, non stabilizzò le sue conquiste in termini di quali-
Sugarco, Milano 1978; Aldo Ricci, I giovani non sono piante, Sugarco, Milano 1978; Id., Contro il '68, Gammalibri, Milano 1982; Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli, Milano 1988; Michele Brambilla, Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994; Piergiorgio Pardo, Il sessantotto, Xenia, Milano 1998; M.Kandebüm, G. Lecombât, Katanga che sorpresa! Una nuova chiave di lettura del '68 milanese, Stampa alternativa, Roma 1998; Mario Capanna, Lettera a mio figlio sul Sessantotto, Rizzoli, Milano 1998; Marcello Flores, Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 2003; Journal mural. Mai 68. Sorbonne Odéon Nanterre etc…, citations recueillies par Julien Besançon, Tchou, Paris 2007. 5 Basti ricordare i nomi di Renato Curcio e Mara Cagol per Trento, Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone per Pisa… 6 Michele Brambilla, Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994, p. 224. 7 Su questa questione è splendido il film di Marco Tullio Giordana, La meglio gioventù, 2003, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Sonia Bergamasco, Adriana Asti, Fabrizio Gifuni, Maya Sansa, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca. Attraverso le vicende della famiglia Carati si ripercorre il tempo dagli anni sessanta agli inizi del 2000, con rimandi molto belli (sul piano simbolico) alle tematiche legate al sessantotto, e un’analisi degli sguardi dei protagonisti che consente emozioni intense. 8 Non è possibile non ricordare l’autunno caldo, che portò a risultati di non poco conto tra gli operai, e che conquistò – attraverso le lotte sindacali – una legge straordinaria per quegli anni come fu lo statuto dei lavoratori (cfr. la L. 20 maggio 1970, che recita Norme sulla tutela della
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tà della vita e di mentalità diffusa? Perché una società in subbuglio, e capace di manifestare e promuovere prospettive nuove per la vita delle persone, non è riuscita a consolidare queste conquiste in un arco temporale di medio periodo? Ancora: tutta la società o solo una sua parte? Per usare un linguaggio consono con quel tempo (ormai passato): il Sessantotto coinvolse le masse oppure solo le sue avanguardie rivoluzionarie? Fu cioè realmente un movimento collettivo, o fu uno sconvolgimento che coinvolse solo parti minime (o comunque ridotte) dei giovani di quel tempo?
Un cambiamento resistente al tempo? Se guardiamo gli esiti, non possiamo non rilevare che molti dei modi di essere e di vivere di oggi sono legati a quel tempo e alle dinamiche che quel movimento mise in atto. Basti pensare alla centralità della persona, oppure dell’individuo, cioè alla deriva singolare incapace di aprirsi al confronto con l’altro. Il richiamo agli ultimi fu esigenza forte per quel tempo: come non ricordare la nuova frontiera kennediana9, che aveva l’ambizione di risolvere una volta per tutte la questione della fame nel mondo; oppure la richiesta di Raoul Follereau che, con l’equivalente del denaro per acquistare un bombardiere americano e russo, sarebbe riuscito a debellare una volta per tutte la lebbra dall’intero scenario mondiale? O, ancora, il movimento nato a Medellín, con l’obiettivo di ridare dignità ai più poveri tra i contadini oppressi dai dittatori e dai latifondisti in America Latina? Perché tutto questo non è riuscito a reggere il confronto con il tempo, ché questo è segno inequivocabile di vittoria, che lascia un segno incancellabile nella storia? Perché la vita quotidiana, dopo lo sconquasso durato qualche anno, è tornata a scorrere lungo vie e percorsi già visti? E se invece questi sentieri erano nuovi, perché hanno troppo spesso assorbito le caratteristiche meno importanti, giacché quelle innovative, legate ai valori veri della vita, sono state spesso dimenticate? Che è dire che si devono cercare le ragioni di questa sconfitta sul piano del cambiamento sociale. Oppure, si devono cercare le ragioni del loro momentaneo insabbiamento, secondo le dinamiche della storia di lungo periodo?
libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento). 9
Si vedano, oltre ai due studi citati nella precedente nota 3, anche i seguenti saggi: Frederick Jackson Turner, The Frontier in American History, Henry Holt and Company, New York 1953, trad. it. di Luciano Serra, La frontiera nella storia americana, Il Mulino, Bologna 1975; Charles Chilton, Discovery of the American West, The Hamlyn Publishing Group Ltd, London 1969, trad. it di Ugo Paladini, La scoperta del Far West, Mondadori, Milano 1971; Leo Huberman, We, the People, 1932, trad. it. di Sandro Sarti, Storia popolare degli Stati Uniti, Einaudi, Torino 1977.
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E la scuola? Nel contesto del Sessantotto, anche la scuola ha avuto un ruolo significativo, è stata oggetto di riflessioni di una certa rilevanza10, oltre al fatto che proprio con il Sessantotto essa viene (quasi) travolta dall’ingresso sempre più consistente delle masse giovanili, trasformandosi da istituzione di élite in istituzione di massa. Gli istituti scoppiavano per la quantità di ragazzi che chiedevano di partecipare alle lezioni, gli insegnanti erano in numero non sufficiente e le università faticavano a laureare giovani in grado di assumere quelle responsabilità, per cui vennero inseriti anche coloro che ancora non disponevano del titolo, pur di coprire i posti vacanti. Gli entusiasmi si accompagnavano alle frustrazioni causate da coloro che, già allora (e segni di questo tipo non possono essere accantonati con superficialità, perché producono effetti, sempre), amavano utilizzare le opportunità per ambizioni individuali. Oppure erano capaci di ricordare solo i diritti di cui si sentivano depositari, dimenticando i corrispondenti doveri.
Lettera a una professoressa - La scuola italiana, e non solo, venne sconvolta da un
libricino con la copertina bianca, che richiese un lungo lavoro di pensiero, di scrittura e di redazione: era la Lettera a una professoressa11 che un gruppo di ragazzini scrisse insieme a un giovane prete12, esiliato in una piccola parrocchia di montagna, sull’Appennino toscano, dopo la pubblicazione di un volume13 che suscitò dibattiti e discussioni assai vivaci. La Lettera fu pubblicata alla metà del 1967, poco prima della morte del sacerdote fiorentino. Ovviamente non ho la pretesa di farne un’analisi completa, quanto invece di coglierne alcune provocazioni positive come punto di partenza per una riflessione sulla scuola di oggi, secondo la logica della storia sempre contemporanea. Sono convinto che se riuscissimo a raccogliere le indicazioni contenute in quel libricino potremmo dare realmente uno scossone salutare a quel carrozzone che pare essere l’istituzione scolastica che vediamo ogni giorno. A condizione di scavalcare le ideologie che – per lunghi anni – hanno cercato di impadronirsi di quel testo. La distanza nel tempo ci consente ora (forse) di coglierne la profondità e il valore immenso del messaggio che lanciò al mondo, in sintonia con il sogno del Sessantotto. Il punto di partenza era il disagio di alcuni figli di montanari di fronte alla superficialità con cui erano stati bocciati dalla appena istituita scuola media unica. Da qui la riflessione si allargava intorno al significato e al valore dell’istituzione, recuperando la prospettiva dell’educazione della persona come centro della sua attività e come riscoperta del valore formativo della cultura, oltre che elaborazione dell’essere umano in quanto tale. Certo don Milani si occupò di pochissime persone, prima i ragazzi di Vicchio e poi quelli ancor meno numerosi di Barbiana. Eppure le ragioni che guidarono le sue scel10
Si veda: Franco Cambi, Le pedagogie del Novecento, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 143152. 11 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Lef, Firenze 1967. 12 Don Lorenzo Milani Comparetti, nacque a Firenze il 27 maggio 1923 e morì il 26 giugno 1967, appena prima dell’esplodere del movimento del sessantotto. 13 Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Lef, Firenze 1957.
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te, le opzioni che ispirarono le sue prospettive didattiche, riuscirono a trovare un uditorio molto più vasto, se si pensa che oggi, quarant’anni dopo la pubblicazione di Lettera a una professoressa, i pedagogisti continuano a parlare della sua opera educativa, i polemisti non mancano di collocarla al centro delle loro invettive, le antologie scolastiche la annoverano tra gli autori da citare e dalle cui pagine saccheggiare brani da proporre ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado, i credenti (e non solo loro) non smettono di ispirarsi al suo pensiero e alle sue scelte per cercare motivazioni radicali di vita. E potrei continuare, per indicare quanto quel personaggio – peraltro schivo e burbero, e quindi poco invitante – sia ancora oggetto di attenzioni e di studio.
La centralità della persona, soprattutto se “povera” Proprio perché il suo approccio alla scuola era dalla parte dei più poveri di cultura (e non solo di soldi e di ricchezze), il messaggio che don Milani ha mandato al mondo rimane tuttora ricco, e da esplorare in profondità, nonostante i quarant’anni trascorsi. Ma anche perché molto del messaggio del Sessantotto sulla scuola è ritrovabile tra le righe del suo pensiero e del suo agire didattico. A condizione di cogliere Lettera a una professoressa come modello di scuola, oltre ogni idea di controscuola. Facendola diventare un modello positivo e quindi da seguire, pur con tutte le difficoltà che ne possono derivare e tenendo in debito conto i cambiamenti culturali e sociali che sono intercorsi da quando è stata scritta e pubblicata. Barbiana presentò una prassi che oggi, in prima battuta e soffermandoci sulla superficie, sembra lontanissima dalle nostre abitudini pedagogiche e didattiche. La sua rudezza e la sua ricerca di precisione (quasi maniacale) sono lontanissime dal modo attuale di fare scuola, dalle richieste che gli insegnanti rivolgono agli studenti. Una scuola che evita di esporre i voti sui tabelloni negli atri degli istituti scolastici quando sono negativi, per paura delle reazioni tragiche dei ragazzi (che peraltro ci sono, come raccontano le cronache dei giornali); che gioca a ridurre le pagine da studiare per evitare troppa fatica ai giovani studenti; incapace di chiamare le cose con il loro nome, quando evita di costruire un presepio per paura (venduta – vigliaccamente? – come rispetto per i diversi) e cerca norme che consentano una tale scelta, per evitare le reazioni (che poi spesso non ci sono, come le recenti cronache giornalistiche dimostrano) di coloro che appartengono a diverse famiglie culturali e religiose… E potrei continuare. Eppure, scavando in profondità, si trovano molti punti di contatto, molte prospettive ricche di possibili sviluppi per l’oggi e (soprattutto) per il futuro: se si ha il coraggio necessario, si individuano – sotto la scorza (dura) che protegge, occulta e nasconde – le esigenze profonde e vere (cioè ricche di senso) dei ragazzi che frequentano le scuole in questo scorcio di inizio del XXI secolo. Proprio a partire dalla rudezza dell’uomo, spesso ascritta alla sua toscanità, è possibile trovare in don Milani indicazioni molto utili per un insegnante del nostro tempo e per coloro che, giovani, si apprestano ad entrare nel mondo della scuola per svolgere quello che è il mestiere più bello del mondo, e forse il più difficile, con quello del genitore. Certo il più esaltante, se si
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pensa che per le proprie mani passano coloro che condurranno il mondo verso esiti migliori di quelli ai quali siamo oggi abituati. Dove rudezza non è violenza o sopraffazione, o, in termini più vicini al Sessantotto, oppressione di classe, quanto invece espressione diretta di ciò che si ritiene vero e significativo per l’esistenza. Un valore, quindi, e non noccioline, e, proprio perché un valore, da curare e custodire con grande attenzione. Così l’apparente rudezza si trasforma nella richiesta di misurarsi con ciò che conta ed è fondamentale per la vita, con ciò intorno a cui è possibile edificare un’intera esistenza, magari lunga e ricca di soddisfazioni, insieme al coraggio di fare i conti con difficoltà e sofferenza. Anche la sofferenza14, dimenticata dalla riflessione sul vivere comune, è invece fondamentale per imparare a essere uomini e donne, non bamboccioni, bambini cresciuti nel fisico ma non nella capacità di gestire le proprie responsabilità.
Valorizzare la scuola di massa per le persone La scuola, sino ai primi assi sessanta, era ancora riservata – almeno nei suoi livelli più alti – alle sole élite, ai figli delle classi più colte, che dirigevano e guidavano la società, ed aveva quindi pochi studenti. Il passaggio a scuola di massa portò questa istituzione fondamentale dello stato moderno a divenire un ganglio centrale per la formazione dei cittadini tutti. Divenne strumento indispensabile per riscoprire il diritto di cittadinanza. Non più, quindi, la scuola come strumento di trasmissione della cultura di una classe, bensì luogo di formazione del senso di appartenenza ad una nazione, al senso della cittadinanza attiva, per fare propria la partecipazione come espressione di sé stessi nel mondo e nella società. Soprattutto oggi, quando le finalità professionalizzanti del triennio conclusivo della scuola secondaria superiore sono assegnate – di fatto – al primo livello di laurea, dopo tre anni di studi universitari, mentre alla scuola secondaria sono riconosciute soprattutto finalità formative ed educative. Di fatto, quindi, la scuola secondaria superiore si appresta ad essere intesa come parte conclusiva della scuola dell’obbligo. Anche se gli insegnanti sono stati formati per preparare al lavoro e alla professione: soprattutto nelle scuole tecniche (che sono la componente maggiore di coloro che frequentano la media superiore15) gli allievi vengono ancora percepiti come futuri dipendenti e non invece persone in crescita, ciascuna con i propri tempi e i propri ritmi, con esigenze diverse e tutte da valorizzare e potenziare, qualche volta anche bruscamente. Il Sessantotto provocò il passaggio da una scuola di élite a una scuola di massa, con tutte le conseguenze inevitabili. Dietro questo fatto si coglie la sua forza. Spingere le 14
Si vedano le prime indicazioni contenute in Ivo Lizzola, Imparare assieme attraverso la sofferenza, "Appunti di cultura e politica", XXVIII, n. 5, settembre-ottobre 2005, pp. 38-44.
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Secondo i dati più recenti sulla scuola italiana, gli allievi che frequentano gli istituti professionali e gli istituti tecnici sono complessivamente il 54,7% del totale. Se poi aggiungiamo anche i licei scientifici, raggiungiamo il 77,7%. Sono percentuali che dovrebbero far riflettere. Per questi dati cfr. Ministero della Pubblica Istruzione, I numeri della scuola, settembre 2007, http://www.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/numeri_scuola200708.pdf
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masse incolte ad impadronirsi della cultura, imparando a utilizzarla come strumento per la comprensione di sé stessi e della società, e come strumento per cambiare il mondo nel quale trascorrere la propria esistenza, è una rivoluzione copernicana. Se poi questa prospettiva coinvolge – almeno come istanza di fondo – l’intera umanità, si comprende quale spinta globale al cambiamento ne nasca, e ne possa nascere. Sul piano dell’analisi qualitativa, un posto di tutto riguardo deve essere lasciato alle richieste emerse dalle riflessioni e dall’esperienza proveniente da Barbiana. Indubbiamente, ancora a quella scuola minuscola (quanto a numeri) e anticonformista, è da ascrivere la riscoperta del valore della persona, della centralità dell’allievo nel processo educativo e formativo, insieme alla sua centralità nella struttura e nell’organizzazione della istituzione scolastica. Detto con una parola (un tempo) abusata: l’istanza della partecipazione, del protagonismo dello studente in quel contesto che lo vede presente per molte delle ore di una giornata, è fondamentale.
Riscoprire un ruolo nuovo per l’insegnante Tutto ciò comporta, conseguentemente, la riscoperta del ruolo dell’insegnante, che non è più riducibile al dispensatore di cultura, di quella cultura che innerva la tradizione di un popolo o di una civiltà. Se il compito rimane il medesimo, cambia però il metodo attraverso il quale egli conduce l’allievo a conquistarla e poi a gestirla con creatività e responsabilità. La trasmissione delle radici di un popolo o di una civiltà, nei decenni successivi al sessantotto, ha delineato un panorama assai deludente: non solo non si è cercato di farlo con metodi e strumenti nuovi, ma addirittura si è dichiarata la necessità di evitarlo in nome di una ricerca vergine che gli allievi avrebbero dovuto compiere. Venendo meno alla funzione propria e specifica dell’insegnante, i ragazzi e le ragazze sono stati lasciati soli a perseguire un obiettivo di altissimo livello, per conseguire il quale non erano – ovviamente – preparati, visto che la scuola ha come compito primario quello di aiutarli a crescere, acquisendo nel contempo gli strumenti necessari per diventare (come obiettivo finale e conclusivo del corso di studi) autonomi e capaci di elaborare in proprio cultura e pensiero in funzione della loro vita libera e responsabile. Quello che si definiva sinteticamente con il classico leggere, scrivere e far di conto, va adattato al nuovo tempo che stiamo vivendo, dove leggere non può più solo significare intendere un testo letterario, ma deve significare anche comprendere un testo cinematografico, televisivo, musicale, e poi internet… Come non riandare alla quotidianità della didattica di Barbiana, che Lettera a una professoressa narrava e narra con incredibile freschezza… In un contesto sociale e culturale come quello odierno, come ha da essere il nuovo ruolo dell’insegnante, dopo le acquisizioni che il Sessantotto ha introdotto nel suo modo di pensarsi e di viversi? Come ottenere, attraverso queste acquisizioni, una nuova dignità per la professione docente, riconosciuta e condivisa dai ragazzi e dai genitori, cioè dalla società tutta? È possibile ottenere questo risultato attraverso le ac-
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quisizioni-provocazioni che il Sessantotto ha introdotto nel nostro mondo e nella nostra mentalità? A mio parere la risposta è positiva, a condizione che si vada oltre quello scetticismo assoluto che porta al vuoto interiore, non inteso come possibilità di fare posto a un pieno, ma in quanto negazione assoluta di ogni possibile pieno. Questa caratteristica del nostro tempo occidentale deve essere affrontata guardandola negli occhi, e lo devono fare il mondo della cultura e gli intellettuali, la complessa realtà dei media insieme alla scuola, e quindi agli insegnanti. Si tratta indubbiamente di un compito improbo, e però ineludibile. Non è e non sarà facile per il corpo docente affrontare questa questione: non affrontarlo, però, ci farebbe ripiombare nel baratro del nichilismo insegnato ai ragazzi, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare. Solo quando questo vuoto nichilistico lascerà il campo a direzioni ricche di valori, la via della scuola riprenderà significato. Conseguentemente si riscoprirà la dignità della professione docente.
Riscoprire e recuperare la dimensione educativa Come risponde oggi l’insegnante alla richiesta di formazione e di educazione in una scuola di massa? Mi pare doveroso rimarcare che la richiesta non è solo di formazione, ma anche di educazione. I ragazzi che si incontrano ogni giorno nelle aule scolastiche non chiedono agli insegnanti solo di sapere e imparare informazioni e nozioni, e non chiedono nemmeno solo di esser indirizzati a gestire le informazioni in un contesto applicativo, secondo la logica dell’acquisizione delle competenze. Chiedono e hanno diritto ad ottenere tutto ciò, ma la loro richiesta è oggi molto più ampia e si muove nella direzione dell’educazione ai valori e a ciò che dà senso alla vita. Per questo obiettivo la scuola italiana è spiazzata. È incapace di rispondere alle domande di senso che emergono dal vissuto quotidiano secondo la logica della scuola, evitando di sovrapporsi ad altre agenzie educative. Trovare un senso è anzitutto porsi la domanda sul tutto e sul suo valore, è cercare qualcosa-qualcuno capace di unificare la vita intera. Prima di aderire a un principio, a un valore o a un Dio, gli studenti devono conoscere questi principi-valori-esseri assoluti. Coscienti del rischio del plagio, occorre che la scuola – attraverso docenti preparati e rispettosi della dimensione spirituale della vita – aiuti ragazze e ragazzi a capire, affinché le loro scelte avvengano con piena coscienza libera. Se un maestro del management internazionale come Tom Peters arriva a scrivere: “Credo che sia… cri-
stallino che le persone sono attratte dalle organizzazioni che le fanno sentire esseri umani felici”16. Ancora: “I leader tessono fitte reti di contatti a tutti i livelli. […] I 16
Tom Peters, Tom Peters Essentials: Leadership, Dorling Kindersley Limited, London 2005, trad. It. di Roberto Ricca, Leadership. Motivare, delegare, realizzare, Sperling & Kupfer, Milano 2005, p. 137. Hanno scritto due autori italiani: “L’organizzazione non si trova in natura, ma si apprende e si inventa continuamente nella soggettività” (Enzo Spaltro, Paola de Vito Piscitelli, Psicologia per le organizzazioni. Teoria e pratica del comportamento organizzativo, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990, p. 53). Su queste prospettive si possono leggere con profitto anche: Tom Peters, Thriving on Chaos, 1987, trad. it. di Claudio Carcano, Prospera-
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grandi leader sono davvero presenti. Si concentrano intensamente sulle persone. […] Mettono in relazione”17. “La fiducia in se stessi dovrà sostituire il Padre Padrone”18. La scuola può essere da meno?
So bene che queste questioni sono (in parte) di competenza più specifica della famiglia, ma se quest’ultima si trova incapace o nella impossibilità ad intervenire, la scuola può restare insensibile a un tale urlo di dolore, a una tale richiesta che sorge con forza impensabile solo alcuni anni fa? Può l’istituzione scolastica, possono gli insegnanti fare come se i ragazzi non si esprimessero? Cos’è, infatti, l’esplosione di violenza nella aule o poco fuori di esse, cosa sono gli episodi di bullismo ripetuti (soprattutto in questo ultimo anno nella scuola italiana, ma non solo, almeno stando alle cronache giornalistiche) se non domande e richieste di aiuto rivolte agli adulti? La scuola non può ignorare queste richieste pressanti. Anche se non è facile reagire costruendo percorsi positivi, educativi appunto. Che chiedono una figura di insegnante sempre più testimoniale, oltre che competente e preparato da un punto di vista culturale e pedagogico-didattico. Oggi la scuola di massa, ché tale è ancora a maggior ragione in questo inizio di secolo e di millennio, non può non trattare e indirizzare questo urlo verso esiti positivi per la persona in crescita che è l’allievo. Oltre ogni ideologia, che avrebbe dovuto cadere insieme al muro di Berlino da quasi vent’anni. Solo adulti forti e radicati nei valori possono vivere esistenze dinamiche e flessibili, come la società di oggi chiede,
L’insegnante La figura dell’insegnante, come emerge dal Sessantotto, porta a riscoprire il ruolo del maestro insieme a quello del dispensatore di cultura, e del maestro perché capace di condurre i ragazzi ad edificare una sintesi propria e personale, con coscienza di quanto stanno facendo. Non a caso alcuni anni fa Paolo VI scriveva che “l'uomo contem-
poraneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, […] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”19.
re sul caos, Sperling & Kupfer, Milano 1989; Id., Waterman Robert H. Jr., In Search of Exellence, 2004, trad. it. di Enrica Angelini, Erminia Ferrara e Gaetano Salinas, Alla ricerca dell'eccellenza, Sperling & Kupfer, Milano 2005; Tom Peters, Martha Barletta, Tom Peters Essetials: Trends, Dorling Kindersley Limited, London 2005, trad. it. di Roberto Ricca, Trend. Individuare, analizzare, capitalizzare, Sperling & Kupfer, Milano 2005; Peter F. Drucker, Managing for the Future, 1992, trad. it. di Paola Pieraccioni, Gestire il futuro, Sperling & Kupfer, Milano 1993; Id., Managing in the Next Society, Truman Books, St. Martin's Press, New York 2002, trad. it di Gianfranco Chizzolini e Clara Manzoni, Il management della società prossima ventura, Etas, Milano 2003; John R. Katzenbach, Douglas K. Smith, McKinsey & Company, The Wisdom of Teams, McKinsey & Company, Inc. 1993, trad. it. di Enrico Lotti, La forza dei team, Sperling & Kupfer, Milano 1993; Rupert Brown, Group process. Dynamics within and betwen Groups, Blackwell Ldt., Oxford 1989, trad. it.. di Elvira Cicognani, Psicologia sociale dei gruppi. Dinamiche intragruppo e intergruppi, Il Mulino, Bologna 1990. 17 Tom Peters, Leadership. Motivare, delegare, realizzare, cit., p. 42. 18 Ivi, p. 7. 19 Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 41.
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Tutto ciò significa riportare la vita reale dentro la scuola, recuperandone tutti gli aspetti che la qualificano, compreso il confronto con il dolore e la sofferenza. Se in passato la vita entrava attraverso il ritorno ai classici, nei licei, o l’immersione nel lavoro, negli istituti professionali o tecnici, oggi l’esistenza deve rientrare nel vissuto scolastico se la scuola esce dalle proprie mura e cerca l’incontro con le situazioni difficili negli ospedali, nei gruppi di volontariato… insomma nei luoghi dove il dolore si tocca con mano. Sotto la guida attenta e paziente dell’insegnante. E dopo, una volta tornati nei locali scolastici, è sì il caso che si dia il via alle riflessioni dei ragazzi: saranno inizialmente difficili da tirar loro fuori, ma una volta che qualcuno avrà rotto il ghiaccio… quanta manna per la loro vita e quanta cultura sarà possibile – poi – recuperare attraverso i classici e non solo i classici. Quanti autori contemporanei potranno essere letti proficuamente, perché i ragazzi e le ragazze li cercheranno avidamente. Non solo in letteratura, ma anche in filosofia, in arte, nella musica (contemporanea e non): uno spazio immenso per l’attività educativa che la scuola deve fare propria e gestire ogni giorno con fantasia, creatività e concretezza unita ad avvedutezza. Dove il rispetto per la coscienza degli allievi è il punto di partenza indispensabile, e non più un diritto da rispettare. Così la scuola torna ad essere luogo educativo, come era in passato, quando i tempi erano diversi e diverse erano le attese che la circondavano. I ragazzi e le ragazze che la frequentano saranno messi in condizione di crescere come futuri cittadini, perché in grado di reggere il confronto con il mondo contemporaneo e la sua complessità. Si verranno a creare spazi ricchi di discussione e di confronto sulle grandi domande della vita che da sempre l’essere umano si pone, e alle quali la scuola, deve portare il suo contributo affinché ciascuno trovi la sua risposta, la sua sintesi di senso, i valori per i quali vivere l’intera esistenza. Rischiando di cadere nella retorica, ma contenendo il rischio entro limiti più che accettabili.
La scuola e la politica La cultura ha anche un aspetto tipicamente politico, che non è – per nostra fortuna, anche se poi la politica dovrà prima o poi riuscire nel compito di cambiare l’idea e la realtà che oggi abbiamo del partito – l’indicazione di quale gruppo votare alle elezioni, ma è il suo aspetto-compito di trasformazione del reale, della società e del mondo. Una responsabilità che non è delegabile e che l’istituzione scolastica – invece – ha delegato ad altri per troppo tempo. Non si tratta di decidere cosa e come inserire in un programma elettorale (compito questo tipico di un esponente di partito), bensì di cogliere la dimensione del senso e del valore dell’impegno politico inteso come servizio ai cittadini per la realizzazione del bene comune. Detto altrimenti: è il compito di acquisire valori e strumenti che consentano di dare attuazione alla Costituzione italiana e di realizzare nel tempo una società sempre più capace di accogliere ogni perso-
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na valorizzandola come tale. Se guardiamo al nostro mondo contemporaneo ne cogliamo tutta l’urgenza. È il tema della reintroduzione dell’educazione politica a scuola20, ben lontana da ogni idea di plagio della coscienza dei ragazzi verso l’una o l’altra delle forze politiche, per tornare ai fondamenti della politica come servizio esigente diretto al bene comune. Non è l’educazione civica o gli elementi di diritto ed economia, che studiano l’ordinamento politico, come si fanno le leggi e chi le scrive, come si governa: non è questione di conoscenze tecniche. Anche, ma si tratta soprattutto di percorsi che aiutino i ragazzi e le ragazze a scoprire il senso e il valore della politica, ben oltre le questioni squisitamente e solo tecniche. Verranno anch’esse, dopo. Cioè dopo aver compreso quale è il senso del governare e del fare politica. Si tratta, cioè, di andare anche qui alle fonti per scoprire ciò che fonda la vita sociale, la vita insieme. Quanto ha da dire su tutto ciò la storia e la cultura dell’uomo.
Conclusioni Per portare la scuola (quella concreta, fatta di ragazze e di ragazzi, di uomini e di donne, di genitori e di dirigenti, di bidelli e di segretarie…) a camminare verso gli obiettivi che ho indicato, occorre rivoluzionarla recuperando motivazioni profonde di servizio tra i docenti. L’insegnante deve tornare a godere del prestigio riservato ai maestri perché si presenta come maestro ed è un maestro, perché è un testimone reale e coerente di quanto le sue labbra dicono, e perché le conserva e custodisce nel suo cuore. La cultura, le culture devono riverberare a scuola tutta la ricchezza del loro pensiero attraverso insegnanti capaci di comunicare ciò che il cuore di una civiltà mette a disposizione di chi è capace di cogliere quegli aspetti così importanti per la vita dell’uomo di ogni tempo. Anche se poi ogni tempo declina queste prospettive a suo modo. La logica utilizzata è così circolare: l’insegnante educa i suoi allievi e da essi ne è a sua volta educato. Saranno poi le motivazioni a ridare la dignità perduta al corpo docente e al personale della scuola tutto. È evidente, a questo punto, che cambiare la scuola chiede anzitutto di collocarla come priorità vera e reale delle politiche di un paese (o di un continente… come quello europeo). Poi serviranno anche i soldi insieme a nuove leggi: il punto di partenza è però costituito dal recupero della dignità delle persone e degli insegnanti in particolare, per fare della scuola un corpo unico capace di assumere il compito che spetta a
20 Si vedano i seguenti volumi: Luciano Corradini, Paolo Danuvola, Pietro Scoppola, Educazione civica nella scuola, a cura di Luigi Franco Pizzolato, Morcelliana, Brescia 1991; Milena Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma 2001; Gugliemo Malizia, Educazione alla cittadinanza democratica. Quali prospettive in Europa, "Orientamenti Pedagogici", 49, n. 1, gennaio–febbraio 2002, pp. 113–122; Sergio
De Carli, Sergio Cicatelli, Luca R.Perfetti, Franco Brambilla, Nisia Pacelli, Luciano Corradini, Scuola e cittadinanza. Educare alla solidarietà e alla politica, "Orientamenti", XXVIII, n. 4/2005, pp. 7-70; Sandra Chistolini (a cura di), Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, Roma 2006.
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questa istituzione: formare i ragazzi e i giovani dell’Italia come cittadini dell’Europa e del mondo, e andare così oltre la situazione di crisi che la scuola oggi vive21. Tutto ciò significa prendere oggi sul serio il messaggio di Barbiana e quindi del Sessantotto. E passare, con l’utilizzo di termini e prospettive ripresi dal Sessantotto, dalla critica alla critica della critica, che è dire dalla pars destruens alla pars construens. Quarant’anni dopo.
21
Si vedano i seguenti saggi: Pietro Romei, Guarire dal "mal di scuola". Motivazione e costruzione di senso nella scuola dell'autonomia, La Nuova Italia, Scandicci-Fi 1999; Giuseppe Milan, Disagio giovanile e strategie dell'educazione, Città nuova, Roma 2001; Maddalena Colombo, Senso e non senso della scuola tra istituzione e organizzazione, “Studi di sociologia”, XLIV, n. 1, gennaio-marzo 2006, pp. 3-20.
RICERCHE E STUDI
RivLas 75 (2008) 2, 195-208
Conoscere e prevenire il bullismo Un’indagine del Progetto “Braccio di ferro” A cura di Nicolò Pisanu Direttore dell’Istituto Progetto Uomo, Viterbo-Roma
L’attenzione per il fenomeno del bullismo a scuola è andata crescendo negli ultimi anni da quando, di fronte al verificarsi di episodi significativi in alcune realtà italiane, ci si è posti l’obiettivo di conoscere l’entità, le caratteristiche e le ragioni di tale fenomeno, nonché di individuare strumenti efficaci di prevenzione e di gestione del disagio, con la finalità ulteriore di ridurre i rischi a breve o a lungo termine che si possono verificare nel corretto sviluppo psico-sociale di bambini ed adolescenti.
N
ella accezione attuale il termine “bullismo” è connotato da polisemia semantica, indice di una ormai radicata confusione nella definizione del concetto, all’interno del quale vengono ricompresi una serie di comportamenti che nulla hanno a che vedere con le caratteristiche peculiari del bullismo. L’uso del termine bullismo, tradotto dall’inglese bullying, è appropriato nei casi in cui uno studente è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni (Olweus)1.
1
Dan Olweus, professore di Psicologia all’Università di Bergen (Norvegia), il primo studioso, agli inizi degli anni 70, a essersi occupato in modo sistematico del fenomeno. Cfr. Olweus Dan, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti Editore, Firenze 2007.
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Nicolò Pisanu
La migliore letteratura internazionale così sintetizza le caratteristiche del bullismo: ■ Intenzionalità. Siamo di fronte ad un atto di bullismo quando qualcuno volontariamente infligge o tenta di infliggere danno o disagio a qualcun altro. Deve apparire evidente la volontà, da parte del prevaricatore, di arrecare danno alla vittima, attraverso le parole (offese, prese in giro), l’utilizzo della forza fisica o altre forme come l’isolamento o le dicerie. Indipendentemente dalla modalità più o meno cruenta, ciò che conta è l’intenzione offensiva del bullo e la chiara percezione da parte della vittima di essere l’oggetto di una sopraffazione. ■ Sistematicità. Il bullismo presenta caratteristiche di continuità e perseveranza nel tempo. È essenziale sottolineare l’aspetto della frequenza, per cui vengono esclusi dalla categoria le offese sporadiche rivolte verso soggetti diversi. Anche se un singolo episodio di grave prevaricazione può essere catalogato come una forma di bullismo la letteratura fa generalmente riferimento ad atti di prepotenza che si ripetono nel tempo e con una certa frequenza, nei confronti di bersagli pressoché costanti. ■ Asimmetria nella relazione. Nella relazione tra bullo e vittima il primo risulta più forte, mentre la vittima è generalmente più debole ed incapace di difendersi. Ciò vale in termini di squilibrio di potere, ma anche di forza fisica vera e propria: il bullo è generalmente più grande del suo bersaglio oppure, se coetaneo, risulta più forte rispetto alla media dei ragazzi della sua età ed in particolare rispetto alla vittima. È importante prestare attenzione a tale aspetto affinché non vengano erroneamente considerati come episodi di bullismo i litigi fra due soggetti pressoché della stessa forza o i casi di lotta fisica messi in atto per gioco. ■ Forme in cui si manifesta. Gli atti di prepotenza possono essere perpetrati attraverso differenti modalità o attraverso il verificarsi di un contatto fisico tra bullo e vittima (pugni, botte, calci ecc..) o non direttamente ed esclusivamente alla persona ma anche agli oggetti di sua proprietà, deturpandoli, rompendoli o appropriandosene. Oltre ai mezzi fisici il bullo può far uso di mezzi verbali, minacciando, insultando, ingiuriando o deridendo la vittima. Le prepotenze perpetrate attraverso mezzi fisici o verbali vengono definite bullismo diretto, mentre le forme di isolamento sociale, allontanamento o esclusione dal gruppo e le dicerie vengono definite bullismo indiretto. Il fenomeno del bullismo è senza dubbio complesso ed articolato e non sempre riusciamo a ricondurre con sufficiente certezza l’idea che di bullismo hanno i ragazzi alla definizione scientifica. Anche fra gli adulti si riscontra una certa confusione tra termini come “devianza”, “conflitto” e “bullismo”. Va ricordato che in adolescenza i comportamenti aggressivi non particolarmente clamorosi sono piuttosto frequenti e rappresentano manifestazioni esasperate di un tentativo, anche se disfunzionale e socialmente non accettato, di trovare una propria identità e proprie regole di comportamento, al di fuori di quelle precostituite proposte dalla famiglia e successivamente dal gruppo dei pari. Nella maggior parte dei casi questi possono essere comportamenti transitori, che segnano le fasi di un passaggio evolutivo difficile; se ad essi troviamo correlati fattori di rischio, quali la mancanza di occasioni di aiuto o situazioni individuali e famigliari
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complesse, tali comportamenti si possono radicalizzare strutturando nell’adolescente un vero e proprio disagio che può portare alla costruzione di una identità deviante. Il bullismo è quindi un comportamento legato all’aggressività fisica, verbale o psicologica ma non va confuso né con il fenomeno della devianza giovanile né con i normali conflitti o litigi che avvengono tra studenti e che sono il segnale della presenza di una relazione. Difatti una relazione che non consente il conflitto non può essere definita tale, poiché è in questo ambito che si apprende e si sperimenta la competenza interpersonale e sociale. Non a caso i bulli spesso si fanno forti della paura del conflitto, terrorizzano perché non sono capaci di litigare, semplificano i rapporti utilizzando l’aggressività come modalità sistematica del controllo altrui.
La nostra indagine Dato l’interesse che tale fenomeno ha suscitato nell’opinione pubblica e, soprattutto, nella Scuola, l’Associazione Genitori di “Villa Flaminia”2, si è rivolta all’Istituto Progetto Uomo (IPU)3, al fine di strutturare un intervento atto a indagare sulla presenza o meno di forme di “bullismo” all’interno della Scuola. Di conseguenza, è nato il Progetto Braccio di ferro 4, in collaborazione con le Vice-Presidi della Scuola secondaria di I° grado e del Biennio Liceo Scientifico, che si prefiggeva di perseguire i seguenti obiettivi: • monitorare la qualità delle relazioni interpersonali degli alunni della Scuola secondaria di I° grado e del Biennio Liceo Scientifico, con particolare attenzione a forme latenti o manifeste di “bullismo”; • portare tali alunni a riflettere sui valori della socialità e dell’accoglienza contro ogni forma di intolleranza ed emarginazione; • coinvolgere la comunità educativa (docenti-alunni-genitori) sulle dinamiche educative prosociali ed esperire linee d’intervento per migliorare la qualità dei rapporti.
Metodologia – Si è adottata una procedura che prevedeva varie fasi d’intervento: I. preparazione di due Questionari: uno teso a monitorare sia la qualità delle relazioni fra gli alunni sia il loro grado di conoscenza del “bullismo” e la loro percezione del fenomeno, a livello generale e particolare; l’altro rivolto ai Docenti al fine di indagare sul livello di consapevolezza del fenomeno, cercando di mettere a confronto la loro prospettiva con quella degli studenti; II. presentazione del Progetto e dei Questionari ai Docenti e consegna per la compilazione; III. presentazione del Progetto e somministrazione del Questionario agli alunni, in diversi momenti scanditi secondo l’ordine di appartenenza scolastica;
2
Istituto paritario di Roma, gestito e diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Istituto Superiore Universitario di Scienze Psicopedagogiche e Sociali, Vitorchiano (VT), unito alla Università Pontifica Salesiana. 4 Progetto coordinato e realizzato da un’équipe, composta da Nicolò Pisanu (direttore), Valentina Palmucci e Cristiania Panseri (criminologhe), nell’anno scolastico 2007/08. 3
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Nicolò Pisanu
IV. restituzione dei dati raccolti dal Questionario agli alunni e ai Docenti, sia a scopo conoscitivo sia in vista della definizione di un eventuale secondo momento di intervento da svolgere all’interno delle singole classi; V. Seminario conclusivo per Docenti e Genitori, attinente il lavoro fin qui svolto e le tematiche educative di prevenzione ai comportamenti antisociali. Il Questionario, anonimo, è il risultato di alcune modifiche fatte al Questionario di Olweus (1993), costituito da 36 domande con risposta a scelta multipla, suddiviso in
cinque sezioni: 1. la scuola e le relazioni con i compagni, gli insegnanti ed i genitori; 2-3-4. sezioni relative a comportamenti di prepotenza secondo tre punti di vista: - essere spettatori di prepotenze; - subire prepotenze; - fare prepotenze 5. capacità di comunicazione; soluzioni; valori
Il Questionario degli insegnanti è stato costruito, fin dove possibile, seguendo la stessa struttura di quello degli studenti in modo da consentire una comparabilità fra le risposte dei ragazzi e quelle degli adulti.
Descrizione del campione - La rilevazione è stata condotta su: •
187 ragazzi della Scuola secondaria di I° grado: 66 di prima (35%); 83 di seconda (45%) e 38 di terza (20%); • età media 12 anni; • maschi 59%;
•
81 ragazzi del Biennio del Liceo Scientifico, di cui 48 maschi e 33 femmine; • età media 14 anni e mezzo;
Il gruppo di Insegnanti che ha partecipato volontariamente alla rilevazione era composto da 14 persone… il che ha portato ad una raccolta troppo esigua di risposte tale da non rendere possibile una elaborazione.
