Rivista lasalliana 3-2009

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Rivista lasalliana

Trimestrale di cultura e formazione pedagogica anno 76, n. 3, luglio-settembre 2009


RL

Rivista lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle e delle Scuole cristiane da lui fondate. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, in particolare in area italiana ed europea, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi sulle Fonti lasalliane e aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. E’ redatta da un comitato di Lasalliani e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche e universitarie della Regione Euro-Mediterranea. Rivista lasalliana trimestrale fondato in Torino nel 1934 anno 76, n. 3, luglio-settembre 2009 Direzione e redazione Rivista lasalliana, Via Aurelia 476, 00165 Roma fpajer@lasalle.org – telefoni: 06 66523305 – 06 665231 Riviste in cambio e libri in recensione: Rivista lasalliana, Casella Postale 9099, 00167 Roma Gruppo redazionale Mario Chiarapini, Gabriele Di Giovanni, Flavio Pajer (dir.), Marco Paolantonio, Nicolò Pisanu, hMario Presciuttini, Roberto Zappalà Comitato scientifico Emilio Butturini (Verona), Robert Comte (Lyon), Sergio De Carli (Varese), Lluís Diumenge (Barcellona), Mario Ferrari (Pavia), Teódulo García Regidor (Madrid), Pedro Gil L.(Bilbao), Edgard Hengemüle (Porto Alegre), Herman Lombaerts (Leuven), Vito Moccia (Torino), José M. Pérez Navarro (Madrid), Lino Prenna (Perugia), Gerard Rummery (Australia), Jean-Louis Schneider (Lyon), Lorenzo Tébar Belmonte (Paris). Amministrazione Editore: Associazione culturale lasalliana: Elio Pomatto, Viale del Vignola 56, 00196 Roma gabriele.pomatto@gmail.com – telefoni 06 32294503 – 3471033855 – fax 06 3236047 Abbonamenti Ordinario in Italia € 24.00 - Docenti lasalliani € 18.00 - Sostenitore € 50.00 - Estero € 30.00 ($ 36) Un numero separato € 6.00, Ccp 12378113 intestato a ACL Associazione culturale lasalliana Codice IBAN: IT51N076000000012378113 Composizione, stampa, spedizione Graphisoft, Via Labicana 29, 00184 Roma – tel.067001450 – fax 0677255402 www.graphisoft.it - info@graphisoft.it – M. Proetto, art director Registrazione Tribunale di Torino 26.01.1949 n.353 Tribunale di Roma 12.06.2007 n.233 Direttore responsabile Flavio Pajer Periodico associato all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 1826-2155 Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 (L 27/2004 n.46) art.1 comma 2.


2009, n. 3 (303)

RICERCHE E STUDI

375 Francesco Trisoglio, La prima catechesi battesimale agli albori del cristianesimo: il De baptismo di Tertulliano 387 Herman Lombaerts, Quand la violence menace la vie des jeunes. Le po-

tentiel symbolique de l’ « élément étranger »

403 Giorgio Bellieni, Un contributo pedagogico per l’educazione alla cittadi-

nanza: il servizio civile obbligatorio

415 Patrizia Moretti, Una pastorale rinnovata nel segno dell’educativo - i cri-

teri operativi dell’educazione permanente

432 Forum delle associazioni familiari, Per una scuola di qualità 437 Roberto Alessandrini, Ombre et nuage. Les corps des anges dans les

représentations picturales de l’Annonciation

PROFESSIONE DOCENTE

447 Marco Paolantonio, Valutazione e autovalutazione dell’istituzione 467 Lluís Diumenge, Etica per educatori – un minilessico 479 Daniela Rodondi, Soggetti disabili e formazione professionale. Criteri e

pratiche di inclusione sociale

485 Mario Chiarapini, Le nuove tecnologie comunicative: una sfida all’edu-

cazione familiare e scolastica

495 Lorenzo Tébar, ¿Cómo aprender el sentido de la vida? 499 Anna Lucchiari, Chiaroscuri sull’attualità

LASALLIANA

507 Jean-Louis Schneider, Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour

les Frères des écoles chrétiennes : sur la Règle de 1718

519 Álvaro Rodríguez Echeverría, La Salle, attualità e sfide di un progetto

educativo

525 Cronache dal mondo lasalliano: • Mario Presciuttini FSC: un ritratto di famiglia (R.Guidi) • Lasallian Education for Religious Diversity (J.Gros) • Master “Action éducative internationale, Médiation sociale et Ouverture interculturelle" (ICP, Paris) • Ressources et recherches lasalliennes (C. Reinhardt) • Observatorio educativo lasallista para los Derechos de los menores (Relal) • La vida religiosa apostólica según el Concilio (J. Villalabeitia) • Note per una politica della gestione degli archivi lasalliani (F.Ricousse, G.Pomatto)

BIBLIOTECA

537 Pubblicazioni patristiche di Fr.Trisoglio (Red.) • Schegge di storia e vita della scuola (F.Pistoia) • Saggi e sussidi per la didattica • Libri pervenuti


Sommario FRANCESCO TRISOGLIO

375-385

La prima catechesi battesimale agli albori del cristianesimo: il De baptismo di Tertulliano – Con quest’opera scritta nel clima polemico a cavallo tra il secondo e il terzo secolo, Tertulliano smonta, con vigore dialettico a volte aggressivo, gli argomenti capziosi dei suoi antagonisti; ne svela il gretto agnosticismo; difende ed esalta l’efficacia del battesimo, felix sacramentum aquae nostrae. La simbologia dell’acqua e del lavacro, l’azione dello Spirito e l’autorità del ministro celebrante, l’intenzione del neofita e il ruolo della comunità, gli affondi nelle Scritture dell’antica e della nuova Alleanza: questi i capisaldi teologici del primo trattato sistematico dell’Apologeta. Non mancano infine robuste e perspicaci soluzioni offerte alla vasta casistica delle quaestiones disputatae del tempo.

HERMAN LOMBAERTS

387-401

Quand la violence menace la vie des jeunes. Le potentiel symbolique de l’ «élément étranger» – Un atto criminale tra adolescenti d’una scuola cattolica belga fornisce materia a letture multiple e spinge la comunità educativa a trovare risposte adeguate all’irruzione di eventi drammatici o comunque eccedenti il quotidiano: gestire l’incontrollabile, farsi carico delle assurdità della vita, elaborare la transizione dall’emergenza alla normalità, imparare da quel curricolo occulto che sono le esperienze non programmate, imparare dalla concretezza “estetica” dell’imprevisto, allearsi con quanto di “strano – estraneo - alieno” può capitare per farne terreno di apprendimento vitale, dove anche il vangelo – come dovrebbe saperlo leggere una scuola cattolica – getta una luce inconfondibile e restauratrice per superare le fratture lasciate aperte dalla violenza.

GIORGIO BELLIENI

403-414

Un contributo pedagogico per l’educazione alla cittadinanza : il servizio civile obbligatorio – Servizio civile come nuova forma di riti di passaggio all’età adulta. Portata formativa di un percorso extrascolastico da offrire in complementarità, se non in alternativa, agli esuberanti ma spesso inconcludenti curricoli dell’istruzione formale, o allo stesso servizio militare. Cosa prevede la legislazione italiana e cosa ha già detto la recente letteratura pedagogica a riguardo. Un pertinente invito a non sottovalutare una opportunità di auto-educazione ai valori della cittadinanza attiva al di là della retorica di scuola o delle ideologie di varia estrazione

PATRIZIA MORETTI

415-431

Una pastorale rinnovata nel segno dell’educativo: i criteri operativi dell’educazione permanente (parte II) – La tesi di partenza è che l’educazione permanente può offrire un modello operativo in risposta alle esigenze dell’azione pastorale, in particolare in ambito di comunità ecclesiali adulte. La riflessione recupera la valenza delle componenti strutturali dell’EP per valutarne la consonanza e la funzionalità con gli orientamenti e le normative dell’azione pastorale delle comunità cristiane, tenendo come orizzonte l’ideale utopico della Chiesa prefigurata come “comunità educante che sa essere al tempo stesso auto-educante”.

FORUM delle Associazioni Familiari

432-436

Per una scuola di qualità – Un’organica e autorevole riflessione su punti nodali dell’attuale stagione della scuola italiana: un’autonomia istituzionale a rischio, una libertà di scelta seriamente compromessa da vincoli economici, un ruolo educativo della famiglia assai fragile e incompiuto, una categoria docente lasciata in balia di improvvide condizioni formative, economiche e burocratiche. “E’ indispensabile che la scuola cessi di essere terreno di scontro poli-


tico e divenga invece il tema per un’azione comune di fronte alla grave emergenza educativa del Paese”.

ROBERTO ALESSANDRINI

437-446

Ombre et nuage. Les corps des anges dans les représentations picturales de l’Annonciation – In molte raffigurazioni pittoriche dell’Annunciazione, l’angelo Gabriele proietta un’ ombra come se avesse un corpo. Un’ombra ancora rara nell’arte del TreQuattrocento, ma sempre più frequente dal Cinquecento in poi. L’ombra anzi si evolve in nube, in luce, in fuoco. Cambiano i simboli e cambiano i loro significati. La pittura del SeiOttocento interpreta con grande sfoggio di metafore i testi biblici di riferimento (la ‘gloria’ di Jahvé nell’Esodo, i vangeli dell’infanzia con le numerose apparizioni, l’ombra taumaturgica di Pietro…), conferendo loro significati consoni all’air du temps..

MARCO PAOLANTONIO

447-466

Valutazione e autovalutazione dell’istituzione – “Nata per valutare, non per essere valutata”, la scuola non può sottrarsi a valutazioni esterne e alla autovalutazione: per ragioni sociali ma anche strettamente professionali. La valutazione esterna, esercitata a livello internazionale, nazionale e regionale, offre orientamenti, esperienze e strumenti operativi isolati e non molto organici. La valutazione interna o d’istituto dovrebbe estendersi sia alle prestazioni dei responsabili (dirigenti e docenti), sia alla qualità del servizio da parte degli utenti (famiglie e allievi). L’offerta formativa di ogni istituto: dichiara gli elementi caratterizzanti la progettazione educativa e la programmazione didattica; dà conto del servizio realmente erogato; illustra come sono pianificati i processi di apprendimento e come sono accertati i risultati. Il tutto mediante forme di valutazione tempestive, trasparenti e adeguate.

LLUIS DIUMENGE

467-478

Etica per educatori. Un minilessico : (3) Ciudadanía - Comunicación - Economía - Política – I quattro lemmi di questa puntata fanno seguito agli otto già pubblicati nei numeri precedenti. Fedele allo standard adottato, l’a. illustra ciascun lemma offrendo precisazioni concettuali, dati storici, richiami scientifici e letterari, ricadute giuridiche, e soprattutto orientamenti pertinenti sul piano dell’operatività educativa.

DANIELA RODONDI

479-484

Soggetti disabili e formazione professionale. Criteri e pratiche di inclusione sociale – Delineato l’attuale profilo normativo entro cui si svolgono le attività di formazione professionale per soggetti disabili, vengono presentate le molteplici azioni svolte ultimamente e al presente dalla “Casa di Carità” per garantire ai propri iscritti un adeguato percorso di integrazione, dapprima dentro il sistema formativo stesso e quindi nel mondo del lavoro e nella società. Conclude una valutazione complessiva dell’insieme del progetto e dei risultati conseguiti.

MARIO CHIARAPINI

485-494

Le nuove tecnologie comunicative: una sfida all’educazione familiare e scolastica – Discorso non nuovo ma sempre più impellente nelle preoccupazioni di chi, in famiglia e a scuola, ha responsabilità educative di minorenni in età scolare. Sulla base dei monitoraggi che periodicamente alcuni Enti nazionali e internazionali praticano su campioni di popolazione, cresce l’allarme per l’invasività talora deleteria dei nuovi mezzi presso i giovani e i giovanissimi. Non mancano regole che disciplinano i comportamenti, ma urge nel contempo, e anzitutto, prevenire ed educare.


LORENZO TEBAR

495-498

¿Cómo aprender el sentido de la vida? – Il senso della vita comincia là dove si risveglia il gusto del conoscere, il piacere della scoperta, l’esperienza di valori vissuti in interiorità e in comunità. L’avventura umana coinvolge tutti i sensi e i sentimenti. Che vanno quindi ‘educati’ almeno come ci si preoccupava di educare l’intelligenza, la memoria, le competenze tecniche. Quando la scuola è aperta alla totalità della persona, è per ciò stesso scuola ‘cristiana’.

ANNA LUCCHIARI

Chiaroscuri sull’attualità.

499-504

1/Silenzio, si sparla, o di certi abusi del linguaggio corrente. 2/ Cieli azzurri: un tuffo nei panorami (incontaminati?) dei Caraibi. 3/Quotidiani e libri, quale futuro?: carta stampata versus chips, una battaglia ai ferri corti. 4/Il fascino irresistibile del buco della serratura: a proposito di vizi privati e pubbliche virtù (del premier nazionale).

JEAN-LOUIS SCHNEIDER

507-518

Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes. Sur la Règle de 1718, 1er chapitre – La Regola delle origini, come anche lo stile di vita dei primi Fratelli, mostrano che il punto di equilibrio dell’Istituto FSC si trova, non già nella vita religiosa canonicamente intesa, bensì nella missione di istruire i figli degli artigiani e dei poveri, al fine di procurar loro la salvezza. Da questa rilettura del cap.1 della Regola del 1718 discendono conseguenze non indifferenti sul piano della ridefinizione attualmente auspicata non solo della lettera delle Regole, ma dello spirito e della natura della stessa consacrazione religiosa laicale.

ÁLVARO RODRÍGUEZ ECHEVERRÍA

519-524

La Salle, attualità e sfide di un progetto educativo – Inaugurando le celebrazioni del 150° anniversario di fondazione della Scuola San Filippo Neri di Massa (Italia), il Superiore della congregazione ridefinisce i tratti distintivi dell’educazione lasalliana nell’attuale contesto di globalizzazione; richiama l’urgenza dell’istruzione come uno dei bisogni-diritti fondamentali della persona, in particolare dei giovani; ripropone la figura dei religiosi lasalliani come persone associate per la missione educativa nel segno del carisma evangelico del La Salle; lancia un appello ai giovani d’oggi e ai loro educatori perché osino sognare e realizzare un futuro di convivenza nel rispetto delle diversità.

Cronache dal mondo lasalliano

525-536

ITALIA – Mario Presciuttini FSC: un ritratto di famiglia (Remo Guidi), 525 USA – Lasallian Education for Religious Diversity (Jeffrey Gros), 527 FRANCE – Master « Action éducative internationale, Médiation sociale et Ouverture interculturelle » (Institut Catholique de Paris, Faculté de Sciences sociales et économiques), 528 MEXICO – Ressources et recherches lasalliennes (Claude Reinhardt), 529 AMERICA LATINA y CARIBE – Observatorio educativo lasallista para los Derechos de los menores (website de la RELAL), 532 ESPAŃA – La vida religiosa apostólica según el Concilio (Josean Villalabeitia), 532 ITALIA – Note per una politica della gestione degli archivi lasalliani (F. Ricousse, G.Pomatto)


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 375-386

La catechesi nei Padri della Chiesa / 6

La prima catechesi battesimale agli albori del cristianesimo: il De baptismo di Tertulliano Francesco Trisoglio, fsc

I

l De baptismo [= DB] di Tertulliano1 inaugura la ricca serie delle trattazioni battesimali.2 Arriva sulla scia dell'Apologetico (197), in cui il fervore della fede, la vigoria del sentimento, la vivacità della fantasia, la perizia giuridica, l'impetuoso slancio del temperamento, l'amarezza dell'ironia si fondono per creare un capolavoro letterario. Tertulliano era un combattente intrepido per la verità. I cristiani si sentivano assaliti, all'esterno dalle persecuzioni del potere pubblico, che uccide i corpi3, ed all'in-

1 Per il testo vedi R. F. Réfoulé SC 35 (1952) con testo, introduzione e note; J. G.Ph. Borleffs CCL I Brepols (1954) pp. 275-295; Br. Luiselli, testo latino, Corpus Paravianum, Torino (1960) con minuto apparato e preciso commento critico: è l'edizione che è stata qui seguita. 2 R. Braun, Deus christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullien, Paris 19772 a p. 689 fissa, come probabili, i limiti della carriera letteraria di Tertulliano tra il 197 ed il 220 ed a p. 721 propende a collocare il DB tra il 198 ed il 206. O. Bardenhewer [cfr. nota 20] p. 412, ne aveva ristretto i margini tra il 198 ed il 200. 3 L'Africa aveva, qualche tempo prima, ricevuto il suo battesimo di sangue, nel 180, con i 12


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Francesco Trisoglio

terno dalle insidie degli eretici, che pervertono l'anima.4 Tertulliano nel presentare il battesimo, che del cristianesimo è la porta d'ingresso e la consacrazione, si trovava quindi immerso in un clima polemico che ne stimolava il brio compositivo e ne riscaldava la dialettica, soddisfacendone il temperamento. Gli era pertanto congeniale che, nel trattare sul battesimo, prima di esporne la natura e gli effetti, mirasse a neutralizzarne i nemici che lo impugnavano. Con accortezza didattica, parte col demolirne le obiezioni che avrebbero potuto creargli attorno un clima di sfiducia, nel quale tutte le sue affermazioni sarebbero suonate atone, prive del mordente che fa presa e fiorisce in convinzione. I - Esordisce di colpo, in medias res, (I,1) convogliando immediatamente l'attenzione sull'essenza del suo tema.5 Già nel primo periodo è concentrata una sintesi sul fine del battesimo, che si inserisce nella storia della caduta e della salvezza. È denso, ma è chiaro; fa appello all'attenzione ma la sollecita e l'appaga con la perspicuità della trattazione. La definisce infatti digestum "un'organica sistemazione della dottrina": è una rassicurazione che giustifica l'impegno del lettore. E lo vuole solerte, infatti ammonisce subito che un'accettazione passiva della fede, senza un esame riflettuto dei motivi che la sorreggono (rationes), espone "ad una fede soggetta alle tentazioni". L'ignoranza (imperitia) comporta fragilità di persuasione e, per conseguenza, vulnerabilità di convinzione. Le prime parole del DB, l'antifona che dà subito il tono ed il senso del suo annunzio, sono Felix sacramentum aquae nostrae:6 è uno squillo di guerra contro

martiri scillitani, decapitati a Cartagine per il loro attaccamento alla fede. Era poi succeduta una parentesi di relativa distensione, sempre però in un sotterraneo sobbollimento pronto ad emergere; infatti, probabilmente nel 197, Tertulliano con l' Ad martyras rivolgeva una esortazione di conforto ai cristiani incarcerati per la fede. Nel 203 a Cartagine subirono il martirio S. Perpetua e S. Felicita insieme a quattro compagni, le cui vicende ci sono narrate da una drammatica Passio, ricca di esperienze mistiche. Nel 212-213 Tertulliano attaccò Scapula, proconsole d'Africa, che era tornato a perseguitare i cristiani. 4 S. Ireneo, che fu vescovo di Lione dal 178 alla morte (circa 200), con l'Adversus haereses in cinque libri, fornì una documentata e penetrante confutazione dello gnosticismo nella sue varie ramificazioni. 5 Quanto alla struttura generale della composizione J. Rézette, La condition du chrétien d'après le De baptismo de Tertullien, in Antonianum 49,1 (1974), pp.14-46, nota che l'opera è nettamente divisa in due parti: una polemica (§§ 1-9) ed una catechistica (10-20); nella prima risponde agli attacchi contro il battesimo lanciati a Cartagine soprattutto da Quintilla, della setta gnostica dei cainiti (p.16); nella seconda, diversa dalla prima per forma e contenuto, tratta una serie di questioni teologiche e disciplinari sul battesimo (p.17). Rézette riassume dicendo che il vocabolario ed i temi del DB si orientano verso quattro centri di riflessione: nuova nascita, vita eterna, immagine e rassomiglianza con Dio, Spirito Santo (p. 23). 6 Felix comprende i due significati di 'fruttifero' e di 'felice'; il primo giustifica il secondo. No-


La prima catechesi battesimale agli albori del cristianesimo: il De baptismo di Tertulliano

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chi negava che l'acqua potesse lavare l'anima dalle colpe, asserendo così l'inutilità del battesimo. Col secondo periodo (I,2 p.3,7) Tertulliano parte subito all'attacco di chi impersonava tale opinione; assale infatti "una velenosissima vipera dell'eresia cainiana",7 che aveva trascinato via8 molte persone. Rende l'opposizione più recisa vivacizzandola con l'ironia,9 e prosegue continuando a compenetrare il pensiero con l'immagine; sostiene infatti la sua tesi in disinvolta scioltezza avvalendosi dell'apporto figurato: "Noi siamo invece i minuscoli pesci, che, in connessione con il nostro ichthus, che è Gesù Cristo, nell'acqua nasciamo, proprio come, permanendo nell'acqua, siamo salvi" (I,3 p. 3,1113); è denso (com'è nella sua indole): mentre afferma la necessità del battesimo, proclama l'obbligo di rimanergli coerenti nella pratica della vita. Tertulliano smonta gli antagonisti denunziandone l'angusto razionalismo: negano l'efficacia spirituale dell'acqua battesimale, perché non riescono a concepire che una sostanza materiale possa raggiungere un livello trascendente. Egli supera l'abisso dei due piani, richiamando la sapienza e la potenza di Dio, che ama servirsi di mezzi 'semplici' per ottenere risultati 'magnifici' ed attesta che è proprio l'insufficienza dei mezzi a proclamare l'eccellenza dell'agente; sottolinea quindi la povera elementarità del culto pagano che fondava la sua forza di attrazione sullo splendore esterno delle sue pratiche (II,1-3).10 Ad un'evidenza superficiale ne oppone un'altra logica; l'ostacolo diventa prova; il trattatista ha la prontezza intuitiva di cogliere la speciosa fragilità

strae vuole smascherare l'equivoco gnostico: separa quella sacramentale cristiana da quella profana: la nostra è un'acqua 'riservata'. 7 G. Bareille, Caïnites, in DThCath II,2 (1932), coll.1307-1309, spiega che i cainiti erano una setta nata dalla gnosi di Valentino, Marcione e soprattutto Carpocrate, la quale sintetizzò la sua violenta opposizione al giudaismo prendendo Caino come suo antenato e modello. Per loro Sophia era il Dio buono in opposizione ad Hýstera, il Dio dei Giudei. Eva concepì Caino da Sophia, Abele da Hýstera; Caino, uccidendo Abele, dimostrò la superiorità del principio da cui discendeva. 8 Rapuit: nel verbo latino ci sono insieme violenza e perfidia. 9 "Si sa che le vipere ricercano i luoghi aridi": approfitta di una realtà zoologica per proiettarla su quella teologica. Nell'avversario sembra quasi intravedere, più che una posizione intellettuale, un impulso innato, antecedente alla razionalità. 10

Nel contrapporre al lussuoso cerimoniale idolatrico la semplicità scolorita del rito cristiano Tertulliano parte dall'impressionabilità epidermica per indurre, in forza del ragionamento, a salire alla fede: "Non c'è da rimanere stupiti che un bagno dissolva la morte? Piuttosto, c'è un motivo per crederci di più; non conviene forse che le opere divine vadano al di là di ogni stupore? Anche noi ammiriamo, ma crediamo" (II,2 p. 4,29-34).


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Francesco Trisoglio

di una posizione mentale per ribaltarla sulla lucida ovvietà di un'altra. Svela nell'agnosticismo la debolezza di chi non sa procedere oltre, l'inettitudine di chi non riesce a scostare un velo rudimentale per guardare più nel profondo. Rifiuta la renitenza a distaccarsi dal proprio ormeggio abituale per slanciarsi ad un ulteriore traguardo: siamo davanti alla perenne tentazione della remissività neghittosa nel campo della coscienza e dell'intelligenza.11 Tertulliano s'impegna nella confutazione anche perché forse avvertiva, almeno con una vaga intuizione, che lo scarto tra la quotidiana insignificanza dei mezzi, che per gli eretici era motivo di diniego, nei credenti poteva diventare tentazione, poteva ingenerare un brivido di ansia, poteva far sorgere il sospetto "che le cose semplici siano vane e quelle magnifiche impossibili" (II,2 p. 5,35-36). I cainiti, nella loro condanna radicale del mondo materiale, screditavano l'acqua; Tertulliano non ne teme l'attacco; è pronto a passare alla controffensiva con calma sicurezza: "Discutiamo fino a che punto sia stolto ed impossibile essere riplasmati dall'acqua" (III,1 p. 5,46-47). Affronta direttamente l'obiezione; non si rifugia nell'elusività; le difficoltà non le camuffa, le affronta formulandole nella loro precisione tecnica. La sua incisività e concisione stilistica lo aiutavano nel dare ai concetti una nettezza di formulazione, e quindi di fisionomia, che diventavano solido fondamento per la discussione. II - Alla sua trattazione egli slarga orizzonti immensi nella loro ampiezza e nella loro sublimità; parte infatti dalla creazione del mondo: "Nel principio lo Spirito di Dio procedeva sulle acque" (Gen 1,1-2) e sulla base della rivelazione biblica contempla l'eccellenza dell'acqua, alla quale fu demandato, per prima, di generare la vita fisica (Gen 1,20); è un percorso nel quale però si arresta presto: "Se io elencassi tutti gli elementi che ne costituiscono la dignità, temo che darei l'impressione di aver raccolto i motivi per celebrare l'acqua piuttosto che quelli per illustrare il battesimo" (III,6 p. 7,7579).12 Ha detto a sufficienza per stabilire l'insita forza vitalizzante dell'acqua quale elemento fisico, la sua vocazione a fungere da trono allo Spirito di Dio e quindi la sua congruità ad assurgere a strumento per la produzione della vita al livello superiore della soprannaturalità: "Non c'è da dubitare che Dio abbia fatto sì che la materia, di cui si servì in tutte le sue opere, generasse anche nei suoi sacramenti, che quella che J. Cl. Fredouille, Tertullien et la conversion de la culture antique, Paris 1972, a p. 329 su DB II,1-3 osserva che Tertulliano replica alla discrepanza di mezzi ed effetti nel battesimo in due tempi: 1) fondandosi sull'argomento scritturale e stoico dell'onnipotenza divina; 2) facendo appello a S. Paolo (1Cor 1,27) ed a S. Luca (18,27). - La logicità divina non contrasta quella umana, la trascende nella medesima scala della sua grandezza di natura. 11

12 C'è stato chi ha visto in quest'encomio dell'acqua un'amplificatio retorica, sul tipo di quelle che erano consuete nelle scuole di eloquenza dell'epoca, ma non si è accorto che l'imputazione era già stata ben presente allo spirito di Tertulliano stesso, che la respinge con questa forma di preterizione.


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regola la vita terrena, contribuisse anche a quella celeste" (III,6 p. 7,80-83). Questo parallelismo suscita un'impressione di convenienza, in superamento di quella riluttanza che bloccava certuni davanti al battesimo. Tertulliano avanza, lineare e sicuro, nel dimostrare l'opportunità dell'acqua a questa missione: "Dallo Spirito che procedeva sulle acque, ciò su cui esso procedeva prendeva a prestito (mutuabatur) la santità... così la natura delle acque, santificata dal Santo, acquisì anch'essa la capacità di santificare" (IV,1 p. 8,88-95). Supera così la difficoltà logica che una cosa materiale possa produrre effetti spirituali: quell'acqua non era più solo acqua. E poi traspone quanto avvenne all'inizio dei tempi in quanto avviene in ogni tempo, nel nostro: "Una volta che Dio è stato invocato, sopravviene immediatamente lo Spirito dal cielo, si pone al disopra delle acque, le santifica per irradiazione di se stesso, e, così santificate, assorbono il potere di santificare" (IV,4 p. 9,106-109). Resta la differenza dei piani, ma emerge sempre più persuasiva la convenienza del modo con cui Dio ne stabilì l'incontro; non è accantonato il mistero, viene ben distinto dall'assurdo; se l'intelligenza non ci arriva, è però attratta ad avvicinarsi. La ritrosia al battesimo cristiano poteva essere incrementata dal suo affiancamento a quello pagano. Il trasferire il lavaggio del corpo a quello dello spirito fu metafora che sorse spontanea nella mente umana in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Poteva essere un avvio ad accettare il battesimo cristiano, ma c'era anche un insidioso pericolo di equiparazione, di svuotare quello cristiano della sua soprannaturalità. Tertulliano separa le due situazioni con una tagliente risolutezza: le acque pagane sono sterili, sono 'vedove' (V,1 p.10,123); la diversità di natura incominciò ad essere segnata dalla discesa dell'angelo che nella piscina di Bethsaida smuoveva le acque, per cui il primo malato che vi si tuffava guariva (Gv 5,2-4): "Questo sistema di cura fisica diventava un simbolo che preannunciava la cura spirituale, in base alla norma che sempre le operazioni carnali precedono come simboli quelle spirituali" (V,5 p.12,159-161). In quelle acque che, scosse dall'alto, acquistavano il potere miracoloso di guarire i corpi, Tertulliano vede un presagio di quelle battesimali che arrecano la salute eterna dello spirito: "La grazia di Dio progredisce in tutte le cose" (V,6 p.12,162-167). Il battesimo è inserito in uno sviluppo di straordinaria elevatezza: "Purificati nell'acqua per intervento dell'angelo, veniamo preparati allo Spirito Santo,13 il quale sopravviene cancellando i peccati, mediante una fede che porta il sigillo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (VI,1 p.12,174-179).14 Nel battesimo ci sono quindi la presenza 13 A. Aureli - G. Brunner, La voce dei SS. Padri. Brani patristici scelti. Vol. I, Vallardi, Milano 1912, a p. 358 nota 3, dichiarano questo passo importante, perché mostra come Tertulliano distinguesse bene il sacramento del battesimo, che ha come effetto speciale la remissione dei peccati (originale ed attuali), da quello della cresima, che come effetto specifico di conferire lo Spirito Santo. 14 Da queste parole appare quanto sia infondata l'accusa che Ad. d'Alès, La théologie de Tertullien, riproduzione anastatica dell'edizione di Parigi 1905, Brescia 1974, a p. 333 gli rivolge


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e l'azione della Trinità. Tertulliano ha così demolito l'obiezione gnostica sull'incapacità dell'acqua di operare nel soprannaturale: nella nostra acqua è presente la Trinità. E per evitare il rischio che quella presenza si volatilizzasse in un'impalpabile indeterminatezza, la concretizza: "Dove ci sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, c'è la Chiesa, che è il corpo dei Tre" (VI,2 p.13,185-186). L'asserzione è di una straordinaria intensità: nella persona di Gesù s'incarnò realmente il Verbo, nella Chiesa si incarna idealmente l'intera Trinità. È il nocciolo sostanziale dell'autorità e dell'indefettibilità della Chiesa. Battesimo e Chiesa coesistono in un'inscindibile interdipendenza; si capisce quindi perché abbia rifiutato quello amministrato dagli eretici. L'esposizione di Tertulliano avanza con una saldissima coerenza; i passi del cammino sono ritmati, ma la via procede in una perfetta linearità. III - All'eccellenza intrinseca del battesimo Tertulliano apre uno sfondo grandioso che si prolunga in un'antichità pervasa di sacro; infatti innesta l'unzione battesimale su quella di Mosè e di Aronne che li consacrò sacerdoti; al Nuovo Testamento pone una cornice di alta predestinazione (VII). Ma non arresta qui la sua visione panoramica, la prolunga fino al diluvio: al rito dell'imposizione delle mani collega un'invocazione allo Spirito Santo, che già discese su Cristo al momento del suo battesimo assumendo l'aspetto di colomba (Matt 3,16), in analogia con quella che, lasciata libera dall'arca (simbolo della Chiesa) alla fine del diluvio, che fu una specie di battesimo del mondo, tornò con un ramo d'ulivo, emblema di pace; così ora, grazie all'imposizione delle mani, lo Spirito Santo, a guisa di colomba, vola verso la terra, che è il nostro corpo e porta la pace di Dio (VIII). Attorno al piccolo gesto dei riti, che appaiono in se stessi insignificanti, Tertulliano dischiude un'immensa atmosfera, in cui tutto si fa preannunzio e spiegazione del battesimo.15 Quella solenne tipologia immette un'anima neldi un materialismo che gli faceva confondere gli spiriti con i corpi, l'ordine della grazia con quello della natura. In colui che per primo s'inoltrò nell'arduo campo della terminologia trinitaria con esiti largamente plausibili non si può pretendere la scaltrita raffinatezza verbale degli Scolastici. Si espresse con gli strumenti che aveva, che del resto egli plasmò con lucido vigore; parlò nella tensione di un'aspra polemica, la quale comporta un linguaggio diverso da quello filtrato nella raccolta atmosfera della stanza di un teologo speculativo. Al di là di qualche eventuale espressione afferrata nello slancio della sua battaglia, quello che conta è l'animus che permea le parole. Del resto, lo stesso d'Alès a p. 334 dichiara che si apprezzerà esattamente il pensiero di Tertulliano solo collegandolo all'insieme della sua dottrina. 15 Per Tertulliano tutto l'Antico Testamento, nei suoi eventi più significativi, si fa preannunzio [praestructio, fondamento per l'edificazione, praedicatio, proclamazione: IX,1 p.15,230] del battesimo; il popolo che, liberato dall'Egitto, attraversa l'acqua, la quale spense (extinguit) il faraone con tutte le sue truppe, gli si presenta come una chiara figura del sacramento, che attraverso l'acqua, schiaccia il diavolo, dominatore precedente (IX,1 p.15,232-237); e poi ancora l'acqua resa potabile da Mosè (Es 15,25; § 2 p.16,237-241) e quella che scaturì dalla roccia (Es 17,6; 1Cor 10,4; § 3 p.16, 241-243) gli sono preludi al sacramento. Il battesimo appare culmine della storia; nella modesta cerimonia si scopre un evento determinante. Al § 4 Tertulliano redige un minuto elenco di tutte le volte che, nella sua vita, Cristo parlò dell'acqua o venne in rapporto con essa. È l'attestazione della convenienza dell'acqua con Cristo; non vale co-


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le cerimonie, ne fa sentire gli effetti sublimi. È una didattica che si fa rivelazione, che consacra la vita svelandone il destino alla comunione con Dio. C'è forza di respiro in questo insegnamento. Al cap. X,1 Tertulliano dichiara egli stesso il piano del suo trattato: "Finora ho esposto ciò che concerne i princìpi generali sul valore religioso del battesimo; adesso procederò ad alcune questioni specifiche". Discute pertanto sul carattere, gli effetti, i limiti del battesimo di Giovanni (X) ed affronta l'obiezione che Gesù non battezzò personalmente (XI) con un vivace rigoglio dialettico ed insieme con una ponderata riflessione: "La nostra morte non poteva essere distrutta se non dalla Passione del Signore, né la nostra vita essere ristabilita senza la sua risurrezione (XI,4 p. 20,324-326); è un saldo inserimento del battesimo nella Passione e risurrezione di Gesù: è una cronologia fortemente impregnata di teologia. Altra obiezione: Gesù disse che nessuno avrebbe avuto la vita, se non fosse nato dall'acqua (Gv 3,5): ma allora, come sono salvi gli apostoli, se nessuno di essi, tranne Paolo, ha ricevuto il battesimo del Signore? Ne sorgeva l'alternativa: o la condanna dei non battezzati o l'annullamento della sentenza di Gesù, se anche ai non battezzati era assicurata la salvezza. Dinanzi a questo dilemma Tertulliano sfoga il suo sdegno: "Ho sentito affermazioni di questo genere; ne chiamo il Signore a testimone, perché nessuno mi giudichi così scellerato, da escogitare, di mia iniziativa, per la bramosia di scrivere, questioni che possono mettere gli altri a disagio" (XII,2 p. 21,337-339). È un'apertura confidenziale con il suo pubblico, una confessione che presuppone un'intimità di spirito: non parla ad ascoltatori, dà libero corso ai suoi sentimenti dinanzi a chi è in grado di recepirli. Lascia trapelare un'ombra di ansia per il possibile pericolo che, mentre s'ingegna ad illuminare ed a rassicurare, possa oscurare e turbare: è un maestro che soppesa con un'attenzione premurosa le risonanze concomitanti che le sue parole possono produrre. Qui abbiamo l'appassionata affermazione dell'autenticità di certe obiezioni; in seguito (XVIII,1-2) ci sarà l'obiezione didattica, a scopo di trattazione. In XII,3-5 p. 21,340359 dà una compatta dimostrazione dialettica che gli apostoli avevano ricevuto il battesimo di Giovanni: c'è una disinvolta sicurezza di mosse; è stringente nella argomentazione, anche se non ha a disposizione un'evidenza documentata di fatti; in mancanza di essi gioca abilmente sulla situazione. In XII,6 p. 23,360-364 riferisce l'opinione di certuni (che dichiara 'forzata') che gli apostoli abbiano ricevuto un 'surrogato' di battesimo quando, nella barca, furono sommersi dalle onde: "Ma, a mio parere, un conto è essere bagnati dalla violenza del mare ed un altro è essere aspersi in base ad un rito ispirato dalla religione". Supera la tentazione di accogliere qualsiasi proposta che possa suffragare il proprio assunto; è rigoroso nella sua tesi e lo è sugli appoggi che la possono sostenere.

me dimostrazione logica ma emana una suggestione emotivamente efficace: molte renitenze non provengono dalla ragione ma da un impulso istintivo che esercita una notevole spinta.


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Ed ancora un'obiezione:"A questo punto ci sono dei perfetti criminali (scelestissimi) che sollevano problemi; arrivano infatti a dire che il battesimo non è necessario a quelli ai quali basta la fede, infatti Abramo piacque a Dio mediante il sacramento della fede non mediante quello di una qualsiasi acqua", ma egli replica loro che "in tutte le cose ciò che viene dopo è definitivo e ciò che segue ha un valore maggiore di ciò che precede" (XIII,1 p. 24,386-390). Tertulliano dimostra un vivo senso del progresso della cultura; vede che il pensiero è vivo perché avanza di conoscenza in conoscenza, che gli è insito il continuo scoprire. Su questa linea pone contro di loro, come discriminante, l'intervento di Cristo: prima che egli istituisse il battesimo bastava la fede; quando egli lo impose, esso divenne necessario: "Il battesimo è, in certo modo, il vestito della fede, che prima era nuda" (§ 2 p. 25,394-395).16 Di fronte ai critici irrequieti che si appellavano a S. Paolo, il quale aveva dichiarato: "Cristo non mi ha inviato a battezzare" (1Cor 1,17), come se con ciò si estromettesse il battesimo, circoscrive acutamente l'asserzione riferendola alla situazione specifica della comunità di Corinto; il suo commento ha l'evidenza della logicità (XIV). IV - Nella spinosa questione sulla validità del battesimo degli eretici17 Tertulliano venne a trovarsi in una posizione che fu poi sconfessata dalla Chiesa. La sua impostazione era però rigidamente logica: c'è un solo battesimo, poiché ci sono un solo Dio ed una sola Chiesa; gli eretici non hanno nessuna comunione con la nostra dottrina; con loro non abbiamo lo stesso Dio né un identico Cristo, perciò non abbiamo un solo battesimo, perché non è identico; "siccome non hanno il diritto di averlo, senza dubbio non l'hanno" (XV,1-2 p.26,425-436). Tertulliano procede con una dialettica penetrante, che anche nei grovigli intricati si muove con una sicurezza che sembra, con la sua stessa risolutezza, fugare ogni dubbio. Giurista per temperamento, per cultura e per pratica, impostò giuridicamente una questione che tuttavia non verteva sul16 A. Gramaglia, Tertulliano. Il battesimo, introd., trad. e note, Roma 1979, a p.15 afferma che nella prima parte Tertulliano esagera l'efficacia dell'acqua, mentre negli ultimi capitoli prende il primo posto il valore salvifico della fede. - È vero, si tratta però soltanto di un'inevitabile distribuzione espositiva, non di una discrepanza di visione; i due elementi si compenetrano in una vicendevole necessità, come dimostra questo stesso aforisma. 17 Era effettivamente un problema che si prestava a punti di vista diversi e che inquietò soprattutto le Chiese africane e cappadociche. G. Bareille, Baptême des hérétiques in DThCath. II,1 (1932) precisa che, per gli eretici battezzati nell'eresia che chiedevano di entrare nella Chiesa l'uso generale era di imporre soltanto le mani e di ammetterli subito nella comunità cattolica; certe Chiese richiesero però la reiterazione del battesimo. Bareille pensa che punto di partenza sia stato proprio questo capitolo (XV) di Tertulliano: non avendo il battesimo come doveva essere, non ne avevano nessuno. Questa opinione al tempo di Tertulliano (220) fu sanzionata da un concilio di vescovi dell'Africa proconsolare e della Numidia, che decise di battezzare col rito cattolico quelli che lo erano stati nell'eresia (col. 219); invece a Roma e ad Alessandria il battesimo conferito dagli eretici era ritenuto valido (col. 220); la tesi dei ribattezzanti era: c'è un solo battesimo, che si trova nella Chiesa cattolica (col. 223).


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la natura del sacramento ma solo sulle condizioni della sua amministrazione. Rimase nella piena ortodossia dei suoi tempi e dei suoi luoghi.18 La sua sincerità e la fermezza delle sue convinzioni sono ben testimoniate dalla salda logicità del suo ragionamento; il suo non è un linguaggio di scuola, è la proiezione della sua coscienza.19 A confutazione di quelli che nell'esaltazione iniziale dell'acqua non scorsero una polemica contro il dualismo gnostico-manicheo, ma un'anticipazione del concetto scolastico della causalità fisica del sacramento, vale la sua piena accettazione del battesimo di sangue: il martirio, con la sua estrema testimonianza di amore che diventa piena offerta di se stesso, supplisce all'acqua battesimale. Tertulliano lo consacra con la prova più sublime: "Questi due battesimi Cristo li emise dalla ferita del costato trafitto, perché quelli che credessero nel suo sangue venissero lavati dall'acqua e quelli che si erano lavati con l'acqua portassero anche il sangue" (XVI,2 p. 28,450-452). V - "Per concludere la mia piccola trattazione resta da indicare le modalità del conferirlo e del riceverlo" (XVII,1 p. 28,454-455): ministri ne sono, in primissimo piano, il vescovo, e poi i presbiteri e i diaconi con l'autorizzazione del vescovo; anche i laici lo possono amministrare, senza però invadere il compito del vescovo; Tertulliano insiste con vigore sulla centralità preminente della dignità episcopale "per l'onore della Chiesa, generatore di pace" (XVII,1-2 p. 28,458-459).20 In caso di pericolo anche i laici vi sono autorizzati, poiché "è responsabile della rovina di un uomo colui che tralasciò di prestare ciò che poteva liberamente fare" (XVII,3 p. 29,470-473).21 Tertulliano se, come giurista, è fortemente attaccato alla regolarità delle forme, si innalza loro al disopra, con una lucida libertà di spirito, quando si tratta di estrarre l'anima che sta dentro alle prescrizioni: centro vitale è la salvezza, i sacramenti le sono finalizzati. Dopo i ministri, i candidati: in nome dell'alta dignità del sacramento invita alla pru18 La sua posizione fu, poco dopo, sostenuta, con una tenacia inflessibile, da figure eminenti come S. Cipriano per l'Africa e S. Firmiliano di Cesarea per l'Asia Minore ed anche in Oriente fu suffragata da concilii (di Iconio e di Sinnada). L'accanimento del contrasto fu tale e lo scontro con Papa Stefano fu così duro che si rasentò lo scisma. 19 Solo più tardi Tertulliano sbanderà nelle nebbie del montanismo e fu, anche questo, un errore permeato di nobiltà: la sua radicale austerità morale fu attratta dal rigorismo di Montano. 20 O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, IIer Bd., Freiburg im Breisgau 1914, rist. anastatica Darmstad 1962, a p. 412 rileva che, nella serie degli scritti dogmaticopolemici che non mirano tanto a combattere sistemi eretici quanto piuttosto a rinsaldare, in positivo, i dogmi della Chiesa, il DB è il più antico. Non vi si incontra la maniera di pensare montanista ma "la più profonda reverenza verso l'autorità della Chiesa". 21 Per la dottrina attuale sull'obbligo da parte del ministro di amministrare i sacramenti cfr. P. Palazzini in Enc.Catt. X (1953) coll.1581-1583.


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denza nell'amministrarlo (XVIII,1 p. 30,487-488); è pertanto propenso a differire il battesimo per i bambini al momento in cui, cresciuti, capiscano: "diventino cristiani quando possono conoscere Cristo" (XVIII,5 p. 32,515-517). Il ritardo è ben lungi dallo sminuire la necessità del battesimo, ne salvaguarda la santità, circondandolo di un profondo rispetto: alla sua eccellenza corrisponde il riguardo degli uomini. Anche in nome della sua irripetibilità, mette in guardia da un suo eventuale svilimento. Tra le formalità, entra anche il giorno dell'amministrazione, per il quale il primo posto compete alla Pasqua, congiunta con la Passione del Signore "nella quale siamo battezzati" (XIX,1 p. 32,528-529); in secondo luogo, è tempo favorevole la Pentecoste, ma "ogni giorno, ogni ora, ogni tempo è adatto al battesimo: se la scelta interferisce con la solennità, non concerne per nulla la grazia" (XIX,3 p. 33,544-546). Conclude con la preparazione al battesimo, per la quale inculca preghiere, digiuni, veglie, confessione dei peccati nell'intimo della coscienza (XX,1 p. 33,547-552) ed a sigillo dell'opera appone la sua firma: "Vi chiedo una cosa sola, che, quando pregate, vi ricordiate anche di Tertulliano, peccatore" (XX,5 p. 34,579-580). Si apre qui un'inattesa fessura sull'intimità del suo spirito: dietro a tanta imperiosità di docente si stende tanta trepidazione di persona; questa non è convenzionalità, non è modulo retorico: insegna, ma nelle sue parole trema il senso della propria fragilità ed insufficienza. Nella sua lezione vibra un palpito di umanità; s'accorge che predicare agli altri è, in fondo, un riesaminare la propria coscienza; dopo aver fatto da maestro, si pone a discepolo. In sintesi - Tertulliano visse i suoi tempi e li dominò; non aveva nessun potere ufficiale, né civile né ecclesiastico, ma aveva quello di un'anima intrepida, di una cultura molteplice, di un'immaginazione alacre e di una parola incisiva.22 Visse in quel II-III secolo in cui la fede animava la polemica, in attesa di quel IV-V in cui la polemica avrebbe animato la fede. Possedeva franchezza di espressione e ricchezza di idee precise, dietro le quali amava dischiudere ampi orizzonti, speculativi con il ragionamento e biblici con la tipologia; trapassava facilmente attraverso ad immagini che conferivano al suo linguaggio vivezza e spesso un brio ironico; combatté con una logica, all'occorrenza, insaporita dalla sfida. Seppe distinguere con chiarezza il livello naturale da quello soprannaturale ed insieme connetterli con un'evidenza persuasiva facendo appello alla sapienza ed alla potenza divina (II,3), perciò rilevò bene la rudimentalità del rito sacramentale rispetto all'eccellenza dei suoi effetti. Ammonì che il cerimoniale aveva valore solo per la presenza di Dio: "La nostra morte non poteva essere distrutta se non dalla Passione del Signore né la nostra vita ristabilita se non dalla sua risurrezione" (XI,4). Pose quindi al centro della sua elaborazione la cristologia e al centro della cristologia la Trinità, "gui22 Bardenhewer a p. 383 notò che in lui "da una parte c'è l'incomparabile ricchezza di parole d'ordine avvincenti, di idee magnifiche, di verità universalmente valide, sempre gettate giù solo in fretta e furia, che però costringono il lettore a indugiarvi... dall'altra c'è però la difficoltà e l'oscurità dei suoi scritti".


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da alla fede e garante della salvezza", ma la Trinità non la lasciò evanescente, come un principio astratto, accettato senza uno specifico impegno, la concretizzò nella Chiesa, "che della Trinità è il corpo" (VI,2). Alla trascendenza della Trinità compose la storicità della Passione di Cristo, nella quale siamo battezzati (XIX,1) con un battesimo che presuppone la conoscenza di Cristo (XVIII,5) ed una fede che al battesimo conferisca vitalità ((XIII,2).23 Del battesimo proclamò la sacra sublimità: scaturì dal costato trafitto di Cristo (XVI,2). In filigrana appare un tessuto intrecciato dall'ordito della libera gratuità del dono divino e dalla trama della volonterosa cooperazione umana.24 Alla fede si sforzò di sottoporre l'accessibilità psicologica del ragionamento umano, ma volle che questo fosse rigoroso e davvero portante, evitando le argomentazioni favorevoli ma fragili e solo apparenti (XII,6). Offerse il ragionamento ma anche lo richiese, denunziando che dietro al rifiuto concettuale della fede ristagna, talora, un sottofondo di inerzia (II,1). Ci fu chi, in allusione ad un certo tono di acredine, asserì che Tertulliano abbatté molti nemici ma attirò pochi fedeli: fu un epigramma brillante ma inconsistente; la sua amarezza era un'intensità di zelo che non poteva mai dirsi soddisfatto, e la sua aggressività era fervore che diventava anche impaziente davanti al sommo valore del messaggio. Tertulliano, come maestro, ebbe straordinarie doti d'intelligenza, di cultura, di parola, ma tutte si fusero nel suo temperamento: insegnò con la proiezione della sua personalità. Nel prossimo numero: 6. San Cesario di Arles: la catechesi in una società multietnica

23 R. Braun, Deus christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullien, Paris 1977 ² a p. 443 precisa che per lui fides indica insieme il cammino dello spirito e l'oggetto a cui si applica. 24 Ch. Munier, Tertullien, in Dict. de Spir. XV, fasc. 96-98 (1990), col. 278, dichiara che Tertulliano, nel cammino del convertito, sottolinea il ruolo della fede e del timore di Dio e mantiene la gratuità assoluta del dono di Dio e l'azione congiunta di Dio e dell'uomo.



RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 387-401

Quand la violence menace la vie des jeunes Le potentiel symbolique de « l’élément étranger » Herman Lombaerts, fsc Cet article veut s’attarder à une situation particulière qui s’est produite dans une école secondaire à Gent (Belgique). Il s’agit d’une école catholique faisant partie du réseau d’établissements lasalliens. Elle accueille presque exclusivement des jeunes étrangers – on compte jusqu’à 41 nationalités - dont la plupart éprouvent des difficultés à s’intégrer dans la société belge, notamment à cause des lacunes linguistiques. Le ministère à prévu un encadrement supplémentaire afin d’assurer la réussite de leur scolarisation.

L

e 4 septembre 2007, quand une nouvelle année scolaire venait de commencer, l’école soudainement s’est trouvée à la une dans les media. L’après-midi, à la fin des cours, deux frères ukrainiens, âgés de 15 et 16 ans à ce momentlà, attendaient un de leurs condisciples, le jeune Simon Wijffels, âgé de 14 ans, au coin de la rue. Comme il refusait de leur donner certaines informations, ils l’ont poignardé et blessé mortellement. Il a réussi à rejoindre l’école. Une intervention rapide lui a sauvé la vie. Le retentissement a été énorme à plusieurs niveaux, pour l’école en premier lieu. Le procès des deux agresseurs est prévu pour ce mois de mai. Notre propos est : 1/ de prendre acte de ce type de violence qui se produit trop souvent en milieu scolaire, et noter comment l’école s’y est prise pour l’intégrer ; 2/ de relater une collaboration avec l’école au moment où tout le monde semblait avoir « classé » l’incident ou au moins l’avoir mis à l’arrière-fond, en proposant des initiatives susceptibles de poursuivre un travail de conversion ; et 3/ d’approfondir le sens de l’événement dans une optique chrétienne : que dire, que faire devant un crime pareil?


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Herman Lombaerts

Gérer l’incontrôlable Le monde scolaire en quête d’harmonie menacé - Des événements dramatiques risquent de traverser la vie scolaire: des accidents de route, parfois mortels, affectant des élèves ou des professeurs, des maladies, parfois fatales, des accidents au sein même de l’école. Ces incidents reflètent une probabilité statistique. C’est une forme de violence qui accable autant la communauté scolaire que les familles concernées, que la société. Elle est contraire aux intentions de toutes les personnes concernées, et de l’organisation mise en place pour assurer une qualité de vie et une scolarité réussie. On peut s’étonner alors des ressources dont dispose une école, affectée par le malheur, pour faire face à une souffrance paralysante. Ensemble, adultes, enfants et jeunes peuvent faire preuve d’une entente profonde pour rejoindre les personnes impliquées, pour assumer et dépasser l’inévitable. Ensuite, le temps aidant, la vie continue, bien que certaines plaies ne se cicatrisent guère. Mais, d’autre part, et malgré les apparences, de multiples tensions propres à la réalité scolaire menacent la vie quotidienne. Comme tout milieu social, une population scolaire est investie de multiples énergies qui potentiellement peuvent se convertir en comportements violents à partir même de circonstances quelconques. Etant ensemble de manière coercitive, soumis à une discipline collective en vue d’atteindre des buts gouvernés par l’autorité civile, certains écoliers peuvent éprouver ces conditions comme une forme de violence à fleur de peau. Cette situation requiert une vigilance bien ciblée de la part du personnel pour éviter des accidents. Mais des éclats inattendus risquent de se présenter un jour ou l’autre. Aucun établissement n’est totalement à l’abri de règlements de compte ou d’irruptions d’agressivité. Et ce sera là le propos de cet article. Le danger vient tout autant de l’extérieur. Qui ne se souvient pas de la fusillade du lycée Columbine, le mardi 20 avril 1999, où deux adolescents perpétrèrent une tuerie scolaire avec des armes à feu à l'intérieur du lycée Columbine situé près de la ville de Littleton aux États-Unis. Douze lycéens et un professeur furent tués et vingt-quatre autres personnes furent plus ou moins grièvement blessées1. Ou du massacre, en 2007, par l'étudiant Cho Seung-hui, de 33 personnes à l'université de Virginia Tech2. Plus récemment il y a eu la tuerie à la crèche de Termonde (Belgique), le 23 janvier 2009, et l’assassinat d’une septuagénaire le 16 janvier 2009 par le même jeune de 20 ans. Le 10 mars 2009, un homme de 27 ans a tué dix personnes, avant de se donner la mort, dans le sud de l'Alabama aux Etats-Unis3. Quelques heures après, le 11 mars, une fusillade à l’Albertville-Realschule à Winnenden (Allemagne) a provoqué la mort de 15 personnes (dont 9 élèves, 3 enseignantes et 3 passants tués lors 1

http://fr.wikipedia.org/wiki/Fusillade_du_lyc%C3%A9e_Columbine (24.03.09)

2 http://fr.wikipedia.org/wiki/Fusillade_de_l%27universit%C3%A9_Virginia_Tech; http://video.google.com/videoplay?docid=6804136224905406101, (24.03.09) 3

http://www.tritz1.org/?p=5482 (24.03.09)


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de la fuite de l'assaillant) par un ancien élève âgé de 17 ans4. Le 24 mars 2009, à Amsterdam, un homme de 20 ans pénétrait dans la cour de récréation utilisée par trois écoles primaires, pour y tuer, avec un couteau, un surveillant de 69 ans5. Par de nombreuses mesures de prévention et par une vigilance accrue tant les autorités que les responsables des établissements scolaires espèrent pouvoir éviter de tels événements. Il s’agit, bien entendu, d’un phénomène plus fondamental que l’attaque occasionnelle d’une école. Cela se reflète dans le fait que des farceurs font semblant d’agresser des élèves pour leur propre plaisir, et que d’autres attaquent effectivement des personnes innocentes pour reproduire les actes d’atrocité largement exhibés dans les media. De par cette amplification de ce qui est et reste un drame inassimilable, la violence perpétrée en milieu scolaire, devient aussi un spectacle, un culte de l’horreur. L’ampleur de l’interpellation - Cet article veut explorer les ressources dont une école devrait s’équiper afin de faire face de façon constructive à un événement dramatique que, apparemment, personne n’aurait pu empêcher. En bref, l’école est interpellée non seulement à mieux se protéger, mais à un niveau plus fondamental, à repenser son projet éducatif et ses références symboliques, à réorganiser la gestion de son réseau social et à concevoir une nouvelle architecture du site. Est-il possible de saisir l’inattendu pour engager un apprentissage que l’on ne pourrait jamais imaginer dans le contexte de la vie ‘normale’ à l’école? La confrontation brutale avec la mort et les blessures graves permet-elle aussi, paradoxalement, à accéder à une nouvelle qualité de vie ? Ce n’est pas du tout évident. Un tel résultat émerge la plupart du temps par surprise et fait partie de l’itinéraire personnel de telle ou telle personne. Il ne peut être ‘programmé’ pour l’ensemble d’une communauté, bien que certains font appel à une hygiène mentale et spirituelle pour favoriser un tel épanouissement. La tradition chrétienne, depuis vingt siècles, professe que, pour les croyants, les événements dramatiques advenus à Jésus de Nazareth, l’incarnation même du Dieu de la vie, représente la voie vers la vie nouvelle, inespérée et inattendue. Il semble bien que, génération après génération, la force de cette promesse, les rites, les célébrations des sacrements, la prière personnelle et en communauté, les pèlerinages, le souci gratuit de l’autre, … changent les personnes et les conduisent vers une source de vie qui transforme les situations désespérées en salut. Des itinéraires semblables se rencontrent dans d’autres religions et dans des traditions visant l’épanouissement ultime de l’homme. Dans le monde chrétien, les écoles confessionnelles offrent un encadrement afin d’accueillir ces drames et accidents dans une optique de foi et d’opérer cette transformation. Seulement, la réponse est-elle aussi simple ? la violence destructrice se laisse-t-elle dompter par un système, par un encadrement formel, sans passer par une transformation radicale ?

4 5

http://fr.wikipedia.org/wiki/Winnenden (24.03.09)

http://www.lesoir.be/actualite/monde/un-surveillant-poignarde-dans-2009-03-24-697514. shtml (25.03.09)


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Trop souvent, en ce qui concerne les incidents graves, ‘le problème’ est situé du côté des victimes, des personnes directement impliquées dans la souffrance. Ces personnes ont besoin d’être consolées, d’être réconfortées et accompagnées. Les autres sont, bien entendu, très touchés et partagent la souffrance de par une présence aussi authentique que possible. Mais en fin de compte, ce n’est pas leur situation. Ils restent à distance. Et puis, la vie continue. Changer cette façon de se représenter le champ social me paraît une tâche fondamentale.

Les présuppositions d’une transition Trois idées peuvent nous mettre sur une autre piste. 1. Ce qui est à confier aux jeunes eux-mêmes Le fonctionnement d’une école est rendu possible de par la mise en place d’un comportement discipliné, standardisé, ritualisé. Les initiatives plus personnelles, libres, créatives devront se situer à l’inté-rieur de cet ordre et en harmonie avec l’encadrement organisationnel. La dynamique de la vie est ainsi canalisée vers une réussite sociale. Ainsi on peut éviter le chaos et poursuivre des buts collectifs. Dans ces conditions-là, tous les enfants et jeunes pourront accéder à une éducation garantissant leur intégration dans la société. Telle est la logique rationnelle d’une scolarisation occidentale. En réalité, ce n’est pas aussi simple, et ce n’est pas aussi évident non plus. Parce que, à part la logique rationnelle de l’organisation et la programmation standardisée, gérée par les autorités civiles, normative pour tous, il y a de nombreuses circonstances contextuelles, culturelles, sociales et politiques, des conditions historiques aussi, qui décident de ce qu’une école sera capable de réaliser. Il y a des résistances au projet d’apprentissage ; il y a des facteurs qui paralysent les meilleures intentions et planifications. Et, en plus, le monde scolaire, soigneusement organisé et contrôlé, est traversé par l’imprévu, par des événements ou des circonstances inattendues qui affectent et marquent la vie de l’école. Ces irruptions laissent des traces et risquent de se nicher dans la culture d’un établissement de sorte que, progressivement, il dévie de son projet initial et qu’ éventuellement des effets pervers, contradictoires aux intentions, émergent. L’école, donc, est le résultat d’une coïncidence de dynamiques différentes qui se croisent sur le terrain et déterminent le contenu concret d’une identité institutionnelle. Dans ces conditions, quelle zone de liberté existe-t-il pour choisir une politique de gestion scolaire ? Où intervient l’intention de se créer une identité bien ciblée, librement choisie ? A partir de quel moment, une école peut-elle décider des événements et incidents (l’imprévu dans l’aujourd’hui autant que ce qui nous reste comme mémoire de l’histoire) qu’elle veut accueillir et travailler parce qu’ils représentent le


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continu hautement significatif de son projet éducatif ? Et quel prix devra-t-elle payer pour y arriver? Dans cette optique, la population scolaire constitue un facteur dynamique très important. En partie en réponse au caractère obligatoire de la scolarisation, les enfants et les jeunes résistent l’effort institutionnel de les réduire au statut d’apprenti, conçu en harmonie avec le statut professionnel des professeurs, statuts propres du rôle social attribué aux écoles par la société économique et politique. De plus en plus les écoles accueillent une population d’une extrême diversité ethnique, culturelle, religieuse, linguistique. Elles ont besoin d’un encadrement approprié de sorte que les différences aussi fondamentales et identitaires concourent à créer les bases et la potentialité d’une éducation scolaire. Les jeunes eux-mêmes constituent un facteur décisif de la réussite du projet éducatif, plus que le modèle établi pour tous les ‘écoliers’ dans un pays déterminé. Ces écoles à haute concentration d’allochtones sont interpellées à chercher ce qui peut contribuer à leur fierté, à s’éduquer et à s’entraider6. Pour pouvoir l’assumer ils ont besoin d’un espace pour y intégrer leur propres sensibilités, leurs expériences, leurs affinités culturelles, leur histoire et leurs aspirations, leur réponse aux restrictions et inhibitions. 2. Un apprentissage occasionnel, non-programmé, mais décisif La diversité d’une population scolaire allochtone constitue un facteur accidentel. Personne ne maîtrise sa composition. Le réseau de référence familial et social est complexe et souvent problématique. Les circuits de contrôle tels que présupposés chez la population autochtone, plus homogène, n’existent pas ou fonctionnent tout autrement. Beaucoup de jeunes de milieu étranger se retrouvent dans une zone indéterminée, une zone de liberté (in-between zone), qu’ils se créent fortuitement et en dehors des cadres culturels établis. Ils s’y réfèrent pour résoudre des problèmes qui leur sont propres et pour lesquels personne ne leur offre de modèle ni un accompagnement approprié. C’est là qu’ils engagent des relations, qu’ils établissent des formes de communication pour y canaliser et réaliser leurs désirs, leurs aspirations, ambitions et projets. Une école à haute concentration allochtone est souvent une situation à risque où des incidents peuvent émerger facilement, de façon ouverte ou à travers des interactions camouflées. C’est là précisément que se créent des occasions uniques d’apprentissage. Comme il s’agit d’une situation ouverte, les jeunes adoptent différentes attitudes ou stratégies pour y faire face, ce qui aura des conséquences tant pour eux-mêmes que pour l’école. Plutôt que de s’organiser à partir d’un programme, cette exploration concerne davantage la vie, la personne humaine, les relations, les surprises et la perplexité, la discontinuité à plusieurs égards, les questions d’identité, la provenance et l’avenir, le sens et le but de la vie, l’opportunité ou la fatalité d’être ensemble à l’école des journées entières, etc. 6

J. Rancière, Le Maître ignorant : Cinq leçons sur l'émancipation intellectuelle, Fayard, Paris 1987 ; 10/18 Poche, 2004


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Ces occasions inhabituelles et inattendues n’aboutissent pas spontanément à une plus-value. L’apprentissage peut se produire par hasard, chez certains jeunes et pas chez les autres. Que le saura ? Mais l’école peut s’efforcer de développer une culture de ‘l’apprentissage occasionnel’. La population scolaire comme telle peut alors devenir une source de découvertes à intégrer dans un apprentissage ‘programmé’. 3. L’apprentissage comme esthétique7 Dans le cas de l’établissement affecté par l’acte de violence vis-à-vis d’un de ses élèves, l’apprentissage occasionnel peut être articulé à plusieurs niveaux. ■ L’école se voit invitée à s’approprier une attitude d’attention latente, préoccupée à remarquer ce qui arrive aux autres, jeunes et adultes, ce qui se passe au sein de l’école au jour le jour. Une préoccupation de veiller à ce que le vécu concret ne passe pas de façon inaperçue. Apprendre à s’y arrêter tant quand il y a des signes manifestes, que quand c’est plus difficile à remarquer et donc plus délicat d’intervenir. L’attitude latente est supposée capter ce qui arrive à l’autre, parce que la sensibilité pour l’autre concerne.la communauté dans sa totalité. Il s’agit là d’une culture propre au projet éducatif. Le partage du sensible est commun à l’art et à la politique8 ■ En tant qu’organisation l’école peut s’organiser et s’équiper afin de réagir de façon adéquate quand quelque chose d’inattendu et de grave se présente et réclame une présence tout à fait extraordinaire. Il est important alors, quand le temps urge, quand une vie est à risque, de disposer d’une pensée élaborée, de scénarios d’action, d’infrastructures, d’un réseau relationnel pour pouvoir intervenir de façon constructive, et d’éviter des dégâts inutiles ou des erreurs regrettables.