Analisi dei dati - Nel presentare i dai raccolti, viene qui utilizzato un metodo comparativo, in modo da semplificare la lettura, evidenziando, nel contempo, le differenze riscontrate nei due campioni, mettendo a confronto dati relativi ai questionari compilati dai ragazzi sia della scuola secondaria di primo grado sia di secondo grado, secondo le cinque sezioni. Non è stata condotta un’indagine per genere all’interno dei singoli livelli di età, data l’esiguità numerica delle risposte disponibili per molte domande. Infine, va rilevato che mentre gli allievi della Scuola media hanno completato il questionario aggiungendovi numerose precisazioni e considerazioni personali, l’analisi dei dati dei ragazzi del Biennio ha mostrato una minore accuratezza nella compilazione ed un numero talora significativo di risposte giudicate inattendibili. La loro incidenza a volte significativa (per alcuni items pari al 25%) unitamente alla ridotta consistenza numerica del campione ed alla distribuzione su più opzioni di risposta ha
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frammentato i risultati, riducendo la significatività di alcuni dati che appaiono riferirsi – in termini di valore assoluto – ad un esiguo numero di casi. Ia. Relazioni nella scuola - Tab. 1 Medie Biennio Dati percentuali Come ti trovi con i compagni di classe bene abbastanza bene
57 28
47 40
bene abbastanza bene né bene né male Sei soddisfatto del rapporto con gli insegnanti molto soddisfatto abbastanza soddisfatto Sei soddisfatto di come i genitori si interessano molto abbastanza
42 27 26
38 37 22
31 52
23 59
69 23
47 37
… e con gli altri ragazzi della scuola
La tabella non mostra particolari differenze nella distribuzione dei dati fra alunni delle Medie e del Biennio delle superiori se non una generale concentrazione delle risposte sui dati intermedi da parte dei ragazzi più grandi. Fa eccezione l’ultimo item, dove nelle risposte date dagli allievi del Biennio diminuisce di 22 punti percentuali il grado di soddisfazione relativo a come i genitori si interessano dei loro studi. Ib. La percezione delle prepotenze nella scuola 35 30 25 20
medie
15
biennio
10 5 escludono la vittima
lasciano da solo il bullo
cercano di aiutare il più debole
fanno finta di niente
sono spaventati
tifano per il bullo
0
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1. Allievi Se non si riscontrano apprezzabili differenze nella percezione all’interno della scuola di ragazzi che commettono atti di prepotenza ( nella scuola media 88% e nel Biennio superiore 75% di risposte positive) è interessante che i ragazzi più piccoli tendono in maggioranza a riferire che i compagni cercano di aiutare il più debole, mentre col crescere dell’età diminuisce il senso di paura dell’aggressore e di vergogna per la prepotenza, per cui vengono riferiti come più frequenti comportamenti di divertimento o di tifo per il bullo oppure atteggiamenti di indifferenza. Prese in giro, offese, dicerie… rappresentano, nei due gruppi, i maggiori tipi di prepotenze compiute, in linea di massima durante l’intervallo o il cambio d’ora e nel cortile; si tratta di comportamenti piuttosto diffusi nei gruppi dei pari che, se non presentano caratteri di reiterazione e individuazione di un unico bersaglio, non vengono classificati come veri e propri episodi di bullismo. Anche l’analisi combinata delle risposte fornite dai ragazzi sia della Scuola Media che del Biennio conferma la presenza di alcuni episodi di prevaricazione soprattutto a carattere verbale, che non possono essere tuttavia definiti come atti di bullismo in quanto non rivestono il carattere della sistematicità, della intenzionalità e della asimmetria nella relazione, evidenziando piuttosto un comportamento reattivo ad offese reciprocamente subite. Le risposte alla modalità “altro” evidenziano, inoltre, come i ragazzi abbiano indicato tutti i comportamenti riprovevoli a cui hanno assistito, dando una attribuzione di significato molto estesa al termine “prepotenza”. I “bulli”, o presunti tali, si presentano in genere in gruppo e possono essere sia maschi che femmine.
2. Adulti Gli alunni delle Medie riferiscono che nella maggior parte dei casi gli adulti intervengono per difendere chi subisce (40%), contro il dato relativo alla assenza di adulti (39%) - spiegato dagli alunni nella modalità “altro”- laddove descrivono l’attenzione che i bulli adottano nello scegliere i momenti in cui gli insegnanti non sono presenti e il 14% che indica la mancanza di attenzione nel vigilare. La stessa situazione viene rilevata nel Biennio laddove però le percentuali cambiano notevolmente: per il 29% gli adulti intervengono per difendere chi subisce contro il 21% che segnala l’assenza dell’insegnante e il 15% un’assistenza distratta. II. Essere spettatori di prepotenze L’indice di presenza è dato dalla somma delle risposte di tutti gli studenti che hanno dichiarato di aver riscontrato tale fatto “da tre a sei volte negli ultimi 3 mesi” e l’indice “alta presenza” per coloro che si sono riferiti a fatti accaduti più spesso . Come ti sei sentito? La principale reazione emotiva di fronte ad episodi subiti da compagni è stata il “dispiacere per la vittima” (54% Medie, 43% Biennio). I ragazzi più piccoli riferiscono anche altre reazioni negative quali la paura (12% Medie e solo 4% Biennio) la tristezza (11% Medie 14% Biennio) mentre i ragazzi più grandi hanno
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riferito di non aver provato niente (14% delle risposte contro l’8% degli allievi della scuola media). 45 40 35 30 25
medie
20
biennio
15 10 5 0 non ho assistito a prepotenze
presenza
alta frequenza
Che cosa hai fatto? Per quanto riguarda i comportamenti messi in atto dopo aver as-
sistito alle prepotenze fatte ad altri compagni, la maggioranza dei ragazzi dichiara di essere intervenuto in difesa della vittima chiedendo al prepotente di smetterla (47% Medie, 44% Biennio). Il 15% dei ragazzi della scuola media riferisce di essere intervenuto in difesa della vittima, ma di aver subito a sua volta prepotenze (questa percentuale è molto bassa, solo del 5%, per i ragazzi del Biennio). Alcuni alunni (14% della scuola Media e 23% del Biennio) hanno risposto di aver cercato di non farsi coinvolgere nelle prepotenze: dato coerente con quelli emersi da altre ricerche. III. Essere vittima di prepotenze
La maggioranza dei ragazzi dichiara di non aver subito prepotenze negli ultimi 3 mesi. Nello stesso periodo poco più di 1 allievo su 5 della Scuola Media (23%) riferisce di aver subito da 3 a 6 atti di prevaricazione (il dato è solo dell’8% per i ragazzi del Biennio).
Come ti sei sentito? Per tutti i ragazzi, senza distinzione di età, le principali reazioni
emotive sono state negative: “mi sono sentito triste” (21% alle Medie, 22% al Biennio); “sono stato male” (15% per entrambe le scuole); “mi sono sentito indifeso”( 11% alle Medie, 7% al Biennio); mentre il 24% dei ragazzi delle due scuole ha dichiarato di non aver provato niente.
Che cosa hai fatto? Rispetto ai comportamenti che hanno seguito le prepotenze, la maggioranza degli studenti dice di aver cercato di rispondere e di difendersi (48% alle Medie e 59% al Biennio), mentre le reazioni più passive (“vorrei reagire, ma ho paura” “cerco di capire perché se la prendano con me” e “spero che qualcuno si accorga di come mi sento”) sono mediamente intorno al 10% nella Scuola Media e si dimezzano nel Biennio.
202
Nicolò Pisanu
80 70 60 50
medie
40
biennio
30 20 10 0 non ho subito prepotenze
presenza
alta frequenza
L’hai detto a qualcuno? L’età gioca un ruolo discriminante rispetto a questo item: vi è un netto aumento della tendenza a non parlare con altre persone delle prepotenze subite, infatti si passa da circa il 27% della scuola media al 47% del Biennio. I ragazzi del Biennio hanno mostrato una maggior tendenza a risolvere direttamente e da soli il rapporto con chi è stato prepotente con loro e sono meno propensi a parlare di questi episodi. Coloro che invece parlano con qualcuno segnalano: la madre (15% alle Medie, 11% al Biennio) e gli amici (27% alle Medie e 15% al Biennio). IV. Essere autori di prepotenze 80 70 60 50
medie
40
biennio
30 20 10 0 non ho commesso prepotenze
presenza
alta frequenza
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Faccio il bullo perché… l’analisi delle distribuzioni di frequenza relative a questo item e la comparazione rispetto ai due gruppi di studenti risulta un po’ problematica sia per la scarsa consistenza numerica di risposte dei ragazzi del Biennio sia perché il campione era più esiguo nonché a causa di un buon numero di risposte inattendibili che – per alcune domande - hanno raggiunto il 24%. Comunque gli allievi più grandi sembrano spiegare il loro comportamento con il desiderio di comandare e di ingenerare timore nei compagni (34% e 28%); i ragazzi più piccoli perché lo ritengono il modo più efficace per risolvere le cose. Entrambi i gruppi spiegano alla voce “altro” di commettere a volte atti di prevaricazione ma per difendersi o reagire a prepotenze altrui e di non considerarsi bulli. V. Capacità di comunicazione; soluzioni; valori. Tab. 1 - Si parla di quel che accade ? Medie Biennio Dati percentuali All’interno della scuola parli di ciò che accade… si con compagno di cui mi fido con compagni di classe
81 61 24
68 47 32
si con i genitori con l’amico fidato con gli amici che si frequentano con altri famigliari
76 36 28 22 12
58 31 23 31 7
Sei soddisfatto di come i genitori capiscono i tuoi sentimenti molto soddisfatto abbastanza soddisfatto per niente
51 30 5
40 32 16
Fuori dalla scuola parli di ciò che accade…
La tabella mostra un’evidente linea di tendenza: col crescere dell’età i ragazzi tendono a parlare di meno delle loro cose sia in classe che fuori la scuola; cambiano anche gli interlocutori, spostandosi la scelta dall’ambiente famigliare al gruppo degli amici, in perfetta sintonia con il maggior peso che il gruppo dei pari viene ad assumere in adolescenza. Pur dichiarandosi soddisfatti sia dei rapporti che intrattengono nella scuola, con i compagni e con gli insegnanti, sia di come i genitori seguono la loro esperienza scolastica, si inizia ad osservare nei ragazzi più grandi un atteggiamento più critico nei confronti dei genitori, caratteristico dell’intera adolescenza.
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Negli adolescenti, inoltre, aumentano le risposte che rivelano insoddisfazione per come i genitori riescono a capire i loro sentimenti. Tab. 2 - Che fare? Soluzioni
Medie Biennio Dati percentuali Che fare? difendere la vittima dicendo al prepotente di smetterla parlare tutti insieme in classe cercare di risolvere i conflitti in modo pacifico non si può fare niente
63 47 63 11
55 52 61 21
La grande maggioranza dei ragazzi – indipendentemente dall’età – ritiene vi siano soluzioni al problema delle prepotenza e indica come principali “cercare di risolvere i conflitti in modo pacifico”, difendere attivamente la vittima e parlare tutti insieme in classe; solo una minoranza (che aumenta di consistenza col crescere dell’età) crede non si possa fare nulla per contrastare questi comportamenti. Il campione analizzato mostra una buona capacità di verbalizzare e di chiedere aiuto agli altri, di intrattenere valide relazioni con gli adulti e con gli amici (all’interno e al di fuori della scuola). Queste ultime assumono sempre più importanza man mano si cresce e costituiscono senz’altro importanti fattori di protezione dal rischio di vittimizzazione. Gli stessi alunni auspicano, nelle soluzioni proposte, di elaborare nell’ambito del gruppo-classe le reazioni emotive negative agli episodi aggressivi. In particolare, i ragazzi mostrano l’esigenza di individuare dei momenti per “parlare tutti insieme in classe” e apprendere strumenti per risolvere pacificamente i conflitti. Tab. 3 - Valori Cose importanti Medie Biennio
1° Libertà di fare quello che voglio Successo
2° Rispetto degli altri
3° Onestà
Libertà di fare quello che voglio
Giustizia
La tabella si riferisce alla domanda: ”Nella tua vita quale importanza hanno queste cose?” (scegli tre risposte indicando 1°, 2° e 3° secondo il tuo ordine di importanza) • 1 il successo • 2 la libertà di fare quello che voglio • 3 la giustizia
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4 la solidarietà 5 l’ordine e il rispetto delle regole 6 l’uguaglianza di possibilità per tutti 7 la tolleranza di opinioni e comportamenti diversi dai miei 8 la realizzazione personale 9 la libertà di pensiero e di espressione 10 l’onestà 11 la ricchezza 12 il rispetto degli altri
I dati raccolti mostrano con efficacia le differenze di pensiero che intercorrono fra ragazzi delle Medie e quelli delle Superiori nonché gli orizzonti in cui si sono mossi. Nei primi prevale il desiderio di “mettere le ali”, per affrancarsi dai condizionamenti dell’età infantile, accompagnato a due requisiti definibili di tipo “sociale”: il rispetto e l’onestà: necessità percepite come valori, in quanto utili, se non indispensabili, per l’appartenenza al gruppo dei pari e il reciproco riconoscimento, orizzonte ineludibile per questa fascia di età. Nel Biennio emergono dinamiche egocentrate laddove lo sviluppo psicofisico e l’elemento culturale spingono i soggetti verso traguardi di “realizzazione”, quali mete esistenziali, percepite come valori; il “valore-giustizia” può essere interpretato come garanzia atta a permettere e nel contempo calmierare a livello sociale, appunto, la corsa alla realizzazione personale onde evitare la conflittualità.
Considerazioni pedagogiche 1. Il fenomeno del bullismo viene segnalato negli anni ’70 nei Paesi Scandinavi per poi approdare anche nel nostro Paese. Come anticipato in premessa, la definizione dello stesso risponde a determinati criteri, che oltre a delimitarne la portata ne suggeriscono la diagnosi e la “cura”. Il volano dei mass-media, costantemente scosso dalla ricerca della novità e dell’enfasi della notizia, lo ha proiettato con violenza, celata dai panni delle preoccupazione, nella nostra società con un’attenzione quasi maniacale sulla Scuola… suscitando clamori e allarmismi, seguiti da illustri prese di posizione e da campagne di informazione/prevenzione. Di conseguenza ragazzi e giovani sono stati rimarcati come gruppi a rischio e ogni comportamento fuori norma assume oggi il sapore del bullismo. Risultato: ansia, preoccupazione ed… emulazione, come se già non vivessimo abbastanza condizionati da sindromi nevrotiche, derivanti dalla precarietà e dall’insicurezza che connotano il nostro secolo. Ciò non toglie che, effettivamente, si registrino comportamenti ascrivibili a tale fenomeno, presenti, comunque, anche in tempi passati, dove, semmai, erano più circoscritti o misconosciuti; lo stesso nonnismo può essere assimilato al bullismo e il mobbing ne è una mutazione. Prevenzione e cura efficaci sono il risultato di diagnosi accurate e certe.
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2. Come si evince da questa ricerca, pur nei suoi limiti, già nei ragazzi il termine bullismo si colora di svariati significati, fino a coprire ogni sorta di prepotenza o di conflittualità, esiti naturali della convivenza. Neppure è corretto focalizzare sempre l’attenzione sull’ultimo anello della catena educativa: i ragazzi e i giovani, dimenticando, più o meno consapevolmente, il peso e la responsabilità degli adulti. E proprio la società degli adulti, in specie genitori e insegnanti, è doveroso chiamare in causa ogni qualvolta si ha a che fare con minorenni: pur nelle loro differenze individuali, sono il frutto di complessi e profondi processi collusivi con l’adultità e la cultura ambiente. Certamente la cultura dell’avere, madre del consumismo, se accettata acriticamente, grazie ai benefici con i quali soddisfa l’uomo anche nei suoi capricci infantili, non può non esasperare l’egocentrismo, rinforzando la competizione e la smania di possedere per essere. La deriva di questa marea, che da decenni lambisce il mondo occidentale, porta allo strutturarsi di genitori attenti all’allevamento e all’accudimento della prole, dimentichi che dette condizioni non sono sinonimi dell’educare e che lo stesso non è sotteso al crescere. Tale ripiegamento porta con sé la relativizzatine di quei valori di convivenza civile e rispetto (che fino agli anni ’60 scandivano il comportamento sociale, talora anche con tratti fobico-ossessivi e moralistici che portavano purtroppo a stigmatizzare qualsiasi diversità e i poteri “forti”) che, se interpretati correttamente, permettono di riconoscere l’altro e la comunità nonché di sentirsene parte integrante quindi chiamata alla costruzione della polis. 3. La società dei diritti – non del Diritto né della difesa di quei Diritti riconosciuti da carte nazionali e internazionali – insieme al costume “dell’ipocrisia istituzionale”, veste ufficiale del profitto o della riuscita a tutti i costi, continuamente ci regalano esempi di “mala sanità”, “mala politica”, “mal costume”, “mala sportività”, “mala scuola”… che le nuove generazioni non possono ignorare, forse condannano, e con le quali certamente devono confrontarsi nel quotidiano riferirsi agli adulti. Ma quali adulti, appunto ? A tutto ciò funge da cassa di risonanza la cultura dell’apparire, che raggiunge il suo apice nei reality televisivi, dove la persona, il più delle volte, espone senza pudore emozioni, sentimenti, parti di sé e comportamenti soprattutto trasgressivi, trasformando la realtà, meglio se banale o squallida, in fiction… inconsapevolmente cercando di compensare la vacuità di tale agire. Questa teatralità permette alla spudoratezza di divenire sfida; sfida all’autorevolezza, alla norma costitutiva… e denuncia povertà assiologica. Di conseguenza essere adulti oggi può significare, per il ragazzo: apparire, possedere, prevaricare… terreno fertile per l’affermarsi di un Io egocentrato, intollerante e non solidale o, al contrario, frustrato e depresso laddove, in ambo i casi, l’aggressività funge da collante e da codice comunicativo. Gli odierni fronti del fanatismo, del terrorismo, delle guerriglie urbane, delle barbarie “ultras”… fomentati da interessi di parte, ne sono l’espressione esasperata ed esasperante. Vediamo, infatti, dalla nostra indagine:
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- che i ragazzi più piccoli tendono in maggioranza a riferire che i compagni cercano di aiutare il più debole, mentre col crescere dell’età diminuisce il senso di paura dell’aggressore e di vergogna per la prepotenza, per cui vengono riferiti come più frequenti comportamenti di divertimento o di tifo per il bullo oppure atteggiamenti di indifferenza (par. Ib); - che gli allievi più grandi sembrano spiegare il comportamento prepotente con il desiderio di comandare e di ingenerare timore nei compagni (par. IV); - quale scala di valori sia di riferimento per i ragazzi della scuola Media e del Biennio (par. V, Tab. 3). Di contro, sono gli stessi ragazzi che credono nella possibilità di “cercare di risolvere i conflitti in modo pacifico”; in particolare, mostrano l’esigenza di individuare dei momenti per “parlare tutti insieme in classe” e apprendere strumenti per risolvere pacificamente i conflitti (par. V, Tab. 2). In effetti, più che agire sul singolo individuo che mette in atto comportamenti aggressivi, stigmatizzandolo e rafforzandolo nel suo ruolo, nella sua identità di bullo, ciò che sembra funzionare meglio, sia in chiave di prevenzione che di gestione del problema, è il riscoprire la classe come luogo per imparare a stare nella relazione, con le sue conflittualità, con gli incontri e gli scontri, con la possibilità di non essere d’accordo, di dover discutere e di confrontarsi. Ciò risulta essere positivo anche per gli allievi che mostrano una reazione emotiva di indifferenza, sia per difesa sia perché maggiormente concentrati nel respingere l’azione del bullo. 4. Di fronte all’assordante silenzio, intessuto di stereotipi, con cui il mondo adulto si affanna ad ammaestrare i ragazzi, più o meno consapevole dei limiti e delle incapacità educative, il mondo dei “cuccioli d’uomo” indica il dialogo e la condivisione quale chiave di volta della situazione da sanare. Essi suggeriscono, per frenare gli effetti dell’assenza di padri e maestri, di rimettere in circolo il confronto e la mediazione. Soluzione semplice e, nel contempo, complessa perché innanzitutto esige disponibilità da parte dell’adulto a creare o ad agevolare i momenti e le occasioni del dialogo e dell’educazione ai rapporti e al senso critico almeno in casa e a scuola. Non a caso, dalla ricerca emerge come gli allievi del Biennio lamentino insoddisfazione per il grado di interessamento verso gli studi dei genitori (par. Ia, Tab. 1) e per come gli stessi riescano a capire i loro sentimenti (par. V, Tab. 1). Non si tratta di mettere in cantiere programmazioni e risorse inusuali, come sovente accade colti dall’allarmismo, figlio del gap progettuale e della resistenza al cambiamento coi quali, invece, ogni generazione e ogni Istituzione dovrebbe cimentarsi, per promuovere fattori protettivi. Siti dedicati al bullismo, campagne stampa e di prevenzione, talora ingenue o aleatorie, numeri telefonici di emergenza/consulenza… sono di nuovo strategie con le quali l’adulto delega o abdica ai più elementari, delicati e impegnativi compiti educativi. La riprova di tali affermazioni è offerta, per esempio, dall’esperienza sul campo della prevenzione: esaurito l’effetto emergenza, conclusi gli interventi degli esperti o qualche consulenza professionale… si spegne il focolaio ma non si fa tesoro, non si riela-
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bora quanto accaduto e vissuto, talora non si attua nella quotidianità completamente o del tutto quanto suggerito in risposta al disagio . 5. Il bullismo non è un fenomeno epocale ma espressione dell’aggressività, tendenza connessa alla natura degli esseri viventi, e frutto dell’aspetto acquisitivo della stessa, maturato anche grazie all’indebolimento dei fattori inibenti, alle stimolazioni culturali e dei mass-media, riconducibili al rarefarsi del sentire etico, alle rimodulazioni della morale, alla crisi della religiosità… cioè alla crisi del soggetto. Ogni disagio connesso a problematiche educative trova, in definitiva, la causa e il rimedio nella persona e nella società in cui vive: nel caso del bullismo va ricondotto, in genere, allo stile di vita che oggi l’adulto presenta ai minori e ai giovani e, in particolare, nello stile educativo assunto in famiglia e nelle agenzie educative o aggregative, in primis la scuola.
PROFESSIONE DOCENTE
RivLas 75 (2008) 2, 209-224
CONTRIBUTI PER L’AUTOFORMAZIONE/2. LA DIMENSIONE DIAGNOSTICO-INTERPERSONALE
Il docente in relazione: con allievi, colleghi, genitori Marco Paolantonio, FSC
I
nsegnare è sostanzialmente un essere-in-relazione; anzi, nelle relazioni ogni insegnante mette in gioco gran parte della propria professionalità, in particolare se intende stabilire: ● un fruttuoso rapporto d’insegnamento-apprendimento con gli allievi ● un efficace rapporto di collaborazione con colleghi e dirigenti ● un costruttivo rapporto di cooperazione educativa con i genitori ● un proficuo lavoro in sintonia con le realtà sociali del territorio.
E sappiamo bene che l’intesa tra persone - vale a dire la capacità di trovare il punto d’incontro che permetta di ottenere i risultati sperati - si fonda sulla capacità di saper valutare quali energie intellettuali ed emotive occorre impegnare di volta in volta, anche in efficace risposta a quelle dell’interlocutore. Occorre cioè saper ‘fare la diagnosi’ della situazione umana affrontata, per evitare nella misura possibile errori di valutazione che si tradurrebbero non soltanto in perdite di tempo. Medico e avvocato, abbiamo visto1, hanno una professionalità analoga a quella dell’insegnante. Ma, a differenza loro, oltre all’impossibilità di avere a portata di mano l’esito del suo lavoro2, l’insegnante deve affrontare anche la difficoltà di incontri plu1
v. Rivista lasalliana, 2008/1, pp.50-51, La professionalità del docente. Ivi, l’osservazione di E. Damiano: “…l’insegnante non può avere a portata di mano l’esito cercato, che acquista invece senso e significato solo a condizione che il soggetto in apprendi2
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rimi e contemporanei con la classe, nei collegi docenti e nei consigli di classe, di corso, di istituto…, che richiedono un’ attrezzatura psicologica adatta. Se non vuol scadere nell’inefficacia o nella conflittualità, il docente deve quindi acquisire e perfezionare gli strumenti adeguati, quelli appunto che partono dalla capacità ‘clinica’ di valutare situazioni e persone. Ciò significa saper diagnosticare correttamente mentre comunica, assicurando nel modo più efficace il suo apporto ai delicati equilibri del sistema ‘ecologico’ scolastico.
1. Morfologia e sintassi della comunicazione Comunicare è il verbo che sintetizza l’essere-in-relazione. Un insegnante dovrebbe
essere capace di coniugarlo non solo correttamente ma con efficacia nei modi e nei tempi richiesti dalle situazioni in cui si trova a interagire con allievi, colleghi e genitori. Per riuscire, deve inevitabilmente affrontare le difficoltà che caratterizzano i modi di apprendere dell’autodidatta; vale perciò la spesa di considerare alcuni aspetti che possono perfezionare conoscenze e prestazioni al riguardo.3
1.1 Lessico di base Una prima precisazione: “Comunicare è mobilitare l’energia umana verso la realizzazione di obiettivi comuni” (H. Jaoul); ciò sta a indicare innanzitutto la molteplicità degli elementi che concorrono ad avviare e condurre il processo di comunicazione: parole, gesti, atteggiamenti, espressioni del volto, silenzi… E di tutti questi è bene si abbia il controllo se vogliamo ottenere risultati soddisfacenti. “Noi comunichiamo con tutto il corpo, per il solo fatto di esserci. Le ricerche dicono ormai da anni che la comunicazione è verbale solo per il 30%; il restante 70% è NV (Non Verbale: gesti, sguardi, postura) e PV (Paraverbale: tono, timbro, tempo e volume della voce). Provate a riflettere su una situazione in cui vi trovate a dire (…): “Penso sia una buona idea”, ma nel contempo dicono con la testa: che effetto vi fa?. A questo proposito è importante tener presente che ognuno di noi ha canali sensoriali privilegiati attraverso i quali riceve ed emette comunicazione. Esserne consapevoli ci permette sicuramente di entrare in modo più facile in sintonia con i nostri interlocutori e trarre il massimo beneficio dalla comunicazione e relazione interpersonale” (M. Priolo, saggio citato, p. 2).
Utilizzando termini ormai d’uso corrente4, possiamo dire che per comunicare usiamo ● un codice digitale (numerico, di contenuti) quando ci serviamo delle parole: segni arbitrari e privi di correlazione con la cosa che rappresentano, ma che permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che le organizza; ● un codice analogico (rappresentativo, di relazione) quando ricorriamo a tutte le forme di comento riesca a produrlo in se stesso. La verifica immediata non è affidabile; per certi aspetti, solitamente i più importanti, i tempi di accertamento possono essere lunghi e fuori portata di ogni controllo diretto; anche quando le azioni sembrano ben riuscite, sussistono inevitabili zone d’ombra; né infine sono da escludere esiti involontari e indesiderati.” 3 v. M. Priolo, Il circolo virtuoso della comunicazione: www.unplipiemonte.it/inizia/comunicazione.htm 4 v. A. Leone, C. Poggiolesi, L’uso strategico della comunicazione umana: www.funzioniobiettivo.it/glossadid/comunicazione_umana_1.htm
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municazione non-verbali, che lette con sensibilità prossemica offrono utili elementi per migliorare i rapporti extraverbali con i singoli allievi e con il gruppo-classe (tono di voce, gestualità, posture e movimenti, ivi compresi gli spostamenti tra i banchi e perfino il sedersi vicino agli alunni…) Sovente – e pare inevitabile allorché operiamo in classe – non solo riduciamo la comunicazione alle parole, ma ci limitiamo spesso a quelle che diciamo noi. Ora, di solito comunica male chi ascolta male: “Per imparare a parlare l’uomo impiega tre anni; per imparare ad ascoltare non gliene bastano 50 ”, osservava Hemingway. Ascoltare davvero significa prestare reale attenzione al nostro interlocutore (nell’accezione globale di cui si è detto: parole, gesti, silenzi…). Cosa non facile, che può tuttavia essere progressivamente migliorata se ce la proponiamo ‘automonitorandoci’ con frequenza (“sto davvero ascoltando chi parla o solamente continuando mentalmente il
mio discorso per riprenderlo dal punto in cui era stato interrotto?” “tengo conto di ciò che dice o mi preoccupo di come controbatterlo?” “mi sforzo di capire il senso del suo discorso o mi faccio influenzare dal (pre)concetto che ho del mio interlocutore?”…). Ciò non significa per niente dar sempre ragione; è piuttosto evitare di com-
mettere in partenza errori causati da fraintendimenti e/o posizioni preconcette.
1.2 Piani e qualità Perché sia efficace, occorre dunque che la comunicazione stabilisca un processo circolare, nel quale chi comunica e chi riceve si influenzano reciprocamente. Il primo passo è aver presente i presupposti-base della comunicazione, quelli che applichiamo – o dovremmo applicare – in ogni contatto per trarne il massimo beneficio ed essere quindi comunicatori efficaci. Presupposti-base possono essere considerati: tener conto a) del piano (o livello), b) dello stile o qualità della comunicazione.
a) Piani/livelli riguardano una classificazione delle relazioni secondo i criteri: ● dell’uguaglianza = relazioni ‘simmetriche’: gli interlocutori sono sullo stesso piano (sociale/professionale/culturale: dirigente-dirigente, docente-docente…); ● della differenza = relazioni ‘complementari’: gli interlocutori sono su piani diversi (posizione dominante e posizione subordinata: dirigente-dipendente, insegnanteallievo…). Non sono da considerare di per sé ‘buone’ o ‘cattive’, ‘forti’ ‘o deboli’, anche se, nelle loro forme estreme, la prima può portare alla conflittualità e l’altra alla subornazione. b) Stile/qualità sono le modalità di rapporto che psicologi e sociologi riuniscono in quattro classi: ● assertiva = alta considerazione per gli altri e per se stessi ● aggressivo-indiretta = bassa considerazione per gli altri e per se stesi ● aggressivo-diretta = bassa considerazione per gli altri e alta per se stessi ● passiva = alta considerazione per gli altri e bassa per se stessi “È quasi superfluo dire che lo stile assertivo è quello che ci dà il massimo beneficio ai fini di una comunicazione efficace, poiché stimola maggiormente la cooperazione, la solidarietà e la motivazione di coloro che partecipano ad un’attività. Significa in breve manifestare i nostri sentimenti, opinioni, idee, desideri con la giusta con-
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sapevolezza del proprio valore e capacità, ma riconoscere e valorizzare i sentimenti, le opinioni, i desideri e le capacità altrui” (M. Priolo, saggio citato).
2. Insegnanti e allievi nel rapporto insegnamento-apprendimento Le annotazioni fin qui esposte rispecchiano parzialmente le caratteristiche del rapporto che si instaura in classe, dove si aggiungono il peso specifico e il valore della funzione tipica della scuola: quella del sapere insegnato che riguarda l’allievo, quello del sapere insegnante, compito del docente5. Sappiamo tutti quali siano esigenze e difficoltà connesse6; è opportuno quindi esaminare più da vicino la peculiarità delle situazioni che si creano in rapporto a motivazioni e metodo di studio, capacità/abilità e didattica, stili cognitivi e stili educativi, singolarità e/o pluralità del rapporto (con ciascun allievo o con gruppo-classe). Ed è quest’ultimo un elemento particolarmente importante; per chiarezza d’esposizione ne considereremo separatamente gli aspetti, ma è noto a tutti quanto il gruppo influisca, soprattutto nella delicata fase della forma di comunicazione per eccellenza - la lezione - sia sui singoli alunni sia sull’insegnante. [Come abbiamo anticipato nel piano annuale7, rimandiamo a una prossima serie di appunti - la terza - ciò che attiene alle abilità educanti che afferiscono direttamente all’apprendimento]. 2.1 L’insegnante nel rapporto con l’allievo: compiti di base Non è difficile concordare con il Petter8, che ne evidenzia quattro, validi per ogni ordine di scuola: ● aiutare l’allievo a crescere come persona ● aiutarlo a crescere intellettualmente e culturalmente ● coinvolgerlo nelle attività di apprendimento ● ottenere la sua stima e il suo affetto. Consideriamo più da vicino questi compiti-obiettivo, tanto facili da formulare quanto ardui da mettere in pratica, ricordando che interpretano in modo riduttivo il loro ruolo quei docenti che, per mancanza di un’adeguata competenza/sensibilità psicologica, limitano la loro azione al solo secondo compito; trascurano infatti il rapporto con l’intera persona dell’allievo, che ha esigenze socio-interpersonali ed emotivo-affettive oltreché cognitive. ► Aiutare l’allievo a crescere come persona significa: ● aiutarlo a sviluppare le sue potenzialità fisiopsichiche e sociali, ● favorirlo nel progressivo raggiungimento di una autonomia di comportamenti e di giudizio ( acquisizione della fiducia in se stesso fondata su una sana capacità critica e autocritica), ● stimolarne la capacità a interagire positivamente con gli altri (con l’assunzione delle proprie responsabilità; la condivisione degli altrui stati d’animo, senza finzioni o calcoli), ● abilitarlo ad accogliere valo5
v. E. Damiano, L’insegnante. Identificazione di una professione, La Scuola, Brescia 2004, pp. 215-224. 6 Ce ne siamo occupati nei quattro articoli su Educare ad apprendere, in Rivista lasalliana 2007, nn. 1, 2, 3, 4. 7 v. Rivista lasalliana, 2008/1, p. 49. 8 G. Petter, Il mestiere di insegnante, Giunti, Firenze 2006, pp. 31-115.
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ri di carattere universale, ● contribuire all’acquisizione di un equilibrio emotivo-cognitivo (in modo che il successo sia di stimolo all’autopromozione senza narcisismi e l’insuccesso l’occasione per l’esame della cause senza rese incondizionate). Superfluo far notare che tutto si fonda sulla disponibilità-accessibilità al dialogo realmente prestata dall’insegnante; è fin troppo evidente che un atteggiamento scostante o distratto può arrivare all’interruzione della comunicazione anche strettamente didattica. La disponibilità si traduce in un’attività di consulenza educativa (couseling), che può articolarsi in una serie di interventi, quali: ● aiutare l’allievo ad analizzare in modo obiettivo le situazioni di difficoltà in cui si trova (senza cadere nell’ingerenza indebita o nella parenesi); ● incoraggiarlo, dando il segnale che un certo obiettivo può essere raggiunto utilizzando i mezzi e le strategie opportuni (da suggerire); ● valorizzarne i risultati positivi (evitando enfatizzazioni ); ● guidarlo alla progressiva conoscenza di sé, aiutandolo, ad es., a chiarire la differenza tra identità (ciò che è in atto e potenzialmente) e senso di identità (ciò che pensa di sé, spesso condizionato da chi gli sta vicino); ● accompagnarlo in un inserimento sociale positivo (aperto alla collaborazione, ma accorto nella scelta dei ‘modelli’). ►Favorire la crescita intellettuale e culturale dell’allievo vuol dire identificarne prima e concorrere al potenziamento poi delle capacità di base, come quelle di analisi e di sintesi, di generalizzazione e di simbolizzazione, di ragionamento e di creatività. Si tratta di mobilitarle in medias res, sfruttando le situazioni e usando gli strumenti man mano offerti dall’attività didattica in corso; ma è anche necessario seguire il cammino inverso – tenuto conto dell’età e della capacità intellettuali dell’allievo – passando dalla concretezza dell’esperienza in atto alla generalizzazione (regole, principi) e all’astrazione (concetti). Vale specialmente qui il richiamo alla necessità di una sufficiente competenza psicologica dell’insegnante, che non può limitarsi a trasmettere contenuti ma impegnarsi anche a trovare il modo migliore per comunicarli in rapporto stretto con le caratteristiche dell’allievo. Aspetti di un intervento efficace sono: ● educare l’atteggiamento verso ciò che si apprende (curiosità cognitiva: perché? come?; intraprendenza, flessibilità mentale); ● favorire la stabilità degli interessi (evitando l’incessante incalzare di capitoli e di argomenti di cui spesso sfuggono gli elementi essenziali e la valenza culturale); ● abituare alla ‘informazione formativa’, a perseguire cioè una conoscenza non solo approfondita, ma sistematica e disponibile a ulteriori acquisizioni. ►Coinvolgere l’allievo nelle attività di apprendimento corrisponde alla necessità di guidarlo a concentrarsi in modo spontaneo sull’attività di apprendimento, senza ricorrere come unica prassi alle costrizioni esterne (paura del voto, ‘figuraccia’ presso i compagni, reazione negativa/punizione dei genitori), creando invece e preferibilmente condizioni psicologiche di segno positivo. È lo spinoso ( e spesso irrisolto) capitolo delle motivazioni e degli interessi, che ogni insegnante deve affrontare sostanzialmente da solo. Possono tuttavia valere alcune considerazioni: Certamente suscitare una motivazione non significa imporla (‘sta’ attento’, ‘non distrarti’, ‘impégnati a fondo’…), quanto invece creare le condizioni in cui l’allievo possa accumulare una quantità di energie psicofisiche sufficiente a sollecitare l’attenzione, agevolare la comprensione, sostenere uno sforzo prolungato. Va perciò tenuto
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conto che l’energia necessaria ad eseguire un certo compito dipende ● dalla qualità del compito stesso (prenozioni, presentazione, contesto, facilità-difficoltà, scopi, ‘spendibilità’-utilità sociale e/o per ulteriori acquisizioni,…), ● dalla qualità dei rapporti interpersonali (con insegnante/i, compagni, genitori, ambiente scolastico) e ● dall’immagine che l’allievo ha di sé (il grado di autostima, che dipende assai spesso
dalle due ‘qualità’ cui si è accennato sopra).
Tra le motivazioni dirette, che ottengono cioè l’immediata adesione del soggetto che apprende, si possono indicare quelle ● ludiformi (disegno, lettura, filmati, informatica, visite d’istruzione), ● empatiche (qualità positiva dei rapporti con le persone), ● intrinseche (legate all’ interesse suscitato dall’argomento: il piacere di capire e di sapere). Tra le indirette hanno particolare valore quelle strategiche, indotte dall’insegnante con opportuni accorgimenti: ad. es. ● quella del problema’ (problem solving) e/o ● quella del progetto’, che può trovare efficaci supporti nel lavoro associato (co-
operative learning).
► Il raggiungimento del quarto obiettivo - ottenere la stima e l’affetto degli allievi può non solo gratificare l’insegnante ma renderne più redditizio il lavoro: “Accade cioè che, per certi aspetti almeno, il rapporto fra i tre obiettivi e il quarto, si inverta, e che ciò che all’inizio era solo un effetto diventi una causa, o comunque un elemento facilitante. Questo può verificarsi già dai primi giorni di scuola, se l’insegnante con il suo comportamento, con le attività interessanti che propone, con la chiarezza delle spiegazioni che dà, con la disponibilità che dimostra nei confronti degli allievi, è riuscito a suscitare in questi ultimi un atteggiamento positivo nei suoi confronti, caratterizzato da simpatia, da attenzione alle cose che dice, da una tendenza a stabilire e a mantenere un contatto con lui” (G. Petter, op. cit., pp. 35-36).
Inevitabile però una considerazione di segno diverso, tanto ovvia quanto inoppugnabile:
“E’ evidente che se è il sapere che caratterizza la relazione educativa rispetto agli altri generi di relazione, è proprio il sapere che ‘fa problema’ e sembra impedire che il rapporto fra insegnante ed alunno soddisfi pienamente la sua carica emozionale ed affettiva: di qui i tentativi di soluzione che la pratica scolastica cerca di esperire, da quella che possiamo chiamare del ‘terzo escluso’ – con il sapere che viene tenuto in ombra, e più o meno stemperato, come riferimento del ‘contratto’ “.(E. Damiano, Insegnare, identificazione di una professione, La Scuola, Brescia 2004, p 123).
Il sapere nasce fuori della scuola. La scuola vi attinge alcuni aspetti che codifica sotto forma di materie, programmi, piani di studio, manuali e altri mediazioni didattiche. Ma il sapere torna in circolazione in forme e consistenza caratterizzate nelle singole classi dal rapporto insegnamento-apprendimento, che è sostanziale rapporto personale tra insegnanti ed allievi. Il lavoro che qualifica professionalmente l’insegnante sta proprio nell’impresa spesso ardua di contemperare i due aspetti: propiziarsi la stima e l’affetto degli allievi senza sacrificare un programma culturalmente valido. Tutto (o quasi) dipende dai motivi per cui si è scelto di insegnare9.
9
Se n’è parlato in: Formarsi per formare, Rivista lasalliana 2008/1, pp. 53-54.
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2.2 L’insegnante nei rapporti con la classe I rapporti insegnante-allievo e insegnante-gruppo classe si intersecano abitualmente, ad es. quando nel corso di una conversazione in aula si valorizza o si stimola l’intervento di qualche allievo in particolare; oppure allorché si porta all’attenzione dell’intera classe (fatta salva la privacy) un’idea utile o una difficoltà emerse nel corso di un colloquio privato. Ma hanno anche caratteri differenziati. Il rapporto con il gruppo-classe, spesso designato come ‘clima’ o ‘atmosfera’, dipende in buona parte dal modo – dallo ‘stile’ – con cui il docente esercita la sua funzione di guida. Non solo lui, s’intende, perché la conduzione della classe deve (dovrebbe) essere collegiale anche sotto questo aspetto; ma l’’omogeneizzazione’ degli stili d’insegnamento è resa impossibile per l’inevitabile diversità di carattere dei docenti oltre che essere controproducente in senso educativo (è giusto infatti che gli allievi si allenino alle difficoltà dei rapporti interpersonali. Tocca ai docenti evitare che diventino traumatiche). Ne tenteremo un’analisi e qualche soluzione trattando del rapporto con i colleghi. Gli psico-pedagogisti hanno individuato fondamentalmente due stili: autoritario e non-autoritario, suddividendo ulteriormente quest’ultimo in democratico e permissivo. Il Petter ne offre un identikit convincente10: Il leader autoritario decide da solo gli obiettivi e li impone ai membri del gruppo. Non dà loro un quadro generale chiaro e articolato del progetto in cui intende impegnarli, né della situazione così come si viene evolvendo in rapporto all’obiettivo, ma si limita a rendere noti di volta in volta solo quei segmenti dell’attività complessiva che vanno eseguiti al momento; non impegna i membri del gruppo nella verifica dell’attività svolta, ma riserva a se stesso tale valutazione; dà maggiore spazio alle sanzioni negative, centrandole sulla persona (“tu hai sbagliato”) più che sull’errore (“lo sbaglio consiste in…”) Il leader democratico, pur non rinunciando alla sua funzione di guida, si pone anche in un atteggiamento di ascolto dei bisogni di crescita, degli stati d’animo e dei desideri degli allievi. Li informa dei progetti che ha in mente, li invita a esprimere certe loro preferenze, e li coinvolge nella scelta finale fra varie alternative che ha fatto emergere, tutte positive (per esempio, nella scelta di un libro di narrativa fra quattro o cinque libri, tutti validi, da lui presentati). Si preoccupa di far circolare le informazioni, di fare in modo che tutti abbiano fin dall’inizio una visione completa delle attività programmate, e siano di volta in volta informati di come le situazioni si modificano, dei progressi compiuti, delle difficoltà incontrate. Invita i membri del gruppo a compartecipare alla valutazione dei risultati e dà uguale spazio, nel giudicare il lavoro dei singoli, alle valutazioni positive e a quelle negative, e nel caso di queste ultime centra il giudizio sull’errore compiuto.
Descrizione quest’ultima che corrisponde a ciò che la maggior parte degli insegnanti vorrebbe essere, a quella dei colleghi più stimati e ai ricordi migliori legati ai docenti incontrati nella propria carriera scolastica11. Il leader permissivo non impone un suo progetto, né lo fa accogliere o emergere attraverso la discussione, perché tale progetto non è ben chiaro né ben strutturato neppure nella sua mente, e resta aperto alle spinte e alle controspinte che provengono dal grup10
Op. cit., pp. 54-55. Utili per l’automonitoraggio test come Scopri l’insegnante che sei. 19 modi di fare in classe. www.almaedizioni.eu/alma/officina.it/att-did-4.pdf
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po (è la situazione che viene di solito indicata dall’espressione ‘farsi mettere i piedi in testa dagli allievi’). Non si preoccupa dunque neppure di dare una visione d’insieme, di rendere consapevoli gli allievi dell’evolversi della situazione, né di far circolare le notizie. La stessa vita del gruppo-classe appare disorganizzata anche dal punto di vista della disciplina, del rispetto delle regole che riguardano la vita collettiva e le attività di studio. Difficile anche dire se le valutazioni siano centrate sulla persona o sul compito, semplicemente perché esse sono assai rare.
2.3 La classe come importante ambito di socializzazione secondaria12 “La classe nasce come aggregazione casuale e amministrativa, gruppo si diventa. L’organizzazione è necessariamente flessibile e strettamente connessa all’azione didattica, ma bisogna guardarsi dal rischio, molto presente, di un eccesso di funzionalismo. Se l’articolazione in diverse tipologie di gruppo è utile e va praticata, bisogna non dimenticare che il gruppo-classe rappresenta un mondo di legami interpersonali particolarmente prezioso, identitario, nel quale le relazioni hanno bisogno di tempo adeguato e che va considerato come una piccola, ma autentica comunità di apprendimento e di relazioni significative. Una scuola che aiuti l’alunno a ‘diventare grande’ ha bisogno di definirsi come ambiente di apprendimento educativamente connotato. La progettualità possibile per l’alunno è legata alla progettualità che la scuola sa darsi, al tipo di progetto di offerta formativa che sa allestire. Tutti i discorsi che si fanno a proposito di personalizzazione, di apprendimento, di team docente, di relazioni, ecc., cambiano il segno a secondo dello sfondo entro cui si svolgono” (Italo Fiorin, Parità, autonomia e riforme: www.fidae.it/asp/parita_ approfondimenti.asp)
Il modo di far lezione rivela senza equivoci ‘stile’ di guida, preparazione e metodi dell’insegnante. Sappiamo che la lezione può prefiggersi un apprendimento: ● per ricezione, quando è frontale, interattiva, individualizzata (mastery learning) o ● per scoperta, quando utilizza il lavoro di gruppo nella varie forme (cooperative learning). Ogni insegnante che non abbia fatto una pregiudiziale scelta ‘manichea’, sa come contemperarli, unendovi i vantaggi di una multimedialità ben intesa [ è un aspetto che affronteremo nella prossima puntata, trattando della dimensione epistemologica dell’insegnamento]. Va tuttavia notato che anche la centralità dell’apprendimento può essere considerata da due punti di vista assai diversi: la visione funzionalista ne sottolinea soprattutto la dimensione cognitiva e gli aspetti ‘produttivistici’; la concezione antropocentrica valorizza anche gli aspetti relazionali, sociali, di costruzione della personalità e di significatività personale dell’esperienza. Ci sono psicopedagogisti che, con valide ragioni, contestano la scuola fatta di aulecompartimento stagno, di banchi-posteggio obbligato, di orari e gruppi docenti inflessibilimente divisi per classe e per sezioni,…tutti elementi che ribadiscono una fissi12
Per socializzazione secondaria – successiva a quella primaria maturata nell’infanzia – s’intende ogni processo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della sua società. Si potrebbe dire che è l’acquisizione della conoscenza legata a un ruolo: richiede quindi l’acquisizione di campi semantici che strutturano le interpretazioni e le condotte di routine all’interno di un’area istituzionale (Berger e Luckmann, 1966).
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tà generatrice di passività e di rassegnate routines. Per ora ci interessa considerare il ‘tradizionale’ lavoro associato come valore associante, che motiva al vivere bene insieme come premessa per lavorare bene. A questo scopo ci pare giusto far ribadire con altre parole ciò che è stato esposto sopra: “Fra i vari parametri che sono in rapporto con una maggior riuscita scolastica è da annoverare la capacità degli insegnanti di lavorare con l’intera classe piuttosto che con i singoli allievi. Questo fatto è piuttosto comprensibile: se l’insegnante si centra di preferenza sugli individui rischia di perdere il controllo del gruppo, con inevitabile aumento di rumore e di movimento che disturberanno le attività di tutti; questa è la situazione in cui facilmente incorrono gli insegnanti meno esperti, che mostrano difficoltà ad interagire per tempi prolungati con la classe intera. D’altra parte, saper interagire produttivamente con il gruppo di adolescenti prevede che vengano attivati i loro livelli di partecipazione e di motivazione: le classi in cui si evidenzia la maggior riuscita scolastica sono quelle in cui agli allievi vengono affidate responsabilità nei confronti dei compagni, in cui viene sollecitata la partecipazione alla vita sociale della scuola (assemblee, riunioni, ecc.), in cui l’insegnante dedica tempo alle discussioni con gli allievi, a concordare con essi il lavoro da svolgere e a fornire diffuse spiegazioni sui compiti da eseguire, accertandosi che tutti abbiano capito. (E.Zanellato, L’adolescente e la scuola 1 www.univertuak.it/corsr/2003/zanellato/download/ o6_I.pdf).
Vittorino Andreoli13 annota, da ‘esterno’ alla scuola ma con la competenza professionale che gli è riconosciuta: “La classe al centro, al posto del singolo, è una strate-
gia che farebbe della scuola un’istituzione che insegna a vivere, e trasformerebbe la cultura e il sapere in strumenti per vivere”. Vi si possono sperimentare: ● esperienze positive: spirito di gruppo, solidarietà e collaborazione, interesse per l’altro mai considerato antagonista, ma compagno di squadra; ● esperienze negative: individualismo spinto fino alla competizione sopraffattrice, gregarismo che porta alla satellizzazione e alimenta il bullismo.
3. I rapporti con i colleghi Attingendo altri elementi da una precedente citazione, possiamo esaminare un primo aspetto della cooperazione tra docenti. Producono risultati migliori in termini di riuscita scolastica quelle scuole in cui è incoraggiata la partecipazione attiva degli allievi, in cui viene messo in pratica l’ascolto reciproco fra insegnanti ed alunni, in cui gli insegnanti possono effettivamente programmare collegialmente le attività e contare sulla supervisione di insegnanti esperti più anziani (Zanellato, saggio cit., p. 2).
Se nulla pare più evidente e necessario di una collaborazione educativa - come nulla di più importante e funzionale della collaborazione metodologico-disciplinare di cui ci occuperemo nella prossima puntata - l’esperienza ci dice che non è frequente trovare scuole (consigli di classe e di Istituto, collegi dei docenti) in cui gli insegnanti stabili-
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Lettera a un insegnante, Rizzoli, Milano 2006, pp. 41-57.
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scono un’effettiva comunicazione: usano cioè parole che hanno lo stesso significato per definire gli stessi aspetti e raggiungere obiettivi comuni. Precisa il Vertecchi: La nostra scuola somiglia troppo a una torre di Babele: per quanto si usino le stesse parole, e apparentemente si parli delle stesse cose, il realtà alle parole corrispondono significati profondamente diversi, quando non si ha l’impressione che siano prive di significato. Se soffermiamo la nostra attenzione sui documenti nei quali si riflette l’attività valutativa della scuola, emerge un dissidio evidentissimo tra le concordanze che si riscontrano nel lessico, nei giri di parole, spesso interi frasari che riguardano la valutazione e l’interpretazione dei problemi educativi che di volta in volta è possibile ricostruire. Da una analisi accurata emerge che alle stesse parole, alle stesse espressioni corrisponde un’ampia gamma di significati, con di rado incomparabili tra di loro. È come dire che il linguaggio valutativo ha raggiunto livelli insopportabili di ambiguità, che impediscono di avviare una comunicazione funzionale fra i diversi soggetti (allievi, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, ecc.)interessati alla formazione. Ci troviamo di fronte ad un’evidente difficoltà di comunicazione, che va superata se si vuole fornire una risposta adeguata alla domanda di istruzione espressa della società contemporanea. (B. Vertecchi, Decisione didattica e valutazione, La nuova Italia, Firenze 2004, pp. 8-9).
3.1 Motivi di una comunicazione carente Le cause sono varie: ● minima o nulla preparazione iniziale (universitaria) di tipo psicopedagogico o propedeutica alle esigenze e alle forme della collaborazione; ● frequente rotazione degli insegnanti e conseguente casuale e/o precaria composizione dei team; ● malinteso senso della propria ‘libertà didattica’, che si traduce spesso in (quasi) assoluta autoreferenzialità nel programmare, gestire e valutare il proprio lavoro, ignorando o respingendo le possibili forme di cooperazione; ● disorientamento causato dai ricorrenti cambiamenti di indirizzo dovuti al succedersi dei ministeri della P.I. (neppur d’accordo fra di loro anche nel denominarsi), con riforme piovute dall’alto che, per mancanza di indirizzi chiari e di preparazione specifica, non è possibile ‘metabolizzare’,… E vanno aggiunte le note difficoltà presenti sull’altro versante: ● proteiformità del gruppo- classe (per capacità, motivazioni, interessi); ● scarsità di strumenti e di tempo; ● capovolgimenti d’impostazione metodologica (da quella ‘trasmissivo-monodirezionale-sistematica-enciclopedica’ a quella più o meno integralmente ‘costruttivista’); ● modesta propensione ad avvalersi dei mezzi multimediali (che gli allievi spesso conoscono e usano meglio), ● problematici rapporti con le famiglie… Tutte ragioni che paiono condannare l’insegnante alle fatiche di Sisifo; tuttavia rassegnarsi o arrendersi serve solo ad aumentare il senso di frustrazione. La strada è aperta dalla legge sull’autonomia scolastica; ma sappiamo che le riforme calate dall’alto e avviate dalle amministrazioni centrali non sono generalmente accompagnate da successo. 3.2 Soluzioni possibili Percorribile invece un cammino che parte dal basso, vale a dire dalla traduzione operativa di una delle ‘funzioni obiettivo’ che fanno ormai parte del POF di molte scuole, quella che concerne il coordinamento della progettazione curricolare.
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Non mancano esperienze utili14 che, non già preconfezionate, sono guidate da un insegnante motivato e sperimentato cui viene affidato l’incarico: - partono dalla libera adesione dei colleghi che condividono la necessità di un coordinamento - stabiliscono una scheda di raccolta dei problemi realmente vissuti (riguardanti studenti, strutture, colleghi, personale ATA, dirigenti, genitori, territorio, Ministero) - li riassumono per dar sostanza effettiva alla discussione che seguirà e dalla quale usciranno concrete forme di azione coordinata. Per quanto riguarda i comportamenti della classe, ad es. una scheda di raccolta dei problemi potrebbe essere articolata come segue: 1. Analisi del comportamento a) dei singoli: chi è il leader positivo – che influenza ha? chi è il leader negativo (lo è per bisogno di attenzione / potere / vendetta / paura di fallire? – che seguito ha?); b) del gruppo-classe: atteggiamento generale degli studenti (disturbano, prevalentemente attenti, silenziosi ma disinteressati) – la classe costituisce un gruppo amalgamato – è divisa in gruppi (che si ignorano, che sono in antagonismo) – altri bisogni espressi dagli studenti:.. 2. Soluzioni da adottare per risolvere i problemi di comportamento a) Gestire la lezione in modo tale da diminuire le situazioni problematiche per mezzo di lezione attiva. lezione tenuta ad alto ritmo, lezione fondata sul divertimento e la sfida, lezione che rende significativo ciò che si fa in classe – durante la lezione l’insegnante deve: incoraggiare senza lodare, riprendere senza scoraggiare (non etichettare né in positivo né in negativo), chiarire le aspettative (diritti degli studenti, degli insegnanti, regolamento di classe ispirato a quello d’Istituto) b) soluzioni coercitive: poche minacce (ma mantenute: compiti a sorpresa, note, altro…) - obbligare a rendere conto in modo continuativo e pressante/ritirare i quaderni al termine di ogni ora, uso diffuso di valutazioni formative, altro…) punizioni esemplari (convocazione dei genitori, sospensioni, altro,…)
Il regolamento di classe, discusso e formalizzato con gli studenti, renderà poi chiaro scopi e mezzi delle procedure (e concordia educativa dei docenti).
4. Rapporti con i genitori Le attese alimentate dai ‘grandi progetti’ di collaborazione degli anni ’90 si sono via via confrontate con situazioni in cui emergevano15 incertezze circa i fini e gli obiettivi da perseguire, scarsa padronanza degli strumenti della comunicazione e della gestione di situazioni simboliche e complesse, scarsità di risorse economiche e di poteri, soprattutto da quelli offerti alle componenti non professiona14
v. ad es.P.Scorzoni,Rinnovare i Consigli di classe per aumentarne l’efficacia: www.abilidendi.it/materiale RinnovareConsiglioClasse.pdf 15 v. L. Corradini, I grandi ‘progetti’ degli anni ’90 - giovani, genitori, ragazzi : www.portaledibioetica.it/documenti/001418/001418.htm
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li. Gli insegnanti lamentano invadenza e incompetenza, i genitori chiusure e preclusioni ideologiche e burocratiche. Poco da decidere, poche risorse da impegnare, molta fatica relazionale per ottenere risultati modesti e talora controproducenti. Questa sembrano a molti genitori (e a molti insegnanti) le poco esaltanti prospettive della partecipazione scolastica.
Tutto ciò ha indebolito le ragioni della mediazione pedagogica che avrebbe dovuto permettere la costituzione di salde comunità educative; anzi, ha reso accidentati, poco partecipati e produttivi i rapporti tra scuola e famiglia. Per parte loro, gli studenti, e i loro genitori, soprattutto nella classi più alte, tendono a disertare. E anche questo non proprio senza ragione: i ragazzi sanno bene che le questioni con i professori, se disponibili al dialogo, si risolvono quando si pongono, in classe o in corridoio; se indisponibili, poco giova anche la convocazione del consiglio. I genitori, quando pure ritengono di occuparsi ancora della scuola dei figli, preferiscono farlo nel colloquio individuale. Nella scuola primaria e secondaria inferiore i genitori sono più presenti, ma per lo più delusi dagli spazi ristretti a loro riservati: nei primi anni della costituzione degli organi collegiali si erano attribuiti, a ragione o a torto, un compito di verifica e di indirizzo più ampio anche di quello pensato dal legislatore e tendenzialmente ridotto nel corso degli anni. L’intesa fra le diverse componenti è necessaria per il buon funzionamento dell’istituzione, ma il rischio delle prevaricazioni è inevitabile e le tensioni riducono le motivazioni professionali dei docenti e possono scatenare presunzioni del tutto inopportune (U. Basso, Dalla collegialità alla autonomia: che cosa
rimane?, Rivista lasalliana, 2007/3, p. 363).
4.1 Motivi di una comunicazione problematica Famiglia e scuola – la prima per diritto-dovere naturale e costituzionale, l’altra per compito istituzionale – costituiscono micro-sistemi sociali con finalità educative e regole complementari, non identiche. Molte delle difficoltà di rapporto nascono, com’è stato accennato sopra, dalla confusione dei ruoli; altre sono riconducibili a situazioni sociali e culturali determinatesi in tempi relativamente recenti, fra le quali: ● per entrambe: il moltiplicarsi di agenzie ‘educative’ parallele (mezzi multimediali e dalle forme di aggregazione giovanile più o meno precarie) dotate di potenti mezzi di persuasione e di seduzione nel proporre modelli valoriali spesso aberranti; ● per la famiglia: impoverimento affettivo-relazionale dovuto sia alla mononuclearità sia alla eterogeneità degli indirizzi educativi, che vanno dal permissivismo anarcoide all’autoritarismo e si trasformano in attese differenti nei confronti della scuola: alcune famiglie esigono maggior disciplina e severità, altre più comprensione;alcune chiedono maggiori quantità di conoscenze, altre più spazio alla creatività, altre ancora maggior spirito critico; ce ne sono che delegano tutto alla scuola, a fronte di altre invadenti e perpetuamente sul piede di guerra; ● per la scuola: arduo rapporto culturale con il futuro, complicato dalla vastità, velocità e complessità dei cambiamenti socio-economici (cosa va conservato e trasmesso? Quale identità va custodita in tempi di accentuato pluralismo?); difficile rapporto di vera collaborazione – educativa e didattica – nei team docenti, dovuto alle cause che abbiamo riassunto al punto 3.1. I rapporti tra scuola e famiglia, dicono gli psicopedagogisti, possono essere definiti di
asimmetria alternata, nel senso che le responsabilità e il peso delle iniziative non so-
no una prerogativa dell’uno o dell’altro micro-sistema, ma devono ispirarsi a criteri di
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sostanziale, aperta e costruttiva azione sinergica. È opportuno aggiungere che tali rapporti possono essere condizionati dal soggetto-oggetto dell’azione educativa – il figlio-allievo –, abitualmente e non infrequentemente unico tramite tra genitori e insegnanti. Tralasciando le forme deteriori di tale liaison (ad es. insabbiamento di comunicazioni, di informazioni, di convocazioni; falsificazione di firme e di permessi,…) e solamente accennando alle involontarie infedeltà dei resoconti bidirezionali, occorre sottolineare che tale ‘mezzo’ di collegamento contraddice e può compromettere a fondo la comunicazione fra le due agenzie educative allorché il figlio-allievo funge da…ambasciatore – talora compiaciuto – della guerriglia tra adulti (‘Di’ al tuo insegnante che…’ – ‘Riferisci pure ai tuoi, che …’). 4.2 Senso e forme di una comunicazione costruttiva Va innanzitutto osservato che scuola e famiglia compiono, nell’interesse del figlioallievo, un cammino che parte da situazioni opposte (non contrapposte), tra le quali si pongono tre aree di interventi educativi della personalità - delle relazioni - dell’istruzione. ● La prima, riassumibile nell’espressione oggi corrente del saper essere, compete innanzitutto alla famiglia, ma deve trovare necessarie integrazioni nella scuola. Riguarda gli aspetti della graduale, armonica costruzione di una personalità equilibrata sotto l’aspetto emotivo (autostima e automotivazione, autocontrollo e perseveranza, …)16. ● La seconda attiene all’inserimento graduale e armonico nella vita associata, vale a dire all’ampliarsi dei rapporti interpersonali ad ambiti più vasti e, sotto certi aspetti, potenzialmente traumatici (emarginazione/prevaricazione, gregarismo/bullismo). È compito solidale di scuola e famiglia; ma alla scuola competono attenzione e responsabilità maggiori, considerato che in quella sede avvengono le esperienze più significative e prolungate. ● La terza, che può essere sintetizzata nelle espressioni sapere e saper fare, corrisponde al compito istituzionale della scuola - l’istruzione17 -, ma deve trovare l’appoggio illuminato delle famiglia, oltre che tener presenti le due dimensioni precedenti, che chiaramente influiscono sull’esito finale Già si è rilevato18 che nei rapporti tra scuola e famiglia, le perplessità, i timori e le paure dei genitori appaiono talvolta speculari e talaltra complementari con quelli degli insegnanti. Per stabilire una comunicazione efficace perché costruttiva, occorre che siano chiari gli scopi e i contenuti, i canali e il linguaggio. La responsabilità di elaborarli e di proporli spetta alla scuola, che ‘gioca in casa’. Per scuola qui va intesa la singola istituzione, in grado di adeguare proposte e progetti generali19 alle esigenze della propria utenza. Strumenti ne sono il POF, che deve prospettare scopi e contenuti dell’offerta formativa, e la funzione obiettivo in esso contenuta, che riguarda le forme di rapporto e di collaborazione con i genitori di una specifica istituzione in situazioni concretamente accertate. Questo implica: 16
v. sopra al punto 2.1, le annotazioni relative ad aiutare l’allievo a crescere come persona. A questo punto andrebbe chiarito che non si può dare istruzione senza educazione, cioè proposta di valori. 18 v. Rivista lasalliana, 2008/1, pp 49ss. 19 v. ad es. MIUR, Direzione generale per lo studente, Ufficio III, Progetto “Genitori e scuola”, www.istruzione.it/ scuola_e_famiglia/genitori_scuola.shtml 17
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● nel team dei docenti una sostanziale condivisione di valori e di metodi, che si traduce in proposte e azioni coerenti e coordinate nelle tre aree di cui si è detto; ● da parte dei genitori la libera, esplicita accettazione del POF e delle proposte esplicitate nella funzione obiettivo debitamente aggiornate. La loro collaborazione attiva assume l’aspetto e l’impegno di un contratto che entrambe le parti sono tenute a onorare secondo ruoli e competenze specifici20. Gli istituti comprensivi prospettano alle famiglie una coerenza d’impostazione educativa e un coordinamento di proposte, di azioni e di servizi che coprono l’intero arco dell’istruzione obbligatoria. Va naturalmente tenuto conto dell’inevitabile parabola discendente che, in corrispondenza con l’avanzare dell’età dei figli, porterà la maggior parte delle famiglie a essere sempre meno presenti a scuola. Riprendendo il discorso delle tre aree, possiamo accennare a qualità e difetti della comunicazione che l’esperienza di questi anni ha fatto emergere: ● Area della personalità: è il livello che esige maggior disponibilità e intesa educative da parte degli adulti – genitori e insegnanti – perché richiede l’attenzione alle vere esigenze della persona cui sono rivolte, esposta ai rischi della clonazione e del plagio. Caratteristiche della buona comunicazione sono: * linguaggio chiaro, in particolare da parte dei docenti, portati talvolta a usare terminologie per iniziati; * accessibilità dei colloqui, per collocazione e durata; *comunicazione tempestiva delle situazioni di difficoltà o di sofferenza; * intento costruttivo, che significa rispetto, concretezza, desiderio di aiutare, suggerendo soluzioni non solo esponendo difficoltà o attribuendo colpe. ● Area delle relazioni: riguarda i temi che interessano sia le singole comunità scolastiche (classi, consigli e assemblee di classe) alla ricerca delle migliori forme di conoscenza reciproca e di intesa e agli argomenti organizzativo-educativi di comune interesse. Si estende poi a temi di interesse più generale - di corso e d’istituto - per l’illustrare il POF, aggiornare sugli obiettivi comuni e sulle problematiche giovanili e familiari d’oggi. ● Area dell’istruzione, che non può essere limitata ai contenuti - la cui acquisizione è ovviamente da finalizzare alla realizzazione delle valenze personali - perché, come ricorda il Pellerey21: ”...lo vogliano o no, le scuole insegnano comunque principi e
norme morali (…) con il curricolo implicito dato dall’atmosfera generale vissuta, dai comportamenti dei docenti e dei dirigenti, dal sistema di relazioni personali e istituzionali sviluppato”. Informatica e telematica , che sono efficaci strumenti di comunicazione informativa, non possono di sicuro sostituirsi al colloquio e alla partecipazione personali, che hanno finalità formative.
20 E qui andrebbe rivendicato l’autentico diritto alla scelta della scuola che, riconosciuto formalmente, è in pratica sottratto alle famiglie che non hanno sufficienti mezzi economici. 21 M. Pellerey, L’agire educativo, LAS, Roma 1998.
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Forniscono però in tempo reale e in modo oggettivo molti degli elementi utili per incontri fondati su elementi conosciuti ed inequivoci. Ad es. i genitori, in collegamento assolutamente esclusivo e protetto, possono essere tenuti al corrente delle assenze, dei giudizi e delle valutazioni, delle comunicazioni e delle convocazioni; è così loro possibile fondare il colloquio su dati conosciuti e già esaminati. Sempre consultabili tutti gli aspetti e gli elementi che riguardano in generale la vita della scuola: orari e programmi, comunicazioni e sondaggi, iniziative e verbali,…
5. Per (non) concludere Com’è noto, l’analisi transazionale prende in considerazione gli aspetti della comunicazione, con particolare riguardo a quella verbale. Ne deduce informazioni sulle quali è possibile basare una terapia – e/o un’autoterapia – rivolta a eliminare gli elementi che possono risultare disturbanti nella vita psichica o affettiva di una persona in relazione.22 Le più comuni ‘posizioni esistenziali’ descritte corrispondono a situazioni che, con linguaggio corrente, potremmo definire ok o non ok. Sono utili anche per la revisione dei propri comportamenti, a proposito dei quali va ricordato che ogni processo di crescita individuale inizia con la comprensione che ‘noi’, prima di tutti gli altri e nel nostro interesse, dobbiamo cambiare qualcosa della nostra vita. Riprendiamo in altri termini i quattro stili-qualità, cui abbiamo accennato (v. 1.2: modalità di rapporto). ● Io non sono ok, gli altri sì (modalità passiva). Chi pensa o si esprime così si sente inferiore agli altri e tenderà alla depressione. E’ difficile da trattare e difficilmente chiederà aiuto. Gli insegnanti con una bassa autostima tendono a essere più punitivi, impazienti e autoritari, a concentrarsi sulle debolezze degli studenti e sulle inadeguatezze vere o presunte dei genitori. Ispirano timore e fanno scattare meccanismi difensivi. Incoraggiano la dipendenza23. ● Io sono ok, gli altri no (modalità aggressivo-diretta): posizione mentale di fondamentale diffidenza, che porta a invalidare consigli e suggerimenti, considerandoli – senza necessità di appurarlo onestamente – disinformati o interessati. Si traduce in atteggiamenti ipercritici, dovuti a cronica insoddisfazione. È l’atteggiamento che maggiormente ostacola ogni rapporto. ● Io non sono ok, gli altri neppure (modalità aggressivo-indiretta): situazione psicologica in cui prevalgono paura e scetticismo; spesso maschera l’indisponibilità e/o l’incapacità ad affrontare situazioni e problemi. Si traduce in atteggiamenti di marginalità volontaria e rancorosa. L’insegnante con bassa autostima di se stesso accetta come ineluttabile la sudditanza a chi ritiene più forte e inconsciamente lo trasmette insieme con il risentimento.
22 23
v. Elementi di analisi transazionale, www.viveremeglio.org/psicolog/anatran1.htm v. Nathan Branden, I sei pilastri dell’autostima, Corbaccio 2004, p. 247.
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● Io sono ok, anche gli altri lo sono (modalità assertiva): atteggiamento mentale e indirizzi d’azione di chi si sforza di valutare con obiettività pregi e difetti, ma è disposto a considerare soprattutto gli aspetti positivi di situazioni e di persone: “Quello che hanno in comune un bravo insegnante, una bravo genitore, un bravo psicoterapeuta, un bravo allenatore è una profonda fiducia della persona di cui si occupano, la convinzione che quella persona sia capace di essere e di fare, è l’abilità di trasmettere questa convinzione quando interagiscono con la persona in questione.” 24
Non è difficile stabilire quale dei quattro atteggiamenti vorremmo assunti dalle persone con cui trattiamo. Con buona probabilità, sono gli stessi che gli altri vorrebbero riscontrare in noi.
24
N. Branden, op. cit., p. 249.
PROFESSIONE DOCENTE
RivLas 75 (2008) 2, 225-231
C’è spazio per educare alla legalità Ugo Basso
Docente di Scuola Secondaria
T
utti osserviamo, probabilmente con qualche sconcerto indipendente dalle personali posizioni ideologiche, le conseguenze nella vita della comunità civile del nostro paese della scarsa attenzione alla legalità e della disinformazione sulle istituzioni politiche. Fra le conseguenze sotto gi occhi di tutti: da una parte il cosiddetto bullismo, purtroppo talvolta anche all’interno delle scuole; dall’altra il disinteresse per la politica, obiettivamente lontana dai cittadini perché gestita da figure con forte presenza mediatica, ma culturalmente modeste, in molti casi oggetto di indagini della magistratura e spesso interessate alla cosa pubblica solo alla ricerca di vantaggi personali. Occorre dare ai cittadini gli strumenti per pretendere altri comportamenti dai loro rappresentanti. Non dobbiamo ritenere la scuola causa di ogni male, ma neppure chiamarla assolta per le carenze nella formazione dei giovani: ancora oggi, mentre scrivo, 29 gennaio 2008, leggo sul Corriere un’intervista con Elena Besozzi, sociologa e docente dei processi culturali, in cui sostiene che la nostra scuola, a suo giudizio debolissima, ha gravi responsabilità nei disordini notturni come nell’uso della droga. La scuola, a suo dire, non riesce a convincere i giovani del dovere del rispetto perché non riesce a dare regole e farle applicare.
Legalità per la qualità della vita Intendiamo per legalità l’impegno a vivere secondo la legge, con la convinzione che alla pratica della legalità è connessa la qualità della vita per tutti e quindi il prezzo da
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corrispondere è non è perduto. La costituzione americana si dichiara espressamente anche strumento per la ricerca della felicità di ciascuno: dunque chi la rispetta raggiunge la felicità o almeno ne imbocca la strada. La nostra carta pare meno ambiziosa, ma è chiaro il presupposto che la sua applicazione favorisce un incremento della qualità della vita, premessa alla felicità, nel senso più ricco di realizzazione e completezza della persona. Dobbiamo essere convinti di questo, proprio mentre ci accorgiamo con preoccupazione che fra i giovani, e purtroppo non solo fra loro, la legalità non è un valore perseguito e, peggio, spesso neppure condiviso. Da questa convinzione scaturisce l’impegno all’educazione alla legalità proprio in questo momento di confusione anche a livello di valori nel quale può essere perfino difficile individuare obiettivi universalmente accettati: riescono a diventare occasione di divisione e di scontro perfino il fondamento antifascista dello stato, l’accoglienza degli stranieri, la pluralità dell’informazione o addirittura l’unità della repubblica. Purtroppo ho ragione di dubitare che anche in istituti confessionali questi valori siano per tutti fuori discussione, ma certo non sono condivisi da tutti i genitori e gli studenti delle scuole statali. Forse proprio in questo travagliato tempo l’educazione alla legalità, con il rammarico di non averlo fatto anche prima, potrebbe diventare uno strumento per ricostruire un tessuto politico condiviso, per imparare a distinguere la ricchezza del confronto fra posizioni diverse dalla necessità di rispetto delle regole. Occorre riuscire a convincere anche i giovani che non si scandalizzano di chi sistematicamente esclude la legalità dal proprio comportamento a percepirla non solo come valore astrattamente morale, ma anche come concreto fattore di sviluppo e di una vita migliore per tutti e per ciascuno. La indubbia difficoltà di costruire un discorso sull’educazione alla legalità non può essere pretesto per evitarla, per non ragionarci e non definire alcuni obiettivi e individuare metodi in una duplice direzione: la prima è la conoscenza delle leggi a partire dalla costituzione della repubblica; la seconda è la formazione di un costume che diventi vissuto quotidiano nel comportamento e nella valutazione critica dell’informazione, diventi per ciascuno un’irrinunciabile seconda pelle.
La cultura dell’illegalità Prima di presentare alcuni strumenti necessari e praticabili nella scuola per l’educazione alla legalità, ripercorro le ragioni che in qualche modo favoriscono comportamenti illegali nei giovani attraverso una realistica analisi proposta in una serie di conferenze tenute proprio agli studenti in diverse città d’Italia dal procuratore generale della Repubblica di Torino Giancarlo Caselli, noto per il suo impegno nella difesa dei valori costituzionali e nella lotta contro le mafie. Nella percezione della vita civile di un giovane di oggi vi sono molti elementi - che l’alto magistrato definisce virus - che possono indurre a convivere con l’illegalità e anche a trarne vantaggi personali. Partiamo dalla constatazione che comunque fanno tutti così e che per lo più, a causa delle lentezze e deformazioni tante volte denunciate nel nostro sistema giudiziario, chi sbaglia non paga: in questo contesto diventa più difficile chiedere a un giovane impegno alla ricerca del rigore, magari con rinunce,
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quando pare sia normale e premiato che gli interessi individuali prevalgano su quelli collettivi e sociali. Questo clima di illegalità è favorito dalla politica dei condoni fiscali e ambientali, delle amnistie e degli indulti, tutte leggi che di fatto azzerano o riducono drasticamente le conseguenze penali di reati che la certezza del diritto deve sanzionare. E ancora dobbiamo dire delle leggi personali, cioè rivolte a vantaggio esclusivo di una persona o un piccolo gruppo, divenute prassi parlamentare in anni recenti e delle collusioni di politici illustri con organizzazioni malavitose denunciate anche dalla magistratura, senza che suscitino indignazione nell’opinione pubblica. Ancora terreno favorevole all’illegalità è la esasperata ricerca del successo personale a qualunque costo, alimentata dalle reti televisive commerciali come da quelle pubbliche attraverso trasmissioni seguitissime come il Grande fratello o infiniti banali quiz. Popolano l’immaginario giovanile figure umane artificiali, costruite anche con l’uso di sostanze chimiche e di strumenti chirurgici; si esaltano i successi della competitività aggressiva piuttosto che della partecipazione e della collaborazione. Trova così consenso la cultura della sopraffazione che favorisce il dilagare di comportamenti mafiosi, cioè finalizzati all’affermazione personale senza riguardo per nulla e per nessuno, considerando da rimuovere senza remore di sorta ogni ostacolo all’affermazione di sé e al guadagno personale. Il prezzo per ottenere questo può giungere alla riduzione in schiavitù dell’altro, sia connazionale o straniero, con condizioni di lavoro insopportabili e retribuzioni da fame; alla prostituzione coatta fino, quando occorre, all’eliminazione fisica.
Vantaggi per pochi, male per tutti Per avviare una efficace educazione alla legalità, occorre convincersi e convincere che proprio le illegalità determinano guasti dannosi per tutti, mentre, al contrario, comportamenti ispirati alla legalità creano una vita migliore per ciascuno e tutti ne possono trarre vantaggi. La corruzione crea ingiustizia, insicurezza e impoverisce perché sottrae ricchezze: denari pubblici distratti della loro destinazione per finire in casseforti private sottraggono risorse a chi ne ha necessità (ospedali, scuole, edilizia pubblica…) e perché una costruzione abusiva non garantisce sicurezza a chi la abita e può fare gravi danni compromettendo per sempre un ambiente naturale; un posto di lavoro attribuito per raccomandazione nega il diritto a chi lo merita e, se si tratta di posti che richiedono precise competenze, la loro assenza potrebbe tornare a danno di chi di quelle competenze dovrà valersi (pensiamo a un medico, a un insegnante…). Caselli tocca specificamente il problema delle mafie che controllano, come risulta dalla cronaca quotidiana, alcune parti del territorio nazionale e la cui influenza tende ad allagarsi a zone storicamente ritenute immuni. In particolare nel Mezzogiorno le mafie producono condizioni di vita difficili e il controllo dell’economia da parte delle organizzazioni malavitose sostenute da complicità politiche impedisce lo sviluppo e rende la vita rischiosa non solo per chi vi è direttamente coinvolto. La diffusione delle droghe distrugge i giovani, devasta la loro salute e gli nega speranza di vita a esclusivo vantaggio dell’arricchimento dei mafiosi. Le grandi scelte economiche vengono condizionate dagli interessi privati dei capiclan e gli investimenti destinati all’utilità pubblica finiscono in patrimoni privati riutilizzati per il commercio di droga e armi e
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per sostenere organizzazioni malavitose. Il lavoro clandestino, non adeguatamente retribuito e privo delle più elementari tutele, determina morti sul lavoro e toglie la speranza di un miglioramento economico per chi lo esercita, salvo che accetti di assumere un ruolo nell’organizzazione. Infine la sicurezza urbana: il problema, in parte enfatizzato dai media anche per ragioni politiche, è comunque una delle grandi illegalità con cui siamo costretti a convivere. Protagonisti sono spesso i giovani, negli stadi come nei furti e nella violenza sessuale: alla ricerca appunto di affermazioni individualistiche, di successo e di ricchezza; alla ricerca di piacere che ignora l’altro come essere umano portatore a sua volta di dignità e di diritti e talvolta, come per l’uso di sostanze stupefacenti, con danni anche per chi pensa di trarne vantaggio.
Individuare qualche strumento Il quadro, confermato anche dal quotidiano in edicola questa mattina, sia nella dimensione manifestamente malavitosa sia nella debolezza della coscienza politica, è scoraggiante e fa riflettere sulla impotenza dei mezzi di contrasto di cui la scuola dispone. Per fortuna non tutti gli istituti si trovano a fronteggiare realtà drammatiche, ma se non è lecito ignorare il clima diffuso, occorre mantenere fiducia nell’azione educativa. Sappiamo bene che, pur senza bacchette magiche, la quotidiana presenza fra i ragazzi, se sostenuta dalla convinzione di poterci riuscire e attraverso l’uso di strumenti idonei, qualche risultato può ottenerlo. Alcuni esempi. Innanzitutto lo stile personale con cui il docente si rapporta ai ragazzi: a partire dalla puntualità con cui presentarsi e da esigere, fino alla trasparenza e alla motivazione dei giudizi; dal modo di effettuare i richiami all’impegno a non lasciare mai perdere di sottolineare mancanze e scorrettezze, anche con cordialità, ma illustrando il danno che il cattivo comportamento di un individuo, dal non partecipare al lavoro di gruppo fino al sottrarsi alle verifiche, porta alla classe. E ancora il rispetto sempre per tutti all’organizzazione della vita della classe e dimostrando nella pratica come la concertazione in ogni aspetto della vita scolastica sia costruttiva di un clima di collaborazione. Naturalmente quanto si è concertato dovrà essere fatto rispettare, come regola della convivenza e magari definito in una sorta di “carta della classe” dopo aver preso visione del regolamento di istituto e, se è stata pubblicata, della carta dei servizi della scuola. Altri esempi di strumenti immediatamente utilizzabili sono, soprattutto, ma non esclusivamente, per le materie umanistiche, la scelta dei libri di testo - manuali di letteratura, di storia, di filosofia, ovviamente di religione cattolica per chi se ne vale - attenti ai problemi del rispetto e della legalità e la scelta delle opere di narrativa e di filosofia: ricordo che la narrativa, se godibile senza eccessive difficoltà, è uno strumento efficace per suscitare interessi e favorire dibattiti che saranno poi incoraggiati per il confronto delle posizioni in cui anche il docente deve mettersi in discussione e si impegna ad argomentare le proprie posizioni cercando di farsi autorevole e rinunciando a essere autoritario. Nella stessa prospettiva può essere utilizzata la lettura dei giornali quotidiani, o la raccolta di dossier di articoli su argomenti individuati come di interes-
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se comune: possono diventare palestre di analisi e di discussione, di confronto per osservare stili virtuosi e comportamenti deplorevoli, anche in campo internazionale. Ancora importante può essere l’attività di progetto praticata in molte scuole: non è bene che riduca o peggio escluda il sistematico apprendimento disciplinare, ma può introdurre un’esperienza di lavoro molto efficace per affrontare problemi usualmente estranei ai programmi scolastici tradizionali, ma di grande richiamo attuale. E interessante diventa il metodo di lavoro per la realizzazione del progetto che richiede un rapporto diverso fra il docente e gli studenti e magari qualche genitore che, senza venir meno al ruolo di adulto, lavorano diversamente con i ragazzi. E ancora si può familiarizzare con strumenti meno scolastici: non solo il computer ormai ampiamente acquisito alla pratica didattica, ma la fotografia, l’intervista, la consultazione di archivi e altri che la necessità e la fantasia possono di volta in volta suggerire. Ne deriva la necessità di stabilire un’organizzazione del lavoro con ruoli e responsabilità da inventare e attribuire, regole insomma, che richiedono impegni e controlli non sentiti come imposizioni. Tutto questo può rivelarsi anche efficace per motivare al lavoro comune ragazzi poco coinvolgibili dagli strumenti tradizionali Strumenti per l’educazione alla legalità di cui valersi negli istituti secondari superiori sono anche gli organi collegiali di gestione della scuola. Ne avevamo illustrato il funzionamento con pregi e limiti nell’articolo Dalla collegialità all’autonomia pubblicato da Rivista lasalliana del luglio-settembre 2007: si era detto che si tratta di strumenti molto consumati, che hanno in gran parso le attrattive con cui erano stati introdotti. Credo difficile nelle condizioni politiche attuali immaginarne una rivitalizzazione, tuttavia anche nello stato attuale rappresenta un insegnamento per i ragazzi riconoscere che esistono degli organi di rappresentanza i cui membri sono eletti. Si attiva così un meccanismo elettorale al quale partecipare con impegno e attraverso un sereno confronto di posizioni. Nel momento elettorale si vive un’esperienza di elezione appunto, dalla formazione delle liste alla costituzione dei seggi, allo spoglio delle schede alla verifica della funzionalità del sistema elettorale, alla proclamazione dei risultati.