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Historiquement, le terme esthétique prend une signification différente selon les langues, n'ayant pas été adopté aux même périodes, et suite à l'influence des mêmes œuvres philosophiques. Dans le contexte de cet article, l’interprétation philosophique du terme renvoie à une perception qui réévalue un fait à la mesure de ce qu’il donne à ressentir ; l’esthétique prélève un fait des chaînes des raisons qui le distribuent pour le présenter esthétiquement. Pour effectuer cela, la philosophie a comme intériorisé les trois questions que s’imposaient l’ignorant sur le chemin de l’émancipation ; non pas qu’elle se pose directement la question, par la voix d’un auteur, qu’est-ce que je vois, pense et fais ?, mais elle identifie maintenant ce que Rancière appelle des régimes de pensée. ‘Un régime de pensée est un mode d’articulation spécifique

‘entre des manières de faire, des formes de visibilité de ces manières de faire et des modes de pensabilité de leurs rapports’. La pensée esthétique est une pensée de l’émancipation, parce que la pensée de l’émancipation est une pensée esthétique. Elle est avant tout refondation du partage du sensible, expérience esthétique qui est aussi l’indice d’une existence à commencer. Cf l’article d’Eric Fonvielle, Une économie de la liberté, dans L. Cornu & P Vermeren, La philosophie déplacée : autour de Jacques Rancière, Bourg-en-Bresse 2006, p. 497-503, ici p. 498 ; J. Rancière, Le Partage du sensible. Esthétique et politique, Paris 2000 ; Id., Malaise dans l'esthétique. Paris 2004. 8

G. Rockhill, Démocratie moderne et révolution esthétique, dans L. Cornu & P. Vermeren,

op. cit., p. 335.


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■ Une telle préparation peut contribuer à ce qu’on discerne dans un événement inattendu le sens humain : quelle en est la portée profonde ? Quel en est l’enjeu ? Quels sont les rapports avec une situation plus globale ? Une école peut s’entourer avec un personnel plus averti. Elle peut constituer une documentation appropriée afin d’avoir accès plus vite à une réflexion approfondie et d’y percevoir des opportunités pour un apprentissage unique et inattendu. Dépasser donc le niveau anecdotique ou l’actualité, discerner un appel insoupçonné, saisir quand une sensibilité nouvelle émerge et tend à rassembler la communauté autrement. Cette sensibilité se reflète peut-être déjà dans le règlement de l’école, dans le système disciplinaire, dans la gestion de l’autorité, dans les circuits de communication, dans les rites et les règles de bienséance, dans l’organisation topographique, l’architecture, les artefacts ou l’équipement matériel. Chaque événement inattendu risque de les mettre à l’épreuve, exigeant qu’on les repense à partir d’une sensibilité affinée qui à la fois peut engager une nouvelle tradition. L’intérêt de cette pratique de l’attention, au sensible, par rapport à la contingence et l’événement inattendu, parfois dramatique, est de ne pas rater l’occasion de rejoindre des dimensions insoupçonnées de la vie, à partir d’une réalité bien concrète. Ce type d’apprentissage offre une chance d’enrichir et de dépasser même l’apprentissage formel et ‘programmé’. L’articulation de ces deux registres crée les conditions d’une esthétique de l’apprentissage, de l’apprentissage comme esthétique. L’esthétique étant l’expression d’une sensibilité délicate qui oriente l’attention vers le mystère, vers l’écoute silencieuse, vers le transcendant, voire la présence de Dieu,… C’est là que l’homme se dit : « voilà ce qui m’est arrivé de façon inattendue, par surprise ; voilà ce qui m’a bouleversé, … et cela me donne à penser, à m’interroger sur mon identité et ma destinée ». Cela arrive à un chacun tôt ou tard, cela arrive à des populations entières, cela peut arriver à tous ceux qui fréquentent la même école.

Engager des alliances avec l’incontrôlable Reprenons maintenant l’incident évoqué au début de cet article : un jeune est attaqué et blessé mortellement par deux de ses copains. La direction de l’établissement a bien veillé à garder les élèves et le personnel à l’abri des média afin de pouvoir gérer la situation avec sérénité et de permettre à la communauté scolaire de faire face à ce qui venait d’arriver et d’en intérioriser la portée. Très vite, le directeur a pris l’initiative de rencontrer les parents tant de la victime que des agresseurs mineurs, mis sous surveillance dans un établissement fermé. Il y a eu l’enquête menée par la police et le parquet. Le maire a convoqué la direction à l’hôtel de ville pour prendre les mesures adaptées à une situation de crise. Le ministre de l’éducation s’en est mêlé personnellement pour faire l’éloge de l’école et de son approche d’une population exclusivement allochtone, et pour la soutenir dans la situation extrêmement difficile. Puis, lentement, l’école a repris son rythme, mais rien n’était plus comme avant. L’expérience de subir un choque émotionnel brutal et de traverser ensemble une expérience de questionnement et de réflexion a marqué toute la communauté. A un niveau plus profond, la plaie ne s’est toujours pas cicatrisée. Simon s’est remis de ses


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blessures et après quelques mois de convalescence il a pu se réintégrer dans un autre école, paralysé toujours d’angoisse de rencontrer un jour ses attaqueurs dans la rue. Un an et demi après les faits, il lui est toujours difficile de se rendre seul au centre commercial de la ville. Un nouveau moment de crise s’est manifesté lorsque le mois de décembre 2008, l’ainé des deux frères a été libéré sous conditions. C’est alors que la famille a demandé le rapatriement volontaire. L'Office des Etrangers les a donc expulsés à leur demande, sans tenir compte du procès programmé à ce moment-là pour le mois de mars 2009. Récemment, les autorités judiciaires gantoises ont localisé les deux frères ukrainiens en Israël. Simon estime que le départ de ses agresseurs est un "acte de lâcheté", même s'il se dit soulagé de ne plus devoir rencontrer les deux frères9. « L’élément étranger » Ce qui suit évoque une démarche d’approfondissement qui a été amorcée plusieurs mois après le faits. Deux mois avant la fin de l’année scolaire, j’ai contacté la direction avec la question suivante : l’année scolaire, le 4 septembre 2007, a commencé d’une façon dramatique. Vous avez réalisé un effort surhumain pour y faire face et pour l’intégrer dans la réalité quotidienne. Comment envisagez-vous maintenant de « terminer » cette année scolaire ? La question semblait surprendre. On n’y avait pas encore pensé. C’est alors que j’ai proposé de thématiser l’incident, et tout ce qui a été amorcé par la suite, autour de la métaphore de « l’élément étranger ». Bien entendu, la référence immédiate rappelle ‘le couteau’, symbolisant l’agression, la blessure physique, psychologique, morale, personnelle. Mais l’expression renvoie aussi à cette école particulière avec une concentration exceptionnelle de jeunes ‘étrangers’, cible de l’indiscrétion fâcheuse des médias quand l’incident s’est produit, vu les redondances possibles au niveau politique. Après la phase de consternation, d’une quête massive d’établir une surveillance plus stricte dans toutes les écoles, et de l’émoi autour de la condamnation et des sanctions à l’adresse des coupables, il y a eu des phases successives pour rejoindre différents types de questions à un niveau plus fondamental. La question du pourquoi et de la responsabilité partagée, la question de la situation réelle des jeunes et leur façon de l’assumer, des questions sur les présupposés de l’accompagnement pédagogique de l’école et sur la distance entre le vécu quotidien et le positionnement institutionnel de l’établissement. La question du sens et l’interrogation à propos d’une solidarité entre collègues, entre adultes et jeunes, entre cette école précise et le problème sociétal des immigrants, d’une politique ‘belge’ vis-à-vis des ‘étrangers’.

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http://onnousprendspourdescons.blogspot.com/2009/03/les-agresseurs-du-jeune-simonwijffels.html (25.03.09)


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Toutes ces questions attendaient une élucidation approfondie. L’école s’est senti interpellée quant à son identité idéologique et son projet éducatif. Elle s’est rendu compte à quel point, une fois de plus, elle se situe au cœur d’une société conflictuelle. L’incident s’est révélé progressivement être le symptôme d’un malaise plus global : la difficulté de comprendre, la difficulté de bien vivre l’hospitalité, les lacunes dans l’accompagnement des jeunes dans la zone de leur incertitude existentielle, la difficulté d’intégrer « l’étrangeté ». Ensuite, il y a eu la phase d’un refoulement discret de l’incident, peut-être inconsciemment, sans pour autant l’oublier. Mais la vie continue, « on en a suffisamment parlé, on ne peut plus s’y attarder, ça s’est apaisé maintenant, on l’a bien dépassé et on s’en est bien sorti… ». C’est à ce moment-là qu’il est important d’amorcer, délicatement, une transition vers une thématique plus profonde, vers la création d’une autre culture. Cette communauté scolaire-ci dispose, bien que non planifié, de l’opportunité d’un apprentissage d’un tout autre ordre et d’une autre qualité que ce qui est prévu par le ‘programme officiel’ de la scolarisation. Elle a des ressources pour se munir d’autres compétences personnelles et collectives. Cette phase n’est pas du tout évidente et elle requiert des initiatives pertinentes, au risque de perturber les évidences et le consensus tacite qui somment le fonctionnement concret de l’établissement. L’esthétique de « l’élément étranger » La vie quotidienne est continuellement perturbée par l’imprévu et l’inattendu incontournables. Des choses non-habituelles nous perturbent et trainent dans notre système. Qu’on le veuille ou non, elles requièrent notre attention, notre énergie. Elles emmènent la discontinuité. Et il se peut que pendant toute une vie on se sente accompagné par des ‘éléments étrangers’. Il n’ y a pas seulement l’agression volontaire. Il y a aussi les accidents de route, les maladies, les malheurs de toutes sortes, les échecs, les événements malencontreux. Comment cela a-t-il pu se produire ? Pourquoi dans ma vie ? Une fatalité sans explication peut nous toucher à tout moment. Personne n’est à l’abri de l’imprévisible qui risque de déranger profondément nos aspirations et nos projets dont nous assumons la responsabilité. Peut-on s’organiser afin de ne pas être victime de ce qu’on ne maîtrise pas ? Ces préoccupations nous accompagnent, surtout à des moments d’attention latente, sous la forme de ruminations, de rêveries, de questionnements et réflexions qui se vivent en sourdine. Mais, cette manière de penser reste encore prisonnière de la surprise, d’une perplexité accablante. Par quel côté faut-il aborder l’étrangeté d’une réalité qui ne trouve pas de place dans nos représentations théoriques, dans nos schémas comportementaux ? On se trouve alors devant un devoir incontournable d’accéder à une autre qualité de prise de conscience et de se forger un autre langage pour énoncer une vérité nouvelle. Cet effort se restreint-il à la découverte faite par l’individu, ou peut-on envisager que la communauté dans son ensemble accède à ce type de travail ? Peut-elle se mobiliser pour se transformer dans sa façon de penser, de parler et d’agir, de se rencontrer, de concevoir un autre univers symbolique différent? Est-ce possible d’é-veiller de nouvelles énergies spirituelles ?


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Et, tout comme l’incident du départ a pris la communauté scolaire au dépourvu, cette nouvelle pensée s’annoncera-t-elle comme découverte, comme don inattendu, et la laissera-t-elle aussi dans une perplexité, cette fois-ci comme point de départ d’une autre qualité de vie ? On ne peut donc dépasser « l’étrangeté » de la blessure de par la simple reproduction des schémas de pensée établis ailleurs et pour d’autres ‘crises’. Il fallait donc trouver une médiation permettant à la communauté de passer des ruminations, des interrogations, des réflexions standardisées mais stériles par rapport à l’élément étranger, à une autre compréhension de l’être humain, à un autre style d’interactions. Pour cela il est important que la communauté reconnaisse ses limites, voire son incompétence, de gérer « l’étrangeté ». C’est alors qu’on peut identifier les exigences indispensables pour accéder à une conversion, englobant tout l’établissement, de sorte qu’une nouvelle réalité émerge. Pour sortir du cercle vicieux de la violence, il faut renoncer au désir de s’approprier une ‘victoire’. Par contre, la nouveauté nous sera offerte comme corolaire d’une disponibilité à la gratuité, qualité inhérente du mystère de la vie. Cela prend du temps ; c’est pour toute la vie. Une « installation » 10 On s’est donc proposé, avec la direction, un professeur d’arts plastiques et ses élèves à produire une ‘installation’ qui évoquerait « l’élément étranger », capable d’induire une réflexion plus globale sur ce qui traine tant chez les individus, que dans le système scolaire, toujours traumatisé par l’incident du début de l’année. Une installation est un référent ouvert, non fini, partiellement énigmatique, invitant l’observateur à y mettre du sien et à compléter la narration proposée. Elle est une œuvre à double fond. Elle se refuse de proposer un discours articulé, normatif, explicatif, évacuant toutes les questions. Elle évoque plutôt des souvenirs (inconscients), elle installe le silence et laisse les passants rêveurs en quittant le lieu, mais elle risque de réapparaître à d’autres moments pour amorcer une exploration ailleurs et faire émerger une réflexion inattendue. Le professeur Luc Verhé a développé , avec ses élèves, une diptyque11: deux panneaux juxtaposés évoquent visuellement la thématique de « l’élément étranger ». On peut regarder l’ensemble, ou se concentrer sur les détails de chaque tableau, et en-

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L'installation est un genre de l'art contemporain qui désigne une œuvre combinant différents médias en vue de modifier l'expérience que peut faire le spectateur d'un espace singulier ou de circonstances déterminées. Certaines installations sont étroitement liées à un lieu particulier d'exposition (œuvres in situ); elles peuvent seulement exister dans l'espace pour lequel elles ont été créées et pour lequel l'artiste a conçu un arrangement particulier. Ainsi l'œuvre n'est pas transposable dans un autre lieu, ni même vendable. Elle prend alors la caractéristique d'un art éphémère. Dans la plupart des installations, l'intervention du spectateur est indispensable. Cf. http://fr.wikipedia.org/wiki/Installation_(art) (02.04.09) 11

Traditionnellement, une diptyque est une œuvre de peinture ou de sculpture composée de deux panneaux, fixes ou mobiles, se regardant et dont les sujets se regardent et se complètent l'un l'autre. Cf. http://fr.wikipedia.org/wiki/Diptyque (02.04.09)


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suite élaborer sa propre synthèse. Le premier panneau présentait, sous forme d’un vitrail, le montage d’une radiographie des poumons, éclairée par derrière par une multitude de petites lampes. Le deuxième panneau rassemblait des signes ou un certain nombre caractère de langues étrangères dessinés avec une peinture fluorescente, supposées ne pas être connues par les visiteurs. Par en haut la diptyque était éclairée par une lampe fluorescente. A côté se trouvait un texte avec une justification et une certaine interprétation de cette initiative. Cette installation fut montée dans le hall d’entrée de l’école lors d’une porte ouverte, à côté d’une exposition de vêtements (de couleur noire) fabriqués par les élèves de la section Mode. L’installation confronte les visiteurs avec des éléments étrangers : scruter la radiographie pour y découvrir les indices qu’une vie peut être menacée ; se laisser intriguer par l’inconnu, qui pourtant semble avoir du sens pour d’autres cultures. Semblable, symboliquement et de façon non violente, à l’incident au début de l’année, l’installation perturbe, désoriente, déstabilise, éveille la curiosité. Elle a le potentiel d’éveiller des souvenirs, de toucher l’inconscient, de provoquer des émotions liées à l’angoisse, la peur, aux images d’une menace, et d’établir le lien avec des incidents dramatiques multiples. Une fois de plus, après l’avoir visité, on passe outre, ou l’on se sent invité à se retrouver, à se regarder dans les yeux, à s’interroger, à explorer un nouvel espace. L’initiative incite donc la communauté scolaire à ne pas en rester là, en partant en vacances. Elle veut inviter les élèves, les professeurs et les visiteurs à ne pas quitter l’école comme si rien ne s’était passé. Mais, au contraire, à rester disponible et attentif au travail du temps, à l’approfondissement aussi inattendu, et à se préparer pour accueillir l’inattendu et à y discerner des voies vers plus de vérité. L’élargissement Quand « l’étrangeté » de l’élément étranger nous a touché personnellement, plusieurs voies s’ouvrent pour accéder à l’épanouissement, à la transformation, à l’accomplissement. 1. Il y a une invitation à s’informer et à découvrir autrement le monde des jeunes immigrants, de leur famille, de leur histoire, de leur façon d’assumer le sort qui les rend perplexe de jour en jour avec la menace de les garder prisonniers d’une situation sans issue. Est-on disposé à se laisser toucher par leur réalité et à scruter en quoi exactement cela nous décentre de nos sécurités, nous trouble et nous interpelle? C’est là une façon de prendre soin de soi, et d’apprendre aux jeunes à prendre soin de leur propre soi, sans devenir victimes d’un environnement étranger. 2. Il y a une invitation à se voir dans un cadre de références essentiellement dominé par la violence. Tout en étant solidaire de la création d’un monde pacifique, tout en s’engageant pour établir un style de vie conciliant au sein de la société (cosmopolite), tout en vivant l’hospitalité en accueillant l’étranger, sans le connaître vraiment, la texture de notre société est tissée d’une certaine tonalité de confrontations violentes. Bien qu’elle se « maîtrise » de mieux en mieux, la violence est toujours bien établie au cœur de l’humanité. La piraterie existe toujours. Mais elle se déplace et elle se déguise. Elle envahit notre planète. Elle nous envahit moins par les formes classiques


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d’une destruction meurtrière, sanglante et spectaculaire. Elle échappe à la visibilité et elle peut aller de pair avec une apparence paisible, voir même esthétique. Tels les meubles de jardin en bois massif, confortables et permettant des conversations bien civilisées, fort demandés en Europe parce que meilleur marché, mais fabriqués grâce au pillage criminel des forêts tropicales en Asie. Cette guerre, souligne Michel Serres, est celle que les hommes font au monde. L’adversaire dans cette guerre n’est autre que le vaisseau où nous sommes embarqués. Vainqueurs ou vaincus, nous risquons de couler ou disparaître. ‘Différents de nos ancêtres et même de nos pères, qui ne le ressentaient pas, nous vivons désormais au voisinage du Monde. Nous survivons même au voisinage de la mort du Monde. Il se révèle à nous, comme agonisant’12. … nous mettons notre planète en risque, en changeant ses données, son évolution, son climat, ses réserves, sa diversité et ses espèces…’13 Il s’agit là de crimes contre le Monde, de crimes contre l’humanité dans sa totalité. Le but se déplace : de l’appropriation (violente) de territoires délimités vers l’appropriation de la « planète » dans sa totalité. L’effet globalisant du marché libre propre au capitalisme néolibéral outrepasse toutes les mesures mises sur pied pour tempérer les aspirations des uns et des autres. L’appropriation dure persiste. Elle ne peut s’imposer que par une violence totale, ‘puissante et arrogante’ telle que Baudrillard la décrit14. Une réflexion nouvelle s’impose pour mieux comprendre les dynamiques propres aux établissements scolaires, fortement liées aux mouvements énergiques de nos sociétés. ■ Il y a lieu de s’interroger sur l’apprentissage, considéré comme la spécialité par excellence de l’école. Mondialement le système de l’apprentissage à l’école s’est organisé de façon telle qu’on peut comparer les résultats des élèves et cataloguer chaque école selon ses réussites et ses échecs. Tout en respectant les exigences d’une intégration dans la logique scolaire de la société contemporaine – car pour les jeunes générations les chances de leur survie en dépendent – chaque école a la responsabilité de discerner ce qu’il y a à apprendre. Qu’y a-t-il à apprendre à la suite de l’incident, à la suite de tant « d’éléments étrangers » qui se présentent de jour en jour ? Suite aux événements inattendus, mais combien importants et décisifs pour un chacun, notre établissement est donc invité à repenser son projet, à revoir l’interac-tion entre le programme officiel et l’apprentissage accidentel. ■ Une école évolue, parfois très rapidement. Chaque année de nouveaux professeurs s’annoncent pour remplacer les sortants. Pour que l’incident n’en reste pas au niveau de l’anecdote et pour que les professeurs nouveaux puissent s’intégrer dans la nouvelle culture que l’établissement ait réussi à se donner, il faut y consacrer du temps. Pour qu’une solidarité de qualité s’installe, enrichie par « l’élément étranger », le rapport entre professeurs et l’école va au-delà des compétences professionnelles ou d’une loyauté bureaucratique. L’enjeu concerne la dignité humaine et requiert une certaine spiritualité de l’hospitalité capable de dépasser les lieux communs et les pré12

M. Serres, La Guerre mondiale, Paris 2008, p. 170.

13

Ibid., p. 166-167.

14

J. Baudrillard & E. Morin, La violence du monde, Paris, 2003 ; http://nouvellerevue moderne.free.fr/violencedumonde.htm (20.03.09)


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jugés tels que présents dans l’opinion publique. Il est essentiel que les professeurs et les jeunes continuent à se rencontrer pour retravailler le chemin parcouru et pour rester solidaires de situations semblables, engagés à créer en vérité un environnement de qualité.

La clé d’une lecture chrétienne Notre établissement est une école catholique et fait partie du réseau lasallien. La direction et plusieurs membres du personnel participent aux rencontres et formations organisées par le VLP, rassemblant tous les établissements des Frères, et qui a reçu le mandat pour continuer la Mission Educative Lasallienne. Quelle peut être alors l’apport d’une telle inspiration devant les événements évoqués dans cet article ? Les écoles s’inspirant de l’évangile trouvent leur force dans une alliance avec le Christ, le vivant, l’Autre, différent. Le récit judéo-chrétien nous confronte avec l’expérience dérangeante de passer de l’étrangeté à la familiarité et une connaissance approfondie, de l’agression et la violence à l’amour personnalisé et la libération totale. Ce chemin passe par une métanoia intérieure, une transformation de la personne. Ce qui nous intéresse ici, c’est bien l’étrangeté du Dieu de Jésus Christ tel qu’il a été perçu par les juifs il y a 2000 ans, tel que les évangélistes l’ont évoqué dans leur récits. Ils n’arrêtent pas de nous décrire à quel point les amis de Jésus et les foules, tant que les Pharisiens, les scribes et les Grands Prêtres sont restés perplexes devant le style de vie, les interventions, les actes, le discours, la pensée de Jésus de Nazareth. Parcourons l’évangile de Marc à ce propos. L’on était vivement frappé de son enseignement (Mc1,22) ; jamais ils n’avaient rien vu de pareil (2,12), Aussitôt des gens qui l’avaient reconnu parcoururent toute cette région et se mirent à lui apporter les malades sur leurs grabats là où l’on apprenait qu’il était (6,55). Au comble de l’admiration, ils disaient : ‘Il a bien fait toutes choses : il fait entendre les sourds et parler les muets(7,37). La masse du peuple l’écoutait avec plaisir (12,37). Par contre : tous furent effrayés de son autorité sur les esprits impurs (1,27) ; ils furent saisis aussitôt d’une grande stupeur (5,42) ; ils se choquaient sur son compte (6,3) ; ils étaient intérieurement au comble de la stupeur (6,51). Ils étaient surpris à son sujet (12,17). Nul n’osait plus l’interroger (12,34). Pilate était étonné (15,5). Ou ils disaient : Il a perdu le sens (3,21). Il est possédé par un esprit impur (3,30), Qui est-il donc celui-là, que même le vent et la mer lui obéissent ? (4,41) ; ils se mirent à prier Jésus de s’éloigner de leur territoire (5,17) ; Et, finalement, le comble de la consternation : Elles sortirent et s’enfuirent du tombeau parce qu’elles étaient toutes tremblantes et hors d’elles-mêmes. Elles ne dirent rien à personne, car elles avaient peur (16,8).


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Herman Lombaerts

L’étrangeté associée à la personne de Jésus, d’une part, suscite une exaltation, un émerveillement, une stupéfaction devant l’inattendu, l’inespéré. Les attentes les plus secrètes se voient comblées, le bonheur est à la portée des plus faibles, des démunis, des exclus, étiquetés et classés pour des raisons fortuites. Il réinstalle le pardon vrai et juste. Et d’autre part, il dévoile les paradoxes, les injustices, les abus, l’hypocrisie, le mal ; il identifie ceux qui exploitent le peuple et le maintiennent dans l’oppression et l’ignorance, comme jamais personne ne l’avait exposé publiquement, aux yeux de tous. Mais surtout, c’est la transformation intérieure, l’éclat de la vie divine dans l’homme, victime innocente, mis à mort sans raison, mais rayonnant dans tous ceux qui revenaient pour le rejoindre après avoir tout quitté. Jésus a introduit une toute autre vie. Avec Lui, tout change de façon radicale. L’inimaginable et l’inespéré sont devenus une réalité. Un nouveau dynamisme éclate. Cette nouvelle vie n’a pas de prix. Elle dépasse la mort, définitivement. Elle est à la portée de tous15. Découvrir Dieu, être saisi par sa présence, être confronté à son étrangeté, ce en quoi il est totalement Autre, surprend, rend perplexe, déconcerte, consterne. Il y a des récits forts dans la littérature biblique à ce sujet. Telle Marie, bouleversée par la salutation de l’ange (Lc1,29), sa stupeur quand elle apprend qu’elle est enceinte. Telle Elisabeth qui poussa un cri à la rencontre de Marie, car l’enfant tressaillit dans son sein (Lc1,41-42). Ces expériences se sont reproduites tout au long de l’histoire. Leur souvenir est jalousement cultivé par les traditions. Les croyants, les mystiques avant tout, aspirent à s’y perdre et à être transformés à leur tour par cette rencontre. La transition Il y a donc des raisons convaincantes, pour les établissements d’inspiration chrétienne, de cultiver une sensibilité particulière pour « l’élément étranger », dans le sens négatif, destructeur – afin de pouvoir l’éviter ou de le dépasser avec dignité quand l’incident fatal se produit - comme dans le sens inhabituel et déconcertant, incident d’épanouissement. Mais, tout en prenant distance des aspects anecdotiques, il faut reconnaître que la transition vers une signification plus profonde et vers la puissance symbolique requiert une attention affinée, intériorisée. Cette transition n’est pas évidente du tout. C’est là une des compétences spécifiques d’une communauté éducative, des croyants en particulier. Leur simple attention, par le regard de la foi, à la présence divine au sein même des événements déconcertants, et leur disponibilité à 15

Pour le compositeur contemporain, Mark André, l’architecture compositionnelle se situe entre l’affect et le concept, entre la concordance et la discordance. Le compositeur structure l’acte compositionnel lui-même et est structuré par lui. La déconstruction du matériau musical, sa fragmentation dans l’espace et dans un temps écartelé lui permet d’évoquer le changement d’espace, de créer des textures, des familles et des espaces sonores intérieurs, comme dans son œuvre Auf…I, II, III (2005-2007), dont le modèle métaphysique est donné par la Résurrection du Christ laquelle (pour les croyants) décrit le passage absolument fort et miraculeux d’un état à un autre. Cf. Jan-Noël von der Weld dans www.bisbigliando.com/portraits/andre (02.04.09) et Mark André, Ars Musica 31.03.2009, p. 11.


Quand la violence menace la vie des jeunes.

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se laisser inspirer par la transformation suscitée par Dieu lui-même, crée une culture et une pratique de l’attention aux personnes, jeunes et adultes, qui peut caractériser alors la culture d’un établissement scolaire. Une question cruciale dès lors se pose : l’incident violent s’est-il transformé en point de référence pour que l’école progresse dans l’exploration de « l’étrangeté » qui lui est propre ? S’organise-t-elle pour se laisser saisir, surprendre, par l’étrangeté du Dieu de Jésus Christ, afin qu’émerge une autre qualité de vie au sein de l’école, animée par le Christ vivant ? Concevoir l’école comme un lieu où tous se rencontrent à base d’une sensibilité approfondie, c’est la transformer en environnement esthétique, c’est mettre en route le processus d’une transformation, d’une conversion. Produire des « événementsinstallations », créer des performances, repenser le sens et la portée symbolique de certains moments exceptionnels où l’école se fait connaître au grand public, peut contribuer à ce que le site scolaire se transforme en lieu où l’inespéré devient accessible. A part l’apprentissage programmé, les découvertes inattendues, les rencontres et les types de collaboration occasionnels peuvent cristalliser un potentiel immense pour orienter tous les efforts propres à l’école vers une vie plus épanouie, plus digne, plus vraie. Chaque année, dans toutes les écoles, des événements inattendus perturbent la vie. Tout en passant par l’angoisse et la souffrance, c’est à la fois une occasion pour adopter un autre regard, pour voir des choses différentes, jamais entrevues auparavant. La surprise peut nous mener vers une transformation intérieure.



RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 403-414

Un contributo pedagogico per l’educazione alla cittadinanza: il servizio civile obbligatorio Giorgio Bellieni

Docente di Teoria della scuola e Legislazione scolastica, ISSR di Reggio Calabria

L

a categoria educazione alla cittadinanza1 modulata con diverse connotazioni legale, sociale, culturale, morale -, da caso serio della società occidentale e della democrazia si va proponendo come una priorità in Europa ed ancor più in Italia. In quest’ottica e raccogliendo la nuova sfida s’intende tracciare una panoramica di riflessioni sull’ipotesi di Servizio civile obbligatorio (SCO) per i giovani attuali e dei prossimi anni. Simile ai fenomeni di natura carsica, ogni tanto e per ragioni e vie disparate riaffiora fra le pieghe della cultura sociale-politica-giuridica e pedagogica la proposta della sua introduzione, una sorta di “esercito del lavoro” o, sotto altra denominazione, di agenzia del lavoro o servizio sociale o servizio civile tout court2. 1

L’educazione alla cittadinanza - specificata e aggettivata, con qualche enfasi, in cittadinanza attiva, democratica, responsabile - investe oggi, oltre ai curricoli del sistema formale d’istruzione e formazione (sotto le varie denominazioni di educazione civica, educazione alla cittadinanza o alla convivenza civile, educazione sociale, studi-scienze sociali, educazione ai diritti umani o alla pace, educazione alla legalità, educazione alla interculturalità, cittadinanza e costituzione…), l’insieme delle politiche sociali e giovanili e delle attività educative, qualificandosi quale “processo sociale”. Tale processo, in un approccio integrato tra contesto scolastico ed extrascolastico, chiama in causa le grandi responsabilità del sistema “non formale” ed “informale”, nella prospettiva dinamica del life long learning, con l’obiettivo dell’acquisizione non solo dei saperi ma delle abilità e competenze relazionali e sociali indispensabili per esercitare consapevolmente i diritti fondamentali di partecipazione democratica ed i doveri socio-economici-politici di cooperazione alla promozione del bene comune e della pace, giustizia, solidarietà, libertà, tolleranza, pluralismo, dialogo. 2 La controversa discussione pubblica sul SCO viene alla ribalta periodicamente, legata spesso a contingenze e ad emergenze straordinarie o ordinarie. Solo per citare qualche esempio fra i tanti, vedi, a favore: A. VISALBERGHI, Lo sviluppo educativo nelle società avanzate e le sue contraddizioni, in “Scuola e città”,


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Purtroppo in questo momento l’idea deve confrontarsi – già sul piano teorico – con l’apparente inattualità ideologica, rispetto ad alcune tendenze della cultura dominante e del politically correct che tuttavia non riescono a sminuirne la portata di realismo etico e politico-sociale insito nell’utopia necessaria3 che la sostiene. Occorre invece misurarsi, sul piano della contingenza storica, con alcune sfide straordinariamente attuali, che vanno dai lavori socialmente utili ma non gratificanti alla divisione di classe e internazionale del lavoro, dalla solidarietà globale alla “difesa della Patria”, dalla crisi educativa al senso reale della cittadinanza. Va invece colta una profonda istanza di democrazia e di laica profezia nell’idea di affrontare, in senso democratico e non autoritario, l’esigenza che investe le società avanzate di ripartire egualitariamente tra tutti i consociati le corresponsabilità sociali e gli oneri, non solo fiscali, delle attività cui il mercato del lavoro non sopperisce in modo adeguato, giusto e liberale, superando la destinazione permanente di classi o categorie “marginali” a lavori umili, gravosi e usuranti, servili, non gratificanti, ripetitivi, dequalificati ed a bassa competenza…, ma essenziali e di grande utilità al progresso del vivere civile. Facendo svolgere tali attività di pubblica utilità a turno, per un periodo limitato e obbligatoriamente, con una minima retribuzione, a tutti i giovani, cittadini, apolidi ed immigrati extracomunitari – che si trovino nella condizione, prevista dalle leggi, di residenti – si verrebbero a liberare dalle stesse occupazioni e sottoccupazioni o lavoro nero, proprio le persone su cui tradizionalmente la collettività fa gravare la risposta a tanti bisogni vitali: in particolare, appunto, “i nuovi poveri, i precari, gli immigrati terzo- e quarto-mondiali, i forzati a vita, i nuovi schiavi”. In un simile quadro, viene n.1, 1974, pp. 83-101; G. BELLIENI, in Aa.Vv., La pace sola alternativa, Atti del Seminario promosso dal Consiglio regionale della Calabria, Vibo Valentia 8-10.3.1985, pp. 67-73; A. SPADARO, Professionalità e cultura, in “La Chiesa nel tempo”, III(1987)1,75-90; E. GALLI DELLA LOGGIA, Al posto della leva: come formare i giovani. Un servizio per il Paese, in “Corriere della sera”, 18.10.1995; S. BRAGANTINI, Meno militari, più civili. Una Proposta: servizio civile obbligatorio, ivi, 17.06.2008, con repliche di D. CIPRIANI, Direttore generale UNSC 23.6.2008 e di C. GIOVANARDI, sottosegretario alla PDCM con delega al SC, 26.6.2008. Inoltre saltuariamente l’interesse positivo emerge da parte delle grandi associazioni, dalle Acli a Legambiente, Arci, Focsiv, ecc.; ma v. pure Per il bene dell’Italia, Programma di Governo 2006-2011, nn.191-192, programma elettorale dell’Unione, la cui sorte segue le traversie della Legislatura. Tra i detrattori più noti vanno invece annoverati: A. CAVAGNA, A. ZANOTELLI, A. DRAGO, G. PASINI, in vari interventi, tutti contrari a un’eventuale obbligatorietà dell’istituto e mossi nobilmente a sostegno dello specifico valore della gratuità, connesso alla convinta motivazione personale che dovrebbe caratterizzare le scelte di solidarietà e prossimità. Deve fare riflettere in proposito la preoccupazione, tra le obiezioni in circolazione – da prendere in seria considerazione, data la provenienza da un eminente giurista e studioso dell’obiezione di coscienza e della nonviolenza – dell’ipotesi di un’“enorme impopolarità” e di una presunta “intrusione nella vita privata” dei cittadini del ventilato SCO: così R. VENDITTI, Obiezione, Molto obbligato, in “Mosaico di pace”, aprile 2006, 11-12. Sembra, però, che tale approccio non riesca a distinguere il fenomeno, di rilevanza pubblica ma essenzialmente privatistico, delle libere attività di volontariato da quello, ben diverso, dell’impegno civile pubblicistico proprio di un servizio civile obbligatorio, fondato sui valori costituzionali di solidarietà, pace e difesa della patria (Cost. artt. 2,11,52). 3 Sull’“utopia necessaria”, anzi vitale “se vogliamo sfuggire ad un pericoloso ciclo alimentato dal cinismo e dalla rassegnazione”, cfr., per tutti, J. DELORS, Nell’educazione un tesoro, Armando, Roma 1997, pp. 11ss. Riferita al contesto italiano, la sfida è traducibile nel dovere di scelte coraggiose da parte del mondo culturale e formativo, delle forze politiche ed anche sindacali, ritrovando la capacità di mobilitazione delle coscienze, per proporre qualche battaglia ideale e obiettivi comuni significativi ai giovani attratti dall’onda lunga della crisi della partecipazione e delle grandi narrazioni, del riflusso nel privato e dell’antipolitica.


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poi a porsi in maniera più radicale il problema della crisi del lavoro e della schizofrenia assiologica tra i tipi di attività umana (interna e internazionale, lavoro intellettuale e manuale-servile), nell’orizzonte della giustizia sociale e dell’uguaglianza sostanziale, valore quest’ultimo esplicitamente riconosciuto in diverse costituzioni contemporanee (da quella italiana del 1948 a quella spagnola del 1975). Di fronte ad un mondo giovanile in gran parte disorientato, alla ricerca di nuovi “riti di passaggio” all’età adulta, destinatario di una lunga scolarizzazione talora fine a se stessa, disgregato e demotivato sul piano della passione civile e politica, all’interno di un sistema fondato su una meritocrazia troppo invocata ma spesso ambigua, si deve guardare con interesse ad una parte significativa delle nuove generazioni che offre il proprio impegno in forme organizzate di volontariato e nell’associazionismo, aprendo nuove vie di partecipazione e di cittadinanza attiva, dimostrando con ciò di saper recepire proposte, anche faticose ma ricche di senso, miranti a un reale cambiamento sociale e politico, sorretti dalla convinzione che ancora “un mondo diverso è possibile”. Una buona piattaforma di partenza può essere la rielaborazione (e lo sviluppo qualitativo/quantitativo) del Servizio civile nazionale (=SCN) istituito in Italia dal 2001, coinvolgente circa 200mila volontari, nella prosecuzione dell’esperienza ereditata dal SCO degli obiettori di coscienza, che ha raggiunto negli anni 850mila giovani. Pur dimostrando nella prima attuazione qualche pecca, insieme a difficoltà amministrative e finanziarie, l’istituto ha offerto uno scenario culturale, sociale e legislativo favorevole alla crescita civile dei giovani, delle aggregazioni e delle istituzioni locali e nazionali coinvolte. L’esperienza, complessivamente positiva, si qualifica come ampliamento di democrazia sostanziale, scuola di formazione della coscienza civile, di cooperazione, solidarietà e promozione del bene comune4.

Radici e storia del fenomeno In orizzonti divergenti nelle varie epoche e civiltà si ripropone la questione ed il valore del lavoro socialmente utile e necessario, dello “esercito del lavoro” e del “servizio civile obbligatorio”, dal punto di vista della problematica della dignità dell’attività umana e della solidarietà sociale. L’idea investe radicalmente la natura e la concezione del rapporto dialettico tra individuo-società, persona-comunità, libertà-solidarietà, diritti-doveri umani fondamentali, economia-pedagogia. ■ Nell’antichità classica5 si registrano forme di prestazioni e servizi alla comunità, imposti a singoli o gruppi, non solo schiavi e liberti ma anche uomini liberi e cittadini a pieno titolo. A livello di vocabolario, il significato originario di leithurghéia o munus o servitium s’intreccia con tali istituti e fenomeni. ■ In epoca cristiana l’organizzazione caritativa comincia a strutturarsi in forme istituzionali a favore dei poveri e degli svantaggiati, attraverso la creazione di diaconia e mini-

4 Per l’approfondimento e maggiori informazioni sul punto, vedi www.serviziocivile.it, sito curato dall’UNSC e ricco di bibliografia, documenti, storia, dati e ricerche. 5 Una retrospettiva ragionata sulle origini e gli sviluppi del Servizio civile, è presentata da E. BUTTURINI in Enciclopedia pedagogica, a cura di M. LAENG, La Scuola, Brescia 1994, pp. 19-23.


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steri. Un servizio sostitutivo-alternativo al tipico obbligo militare è attestato dalla possibilità di appartenenza a corpi non armati, es. curiae. ■ Successivamente in epoca feudale ha origine il sistema delle corvatae (fr. corvée), quale obbligo di prestazioni gratuite di pubblici servizi. ■ Nell’età moderna si diffondono l’esercito di leva e l’imposizione fiscale massiccia quali forme di controllo sociale e di rafforzamento del potere statuale, oltre che di capacità offensiva-difensiva nella regolazione dei rapporti sopranazionali. ■ Nel secolo scorso, paesi dittatoriali e regimi totalitari (es. Russia anni ’50; Cina Popolare anni ’70) o del Terzo Mondo ed in via di sviluppo hanno sperimentato, in diverse prospettive di stampo ugualitario, alcune modalità di lavoro obbligatorio e temporaneo o di alternanza coatta studio-lavoro, legate ai bisogni della produzione agricola o industriale, all’espansione dei servizi sociali di massa o all’ideologia sottesa al sistema educativo. E probabilmente si deve proprio al fallimento ed alle degenerazioni di queste ultime forme coattive e totalitarie di lavoro collettivo il retaggio dell’immagine purtroppo negativa di un, ben diverso, impegno pubblico e comune di servizio sociale.

Il progetto di Servizio civile obbligatorio L’istituzione, per tutti i giovani in età compresa tra i 18 e i 28 anni, del SCO, aperta agli apolidi ed agli immigrati dopo un congruo numero di anni di residenza, può contemplare un impegno di servizio delimitato nel tempo (per un periodo di circa 6 mesi), con un compenso minimo, strutturato con modalità flessibili, da svolgere sia all’interno del Paese che all’estero per mezzo di forme di cooperazione e di partenariato. Il SCO, attraverso l’esperienza diretta delle problematiche nazionali e del territorio, nel confronto sia con altri giovani organizzati che con realtà del pubblico e del privato sociale, permetterebbe a tutti i giovani – e anche alle giovani – (in un contingente ipotizzabile annualmente intorno a 400-500mila unità) di sperimentare una sorta di noviziato alla vita adulta e professionale, svolgendo un periodo di fattiva e formativa attività di servizio alle persone ed ai bisogni della comunità più ampia. Si tratterebbe di un’esperienza sociale ed umana decisamente formativa, svolta per altro in una fascia di età critica, sottratta così a frequenti tentazioni di evasione dalla realtà, a sbandamenti ed incertezze. L’istituto, insomma, si rivelerebbe quale “laboratorio” per la continuazione pratica, di straordinario valore civile, della formazione teorica scolastica tradizionale. La particolare prospettiva italiana fa guardare al SCO come propedeutico e base naturale per realizzare in tutto il Paese un modello solidaristico e sussidiario di sicurezza, di protezione civile allargata e decentrata, condivisa dal basso attraverso soggetti e reti organizzate, allenate e formate allo spirito della “difesa popolare nonviolenta”, dell’integrazione tra istituzioni e comunità, non da ultimo attraverso la formazione di tecnici specializzati (anche volontari), nell’opera di prevenzione, soccorso e ricostruzione del territorio e del tessuto socio-culturale in occasione di calamità naturali ed emergenze sociali. Il punto di avvio del processo va collocato nel recupero del patrimonio anche organizzativo, nell’ampliamento concettuale e nell’ulteriore struttura-


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zione operativa delle finalità assegnate al SCN6, attualmente in vigore (L.64/01, art. 1), con i suoi 200mila giovani volontari tra gli anni 2001-07, finora caratterizzato dall’accentuazione della componente femminile e dell’area meridionale, per il quale è opportuno richiamare i punti qualificanti: - difesa della Patria con mezzi ed attività non militari; - realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale, nell’ambito interno ed internazionale, con particolare specificazione verso la tutela dei diritti fondamentali, dei servizi alla persona, dell’educazione alla pace; - partecipazione alla salvaguardia del patrimonio ambientale, forestale, storico, artistico, culturale; - compiti di protezione civile; - contributo alla formazione civica, sociale, culturale e professionale giovanile.

Sul piano dei valori, gli operatori in questo settore mirano a rafforzare i legami che sostanziano e mantengono coesa la società civile frammentata e le istituzioni; rendono più vitali e fraterne le relazioni all’interno della comunità; coinvolgono le categorie deboli e svantaggiate nella partecipazione attiva; promuovono a vantaggio del bene comune la valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale; realizzano reti e strumenti di cittadinanza e di inclusione, nel dinamismo e nella reciprocità tra problemi e risorse del tessuto locale, nazionale, europeo, internazionale. L’ulteriore tappa del percorso di realizzazione del progetto, dopo la verifica e l’ampliamento dell’odierno SC volontario (da non eliminare), dovrebbe essere quindi la sperimentazione di un modello di SCO ispirato ai valori della sussidiarietà e dei principi del Titolo V della Costituzione7. Si tratta, insomma, di ridistribuire le competenze con compiti di orientamento, definizione degli standards nazionali (secondo norme generali e accordi internazionali), coordinamento, controllo e valutazione della qualità nella sfera di responsabilità dello Stato, di programmazione e gestione a cura delle Regioni, anche in collaborazione sussidiaria orizzontale con altri enti territoriali, strutture pubbliche, imprese sociali ed enti no profit. Il bisogno sommerso di un capitale umano e sociale solidaristico adeguato alle crisi ed alle trasformazioni in corso, può facilmente dedursi - oltre che dalle note difficoltà della politica economica, scolastica, sociale, sanitaria nazionale – anche dalle ricorrenti emergenze sociali d’interesse nazionale e dalle calamità che riguardano emblematicamente l’accoglienza degli immigrati clandestini, i rifiuti urbani, i rischi nucleari, le minacce terroristiche, le alluvioni e gli incendi boschivi, fino alla tutela e fruizione dei beni culturali o paesaggistici, l’educazione alla legalità nelle zone a rischio, la “difesa civile e sicurezza”, la lotta a vecchie e nuove sacche di povertà, l’esclusione e marginalità sociali (dagli anziani8 ai disabili ai minori nel disagio), insieme alle problematiche dei lavori socialmente utili, umili o usuranti. 6

D’ora in avanti citato come SC Si fa cenno qui agli artt. 117-118, dove fra l’altro si attribuiscono allo Stato compiti in materia di difesa e sicurezza distinti da quelli svolti dalle forze armate, oltre alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, che devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale. 8 L’impiego dei giovani a contatto con il nuovo universo della terza e quarta età, va guardato con approvazione in ragione delle potenzialità psico-pedagogiche di riavvicinamento empatico e la ripresa di una comunicazione reale tra le generazioni e le età della vita. 7


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Il SCO – portatore di una carica in certo senso utopica per la sua tensione civile “riformista-rivoluzionaria” e morale – tra gli altri profili positivi, consente di dare una risposta alla risorgente problematica dei lavori utili e non gratificanti, che legittima il progetto di una “rotazione verticale” in certi campi di attività lavorative, umili e residuali, con l’obiettivo di assegnare obbligatoriamente lo svolgimento di certi lavori a tutti i cittadini, per un tempo limitato della fase formativa della vita. In questo senso il nuovo SCO potrebbe inserirsi nella prospettiva dei percorsi di studio universitario e di formazione professionale da armonizzare attraverso un sistema di crediti formativi alternativi, che valorizzino la competenza dei giovani lavoratori anche in contesti differenti da quelli classici, ma dalle inesplorate potenzialità culturali e formative. Una particolare rilevanza va assegnata alla dimensione della c.d. formazione generale e settoriale, a cui andrebbe riservata una quota proporzionata di tutto il tempo del SCO, nella prospettiva di un rapporto armonico fra teoria e prassi, tra conoscenzeabilità-competenze, coscienza ed atteggiamenti. La creazione di laboratori formativi dovrebbe ispirarsi alla filosofia dello “imparare facendo”, tramite l’utilizzo di tecniche e metodologie comunicative e operative induttive, attive, cooperative e innovative. Abolita la coscrizione obbligatoria militare di massa in tempo di pace (ormai già dall’anno 2000), con la modernizzazione e professionalizzazione delle Forze armate su base volontaria, ora aperta al notevole apporto delle donne, è venuta a mancare l’unica forma diffusa di corresponsabilità personale di servizio reso alla collettività, che – nel bene o nel male – ha concorso, insieme al sistema scolastico e, a livello di mentalità e di costume, ai mass media, alla coesione nazionale, alla maturazione della coscienza civile ed alla qualificazione tecnica in alcuni delicati settori specialistici, di intere generazioni. Sul piano di una rinnovata fiducia sociale e di laica speranza condivisa, un SCO, adeguatamente finanziato, con effetti diretti sul territorio, ben mirato ed organizzato rigorosamente (allo scopo di non trasformarlo nell’ennesimo “parcheggio” generazionale o in dispendioso ammortizzatore sociale), interrelato al sistema educativo e sostenuto da un organico e mirato progetto culturale, può offrire un retroterra non retorico e moderno per il rinnovamento dell’idem sentire pubblico di un Paese9 altrimenti a rischio di decadenza e non solo di recessione materialeeconomica, lontano dall’idea costituzionale di progresso etico-spirituale delle persone anche attraverso le formazioni sociali (art. 2 Cost.).

Problemi correlati Sono evidenti le intime connessioni fra il progetto del SCO e la complessità dell’attuale e diffusa emergenza educativa, la quale ormai trascende la sfera delle singole agenzie sociali tradizionali (scuola, famiglia, ecc.) e diventa invece un problema 9 Mentre a centocinquanta anni dall’unità politica, ritorna dibattuto l’interrogativo sulla capacità del sistema Italia di costruirsi intorno ad una “idea di Paese”, ad una identità di nazione, nel contesto di ricerca dei valori non negoziabili, della questione delle “radici” e della “contaminazione” culturale ed etnica crescenti. Su un terreno dove il piano socio-politico e culturale-spirituale si avvicinano, svolge un ruolo delicato il sistema educativo, dato il nesso del problema dell’identità con l’ethos, i simboli, i miti” e i riti collettivi.


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di tutta la società educante. Bisogna insomma ripensare il sistema scolasticoformativo nella prospettiva di potere offrire a tutti l’opportunità di conseguire l’ap-

prendimento lungo tutto l’arco della vita (come, per altro, esplicitamente previsto dalla Carta europea di diritti di Nizza, ora recepita nel Trattato UE di Lisbona), saldando la formazione iniziale con quella permanente e riavvicinando costruttivamente scuola e lavoro, attraverso un fecondo interscambio tra istruzione (teoria) e formazione (prassi) e una riscoperta del senso del bene comune10. Altra questione annosa connessa al SCO concerne la crisi del lavoro11 con le ripercussioni in termini di disoccupazione-inoccupazione-precariato, tutte piaghe che in diversa misura colpiscono la società occidentale e gravano particolarmente sull’Italia e su particolari aree geografiche depresse o fasce di popolazione, specie giovanile, femminile e intellettuale. Ora solo affrontando il problema in termini inediti e creativi (seppur nel solco dei principi costituzionali) – attraverso l’introduzione e la legittimazione giuridica di qualche tipo di “lavoro obbligatorio” – è pensabile ripensare la convivenza civile ed affrontare radicalmente un così grave disagio sociale12. Il bene lavo10 A. MAZZI, Stop ai bulli, La violenza dei giovani e le responsabilità dei genitori, Milano 2008, alla luce di diagnosi coraggiose maturate in una lunga militanza di “operatore di strada”, rilancia l’interesse di un periodo di SCO dal punto di vista della prevenzione e del recupero sociale, a fronte dei preoccupanti tassi dei fenomeni di devianza e disagio giovanile, denunciando con vis polemica la latitanza delle istituzioni, l’inerzia e le paure del mondo adulto. Ma già N. POSTMAN, La fine dell’educazione, Ridefinire il valore della scuola, Roma 1997, dal versante della filosofia e sociologia dell’educazione, ha posto all’Occidente una questione capitale: “senza un obiettivo trascendente e nobile, l’istruzione raggiungerà la sua fine”, solo se ritroverà la sua missione la scuola “diventerà l’istituzione centrale attraverso la quale i giovani potranno trovare delle motivazioni per continuare a educarsi”, p. 10. Pure E. MORIN, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano 2000 e I sette saperi necessari all’educa-zione del futuro, Milano 2001, proietta in ottica planetaria la sfida civica e la riforma del pensiero; per potere recuperare nell’orizzonte della complessità il deficit di senso della responsabilità e della solidarietà, individuati tra i presupposti della crisi della democrazia, rilancia l’urgenza di “apprendere a diventare cittadini”, al fine di affrontare le difficoltà legate alla “identità nazionale, europea, terrestre”. I richiami autorevoli sulla emergenza educativa sono diventati uno dei leit motiv del magistero del Papa sulla preoccupante transizione dell’Italia contemporanea, vedi ad es. BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008; ripresa con forte consonanza di vedute dal presidente della Repubblica G. Napolitano in occasione della visita del Papa al Quirinale il 4 ottobre 2008, nella convinzione che “superare quell’emergenza è nostra comune responsabilità”, con il riferimento a fenomeni di “oscuramento dei valori fondamentali” ed al nesso tra la crisi finanziaria mondiale ed i “guasti di una corrosiva caduta dell’etica nell’economia e nella politica”. 11 J. RIFKIN, La fine del lavoro, Milano 1997; ricco di suggestive analisi e di allarmi in merito agli effetti a cascata prodotti dall’automazione tecnologica ed altri fattori su mercato-forza lavoro-globalizzazione… 12 Nella consapevolezza di dovere far fronte alle pregiudiziali di vario tipo, sia quelle più pragmatiche dei limiti temporali, di sostenibilità finanziaria, di complicazione organizzativa che di tipo ideologico, di logica vetero-statalista, le resistenze maggiori da risolvere si appuntano formalmente sul piano giuridico, riconducibili a due ordini di questioni: 1) significato attuale del dovere di “difesa della patria” (Cost. art. 52); in realtà già interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte (sentenza 8-16 luglio 2004 n. 228) alla luce dei principi di solidarietà espressi dall’art. 2, comprensivi di forme specifiche di “difesa civile o non armata”, e già applicato nella consolidata legittimazione costituzionale del Servizio civile; 2) presunta illiberalità ed inconciliabilità con i principi delle Dichiarazioni internazionali sui diritti umani, in specie con riferimento all’art. 4 della Convenzione europea sui Diritti dell’uomo, la quale sancisce il divieto di schiavitù e di lavori forzati (tragedia mondiale dei milioni di esseri umani ridotti in vero stato di schiavitù, come lavoratori forzati e sfruttati, di ben altra portata!); ma in realtà già il combinato disposto dell’art.1 della nostra Costituzione che pone il lavoro alla base della vita della Repubblica con l’art. 4 sul diritto-dovere di tutti a concorrere al “progresso materiale o spirituale della società”, vengono a connotare positivamente le basi del servizio civile volontario o obbligatorio (con la sua natura di servizio sociale di pubblica utilità) nella direzione dell’affermazione dei valori etico-sociali e del personalismo-comunitario costituzionali.


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ro, nella sua portata non solo utilitaristica ma esistenziale, da diritto-dovere (Cost. art. 4) rischia di trasformarsi spesso in privilegio, accrescendo il numero degli “sfortunati” che svolgono per necessità attività poco gratificanti, lontane dalle personali aspettative, capacità e vocazioni. Ridurre la distanza culturale ed economica tra lavoro intellettuale e manuale, aiuta a ridare pienezza di senso ad ogni tipo di lavoro umano ed alla sua funzione sociale e a ridurre lo sfruttamento insito nella c.d. divisione sociale e internazionale; a condizione di coniugare positivamente il rapporto dialettico scuola-lavoro, cultura-educazione e formazione umana-professionale, formazione di base e inserimento socio-economico. Il mondo dell’emarginazione, male sottile delle società avanzate e della globalizzazione, che sfocia talora in situazioni gravi di esclusione sociale dai processi di integrazione, oltre che dai beni e dai servizi essenziali, racchiude e suscita una certa quantità e qualità di risorse umane e culturali non utilizzate, anche a causa dell’assistenzialismo diffuso, che – attraverso il SCO – potrebbero venire fatte emergere e valorizzate pur in gradi necessariamente differenziati di protagonismo consapevole e in iniziative di recupero e di inclusione.

La cultura e la pedagogia del servizio civile I filoni culturali posti alla base dei movimenti sostenitori del SCO, influenti anche in Italia, sono di estrazione eterogenea e si radicano nei maestri riconosciuti del pensiero nonviolento (H. D. Thoreau; M. K.Gandhi, G. Lanza del Vasto, A. Capitini, L. Milani, E. Balducci, T. Bello, B. Häring, I. Illich, D. Dolci, G. Nervo, ecc.13), costitutivamente interessato alle cause profonde ed alle espressioni storiche di ogni genere di violenza; nel solidarismo, promosso attraverso un servizio all’uomo e ai diritti fondamentali, strumento attivo di condivisione, riparazione e riconciliazione per una società conviviale e inclusiva (Dottrina sociale della Chiesa, Caritas italiana); nella pedagogia per l’educazione alla convivenza civile (A. Visalberghi; S. Valitutti, E. Butturini, L. Corradini, A. Mazzi, ecc.), imperniata su un’opera di teoria e prassi, non solo addestrativa, di coscientizzazione e responsabilizzazione etico-sociale; nella antropologia e nella teoria dell’attività umana fondata su una organizzazione del lavoro e dei rapporti economici su basi di giustizia e di rinnovata qualità della vita per tutti (E. Durkheim, E. Rossi, D. Farias, B. Manghi, E. Galli della Loggia, ecc.). Una considerazione e attenzione particolare richiede la figura di E. Rossi, l’intellettuale italiano, il cui contributo fornisce in assoluto il maggiore approfondimento in 13

La fecondità inesauribile della corrente culturale di ordine filosofico-antropologico e religioso-spirituale posto alla base della teoria e della pratica della nonviolenza, su cui la letteratura è assai vasta, correttamente concepita nell’accezione di forza positiva ed attiva caratterizza eminentemente tutta l’azione e le lotte di pensatori classici della statura di H. D. Thoreau, propugnatore della “servitù volontaria” e precursore della “disobbedienza civile”, o M. K. Gandhi il quale nell’esperimento dell’ashram si confronta con il problema quotidiano e strutturale dei “lavori umili”, a partire dalla peculiare diffidenza della cultura indiana, testimoniato in prima persona e colto nello stretto nesso tra nuova società democratica, non discriminazione e ribaltamento del sistema delle caste, satyagraha (forza della verità) e haimsa (sofferenza attiva); da riscoprire e convalidare scientificamente e tecnicamente per l’auspicabile soluzione nonviolenta dei conflitti contemporanei.


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merito, avendo egli teorizzato fra i primi, con uno studio sistematico, le problematiche della proposta di SCO in chiave profetica di esercito del lavoro14. Il rappresentante di “Giustizia e Libertà”, nella sua attività di riformatore politico-sociale ed economico, elabora la propria proposta di SCO suffragandola con vaste argomentazioni che spaziano dall’analisi dei regimi economici alla questione capitale della miseria, dai sistemi di assistenza alla riforma dei pubblici servizi; ed ancora, dall’evoluzione tecnologica alla riforma dell’ordinamento scolastico; dal servizio militare alla giustizia sociale; dai bisogni fondamentali all’organizzazione e divisione del lavoro. Il progetto di “esercito del lavoro”, traduzione avanzata di una sorta di corvée democratica, è fondato sul valore di equità del principio di “rotazione verticale” dei giovani in certe attività gravose e non gratificanti, ma socialmente indispensabili ed utili per la sopravvivenza ed il progresso della vita comune. Tra le Comunità utopiche e le “minoranze anticipatrici”, in qualche modo idealmente vicine all’istituto qui ricordato, si segnalano la significative esperienze votate alla ricerca di un nuovo umanesimo ed al solidarismo cristiano di Loppiano (fondata dal Movimento dei Focolari di Chiara Lubich) e di Nomadelfia (sulla scia della testimonianza e del messaggio di don Zeno Saltini); quest’ultima coraggiosa realtà ormai consolidata e istituzionalizzata alla prova del tempo, con i suoi periodici lavori di massa stagionali o legati a nuove necessità di sviluppo della Comunità, svolti collettivamente e indistintamente, secondo le proprie possibilità, da tutta la popolazione15.