Una materia trascurata da cinquant’anni Nell’ambito scolastico comunque lo strumento principe per l’educazione dei giovani alla legalità e alla partecipazione politica è l’insegnamento dell’educazione civica, materia affidata in ogni ordine di scuole al docente di storia. La pressoché totale assenza di questa materia dalla prassi didattica è una ferita alla nostra democrazia, una deprivazione alla sovranità dei nostri giovani, ai quali viene negato uno strumento essenziale per l’esercizio del loro diritto al voto e per la comprensione del funzionamento della pubblica amministrazione che li riguarda in tanti aspetti della vita. I programmi di educazione civica, articolati per anno di corso nei diversi indirizzi di studio, non si limitano alla Costituzione, ma la conoscenza del documento fondamentale della nostra repubblica ne è certo il riferimento principale. Come potrebbe curare l’applicazione della Costituzione, difenderla, sentirsene difeso, discuterne con cognizione di causa eventuali proposte di revisione chi ne ignora presupposti, fondamenti e contenuti? Ignorare la Costituzione, pretendersi discosti dalla
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politica significa essere meno cittadini e più sudditi; significa, al momento delle elezioni, farsi condizionare dall’emozione, dall’efficacia propagandistica, dalla carismaticità dei leader, piuttosto che esprimere una scelta motivata dall’analisi dei programmi e dalla valutazione delle conseguenze del voto. Non conoscere il lessico della politica, i termini essenziali del linguaggio giuridico istituzionale impedisce la lettura della stampa quotidiana e perfino l’ascolto consapevole dei notiziari radiotelevisivi. E mi auguro infondato il timore che alcuni insegnanti condividano questa ignoranza con i loro allievi. La grande maggioranza degli studenti conclude il ciclo di studi secondari superiori avendo votato almeno una volta: la scuola non è evidentemente l’unica agenzia di formazione politica, ma è la più sistematica, la più competente, offerta a tutti e dovrebbe essere la più interessata alla formazione del cittadino, ovviamente non per indottrinarlo, ma per fornirgli gli strumenti della scelta. Ecco quindi l’urgenza di un richiamo all’insegnamento di una materia che la legge impone obbligatoria fin dal 1958, quando ministro della pubblica Istruzione era Aldo Moro. La premessa di quella legge pone l’accento sulla necessità che la scuola “acquisti nuova virtù espansiva, aprendosi verso le forme e le strutture della vita associata” e afferma, in un linguaggio con il sapore del suo tempo: “le singole materie di studio non bastano a soddisfa-
re tale esigenza […] Può accadere infatti che l’allievo concluda il proprio ciclo scolastico senza che abbia piegato la mente a riflettere, con organica meditazione, sui problemi della persona umana, della libertà, della famiglia, della comunità, della dinamica internazionale”. Credo che anche nella nostra società, assai più complessa e meno coesa di quella degli anni cinquanta, un insegnamento di questa fatta mantenga una centralità da recuperare. Forse se questi programmi fossero stati applicati lungo i decenni del mezzo secolo in cui sono in vigore, milioni di cittadini formati alle responsabilità politiche avrebbero risparmiato al paese avventure ben poco felici, avrebbero rifiutato, per un esempio attualissimo, un sistema elettorale che espropria i cittadini della facoltà di scegliere le persone a cui affidare la propria rappresentanza.
Educazione civica da riqualificare Nei decenni che ho vissuto da insegnante ben raramente ho incontrato nei programmi di storia anche redatti per l’esame di stato precisi riferimenti all’educazione civica o che comunque facessero esplicito riferimento alla Costituzione: ma neppure nessuno dei diciotto ministri che si sono succeduti all’Istruzione - uomini e donne diversi per posizione politica e per temperamento - si è mai impegnato a dare a questa materia la sua centralità. Un incentivo indiretto potrebbe essere nella disposizione che dal 1995 impone per l’ultimo anno di ogni ciclo scolastico lo studio del Novecento, pur senza esplicito richiamo alla Costituzione: non mi pare che le cose siano molto cambiate. Basterebbe la certezza che ogni anno per l’esame finale una delle tracce ministeriali porta riferimenti diretti alla costituzione per indurre gli insegnanti di storia a costruire un’informazione sull’argomento e gli studenti a non rifiutarla.
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È vero che non si può chiedere tutto alla scuola e che essa non è in condizione di accollarsi tutto quello che può essere utile per la crescita dei ragazzi, dall’educazione sessuale al patentino per i motorini, ma l’educazione civica resta la struttura portante per la formazione del cittadino. Molti insegnanti giustificano la rinuncia all’insegnamento di questa materia con la ridondanza dei programmi di storia: il problema è assolutamente reale, soprattutto per gli indirizzi che prevedono per la storia solo due ore alla settimana. Resta comunque la necessità di creare una scaletta di priorità e mi pare che fra qualche ulteriore riduzione nel percorso storico e la consapevolezza del nostro tempo non dovrebbero esserci dubbi. I problemi anche di tempo sono comunque reali, ma talvolta ad accantonare queste scelte non sono la mancanza di tempo o il presunto disinteresse dei ragazzi, ma la nostra preparazione di insegnanti di lettere o di filosofia che già consideriamo la storia al limite delle nostre competenze e l’educazione civica, con il linguaggio giuridico che comporta, del tutto estranea. Non mancano però gli strumenti di informazione che farebbero anche dei docenti cittadini più consapevoli e responsabili. L’educazione civica è comunque una materia tipicamente trasversale e può offrire argomenti per lo scritto in italiano, per la terza prova scritta ed essere suggerita in qualche aspetto per l’introduzione al colloquio dell’esame di stato, senza comunque escludere, pur nel previsto limite delle due ore mensili, un programma autonomo e una verifica puntuale degli apprendimenti utilizzando anche testi specifici a seconda dell’ordine di scuola. Con un forte invito all’impegno e alla speranza in un tempo in cui sperare pare difficile, mi piace chiudere nel nome di Lorenzo Milani, che dell’insegnamento della costituzione ha fatto un pilastro della sua scuola di Barbiana. Quell’esperienza non è esportabile, ma molti suggerimenti sono ancora preziosi a distanza di anni, come dimostra la processione alla tomba di don Lorenzo di politici poco credibili, ma che immaginano di trovar consenso in quel gesto. Si legge nella Lettera a una professoressa che la mamma di Giampiero riferisce alla sua insegnante che alla sera vede leggere il bambino che va al doposcuola: “Leggere? Sa cosa legge? La Costituzione!
L’anno scorso aveva per il capo le ragazzine, quest’anno la Costituzione”.
PROFESSIONE DOCENTE
RivLas 75 (2008) 2, 232-236
La pedagogia e il cuore
Rievocando l’ideale pedagogico di Tagore Anna Lucchiari
Scrittrice, già Segretaria gen. dell’Associazione Educatrice Italiana
H
o scoperto la pedagogia lasalliana tardi, quando il destino, o meglio la mano del Signore, mi ha posto alla guida dell’Associazione Educatrice Italiana, nata dai Fratelli delle scuole cristiane. Me ne sono innamorata per tutte quelle cose che il professore F. Edgard Hengemüle mette in risalto nella sua ultima opera e che giustamente la Rivista lasalliana 1/2008 riporta. La Salle, in un mondo che non era ancora pronto a capirlo, voleva una educazione che fosse universale, integrale, cristiana. Voleva che al centro di tutto vi fosse l’alunno da far crescere nei vari ambiti e dimensioni della sua persona: nel fisico, nell’intelletto, nelle relazioni affettive, nel sociale, nell’etico-morale e nello spirituale. Sorprendente per il tempo in cui vive, il Sei-Settecento francese, ed in esso il santo Educatore si colloca come un sole splendente che non ha mai cessato di diffondere calore. A volte il buon Dio ci manda delle personalità illuminate perché rischiarino la strada dei comuni viandanti come noi e ce ne sono state alcune, importanti nel nostro mondo e nella nostra cultura come in contesti più lontani da noi. L’inizio del Novecento ce ne regala uno che mi è particolarmente caro perché si è dedicato tutta la vita alla ricerca di una “poesia universale”, perché ha messo in gioco tutto se stesso in un infaticabile impegno culturale, pedagogico e sociale. Mi riferisco a Rabindranath Tagore (Calcutta 6.5.1861 – Jorasamko 7.8.1941), premio Nobel per la letteratura (1913), ma anche e soprattutto, nella fase matura della sua vita,
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creatore e promotore di una scuola che doveva avere, ed ebbe realmente, come obiettivo, la capacità di bussare alla mente dei giovani, ma anche al loro cuore.
1.
Tagore è l’ultimo di una schiera di quattordici figli e cresce in una famiglia che contava da molte generazioni personalità di grandissimo rilievo in ogni settore. Per i primi anni viene educato da precettori privati, in famiglia ma, ad un certo punto, dopo il compimento dei dieci anni il padre, per consentire al figlio di perfezionare la sua educazione, lo iscrive in un istituto tenuto dai Gesuiti belgi di Calcutta. Più tardi, quando avrà già deciso di occuparsi della scuola e della educazione, scriverà ricordando quella esperienza:
La scuola mi appariva come una prigione dell’intelligenza, buona solo a produrre pappagalli ammaestrati. Con un’aria di sapienza severa e disdegnosa essa allontana con forza la gioventù da un mondo pieno del mistero dell’opera di Dio. È un mero sistema disciplinare, una fabbrica per produrre risultati uniformi. Dopo altre esperienze, a volte subite con sofferenza, a volte percorse con vero e proprio spirito d’avventura e con passione, parte per l’Inghilterra dove frequenta per un anno e mezzo l’University College di Londra. Poco dopo il suo rientro, si sposa e suo padre lo nomina “Sovrintendente” dei possedimenti che la famiglia aveva lungo il Gange. Di questo incarico che assolverà fino al 1895 e che gli richiede interminabili e lenti spostamenti lungo il fiume, troviamo traccia nelle numerose note che scrive durante i silenziosi tragitti, vivendo per lo più dentro queste imbarcazioni fluviali. Si tratta di annotazioni, riflessioni, poesie, dalle quali negli anni seguenti trarrà spunto per le opere che poi lo renderanno famoso. Tagore soleva spesso dire che doveva essere grato a suo padre e a quel periodo perché gli era stato concesso il tempo di “perdere tempo”. È importante che le persone possano perder tempo, perché in questo non fare o forse solo non produrre qualcosa di visibile, si possono esercitare l’osservazione, la meditazione, la riflessione. Il poeta ritiene che tutta la cultura, quella occidentale in modo particolare, abbia dimenticato il valore centrale dell’essere umano. La realtà, che piace tanto agli scienziati come qualcosa di incontrovertibile perché definito esternamente, è invece costruita e ricostruita dalla persona umana, nel suo particolare finito-infinito, nel suo tipico spaziotempo, secondo i suoi confini fisici e perciò non può mai essere considerata un fatto oggettivo assoluto. Può sembrare banale affermare che il mondo è ciò che percepiamo con i nostri sensi: noi immaginiamo, dice Tagore, che la nostra mente sia uno specchio della realtà.
Mentre lo percepiamo, il mondo viene incessantemente creato per noi nel tempo e nello spazio. La scienza cerca di togliere di mezzo quella personalità centrale grazie
alla quale il mondo è così, pretende di aver scoperto per noi il mondo reale ed è resa cieca per la vicinanza alle cose che studia. La realtà dell’uomo appartiene alla personalità dell’uomo e non al suo ragionamento, che per quanto utile e grande, non è tutto l’uomo.
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2.
Tagore si scopre poeta e cerca di fare in modo che la sua vita divenga un poema, una creazione dell’anima che è infinita e che si illumina nella gioia di dare noi stessi, il nostro lavoro, la nostra possibilità. Nel 1890 parte per un altro viaggio in Europa: visita l’Italia, la Francia e torna in Inghilterra. Nei successivi dieci anni la sua produzione poetica è molto feconda1 e nel 1900 è nominato vice-presidente dell’Accademia di Lettere del Bengala e si impegna anche nella vita pubblica del suo paese, che si prepara ad una estenuante lotta per l’emancipazione dal dominio inglese. Ma la grande svolta della sua vita avviene nel 1901, quando, già quarantenne, dopo aver studiato e vissuto in prima persona i sistemi educativi del proprio paese e di molti altri, si stabilisce nel possedimento paterno di Santiniketan, dove fonda una scuola sperimentale, che in seguito trasformerà in Università internazionale. Tagore vuole che la sua gente abbia una scuola capace di vincere l’ignoranza diffusa, vuole creare e fondare una scuola dove i bambini non si sentano in prigione, dove non li si chiuda in una stanza per insegnar loro la geografia, dove non si mortifichi la loro fame di epica per insegnar loro la grammatica, dove siano vicini alla natura per poter essere guidati a comprendere che il mondo dell’uomo è il regno di Dio, dove soprattutto: L’alba e il tramonto e la silente gloria delle stelle non siano
costantemente ignorati, dove il giovane e il vecchio, il maestro e lo scolaro siedano alla stessa tavola, per dividere il cibo quotidiano.
Lavora a questo progetto per circa due anni e getta le basi di una scuola che rimarrà esemplare. I programmi di insegnamento comprendono il sanscrito, il bengali, l’inglese, la matematica, le scienze, la storia e la geografia. Ma accanto a questo studio, gli allievi si dedicano ad attività artistiche ed artigianali come l’ebanisteria, la tessitura e la ceramica, recitano e cantano anche componendo essi stessi i testi. Tagore ritiene che la crisi della civiltà occidentale moderna dipenda dalla eccessiva importanza che si dà allo sviluppo intellettuale dell’uomo e al rifiuto di ciò che si potrebbe chiamare “l’educazione del cuore”.
Il mondo civilizzato delle convenzioni impone come regola che non si debba lasciare alcuno spazio verde entro il suo regno di fumo e di rumori. Allora i bambini soffrono, tra i giovani si produce noia e stanchezza della vita e i vec-
1
Le principali opere di R. Tagore in versione italiana: Oltre il ricordo, Sellerio Editore, 1987; La civiltà occidentale e l’India, Bollati Boringhieri, 1991; Massime per una vita armoniosa, Guanda 1992; Canto d’infanzia, TEA 1996; Il Dio vicino, Guanda 1998; Fogli strappati, immagini del Bengala, TEA DUE 1999; Il mondo della personalità, TEA DUE, 1999.
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chi non sanno più essere vecchi in pace e in armonia ma si trasformano in giovani decrepiti, vergognosi della loro decadenza. Tagore ritiene che il mondo, che viene modellato dalla percezione umana, diventi completamente nostro solo quando entra nella sfera delle emozioni. D’altra parte, le frasi e le parole diventano poesia solo se contengono stimoli emotivi perché solo attraverso la relazione di un fenomeno con noi stessi, questo diviene oggetto d’interesse per altri. E nel corso di numerose conferenze, ripeterà sempre dobbiamo ritrovare l’uomo.
3.
Nel corso della sua vita, il poeta ha potuto osservare la realtà di miseria, di ignoranza e di dolore che colpisce la sua gente: nel Bengala le inondazioni sono frequenti, c’è la carestia che sta sempre in agguato. La povertà è cronica e la salute è un bene troppo spesso raro a causa dell’ignoranza e della mancanza di educazione che regnano dovunque. Questo è il grande nemico da battere ma l’ignoranza, non colpisce solo il Bengala, è diffusa in tutte le comunità umane, come ha avuto modo di rendersi conto. Per combatterla efficacemente ci vuole una scuola capace di bussare alle porte della mente del bambino, perché pensata e realizzata per il bambino vero e non per una sua astrazione. Dovunque, dice Tagore, la realtà umana viene annullata da astrazioni pericolose: nelle nostre scuole l’idea della classe nasconde la realtà degli scolari. Sono studenti e non persone, così non soffriamo a comprimere la loro vita come fiori dentro le pagine di un libro. Tagore lotta per la sua università e lavora per tre anni per raccogliere quanto è necessario per costruirla ed attrezzarla. In essa versa tutto il denaro ricevuto dal Nobel e gira per il mondo in cerca di sottoscrizioni che lo aiutino. Il suo progetto convince tutti coloro che condividono la speranza che si possa fondare una civiltà dell’uomo reale, una civiltà fondata su un umanesimo trascendentale. Finalmente, nel 1921 iniziano i corsi nella università denominata Vishva-Bharati e comprendono una scuola, un college, un centro di ricerche, una scuola d’arte e di musica, una biblioteca con 36.000 volumi in tutte le lingue e un istituto di Ricostruzione rurale (oggi diremo un agrario), poco lontano da Santiniketan. Tagore, lo abbiamo visto dall’elenco delle materie, pone molta attenzione all’apprendimento delle lingue e vuole che i suoi studenti leggano le opere fondamentali, per quanto possibile, in lingua originaria. È convinto fautore di una cultura internazionale: vuole che le culture si incontrino, non che si scontrino, che ciascuno conosca bene la propria storia e la propria cultura ma che nessuna possa arrogarsi il diritto di proclamarsi “superiore”. Per vari anni il centro culturale di Santiniketan è meta alla quale si recano personalità indiane e straniere, sia per la fama di Tagore che per il prestigio raggiunto dalla sua istituzione educativa. In occasione del suo ottantesimo compleanno, viene letto il suo saggio Crisi di Civiltà, un atto d’accusa contro la civiltà dell’Occidente che è nuovamente approdata agli
orrori della guerra. Questo saggio è come il suo testamento spirituale, è un ultimo straordinario atto di fede nell’uomo e nella sua possibilità di riuscire un giorno ad elevarsi “oltre”.
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Guardandomi intorno, vedo le rovine di una superba civiltà che si disgregano, disseminate come un cumulo gigantesco di vanità. Ma non ostante questo, non mi macchierò della grave colpa di perdere la mia fede nell’uomo. Preferisco piuttosto contemplare il nuovo capitolo di questa storia: quando questa tragedia sarà conclusa e l’aria sarà resa nuovamente limpida dallo spirito di dovere e dal sacrificio.
4.
Un’ultima grande manifestazione di fiducia nell’uomo e nelle sue possibilità di elevazione che dentro di noi risuona quasi familiare. Viene quasi spontaneo accostare al pensiero del grande poeta-educatore, le parole di J.-B. de La Salle che vuole offrire agli alunni che frequentano la sua scuola, raccolti tra le fasce più deboli della sua città: stima, rispetto e amore. Che vuole essere per loro solo un “fratello” che si prende cura del loro benessere fisico, della loro promozione intellettuale, che si preoccupa di coltivarne le dimensioni affettive ed etico-morali per farli sentire figli di Dio, in una scuola dove possano veramente imparare a vivere bene. Il poeta-educatore diceva che il più alto grado di erudizione non sta nell’ottenere informazioni, ma nel vivere in armonia con tutto l’esistente:
I bambini amano la vita, i suoi colori e i suoi movimenti e devono poter apprendere attraverso questo loro amore. Una eccessiva deferenza nei confronti della scienza, ha indotto gli Europei a trascurare l’anima e a non lasciarle alcun posto nella struttura della realtà. Se vogliamo costruire una civiltà solida, dobbiamo puntare all’unità delle due forme di sapere, quella spirituale e quella scientifica, perché solo in questo modo i popoli potranno unirsi. Non uniformarsi, perché l’unione non può che effettuarsi tra diversi. In uno degli ultimi incontri che tenne ad un gruppo di giovani cinesi, Tagore riafferma il suo amore per la gioventù, per la vita e per l’arte che è il grande mediatore verso il mondo dell’unità. A volte gli artisti vengono considerati solo dei sognatori nullafacenti e sicuramente Tagore è stato un grande sognatore, consapevole però che solo i sognatori e coloro che hanno fede nell’uomo, hanno consentito all’umanità di progredire. Evidentemente, i grandi hanno sogni ed intuizioni comuni, universali perché finalizzati a migliorare l’uomo rispettandone la natura e le qualità.
PROFESSIONE DOCENTE
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Per un galateo del dialogo religioso Lorenzo Dani
Sociologo, Verona Lettera aperta agli intermediari di Dio, sulle condizioni per realizzare un’equa ed equilibrata relazione comunicativa sulla religione, tale cioè che entrambi gli interlocutori siano salvaguardati, assieme al bisogno religioso.
Gentili Signori, mi rivolgo a Voi per affrontare una questione che mi ha procurato più di qualche problema, ma che mi sta a cuore, e che penso possa essere risolta con soddisfazione di tutti coloro che vi sono coinvolti. Qualcuno fra di Voi, dopo essersi rivolto a me con l’intenzione di farmi giungere qualche buona novella e dopo aver sentito o letto la mia risposta nei termini di una radicale secolarizzazione, pensa che, attraverso la mia critica della religione identificata, io vorrei semplicemente, drasticamente, eliminare la religione, e che per questo io vorrei stabilire col Vostro Dio solo una relazione di negazione. La questione è più complessa di quanto questi Signori pensano, e meno rozza è la soluzione che si può trovare a questo problema. È chiaro che se nel mio interlocutore manca la buona fede, preferisco ritirarmi in buon ordine. Per solito accetto di dialogare con chiunque e sottolineo che il mio obiettivo, in generale, non è di eliminare o di interrompere la relazione comunicativa con chicchessia; altrettanto chiaramente, però, voglio precisare che non accetto di infilarmi in relazioni troppo defatiganti. Per me è fondamentale, irrinunciabile, difendermi per quanto possibile dalle costrizioni, dalle aggressioni, anche di quelle che si presentano all’insegna delle più buone e pie intenzioni. Poi, com’è giusto per tutti, anche per Voi e per il Vostro Dio, anch’io non posso né voglio rinunciare ad essere il giudice ultimo di quanto faccio e del tipo di relazioni
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comunicative che scelgo di stabilire. Convocato, invitato, supplicato, minacciato, vorrei essere io a stabilire se rispondere. E il mio rifiuto di iniziare una relazione comunicativa diventa più deciso se vedo che la mia mancata risposta all’invito viene automaticamente considerata un errore, una deficienza, una lacuna, un difetto o un traviamento, o anche solo una mancanza di rispetto. Sono convinto che il problema religioso sia un importante problema e vedo che, al prezzo di una grande fatica e sospinti da una implacabile passione, alcuni sono certi di avervi trovato una risposta. Altri invece non mi sembrano molto sicuri. Gli uni e gli altri, però, mi pare che, quando si rivolgono a me, abbiano come un impellente bisogno di avere la mia adesione ai loro messaggi, perché questo serve in qualche modo a loro, forse per rendere più salda e robusta la soluzione che hanno trovato al loro problema religioso. Ribadisco perciò che considero un mio diritto decidere se incamminarmi con Voi, se cercare da solo o in compagnia la soluzione a questo problema che anch’io avverto. Per conversazioni su questi temi, preferisco relazioni in cui trova ospitalità l’incertezza, l’esitazione, e la possibilità di cambiare opinione. Ho cambiato idee, posso cambiarle e forse le cambierò ancora. Mi rendo conto che questo fa di me un interlocutore non facile, ma è con questo atteggiamento che posso rivolgermi a Voi e che Vi chiedo di rivolgerVi a me. E come io penso che potrò sbagliare, preferisco dialogare con chi ha la disponibilità ad ammettere anche per se stesso una simile evenienza. Una delle più consolanti e rassicuranti situazioni, per me, è quando nel dialogo spunta un ‘Credevo…, e invece…’. Il fatto è che mi costa troppa fatica dialogare con uomini che hanno trovato la risposta a tutto perché hanno dalla loro un Dio che risponde a tutto. Preferisco interlocutori che di tanto in tanto ammettono la propria ignoranza, che confessano la propria incapacità di dare risposte. Per me questo è un Vostro diritto. Ponetemi pure delle domande, ma non fatelo cercando di sopravanzarmi sbandierandomi sotto il naso il mio eventuale ‘non lo so’. Se certe cose non le so, se non ho pronta la risposta – soprattutto quella che Voi avete già trovato e che Vi tenete in serbo, e che alcuni usano come una clava per dare il colpo finale a chi esita e se ne sta senza fondamenta alternative ugualmente forti a quelle che loro pensano di avere sotto i piedi o a cui sono agganciati – desidero che ciò non sia motivo di derisione né di sottovalutazione. Non mi sorprenderei se Voi qualche volta mi diceste che non capite qualcosa di quel che dico e faccio. È bene sappiate che amo insaporire le mie relazioni con ciò che altri possono considerare anormale o illogico. Provo una certa antipatia per chi imposta il dialogo, la conversazione, all’insegna di un suo proprio ostinato rigore. Se si vuole un dialogo in cui si ammettono soltanto argomenti rigorosamente conformati alla genuina ratio, cioè a quella gradita a Voi e al Vostro Dio, l’antipatia diventa vera e propria avversione. In generale, poiché vorrei che nella nostra relazione comunicativa, nel nostro dialogo sulla religione, ci fossero due interlocutori sullo stesso piano, mi piacerebbe che tanto Voi quanto il sottoscritto ci mantenessimo disponibili a temperare la nostra relazione definendone i confini, i limiti, ognuno libero di dire all’altro quando ritiene che i limiti sono stati raggiunti, e quindi quando qualcosa non lo riguarda.
Per un galateo del dialogo religioso
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Sulla base di questa disciplina, penso di poter stabilire con Voi una buona relazione, giusta ed equilibrata. Spero che in questo modo riuscirò ad evitare che le mie argomentazioni Vi risultino offensive. Forse per questo Voi dovrete rivedere i Vostri criteri di incisività. Per parte mia credo che, in questo modo, mi eviterò situazioni frustranti. Sempre che mi venga riconosciuto, sia dal mio interlocutore che dall’eventuale spettatore, che io non ricerco astuzie o mezzucci per non dialogare veramente con Voi o, peggio, per manipolarVi. Se accetto un dialogo sulla religione con Voi, è per mettere alla prova me stesso e Voi. Ma non è una sfida. Voglio solo vedere se riesco a spiegarVi le mie idee sul bisogno religioso, riuscendo a conservare la Vostra stima e il Vostro rispetto. Io mi sforzo di capire il Vostro modo di vedere le cose e le Vostre intenzioni, le motivazioni che Vi sospingono, e mi par di riuscire a distinguere, nei Vostri messaggi e nei Vostri inviti, ciò che, a mio avviso, seppure espresso in forme diverse, è tuttavia in assonanza con le mie idee, e ciò che invece proprio non posso accettare, poiché comporterebbe un immotivato abbandono di ciò che finora mi sono laboriosamente conquistato. Sto bene attento ai diversi messaggeri religiosi che mi si presentano, e cerco di capire i loro diversi strumenti di comunicazione, i diversi codici che adoprano. E mi sforzo di rispondere in modo da essere capito. Finora l’esperienza, però, è di aver trovato, tra di Voi, più interlocutori resistenti che non interlocutori attenti anche alla mia sensibilità. Probabilmente il modo in cui stabiliscono relazioni comunicative sulla religione con gli uomini dipende anche dal tipo di relazione che essi hanno col loro Dio. Per me è importante, soprattutto quando si parla di cose religiose, sia farsi capire sia mantenere una buona, giusta relazione. Anzi, conta più quest’ultima che ogni concetto sulla divinità. Io ci metto un certo impegno per cercare di capire le Vostre esigenze ed i Vostri obiettivi; per questo chiedo che anche da parte Vostra, quando mi volete parlare della Vostra fede e della Vostra dottrina, cerchiate di capire le mie esigenze e non temiate che io voglia tenderVi delle trappole. Mi risulta indisponente chi sottovaluta le mie esigenze e il mio sforzo o ci ricama sopra: lasciate perciò di pensare che qualcuno senza il Vostro Dio ‘in realtà’ – come mi pare a qualcuno piaccia dire – sia necessariamente angosciato, disperato… Concentratevi almeno un po’ sulla Vostra realtà, sulle Vostre convinzioni, sui Vostri comportamenti; fate uno sforzo per verificare se non vi sia qualche pregiudizio radicato, e lasciate che io Vi esponga quello che mi pare di dover esporre. Ognuno faccia il proprio esame di coscienza. Non amo dialogare con chi vuole che dica ciò che lui vuole, che io tiri fuori dalla mia interiorità ciò che lui è convinto che vi sia. Per parte mia non mi voglio mettere in concorrenza con Voi. Non voglio mettermi a discutere per vedere chi possiede Dio o chi ha dalla sua il Dio più potente. Il buon dialogo religioso per me è quello che serve a penetrare nella tendenza che porterebbe ad assecondare l’oggettiva alleanza tra ordine del mondo e un modo di affrontare i problemi religiosi che porta incarnati i segni, a mio parere evidenti, della sindrome idolatrica1. È proprio questa sindrome che connota una spinta ben profonda, una tentazione, a stabilire relazioni di tipo esorcistico con gli interlocutori diversi da se 1
Cfr. L. DANI, Contraffazione della normalità, Il segno dei Gabrielli, Negarine (VR) 2005, pp. 388-464.
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stessi. Insomma, capirete che non amo stabilire relazioni comunicative con chi mi esorcizza… Mi basta potermi confrontare con qualcuno che sa assumere un atteggiamento in linea con alcune esigenze di fondo che mi paiono essere come il cuore santo che è stato messo dentro ciò che Voi chiamate Dio. Parlando con Voi, mi piacerebbe discutere sull’esigenza che abbiamo – non credo infatti che sia soltanto mia – che, se un Altro c’è, sia uno che parla poco e ascolta molto. Mi pare importante salvaguardare l’esigenza di un orecchio fine, capace di superare il rumore sia degli uomini che degli angeli, capace di captare le grida degli oppressi; e sono interessato a una risposta religiosa articolata senza emettere parole che non siano quelle di tutto ciò e di tutti coloro che sono stati soppressi; sono alla ricerca di uno sguardo che ribalta normalità e apparenze, ma per essere misericordioso; e che rifugge da tutto ciò che è splendente e abbacinante. Ho interesse ad avviare un dialogo che mi faccia viaggiare in direzione di questi bisogni, e se ci sono compagni di viaggio io li posso accettare, purché non mi tormentino a fare il loro itinerario o a viaggiare come vogliono loro. Non ho bisogno di viaggiare sempre più veloce, sempre più forte e sempre più in alto per arrivare chissà dove; preferisco andare un po’ lento, dispiegare qualche tratto di mitezza, e andare in profondità ad esplorare le radici di questi bisogni che ci accomunano. E piuttosto dello zelo senza posa, inflessibile, di tanto in tanto amo prendere le distanze anche da queste così importanti questioni. Sono limitato, evidentemente, e per questo, quando le risorse sono esaurite, e proprio allo scopo di non sfiancarmi inutilmente, vorrei concedermi qualche piccola e innocente ironia proprio su questo bisogno interiore e così ricordarmi – ma la cosa potrebbe interessare anche Voi – che mi devo anche difendere da questo assillo. Nessuno, nemmeno le mie viscere, ha il diritto di impormi domande e di esigere risposte che non so dare. Non Vi pare che in questo modo sia possibile un dialogo più sereno, più proficuo? Io credo che ne potrebbe sortire qualcosa di interessante, che è quello che io chiamo una conversazione religiosa secolarizzata. Forse non sarà tutto quello di cui Voi avete bisogno, ma allora, per completare il Vostro discorso religioso, potrete rivolgerVi ad altri, e io non ne sarò né dispiaciuto, né imbarazzato, né geloso. Se non riuscirò a dialogare con Voi, proseguirò in altra direzione. Ho anch’io qualche chiodo fisso: cerco di uscire da ogni tutela, e vorrei assumermi le mie responsabilità e valutare in prima persona, senza nascondermi dietro nessun imprimatur. Anche il nostro commiato vorrei fosse asciutto e senza rimpianti: il mio cammino mi porta oggi a percorrere, con passi – ahimé – faticosi, contraddittori talvolta, i sentieri che vanno in senso contrario alla restaurazione, che è sempre pronta a rinascere e che oggi è in atto. Per quanto posso, e non senza accettare compassionevolmente qualche cedimento, cerco di resistere contro ogni richiamo nostalgico, contro ogni persuasione a tornare indietro, ad essere condiscendente.
Lorenzo Dani
lorenzo.dani@fastwebnet.it
PROFESSIONE DOCENTE
RivLas 75 (2008) 2, 241-248
Catholic School. Polisch perspective Dr. Elzbieta Osewska, Cardinal Stefan Wyszynski University, Warsaw, Poland Prof. Jozef Stala, Pontifical Theological Academy, Cracow, Poland
T
he socio-political transformation, which began in Poland after 1989, caused a rebirth of catholic education1. On September 1st 2004, 6,8 million pupils started their education in Poland. 2% of them attended the 413 catholic schools: at the elementary, gymnasium and high-school levels. The present situation of catholic education in Poland can be presented as follows: elementary schools (93), gymnasiums (135), high-schools (129), other (56) – altogether: 4132.
1
The situation of Catholic schools in Europe in English speaking country is well known see: G. Grace,
Catholic Schools and the Common Good: what this means in educational practice, London 2000; G. Grace, Catholic Schools: mission, markets and morality, London 2002; R.H. Green, Church Schools: a matter of opinion, London 1982; M. Hickman, Religion, Class and Identity: the state, the Catholic church and the education of the Irish in Britain, Aldershot 1995; T. H. McLaughlin, J. O’Keefe, B. O’Keeffe (eds), The Contemporary Catholic School: context, identity and diversity, London, 1996; L. Monahan, N. Prendergast (eds), Reimagining the Catholic School, Dublin 2003. But the situation of Catholic schools in
Central and Eastern Europe in not known mainly because of the language problems. There is extended bibliography on the identity of Catholic schools and related issues in Poland, but in Polish, so impossible to be read by specialists not knowing Polish language. Here we present a few publications in Polish giving English translation of the titles: A. Maj, Catholic Education in Third Republic of Poland, Warszawa 2002; A. Dymer (ed.) Catholic school in the Church teaching, Szczecin 2002; A. Sowiński, A. Dymer (eds), Catholic School 4: Moral education in Catholic school, Szczecin 2003; A. Dymer, T. Sikorki (eds), Catholic School 5: The State and upbringing. Ideas – myths – stereotypes, Szczecin 2005. See: Council of Catholic Schools in Poland, Address Information of Catholic Schools in Poland, Warszawa 2004. 2
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Elzbieta Osewska and Jozef Stala
It may seem that in a Polish society the number of catholic schools is not proportionate to the number of Catholics - not only nominally, but also the regular practitioners in Polish society3, in its majority catholic, do not always see the necessity of constituting special catholic schools, because it is obvious that the majority of the pupils come from catholic families4, and school teachers are also catholic. Moreover, the school director and the teachers ‘council in cooperation also with the students’ parents must finally accept every educative syllabus. For that reason, in every school, all the teachers who are Catholics, as well as those who teach Religious Education – clerical and secular – have a huge influence on the educational framing of the school. Teaching Religious Education at school not only stresses the cognitive character of Christendom, but the formation of attitudes and of the personality of pupils is also included. Shaping the Christian attitude at school is completed by sacramental and liturgical education in the parish. The essential elements of the school’s educative syllabus are also included in school retreats, which last for several days, as well as the participation of students and teachers in a liturgy at the beginning and the break of a school year, on a public holiday or the school patron’s holiday. Furthermore, in smaller areas such as villages and country towns, local priests have authority and a huge influence. There is another phenomenon in Poland. A lot of schools are named after the late John Paul II. There are almost 550 of these schools, with about 200 000 students. Including: 2 universities, over 100 school complexes, 12 high schools, over 170 gymnasiums and almost 250 primary schools. Both students and teachers belonging to this family are bound to get involved in spreading the papal teachings, implementing them in real life situations and popularising them.
Historical line of Catholic education in Poland Catholic education began to be launched in Poland at Wladyslaw Herman’s times (1079-1102), which was connected with a church reform effectuated in Rome. The Academy of Cracow (1364), established by Kazimir the Great, played an decisive role in the educational development in Poland. From the Middle Ages till the XVIIIth century monasteries and religious congregations played a very dominating part in the organisation of catholic education. In the partition times, in order to continue their catholic education, polish young people had to hide and study in the private houses breaking the rules made by invaders – or to attend schools or other institutions outside the country. After regaining the independence in 1918 (over a hundred years later) a very dynamic development of catholic education started, which was then rapidly stopped by the outbreak of the Second World War II on September 1st 1939. After WW II the socialist authorities of the country intended to close the catholic schools. It seems very interesting that existence of mainly catholic vocational schools and schools for disabled people was permitted. Whereas elite high schools led by Jesuits, Ursulans, Nazarethans were destroyed with a huge fury. In addition it has to be mentioned that in 1961 teaching Religious Education was finally taken out of public schools. After the socio-political crisis in 1989 the situation of education, including 3
See I. Borowik, Democracy and the Church in Poland, “Social Compass” 49 (2). See H. Lombaerts, E. Osewska, Understanding the Family, in: S. Gatt, H. Lombaerts, E. Osewska, A. Scerri, Catholic Education. European and Maltese Perspectives. Church Schools’ response to future challenges, Floriana 2004, p. 50-71. 4
Catholic School. Polisch perspective
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catholic education, was gradually becoming normal again5. Particularly advantageous conditions occurred after putting into action the “Law about the System of Education” from September 7, 1991, which enabled to create new non-public institutions and to allow them to grow. And from September 1, 1990 teaching Religious Education was again permitted in schools6. Since 1994 all catholic schools in Poland belong to the Catholic Schools’ Council in Warsaw, appointed by the Symposium of the Polish Episcopate. From 1998 The Catholic Schools’ Council is a full member of Catholic Education European Committee (CEEC) in Brussels. Statistics show that students of catholic schools do not have any problems with finding their place in tertiary education. After secondary school exams 75% of these graduates start their university education. The biggest number of catholic schools is part of urban agglomerations, which are at the same time huge academic centres. Such a location of catholic establishments seems to be well grounded. Big cities, in which teachers are trained at universities, offer a very favourable background for this kind of schools, because they easily find staff with great moral and religious consciousness, often connected with functioning in different kinds of student ministry. The main places like this are: Lublin, Cracow, Warsaw, Poznan, Opole, Wroclaw and Torun. A school is legally regarded as catholic, either when it is led by a competent catholic authority or by a church governing body (dioceses, parishes, monastic congregation), or when it is recognized as a catholic institution on the basis of documents given by the appropriate authorities7. Government regulations enable the establishment of catholic schools as well as any other non-public schools led by governing bodies, associations, foundations, etc. – in other words corporate bodies. These schools receive the rights of public schools with the separate decision of educative authorities after having fulfilled certain conditions specified in the enactment8. With the approval of a financial body it is possible to establish public catholic schools, which are led by a Church governing body; the unit of a local government is the financial body and the institution supervising its Kuratorium of Education.
Characteristics of a catholic school in Poland At the beginning it is worth asking a question: what features should a school have in order to be called “catholic”? After the Second Vatican Council the issue of catholic schools had been deeply analysed. The new cultural evangelisation clearly specifies that schools should be characterized by Christian humanism and that they should im5 For more information about the history of Poland, see: N. Davis, God’s Playground. A History of Poland, Vol. 1: The Origins to 1795, Vol. 2: 1795 to the Present, Oxford, 1981; N. Davis, Heart of Europe. A Short History of Poland, Oxford 1984; N. Davis, Heart of Europe: The Past in Poland's Present, Oxford 2001. 6 See: H. Lombaerts, E. Osewska, Being a Teacher, in: S. Gatt, H. Lombaerts, E. Osewska, A. Scerri, Catholic Education. European and Maltese Perspectives. Church Schools’ response to future challenges,
Floriana, 2004, p. 131-140. 7 See: Congregation for Catholic Education, The Religious Dimension of Education in a Catholic Schools, 4. 8 See: Reform Act from 7 September 1991, Dziennik Ustaw z 1996 r., nr 67, pozycja 329.
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Elzbieta Osewska and Jozef Stala
plement its syllabus in this sense. It should first of all be a “good school” which means that it should educate through transmitting and strengthening knowledge. A school achieves it in the spirit of properly taken „secularity”, without any appeasement or secularist interpretation, and at the same time without any ideological instrumentalism. A school is committed to truly understand, respect and enforce the cultural remittance as a precious service for the good of the secular community. Only properly “good” school can be really considered as “catholic”. The approval of three subject documents by Bishops’ Conference of Poland in 2001 was a very special event: Catechetical Directory of Catholic Church in Poland, The Syllabus of Catechesis of Catholic Church in Poland and The Religious Education curriculum. They point out orientations for Religious Studies adjusted to the present day situation, for addressing the Gospel needs, and at the same time to answer the questions of a modern human being. The authors of Polish religious documents pay attention to this: “Catholic schools are important centres of intellectual and moral formation for young generations. The Church has the right to establish any kind of schools and to govern them. It is recommended that dioceses, religious congregations, parishes, or secular congregations should organize these schools. And rectors of the parishes where the schools are located, should take special ministerial care of them. None of the schools can bear the catholic school name without the permission of a competent church authority. The decision about establishing a new catholic school is taken by a diocese’s bishop. He also supervises it on the level of Church”. The authors show the originality of a catholic school, which functions not only as an educational institution, but also takes part in the life of the Church. A catholic school, as confessional school, directly refers to the Christian concept of reality of which Jesus Christ is the centre. After the Second Vatican Council, in catholic communities there was a very intensive development of the idea that a school, not only should function as an institution, but first of all as a community9; the school, which fosters the upbringing of a student up, also takes care of his full and integral development. With reference to the indications written in ecumenical documents and subsequent instructions, Polish teachers of Religious Studies emphasize two issues pointing out the special character of a catholic school: its Christ centred nature, and accompanying the student in his religious development.
Christ centred nature The Congregation for Catholic Education, presenting the catholic school, emphasizes the reference to a Christian concept of life centred on Jesus Christ10. Since all the human values find their fulfilment in Christ, the perfect Man, a catholic school undertakes intentionally indicating the presence of Jesus Christ in the communities of students, teachers, administrative employees, transmitting Christian doctrine, bringing up an integral man and evangelical attitude. Educational and evangelical processes, with different detailed aims, include all dimensions of the formation of a young per-
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See Second Vatican Council, Gravissimum educationis, 5. Congregation for Catholic Education, The Catholic School, 33.
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son, integrating them with each other11. The formation task of catholic school engages all the activities of the school community; through all that the school is, what it realizes, it reinforces its forming and evangelisation process. Through personification, he Son of God became a human being, and saved the people, what significantly influences all the establishments, plans and activities of catholic school, which not only preaches His teachings, but also leads to encountering Him and develop a deep personal relationship with Him. Catholic education should nurture the faith development of a student, respecting at the same time his individual needs. Trust in Jesus Christ as a Saviour allows the catholic school to make perpetual synthesis of faith and life, which realizes in the student’s person only on the basis of a constant evangelical process, thanks to which he heads for realization of God’s intentions towards him. “So Christ is also the foundation of a catholic school’s syllabus; He reveals the new meaning for the existence and changes this existence, making a man capable to live in a divine way, which means to think, want and act according to the gospel truth and to make the right of his life from blessings. Actually its clear adduction on the Christian vision, shared on different levels by all the members of school community, decides whether the school is catholic or not, because in this way the evangelic rules inspire its syllabus, as a motivation and goal”12. In the light of the preceding statement a catholic education is first of all proclaiming Christ’s message and supporting a student in his way formation according to the example of Jesus Christ. The originality and identity of a catholic school, as well as its true dynamism, depends on the acceptance and involvement with the proclamation of Christ in the particular life of a school community and all its members. Everyone who has been baptized should become more and more aware of the given blessing form the way of living in justice and truth13.
Chaperoning an alumnus in his way of faith Full upbringing tends to form a human being in the direction of his or her ultimate aim. A human being looks for something or someone that would make him or her absolutely happy, someone who could be able to fulfil deeply and for always all the disquietudes and aspirations14. A human person heads for the best, for worthy causes, and tends to find the answers to questions that are asked constantly by his existence and his spiritual life15. Upbringing seen in this way is first of all the matter of delivering Christ and helping in shaping Christ in the lives of the others who are to become His witnesses, to be able to feel and act, and express the faith, form living in justice and sacredness of truth16. Faith comes as a complementary factor of integra11 As J. Stala says: „Christian becoming involved in reality of this world and deciphering signs of the times, not giving up his mission, but bringing the Gospel up to date”. J. Stala, Start again from Christ. Novo millennio ineunte - practicing a way of Gospel, in: J. Stala (ed.), Catechize Today. Problems and Challenges, Kielce 2004, p. 16. 12 Congregation for Catholic Education, The Catholic School, 34. 13 See John Paul II, Apostolic Exhortation Catechesi tradendae, 6, 69; Congregation for Catholic Education, Lay Catholics in schools: Witnesses to Faith, 56-59. 14 See J. Stala, Start again from Christ, op. cit., pp. 13-22. 15 See F. Pajer, Scuola e istruzione religiosa dell`Europa multireligiosa: problemi e sfide, in F. Pajer (ed.), Europa, scuola, religioni, Torino, 2005, pp. 1-31. 16 See Laborem exercens 10.
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Elzbieta Osewska and Jozef Stala
tion and has its moral, metaphysical and educational implications17. It determines the area of the formation of a “new person”, conscious of his mission in life. Everyone who feels his existence and activity in the name of God, tries to realize an essential religious value which is sanctity. It is constantly recalled by the Church Teaching that emphasizes tending to sanctity as an important aim of Christian upbringing18. The Second Vatican Council re-established the idea of holiness in its authentic meaning according to the Gospel. The Council pays attention on the first source of holiness, on its essence, duty and signs19, and shows that its realization in everyday life is part of the essence of holiness. Therefore everyone should answer God’s call with the will of listening to His words and cooperating with Him. The Council has distinctly emphasized the character of major moral obligation in aiming for holiness. These days a lot of Christians do not realize the call for holiness, because they regard it as something unreachable. Therefore it is important for the catholic teachers and educators to point out that sanctity is a category that is available also for present-day people, though the ways of realization in aiming to holiness change constantly. A dynamic treatment of sacredness is needed, the one which shows it as the realization of a man’s natural potential, the aim of his life’s efforts, a real excellence. Especially in the situation of the world offering man different ways to the happiness, the sanctity must appear as the way of joyful heading towards God20.
Conclusion In the syllabus of every catholic school or every school adopting the Church’s teachings the moral formation containing basic norms of Christian life as well as the religious formation showing holiness as the aim of Christian formation are clearly seen as essential. Participation of the whole community experienced in the light of the gospel is a natural evidence for the existence of Christ in this community and becomes the “sign” for everyone21. After 1989 in Poland a new stage of relation between the school, the state and the Church has began.
17 See H. Lombaerts, The Management and Leadership of Christian Schools, Groot Bijgaarden, 1998, pp. 33-49. 18 See Redemptor hominis 21; Evangelium vitae 37-38, 87; Christifideles laici 4-5. 19 See Second Vatican Council, Lumen gentium, 40. 20 See Catholic Bishops’ Conference of Poland, Catechetical Directory of Catholic Church in Poland op.cit., 27; Id., The Syllabus of Catechesis of Catholic Church in Poland, op. cit., pp. 76. 21 Congregation for Catholic Education, The Catholic School, 61.
LASALLIANA ¦ ¦ ¦ ¦ ¦
Identità e compiti dell’Università lasalliana oggi Religiosi o insegnanti? Un’alternativa che non c’è Il posto dei Fratelli nella storia della scuola in Piemonte Un Fratello belga, pioniere della Geografia come scienza Riviste di studio edite nel mondo lasalliano
LASALLIANA
RivLas 75 (2008) 2, 249-262
Nuestras Universidades lasallistas, camino de misión y de asociación Álvaro Rodríguez Echeverría, FSC Superior General
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n primer término quiero saludar muy calurosamente a todos los miembros y dirigentes de la Asociación Internacional de Universidades Lasallistas1, especialmente a los participantes en este VIII Encuentro, y manifestarles en nombre del Instituto nuestro reconocimiento por haber querido compartir, por medio de su Asociación, el potencial enorme que encierra cada uno de los centros de Educación Superior que ustedes representan, en favor de los jóvenes adultos y de otras personas de más edad que se benefician de su ministerio. Su voluntad política común, buscando intencionalmente vivir la asociación lasallista para la misión, es motivo de orgullo en todo el mundo y promesa de grandes obras para la gloria de Dios, a través del servicio educativo y evangelizador de los pobres y la promoción de un mundo más justo, que caracterizan nuestro carisma. Tengo la impresión que el portentoso crecimiento de las Universidades es para nosotros hoy, un signo de los tiempos. En efecto, ustedes son como un milagro en nuestra historia común, un hecho sin precedente en nuestros más de 350 años de servicio en la sociedad y en la Iglesia. Me refiero evidentemente al crecimiento de las Universidades Lasallistas presentes a lo largo y ancho del mundo, desde América del Norte hasta Europa, desde Asia y América Latina hasta África. Multiplicándose pre-
1 Testo della conferenza tenuta all’ VIII Incontro internazionale dei rappresentanti delle Università lasalliane nel mondo, Canoas, RS, Brasile, gennaio 2007. Vedi in appendice all’articolo un elenco sommario delle Università (documentazione redazionale).
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Álvaro Rodríguez Echeverría, FSC
cisamente en los continentes donde la población mundial crece, y donde se concentra gran número de jóvenes. Ustedes nos han abierto un nuevo horizonte. Han corrido riesgos y han emprendido una aventura con hombres y mujeres profesionales que nos conducen a lugares inéditos en nuestra tradición. ¿No será esta realidad un nuevo llamado profético que interpela a todos los lasallistas del mundo y que nos convoca para una misión renovada? El desarrollo universitario nos permite conformar un tejido más integral de nuestras obras, en donde, desde los más pequeños hasta los más grandes encuentran lugar, orientación, posibilidades de desarrollo y un sentido humano y cristiano para sus vidas. No me parece paradójico, sino más bien complementario, que en algunas regiones a la par de las Universidades se estén multiplicando las escuelas primarias, como es el caso de las Escuelas San Miguel 2 en los Estados Unidos. Trabajar con niños, adolescentes, jóvenes, jóvenes adultos y personas mayores, tiene pleno sentido, responde a las intuiciones de nuestros orígenes y nos permite ser compañeros de viaje a lo largo de las distintas etapas del itinerario humano. Este impulso asociativo que los estimula, se sitúa además dentro de un recorrido más amplio de miles de lasallistas de todos los continentes que también se sienten impulsados por los nuevos signos de los tiempos. Nuestro último Capítulo General nos recordaba los pasos que hemos ido dando, de Capítulo en Capítulo, a lo largo de los últimos 40 años. Del reconocimiento del ministerio del seglar en la escuela lasallista, en la Declaración de 1967, a los grados de pertenencia y a la primera experiencia laical de asociación con el nacimiento de Signum Fidei en 1976. Del tema de la Familia lasallista en 1987, al de la Misión compartida en 1993. A partir del 2000 hablamos de asociarnos para el servicio educativo de los pobres, como el mayor desafío lasallista de cara al siglo XXI. Alguno pudiera pensar que tanto cambio en nuestro lenguaje y en nuestras políticas podría significar falta de consistencia o inestabilidad, respondiendo a la moda del momento. Personalmente pienso que no. Me parece más bien que se trata de una experiencia semejante a la vivida por San Juan Bautista de La Salle, que experimentó cómo Dios lo fue llevando de compromiso en compromiso, con dulzura y sabiduría, a dar los pasos necesarios para asegurar la educación cristiana de los pobres y de los jóvenes. El asociarnos hoy es garantía de futuro. Este proceso nos ha ido llevando a concretar, ciertamente con ritmos diferentes, nuevas estructuras: Consejos para la Misión a nivel local, distrital, regional e internacional. Se ha articulado con mayor claridad en las Asambleas distritales sobre la Misión, y sobre todo en las Asambleas Regionales de la MEL en el 2005, en las que han participado miles de docentes, administradores y personal de apoyo en todas las Regiones lasallistas. Y por último, como el Hermano Frederick Mueller lo acaba de presentar, toda esta reflexión ha tenido su colofón en la I Asamblea Internacional del 2006 reunida en Roma, en la cual 158 Hermanos, Seglares y otros lasallistas, han compartido experiencias, han discernido prioridades, y han decidido sobre líneas de
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Cf. Cahiers Mel, n. 7, by Terry Shields, Rome 2003.
Nuestras Universidades Lasallistas
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acción prioritarias para los próximos años que serán propuestas al 44º Capítulo General en mayo de este año. Mi modesto aporte pretende reflexionar sobre el papel que las Universidades Lasallistas y nuestros centros de Educación Superior pueden jugar en el conjunto de ese movimiento asociativo para la misión, y ver la implicación que tienen para ustedes algunos puntos elaborados en nuestra Asamblea Internacional. Para esto, partiré de la identificación de las urgencias y necesidades que el mundo hoy nos presenta, y cómo desafían la identidad y finalidad de nuestros proyectos de Educación Superior. Finalmente, a partir de algún ejemplo, quisiera re-imaginar el rol dinamizador de las Universidades lasallistas.
En un mundo conflictivo nuestras Universidades vigorizan la esperanza En cualquier continente en que nos encontremos, a ninguno de nosotros escapa el impacto que tiene la globalización, con una clara prioridad dada al mercado más que a la solidaridad. Vivimos en un mundo en el que la vida se ha acelerado y en donde la eficacia es prioritaria. Vivimos la globalización, un mundo sin fronteras, abierto al intercambio cultural y al diálogo interreligioso, en el que los rostros se hacen cercanos y hay más tolerancia, pero en el que paradójicamente las guerras se multiplican, la lucha contra el terrorismo es prioritaria y las políticas migratorias se endurecen. Vale la pena preguntarnos qué puede significar esto para las Universidades lasallistas, hoy. Thomas Friedman nos habla en su conocido libro, El mundo es plano3, de una nueva era de globalización, un‘aplanamiento’ del mundo. Todos pareceremos Silicon Valley, o Bangalore, plagados de ingenieros informáticos. Desgraciadamente, la realidad nos sigue presentando muchos picos. Como expresaba el comentarista Paul Kennedy, director de Estudios de Seguridad Internacional de la Universidad de Yale: Todo es muy triste. El mundo no es “plano”. Ni tampoco está totalmente descoyuntado. Es una vertiginosa mezcla de noticias positivas y negativas. Algunos países del mundo están consiguiendo verdaderos avances, pero otros se deslizan por la pendiente de la desintegración civil, la anarquía y el desastre… Como Dickens en su Historia de dos ciudades, podemos decir que estamos en el mejor y en el peor de los tiempos. Todo depende en dónde estemos situados. En Estados Unidos y en los diez países más ricos del mundo, dice Aarjun Appadurai, antropólogo indio, la globalización es, desde luego, una palabra positiva que está de moda entre las elites empresariales y sus aliados políticos. Pero para los inmigrantes, para las personas de color y para otros sectores marginados (el llamado "sur" del "norte"), la globalización constituye una fuente de preocupación en lo que se refiere a la inclusión, el empleo y la marginación más profunda.
3
Cf. Th. Friedman, El mundo es plano. Una breve historia del siglo XXI, Editorial Farrar Straus & Giroux, 2005.
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Vivimos en un mundo que favorece el individualismo y el intimismo. Por un lado, estamos pasando de Prometeo a Narciso, del hombre económico al hombre festivo, para el cual lo principal no es trabajar sino disfrutar. Zygmunt Bauman, en su libro Amor líquido. Acerca de la fragilidad de los vínculos humanos4, nos presenta con mucho realismo algunas de las características de nuestro mundo hoy. A partir del amor y su diferencia con el deseo nos describe la realidad que fácilmente hoy vivimos. Para el amor toda distancia, por más pequeña que sea, se experimenta como insoportable, porque lo propio del amor es unir, fusionar e identificar. El deseo, por el contrario, es ansia de consumir. En realidad, más que de deseo, de lo que habría que hablar es de las ganas de. Y las ganas de no pueden asegurar ni la fidelidad ni el compromiso, porque lo que buscan es multiplicar experiencias de acuerdo a donde se dirijan las ganas. El amor lleva a relaciones personales estables o sólidas, las ganas de a conexiones líquidas que fácilmente se pueden borrar o cambiar, olvidar o multiplicar, de acuerdo con lo que me gusta y sin mirarnos a los ojos. Vivimos en un mundo en donde la sabiduría ha sido reemplazada por la excelencia, y la mayor pobreza se está dando entre los que saben y entre los que no saben. La pérdida de los valores locales, el avance del pensamiento único, están dando paso a una verdadera crisis cultural. Ciertamente no podemos negar la riqueza que conlleva la realidad pluricultural del mundo de hoy, ofreciéndonos diversos modelos culturales para dar sentido y para vivir bien. Pero sin duda, debemos reconocer también el relativismo moral que lo acompaña y la creciente secularización. Niños y jóvenes, impactados por una cultura cada vez mas internacional, viven el conflicto de valores y contravalores con que se les bombardea continuamente por los medios de comunicación. Con el desmembramiento de la familia tradicional, este papel de la cultura ambiente es omnipotente. Difícilmente encuentran los jóvenes comunidades en donde puedan vivir un proceso armónico de interiorización y apropiación de valores, en un camino de experiencias significativas y suficientemente poderosas para convertirse en fuentes de memoria en las que puedan dar sentido y finalidad a sus vidas. En el simposio Educación un camino hacia el amor, organizado por la Delegación de la Santa Sede ante la UNESCO y por la Universidad Fordham de New York , celebrado en París el 9 de noviembre del 2006 en el que tuve el gusto de participar, el antiguo Presidente de las Naciones Unidas, Boutros Boutros-Ghali, nos presentó tres amenazas de la globalización en relación con la educación. La primera es el peligro que los Estados-Nación se disuelvan en un poder transnacional, siendo los Estados los que pueden garantizar un mínimo de igualdad frente a la educación. La segunda, ver surgir comunidades agresivamente replegadas en ellas mismas en nombre de la diversidad. Y la tercera, y no la menor, ver destruirse los lazos de la solidaridad. Y al respecto decía: Ver individuos, países, regiones enteras del planeta hundirse cada vez más en la miseria. Ver aumentar el abismo entre los info-ricos y los info-pobres, entre los que están conectados y los que no lo están, entre los que disponen de información y conocimiento y los que no disponen de ellos. Y añadía cifras reveladoras: los países menos avanzados, que representan el 75% de la población mundial, no disponen que del 10% de los ingenieros y científicos, y de un 5% de ordenadores5. 4 5
Trad. Maya y Enrique Aguiluz, Fondo de cultura Económica, Madrid 2005. UNESCO, Educación y Globalización, 9 de noviembre de 2006.
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No podemos olvidar aquí la creciente ola de violencia a nivel mundial. La incertidumbre política que vivimos en muchos de nuestros países. El terror que cierra todos los horizontes. Poblaciones desplazadas, por motivos sociales, económicos, políticos o por la guerra. Millones de desplazados en todos los continentes. Y una cultura de la desesperanza. En un contexto secularizado manejado por ideologías conflictivas, o por el contrario, en una sociedad religiosa fanatizada y dominada por grupos sectarios que imponen una visión religiosa o seudo religiosa a la historia. Ante este panorama nos debemos preguntar: ¿qué futuro tendrán los jóvenes, niños y niñas de esta generación?, ¿qué sueños podrán alimentar los jóvenes que deberían ser la dulce esperanza de sus familias y de sus pueblos? Y sobre todo: ¿qué nos dice todo esto a nosotros y qué debemos hacer? La Asamblea Internacional en sus planes de acción, enfatizó, entre otros, dos aspectos que queremos priorizar. El desmembramiento de la familia y las nuevas formas de exclusión. Me parece que son efectivamente dos lugares críticos a los cuales la Asociación Internacional de Universidades Lasallistas puede también prestar atención. De mi parte, en mi última intervención, señalé dos realidades urgentes que concuerdan con éstas señaladas por la Asamblea: los inmigrantes y los que sufren el flagelo del hambre. No estoy hablando simplemente de dos conceptos abstractos, inmigración y hambruna. Me refiero concretamente a personas con rostros concretos, a millones de hombres y mujeres, de niños y jóvenes que sufren porque se ven obligados a dejar sus tierras y movilizarse hacia lugares extraños donde muchas veces no son bien acogidos. Me refiero a los 850 millones de personas que sufren el hambre, como ha indicado recientemente el informe de la FAO y lo ha recordado el Papa Benedicto XVI. Estos cuatro aspectos: el hambre, la migración, el desmembramiento de la familia y las nuevas formas de pobreza, ¿no son acaso llamados del Espíritu que nos piden una respuesta profética en estos momentos de nuestra historia?
Nuestra respuesta a los signos de los tiempos Ustedes conocen muy bien cómo en los últimos años y de una manera casi sistemática desde el Capítulo de renovación de 1966-1967, los Hermanos y los Seglares nos hemos movilizado para responder a urgencias educativas en todos los continentes. En la Reunión intercapitular del 2004 pudimos evaluar los esfuerzos realizados en la misión y el servicio educativo de los pobres. Basta una lectura rápida de los Cuadernos de la Mel sobre presencias lasallistas (n.16), innovaciones o islas de creatividad (n.4), la educación popular (n.11), entre otros, para darse cuenta de la amplitud y la eficacia de nuestras respuestas6. Más recientemente, el libro de Nicolas Capelle en colaboración con Hermanos de todas las regiones: Quiero ir a tu escuela, recoge un número significativo de experiencias pedagógicas contemporáneas en el mundo lasallista7. Las Universidades e Institu-
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Vedi il Cahier MEL n.39: Les identités des Universités lasalliennes au XXI siècle, genn.2008. Il volume esiste anche in versione italiana: Voglio venire nella tua scuola! La pedagogia lasalliana per il XXI secolo, Ed. Salvator, Paris 2006, pp. 287 (cf. presentazione nella nostra Rivi7
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ciones de Educación Superior no se han quedado atrás en escuchar y responder a los signos de los tiempos. Permítanme evocar algunos proyectos que me han impresionado fuertemente en estos últimos años. Cómo no reconocer con admiración, por ejemplo, el trabajo realizado por la Fundación de Ciencias naturales La Salle en Venezuela con sus diversos campos en distintas partes del país, sobre todo en zonas marginalizadas. Han sabido desarrollar una filosofía educativa que les permite respetar y cuidar el medio ambiente, buscando al mismo tiempo un desarrollo económico sostenible. Han formado a jóvenes para carreras profesionales adaptadas a sus regiones, cuidando, más que explotando, el mar, la ganadería, las minas, los ríos, las selvas… formando investigadores, que aplican su investigación al desarrollo de zonas empobrecidas del país. Quiero resaltar también la labor realizada por Institutos Superiores para la formación de maestros en Perú, en Centroamérica. Buscando formar docentes, trabajando en la dignificación del magisterio y acercándose con ellos a las poblaciones aborígenes e indígenas, a las que ayudan con proyectos de desarrollo integral. Cómo no evocar también la creación de la Universidad La Salle de Ciudad Nezahualcóyotl dependiente de la ULSA de México, en una zona deprimida del inmenso Distrito Federal y nacida expresamente para los pobres. La ayuda y el apoyo que algunas Universidades de los Estados Unidos aportan a las Escuelas san Miguel es notable, particularmente en la formación pedagógica. En mi último viaje pastoral por la Región USA-Toronto pude ser testigo del desarrollo de numerosos programas de aprendizaje para el servicio, en conexión con disciplinas universitarias, que van más allá de un mero asistencialismo. Pero sobre todo, he podido conocer con admiración la creación del programa bilingüe BUSCA en la Universidad La Salle de Filadelfia, para acoger a inmigrantes latinos que logran después insertarse en el sistema universitario. También es notable el creciente esfuerzo de colaboración internacional entre nuestros centros superiores como los de Barcelona, Aravaca y Beauvais con otras instituciones lasallistas del mundo, dándose un enriquecedor intercambio de programas, estudiantes y profesores. En Filipinas, el Hno Andrew González y el Hno Raphael Donato, recientemente fallecidos, fundaron Universidades atentas a las necesidades de su país, y crearon carreras que correspondían a las urgencias nacionales. No es mi intención hacer una lista completa de estas respuestas creativas, y ustedes seguramente compartirán muchas otras durante estos días. He querido resaltar solamente algunas, para afirmar lo que todos sabemos, que las Universidades y las Instituciones Superiores no se han quedado atrás en la lectura de las urgencias y en las respuestas innovadoras. Pero, sin duda podemos y debemos hacer más y los desafíos que hoy se nos presentan son enormes.
sta n. 2/2007, 244-245). È disponibile presso il Centro della Provincia Italia, viale del Vignola 56, 00196 Roma; [ndr].
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Desafíos que nos interpelan Cuando se hace una lectura rápida de lo que afirman las Universidades católicas en general, y las lasallistas en particular, sorprende una tendencia a enfatizar la excelencia y la calidad educativa que se ofrece a los estudiantes. El conseguir la acreditación parece uno de los objetivos más importantes. Y a veces podemos contentarnos con formar profesionales con una educación de calidad. Para el francés Michel Freyssenet8, la idea de considerar la Universidad como un polo de excelencia, es ridícula, escandalosa y excluyente. Y San Alberto Hurtado, jesuita y universitario chileno, afirmaba ya en 1943: La primera misión de la Universidad es inquietar al mundo, y la primera virtud del universitario es sentir esa inquietud, ese inconformismo frente al mundo prisionero. Para ambos lo que se necesita no son tanto polos de excelencia, sino polos de cuestionamiento, capaces de poner en marcha la inteligencia, la imaginación y el trabajo de los investigadores para ser constructores de un mundo más humano. A veces se nos escapa un cierto tono elitista porque estamos orgullosos y satisfechos de lo que hacemos. Pero, ¿podemos contentarnos con el criterio de excelencia?, ¿es esta excelencia realmente lo que nos caracteriza? Y ahondando en las preguntas podríamos interrogarnos yendo a las raíces: ¿para qué tenemos universidades?, ¿para qué crear nuevas? Para entender mejor cuáles son los desafíos a los que hoy debemos responder, conviene aquí recordar algunas de las tensiones que sentimos en la Asamblea al hablar de la Misión Educativa Lasallista:
Tensiones entre una postura neutral en nuestros esfuerzos educativos y otra postura que toma posiciones políticas definidas. Entre misión compartida y “nuestra” misión. Entre el anuncio explícito del Evangelio o el testimonio implícito. Entre renunciar a la identidad cristiana para incluir a todos, o ser católico para acoger a todas las religiones Entre enseñanza como profesión o como vocación Entre servicio educativo asistencial a los pobres, o estudio de los síntomas y de las causas raíces de la pobreza Entre servir preferencialmente a las familias pobres o a las más acomodadas.
Estas tensiones se sienten probablemente en las Universidades con más agudeza y apuntan hacia desafíos muy concretos en lo que se refiere a la docencia, a la investigación, a la aplicación para la transformación de la sociedad y para un desarrollo sostenible. La Magna Charta de las Universidades Europeas, suscrita en Bologna en 1988, expresa en estos términos el desafío de una Universidad: una comunidad académica que, de modo riguroso y crítico, contribuye a la tutela y desarrollo de la dignidad 8
Cf. Travail et société: grandes tendances, in L’Etat de la France. Sociétè – culture – économie – politique, éd. La Découverte, Paris 2004, pp. 100-106.
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humana y de la herencia cultural mediante la investigación, la enseñanza y los diversos servicios ofrecidos a las comunidades locales, nacionales e internacionales. Debemos por consiguiente tener en cuenta estas tres dimensiones: la enseñanza, la investigación y el compromiso transformador. ¦ En el campo de la enseñanza cada disciplina, naturalmente, tiene un lenguaje y principios que le son propios en su relación con el mundo y la sociedad. Iniciamos a nuestros alumnos a entrar en diálogo profesional y crítico con el mundo desde una cierta per-spectiva. Pero las especializaciones no son suficientes. La Universidad, debe procurar un sustrato universal que permita encontrar un sentido a lo que somos y hacemos, para que la conversación de las distintas disciplinas contribuya a la formación de un profesional crítico y atento a la cambiante realidad, y no solamente a la acumulación de conocimientos. En palabras del filósofo norteamericano Ralph Waldo Emerson, ¡cuidado cuando Dios suelta en el mundo una persona creativa! Todos los cánones de la literatura, de la ciencia, inclusive de las creencias religiosas pueden ser cuestionados. ¿Nos contentamos con enseñar a aceptar pasivamente un cúmulo de verdades, o inquietamos las conciencias que profesionalmente transformarán el mundo y la sociedad? La Universidad Lasallista está llamada a desarrollar un estilo de enseñaza capaz de crear inquietudes y un sano inconformismo que mueva a los estudiantes a buscar la verdad y a construir una sociedad fundada en los valores evangélicos. ¦ La investigación es también una dimensión importante para nuestras Universidades. Una investigación que trata de responder a las necesidades del mundo y de la sociedad buscando nuevos caminos, nuevas interpretaciones, y soluciones de futuro. ¦ Imbuidos de los valores evangélicos, docentes y estudiantes, así como los investigadores, no viven la fe en un ámbito privado. Crecen hacia una fe adulta, comprometida, que busca conocer los pueblos, las mentalidades y las estructuras económicas, sociales y políticas del país y del mundo. Iluminados por el Evangelio, buscamos soluciones auténticas para los problemas estructurales, colaborando donde se puede con otros grupos e instituciones que persiguen los mismos objetivos. Se trata, en palabras de san Pablo, de una fe activa en la práctica del amor y no de un mero servicio asistencial. Debemos formar profesionales, pues, que no se conviertan en los opresores del pueblo, sino en servidores de sus hermanos/as.
Fin y espirítu de la misión lasallista universitaria El capítulo primero de la Regla de los Hermanos se titula: Fin y espíritu del Instituto. Pienso que es el capítulo más importante porque nos presenta cuál es nuestra finalidad y cuál es el espíritu que debe animarnos; en otras palabras, define nuestra identidad. Creo que podemos hacer una aplicación de lo anterior a la Misión Lasallista Universitaria. La razón de ser y la finalidad de una Universidad no aparecen necesariamente en sus edificios ni en sus campus. Su finalidad es contribuir al desarrollo y a la tutela de la dignidad humana, ayudar a encontrar un sentido para la vida, conser-
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var y enriquecer la herencia cultural, dar pistas para la búsqueda de la verdad, permitir que todos tengan vida y vida en abundancia. Por eso el espíritu de una Universidad Lasallista se mide por una fe adulta, una esperanza incondicional y una caridad ardiente; es decir una fuerza que mueve a todos los componentes de la comunidad educativa, abiertos al mundo, desde su centro de identidad carismática. No tiene miedo de proclamar su identidad cristiana y católica. El carisma vivido en asociación para la misión es un verdadero ministerio eclesial. Pero no es excluyente. Precisamente porque creyente y católico, nos sentimos impulsados a abrirnos a otros, cristianos de otras iglesias, creyentes de otras religiones, humanistas no creyentes y a toda persona humana, haciendo de nuestros centros superiores, escuelas de comunión. Todos deben encontrar cabida bajo nuestro techo y todos deben sentirse bien. No queremos ser una universidad cualquiera, destacada por su elitismo. Estamos llamados a responder, directa o indirectamente, a las urgencias de las familias afectadas por las nuevas pobrezas, a los inmigrantes y los que sufren hambre, precisamente a través del desarrollo de carreras sostenibles para futuros profesionales, que serán a su vez los servidores y profetas atentos a las necesidades de los más abandonados. Las urgencias de las que hablamos en la Asamblea 2006 contienen pues un llamado profético y un desafío para toda la red de proyectos educativos lasallistas. Ellas se dirigen también a las Universidades e Instituciones de Educación Superior. Cuestionan no sólo nuestra identidad y finalidad, sino que nos exigen repensar el papel que éstas tendrán en el conjunto de nuestras obras. En el pasado, no pocas veces, las Universidades aparecían como verdaderas islas dentro del proyecto distrital. No necesariamente en oposición al distrito en el cual se situaban, pero tampoco con una conexión vital con el mismo. Es por este motivo que, como lo hizo la Asamblea Internacional, es necesario tocar también el tema de lo estructural. La Asamblea señaló aquí también algunas tensiones que se dan en este ámbito a partir de las nuevas experiencias de creación de estructuras participativas en las que Hermanos y Seglares asumen juntos las decisiones para la misión:
La tensión entre una tendencia a simplemente copiar o adaptar las estructuras tradicionales de los Hermanos, o la creatividad de imaginar realmente nuevas estructuras. La tensión entre estructuras jerárquicas o con un nuevo estilo colegial de relaciones en redes. La tensión entre las estructuras ligadas a un territorio geográfico o las estructuras más virtuales entre ministerios similares, más allá de los territorios donde estamos situados. La tensión entre la participación por el diálogo con otras instituciones o la tendencia a aislarnos en nuestra propia institución. Y finalmente quiero agregar la tensión entre la voluntad de colaborar con otras entidades nacionales e internacionales, de la Iglesia o del Estado, o la de aislarnos en nuestro mundo lasallista.
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Estas tensiones probablemente existen también entre las Universidades y los Distritos, entre Universidades individuales y las otras Universidades, entre la red de obras lasallistas y la IALU9. Y por ejemplo, aunque las Universidades han estado significativamente presentes en las Asambleas parciales de todas las Regiones, y 17 delegados de la Asamblea internacional 2006 provenían de las Universidades, todavía nos interrogamos sobre la influencia y el impacto real que tengan estas Universidades en el conjunto de proyectos, obras y ministerios lasallistas en el mundo. Creo que es importante preguntarse ¿cómo estar real y significativamente presentes, en tanto que Universidades, en las estructuras distritales, regionales, e internacionales o en las nuevas estructuras de redes virtuales? Como un aporte a esta reflexión quisiera señalar algunos ejes a través de los cuales la influencia y el impacto de la Asociación Internacional de Universidades Lasallistas podría hacerse sentir con mayor fuerza y eficacia.
1° eje - Sin duda es importante, y crucial para el futuro, que sigamos buscando una educación de calidad. La excelencia en lo que hacemos, aunque no es el único ni el principal objetivo que nos proponemos, es importante. No porque queramos ser elitistas. Ni solamente por competitividad ante otras Universidades. Ni como publicidad para atraer alumnos. Excelencia y calidad, porque queremos que la Universidad funcione bien, como lo expresaba Juan Bautista de La Salle al hablar de sus escuelas. Porque respetamos la consistencia de las realidades terrestres. Porque tomamos en serio las disciplinas académicas. Porque no queremos formar cualquier profesional, sino los mejores, los más preparados académicamente, los más motivados a servir a la sociedad y a contribuir al bien común. Eso implica que deberíamos ser reconocidos por saber compaginar la excelencia académica con la realidad social y política en que vivamos, lo que permitirá a nuestros alumnos entender mejor los problemas estructurales y buscarles solución. Todas las asignaturas, o al menos un conjunto significativo del currículo, deberían caracterizarse por esa conexión, incluyendo un componente de servicio directo a los pobres, de manera que los alumnos puedan no sólo captar los conceptos claves de esas asignaturas, sino que comprendan sus implicaciones en la vida urbana, nacional e internacional. Este enfoque en la docencia, podría impactar en la filosofía educativa de todas las obras educativas lasallistas, tanto en la educación primaria como en la secundaria, así como en los otros proyectos de educación popular, formal o no formal, y en la atención a niños y jóvenes en dificultad. Un aspecto que no debemos dejar escapar es la posibilidad que tienen las Universidades, a partir de sus Departamentos de Educación, de contribuir a la dignificación y la profesionalización de los maestros, no sólo de nuestras obras lasallistas, sino del sistema de Escuelas Públicas oficiales. Esta formación de maestros podría tener como enfoque específico las urgencias que señalábamos anteriormente, en particular el desmembramiento de las familias y el surgimiento de nuevas pobrezas. Tenemos también un potencial enorme en los Departamentos de Ciencias Religiosas y Educa9
International Association of the Lasallian Universities : www.ialu.com
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ción para desarrollar ministros que se ocupen de la pastoral juvenil no sólo en los campus universitarios sino en todas nuestras obras, así como en las diócesis donde estamos implantados. Deberíamos ser reconocidos como los que mejor abogan y defienden la profesión magisterial y una pastoral juvenil no desconectada de la realidad social. Colaborando con las diócesis, los sindicatos, con partidos políticos y grupos que promuevan la educación y la pastoral, sobre todo de los más pobres, de las poblaciones desplazadas y de los marginados.
2º eje - Es cierto que nuestros presupuestos no son muy significativos en el campo de la investigación y que las universidades estatales tienen la ventaja de contar con la subvención directa del estado. Quizás, si no logramos esta ayuda estatal podemos encontrar aliados en la empresa privada para una investigación directa en los países en donde estamos implantados. Los dos últimos Capítulos generales nos han marcado dos campos muy concretos para la investigación universitaria. En 1993, el 42º Capítulo General pidió a las Universidades ir a fondo en el estudio de las raíces de la pobreza, y el Capítulo del año 2000 solicitó a las Universidades velar por el conocimiento y la aplicación de los Derechos del Niño. Una investigación específica sobre los principales problemas de la sociedad, podría ayudar a profesores y alumnos a entender mejor el papel de la investigación a nivel profesional, con el fin de transformar estructuras inadecuadas y crear un mundo más justo. Esta vocación de investigador, posiblemente, los acompañará durante toda la vida. Otra dimensión importante que nuestras Universidades deben promover es el de la investigación propiamente lasallista. Investigación, publicaciones10 que nos ofrezcan nuevos enfoques sobre el carisma, la espiritualidad, la pedagogía lasallista. Esta investigación podría tener un impacto directo en todas las obras. Y nuevos programas de formación lasallista para docentes universitarios y para docentes de toda la red distrital, podrían estar articulados a partir de esa investigación.
3° eje - Si el proyecto universitario prioriza la investigación de la realidad y una enseñanza de calidad para el servicio de los pobres, marginados y desplazados en la sociedad, lo hace con el fin de transformarla. Y todos, investigadores, docentes, alumnos deben sentirse llamados a responder activamente por la fe, en su trabajo profesional concreto. La fe que queremos desarrollar, no es sólo nocional. Es una fe comprometida en la acción, es una fe que busca entender y transformar. Una fe apasionada, pasión por Dios y pasión por los pobres. La experiencia del voluntariado encontraría aquí también un lugar privilegiado. Afirmar esto de nuestros alumnos y docentes es también reconocer el compromiso que queremos ver hecho realidad en nuestros antiguos alumnos al salir de nuestras aulas y en los colegas que nos dejan para ir a otros centros. No todos están llamados a quedarse dentro de la red de obras. Entre nosotros y por el tiempo que estuvieron 10
Si veda in altra parte di questo numero (pp. 284ss.) una prima scheda segnaletica di alcune testate di riviste scientifiche e di periodici di animazione, editi nel mondo lasalliano (ndr).
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de paso, encontraron una escuela de fe, pero a donde quiera que vayan, esperamos que continúen desarrollando esa conciencia de su vocación laical en el mundo, y esa voluntad de trabajar con otros para el bien de los más necesitados, colaborando activamente en la construcción del Reino.
Conclusión San Juan de la Cruz, inspirándose en Mateo 25, decía que en el ocaso de la vida, seremos juzgados por el amor. Por el amor que hayamos brindado a los demás. No basta por consiguiente una excelencia académica, debemos buscar sobre todo una excelencia solidaria en el servicio, una excelencia evangélica. Es sobre ésta que seremos juzgados y es sobre ésta que ya desde ahora debemos juzgar la misión de nuestras Universidades. Nuestros centros superiores no pueden reducirse a una oferta más para el mercado. Tuve hambre y me disteis de comer, tuve sed y me disteis de beber… estaba desnudo… en la cárcel… (Mt 25,31-46). No se trata de un amor abstracto o platónico sino de un amor concreto que se hace historia. Nuestras Universidades tienen una especial responsabilidad de educar a los pobres o de educar a favor de los pobres. Pobres en un sentido amplio naturalmente y en primer lugar en sentido material, pero también los marginados, los minusválidos, los emigrantes, los refugiados, los jóvenes que no encuentran empleo o no ven sentido en sus vidas. Ellos son la clave hermenéutica que debe inspirar nuestros proyectos educativos y nuestros procesos transformadores. No nos podemos reducir a lo simplemente tecnológico ni a las leyes del mercado. Lo nuestro es mantener viva la dimensión antropológica en un mundo cada vez más virtual. Lo nuestro es ser custodios del misterio que cada persona humana encierra. Sólo así podremos asegurar lo que Gaudium et spes expresaba con tanta lucidez y fuerza: Se puede pensar con toda razón que el porvenir de la humanidad está en manos de quienes sepan dar a las generaciones venideras razones para vivir y razones para esperar (GS 31).