Cenni di comparazione in Europa Nel contesto dei vari Paesi Europei, comparabili all’Italia, risultano diffuse tipologie di servizio civile o ad esso affini collegate di solito al servizio militare, complementari o autonome per natura e finalità, con scelta facoltativa o obbligatorie, tra cui a modo esemplificativo e schematicamente si annoverano: • Austria - servizio civile degli obiettori di coscienza, o civic service, impegno part-time nel settore pubblico, opportunità di un anno di “volontariato sociale ed ecologico”; • Finlandia - servizio non militare collegato all’obbligo della difesa nazionale; • Francia - servizio civile volontario, interno ed all’estero; si registrano dibattiti “elettorali” negli ultimi anni, sulla previsione di qualche genere di servizio civile obbligatorio; • Germania - possibilità di un anno di volontariato sociale, svolto presso istituzioni di assistenza o un anno di volontariato ecologico; • Olanda - si sta discutendo l’ipotesi di introdurre un anno di servizio “volontarioobbligatorio”;

14

E. ROSSI, Abolire la miseria, Roma-Bari 1977, “L’esercito del lavoro” c. IV, dove vengono formulati sia i motivi economici ed etico-politici che trattati gli aspetti organizzativi della proposta; ripresa ripetutamente da un altro economista e pensatore laico P. SYLOS LABINI, curatore dell’Introduzione, come pure da V. Foa in acuti interventi pubblici. 15 Nomadelfia, un popolo nuovo, supplemento a “Nomadelfia è una proposta”, 32 (1999) 1; esperienza fondata sulla tensione escatologica, etico-sociale insita nel carisma e dal “progetto di uomo” di don Zeno Saltini, ispirato dal radicalismo evangelico della condivisione dei beni e dal motto “né servo né padrone”; simile per certi versi alla concezione israeliana di pedagogia sociale del Kibbutz, controverso modello di società collettivista e di frontiera nel contesto problematico del vicino Oriente.


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• Regno Unito - segue la strategia di promozione dell’impegno civico dei giovani associati a progetti di organizzazioni no profit.

La situazione italiana: il Servizio civile alternativo al Servizio militare Nella nostra Repubblica il cammino del servizio civile procede essenzialmente in parallelo con quelli dell’obiezione di coscienza al servizio militare, della cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo e del volontariato o terzo settore, sostenuto in molteplici prospettive per ragioni etiche-religiose o politiche. Tali fenomeni coinvolgono nel tempo centinaia di migliaia di giovani in età di leva e differentemente motivati, per i quali vengono attivati una pluralità (quanto a natura pubblica e privata, finalità, ispirazione culturale e ideologica, settori e stile d’inter-vento) di enti convenzionati, operanti prevalentemente nell’area dei più diffusi bisogni socio-culturali e assistenziali. L’insieme di questi filoni complessivamente rappresenta un notevole fenomeno innovativo per il panorama della convivenza civile e per le nuove generazioni, uno spazio sociale costruito dall’incontro delle istituzioni con un reale e composito movimento. Spazio valutabile in chiaroscuro, in quanto promotore ora di incisive esperienze qualificanti, significative e formative, ora più burocratiche e deludenti in termini di efficacia nella ricaduta esterna e nel vissuto, dove hanno trovato spazio casi di piccolo cabotaggio, convenienze individuali e di taluni organismi non trasparenti nella gestione tendenzialmente interessata e privatistica. Rilevando qualche indicazione dalla lettura dei dati, emerge che, in un trentennio, circa 850mila giovani obiettori di coscienza hanno svolto il SC in alternativa a quello militare, nel compimento del dovere costituzionale di “difendere la patria” (Cost. art. 52). Con ciò essi hanno scelto di mettersi – per ragioni ideali e con modalità d’impiego molto differenti – a servizio della collettività nell’impegno a sostegno del benessere sociale, sforzandosi di interpretare in positivo i valori della pace e della solidarietà, fondamento stesso della democrazia e dell’idea costituzionale repubblicana di patria. Circa tre decenni di sperimentazione dell’obiezione di coscienza costituiscono un capitale di realizzazioni e di cultura del SC assai rilevante per la programmazione di politiche sociali, ambientali, assistenziali, di animazione socio-culturale del territorio, di volontariato e del c.d. terzo settore. Si è trattato di un’importante esperienza di formazione giovanile alla vita pubblica e comunitaria, che ha messo in gioco scelte fondamentali e alternative di vita, testimonianze civili, vocazioni lavorative, familiari, professionali, sindacali e politiche ispirate ai valori della gratuità e del servizio, della solidarietà sociale, della nonviolenza, della cooperazione pacifica, dell’ecologia. In una stagione segnata da forte crisi di comunicazione e da conflittualità intergenerazionale, è stato quindi possibile creare un peculiare patto di cittadinanza tra giovani e istituzioni, in cui le responsabilità ed i doveri civici e politici hanno trovato forme originali di esercizio in un raro equilibrio con i diritti individuali e le istanze di libertà16. 16 A prescindere dalla venatura retorica di qualche slogan del tipo: “Una scelta che cambia la vita”, la realtà ed il messaggio (vedi il logo, illustrato su www.serviziocivile.it ) del Servizio civile come patrimonio collet-


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Dalla valutazione prospettica e critica del sistema di SCN17 realizzato storicamente finora, nella doppia versione degli obiettori di coscienza e dei volontari, si evince che il moderno Servizio civile si salda al concetto delle prestazioni gratuite e libere di pubblica utilità e si radica nella ricerca di un modello di attività alternativa agli obblighi civici previsti tradizionalmente per il servizio militare. La natura e le finalità del SC si modulano in svariati campi di lavoro pratico o di ricerca sociale e progettazione preferibilmente – come si è già accennato – nei settori ambientali, assistenziali, socioculturali in forme di animazione, tutela, soccorso a vittime di questioni sociali, soggetti deboli o coinvolti nei conflitti. Intanto, l’affermazione di un ruolo positivo e pacifico delle istituzioni rafforza le relazioni internazionali e dà impulso a riconoscimenti legali ed a nuove forme di servizio e cooperazione, in prevalenza promosse attivamente da organizzazioni non governative (ONG), sostenute da accordi e pianificazioni di governi ed istituzioni pubbliche. Appare connaturale in tale impostazione il prevalere della sensibilità verso le problematiche di frontiera, alle fasce sociali marginali, ai Paesi poveri, attenzione coniugata alla preoccupazione di non occupare potenziali posti destinati al tradizionale mercato del lavoro, men che meno di interesse diretto della mano d’opera locale, sempre da valorizzare e non sacrificare.

Prospettive e considerazioni conclusive Pur in presenza di oggettivi limiti, insufficienze e la non esaustività della risposta per la risoluzione delle tante e complesse problematiche poste davanti alla proposta di SCO, rimane determinante il significato di una iniziativa carica di progettualità sul piano della pedagogia sociale, dell’etica e della sensibilità politica, certamente da approfondire e qualificare ulteriormente, non riducibile a suggestiva provocazione radicaleggiante o ingenuo spirito idealistico. L’efficacia del progetto decide il suo destino sulla capacità e il coraggio di porre in comunicazione e sinergia lo sforzo dall’alto da parte delle istituzioni di immaginare un nuovo progetto politico generale di Paese, e le istanze dal basso di un movimento d’opinione impegnato in micro-realizzazioni altruistiche di rilevante valore civile. Ne può derivare l’impulso a leggere in profondità alcuni bisogni non effimeri legati ai segni dei tempi nuovi, recependo, elaborando e trasmettendo pur criticamente ai giovani le più valide tradizioni culturali e sociali condivise da una non trascurabile parte dei consociati, in singolare e dinamica armonia proprio con i valori fondamentali della Costituzione del 1948. Non secondario carattere del SCO sarebbe, infine, la ritivo, educativo e sociale si compenetra ormai con il panorama della vita, dei simboli e della tradizione del Paese, pur tra ricorrenti punte polemiche a proposito della sua reale utilità e consistenza, efficienza, trasparenza, sincerità e autenticità, suscitando echi letterari e cinematografici del tipo: F. STARNONE, Più leggero non basta. Educazione alla diversità di un obiettore di coscienza, Feltrinelli, Milano 1996; G. CULICCHIA, Tutti giù per terra, Garzanti, Milano 2004. 17 Una documentata disamina sul SCN di ieri e di oggi proiettata anche sugli sviluppi del domani, condotta in termini problematizzanti e sostenuta da valutazioni critiche, viene offerta da A. DRAGO, Quale etica nel servizio civile? La “difesa popolare nonviolenta” e l’economia di pace, in “Rivista di teologia morale”, 149 (2006) 59-73.


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scoperta della parte, di solito negletta, che la nostra Carta dedica ai “doveri”18. Ma, soprattutto, la proposta dell’istituto qui esaminato potrebbe rafforzare la componente migliore dell’identità nazionale italiana, per altro oggi controversa, che può fondarsi solo su una ben formata e rinnovata coscienza civile, e non può e non deve perdere la speranza e la memoria della sua anima più profonda: il segno dell’apertura solidale verso gli altri, al mondo e ai diritti delle generazioni future19. Fonti e bibliografia In parallelo con la vasta ricerca scientifica e pedagogica, di cui riferiscono le sintesi, accompagnate dall’essenziale bibliografia, di L. CORRADINI, Cittadinanza, in G. GERINI - M. SPINOSI (a cura), Voci della scuola, vol. VI, “Notizie della scuola”, Tecnodid, Napoli 2007, pp. 58-73; B. LOSITO, Educazione alla cittadinanza, in G. GERINI - M. SPINOSI (a cura), Voci della scuola, vol. IV, “Notizie della scuola”, Tecnodid, Napoli 2005, pp.105-112; vanno acquistando rilevanza e autorevolezza una serie di Documenti dell’UNESCO, Raccomandazioni, 2003; dell’OCSE; dell’UE, Libro bianco della Commissione europea sulla Gioventù, 2002; Direttive comunitarie (Lisbona 2003); del Consiglio d’Europa culminati nel: “2005, Anno europeo della cittadinanza democratica attraverso l’educazione”; ma vedi pure l’apporto dell’International Association for the Evaluation of Educational Achievement, Terza indagine internazionale e comparativa sull'educazione civica e alla cittadinanza; ed altri riferimenti rintracciabili nei siti del Consiglio d’Europa:http://www.coe.int/T/I/Com/ Dossier/Tematiche/ Cittadinanzaeducazione/; ed ancora, in lingua italiana, in www.scuolacittadinanzaatti va.it. In Italia la ricezione della problematica nei testi normativi: Mpi 8.2.1996, n.58 Nuove dimensioni formative: educazione civica e cultura costituzionale; L.28.3.2003, n.53 Delega per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, art.2,f: “educare ai principi fondamentali della convivenza civile”; Mpi direttiva 16.10.2006 prot. 5843/A3, Linee d’indirizzo sulla cittadinanza democratica e la legalità.; L.30.9.2008, n.169, Disposizioni urgenti in materia di istruzione e di università, art.1,Cittadinanza e costituzione; ed ulteriori materiali sono riportati nel sito dell’Invalsi, www.invalsi.it e dell’Osservatorio sulla cultura della cittadinanza democratica del Laboratorio di Pedagogia sperimentale, Facoltà di scienze della formazione, Università di RomaTre, www.lps.uniroma3.it/lps/oss-cittadinanza/cittad-base.

18 Cfr. I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Giappicchelli, Torino 2007 (infra ulteriori indicazioni bibl.). 19 Su questo tema, vedi spec.: AA. VV., Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, a cura di R. BIFULCO e A. D’ALOIA, Napoli 2008 (infra ampia bibl.).


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 415-431

Una Pastorale rinnovata nel segno dell’educativo

2. I criteri operativi dell’educazione permanente Patrizia Moretti

In questa seconda parte si giunge al punto nodale della riflessione. In essa si cercherà di verificare se esiste, con quali modalità e limiti, la possibilità di una connessione proficua tra le tematiche pastorali emerse in sede iniziale e le indicazioni scaturite dalla panoramica sulla Educazione Permanente1. L’ipotesi di lavoro da cui muove il tutto è che l’EP, rettamente intesa, può offrire un modello di risposta alle esigenze pastorali espresse, in particolare quelle legate ad una nuova attenzione al mondo adulto, che aspirano ad un rinnovamento dell’intera pastorale. Questo non comporta necessariamente l’abbandono di altri modelli, ma solo l’arricchimento delle possibilità di azione pastorale.

C

hiaramente l’insistenza sull’EP e l’assunzione eventuale della sua prospettiva richiede una riorganizzazione dell’azione ecclesiale, aspetto che d’altro canto è colto dalla stessa Nota pastorale Rigenerati per una speranza viva, quando ad esempio tratteggia una Pastorale sempre più “integrata”: “Una strada da percorrere con coraggio è quella della integrazione pastorale tra i diversi soggetti ecclesiali […] Siamo davanti ad un «disegno complessivo» richiesto dal

1

Cfr P. MORETTI, Una Pastorale rinnovata nel segno dell’educativo. 1. La prospettiva dell’educazione permanente, in Rivista Lasalliana, 76 (2009)2, 233-248.


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ripensamento missionario in atto nelle nostre comunità […] Alla base della pastorale «integrata» sta dunque quella «spiritualità di comunione». Una pastorale «integrata» mette in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempo stesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e realizzati insieme […] In tal modo, una pastorale integrata, con le differenze che accoglie ed armonizza al proprio interno, rende la comunità in grado di entrare più efficacemente in comunicazione con un contesto variegato, bisognoso di approcci diversificati e plurali per un fecondo dialogo missionario” 2.

L’EP per sua natura è sviluppata da diversi soggetti: anch’essa reclama una sua forma “integrata”. Ma cosa potrebbe accadere a livello pastorale se si accentuasse la vocazione ‘pedagogica’ della Chiesa e si assumesse effettivamente la prospettiva pastorale di “partire dall’unità della persona”?

Progettare la Pastorale a partire dalle persone: una Pastorale Permanente Dal punto di vista pastorale entrare nell’ottica dell’EP, comporta il farsi carico del problema della persona adulta e della sua crescita integrale. Finora verso gli adulti ci si è mossi privilegiando alcuni momenti, senza che i percorsi avessero una loro coerenza nel tempo. Si tratterebbe di correggere questa educazione “a pezzi” e farla diventare un tutto unitario. 1. Rischi e possibilità Una tale prospettiva comporta tuttavia alcuni rischi. Anzitutto quello di un atteggiamento paternalistico, tanto più indisponente quando lo si incontra da adulti, per cui tutto deve essere predisposto, da quando si nasce a quando si muore: in questo modo si rischia di non far diventare autonome le persone. Ma una EP vera presuppone persone in grado di prendere decisioni su loro stesse, persone consapevoli. Inoltre ad un adulto non si “insegna”: gli si mostra come funzionano le cose. Sarà poi egli stesso a determinarne il senso. L’adulto insomma ha una sua dimensione che è diversa da quella del bambino: ha già vissuto ed ha fatto esperienze importanti, più importanti forse di quelle compiute da chi gli si propone come “docente”. Il secondo rischio è quello di scegliere le vie di educazione più semplici ed immediate: ad esempio il “fare” è sovente meno faticoso del pensare, quando invece il cammino di approfondimento deve essere necessariamente lungo e praticamente mai concluso. Un terzo rischio è quello di insistere troppo sulla educazione per tutta la vita: potrebbe far passare in seconda luce l’importanza della formazione di base e togliere effica2 Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale, Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo, 29.06.2007, in NCEI, 4 (2007), n. 25.


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cia alle tradizionali agenzie educative, quali la scuola e la famiglia, che solitamente, anche in ottica di EP svolgono un ruolo essenziale. Si elabora infatti a partire da quello che si ha: senza fondamenta non si può costruire alcunché3. In positivo, però, la prospettiva dell’EP sottolinea la reciprocità nel rapporto educativo, un cammino comune verso una vita più piena. Questo perché ciascuno ha una propria precomprensione della vita che deve essere messa a confronto: è una considerazione importante che vale anche all’interno del cristianesimo. In sede di EP, il dialogo educativo muove dalla verità della vita delle persone implicate: l’incontro con la Parola di Dio e con la Rivelazione, diventa lo strumento principe per comprendere e dare un senso a quanto si vive, se necessario, a riorientarlo e purificarlo. E questo ha valore sia per colui che svolge la funzione docente, sia per colui che si ritrova ad apprendere. 2. Superamento della impostazione corrente E’ fondamentale comprendere che “partire dalla persona” comporta un cambio di mentalità così profondo che per essere attuato “serve” l’intervento dello Spirito. E serve una progettualità nuova che è già rinnovamento. Verso la progettualità pastorale esistono almeno due atteggiamenti distorti. Nel primo si progetta, ma di solito, non si ha una reale fiducia in riferimento a questa impostazione: in fondo si crede che le varie “cartacce” non abbiano grande valore. Più che gli uomini, ci pensa lo Spirito e questo soffia dove vuole. Nel secondo, il progetto diventa il totem: si agisce solo se ogni aspetto è precisato. In realtà il progetto dà forma operativa primaria alla decisione pastorale. Questa terminologia può essere utilizzata anche in senso più ampio, riferendosi “[…] non solo alla fase progettuale propriamente detta, ma a tutto ciò che la precede e ciò che la segue (in pratica diventa sinonimo dell’intero tragitto metodico della riflessione teologico-pastorale)”4. Più specificatamente è la programmazione che valuta la fattibilità e l’esecuzione del progetto: essa non è altro che l’abitudine a verificare e riorientare continuamente l’azione pastorale5. Il tutto, guidato dal metodo del “discernimento”, che si propone di scrutare i segni dei tempi, per comprendere i suggerimenti dello Spirito6. E’ azione eminentemente comunitaria. In questa azione comunitaria svolge un ruolo essenziale l’autorità che sa mettersi al servizio del discernimento comunitario e lo promuove. Chi è chiamato a rivestire il ruolo dell’autorità, deve in qualche modo anche favorire il cambiamento in vista della edificazione della Chiesa. Può e deve aiutarlo la convinzione, ma anche i risultati di

3 Su questo rischio non solo teorico, cfr. M. T. MOSCATO, “Ripensare l’idea di educazione permanente”, in C. SCAGLIOSO (a cura di), Per una paideia del terzo millennio. Scenari pedagogici, Proposte e riflessioni, vol. II, Armando editore, Roma 2007, pp. 249-255. 4 S. LANZA, Convertire Giona. Pastorale come progetto, Edizioni OCD, Roma 2005, p. 109. 5 Cfr. ivi 6 Cfr. ibidem, p. 121.


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esperienza, che solo operando i necessari cambiamenti, si garantisce l’identità, che non va intesa come qualcosa di statico, bensì come una realtà in divenire, aperta7. Come avviene in concreto tutto questo? Certamente non è sufficiente soltanto la produzione di buoni documenti8. Bisognerebbe farsi carico della dimensione istituzionale del rinnovamento. In altre parole occorre garantire (per la qual cosa servono investimenti economici che sostengano la buona volontà delle persone) luoghi, persone, strutture in grado di portare avanti il rinnovamento. L’autorità inoltre ha il ruolo fondamentale di: - sostenere, favorire e vigilare su alcune esperienze pilota già in atto, che potranno poi risultare come punti di riferimento per gli altri; - attivare esperienze formative in cui la persona sperimenta la sua crescita umana e cristiana. Tutto questo comporta un impegno importante nel favorire la comunicazione tra le diverse agenzie sul piano progettuale e di azione, elemento che presuppone il riconoscimento di dette agenzie e della validità dei progetti di cui si fanno promotrici. In sede di verifica, l’autorità, sempre in ascolto dello Spirito, dovrebbe aver presente che le prospettive potrebbero essere diverse: d’altro canto anche per comprendere il suo Signore, la Chiesa si basa su più punti di vista, quelli dei Vangeli9. L’essenziale è giungere ad una sintesi. Ma la sola autorità non basta. Non basta l’azione dall’alto: serve che anche dal basso ci si muova, cominciando dalla volontà ad essere protagonisti. Tutto questo apre l’ampio problema della corresponsabilità ecclesiale, dello stile sinodale, delle forme di collaborazione, delle modalità di partecipazione: tutto va visto nell’ottica di chi dirige, ma anche nella prospettiva di chi partecipa. Né gli uni, né gli altri possono pretendere tutto. Forse il nodo di questa nuova progettualità in divenire si può rintracciare nel concetto di “comunione”, che nel linguaggio “umano” si declina come “relazione”. E’ la relazione che garantisce la soggettività più di ogni altro approccio. Ma oggi si percepisce bene quanto difficile sia diventato l’entrare in effettiva relazione con gli altri, a cominciare dalla relazione fondante con l’Altro. In un certo senso queste istanze sono state avvertite dai Vescovi, che nella citata Nota pastorale scrivono: “L’ascolto della vita delle comunità cristiane permette di cogliere una forte istanza di rinnovamento. Se negli ultimi anni è parso sempre più evidente che il principale criterio attorno al quale ridisegnare la loro azione è la testimonianza missionaria, oggi emerge con chiarezza anche un’ulteriore esigenza: quella di una pastorale più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria. Secondo queste linee occorre impegnarsi in un cantiere di rinnovamento pastorale […]. Le prospettive verso cui muoversi riguardano la centralità della persona e della vita, la qualità delle relazioni all’interno della comunità, le forme della 7

Cfr. I. SANNA, L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Queriniana, Brescia 2006. 8 Fa parte delle caratteristiche di un buon documento la sua leggibilità: come esiste il “politichese”, così esiste “l’ecclesiastichese”… 9 Con il che si vuole semplicemente dire che il pluralismo dei punti di vista è strutturale all’evento cristiano. Poi certamente non basta affermare un punto di vista: il discernimento comunitario in cui agisce anche lo Spirito (“lo Spirito santo e noi”, At 15, 28), diventa necessario per maturare una scelta condivisa.


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corresponsabilità missionaria e della integrazione tra le dimensioni della pastorale, così come tra le diverse soggettività, realtà e strutture ecclesiali” (n 21).

Si può notare una evoluzione del concetto di pastorale: non è più soltanto l’agire ecclesiale organizzato, quanto l’insieme delle relazioni intra- ed extra- ecclesiali. Ne nasce una idea di Chiesa come famiglia dove ognuno trova un suo spazio riconosciuto. La Chiesa infatti non deve dimenticare di essere mediazione di altro, del rapporto tra l’uomo e Dio: non deve sostituirsi a tale rapporto, deve piuttosto renderlo possibile10. 3. Per fare il punto della situazione Un superamento della prospettiva pastorale odierna verso una pastorale per tutta la vita ha alla base alcune convinzioni. Provo a riassumerle brevemente: è nella soggettività che Dio si presenta alla esperienza personale. La Bibbia mostra un Dio che si rivela nella storia degli uomini con parole e gesti intimamente connessi. Questa presenza di Dio nella storia, non è dall’alto: si compie attraverso la scelta di uomini precisi, in contesti precisi. E’ tuttavia proprio della Scrittura parlare a tutti, mentre Dio parla a qualcuno: le domande ad Adamo, Caino, Mosè, a Gesù stesso, sono domande a ciascuno di noi11. Soggettività e trascendenza non sono nemici. Da quanto appena sottolineato la soggettività non è contro la trascendenza, anzi ne è il luogo. L’uomo è chiamato a trascendersi e questo gli appartiene in quanto persona. Questo trascendersi è, alla fine, capacità di donarsi: coincide con l’amore oblativo. L’affacciarsi di Dio è legato alla relazione interpersonale. La dimensione relazionale, che è poi la dimensione comunitaria, è uno dei nodi fondamentali attraverso il quale passa il rinnovamento pastorale. Qui la convinzione dell’importanza della relazione non è affidata solo all’esperienza umana: è infatti nella relazione, in quanto carità, che si sperimenta la presenza di Dio tra gli uomini. La relazione interpersonale apre alla verità della vita: perdersi per ritrovarsi. La relazione infatti è la chiave di lettura per provare a capire noi stessi e quello che siamo. La relazionalità con gli uomini, ma soprattutto con Dio, il Tu assoluto. Tuttavia entrare in relazione è difficile, è sempre un po’ un morire a se stessi. Assumendo la prospettiva della persona si creano le condizioni per cui il nome di Dio può essere ridetto ed accolto anche oggi in questo mondo che vede l’uomo frantumato. L’annuncio si deve fondare sulla verità dell’uomo perché questi è strutturalmente aperto alla trascendenza: Cristo è in qualche modo unito ad ogni uomo. “Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito

10

Il mea culpa di GS 19 sulla responsabilità dei cristiani in riferimento alla nascita dell’ateismo dovrebbe farci riflettere. [EV 1, 1375]. 11 Di ciò si era reso conto anche E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 2000 (or.1956)


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con volontà d’uomo, ha amato con cuore di uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”12.

La Chiesa dovrà porsi nella prospettiva di interprete dell’umano e della verità dell’uomo. Essa è esperta in umanità: lo è a partire da Cristo. Per questo dovrà essere, in modo sempre nuovo, “consapevole della situazione” dell’uomo di oggi. Facendosi carico della persona, la Chiesa deve ridisegnare tutta l’azione pastorale. E la Bibbia, la tradizione, gli stessi dogmi? Non vengono meno: vengono letti come strumenti ermeneutici, che accompagnano e illuminano la vita13. Non è debolezza, ma una maggiore forza che viene dalla autorevolezza: dipende dal riposare nella verità. Qualche volta sembra che la verità posseduta, invece di essere presentata, percepita e proposta come dono liberante, venga imposta, diventi una pretesa. E’ uno dei motivi del rifiuto che registra la Chiesa. Bisogna invece sforzarsi di individuare la strada lunga della ricerca comune e dell’emergenza dell’umano. Tale impostazione teorica deve riflettersi anche sulla organizzazione pratica dei percorsi formativi: maggiore protagonismo delle persone e minore imposizione dall’alto. Una prospettiva pastorale così caratterizzata dovrebbe diventare “affare di chiesa”, non problema privato dei singoli operatori. E’ l’intera comunità cristiana che deve migliorare la sua qualità di accoglienza. Oramai nessun progetto pastorale a partire dalle persone, può essere fatto sulla testa delle stesse: queste dovrebbero essere coinvolte nel processo formativo, a partire dalla sua progettazione14. Nascono una serie di questioni importanti di natura anzitutto operativa:

- Come aiutare le persone a riappropriarsi della propria vita sentendosi protagonisti? - Come sviluppare il senso del discernimento personale e comunitario? - Come tener vivo il senso della ricerca di ciò che è buono e vero? - Come aiutare ad aprirsi agli altri? - Come sostenere la capacità di risposta ad esigenze sempre nuove? - Come sperimentare che il luogo ecclesiale è luogo di elaborazione di senso della vita? - Come pensare l’impatto con la proposta cristiana in modo che essa risulti provocatrice rispetto alla maturazione della vita?

Domande a cui, probabilmente, solo una Pastorale in prospettiva di educazione cristiana permanente può sperare di trovare risposte.

12

GIOVANNI PAOLO II, RH 8 [EE 8, 25]. E’ la citazione di GS 22. Un testo particolarmente caro all’allora vescovo Wojtla: egli contribuì alla sua stesura in sede conciliare. 13 Ad esempio il dogma della risurrezione della carne fornisce una grande consolazione alle persone in lutto ed offre un senso a quanto è stato vissuto. 14 E’ uno dei criteri fondamentali utilizzati dal CENTRE NATIONAL DE L’ENSEIGNEMENT RELIGIEUX, Formation chrétienne des adultes. Un guide théorique et pratique pour la catéchèse, Robert COMTE coord., Desclée de Brouwer, Paris 1986.


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4. Alcune esigenze dell’impostazione pastorale prefigurata15 Senza pretendere di essere esaustivi né particolarmente sistematici, sembra necessario evidenziare alcune esigenze che nascono da questa nuova prospettiva pastorale che intende “partire dalla persona”. In questa rapida carrellata recupererò alcuni degli aspetti evidenziati tra le priorità strategiche emerse a Verona.

1. Trascendenza - L’esigenza di trascendenza esprime il primato di Dio nell’azione

pastorale. Detto con altre parole: l’azione di carità deve essere compresa come tale e non come puro “filantropismo”. Si può lavorare per l’uomo pur essendo atei, ma “ciascun uomo rimane a se stesso un problema insoluto, confusamente percepito. […] A questo problema soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l’uomo a pensieri più alti e a ricerche più umili”16. Troppo spesso la dimensione religiosa trascendente, viene messa tra parentesi. In questo modo, non chiarendo le motivazioni, si propone una speranza senza fondamento. E il fondamento della speranza si trova nella fede pasquale in Cristo morto e risorto per gli uomini. Il che, pone anche in luce il problema della salvezza, oggi sempre meno avvertito17. Pertanto è necessario che tornino ad emergere le motivazioni cristiane fondamentali: e qui un ruolo essenziale è svolto dalla frequentazione sapiente con la Parola di Dio e con i sacramenti, ma anche da un duro lavoro su se stessi nella purificazione delle proprie motivazioni. Naturalmente tutto questo mira a valorizzare la persona e dunque “vale” anche nei confronti della persona stessa, che deve imparare ad accogliersi come Dio la accoglie. Solo accettando di essere figli, possiamo pensare di essere santi18. L’esigenza della trascendenza non è incollare un’etichetta religiosa a ciò che religioso non è. Piuttosto è l’esigenza di vivere in modo religioso le cose che si fanno, per quanto possano essere “molto umane”. Ora questa prospettiva religiosa non può restare implicita, pur nel rispetto dei percorsi di ciascuno.

2. Relazione - Relazione dice “vicinanza” con le persone e i loro problemi. Una vicinanza umana, fatta di affetto, di interazioni, di rispetto, di dialogo prudente ed avvertito; ma anche una vicinanza divina, che salva, perché trasforma l’uomo dal di dentro. E le due cose non possono camminare separate. L’uomo in difficoltà deve poter intravedere, nel cristiano che lo avvicina, una luce diversa, che viene da “altrove”. E troppo sovente questa “attesa” è “disattesa” dall’incrociare interventi umani, “troppo umani”. Per cui la cifra della relazione nella pastorale prefigurata, diventa una attenzione disinteressata, che è poi il vero interesse per il bene di tutti e della persona. Se il cristiano “parla” è affinché l’uomo, tutti gli uomini e tutto l’uomo, crescano secondo la statura di Cristo e non secondo la nostra19. Questa relazione tra il cristiano e 15

I Vescovi italiani (cfr. nota 2) propongono delle linee-guida, come è stato già esplicitato. GS 21 [EV 1, 1381]. 17 Ormai si teorizza una salvezza senza fede. Cfr. S. NATOLI, La salvezza senza fede, Feltrinelli, Milano 2007. 18 La santità, misura alta della vita cristiana, non come vetta da scalare, ma come presa di coscienza di ciò che effettivamente siamo agli occhi di Dio. Questo ha evidentemente delle conseguenze: noblesse oblige. 19 Su questo cfr. l’articolato intervento di R. LACROIX, “ L’esperienza spirituale degli adulti alla ricerca della fede”, in CEI UCN, Passaggi di vita, passaggi di fede. Evangelizzazione e cateche16


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l’uomo di oggi, poi, deve essere concreta, reale. Qui entrano in gioco il modo con cui costruiamo i rapporti sociali, come facciamo cultura, come viviamo la nostra realtà comunitaria.

3. Integrazione - E’ da intendersi in due sensi: integrazione fede-vita-cultura; integrare i vari momenti formativi. (1) Circa l’integrazione fede-vita-cultura bisogna essere realistici: oggi la fede non è un possesso certo. Quindi occorre considerare prioritaria l’esperienza autonoma di ciascuno e mostrare poi come la fede risulti irrinunciabile per una esperienza umana veramente realizzata. L’obiettivo ultimo resta la maturazione della persona, creatura e figlio di Dio. L’adulto non deve mai avere l’impressione che si vuole condurlo lontano da se stesso, dalla sua vita e dalla sua esperienza: è dentro di esse (la sua storia) che Dio ha parlato. Deve piuttosto essere aiutato a scoprirne la voce20. (2) In riferimento all’integrazione dei momenti formativi: questo richiede una grande azione di coordinamento e una valorizzazione delle esperienze diverse. Ciò comporta una serie di atteggiamenti sia da parte di chi coordina (accoglienza delle persone, capacità organizzativa, chiarezza negli obiettivi finali), sia da parte di chi “arriva” portando la propria esperienza (che è importante, ma non è l’unica). In particolare occorre comprendere che confrontarsi non porta ad allontanarsi, al contrario, facilita il ricentramento su se stessi e una migliore comprensione della propria esperienza. Dunque integrare non vuol dire uniformare, ma dare un senso unitario ad un percorso che è fatto di molti passaggi e di stimoli diversificati. 4. Chiarezza di visione antropologica - Senza dimenticare la necessità di una metafi-

sica della persona e quindi un pensiero antropologico riflettuto, è esigenza oggi della Pastorale, una visione antropologica che non deduca l’uomo dalla Bibbia, ma che utilizzi la Bibbia per interpretare l’uomo21. Tale visione prevede alcuni passaggi qualificanti che devono diventare patrimonio di ciascuno: - il passaggio dalla frammentarietà, al senso dell’io e della soggettività, intesi in senso positivo unitario; - il passaggio dal sentirsi autosufficienti, al mettersi in atteggiamento di ricerca; - il passaggio da uomo che chiama ed invoca, a quello che scopre di essere chiamato. Passaggi importanti, ma non necessariamente cronologici. La dignità umana da realtà puramente affermata, deve cominciare a tradursi in opere di uomini degni. L’agire morale non deve arrivare dal di fuori come imposizione; deve scaturire da quello che si è scoperti di essere, per dono, dall’alto22.

si degli adulti nelle “transizioni” della vita. Atti del XL Convegno nazionale dei Direttori UCD, in Notiziario UCN, 3 (2007) 17-43. 20 Come Mosè sul monte. Cfr. B. FORTE, Passaggi di vita e passaggi di fede. L’icona di Mosè, in CEI-UCN, Passaggi di vita…, cit., pp. 11-16. 21 La riflessione antropologica cristiana deve continuare ad essere attenta alle sempre nuove tematiche che emergono. Nello stesso tempo occorre continuare a lavorare perché il concetto di “persona”, contrastato in diverso modo, trovi fondamenti anche razionali e non soltanto teologici. Su questa linea cfr. SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE CEI, Il futuro dell’uomo. Fede cristiana e antropologia, IV Forum, EDB, Bologna 2002; cfr. anche A. RIGOBELLO, Lessico della persona umana, Studium, Roma 1986. 22 In questo senso una morale che parta dalle virtù donate, quelle teologali. Su questa linea cf.M. COZZOLI, Etica teologale. Fede Carità. Speranza, San Paolo, Cinisello Balsamo ³2003.


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5. Ruolo di mediazione della Chiesa - In tutto questo, il ruolo della Chiesa, intesa

come comunità organizzata, resta essenziale e necessario. Cessa di essere autoritario; non smette, e non può farlo, di essere autorevole. Come il suo Signore, parla come un “rabbi” che ha autorità, perché ciò che dice: - viene da Dio, non da considerazioni prudenziali semplicemente umane; - corrisponde a quello che fa23. L’autorità è istituzionale e necessaria ad ogni gruppo umano, ma l’autorevolezza si guadagna sul campo. Ed oggi non è più possibile staccare autorità ed autorevolezza. Questo obbliga la Chiesa a mettersi in gioco, a dimostrare che ha le qualità necessarie. La religione in questa ottica non è una imposizione, diventa una sorta di “approfondimento della vita”: si cercano le tracce di Dio. E la Chiesa aiuta l’uomo a riconoscerle, a metterle in evidenza. Come è stato detto a Verona, la Chiesa attraverso la sua azione deve “far risaltare il grande sì di Dio all’uomo”24.

6. Partecipazione - Con questo termine indico sia la partecipazione all’interno della

Chiesa, sia la partecipazione alla vita sociale. Quest’ultima si avvicina al discorso politico, mentre la prima pone il problema del ruolo delle diverse componenti che compongono la realtà ecclesiale. La partecipazione non consiste solo nel confrontarsi, ed avere la possibilità di dire la propria, né nel lavorare insieme ad altri che hanno scelto di assumere il ruolo di dirigenti. Partecipazione non è mera collaborazione, anche se chiede collaborazione, e questa è necessaria. Partecipazione vuol dire cambiare il modo di lavorare e di impegnarsi: si tratta di scoprire e comprendere l’importanza del lavoro in équipe, della essenzialità dei collaboratori e delle loro motivazioni25. Più profondamente la partecipazione consiste nell’avere la sensazione di aver contribuito ad elaborare la decisione finale26. Diventa fondamentale il processo di discernimento comunitario, costruttore esso stesso della comunità. Tale metodo, da proposta pastorale, deve diventare abituale pratica pastorale.

7. Cultura - Nel triplo senso di possederla, produrla, utilizzarla per confrontarsi. Si spera che siano finiti i tempi in cui si parlava di tutto e su tutto, magari in sede omiletica. Così come dovrebbero essere finiti i tempi degli uomini di un solo libro. “Dovrebbero”, perché la nostra è un’ era di specializzazioni. Le specializzazioni e le relative competenze, sono necessarie per dire qualcosa di significativo in un qualsivoglia settore del sapere. Tuttavia le competenze specifiche in un settore non sono sufficienti per tutto il resto della vita. Anzi in alcuni casi possono essere fuorvianti. Serve 23

L’invito evangelico a “fare quello che dicono e a non fare quello che fanno” è indirizzato ai farisei. Ripeterlo e usarlo come giustificazione significa mettersi dalla loro parte. 24 Su questa linea sembra che si muova CEI, La formazione dei presbiteri nella chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano ³2007. Nel precisare le finalità della formazione sacerdotale si legge tra l’altro: “trasmettere la stima per i carismi e i ministeri dati a tutti i fedeli, consolidando l’attitudine a progettare e lavorare insieme”(n 2). 25 Cfr. F. MARCHESINI – DE TOMASI,«...ma tra voi non sia così». Spunti per una educazione al servizio di autorità, EDB, Bologna 2002. 26 L’argomento è molto studiato dal punto di vista della psicologia. Cfr R. RUMIATI – N. BONINI, Psicologia della decisione, Il Mulino, Bologna 2001.


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dunque un sapere generale, ampio, si può dire “umanistico”27 che sappia fare sintesi dei diversi apporti, compreso quello teologico28, e serve anche un sapere specifico, “tecnico”. Tutti e due i saperi non sono oggi acquisiti una volta per tutte: vanno coltivati con serietà, addirittura con profondo senso di responsabilità e di attenzione. Lo studio serio nella vita cristiana non può essere un optional, o un presupposto per chi assume qualche responsabilità: per questi ultimi è un obbligo grave. Oggi tuttavia “farsi una cultura” non basta: bisogna entrare nell’ottica di produrla, anche perché secondo i nostri Vescovi “non è possibile dire la novità che proclamiamo in Cristo risorto, se non dentro le forme culturali della esperienza umana”, che sono anche “la trama di fondo delle esperienze di prossimità”29. Ma cosa vuol dire “produrre cultura”? Mentre si lavora alacremente al “Progetto culturale orientato in senso cristiano”, si può osservare un aspetto, a mio avviso importante. Produrre cultura è produrre “oggetti culturali”: musica, pittura, letteratura, film… La cultura cattolica ha prodotto la“Divina Commedia” e i “Promessi sposi”: servono altri Alighieri e altri Manzoni. Forse, ancora meglio, si può dire che è esigenza della Pastorale di oggi che emergano maggiormente le capacità espressive dei cristiani. Quanto appena sottolineato a proposito della cultura, investe direttamente anche una esigenza di professionalità di chi opera nel campo della Pastorale. E su questo versante il lavoro da fare appare immenso. Infine, utilizzare la cultura per confrontarsi. Dal Vaticano II, è diventato un luogo comune il confronto con il mondo contemporaneo e la cultura che gli appartiene. Sovente ci si rende conto che la cultura non è solo un fatto etereo: alle spalle ha strutture di produzione potenti. Così qualche volta il confronto diventa scontro, anche duro. Ma le difficoltà non devono far diminuire l’esigenza di dialogo, anche quando questo risulta obiettivamente bloccato30.

8. Media: il linguaggio - Se si posiziona la persona al centro, la comunicazione pastorale deve cambiare. E il linguaggio religioso può giocare un ruolo importante: esso in

qualche modo manifesta la comunicazione di Dio, che parla in una brezza leggera e vuole il deserto e il monte31. Oggi, tuttavia, questo tipo di comunicazione deve fare i conti con il mondo dei media che invece è un mondo di frastuono e di nuova Babele: é un mondo che si sviluppa a dismisura, in forme molto variegate di difficile sintesi anche concettuale32 ed in forza della sua strana natura relazionale33, si configura co27 Pur provenendo da altre fronti cfr. M. N. NUSSBAUM, Coltivare l’umanità, Carocci, Roma 1999. All’affermazione montiniana della chiesa “esperta di umanità”, deve fare riscontro una pratica cristiana effettivamente su questa linea. 28 Si legge, nella motivazione della collana Teologia e saperi a cura dell’associazione “L’asina di Balaam”, questa affermazione che si può condividere: “La collana, proponendosi di offrire occasioni per ripensare il reciproco estraneamento di ragione, fede di libertà e autorità, di distacco critico e affidamento credente, vuole essere un piccolo spazio di incontro essenziale tra sapere teologico e saperi “profani”; nella convinzione che su questi temi, prima ancora dell’assetto delle discipline, sia in gioco l’essenza stessa dell’uomo”. Da S. BIANCU (a cura di), Sapere che sa di fede. Lo spazio della teologia all’interno del sapere, Cittadella, Assisi 2007. 29 Nota pastorale dell’Episcopato italiano, Rigenerati per una speranza viva…, cit., n. 4. 30 Cfr. sul tema, M.P. GALLAGHER, Fede e cultura. Un rapporto cruciale e conflittuale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999. 31 Cfr. 1Re, 19, 9 -18. 32 G. ANGELINI (a cura di), La Chiesa e i media, Glossa, Milano 1996.


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me una struttura potente che può modificare gli uomini e le mentalità condivise. E non è detto che lo faccia al meglio34. Ma allo stesso tempo, i media e il mondo che gira loro attorno producono cultura, un terreno in cui la pastorale oggi vuol dire la sua. Ci si rende conto che per certi versi la comunicazione è una lotta per portare l’altro sui propri significati35. Ma questo non deve poter distruggere la cultura dell’altro, in una sorta di nascosto neocolonialismo culturale.

9. Politica - La pastorale che si cerca di disegnare ha anche una esigenza politica, nel

senso alto del termine: come attenzione, cioè, al bene della città, la presa in carico del bene comune, che non sempre è soluzione immediata di problemi. La Chiesa in quanto struttura, non “scende” in politica, ma non si disinteressa di essa. Il cristiano invece, come cittadino del mondo é chiamato a partecipare all’azione politica insieme con gli altri uomini36. Purtroppo si assiste oggi ad un vuoto politico: nessuna nuova frontiera se non quella di far quadrare i bilanci, riducendo spese e mettendo tasse. In altre parole, l’esigenza sopra richiamata pone in luce l’impegno cristiano nel costruire la città dell’uomo, avendo comunque presente la “Gerusalemme nuo-va”37. E la costruzione della città degli uomini passa inevitabilmente per il sogno divino di una fraternità universale, finalmente pacificata, perché trasformata dalla grazia38.

10. Testimonianza - L’esigenza della testimonianza riassume un po’ tutte le esigenze

finora brevemente espresse. Il nuovo modello prefigurato di Pastorale sfocia nell’ esigenza di una testimonianza di speranza cristiana nei diversi ambiti di vita, a partire dall’ esperienza trasformante dell’incontro con il Cristo risorto. Una speranza che non poggia su calcolo umano, ma si affida nella fede, alla forza della grazia, dell’amore di Dio per l’uomo. E’ questa infatti che ci rende forti quando siamo deboli, che ci consente di costruire relazioni vere, non segnate dall’ambiguità delle passioni. E’ sulla grazia che il cristiano scommette la sua capacità di amare, di pensare al bene comune, di costruire un mondo fraterno e giusto. E’ sulla grazia che scommettiamo quando elaboriamo progetti pastorali ben strutturati, con l’ingenuità innocente del bambino che comprende che gli è stato affidato un compito.

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Una relazionalità molto particolare che non avviene tra “persone”, ma tra oggetti e persone. Una relazionalità virtuale, che troppo facilmente qualifichiamo come falsa: dietro gli oggetti ci sono comunque le persone che hanno prodotto gli oggetti. Un esempio: i videogames che sembrano giocattoli per bambini, ma che al contrario sono usati da tutti, anche in forme parossistiche. Cfr. M. MAIETTI, Semiotica dei videogiochi, Unicopli, Milano 2004. 34 Non dovrebbe comunque essere sempre demonizzata. Cfr. P. WATZLAWICK, Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, Feltrinelli, Milano 42007. 35 Cfr. P.WATZLAWICK - J. H. BEAVIN - D.D.JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971. 36 “Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio con i fratelli”. GS 25 [EV 1, 1396]. 37 Cfr. Ap 21, 1-27; 22, 1-15. 38 Cfr. GS 24 [EV 1, 1393-1395].


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Prove di interazione tra Pastorale ed Educazione Permanente Molti punti di emergenza pastorale indicati sopra, trovano nella EP un loro punto di riferimento non banale. Si può provare a stabilire pertanto un confronto, un punto di contatto tra Pastorale ed EP fermandosi su qualche osservazione trasversale e qualche conseguenza. Ricordo che quando si parla di EP oggi, si ha davanti anzitutto il mondo adulto, ma ciò non toglie che essa si riferisca a tutte le età della vita. 1. Aspetti problematici - La prima osservazione che salta agli occhi è che l’EP così come è impostata oggi a livello mondiale, garantisce (e non è poco) il lato umano della proposta pastorale. Almeno nelle sue formulazioni migliori, ed in particolare in quelle operate dal personalismo pedagogico, è effettivamente attraversata da una attenzione all’umano ed ai bisogni oggi emergenti. E’ attività umana, ma con una consapevolezza alta della propria umanità. Nella sua versione “laica”, l’EP manca della prospettiva trascendente, anche se alcune volte se ne avverte l’eco lontana: la dimensione religiosa è una componente essenziale della esperienza dell’uomo e anche empiricamente occorre tenerne conto. Ma una cosa è valutare dal punto di vista umano il fatto religioso, altro è viverlo in una dimensione di grazia. E questo appartiene al cristiano. In realtà, si tratta di cambiare prospettiva: si continuerebbe a lavorare per l’uomo, aprendolo ad un fine superiore. In secondo luogo l’EP nel suo complesso, deve approfondire il discorso sistematico sul fondamento della “persona”: qui deve intervenire la riflessione filosofica cristiana, cosa che in parte è stata già fatta, ma che tuttavia deve essere sempre rinnovata. E’ da tener presente inoltre che l’EP ha a che fare con un soggetto in movimento, mai stabile; di conseguenza la riflessione si deve adeguare a questo andamento, deve essere attenta ai cambiamenti. Altro aspetto: l’EP non nasce all’interno della Chiesa e non è una realtà ecclesiale. E’ una prospettiva educativa umana,che ha avuto una propria evoluzione in contesti diversi, adotta precisi metodi, privilegia alcune strategie. Tutto questo però non esclude la Chiesa, anche nella propria volontà di coordinare i diversi interventi formativi. Infine essa non si pone direttamente il problema fortemente avvertito dalla Pastorale odierna, di una ricerca di testimonianza di speranza, anche se il personalismo pedagogico ha sottolineato questo aspetto. 2. Linee di convergenza - Accanto agli aspetti evidentemente problematici, tuttavia l’EP condivide con la Pastorale molte esigenze. Condivide l’esigenza della cultura, intesa sia come nuovi apprendimenti, sia come ri-creazione di un humus umano in cui gli uomini possano ritrovarsi e dare senso alla loro vita. Pastorale ed EP assumono entrambe un uomo frantumato, alla ricerca della sua identità, sollecitato da diverse indicazioni. Entrambe puntano ad una crescita in umanità, all’umanizzazione. Se questo comporta il recupero di lacune a vario livello, sia la Pastorale che l’EP sono sulla linea di fronteggiare questo analfabetismo di ritorno, oggi più diffuso di quello che sembra. L’EP condivide l’esigenza della politica in senso alto, come presa di coscien-


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za dei cittadini rispetto al bene comune della società. In questo senso è anche promotrice del cambio sociale, della crescita alla partecipazione democratica, come d’altro canto la Pastorale implica un’ attenzione ai problemi della cittadinanza responsabile. EP e Pastorale riscontrano un’esigenza di espressività dei soggetti. Entrambe tentano di ridare la voce, e gli strumenti di questa voce alle persone concrete, per elaborare cultura, nella convinzione che nella produzione di cultura, le persone si ritrovano39. Pastorale ed EP riscoprono l’esigenza di un protagonismo nella crescita umana, nella quale si abbia un apprendimento creativo, sempre aperto e capace di recepire il nuovo. Questo è un aspetto che ha una chiara conseguenza nei percorsi di formazione di base di qualunque tipo essi siano: nel momento in cui forniscono contenuti, devono preoccuparsi anche di dare le strutture per continuare ad apprendere in proprio. Devono fornire meccanismi mentali, atteggiamenti di fondo perché le persone imparino ad imparare40 e possano essere responsabili della loro crescita. Naturalmente tutto ciò impone alla Pastorale di ripensare in quest’ ottica i percorsi di iniziazione cristiana: diventare cristiani significa imparare a camminare da cristiani, ad essere autonomi, ma all’interno di una comunità che cresce. Pastorale ed EP acquistano un atteggiamento saggiamente critico nei confronti dei

media e dei loro meccanismi comunicativi. Ne apprezzano le possibilità, ma ne vedo-

no anche i rischi. Entrambe evidenziano l’esigenza della formazione dei formatori, a diversi livelli e con diverse professionalità. Anzi su questo terreno la Pastorale forse è anche avanti all’ EP, in particolare per i settori catechistici, di animazione pastorale dei giovani41, di formazione in itinere degli insegnanti di religione in servizio. Soprattutto l’EP e la Pastorale condividono la preoccupazione di rendere integrati ed integrali i percorsi di ciascuno e di far convergere il lavoro educativo delle molte agenzie. Per questo l’ EP è arrivata ad ipotizzare una società educativa. Su una problematica simile insiste anche la Pastorale quando sottolinea fortemente l’ esigenza della comunità di uno sviluppo di aspetti formativi e di modalità di svolgimento degli stessi.

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In questo campo l’EP ha elaborato, soprattutto in Francia e già dagli anni ’70, una figura professionale: l’animatore socio-culturale. In Italia è stato compreso solo come animatore dei villaggi vacanze e delle attività giovanili. Cfr. E. LIMBOS, L’animatore socioculturale, Armando, Roma 1993. 40 E’ uno dei quattro pilastri della educazione per il XXI secolo. Sulla tematica cfr E. MORIN, I sette saperi necessari alla educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001. Nessuno dei saperi indicati ha uno specifico contenuto. Tutti sono atteggiamenti, a cominciare dalla capacità di distanziarsi da quello che si conosce. 41 La situazione non è uguale ovunque, esiste una particolare attenzione in questi ed anche in altri settori, laddove si percepisce che la formazione dei formatori non è opzionale, ma risponde a precise richieste di professionalità. Molti gli strumenti per la formazione degli animatori di pastorale giovanile che fanno capo alla rivista Note di pastorale giovanile, Elledici.. Per quanto riguarda l’ambito della catechesi degli adulti, cfr. E. BIEMMI, Compagni di viaggio. Laboratorio di formazione per animatori, catechisti di adulti e operatori pastorali, EDB, Bologna 2003.


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3. In sintesi - L’EP, cioè un’ azione educativa organica e strutturata nel tempo, rivolta in prevalenza al mondo adulto, capace di accompagnare l’uomo nella realizzazione delle proprie potenzialità, è azione umana: rappresenta uno sforzo umano, indirizzato però alla valorizzazione della dignità dell’uomo. Ed in questa tensione si trova la sua positività. In ambito pastorale pertanto, l’EP dovrebbe essere:

- compresa sino in fondo in modo critico, riconoscendone i valori umani ed umanizzanti di cui è portatrice e che si sforza di proporre, ma anche gli eccessi e gli inevitabili slittamenti; - purificata: detto in altro modo, “convertita”, orientata con chiarezza sulla direttrice della persona e del suo valore trascendente; - vivificata: innervata dalla trascendenza. E questo è possibile nella misura in cui i metodi semplicemente umani vengano fatti attraversare dalla grazia. In questa ottica diventa strumento possibile per pensare un accompagnamento educativo delle persone veramente efficace, perché si fa carico della loro dignità di figli di Dio; - approfondita: l’EP non è un tutto compiuto e precisato. Per sua stessa definizione si occupa di soggetti in continua evoluzione, pertanto anch’essa evolve costantemente, si riprogetta. In questo lavoro il pensiero cristiano non può essere assente; - portata a compimento grazie alla rivelazione divina di cui la Chiesa ha il deposito. La luce della rivelazione le serve per acquistare consapevolezza del destino dell’uomo, che è quello di condividere la vita di Dio. Per questo l’ultima formazione è quella che ci prepara ad affrontare la morte42. Insomma per diventare effettivo strumento della Pastorale, l’EP deve lasciarsi assumere e trasformare. In effetti in molti casi lo ha già fatto43. E non è cosa strana che molti pedagogisti cristiani si siano impegnati su questo fronte.

Conclusione: la Chiesa come comunità educante? Il confronto portato avanti tra Pastorale ed EP consente di offrire eventualmente qualche indicazione. In sede iniziale ci si è chiesti se nella attuale stagione pastorale inaugurata dal IV Convegno ecclesiale di Verona, l’apporto della EP poteva essere considerato come uno stimolo importante e una prospettiva da perseguire. L’analisi compiuta della evoluzione di tale concetto ed il confronto operato con le esigenze di una Pastorale missionaria che si vuole “a partire dalla persona”, sembra che com-

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Intuizione già avuta da Comenio, che comunque era un cristiano. Esistono già esperienze di EP in ambito cattolico, soprattutto a livello di movimenti ecclesiali che avvertono fortemente questo aspetto. Ad es. quella del Masci, oppure quella, addirittura antesignana, di Nomadelfia. Su quest’ultima cfr. A. CANEVARO, La pedagogia cristiana oggi, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 117-134. Inoltre l’esperienza realizzata nel Quartiere Corea di Livorno. Esperienza educativa a se stante è invece quella di don Lorenzo Milani. Cfr. SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967; ed anche GRUPPO DON MILANI (Calenzano), Don Lorenzo Milani. Riflessioni e testimonianze, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1997. Cfr. inoltre le esperienze in atto in Italia di accompagnamento degli adulti, in CEI UCN, Passaggi di vita…, cit, pp. 46-62. 43


Una pastorale rinnovata nel segno dell’educativo.

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plessivamente consentano una risposta positiva e indichino la possibilità di un rapporto fecondo e stimolante. Nella nostra nazione, l’esempio del “progetto catechistico italiano” ha dimostrato che tale rapporto già è stato instaurato, anche se per ragioni diverse non ha ottenuto i risultati sperati. L’EP resta pertanto una possibilità della Pastorale. Ma una possibilità non è ancora una realtà. Il confronto svolto infatti ha fatto emergere che tra l’EP, come è interpretata oggi in diversi ambiti, non soltanto in prospettiva cristiana e personalistica, e la Pastorale, esistono differenze di vedute e di obiettivi che non è corretto sottovalutare. In effetti i rilievi evidenziati non consentono una assunzione acritica della EP all’interno della azione pastorale, in particolare quella rivolta al mondo adulto. Anche se il mondo cattolico, nei propri maggiori studiosi di questioni pedagogiche, ha subito recepito l’importanza, l’ampiezza, il valore umanizzante del discorso portato avanti a livello mondiale sull’ EP, oggi ci sembra di registrare un regresso generale rispetto alle posizioni espresse. Non è il mondo cattolico che è regredito, anzi: ha continuato ad insistere e a sviluppare riflessioni ampie e articolate. E’ piuttosto la realtà socio-economica attuale che sta imponendo, a livello generale della società, una visione della EP riduttiva ed asfittica: basta considerare l’evoluzione in atto nell’uso della terminologia relativa. I problemi della formazione professionale e dello sviluppo economico sono stati messi in risalto, a danno di altri aspetti anche loro assolutamente importanti, quali l’attenzione alla crescita continua delle persone, al loro sviluppo integrale, alla loro apertura alla trascendenza. Quello che non bisogna dimenticare infatti è che in ogni caso si parla di uomini, persone con una dignità assoluta che, nella prospettiva cristiana, sono chiamate a vivere in Dio. Su questo versante si può ravvisare un compito specifico per la pedagogia cattolica: evitare che l’EP prenda una deriva solo funzionalistica, aprendosi invece a dimensioni spirituali che pure sono presenti, anche se non sempre in forma esplicita, nel suo Dna. Questa azione tuttavia non può essere solo di difesa continuativa: bisogna piuttosto sviluppare esperienze di EP che effettivamente favoriscano la crescita di tutta la persona, magari inserendosi in cammini già esistenti, anche in contesti diversi da quelli del mondo cattolico. Quest’ultimo ha certamente operato sempre per la crescita integrale delle persone, sviluppando anche percorsi articolati per il mondo adulto: questo impegno dovrebbe essere ampliato e reso più flessibile, andando a cercare le persone dove sono, nella loro realtà e nei loro problemi. Il mondo dell’EP non è per sua natura chiuso all’apporto cristiano, ma quest’ultimo deve sapersi inserire in un processo già in atto. Ci sembra dunque che il mondo cattolico abbia davanti un grande lavoro, se vuole utilizzare con profitto la prospettiva educativa della EP: bisogna portare il Vangelo dentro l’educazione. E questo compito appare adeguato ad un mondo di laicato cattolico impegnato, opportunamente formato non solo nei contenuti da sapere, ma nella testimonianza da portare. Una Pastorale collegata ad una prospettiva di EP ha bisogno di formatori ben preparati.


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Patrizia Moretti

Un ultimo aspetto. A conclusione di questo incontro tra Pastorale, in particolare riferita agli adulti, ed EP, una domanda sorge spontanea: è possibile pensare la Chiesa come una grande “comunità educante”? L’espressione è abbastanza comune nell’ambito della scuola cattolica da oltre un ventennio44: può essere estesa all’ intera Chiesa? Lo lascerebbe supporre, almeno all’inizio, l’indicazione che la Nota Pastorale esplicita nel n. 25 dove si chiede una Pastorale “integrata”. Tuttavia lo scopo della Pastorale integrata, il cui soggetto agente si ravvisa nella comunità, è la missione: questo cambia un po’ la prospettiva. Certamente la Chiesa è una comunità che educa le persone che ne fanno parte, e facendo questo edifica se stessa. Ciascuno infatti è chiamato ad essere pietra viva di un edificio che ha Cristo come pietra angolare45. Però la Chiesa non è una scuola nel senso tecnico del termine e i cristiani non possono essere paragonati agli studenti. Inoltre non si limita allo specifico culturale, anche se lo utilizza; trasmette cultura, ma insieme la crea; spiega, ma anche celebra, prega, serve, muore. Piuttosto, la Chiesa fedele alla missione affidatale dal suo Signore, e mossa intimamente dallo Spirito che sempre la rinnova, con una azione comunitaria di discernimento, si assegna, nella concretezza della storia che vive, compiti specifici e cerca anche di valutarne il livello di realizzazione, lasciando comunque al Signore il giudizio complessivo sul suo operare. Nel far questo in qualche modo la Chiesa si “auto-educa”, se tale espressione può essere utilizzata a proposito di una realtà umano – divina attraversata dallo Spirito che “insegna ogni cosa” (cfr. Gv. 16,13)46. Forse è preferibile dire che la Chiesa, nel suo cammino terreno, con l’aiuto insostituibile dello Spirito, edifica se stessa. Se l’edificazione di se stessa può essere rapportata alla EP, allora si può dire che è la Chiesa intera a vivere in situazione di educazione permanente. Ed eventi come il Convegno ecclesiale di Verona sono da leggere come situazioni formali/informali di educazione dell’intero popolo di Dio, momenti di passaggio, o come si dice oggi, di “transizione”. Certo la Chiesa non deve diventare adulta, già lo è: i suoi passaggi, le sue transizioni, saranno di “risurrezione in risurrezione”.47 La Chiesa, come ciascun uomo, è pellegrina sulla terra: ma anch’essa è chiamata a crescere, a portare a “piena maturità” la ricchezza che Cristo le ha donato. Così è in ascolto dei segni dei tempi e dello Spirito, che parla attraverso di essi. Per questo non cessa di apprendere, di comprendere, di ascoltare e meditare nel proprio cuore, di educarsi, di imparare da tutti e dovunque, certa che la Parola di cui è in possesso e che la sorpassa, ha bisogno dell’apporto di tutti per essere compresa fino in fondo48.

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L’espressione era entrata nel linguaggio pedagogico. Cfr. E. FAURE, Rapporto sulle strategie

dell’educazione, A.Armando, Roma 1973, II ed., pp. 275-398. 45

Cfr. LG 6, [EV 1, 293]. Cfr. LG 4 [EV 1, 287]. 47 Cfr. M.I. RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana. Di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007. 48 Questo stile onnicomprensivo è proprio della cattolicità. D’altro canto il cristiano sa, nella fede, che tutto è suo, perché lui è di Dio. 46


Una pastorale rinnovata nel segno dell’educativo.