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Universities of La Salle in the world [www.aiul.net; www.ialu.net; www.lasalle.org; www.lasalle2.org; Cahier Mel 39] ARGENTINA • Instituto Pastoral de la Adolescencia (IPA), Buenos Aires • Centro de Comunicación La Crujía, Buenos Aires BELGIQUE • Institut Supérieur d’Architecture St.Luc, Brussels • Institut Reine Astrid de Mons IRAM, Mons BOLIVIA • Universidad La Salle, La Paz BRASIL • Centro Universitario La Salle, Canoas / RS • Institutos Superiores La Salle UNI-LaSalle, Niterói / RJ COLOMBIA • Universidad La Salle, Bogotá COSTARICA • Universidad La Salle, San José CÔTE D’IVOIRE • Institut Supérieur de Sciences Pédagogiques et Religieuses (CELAF), Abidjan ESPAÑA • Enginyeria i Arquitectura La Salle, Universitat Ramon Lull, Barcelona • Centro Superior de Estudios Universitarios La Salle, Madrid • Instituto Superior de Ciencias Religiosas San Pio X, Madrid
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FILIPINAS De La Salle University DLSU, Manila De La Salle University, Bacolod City De La Salle University - Health Sciences Campus, Cavite De La Salle Lipa, Lipa City – Batangas DLSU - College of St. Benilde, Manila De La Salle Araneta University, Malabon, Metro Manila De La Salle University, Ozamiz City
FRANCE • Institut Polytechnique La Salle, Beauvais • Centre J-B de La Salle - Section d’Enseignement Supérieur, Lyon • Ecole Ingénieur Informatique Industrielle ESAIP, St. Barthélemy d’Anjou
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GUATEMALA • Instituto Centroamericano de Ciencias Religiosas, Ciudad Guatemala • Proyecto de Desarrollo Santiago, Prodessa ISRAEL • Bethlehem University, Bethlehem KENIA • Institute for Higher Education CTYE, Nairobi
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MEXICO Universidad La Salle, México D.F. Universidad La Salle, Cancún Universidad La Salle Chihuahua Universidad La Salle Noroeste, Ciudad Obregón Universidad La Salle, Ciudad Victoria Universidad La Salle, Cuernavaca Universidad La Salle-Laguna, Gómez Palacio Universidad La Salle, Morelia Universidad La Salle, Nezahualcóyotl A.C. Universidad La Salle, Pachuca Universidad La Salle, Saltillo, Coah. Universidad La Salle-Bajío, León Guanajuato Universidad La Salle-Bajío, Salamanca Universidad La Salle-Bajío, San Francisco del Rincón Normal Superior Benavente, Puebla Centro Internacional de Educación ULS, México D.F. Centro de Estudios Superiores La Salle (CESLAS), Monterrey, N.L.
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USA College of Santa Fe, Santa Fe, New Mexico Christian Brothers University, Memphis, Tennessee La Salle University, Philadelphia, Pennsylvania Lewis University, Romeoville, Illinois Manhattan College, New York Saint Mary’s College of California, Moraga, California Saint Mary’s University of Minnesota, Winona, Minnesota
VENEZUELA • Fundación La Salle de Ciencias Naturales, Caracas
LASALLIANA
RivLas 75 (2008) 2, 263-270
¿Religiosos o maestros? Josean Villalabeitia, FSC Doctor en Teología, Madrid
N
uestra tesis1 toma el título de una conocida frase del Fundador de los Hermanos: “No hagáis diferencia...” Este título no recoge la frase completa, por eso va seguido de puntos suspensivos; pero quienes conocen un poco la doctrina de San Juan Bautista de La Salle no tendrán dificultad para completarla, especialmente si, además, se han leído las casi 1.300 páginas de la tesis. Al proponer este pensamiento, el Fundador se refería a la unidad de vida del Hermano, para quien santidad personal y labor apostólica deben constituir siempre un único e idéntico afán. Este pensamiento del Fundador ha sido, ciertamente, iluminador para nuestro trabajo, pero, no obstante, hay que aclarar desde el principio que la tesis no trata directamente de la doctrina del Santo de Reims. El objeto fundamental de nuestras investigaciones está mucho más próximo en el tiempo: es el 39º Capítulo General de nuestro Instituto, que se reunió entre 1966 y 1967 para aplicar a los Hermanos la doctrina “revolucionaria” de aquel Concilio Ecuménico Vaticano II que había concluido poco meses antes. En este sentido, el subtítulo de la tesis no deja lugar a dudas sobre el argumento de estudio: la “relación entre la consagración religiosa del Hermano y su labor apostólica”, según el Capítulo General mencionado. 1
El pasado 26 de noviembre tuvo lugar en el Claretianum de Roma, Instituto de Teología de la Vida Consagrada adscrito a la Universidad Lateranense, la defensa de una tesis doctoral de temática lasaliana. Su autor, el Hermano español Josean Villalabeitia, proclamado al finalizar el acto, con la máxima calificación, doctor en teología, nos presenta en breves páginas el contenido de su trabajo (NdR).
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Se habla de relación entre ambas realidades fundamentales de la vida del Hermano porque, sobre todo durante el siglo XIX y primera mitad del XX, se había producido en el Instituto un peligroso deslizamiento hacia concepciones teológicas que no sólo falseaban la vida del Hermano y la desconectaban de lo que el Fundador y sus primeros discípulos habían propuesto, sino que - y esto es mucho más grave - llevaban a la vida espiritual de muchos Hermanos la semilla de la dicotomía, de la división interior: esa angustiosa sensación de estar dedicando demasiado tiempo a lo que sólo es accesorio - los niños, la escuela...-, mientras se descuida lo verdaderamente importante, que es la vida de oración, el silencio, la huída del mundo, la penitencia..., sin que se sepa encontrar un punto de contacto significativo entre ambas realidades. De hecho, esta sensación, fatal consecuencia de premisas falsas, llevó a muchos Hermanos - como se indica con amplitud y detalle en el capítulo 8 de la tesis, dedicado al análisis de las notas enviadas al Capítulo General - a la tristeza vital y la crisis. Eran las nefastas consecuencias de la llamada“teología de los dos fines”, protagonista destacada, en negativo, de muchas páginas de nuestro trabajo, que desapareció -o, al menos, eso queremos pensar- del horizonte teológico de las comunidades religiosas apostólicas cuando los últimos documentos del Vaticano II salieron a la luz pública. Nuestro trabajo quiere ser testigo curioso, concreto y detallista de cómo se produjo esa evolución en nuestro Instituto, desde el abandono de la teología de los dos fines hasta la proclamación de la profunda unidad de vida del Hermano, que se materializa en la “Declaración sobre el Hermano en el mundo actual”, esa joya que el Instituto se autorregaló en aquel Capítulo General, enérgico alegato contra la dicotomía espiritual del Hermano y auténtico monumento a su unidad interior de vida, que sigue siendo aún hoy, cuarenta años después de su aprobación, faro señero para orientarse con garantías por esos embrollados vericuetos de la consagración religiosa apostólica de los Hermanos. *** Evidentemente cuando comenzamos nuestro trabajo no sabíamos casi ninguna de estas cosas que ahora comentamos. Nos movía, sobre todo, el deseo de trabajar en torno a la consagración religiosa del Hermano, por un lado, y de bucear en los textos del Concilio y del 39º Capítulo General, por el otro. Y a ello dedicamos con entusiasmo los primeros esfuerzos. Metidos ya en harina, nos dimos cuenta de que, tras la artificiosa discusión impuesta desde fuera del Instituto sobre el carácter laical del mismo, el tema que luego ocuparía el centro de nuestras pesquisas era la clave fundamental del 39º Capítulo General, y que su plasmación final más importante se hallaba en ese documento que hoy llamamos, para abreviar, la Declaración (1967). Y a partir de ese momento, saber cómo se gestó la Declaración, cuáles fueron los problemas que hubo que solventar para redactarla, los borradores desde los que se inició la discusión y su evolución sucesiva, quiénes fueron las figuras fundamentales que la impulsaron, cuáles fueron la fases principales de su composición, los detalles más significativos de la misma, etc. se convirtieron en objetivo fundamental de nuestro trabajo. También nos interesaban las partes de los demás documentos capitulares que hablaban sobre nuestro problema, pero estaba claro que tenían un interés más reducido, porque ninguno de ellos reco-
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rrió el extenso camino de la Declaración, ni tuvo que superar las enormes dificultades que en nuestro trabajo se describen con detalle para llegar a un acuerdo final satisfactorio para todos. Más tarde, casi sin quererlo, nos ha tocado confirmar la importancia de nuestro tema para la vida del Instituto, y para la espiritualidad lasaliana en general, en textos de algunos autores de peso. Podríamos mencionar a los Hermanos Michel Sauvage, Maurice-Auguste Hermans o Luke Salm, por ejemplo, nombres frecuentes en las páginas de nuestro trabajo, pero, por ceñirnos con brevedad a los españoles citaré únicamente a dos. Saturnino Gallego, en primer lugar, Hermano, maestro y amigo, que, en el pórtico de su colosal historia del Instituto en España, formula como primer principio fundamental de la actuación de los Hermanos el siguiente: “De La Salle orienta a sus Hermanos, ante todo, por la unidad espiritual, [por] la supresión de toda dicotomía: entre vida y apostolado, entre ser y actuar, entre religioso y educador, entre consagrado y profesional, y -aunque suene exagerado- entre salvación propia del Hermano y la del discípulo”2. Y también el Hermano Guillermo Félix, otra de las figuras destacadas del Instituto en España por las fechas que hemos estudiado, que distinguía en el Instituto tres clases de Hermanos, “al parecer excelentes”, añadía él con sorna e ironía sin igual: los que se vuelcan por completo en la escuela, los que se dedican a la oración intensiva, y los que no hacen diferencia entre ambas actividades, ya que, en buena doctrina lasaliana, ambas van orientadas a un idéntico y espléndido objetivo. Todos parecen ser excelentes Hermanos, afirma el Hermano Guillermo Félix, pero sólo los terceros lo son de verdad3. Así pues, no debemos dudar de que nuestro estudio analiza un punto fundamental de la espiritualidad lasaliana, de que lo hace en un momento trascendental de su historia, cual es el Concilio Vaticano II y sus aledaños, y de que se centra en un documento aún hoy capital para el Instituto, como es la Declaración sobre el Hermano en el mundo actual, aprobado por el Capítulo General en 1967. Estos tres puntos resumen, desde nuestro humilde punto de vista, el interés de nuestra tesis para el Instituto y, al mismo tiempo, también la principal aportación que se puede esperar de ella. *** Entrando ya en el campo de la metodología, dos convicciones nos han movido a la hora de redactar la presente tesis: En primer lugar, siempre que ha sido posible se ha dejado hablar a los documentos. En estos casos, hemos procurado no ahogar con nuestros argumentos lo que los documentos de archivo o bibliográficos estaban proclamando a gritos; es decir: hemos actuado convencidos de que no era el autor quien tenía que hablar, sino los documentos. En consecuencia, en estas ocasiones el autor se ha limitado a seleccionar los textos, organizarlos adecuadamente, relacionarlos si había lugar y explicar las cuestiones que -a su entender- no se comprendían del todo, aclarándolas, poniéndolas en 2
Sembraron con amor, Hermanos de las Escuelas Cristianas, San Sebastián 1978, p. 33. Tres clases de Hermanos, al parecer excelentes, Jornadas Catequísticas Nacionales 19501951, pp. 6-8. 3
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contexto o, incluso, cuando ha parecido necesario, aportando una valoración lo más objetiva posible de las mismas. Después, al final, cuando las conclusiones parecían ya de por sí suficientemente elocuentes, el autor sí que ha intentando recoger, en una recapitulación conclusiva más personal, los logros y las carencias más destacados que ha creído observar en el proceso, poniendo de relieve los aspectos a su entender más significativos y argumentando en torno a ellos. En segundo lugar, a la hora de analizar el contenido de un texto, más que proponer un comentario especulativo o vivencial del mismo, se ha preferido estudiar con detalle la historia del texto, su evolución, señalar las ideas que se han mantenido en su proceso de redacción, las que han desaparecido y las que se han ido incorporando, las que se han desarrollado y las que han disminuido en extensión o importancia, las que han cambiado de orden, los matices que se han ido introduciendo, etc. Se han intentado explicar los motivos que podían justificar los cambios, planteando hipótesis y tratándolas de acuerdo con las normas de la crítica más exigente, etc. Estamos convencidos que de esta manera hemos logrado extraer de los textos cierto tipo de información muy preciosa que, de otra manera, habría quedado en el tintero. Es posible también que, al aplicar nuestro método, otro tipo de informaciones, que los documentos también contienen, haya podido quedar más en la penumbra, pero así queda materia prima para que otros valientes se animen a continuar con el asunto... En cualquier caso, hemos intentado utilizar siempre un método científico riguroso, afirmando sólo aquello que estuviera avalado con claridad por algún documento o por algún razonamiento lógico a partir de posiciones bien documentadas. Y si, en algún caso, veíamos que la argumentación era endeble, o que podía dar lugar a distintas conclusiones, así lo hemos intentado indicar con humildad, sin temer nunca introducirnos en los terrenos de la crítica o la alabanza cuando juzgábamos que había motivos suficientes para ello. Por otra parte, aunque no siempre haya resultado sencillo materializar nuestro deseo sobre el papel y más allá de la innegable extensión de la tesis, nos hemos propuesto exponer todo con claridad y concisión, favoreciendo siempre una lectura ágil y agradable de nuestro trabajo. Somos muy conscientes de que no todas las páginas del mismo cumplen en idéntica proporción este objetivo, pero creemos honradamente que son mucho más abundantes las que se leen y entienden con facilidad que las que exigen un esfuerzo excesivo. *** El trabajo se presenta con un esquema muy sencillo, que, como es lógico, ha ido evolucionando bastante conforme avanzaban sus páginas. En su versión definitiva consta de tres partes claras, divididas en un total de catorce capítulos. ■ La primera parte está dedicada a contextualizar el trabajo. Para la elección de sus apartados nos hemos dejado guiar un poco por las recomendaciones que el Concilio Vaticano II proponía a los religiosos en Perfectae caritatis 2. Así, los dos primeros capítulos se dedican a describir los signos de los tiempos de aquel momento histórico en relación con nuestra problemática; el tercero investiga las aportaciones del propio
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Vaticano II al tema; y los dos últimos capítulos intentan aclarar cómo se veían estas cosas en los tiempos de la fundación del Instituto. Es evidente que faltan ahí numerosos aspectos importantes, que habrían encuadrado nuestra problemática en un contexto mucho más completo, como la Biblia, la historia de la vida consagrada o la del Instituto. Pero no queríamos alargar de forma desmesurada nuestro trabajo ni vernos, por otra parte, obligados -por falta de espacio o de preparación científica- a redactar generalidades que son conocidas más que de sobra por todo el mundo. ■ La segunda parte, compuesta por tres capítulos, presenta algunos aspectos previos a la celebración del 39º Capítulo General propiamente dicha. Como es lógico, nos hemos centrado exclusivamente en aquellos puntos que tenían una incidencia directa en nuestro tema, como, por ejemplo, ciertas notas de Hermanos enviadas al Capítulo General, los borradores de la nueva Regla por entonces en preparación, o ciertos documentos del Papa y de los Superiores alusivos a nuestro problema. ■ La tercera parte, la más importante sin duda, consta de seis capítulos y sigue fielmente el desarrollo histórico de la propia asamblea capitular: su primera sesión, la importantísima intersesión y la segunda sesión capitular, que es la que a nosotros más nos ha interesado. Además, el último capítulo se introduce levemente en el Capítulo General de 1986 porque estamos convencidos - y así lo hemos intentado demostrar en el trabajo - de que nuestro tema no quedaría realmente coronado hasta la aprobación de algunos artículos de la Regla que ese Capítulo del 86 redactó, y que continúan hoy vigentes en nuestro Instituto. Nueve anexos, con estadísticas y documentos varios, completan ciertas informaciones y, en general, ayudan a comprender mejor las aportaciones centrales de la tesis.
*** En relación con las conclusiones de nuestro trabajo ya hemos avanzado algunos puntos al comienzo de estas líneas. No es difícil, de cualquier modo, resumirlas de manera más intuitiva y sencilla en unas pocas frases, que, aunque se refieran a más cuestiones que las dos específicas que nosotros hemos estudiado en detalle - consagración religiosa y labor apostólica -, sintetizan de manera admirable lo que de más valioso hemos creído encontrar en nuestro trabajo. Entre estas frases, la más conseguida puede que sea el artículo 10 de la actual Regla, preparada por el Capítulo de 1986, que afirma lo siguiente: “Cada Hermano se esfuerza por integrar en su persona las dimensiones constitutivas de su vocación: la consagración a Dios en cuanto religioso laico, el ministerio apostólico de la educación, particularmente junto a los pobres, y la vida comunitaria”. Son aquí claves el verbo “integrar” en su persona y la palabra “dimensiones”, que para los físicos tiene un contenido muy concreto; son puntos de vista distintos, aspectos diferentes, luces analíticas diversas, que, sin embargo, no descuartizan en partes separadas, en piezas, en elementos independientes y autónomos, la única realidad existente. A nadie en su sano juicio se le ocurriría decir que el espacio es una suma, una superposición de longitud, anchura y altura, aunque para analizarlo venga bien hablar así y estudiar en
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él esas dimensiones. De la misma manera, la vida del Hermano es una única e indivisible realidad, aunque para describirla tengamos que hablar de varias dimensiones. No sería mal consejo animar a los Hermanos a integrar cada vez más íntimamente en su persona esas tres dimensiones tan valiosas de su única vocación lasaliana, de su vida en definitiva. Y ya que estamos con ejemplos de la ciencia experimental, quisiera recordar aquí un sugerente comentario, de raíz química, que propone, a propósito de nuestro tema, otro documento del 39º Capítulo General, titulado éste Consagración religiosa y votos. Constituiría la segunda frase de las anunciadas. En ella se compara la vida del Hermano con una molécula de agua, que, como su fórmula química indica bien a las claras (H2O), está compuesta por dos tipos de átomos que, en condiciones normales son dos gases: hidrógeno y oxígeno. Pero suponer que, por esa razón, en las mismas condiciones, el agua tiene que ser también un gas es llamarse al error más garrafal. Porque el análisis del agua nos da dos gases, en efecto; pero el agua es algo completamente distinto que la suma de esos dos gases: es un líquido, que ni arde ni deja arder como sus componentes, que tiene mucha mayor densidad que ellos, etc.; la íntima unidad de la molécula de agua transforma por completo las características de sus componentes. De la misma manera que el agua, la vida del Hermano es muy distinta, es mucho más, es otra cosa, muy diferente de la mera suma o yuxtaposición de todos sus componentes cotidianos: oración, comunidad, escuela, pobres, Palabra de Dios, silencio, fiesta, votos... No confundamos sus diversos componentes, sus dimensiones, con la realidad, que es una unidad robusta y estable. Otra formulación que podría servir perfectamente como síntesis conclusiva de nuestro estudio es el párrafo 14,1 de la Declaración, que conformaría una tercera fraseresumen. Reza así: “Lo que especifica la vocación del Hermano no es cualquiera de las características anteriores tomadas aisladamente [es decir, consagración religiosa, comunidad, apostolado educativo y catequístico, servicio de los pobres, asociación...], sino la decisión de asumirlas todas en síntesis personal realizada por la caridad”. La clave ahora son tres conceptos: “síntesis” de todas esas características - dice la Declaración, dimensiones, decía la Regla -; “personal”, es decir, que cada cual debe hacer la suya, o, lo que es lo mismo, que todas las síntesis son diferentes, porque diferentes son también los Hermanos que las realizan; y, por fin, “caridad”, como pegamento evangélico imprescindible para que la integración salga como debe, es decir, como Dios desea. Por consiguiente, según esta afirmación de la Declaración, no hay dos Hermanos iguales, aunque en todos deben estar presentes los mismos ingredientes de base, eso sí, amasados, integrados, combinados, sintetizados -dirían los químicos-, en proporciones y por métodos diversos. Por tanto, nada de copias clonadas, nada de Hermanos idénticos; viva la diversidad carismática, construida, por supuesto, sobre sólidos fundamentos lasalianos comunes. Y, por terminar como habíamos comenzado, como cuarta y última frase de síntesis quiero evocar la memoria de San Juan Bautista de La Salle, que añade a cuanto ya se ha comentado esa autoridad moral que le da su papel providencial en el Instituto, reconocido oficialmente por la Iglesia, de Padre y Fundador, es decir, de camino concreto, de instrumento providencial por el que se han plasmado en la historia ciertos planes de Dios relacionados con los niños y los jóvenes pobres, y con su educa-
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ción cristiana. Si hoy estamos aquí los Hermanos es gracias a la fidelidad y a la generosidad de aquel gran hombre, que no se asustó cuando vio que Dios lo sacaba de su mundo aristocrático para unirlo de por vida a la aventura de unos modestos maestros, inferiores en condición social a los criados de las casas señoriales, y que, sin embargo, por voluntad del mismo Dios, estaban llamados a llevar el Reino de Dios a las escuelas, porque eran instrumentos ministeriales de ese plan providencial del Dios Amor que quiere que todos los hombres se salven y lleguen al conocimiento de la verdad4. Pues bien, este gran hombre, y gran santo, nuestro Fundador, lo tenía muy claro, y así lo dejó escrito: “No hagáis diferencia entre los deberes propios de vuestro estado y el negocio de vuestra salvación y perfección. Tened por cierto que nunca obraréis mejor vuestra salvación, ni adelantaréis tanto en la perfección, como cumpliendo bien los deberes de vuestro estado, con tal que lo hagáis con el fin de obedecer a Dios”5. Y en esas continuamos...
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1Tim 2,4, cita paulina que La Salle repite varias veces en sus Meditaciones para los días de retiro. 5 La Salle, Jean-Baptiste de, Recueil de différents petits traités. R 16,1,4. Œuvres Complètes, Frères des Écoles Chrétiennes, Roma 1993, p. 106. Las tres primeras palabras de este pensamiento de La Salle constituyen el título de la tesis.
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Cahiers MEL Dall’elenco dei Quaderni più recenti (2006-2008) Ogni Quaderno è disponibile in versione francese, spagnola, inglese […] 25. L’identité aujourd’hui (Robert Comte, fsc) 26. Multiculturalisme et immigration (Belisario S.Martín – José M.Beltrán, fsc) 27. L’identité lasallienne - Notes pour un atelier (groupe d’Experts Lasalliens) 28. Pastorale éducative en école. Un regard argentin (Santiago R.Mancini, fsc) 29. De La Salle au cœur de la société contemporaine multi-culturelle et multireligieuse (Herman Lombaerts, fsc) 30. Ateliers et Conférences Huether (FSC des Usa, Canada, Mexique) 31. Projet éducatif régional lasallien d’Amérique Latine/PERLA (O.Azmitia, fsc) 32. Ecoles et enseignants lasalliens : un point de vue des Usa (F.Mueller, fsc) 33. Animation biblique de notre pastorale (Enrique García Ahumada, fsc) 34. L’éducation lasallienne aux prises avec l’Union Européenne (H.Lombaerts) 35. « La » mission devient « notre » mission (Greg Kopra) 36. La Fondation La Salle de Sciences Naturelles. Modèle scientifique et éducatif favorisant l’option préférentielle des pauvres (José Pereda Núñez) 37. Les Frères en France et le service éducatif des artisans et des pauvres au moyen de l’Enseignement Technique (Henri Bédel, fsc) 38. Relations entre les familles et l’école. Une expérience (Belisario S.Martín) 39. Les identités des Universités lasalliennes au XXIème siècle. Un document de recherche analytique (Francis Tri Nguyen, fsc) 40. Expériences en pastorale des jeunes (in corso di stampa) *** La collana Cahiers MEL è edita dal 2002 come Supplemento di Rivista lasalliana. Informazioni e diffusione: Ufficio MEL, via Aurelia 476, I-00165 Roma: atesfai@lasalle.org
LASALLIANA
RivLas 75 (2008) 2, 271-276
I FSC nella storia della scuola in Piemonte Note bibliografiche
Marco Paolantonio .
O
rdinario della Facoltà di Scienze della formazione di Torino, l’autore è uno specialista del periodo storico preso in esame, cui ha dedicato numerose pubblicazioni. Quella qui recensita1 raccoglie sette saggi, il primo dei quali inedito, che svolgono il tema dichiarato con naturale continuità espositiva. Protagonisti ne sono personaggi noti, come dice la quarta di copertina, “uniti nella comune passione educati-
va, anche se animati da ideali e valori diversi: i marchesi Falletti di Barolo, Rosmini, don Bosco, Aporti, Bon Compagni, Cavour, ma anche sacerdoti e uomini di scuola meno noti (Berti, don Cocchi, Fecia, Garelli, Giulio, Rayneri, Troya, Valerio), il cui nome è indissolubilmente legato a pagine significative della storia piemontese e italiana”. Ma scorrendo la trattazione si incontrano schiere di educatori, sepolti nell’a-
nonimato dell’ordine e della congregazione religiosa ai quali appartennero, cui però è dovuto l’insostituibile tessuto dell’impegno quotidiano, estenuante e spesso ingrato di un’educazione e di un’istruzione in atto di cui è fatta la storia non celebrata.. Due in particolare sono le famiglie religiose che, per riprendere la metafora‘tessile’, costituiscono l’ordito, più o meno rilevato e rilevante nella trattazione: le Suore di San Giuseppe e i Fratelli delle Scuole cristiane. La loro è una presenza pressoché costante nell’intreccio con la trama cronologica degli anni che vanno dalla Restaurazione alla nascita del Regno d’Italia.
1
Giorgio CHIOSSO, Carità educatrice e istruzione in Piemonte. Aristocratici, filantropi e preti di fronte all’educazione del popolo nel primo ‘800, Società Editrice Internazionale, Torino
2007, pp. XII + 302.
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Le presenti note si limitano al fil rouge che, nell’opera del Chiosso, collega nel tempo l’attività educativa dei Fratelli delle Scuole cristiane, sia per evitare il dispersivo inseguimento dei tanti temi offerti, sia per sottolineare qualche buon apporto che i collaboratori della nostra Rivista si vedono riconosciuto2. Seguiremo la traccia espositiva dell’autore, contrappuntandola con annotazioni derivate dai contributi di Rivista lasalliana. 1. Da plebe ignorante a popolo istruito. Il dibattito sull’educazione e la scuola nel primo Ottocento piemontese - Solo nella seconda metà dell’Ottocento si affermerà il principio dell’istruzione obbligatoria, che nel periodo tra la Restaurazione e Risorgimento passa dalla definizione di ‘opportuna e utile’ a quella di ‘necessaria’. In Piemonte ha prevalente connotazione religiosa (tra il 1822 e il 1854 opereranno ben otto ordini e congregazioni dedite all’insegnamento) e si affianca alla straordinaria azione che si irradia da Torino per opera dei “santi sociali”: Cottolengo, Cafasso, don Bosco, Murialdo. In questo periodo acquista rilievo l’attività dai Fratelli, ai quali, a partire dal 1829, vengono prima affidate le istituzioni scolastiche maschili della R.O.M.I. (Regia Opera pia della Mendicità Istruita), poi tutte le scuole elementari di Torino. Nel decennio 1835-1845 l’attività educativa dei Lasalliani si estenderà ad altre città del Piemonte, come Alessandria, Pinerolo, Saluzzo, Vercelli. I giudizi sulla loro opera, da alcuni ritenuta eccedente nell’insegnamento confessionale e nelle pratiche religiose, sono quasi unanimemente positivi nei riguardi della serietà dei programmi scolastici e dell’efficacia didattica. Scrive Chiosso: “L’apporto dei Fratelli (…)
va dunque considerato per quello che esso veramente rappresentò e cioè un salto di qualità rispetto alla scuola degli anni ’20 e ’30 e non semplicemente ricondotto all’interno di categorie ideologiche. Con altrettanta obiettività occorre però anche dire che la pedagogia lasalliana, nonostante ogni sforzo, non riuscì a egemonizzare il movimento che, specie dopo il 1840, sostenne l’esigenza di una più ampia e diffusa istruzione per il popolo e della formazione di maestri anche laici” (p 49). Annotazione 1. Per primi e con frequenza, i superiori dei Fratelli denunciarono l’impossibilità di rispondere alle richieste delle autorità, sollecitate da quelle delle famiglie. Fra le difficoltà ci fu anche l’assoluta gratuità del servizio scolastico, voluta dai Fratelli e osteggiata dall’amministrazione pubblica. Estranea quindi, almeno a loro, l’idea di monopolizzare istituzioni e formatori. Annotazione 2. È giusto ricordare che tra le innovazioni dovute ai Fratelli in Piemonte figurano: ● la prima scuola professionale domenicale (1831); ● la prima scuola serale per operai e artigiani (1845); ● un sostanziale contributo pedagogico-didattico alla Scuola di Metodo pedagogico per la formazione dei maestri (1848) e la prima scuola magistrale ‘legalmente riconosciuta’ (1849); ● la creazione di un corso integrativo che 2
I collaboratori di RL citati sono: Ulderico Cremonesi (pp. 48, 81, 83, 124, 125, 127-129, 265), autore di tre articoli pubblicati dalla Rivista con i titoli: I Fratelli entrano nelle Scuole Comunali inferiori di Torino, RL 45 (1978) 1, 19-51; I Fratelli nelle Scuole Comunali di Torino per una scuola popolare gratuita, RL 45 (1978) 2, 98-136; I Fratelli delle scuole comunali di Torino: la ‘Convenzione’ del 1843, RL 45 (1978) 3-4, 190-203; Carlo Verri (p. 124), autore di articoli pubblicati su RL e poi raccolti nel volumetto I Fratelli delle Scuole cristiane e la storia della scuola in Piemonte (1829-1859), Edizioni Sussidi, Erba (Como) 1959; Giampiero Fornaresio (p. 285).
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servì come sperimentazione al Ministero della P.I. per la istituzione di nuove scuole tecniche; ● l’edizione di numerosi libri di testo, particolarmente apprezzati per l’insegnamento della matematica, e la creazione di una casa editrice scolastica; ● l’introduzione del sistema metrico decimale dei pesi e delle misure. (v. Secondino Scaglione, Don Bosco e i Fratelli delle Scuole cristiane, in RL 55 (1988) 1, 3-4).
2. Gli allievi-artigiani della Mendicità Istruita (1818-1861) - Dalla metà del ‘700 due organizzazioni pubbliche - l’Albergo delle Virtù e la R.O.M.I - sostenute anche da contributi di privati, si occupavano a Torino dei giovani apprendisti “che alternando
in lavoro in bottega con lo studio domenicale, si avviavano a diventare buoni cristiani, onesti cittadini e artigiani provetti”. L’importanza dell’Opera è testimoniata, a cominciare dagli anni ’20, dall’autorevolezza delle personalità chiamate a far parte della direzione. I registri della R.O.M.I. vanno dal 1818 al 1860, ma solo dal 1832, anno in cui i Fratelli cominciano ad occuparsene, forniscono tutti i dati degli iscritti: anno di nascita, indirizzo, mestiere del padre, nominativo dell’artigiano presso cui l’allievo era collocato, fine dell’apprendistato. È così possibile stabilire anche uno spaccato delle categorie artigianali più richieste, che andavano da quella del falegname (31,5%) a quella del fabbro, del calzolaio e del sarto, del tessitore, del tipografo, dell’artigiano “di pregio” (gioiellieri, bigiottieri) per finire con l’1,6% degli addetti all’edilizia.
L’azione a favore dei giovanissimi artigiani si chiuderà nel 1861, quando, sotto la spinta dei progressi sociali dovuti alla politica del Cavour, l’istruzione obbligatoria in Piemonte risulterà fortemente incrementata. Da quell’anno la R.O.M.I. destinerà i fondi di cui dispone al miglioramento delle scuole diurne e serali che, di conseguenza, diventeranno il suo unico settore operativo. Commenta il Chiosso: “Negli ambienti
conservatori gli “Ignorantelli” (com’erano affettuosamente soprannominati i Fratelli) godevano di buon credito in quanto collaudati educatori del popolo ed erano visti come un’efficace alternativa alle esperienze del mutuo insegnamento condizionate dalla simpatia con cui erano viste dai liberali.” (p. 81).
Annotazione 3. L’epiteto di ‘ignorantins’ pare da attribuire al Voltaire, il quale manifestò con l’irridente metonimia il fastidio che gli suscitavano gli analfabeti poveri insieme con chi si dava da fare per riscattarli socialmente. Annotazione 4. Il ‘mutuo insegnamento’ affermatosi in Inghilterra nei primo decenni dell’800, si diffuse rapidamente in Europa anche perché fu considerato un’affermazione dei principi liberali e del progresso che ne sarebbe scaturito. I Fratelli si mantennero fedeli al loro metodo ‘simultaneo-misto’, che attuava una metodologia affinata in cento anni di esperienza. L’insegnante esercitava il personale e diretto controllo su tutti i singoli alunni, attivando però la collaborazione tra quelli più capaci (i ‘ripetitori’) e i meno abili. La classe – abitualmente assai numerosa – era divisa in gruppi di abilità per materia (i ‘livelli’); era possibile accedere a quello superiore mediante un esame, di norma mensile; ogni allievo era in tal modo stimolato al miglior rendimento. (cf. nota 1: Carlo Verri, I Fratelli delle Scuole cristiane e la storia della scuola in Piemonte, 62-73, e Henri Bédel, I Fratelli e l’insegnamento mutuo, RL 69 (2002) 2, 147-159).
3. Il marchese Tancredi Falletti di Barolo e l’educazione del popolo - Le pagine 123130 sono interamente dedicate alle collaborazione tra il marchese e i Fratelli, accomunati dall’idea che il segreto di una scuola popolare dipendesse da due fattori interconnessi: ispirazione e animazione religiosa insieme con concrete forme di elevazione culturale dei ceti deboli. Il Chiosso ne esamina le peculiarità.
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“Vediamo che cos’era la scuola popolare dei Fratelli e le ragioni della sua fortuna. Si trattava, innanzitutto, di scuola elementare e non di scuola primaria, impartita in lingua volgare il cui scopo era quello di fornire una cultura di base articolata su tre livelli: primo livello (leggere), secondo livello (scrivere), terzo livello (aritmetica). Senza l’assillo di dover principalmente avviare alla conoscenza del latino, i Fratelli non esasperavano l’insegnamento grammaticale ed erano soliti arricchire il programma con informazioni e nozioni di carattere generale, utili e pratiche. Sotto il profilo dell’insegnamento i Fratelli rappresentavano, poi, quanto di meglio e di più organizzato si poteva avere in un periodo in cui la preparazione culturale e didattica dei maestri era in genere molto approssimativa. I Fratelli erano tenuti a trascorrere una parte del loro noviziato occupandosi di scuola e di tecniche di insegnamento secondo il metodo descritto nella Conduite des écoles chrétiennes, un insieme di regole scolastiche la cui importanza nella storia dell’istruzione popolare è paragonabile a quella della Ratio studiorum nella storia della scuola secondaria” (pp. 125126).
Per merito del marchese si risolse positivamente, fra il 1834 e il 1835, il forte contrasto che opponeva i sostenitori di una scuola d’élite, contraddistinta dall’insegnamento del latino, a quella popolare (detta ‘italiana’, perché senza latino) rappresentata dai metodi e dai programmi dei Fratelli. Ne nacquero due indirizzi, nel secondo dei quali confluì la maggior parte della popolazione scolastica. Annotazione 5. Qui si collocano alcuni dei contributi tratti da RL: U. Cremonesi, I Fratelli entrano nelle Scuole Comunali di Torino, 55 (1978) 1, 50-51.
4. Rosmini, le scuole e la tradizione pedagogica rosminiana - I rapporti del Rosmini con la pedagogia lasalliana, rilevati in modo puntuale ed esaustivo dal Chiosso, meritano a loro volta una lunga citazione senza annotazioni (tranne una).
“Sul piano dell’organizzazione scolastica e dell’impostazione della preparazione professionale il punto di riferimento era rappresentato dall’esperienza di Jean-Baptiste de la Salle. La sua Conduite des écoles chrétiennes, pubblicata per la prima volta nel 1706, è più volte citata: nell’istruzione al Lugan si legge ‘che in tutto ciò, che non viene contraddetto da’ regolamenti comunali, i Maestri si atterranno a quanto prescrive La Condotta delle Scuole cristiane, che formerà legge per essi’. Il testo, rivisto nel 1828 e pubblicato in edizione italiana nel 1834, era posto sia nell’elenco dei libri utili per i maestri elementari sia nel Catalogo dei libri pedagogici od attinenti all’educazione consigliati alle Suore della Provvidenza. Com’è noto, la Conduite rappresenta nella storia dell’istruzione elementare un testo di fondamentale importanza perché aveva regolato fin dagli inizi del Settecento, mediante un sapiente e meticoloso sistema di norme e di precetti cui i maestri dovevano strettamente attenersi, il funzionamento delle scuole popolari in Francia. Era proprio attraverso quel minuzioso e un po’ pedante impianto di regole che gli insegnanti erano posti nelle condizioni di praticare il metodo simultaneo, vale a dire un metodo attraverso cui insegnare contemporaneamente a un gran numero di allievi dello stesso livello di apprendimento (…). Ma perché il metodo prescritto dalla Conduite potesse dare i suoi frutti occorreva che i maestri fossero ben addestrati e, a tal fine, il La Salle aveva organizzato appositi corsi nei quali i novizi prendevano confidenza con le regole pedagogiche e con le norme didattiche dapprima sul piano teorico e poi mediante il diretto contatto con la
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vita in classe: erano state queste le prime scuole ‘normali’ ove, per l’appunto, si dava la ‘norma’ a cui attenersi nella pratica dell’insegnamento quotidiano’ (pp. 140-141). Annotazione 6. Il ‘minuzioso e un po’ pedante impianto di regole’ era una necessità, visti i destinatari. Occorre poi aggiungere che la Conduite era nata e si era perfezionata
anticipando di un paio di secoli l’attuale metodologia del lavoro collegiale; infatti era frutto dei frequenti incontri – che divennero un’eredità professionale per i Lasalliani – fra coloro che lavoravano nella scuola. Per chi ha la possibilità di consultare Rivista lasalliana, risulterà illuminante anche Amelia Ferraris, La Norma delle Scuole cristiane e l’organizzazione degli Istituti scolastici elementari e per Educatori fondati da Antonio Rosmini’, RL 67 (1997) 2, 81-93, e Marcos Corbellini, Alle origini lasalliane: una fondazione collegiale, RL 74 (2007) 4, 513-520.
5. Dai catechismi all’oratorio. Don Bosco negli anni ’40 - Impostato chiaramente come argomento monografico, questo capitolo prende quasi unicamente in esame la personalità carismatica e gli eccezionali meriti educativi di don Bosco. Vi si accenna però (pag. 192) alla scuola serale che anche i Fratelli istituirono nel gennaio del 1846, attribuendone a don Bosco la priorità. Annotazione 7. Sappiamo che i rapporti tra don Bosco e i Fratelli furono numerosi e
proficui per entrambi. Confessore nelle scuole dei Fratelli fino al 1851, il santo ebbe in un loro ex-allievo, don Michele Rua, il suo primo successore. Mantenne tra l’altro rapporti di deferente amicizia con il superiore provinciale dei Fratelli, fr. Hervé de la Croix, cui dedicò la sua prima opera a stampa: la Storia ecclesiastica. Merita qualche accenno l’argomento delle scuole serali. Nel capitolo Tempi e priorità delle scuole serali in Torino del già citato Don Bosco e i Fratelli delle Scuole cristiane, Secondino Scaglione, accredita, sulla scorta di una documentazione attendibile, una tesi in disaccordo con quella che il prof. Chiosso sostiene anche ne L’Oratorio di don Bosco e il rinnovamento educativo nel Piemonte carloalbertino (in Don Bosco nella Chiesa al servizio dell’umanità, LAS, Roma 1987). Il disparere può essere spunto per ulteriori ricerche.
6. Metodica e politica scolastica nel primo giornale piemontese per la scuola - Al pari di quella del precedente capitolo, la trattazione, attenta e documentatissima, tratta in modo specifico delle pubblicazioni periodiche che animarono in Piemonte questioni e rinnovamento dell’istruzione. Due gli accenni che riguardano il fil rouge che stiamo seguendo: il primo sulle scuole popolari serali avviate dai Fratelli a Santa Pelagia (p. 241), l’altro riguardante le difficoltà incontrate dai Fratelli quando, dopo il 1832, vollero introdurre progressivamente il metodo del La Salle basato sulla lingua materna (p. 265). Annotazione 8. È questo un altro tema trattato da Ulderico Cremonesi in uno degli articoli citati dal Chiosso, e precisamente in I Fratelli nelle Scuole Comunali di Torino per una scuola popolare gratuita, RL 45 (1978) 2, 98-136.
7. Le scuole per i maestri in Piemonte - La Scuola superiore di Metodo nasce a Torino nel 1848, su una linea di continuità con la scuola dell’Aporti. Ha una durata di otto mesi (novembre-giugno) e funziona presso l’Università. Vi si tengono corsi di pedagogia generale, metodologia e didattica (con tirocinio e studio della grammatica), lezioni di disegno. Corsi similari sono attuati anche in provincia; di durata minore (tre
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Marco Paolantonio
mesi), hanno come scopo il miglioramento professionale dei maestri già in esercizio e l’iniziazione all’insegnamento dei giovani aspiranti maestri. La frequenza di questi ultimi è subordinata al superamento di un esame che prevede prove di lettura, di scrittura sotto dettato, di composizione in lingua italiana (ma l’argomento è indicato in dialetto), aritmetica e geometria, sistema legale delle misure, storia sacra e geografia dell’Italia. Fr. Hervé de la Croix, che non aveva ottenuto la parificazione a quella statale di una Scuola di Metodo autogestita, ne apre una nella sede di Santa Pelagia, affidandone la direzione a fr. Théoger, che i superiori hanno inviato da Parigi. Alla fine del 1848 una sessantina di Fratelli sostengono gli esami con buon esito. L’anno dopo i Lasalliani ottengono che la loro Scuola di metodo sia riconosciuta dal governo: nasce così a Torino la prima Scuola magistrale ’legalmente riconosciuta’, che annovera fra gli insegnanti Domenico Berti (divenuto poi ministro della P.I.) Annotazione 9. Vale la pena di aggiungere qualche appunto a questo capitolo, non particolarmente prodigo di informazioni sui Fratelli (tolta la segnalazione posta in nota a p. 285, che attribuisce a fr. Giampiero Fornaresio il merito di aver offerto l’intera documentazione). Da Carlo Verri - nel già citato I Fratelli delle Scuole cristiane e la storia della scuola in Piemonte - apprendiamo che, accanto al Troya, all’Aporti, al Rayneri, al Berti meritano di essere menzionati come professori di Metodo nelle scuola provinciale i Fratelli Adelfo, Firmiano e Salutaire; che il Berti ringraziò fr. Adelfo per aver collaborato alla stesura del suo Metodo applicato alla scuola elementare; che alcuni Fratelli non solo fecero parte del corpo docente nelle Scuole di Metodo di Torino, Acqui, Pinerolo, Vercelli, Alessandria. Biella, Racconigi, Genova, Nizza, Susa…, ma collaborarono alla preparazione dei libri di testo adottati in tali scuole. Altri numerosi particolari, sorretti dalla relativa documentazione, si trovano alle pp. 162-173.
Marco Paolantonio
LASALLIANA
RivLas 75 (2008) 2, 277-283
PROFILI LASALLIANI / 3
F. Alexis Marie Gochet (1835-1910) ou quand la Géographie devenait une science Alain Houry, FSC
Archiviste à la Maison généralice 1
J
ean-Baptiste Gochet est né le 1er janvier 1835 à Tamines, Canton de Namur, Belgique. Il fait ses études au Pensionnat St-Berthuin que les Frères des Écoles chrétiennes tiennent à Malonne (diocèse de Namur) puis s’initie à la brasserie et à l’agriculture. À 23 ans, il découvre que Dieu l’appelle à être Frère et entreprend un pèlerinage à La Salette, près de Grenoble, suivi d’un voyage jusqu’à la Méditerranée. Cette traversée des Alpes a joué, selon lui, un rôle dans sa vocation géographique: il faut grimper jusqu’au sommet d’une montagne et voir les “nuages s’étaler à ses
pieds, pour se faire une idée d’un relief inconnu dans notre Belgique !... Les Alpes ne sont pas simplement une chaîne étroite marquant la frontière franco-italienne 2, mais elles avancent leurs contreforts jusqu’au bord du Rhône et couvrent entièrement les provinces de Savoie, Dauphiné et Provence”.
Au noviciat de Paris, rue Oudinot, il reçoit, le 8 décembre 1858, le nom de Frère Alexis-Marie. Jeune homme à la santé fragile, on l’envoie, à la rentrée de septembre 1859, au Pensionnat de Carlsbourg (Luxembourg belge) où il trouve maintes occasions de continuer sa formation. Le Pensionnat de Carlsbourg est en effet un foyer de grande activité intellectuelle. Le directeur, F. Mémoire, en collaboration avec les 1 2
Avec l’aide du Frère Jean-Pierre Vandeput, archiviste des Frères de Belgique-Sud. Comme le laissent supposer les atlas du temps.
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Alain Houry
Frères Milliany et Manuélien, rédige des ouvrages de français; le F. Achille écrit des traités de pédagogie et de méthodologie; le F. Mathieu a publié son histoire de la Belgique et prépare son cours d’histoire universelle ; le F. Marcy s’adonne à ses ouvrages de mathématiques ; le F. Madir, futur assistant du Supérieur général, rédige son Uylespiegel… Dans ce bouillon de culture, on apprend aussi beaucoup en faisant : dès octobre, le F. Alexis est professeur de géographie en troisième au pensionnat et à l’école normale, bientôt chargé de créer des cours d’agriculture, d’arboriculture et de botanique requis pour que l’école soit ‘adoptée’ par le gouvernement; en 1860, il est en plus professeur de physique et d’agronomie dans les deux sections de l’établissement. Il a trouvé sa vocation professionnelle, sa santé s’affermit dans les multiples tâches d’un grand pensionnat.
Le professeur de géographie à Carlsbourg La géographie est-elle une science à part entière ? “Elle ignore, explique le F. Alexis,
la cartographie, l’intuition, l’observation, l’induction prudente, les déductions logiques qui sont à la base de la méthode des sciences naturelles. Les cartes ne donnent que les caractères politiques du pays avec l’hydrographie. Aucune ne s’occupe du relief et de la configuration naturelle du sol qui a de si grandes conséquences sur l’habitabilité des contrées”. Il faudrait un tracé qui parle aux yeux. Alors, F. Alexis dessine en se
souvenant de son voyage à travers les Alpes: il relie par une ligne les points de même altitude, créant ainsi, à l’usage des écoles, la première carte hypsométrique à courbes de niveau. C’est une révélation, la porte ouverte au raisonnement : la géographie, cette ‘matière de mémoire’, devient une science, et le F. Alexis va devenir illustre sans l’avoir voulu. Car, pour aider les élèves de Carlsbourg à disposer des instruments de travail qu’il met au point – cartes hypsométriques, modèles en relief, manuels et cahiers de géographie – il commence à les publier. Pour réaliser sa carte hypsométrique de Belgique, il reporte sur les nombreuses feuilles d’une carte de Belgique les cotes d’altitude des provinces belges de Vander Maelen et réunit ces points par des courbes de niveau. Cette carte est publiée pour la première fois en 1866, chez “H. Dessain, imprimeur-éditeur à Liége”(sic). Mis au courant des nouveautés introduites dans l’enseignement de la géographie, M. André Van Hasselt, qui préside les examens de sortie de l’école normale, les approuve sans réserve et conseille au F. Alexis de faire une démarche auprès du Gouvernement belge pour obtenir son appui. Ses cahiers et son manuel sont portés au catalogue officiel des ouvrages destinés à l’enseignement ; il reçoit une subvention pour la publication de sa carte, pour que les écoles puissent se la procurer à un prix modéré. En 1870, le F. Alexis se rend à Ciney pour exposer sa manière de voir et montrer sa carte hypsométrique de Belgique au savant géologue d’Omalius d’Halloy (17831875). Le vieux géologue encourage le jeune géographe 3 à participer au premier congrès international des sciences géographiques, qui va se tenir à Anvers en août 1871, et à y faire connaître sa méthode. Et quand paraît la carte hypsométrique d’Europe, M. d’Omalius présente au Sénat belge, le 16 mai 1871, les deux premiè-
3 En 1906, le Frère Alexis évoquera avec reconnaissance ce “guide bienveillant”, dans son livre Hainaut et Namur pittoresques, p.80.
F. Alexis Marie Gochet (1835-1910)
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res cartes murales du F. Alexis: “Elles sont ce que je connais de meilleur comme publication scolaire de ce genre en langue française”. Au Congrès d’Anvers, le F. Alexis prend la parole au début de la première séance générale. Il commence par dire ce qu’est, à ses yeux, un bon enseignement de la géographie: “un enseignement rationnel, s’occupant des choses plutôt que des mots,
basé sur des idées vraies et fertiles en déduction de tous genres; un enseignement pratique, donnant, dans une mesure proportionnée aux divers degrés de l’enseignement, un choix de détails que plus tard le jeune homme puisse utiliser dans la position sociale qu’il occupera”. F. Alexis croit dangereux de commencer l’étude de la
géographie par le général pour arriver finalement au particulier: au contraire, il fait commencer par la topographie de la classe et de l’école, puis celle du quartier et de la commune, etc. Ces idées, déjà mûries en 1867 dans la Notice explicative sur la carte hypsométrique de Belgique, seront publiées à Liège en 1873 dans la clé de voûte de son œuvre de géographe et d’enseignant qu’est son Manuel du maître ou Méthodologie théorique et appliquée de Géographie.
La reconnaissance de son œuvre scientifique Les supérieurs de l’Institut ressentaient la nécessité d’une réforme de l’enseignement de la géographie, et ils suivent avec intérêt les premiers succès de notre géographe belge. Le 8 décembre 1871, le Frère Philippe, supérieur général depuis 1838, le convoque à Paris. Le 17 décembre, une réunion des Frères Visiteurs et des 40 Frères directeurs des écoles de Paris, présidée par le F. Philippe, fait le point des lacunes de l’enseignement géographique et confie au F. Alexis la rédaction d’une sorte de méthodologie en 45 leçons, que celui-ci va faire imprimer chez Mame, à Tours. Suivent la révision des manuels en usage dans l’Institut, la publication d’un atlas, de reliefs et de cartes murales qui faisaient entièrement défaut. Ces travaux amènent le F. Alexis à rester à la Maison mère de Paris, avec le titre de “géographe” de l’École normale qui y est installée mais surtout comme rédacteur d’un nombre incalculable de publications: son séjour sera coupé par de nombreux voyages pour études, conférences et éditions. La suppression de l’Institut en France (1904) le fait s’établir en Belgique, à Namur, où il meurt le 11 novembre 1910 4 et est enterré au cimetière des Frères de Grand-Bigard, banlieue de Bruxelles. Sa renommée ne s’est pas éteinte avec lui. Sa ville natale, Tamines (Belgique), fusionnée depuis 1977 avec Sambreville, possède une avenue Frère Alexis-Marie. Les postes belges, le 19 mai 1962, émettent un timbre de 2 francs commémorant le Frère Alexis-Marie Gochet. Un choix de ses textes sur La traite des nègres et la croisade africaine est repris en 1982. Alexis (M.G.) apparaît comme co-auteur, avec Brugère (F. de la), d’un tirage numéroté, aux éditions du Bastion, en 1994, d’un Guide pittoresque du voyageur, consacré à l’Aude, repris de La France pittoresque du Midi que le F. Alexis avait éditée en 1898.
4
En 1911, le Professeur Michieli, dans la Rivista di matematica, fisica e scienze naturali, évoque en 11 pages la figure du Frère Alexis : “Un maestro di didattica geografica. G. B. Gochet (in religione Fr. Alexis-Marie delle S. C.)”, qui ont fait l’objet d’un tiré à part à Biella-Vernato (Italie).
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Alain Houry
C’est donc à partir de la fin de 1871 que le F. Alexis a consacré le reste de sa vie à servir l’enseignement de la géographie surtout par le livre et la carte. Ses travaux, bientôt connus sous les initiales A.-M. G. (Alexis-Marie Gochet), au lieu des initiales habituelles du Supérieur général 5, seront entre les mains des élèves et des Frères comme manuels et livres de prix, comme aussi des organisateurs de congrès géographiques et d’expositions internationales. En France, ses ouvrages dépassent largement le cercle des maisons de Frères. Le ministère de l’Instruction publique achète 100 grandes cartes de l’Europe hypsométrique et bathymétrique pour les Lycées et Écoles normales. En 1872, le célèbre mathématicien abbé Moigno (1804-1884) écrit : “Parmi les ouvrages exposés au palais
de l’Industrie, il faut signaler surtout ceux du frère Alexis, professeur à Carlsbourg, Belgique. Sa carte murale hypsométrique de l’Europe, rompant avec les vieilles habitudes de nos cartes scolaires, donne aux élèves une multitude d’indications que l’on chercherait vainement, même dans les travaux analogues allemands. Elle prouve une fois de plus que l’enseignement congréganiste peut, non seulement suivre le progrès, mais encore, à l’occasion, en prendre l’initiative”.
Entre 1871 et 1900, le F. Alexis participe, comme représentant de l’Institut, à une bonne vingtaine de Congrès ou Expositions : Anvers (1871, 1884, 1894), Philadelphie (1876), Londres (1884), Paris (1875, 1878, 1889, 1900), Annecy, Vienne (1873), Beauvais, Lyon, Bruxelles (1882, 1888), Rio de Janeiro (1883), Toulouse (1884), New Orleans (1884-85), Barcelone (1888), Cologne, Arlon et Charleroi, Berne, Chicago (1893)… Le Frère Alexis y moissonne 50 récompenses, dont 12 diplômes d’honneur, 2 grands prix et 16 médailles d’or; trois fois, à Anvers, à Bruxelles et à Liège, il est déclaré “Hors concours” comme membre du jury. En 1876, Ferdinand Buisson, dans son rapport officiel de l’exposition de Philadelphie, constate que “le frère Alexis est le premier qui ait entrepris dans ses cartes de
Belgique, d’Europe et de France, d’appliquer les courbes de niveau aux cartes scolaires murales”. Une médaille d’or pour l’exposition collective de l’Institut des Frères de
France, de Belgique et de l’Amérique, une médaille d’or pour M. Gochet, une médaille d’or à M. Piron (F. Mémoire, directeur de Malonne) et une médaille de bronze à M. Arens (F. Marianus, visiteur à Namur), tel a été le résultat de la participation des Frères au grand concours international de 1878, dans le domaine de l’enseignement.
Et le Times, du 25 août 1884, tire des conclusions du Congrès sur l’éducation à Londres : “L’enseignement géographique surtout, dans lequel l’Angleterre paraît être
arriérée, a été porté à une grande perfection, en grande partie par le génie du Frère Alexis, Belge de naissance, actuellement attaché aux établissements de Paris. En résumé, nous aimerions mieux adopter le système du Frère Alexis que les méthodes pleines de verbiage et manquant de sens pratique en vogue dans nos écoles anglaises”. Souverains et sociétés savantes rendent honneur au F. Alexis: en 1885, c’est le gouvernement du Portugal; en 1887 et 1906, le gouvernement belge – et le roi Léopold II le reçoit pour le remercier de son livre, le premier du genre, sur le Congo belge en 5
En 1889, chez Mame et Poussielgue, La Terre illustrée, 4e édition, est encore signée F. I. C. (Frère Irlide Cazaneuve) et La France illustrée, F. J. (Frère Joseph Josserand).
F. Alexis Marie Gochet (1835-1910)
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1887, et l’invite à revenir quand il passera à Bruxelles. En 1890, le F. Alexis reçoit la décoration de l’ordre militaire de la Sociedad Geográfica d’Espagne; en 1896, la grande Médaille de la Société Géographique de France. Son âge et ses nombreuses publications en cours l’amènent à refuser la même année une chaire à l’Université de Louvain.
L’extension d’une œuvre géographique Il est difficile de se faire une idée complète des publications du F. Alexis. Avec le temps et sans doute en vue d’attirer une plus vaste clientèle, l’éditeur Mame s’est autorisé à indiquer quelques références de l’auteur: “par Alexis-M. G., membre de la Société de géographie de Paris, de la Société royale Belge de géographie de Bruxelles, socio-corresponsal de la Sociedad Geográfica de Madrid, etc.”, lit-on pour la 6e édition (1895) de la France Coloniale illustrée. En 1905, son Grand Atlas de Géographie de 200 pages compte déjà 32 éditions revues et augmentées. L’énumération de ses ouvrages en vente occupe 6 pages dans le catalogue de la Procure des Frères ; le catalogue spécial pour la Belgique mentionne plus de 130 titres. Le volume des ventes annuelles est impressionnant. En 1904, par exemple, cette Procure édite 40.000 atlas de tous formats, 75.000 géographies atlas, 65.000 cahiers cartographiques, 1.000 cartes murales, 200 reliefs et 250.000 manuels non illustrés de cartes. Les publications du F. Alexis ne s’arrêtent pas là. Le souci de tenir à jour ses ouvrages le pousse à composer chaque année une brochure de 40 pages, Bilan Géographique de l’année, qu’il entreprend en 1881 et poursuivra jusqu’à sa mort en 1910, pour compléter la documentation des professeurs : l’édition complète est faite d’abord dans des Bulletins de la Société Royale de Géographie d’Anvers, puis par la Procure des Frères d’Alost. Bientôt, il en assure lui-même une version abrégée que publient L’éducation chrétienne, pour la formation continue des enseignants de France, et le Bulletin mensuel des Œuvres de Jeunesse, destiné aux jeunes gens qui fréquentent les patronages de Paris et de sa proche banlieue. Les modifications survenues dans la situation géographique, politique et économique de tous les pays sont analysées, avec les mille détails qui attestent une conscience scrupuleuse de l’actualité. Il porte “sur les hommes et les événements des jugements
d’une indépendance absolue et toujours dans le sens de la justice sociale, internationale, disons mieux évangélique. Cette audace lui aliéna, paraît-il, les sympathies de plus d’un grand de ce monde dont les succès voilaient les injustices, mais avec le recul du temps, on s’aperçoit aisément que l’avenir a sanctionné bon nombre de ses sereines mais vengeresses constatations. Qu’il suffise de citer les exactions de l’ancien empire russe, les emprises des trusts financiers… Toujours aussi on y trouve la pensée surnaturelle, glissée discrètement en conclusion d’un paragraphe et dont la simple suggestion est alors aisément acceptée”.
Toute son œuvre semble graviter autour d’une seule science. Mais “ce géographe ne s’en tenait pas à la géographie. Technologue, on l’a vu construire la brasserie de Carlsbourg, botaniste et agriculteur, il écrivait sur la botanique et l’agriculture. La partie historique de ses atlas décèle chez lui une très érudite connaissance du passé. En collaboration avec le Frère Mathieu, éminent historien, il a fait paraître un utile et ins-
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Alain Houry
tructif petit livre sur la province du Luxembourg envisagée non seulement au point de vue de la géographie proprement dite, de la statistique et de l’organisation administrative, mais aussi de l’archéologie et du folklore, ouvrage qui sans phrases vaines mais sans rien omettre d’essentiel, décrit les beautés naturelles ou artistiques, résumant les vicissitudes historiques et les traditions légendaires de cette terre de granit couverte de chênes, qui dans les plis vaporeux de ses brouillards garde encore le secret des druides et les enchantements des Celtes” (M. Chardonne). On peut aussi rappeler ce qu’écrivait, peu de jours après la mort du F. Alexis, son collaborateur, le F. Louis Dalle : “Le savant Géographe fut dans l'intérieur de sa
communauté et dans le détail de son existence religieuse : un homme de labeur, mais d’un labeur accompli dans des vues surnaturelles ; avec cela, un homme de prières et de recueillement en Dieu, qui, tout en observant et décrivant la terre, levait les yeux au ciel pour y voir et adorer le Créateur de la terre et des cieux”. Bibliographie (partielle) - Donnons enfin ici les titres de quelques-uns de ses ouvrages qui dépassent le niveau scolaire et que la dimension de cet article permet de retenir, comme témoignages d’une rare ouverture d’esprit, d’un travail incessant et d’une réelle capacité pour la littérature géographique. On signalera les rééditions qui modifient le titre ou l’étendue de l’ouvrage. ■ Dans la catégorie des “livres”:
Méthodologie théorique et appliquée de Géographie ou Manuel du Maître: 1.Théorie générale et application à la Géographie locale; 2.Géographie nationale. La Belgique, nouvelle éd., H.Dessain imprimeur-éditeur, Liége 1883, pp. 228 et 212. L’Expansion mondiale belge et l’Economie politique. Notice commentaire de la carte générale de l’Expansion économique mondiale, H. Dessain imprimeur-éditeur, Liége 1908, pp. 110.
Géographie locale. Notice historique et archéologique sur la Commune de Tamines, Province de Namur, Belgique, Wesmael-Charlier, Namur 1888, pp. 122. ■ Dans la catégorie des “livres illustrés”: La Terre illustrée. Géographie universelle, physique, ethnographique, politique et économique des cinq parties du monde, 4e édition in-8, ornée de cartes et de gravures, enrichie de notes et de citations, Mame et Poussielgue, Tours-Paris 1889, pp. 670.
La Belgique pittoresque. Géographie descriptive, physique, politique, économique et historique. Ouvrage illustré de nombreuses cartes et gravures. 3e édition, Procure
des Frères des écoles chrétiennes, Alost-Namur 1914, pp. 400. La France illustrée. Géographie générale, physique, ethnographique, politique et économique, édition in-8, ornée de cartes et de gravures, enrichie de notes et de citations, Mame et Poussielgue, Tours-Paris 1889, pp. VIII-672. Le Congo Belge illustré ou l’Etat indépendant du Congo, H. Dessain imprimeuréditeur, Liége 1887, pp. 232. – Le Congo belge illustré ou L’état indépendant du Congo (Afrique centrale) sous la souveraineté de S.M. Léopold II ... Liége, H. Dessain, 1888, 2e édition augmentée.
F. Alexis Marie Gochet (1835-1910)
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Les Colonies françaises illustrées. Géographie, ethnographie et voyages, Mame et
Poussielgue, Tours-Paris, 1887, pp. VIII-324. La France Coloniale illustrée. L’Algérie et les autres Colonies Françaises considérées au point de vue historique, géographique, ethnographique et commercial, Mame, Tours 1895, 6e édition remise à jour et ornée de nombreuses gravures et de cartes, pp. 368 (encore édité en 1910). La traite des nègres et la croisade africaine [choix raisonné de documents relatifs à la question de l’esclavage africain et comprenant la lettre encyclique de Léon XIII sur l’esclavage, le discours du card. Lavigerie à Bruxelles, un chapitre de géographie et d’histoire], Liége 1889, pp. 240. – La traite des nègres et la croisade africaine [comprenant la lettre encyclique de Léon XIII sur l’esclavage, le discours du card. Lavigerie à Bruxelles, les témoignages des grands explorateurs. 5e édition (spéciale pour la Belgique), remise à jour, enrichie de cartes et de gravures], H. Dessain imprimeur-éditeur, Liége 1890, pp. 240.
La barbarie africaine et l’action civilisatrice des missions catholiques au Congo et dans l’Afrique Équatoriale [contenant comme préliminaire, un chapitre sur le
mouvement antiesclavagiste et le discours du card.Lavigerie à Londres], Procure Générale/Poussielgue, Paris 1889, in-12, pp.240. 2e édition, illustrée. – La Barbarie africaine et les Missions Catholiques dans l’Afrique Equatoriale [contenant particulièrement les Actes des Martyrs Nègres de l’Ouganda], 3e édition illustrée, H. Dessain/Procure Générale, Liége-Alost 1891, pp. 200. Stanley l’Africain. Sa jeunesse, ses quatre grandes expéditions dans le continent noir. 1 -À la recherche de Livingstone, 1871-1872; 2 -À travers le continent mystérieux, 1874-77; 3 -Pour la colonisation du Congo, 1879-84; 4 -Au secours d’Emin-Pacha, 1888-89, 6e éd.6, sans date, enrichie de 8 cartes et 31 gravures. (7e éd.7, sans date), Liége, H. Dessain/Procure, Liége-Alost, pp. 306. Soldats et missionnaires belges au Congo, de 1891 à 1894. Société de St-Augustin, Desclée de Brouwer & Cie, 1896, pp. 240. Rome et l’Italie. Souvenirs du pèlerinage national à l’occasion du Jubilé épiscopal de Léon XIII, H. & L. Casterman, Tournai-Paris, 1894, pp. 218. Hainaut et Namur pittoresques. Géographie et histoire, H. Dessain, Liége 19061907, pp. 98 + 127. Sources imprimées
Bulletin de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes, avril 1947, n.109, pp. 141-148. Revue de Carlsbourg, 1909 (tiré à part sur le F. Alexis-Marie). Bilan Géographique de l’année 1910: Notice sur le Frère Alexis, par le F. Louis Dalle.
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Aux archives du district de Belgique-Sud à Ciney. Un exemplaire s’en trouve dans la bibliothèque des Frères de Kadi-Köy à Istanbul.
LASALLIANA
RivLas 75 (2008) 2, 284-290
Riviste scientifiche e periodici di animazione La missione educativa lasalliana – per carisma originario e per prassi secolare – si estrinseca preferibilmente nell’immediatezza dell’azione diretta: l’insegnamento nella scuola e nell’università, l’educazione formale e informale con giovani e adulti, l’animazione di centri di formazione docente e di programmi per lo sviluppo. A sostegno di questa gamma mirata di attività professionali, ma anche a beneficio di una più vasta cerchia di utenti e lettori esterni al mondo lasalliano, sono promosse pubblicazioni specializzate, di diverso grado scientifico, che rappresentano: - talora l’organo diffusivo delle ricerche condotte da facoltà universitarie o istituti superiori gestiti dalla congregazione (gruppo A), - a volte l’eco ragionata di esperienze pedagogiche di eccellenza e di percorsi formativi in atto in istituzioni scolastiche e accademiche (gruppi A-B), - come anche l’offerta di stimoli e strumenti culturali - in ambito di scienze umane, pedagogiche, religiose - destinati per lo più alla animazione delle comunità educanti e dei docenti (gruppo B). Risulterebbe comunque improprio iscrivere in una tipologia rigida i livelli qualitativi di queste pubblicazioni periodiche, che assolvono, per statuto istituzionale o per consuetudine locale, a funzioni anche eterogenee. Quello che segue è solo un primo elenco incompleto delle testate esistenti, mentre siamo in attesa di ricevere ulteriori segnalazioni dalle Regioni dei vari continenti per perfezionare il censimento. Esulano da questo elenco i numerosissimi bollettini e notiziari - sia cartacei che elettronici - che Regioni, Province e singole Istituzioni pubblicano per la consueta informazione e la documentazione interna. Inoltre non sono qui registrate le numerose riviste culturali e professionali – in particolare di pedagogia generale e di pedagogia religiosa-catechetica – edite in vari Paesi durante il secolo XX (in Belgio, Canada, Francia, Usa, Australia…) e che, dopo periodi più o meno lunghi di prosperosa vitalità, si sono estinte o sono passate ad altra proprietà.
Documentazione
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A. Riviste di ricerca e divulgazione scientifica Catecheticum
Anuario del Instituto Superior de Pastoral Catequética de Chile
Año 11 (2008) – Periodicidad anual - ISSN 0717-3717 Director Enrique García Ahumada, FSC Universidad Católica Card. Raúl Silva Henriquez, Instituto de Ciencias Religiosas Tel. 56 26652720 – Fax 6652720; General Jofré 462, SANTIAGO, Chile http://www.catecheticum.cl; catecheticum@yahoo.com; director@catecheticum.cl Epsilon
Revista de las Comunidades académicas de las Facultades de Ingeniería de Alimentos, Ambiental y Sanitaria, Civil, Diseño y Automatización electrónica
Año V (2008) – Periodicidad semestral - Números monográficos - ISSN 1692-1259 Director Héctor Vega Garzón, FSC Publicaciones de la Universidad La Salle Chapinero Carrera 5 No.59A-44 – BOGOTÁ D.C., Colombia www.lasalle.edu.co/audiovis/revist_epsilon/08 Indivisa
Boletín de Estudios e Investigación del Centro Superior de Estudios Universitarios La Salle
Año 7 (2008) – Volumen anual y monografías ocasionales - ISSN 1579-3141 Director Juan Antonio Ojeda Ortiz, FSC C. La Salle, 10 – 28023 MADRID, España Tel. 917401980 - Fax 913571730 - bindivisa@eulasalle.com
La Salle
Revista de Educação, Ciência e Cultura é publicação acadêmico-científica de periodicidade semestral editada pelo Centro Universitário La Salle
Rua Victor Barreto, 2288, cx.p.125, 92010-000, CANOAS, RS, Brasil revista@lasalle.tche.br Learning Edge
An official academic Journal of De La Salle-College of Saint Benilde
Ronald D. Holmes, Executive Vice President Publisher: De La Salle-College of Saint Benilde 2544 Taft Avenue, Malate 1004, MANILA, Philippines Tel. (632) 526-7441 to 47 - Telefax (632) 524-8233 - http://www.dls-csb.edu.ph L’insegnamento della Matematica e delle Scienze integrate
Rivista mensile del Centro Ricerche Didattiche “Ugo Morin”
Anno 31 (2008) - Fondata da Roberto Sitia FSC (1922-2002), diretta da Mario Ferrari, Dipartimento di Matematica dell’Università di PAVIA CDR Ugo Morin/Biblioteca, via S. Giacomo 4, 31010 Paderno del Grappa TV www.filippin.it/morin/rivista; ferrari@dimat.unipv.it; crdm@filippin.it
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Riviste scientifiche e di animazione - Cronache
Logos
Revista de Filosofía
Año 36 (2008) – Periodicidad cuatrimestral - ISSN 1665-8620 Director Enrique Aguayo Cruz, FSC Ediciones de la Universidad La Salle – Facultad de Filosofía Apartado Postal 18-907 Col.Tacubaya, Del. Miguel Hidalgo Codigo Postal 11800 MEXICO D.F. - revistalogos@ulsa.edu.mx Memoria de la Fundación La Salle de Ciencias Naturales
Revista científica sobre Botánica, Ecología, Geología, Oceanografía, Zoología
Año 68 (2008) – Periodicidad semestral - ISSN 0037-8518 Director José A. Ponente - Editorial Fundación La Salle de Ciencias Naturales Museo de Historia Natural La Salle, CP 1010-A, Ap.do 1930, CARACAS, Venezuela Tel.(58) 0212 7095870 – Fax (58) 0212 7095871/7095868 www.fundacionlasalle.org.ve; revista.memoria@fundacionlasalle.org.ve Natura
Revista de divulgación científica de la Sociedad de Ciencias Naturales La Salle
Director Jesús Hoyos, FSC - Ed. Fundación La Salle de Ciencias Naturales Apartado postal 1930, CARACAS 1010-A, Venezuela Tel. 0212-7935752 – Fax 0212-7932447 scnls@telcel.net.ve; info@fundacionlasalle.org.ve Presencia
Periódico anual de divulgación científica de la Fundación La Salle (FLASA)
Director-Presidente Hermano Ginés, FSC Avenida Boyacá con Maripérez, Edificio Fundación La Salle, PH. Apartado postal 1930, CARACAS 1010-A, Venezuela Tel. 582 7828711 – Fax 582 7927493 - www.fundacionlasalle.org.ve Prismas da Educação
Revista semestral do Instituto Superior de Educação La Salle
Diretor Geral Ignácio Lúcio Weschenfelder, FSC, Editora Mary Rangel Rua Gastão Gonçalves n.79, Santa Rosa, NITERÓJ, RJ , Brasil Fone (21)2716-7766 – www.unilasalle.org; red@unilasalle.org [verrà sostituita nel corso del 2008 da Revista Conhecimento e Diversidade] Revista de la Universidad de La Salle
Educar para Pensar, Decidir y Servir
Año 29 (2008) – Periodicidad semestral - ISSN 0120-6877 Director Carlos G.Gómez Restrepo, FSC Ediciones UniSalle - Oficina de Medios audiovisuales y Publicaciones Sede Chapinero Carrera 5 No. 59 A-44 - BOGOTÁ D.C., Colombia PBX:348 8000 extensiones: 1224-1227 – Fax 3488046 publicaciones@lasalle.edu.co ; www.lasalle.edu.co Revista del Centro de Investigación de la Universidad La Salle
Investigación científica, humanística y tecnológica
Documentazione
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Año 29 (2008) – Periodicidad semestral, a través de la Web Av. Benjamín Franklin No. 47, Col.Condesa, CP 06140, MEXICO D.F. Tel. +52 5552789500, ext. 2386 y 2388 – Fax +52 5555157631 http://www.ci.ulsa.mx/revista/ ; revista@ci.ulsa.mx Revista Lasallista de Investigación Año 5 (2008) – Periodicidad semestral - ISSN 1794-4449 Director María de los Ángeles Rodríguez Gázquez Ediciones Corporación Universitaria Lasallista Carrera 51 No.118 Sur 57 Caldas, ANTIOQUIA, Colombia PBX: (0574) 3000200 - Fax: ext. 184 www.lasallista.edu.co; revistainvestigacion@lasallista.edu.co Rivista lasalliana
Trimestrale di cultura e formazione pedagogica
Anno 75 (2008) – Periodicità trimestrale - ISSN 1826-2155 Direttore Flavio Pajer, FSC Via Aurelia 476 – 00165 ROMA, Italia Tel-fax (39) 06 66523305 – fpajer@lasalle.org Sinite
Revista hispano-americana de Pedagogía Religiosa
Año 49 (2008) – Periodicidad cuatrimestral - ISSN 0210-5225 Director Teódulo García Regidor, FSC Ediciones San Pío X - Marqués de Mondéjar, 32 – 28028 MADRID, España Tel-fax 917262817 – espx@lasalle.es Talas
Official Research Journal of the Research and Publications Office ISSN 1655-5775 Gina M. Dimano editor, Manuel R, Pajarillo, FSC, consultant De La Salle Lipa Publisher - The Research and Publications Director Rm.203 F Br Miguel Bldg.- 4217 LIPA CITY, Philippines - rpo@dlsl.edu.ph
B. Periodici di animazione educativa e organi di informazione Educar hoy
Revista de la Comunidad educativa cristiana
Año 23 (2008) – Sale cinco veces al año - DL M-39386-85 Director Pedro María García Franco, FSC Ediciones San Pío X - Marqués de Mondéjar, 32 – 28028 MADRID, España Tel. y fax: 91 7262817 – e-mail: tmoraleda@mundofree.com Integração
Revista das Comunidades Educativas Lassalistas de Porto Alegre Ano 37 (2008) – Periodicidade cuadrimestral Diretor Paulo Fossatti, FSC
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Riviste scientifiche e di animazione - Cronache
Rua Honório Silveira Dias, 636 – 90550-150 PORTO ALEGRE/RS – Brasil Fone: (0xx51) 358-3600 – Fax: (0xx51)343-2322 www.lasalle.edu.br ; marketing@delasalle.com.br La Salle-liens international
Revue trimestrielle du Réseau lasallien français
Directeur Paul Cornec, FSC – Ed. Association La Salle - ISSN 1277-5770 78A rue de Sèvres, 75341 PARIS cedex 07. Tel. 01 44493618 – fax 01 44493650 - www.lasalle-fec.org; lsli@lasalle-fec.org Lasalliani in Italia
Notiziario trimestrale di informazione - Anno 5 (2008)
Direttore Mario Presciuttini, FSC – Ed. Provincia Italia Viale del Vignola, 56 – 00196 ROMA, Italia Tel. 06 32294234 - fax 06 3236047 - m.presciuttini@pnc.net Mensagem Ano 44 (2008) – Periodicidade bimestral Conselho editorial: Arno Lunkes, Israel Nery, Roque A. Neto, FSC Rua Santo Alexandre, 93 – Villa Guilhermina 03542-100 SAO PAULO, Brasil Tel. 11 6093 1444 – www.lasalle.org.br Reflets lasalliens
Spiritualité et ressourcement religieux par les FEC du Canada francophone Vol. 16 (2008) – Périodicité bimestrielle Directeur Jean-René Dubé, FSC 2555, Quatre-Bourgeois, QUEBEC, Qc G1V 1X1 Tel. 418 658 1560 - jeanrene@mediom.qc.ca; www.delasalle.qc.ca Revista De La salle
Revista para las Comunidades educativas
Distrito México-Norte - Sale cinco veces al año Paseo de las Américas No.2912 Col. Contry La Silla, GUADALUPE, N.L. México www.lasalle.edu.mx Sussidi per la catechesi
Strumento di animazione pastorale per l’insegnamento della religione e la catechesi Anno 73 (23 della nuova serie) – Periodicità bimestrale Direttore Gabriele Di Giovanni, FSC Centro catechistico lasalliano - Via S. Sebastianello, 3 – 00187 ROMA, Italia Tel. 06 55590740 – Fax 06 55262795 – fgabriele@pcn.net
Touching Hearts
A publication for Members of the Lasallian Family in the District of Australia, New Zealand and Papua New Guinea De La Salle Provincial Office PO Box 3485 – BANCKSTOWN Square 2200, Australia - www.delasalle.org.au
Documentazione
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Cronache lasalliane BETLEMME Pluralismo e dialogo nell’Università Stralciamo dal quotidiano Avvenire del 28 dicembre 2007: “Qui non c’è mai stata e
mai ci sarà una maggioranza di studenti cristiani. E’ una vera sfida quotidiana, ma la nostra missione non può essere condizionata dai numeri”. A parlare è Irene Hazou,
assistente del vicepresidente per gli affari accademici dell’Università di Betlemme. Nata nel 1973, a nove anni dalla storica visita in Palestina e per suo volere, l’università è da allora affidata ai Fratelli delle Scuole cristiane, leader nel campo dell’istruzione. Il Patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Miche Sabbah, che ne è stato in passato presidente, l’aveva definita “un esempio di perseveranza, fede, amore e una voce per la promozione del dialogo e della collaborazione fra musulmani, cristiani ed ebrei in Terrasanta”. L’ateneo è l’unico istituto accademico cattolico di Terrasanta sostenuto dalla Santa Sede e conta oggi 2700 studenti iscritti, di cui il 68 percento musulmani. “L’uni-
versità tiene a sottolineare la propria identità cattolica, ma non esiste alcuna discriminazione religiosa”, afferma ancora Hazou. Nei corridoi sono esposti pannelli che illustrano gli ideali cristiani che stanno alla base del nostro lavoro e che puntano tutti al servizio concreto della società palestinese. Da qui anche la scelta delle facoltà: Scienze umanistiche, Economia e commercio, Infermieristica, Scienze della natura, e l’Istituto di amministrazione alberghiera e turistica. Tutti settori vitali per l’economia palestinese”. Sui rapporti tra studenti cristiani e musulmani Hazou non ha dubbi: “Tutti partecipano attivamente alle occasioni di preghiera nel massimo rispetto reciproco. I cristiani ortodossi hanno a disposizione servizi religiosi regolari e per la popolazione universitaria musulmana c’è una stanza per la preghiera. D’altronde i giovani affrontano le stesse sfide: circondate da ogni lato dal Muro israeliano, la maggior parte delle città palestinesi, anche quella di Betlemme, sono praticamente prigioni. Gli studenti che provengono da fuori Betlemme sono soggetti a chiusure dei varchi, vessazioni militari e controlli di sicurezza che possono provocare lunghi ritardi”. Chiediamo se l’obiettivo di fermare l’emigrazione dei cristiani di Terrasanta sia stato raggiunto. “ L’università ha certamente contribuito a ridurlo - risponde Hazou. Ma la
regione di Betlemme ha pagato un caro prezzo durante l’Intifada. La vicinanza di insediamenti ebraici incoraggiava i militanti palestinesi a usare la città come base di lancio per gli attacchi, con Israele che non lesinava ritorsioni”. Non dimentichiamo, poi, i periodi di coprifuoco, come durante il celebre assedio alla Basilica della Natività in cui l’Università è stata occupata e le lezioni sospese. Da qui la vera scommessa: trasmettere ai giovani che vivono in un’atmosfera di guerra e tensione i valori della riconciliazione e del perdono. “Lo sperimentiamo ogni giorno, aggiunge Hazou.
Combattiamo la confusione tra politica e didattica, non ammettiamo che si inneggi alla violenza nelle assemblee studentesche. Anche per questo abbiamo negato una volta un raduno pubblico agli studenti del Blocco islamico”.
Il dialogo e il rispetto dell’altro sono un cardine dell’ethos dell’ateneo. Molti studenti musulmani vengono dalla zona di Hebron: per loro si tratta del primo contatto con una realtà cristiana e ne sono positivamente colpiti. Questo fa sì che i nostri laureati
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Riviste scientifiche e di animazione - Cronache
siano privilegiati sul mercato del lavoro rispetto a quelli di altre università, comprese quelle che hanno una certa popolazione cristiana, come Birzeit e al-Quds. Tutto questo grazie anche alla generosità di molti benefattori di tutto il mondo che non vengono mai meno all’impegno di mantenere acceso questo lume di speranza nella città di Betlemme (Camille Eid).