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Madre e maestra non cessa di cercare. Matura e pure sempre giovane, non cessa di crescere in Cristo fino alla sua “statura”, che va misurata ad altezza della croce, per poter diventare cosmica. Il motivo stesso per cui è stata fondata la obbliga a questo: più “cresce”, più diventa efficace, più adempie al suo compito, perché meglio riesce a far passare, a trasmettere il dono di Dio che ha ricevuto per se stessa e per tutti. Da qui la sua azione missionaria, la sua attenzione al mondo degli uomini, al loro sviluppo, alle loro gioie e alle loro speranze, animata dallo Spirito, vero autore della missione49. Un mondo dove gli uomini sono attraversati dal peccato e perciò frantumati nelle loro identità, costretti a vivere l’abbandono e la solitudine, a cercare la loro felicità dove questa non c’è, a tirare avanti qualche volta senza intravedere speranza. Un mondo umano attraversato da ingiustizie e scompensi, lacerazioni e divisioni. Ma anche un mondo dove si intravedono segni di una diversa possibilità di vita. Dove ancora spunta qualche genio. Dove ancora lo Spirito è all’opera. Un mondo di uomini amati da Dio, morto e risorto per redimerli e portarli a vivere con sé. Nello stesso tempo la Chiesa, mentre forma se stessa, forma i propri membri, perché sono le pietre vive che la costituiscono. Per loro, con loro ed in loro, pensa e progetta, e rendendoli protagonisti, li anima e li sostiene con la forza dei sacramenti. Gioisce dei loro successi e si rallegra dei loro risultati, come piange per le difficoltà e gli insuccessi. Tutta a tutti, perché in tutto e in tutti sa leggere la presenza di Dio, la vicinanza di Cristo ad ogni uomo. Soprattutto accompagna gli uomini, nel modo migliore che conosce e che ha imparato nel tempo, perché tutti crescano con lei, sostenuti nella speranza, fino al giorno in cui il Signore verrà. Così la Chiesa svolge di fatto e concretamente azione di EP: azione tanto continua da condurre all’eterno, da almeno venti secoli.

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Cfr. RM 21 [EE 8, 1086].


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 432-436

Per una scuola di qualità

Documento del Forum Associazioni Familiari sulla riforma della scuola Il Forum delle Associazioni Familiari è un organismo che coordina 50 associazioni nazionali e 20 Forum regionali in rappresentanza dì tre milioni e mezzo di famiglie. E’ la prima e unica realtà in Italia che si occupa in maniera sistematica e a tutto campo dei problemi connessi alla famiglia ed, in particolare, di politiche che riconoscano il ruolo primario che la famiglia svolge nella società e, di conseguenza, assume iniziative d'intervento culturale, azione sociale e proposta politica a promozione e tutela della soggettività familiare. La scuola è uno degli ambiti prioritari di intervento del Forum.

I

l tema della scuola e della formazione deve essere inserito nell'ambito della grave emergenza educativa che vive in questi anni il nostro Paese. Da una parte c'è la grande difficoltà nell'educare in un mondo che sembra aver perso saldi punti di riferimento. Dall'altra c'è la tentazione di troppi adulti di rinunciare all'impegnativo compito dell'educazione, fino ad arrivare addirittura a non sapere più quale sia il proprio ruolo nella funzione formativa. In realtà viviamo in un'atmosfera culturale incerta, che porta a dubitare della bontà dell'impegno educativo di trasmettere alle nuove generazioni obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita. E' necessario recuperare la responsabilità fondamentale dell'essere adulti per creare l'ambiente più favorevole all'educazione. E' questo il compito fondamentale della famiglia, ma anche della scuola. Le famiglie, i ragazzi e i giovani hanno bisogno di ritrovare nella scuola un interlocutore autorevole che sappia svolgere il suo ruolo di educatore e formatore, creando rete e comunità con le altre agenzie educative quali la famiglia e la società tutta, ruolo peraltro ben individuato, tutelato e riconosciuto dalla Costituzione repubblicana. E' necessario che tutti, i cattolici per primi, riscoprano la necessità di impegnarsi nell'a-


FORUM delle Associazioni Familiari

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zione educativa a fianco di quanti svolgono con passione e impegno il loro lavoro nella scuola, superando le oggettive restrizioni e difficoltà con professionalità, dignità e alto senso della propria missione. L'educazione, infatti, deve essere capace di collegarsi a quel desiderio sapienziale di verità, di bontà e di bellezza che è nel cuore di ogni giovane per dar vita ad una proposta capace di indirizzare "verso l'olire" l'intelligenza e la libertà a servizio del vero e del bene. L'educare è il compito di tutti coloro che si riconoscono nell'associazionismo del Forum, in quanto investiti di una vocazione pedagogica che implica responsabilità forti, tipiche dell'essere famiglia. E' nella famiglia che si attiva il processo della genealogia della persona, innanzitutto tramite la trasmissione della vita, per cui gli sposi diventano padre e madre, e l'opera educativa, che è una missione di natura spirituale, collegata alla stesso tempo con la paternità e maternità e con il consenso coniugale, e per mezzo della quale genitori e figli sono reciprocamente chiamati a partecipare alla verità e all'amore, valori che costituiscono il traguardo di ogni opera educativa. Le associazioni del Forum sono impegnate nel faticoso e lungo processo di riforme del sistema scolastico, caratterizzato da momenti di costruttivo dialogo e da contestazioni che hanno rallentato e vanificato qualunque tentativo di cambiamento. Di fronte all'attuale situazione, a 10 anni dall'entrata in vigore del regolamento dell'autonomia scolastica, la necessità primaria consiste nell’individuare princìpi condivisi sui quali costruire un sistema scolastico che sia in grado di rispondere alle esigenze del Paese e all'emergenza educativa che quotidianamente incontriamo.Troppe volte, in quest'ultimo periodo, gli interventi riformatori si sono susseguiti senza un adeguato dibattito, dando sicuramente più voce ad alcuni interessi particolari, o alle esigenze di risparmio, piuttosto che alle diverse componenti della comunità scolastica. Al contrario la scuola deve essere al centro delle attenzioni delle forze politiche e non terreno di aspri scontri, sapendo che ogni intervento ha bisogno di tempi lunghi e di verifiche continue. Il Forum ritiene, pertanto, che ci siano quattro elementi irrinunciabili per garantire la centralità degli alunni e delle famiglie in qualunque processo riformatore della scuola. Sono: 1. L'autonomia scolastica E' il centro vitale della scuola italiana oggi, come stabilito dalla legge 59 del 1997, art. 21, e dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. E' il principio fondante che attribuisce ad ogni istituzione educativa del sistema nazionale d'istruzione una capacità innovativa nel rispondere alle esigenze degli allievi, nel rispetto delle disposizioni generali stabilite dalla Repubblica. L'autonomia richiede però di essere davvero realizzata, anche a partire dagli aspetti finanziari di bilancio e dall'assunzione di responsabilità da parte delle diverse Istituzioni. Invece, in alcuni casi, è sembrato che si limitasse fortemente il dettato legislativo, attraverso una centralizzazione di provvedimenti che hanno fatto pensare a decisi passi indietro, come se si volesse tornare ad una scuola centralizzata, invece che ad una scuola di tutta la società civile. Il rischio è di discutere di autonomia e poi operare come se questa autonomia in realtà non esistesse. Ciò è molto pericoloso nel momento in cui invece la società italiana è diventata poliarchica, con punti decisori diversificati tra lo stato, le regioni, gli enti locali. L'autonomia naturalmente ha bisogno di un forte sistema di valutazione che permetta un giudizio indipendente sulle capacità decisionali e i conseguenti risultati


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Per una scuola di qualità

formativi delle singole istituzioni scolastiche. L'autonomia richiede anche investimenti e non può sostenersi senza l'autonomia finanziaria. L'autorevolezza del livello regionale come livello decisionale per detti provvedimenti presuppone un attento monitoraggio da parte dello stato. 2. La libertà di scelta educativa La Costituzione chiarisce che i genitori hanno il dovere e il diritto dì mantenere, istruire ed educare i figli. Si tratta di un diritto primigenio per il quale le altre compagini sociali, anche lo stesso Stato, agiscono in maniera sussidiaria, nel senso di disporre quanto occorre ai genitori per adempiere il loro dovere dell'istruzione dei figli. Una simile visione è chiaramente espressa dall'art. 30 della Costituzione che proclama il diritto dei genitori alla libera scelta della scuola per l'istruzione dei propri figli con la garanzìa dell'uguaglianza di trattamento sancita dall'art. 3 della stessa Costituzione per tutti i cittadini. L'art. 33 c. 4 recita testualmente: "La legge, nel fissare i di-

ritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni dì scuole statali". La legge 62/2000 ha definito in modo chiaro il sistema pub-

blico d'istruzione nazionale integrato, formato da scuole statali e paritarie, ma non ha attuato il conseguente sistema di finanziamento necessario a garantire l'equipollenza tra gli allievi di scuole statali e quelli delle scuole paritarie. La sussidiarietà, nel caso della scuola paritaria, risulta rovesciata: le famiglie che la scelgono, poiché sollevano lo Stato dagli oneri dell'istruzione dei loro figli, dì fatto finanziano lo Stato stesso. Si auspica che, da un sereno confronto delle parti politiche, si riconosca il valore sociale e di qualificato servizio della scuola non statale, mai concorrente e sempre positivamente interagente con la scuola statale. Inoltre, il Forum auspica con forza il superamento dei gravissimi ritardi nell'accreditamento dei contributi vigenti alle scuole paritarie: si tratta di ritardi intollerabili che impediscono anche la corresponsione dei giusti salari ai lavoratori. Si deve finalmente giungere ad una certezza di finanziamento che garantisca il diritto di scelta delle famiglie. 3. La soggettività familiare La soggettività familiare è impegno primario del Forum, una soggettività e una responsabilità in campo educativo che non può essere ceduta e delegata ad alcuno, neanche alla migliore delle scuole e/o altre "agenzie educative". Il Forum constata che, in questi ultimi anni, vi è stata una maggior considerazione dell'importanza della famiglia nella vita della scuola, anche tramite alcuni provvedimenti legislativi che hanno riconosciuto ai genitori un preciso ruolo in questa istituzione. Nel contempo rileva che altri provvedimenti sono assolutamente in contraddizione con questi principi, provvedimenti applicati fra l'altro con procedure certamente inusuali e soprattutto senza minimamente consultare i genitori e, in modo illegittimo, disapplicati con un semplice accordo con le parti sindacali (vedi "tutor" nella scuola primaria). Se si ritiene che la famiglia sia davvero soggetto della vita civile, la scuola deve riconoscere il ruolo dei genitori, deve contribuire ad informarli e a formarli in modo che siano davvero riconosciuti come componente seria e partecipe della vita della comunità scolastica, con provvedimenti attuativi estremamente chiari e fortemente coerenti. La famiglia rivendica un ruolo determinante nelle decisioni che riguardano la scuola non


FORUM delle Associazioni Familiari

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solo per il diretto coinvolgimento dei figli, ma come parte della società interessata alla formazione di tutti, avendo particolare attenzione, in una realtà sempre più multietnica, ai "nuovi" cittadini. Va valorizzato ii Patto Educativo di Corresponsabilità, da stipulare fra scuola-studenti e famiglie degli alunni che frequentano la scuola secondaria di primo e secondo grado, quale strumento concreto dì decisione e partecipazione per consolidare azioni educative condivise, utili a definire e qualificare ruoli e responsabilità dì tutte le componenti della comunità scolastica. Resta ancora da definire il ruolo della rappresentanza e della partecipazione dei genitori alla gestione della scuola sulla base di organi collegiali che intendano valorizzare la corresponsabilità fra famiglia e scuola; come pure la valorizzazione e il funzionamento degli organismi rappresentativi delle maggiori associazioni dei genitori a livelli provinciale, regionale, nazionale da parte degli uffici dell'amministrazione scolastica. 4. Gli insegnanti e le risorse economiche E' necessario un nuovo segnale di fiducia e di considerazione verso i docenti che rappresentano la chiave di volta di qualunque impianto educativo. L'appiattimento delle loro carriere e delle loro professionalità nuoce alla qualità della scuola. C'è bisogno di un nuovo stato giuridico degli insegnanti che possa congruentemente adattarsi alla scuola dell'autonomia, che fissi le modalità di reclutamento, che dia opportunità di carriera, che definisca gli elementi essenziali della professione e restituisca dignità a tutti i docenti. Il Forum riconosce che negli ultimi provvedimenti adottati dal governo e dal parlamento ci sono elementi positivi in particolare per la valutazione del comportamento, il ritorno ad una figura centrale di riferimento nella scuola elementare, già peraltro prevista dalla Legge 53/2003, il riconoscimento di una maggiore responsabilità delle famiglie. Il Forum sottolinea la necessità di un dibattito sul senso vero dell'innovazione finalizzata al miglioramento della qualità della scuola, che deve essere rivendicata dai genitori, dagli insegnanti, dai sindacati, dagli imprenditori e, non ultima, dalla politica. E' forte però la perplessità per la mancanza di un confronto approfondito con le varie componenti della scuola; il continuo ricorso alla decretazione sta ormai diventando una cattiva consuetudine che non fa bene ad un organismo che ha bisogno di serenità e pacatezza. Il Forum è consapevole della necessità di una consistente razionalizzazione della spesa che è possibile soltanto con il coinvolgimento delle autonomie, sia quelle scolastiche che quelle territoriali (enti locali). Una forte riduzione di intervento dello Stato nella scuola ha senso ed è magari auspicabile se, nel contempo, sono forniti gli strumenti e le risorse economiche al territorio per assicurare la presenza di un sistema organico e diffuso di formazione e istruzione. La riduzione del tempo scuola può essere pedagogicamente opportuna, ma non bisogna dimenticare che la scuola svolge una funzione sociale, non prioritaria, ma certamente importante, soprattutto di fronte alle difficoltà socio-economiche che le famiglie attraversano. In particolare il Forum chiede che non ricadano sulle famiglie i costi relativi all'ampliamento dell'offerta formativa, come già accade oggi in moltissime scuole della Repubblica, soprattutto per le scuole medie superiori dove, spesso, i bilanci delle scuole si reggono grazie ai contributi dei genitori. Appare opportuna la semplificazione degli indirizzi, delle classi di concorso e delle sperimentazioni nella secondaria, ed anche una parziale riduzione dell'orario negli istituti tecnici e professionali, confermando una tendenza già avviata dal governo prece-


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Per una scuola di qualità

dente. Il problema dell'istruzione e della formazione professionale non può assolutamente essere risolto accorpandola agli istituti tecnici affini. Chi sceglie i centri di istruzione e formazione professionale necessita di percorsi che valorizzino "l'intelligenza nelle mani" di molti ragazzi altrimenti destinati a insuccessi ed abbandoni. Per una formazione professionale di pari qualità rispetto al sistema dell'istruzione, il Forum ritiene opportuna la possibilità di un curricolo quinquennale perché alcuni ragazzi, che a 14 anni sembrano destinati all'insuccesso scolastico, possono nel tempo maturare e, quindi, accedere successivamente ad una formazione più consona alle loro reali capacità. Il piano governativo prevede una complessa riorganizzazione degli istituti sul territorio, da cui deriva un chiaro risparmio in termini di risorse umane. Si apprezza l'intesa intercorsa tra governo nazionale ed enti locali per concordare insieme le modalità di tale razionalizzazione, ma c'è da verificare se gli enti locali saranno in grado di far fronte all'aggravio di spesa per quanto riguarda i trasporti, le mense e gli altri servizi. Inoltre il Forum vede la necessità di un vero e proprio sistema di valutazione della scuola che coinvolga appieno le famiglie che scelgono le scuole dove iscrivere i propri figli ed hanno perciò diritto di esprimersi sul loro funzionamento. Come pure appare indispensabile verificare che le scuole della Repubblica garantiscano a tutti gli alunni, dal Trentino alla Calabria, i "livelli essenziali di prestazione" per evitare palesi ingiustizie di trattamento. Tali livelli riguardano sia la qualità dell'insegnamento che quella dei servizi resi dagli enti locali cui spetta provvedere alle strutture e alle attrezzature. Infine il Forum esprime preoccupazione per lo scenario prossimo venturo del rapporto tra le regioni e la scuola. La riforma del titolo V della Costituzione ha introdotto nella scuola il regime della legislazione concorrente, con il rischio di creare troppe differenze tra i vari sistemi scolastici regionali e innescando una serie dì conflitti istituzionali a proposito della scuola. Le iniziative legislative per l'attuazione del federalismo impongono la necessità che lo stato definisca chiaramente i principi generali del sistema nazionale di istruzione integrato e trovi un'intesa con le regioni stesse nel trasferimento delle competenze e delle risorse. Conclusioni - Un grande impegno attende tutti coloro che vogliono offrire alle famiglie, ai giovani, ai ragazzi una scuola che sia degna di questo nome: è il momento che si ricostituisca un forte movimento ideale a favore dell'educazione. E' indispensabile che la scuola cessi di essere terreno di scontro politico e divenga invece il tema per un'azione comune di fronte alla grave emergenza educativa del Paese, ogni giorno testimoniata dai fatti di cronaca. Il Forum rivolge un appello alla responsabilità personale di ciascuno, ma anche a quella che condividiamo tutti insieme come membri di una stessa nazione. Il Forum è disponibile a dare il proprio contributo perché la scuola sia davvero di qualità, in grado di rispondere alle sfide che la società contemporanea pone a quanti vogliono accettare l'impegno di educare le giovani generazioni, per ricercare la verità in un contesto che sia sereno, secondo l'antica indicazione di s. Alberto Magno: in dulcedine

societatis, quaerere veritatem. Roma, febbraio 2009


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 3, 437-446

Ombre et nuage

Les corps des anges dans les représentations picturales de l’Annonciation Roberto Alessandrini

Istituto superiore universitario di scienze psicopedagogiche e sociali (Vitorchiano)

affiliato all’Università Pontificia Salesiana di Roma

D

ans de nombreuses représentations picturales de l’Annonciation, tout en étant un ange, Gabriel projette - comme si son ‘corps’ était de chair - une ombre qui le caractérise comme une présence réelle plutôt que comme une apparition. Néanmoins, si l’ombre recouvre une fonction accessoire dans l’art du XVe siècle, à partir du début du XVIe siècle prend forme une Annonciation triomphale qui se diffuse de l’Italie au reste de l’Europe catholique. De moins en moins enclins à projeter une ombre, les anges de l’Annonciation deviennent alors - avec toutefois des exceptions - des figures de plus en plus aériennes, décidées à occuper un espace moyen entre terre et ciel, entre le sol de la demeure de la Vierge et le lieu céleste d’où l’Esprit dérive sa propre lumière. Parce qu’elle est à la place de quelque chose d’autre, parce qu’elle indique originairement une présence réelle et corporelle, l’ombre angélique subit à son tour une métaphore qui la transforme en nuage, en air, en feu, lui apportant par là de nouvelles significations.

Parallèlement à la signification étrange, aliénante de l’ombre dans la production de fables dans la tradition occidentale (l’image du mal) ainsi que dans la littérature romantique et préromantique, une ombre thaumaturgique, féconde, bienveillante et efficace accompagne la figure religieuse de Saint Pierre – pierre sur laquelle l’église même se fonde - et l’image de l’Annonciation, lieu topique de l’histoire chrétienne. Dans la fresque Saint Pierre qui guérit par l’ombre (que Masaccio réalisa vers 1425 dans la Chapelle Brancacci de Santa Maria del Carmine à Florence à partir de la source littéraire des Actes des Apôtres 5,15) on peut distinguer deux types d’ombres: la première est douée d’un


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Roberto Alessandrini

pouvoir magique et thérapeutique - en même temps projection de la corporalité du saint et image symbolique de la transmission de la grâce - tandis que la deuxième est l’effet d’un simple phénomène d’optique1. Pour la première fois dans la peinture du XVe siècle, l’ombre portée est “peinte comme une silhouette que l’on rend par une couche de couleur”, tandis que dans le même cycle (Les ancêtres chassés) Adam et Eve projettent sur le sol du paradis une ombre dépourvue de toute valeur sémantique qui reste à l’état d’esquisse2. C’est précisément à partir de la fresque sur la guérison miraculeuse réalisée par l’ombre de Saint Pierre, qu’Aby Warburg “ouvrait” la table 74 de son Mnemosyne, oeuvre titanesque et inachevée d’un “Atlas de la mémoire”. Cette table - dont le sujet principal est la grâce sous sa forme de guérison, de miracle, de miséricorde et, plus précisément, la magie des miracles sans contact - rapproche, entre autres, les oeuvres de Masaccio, Raphaël (La remise des clés) et Rembrandt (la gravure Impression des cent florins) par une continuité stylistique qui se fonderait sur une même recherche des effets de lumière et d’ombre développée depuis la première Renaissance italienne jusqu’aux résultats de Rembrandt. Lumière et ombre, dans l’intuition de Warburg, se chargent de la valeur sémantique de la grâce, donc de salus, de la guérison du corps et de l’âme, dont Pierre, vicaire du Seigneur, est un instrument, indépendamment de ses propres intentions. Contrepoint de la lumière divine et moyen de salut, il guérit les infirmes tout simplement en les effleurant de son ombre.3 Quand l’évangéliste Luc écrit que l’ombre de Saint Pierre peut soigner, il “fuses the Greek notion of a shadow as a double with the Roman one of a shadow as protection” 4, fusion familière dans la tradition du Proche-Orient, selon laquelle, plus encore que chez les Romains, l’ombre est indice de protection. Les Psaumes en donnent de nombreux exemples mais c’est encore la tradition juive qui voit, plus généralement, dans les ombres quelque signification positive5. La Légende dorée de Jacques de Varagine6 - qui, à partir de la deuxième moitié du XIIIe siècle, guida les peintres dans leurs représentations de l’histoire sacrée - rappelle que Saint Pierre fut privilégié par rapport aux autres apôtres: il était plus noble que les autres par autorité et il était plus fervent en amour et plus grand dans le pouvoir. En effet par l’ombre de Pierre - comme on le lit dans les Actes des Apôtres - les infirmes étaient guéris”. Et, comme l’explique la Légende, la fête de l’élection de Pierre à la chaire épiscopale fut fixée le jour même où l’on célé-

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“Through his presentation of the two shadows, cast by two figures with unequal functions in the narrative, Masaccio reveals his compredending the phenonenon of shadow bots as optical effect and as a means for miraculous healing”. Cf. Luba FREEDMAN, “Masaccio’s St. Peter Healing with his Shadow: a Study in Iconography”, in Notizie da Palazzo Albani, XIX(1990)2, 13ss. 2 Cf. Kurt W. FOSTER, Katia MAZZUCCO, Introduzione ad Aby Warburg e all’Atlante della Memoria, Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 229-230. 3 Cf. Idd, Introduzione ad Aby Warburg, op. cit., pp. 229-233. 4 Luba FREEDMANN, “Masaccio’s St. Peter Healing with his Shadow: a Study in Iconography”, cit. p. 19. 5 Contre ceux qui se lèvent à ta droite/garde-moi comme la prunelle de l’œil,/à l’ombre de tes ailes cache-moi/aux regards de ces impies/qui me ravagent! (Ps 17, 8-9); Pitié pour moi, ô Dieu, pitié pour moi,/ en toi s’abrite mon âme;/à l’ombre de tes ailes je m’abrite,/tant que soit passe le fléau (Ps. 57, 2); Quand je songe à toi sur ma couche/ au long des veilles je médite sur toi,/toi qui fus mon secours, et je jubile à l’ombre de tes ailes;/mon âme se presse contre toi, ta droite me sert de soutien. (Ps. 63, 7-9); Qui demeure à l’abri d’Elyôn/ et loge à l’ombre de Shaddai/ dit à Yahvé: Mon rempart, mon refuge,/mon Dieu en qui je me fie! (Ps. 91, 1-2). 6 Jacques de Varagine, La Légende dorée, Honoré Champion, Paris 1997, p. 323.


Ombre et nuage. Les corps des anges dans les représentations picturales de l’Annonciation

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brait la fête païenne “des vivres de Saint Pierre”, que l’Eglise visait à éliminer, une habitude païenne d’apporter, en février, des vivres sur les tombes des ancêtres. L’ombre bonne, rassurante et thaumaturgique de Saint Pierre prit ainsi la place des âmes inquiètes et nocturnes, comme pour traduire dans une interprétation chrétienne une croyance païenne tout en sauvegardant son esprit. Van der Horst a souligné la relation entre le pouvoir thaumaturgique de l’ombre de Saint Pierre et le récit de l’Annonciation selon l’évangéliste Luc: “Si une ombre est capable peut blesser ou guérir une personne - se demande-t-il – pourquoi l’ombre de Dieu ne pourrait-elle pas féconder une femme?”7 Ce n’est d’ailleurs qu’à trois reprises que les textes sacrés emploient l’expression qui indique, avec une valeur positive, la projection de l’ombre sur quelqu’un: la description du Christ dans les synoptiques (Mt 17,5; Mc 9,7 et Lc 9,34), le récit de l’Annonciation et le passage des Actes des Apôtres consacré à l’ombre thaumaturgique de Saint Pierre, un passage que l’on peut “interpréter comme une allégorie du pouvoir miraculeux de Saint Pierre de préserver les croyants de maux physiques et spirituels”8.

Le corps des anges Le récit de l’incarnation selon Saint Luc est l’un des passages les plus commentés et représentés des Evangiles. Il traite d’ailleurs du temps où toute l’histoire chrétienne naît et se forme - littéralement: prend corps - dans le ventre d’une Vierge qui conçoit de manière surnaturelle et qui accouche de manière naturelle du fils de Dieu qui se fait homme. Le sixième mois, l’ange Gabriel fut envoyé par Dieu dans une ville de Galilée, appelée Nazareth, à une vierge fiancée à un homme du nom de Joseph, de la maison de David; et le nom de la vierge était Marie. Il entra chez elle et lui dit: - Salut, comblée de grâce, le Seigneur est avec toi. À ces mots elle fut bouleversée, et elle se demandait ce que signifiait cette salutation. Mais l’ange lui dit: - Rassure-toi, Marie; car tu as trouvé grâce

auprès de Dieu. Voici que tu concevras et enfanteras un fils, et tu lui donneras le nom de Jésus. Il sera grand, et on l’appellera Fils du Très Haut. Le Seigneur Dieu lui donnera le trône de David, son père; il régnera sur la maison de Jacob à jamais et son règne n’aura point de fin. Mais Marie dit à l’ange: Comment cela se fera-t-il, puisque je ne connais point d’homme? L’ange lui répondit: L’Esprit Saint viendra sur toi, et la puissance du Très Haut te prendra sous son ombre; c’est pourquoi l’enfant sera saint et sera appelé Fils de Dieu. (Lc 1, 26-35)

Dans le texte, l’annonciation est simplement un acte d’énonciation ou, si l’on préfère, la rencontre de deux énonciations, ce qui n’implique aucune action, un dialogue qui n’implique aucune visualisation particulière9. Son contenu, que les exégètes ont systématiquement enrichi de scènes, par exemple les neuf mouvements des Meditationes Vitae Christi du PséudoBonaventura - source iconographique de l’Annoncia-tion avec le texte de Saint Luc, les Evangiles apocryphes et la Légende dorée10- est, dans sa substance, irreprésentable. 7

P.W. VAN DER HORST, “Peter’s Shadow: the religio-historical background of Acts V. 15”, in

New Testament Studies, vol 23, October 1976-1977, n. 1, pp. 211-212. 8

Luba FREEDMANN, “Masaccio’s St. Peter Healing with his Shadow: a Study in Iconography”, cit., p. 19. 9 Cf. Daniel ARASSE, “Annonciation/Enonciation. Remarques sur un énoncé pictural du Quattrocento”, in VS, Quaderni di studi semiotici, 37, gennaio-aprile 1984, pp. 4-5. 10 Cf. Laurie SCHNEIDER, “Shadow metaphors and Piero della Francesca’s Arezzo Annunciation, in Source, Notes in the History of Art, vol. V, no. 1, 1985, p. 22 note 3; cf. aussi David


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La modalité de la naissance miraculeuse fait l’objet de l’explication de l’ange qui à la surprise de Marie - Comment serait-il possible? Je ne connais pas d’homme - répond: “Le Saint-Esprit viendra sur toi, et la puissance (dynamis/virtus) du Très-Haut te couvrira de son ombre (episkiazein/obumbrabit); et c’est pourquoi le saint enfant qui naîtra de toi sera dit Fils de Dieu”. L’expression virtus altissimi obumbrabit tibi - la puissance du Très-Haut te couvrira de son ombre – a donné lieu à différentes hypothèses de lecture11. Le mot grec episkiazein et le mot latin obumbrare pourraient traduire seulement de manière partielle une expression familière à la mentalité sémitique, c’est-à-dire la puissance magique de l’ombre et sa capacité fécondatrice. Une deuxième explication aurait encore une fois ses racines dans la sémantique des langues anciennes et rappellerait que “prendre quelqu’un sous sa propre ombre” signifie lui offrir protection. Une troisième lecture renvoie à une interprétation d’inspiration néoplatonicienne que l’on attribue à Théophile et à Philon d’Alexandrie: le verbe episkiazo, utilisé dans les Actes des Apôtres à propos de la miraculeuse guérison des infirmes opérée par Saint Pierre12 avec son ombre, dessinerait une activité semblable à celle du créateur d’images. Dans ce sens Dieu formerait dans le ventre de la vierge une première image embryonnaire - une ombre - du Christ, une préfiguration qui dans le panneau central d’une Annonciation de Lorenzo Veneziano (1371, Venise, Académie) et dans celle de Robert Campin (vers 1425, New York, Metropolitan Museum of art) acquièrent la forme d’un homunculus qui transmettrait la lumière divine au ventre de la Vierge, héritage figuratif d’une conception ancienne selon laquelle la semence masculine formerait déjà une sorte de miniature de corps humain. Les explications que donne Jacques de Varagine au sujet de l’obumbrabit permettent d’interpréter l’ombre de Saint Luc en termes d’allégorie de l’incarnation, de secret qui descend sur l’incarnation, mais également de conception surnaturelle dépourvue de toute implication charnelle. Dans de nombreuses représentations picturales de l’Annonciation, même s’il est un ange, Gabriel projette, comme si son corps était de chair, une ombre qui le caractérise comme une présence réelle plutôt que comme une apparition, et donne à la scène une signification plus précisément concrète. Cette exigence ressort également des débats théologiques sur le jour et l’heure de l’Annonciation, qui se proposent de donner une évidence incontestable aux événements extraordinaires par des indications temporelles précises. Cet aspect devient même plus évident quand l’idéal du Concile de Trente à propos de la peinture réformée “commande de préciser la situation temporelle de la narration et conduit à une considération accrue du lieu – intérieur ou extérieur – et de la nature du luminaire”13. Si le jour et le mois semblent établis - la tradition de l’Eglise confirme le 25 mars - les opinions se divisent sur l’heure de la conception. Le théologien viennois Michael Lochmayr, prédicateur à Passau à partir de 1488, essaie de concilier l’heure de l’annonciation avec les heures canoniques et situe la rencontre de Marie avec l’ange entre les complies du soir et minuit.

M. ROBB, “The iconography of the Annunciation in the fourteenth and fifteenth centuries”, in The Art Bulletin, 1936, XVIII, pp. 480-526. 11 Victor I. STOICHITA, Brève histoire de l’ombre, Droz, Genève, 2000, pp. 68-69. 12 Dans son livre sur la conception de l’ombre dans l’Egypte ancien – Zu den altägyptichen Vorstellungen vom Schatten als Seele, Bonn 1970 – Beate George cite, page 113, un texte qui parle “d’émission séminale de l’ombre divine” possible “remote background” du texte de saint Luc, comme le pense, paraît-il, également P.W.VAN DER HORST (New Testament Studies, op. cit.) qui conclut: “It is hard not to assume that there is some relation between this belief and Luke i.35”. 13 Paulette CHONE, “L’Academie de la nuit. Louange et science de l’ombre”, in Paulette CHONE, Jean-Claude BOYER, Richard E. SPEAR, Irving LAVIN, L’Âge d’or du nocturne, Gallimard, Paris 2001, p. 31.


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L’archevêque Antoine de Florence (1389-1459), tout en concordant avec le Mariale super Missus du Pséudo-Albert rédigé après 1246, proposait le matin, tandis que les théologiens du Moyen Age préféraient parler de midi. Beda le Vénérable suggérait le soir14. Une variété de positions qui se reflète dans les représentations picturales de l’Annonciation, situées à différentes heures du jour, exposant donc des lumières et des ombres différentes.

L’Ange est chargé de l’annonciation: son corps réel indique l’incarnation, son ombre la modalité à travers laquelle elle se réalisera dans le ventre de la Vierge en vertu d’une autre ombre, celle de Dieu. La peinture offre, à ce propos, de nombreux exemples et si une trop longue liste serait fastidieuse, quelques références précises sont néanmoins nécessaires: l’ombre timide projetée par un ange ailé solennel dans l’Annonciation attribuée à Petrus Christus (vers 1425, New York, Metropolitan Museum of Art); les ombres à peine perceptibles dans la fresque et dans la tempera de Fra Angelico (respectivement 1441-1443 et 1451, Musée de San Marco, Florence), dans la peinture de Niccolò da Foligno (1466, Perugia, Galerie nationale de l’Ombrie) et dans celle de Francesco del Cossa (vers 1472, Dresde, Gemäldegalerie). L’ombre, beaucoup plus évidente, de l’ange de Léonard de Vinci (1474, Florence, Musée des Offices); celle du Gabriel qui se tend vers Marie dans la peinture de Lorenzo di Credi (1480-85, Florence, Musée des Offices); celle de Saint Emidio et de l’ange dans l’annonciation mondaine et urbaine de Carlo Crivelli (1486, Londres, National Gallery); de la peinture intense et délicate de Botticelli (1489, Florence, Musée des Offices) et enfin celle de la représentation sereine et dévouée d’Andrea Solario (1506, Paris, Musée du Louvre). Sans oublier l’enluminure de Gerard Horenbout (vers 1519-1520, Londres, British Library) où un ange entre, dans un vol solennel, et, sans toucher le sol, y projette une ombre imposante; ou encore l’Annonciation de Lorenzo Lotto (1534-1535, Recanati, Pinacothèque municipale) où grâce à un style recherché et une insolite richesse descriptive, l’ombre de l’ange occupe une place centrale dans la scène. Néanmoins, cet élément est destiné à changer dès les premières décennies du XVIe siècle, quand le signe pictural du nuage “jusqu’alors réduit à des fonctions d’icône ou signal, arrive à envahir de manière progressive le champ plastique” par l’introduction d’une dimension de transcendance. Si l’ombre recouvre une fonction accessoire dans l’art du XVe siècle, elle occupe une position centrale au cours du XVIe et surtout du XVIIe siècle: les coupoles, les voûtes et les plafonds sont remplis d’ombres, illusions et décorations picturales, motifs de faste et décor d’un immense théâtre. Les groupes ou les symboles divins entourés par des nuages et insérés dans des compositions qui intègrent la perspective, constitueront un des éléments les plus diffusés dans la peinture des XVIe-XVIIe siècles. Associé à l’irruption et à la visualisation du sacré et à l’ouverture de l’espace profane sur un espace autre, le nuage, qui semble participer directement de la transcendance céleste, commence à accompagner de plus en plus souvent l’extase, l’ascension et le transport15 des apothéoses, des hiérophantes, des théophanies. C’est à l’intérieur d’un nuage, partie visible du ciel qui permet la manifestation pendant qu’il la dissimule, qui cache et révèle, que la Gloire de Jahvé apparaît, selon le récit de l’Exode. Le visage de Dieu n’est pas visible et même Moïse ne le voit qu’en d’ombre et de dos. L’apparition en un nuage, forme dynamique en transformation continue, par l’effet des vents en particulier, voilà l’extrême concession qu’un Dieu sans image fait au regard, parce que “la cinétique de ses transformations imprévisibles garantit contre toute fixation dans l’imaginaire et

14

Cf. Klaus SCHREINER, Vergine, madre, regina: i volti di Maria nell’universo cristiano, Donzelli, Roma, 1995, pp. 12-17 (orig. Maria. Jungfrau, Mutter, Herrscherin, Carl Hamser Verlag, 1994). 15 Cf. Hubert DAMISCH, Théorie du nuage. Pour une histoire de la peinture, Seuil, Paris1972.


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contre toute emprise dans les ouvrages sculptés”16. Loin d’être “le symbole abstrait d’une réalité céleste qui se dérobe”, le nuage occupe une fonction concrète dans l’économie de la Révélation. “C’est à l’ensemble d’une communauté que la divinité révélée s’expose à travers un nuage, nuage (‘anan ou ‘arafel) que le traducteurs de la Bible en français s’obstinent souvent à rendre par “nuée”, terme censé être plus poétique, mais qui risque de détourner l’attention et de noyer l’objet bien réel, parfaitement substantiel et visible qui est au centre de l’apparition”17. Dans un jeu de renvois continuels et réciproques, et de remplacements, les ombres et les nuages se poursuivent et, parfois, arrivent à se confondre. Les premières sont un obstacle qui s’interpose à la lumière, un signe de la présence du corps; les deuxièmes sont un philtre et un modulateur de la lumière18, un corps entre les corps qui produisent les ombres, un signe de l’immatérialité et du divin. Dans sa tragédie Hélène, Euripide offre un exemple de ce mélange en faisant parler la femme dont l’enlèvement par Pâris est la cause de la guerre de Troie: Hélène – Je ne suis pas allée à Troie. C’était mon ombre. Messager – Comment? Nous aurions en vain peiné pour un nuage? Par ailleurs, dans l’épisode de la transfiguration du Christ narrée par les Evangiles synoptiques il arrive que les apôtres Pierre, Jacques et Jean voient Jésus en pleine lumière qui parle avec Moïse et Elie. “Voici qu’une nuée lumineuse les prit sous son ombre, et voici qu’une voix disait de la nuée: ‘Celui-ci et mon Fils bien-aimé, qui a toute ma faveur, écoutez-le’” (Mt 17,5).

La revanche des nuages Par rapport au caractère intime et touchant des représentations de l’Annonciation de la fin du Moyen Age, le ciel envahit maintenant le lieu où la Vierge prie et où l’ange entre par une fenêtre, agenouillé sur un nuage. Des vapeurs, tour à tour sombres et lumineuses, font souvent disparaître le lit, le foyer, les murs, tout ce qui rappelle les réalités de la vie. Il semble que nous ne soyons plus sur la terre mais dans le ciel. Presque toujours d’autres anges font cortège au messager céleste, et il est rare que quelques gracieux visages ne se montrent pas au milieu des om19 bres. L’art a donc voulu mettre la terre en rapport avec le ciel . À partir du début du XVIe siècle une nouvelle manière de représentation de l’Annonciation prend forme. Déjà en1514 Ghirlandaio représente l’ange sur un nuage qui entre dans la maison de la Vierge par la chapelle des Prieurs dans le Palazzo Vecchio de Florence, mais c’est le Corrège, en 1525, qui consacrera cette nouveauté dans la fresque du Musée de Parme où Gabriel, agenouillé sur les nuages, pénètre avec le ciel lui-même dans la salle de la Vierge. Dès la fin du XVIe siècle, la composition se peuple de figures angéliques et de vapeurs lumineuses qui remplissent la pièce. On le remarque dans les Annonciations de Ventura Salimbeni de Sienne, de Domenichino à Fano, de Guido Reni dans la Chapelle du Quirinale, de Carlo Maratta dans 16

Charles MOPSIK, “Les parures du Roi. Expérience et symbolique du nuage dans la Bible, la mystique juive ancienne et la cabale médiévale”, in Jacqueline Kelen (sous la direction de), Les nuages et leur symbolique, Albin Michel, Paris 1995, p. 142. 17 Charles MOSPIK, “Les parures du Roi”, op. cit., p. 137. 18 Cf. Denys RIOT, “La couleur des nuages. Notes sur les nuages dans la peinture occidentale”, in Jacqueline Kelen, Les nuages et leur symbolique, op. cit. p. 269. 19 Emile MALE, L’Art religieux de la fin du XVIe siècle du XVIIe siècle et du XVIIIe siècle. Etude sur l’iconographie après le Concile de Trente, Armand Colin, Paris 1951, p. 239-240.


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le Cabinet de Crozat, de Ciro Ferri à Rome et de Filippo Valle dans le bas-relief de l’église de Saint Ignace. “Les anges seront plus ou moins nombreux, la chambre se dissoudra plus ou moins en brouillard, mais l’archange Gabriel, un lys à la main, entrera toujours porté par un nuage. C’est là le trait essentiel de la nouvelle Annonciation”20, une Annonciation triomphale qui se diffuse de l’Italie au reste de l’Europe catholique en contagionnant la France à partir du XVIIe siècle, ainsi que l’Espagne et les pays du Nord. L’ange de l’Annonciation du Titien (vers 1540, Venise, Grande école de San Rocco) ne pose pas pieds à terre, mais entre dans la scène sur un nuage, tout comme le Gabriel peint par Paris Bordone (1545-1550, Caen, Musée des Beaux Arts). L’ange du Tintoret (1583-1587, Venise, Grande école de San Rocco) reste suspendu en vol, accompagné - comme souvent dans la peinture de la Contre-Réforme - par un groupe d’anges. Celui de El Greco (1596-1600, Madrid, Musée du Prado), vêtu d’une insolite tunique verte, s’adresse à la Vierge depuis un nuage. C’est également le cas du Gabriel de Rubens (1609-1610, Vienne, Kunsthistorisches Museum), de celui de Guido Reni (1631-1632, Paris, Musée du Louvre), de Cornelis von Poelenburgh (1635, Vienne, Kunsthistorisches Museum), de Francisco de Zurbarán (1638-1639, Musée de Grenoble), de Henrick Bloemaert (vers 1640, Weimar, Schlossmuseum), de Bernard Strozzi (vers 1640, Budapest, Szépmüvészeti múzeum) et de Murillo (1665-1670, Londres, Wallace collection). De moins en moins enclins à projeter une ombre, les anges de l’Annonciation deviennent alors - avec toutefois des exceptions - des figures de plus en plus aériennes, décidées à occuper un espace moyen entre terre et ciel, entre le sol de la demeure de la Vierge et le lieu céleste d’où l’Esprit dérive sa propre lumière. Il en est ainsi chez Luca Giordano (1672, New York, Metropolitan Museum of Art), chez Charles de la Fosse (vers 1680-1689, Paris, Musée du Louvre), chez Tiepolo (1724-25, Saint Petersbourgh, Musée de l’Hermitage), chez Franz Anton Maulbertsch (vers 1754, Paris, Musée du Louvre) et chez Giovanni Battista Pittoni (1758, Venise, Galerie de l’Académie). Au cours des XIXe et XXe siècle - même si on note la présence de figures angéliques pour ainsi dire traditionnelles, comme celle du Gabriel agenouillé qui projette une ombre d’Eugène Amaury-Duval (1860, Paris, Musée d’Orsay) ou bien l’ange de William Adolphe Bonguereau (vers 1879, collection privée) qui sur un nuage, derrière la Vierge, tient un lys et indique de l’autre main la colombe de l’Esprit - l’élément du nuage se modifie à nouveau. Une toile de Dante Gabriel Rossetti (1850, Londres, Tate Gallery), très mal accueillie par la critique contemporaine en tant qu’œuvre sinistre et puérile, représente un ange en tunique blanche dont les pieds sont enveloppés dans les lambeaux d’un feu. Edward Burne-Jones (1879, Liverpool, Ladi Lever Art Galery) peint un Gabriel suspendu - une mince couche d’air est à peine ébauchée sous ses pieds - qui semble sortir du feuillage d’un arbre (les ailes et les feuilles tendent à se confondre), tandis que Jacques Tissot (vers 1894-1895, Brooklyn Museum of Art) le transfigure en une créature ailée caractéristique, qui n’a que très peu figure humaine, si l’on excepte son visage, encadré par des rayons lumineux, et ses pieds, qui effleurent à peine le sol. C’est une pure présence de lumière, la mince trace blanche d’une apparition de feu qui apparaît devant une Marie effrayée et attentive dans la toile d’Henri Ossawa Tanner (1898, Philadelphia, Museum of Art) tandis qu’Edward Regilad Frampton (vers 1912, collection privée) peint un Gabriel suspendu à côté d’un arbre dépouillé. Paul Delvaux le transforme finalement en créature végétale et féminine (1949, Southampton, Art Galery) et Maurice Denis le fait précéder par une ombre de feu (1913, Musée d’art moderne de la ville de Paris).

20

Emile MALE, L’Art religieux…, op.cit., p. 241.


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Parce qu’elle est à la place de quelque chose d’autre, c’est-à-dire parce qu’elle indique originairement une présence réelle et corporelle, l’ombre angélique subit à son tour une métaphore qui la transforme en nuage, en air, en feu, lui apportant par là de nouvelles significations, parfois opposées. L’élément qui souligne la nature corporelle de l’annonciation – la parole qui devient chair - se modifie dans le signe qui éloigne l’ange de la dimension de la terre et le ramène à la dimension céleste et divine. Il vient d’une dimension autre, d’un “autre monde” et entre, avec ses propres attributions aériennes et lumineuses, avec son corps transfiguré, glorieux, imprégné de lumière dans la demeure terrestre de Marie. Peu après toutefois, entre le XVIe et le XVIIe siècle, il portera également les vêtements de l’ange gardien pour alimenter une nouvelle dévotion religieuse réservée aux enfants et pour rendre familier le motif iconographique de l’âme qui, sous les apparences d’un enfant ou d’un adolescent, est guidé par une figure angélique, image adoptée par exemple comme ornement des fonts baptismaux.21

L’image dans le contexte du temps Mais revenons un instant à la première transformation figurative importante qui, dans les peintures de l’Annonciation, enlève à l’ange la capacité de projeter une ombre et le place sur un nouvel appui de nuages. À quoi peut-on attribuer ce changement? À quelle nouvelle sensibilité religieuse? Avant la Réforme protestante, qui selon un lieu commun historiographique assez répandu serait le seul détonateur authentique de la Réforme catholique, l’Eglise de Rome est déjà traversée aux XIVe et XVe siècles par de nombreux appels à la transformation, avec le Concile de Vienne (1308), la prédication mystique de Savonarole, le renouvellement de nombreux ordres religieux entre 1485 et 1525 et, sans doute, avec le Concile Latran V, qui se déroula à Rome du 3 mai 1512 au 16 mars 1517 sous les pontificats de Jules II et de Léon X. Comme le synthétise assez bien Cajetan dans son discours du 17 mai 1512, contre ce qui est “déformé” et “dépravé”, le concile doit s’en tenir à une quadruple tâche: la réforme (reformatio) de l’Église, la discipline de mœurs relâchées (restitutio), le rejet des hérétiques (revocatio), et la remise en vigueur des anciennes lois (roboratio). L’idée d’une restauration de la religion chrétienne qui passe par une victoire militaire sur les Turcs reste valable (Jean Baptiste de Gargha, 19 décembre 1513) ainsi que la nécessité d’un retour pur et simple aux instituta de l’Eglise: droit, rites, traditions, enseignement des Textes Sacrés, des Pères et des docteurs22. Il est difficile d’imaginer que ce remarquable travail ainsi que les appels répétés à découvrir et rétablir les anciens enseignements de l’Eglise ne trouvent pas une correspondance dans la réalisation des images religieuses, dans une nouvelle définition des espaces – figuratifs – entre ciel et terre et donc dans une nouvelle conception des médiateurs entre Dieu et la prière de son peuple que sont la Vierge, les anges, les saints. Comme nous l’avons vu, les exemples à ce propos sont nombreux, et tous tendent vers une “rhétorique du nuageux” qui abandonne résolument les ombres des corps angéliques et en accentue la suspension céleste. Le terrain a été préparé bien avant Trente qui, à ce sujet, marquera la réflexion et la pratique catholique pendant longtemps.

21

Cf. Philippe ARIES, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien Régime, Seuil, Paris 1973, pp. 171-172. Merci à M. Georges Vigarello pour cette communication. 22 Cf. Guy BEDOUELLE, La Réforme du catholicisme 1480-1620, Cerf, Paris 2002, pp. 30-31.


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Alors que Luther annonce dans son grand catéchisme que “le règne de Dieu est le domaine de l’écoute, non pas un règne de la vision”, que Calvin définit la parole comme seul miroir de Dieu, et que les parois nues des églises réformées témoignant de l’absence d’images superstitieuses des papistes sont le symbole d’une Eglise purifiée et désensualisée23, on assiste chez les catholiques à une profonde transformation dans l’interprétation des sujets traditionnels. L’arrivée de nouveaux thèmes et de nouvelles représentations suit précisément le XIXème concile oecuménique (Trente, 1545-1563) qui donne à l’art religieux un caractère sévère et rigide, pour lutter contre l’hérésie et l’hétérodoxie, où rien d’inutile ne doit distraire le chrétien qui médite sur le désir de salut24, même si sa spiritualité est invitée à découvrir le rôle de l’imaginaire dans l’exercice de la foi25. Au cours de la 4e session (8 avril 1546), le Concile affirme le culte de l’image et la pratique de la prédication à travers les figures bibliques, les vies des saints et des martyrs et d’“autres figurations” pour instruire le peuple sur les articles de la foi. Ce qui sera confirmé au cours de la 25e session (3 décembre 1563), avec l’approbation d’un décret qui rend possible la représentation du Christ, de Marie et des saints, mais qui repousse les formes de superstition qui lient les images aux qualités magiques26. On peut donc, sans être considéré comme idolâtre, vénérer une image autorisée et accompagnée par la prédication, par un commentaire qui, selon Benito Pelegrín, fonderait une “corporalité de l’image dotée de l’expression de son âme, de son sens, la glose verbale”27. La culture du catholicisme réformé se condense autour de la peinture religieuse. Entre l’iconoclasme des uns, qui est tout proche et a laissé des traces, et la sacralisation de l’icône, rarement rencontrée dans les pays catholiques, se déploie une peinture et surtout une sculpture à laquelle les autres confessions ne veulent pas avoir recours, qui est médiation vers le religieux. Les sujets religieux sont la norme, faisant souvent bon voisinage avec les allégories de l’Antiquité et les portraits de famille. Le concile de Trente 28 aborde l’image en stricte relation avec le culte des saints . Le chapitre XVII de Instructiones Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae (1577)sur les images sacrées et les peintures de l’évêque Carlo Borromeo - exemple d’un accueil “rigide” du décret de Trente - précise “comment on doit chercher, pour ce qui est possible, de peindre l’image véritable du saint, pour éviter de représenter la physionomie de tout autre homme, vivant ou défunt”. Entre le milieu du XVIe siècle et le XVIIe siècle on avait effectivement l’habitude de demander un portrait en saint ou en vierge, comme en témoignent, pour ne citer que quelques exemples, la célèbre et éblouissante Madone en trône avec Enfant de Jean Fouquet (vers 1450) qui a comme modèle Agnès Sorel (ou Soreau), femme de Fromenteau et maîtresse de Charles VII à qui elle donna trois filles, et la table de Butteri Les saints médicéens (1575), où Eléonore de Tolède, vêtue en Madone, est entourée par sa famille29. 23

Hans BELTING, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001, p. 557, (orig. Bild und Kult. Eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, Oscar Beck, 1990). 24 Cf. Emile MALE, L’Art religieux…, op. cit., pp. 1-17. 25 Victor I. STOICHITA, Cieli in cornice. Mistica e pittura nel Secolo d’oro dell’arte spagnola, Meltemi, Roma 2002, p. 8 (orig. Visionary Experience in the Golden Age of Spanish Art, London, Reaktion Books Ltd, 1995). 26 Cf. “Décret sur l’invocation, la vénération et les reliques des saints, et sur les Saintes Images” (1563), in Conciliorum oecumenicorum decreta, Bologna 1973, pp. 774-776. 27 Benito PELEGRIN, Figurations de l’infini: l’âge baroque européen, Seuil, Paris 2000, p. 202. 28 Cf. Guy BEDOUELLE, La Réforme du catholicisme 1480-1620, op.cit., p. 151. 29 Sergio BERTELLI, Il re, la vergine, la sposa. Eros, maternità e potere nella cultura figurativa europea, Donzelli, Roma 2002, pp. 74-75.


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Si le savant de Louvain Molanus, auteur de De historia sanctarum imaginum et picturarum (1594) fixe la correcte iconographie pour chaque fête du calendrier et admet des métaphores et des symboles – par exemple précisément “les anges doués de corps” - une forte méfiance vers les images allégoriques ou métaphoriques est exprimée par l’archevêque de Bologne Paleotti qui en 1581 publie ses deux premiers volumes du Discours sur les images sacrées et profanes.30 Contrôle et dévotion caractérisent la position de la hiérarchie ecclésiastique à l’époque de la Contre-Réforme à propos de la production des images qui devaient être riches et opulentes, mais également accessibles à la contemplation extatique, ce qui oriente, comme l’a remarqué Gombrich, toute une ligne baroque vers des résultats visionnaires.

30

Cf.Trattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e Controriforma, sous la dir. de P. Baracchi, II, Bari 1961. Voir aussi Daniele MENOZZI, Les images. L’Eglise et les arts visuels, Cerf, Paris 1991, notamment les pages 38-53 et 189-207.


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 447-466

Valutazione e autovalutazione dell’istituzione Marco Paolantonio, fsc “La scuola è nata per valutare, non per essere valutata” (Lucio Guasti). E’ la consta-

tazione alla base delle molteplici ragioni che rendono arduo quanto necessario un lavoro di chiarimento inteso a trasformare in profondità il mondo della scuola non solo in Italia. Si tratta di interpretare in senso etico-etimologico il termine responsabilità: che è la capacità di render conto delle proprie scelte e dei propri atti. Il tema attraversa l’intero processo di evoluzione del sistema scolastico, chiedendo ad ogni istituzione: ● la definizione della propria identità formativa ● la comunicazione delle proprie scelte progettuali ● la valutazione dei processi posti in atto e dei loro esiti ● l’accertamento della qualità delle prestazioni professionali di chi vi opera. Inutile nascondere che sia a livello istituzionale sia a livello individuale ci sono notevoli difficoltà d’ordine culturale (valori tradizionali, ordinamenti, prassi) e organizzativo (effettivo accordo fra gli organismi sovranazionali, nazionali, regionali, d’istituto) che rendono ardua - quando non vi si oppongono - una rendicontazione pubblica di quello che si fa a scuola. Ma il cammino pare inevitabile per almeno due serie di ragioni: a) d’ordine sociale: la società ha diritto di sapere se e come funziona un’istituzione pubblica fondamentale, non solo perché costa in termini economici, ma soprattutto perché dovrebbe garantirle un futuro in temine di maturità umana e di competenza dei cittadini che la frequentano; b) d’ordine strettamente professionale, perché l’ ef-


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fetto specchio, la capacità cioè di riflettere criticamente sul proprio operato, è alla

base del vero progresso in ogni attività umana.

“La valutazione è un processo attraverso il quale si attribuisce il valore ad un prodotto, ad un’azione, ad una competenza, ad una prestazione, ad un sistema complesso. Consta di più fasi: ● inizia con la definizione dell’oggetto da valutare; ● prosegue con l’identificazione di un modello di riferimento; ● per passare alla rilevazione delle caratteristiche del prodotto in esame; ● che vengono poi confrontate con quelle attese; ● per poter esprimere un giudizio sul grado di adeguatezza delle stesse; ● ed assumere infine delle decisioni.” L. Calonghi - C. Coggi, in Dizionario di scienze dell’educazione, LAS, Roma 2008, p.1241

I sei momenti, qui graficamente evidenziati rispetto al testo citato, offrono la possibilità di affrontare in modo sistematico l’esame di un ‘sistema complesso’ come quello della scuola. Cominciamo con la definizione dell’oggetto da valutare. Si possono valutare le scuole? E’ il titolo del saggio che Mario Castoldi1, uno dei più accreditati esperti del settore, dedica a un tema dibattuto da almeno vent’anni ma che tuttora pare non offrire che orientamenti ed esperienze isolate. Come in altri lavori2, l’autore schematizza i livelli di analisi della qualità con un grafico a zone concentriche: ● autovalutazione della scuola (cuore del grafico e, nel nostro assunto, della questione); ● confronto tra scuole (prima fascia verso l’esterno); ● accreditamento interno (seconda fascia); ● accreditamento esterno (terza fascia); ● certificazione esterna (ultima fascia). E’ l’iter metodologico cui ci atterremo, modificandone però l’ordine, perché, come premesso, ci interessa proporre strumenti operativi utili alla singola istituzione scolastica, che ovviamente deve tener presenti tutte le dimensioni esterne, ma allo scopo di utilizzarle al meglio per fornire - in modo autonomo e originale - il proprio servizio educativo. Il Dpr 8.03.1999 n.275 nel definire gli indirizzi quadro a livello nazionale entro i quali collocare l’autonomia delle singole istituzioni, cita tra gli altri gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alla competenze degli alunni, vale a dire i programmi/ contenuti disciplinari sui quali condurre gli accertamenti del profitto. Appare evidente l’uso equivoco del termine competenze che, non per vacuo formalismo verbale, vanno distinte da conoscenze e abilità. Queste ultime (sapere e saper fare) sono verificabili anche oggettivamente; le competenze, come le capacità, esigono invece

1

Si possono valutare le scuole? IL caso italiano e le esperienze europee, S.E.O., Torino 2008. V. ad es. Scuola sotto esame, La Scuola, Brescia 2000, e i contributi Per una cultura della qualità: promozione e verifica, in Scuola cattolica in Italia.Terzo Rapporto, ivi, 2001.

2


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un’attenzione personalizzata che sfugge ai monitoraggi ‘scientifici’, perché collegata ai ritmi di apprendimento e alle potenzialità individuali. La riforma Moratti aveva introdotto, ma solo per la scuola primaria e secondaria di primo grado, alcuni parametri con le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati. Forniva obiettivi specifici di apprendimento (livelli essenziali di prestazioni) per le singole discipline e tracciava un profilo educativo, culturale e professionale dello studente al termine della scuola dell’obbligo, cui avrebbero dovuto contribuire in modo sostanziale l’azione del tutor e la funzione del portfolio. Dal 2003 al 2006, anche a causa di attacchi e di inerzie spesso ideologici, questa impostazione è rimasta largamente disattesa. Oggi (2009) tutto pare ritornato a un’indecifrabile linea di partenza3.

1. Accreditamento esterno L’accreditamento esterno consiste nelle procedure con cui l’autorità pubblica e/o scolastica accerta, in base a parametri definiti e noti, la ‘qualità del prodotto’ di una specifica realtà scolastica. Accertamento e validazione dovrebbero corrispondere al grado di spendibilità, al di fuori dell’istituzione che le rilascia, delle conoscenze e delle competenze che essa certifica per i singoli allievi. Si tratta della definizione - in campo nazionale e in quello europeo - dei certificati di livello primario-medio-superiore, acquisiti nella conoscenza /competenza di un determinato campo del sapere4. Quelli oggi meglio definiti riguardano l’inglese (come veicolo di comunicazione internazionale), la matematica, l’informatica, accomunati dal fatto di essere materie logico-combinatorie, cioè acquisite attraverso sintesi di linguaggi specifici volti a chiarire e formulare i concetti. Più evidenti, perché immediatamente fruibili nell’economia di mercato, i livelli standard di certificazione richiesti in campo professionale, che - a differenza dei diplomi, i quali testificano l’acquisizione di un certo numero di conoscenze - privilegiano conoscenze,

3

G. Bertagna, uno dei più noti artefici della ‘riforma Moratti’, scriveva a proposito dell’apparente conflitto tra l’ordine formale (epistemologico) degli obiettivi specifici di apprendimento e quello reale, psicologico e didattico, situato esistenzialmente, di ciascun allievo: “Se è giusto dire che le Indicazioni generali predisposte dallo Stato possono essere paragonate a magazzini

che conservano e stipano in appositi scaffali (disciplinari) gli ingredienti (conoscenze e abilità) che non possono mancare per cucinare il percorso formativo formale, non formale e informale degli allievi, è altrettanto giusto osservare che i piani di studio personalizzato escludono per i docenti la semplice professione di dispensieri. Ogni ‘autonomia funzionale’ è sempre invitata dallo Stato a mescolare gli ingredienti inter- e multi-disciplinari e a scoprire che non esiste piatto possibile (problema da risolvere, compito da eseguire, progetto da realizzare) che si possa cucinare con un solo ingrediente o con ingredienti di una sola disci-plina”. In Valutare tutti, valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, La Scuola, Brescia 2004, p.78. 4

Caratteristiche del tutto diverse ha, com’è noto, il Progetto Erasmus, che dà la possibilità di studiare in una università straniera o effettuare un tirocinio in un paese dell’UE per un periodo che va dai 3 ai 12 mesi. Nel 2007 partecipavano al progetto 2199 istituzioni universitarie di 31 paesi; un milione e mezzo gli studenti mobilitati all’interno della Comunità Europea.


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esperienza e pratica, cioè i requisiti che interessano i datori di lavoro, in una parola: la competenza. E a questo punto va ripreso il dibattito, non certo nominalistico, tra cosa si intende per conoscenza e cosa per competenza5. Se le conoscenze sono verificabili anche attraverso test oggettivi, le competenze, pur sfuggendo a controlli quantificabili, sono certamente la base e il coronamento di un sapere compiuto. Le prime, quando non siano la restituzione inerte di nozioni solo memorizzate, sono l’insostituibile materia prima su cui le competenze operano la loro azione di vera acquisizione culturale (cioè di autonoma, efficace utilizzazione in situazioni nuove degli elementi di conoscenza acquisiti mediante l’apprendimento spontaneo o guidato). Se non si danno competenze senza conoscenze, non si dà vero apprendimento senza che le conoscenze siano metabolizzate: diventino competenze. E’ esperto in qualsiasi campo chi ha una conoscenza approfondita - tecnica - del campo in cui opera e sa adeguarsi (dimostra competenza) alle situazioni nuove che gli richiedono personali capacità operative (analisi, sintesi, creatività, decisione). Per esemplificare: Conoscenza disciplinare e competenza didattica - Quando si insegna, la dimensione delle conoscenze disciplinari è sempre connessa con la capacità didattica. L’una si sviluppa in relazione con l’altra. L’approfondimento di un argomento è stimolato dalla difficoltà incontrata nello spiegarlo; la spiegazione è tanto più sintetica ed efficace quanto maggiore è lo studio che l’ha preceduta e quanto più ottusa e indisciplinata è la classe che ci si trova davanti. L’esperienza consente di avere, disponibili nella propria mente, certe esemplificazioni, certi argomenti, certi modi di affrontarli - certi contenuti e certe tecniche didattiche insomma - che diventano, insieme, i cavalli di battaglia di ciascun docente. L’alternarsi e il mutevole atteggiarsi nel tempo delle classi impongono aggiornamenti e aggiustamenti continui. [Francesco Senatore, Le SSIS e la didattica della storia. www.dssg.unifi.it].