BOGOTÁ Blain e Maillefer tradotti in spagnolo Nel corso del 2007 è stata completata la traduzione spagnola di due classiche biografie del La Salle, ben note ai cultori del Santo di Reims: quella del Blain (Rouen, 1733) e quella del Maillefer (Reims, 1740)*. La traduzione è a cura del Hno Bernardo Montes Urrea, distretto di Bogotá, “el cual, desde hace varios años, ha dedicado horas incontables en la tarea de traducir con claridad y gracia un texto del francés del siglo XVIII para el lector en castellano del siglo XXI” (H. Ricardo Orellana Torres, secretario della RELAL, nel presentare la traduzione del Blain, libro III, p.14). La Regione lasalliana latinoamericana sta mettendo in atto un vasto e coraggioso progetto editoriale, avviato da qualche anno, teso a far conoscere in versione castigliana gli scritti del La Salle, la storiografia delle origini e le successive interpretazioni del pensiero pedagogico e della spiritualità lasalliana (h.m.). * Juan Bautista Blain, Vida del Padre Juan Bautista de La Salle, Fundador de los Hermanos de las Escuelas cristianas, RELAL, Bogotá, libro I (2005), libro II (2006), libro III (2007); Dom Francisco Elías Maillefer, Vida del Señor Juan Bautista de La Salle, sacerdote, doctor
en teología, antiguo canónigo de la Catedral de Reims y Fundador de los Hermanos de las Escuelas cristianas, RELAL, Bogotá 2007, pp. LIII + 251, 8 tav.a colori f.t.
PARMA Una rappresentazione scenica sul La Salle F. Mario Chiarapini, le cui capacità artistiche sono ben note, si è cimentato nel montaggio di uno spettacolo a tema lasalliano*, intrecciando musica, teatro e prosa. Ha scelto la figura del La Salle per metterne in luce la carica umana, l’iniziativa sociale a favore del ceto popolare, la attualità delle sue intuizioni educative. Ha composto testi poetici e li ha messi in musica. Con un coro polifonico, a prevalenti voci bianche, che egli stesso dirige, ha messo in scena uno spettacolo del quale si ammira la spigliata freschezza giovanile e insieme la profondità del messaggio. Canzoni e basi musicali di sottofondo sono a disposizione in 2 Cd; testi recitati, dialoghi, spartiti musicali, nonché le indicazioni per la messa in scena dello spettacolo sono contenute in un fascicolo di 40 pagine (r.m.) * Mario Chiarapini, Ha giocato con Dio. Spettacolo con canzoni sulla vita del la Salle, Edizioni musicali SMAF Record s.r.l. [via Oslavia, 14 – 00195 Roma], 2007.
BIBLIOTECA
RivLas 75 (2008) 2, 291-298
Franco FRABBONI
La scuola che verrà
Erickson, Gardolo-Trento 2007, pp. 154, € 15,00. Posta sotto processo da sempre, alla scuola si contestano soprattutto due addebiti: di essere in cronico ritardo sui tempi e di soggiacere ai sovrasistemi economico e politico. Sul banco degli imputati finiscono puntualmente gli insegnanti, che combattono in prima linea nello scontro con la realtà quotidiana. Nelle retrovie c’è la nutrita schiera di esperti (pedagogisti e sociologi, psicopedagogisti e disciplinaristi..), prodighi di consigli e di rampogne, protetti dalla loro stessa qualifica di ricercatori, quindi sottratti al ferreo pragmatismo dell’ hic Rhodus, hic salta. Un tentativo di mediazione viene dal Frabboni (i cui studi - avverte la presentazione - hanno al centro sia la dimensione teorica, sia la dimensione empirica delle scienze dell’educazione). Comprensibile quindi, e sollecitato dell’invitante titolo, l’interesse professionale di chi fatica in classe... L’A. ha ben presente le due accuse di cui si diceva, e non si sottrae al compito di analizzarle così come oggi si presentano e di proporre se non soluzioni, almeno rimedi parziali. Il ritardo sui tempi, osserva, può essere annullato muovendo nelle due direzioni indicate dagli esperti dell’Unione Europea: la centralità della conoscenza (Report 1, Lisbona 2000) e quello della formazione (Report 2, Bruxelles 2000).
Centralità delle conoscenza significa utilizzazione del capitale cognitivo, che è insieme risorsa economica (se non perpetua caste di privilegiati), risorsa sociale (se fondato su un’autentica democratizzazione), risorsa umana (se riscopre e difende il soggetto-persona). Dare centralità della persona significa sottrarsi dalla logica della persona-oggetto per arrivare a quella della
persona-soggetto, estendendo a tutte le età della vita – infanzia e adolescenza, età adulta e senile – un’educazione fatta di saperi e di valori, che eviti le insidie di una società oggi pervasivamente multimediale, dai saperi frantumati, preconfezionati, mercificati. Alla scuola spettano in particolare i compiti di: 1. evitare la dispersione materiale (a causa di bocciature, drop-out, abbandoni), 2. guarire dalla patologia della dispersione intellettuale (con un fruttuoso rapporto tra insegnamento e apprendimento), 3. guarire dalla patologia della dispersione relazionale (utilizzando appieno le risorse della collegialità negli ambiti della progettazione e della programmazione; introducendo nell’ambito dei discenti le opportune forme di aggregazione - disaggregazione - riaggregazione). Tutto ciò impone anche una revisione critica del passato, alla ricerca di ciò che merita un potenziamento e di ciò che va riprovato. Senza mezzi termini questo secondo atteggiamento è riservato alla riforma Moratti (‘antieuropea, antidemocratica e antipedagogica’). L’intero terzo capitolo ne espone le ragioni, con il tono della requisitoria. Le lasciamo al giudizio del lettore; a noi paiono in buona parte frutto della contrapposizione ideologica alla corrente pedagogica che ha ispirato il radicale cambio di indirizzo del 2003. La pars construens è nei capitoli 4-7: - La scuola senza banco, titolo metaforico, è un invito a superare i limiti fisici e psicologici simboleggiati dal banco, dove si confezionano e si spacciano saperi esogeni e di breve durata. Laboratori e aule didattiche dunque, ma soprattutto l’adozione di una scala di competenze, che, individuando e rispettando la multiformità delle intelligenze, sappia attivare gli strumenti adatti alle varie età e alle potenzialità di chi apprende, aprendo poi agli interessi - fondati sulle conoscenze e sulle competenze acquisite - da soddisfare con la successiva lifelong education.. - In La Scienza del fare scuola sono offerti pratici punti di incontro tra pedagogisti, fautori di una didattica generale, e disciplinaristi, dichiarati difensori dei saperi legati alle singole materie. - I sette ponti della didattica suggeriscono i mezzi con cui condurre il cammino bidirezionale dell’insegnamento-apprendimento: dal POF al curricolo; dalla classe all’inter-classe; dalla collegialità alla cooperazione; dalla disciplinarità all’interdisciplinarità; dalla ricerca alla creatività;
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BIBLIOTECA
dall’ambiente all’aula didattica decentrata; dalla valutazione formativa alla valutazione sommativa. Chiare le linee metodologiche, concreti i suggerimenti operativi. - L’ultima sezione, La formazione universitaria dei docenti, è un esplicito invito a costruire una professionalità su sicure basi: competenze disciplinari, didattiche, relazionali, deontologiche. Lettura sicuramente proficua per chi è quotidianamente alle prese con gli allievi ai quali è doveroso e giusto riservare un futuro diverso e migliore. Lettura stimolante per chi si vede sollecitato a confrontare ragioni e soluzioni di segno e di tipo diverso a quelle prospettate dall’autore.
Marco Paolantonio
Giorgio GIOVANETTI, Alessandro MATTIOLI, Franco SALSA
Una scuola ineguale
Rubrica ragionata dei problemi chiave della scuola secondaria superiore Franco Angeli, Milano 2007, pp. 94, € 11,50.
La scuola ineguale: ecco uno dei punti cardine dove la sessantenne Costituzione italiana non è ancora riuscita a trovare dignitosa, o almeno passabile, applicazione. Ineguale: dove, come? Il rosario è piuttosto lungo: ineguale, la scuola italiana, nelle mancate opportunità di accesso all’istruzione scolastica determinate dall’origine sociale degli studenti; nella dispari disponibilità di risorse e di investimenti riservati all’istruzione (nettamente sotto la media europea) e nella loro sperequata distribuzione all’interno del sistema nazionale; nella divaricazione dei livelli di apprendimento effettivo, dovuta sia a deficit di competenza professionale di docenti sia all’assenza di parametri di valutazione oggettiva degli alunni durante la scolarità e in uscita dal curricolo; nella eterogenea e discontinua qualità dell’ offerta formativa da istituto a istituto, da regione a regione; nella (dis)organizzazione strutturale dovuta alla indecisione cronica tra ammodernamento didattico e tradizionalismo paralizzante; nel crescente declino della identità e autonomia del sotto-sistema scuola in preda alle spinte sociali del sistema economia, del sistema informazione; nella diffusa apatia della popolazione scolastica attraversata da atteggiamenti di demotivazione, di passività e resistenza all’apprendimento; nel troppo lento e incerto ricambio generazionale dei docenti, insidiati da frustrazioni psicologiche, penalizzazione retributiva, esautoramento sociale, sovraccarico autoformativo… Quanto basta per motivare gli operatori del Cisem (Centro per l’innovazione e la sperimentazione educativa Milano) a montare uno screening per individuare non solo i fenomeni patologici ma le cause e, possibilmente, indicare qualche terapia. Infatti il volumetto è tutt’altro che una geremiade; è un catalogo ragionato di carenze e fragilità, ma anche di proposte più o meno esplicite per risalire la china. Quantomeno ogni capitoletto si premura di concludere con un grappolo di interrogativi per nulla retorici, che puntano dritto il dito sui punti nevralgici là dove intervenire per sanare. Una scaletta di priorità troppo urgenti per essere ancora disattese, ma, malauguratamente, troppo onerose per una classe politica nazionale assai in disarmo e in perdita di credibilità. Sta qui il valore stimolante di questa griglia d’analisi dei cronici mali della nostra scuola: può fungere da essenziale pro-memoria (o, se si vuole, da cahier de doléances) per i responsabili nazionali e regionali della politica educativa; da vademecum per docenti che vi troveranno schemi di lettura efficaci per interpretare con più oggettiva imparzialità le dinamiche della scuola; da repertorio utilissimo anche per la categoria dei genitori, dove sembra stia dilagando il virus del “ma come si permette?” rinfacciato disinvoltamente a quegli insegnanti che osino esigere appena appena un po’ di disciplina e di studio. Se almeno questa “scuola ineguale” imparasse (e insegnasse) l’abc della democrazia, domani la nazione comincerebbe a lamentare forse qualche problema in meno.
Paolo Mariani
BIBLIOTECA
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Silvio SCANAGATTA, Barbara SEGATTO (a cura di ),
Le nuove macchine sociali
Giovani a scuola tra internet, cellulare e mode Franco Angeli, Milano 2007, pp. 264, € 22,00.
Giovani ricercatori crescono. E pubblicano. Qui è la volta di un manipolo di ricercatori che operano prevalentemente in istituzioni pubbliche nel Veneto in ambito psico-sociologico e terapeutico. Hanno raccolto in questo libro della collana “Laboratorio sociologico” una decina di radiografie complementari incentrate sul soggetto “mondo giovanile”, del quale indagano sostanzialmente i “consumi culturali” e più precisamente il consumo di tv, stampa, discoteche, concerti, musei, ma anche cellulari, internet, videogiochi, tatuaggi e piercing. In certo senso, sono queste le “nuove macchine” con le quali i ragazzi si costruiscono la vita quotidiana, intessuta di sensazioni, emozioni, relazioni. Di fronte al fenomeno in crescita, ormai macroscopico e irreversibile, il ricercatore si pone delle domande che vanno al di là dei soliti talk show impressionistici offerti dai media, per tentare invece una spiegazione documentata delle cause e degli effetti di tale fenomeno; pone domande del tipo: Perché certi oggetti consumati dai ragazzi sembrano indispensabili alla loro vita individuale e sociale? A partire da quali sintomi il loro consumo si trasforma in dipendenza e patologia? E quando può diventare invece rischio di autoesclusione dalla famiglia, dal gruppo, dalla scuola? E come spiegare gli atteggiamenti reattivi di genitori e insegnanti, se il più delle volte manca loro non solo l’esperienza diretta di quei consumi, ignorando persino il significato che assumono nel vissuto giovanile, ma se in molti di loro fa difetto soprattutto un orizzonte di principi valoriali capaci di orientare, selezionare, personalizzare quei consumi? Fino a che punto cioè questi consumi sono costruttivi di identità e di personalità e quando invece sono spia di un disagio esistenziale? I vari contributi sostano su aspetti specifici e circoscritti del problema: cosa significa per gli adolescenti d’oggi vivere nella società dell’eccedenza (S.Scanagatta); quali i fattori che portano certi giovani alla dipendenza dall’alcol e droghe e come prevenire il fenomeno (A.Noventa); obiettivi e metodologia della ricerca sui consumi culturali di un campione di 5000 adolescenti di 80 scuole del territorio veneto (B.Segatto); la cultura come consumo nei giovani veneti (K.Da Ros); significato dei nuovi media (computer, cellulare, videogiochi) come strumenti di comunicazione giovanile (C. Pattaro); la comunicazione mediante il corpo: abbigliamento, tatuaggi e piercing (B.Segatto); i nuovi consumi giovanili nella percezione del mondo adulto (E. Zambianchi); approssimazione tipologica nell’uso e nell’abuso (eccedenza) dei new media (C.Pattaro); il ruolo del gioco: il caso dei videopoker (D.Manasse); e che ne è dei “non-fruitori” esclusi dalle nuove tecnologie? (S.Guarda). Un monitoraggio a tutto campo, che rivela la faccia nascosta delle abitudini adolescenziali, che scava nelle biografie più o meno normali di migliaia di giovani per metterne in luce le inquietudini, gli affanni identitari, gli impulsi emozionali, i sogni di un futuro sempre troppo corto perché imprigionato da un presente riempito a oltranza dalla seduzione delle “nuove macchine sociali”.
Paolo Mariani
Luciano CORRADINI (a cura di)
Gesualdo Nosengo. La persona umana e l’educazione Editrice La Scuola, Brescia 2006, pp. 240, € 24,00.
Gesualdo NOSENGO
L’arte educativa di Gesù
a cura di Olinto Dal Lago, saggio introduttivo di Francesco Capodanno Elledici, Leumann T0 2006, pp. 296, € 14,00.
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BIBLIOTECA
Gesualdo Nosengo (1906-1968), figura eminente della pedagogia italiana del Novecento, protagonista genuino del movimento cattolico, docente nell’Università Urbaniana, insegnante di religione nei licei, promotore di associazioni (ricordiamo Scholé) e di incontri ed eventi culturali, fondatore e presidente dell’Unione cattolica degli insegnanti (l’UCIIM è la sua “cattedra”), scrittore robusto. Luciano Corradini, che ne ha seguito il messaggio e l’azione, e Olinto Dal Lago, autore di un apprezzato volumetto pubblicato dalla Elledici nella collana “Testimoni”, presentano ai lettori d’oggi, genitori, educatori, professori, giovani, alcune tra le pagine più belle delle opere del Maestro: La persona umana e l’educazione (11948, 21958, 31967) e L’arte educativa di Gesù, opera, quest’ultima, apparsa in due volumi nel 1967. Nosengo ama la scuola, studia il mondo giovanile e la società contemporanea, affronta i problemi dell’educazione con impegno, con vigore, con passione. Al centro della sua azione e del suo pensiero sta la persona umana: tutta la riflessione di Nosengo è centrata sulla dignità somma che all’uomo è conferita da Dio. L’educazione promuove lo sviluppo integrale della persona umana, ne esalta i valori, ne celebra libertà e responsabilità, ne orienta e incoraggia la vocazione alla fraternità, all’amicizia, alla pace, ne sostiene la tensione alla felicità, al bene, al trascendente, al soprannaturale. La filosofia che regge un discorso così ricco e articolato è quella di Tommaso: un tomismo assunto e vissuto come metodo e come guida. E l’attivismo didattico e pedagogico che anima il pensare e l’agire del Nosengo è ispirato all’ “arte educativa” di Gesù. Perché il cristianesimo è l’incontro con Qualcuno. E “la pedagogia cristiana è innanzitutto un Maestro: Gesù Cristo”. Gesù maestro vuole “essere imitato da noi quando facciamo da maestri ai nostri fratelli”. I due volumi introducono allo studio del Nosengo con saggi sulla sua spiritualità e pedagogia e con profili bio-bibliografici essenziali e puntuali.
Francesco Pistoia
Emilio BUTTURINI
La pace giusta
Testimoni e Maestri tra ‘8-900: Ruskin, Tolstoj, Gandhi, Montessori, Capitini, Milani Casa editrice Mazziana, Verona 42007, pp. 368, € 18,00.
Non è la geografia che possa mettere insieme il londinese Ruskin, il russo Tolstoj, l’indiano Gandhi e tre italiani. E forse nemmeno la storia, se il primo è morto nel 1900 e l’ultimo, don Milani, è nato nel 1923. Però un evidente filo di parentela transnazionale tra i sei personaggi c’è; l’ha individuato e intessuto uno storico della pedagogia, il veronese Emilio Butturini, già preside e tuttora docente della locale facoltà di scienze della formazione. Ciò che accomuna questi “testimoni e maestri” è l’ideale della pace, più esattamente l’utopia della “pace giusta”: Gandhi riconosce come suoi maestri Ruskin e Tostoj, a loro volta Capitini e Milani – pur su posizioni assai diverse – si ispirano alla lotta nonviolenta di Gandhi, con il quale entra in contatto diretto in India anche la Montessori. Sei personalità che hanno vissuto, in contesti politici e climi culturali dissimili, il travaglio della colonizzazione e della emancipazione politica, l’ascesa sociale di popoli e il sogno della alfabetizzazione popolare, la difesa della dignità del bambino insieme alla promozione delle culture originarie. Di ciascuna delle sei personalità viene tratteggiato un corposo e documentato profilo biobibliografico. E in appendice un’antologia di pagine esemplari tratte dalle loro opere illustra e puntualizza le rispettive teorie e interpretazioni della pace. L’Autore ha affinato via via l’opera, ampliandola in successive edizioni (l’attuale è la quarta, la prima era del 1993), aggiornando dati e bibliografie, integrando documenti e ricerche storiografiche. Una introduzione generale ricostruisce la cornice etico-filosofica, politica e religiosa del tema della pace, coniugato con quelli affini della giustizia, dei diritti umani, dell’educazione. Già il solo indice onomastico, ricco di ben oltre settecento nomi, è l’indizio di un monitoraggio a tutto campo delle fonti bibliografiche messe a frutto dal Butturini.
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Il testo, lungamente collaudato da più di una generazione di studenti universitari, conserva tutto il suo valore documentaristico nello scaffale dei classici della pedagogia della pace, e torna anzi di più urgente attualità in una temperie, come l’attuale, insidiata a livello mondiale dalle incognite delle sfide interetniche, dalle difficili ricadute delle immigrazioni nei sistemi democratici occidentali, dalla minaccia sempre incombente del terrorismo, ma anche – pensando a come (non) vanno le cose di casa nostra - da un diffuso stemperamento dei valori della comune cittadinanza, che nemmeno la scuola dell’obbligo sembra essere più in grado di prendere sul serio.
Silvana Rita Allais
Ciro SARNATARO (a cura di)
L’identità meridionale. Percorsi di riflessione multidisciplinare San Paolo, Cinisello Balsamo MI 2005, pp. 264, € 16,50.
ID., L’agire della Chiesa nel tempo. Figure, temi e problemi Luciano editore, Napoli 2007, pp. 264, € 20,00.
Due libri che aiutano a capire un po’ meglio la cultura del nostro Meridione e i suoi annosi problemi. Il primo raccoglie una quindicina di interventi proposti in diversi seminari di studio dislocati nelle varie sedi regionali dalla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale; il secondo riprende una decina di saggi del teologo pastoralista e catecheta Ciro Sarnataro, docente nella stessa facoltà e noto in Italia anche per l’attività di regista e come autore di testi per le riprese televisive della messa domenicale su RaiUno. In ambedue le opere il perno dell’attenzione è il Sud, la sua cultura secolare e quella attuale, la sua storia civile e religiosa, le personalità carismatiche che hanno segnato la comunità umana e credente, la sua produzione teologica, il suo stile pastorale… L’approccio a tale realtà complessa non poteva che essere multidisciplinare. E così lo storico, il filosofo, il sociologo, il teologo, ciascuno con la propria lente di ingrandimento e cassetta di attrezzi, si avvicendano intorno all’enigmatico oggetto dell’indagine, per definirne la proteiforme identità (Adolfo Russo), anzi le molteplici identità (Sergio Tanzarella), la storia ‘plurale’ (Francesco Sportelli), l’utopia culturale (Pasquale Giustiniani), la specificità oltre il meridionalismo (Giacomo di Gennaro), l’identità “presunta” (Roberto Cipriani), l’identità teologica (Antonio Staglianò) e persino quella teologale (Franco G. Brambilla). Il consuntivo finale registra un certo numero di guadagni certi e di punti comuni di non ritorno, a riprova che la ricerca incrociata ha colto nel segno, anche se rimane l’impressione, come osserva realisticamente uno dei relatori (G. Mazzillo), che “ogni qualvolta andiamo a definire l’identità meridionale, ci troviamo come a stringere un pugno di sabbia: più si stringe e più scivola fuori dalle dita” (p.247). Non meno densi i profili teologico-pastorali tracciati dal Sarnataro, che si muove agevolmente su temi e figure del passato (Paolino da Nola, catecheti e catechismi del Settecento napoletano, la catechesi del secondo dopoguerra e la ricezione del Vaticano II in Campania, la pastorale postconciliare alle prese col pluralismo), come anche su un ventaglio di temi forti e icone del presente, quali la coniugazione della categoria “popolo di Dio” con la prassi catechistica, il parallelo tra la lettera ai Romani e la c.d. nuova evangelizzazione, le implicazioni concettuali dei processi di iniziazione cristiana nell’itinerario catecumenale, una valutazione teologica della religiosità popolare meridionale, una disamina dei nodi ecclesiologici e canonistici della gestione dei processi decisionali nel fare comunità. Il riferimento al territorio meridionale non limita l’importanza di queste analisi, semmai ne fa apprezzare l’attenzione contestualizzante, il radicamento all’hic et nunc della chiesa locale, la fedeltà alla specificità e singolarità delle culture prima e oltre la pretesa di ipostatizzare la Cultura. L’agire concreto della Chiesa – come comunità evangelizzante, come sacramento di salvezza operante nella ritualità liturgica, e, beninteso, anche come sistema di potere religioso e culturale – si misura sempre e solo con delle culture storicamente e geograficamente identificabili.
Silvana Rita Allais
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Claudio BERNARDI - Carlo SUSA (a cura di)
Storia essenziale del teatro
Vita e Pensiero, Milano 2006, pp. 496, euro 30,00. Duemilacinquecento anni di storia del teatro “non si possono esaurientemente raccontare. E ognuno li racconta a modo suo. Creando interesse per il punto di vista assunto, ma anche insoddisfazione per ciò che sembra mancare. E l’insoddisfazione genera il desiderio di integrare le parti mancanti, e si arriva così a scrivere un’altra storia del teatro come questa, essenziale”. Così scrive nella premessa Claudio Bernardi, docente di storia e antropologia del teatro all’Università Cattolica, che, insieme con Carlo Susa dello stesso Ateneo, cura l’opera che si segnala. La quale si fa apprezzare per la linearità dell’impostazione, per la sobrietà e la semplicità del racconto, per la chiarezza del linguaggio e la trasparenza dello stile. Contributi interessanti sul teatro greco (Carla Bino), su teatro e spettacoli a Roma (Ilaria Tameni), sul teatro umanistico e rinascimentale (Bino e Tameni), sul teatro europeo dei secoli d’oro (Susa), sul teatro borghese (Tameni e Susa). Il Bernardi scrive pagine significative sulla drammaturgia medievale e avvia alla lettura del fatto teatrale con il saggio, puntuale e ricco di spunti critici, su “Rito e teatro”. È di Carlo Susa e di Leonardo Mello il capitolo ottavo, “Linee-guida e crocevia del teatro del Novecento”. E non manca, dello stesso Mello, uno studio su “gli altri teatri” (giapponese, indiano, cinese, islamico, africano). Pagine di storia delle civiltà. Pagine che tematizzano il rapporto tra teatro e Chiesa, teatro e società, teatro e politica, teatro e costume: un discorso su realtà, finzione, fiaba, danza, mimo, comunicazione, radio, televisione; su scrittura e scena, attore, regista, teatro popolare, festa, sacro e profano, drammaturgia e liturgia; su poesia, rito, spiritualità, bellezza. Va sottolineata la portata pedagogica del lavoro: docenti e animatori culturali hanno a disposizione uno strumento di sicura efficacia. Il teatro aiuta a leggere la storia e a sondare i misteri dell’anima umana. In ordine alfabetico le “cento opere immortali”. Bibliografia, tavole con didascalie, indici.
Francesco Pistoia
Carlo FIORE
Spunti di etica 2000
Per giovani, educatori, gruppi giovanili
Elledici, Leumann TO 2007, pp. 272, € 12,50. Anche l’anziana Signora Morale veste casual. E suole cambiare nome: ora preferisce farsi chiamare Etica. Non che sia diventata donna di facili costumi, tutt’altro! Ha solo il timore di non farsi più accettare in società, di allontanare anche quei pochi pretendenti, che già si sono rarefatti intorno a lei. Sì, perché molti delle giovani generazioni sono andati ad assieparsi intorno alla disinvolta Sociologia, altri intorno alla più universale Antropologia, e altri ancora rincorrono l’una o l’altra delle più promettenti e scanzonate Scienze umane. Anche la Morale, secolare figlia legittima della grande e nobile famiglia delle Scienze teologiche, sbircia volentieri verso il saeculum per trovarvi spunti, temi e dottrine che possano dare nuova giovinezza e appetibilità al suo linguaggio usurato e stantio del tempo andato. Prendete, per esempio, questo nuovo libro del salesiano don Carlo Fiore (nome non ignoto a molti professionisti dell’educazione giovanile): finirete per leggerlo come un romanzo, o quasi. È tutto, eccetto che un manuale vecchia maniera. I temi forti ci sono, eccome: Dio, libertà, dignità, donna, bibbia, spiritualità, europeismo, internet, bullismo, amicizia, democrazia, laicità, sessualità, senso della vita…, ma il tono non è quello sonnacchioso dell’omelia né quello sdottoreggiante del cattedratico. Qui il discorso si fa narrativo, tende piacevolmente al giornalistico, ma senza restare epidermico o cadere nel banale. Può sembrare discorso episodico, frammentato, ma questo ti permette di consultarlo cliccando indifferentemente ora un capitolo ora l’altro e ritrovare comunque sempre il filo rosso del discorso che torna alle radici. Non si contano i “maestri del
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tempo” che vengono qui convocati e confrontati per un parere o un indirizzo autorevole: dai nuovi filosofi agli ultimi papi, dai biblisti ai poeti, dai teologi agli opinion makers… Un saggio di pedagogia morale, dunque, ma non moralistica, che mette in atto un’etica induttiva, informale, derivata dal caleidoscopio delle situazioni quotidiane: una canzone, una statistica, un fatto di cronaca, il passaggio di un’enciclica, una citazione brillante. Un libro che sembra scritto ascoltando in diretta il giornaleradio piuttosto che meditato nel silenzio di una biblioteca. Un’etica che evita di indottrinare, ma che cerca dapprima di far osservare, poi di far riflettere, di additare argomenti pro e contro le ipotesi ricorrenti, e quindi di coinvolgere la coscienza personale. I destinatari del libro, già ben individuati nel sottotitolo, avranno molto da guadagnare da questo approccio disinvolto, “empatico”, solo apparentemente leggero, a temi morali tradizionali, nuovi e nuovissimi. La signora Morale – pardon, l’Etica - si aggiorna, si adegua, ma non tradisce.
Silvana Rita Allais
Silvano FAUSTI, sj - Vincenzo CANELLA, fsc
Alla scuola di Matteo
Un Vangelo da rileggere, ascoltare, pregare e condividere Ancora, Milano 2007, pp. 592.
Il volume è frutto di una collaborazione, apparentemente insolita, ma feconda, tra un teologo specialista in spiritualità biblica e un insegnante dì materie scientifiche di scuola secondaria. Entrambi hanno letto gli stessi testi, prima in modo autonomo e poi dialogando e hanno conferito al libro, a livello di redazione finale, una fisionomia accattivante e unitaria. Il commento al vangelo dì Matteo (che segue a due anni di distanza quello di Marco) si presenta in testo agile, di lettura facile e gradevole, ricco di suggestioni. Una sobria introduzione presenta ì tratti salienti del Vangelo (datazione, destinatari, originalità, scansione) e guida il lettore ad una lettura integrale, viva, coinvolgente. Ogni capitolo, breve e ben strutturato, si apre con una pericope evangelica, presentata seguendo l'ordine redazionale, in quella che era finora la traduzione ufficiale della Cei. Sotto il titolo Strumenti per capire troviamo una serie di note che si caratterizzano essenzialità, semplicità, chiarezza. Esse sono corredate dì numerosi rimandi a passi dell'Antico e del Nuovo Testamento, con particolare sottolineatura di quelli più significativi con la raccomandazione di leggerli per avere una visione più completa del contenuto e del senso del brano esaminato, e specialmente per non far dire al Vangelo quello che non dice. La sezione Piste di riflessione suggerisce soste di ampio respiro per interiorizzare e confrontare con il proprio vissuto, il messaggio offerto dalla parola, letta e capita. La riflessione introduce alla preghiera - suggerimenti per pregare - che cala la pagina di vangelo nella realtà personale e comunitaria affinché da quella tragga luce e dinamismo. I punti di sospensione in coda all'ultimo suggerimento sollecitano la partecipazione attiva del lettore perché, chiuso il libro, apra davvero il cuore e la mente al colloquio con il Signore: vero punto d'arrivo, esercizio che ciascuno farà da sé.
Alla scuola di Matteo (come il precedente volume su Luca), per il suo taglio didattico, può essere utilizzato nei gruppi giovanili che si propongono un cammino biblico serio ma largamente accessibile, come supporto in un'esperienza dì lectio divina comunitaria o individuale, come stimolo e arricchimento culturale per chi è in ricerca. Quello di Matteo è un vangelo ben strutturato, con un taglio quasi catechistico, che prende il lettore per mano e lo guida: è davvero un vangelo, una ''buona notizia" per i nostri giorni. Si tratta dì un libro per molti aspetti stimolante, la cui lettura e meditazione richiede un certo impegno, che però viene ampiamente ripagato dall'arricchimento personale che ne deriva. E’ il vangelo più utilizzato dalla liturgia - tra l’altro, è il vangelo guida in quest’anno 2007-08 - quello che ci restituisce maggiormente la riflessione della Chiesa primitiva su Gesù come maestro della "vita nuova" del Regno.
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La ricchezza e la densità di questo testo hanno indotto gli autori a una lettura commentata che fa "parlare" il vangelo dì Matteo organizzando la narrazione e guidando la riflessione secondo il metodo antico (e sempre nuovo) della lectio divina. Uno strumento essenziale, rivolto a chiunque guidi la catechesi per laici e religiosi o voglia pregare la Parola in modo più approfondito e personalizzato.
c.s.g.
Arnaldo DE VIDI
Ho incontrato il dragone
La cultura cinese raccontata agli amici
La Piccola Editrice, [via Roma 5, 01020], Celleno (VT) 2007, pp.198, € 12,00. Le prossime Olimpiadi di Pechino non c’entrano. Il libro non è uno di quegli instant-book pensati per le comitive di atleti e turisti che in questa estate 2008 si dirigeranno verso il Celeste Impero. Anche se, tra questi, i più volonterosi e i meno distratti avrebbero molto da guadagnare da queste pagine scritte da un occidentale che non ha sfiorato da turista stagionale la cultura cinese, ma l’ha metabolizzata soggiornando per anni nel Paese. Padre Arnaldo De Vidi è un missionario saveriano, veneto di nascita, teologo di formazione, scrittore e giornalista di professione, viaggiatore e studioso cosmopolita (ha studiato inglese e teatro in California, lingua e cultura cinese a Taiwan, missiologia in Brasile), ha diretto per anni, fino al 2005, il Centro e la rivista per l’Educazione alla mondialità (il CEM, con sede storica a Parma e ora a Brescia). Da un paio d’anni è tornato a lavorare nel “suo” Brasile, per conciliare vocazione missionaria, sete di incontrare altre culture, carisma di poeta, militanza politica con i senza-terra. Quest’ultimo libro, tra i molti altri che ha scritto, è anzitutto un segmento di autobiografia. E’ il racconto, robustamente strutturato, del lungo soggiorno in Cina per imparare la lingua e la cultura. Il primo impatto con le difficoltà della lingua parlata e scritta, l’amicizia con la famiglia ospitante, le scoperte circa i costumi e la mentalità della gente, lo studio delle filosofie e della storia cinesi, la rilettura dello storico fallimento dell’incontro tra Cina e cristianesimo con l’avventura di Matteo Ricci e la controversia dei riti, la guerra dell’oppio, infine la colonizzazione marxista: sono altrettanti capitoli di un racconto che si snoda intrecciando il pathos del vissuto autobiografico con l’accostamento curioso e sempre sorprendente all’inesauribile patrimonio culturale del passato e del presente della Cina. Non è mai uno sguardo neutrale quello di padre Arnaldo, non è una registrazione notarile come di chi si fa solo spettatore o cronista. Partecipa e vive dall’interno i momenti della vita quotidiana della famiglia cinese, gli incontri e le feste, i dialoghi e le amicizie, la vita urbana e i riti religiosi. Interroga e si interroga sulla visione cinese del cosmo e del tempo, sul mistero del male e della morte, sull’eredità filosofica ed etica di Confucio e di Lao-Tse, sul lascito non morto ma dinamico più che mai di secoli di saggezza popolare… La ricostruzione storica dell’incontro/scontro tra fede cristiana e cultura cinese, pur nella sua concisione, ha una sua esemplarità per ricchezza di dettagli e per precisione di argomentazioni, anche filosofiche e teologiche oltre che diplomatiche. Un viaggio all’interno dell’universo cinese che il lettore è piacevolmente condotto a percorrere preso per mano dall’autore. Il quale, fortunatamente per noi lettori-amici, ha l’animo curioso ed entusiasta come quello del bambino che scopre per la prima volta le cose belle e grandi della vita, e ha anche l’anima del poeta capace di farti intuire significati reconditi e insospettabili oltre le apparenze delle cose scontate.
Silvana R. Allais
LIBRI PERVENUTI Guido BENZI, Valentino BULGARELLI, Marcello MUSACCHI (edd.), Come pietre vive. Ripensare l’Iniziazione cristiana, monografia di “Sacra Doctrina” 52 (2007) 3, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, pp. 167, € 16,oo. Lilian BLANK DE OLIVEIRA, Sérgio Rogério AZEVEDO JUNQUEIRA, Luiz Alberto SOUSA ALVES, Ernesto Jacob KEIM, Ensino Religioso no Ensino Fondamental, Cortez Editora, São Paulo 2007, pp. 176, s.i.p.
Cahiers MEL (Mission éducative lasallienne) : n. 37: L’enseignement technique lasallien en France, par Henri Bédel, pp.56, octobre 2007; n. 38: Relations entre les familles et l’école. Une expérience, par Belisario Sánchez Martín, pp. 84, gennaio 2008; n.39: Les identités des Universités Lasalliennes au XXIème siècle. Un document de recherche analytique, par Francis Tri Nguyen, pp. 56, gennaio 2008, Segreteria MEL, Casa Generalizia FSC, Roma.
Mario CHIARAPINI, FSC, Ha giocato con Dio. Spettacolo con canzoni sulla vita del La Salle, copertina e illustrazioni di Roberto Meli, Edizioni musicali SMAF (via Oslavia,14 – 00195 Roma), 2007, fascicolo pp. 40 + 2 CD. Amos CIABATTONI, La ricerca della conoscenza. Il sapere, la fede, la felicità, presentazione del card. Sergio Sebastiani, D’Auria Industrie Grafiche, senza città di edizione, senza data [2007?], pp. 178 + 16 tav. a colori, € 15.oo. CONFERENCIA EPISCOPAL ESPAÑOLA, Libro del Peregrino. Beatificación de 498 mártires del siglo
XX en España, Editorial Edice, Madrid 2007, pp. 242, s.i.p.
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
2007, pp. 27.
Cronache sociali 1947-1951. Edizione anastatica integrale a cura dell’Istituto per le Scienze
Religiose – Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, via San Vitale 114, 40125 Bologna. Introduzione di Alberto Melloni (pp. XIII-XLIV), Indici (pp. XLV-C), Testo: vol I, pp. 1104; vol. II, pp. 1105-1984, con copia anastatica dei volumi di Suhard, di Rossetti, di La Pira offerti in omaggio agli abbonati. In allegato, l’edizione digitale integrale (versione DVD) a cura di Michele Ciuffreda, Bologna 2007, 2 voll. rilegati, 23 x 32,5, s.i.p.
Elio DAMIANO, L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione morale, Cittadella editrice, Assisi 2007, pp. 405, € 19,90. Gianni FESTA (a cura di), Ricerca di Dio e deserto dell’uomo nella letteratura del ‘900, monografia di “Sacra Doctrina” 52 (2007) 4, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2007, pp. 336, € 16,oo. Carlo FIORE, Spunti di etica 2000. Per giovani, educatori, gruppi giovanili, Elledici, Leumann 2008, pp. 272, € 12,50. Viktor E. FRANKL, La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, a cura di Daniele Buzzone e Eugenio Fizzotti, con interventi di Abraham H. Maslow, Reuven P. Bulka e Rollo May, Erickson, Gardolo -Trento 2007, pp. 188, € 22,oo.
Giorgio GIOVANETTI, Alessandro MATTIOLI, Franco SALSA, Una scuola ineguale. Rubrica ragionata dei problemi chiave della scuola secondaria superiore, Quaderni CISEM 27, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 93, € 11,50.
Sérgio R.A.JUNQUEIRA, Rosa L.T. CORRÊA, Ângela M.R.HOLANDA, Ensino religioso. Aspectos legal e curricular, Ed. Paulinas, São Paulo 2007, pp. 117, s.i.p. Adolfo LONGHITANO (ed.), Repraesentatio. Sinodalità ecclesiale e integrazione politica, “Quaderni di Synaxis” 20, ed. Giunti-Studio Teologico S.Paolo, Catania 2007, pp. 222, € 12,50. Francisco MARTÍN HENRÍQUEZ, FSC, Centenario La Salle en Canarias. Arucas 1908-2008, Editorial Graficas Guiniguada, Arucas (Gran Canaria) 2007, pp. 297. OSCE - ODIHR, Toledo Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in Public Schools, prepared by the ODIHR Advisory Council of Experts on Freedom on Religion or Belief, Published by Office for Democratic Institutions and Human Rights [Al. Ujazdowskie 19, 00-557 Warsaw, Poland; www.osce.org/odhir], 2007, pp. 130, s.i.p.
Pescatori di uomini. Ritratti di sacerdoti italiani, presentazione di G. Betori, foto di Francesco Zizola, ed. Conferenza episcopale Italiana, Roma 2007, pp. 120, s.i.p. Silvio SCANAGATTA, Barbara SEGATTO (a cura di), Le nuove macchine sociali. Giovani a scuola tra internet, cellulare e mode, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 264, € 22,oo. Placido SGROI (ed.), Fondamenti biblici dell’etica cristiana. Prospettive ecumeniche, “Quaderni di Studi Ecumenici” 16, ISE San Bernardino, Venezia 2007, pp. 223, € 13,oo. EN EDUCACIÓN MATEMÁTICA (SEIEM), VIII Seminario de Investigación en Pensamiento Numérico y Algebraico (PNA), Monografía IX de “Indivisa. Bole-
SOCIEDAD ESPAÑOLA DE INVESTIGACIÓN
tín de Estudios e Investigación”, Centro Universitario La Salle, Madrid 2007, pp. 180, s.i.p.
VV. AA., Ensino religioso no Brasil. Balanço, desafios, prospectivas, No.monografico de “Religião & Cultura”, Departamento de Teologia e Ciências da Religião, Ed. Pontificia Universidade Católica de São Paulo, Ed.Paulinas, vol.VI, 2007, pp.176, s.i.p. VV.AA., La libertà religiosa come diritto: dialogo tra credenti e non credenti. Atti dell’ XI Meeting sui diritti umani, organizzato da Regione Toscana, Dossier per le scuola secondarie a cura di Ucodep - Manitese Firenze - Cospe, Centro Stampa Giunta regionale, Firenze 2007, pp. 122, d. g.. Josean VILLALABEITIA, FSC, No hagáis diferencia… Consagración y tareas apostólicas en los primeros tiempos del Instituto, “Ensayos Lasalianos” 2, Études lasalliennes, Roma 2007, pp.
144, s.i.p.