1.1. Valutazione a tre livelli Le agenzie che si propongono come organismi istituzionali di studiare e attuare criteri e forme di valutazione delle conoscenze/competenze possono essere disposte su tre piani, tra loro interconnessi (almeno per esigenze di economia e di logica pedagogica):

5

Un chiarimento è stato tentato in un nostro articolo precedente (RL 2008/3, pp.354-355): saperi-conoscenze: informazioni fornite dalle singole discipline, capitalizzate secondo criteri di chiarezza, coerenza ed essenzialità; prestazioni-abilità: risposte che dimostrano come le conoscenze acquisite sono ‘spendibili’ in contesti parzialmente nuovi (esercitazioni e interrogazioni su argomenti disciplinari svolti) e tradotte anche nelle forme del ‘saper fare’ (uso degli strumenti ordinati all’apprendimento con corretta applicazione della metodologia); competenze: si configurano come strutture-abilità mentali capaci di trasferire la loro valenza in diversi campi, generando dinamicamente altre conoscenze, prestazioni e capacità reali di riflessione, di decisione e d’azione adeguate alla complessità delle situazioni che l’individuo deve affrontare.


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■ piano internazionale, che ha nell’OECD6 le sua sede mondiale, nell’OCSE-PISA7, nell’IEA8 e nel Consiglio d’Europa quelle del nostro continente. Limitandoci a descrivere brevemente l’attività più conosciuta, quella dell’OCSE-PISA, va ricordato che, a cominciare dal 2000, il periodo di rilevazione è annuale; i temi della rilevazione sono stati: la capacità di lettura (2000), matematica (2003), scienze (2006); l’età degli studenti valutati è quella dei quindicenni; i Paesi sui quali si è estesa l’indagine è di 30 OECD e di 11 ad essa esterni; oltre 70mila gli studenti valutati. Strumenti della valutazione sono i questionari (di valutazione, dello studente, per l’insegnante, per la scuola); tipologia delle domande aperte, a scelta multipla, a scelta obbligata9. ■ piano nazionale: l’INVALSI10, che non ha ancora superato le difficoltà interne di organizzazione e di programmazione, sta tentando di definire la sua funzione. Dovrebbe infatti armonizzare la necessaria uniformità dei programmi scolastici su cui condurre la valutazione con l’autonomia che la legge prevede per le scuole in ordine a programmazione e programmi. Se lo scopo dichiarato dell’INVALSI è quello di “in-

tegrare gli elementi di valutazione propri della scuola con elementi rilevati a livello nazionale in modo da avviare azioni per migliorare la qualità della scuola”, è altrettanto vero che molti dirigenti e docenti la considerano un’ingerenza che condiziona fortemente una reale autonomia. Non è quindi difficile trovare chi fa notare che i test sono ‘pericolosi’ per gli insegnanti, “perché le prove ‘verificano’ obiettivi di pro-

gramma estremamente specifici ed ‘anticipati’, secondo le modalità particolari del test a risposta chiusa: questo, - ripetuto tutti gli anni – tenderà ad annullare la libertà di insegnamento costringendo gli insegnanti ad inseguire in modo compulsivo i programmi ed a privilegiare le modalità della didattica a quiz” 11. Non meno forti perplessità e riserve degli esperti in docimologia. “L’attuale indagine del sistema messa a punto dall’INVALSI risulta particolarmente debole, in quanto affidata tutt’oggi ad un voluminoso questionario che tende a combinare tipologie di dati differenti (evidenze empiriche, percezioni, dati quantitativi, dati qualitativi,) senza possibilità di una restituzione agli Istituti rispondenti utile e mirata”.12

6

Organisation for Economic Co-operation and Development . OCSE è l’equivalente europeo dell’OECD; PISA è l’acronimo di Programme for International Student Assessment. 8 International Energy Agency. L’IEA-ICCS 2009 si propone l’ambizioso progetto di identificare ed esaminare, all’interno di una dimensione comparativa i modi in cui i giovani vengono preparati per svolgere in modo attivo il proprio ruoli di cittadini in società democratiche. 9 Cf. In dieci punti la strategia del MIUR dopo l’indagine PISA-OCSE, riguardanti in particolare 7

matematica e scienze: www.apefassociazione.it/Riforma/CApprendimentibase.htm Semiacronimo di Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e

10

di formazione.

11 12

http://digilander.libero.it/infoscuolabaripoli Le scuole si possono valutare?, in Scuola e didattica, 1 settembre 2008, p.120.


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■ piano regionale, affidato ai venti IRRE13 nazionali, ha lo scopo di “raccogliere, ela-

borare e diffondere la documentazione pedagogico-didattica; condurre studi e ricerche in campo educativo; promuovere e assistere l’attuazione di progetti sperimentali; organizzare e attuare iniziative di aggiornamento per il personale direttivo e docente; fornire la consulenza tecnica sui progetti di sperimentazione, sui metodi e sui servizi di aggiornamento culturale e professionale, e collaborare all’attuazione delle iniziative promosse a livello culturale”. Rispetto ai livelli precedenti, offre il vantaggio di assicurare un’assistenza più utile agli utenti perché più mirata. Ad es.14 si documentano i percorsi e gli esiti di un progetto di ricerca sull’autoanalisi d’Istituto condotto da tredici istituzioni scolastiche con la consulenza metodologica e processuale dell’IRRE Lombardia e un’articolata serie di riflessioni utili ad inquadrare l’esperienza dell’attuale dibattito sulla valutazione dei sistemi scolastici’. Conclusione provvisoria, attinta dal citato libro del Castoldi15: Al di là delle contingenze politiche e delle ristrettezze economiche, l’ostacolo maggiore nell’avvicinamento a un sistema di valutazione nel nostro paese è quello culturale. La scuola italiana, dal piano nobile di via Trastevere all’ultimo insegnante precario della provincia più remota, ha paura della valutazione: ne teme le conseguenze, si sente impreparata ad affrontare la responsabilità di una rendicontazione pubblica. (...). La sfida della valutazione si vince non attraverso organigrammi, architetture istituzionali, liste di obiettivi e di compiti, campagne di sensibilizzazione e di informazione, ma avviando un lavoro capillare di interventi valutativi, di ricerca sul campo e di formazione. C’è bisogno di ‘fare’ valutazione, non di ‘parlare’ di valutazione, in modo da assumerla come utensile professionale a disposizione degli operatori e dei responsabili del servizio scolastico per qualificare il servizio offerto e per governare il sistema. E prima di affrontare il quarto livello, l’autovalutazione d’Istituto – che costituisce il tema del presente articolo – ribadiamo il punto di vista adottato in queste pagine: quello del docente che opera all’interno dell’istituzione, in aperto rapporto di collaborazione con tutte le componenti – dirigenti e colleghi, famiglie e allievi. La scuola è un organismo vitale se ogni organo dà la propria collaborazione secondo la funzione che lo caratterizza. 1.2 Certificazione di qualità La poniamo tra le forme di accreditamento esterno, anche se sarebbe più appropriato definirla ‘mista’, perché coinvolge in modo sostanziale le componenti dell’istituzione che la chiede. E’ un modo per realizzare l’autonomia (Dpm 1999, n. 275) e inserire con efficacia l’apporto dell’insegnante in sinergia con le altre componenti che operano nella stessa realtà scolastica. Lo scopo è quello di passare dalla cultura di gestione alla cultura di progetto: “L’istituto esce dall’autoreferenzialità e ac13

Già IRRSAE, è l’Istituto Regionale della Ricerca Educativa. IRRE Lombardia, Valutazioni. Autoanalisi d’Istituto e valutazione del sistema: pratiche e approfondimenti, a cura di P. Bosio e V. Fabbricatore. 14 15

Op. cit., p. VIII.


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cetta quindi che un ente esterno analizzi e valuti la sua organizzazione: ciò a fronte di confronti costruttivi, di ampliamento di visione prospettica e può rappresentare una leva verso il miglioramento continuo della prestazioni” (Per una scuola di qualità – Linee guida, Miur 2003). Alle singole istituzioni scolastiche è chiesto di applicare principi e metodologie complessi - mutuati dal mondo aziendale e debitamente adattati - allo scopo di adeguare con continuità e coerenza i propri criteri gestionali, didattici, amministrativi, assicurando all’utenza vantaggi in termini di efficacia e di efficienza. Va sottolineato che la capacità progettuale (Piano dell’Offerta Formativa e Carta dei servizi) è interamente compito e responsabilità della scuola che la esprime. Solo la certificazione, che comporta la verifica annuale della coerenza nei vari aspetti organizzativi, è poi affidata a un auditing esterno che offre riconosciute garanzie di competenza (Norma UNI EN ISO 9001:2000). La tassonomia che afferisce alla certificazione di qualità è piuttosto varia e ricca; prevede comunque alcuni settori interconnessi16. Il rischio è quello di riprodurre il modello produttivistico-aziendale, moltiplicando moduli e procedure, sottraendo così tempo ed energie all’insegnamento finalizzato all’apprendimento. Che resta l’impegno fondamentale (e ineludibile) del singolo insegnante e della scuola in cui esercita la sua professionalità. 1.3 Monitoraggio basato su indicatori Altro mezzo per sfuggire all’autoferenzialità è quello del monitoraggio basato su indicatori. La ricerca parte da due elementari domande: come deve funzionare una scuola per ottenere elevati risultati educativi? Quali sono i requisiti strutturali e funzionali in grado di caratterizzare un istituto che ‘funzioni bene’? Questo modello, fondato sulla collaborazione con altre/i scuole/corsi con lo stesso indirizzo, prevede tre fasi: ● una raccolta di dati tramite questionari; ● l’attivazione di processi di comparazione per individuare altri - e più efficaci - possibili standard di funzionamento; ● coinvolgere le diverse componenti della vita dell’istituto nella ricerca e nell’applicazione delle innovazioni. I principali campi di indagine sono ovviamente quelli che riguardano dirigenti e docenti17 e studenti18. Una Relazione europea sulla qualità dell’istruzione scolastica19 e16

settore della proattività: riguarda la predisposizione di obiettivi, contenuti, programmi, processi di insegnamento,…in stretto rapporto con la realtà sociale in cui l’istituzione opera, ● settore del controllo: cura la raccolta continua e sistematica delle informazioni relative a tutti i settori dell’organizzazione, ● settore della gestione della qualità: raccoglie in itinere e con periodicità prefissata il lavoro svolto ai livelli precedenti per rendere effettivi, tempestivi ed efficaci gli interventi di correzione della rotta e di impulso delle iniziative● settore della valutazione della qualità: concerne le prestazioni delle varie categorie interessate al processo (dirigenti, docenti, personale amministrativo, allievi), senza prendere in considerazione i casi personali● settore del miglioramento della qualità:coinvolge tutti gli attori e gli operatori , impegnati a ottimizzare in modo sistematico e costante il servizio, mediante l’aggiornamento, i lavori di gruppo e di intergruppo, il ricorso a esperti,… 17 V.Al proposito vedi, ad es., www.siscas.net/ocsepisa/doc/libretto_map.pdf 18 V. ad es. www.irrelombardia.it/valutazione va_00.php - 21k 19 .http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c11063.htm , ultima modifica 8.5.2006


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lenca sedici indicatori in riferimento a quattro settori: ♦ livello raggiunto nei settori delle matematiche, della lettura, delle scienze, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione(TIC), delle lingue straniere, della capacità di ‘imparare con metodo’ e dell’educazione civica; ♦ riuscita e transizione: tasso di abbandono e di successo scolastico all’interno del corso, rispetto all’entrata e alla conclusione del ciclo di studi; ♦ controllo della partecipazione: sia degli operatori sia delle famiglie e degli allievi dei corsi superiori; ♦ risorse e strutture.20

2. Valutazione d’Istituto Definizione dell’oggetto da valutare - Già si è osservato che l’autovalutazione precede e, se condotta con obiettività, integra in modo sostanziale la valutazione. Nel nostro caso riguarda: ● da un lato i soggetti responsabili dell’istituzione e le azioni formative che da essi dipendono (2.1) , ● dall’altro i fruitori del servizio - genitori ed alunni chiamati a esprimere il loro apprezzamento sulle modalità del funzionamento e sulle qualità delle prestazioni che ricevono (2.2). 2.1 Autovalutazione e valutazione dei responsabili: il dirigente Dal 2003-2004 il Ministero ha suggerito alcune idee-guida al riguardo, perché sia in forma ‘passiva’ (soggetta al giudizio esterno) che ‘riflessiva’ (frutto di un riesame personale) la valutazione fornisce un grande valore aggiunto in quanto agisce con coerenza sugli aspetti culturali (comportamenti, atteggiamenti mentali, stili di leadership, competenze distintive), sugli aspetti organizzativi (ruoli, responsabilità, meccanismi operativi, sistema premiante) e sugli aspetti tecnici (rapporti tra attori, innovazione del servizio, ecc...).21 Esplicitando meglio tali aspetti con le linee-guida del SI.VA.DI.S.22 2005-06 è possibile chiarire su quali elementi orientare i giudizi di merito sui dirigenti riferendoli a quattro aspetti che ne qualificano la professionalità. 1. Promozione delle qualità dei processi formativi Ambito: innovazione (metodologie, studio e attuazione di percorsi didattico-formativi) e nuovi servizi (strumenti: laboratori). ► Questionario: c’è la capacità ♦ di ricercare soluzioni originali ed efficaci (evitando avventure)?, ♦ di riconoscere e incoraggiare le proposte valide dei collaboratori?, ♦ di cogliere e selezionare i segnali di cambiamento (sottomettendo a vaglio critico sia la prassi fin qui seguita sia le novità che si preannunciano)? 2. Valorizzazione delle risorse umane

20

Utili anche i link che è possibile consultare nel sito ScuoleInRete. F: Marcantoni, G. Negro, S. Vigiani, Valutazione e dirigenza scolastica. Modelli, tecniche, esperienze, Editrice La Scuola, Brescia 2005, p. 19 22 Sistema di Valutazione dei Dirigenti Scolastici, MIUR, Dipartimento generale per l’istruzione, Linee-guida 2005-2006 21


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Ambito: coinvolgimento e motivazione dei collaboratori; tempestività e completezza delle comunicazioni; valorizzazione del lavoro di gruppo sia nelle forme istituzionali sia in quelle elettive; rapporti interpersonali improntati a sincerità e rispetto, indirizzati a reale coinvolgimento educativo. ► Questionario: c’è la capacità ♦ di orientare, riconoscere, far crescere e motivare i collaboratori?, ♦ di valutarne le doti e le inclinazioni (allo scopo di vederli operare nel giusto contesto educativo e professionale)?, ♦ di esercitare una leadership, che stimoli senza plagiare, chieda senza imporre, orienti e guidi, ma allo scopo di ottenere comportamenti autonomi? 3. Relazioni interne ed esterne, collaborazione con le risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio. Ambito: i rapporti interni riguardano il ‘clima’ che meglio favorisce la collaborazione con e fra i docenti e il personale lavora nella scuola (rispetto, stima, collaborazione, coinvolgimento); quelli esterni riguardano il ‘buon nome’ della scuola (la stima fondata su elementi reali) e il suo inserimento nella realtà socio-culturale in cui opera la scuola (allievi e genitori, enti locali, operatori sociali ed economici). ► Questionario: c’è la capacità ♦ di stabilire su basi sicure i normali rapporti (conoscenza delle situazioni, relazioni interpersonali positive)?, ♦ di negoziare (senza cedimenti su cose essenziali o inutili impuntature su aspetti marginali)?, ♦ di gestire gruppi e riunioni (anche con la scelta di collaboratori capaci)?, ♦ di gestire i conflitti con un giusto equilibrio tra fermezza e comprensione? 4. Direzione e coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa Ambito: pianificazione, programmazione, coordinamento dell’attività; organizzazione del lavoro; interventi per promuovere l’apprendimento ed il successo scolastico (efficacia degli insegnamenti, verifica degli apprendimenti). ►Questionario: c’è la capacità ♦ di sviluppare piani e strategie (analisi della situazione reale per proporre soluzioni praticabili)?, ♦ di programmare (predefinendo le attività da svolgere in accordo con le risorse, umane ed economiche, disponibili)?, ♦ di organizzare (assegnando compiti e responsabilità a collaboratori capaci)?, ♦ di decidere (scegliendo con tempestività le soluzioni più idonee dopo la necessaria intesa con i collaboratori)? Nb - Un quinto aspetto potrebbe riguardare la gestione delle risorse finanziarie e strumentali e il controllo della gestione. Unito agli ultimi due, fa del dirigente un manager. Non ne trattiamo qui, perché la nostra disamina si riferisce ai temi della professionalità educativa.

2.2 Autoanalisi e valutazione del docente Sono state l’argomento del precedente articolo23, qui ci limitiamo perciò a richiamarne le caratteristiche per sommi capi, aggiungendo a un nuovo questionario di autovalutazione alcuni questionari che potrebbero far rilevare le aspettative di allievi e famiglie. 23

L’autovalutazione del docente, Rivista lasalliana, 2009/2, 265-280.


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2.2.1 – Autoanalisi - A ogni ‘voce’ è utile far corrispondere spazi per segnalare, dall’1 al 5, valori quali: 1 = totalmente inadeguato, 2 = al di sotto delle attese, 3 =

corrispondete alle attese, 4 = al di sopra delle attese, 5 = eccellente. 1. Spesso cerco di utilizzare in classe tecniche didattiche diverse. - 2. Sono in grado di gestire, in modo adeguato, il comportamento indisciplinato degli allievi. - 3. Fornisco con tempestività o necessari feedback agli allievi perché possano capire meglio e/o migliorare le loro prestazioni. - 4. Uso molte risorse diverse per integrare il libro di testo. - 5. Fornisco agli allievi l’opportunità di applicare e usare le informazioni che ricevono, senza dover ricorrere unicamente alla memorizzazione meccanica. - 6. Intuisco/mi propongo di rilevare in modo chiaro i bisogni individuali di ciascun mio allievo. - 7. Volutamente pongo degli standard elevati per i miei allievi e comunico loro le mie aspettative. - 8. Mi tengo aggiornato sui nuovi percorsi didattici riguardanti la mia materia. - 9. Nelle ultime due settimane ho sperimentato un nuovo approccio didattico ai contenuti delle mie lezioni. - 10. Gran parte delle valutazioni che eseguo sui miei allievi sono basate su prove scritte.24, proposte e giudicate con criteri noti anche a loro.

2.2.2 Valutazione degli allievi (di scuola secondaria di 1° e 2° grado) - A ogni ‘voce’ è utile far corrispondere spazi per segnalare, dall’1 al 3, valori quali: 1 = in disaccordo; 2 = parzialmente d’accordo; 3 = d’accordo. Ogni settore potrebbe essere ulteriormente articolata: es. 1. in disaccordo a) completo, b) frequente. 1. So esattamente ciò che mi si chiede di fare in aula. - 2. L’insegnante ci mostra spesso in che modo fare cose nuove. - 3. C’è sempre tempo sufficiente per finire le esercitazioni che vengono assegnate in classe. - 4. La classe è disciplinata in modo tale che posso apprendere; abbiamo discusso e ci siamo date regole che facilitano la convivenza - 5. Apprendo cose nuove di cui parlare anche a casa. - 6. Vengo sempre informato sul mio rendimento in classe. - 7. Mi trovo bene con quest’insegnante. - 8. Abbiamo sempre a disposizione (ci è sempre chiesto per tempo) il materiale che ci serve per lavorare. - 9. Alla fin della lezione ho le conoscenze necessarie per eseguire i compiti a casa. - 10. Capisco, perché l’insegnante le dice, le ragioni per le quali stiamo affrontando un argomento e come si collega con ciò che sappiamo e ciò che impareremo. – 11. L’insegnante spiega sempre in modo chiaro ed è disponibile a ripetere ciò che qualcuno di noi non ha capito. – 12. Il gruppo-classe procede con il ritmo giusto nell’apprendimento; l’insegnante è disposto a dare spiegazioni particolari a chi non ha capito25

24

Adattamento da Airasian e Gullickon, cit. da P. Meazzini, L’insegnante valutato, Vannini Editrice, Gussago (BS) 2007, pp.122 e 128. 25 Adattamento da Peterson 2000, citato da P. Meazzini, L’insegnante valutato, pp. 122 e 128, Vannini Editrice, Gussago (BS) 2007


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2.3 La valutazione dell’istituzione da parte degli utenti 2.3.1 Servizio offerto alle famiglie - Di sicura utilità, anzi indispensabili per una corretta conoscenza della situazione, sono gli elementi offerti dagli ‘esterni prossimi’: gli allievi e le famiglie. A questo scopo possono risultare utili questionari come i seguenti26. A ogni ‘voce’ è opportuno far corrispondere spazi per segnalare, dall’1 al 5, valori quali: 1 = totalmente inadeguato, 2 = al di sotto delle attese, 3 = corrispondete

alle attese, 4 = al di sopra delle attese, 5 = eccellente. Questionario per il rilevamento della soddisfazione 1. Promozione della partecipazione dei genitori. - 2. Sicurezza degli studenti. - 3. Qualità dell’attività didattica. - 4. Preparazione adeguata al mondo del lavoro o alla prosecuzione degli studi. - 5. Facilità di contattare gli insegnanti. - 6. Tempestiva disponibilità a gestite situazioni difficili. - 7. Efficacia delle informazioni sull’andamento scolastico dei figli. - 8. Efficacia ed organizzazione delle attività didattiche collaterali. - 9. Sensibilità ai bisogni educativi. - 10. Attenzione agli aspetti relazionali della classe. - 11. Coordinamento dell’attività didattica fra i vari docenti. - 12. Omogeneità dei criteri di valutazione tra i vari docenti. . 13. Organizzazione dell’orario delle lezioni. - 14. Organizzazione e funzionalità del servizio di segreteria. -15. Accoglienza di studenti e genitori (collocazione e svolgimento dei colloqui). -16. Supporto ricevuto per la scelta del percorso di studi superori.

2.3.2 Servizio offerto agli studenti - A ogni ‘voce’ è opportuno far corrispondere spazi per segnalare, dall’1 al 5, valori quali: 1 =totalmente inadeguato, 2 = al di sotto

delle attese, 3 = corrispondente alle attese, 4 =al di sopra delle attese, 5= eccellente. Questionario per il rilevamento della soddisfazione 1. Pulizia degli ambienti. - 2. Funzionalità delle attrezzature e dei supporti didattici e loro livello di utilizzo. - 3. Organizzazione dell’orario delle lezioni. - 4. Uniformità delle valutazioni da parte degli insegnanti. - 5. Qualità dei rapporti tra insegnanti e studenti. - 6. Sicurezza (furti, vandalismi, bullismo, ecc.) degli studenti. - 7. Possibilità di espressione dei bisogni degli studenti. - 8 Tempestività e completezza delle informazioni. - 9 Possibilità e facilità di incontrare il preside.10. Equità ed equilibrio nel trattamento dei provvedimenti disciplinari. - 11. Composizione equilibrata delle classi (qualità degli studenti, numero, distribuzione dei docenti). - 12. Organizzazione ed efficacia del servizio di segreteria. - 13. Qualità dell’insegnamento. - 14. Organizzazione ed efficacia dei corsi di ricupero. - 15 Attività extrascolastiche. - 16. Orario di apertura della scuola. - 17. Presenza e qualità di persone e strutture che si occupano dei problemi degli studenti. – 18. Funzionalità dei servizi interni (mensa, bar, parcheggio, biblioteca,...).

26

Presi dal citato F: Marcantoni, G. Negro, S. Vigiani, Valutazione e dirigenza scolastica. Modelli, tecniche, esperienze, La Scuola, Brescia 2005, pp.75 e 80


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Questionari del genere sono facilmente costruibili per rilevare il grado di soddisfazione del personale ATA e delle persona/istituzioni/imprese con cui la scuola è in relazione.

3. Valutazione dei processi e dei risultati La valutazione esterna e quella interna sono intese ad accertare la reale capacità di un’impresa a fornire beni/servizi che dichiara di voler assicurare. La scuola è un’impresa che si impegna a fornire sia beni (sotto forma di una cultura ‘spendibile’ socialmente) sia servizi (attivando mezzi idonei per l’acquisizione di quei beni). Deve cioè assicurare chiari ed efficaci processi (percorsi) intesi a indirizzare e aiutare un apprendimento verificabile e proficuo. Di irrefutabile evidenza alcune considerazioni del Vertecchi27: Mentre entro un quadro caratterizzato da una modesta dinamica delle conoscenze si poteva accettare che la prima parte della vita fosse dedicata all’acquisizione sistematica delle competenze da utilizzarsi nell’età adulta, ormai occorre pensare ad un sistema che assicuri con continuità il soddisfacimento delle esigenze di formazione, sia negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, sia nelle condizioni che vengono determinate nel seguito della vita. (...)E’ essenziale sviluppare le competenze linguistiche, matematiche, storiche, logico-argomentative, in breve tutte quelle competenze che facilitano l’adattamento ai nuovi contesti di conoscenza. Ed è proprio sull’acquisizione di tali competenze che occorre procedere ad analisi sistematiche, per verificare quale ne sia la effettiva distribuzione nella popolazione scolastica, quali le carenze e difficoltà che si incontrano.

3.1. Valutazione dei processi I modelli metodologico-didattici si sviluppano all’interno di una cultura storicamente ancorata a teorie filosofiche e/o meta-scientifiche. Prima di esaminare quelli oggi più diffusi, è bene notare che ogni docente porta con sé il bagaglio personale di una formazione attinta alle esperienze scolastiche vissute (in cui, nel bene e nel male, dominano spesso le figure di insegnanti), alle letture e ai temi d’aggiornamento preferiti, alla metabolizzazione delle esperienze d’insegnamento già acquisite. E’ un patrimonio specifico che, per essere fruttuoso, va armonizzato con quello de colleghi per dar forza a percorsi didattici coerenti ed efficaci. Un fruttuoso lavoro in équipe postula poi una sostanziale condivisione di finalità e di mezzi, vale a dire di un modello metodologico-didattico. Due le ‘famiglie metodologiche’28 alle quali sono oggi riconducibili i modelli didattici, in tutte le loro varianti: quella dell’insegnamento sistematico e quella dell’insegnamento induttivo-attivo. La contrapposizione è ideologica, entrambe sembrano infatti irrinunciabili nella prassi didattica. 27

Decisione didattica e valutazione, La Nuova Italia, Firenze 2004, pp.25 e 26 L’espressione e parte dei contenuti vengono da M.T. Moscato, Diventare insegnante. Verso una teoria pedagogica dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 2008, pp.189 ss. 28


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3.1.1 L’insegnamento sistematico - È il più diffuso e storicamente meglio sedimentato. Parte dal presupposto che la mente umana è predisposta a conoscere la realtà così com’è: possiede le ‘caselle mentali’ capaci di recepirla ordinatamente per restituirla con modalità (categorie e concetti) universali. Basterà quindi scomporre i nuclei di conoscenza in sequenze successive - di norma partendo del semplice al complesso, dal generale al particolare, dal prima al poi - unendovi gradualmente completezza ed esaustività - insegnare tutto, procedendo con ritmi ciclici. In tutti i casi, l’insegnamento sistematico costruisce una situazione didattica segnata dal primato dell’oggetto. Alla mente dell’allievo si chiede di lasciarsi disciplinare dall’oggetto, di ‘acquisire un metodo personale di studio’ che deriva in larga misura dagli oggetti disciplinari che gli vengono proposti. La ‘sistematicità’ dell’insegnamento dipende quindi dalla logica epistemologica della disciplina, nella misura in cui essa è individuata all’interno di una tradizione scientifica e culturale [Moscato, op. cit. p. 199]

Le caratteristiche del metodo sono la semplificazione, la progressività, la ciclicità delle conoscenze strutturate secondo una gerarchia ‘a piramide’, che pone al vertice le conoscenze teoriche e ai livelli inferiori le conoscenze applicative e tecniche. Il rischio più grave dell’insegnamento sistematico, reso ancor più grave dalla povertà del modello nei gradini elementari della scolarizzazione, consiste nella sua tendenziale passivizzazione dell’allievo, nella spinta all’omologazione e al conformismo intellettuale (oppure all’ipocrisia). In parole povere: nell’ottica dell’insegnamento sistematico non solo si dice ‘dove’ devi arrivare, ma anche ‘come’, ed esattamente per quali tappe, ‘dovrai’ arrivarci.’ [Moscato, op. cit. p. 200].

Il tradizionale insegnamento può dunque essere ritenuto trasmissivo, monodirezionale (lineare e frontale), sistematico, ciclico, enciclopedico Tutti aggettivi che, posti in sequenza, ne enfatizzano unicamente i difetti. La realtà è assai più variegata e meno negativa. L’esame dei nuovi percorsi proposti dalle recenti metodologie nasce perciò da un’esigenza di correttezza deontologica, non da una rassegnata ammissione d’inadeguatezza professionale. Così come il tradizionale modo di ‘far lezione’ può essere sottoposto a vaglio critico, ma solo allo scopo di proporre alternative valide29 Per correggere i difetti legati all’astrattezza e alla sistematicità, intorno agli anni Ottanta sono stati introdotti i concetti di obiettivo e di programmazione30, che nella secondaria superiore sono arrivati ‘a traino’ dai livelli precedenti. E ‘programmare per obiettivi’ è ormai una prassi apparentemente irreversibile, anche se al modello teorico, giudicato complesso e formalizzato, corrisponde poi spesso una pratica didattica che, soprattutto nella scuola dell’obbligo applica con buoni risultati i ‘metodi attivi’31. 29

V. Rivista lasalliana, 2009/1, L’autovalutazione del docente, 3.1: Far lezione… Programmi ministeriali per la scuola media (1979) e per la scuola elementare (1985). 31 V. www.csa.scuola.bo.it/cliccando/cap.13.pdf 30


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3.1.2 L’insegnamento induttivo-attivo - Il ribaltamento gnoseologico è opera del Dewey32: la nostra conoscenza avviene operando; i principi teorici si ottengono riflettendo sul nostro operare. Il rapporto teoria/prassi è dunque rovesciato a favore del secondo termine. L’intelligenza umana è la risposta attiva e vitale di un organismo in cui la mano e la mente - l’azione intelligente e la riflessione su di essa - si integrano; il pensiero è una forma di esperienza, esistere e sperimentare sono un tutt’uno. L’attivismo e più recentemente il costruttivismo, sono nati dall’assunto che le nostre conoscenze non possono essere realmente ‘trasmesse’ da una mente all’altra, ma che vengono ‘rigenerate’da chi le riceve, secondo interessi, competenze culturali e lessicali, categorie logiche, che gli sono propri. Nuove dimensioni dell’attività didattica sono quindi interessi e concretezza, centralità dell’allievo. I termini che hanno però bisogno di un chiarimento: ● gli interessi non sono da confondere con la ‘curiosità spontanea’. È chiaro infatti che , già al suo ingresso nella scuola, gli interessi cognitivi e sociali sono in minima parte determinati da spinte biologiche vitali, ma sono orientati e canalizzati in maniera determinante dall’esperienza socio-culturale offerta dall’ambiente. C’è da sperare che sia positiva. In ogni modo, a scuola può essere integrata o sostituita da interessi indotti; ● la concretezza non significa solo manualità, ma incontro con esperienze diversificate (vedere, toccare, manipolate, sperimentare, drammatizzare, fotografare, registrare,...), con meta finale l’astrazione, cioè la generalizzazione (approdo a simboli, categorie, concetti) che è il fondamento del ragionamento. Vi si oppone l’astrattezza data dalla ripetizione meccanica di contenuti informativi che restano estranei alla struttura cognitiva dell’allievo, e sono quindi inutilizzabili; ● centralità dell’allievo significa porre l’allievo come soggetto attivo del processo di conoscenza, quindi in continuo rapporto con oggetti di conoscenza (saperi) e ambienti di apprendimento.

La strumentazione didattica è funzionale e nel contempo caratterizza l’insegnamento induttivo-attivo. Tre i principali aspetti.

I laboratori - A livello degli strumenti della comunicazione si sono attuate e si configurano proposte sempre più soddisfacenti: nelle attività di scrittura collaborativa; con la creazione di ipertesti e collegamenti ipertestuali che vedono due o più persone al lavoro sullo stesso tema nell’ambito di un progetto comune; sono disponibili in numero e qualità sempre maggiori le simulazioni che, sia pure in modo virtuale, consentono esperienze di laboratorio, la realizzazione di ‘mappe’progettuali e di modelli predittivi.

32

V. J. Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Frirenze 1961


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Moduli e modularità33 - “La logica del modulo prevede che si acquisti in profondità e specificità didattica ciò che si perde in ampiezza e sistematicità: per questo il modulo, di norma, non comporta lo svolgimento lineare e organico dei temi trattati, né si prefigge una verifica sistematica di tutta la conoscenza pregressa dei propri utenti; tutt’al più vengono verificate alcune precondizioni, le attese e le motivazioni dei partecipanti al modulo e, alla fine del percorso formativo, si controllano gli esiti ottenuti rispetto a quelli attesi” ( M.T. Moscato, cit. p. 228)

I progetti - Rispondono ai due presupposti fondamentali della metodologia innovativa: l’attività del discente e la dimensione sociale dell’apprendimento34. Altre forme metodologiche innovative, che si iscrivono nella logica di un passaggio dal curricolo lineare all’organizzazione modulare e le danno sostanziosi contributi sono l’apprendimento cooperativo, l’apprendimento per problemi e la teledidattica35 A mo’ di sintesi – “Si comprende intuitivamente come, nell’insegnamento efficace, non si possa fare a meno di nessuna delle due grandi tipologie di metodo. Privilegiarne una in termini assoluti è sempre un errore didattico, ed inoltre nessuna delle due tipologie può essere prescelta garantendosi dai rischi di una loro scadente esecuzione. In mano a insegnanti mediocri, i modelli trasmissivi/deduttivi generano apprendimenti meccanici e ripetitivi e la successiva dimenticanza di studenti annoiati. Ma anche i modelli induttivi/attivi possono essere tradotti in banalizzazioni confuse e dispersive, in cui l’insegnante per primo non ha mai compreso realmente gli obiettivi che avrebbe dovuto far perseguire ai suoi allievi”. (M.T. Moscato, cit., p. 194). Le difficoltà sono numerose e serie, ma il cammino verso l’innovazione è inevitabile. Per onestà professionale deve essere sperimentato e validato progressivamente. Una ipotesi di lavoro viene dal Modello a tre colonne di Hilbert Meyer, che propone di alternare nel corso dell’anno tre formule d’insegnamento come graduale approccio alle nuove metodologie: 33

Insieme con la Didattica breve, che è un originale modello didattico, se n’è trattato con più ampiezza in Rivista lasalliana 2008/3, pp. 363-365. 34 Caratteristiche e momenti sono: ● il tema, che può essere affrontato e svolto in modo multidisciplinare o interdisciplinare, • la funzione formativa, che inscrive l’unità all’interno della progettazione di Istituto, • la posizione (nella logica della programmazione annuale della disciplina), • il gruppo-classe, con una specifica attenzione alle caratteristiche collettive e dei singoli allievi), • i tempi (con la previsione in ore, settimane, mesi), ●la motivazione (che chiarisce a quali bisogni formativi si intende dare una risposta), ● i prerequisiti d’ingresso, • gli obiettivi formativi specifici (il risultato atteso in termini di conoscenze, competenze, capacità), • gli obiettivi formativi trasversali (comuni alle discipline che confluiscono nell’unità), • i nuclei cognitivi concettuali (validi e motivanti, in grado di modificare in modo significativo gli atteggiamenti mentali degli allievi), • il percorso effettivo che si intende compiere (dalle modalità di verifica dei prerequisiti alle attività previste per gli eventuali ricuperi, dalle metodologie didattiche e dagli strumenti posti in essere, alle verifiche - formative, sommative, finali -, • la validazione dei risultati (del singolo docente e del team). [da Patrizia Becherini, Insegnare oggi, La Nuova Italia, Firenze 2005, pp.144-145). 35 Brevemente descritte in Rivista lasalliana 2007/4, pp. 466-467..


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a) insegnamento curricolare previsto dal piano di studi, organizzato in modo rigoroso e sequenziale può anche prevedere lunghi periodi di insegnamento frontale. Si insegnano in modo sistematico sostanzialmente le conoscenze delle principali discipline tradizionali. I gruppi di apprendimento sono fissi, e di regola sono costituiti dalle classi; b) lavoro libero offre agli allievi un insegnamento fortemente individualizzato, sostenuto dalle nuove tecnologie e ispirato al lavoro libero delle scuole Montessori. Comprende sia il lavoro per prepararsi alle lezioni degli insegnamenti curricolari, ma anche l’approfondimento individuale in settori di studio liberamente scelti in base a un piano di lavoro settimanale, predisposto individualmente dal singolo allievo; c) progetto per attività che non rientrano in quelle dei due precedenti settori, si formano piccoli gruppi possibilmente eterogenei. Anche in quest’ambito gli allievi vengono invitati a pianificare le attività delle fasi in cui si articola il progetto. programmato in tempi separati dai precedenti, è affidato a piccoli gruppi stabili, possibilmente eterogenei. Possono uscire da scuola, fare ricerche, indagini e svolgere attività pratiche. L’attività può essere varia e consistere nell’organizzazione di mostre, serate per genitori, rappresentazioni teatrali, ecc. [Oltre il curricolo lineare, di Preti, Bertocchi, Quartapelle, www.edscuola.it/archivio/ antologia/Scuolacitta.pdf p. 99].

3.2 Valutazione dei risultati La valutazione dell’apprendimento costituisce la riprova dell’affermazione citata in apertrura: la scuola è nata per valutare, non per essere valutata. Per valutare correttamente occorre infatti sapere di quali strumenti ci si serve per arrivare a quali scopi. Al di là delle varie forme della valutazione, che - come è intuibile e accenneremo non può essere indifferentemente applicata in contesti diversi (per età e caratteristiche personali, indirizzi di studio e materie), è necessario concordare almeno sulle comuni finalità: La questione fondamentale della valutazione didattica è di riuscire a stabilire che cosa caratterizza lo sviluppo cognitivo e merita di essere valutato per determinare quanto di questo si realizza di ogni specifica attività didattica e in generale nella scolarizzazio36 ne.

Ogni insegnante sa bene che la valutazione è il più impegnativo tra i compiti che gli competono. Se è già difficile quella disciplinare impostata seriamente, condotta con scrupolo (progettazione-programmazione) e verificata con oggettività (docimologia corretta), pare ardua e perfino velleitaria una valutazione delle conoscenze, che voglia esplorare il campo dei meccanismi mentali afferenti all’apprendimento. E’ interessante una recente indagine al proposito 37.

36

G. Cavallini, Fondamenti di didattica, Edizioni Junior, Azzano (BG) 2002, p. 220. Condotta fra numerosi docenti di scuola secondaria di secondo grado (Valutazione di difficoltà dei vari aspetti della professione) pone in ordine crescente di difficoltà: 1. scelta dei con37


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L’assenza di quelli che sono definiti standard di contenuto – ciò che gli studenti devono sapere e saper fare - e standard di prestazione - i livelli di una preparazione sufficiente degli studenti - è la principale difficoltà di cui ancor oggi si dibatte il processo di valutazione nella scuola38. Giusto anche tener conto che la valutazione andrebbe considerata prima di tutto come un’attività ermeneutica, di interpretazione, e quindi di conoscenza dei processi formativi che si mettono in atto e da cui si parte. Di fronte a uno scarto tra insegnamento e apprendimento sarebbe utile chiedersi se la prova scelta per valutare gli apprendimenti era adeguata per elicitare proprio gli apprendimenti che sono stati perseguiti nel percorso didattico. Anche l’errore, soprattutto quello commesso dagli allievi alle prime armi o alle prese con argomenti che implicano nuovi processi, andrebbe valorizzato e considerato strumento di scoperta, vale a dire come prezioso indicatore dello stile cognitivo e di apprendimento.39 Con le distinzioni e le riserve che è giusto tener presenti, occorre tuttavia considerare che la valutazione fa parte di un impegno non eludibile. Cominciamo con l’osservare che la valutazione delle conoscenze concettuali prende avvio dal normale procedimento didattico metodologicamente corretto (verifica della situazione iniziale, rilevazioni intermedie, valutazione finale; e ancora: valutazione formativa e forme di ricupero). E’ bene poi ricordare che l’evidente ‘valore aggiunto’, rappresentato dai processi più complessi dell’apprendimento, difficili da ‘leggere’ e da interpretare, postula ed esige il lavoro concorde almeno degli insegnanti che si occupano della stessa area disciplinare (scientifica, letteraria, artistica,…) e dello psicopedagogista che dovrebbe far parte dell’équipe pedagogica operante in un gruppo-classe. 3.2.1 Strumenti - Gli strumenti a disposizione per la valutazione si possono perciò disporre a due livelli: quello delle verifiche disciplinari e quello delle verifiche interdisciplinari (di area). Al primo appartengono tutte le forme già utilizzate per le singole materie ● prove non strutturate (a stimolo aperto, a risposta aperta); sono prove tradizionali come l’interrogazione, il riassunto, il tema, la relazione, l’articolo; le risposte non sono univoche né predeterminabili, quindi esposte a valutazioni non univoche; ● prove strutturate (a stimolo e risposta predeterminati); sono i quesiti vero / falso, le corrispondenze, i quesiti a scelta multipla, i testi a completamento; dette anche “prove oggettive” consentono una misurazione esatta delle prestazioni; ● prove semistrutturate (a stimolo chiuso e risposta aperta); simili alle prove non strutturate, danno la possibilità all’allievo di esporre elementi acquisiti in modo autonomo o di esprimere valutazioni e punti di vista propri.

tenuti; 2. relazione con lo studente; 3. relazione con il dirigente scolastico; 4. relazione con i colleghi; 5. utilizzo delle tecnologie multimediali; 6. metodologia didattica aggiornata; 7. lavoro di gruppo con i colleghi; 8. valutazione dello studente; 9. coinvolgimento delle famiglie nel progetto educativo; 10. motivazioni dello studente. 38 Mercurio Falco, La valutazione scolastica, www.proteofaresapere.it/contribuiti/ Valutazione proteo.pdf 39 Anna Arcari, La valutazione scolastica – www.pctidifi.mi.infn.it/lucevisione/valutazione.pdf


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I sussidi non mancano40. E’ così possibile procurarsi o prendere a modello ‘materiale’ immediatamente utile per la valutazione della disciplina insegnata, ma di notevole interesse anche per il contributo della valutazione al livello superiore (di area); infatti, soprattutto le verifiche più ‘aperte’ (ad es., saggio breve, domande aperte, saggio esteso e interrogazione orale) rivelano con buona evidenza gli aspetti positivi o carenti del processo logico degli studenti: attenzione attiva o interrotta, capacità di correlare causa-effetto e tempo-spazio,… Il secondo livello, come si è detto, implica la collaborazione prima fra i docenti della stessa area disciplinare e poi dell’intero consiglio di classe con l’auspicabile apporto dello psicopedagogista. Non si tratta di improvvisarsi esperti per diagnosticare con esattezza la situazione dei singoli allievi né di intervenire poi con un’azione univoca (che non si saprebbe a chi affidare), quanto piuttosto di stabilire, concordemente e sempre meglio, quali sono, ad es., gli ‘stili cognitivi’41, le qualità del pensiero (produttivo, comparativo, critico, ermeneutico) che caratterizzano ogni allievo per di intervenire in modo sempre meglio adeguato. Attribuzione, da parte del docente, di senso-valore a un evento o a un processo educativo mediante l’attivazione di: - pensiero produttivo: la valutazione deve produrre qualcosa di nuovo, e quel qualcosa deve essere funzionale alla regolazione, al cambiamento, alla crescita, allo sviluppo. Ad es., se attribuisco 5 o ‘insufficiente’ alla prestazione di uno studente, esprimo un giudizio nuovo che deve servirmi per regolare, indirizzare il percorso formativo; - pensiero comparativo: in ogni caso, per rendere valido un giudizio, è necessaria una serie di confronti: con la situazione iniziale o precedente dell’allievo, con la media del lavoro svolto da altri, con i traguardi intermedi o finali che mi ero proposto, con l’eventuale parere dei colleghi,… - pensiero critico: la valutazione, attraverso il confronto di idee, punta alla ricerca di conferme e di confutazioni, nel dubbio e nella critica, per produrre le informazioni necessarie alle successive decisioni ed ai percorsi da seguire; - pensiero ermeneutico: la valutazione vive di interpretazioni e congetture, radicate nei mondi (valoriali, cognitivi, esperienziali, affettivi, relazionali,…) di colui che valuta. Occorre tenerne conto al momento della valutazione collegiale, per accogliere (criticamente) i vari punti di vista e considerarne soprattutto gli apporti costruttivi. (F. Tessaro, www.univirtual.it).

3.2.2 Assiomi e requisiti Se, giustamente, il primo assioma per il controllo di una formazione equilibrata è impossibile non valutare (perché senza un controllo non si sa dove si sta andando), il secondo potrebbe essere: è deleterio valutare sempre e tutto (perché il controllo osses40

V. ad es. in Programmazione, verifica e valutazione nel biennio, Proposte della Commissione Bocca, Zanichelli 1993. 41 Li ricordiamo in coppie antitetiche: dipendente/indipendente, verbalizzatore/visualizzatore,

globale / analitico, sistematico / intuitivo, convergente / divergente, impulsivo / riflessivo.


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sivo e totale trasforma l’istruzione in un mero addestramento ripetitivo). Le attività, pertanto, vanno dosate, calibrate, centrate su quei nodi concettuali (competenze, conoscenze, principi, teorie, modelli) e su quei legami (processi, procedure, relazioni) che si considerano cruciali per lo sviluppo e significativamente rappresentativi dell’intero mondo sottoposto ad analisi 42 Ciò comporta l’ulteriore difficoltà connessa con la necessaria valutazione triangolare, che vede ai tre vertici: il singolo docente, l’équipe pedagogica, l’allievo interessato (nell’autovalutazione). E’ infatti notorio quanta difficoltà ogni docente trova nel superare la propria soggettività di giudizio per accogliere, criticamente s’intende, punti di vista e contributi altrui. Tre requisiti della valutazione: validità, attendibilità, funzionalità - I criteri per la definizioni delle abilità di studio dovrebbero anzitutto rispondere a tre requisiti:

1. Validità. E’ riferita agli aspetti quantificabili delle prove. Le prove sono valide se spaziano su un campionario sufficientemente rappresentativo delle conoscenze e/o delle abilità che si intendono indagare. Questo campione deve essere fortemente ancorato al curricolo effettivamente svolto e tenere conto: a) degli obiettivi che ci si è dati; b) dei contenuti che si sono realmente sviluppati: c) del tipo di scuola (la prova di italiano in un istituto professionale non può essere uguale a quella di un liceo); d) dalla metodologia didattica usata. 2. Attendibilità. E’ riferita alla fedeltà delle misurazioni. Le prove sono attendibili se utilizzano sistema di misura stabili ed omogenei e se hanno determinato preventivamente e senza ambiguità i criteri di interpretazione dei risultati. 3. Funzionalità. E’ riferita agli aspetti pratici dello svolgimento e della valutazione delle prove. Una prova è funzionale e ciò che chiede di fare è enunciato in modo chiaro, se la valutazione è espressa in modo altrettanto chiaro e ottenuta in modo pratico e riconoscibile. (Luisa Benigni in: www.ospitiweb.indire.it)

Lucia Mason elenca una serie di procedure43 che, opportunamente attuate dai componenti dell’équipe pedagogica di ogni gruppo-classe a seconda della loro preparazione professionale e della loro mansione, possono contribuire alla valutazione diagnostica delle conoscenze.

Mezzi per la valutazione diagnostica delle conoscenze: - colloquio clinico, ‘alla Piaget’; consente di parlare con gli studenti seguendoli nelle risposte in modo da non perdere nessuna informazione prodotta e, allo stesso tempo, condurli verso i temi critici da affrontare;

42

v. L. Mason, Psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione, p. 145 e ss.g , Il Mulino, Bologna 2006


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- interviste semistrutturate, fissano solo alcune domande principali; le altre sono formulate in base a ciò che il soggetto stesso dichiara di preferire o che pensa di conoscere; - mappe concettuali; - protocolli di ricordo libero: libero riassunto di un testo letto o di ciò che ‘insegnante ha esposto, con l’esposizione di eventuali osservazioni personali; - pensiero ad alta voce: libera esposizione (senza il timore di essere giudicato negativamente) “di ciò che passa per la testa” allo studente da quando si trova di fronte a una certa richiesta a quando ha eseguito il compito. Si può cogliere la processualità del pensiero-ragionamento; - discussioni tra pari: le preconoscenze (anticipazione e previsioni di eventi) esplicitate per farle diventare oggetto di riflessione o coglierne eventuali lacune, incongruenze, fallacie. (op. cit., pp.148-149). Se è velleitario pensare che sia possibile attuare ‘tutto e subito’, l’opposto programma del ‘niente e mai’ equivale a una squalifica professionale.

*** Questa serie monografica di articoli: 1. Autoanalisi e autovalutazione del docente, RL 2009, 2, 265-280. 2. Valutazione e autovalutazione dell’istituzione, RL 2009, 3, ……….. 3. Dalla valutazione all’autovalutazione dello studente, RL 2009, 4 (in prep.)


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 467-478

Etica per Educatori – un minilessico [3] Lluís Diumenge, fsc

Ciudadanía La ciudadanía es la cualidad y el derecho de ciudadano. Y, correlativamente, el comportamiento propio como tal. Quien se acredita como ciudadano de un país adquiere una serie de derechos y obligaciones. Entre los primeros, el derecho civil para la libertad individual, el derecho político a participar en la vida pública y el derecho social a la vivienda, a la salud, a la educación… En la lista de deberes hacia la sociedad en que vive figura respetar los bienes públicos, pagar impuestos, proteger el medio y observar las leyes que velan por el procomún. El ejercicio real de los derechos humanos ha de encontrar el equilibrio con el cumplimiento pleno de los respectivos deberes. La verdadera ciudadanía se aprende y se experimenta a nivel local: en la familia, escuela y centros de formación, vecindario, trabajo, vida asociativa… A través del ejercicio cotidiano se tejen relaciones entre las personas. También debe experimentarse a escala planetaria, sobre todo, en la responsabilidad que cada persona debe asumir respecto al entorno y a los derechos de las generaciones futuras. En la actualidad vivimos una oportunidad histórica para que las comunidades de sentido colaboren en la construcción de una ciudadanía solidaria, que se despliega en sustrato ético, inteligencia colectiva y civismo social. E incluso para que propongan aquellos elementos de las sabidurías religiosas sin las cuales no es posible el surgimiento de la ciudadanía.


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Lluís Diumenge

La ciudadanía que caracteriza hoy el espacio público de la modernidad es la confluencia de sabidurías, tradiciones, concepciones diversas de la vida, en la cual, creyentes y no creyentes pueden encontrarse. Prescindir de las sabidurías religiosas mundiales en la construcción de la ciudadanía supondría una grave pérdida, ya que forman parte del patrimonio cultural de la sociedad, gracias al cual se legitima socialmente la propia aparición de la categoría de ciudadano. Ambos se necesitan para generar horizontes globales de sentido ante el dolor, la culpa, la enfermedad y la muerte. Amén de fortalecer los valores y motivaciones acerca del por qué y el para qué de nuestra responsabilidad. * La ciudadanía es la resultante de una larga historia de experiencias y tradiciones en la que cabe mencionar cuatro esferas: ■ La esfera de lo común argumenta a favor de aquello que se estima porque es de todos y postula ser compartido. El ejercicio de la ciudadanía es una forma de reconocerse como familia humana, capaz de trascender los compromisos particulares, la lealtad limitada al grupo de pertenencia y los intereses de parte. ■ En un nuevo eslabón la esfera de la libertad valora lo propio como propulsor de identidad personal y social. La ciudadanía hace referencia a la persona que decide autónomamente y participa en las decisiones que le afectan. ■ La esfera de lo exigible enfoca cómo quiere el Estado relacionarse con cada sujeto y mostrarle de qué manera queda comprometido en la construcción de un sujeto colectivo (patria, nación, país). Urge rehabilitar la función del Estado como hontanar de ciudadanía y promotor del bienestar auténtico a través de políticas sociales . ■ Finalmente, la esfera de la solidaridad implica inteligencia y corazón, sentidos e intuición, razón y emociones, ética y estética. La sociedad civil se caracteriza por su capacidad de iniciativa, orientada a favorecer una convivencia más libre y justa, en la que los diversos grupos de ciudadanos se asocian y movilizan para hacer frente a sus necesidades fundamentales y para defender sus legítimos intereses. Estas esferas deberían aparecer en un catecismo completo del buen ciudadano en tiempos de mudanza. No siempre es así, por cuanto la humanidad se enfrenta hoy al pluralismo. Conlleva la ardua tarea de gestionar las diferencias de pensamiento, de cultura, de adhesión religiosa, de filosofía del desarrollo humano y social, con la variedad de opciones que puedan derivarse. Cabe asimismo mencionar la problemática que surge cuando un grupo determinado reclama espacios de culto con fines religiosos. Deben establecerse bases para regular la cuestión en términos de neutralidad y salvaguardar la libertad de culto preservando, al mismo tiempo, los derechos fundamentales de toda la ciudadanía, que se manifiesta cada vez más plural.


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El pluralismo pertenece al grupo de los indicadores - causa y efecto - de la madurez social. Pero ese pluralismo es disfuncional si no actúa bajo la fuerza del otro polo dialéctico: la convergencia hacia mínimos posibles o máximos ideales. La ética civil se desengancha de cosmovisiones religiosas y metafísicas y, basándose en la conciencia de la humanidad, proyecta un ideal moral común y abierto a las varias opciones auténticamente democráticas. En el contexto del pluralismo es posible vivir identidades múltiples. Todo individuo pertenece a una comunidad que le da una identidad primaria. Hecho que no debe excluir que pueda complementarse con otras de forma concéntrica. Las identidades múltiples ayudan a sus comunidades a no encerrarse y a los individuos a ver que las identidades son dinámicas y no se excluyen. El enriquecimiento que supone vivir un sano pluralismo no puede obviar posibles derivas. Aquí apunta el tema del racismo. * Por racismo se entiende la exacerbación del sentido racial de un grupo étnico, especialmente cuando convive con otro u otros. Es una manera de discriminar a las personas recurriendo al tono de piel u otras características físicas. Es, además, una doctrina antropológica o política basada en este sentimiento y que, en ocasiones, ha motivado la persecución de un grupo étnico considerado como inferior. Tiene como resultado la disminución o anulación de los derechos humanos de las personas discriminadas. La discriminación racial es un concepto que suele identificarse con el de racismo y que lo abarca, aunque se trata de conceptos que no coinciden exactamente. Mientras que el racismo es una ideología basada en la superioridad de unas razas o etnias sobre otras, la discriminación racial es un acto que, aunque suele estar fundado en una ideología racista, no siempre lo está. El racismo también suele estar estrechamente relacionado y confundido con la xenofobia, es decir, el odio, repugnancia u hostilidad hacia los extranjeros. Las actitudes, valores y sistemas racistas establecen, abierta o veladamente, un orden jerárquico entre los grupos étnicos o raciales, utilizado para justificar los privilegios de los que goza el grupo dominante. Para combatir el racismo la ONU adoptó en 1965 la Convención internacional sobre la eliminación de todas las formas de discriminación racial y estableció el día 21 de marzo como Día internacional de la Eliminación de la Discriminación racial. En su relación con la religión revela una paradoja insoportable. ¿Cómo es posible que la religión que predica la igualdad y fraternidad entre todos los hombres pueda engendrar un racismo, más de una vez, virulento? * La unidad de la familia humana no encuentra todavía su realización puesto que se ve obstaculizada por ideologías que niegan los valores propios de la persona considerada integralmente. Es moralmente inaceptable cualquier teoría o comportamiento ins-


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pirados en el racismo y en la discriminación racial. La barrera racial cae con la victoria de Obama. Estados Unidos ha elegido, de forma amplia, su primer presidente negro y ha mostrado su madurez como nación diversa y multirracial, más en paz consigo misma. España, Francia, Italia… entre otros países europeos han vivido recientemente episodios racistas. Un pesado clima racista se difunde por la sociedad. El meollo de la infección no son los episodios intolerables que han llegado al asesinato, a la violencia en la calle y en los estadios así como a una difusa intimidación. Lo peor es el ambiente popular de intolerancia que se deteriora alimentado por la intolerancia cero hacia los inmigrantes irregulares que se extiende a los extranjeros pobres y no tan pobres. La comunidad de Sant’Egidio ha denunciado “la impresionante escalada de racismo”. Filmografía. Los limoneros (Eran Riklis) - Historia de personas que se enfrentan por cosas que habrían podido resolverse muy fácilmente si hubieran sido capaces de escuchar. Pero las expectativas, por muy simples que sean, siempre son difíciles de cumplir en Oriente Próximo. Para saber más: Aa.Vv, Cien ideas para la práctica de la ciudadanía, Troquel, Buenos Aires 2008, 124. PÁNIKER, Salvador, Asimetrías. Apuntes para sobrevivir en la era de la incertidumbre, Mondadori, Barcelona 2008, 383. RUIZ, Carlos, La agonía del cuarto poder. Prensa contra democracia, Blanquerna, Barcelona 2008, 446.

Comunicación Comunicación es el trato o correspondencia entre dos o más personas. Con mayor relieve, es todo escrito sobre un tema determinado que el autor presenta a la opinión pública para su conocimiento y discusión. Aspira a confrontar los argumentos para que no tengan que enfrentarse las personas. Vivimos la era de los medios de comunicación social, internet, telefonía móvil, televisión digital,… Pero la comunicación verdadera radica en la comprensión para que, detrás de cada significante, aparezca un verdadero significado. Presupone igualmente libertad. El ser humano con el que me encuentro es, desde el comienzo, un sujeto en pie de igualdad . La comunicación humana posibilita conectar grupos sociales e individuos a escala planetaria. Deben utilizarse para edificar y sostener la comunidad humana en todos los sectores. La información debe cimentarse en la verdad, la libertad, la justicia y la solidaridad. La actitud global del hombre y, mayormente, del cristiano tiene que ser positiva en principio, por cuanto son fruto del ingenio humano y don de Dios. Presupuesto que no exime del discernimiento ético por la influencia que cobran en la transformación de las mentalidades y de la misma sociedad. La comunicación puntual de los acontecimientos y de las realidades facilita un conocimiento más amplio y continuo de todos ellos, de modo que puedan contribuir eficazmente al bien común. Forjan una nueva cultura, que si por un lado tiende a masificar al hombre, por otro favorece su personalización. Nueva cultura, por primera


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vez, al alcance de todos, lo que no acontecía con la cultura tradicional que apenas favorecía a una minoría. Los medios por su eficacia llegan a constituir un nuevo poder. ¿Cómo no preguntarse por los detentadores reales de este poder y sobre la finalidad que persiguen? Las personas que ostentan este poder tienen una grave responsabilidad moral en relación con las informaciones que difunden, y con las reacciones que suscitan, amén de los valores que proponen. Pueden llegar a ser tributarios de una determinada ideología, del deseo de ganancia o del control político. Orillar cualquier forma de monopolio y de influencia no es fácil. La dimensión ética no sólo atañe al contenido de la comunicación (el mensaje) y al proceso de la misma (cómo se realiza), sino también a cuestiones fundamentales, estructurales y sistemáticas, que a menudo incluyen múltiples asuntos de política acerca de la distribución de la tecnología y de productos de alta calidad. El uso de internet, por ejemplo, participa en el incremento de las desigualdades. Integra en el desarrollo a quienes saben servirse del mismo y excluye a millones de seres humanos. En esta triple área se debe aplicar un principio moral fundamental: la persona y la comunidad son el fin y la medida del uso de los medios de comunicación social. La reivindicación del hombre como persona es un tema indiscutible e indiscutido. De la esfera personal dimana otro principio primordial: la responsabilidad, con clara referencia a la totalidad. El bien de las personas no se puede realizar independientemente del bien común de las comunidades a las que pertenecen. Hay que considerar los contenidos de las innumerables decisiones realizadas por las personas. Para elegir correctamente, es necesario conocer las normas y aplicarlas fielmente. Implica una participación, auténticamente representativa, en el proceso de toma de decisiones. La comunicación se ha universalizado. Todo el mundo puede encontrarse en el ciberespacio, ámbito en el que las personas pueden moverse y donde también se configura la comunicación social y la formación de la voluntad política.

Los medios de comunicación pueden convertirse en potentes instrumentos de solidaridad. Consecuencia de una información verdadera y justa así como de la libre circulación de ideas que favorecen el conocimiento y el respeto del prójimo. Si ignoraran por completo el sufrimiento humano ocasionado por graves injusticias sería una elección indefendible. Hoy día, con los avances de la técnica, cambia el estilo de vida y comunicación, los modos de comprender, fabricar, usar, intercambiar, compartir o contemplar. Con las nuevas tecnologías cada vez juega un papel mayor la intervención humana en el mundo. Interesa, pues, recalar en los valores y contravalores que pueden aparecer en el fenómeno de la comunicación social. * El punto de partida es la libertad de comunicación dentro del orden jurídico justamente establecido. Con miras a investigar, difundir a nivel mundial las noticias y utilizar libremente los medios. Los profesionales tienen derecho a aportar su visión, aunque a veces no den la imagen que al lector le gustaría encontrar. Para ello hace falta


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competencia y responsabilidad en la emisión y en la recepción de la comunicación. Toda comunicación ha de ajustarse a la ley primordial de la sinceridad, honradez y verdad. Importa asimismo que exista equilibrio entre información, formación y ocio. Los medios de comunicación constituyen un ambiente idóneo para construir al hombre crítico capaz de evitar el dogmatismo de la prensa o de la televisión, por citar un ejemplo. Deben soslayarse, simultáneamente, los contravalores. Entre ellos, la vinculación indebida a grupos económicos que pugnan por controlar la comunicación social, el poder manipulador y todo cuanto pueda vulnerar la intimidad personal. De igual peligrosidad debe calificarse cuanto frivoliza la existencia. * Siempre puede haber un sesgo informativo, un defecto de comprensión o alguna coacción. En el periodismo cuando faltan conflictos en general, faltan noticias. Si una muerte toca de cerca tiene un relieve mucho mayor que las tragedias que acaecen en el tercer mundo. La popularidad de una persona se refleja con mayor relieve que un evento religioso. Así fue en la primera semana de noviembre: la elección de Obama ofuscó prácticamente el inédito foro de diálogo católico – musulmán que tenía lugar en el Vaticano. Las tecnologías de la información llevan un ritmo continuo de crecimiento y progresiva incorporación a las tareas relacionadas con la formación y la educación, generando nuevas formas de aprendizaje, modificando los roles tradicionales tanto de los profesores como de lo alumnos y, en definitiva, abriendo nuevas oportunidades. Los medios de comunicación expresan con crudeza la crisis de valores y las tensiones de la sociedad. Tienden a desenmascarar la hipocresía y a denunciar los fallos. En gran medida, es a través de sus ojos como nos vemos hoy en día los unos a los otros. Gracias a Dios tenemos algunos medios que son verdaderamente libres (Watergate; difusión mediática de abusos sexuales dentro de la Iglesia católica y el fracaso de las autoridades a la hora de afrontar el problema de forma responsable). Afortunadamente pusieron de manifiesto estas faltas. De lo contrario, es posible que la Iglesia jamás se hubiera visto forzada a enfrentarse a su pecado. Piénsese en la denuncia de los abusos perpetrados en la prisión de Abu Ghraib. Sin su revelación, es posible que jamás se hubiera puesto fin a los mismos. Ahora bien, si las denuncias se convirtieran en la forma principal de vernos los seres humanos, nos veríamos arrastrados de hecho a la falsedad y a la mentira. A veces, hay que acusar, pero no puede hacerse sin haber visto anteriormente la bondad de la otra persona. En la sociedad suspicaz en que vivimos, la prensa precisa una regeneración. Sería deseable que las informaciones concernientes a la religión recayeran en personas dignas y expertas para tratar el tema con equidad. Si la prensa hodierna suele atacar con tanta frecuencia a la Iglesia y si los titulares sensacionalistas no dejan escapar fallo alguno, ello parece deberse a que por norma general, si bien equivocadamente, suele darse por sentado que el sentido de ser cristiano no es otro que el de ser mejor que los demás.


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Filmografía. Bella (Alejandro Gómez Monteverde) - Un momento, un encuentro puede cambiar la vida de dos personas para siempre. Un simple gesto de bondad convierte un día ordinario en una experiencia inolvidable. Para saber más: KRISHNANANDA, De la codependencia a la libertad. Cara a cara con el miedo, Gulaab, Móstoles 2007, 313. PUNSET, Eduardo, Por qué somos como somos, Santillana, Madrid 2008, 295. VELTRONI, Walter, Cuando amanece, Martínez Roca, Madrid 2008, 190.

Economía Economía es una palabra polisémica: -

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es la administración eficaz y razonable de los bienes; el conjunto de bienes y actividades que integran la riqueza de una colectividad o de un individuo; ciencia que estudia los medios más eficaces para satisfacer las necesidades humanas materiales, mediante el empleo de bienes escasos.

La actividad económica en cuanto orientada a gestionar racionalmente unos recursos escasos, en relación con las necesidades, condiciona de manera esencial la vida social. En la dialéctica entre recursos escasos y necesidades a satisfacer (adecuación de los medios a los fines) se impone la racionalidad científico – técnica de la economía. En la práctica diaria, la economía abarca desde el nivel personal en que cada uno puede, más o menos, actuar y el nivel estructural en el que la acción individual parece diluirse. Únicamente cobrará sentido pleno cuando se contemple desde una perspectiva integral y solidaria. Como actividad plenamente humana que, al mismo tiempo que produce bienes, transforma al propio trabajador y lo humaniza. La economía es la ciencia de los medios. Por ello, las formas del saber económico científico recurren a técnicas especializadas y a personas con capacidad para investigar, en el enclave concreto de la realidad, qué medidas actuarán como estímulo / impedimento para conseguir un fin determinado: el crecimiento económico. Últimamente crece el interés por incorporar la ética al mundo de la economía y de los negocios. La ética es rentable, se dice. Queda por ver si se trata del convencimiento de que la economía, en cuanto actividad y como ciencia, ha descubierto que la persona es el fundamento, centro y fin de la misma. O, por el contrario, es una estratagema que se sirve del hombre para extraer la máxima rentabilidad. El triunfo del dinero, la dictadura del mercado y la resurrección del capitalismo constituyen inflexiones decisivas. El dinero se ha rodeado siempre de un halo de ambigüedad. La realidad nos dice que es un bien necesario pero que entraña peligros. En la Biblia no se condena la riqueza sino que se nos advierte de los peligros de injusticia y cosificación de las relaciones humanas. Convertirlo en un bien absoluto trae inhumanidad y deterioro de la dignidad humana.


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El mercado penetra por completo la sociedad. Frente a su dominio no existe más que el vacío. El individualismo invade el sistema de valores. La única matriz válida es el individuo por encima de la colectividad. Nada de extraño tiene que el egoísmo prevalezca sobre la solidaridad. Aparece el homo oeconomicus, con su afán de ganancia y sed de poder. Sueña con la autorrealización, el éxito y el dinero. Crea la economía de mercado. Esta absolutización del sistema capitalista se puede entender, en términos religiosos, como un culto idolátrico que impide ver la alteridad de los otros, sobre todo de las mayorías pobres de este mundo. Vista la dimensión mundial que ha adquirido la cuestión social, el amor preferencial a los pobres no puede dejar de abarcar a las inmensas muchedumbres de hambrientos, mendigos sin techo, sin cuidados médicos y, sobre todo, sin esperanza. La economía ha de tratar los problemas relacionados con las necesidades humanas fundamentales. En nuestro planeta, millones de seres están condenados a una existencia que está en contradicción con los planes del Creador. Este criterio elemental ha de servir para juzgar la aceptabilidad moral del sistema económico. Es también importante según ofrezca o niegue oportunidades de trabajo, bien digno que corresponde a la dignidad del hombre. La civilización surge cuando el hombre abandona la actitud pasiva ante la naturaleza e impone su dominio. Cuando la somete, la transforma y la hace producir. Precisamente es entonces cuando él mismo se transforma y progresa. Frente a esta realidad eminentemente positiva aparece el paro y el desempleo, particularmente dolorosos. * Emerge un mundo nuevo, extraña mezcla de modernidad y arcaísmo. ¿Cómo habrá que regularlo? ¿En nombre de qué principios? El desafío de la hora presente reclama la máxima atención en la búsqueda de soluciones originales que permitan a la sociedad crecer moralmente al mismo tiempo que se desarrolla económicamente. Soluciones que no pueden ser patrimonio de tecnócratas que piensan, saben y mandan a la mayoría de los ejecutores. Hemos pasado de la lógica de la obediencia a la lógica de la responsabilidad. No existe responsabilidad sin ética. ¿Qué es la ética? Es un sí del ser, un sí a la existencia con los demás. Más que un decir es un hacer responsable. Es el campo magnético que orienta nuestras brújulas: derecho, deontología, códigos de conducta, decisiones… La experiencia de lo real manifiesta que el hombre se realiza cuando se le brinda la posibilidad de ser actor y creador responsable. La articulación crítica interdisciplinar economía - ética sigue sin resolverse. Actualmente existen tres razones para su acercamiento: la economía no puede desvincularse de la cultura y de la sociedad; se plantea la cuestión de un nuevo orden económico mundial; dentro de la actividad económica existen las prioridades y escalas de valores. ¿Qué cabe decir acerca del significado ético de la vida económica? Habría que transitar del consumismo incontrolado y depredador a una ética de la moderación. Las


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sociedades del primer mundo, sumidas en la cultura del individualismo posesivo y de un consumismo potenciado por los reclamos publicitarios, debieran hacer realidad el pensamiento de Gandhi: “tenemos que aprender a vivir más sencillamente, para que los otros sencillamente puedan vivir”. Educar en el consumo responsable equivale a superar la mayor forma de distracción colectiva en la civilización occidental centrada en el poseer, gozar, ganar, aparentar, conseguir éxito. Todo ello introduce en la sociedad de la apariencia, alimentada por los medios de comunicación que pervierten el deseo e impulsan a vivir al dictamen de la moda. La civilización no consiste en multiplicar hasta el infinito las necesidades humanas, sino en limitarlas deliberadamente a aquello que es esencial. En el último cuatrimestre de 2008 se ha desencadenado una crisis global que marca el final de la permisividad financiera. El elenco de hechos depende siempre de la responsabilidad del hombre y no de un pretendido determinismo histórico. Ha sido excesivo lo que algunos han ganado, el endeudamiento familiar, la deshonestidad y falta de transparencia. La caída de Wall Street es para el fundamentalismo de mercado lo que la caída del muro de Berlín fue para el comunismo. Los excesos se pagan caros. La ética tiene que avivar el fondo de la conciencia de personas de bien, proponer normas éticas y llevar a regulación y controles tanto a nivel nacional como internacional. La orientación económica, después de la cumbre de Washington, marca la nueva era del capitalismo regulado y la vuelta del Estado intervencionista que deberá reformar las instituciones y promover la enmienda de las costumbres. La primera condición para llegar a cambiar nuestro sistema es el convencimiento de su necesidad y el conocimiento de todos los experimentos que apuntan en la nueva dirección. El mundo de la economía avanza por la vía de la complejidad y del equilibrio siempre por restablecer. No es una ciencia exacta ajena al mundo de los valores. La nueva economía deberá combinar la eficiencia con el respeto a los derechos humanos básicos; preferir un reparto más igualitario de la riqueza producida y situar el destino universal de los bienes por encima del derecho de propiedad privada. Nuestra manera de vivir afecta a nuestra manera de pensar y de sentir. El mundo no se destruye gracias a todos aquellos que luchan contra las estructuras de pecado, a favor de la justicia y de la paz. La lucha no es estéril. Seguramente está evitando la destrucción de este planeta tan amable, a veces, a pesar de su insólita crueldad. Filmografía. Gomorra (Matteo Garrone) - Las mafias italianas son un holding que siembra la guerra. Diez mil muertos en treinta años. Son la empresa más potente de Italia y uno de los pilares de la economía europea. Narra historias que se entrecruzan en un mundo despiadado. Para saber más: HARFORD, Tim, La lógica oculta de la vida. Cómo la economía explica todas nuestras decisiones, Temas de hoy, Madrid 2008, 347. SAVIANO, Roberto, Gomorra. Un viaje al imperio económico y alsueño de poder de la camorra, Mondadori, Barcelona 2008, 325. YUNUS, Muhammad, El banquero de los pobres. Los microcréditos y la batalla contra la pobreza en el mundo, Paidós, Barcelona 2008, 382.


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Política Evocar el concepto de política equivale a sumergirse en la complejidad. Son muchos los factores que hay que tener en cuenta a la hora de enfocarla. En sentido original, muy amplio, sirve para indicar todo lo que en una sociedad determinada se refiere a la organización colectiva. Es un arte, una doctrina u opinión referente al gobierno de los Estados. Reclama acción y compromiso a todos los niveles. El compromiso como valor pretende colocar al sujeto más allá de la inmovilidad y de la impotencia incitándole por ello a la actividad individual y social. En este terreno se ha dado un cambio de perspectiva. De la política limitada a la práctica electoral y reservada a unos cuantos especialistas se ha pasado al reconocimiento de una política que lo invade todo y lo abarca todo. La expresión todo tiene un carácter político traduce perfectamente la nueva sensibilidad y la nueva actitud. Se abandona, pues, la concepción que la limita únicamente a los mecanismos de ejercicio del poder. Remite a realidades multidimensionales. Nos damos cuenta de que toda actividad humana tiene dimensión política en la medida en que pone en discusión la relación con los demás y con los intereses colectivos. Apela, en cifra, al compromiso político que articula el acercamiento a la realidad sufriente con la movilización del corazón y la visión lúcida de las raíces estructurales del problema. El hombre se realiza como persona en la convivencia interpersonal. La convivencia puede ayudar o entorpecer su desarrollo. ¿Cuál es el ideal ético de la comunidad política para que pueda labrarse en ella plenamente la convivencia humana? El Estado nace para buscar el bien común, en el que encuentra su justificación y sentido y del que deriva su legitimidad primigenia y propia. El bien común abarca el conjunto de aquellas condiciones de vida social con las cuales los hombres, las familias y las asociaciones pueden lograr con mayor facilidad su propia perfección. El bien común no es la simple suma de los intereses particulares, sino que implica su valoración y armonización, hecha según una equilibrada jerarquía de valores y, en última instancia, según una exacta comprensión de la dignidad y de los derechos de la persona. La mejor manera de llegar a una política auténticamente humana es fomentar la actitud orientada a lograr cierta igualdad entre diversas minorías que componen una sociedad multicultural y multiétnica, pero revirtiendo el equilibrio de poder a favor de las autodefinidas como minorías oprimidas. Cuando los hombres se creen en posesión del secreto de una organización social perfecta que haga imposible el mal, piensan también que pueden usar todos los medios, incluso la violencia o la mentira, para realizarla. La política se convierte entonces en una religión secular, que cree ilusoriamente que puede construir el paraíso en esta tierra. La política, entendida como acción y como ciencia, goza de plena autonomía. Tiene sus leyes propias. En cuanto actividad humana, la política adquiere la densidad propia de la persona Queda ubicada dentro del universo de intencionalidades y de fines


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en los que se realiza la persona. Si el poder político se justifica por la obtención de un bien, es la realización de este bien lo que necesariamente integra ética y política. * La política, como cualquier otra actividad y realidad humana tiene una dimensión ética. Los principios que la rigen se basan en el proyecto de Dios sobre el hombre, esto es, la sociabilidad humana. La actividad política se convierte en una acción sometida a responsabilidad moral. Si no se quiere que la política sea pura sagacidad que transforma técnicamente la realidad empírica, hay que caminar hacia política entendida como sabiduría, es decir, guiada por la moral. Ahora bien, ni el evangelio ni la moral cristiana pueden dar soluciones técnicas a los problemas sociales. La perspectiva cristiana ofrece interés liberador que se centra en la causa de los pobres. La acción política se medirá en función de si ha favorecido o no la suerte de los oprimidos. Existen diversas formas de ejercer la autoridad y perseguir el procomún. El modelo democrático nace de una doble aspiración moderna hacia la igualdad y la participación. La democracia y el pluralismo de grupos e ideas que ella presupone y respeta, no tiene por qué ir unida al relativismo epistemológico y ético. Este es el mayor peligro que hoy la amenaza. El pluralismo relativista no se identifica con el pluralismo democrático. La libertad de opción del cristiano, no equivale a desconectarla de la fe, sino a responsabilizar la conciencia cristiana. Pero esta liberación política de cada uno de los cristianos, parece según muchos, crear problema a la institución de la Iglesia. Vivir la religión sin implicación social y compromiso político no tiene sentido en el cristiano. En el tercer milenio, cristiandad y laicidad son dos conceptos antitéticos, de tal manera que la crisis de la primera junto con el movimiento ascendente de la laicidad resultan las dos caras de un proceso histórico. * Conviene aclarar los términos laicismo y laicidad, en torno a los cuales existe una enorme confusión. - Laicidad es la autonomía del Estado, de la política, de la conciencia moral, de la educación y de la vida espiritual. Una autonomía con fundamento ético que se establece frente a la dominación de esas esferas por las iglesias y las religiones. - Laicidad habla de finalidad, laicismo de los medios para conseguirlo. El pluralismo cosmovisional empuja a las sociedades democráticas a entrar inexorablemente en la lógica del pluralismo no sólo ideológico sino también cultural. Y en este contexto, el ideal laico ya no puede ser la neutralidad ni la indiferencia, sino el reconocimiento de las tradiciones religiosas como sabidurías que, enriqueciéndose unas con otras, hacen emerger lo que es verdaderamente humano. Tenemos planteado el reto de vivir la laicidad en el interior del pluralismo cultural, y repensarla como laicidad intercultural, lo que lleva a recrear la forma de presencia pública del hecho religioso. Si nuestra sociedad es inevitablemente plural, ese plura-


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lismo no tendrá por qué traducirse en enfrentamiento o en vacío moral, sino en la búsqueda compartida de una convivencia de mayor calidad ética y relacional. Dentro de un perfecto juego democrático, las tradiciones religiosas pueden ayudar a la promoción de valores en la sociedad civil y también en las estructuras políticas. Las religiones son factores importantes en la construcción de la vida social y pueden aportar su ayuda en la creación de una cultura cívica y en la formulación de una nueva moral pública dentro de los diferentes países. La laicidad intercultural, concebida como incluyente, descubre que también la esfera política necesita una responsabilidad moral, que nace en el interior del corazón de cada persona y que para creyentes tiene mucho que ver con el Trascendente. Nicolas Sarkozy al tomar posesión como canónigo honorario de S. Juan de Letrán (20.12.07) llegó a plantear en su discurso la laicidad positiva: el Estado debe promover y no sólo tolerar la difusión y el ejercicio de las diversas confesiones sin más límite que la salvaguarda del orden público. Esta laicidad positiva no considera a las religiones como un peligro sino como una ventaja. Un importante motor de transformación de las actitudes y de los comportamientos. Así entendida, podría representar la conciliación definitiva entre la Iglesia y las sociedades civiles. Filmografía. La vida de los otros (Florian Henckel) - Amarga radiografía de una época y de un estilo de hacer política en la antigua República Democrática Alemana. Cada secuencia invita a cuestionarse sobre el funcionamiento aberrante de la estructura de poder; la variedad de métodos para acabar con la más mínima discrepancia, el aniquilamiento de quienes ejercen un liderazgo a favor de la libertad. Para saber más: KLEIN, Naomi, La doctrina del shock. El auge del capitalismo del desastre, Paidós, Barcelona 2007, 707. MAGRIS, Claudio, La historia no ha terminado. Ética, política, laicidad, Anagrama, Barcelona 2008, 299. ROBERTSON, Geoffrey, Crímenes contra la humanidad. La lucha por una justicia global, Siglo XXI, Madrid 2008, 710.

Un minilessico di Etica per educatori in Rivista lasalliana : 1 / 2009: Arte – Biologia – Corpo – Scienza/Tecnica 2 / 2009: Educazione – Famiglia – Relazione/Amicizia – Religione 3 / 2009: Cittadinanza – Comunicazione – Economia – Politica 4 / 2009: Ambiente – Sport – Futuro – Memoria


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 479-484

Soggetti disabili e formazione professionale Criteri e pratiche di inclusione sociale Daniela Rodondi

Formatrice presso la Casa di Carità Arti e Mestieri, Torino Referente di Ente per l’area Disabilità

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el definire le attività di Formazione Professionale (= FP) per soggetti disabili occorre necessariamente tener conto e partire dal contesto normativo di riferimento, ricordando che la normativa italiana relativa alla disabilità è una delle più avanzate in Europa, per lo meno a livello di principi. Il contesto normativo - In tal senso si possono citare almeno le due leggi che intendono promuovere l’inclusione sociale garantendo ad ogni individuo pari opportunità formative ed informative. Nessun tipo di handicap può compromettere tali finalità, chiaro è a tal proposito l’art.1 della legge 5 febbraio 1992, n.104, legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, in cui si legge:

La Repubblica previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita collettiva nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali.

Per ciò che riguarda l’accompagnamento al lavoro di soggetti disabili, ha compiuto ormai dieci anni la legge 12 marzo 1999, n. 68 recante Norme per il diritto al lavoro dei disabili. Tale legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della inte-

grazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato (art. 1, comma 1).


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Daniela Rodondi

Dagli anni 70-80 ad oggi la FP ha assunto un ruolo significativo nel processo di integrazione del disabile nella vita sociale, favorendo l’inserimento degli stessi all’interno di percorsi formativi ed avviandoli in progetti di inserimento lavorativo. Attualmente la FP per disabili (sia specifica che integrata) costituisce una via riconosciuta e consolidata per facilitare l’inserimento dignitoso nel tessuto sociale (scolastico e lavorativo) dei soggetti con disabilità e per contribuire all’abbattimento di pregiudizi e stereotipi ancora presenti nei loro confronti.

Il ruolo specifico della Casa di Carità Arti e Mestieri La Casa di Carità ha sperimentato nel recente passato molteplici azioni rivolte a soggetti disabili: ■ integrazione di soggetti disabili all’interno dei corsi dell’obbligo di istruzione e formazione. L’intervento di sostegno pone al centro l’allievo con le sue esigenze, le sue risorse, i suoi tempi, i suoi bisogni e le sue aspettative, con l’obiettivo di potenziarne le risorse mettendolo in grado di ottenere i migliori risultati possibili, in un’ottica di piccoli passi e di apprendimenti consolidati in fasi progressive. L'azione di sostegno utilizza strumenti e segue metodologie atte a favorire i processi di apprendimento del soggetto, rimotivandolo, semplificando e scomponendo i contenuti, offrendo strategie cognitive più efficaci e favorendo l'aspetto delle dinamiche relazionali con i pari e con gli operatori presenti nella struttura formativa. L'azione formativa tende dunque ad accompagnare e guidare l'acquisizione e lo sviluppo delle competenze relazionali dell'allievo rispetto a diverse variabili, alcune delle quali (ad es. la dimensione motivazionale, la rivalutazione delle competenze pregresse e/o acquisite, la consapevolezza dei propri stili di apprendimento e delle proprie capacità, la definizione di un ruolo lavorativo) sono il fondamento su cui possono essere costruite e sviluppate le competenze più tecniche. Queste ultime costituiscono momento di conferma e di ulteriore stimolo per agire sulle prime. Un intervento trasversale, guidato dall'insegnante che cura il coordinamento dell'attività di sostegno, coinvolge tutte le componenti formative (insegnante di classe, insegnante di sostegno, direzione, psicologo), ciascuno nella misura che compete al suo ruolo e viene volto in particolare al raggiungimento degli obiettivi motivazionali, relazionali e di socializzazione da parte del soggetto; ■ corsi specifici rivolti a disabili intellettivi, psichiatrici o fisici volti all’accompagnamento verso il mondo del lavoro. Tali corsi, definiti Formazione Al Lavoro hanno una durata compresa tra le 400 e le 800 ore di cui il 30-50% rappresentato da esperienza di stage ed hanno un indirizzo relativo al contesto lavorativo di riferimento. Al termine del corso l'allievo/a è in grado di svolgere operazioni funzionali allo sbocco del corso, avvalendosi delle abilità socio-lavorative acquisite nel percorso e verificate nello stage; ■ corsi di formazione per l’apprendimento della Lingua Italiana dei Segni (o formazione sulla L.I.S.). L'aggiornamento è rivolto specificatamente allo sviluppo di capacità utili a favorire la comunicazione con persone audiolese attraverso l'apprendimento della lingua dei segni italiana; contestualmente si affrontano elementi di natura psico-


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sociale e culturale relativi alla comunità dei sordi con applicazione in ambiti lavorativi specifici. Le azioni formative progettate sono correlate, per quanto riguarda i principi ispiratori, a quanto l’Ente ha adottato in merito alla disabilità, facendo tesoro dell’esperienza propria e condivisa con altri partner presenti sul territorio. Da tempo la Casa di Carità Arti e Mestieri si sta sperimentando e specializzando, anche attraverso la collaborazione con appositi enti di categoria, nel campo della disabilità sensoriale uditiva, attraverso la proposta di percorsi formativi per gli operatori, ma anche attraverso l’accoglienza di alunni con questo handicap nei propri corsi. Per accompagnare un soggetto disabile al mondo del lavoro occorre conoscere il suo comportamento rispetto al proprio ambiente quotidiano per giungere ad individuare il luogo lavorativo che più di altri possiede caratteristiche utili a quell’individuo, il contesto più consono in quanto privo di “barriere” per quell’individuo specifico.

La rivoluzione concettuale e culturale introdotta dall’ICF Partendo da un punto fermo che è costituito dalla complessità della persona disabile e delle sue richieste, è facile affermare che non esista una definizione di disabilità che sia universale. Il termine “disabilità” comprende una estrema eterogeneità, infinite sfumature che derivano non tanto dalla certificazione e diagnosi di disabilità quanto dalle caratteristiche e peculiarità uniche di Francesco, Mario, Elena… e dalle loro eventuali problematiche in quel preciso contesto in cui sono inseriti. Considerato fondamentale questo presupposto, è importante, in una prospettiva formativa e di inclusione, assumere e concretizzare il cambiamento radicale di ottica proposto dall’ ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità), pubblicata dall’OMS nel 2001 e che 191 Paesi riconoscono come la nuova norma per classificare salute e disabilità. L’ICF rappresenta una vera e propria rivoluzione concettuale partendo da questo presupposto: qualunque persona, in qualsiasi momento della propria esistenza, può

avere una condizione di salute che, in condizioni ambientali sfavorevoli, può diventare disabilità. Attraverso l’ICF si passa quindi da handicappato a persona con disabilità e, in più, ci si focalizza sulle funzioni piuttosto che sulle carenze o inabilità. L'ICF quindi è uno strumento di riferimento per il mainstreaming1 dell'esperienza di disabilità e la riconosce come una esperienza umana universale. La nuova classificazione prende infatti in considerazione gli aspetti contestuali della persona, e permette la correlazione fra stato di salute e ambiente arrivando cosi alla definizione di disabilità come “condizione di salute in un ambiente sfavorevole”.

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Processo attraverso il quale le innovazioni sperimentate in un ambito circoscritto (sociale, economico ed istituzionale) vengono trasposte a livello di sistema.


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Daniela Rodondi

L’esperienza del progetto Equal Fadiesis2 - La “Fattoria sociale” Partendo da un tale approccio metodologico, la Casa di Carità di Bassano del Grappa ha partecipato ad un’iniziativa comunitaria denominata Equal Fadiesis che ha permesso di attivare un percorso per promuovere l’inclusione sociale di persone disabili nel tessuto sociale del territorio. Tale progetto, portando alla realizzazione di una fattoria sociale, è riuscito a trovare adeguate risposte a bisogni di tipo sociale, formativo, riabilitativo, lavorativo che le persone disabili e le loro famiglie esprimono. Nell’ottica del modello offerto dall’ICF, si è potuti giungere ad una valutazione delle potenzialità lavorative di quel particolare soggetto, attraverso l’osservazione in situazione che consente di confrontare capacità/performance nel confronto concreto con uno specifico contesto. Va sottolineato che il progetto Equal Fadiesis si è rivolto ad un gruppo di persone con ritardo mentale o patologie psichiatriche. Il concetto di performance nell’ICF introduce l’elemento determinante dei fattori contestuali che possono influire sulle capacità del soggetto sia in maniera positiva (definiti in questo caso facilitatori), sia in modo da rappresentare una difficoltà, un ostacolo (definiti in quest’altro caso barriere). La performance è, di conseguenza, ciò che il soggetto è in grado di fare sotto l’influenza positiva di fattori contestuali. In questo caso il contesto è costituito dalla fattoria sociale e, più in generale, dall’agricoltura sociale di cui si riporta la seguente definizione: “esperienze nelle quali

vengono condotte attività a carattere agricolo intenso in senso lato con l’esplicito proposito di generare benefici per fasce particolari della popolazione (bambini, anziani, persone con bisogni speciali)” (Senni 2005). Non bisogna sottovalutare il fatto

che le attività di agricoltura sociale comportano anche una rivalutazione dell’ambiente rurale, inteso anche come riappropriazione del tempo e delle relazioni umane troppo spesso soffocate dai ritmi frenetici del contesto urbano. L’agricoltura sociale comprende iniziative in ambito agricolo progettate e condotte con l’esplicita finalità di accompagnare, integrare e sostenere percorsi a carattere terapeutico-riabilitativo o di inclusione sociale di persone in condizioni di disagio o di svantaggio. L’attività orticola affrontata dai soggetti disabili nel corso del progetto comporta le seguenti implicazioni: • la brevità del ciclo di vita degli ortaggi rende visibile il tempo e i nessi di causa-effetto; la sequenza delle singole azioni rende consapevole il disabile di ciò che sta compiendo e del risultato finale ottenuto, e ciò comporta delle implicazioni cognitive molto importanti considerato che una delle difficoltà del disabile mentale è quella di non comprendere il rapporto causa-effetto quando è distanziato nel tempo; • il prodotto finale (l’ortaggio) non porta i segni della disabilità di chi l’ha prodotto;

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Fattoria Didattica di Sviluppo e Inclusione Sociale


Soggetti disabili e formazione professionale

• •

• • •

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la struttura spaziale, piuttosto ampia ed articolata, presuppone che la persona disabile si sia costruita una mappa concettuale complessa al fine di orientarsi; il tempo lento ma regolare delle azioni agricole da un lato si adatta alla lentezza tipica di un disabile con ritardo mentale, dall’altro lo introduce in una regolarità non rigida, intrinseca all’azione, e quindi in un ordine temporale (il ritmo) che spesso non possiedono, poiché oscillano tra fissazione e frammentazione dell’attenzione e dell’azione; l’attività orticola pone il disabile nella condizione di poter passare dal ruolo di “oggetto di cura” a “soggetto che si prende cura” trattandosi di esseri con un ciclo vitale e non di manufatti artificiali ; nell’attività agricola l’azione lavoro sopporta un certo margine di errore senza che per questo debba definirsi fallita; nell’azione lavoro in agricoltura un ruolo importante è svolto dalle azioni interattive cioè dalle modalità comunicative e dai rapporti interpersonali degli attori.

Nell’agricoltura sociale un ruolo importante è rivestito dai prodotti. Una commercializzazione virtuosa delle produzioni delle imprese agrisociali riveste una triplice utilità: 1. contribuisce alla sostenibilità economica del progetto 2. consente di stabilire relazioni con altri soggetti del territorio e di contribuire alla creazione della reputazione dell’impresa sul territorio 3. contribuisce a potenziare i percorsi terapeutico-riabilitativi e di inclusione, dando senso e significato al contributo dato da tutti e da ciascuno.

Conclusione. Riferimenti al progetto formativo della Casa di Carità Il progetto Equal Fadiesis a cui si è fatto riferimento rappresenta certamente un esempio positivo di come si possa rispondere ai bisogni di inclusione sociale dei soggetti disabili (e delle loro famiglie) impegnandosi a cercare soluzioni di altissima qualità sotto il profilo formativo, umano e di contesto. Inoltre, la creazione di una struttura nella zona della Conca d’Oro costituisce un patrimonio concreto per gli abitanti della zona. Ancora più fondamentale per l’ambito della formazione professionale è stata sicuramente l’individuazione di una metodologia e di buone prassi che potranno essere esportate anche al di fuori del territorio bassanese per attuare iniziative simili.

La discriminazione verso i disabili dipende a volte dai pregiudizi nei loro confronti, ma è causata molto spesso dal fatto che i disabili sono stati a lungo totalmente dimenticati e ignorati e ciò ha permesso il costituirsi e il rafforzarsi di barriere ambientali e di atteggiamenti sociali che impediscono ai disabili di avere un ruolo attivo nella vita pubblica. (da La dichiarazione di Madrid, 2003). Piuttosto che normalizzare i disabili sarebbe opportuno normalizzare il nostro atteggiamento verso le persone svantaggiate, riconoscendo che ogni persona, in qualun-


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Daniela Rodondi

que momento della sua vita, potrebbe trovarsi in una condizione di salute che, in un ambiente negativo, diventa disabilità. L’auspicio è che la formazione professionale possa sempre più, attraverso la propria azione concreta, qualificata e “pensata”, abbattere o almeno scalfire tali stereotipi e pregiudizi così radicati nel pensiero comune. Oltre all’aspetto fondamentale di tali iniziative per la valorizzazione e la promozione umana e professionale dei disabili, esse si collegano direttamente alla proposta educativa della Casa di Carità anche per i contenuti culturali che i progetti nel settore agricolo offrono con riguardo all’annuncio evangelico e per la stessa catechesi. Basti pensare alla ricchezza dei riferimenti alla vita dei campi contenuti nel Vangelo. Ne riportiamo uno, a titolo di esempio, in cui emerge anche la valorizzazione della sofferenza presente nella vita dei disabili, ma suscettibile di generare frutti di crescita e di risurrezione, a imitazione di Gesù Crocifisso, supremo modello della Casa di Carità Arti e Mestieri:“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12, 24).


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 485-494

Le nuove tecnologie comunicative: una sfida all’educazione familiare e scolastica Mario Chiarapini, fsc Dirigente scolastico

N

el film di Stephen King Maximum Overdrive (in italiano Brivido, 1986), veniva rappresentata la rivolta delle macchine contro l’uomo. Ciò che sembrava solo assurda e allucinante fantascienza, frutto dell’inventiva del re dell’horror, si sta rivelando invece una cruda realtà. Macchine che forse stanno già succhiando le nostre energie e hanno già la meglio nella nostra vita sono individuabili in quelle nuove tecnologie, di fronte alle quali è necessario ritrovare e difendere decisamente il proprio equilibrio psico-fisico, la nostra umanità, i nostri figli. Anni fa si diceva che era un errore parcheggiare i bambini davanti alla tv e che era quanto mai deleterio che i ragazzi ne avessero una personale nella loro cameretta, per evitare che accedessero a programmi sconvenienti. Ora che molti genitori l’hanno capito, si ritrovano alle prese con qualcosa di ben più preoccupante: computer, internet, cellulari, videogiochi… Dall’ultimo Rapporto sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza (18.11.2008, il 9° della serie), realizzato da Eurispes e Telefono Azzurro, emerge che il 73,4% dei bambini ha un computer, il 60,6% dei più giovani ha, in casa, una console portatile/videogioco, il 58,6% del campione dispone di un telefono cellulare, il 56,3% dichiara di avere, oltre al Pc, anche il collegamento ad internet, il 56,2% ha un lettore di musica Mp3, mentre il 25,3% possiede un televisore al plasma con maxischermo contro un 64,2% che guarda ancora i programmi televisivi attraverso un apparecchio tradizionale. Dall’indagine è emerso anche che l’età, in cui solitamente si riceve un cellulare sembra essere quella compresa tra gli 8 e i 9 anni (34,9%), seguita da quella subito superiore,


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che ingloba bambini di età compresa tra i 10 e gli 11 anni (23,3%); ma il 17,6% l’ha ricevuto tra i 6 e i 7 anni, mentre il 10,1% l’ha avuto addirittura prima dei 6 anni.

Queste nuove tecnologie di comunicazione (d’ora in poi: NTC) permettono operazioni inimmaginabili fino a poco tempo fa, e forse ad alcuni genitori ancora poco familiari, con le quali si possono ricevere, produrre e inviare i contenuti più vari, entrare in contatto con persone sconosciute e a volte senza scrupoli, protette dall’anonimato, e andare incontro a diversi rischi mediatici. Il problema si è fatto ancor più incandescente a causa della troppo facile accessibilità della rete da parte dei minori. Si tratta di un allarme più che giustificato alla luce delle cronache che, quotidianamente, riferiscono di disavventure e di bravate via internet, che hanno per protagonisti preadolescenti e adolescenti, quasi sempre all’insaputa dei genitori. Dallo stesso rapporto di Eurispes, si evidenzia che negli incontri virtuali si consumano piccole e grandi vendette, gelosie, minacce e ricatti, specialmente tra gli adolescenti (12-19 anni). Il 13,2% di essi ha ammesso di aver diffuso su internet false informazioni su coetanei, mentre l’11% ha utilizzato la rete per escludere volontariamente una persona dal gruppo di appartenenza, molestandola o infastidendola; il 5% di aver diffuso foto, video e messaggi minacciosi.

Di fronte a questi nuovi problemi, gli atteggiamenti e le prese di posizione dei genitori sono piuttosto variegati. Ci sono quelli che, disinvoltamente, sono tentati di mollare tutto e lasciar fare in totale libertà, del tipo quel che succede, succeda; altri sono per la totale proibizione e non sollevano neanche il problema; altri ancora sono per una via di mezzo e si servono di volta in volta di qualche concessione ricattatoria; infine, c’è chi invoca un drastico intervento esterno, magari del legislatore o dei gestori dei siti, dal momento che non riesce più a controllare e a intervenire nella vita dei figli. Si capisce che nessuna di queste posizioni affronta il problema o ha la possibilità di risolverlo, nessuna coinvolge insieme giovani e adulti, nessuna permette un dialogo formativo. Finché ci sarà un cammino parallelo, non sarà possibile trovare una valida soluzione educativa. È vero che, ormai, si possono avere a disposizione dei software in grado di filtrare l’offerta del Web escludendo, per esempio, la pornografia, la violenza, la pedofilia… Ma il compito educativo non può finire qui, anche perché i ragazzi, quando vogliono, riescono a superare qualunque barriera.

Necessità di un dialogo formativo Gli strumenti più importanti e risolutivi restano un’educazione adeguata e il dialogo aperto, affinché i ragazzi maturino un approccio intelligentemente critico nei confronti delle NTC, che di per sé non sono negative, ma il cui uso errato potrebbe risultare molto dannoso. Facendo un accostamento che potrebbe sembrare fuori luogo, direi che come non ci passa neanche lontanamente per la testa l’idea di mettere in mano a dei minorenni un’auto, prima che abbiano preso la patente e sappiano valutarne correttamente l’utilità e il pericolo, così dovrebbe avvenire con strumenti tecnologici, come il computer e i videofonini, che non sono meno pericolosi.


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Chiaramente, l’allerta resta anche per l’informazione e gli spettacoli televisivi che dovrebbero avere una grande valenza pedagogica, mentre, sempre più spesso propinano programmi-spazzatura dal basso livello morale e culturale. Quando certe trasmissioni mancano, infatti, di rispetto al valore sacro della vita, a quello della famiglia e degli affetti, quando ogni fatto viene presentato con una visione relativistica, quando l’unica preoccupazione è l’audience perseguita a qualunque costo, anche puntando al pruriginoso e al sanguinolento, senza badare ai contenuti e ai messaggi negativi, quando il modo corrente di fare televisione sembra essere unicamente quello di elevare a modelli di vita comportamenti patologici, malsani, estremi o quantomeno discutibili, allora il mezzo tecnologico risulta deleterio. Se si tiene poi conto che a questi messaggi negativi si aggiunge un’istituzione famigliare piuttosto fragile e in crisi, si comprende quanto sia ardua la sfida educativa. Le agenzie educative, scuola e famiglia, senza parlare di quella parrocchiale, che alcuni ormai non ritengono neanche più un luogo educativo, e non certo per il suo insufficiente valore intrinseco, ma per l’abbandono e per la scarsa considerazione da parte dei giovani, hanno a che fare con una concorrenza agguerrita e molto persuasiva. Purtroppo, dobbiamo ammettere amaramente che si sta trascurando la difficile arte di educare, preferendo ad essa i suoi surrogati, costruiti su meschini ricatti o su assurde e improbabili minacce, frutti acerbi del paternalismo e dell’auto-ritarismo. È necessario dialogare con i ragazzi, spingerli a ragionare, guidarli a un uso positivo e consapevole delle NTC, educarli a essere selettivi e a maturare un atteggiamento critico. È necessario che imparino a sviluppare il proprio mondo interiore e le proprie capacità, conquistando gradualmente l’autostima e ricercando la propria sicurezza non negli oggetti, negli abiti firmati o nella continua approvazione degli altri, ma nelle proprie risorse personali. Questa crescita qualitativa va compiuta con il supporto e la guida degli adulti. Il loro ruolo è fondamentale per relazionarsi nel modo giusto con le NTC, perché non risultino dannose. Secondo una ricerca, condotta da Swg per Moige (Movimento italiano genitori) e Symantec Corporation, il 52% dei genitori dice che i figli si connettono ogni giorno, ma che solo il 19% li affianca durante la navigazione; mentre il 59% ha adottato sistemi di sicurezza per controllarne i siti. Le NTC oggi disponibili, come d’altronde tutte le conquiste della scienza e della tecnica, presentano aspetti positivi e aspetti negativi; sta a noi e alla nostra responsabilità usarli nel modo giusto, anche perché questi strumenti sollevano continuamente nuovi e importanti problemi educativi. Proprio per questo è necessario che di essi si abbia innanzitutto una buona conoscenza per capire come funzionano e per sapere quali possibilità e opportunità offrono, ma anche quali pericoli nascondono; in secondo luogo, è fondamentale, per rapportarsi ad essi in modo corretto, essere muniti di un buon bagaglio di valori, di saldi principi etici e di tanto buon senso. Da una ricerca della Doxa emerge anche un altro dato significativo: alla domanda se si considerino in grado di fronteggiare da soli i possibili problemi legati all’uso di internet, solo il 23% dei ragazzi si sente sicuro, il 37% crede di poterlo fare ma non si sente molto sicuro, mentre il 40% esclude di poter superare da solo gli eventuali rischi. A parte la percentuale dei dati, si evince tra le righe un aspetto preoccupante: quello della solitudine dei ragazzi. Molti si sentono soli e in qualche misura indifesi, e non solo nei confronti


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dei potenziali pericoli di internet e della rete, ma della stessa vita. Il loro disorientamento e la loro solitudine derivano principalmente dalla latitanza di molti genitori (motivi di lavoro, inadeguatezza al loro compito, scarso senso di responsabilità, un’impostazione permissiva del loro rapporto educativo, ecc.) e dalla carenza di autentici maestri coerenti e credibili, che fungano anche da rassicuranti mediatori. I ragazzi di oggi hanno bisogno di adulti che sappiano mediare tra il loro mondo e i pericoli in cui possono incorrere. A questo proposito, il Rapporto si sofferma su alcune paure ricorrenti, nelle quali è molto evidente l’effetto del continuo martellamento svolto dai media sull’emergenza sicurezza delle nostre città: il 22,6% ha paura di essere rapito; il 16,3% di essere avvicinato da sconosciuti malintenzionati; il 16,2% di essere coinvolto in attentati terroristici; il 13,9% di perdersi; il 13,5% di assistere a scene violente; il 12,6% di rimanere solo in casa e di essere picchiato dai coetanei.

Rischi delle nuove tecnologie Data l’invasività delle NTC e l’impatto imprevedibile che hanno nella vita dei ragazzi, non è più possibile restare indifferenti, anche perché perfino i più piccoli ormai utilizzano con molta disinvoltura tv, computer, videogiochi, internet e cellulari. Se dunque non vengono presi dei seri provvedimenti educativi, c’è il rischio di subirne delle conseguenze irreparabili. Nell'ultimo rapporto Censis sul paese (42° Rapporto sulla situazione sociale del paese/2008), per quanto riguarda il consumo mediatico da parte degli strati più giovani

della popolazione, i dati confermano un aumento di quantità e di qualità. I ragazzi e le ragazze tra i 14 e i 29 anni, rispetto al 2003, hanno fatto il balzo in avanti dal 61% che si connetteva uno due volte la settimana all'83%; dal 39% che si connetteva almeno tre volte la settimana al 73%. A consolazione di tutto questo, si registra anche che il 74% del target preso in esame legge almeno un libro all'anno e il 62% più di uno, e la lettura cartacea non si ferma ai libri ma comprende anche giornali e riviste, il 77% legge un quotidiano una o due volte la settimana (contro il 60% del 2003) e il 57% più di tre. L'unico dato in flessione è quello della televisione analogica che - come è facile intuire è compensato dalla televisione satellitare. Confrontando questi dati con quelli emersi nell’indagine del citato IX Rapporto Eurispes-Telefono Azzurro, ci si accorge come siano lievitati ulteriormente, coinvolgendo sempre più giovanissimi. Da questa ricerca, infatti, risulta che il 33% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni comunicano con gli amici via rete; il 24% partecipa a giochi di ruolo sul web, mentre il 56% fa videogiochi; il 49% scarica musica, film, video; il 22% legge dei blog; il 45% ricerca nei vari siti materiale di studio; il 78% guarda abitualmente Youtube. Il 97,9% delle ragazze possiede un telefonino, contro il 94,2% dei maschi; l’87,3% possiede un lettore Mp3, contro l’82,6% dei maschi. La differenza si riscontra in modo particolare nell’uso di internet: l’84,7% delle femmine afferma di avere il proprio pc connesso alla rete contro il 78,3% dei ragazzi. Sembrano numeri aridi, in realtà registrano la massiccia invadenza delle NTC che, se non si sapranno gestire al meglio, condizioneranno negativamente la nostra vita.

Tv e Pc - Tv e internet, di per sé strumenti preziosi, sono utilizzati molto spesso in modo inappropriato. Invece di coglierne le opportunità di informazione e di comunicazione, sono ridotti a passatempi frivoli, se non pericolosi, che estraniano da un effettivo rapporto con la realtà e banalizzano i rapporti interpersonali. Un primo problema educativo che questi mezzi sollevano è dato dalla finzione. Ci sono programmi


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che simulano la realtà e spesso la deformano: i ragazzi, i più piccoli in particolare, non riescono a distinguere il reale da ciò che è virtuale o semplicemente frutto della fantasia. Ora, se è vero che ogni pensiero proviene dall’esperienza, quali conseguenze ci saranno in quegli individui che non vivono più nella realtà, ma in una sua brutta copia? Disabituati a osservare, i ragazzi rischiano di perdere il contatto con le cose, con la vita, con il paesaggio, con la natura, con le altre persone. Saranno in questo modo sempre più superficiali, passivi, annoiati, incapaci di inventare e perfino di giocare. Sono sintomatiche le risposte date da alcuni ragazzi che avevano compiuto atti di teppismo: “Volevamo fare qualcosa, per superare la noia”, filmando con precisione ogni cosa, quasi volessero mettere il filtro di uno schermo alla realtà, come se la realtà vera fosse quella virtuale e loro gli eroi di una fiction televisiva. Comunque, stare tante ore davanti alla tv e al pc ha degli effetti molto negativi anche sul piano fisico oltre che su quello mentale dei ragazzi. In molti di loro si riscontra un aumento di peso, problemi alla colonna vertebrale, alterazioni oculari, una diminuzione della melatonina1 che comporta il rischio di pubertà precoce, l’annullamento della fantasia e dell’immaginazione, una tendenza all’isolamento e una certa predisposizione alla violenza e alla depressione. La fruizione istantanea di milioni di informazioni compromette anche la capacità di concentrazione e di approfondimento. Secondo il Censis, fra i genitori, il 74% ha un atteggiamento positivo verso Internet, definito “molto utile” (18%) o “abbastanza utile” (56%), in primo luogo per la scuola e lo studio (83%), quindi come mezzo di informazione (67%), o anche per la possibilità di comunicare con gli amici e di trovare nuovi amici (10%). Come è già stato sottolineato, l’aumento del suo utilizzo, tra il 2003 e il 2008, ha avuto un picco vertiginoso con conseguenze anche sul profitto scolastico dei ragazzi. Alcuni studenti, ormai, senza ricorrere a internet, non sono più in grado di svolgere una ricerca scolastica e, anche in quel caso, lo fanno in modo impersonale, senza verifiche, senza effettuare valutazioni e integrazioni, limitandosi semplicemente a un meccanico copia e incolla. Così, vengono compromesse le stesse capacità cognitive dell’individuo.

Un altro effetto negativo è quello della dipendenza da internet e dai servizi web di nuova generazione: l’impiego disordinato di tali risorse può determinare stanchezza eccessiva, svogliatezza nello studio, una diminuzione dell’interesse per gli hobby, per il gioco e per lo sport e, in genere, una tendenza a isolarsi, a disobbedire e a ribellarsi ai genitori. La dipendenza psicologica da internet è causata dalle sue caratteristiche interattive, che danno l’illusione di comunicare con altri in modo intimo e profondo. I ragazzi si fanno prendere da questi contatti sociali e dai giochi, perché chattando, navigando e giocando, si sentono più liberi e forti, stanno meglio con se stessi, evitano lo stress della scuola e trovano un rifugio dai problemi quotidiani dell’adolescenza e della famiglia. Ma sul web nascono di continuo anche delle communities che ospitano maniaci, nascosti dietro nomignoli inventati, i quali cercano di circuire ragazzini e ragazzine per ottenere incontri o materiali video a sfondo sessuale. Il 42,9% degli adolescenti ha dichiarato di aver utilizzato chat e communities per fare nuove conoscenze e l’11,5%

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La melatonina è un ormone prodotto da una ghiandola posta alla base del cervello, la ghiandola pineale o epifisi.


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di essere stato molestato e di aver ricevuto proposte oscene. È anche preoccupante il fatto che molti bambini di scuola elementare ne siano già fortemente coinvolti, nella totale inconsapevolezza dei genitori. Sembra che sempre più giovanissimi vivano le loro amicizie, i loro incontri e scontri, i loro litigi e i loro entusiasmi più su internet che nel cortile della scuola, sotto casa o ai giardini pubblici. Certo è più facile parlare, deridere, scontrarsi ed esprimere i propri sentimenti, nascosti davanti a un video piuttosto che affrontando le persone dal vivo. I più timidi, probabilmente, arrivano perfino a illudersi che in questo modo possano riuscire ad acquisire maggiore sicurezza, in realtà, manifestano ancora di più la loro grande fragilità. Analizzando la ricerca Eurispes, si evince il profilo di una gioventù schiacciata dall’ansia e dalla paura, alla ricerca di un’illusoria sicurezza nel Web. Il direttore scientifico di Eurispes, Gian Maria Fara, presentando il rapporto, ha dichiarato: Le caratteristiche della rete sono contraddittorie, perché, se da una lato è lo spazio dello scambio e dell’incontro, dall’altro rischia di essere un luogo di solitudine. Videogiochi - Secondo il Rapporto Eurispes-Telefono Azzurro, i videogiochi risultano particolarmente diffusi tra i bambini, ma il 47,6% ha confessato di averne usato di inadatti e solo il 38,5% è consapevole che quelli violenti non sono adatti per loro, mentre il 22,4% li considera divertenti. L’8,5% dei più piccoli ha riferito che i videogiochi violenti li aiutano a scaricare la rabbia e il 4,8% ha affermato che fanno provare un senso di forza e di potenza. Il problema educativo è evidente: il gioco tradizionale coinvolge il bambino sia sul piano fisico sia su quello intellettivo ed emotivo, lasciandolo però padrone di se stesso e del proprio tempo. Mentre gioca, il bambino inventa, finge e immagina una realtà che concretamente non esiste, ma che è un prodotto della sua creatività. È lui il regista, è lui a decidere quanto la sua attività fantastica deve durare e quando è il momento di tornare alla realtà. Il videogioco invece pone il bambino in una situazione di passività, imponendogli i tempi di percezione, i suoni e le immagini. Non gli dà alcuno spazio e lo costringe alla sedentarietà, per cui la tensione fisica accumulata e non scaricata può creare uno stato di irritazione che, in breve tempo, può sfociare nella scontentezza e in uno stato di malumore o, addirittura, di ribellione nei confronti dei genitori. Pubblicità - Un terzo problema educativo è dato dalla pubblicità, che domina in maniera diretta e indiretta la maggior parte del tempo televisivo. È stato calcolato che un utente, in un anno, vede passare davanti ai suoi occhi, in media, più di 31.500 spot pubblicitari, che equivalgono a circa 90 al giorno, senza parlare dei messaggi subliminali, i quali, entrando nel profondo della psiche, riescono a svolgere un vero e proprio lavaggio del cervello, condizionando in modo ancora più subdolo le scelte delle persone. È vero che il 70% degli italiani, secondo l’ultima ricerca di Eurispes, non segue affatto gli spot, anzi ne approfitta per dedicarsi a zapping o altro. La stessa afferma anche, provocando la reazione indignata dell'Assap (Associazione agenzie pubblicità), che "la pubblicità determina i modelli di comportamento. Tende a forma-

re i bisogni. Non fornisce al pubblico elementi di riflessione critica, ma produce condizionamento".

Tra i problemi analizzati, c'è anche quello della violenza nei messaggi. Oltre la metà degli intervistati (52,6%) denuncia la presenza inopportuna di immagini violente negli spot, di conseguenza, il 67,5% dei genitori manifesta la preoccupazione che i figli (da 6 a 11 anni) ne vengano influenzati. Ormai i pubblicitari possiedono tecniche molto sofisticate con


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le quali riescono a condizionare il modo di pensare e di vivere delle persone, fino a controllarne i comportamenti e le scelte, convincendole di non poter vivere senza quel determinato prodotto. Questo problema risulta più grave di quanto si possa immaginare, se si tiene conto che i bambini non hanno alcun bisogno della pubblicità. Essa dovrebbe essere rivolta esclusivamente agli adulti che hanno la capacità di scegliere in modo responsabile che cosa acquistare o no. Ma gli operatori del settore, con una strategia alquanto perversa, sanno che, una volta suggestionati i figli, è facile convincere i genitori. La realtà del denaro, comunque, non dovrebbe aver nulla a che vedere con la vita dei bambini. I genitori devono dunque proteggerli dal bombardamento e dai condizionamenti della pubblicità, insegnando loro che la vita è meglio viverla che consumarla. Videofonini - Altro discorso è quello dei videofonini. Anche il loro uso troppo disinvolto può causare effetti di dipendenza, ma può anche arrecare danni alla salute, limitare i veri rapporti interpersonali, innescare dei pericolosi meccanismi imitativi. A differenza degli adulti, che ordinariamente considerano e usano il telefonino per la sua tradizionale e originaria funzione, gli adolescenti, da esperti conoscitori di tutte le sue prestazioni, sono fortemente attirati dalle più moderne modalità di comunicazione che il mezzo consente, prima fra tutte gli sms. Nei confronti del telefono cellulare le posizioni sono piuttosto variegate: il 60% dei genitori lo ritiene inutile; altri lo ritengono utile, perché lo considerano di aiuto soprattutto per comunicare con i figli quando sono fuori casa e per sapere dove si trovano e che cosa stanno facendo. Anche con il videofonino è comunque facile fare confusione tra realtà e finzione. Condizionati da una civiltà audiovisiva, tutto diventa spettacolo da filmare e, magari, da diffondere in internet: una lite, una violenza, scene erotiche…. E la responsabilità non è minimamente avvertita, dal momento che ci si sente come gli spettatori di un film. La violenza, in questo caso, non fa più male, perché la realtà è diventata un gioco, uno scherzo, una simulazione. Il videofonino o la videocamera, ponendosi in mezzo tra chi agisce e chi riprende, fanno da schermo, annullando di conseguenza la fisicità, e chi viene ripreso risulta disincarnato, come il protagonista di un videogioco. La realtà virtuale diventa per il ragazzo più interessante dell’esperienza reale. Catturato l’evento attraverso la ripresa, viene rivisitato con soddisfazione e compiacimento e, se risulta di effetto, viene messo in rete. In questo modo, si crea un mondo senza tempo, senza confini e senza morale, una realtà aliena, dove tutto è possibile e niente può più essere condannato. Ma con internet e i telefoni cellulari ha preso piede anche il cyberbullismo, cioè il bullismo elettronico. Capita sovente, su qualche chat, che un ragazzo venga preso di mira e deriso, aggredito verbalmente oppure che si veda pubblicate delle confidenze che un cyberbullo ha precedentemente ottenuto chattando con lui, dopo essere riuscito a carpire, oltre che la sua fiducia, anche delle foto imbarazzanti scattate di nascosto e fatte circolare per mettere alla gogna la povera vittima.

Alcune considerazioni Il farsi assorbire in modo totalizzante dalle NTC, che si rinnovano e progrediscono vertiginosamente, al punto da mettere a dura prova la capacità di adattamento di chiunque, ha delle conseguenze raccapriccianti. Anzitutto, sembra che risulti sempre


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più difficile mantenere il proprio equilibrio e l’autocontrollo, dal momento che si viene a perdere il contatto con la vita vera e si rischia di perdere i riferimenti ai valori guida. La vita è partecipazione, è provare emozioni, è esprimere valutazioni di bene o di male, ciò che invece non accade quando ci si trova dietro un occhio elettronico, in cui diventa difficile poter partecipare e agire. Ci si ritrova passivi e incapaci di reagire di fronte alle sofferenze delle vittime o alla loro umiliazione. Ciò che conta allota è premere il pulsante, videoregistrare la scena, dare il via alla rappresentazione. Diffondere le immagini, tra gli amici o su internet, delle violenze inflitte a un ragazzo disabile o dello stupro di una ragazza indifesa alla mercé del branco diventa più importante che esprimere un giudizio morale sulle stesse. Gli artefici delle violenze si ergono a protagonisti di uno spettacolo che li mitizza di fronte ai compagni di classe e agli amici e, in assenza di una qualsiasi riflessione morale del proprio comportamento, si sentono completamente deresponsabilizzati: “Era solo un gioco…, era uno scherzo…, era per finta…”, si giustificano gli autori e i registi delle bravate. E ciò rivela quanto la realtà virtuale li abbia talmente assorbiti da estraniarli completamente, rendendoli così poco consapevoli da non permettere loro di vedere la differenza con la vita reale. Altri rischi, ormai troppo noti, derivano dai siti pericolosi e illegali: quelli porno, quelli che propongono messaggi di violenza, quelli che contengono adescamenti sessuali da parte dei pedofili… Ma l’aumento esponenziale dell’uso delle NTC solleva anche altri problemi nel panorama giovanile, quali: - la voglia di apparire ritenuta dai ragazzi come una riprova indispensabile per sentirsi vivi; - una totale disistima della propria persona e quindi il bisogno di riconoscersi nel gruppo dei pari e di confrontarsi su stati d’animo, pensieri, sentimenti, emozioni, dal momento che come individui ci si sente delle nullità; - la deresponsabilizzazione morale, per il fatto che dietro lo schermo delle NTC ci si sente estranei da quello che avviene e, quindi, non colpevoli; - un indebolimento culturale e un impoverimento del linguaggio e della scrittura, con la conseguente difficoltà a esprimersi; - un crescente divario tra figli e genitori a causa della grossa disparità nell’uso dei linguaggi e degli strumenti. È anche interessante notare, secondo i sondaggi sopraccitati, la differenza di valutazione e i criteri di rischio dal punto di vista dei genitori e dei ragazzi. I genitori temono più di tutto:

possibili contatti con adulti malintenzionati ad avvicinare minorenni (90%) i videogiochi violenti e diseducativi (82%) la pubblicità ingannevole (80%) l’infestazione del pc con virus informatici (74%) l’uso eccessivo di internet (68%) il rischio per i propri figli di essere molestati o maltrattati da coetanei (64%) scorrette informazioni su ricerche scolastiche, salute, diete (53%) scarico di musica o film coperti da diritti d’autore (49%).

Per i ragazzi, i problemi ritenuti più seri sono: • • • •

i virus informatici che possono infettare il pc (87%) possibili contatti con adulti malintenzionati (85%) pubblicità ingannevole (74%) molestie da parte di coetanei (69%)


Le nuove tecnologie comunicative: una sfida all’educazione familiare e scolastica

• • • •

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videogiochi violenti e diseducativi (61%) uso eccessivo di internet (60%) scorrette informazioni su ricerche scolastiche, diete, ecc… (50%) scarico di musica o film coperti da diritti d’autore (43%).

A parte i sondaggi, il problema serio per genitori ed educatori è quello di aiutare i ragazzi a immergersi nella vita reale, a non isolarsi, a favorire il contatto con i coetanei, a costruire incontri veri con persone reali, a condividere con altri pensieri ed esperienze, emozioni e paure, per essere in grado di guardare il mondo non attraverso l’obiettivo di una videocamera, ma attraverso i loro sensi, con l’intelletto e il cuore.

Aspetti positivi e qualche suggerimento La realtà virtuale, tuttavia, non è solo un pericolo, in certi campi può anche essere una risorsa. Gli aspetti positivi e l’utilità dei media e dei nuovi mezzi di comunicazione sono abbastanza scontati; d’altra parte, se esistono, non si possono certo ignorare. Sarebbe semplicemente assurdo. Se le NTC rispondono a certi bisogni, sono già di per sé utili. Il problema nasce quando queste, anziché promuovere e arricchire il proprio sistema di conoscenze, modificano i bisogni individuali senza appagarli e determinano una forte dipendenza e altre patologie, quali la diminuzione della produzione immaginifica e della capacità creativa. Tra i lati positivi, c’è lo stimolo alla partecipazione attiva dei ragazzi richiesta, per esempio, dal videogioco, che, se usato con equilibrio e intelligenza, può risultare un utile strumento di formazione, migliorare i riflessi e incrementare alcune abilità. Il computer, a sua volta, rappresenta per i ragazzi uno strumento fondamentale per avere accesso a un mondo di informazioni, quello che una volta era assicurato dai dizionari e dalle enciclopedie; ma rappresenta un’ottima opportunità anche per chi è affetto da dislessia, infatti, i ragazzi dislessici, nell’eseguire compiti di letto-scrittura, il più delle volte sono lenti e fanno difficoltà con la memoria, se poi sono disgrafici producono testi illeggibili; il computer, in questi casi, offre dei grandi vantaggi, oltre che pratici, anche di tipo psicologico. Compensa molte delle difficoltà che determinano la frustrazione dei dislessici e consente agli insegnanti di svolgere più agevolmente il loro programma. Sociologi, pediatri, psicologi e pedagoghi sono concordi nel ritenere che i media e le NTC influenzino positivamente e contribuiscano a cambiare lo sviluppo e la crescita dei bambini, e che solo un loro uso esagerato e distorto può causare danni permanenti. Gli adulti, in quanto educatori e punti di riferimento dei propri ragazzi, hanno la grande responsabilità di educarli a un uso critico di questi nuovi strumenti, dialogando con loro e condividendo i momenti in cui li usano. Ma i genitori, da parte loro, chiedono di sapere di più sui possibili problemi che ne possono derivare. Mass media, scuola e istituzioni sono le agenzie da cui si aspettano di essere informati e supportati nel difficile compito di accompagnare i figli nell’uso corretto e responsabile di internet e del cellulare, al fine di garantire ai ragazzi un’adeguata protezione e coscienza sui reali rischi, ma anche sulle opportunità associate al loro utilizzo. Per proteggere i ragazzi in rete il Movimento italiano genitori (Moige) ha lanciato una serie di suggerimenti2. Tra gli altri: 2

E’possibile consultare il sito www.noncaderenellarete.it e anche www.savethechildren.it


Mario Chiarapini

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mai dare informazioni personali (inclusi il nome, indirizzo, numero di telefono, codice

fiscale, età, nazionalità, entrate familiari, il nome e la località della scuola, il nome degli amici…), né tanto meno informazioni finanziarie (conti bancari, conti postali, carta di credito, dati paypal…); mai rispondere a un messaggio di uno sconosciuto, specialmente se fa sentire a disagio. In questi casi, ignorare il mittente, interrompere la comunicazione e riferire quanto accaduto ai genitori o a un altro adulto di cui ci si fida; mai condividere la password, neanche con gli amici; usare inoltre password “forti” (che includano caratteri alfanumerici) e cambiarle di frequente; mai compilare moduli di iscrizione o profili personali (se e quando si avesse la necessità di compilare qualcosa, leggere attentamente e sempre tutto e farlo insieme a un genitore); mai partecipare a concorsi on line; mai accettare di incontrare persone conosciute in chat; mai scaricare programmi se non si sa bene di che si tratta, in quanto, senza volerlo, potrebbero rilasciare spyware o virus informatici; mai rispondere alle provocazioni ricevute; mai usare un linguaggio grossolano o mandare messaggi volgari on line; mai aprire i messaggi immediatamente riconoscibili come spam (la posta indesiderata, pubblicità o altro), meglio cancellarli direttamente; mai effettuare acquisti su internet, senza la supervisione dei genitori. E’ vero che i giovanissimi non dispongono di carte di credito personali, ma qualche adolescente potrebbe azzardare una manovra illecita, sfruttando le risorse di mamma o papà. Attenzione anche a quei programmi, chiamati crimeware, come il Trojan, che riescono a inserirsi nel computer e carpire i dati, che sono stati resi noti a un negozio on line; mai fidarsi di certi codici maliziosi (dialer), immessi nei siti più frequentati dai giovanissimi. È facile, in questi casi, essere dirottati su un numero a pagamento molto costoso, invece che sul consueto Internet service Provider.

Ai pericoli delle nuove tecnologie è necessario anteporre degli antidoti, quali: ● avere le informazioni utili e gli aiuti adeguati che permettano ai ragazzi di diventare

degli utenti consapevoli e sicuri;

● acquisire una buona dose di senso critico e di autonomia di pensiero; ● appassionarsi alla lettura dei libri per recuperare la capacità di astrazione; ● accrescere l’interesse per gli hobby personali e per l’attività sportiva; ● favorire la valorizzazione di rapporti interpersonali autentici. Dal momento che la società di oggi è caratterizzata da una forte pervasività delle NTC - che confondono la realtà con la finzione, l’informazione con lo spettacolo, le mode e i modi con i modelli di vita, che deformano la realtà umana e la coesione morale e culturale della società - sarebbe auspicabile che a scuola fosse condotta un’efficace educazione ai media e alle NTC per aiutare i ragazzi a capire realmente la natura e la rapidità di certi cambiamenti in modo da viverli in positivo, mantenendo al tempo stesso una situazione di equilibrio e di controllo nei loro confronti.


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 495-498

¿Cómo aprender el sentido de la vida? Lorenzo Tébar, fsc Los educadores conocen que el cambio de paradigma actual pone el acento en el aprendizaje del alumno y no tanto en la enseñanza del profesor. Tal vez sea éste uno de los enfoques más luminosos de los objetivos de la educación. Esencialmente formamos al educando para que sea una persona autónoma, para que sea libre, crítico, para que entienda su existencia y la valore, para potenciarla y enriquecerla sin pausa.

C

ontemplada la educación como un proyecto iluminador de la existencia se convierte en una aventura apasionante y motivadora para cualquier docente. La educación no sólo es “un camino de interioridad” al centro de cada individuo, como afirmó J. Delors, sino también una trascendente tarea para forjar a la persona en toda su plenitud, capaz de entender, disfrutar y transformar la vida en una gran oportunidad para los mejores ideales. Educar es más que un oficio, es una misión.

La imprescindible educación: aventura apasionante

Las inmensas posibilidades del tiempo de formación que toda persona dispone en su infancia, adolescencia y juventud, necesitan una motivación y orientación especial para que la brújula de sus anhelos se proyecte hacia el sentido, hacia la comprensión y los valores que entraña la existencia. Somos seres hambrientos de sentido. El sentido de la vida se inicia con el despertar de la sensibilidad por saber, por conocer y por saborear los valores que nos envuelven. Hoy hablamos más de competencias que de aprendizajes, aunque, en el fondo, no estamos excluyendo ni conocimientos ni actitudes o valores, sino que los estamos integrando, desde el primer


Lorenzo Tébar

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momento, para tener conciencia de que el ser humano es integral y que el conocimiento no puede ser fragmentario, sino global, multidisciplinar. El sentido siempre está producido por esa chispa de luz que nos ilumina desde el cerebro. Adquirir sentido empieza por aprender a pensar, como la metacompentencia de todos los aprendizajes. Los educadores debemos ser profesionales del aprendizaje y del pensamiento. El sentido no es sólo olfato o gusto o tacto. El sentido es ético, estético, moral, axiológico, religioso, vital. Y el sentido de la vida dice mucho de nuestra forma de entendernos a nosotros mismos y a los demás. -

Es una forma de inteligencia inter- e intra- personal. Para tener sentido de la vida, debemos sentirnos bien con nosotros mismos, aceptarnos, comprendernos, para, después, poder extender nuestra mirada sentiente sobre la existencia. Los antiguos se debatían entre la sabiduría y la virtud, entre la felicidad, la verdad y el bien.

-

El sentido de la vida exige coherencia lógica, razonamiento consistente. Pero la profundidad que todo esto exige, dista mucho de la superficialidad con que a veces contemplamos la acción docente.

Necesitamos dar toda la importancia, dedicar todo el tiempo para oír, aprender, asimilar, vivir situaciones de sentido. La escolaridad es la experiencia y el clima donde crece el sentido. Aprender significativamente exige leer, escribir, hablar con corrección, pero es también hacer, vivir con intensidad y con compromiso, para leer la vida, aprender y expresar la vida con todas las tonalidades y con los mil colores que posee. Educar la mirada, el oído, el tacto, los sabores, es convertirnos en diestros decodificadores, encontrar sentido a los signos, a las imágenes, a las metáforas. Para después ser nosotros creadores de imágenes y de toda forma de estética. La adquisición de una conciencia moral, de una visión noble de la existencia, requiere desechar prejuicios, derrumbar muros, miedos y adquirir mentalidad crítica, autonomía y seguridad necesarias para vivir. Pero en el desprestigio actual de la educación, constatamos el rechazo que se provoca cuando hablamos de enunciar los principios, cuando indagamos en las fuentes o en los pilares del sentido. No por ello desistimos en enumerar una serie de claves para ahondar el sentido.

Claves para la mediación del sentido de la vida Protagonismo del alumno en su formación - Han de caer las barreras del aprendiza-

je y de la participación en las aulas, para que cada alumno se convierta en el actor protagonista de su propio descubrimiento, del aprendizaje y de la vivencia del sentido. Educamos para vivir la vida con sentido para cada momento, no para la vida futura. La vida futura depende de la presente y ésta debe ser inmensamente rica, profunda, gozosa. La vida de la escuela debe ser “el tesoro por descubrir”, una experiencia irrepetible, fontal, estructurante, comprometida. Pocos adjetivos deberían añadirse a una formación integral, multidisciplinar, comunitaria, inmersa en la vida misma y proyectada a ella, para transformarla. Este intento reclama una gran profesio-


¿Cómo aprender el sentido de la vida?

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nalidad y una sociedad volcada en la educación global, que va desde la edad más temprana hasta el universitario más competente. El compromiso diario en la dinámica del centro escolar debe abrirse al entorno y a toda la sociedad. Las experiencias solidarias, gratuitas y de auto-superación conducen al encuentro del sentido.

Interioridad - No leemos con los ojos, leemos con nuestra mente, las imágenes que nos llegan de los sentidos. Leemos en el silencio, leemos en la interioridad, leemos desde una trama de actitudes, desde una escala de valores, desde nuestras experiencias, desde nuestro espíritu, inteligencia y afectos. Al leer proyectamos todo nuestro mundo interior, inferimos, hipotetizamos, nos emocionamos, sentimos afecto o rechazo, nos cuestionamos. Enseñar a leer exige estrategias y técnicas lectoras muy diversas, gimnasia ocular para acelerar la velocidad y ampliar nuestro campo visual, pero también un interés y curiosidad por saber, por descubrir las leyes de la vida. Las limitaciones en la lectura comprensiva son la prueba de la falta del sentido del estudiante en sus aprendizaje. Todo educador debería ser un experto en estrategias lectoras, un lector empedernido y hábil. El primer proceso del aprendizaje es el perceptivo, guiado siempre por la mente y la voluntad. Debemos educar en el silencio, en el cuestionamiento, en la imaginación y la creatividad, que nos llevan a la elaboración mental, a la riqueza de nuestro mundo interior, donde se cuece el sentido. Pensamiento - Con toda la enorme gama de habilidades cognitivas que implica ense-

ñar a pensar : definir, comparar, clasificar, inferir, sintetizar, razonar… Este es el camino didáctico que nos lleva a la verdadera experiencia del sentido. El docente debe saber crear situaciones, actividades que hagan pensar, que hagan descubrir el significado. Un buen educador es un buen preguntador. Si preguntamos, si contrastamos lo esencial y lo arbitrario, si sabemos integrar lo importante, si lo jerarquizamos y estructuramos para recordarlo y recuperarlo, llegaremos a entender la importancia de la inteligencia sintética, como la puerta del sentido. Pensar exige atención y esfuerzo.

Emoción y admiración - Los educadores deben sembrar pasión por saber, por conocer y por comprender. Por esta razón, enseñar es provocar, es crear situaciones de descubrimiento, de encuentro, de emoción, de gozo. Seleccionar textos, aprendizajes, situaciones, recuerdos, medios humanos e instrumentales, orientan la creatividad del docente. El ejemplo y la acogida del maestro son indispensables para creer y esperar en el despertar del alumno para engancharse a sus invitaciones. Los errores son fuentes de aprendizaje también. El primer sentido que adquirimos es el de sentirnos acompañados y acercanos a otros. Protegidos y seguros. Ésta es la primera sensación de calidez que necesita el niño para llenarse de sentido. Hay un mundo inabarcable de temas y de saberes que nos dejan maravillados, si se ha educado nuestra mirada o nuestro oído. Pero la sensibilidad debe estar primero en el docente mediador, que sabe seleccionar, amplificar, repetir y transformar los estímulos con tacto y con creatividad. Escala de valores - El ideal de una educación del sentido no puede surgir sino desde

un humanismo cristiano, abierto a la verdad y a la libertad; anclado en la humanidad y en la trascendencia de la vida; impregnado por los valores más nobles: humanos, cognitivos, sociales, morales y espirituales. La formación cívica, estética o moral tie-


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Lorenzo Tébar

nen un complemento imprescindible que se moldea en la interacción dialógica del aula, sin miedo a herir la libertad de conciencia. La búsqueda compartida de la verdad científica, religiosa o vital, no está reñida con el diálogo respetuoso. El silencio sobre estos temas en las aulas suena a excusa negligente y oscurantista laicista, que deja al educando al albur de la propaganda incontrolada de los medios y de la confusión de la calle. Los proyectos educativos, fundados en un carácter propio, deben exponer explícitamente los valores que orientan su formación en el sentido de la vida. Esta misión descansa en la competencia profesional del educador, de ahí la importancia de su formación inicial y continua.

Clave cristiana - El sentido en la vida está ligado a nuestro universo de creencias que

se expresan en la diaria trama de relaciones con los demás. Para el cristiano este axioma de ser para los demás y contar con su ayuda, tiene una serie de contrapartidas. Su fuente y sustento está en la Biblia, Palabra por excelencia, leía, compartida y orada. Es falaz reducir lo religioso y someterlo al ámbito privado. Necesitamos el alimento nutriente que permita renovar nuestros principios y motivaciones. El cristiano para vivir su honestidad, su sinceridad y fraternidad solidaria necesita saberse y renovarse con frecuencia por medio de su vinculación a la familia creyente, por la lectura, la celebración de su identidad y el compromiso social transformador. Sólo en este clima de relaciones cordiales puede enraizar y crecer el sentido gozoso y liberador de la existencia, que se plenifica en el encuentro y en la donación a los demás. El ser humano no se entiende sin la referencia de la familia, de igual manera no se entiende al cristiano sin la referencia a su familia, la comunidad cristiana. La fe no se puede entender fuera de este paradigma.


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 3, 499-504

I chiaroscuri di Anna Lucchiari

Silenzio: si sparla

L'

uomo è un animale socievole. E assodato e come membro di una società sente il bisogno di comunicare con le persone che la formano. Lo strumento attraverso il quale avviene questa comunicazione è la parola. Uno strumento che possiede una gamma amplissima di valenze: può diventare sublime nel poeta, limpida, rivelatrice ma anche oscura. C'è la convinzione diffusa, tuttavia, che la parola in sé sia una specie di regolo matematico, dal significato immutabile dalla sua nascita alla sua morte. Ma la parola è come una creatura, nasce, cresce e muore. Ci ricordiamo tutti di aver udito delle parole mai più trovate, di averne letto altrettante: ricordo un pezzo celebre di Neruda, inserito nella sua biografia: io le parole le cerco, le colgo come frutti fiori e bacche,

mi piace il loro gusto, il loro sapore e le faccio rotolare nella bocca per goderne le sonorità. Non è testuale, ma riporta il senso del suo andar per parole, del suo istinto diabolico nello scovarne di belle sonore e piene di senso.

La parola è il migliore tramite che possediamo per trasferire ciò che sentiamo dentro di noi all'esterno, agli altri, ai componenti della società di cui facciamo parte, ma è anche una creazione più o meno temporanea, più o meno mutevole. E' certo che si adatta al tempo, ossia all'età, che assume altre vesti, che cambia la sua fisionomia e il suo significato. Basti pensare al linguaggio smozzicato e, davvero fonte di equivoci, che i ragazzi usano negli sms, alle contaminazioni con l'inglese o altre lingue nelle email, a certi brani di prosa dove la combinazione delle parole in frase viene stravolta, dove sono spariti i punti, le virgole, dove la consecutio evapora con un sapore di antico strumento persecutorio, dove il linguaggio, proclamandosi aderente alla realtà o alla quotidianità giovanile, diventa incomprensibile ai più. Le trasformazioni che il linguaggio ha subito, diventano particolarmente evidenti, se usando la moderna tecnica dei dvd, si passa da una serie di film classici, anche della seconda metà del secolo passato, alle moderne produzioni. A parte l'evoluzione, non sempre migliorativa, del concetto di "storia", che sempre più spesso si riduce ad una serie di atti violenti e gratuiti dove si sprecano effetti speciali, armi micidiali, guerre di bande e di eroi discutibili, la parola non si è trasformata secondo canoni più o meno prevedibili, è semplicemente diventata parolaccia. In uno di questi film che ho visto per documentarmi, mi sono trovata a pensare che se si fossero tolte dal sonoro tutte le parolacce, il film sarebbe risultato muto. E poi ho pensato che se questo è il tono della "lingua nova", mi dispiace, ma non sono in linea col "progresso" e mi sento in dovere di prendere le difese della parola dell'uomo umiliata, misconosciuta e maltrattata. "Sono stanca" è una espressione sufficientemente chiara secondo me e può subire modifiche secondo i gradi di stanchezza: sono stanchissima, non ce la faccio più, ho assolutamente bisogno di riposarmi, sono sfinita, mi sento uno straccio ecc. "Mi annoio" è un'altra delle espressioni che vengono tradotte più di frequente in parolacce-


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Anna Lucchiari

se: però ci sono anche qui delle ampie possibilità offerte dalla lingua italiana: non so cosa fare, mi sento fuori posto, mi infastidisce il tutto, e non deve necessariamente diventare una rottura di canoni linguistici. Non sono esenti da questo andazzo nemmeno gli spettacoli per bambini, i cartoni animati che gareggiano nel proporre schifezze materiali e linguistiche. Sarà l'età che avanza, ma mi sento ogni tanto come uno dei cavalieri della tavola rotonda con tanto di elmo piumato e di lancia in difesa della gentile donzella "la parola", ma più spesso mi sento un ridicolo don Chisciotte che cerca di fermare le pale di un mulino ineluttabile che mescola tutto nell'aria: parole, paroline e parolacce.

Cieli azzurri

P

arto per un posto lontano: due giorni dì viaggio. Un posto singolare per noi, per i panorami cui siamo avvezzi: case, case, case, palazzi, grattacieli, strade intasate, automobili maleodoranti, gente nervosa che scatta ad ogni minima "provocazione". Se per provocazione intendiamo anche il partire un po' in ritardo al semaforo. Mentre volo (le prime sette ore di viaggio le sopporto bene) ho ancora davanti agli occhi una signora, giovane e carina che agitando freneticamente un braccio fuori dal finestrino dell’auto e accompagnando i gesti con una sequenza coloratissima e urlata di epiteti ingiuriosi indirizzati ad un camionista, cerca rischiando un incidente ad ogni passo, di affiancarlo per esser certa che lui senta bene le importanti comunicazioni che gli deve fare relative a tutta la sua famiglia. In mezzo alle nuvole che dall'alto vedo sotto di me come un lanoso vello, la vita pare sospesa da subito e fra i riccioli bianchi si impigliano i problemi che scivolano quasi per magia dietro le spalle. Poi un altro aereo e poi questa realtà strana mi viene incontro in una vettura che traversa una foresta e mi porta sulla riva di un oceano da dove vengo prelevata con una imbarcazione fatta con un largo e solido tronco d'albero. Una nota familiare: una bimbetta non vuole salirci e si decide solo tra le braccia accoglienti della nonna. Poi c'è il mare, gli atolli bianchi con le palme che il vento insistentemente piega e una vita che è entrata in una bolla di sapone sospinta dall'aliseo. La baia è tranquilla, il rif che la protegge dall'oceano e dalle sue intemperanze, assorbe le onde e il mare è appena increspato. Mi stabilisco su questa barca come una chiocciola che si rintani dentro la propria casa: minima ma confortevole. E cominciano i primi contatti con altre chiocciole che hanno trovato qui un rifugio sicuro e piacevole. C'è chi è scappato da una civiltà che è diventata una prigione, chi ha lasciato alle spalle storie tristi, chi rincorre la felicità con ogni mezzo,...e sono i più. Qualcuno dice che è bello vedere che può esistere qualcosa di più congeniale all'uomo: una vita naturale, fatta di ciò che il mare può offrire: il pesce, i molluschi, la sabbia farinosa e accecante, le noci di cocco, un pugno di riso, E cita la presunta felicità delle etnie che vivono in questo paradiso da sempre, da prima che i conquistadores arrivassero a portare la loro "civiltà". Qui sfumano i ricordi di maree rotolanti lungo


Chiaroscuri sull’attualità

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gli asfalti delle strade, tutti in fila ad aspettare che venga il proprio turno per respirare un po' d'aria buona, per riempirsi i polmoni di aria di mare. Così parte questo soggiorno indolente e pigro che assiste a! trascorrere delle giornate come si guarda un bicchiere d'acqua lasciato evaporare al sole. Il giorno trascorre tra un fare minimo, una immersione tranquilla, la notte che arriva galoppando e gli occhi che spaziano tra Orione a destra e la Croce del sud a sinistra. Questo enorme cielo stellato mi illumina il cuore e penso che mai l'avevo potuto ammirare tanto popolato. Poi vado a visitare il piccolo villaggio dove donne laboriosissime cuciono disegni antichi con inserti di stoffe colorate e vedo i bambini con vari problemi alla pelle, agli occhi, sento che mi chiedono medicine, anche la semplice tachipirina è un lusso. E la sera, sotto lo stesso fantastico cielo stellato, penso che la felicità non è davvero che un miraggio: loro dispongono della volta celeste più bella che io abbia mai visto, del mare, della serenità di una vita scandita da ritmi assolutamente umani, priva di orologi che sono un po' i tiranni delle nostre vite, ma piena anche di tanti problemi che per noi non esistono come, ad esempio, offrire una dieta equilibrata ai bambini, disporre di medici e medicine, di presidi dove poter curare chi è malato. Nella mia casa-chiocciola dispongo di tutto: dall'acqua potabile alle scorte di medicine per ogni evenienza e non so se potessi o volessi fare una scelta, se sarei in grado di accettare la loro vita, quella senza l'appoggio esterno dei più moderni mezzi tecnologici, perché dubito che sarei più felice. Si parte per conoscere il diverso, per vedere, imparare e anche perché è uno dei mezzi migliori per riuscir ad apprezzare l'ambiente dove si è nati e cresciuti con tutte le sue carenze, con le sue difficoltà. Si parte perché il viaggio rappresenta un modo per estendere la propria capacità percettiva, per cambiare i propri ritmi, le proprie abitudini e per tornare poi ad apprezzarle. Partire è un divertimento qualcosa che si rincorre con molto affanno ai nostri giorni. Ma da cosa dipende il divertimento? Dalla diversità di ambiente, dal numero dei chilometri percorsi, dalla differenza di clima, dalla varietà di colori e profumi e rumori.....dal fare essenziale, dal non fare che non viene stigmatizzato... Il viaggio è una metafora della nostra vita, una illusione di fuga o una fuga momentanea dalla quotidianità, dalle fatiche, dai legami obbligati...

Il mio viaggiare / È stato tutto un restare / Qua, dove non fui mai Cosi scriveva Giorgio Caproni e mai come questa volta, in questo viaggio attraverso una illusione di felicità, mi è sembrato di comprendere quello che il poeta livornese intendeva davvero significare.

Quotidiani e libri: quale futuro?

N

el lontano 1996 nel corso di un convegno sui media, qualche relatore pose la questione del futuro dei giornali: tra i relatori il direttore di un noto quotidiano, il quale consegnò ai presenti una veloce riflessione sui quotidiani on line. A parte le reminiscenze ormai quasi storiche di mio nonno e mia nonna che nel tardo pomeriggio si mettevano in poltrona a legger “il giornale” come fonte di informazioni e come unica possibilità di gettare uno sguardo sul mondo, e quelle legate alla corsa alla


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Anna Lucchiari

stampa della mia giovinezza, rimane viva l’impressione di un disinteresse crescente per i quotidiani cartacei. Una volta c’era lo strillone che invogliava a comprare fogli e foglietti, oggi ci sono i venditori ai semafori che si fanno spesso lunghe e sconsolate passeggiate. D’altra parte, dalle quattro pagine, si è passati alle quaranta e, a volte anche oltre, senza rendersi conto che un pacco di carta da leggere e per giunta scritta in caratteri minuscoli, non invoglia anche a prescindere dall’interesse che può suscitare; che rappresenta uno spreco di carta insostenibile e che di tutte quelle pagine il lettore di buona volontà legge solo i titoloni e qualche articolo tra quelli che gli suscitano maggior interesse. I giornalai continuano a vendere ancora i quotidiani ma gli acquirenti non sono giovanissimi: sono soprattutto le persone che hanno avuto un rapporto particolare con la stampa quotidiana, che sono cresciuti nella convinzione che l’aggiornamento non potesse che avvenire loro tramite perché all’epoca della loro gioventù internet ancora era di là da venire. Abbiamo assistito tutti alla moria di testate anche gloriose: i costi sono insopportabili e solo i contributi statali li hanno tenuti in vita fino all’ultimo. Ma io ho l’impressione che si tratti di un accanimento terapeutico, perché finiranno per scomparire almeno così come sono stati concepiti. La stampa non sarà più di informazione ma di formazione, periodica e specialistica, dato che la notizia, l’informazione, l’esposizione degli accadimenti del mondo intero, possono tranquillamente passare per altri media, più veloci, quasi immediati rispetto agli avvenimenti, e che soprattutto hanno imparato ad essere necessariamente sintetici. Ogni angolo del mondo può essere raggiunto da notiziari che viaggiano attraverso la rete. I commenti, le considerazioni vanno pescati sulla stampa settoriale e specialistica che dovrebbe avere maggiore spazio ed attenzione. Sto recitando il de profundis del quotidiano cartaceo? Credo che stia morendo di morte naturale, mentre televisione e rete coprono col il loro rumore quello delle rotative ormai dinosauri da museo. Ricordo che nell’ambito del convegno prima citato, qualcuno espresse il timore che anche il libro potesse fare la stesa fine. Ma i dati di una indagine condotta negli anni 2006-08, smentiscono decisamente questa catastrofe, segnalando una rimonta costante della lettura. Il fatto è che nel grande rumore che ci circonda, che ci intimorisce e ci sconcerta, a volte ci spaventa, c’è sempre più necessità di qualche minuto di sano raccoglimento, c’è bisogno di un silenzio che le parole scritte possono colmare secondo i ritmi, le necessità e le richieste personali. In Italia si leggono molti libri, i libri accompagnano i nostri momenti di svago, di divertimento, di studio: ognuno apre un mondo diverso e singolare nel quale possiamo riconoscere alcune tracce del nostro personale vissuto, trarre indicazioni e suggerimenti che diano sollievo alle incertezze che germogliano nel viver quotidiano. I quotidiani pare siano scritti con la fotocopiatrice: le notizie sono le stesse, le idee sono scontate a seconda dell’occhiale con cui vengono viste e la maggiore età conquistata, dal punto di vista democratico, ci consente una discreta autonomia di lettura.


Chiaroscuri sull’attualità

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I dati che ci vengono forniti dalle indagini rivelano che i giovani sono grandi lettori e che semmai la disaffezione al libro o alla stampa specialistica cresce con l’aumentare dell’età. Quindi la sorte della stampa specialistica, quella che mi piace definire formativa, e quella del libro non correranno verso il medesimo sbocco. D’altra parte che i giornali d’informazione e i testi scritti abbiano avuto nei secoli vicende dissimili, lo testimonia la storia: i media informatici hanno cambiato i notiziari e in un certo qual modo hanno necessariamente cambiato il libro. Ma quest’ultimo ha rivelato una vitalità che è rimasta inalterata nei secoli: oggi non solo si pubblica molto, ma si leggono molti libri. Nel prossimo futuro il libro, la stampa specialistica non godranno di una rendita da monopolio, saranno strumento tra strumenti ma per le sorti del libro possiamo stare abbastanza tranquilli. Come scriveva il compianto Mauro Laeng: le garanzie per il futuro del libro stanno in gran parte nel libro stesso. Se il

suo potenziale attrattivo, la sua capacità motivazionale verranno sostenute dalle doti intrinseche, il libro non richiederà altro: da secoli ha i mezzi per farsi desiderare. Personalmente è sulle doti intrinseche del libro che punterei.

Il fascino irresistibile del buco della serratura

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oma offre una serie straordinaria di scorci fantastici, alcuni decisamente unici come quello che si apre sulla piazzetta del Priorato di Malta dove dal buco della serratura del portone d’ingresso, si può inquadrare perfettamente la cupola di san Pietro. E’ un punto molto frequentato tanto che in alcuni momenti, si deve fare la fila per guardar dentro quella inclita toppa: vogliamo vedere la cupola di san Pietro dal buco della serratura. Perché il buco della serratura è un elemento che appartiene al nostro immaginario: la visione che può offrire è limitata dalle linee morbide che ricordano i minareti o qualche portale gotico, ma apre incredibilmente ad una realtà che è affascinante e virtuale. Virtuale perché corre sul piano di un raggio di luce che si può anche considerare staccato dal contesto generale, affascinante perché ci consente di infilare il naso o l’occhio in realtà che ci sarebbero altrimenti precluse e che nella maggior parte dei casi non ci appartengono e che dovremmo ignorare. Ma il buco della serratura è la metafora che potrebbe essere scelta come emblema di questo nostro mondo dato che la sostanza della cronaca che tanto interessa, che tanto diverte, ha consentito la nascita e la proliferazione di decine di periodici che vivono di virtualità affascinanti scattate, appunto, come dal buco della serratura. La cosa incredibile è che se si chiedesse ad una persona: tu guarderesti dal buco della serratura? Probabilmente questa ti risponderebbe un no! indignato. Ma non è vero perché la nostra stampa è soprattutto una serie di immagini e parole strappate all’insaputa, intercettazioni, foto da appostamenti ecc. ecc. Ricordiamo tutti pagine e pagine di conversazioni private riprodotte sulla stampa. Il fatto è che la parola privato ha smesso di essere rigidamente definita. Mi spiego. Un amico, sorpreso dalla mia incapacità tecnologica, mi ha voluto inserire in un sito internet, nel quale ha messo delle belle foto di casa mia, incidentalmente anche con me dentro. Quando mi sono resa conto dai commenti che chiunque le poteva vede-


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Anna Lucchiari

re, ho chiesto di togliermi perché vorrei essere io a decidere se e quando esibire me stessa e le mie cose al pubblico. Privata è quella parte della mia vita che non intendo condividere se non con le persone che scelgo accuratamente, privata è quella parte della mia vita che desidero vivere senza testimoni e senza controlli. Privato è qualcosa che deve esistere nella mia vita ed essere gelosamente custodito e protetto pena una pericolosa con-fusione di presente e di virtuale, di mio e di tuo, di mio e di nostro. Anche chi considera la “condivisione” un principio di vita ha qualcosa di esclusivamente suo che vuole custodire e proteggere: a nessuno piace e potrà mai piacere di essere messo in piazza dentro e fuori, passato e presente con tutti i propri pensieri e desideri e sogni, come una casa sventrata. Non ritengo che offra alcun elemento importante alla comprensione della personalità individuale, sapere come uno si sieda sulla tazza del gabinetto, se si porti le parole crociate o i libri di filosofia, come viva la propria vita amorosa, a quali segreti piaceri si conceda. Però è un fatto che la gente certa stampa la legge e la compra. Anche se commenta che sono tutti pettegolezzi, è proprio quelli che appassionatamente cerca. Siamo curiosi di conoscere i particolari, i segreti degli altri, siamo disposti a spiare dal buco della serratura, pur di sapere se tizio è un donnaiolo, se lei è fedifraga… vorremmo avere tutti il cannocchiale per guardare dall’altra parte del cortile, per arrivare fino alla cupola di san Pietro, e figuriamoci se ci può fermare il Quirinale! E’ ovvio che non debbano essere coperte le eventuali violazioni del codice, a maggior ragione se l’autore è un personaggio che ricopre cariche pubbliche o di rilievo. Ma il fatto è che vengono esposti al pubblico ludibrio anche fatti che di per sé non costituiscono violazioni delle leggi ma semmai solo violazioni della vita privata. Malgrado gli assalti il privato continua ad essere un limite per alcuni invalicabile. Lo spessore morale ed etico della persona non interessa la legge perché è un fatto privato fin tanto che non violi i diritti della persona. Allora mi dico speranzosa, il privato c’è ancora, qualcuno lo considera…. Ma che due coniugi, celebri o no si parlino dalle pagine di un giornale o dal palcoscenico devastato della televisione, lo trovo veramente sconcertante. Come dire l’ultima spiaggia, come dire il grande fratello, l’occhio onnipresente che non accetta lati oscuri, angoli in ombra, che non riempie gli spazi di persone vere ma di personaggi che si offrono in omaggio come dal fascinoso buco della serratura. Quello dal quale ci hanno insegnato che non dovremmo mai guardare. A me rimane ostica ogni trovata costruita “guardando dal buco della serratura”: che vogliamo fare, sarà l’età!

Anna Lucchiari


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Ricerche • Studi • Cronache

■ Come reinterpretare oggi il cap.1 della Regola del 1718 ■ La Salle, attualità e sfide di un progetto educativo ■ Cronache dal mondo lasalliano



LASALLIANA

RivLas 76 (2009) 3, 507-518

Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes Sur la Règle de 1718, chapitre 1: «De la fin et de la nécessité de cet Institut»

Jean-Louis Schneider, fsc

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rendre comme point de départ les Règles Communes de 1718 permet de remonter dans le discours de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes sur luimême, avant la Règle de 1726 qui intègre les aspects « vie religieuse » ou « vœux de religion » contenus dans la Bulle d’approbation de l’Institut des Frères. De plus, ce texte de la Règle de 1718 est le dernier « grand texte » des origines de l’Institut, auquel le Fondateur a mis la main, à l’issue du Chapitre Général de 1717 : On se rassembla après cette retraite par l’avis de Monsieur de La Salle, pour faire un examen nouveau de toutes les règles avec le nouveau Supérieur, et pour y retrancher ou ajouter en toute liberté, ce qu’on jugerait nécessaire. Les observations et les remarques faites, il fut conclu d’un commun accord de les remettre entre les mains du saint Instituteur et de le prier d’en faire l’usage qu’il lui plaira. Il leur promis d’y travailler, il s’y appliqua en effet avec beaucoup d’attention. Ce fut alors qu’il composa les Chapitres de la modestie et du bon gouvernement, tirés en partie des Règles et des Constitutions de saint Ignace, qu’il ajouta à l’Institut des Frères, avec beaucoup d’habileté aussi bien que celui de la régularité et de quelques autres qui étaient encore dans la Règle. Ainsi mise en l’état qu’elle est aujourd’hui, par la main même de son auteur, elle fut envoyée dans toutes les maisons, paraphée et signée du Frère Barthélémy, pour être observée avec uniformité par tous les Frères de l’Institut. (Blain, CL 8, Livre 3, Chapitre 14, p.136).


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Ce texte exprime un état de l’Institut des Frères, alors que Monsieur de La Salle vient de passer la main à un Frère, comme responsable de la Société, et qu’il entre dans la dernière année de sa vie terrestre. La comparaison du texte du 1er chapitre de cette Règle avec celui de l’autre texte connu, plus ancien, celui de 1705, manuscrit conservé à la Bibliothèque Municipale d’Avignon (cf. CL 25, pp. 8 et 9), montre que les deux sont quasiment identiques1. Ce qui indique combien ce texte fondateur sur « la fin et la nécessité » est profondément enraciné dans la conscience des Frères des écoles chrétiennes, et combien ils se reconnaissent en lui.

Le texte du chapitre 1 des Règles Communes de 1718 De la fin et de la nécessité de cet Institut RC 1,1

L’Institut des Frères des Écoles chrétiennes est une Société dans laquelle on fait profession de tenir les écoles gratuitement. Ceux de cet Institut se nommeront du nom de Frères et ils ne permettront jamais qu’on les nomme autrement, et lorsqu’ils nommeront quelqu’un de leurs Frères ils diront toujours Notre Cher Frère N.

RC 1,2

Ils ne pourront être prêtre ni prétendre à l’état ecclésiastique ni même chanter ni porter le surplis ni faire aucune fonction dans l’église sinon servir une messe basse.

RC 1,3

La fin de cet Institut est de donner une éducation chrétienne aux enfants, et c’est pour ce sujet qu’on y tient les écoles afin que les enfants y étant sous la conduite des maîtres depuis le matin jusqu’au soir, ces maîtres leur puissent apprendre à bien vivre en les instruisant des mystères de notre sainte religion en leur inspirant les maximes chrétiennes et ainsi leur donner l’éducation qui leur convient.

RC 1,4

Cet Institut est d’une très grande nécessité parce que les artisans et les pauvres étant ordinairement peu instruits et occupés pendant tout le jour pour gagner la vie à eux et à leurs enfants ne peuvent pas leur donner eux-mêmes les instructions qui leur sont nécessaires et une éducation honnête et chrétienne.

RC 1,5

Ç’a été dans la vue de procurer cet avantage aux enfants des artisans et des pauvres qu’on a institué les écoles chrétiennes.

RC 1,6

Tous les désordres surtout des artisans et des pauvres viennent ordinairement de ce qu’ils ont été abandonnés à leur propre conduite et très mal élevés dans leur bas âge, ce qu’il est presque impossible de réparer dans un âge plus avancé à cause que les mauvaises habitudes qu’ils ont contractées ne se quittent que très difficilement et presque jamais entièrement, quelque soin qu’on prenne de les détruire soit par les instructions fréquentes soit par l’usage des sacrements. Et comme le fruit principal qu’on doit attendre de l’institution des écoles chrétiennes est de

1 Pour ce premier chapitre, le seul ajout de la Règle de 1718 par rapport à celle de 1705, se trouve dans l’article 2, où la Règle de 1718 précise, à la suite de « aucune fonction dans l’église » : « sinon servir une messe basse ».


Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes

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prévenir ces désordres et d’en empêcher les mauvaises suites, on peut aisément juger qu’elle en est l’importance et la nécessité.

Commentaires Comme tout texte « inaugural » ou « premier », ce premier chapitre de la Règle doit être regardé de près, car il dit des choses et ouvre des perspectives qui éclairent, tant par ce qu’il dit que par ce qu’il ne dit pas, ce que les Frères veulent exprimer sur le sens de leur vie dans cette « Société des Écoles Chrétiennes », ainsi que sur l’existence même de cet Institut. Nous sommes encore dans le temps de la fondation, dans celui des « origines », un moment où les contraintes institutionnelles – ecclésiastiques en particulier – ne sont pas encore trop fortes. Autrement dit, un temps où il est possible de dire une vision de la vie de cette communauté nouvelle, dégagée des formules toutes faites et imposées de l’extérieur à la vie de ce groupe.

« De la fin et de la nécessité de cet Institut » Ce titre du chapitre donne une indication sur cette conscience. Les Frères se définissent à partir d’une « nécessité », laquelle, on va le voir, est liée à l’existence des « enfants des artisans et des pauvres », qui n’ont pas accès au « salut ». En toute rigueur de termes, au 17ème siècle, un « Institut » est une « société », une « association » qui possède des « statuts »2, qu’elle les ait reçus d’ailleurs ou d’un autre, ou qu’elle les ait élaborés elle-même. Juridiquement, pour donner existence à un « Institut », les « statuts » devraient être reconnus par l’autorité civile ou religieuse, ce qui n’est pas le cas pour l’Institut des Frères des écoles chrétiennes à ce moment de son histoire. Les Frères emploient donc une expression – ‘Institut’ – qui permet de les caractériser socialement et juridiquement sans en avoir, à proprement parler, « le droit », sans doute parce que c’est la forme qui leur semble exprimer le mieux ce qu’ils sont et ce qu’ils veulent être comme corps social. Ce mot « Institut », se retrouve tout au long du texte, avec un prolongement dans « institution » : 2

Pour le dictionnaire d’Antoine Furetière (1690), « Institut » est une règle qui prescrit un certain genre de vie. Tous les Ordres Religieux ont chacun leur institut particulier. Les Ordres de Chevalerie ont aussi chacun leur institut. La Confrairie des Penitens de la Miséricorde, est un louable Institut ; c’est une belle Fondation. Dans le dictionnaire de Trévoux (1743-1752), le plus proche du vocabulaire habituel de Jean-Baptiste de La Salle : Règle qui prescrit un certain genre de vie. Institutum. Tous les Ordres religieux ont chacun leur institut particulier. Les Ordres de Chevalerie ont aussi chacun leur institut. La Confrairie des Pénitens de la Miséricorde, est un louable institut. C’est une belle fondation. Les Filles de la Visitation nomment ordinairement leur Congrégation institut, & disent, Notre Institut nous ordonne telle chose. Notre saint Institut. Un Religieux qui vit sous l’institut de S. Benoît est obligé par sa profession de pratiquer, autant qu’il le peut, tout ce qu’il y a de spirituel dans sa règle. Ab. de la Tr. Et pour le dictionnaire de l’Académie de 1762 : Manière de vivre selon une certaine règle dans une Communauté Religieuse : les Constitutions données à un Ordre Religieux au temps de son établissement. Un louable, un pieux, un saint institut. Il ne faut pas toucher à cet insti-

tut. Cela est de leur institut.


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RC 1,1 : L’Institut des Frères des Écoles Chrétiennes… Ceux de cet Institut… RC 1,3 : La fin de cet Institut… RC 1,4 : Cet Institut est d’une très grande nécessité… RC 1,5 : on a institué les écoles chrétiennes. RC 1,6 : l’institution des écoles chrétiennes…

Au début du chapitre, on parle d’Institut des Frères des écoles chrétiennes, une organisation constituée de personnes. À la fin, il est question de « l’institution des écoles chrétiennes », c’est-à-dire d’un projet incarné dans une structure.

Faire « profession de tenir les écoles gratuitement » RC 1,1 L’Institut des Frères des Écoles chrétiennes est une Société dans laquelle on fait profession de tenir les écoles gratuitement. Ceux de cet Institut se nommeront du nom de Frères et ils ne permettront jamais qu’on les nomme autrement, et lorsqu’ils nommeront quelqu’un de leurs Frères ils diront toujours Notre Cher Frère N.

L’Institut des Frères des écoles chrétiennes est désigné comme étant une « Société ». Ce qui pourrait renvoyer à « l’association ». La « Société » n’existe pas comme un ensoi, mais est toujours liée à un ‘pour’ ; une constante de la pensée des Frères et de Jean-Baptiste de La Salle dès les origines. En fait, le texte souligne ce qui deviendra le 4ème vœu des Frères par la suite (après 1725) : « tenir les écoles gratuitement »3. Cette « Société » n’est pas caractérisée par l’aspect ‘religieux’ de l’existence de ses membres. Normalement dans ce genre de texte (une Règle) on s’attendrait à quelque chose comme : « L’Institut des Frères des écoles chrétiennes est une Société dans laquelle on fait profession des vœux de… » Or c’est l’exercice d’un métier, d’une profession, ainsi qu’une manière de l’exercer : « tenir les écoles gratuitement », qui définit la Société. Très clairement, l’Institut des Frères des écoles chrétiennes se définit par sa Mission et non par « l’état » de ses membres. L’insistance sur la désignation des membres comme ‘Frères’ paraît introduire une dimension « vie religieuse » dans l’existence de ce groupe. C’est vrai, mais il ne faut pas majorer cet aspect, car dans le langage du 17ème siècle français, il est courant de trouver des personnes dédiées à des services d’éducation ou hospitaliers, qui sont ainsi désignées ; par exemple, à Rouen, les Maîtres Laïcs employés par le Bureau des Pauvres de la Ville, tout comme Monsieur Nyel, lorsqu’il demande et obtient son exeat de ce Bureau des pauvres, afin d’aller fonder des écoles dans la région de Reims. Ce qui ne veut pas dire qu’il est ‘religieux’. Il en de même pour les ‘sœurs’ de Nicolas Barré, ou de Vincent de Paul, souvent appelées ‘Filles’, à cette époque. 3

De manière significative, la Bulle d’approbation transforme le vœu d’association, « m’unir et demeurer en Société pour tenir ensemble et par association les écoles gratuites… », en « vœu d’enseigner gratuitement », beaucoup plus facile à définir en termes de permis et de défendu, que le vœu d’association lui-même. Les vœux de chasteté, pauvreté, obéissance, remplacent alors le vœu d’association comme expression première de la consécration des Frères à Dieu.


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Des membres laïcs RC 1,2 Ils ne pourront être prêtre ni prétendre à l’état ecclésiastique ni même chanter ni porter le surplis ni faire aucune fonction dans l’église sinon servir une messe basse.

Le second article définit la place du Frère, de façon négative : il n’est pas prêtre, il n’est pas clerc… Et on entre dans des détails qui s’expliquent par le contexte social et ecclésiastique : « chanter, porter le surplis, faire des fonctions dans l’église… », ce sont des choses qui étaient demandées aux Maîtres Laïcs, particulièrement dans les campagnes, ces dispositions figuraient assez souvent dans leur contrat avec la paroisse. Il est aussi bien significatif ici de constater l’impossibilité pratique de définir le laïc de manière positive, ou en lui-même. L’état ecclésiastique domine, on doit se situer par rapport à lui, pour s’en démarquer ou pour l’intégrer. Avec ces deux premiers articles de la Règle, se dessine une identité pour les membres de cette ‘Société’, « ceux de cet Institut » : ∗

ils font « société » justement,

*

ils s’affichent comme tenant les écoles gratuitement,

*

ils s’appellent et se font appeler ‘Frères’,

*

ils ne sont ni prêtres ni clercs, ou faisant les fonctions de…

On peut remarquer la grande économie de moyens utilisés par la Règle des Frères pour définir leur Société et se définir eux-mêmes : deux articles et pas plus de six lignes de texte. L’École chrétienne RC 1,3 La fin de cet Institut est de donner une éducation chrétienne aux enfants, et c’est pour ce sujet qu’on y tient les écoles afin que les enfants y étant sous la conduite des maîtres depuis le matin jusqu’au soir, ces maîtres leur puissent apprendre à bien vivre en les instruisant des mystères de notre sainte religion en leur inspirant les maximes chrétiennes et ainsi leur donner l’éducation qui leur convient. Cet article définit la ‘fin ‘ de l’Institut : « donner une éducation chrétienne aux enfants » et indique un moyen, déjà évoqué en RC 1,1 : « tenir les écoles ». Un personnage essentiel apparaît : l’enfant4. Il figure donc dans le 1er chapitre de la Règle. Quant aux « Frères », changement de vocabulaire, ils sont devenus, dans cet article des « maîtres »5, et vont le rester jusqu’à la fin du 1er chapitre de la Règle. L’article donne aussi quelques caractéristiques de cette école. Depuis le 1er article, on sait qu’elle est gratuite. Ici, on apprend que les enfants sont « sous la conduite des maîtres », « du matin jusqu’au soir ». Il s’agit donc d’une école à plein temps, pas d’un cours du soir, ou du dimanche, ou qui aurait lieu dans les espaces laissés inoccupés par d’autres activités plus lucratives pour les familles (commerce, gardiennage…) 4 5

Dans les Méditations pour le Temps de la Retraite, c’est même le personnage principal. Comme dans les Méditations pour le Temps de la Retraite.


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Ces Maîtres leur apprennent à « bien vivre ». On est dans l’espace d’une relation entre personnes, et non pas d’abord d’une institution éducative, car ce sont les Maîtres qui leur apprennent à bien vivre et non « l’école ». Apprendre à bien vivre consiste à être instruit « des mystères de notre sainte religion », à connaître « les maximes chrétiennes » en se les appropriant, car le texte dit « en leur inspirant les maximes chrétiennes ». ‘Mystères’, ‘maximes’ sont deux expressions techniques que Jean-Baptiste de La Salle utilise fréquemment dans ses Méditations comme dans son Explication de la Méthode d’Oraison. Les Mystères sont les mystères chrétiens : Incarnation, Rédemption… mais aussi l’Eucharistie, et ainsi que, comme le précise Jean-Baptiste de La Salle dans l’Explication de la Méthode d’Oraison : les actions principales que le Fils de Dieu fait homme a faites et opérées pour notre salut (RC 7,1776).

Les maximes sont des sentences tirées de l’Évangile, mises dans la bouche de Jésus, avec une portée morale et pratique. Ce sont aussi des préceptes ou des orientations données par l’Église et qui balisent les comportements chrétiens. Là aussi, l’ Explication de la Méthode d’Oraison précise le sens de cette expression : On appelle maximes, des sentences ou passages de l’Écriture sainte, contenant quelques vérités nécessaires au salut, des paroles intérieures qui font connaître ce que nous devons faire ou ne pas faire, ce que nous devons estimer ou mépriser, ce que nous devons rechercher ou fuir, aimer ou haïr, etc. Le Nouveau Testament en est rempli (EM 15,2937).

À « l’éducation chrétienne » qui commence cet article, répond à la fin « l’éducation qui leur convient ». L’école chrétienne est caractérisée par une relation continue (du matin au soir) entre les enfants et les Maîtres. Ceux-ci étant les « conducteurs ». Ce n’est pas non plus une simple école de catéchisme, mais bien une école de la vie, où « l’on apprend à bien vivre », de manière « inspirée ». Dans cette école, on est « instruit des mystères de notre sainte religion », ce qui a bien évidemment un caractère didactique, on y « apprend à bien vivre », comme dans les Règles de la Bienséance et de la Civilité chrétiennes, et on y reçoit une éducation chrétienne, celle qui convient à ces enfants et à ces jeunes. La Règle et les Méditations pour le temps de la retraite RC 1, 4 à 6 Cet Institut est d’une très grande nécessité parce que les artisans et les pauvres étant ordinairement peu instruits et occupés pendant tout le jour pour gagner la vie à eux et à leurs enfants ne peuvent pas leur donner eux-mêmes les instructions qui leur sont nécessaires et une éducation honnête et chrétienne. Ç’a été dans la vue de procurer cet avantage aux enfants des artisans et des pauvres qu’on a institué les écoles chrétiennes.

6

Dans le chapitre 7 de l’Explication de la Méthode d’Oraison : Ce que c’est que les mystères et de l’esprit des mystères. 7 Dans le chapitre 15 de l’Explication de la Méthode d’Oraison : Ce que c’est qu’une maxime.


Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes

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Tous les désordres surtout des artisans et des pauvres viennent ordinairement de ce qu’ils ont été abandonnés à leur propre conduite et très mal élevés dans leur bas âge, ce qu’il est presque impossible de réparer dans un âge plus avancé à cause que les mauvaises habitudes qu’ils ont contractées ne se quittent que très difficilement et presque jamais entièrement, quelque soin qu’on prenne de les détruire soit par les instructions fréquentes soit par l’usage des sacrements. Et comme le fruit principal qu’on doit attendre de l’institution des écoles chrétiennes est de prévenir ces désordres et d’en empêcher les mauvaises suites, on peut aisément juger qu’elle en est l’importance et la nécessité.

Ces trois articles se concentrent sur une catégorie particulière de jeunes : « les enfants des artisans et des pauvres ». Ce sont eux qui sont la clientèle privilégiée (mais non exclusive, on le sait8) des écoles chrétiennes. L’analyse qui est proposée ici se retrouve pratiquement mot pour mot, dans les Méditations pour la Retraite 193 et 194 : C’est un des principaux devoirs des pères et des mères, d’élever leurs enfants d’une manière chrétienne, et de leur apprendre leur religion. Mais comme la plupart ne sont pas assez éclairés de ce qui la regarde ; et que les uns étant occupés de leurs affaires temporelles et du soin de leur famille, et les autres étant dans une sollicitude continuelle, à gagner à eux et à leurs enfants, ce qui est nécessaire à la vie, ne peuvent s’appliquer à leur enseigner ce qui regarde les devoirs du chrétien (MR 193.2) Considérez que c’est une pratique qui n’est que trop ordinaire aux artisans et aux pauvres, de laisser vivre leurs enfants à leur liberté comme des vagabonds, qui errent çà et là, pendant qu’ils ne peuvent encore les employer à quelque profession, n’ayant aucun soin de les envoyer aux écoles, tant à cause de leur pauvreté, qui ne leur permet pas de satisfaire des maîtres, qu’à cause qu’étant obligés de chercher du travail hors de chez eux, ils sont comme dans la nécessité de les abandonner. Les suites cependant en sont fâcheuses ; car ces pauvres enfants, étant accoutumés pendant plusieurs années à mener une vie fainéante, ont bien de la peine ensuite à s’accoutumer au travail. De plus, fréquentant les mauvaises compagnies, ils y apprennent à commettre beaucoup de péchés, qu’il leur est fort difficile de quitter dans la suite, à cause des mauvaises et des longues habitudes qu’ils ont contractées, pendant un si long temps. Dieu a eu la bonté de remédier à un si grand inconvénient, par l’établissement des Écoles chrétiennes, où l’on enseigne gratuitement et uniquement pour la gloire de Dieu ; et où les enfants, étant retenus pendant tout le jour, et apprenant à lire, à écri-

8 Sans vouloir entrer dans un débat, que d’ailleurs Jean-Baptiste de La Salle et les premiers Frères refusaient de mener, à propos de la « clientèle » des écoles chrétiennes, force est bien de constater : - qu’une portion significative des classes (parfois plus de la moitié de l’effectif) était constituée d’enfants issus de familles d’artisans ou de commerçants qui ne relevaient pas des « Bureaux des pauvres » des paroisses ou des villes. (Voir diverses enquêtes ou études dans : Initiation à l’histoire de l’Institut des FEC, Origines (Études Lasalliennes 5) du F. Henri Bédel, « La gratuité dans les Écoles chrétiennes » pp. 118ss, surtout pp.122 et 123-124, Importance relative des catégories sociales représentées dans les Écoles chrétiennes ; et Rouen aux XVIIème- XVIIIème siècles. Les mutations d’un espace social, Jean-Pierre Bardet. Sedes, pp. 241ss ; - que les Pensionnats, en commençant par Saint-Yon, s’adressaient à une clientèle aisée, et payante.


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re et leur religion, et y étant ainsi toujours occupés, seront en état d’être employés au travail, lorsque leurs parents les y voudront appliquer (MR 194.1).

Ainsi, la porte d’entrée de la Règle est la même que celle de la spiritualité lasallienne : le souci des enfants des artisans et des pauvres ; un souci pour Dieu qui devient un souci et une priorité tant pour l’Institut des Frères des écoles chrétiennes que pour les Maîtres. Il est frappant de constater que « la très grande nécessité de cet Institut » est motivée par une analyse avant tout ‘sociologique’, même si ce mot est anachronique pour l’époque. De plus on est revenu à une réponse globale : « l’institution des écoles chrétiennes » qui fait écho à « l’établissement des Écoles chrétiennes » de la Méditation 194. La visée de cette école est précisée : * lutter contre les mauvaises habitudes en faisant vivre aux enfants de bonnes

habitudes, dès leur jeune âge,

* donner des instructions9 fréquentes, * l’usage des sacrements10. À la fin de ce 1er chapitre de la Règle, on renvoie le lecteur à son jugement personnel : « on peut aisément juger qu’elle en est l’importance et la nécessité », comme si ce texte s’adressait à d’autres personnes que les Frères, ou peut-être s’agissait-il de convaincre les Frères eux-mêmes du bien fondé de leur engagement ? De la Fondation à aujourd’hui Dans aucun de ses écrits, Monsieur de La Salle ne parle des Frères comme étant des ‘religieux’. Dans ses Méditations pour les Fêtes, il s’arrête à de nombreuses reprises sur de saints religieux, religieuses, fondateurs – il est vrai que le bréviaire romain en est rempli, surtout à son époque – et les donne en exemple aux Frères, mais il y désigne toujours les Frères comme des « personnes de communauté » et ne leur applique jamais le titre de ‘religieux’. Si l’on se tourne vers sa description de l’Église dans les Devoirs d’un chrétien, on constate qu’il ignore la vie religieuse11. Il parle des ‘vœux de religion’ à propos du Deuxième commandement de Dieu : « Vous ne prendrez point, c’est-à-dire, vous ne jurerez point le nom du seigneur votre Dieu en vain »12, « le vœu est une promesse faite à Dieu d’une bonne chose qui n’empêche pas d’en faire une meilleure : ainsi si la chose que l’on voue est mauvaise, le vœu est nul ; ou si après avoir fait un vœu, par exemple, de faire un pèlerinage, on fait des vœux de religion, on n’est plus obligé d’exécuter le premier, parce que le second est beaucoup meilleur » (DA 204,0,7), et c’est tout sur ce thème. Lorsque plus loin, à la fin du même traité des Devoirs A, Jean-Baptiste de La Salle parle des « conseils é-

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Instruction, au sens du 17ème siècle, qui vise d’abord la vie chrétienne. Dans une société, telle la France du 17ème siècle, qui se veut et se comprend comme « chrétienne », l’intégration sociale passe par l’incorporation à l’Église et donc par les sacrements. 11 Devoirs d’un chrétien (par discours suivis), Première Partie, Premier Traité, ch. 5, DA 105. 12 Devoirs d’un chrétien (par discours suivis), Première Partie, Second Traité, ch.4, DA 204,0,1. 10


Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes

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vangéliques » (DA 216,2) - il s’agit des Béatitudes – c’est pour expliquer qu’ils concernent tous ceux qui veulent « vivre en véritables chrétiens » (DA 216,2,1). Monsieur de La Salle a vécu la fondation de l’Institut des Frères pendant près de quarante années. Il aurait donc eu largement le temps de faire passer chez les Frères au moins les « vœux de religion », même si les règles canoniques du temps empêchaient d’en faire pleinement des « religieux ». Il ne l’a pas fait, et même selon les biographes des origines, l’a refusé explicitement à plusieurs reprises. En 1718, lors de la révision de la Règle que l’on évoquait au début de cet article, il ne l’a pas fait non plus. Ajoutons à cela que le Fondateur connaissait parfaitement les courants spirituels et pastoraux qui traversaient son Église, et ceux qui concernaient la vie consacrée. Il s’agit d’un choix délibéré et confirmé jusqu’à la fin de sa vie. Lorsqu’en 1721, les Frères de Rouen écrivent leur « Mémoire » pour informer le Bureau de la ville de Rouen, ils commencent en racontant l’histoire de leur fondation avec Monsieur de La Salle et quelques « jeunes hommes non mariés », puis expliquent leur mode de vie, tant comme « Société » que comme « communauté », et enfin présentent succinctement leur pratique scolaire. On peut trouver leur description très pointilliste, entrant dans des détails comme l’habillement, l’habitat (dortoirs), les horaires, mais il n’est jamais question de « vie religieuse » ou de « vœux », sinon celui « d’enseigner gratuitement ». On retrouve, parfois au mot près, des éléments de ce « Mémoire de Rouen » dans l’introduction de la Bulle d’approbation de l’Institut et les « 18 articles » approuvés par Rome13. La formulation de la Règle des origines est très éloignée de la vision de la vie religieuse, selon le modèle des « deux fins », qui avait déjà cours à l’époque de Jean-Baptiste de La Salle14, et il n’est pas étonnant qu’elle ait posé quelques problèmes aux Frères, tout au long du 19ème siècle et d’une bonne partie du 20ème, dans le processus d’intégration à la vie religieuse canonique vécu par l’Institut des Frères. Il faudra d’ailleurs créer une catégorie nouvelle dans le droit canon pour cela. Classiquement, les deux fins de la vie religieuse sont d’abord la sanctification des sujets, par la pratique des vœux de religion, et secondairement, éventuellement, les œuvres de charité : prédication, enseignement, soins des malades, des personnes âgées, des prisonniers, libération des esclaves… Il est manifeste que Jean-Baptiste de La Salle refuse cette vision dichotomique. La fin de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes est unique : donner une éducation chrétienne aux enfants. La perspective de la « double fin » de la vie religieuse est derrière la lettre de Pie X, au moment de la suppression de l’Institut en France, en 1904 : Ce que nous ne voulons absolument pas, c’est que, parmi vous et parmi les Instituts semblables au vôtre, qui ont pour but l’éducation des enfants, s’introduise l’opinion que nous savons en train de se répandre et d’après laquelle vous devriez faire à 13

Il est à noter que Rome n’approuve pas « la Règle des Frères », mais donne ces Dix-huit articles comme cadre d’existence à l’Institut. Voir Initiation à l’Histoire de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes, Études Lasalliennes 5, Origines 1651-1726, La Bulle d’Approbation, pp. 177-181. 14 Cette théorie des deux fins de la vie religieuse a été mise en place par saint Thomas d’Aquin, dès le 13ème siècle. Elle deviendra la vision dominante dans l’Église catholique et le droit canon jusqu’au Concile Vatican II.


Jean-Louis Schneider

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l’éducation des enfants la première place et à la profession religieuse seulement la deuxième, sous prétexte que l’esprit et les nécessités du temps le veulent ainsi.15

La hiérarchisation avec la priorité donnée à la « profession religieuse » sur « l’éducation des enfants », est très claire. Elle correspond d’ailleurs à l’opinion quasi universelle dans l’Église qui s’affirme tout au long du 19ème siècle, en particulier pour les congrégations et instituts dits de « vie active » (par opposition aux instituts « contemplatifs »). Cette hiérarchie des fins ne peut être disjointe d’une autre, elle aussi affirmée et intériorisée : la supériorité de la vie religieuse sur la vie de « simple » fidèle. La Règle du Gouvernement de 194716 intègre ce thème de la « double fin », ce qui est bien le signe du malaise évoqué plus haut, à propos de la vision unifiée de la fin de l’Institut, parce que centrée totalement sur la Mission, exprimée par le 1er chapitre de la Règle des origines : Chapitre premier : L’Institut des Frères des Écoles chrétiennes17.

1. L’Institut des Frères des Écoles chrétiennes est une Congrégation religieuse laïque de droit pontifical dont la fin générale est la propre perfection de ses membres, et la fin spéciale l’éducation chrétienne de la jeunesse, surtout des pauvres, par les écoles gratuites.

Le fond de cette formulation remonte au Chapitre Général de 1777. Au passage, l’Institut des Frères est devenu une « congrégation », ce qui l’intègre encore davantage au modèle canonique de vie religieuse. Les deux fins sont hiérarchisées : « la fin générale… », « la fin spéciale… ». Le Livre du Gouvernement n’hésite pas à contredire le texte de la Règle, maintenu (plus ou moins) depuis les commencements de l’Institut des Frères, en faisant comme s’il n’existait pas ! Le souci d’avoir un statut canonique clair dans l’Église a fait négliger l’interprétation que Jean-Baptiste de La Salle donne lui-même dans les Méditations pour la Retraite (et d’autres écrits) de l’unicité de la fin de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes. Dans la Méditation 205, 2ème point, parlant du jugement : Pourvu qu’ils remplissent bien la fonction de guides et de conducteurs des âmes de ceux qui leur sont confiés, ils s’acquitteront bien aussi de leur devoir à l’égard de Dieu ; et Dieu les comblera de tant de grâces, qu’ils se sanctifieront eux-mêmes, en contribuant, autant qu’ils pourront, au salut des autres. Avez-vous regardé jusqu’à présent le salut de vos élèves comme votre propre affaire, pendant tout le temps qu’ils ont été sous votre conduite ? Car vous avez des exercices qui sont établis pour votre propre sanctification ; quoique si vous avez un zèle ardent pour le salut de ceux que vous êtes chargés d’instruire, vous ne manquerez pas de les faire et de les rapporter à cette intention. Et en le faisant, vous attirerez sur eux les grâces nécessai15

Cité dans Études Lasalliennes 10, La vie religieuse, esprit et structure, F.Michel Sauvage, Rome 2002, p.36 et repris dans Études Lasalliennes 11, Initiation à l’histoire de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes.XIXe-XXe siècles.1875-1928, F.Henri Bédel, Rome 2003, 191. 16 Le Livre du Gouvernement est devenu « Règle »… 17 Comparer avec le Livre du Gouvernement de 1923 : De la fin de cet Institut, des sujets qui le composent et de ses établissements. 1. L’institut des Frères des Écoles chrétiennes est une

Congrégation dont la fin est la propre perfection de ses membres et l’éducation chrétienne de la jeunesse, surtout des pauvres, par les écoles gratuites. La double fin est bien présente mais beaucoup moins soulignée que dans le texte de 1947, surtout elle n’est pas vraiment présentée de façon hiérarchisée.


Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes

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res pour contribuer à leur salut, vous assurant que si vous en usez ainsi, Dieu se chargera lui-même du vôtre. Soyez donc à l’avenir dans ces dispositions (MR 205.2).

Et dans les Règles que je me suis imposées : 3. Bonne règle de conduite de ne point faire de distinction entre les affaires propres de son état, et l’affaire de son salut et de sa perfection, et s’assurer qu’on ne fera jamais mieux son salut, et qu’on n’acquerra jamais plus de perfection qu’en faisant les devoirs de sa charge, pourvu qu’on les accomplisse en vue de l’ordre de Dieu. Il faut tâcher d’avoir toujours cela en vue (EP 3,0,3).

En fait, on a appliqué ces indications aux individus et non à l’Institut comme corps social et ecclésial. Par ailleurs, l’exode décrit dans les Méditations donne, me semble-t-il, le sens de la pratique de la Règle. Au début des deux textes, la situation est la même, décrite dans des termes pratiquement semblables ; la Règle propose ensuite le chemin de salut sur lequel les Frères peuvent marcher pour rencontrer Dieu ; et à la fin, la Méditation 208 montre le salut de Dieu réalisé : le Frère entre dans la gloire de Dieu où il retrouve les jeunes qu’il a instruits et aidés à faire grandir. La fin réalisée est tout autant unitaire que l’annonce qui en est faite au début de la Règle.

Conclusions Outre le fait que ce 1er chapitre des Règles Communes ne décrit pas les Frères comme des ‘religieux’ et qu’elle présente l’Institut des Frères des écoles chrétiennes ainsi que l’institution des écoles chrétiennes comme une réponse à une nécessité sociale, on ne trouve dans ce même chapitre, aucune trace des mots « Dieu », « JésusChrist », « Esprit-Saint », « Église », « Très Sainte Vierge »… aucun de ces mots auxquels on pourrait s’attendre dans la Règle d’un Institut religieux. Cette absence est aussi très significative. L’ouverture est maximum. Mais il est clair également que tout le contexte est chrétien : « Institut des Frères des Écoles Chrétiennes », « institution des écoles chrétiennes », donner une éducation honnête et chrétienne, faire connaître les mystères de notre sainte religion, inspirer les maximes chrétiennes. Néanmoins, le ton général de ce 1er chapitre de la Règle est très ‘sécularisé’ (encore un anachronisme), surtout pour l’époque où il est écrit. Ce qui témoigne de la très grande liberté et de l’audace de Monsieur de La Salle et des premiers Frères, par rapport aux normes convenues de leur époque. L’insistance porte sur l’engagement au service d’une démarche éducative, présentée comme une « nécessité », en direction des « enfants des artisans et des pauvres ». La Règle des origines comme la pratique des premiers Frères, montrent que le point d’équilibre de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes se trouve, non pas dans la vie religieuse, mais dans la Mission d’éduquer les enfants des artisans et des pauvres, afin de leur procurer le salut.


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Propositions Ce premier chapitre de la Règle des origines me paraît extrêmement fécond dans le contexte de l’Institut aujourd’hui. Il donne la possibilité d’une ouverture de l’Institut, comme structure d’Église attachée à la mission d’éduquer, à des Frères, des Associés Laïcs Lasalliens, sans préjuger de leur « état canonique »18. Il pourrait être un « préambule » à la Règle que nous sommes en train d’élaborer et qui veut intégrer cette présence des Laïcs Lasalliens au cœur du charisme de l’Institut. On pourrait aussi envisager, pour la Règle elle-même : - un premier chapitre qui définirait la fin et la nécessité de cet Institut en termes nonreligieux, ouvert le plus largement possible, dans le ton du 1er chapitre de la Règle de 1718 ; - un second chapitre qui préciserait la nature de cet Institut : Frères, Laïcs Associés… et sa place dans l’Église. Il devrait aussi présenter « l’esprit de cet Institut », ainsi qu’à la mise en œuvre de l’Évangile comme « première et principale règle de l’ Institut » ; - un troisième chapitre qui mettrait en place les lignes essentielles pour ce qui concerne les Frères : mission, vie de communauté, consécration à Dieu, en commençant par le vœu d’association, vie de prière, organisation. La dimension « vie religieuse » y aurait toute sa place. Tout au long, les citations du Droit canon devraient être réduites au minimum et données principalement comme références marginales. Pour tout ce qui toucherait l’articulation « Frères – Laïcs Lasalliens Associés », ceux-ci devraient être partie prenante dans l’élaboration des divers articles de la Règle qui les concernent, conformément à la tradition de l’Institut depuis les origines. En centrant la Règle future sur la Mission d’éduquer et non sur la vie religieuse, on résoudrait – me semble-t-il – bien des difficultés rencontrées à propos des Laïcs Lasalliens Associés et de leur place dans notre Règle. J’ai bien conscience que, canoniquement, cela peut être très difficile ; et que cela met aussi en cause la compréhension de leur propre existence par de nombreux Frères. Mais les signes des temps vécus par l’Institut depuis 40 ans – la présence massive des Laïcs dans la Mission Lasallienne - ne nous invitent-ils pas à être prophétiques, comme corps de l’Institut, et comme membres consacrés à Dieu dans ce Corps ? Finalement, sommes-nous prêts à en payer le prix ? y compris en termes de statut ecclésial.

Frère Jean-Louis SCHNEIDER Caluire, le 7 avril 2009

18 Sinon leur religion ? mais ce serait une interprétation trop moderne, quand on connaît le discours de Monsieur de La Salle sur les autres religions, y compris chrétiennes. Voir DA 105,2 : Des membres de l’Église.


LASALLIANA

RivLas 76 (2009) 3, 519-524

La Salle, attualità e sfide di un progetto educativo Álvaro Rodríguez Echeverría, fsc Superiore Generale

In occasione delle celebrazioni del 150° anniversario della presenza educativa dei Fratelli nella Scuola San Filippo Neri di Massa (1859-2009), il Superiore generale della congregazione ha rivolto alla Comunità educativa e alla Cittadinanza un discorso che, tralasciando accenti commemorativi, addita piuttosto traguardi nuovi e impegnativi. Pubblichiamo ampi stralci del testo. Sottotitoli redazionali.

L

a mia prima parola è di congratulazione e di incoraggiamento, affinché continuiate ad andare avanti, illuminati e guidati sempre dai valori lasalliani della fede, della fraternità e del servizio, per l’impegno educativo iniziato in questa città di Massa 150 anni fa. Un anniversario che è un invito rivolto dapprima al passato, per ricordare le vostre radici, ma deve essere soprattutto un momento per guardare al futuro e rispondere con nuova creatività alle necessità dei giovani di oggi. Questa commemorazione ha un senso perché non si tratta soltanto di ricordare una storia ricca ed esemplare, ma anche di costruire una nuova storia, da affidare al Signore della storia, proprio come fecero 150 anni fa i Fratelli che iniziarono l’avventura lasalliana a Massa, e che sta a voi oggi continuare, Fratelli e laici insieme, uniti dallo stesso ideale educativo.


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Álvaro Rodriguez Echeverría

La Salle, educatore geniale Il nostro fondatore, Giovanni Battista de La Salle, non cercò altro che fornire i mezzi della salvezza, della salvezza integrale, che abbraccia le varie dimensioni umane, salvezza che deve arrivare fino ai giovani, specialmente di quelli più lontani. Questa è stata la motivazione fondamentale che ha incoraggiato il nostro Istituto, fin dalla sua fondazione, oltre tre secoli fa. Personalmente, una delle cose che più ammiro e che più mi entusiasma del nostro Fondatore è vedere come egli fosse attento e come si lasciasse impressionare dalla realtà in cui viveva. Penso che il modo migliore per onorare ed essere fedeli al suo spirito nel celebrare un anniversario, è rispondere con creatività e audacia alle necessità educative che la società di oggi ci presenta. ■ La Salle guardava alla realtà sociale. Si trattava di un duplice sguardo: da un lato vedeva il piano salvifico che Dio manifestava nella sua Parola, dall’altro vedeva anche la situazione storica dell'abbandono dei figli degli artigiani e dei poveri. Tutt’ e due questi sguardi lo condussero alla stessa meta: procurare i mezzi di salvezza ai giovani che vivevano lontano da essa. Possiamo distinguere nell’opera lasalliana tre momenti: rendersi conto della realtà, illuminarla con la Parola di Dio, impegnarsi a trasformarla. Questo è quello che anche noi, oggi, dovremmo incarnare nella nostra realtà. ■ La Salle scoprì la fraternità, la comunità, il gruppo come luogo teologico della presenza del Signore, come strumento, per renderlo visibile agli uomini. La partecipazione e la solidarietà sono criteri permanenti di azione. Tutti sappiamo che la fede alimentata dalla Parola di Dio nasce e si sviluppa nel seno di una comunità. ■ La Salle si incarnò nel mondo dei poveri. Visse un movimento di kénosis e di inserimento. Tutti conosciamo il suo itinerario. Tutti sappiamo come questo contatto con il mondo dei poveri rappresentò per lui un’esperienza che lo trasformò e gli fece cambiare modo di vedere le cose […].. Oggi in molti paesi l'istruzione vive, in generale, una profonda crisi e un po’ dappertutto, appaiono fenomeni inquietanti di violenza minorile. Preoccuparsi soltanto di rafforzare l’informatica e l'inglese è certamente necessario, ma chiaramente è insufficiente. Come scuole lasalliane, non possiamo cadere nella trappola di adeguare l'istruzione esclusivamente ai criteri di mercato; i nostri principi debbono basarsi principalmente sul Vangelo e sui valori come l'amore, il coinvolgimento, il perdono, la fraternità ed il servizio.

L’educazione lasalliana in un mondo globalizzato E perciò ci domandiamo: nel mondo lasalliano, a prescindere qui dal contesto geografico, quali sono i valori universali che debbono essere presenti in tutto il processo educativo? Personalmente indicherei i seguenti, anche se sono consapevole che si tratta di un elenco incompleto e da perfezionare. Il processo educativo lasalliano:


La Salle, attualità e sfide di un progetto educativo

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• è centrato sulla persona di ciascun educando, che deve essere trattato come individuo, unico ed irrepetibile. Perciò l'attenzione deve essere diretta in modo totale a ciascuno di loro; • prende inizio dalla situazione reale, perciò risponde alle caratteristiche, alle necessità, alle aspirazioni e ai valori culturali, di ciascun popolo. Non è sufficiente, tuttavia, considerare la situazione reale, ma si tratta anche di procurare gli strumenti per trasformarla ed aprirla ad un dialogo interculturale; • mette in risalto la qualità delle relazioni e favorisce il lavoro comune con le diverse comunità: familiare, scolastica, civile, parrocchiale… La fraternità è una delle sue note distintive. Ciascun lasalliano si deve sentire fratello o sorella con il cuore aperto e senza frontiere; • deve essere partecipativo e democratico. Fin dagli inizi il Fondatore, nella Guida delle scuole, favoriva un'istruzione attiva, con diversi ruoli e responsabilità. Si trattava

di un’educazione che favoriva di più la comunicazione orizzontale e meno la coercizione ed il paternalismo;

• sottolinea più la creatività che non l’aspetto ripetitivo e tiene conto che l’ importante è che l’educando arrivi a dare una risposta personale ed originale. Questo suppone che sappiamo resistere all'idolo dell’efficienza che facilmente uccide ogni originalità; • si caratterizza per essere accademicamente serio, come è riportato da più importanti documenti della nostra congregazione. Il primo punto importante è che le scuole

dei Fratelli si caratterizzano per la qualità degli studi e per la serietà della formazione: due tratti che esigono onesta professionale e dedizione ai giovani e alla società (dalla Dichiarazione del Capitolo generale del 1967: D 45,2);

• educa alla vita e al lavoro socialmente utile. Sin dagli inizi, un certo pragmatismo fu una delle sue caratteristiche, giacché si trattava di rispondere a necessità concrete dei giovani. Oggi è fondamentale aiutare a conciliare lavoro intellettuale e lavoro manuale, teoria e pratica, istruzione e vita, per dare ad ognuno i mezzi che gli permettano di svilupparsi, personalmente e comunitariamente, ed essere soggetto di promozione sociale; • educa all'impegno ecologico e alla difesa dell'ambiente, consapevole che la terra è l'unico mezzo dove l’uomo si può realizzare, imparare ad amare gli altri, ad incontrarsi con Dio; consapevole anche della responsabilità di lasciare un mondo vivibile ai posteri; • sfocia in un impegno cristiano. Si è detto che credere, oggi, significa impegnarsi e l’educazione lasalliana chiede che gli studenti vivano una fede operativa nella pratica dell'amore, che si preparino ad essere artefici di relazioni fra i popoli, che si impegnino nell'azione a favore della giustizia e della pace, che si interessino alla globalizzazione della solidarietà;


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• promuove la crescita della fede, attraverso la catechesi esplicita di gruppi di vita cristiana, del dialogo ecumenico ed interreligioso. E questo, attraverso una lettura della vita e degli eventi, alla luce del Vangelo, della celebrazione della vita, della capacità d'ammirazione e di gratitudine, dei valori evangelici di amore, impegno e perdono…

L’istruzione cristiana, sfida di ieri e di oggi Credo che sia importante, guardare al nostro passato e studiare i motivi che hanno dato vita alla nostra missione lasalliana e che continuano ad illuminare la nostra azione educativa ed evangelizzatrice. Nelle parole del Fondatore il fine di questo Istituto è di procurare un’educazione cristiana ai ragazzi; è questo il fine delle scuole, poiché i ragazzi stanno dalla mattina alla sera sotto la direzione degli insegnanti, che insegnano loro a vivere bene, li istruiscono nei misteri della nostra santa religione, inspirando loro le massime cristiane e così dar loro l'istruzione di cui hanno bisogno (R 1718, 1,3). Sono sicuro che i Fratelli che, 150 anni fa, hanno aperto questa scuola avevano in mente questo scopo evangelico, e credo che il modo migliore di onorare e ricordare la loro memoria, sia mantenere ed incoraggiare creativamente questo stesso obiettivo, certamente adattato ad una società che è molto cambiata, animati anche dalla volontà storica che incoraggiò Jean-Baptiste de La Salle, che lo portò a cambiamenti rivoluzionari ed audaci, come l’adozione del metodo simultaneo nella scuola primaria, l'uso della lingua materna invece del latino, una pedagogia pratica che prepara alla vita, ed infine la sua più grande ambizione: rispondere alle necessità del tempo, con un sano realismo pedagogico. Sostanzialmente, si tratta di portare i mezzi di salvezza ai giovani, a partire dal Vangelo e dai suoi valori. Si tratta di fare nostro il programma di Gesù, come lo manifestò nella Sinagoga di Nazaret, citando il profeta Isaia. Lo Spirito del Signore è anche su noi e ci ha consacrati per dare la Buona Novella ai giovani: È sempre lo stesso Dio

che, con la sua potenza e la sua particolare bontà, vi ha chiamato per far conoscere il Vangelo a chi ancora lo ignora. Consideratevi dunque come ministri di Dio e compite il vostro dovere con tutto lo zelo possibile, pensando che dovrete rendergliene conto (M 140,2).

Non è una sfida facile, in una società secolarizzata, dove l’aspetto religioso ha perso significato; come non lo è una società che pur conservando questi valori, molte volte, però, li tiene lontani dalla vita. La mentalità contemporanea si disinteressa per prin-

cipio del messaggio cristiano nella misura in cui appare come astratta ideologia, imposta dall'esterno e d’autorità. Queste difficoltà ci invitano ad un’analisi comunitaria lucida e coraggiosa. Non ci rifiutiamo affatto di annunciare Gesù Cristo; crediamo che la nostra gioventù ha bisogno del messaggio evangelico e che è capace di ascoltarlo (D 39, 3-4). Perché, nonostante le apparenze contrarie, il mondo d’oggi, particolarmente quello giovanile, quando si sa motivare, è molto sensibile alla ricerca del trascendente. Se ai


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giovani Cristo è presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se esigente e segnato dalla Croce. Per questo, vibrando al loro entusiasmo, non ho esitato a chiedere loro una scelta radicale di fede e di vita, additando un compito stupendo: quello di farsi «sentinelle del mattino» in questa aurora del nuovo millennio. (Giovanni Paolo II, NMI 9). L'educazione cristiana, di conseguenza, ha un importante compito da svolgere: quello di capire anzitutto le contraddizioni della realtà sociale e di esercitare quindi una funzione critica, premessa indispensabile per poter creare una società nuova, partecipativa e fraterna. Un’educazione, quella cristiana e lasalliana, che converte l'educando in persona, che ne garantisce lo sviluppo individuale, ma che sa anche formare questa persona al servizio della comunità, non solo in nome di una generica filantropia ma in nome dei valori evangelici. L'obiettivo dell'educazione cristiana è estremamente ambizioso. Si tratta di rinnovare la fede, come dottrina e come forma di vita, perché sia fondamento di una nuova esistenza personale. Una fede capace di rispondere alle ultime domande fondamentali dell'esistenza, che al tempo stesso si incarna nella storia e si traduce in esigenze di trasformazione sociale e strutturale. Fede non è solo “professione”, ma anche stile di vivere ispirato ai criteri evangelici. La scuola San Filippo deve essere, a Massa, un luogo privilegiato per mettere in pratica questa missione evangelica dell'Istituto. È vedere come essa possa oggi continuare ad essere strumento di evangelizzazione, in un contesto ‘plurale’, consumistico e laicizzato, e come essa possa aiutare i giovani a passare dalla conoscenza catechistica della verità alle pratiche effettive di vita cristiana, là dove i valori religiosi hanno una maggiore rilevanza. E tutto ciò a vari livelli e nei diversi momenti pastorali: l’ambiente stesso della scuola, la catechesi esplicita, la pastorale, i gruppi di impegno, l'apertura alle famiglie, la presenza attiva nella chiesa locale e nella società civile, specialmente accanto ai poveri, il dialogo ecumenico ed interreligioso…

Associati per la missione Il nostro Istituto nacque da un gruppo di persone che si associarono per portare avanti la causa delle scuole per i bambini poveri e mettere la salvezza alla portata dei giovani. I nostri ultimi Capitoli generali c'invitano a riattualizzare questa associazione, per poter rispondere oggi, alle necessità dei giovani. L'associazione ha un per che non dobbiamo dimenticare. Mi piace applicare all'Associazione quello che Saint Exupéry dice dell'amicizia: Non si tratta di guardarvi in faccia gli uni gli altri, ma di guardare insieme nella stessa direzione. Questa direzione non può essere un altro che il servizio educativo del povero e iniziando da loro, verso gli altri giovani. A partire da questa finalità, devono essere costruite, attraverso tutto il mondo lasalliano, le strutture che assicurano e danno consistenza alla loro missione. Un'altra novità dell’associazione lasalliana è la presenza femminile. Non solo per il grande numero di studentesse che oggi frequentano le nostre scuole e università, ma anche per i compiti di insegnamento e di direzione che molte donne svolgono nelle


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Álvaro Rodriguez Echeverría

nostre istituzioni. Secondo le ultime statistiche sono 36.477 e costituiscono circa la metà dei nostro corpo docente nel mondo. La loro presenza e il ruolo storico che è proprio loro, senza dubbio ci aiuterà a costruire una società più umana e fraterna, a modificare la nostra mentalità, a localizzarci nella storia, in un modo diverso, organizzare la vita sociale, politica, ed economica in modo più d'intuito e cordiale. Trovo importante segnalare che il mondo degli adulti, che si crea intorno a un progetto educativo lasalliano, non solo esiste in funzione della missione che realizza, ma si trova in un ambito di arricchimento personale, familiare e comunitario. Questo perché la scuola lasalliana è un luogo di vita, che permette di incontrare gruppi diversi (come il vostro gruppo di preghiera), scambiarsi le idee, rigenerazione della vita familiare, partecipazione liturgica e sacramentale, dialogo interreligioso, risposta all'inquietudine esistenziale attraverso una spiritualità condivisa.

Sognando il futuro Il nostro Istituto e la missione lasalliana nacquero nella società europea del SeiSettecento per far fronte a drammatiche situazioni disumane di tanti ragazzi di quel tempo: un mondo minorile lontano dalla salvezza, privo di mezzi per crescere da uomini, da cittadini e da cristiani. Essere fedele al nostro carisma vuole dir, per noi oggi, saper rispondere con creatività alle nuove forme di disumanizzazione, alle nuove povertà, agli appelli che ci rivolge il mondo degli esclusi. Come eredi del santo La Salle, vi invito, infine a continuare ad andare avanti con fede profonda e con zelo ardente costruendo, come il nostro Fondatore lo sognò, un mondo: dove tutti i giovani siano considerati e siano trattati con rispetto e affetto; dove l’istruzione e le nuove tecnologie siano al servizio della giustizia, della pace e della solidarietà; dove non abbiamo paura di annunciare Gesù come nostro Salvatore, con spirito di rispetto e tolleranza verso le altre religioni, e dove sappiamo unire forze, uomini e donne di cultura, ideologie e religioni diverse, nella costruzione di una società più fraterna e giusta. Credo che questo sarà il modo migliore per ricordare quei Fratelli che con tanta generosità e creatività, gettarono il primo seme del carisma lasalliano in Massa 150 anni fa e l’hanno coltivato sino ad oggi. Questo sogno lasalliano tocca a noi farlo diventare realtà, iniziando dai bambini e dai giovani che ogni giorno vengono alla nostra scuola.


LASALLIANA

RivLas 76 (2009) 3, 525-536

Cronache dal mondo lasalliano

International Lasallian News

ITALIA/ Mario Presciuttini, FSC, un ritratto di famiglia Fr. Remo L.Guidi

Mario Presciuttini nacque a Montefiascone, provincia di Viterbo, l’8\12\1942 e si è spento a Roma il 15\2\2009. Entrò adolescente nella casa di formazione che i Fratelli avevano ad Albano Laziale, poi raggiunse Torre del Greco per il noviziato, rimesso alle cure del servo di Dio fratel Gregorio Bühl. Portato a termine il liceo si iscrisse, in contemporanea, alla facoltà di Lettere a Roma e alla Lateranense per la licenza in teologia. Dopo un breve periodo di insegnamento nelle primarie, frequentò corsi di pedagogia e alta spiritualità lasalliana, il che gli consentì, per anni, di dedicarsi con successo a un’opera assidua di sensibilizzazione catechistica presso parrocchie e seminari dell’Italia centromeridionale. La sua esperienza, in proposito, è documentabile attraverso le annate della rivista Sussidi (seconda serie), di cui per lungo tempo fu direttore, riservata esclusivamente ai problemi didattici e all’attivismo nell’insegnamento religioso. Questo tema, da lui profondamente sentito, emerge anche dalle pagine di Lasalliani in Italia, notiziario di cui è stato il primo direttore dal 2003 al 2008. Per l’equilibrio, la prudenza e le capacità di ascolto l’establishment dell’Istituto lo nominò Provinciale dell’Italia centromeridionale; a mandato scaduto è stato il primo Segretario provinciale per la Provincia Italia, e in contemporanea, è stato l’anima del Master per l’Educazione, corso postuniversitario che la congregazione ha istituto per il perfezionamento dei suoi insegnanti e di quanti hanno a cuore l’educazione dei giovani. Chiamato a dirigere il Servizio di Ricerche lasalliane al centro dell’Istituto, si è spento, ancora nel pieno delle forze, stroncato da un male incurabile, proprio mentre stava generosamente per immettersi nel nuovo ruolo commessogli.

C

he il male fosse di quelli che non perdonano lo si era capito da subito, ma non ci si voleva credere perché la fibra di Fratel Mario era di quelle che sembravano fatte per durare all'infinito: mai stanco, sempre disponibile, pronto a farsi carico di tutti i ruoli, né importa se fossero quelli della guida o del gregario, dell’insegnante o dell'organizzatore del Master per Educatori. Una vita intensa la sua con interessi molteplici, ma non dispersivi perché in grado di ricondurre a un nucleo che aveva, nella voglia di vivere con pienezza la sua vocazione, il glutine che la alimentava e la preservava. Con lui se ne va una parte nobilissima della nostra storia, perché lo si poteva considerare una sorta di cerniera tra passato e futuro. Del passato aveva incarnato l'anima catechistica quando, negli anni lontani, aveva corso l'Italia del centro del sud e delle


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isole per parlare a uomini di scuola e di chiesa sul come presentare la religione in classe, sul pulpito e nella vita. Di quel lungo peregrinare a servizio di vescovi, parroci e direttori didattici, serbava ricordi vivissimi, che gli affioravano spontanei quando, diretto alle diverse sedi del Master, dall'autostrada rivedeva quegli insediamenti, un giorno raggiunti sotto la vampa del sole o i rigori dell'inverno, per tenervi le sue conferenze nei teatri, nelle chiese, o nelle palestre. Dei tempi passati riproponeva anche la chiarezza espositiva nel far lezione, la pazienza fiduciosa nell'attenderne i risultati, la disposizione all'ascolto e al dialogo. La rete capillare delle amicizie con i colleghi europei, l'esperienza del provincialato, i ripetuti viaggi all'estero congiunti a una curiosità che diventava ricerca e arricchimento umano, per meglio comprendere la vita e i suoi problemi, ne avevano fatto un interprete attento e qualificato di quanto oggi si dibatte nella Chiesa e nella scuola. La flessibilità della sua indole e la sensibilità del suo spirito ebbero modo di esprimersi quando rilevò la direzione della rivista Sussidi, per anni affidata alle cure del compianto fr. Agilberto Gatti (+1978); e fu per la fantasia di fratel Mario, per il suo culto delle memorie domestiche, e la capacità di circondarsi di persone affezionate e generose che la testata entrò in una nuova fase, garantendo agli insegnanti di religione proposte, contributi, stimoli ed esperienze in grado di facilitarne il compito e preservarne l'entusiasmo. Pregi che il tempo lungi dall'affievolire parve rendere più dinamici e consapevoli delle proprie potenzialità, quando accolse l'invito di prendere il timone di Lasalliani in Italia, dove riuscì a convogliare le diverse anime della Regione Italia dando spazio e voce alle varie istituzioni, per mettere in vetrina un lasallianesimo concreto e senza sbavature, recepito nel momento in cui la cronaca nasce e si avvia a diventare storia, e alla quale tutti son chiamati a collaborare. Apparentemente sembrava che il Fratello si muovesse solo per eseguire degli ordini, o dare alle sue accentuate esigenze socializzanti uno sfogo; in realtà la sua conoscenza della dottrina di Jean-Baptiste aveva radici che raggiungevano le cellule germinali dell'esperienza ascetica del fondatore, come lo dimostrano i ripetuti interventi su Rivista lasalliana e su Thèmes lasalliens, da cui trassero alimento i suoi corsi sulla pedagogia lasalliana al Master. Se ci sono delle caratteristiche nella testimonianza di fratel Mario che, più delle altre, in questo momento venuteci meno ci fanno sentire più soli e indifesi, esse vanno individuate nella sua larga apertura umana, che lo portava a comprendere rendendolo estremamente tardo nel giudicare; non vorrei omettere la sua istintiva capacità di dimenticare non perché non capisse, o non sapesse valutare, ma perché nel suo intimo non c'erano spazi per l'invidia, il rancore, la vendetta, congiunta ad una pronunciata voglia di scommettere sulle possibilità di recupero degli altri. Olimpico era il suo distacco da quanti parlavano sd sfaldamento delle istituzioni, inarrestabile decadimento dei valori e mancanza di fiducia nel domani; fratel Mario sempre e dovunque si rimboccò le maniche, e alle domande preferì dare le risposte, e alla depressione e sfiducia rispose con un dinamismo perfino eccessivo, che parve non conoscere pause. I suoi colloqui con i Lasalliani, il suo calore nell'accoglierli e, perfino, nello scovarli per ogni dove, saranno davvero rimpianti: la sua era una sorta di rete vascolare irrorata da simpatia e connivenza fatta di ascolto, dialogo, istruzione; il suo era l'atteggiamento tipico di chi si sa compagno e maestro, che trova in tutte le situazioni, siano esse una cerimonia in chiesa, l'incontro in un ristorante, o una ricor-


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renza matrimoniale, l'innesco per uno scambio di esperienze destinate a fermentare rivolgimenti interiori, riconquista di energie perdute, ritorni imperiosi di sani propositi In tal senso i medaglioni che in qualità di provinciale, con voce commossa ma ferma, fr. Mario incise per i fratelli defunti raccolgono ed esaltano, come è pur ovvio, le virtù degli scomparsi e la loro nobile cifra morale, ma restano anche quale suo testamento, presentandocelo come interprete sensibile e delicato delle giornate terrene dei colleghi, ai quali oggi si ricongiunge con un alone di rimpianto per il tanto che ha saputo fare, e il molto che la morte gli ha vietato di condurre a termine, impegnandoci a non disperderne i percorsi.

USA/ Lasallian Education for Religious Diversity

Jeffrey Gros, FSC, Memphis Theological Seminary1

A

s “apostles of the catechism”, the heirs of John Baptist de La Salle are called to be pioneers in the Catholic Church's educational commitment to dialogue among the world religions, building peace and harmony; and among fellow Christians, rooted in a common baptism and faith in Christ, building the unity of the Church. Lasallian schools are a unique witness to Catholic commitments to dialogue. For example, in places like Malaysia and Bethlehem, work in Muslim contexts creates a whole new understanding of Christianity for the majority Islamic students, and an ability to defend their faith for Christians as they live in a minority context. In Singapore and Thailand, Christian minorities in Lasallian schools come to appreciate Buddhist traditions and how to live and collaborate with them. We make a clear distinction between our interreligious outreach and our ecumenical dialogue among fellow Christians, with whom we share real, if yet imperfect communion, and with whom we are committed to building full communion. Lasallians were among the pioneers in Kenya to create a common Christian catechetical curriculum for the public schools. In Greece and Romania, for example, Lasallian schools work in a Christian Orthodox context, which is not always welcoming of a Catholic presence. In many areas of the United States, in urban communities or in the South, Catholics are a minority among the Christian students in Lasallian schools. These contexts provide opportunities not only for dialogue, but also for teaching the results of forty years of work toward unity, which the late Pope John Paul said must become a "common heritage" in Catholic catechesis. Many Protes1

Br. Jeffrey Gros, former Associate Director of the Secretariat on Ecumenism at the United States Conference of Catholic Bishops, was honored with an award by the Washington Theological Consortium for his significant contribution to ecumenism. Brother Jeffrey is well-known in the ecumenical movement for broadening the reach of ecumenism. He has written widely in theological journals and periodicals, ha edited numerous books on ecumenism, and has spoken on the subject to various religious and educational groups throughout the world. He served for 10 years as Director of Faith and Order for the National Council of Churches, and 14 years at the US Conference of Catholic Bishops. Br. Jeffrey, who holds a Ph.D. in Theology from Fordham University, is currently a professor of Church History at Memphis Theological Seminary. (De La Salle Today, USCBC, vol..IV n.1, Spring 2009).


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tants find themselves introduced, for the first time, to the Catholic heritage and the ecumenical imperative of the Gospel in these pluralistic Lasallian contexts. Indeed, many of these Lasallian ministries stand in their communities as "temples of tolerance" educating for pluralism and dialogue, and therefore the most important catechetical testimony, are those places where Catholicism was not open to diversity, before the second Vatican Council, like Spain and some areas in Latin American. It is exciting to see how some sectors of the Lasallian world are providing opportunities for ecumenical and interreligious dialogue, where there are few other fellow Christians or members of other religions. Of course, in the globalized world for which Lasallians are training new generations of youth and adults, diversity is a fact. The Catholic Church is committed to the promotion of the rights of all persons, especially the religious liberty of all. Therefore, a catechetical priority at all levels of Lasallian education is understanding the Catholic Church's commitment to dialogue, equipping new generations to internalize their faith and articulate it openly, and to building bonds of understanding and friendship among all believers, and unity among Christians. Agreements with Lutherans and Anglicans on the Eucharist, with Pentecostals and Baptists on mission and common witness, with Orthodox resolving ancient disagreements, for example, all provide important resources for Lasallian catechetical developments. John Baptist de La Salle has left a rich heritage of educational and catechetical innovation. As patron of all teachers, he has a model to offer not only to Protestant and Orthodox fellow Christians, but also to teachers of other religious traditions. In fact, in some interreligious contexts like Penang. in Malaysia, since celebrating Christmas, Ramadan, or Buddha's birthday might be divisive, it is the legacy of De La Salle that is celebrated during common religious emphasis week. Teaching dialogue, tolerance, the goal of Christian unity, and the emerging legacy of 40 years of agreement, is both a gift of the Lasallian educator and a challenge in our violent and polarized world.

FRANCE / Master « Action éducative internationale, Médiation sociale et Ouverture interculturelle » L’Université Catholique de Paris propose - à partir de l’année académique 20092010 - une nouvelle formule de formation pluridisciplinaire en éducation, qui ouvre aux métiers de l’enseignement et de l’éducation dans des secteurs sensibles. L’initiative du Master est partie de l’Institut de La Salle en France. Son organisation est confiée à la Faculté de Sciences Sociales et Economiques de l’ICP ; la durée sera de 4 semestres (2 ans), à temps complet. Lieu de la formation : à Paris, 78 A rue de Sèvres. Un profil essentiel du parcours est offert par le site de l’Université : http:// www.icp.fr/fr/Organismes/Faculte-de-Sciences-Sociales-et-Economiques-Fasse...

P

résentation. Les objectifs : ■ Assurer une formation académique de haut niveau pour des étudiants français, des étudiants de l'Union Européenne et des étudiants des universités partenaires appartenant au réseau lasallien international. ■ Permettre !a compréhension globale des enjeux éthiques liés à la mondialisation et leurs répercussions en éducation. ■ Connaître les enjeux sociaux et éducatifs liés aux zones


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d'éducation sensibles, construire des démarches pour une éducation adaptée. ■ Comprendre les interactions culture - société - éducation et accompagner l'ouverture sociale et le dialogue interculturel dans le cadre d'un projet. ■ Développer les compétences en langue dans la perspective des stages ou séjours à l'étranger. Spécificité de la formation - La formation est composée de 4 éléments spécifiques : 1. Des enseignements pluridisciplinaires généraux permettant de former aux spécificités de l'éducation et de l'enseignement en milieu sensible. 2. Des enseignements liés à la spécificité des milieux professionnels d'exercice (zones d'éducation sensibles) et visant une connaissance des enjeux éthiques, économiques et sociaux liés à la mondialisation. 3. Des enseignements consacrés aux questions méthodologiques et documentaires pour la recherche, intégrant les technologies usuelles de l'information et de la communication. 4. D'ateliers et de contributions professionnels dans les domaines de l'éducation des publics en difficulté. Pédagogie - Le corps des enseignants (issus de la Faculté de Sciences Sociales et Economiques de l'Institut Catholique de Paris et le CFP Emmanuel Mounier en lien avec le l' Association internationale des Universités Lasalliennes (AIUL) est constitué d'universitaires, de professionnels de terrain dont des formateurs et éducateurs. Dans la mesure où cette formation est fortement appuyée sur l'analyse de l'action de professionnels de l'éducation au sens large et sur l'analyse des pratiques des étudiants, le quota de la formation assuré par des professionnels est relativement important. Accompagnement des étudiants - L'originalité de la formation réside dans la spécificité de l'approche éducative choisie : l'inscription d'un master d'éducation en faculté de sciences sociales et économiques est volontaire, l'équipe portant le projet ayant la conviction que les approches éducatives et pédagogiques nécessaires pour travailler en milieu sensible sont étroitement liées aux problématiques sociales et économiques des terrains d'exercice. La formation sera ainsi fortement articulée aux stages réalisés en Master1 et Master 2, constituant les lieux de la mise en place de véritables projets professionnels. Echanges internationaux - Le premier partenaire de ce projet est le réseau des Frères des écoles chrétiennes qui en a initié l'idée. Ce partenariat se situe au niveau national, européen et international. D'autres partenariats sont envisagés avec des organismes ou associations de l'enseignement catholique.

MEXICO / Ressources et recherches lasalliennes

F. Claude Reinhardt, FSC, conseiller général, Rome

Octobre 2008, l’Association internationale des Universités Lasalliennes (AIUL) réunissait à Tetela-Cuernavaca, Mexico, sa IX Conférence. Le Conseiller général F. Claude Reinhardt y a développé le thème de la « contribution des établissements lasalliens d’enseignement supérieur au réseau lasallien mondial ». Nous tirons de son texte inédit un paragraphe concernant l’urgence d’une réflexion accrue et qualifiée sur l’identité et les enjeux de l’éducation lasallienne confrontée aux nouveaux défis des sociétés actuelles. Voir le texte intégral, en version française et anglaise, sur le site : www.aiul.net/portal/conferences


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N

os universités et établissements d'enseignement supérieur offrent, du fait même du niveau universitaire qui est le leur, la possibilité de former des spécialistes lasalliens (scholars) ainsi que des lasalliens qui sauront introduire les principes lasalliens et les articuler à leurs domaines d'enseignement. Ce degré de recherche et de spécialisation devrait leur permettre d'aider le monde lasallien à réfléchir et à exprimer un projet éducatif global et des orientations lasalliennes qui pourraient être utiles et déterminantes pour le 21° siècle. Les départements d'enseignement religieux peuvent aider à évaluer et enrichir les programmes d'éducation religieuse. Il leur revient aussi d'assurer le suivi des "doctorants", ceux qui préparent des dissertations doctorales sur des thèmes lasalliens. Il est incroyable et étonnant que personne aujourd'hui dans le monde lasallien ne possède la liste complète des thèses doctorales passées sur des thèmes lasalliens: nom des docteurs, thème des thèses, année de soutenance, université d'origine et district d'appartenance. Toutes les universités lasalliennes devraient en avoir connaissance, ainsi que nos Secrétariats à Rome et les Visiteurs des Districts. Enfin, nos universités peuvent aider les Frères Visiteurs et les responsables d'Education dans les Districts à identifier les futurs participants aux sessions lasalliennes internationales et à la constitution d'un groupe de spécialistes et de formateurs lasalliens dans les Districts. Plus précisément, nos établissements supérieurs devraient s’engager et s’investir davantage dans la Recherche autour de trois thèmes pour nous prioritaires : 1. Association - Nos chercheurs lasalliens et nos départements d'études lasalliennes pourraient contribuer à la poursuite de la réflexion sur l'association. Vous savez que c'est un thème essentiel dans notre famille lasallienne, sur lequel on a beaucoup réfléchi et publié ces dernières années. Des études ont été faites, qui présentent des dimensions historiques, ecclésiologiques et pastorales. Il faut les poursuivre. 2. Foi et religion - Comme je l'ai dit plus haut, nos institutions d'enseignement supérieur sont ouvertes à tous et offrent leurs services à des populations diverses dans des pays eux-mêmes très différents, mais leur identité chrétienne et catholique est claire et connue. Elles ont été créées sur l'initiative de chrétiens et continuent d'être dirigées et animées par des chrétiens, même si des non-chrétiens y apportent leur concours et y collaborent loyalement. A ce titre, nos institutions sont dans un lieu privilégié de rencontre entre la foi et la culture, entre la foi et la raison. Dans le monde de la culture, elles apportent le concours et la présence de la foi, pas seulement par leurs départements de théologie ou de sciences religieuses, mais par la présence et l'action même des chrétiens et leur témoignage de croyants parmi ceux qui cherchent un sens à la vie et au monde. Un des effets logiques de cette position est que nos institutions, de par leur enracinement et leur ouverture à la fois, peuvent approfondir et continuer le dialogue œcuménique et interreligieux. Et, au delà des thèmes strictement religieux, elles peuvent aussi explorer les notions complémentaires et apparemment en concurrence comme: - la sécularisation, la laïcité et la pensée catholique - la liberté de la recherche universitaire et la doctrine catholique


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- science et religion - la préparation au marché du travail et une éducation intégrale basée sur une compréhension chrétienne de l'homme. Nos universités situées dans tant de pays différents peuvent contribuer largement à la réflexion de l'ensemble des universités catholiques, sur leurs propres caractéristiques, suite aux principes exprimés par Ex corde Ecclesiae et par Benoît XVI dans son discours aux présidents des universités catholiques américaines. Elles proposeront aussi des pistes pour appliquer ces principes aux universités lasalliennes. Et dans le monde lasallien proprement dit, nous vous encourageons à développer la recherche sur les thèmes qui nous sont particulièrement chers: les droits de l'enfant, le droit à l'éducation, la dignité des maîtres. Dans le prolongement de cela, nous ne devons pas perdre de vue le besoin de susciter des vocations de nouveaux enseignants chrétiens pour demain, Laïcs et Religieux. Et enfin, vous pourriez participer à la recherche demandée par l'AI de 2006: identifier et définir les valeurs lasalliennes partagées par les enseignants sans religion ou dont la religion n'est pas chrétienne. Dans les pays occidentaux et riches en particulier, certains de nos collègues se disent non croyants ou se sont éloignés de la religion chrétienne mais partagent des valeurs de notre projet éducatif. Dans d'autres pays à majorité musulmane ou bouddhiste, nos collègues non-chrétiens nous disent apprécier et partager des valeurs et des qualités du projet éducatif lasallien et revendiquent le titre de lasalliens! Nous devons réfléchir ensemble, avec eux et entre nous, pour comprendre comment ils le sont. 3. Education - La réflexion et la recherche en éducation et en pédagogie sont évidemment le domaine "par excellence" dans notre réseau lasallien. J'ai déjà cité les sujets de réflexion liés à la religion et aux droits de l'enfant, il faut y ajouter l'éducation

et la formation aux droits de la personne humaine, à la promotion de la justice sociale et interethnique, la défense de la nature et le respect de la création au service de tous. Il faudra développer la nécessaire collaboration avec vos Districts et le Secrétariat à la MEL de Rome, pour continuer à repérer les urgences éducatives et à proposer les réponses possibles dans les domaines de la pédagogie, de la catéchèse, des initiatives éducatives nouvelles en faveur des pauvres. Mais au niveau strictement universitaire, c'est à dire de recherche intellectuelle de haut niveau, nous avons besoin d'une sérieuse réflexion dans deux directions, comme nous y invite une note du Frère Flavio Pajer, professeur d'université à Rome:

- « Une réflexion critique et scientifique sur ce que notre réseau éducatif produit en éducation. Nous avons besoin d'une théorie dynamique et « contextualisée » de l'Ecole, de ce qui lui est spécifique, et de son potentiel social et culturel ». Nous avons besoin de cette étude fondamentale, qui doit produire des publications de qualité.

- « Nos universités, nos départements de l'éducation doivent définir, ou plutôt redéfinir pour aujourd’hui, les "fondamentaux " de cette culture éducative dont nous disons qu'elle est la nôtre, pour nous aider à fonder, structurer, requalifier, transformer notre mission et nos pratiques éducatives et pastorales.» […].


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AMERICA LATINA y CARIBE / Observatorio educativo lasallista para los derechos de los menores

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l Observatorio educativo lasallista para los derechos de la niñez y la juventud en América latina y el Caribe se concibe como una estrategia de observación, construcción de conocimiento, aprendizaje, formación, y coordinación de visiones, misiones, finalidades y procesos, en torno a la educación y las prácticas educativas, en perspectiva de derechos. La perspectiva de derechos, implica repensar toda la concepción de la educación, para integrar la dinámica curricular, y cultural de las obras educativas en una dimensión ético-política. El Observatorio surge como una de las principales estrategias de! Pacto Lasallista Regional por los Derechos: un compromiso por la educación y la inclusión, el cual inicia como iniciativa de carácter educativo, social y religioso, en el marco de la Convención Internacional de los Derechos del Niño, los Objetivos del Milenio, las orientaciones del 44° Capitulo General, la Asamblea MEL, el PERLA y !a XI Asamblea de la RELAL, encaminada a generar una alianza de carácter regional a través de la cual los diferentes distritos lasallistas de América Latina y el Caribe, se comprometan a participar en una agenda compartida cuyo fin primordial es difundir, promover, defender y garantizar los derechos de niñas, niños, adolescentes y jóvenes en nuestro continente, desde la perspectiva del derecho a la educación. También es una oportunidad de actualizar y renovar el compromiso lasallista, a partir de una lectura atenta de los acontecimientos que han configurado la realidad de niñas, niños, adolescentes y jóvenes, en nuestro continente. http://www.observatoriorelal.org/

ESPAŃA / La vida religiosa apostólica según el Concilio Hno Josean Villalabeitia, FSC

Noto ai nostri lettori per alcuni recenti contributi (RL 2007, 4, 521-541; 2008,2, 263-269; v. inoltre le recensioni: 2008, 1, 126; 2009, 2, 357-359), l’Autore lasalliano, dottore in Teologia, ha appena pubblicato un nuovo corposo saggio filologico sulla genesi del concetto di vita religiosa apostolica quale emerse dal laborioso dibattito conciliare: La vida religiosa apostólica según el Concilio Vaticano II, in “Claretianum” XLIX, 2009, 415-501 (Largo Lorenzo Mossa, 4 - 00165 Roma). Ne offriamo un breve stralcio tratto dalle conclusioni finali.

A

l final de este recorrido por los documentos del Concilio Vaticano II tendrían que quedarnos claras algunas ideas en torno a la vida religiosa apostólica, que el Concilio defendió con fuerza. 1. La primera de ellas es que los religiosos surgen en la Iglesia por iniciativa y acción del Espíritu. El origen de la vida religiosa, por tanto, es Dios mismo; Él es, también, quien la dota de sus características carismáticas peculiares, para que sean desplegadas en el interior de la Iglesia-.Y, por consiguiente, en Dios está asimismo el origen


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de los diversos ministerios eclesiales que desarrollan los religiosos de vida activa en la Iglesia, que son consecuencia directa e irrenunciable del carisma recibido del Espíritu. He aquí, pues, el camino concreto que la Trinidad señala a los religiosos dedicados al apostolado para que alcancen la eminente vocación a la que todos los cristianos han sido convocados: ser santos. Porque, como decía el padre Van Kerckhoven, "el apostolado es una forma de santidad". 2. Otra idea del Concilio, expresada en el Perfectae Caritatis, n. 8, es consecuencia de la anterior y deja las cosas aún más claras para los religiosos de vida activa: afirma que "la acción apostólica y benéfica pertenece a la naturaleza misma de la vida religiosa; la acción apostólica no es un elemento secundario o yuxtapuesto; es un elemento constitutivo. Debe ser considerada así mismo como un sacrum ministerium. Se trata de un ministerio espiritual (2Cor 3,8) porque tiene su origen en los dones del Espíritu. Es una forma peculiar de participar en la misión de Cristo y de la Iglesia”. 3. De esta manera, la teología de los dos fines, que había marcado con fuerza toda la reflexión teológica sobre la vida religiosa apostólica en los decenios anteriores al evento conciliar, desaparecía para siempre del horizonte espiritual de los religiosos, abriendo las puertas a la posibilidad cierta de alcanzar la santidad dedicándose con entusiasmo a las labores apostólicas de cada instituto. El ocaso de dicha teología suponía también el desvanecimiento - al menos teórico - de la desorientación y la perplejidad en que había sumido a tantos y tantos religiosos apostólicos, que se veían en la encrucijada cotidiana de tener que elegir entre las dos habitaciones de su casa: una espaciosa y llena de luz, en la que pasaban muy poco tiempo, y otra mucho más reducida y oscura, a la que, paradójicamente, dedicaban gran parte de su jornada. La vida religiosa apostólica se había convertido tras el Concilio en una única habitación, bien soleada toda ella, con distintos rincones preparados para crear ambientes diferenciados, desde los que, no obstante, siempre se tenía bien presento el resto de la habitación, que no se abandonaba jamás para pasar a otro lugar separado. La antigua dicotomía interior del religioso apóstol dejaba ahora paso a una sólida y reconfortante unidad de vida. 4. Todo lo anterior supone un doble compromiso, de gran importancia. Por un lado, los religiosos de cada instituto deben ser fieles al propio carisma (PC 2,5), es decir, también al propio apostolado, adaptándolo con creatividad y eficacia a las circunstancia de nuestro tiempo. Por parte de la jerarquía eclesial, aun reconociendo su derecho a reglamentar de alguna manera en todas estas cuestiones, entre otras razones por el propio bien de las mismas, es imprescindible que ponga mucho cuidado en respetar la vocación específica de cada instituto, ya que no es ella quien se la ha concedido, sino el propio Dios, fuente de todo bien. Asumiendo y poniendo en práctica con atención, por ambas partes, este doble compromiso, no parece tan complicado, con la ayuda del cielo, alcanzar la gozosa y fructífera colaboración entre obispos y religiosos a la que el Concilio una y otra vez invita. La Iglesia se aproximaría entonces un poco más a ese Reino de Dios cuyo germen porta.


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ITALIA / Note per una politica della gestione degli archivi lasalliani F. Francis Ricousse e F. Gabriele Pomatto

1. La tâche de l’archiviste

S

ous le titre « Archives Centrales », les archives de la Maison Généralice des Frères continuent à s’enrichir des documents déposés par le Frère Supérieur et les Frères Conseillers, mais aussi des diverses structures de la Maison : services, secrétariats, commissions.Des documents encore trop jeunes pour servir de matériau à l’historien. Les Archives Centrales sont ici une composante du grand service Recherche et Ressources Lasalliennes qui regroupe : la bibliothèque et la gestion des objets (objets d’art et objets-souvenirs, muséographie, expositions…) mais aussi la recherche proprement dite, avec les questions de publication et de diffusion qui en découlent. Quant aux recherches locales, nos archives offrent des ressources limitées, administratives surtout. Car elles ne sont qu’une composante dans un tout qui comporte, de manière hiérarchisée, les archives des Districts et les archives de chaque institution. En effet, si les archives des Districts conservent les documents issus de l’activité des Frères Visiteurs et de ses diverses instances de gestion et d’animation, c’est à chaque institution locale, scolaire, éducative, de conserver de manière systématique et rationnelle, les documents de ses activités permettant aux générations futures d’écrire l’histoire. Et si ces archives locales ne peuvent pas être conservées dans de bonnes conditions, il est important de les confier à l’archiviste du District : grâce à lui elles resteront accessibles tout en entrant dans un fonds organisé. De tels dépôts s’imposent tout particulièrement à l’occasion des fermetures d’institutions. La tâche de l’archiviste (c’est-à-dire, le plus souvent, au niveau local, la tâche du secrétariat) se complique de nos jours par le développement et l’évolution rapide des moyens informatiques de transmission de l’information: de la vidéo au CD, du fax à l’e-mail, des photo-papiers à la photo numérique… En organisant leur conservation avec les choix qui s’imposent, nous travaillons pour l’histoire : celle que - à l’intérieur de l’Institut - voudront écrire les générations futures sur ce que nous vivons aujourd’hui, et celle que - dès l’extérieur - des chercheurs, des universitaires, des vulgarisateurs des média voudront découvrir pour mesurer l’impact du courant lasallien dans l’histoire de l’éducation, notamment de l’école. Parmi leurs multiples charges, les responsables d’institutions ne doivent pas se désintéresser de cette préoccupation. De cette manière, la célébration d’événements locaux (centenaires et autres commémorations) trouvera sur place sa matière principale, les archives des Districts et celles de la Maison Généralice ne venant qu’en appoint.

F. Francis Ricousse Directeur des Archives Centrales, Rome


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2. Verso la creazione di una Biblioteca lasalliana provinciale

E’

stata realizzata presso il Centro La Salle in Torino la Biblioteca Lasalliana Provinciale (BLP). Se la sistemazione logistica è praticamente ultimata, il lavoro di catalogazione è tuttora in progetto. La BLP raccoglie e conserva: 1. Opere del La Salle, opere sul La Salle; opere scritte dai Fratelli e sui Fratelli; documentazione storica delle varie Istituzioni lasalliane della Provincia; pubblicazioni periodiche e occasionale delle varie case. Di ogni volume sarà catalogato e conservato un esemplare, almeno, per ogni edizione rintracciabile; 2. i Testi scolastici elencati nel repertorio storico riprodotto da F. Felice Cometto in Pubblicazioni scolastiche e didattiche dei Fratelli della Provincia religiosa di Torino nei primi cento anni dal loro arrivo in Piemonte (1829 – 1929)”, in “Rivista lasalliana” vol. 36, anno 29 (1962) 70-99. Di ogni volume sarà catalogato e conservato un esemplare, almeno, per ogni edizione rinvenuta; 3. Opere a stampa, tesi, saggi, testi scolastici, supporti informatici, pubblicati successivamente dai FSC. Il fondo attuale dei libri lasalliani è costituito materialmente: a) dal patrimonio librario preesistente nell’archivio del Centro La Salle, b) dalla selezione delle giacenze di biblioteche scolastiche di alcune istituzioni lasalliane che hanno recentemente cessato l’attività, c) da altri volumi provenienti da istituzioni tuttora attive, ma che disponevano di più copie. Un’attenzione particolare va data alla conservazione-catalogazione delle annate complete di riviste come Rivista lasalliana (Torino, dal 1934) e Sussidi per la catechesi (Erba-Como, dal 1936); un certo interesse rivestono anche i periodici e gli annuari dei vari Istituti, sia di quelli tuttora in vita, sia di quelli ormai estinti. Il fondo della BLP verrà incrementato d’ora in avanti sia continuando un reperimento selettivo di volumi lasalliani esistenti nelle biblioteche comunitarie e/o scolastiche della Provincia, sia accogliendo sistematicamente ogni nuova pubblicazione, anche minore, prodotta dalle diverse istituzioni e comunità o da singoli Fratelli. La catalogazione richiede ora i maggiori sforzi. La Provincia ha passato accordi con la Regione Piemonte sia per una partecipazione al finanziamento (essendo la BLP un “bene culturale” aperto all’utenza pubblica), sia per l’esecuzione tecnica della catalogazione stessa. L'impegno che la Provincia ha preso con la Regione Piemonte, in contropartita del finanziamento erogato, è di mettere a disposizione degli studiosi e dei ricercatori i libri della Biblioteca stessa. Non c'è obbligo di osservare un calendario e orario di apertura al pubblico. C'è però l'impegno di consentire la consultazione dei volumi, a richiesta su appuntamento. La Provincia non sarà quindi privata né della proprietà dei volumi né del loro possesso; essi, infatti, continueranno ad essere conservati nella nostra BLP presso il Centro La Salle in Torino. Come per la precedente stipula della convenzione per l'Archivio provinciale, la Regione Piemonte ha posto pure una seconda condizione: che la catalogazione di ogni volume venga eseguita da personale specializzato e accreditato presso la Regione Piemonte. Per tal motivo non è possibile, nelle condizioni attuali, che la catalogazione sia curata da noi personalmente o con nostro personale non specificamente preparato.


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Si prevede che la risposta alla richiesta di ulteriore finanziamento non arriverà prima dell'estate prossima. Quindi la catalogazione vera e propria comincerà probabilmente in autunno. Il tempo intercorrente fino a quella data sarà dedicato alla ulteriore ricerca dei testi lasalliani, e per esaminare con cura le giacenze delle nostre biblioteche e dei depositi, affinché non manchi nessun testo lasalliano al momento dell'inizio della catalogazione. Quando sarà terminata la catalogazione della BLP di Torino e sarà stata individuata la sede dell'altra Biblioteca lasalliana, quella di Roma, sarà sufficiente collocarvi gli stessi volumi lasalliani senza dover rifare per intero la catalogazione.

(fonte: Provincia Italia, Circolare n.18, 9 febbraio 2009).


BIBLIOTECA

RivLas 76 (2009) 3, 537-554

Pubblicazioni patristiche di Fr. Trisoglio una selezione di studi, traduzioni, commenti1 a cura della Redazione

■ Francesco Trisoglio, San Gregorio di Nazianzo e il Christus patiens. Il problema dell'autenticità gregoriana del dramma, Università di Torino, Fondi Parini Chirio, 1996, pp. 319. – Il Christus patiens è l'unico dramma sacro bizantino che conosciamo e rappresenta, in una trilo-

gia, la passione e la risurrezione di Gesù. La paternità del Nazianzeno fu a lungo universalmente accettata, sulla testimonianza di una serie di manoscritti, finché Giovanni Leowenklau nel 1571 la contestò in nome dello stile e del metro. Da allora si è susseguito un interminabile ondeggiamento tra impugnatori e sostenitori, in una generale superficialità o parzialità di osservazioni; la serie delle singole posizioni è stata minutamente ricostruita da Fr. Trisoglio, Il Christus patiens: rassegna delle attribuzioni, in Rivista di Studi classici 22 (1974), pp.351-423. Trisoglio - che aveva acquistato dimestichezza con l’opera traducendola e commentandola nella collana di Studi Patristici di A. Quacquarelli n.16, Città Nuova, Roma 1979 - pensò di affrontare da vicino la questione mediante un esame approfondito dei suoi elementi costitutivi. Impostò pertanto la sua indagine su un dittico formato da una pars construens e da una destruens. Nella prima, attraverso ad un documentatissimo esame del dramma e di tutta la produzione nazianzenica indubitabilmente autentica, rilevò una grandissima quantità di concordanze che testimoniano identità di mentalità, di gusti, di propensioni stilistiche e di inclinazioni espressive (pp.11-137). Nella seconda, attraverso ad un confronto parallelo, dimostrò la totale estraneità, sotto i medesimi angoli di osservazione, degli scrittori bizantini (Giovanni d'Antiochia, Teodoro Prodromo, Giovanni Tzetze, Costantino Manasse) ai quali singoli studiosi avevano via via demandato la confezione del Christus (pp.143-235). Al termine del lungo cammino poté concludere (pp. 237-245), in una densa sintesi fondata su un'attentissima analisi, che s'imponevano tanto la paternità gregoriana quanto l'esclusione dei candidati bizantini. Seguono un'appendice (pp.247-251) e le note (pp. 255-315). A proposito di questo studio il prof. J. Mossay, dell'Università cattolica di Lovanio, uno dei massimi esperti internazionali sul Nazianzeno, in Byzantion 67 (1997), pp. 597-599, dichiarò tra l'altro, che qui, per la prima volta, dopo 420 anni, la questione dell'autenticità del dramma si appoggia su inchieste precise e particolareggiate. L'abbondanza e la chiarezza degli accostamenti rilevati impressionano. L'analisi dei caratteri e delle opere dei quattro scrittori bizantini esclude definitivamente le ipotesi emesse in favore della loro candidatura. È la prima volta che questi quattro autori hanno fatto oggetto di un esame critico rigoroso dell'insieme delle loro opere pubblicate, appoggiato sull’insieme della bibliografia disponibile. In conclusione, afferma Mossay, questo studio monumentale applica per la prima volta il metodo dei confronti sistematici effettuati sulla base di una lunga familiarità con i testi. Tra le diverse ipotesi proposte finora sul possibile autore del Christus patiens resta ancora accettabile soltanto l’attribuzione trasmessa dai manoscritti conservati. A sua volta Lucia Bacci termina la sua sollecita analisi del libro asserendo in Sileno 26 (2000), pp. 215-218: "Anche chi avesse un'opinione diversa da quella di Trisoglio in merito alla controversia sulla paternità del Christus patiens, non potrebbe non 1

Queste schede bibliografiche vanno lette nel quadro dell’Elenco delle Pubblicazioni di Francesco Trisoglio, offerto da Rivista lasalliana 70(2003) 2, 122-138. Cf. anche la recente silloge di saggi del Trisoglio sul Nazianzeno, recensita su queste pagine, 76(2009)2, 358-359.


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trovare molto convincente l'impostazione di questo studio che per la prima volta confronta in modo sistematico il Christus patiens con gli scritti dei vari possibili autori per giungere ad una soluzione definitiva; non potrebbe non ammirare la profonda conoscenza che lo studioso dimostra delle opere prese in esame e in particolare di quella del Nazianzeno, la vastissima documentazione fornita - utile punto di partenza per future indagini sui singoli autori bizantini considerati - e, non ultime, la chiarezza, la puntualità e la concisione di una ricerca comunque molto corposa (ben 319 pagine). Un ulteriore contributo alla collocazione del Christus patiens nell'epoca di Gregorio, ad esclusione di quella più tarda (XI-XII secolo), è stato offerto dallo stesso Trisoglio, che ha seguito una pista decisamente originale. Ha infatti esaminato il tipo di titolazione che gli scrittori bizantini attribuivano alla Vergine, valutandone il processo di sviluppo, concettuale e retorico. Ne è risultato che la titolazione dal V al XII secolo presenta un carattere progressivamente più florido incompatibile con l'arcaismo moderatissimo del Christus. La ricerca è stata pubblicata dall'Accademia delle Scienze di Torino, Datazione del Christus patiens e titolazione bizantina della Vergine, Memorie di Sc. Mor. 26 (2002), pp. 161-256. ■ Francesco Trisoglio, Gregorio di Nazianzo il Teologo, in Studia patristica mediolanensia, Vita e Pensiero, Milano 1996, pp. 228. – Non mira ad illustrare questioni specifiche né biografiche né teologiche né letterarie su Gregorio; si propone piuttosto di presentare il quadro complessivo della sua attività, fornendo allo studioso che sulle singole particolarità si appunta una sicura e pronta griglia di orientamento. Offre pertanto una precisa documentazione sulla sua vita, un'analisi della sua figura spirituale e morale, un prospetto dei suoi scritti distribuiti nella loro cronologia, un esame del suo stile ed uno scandaglio della sua personalità. Non approfondisce temi, offre una cornice opportuna per qualsiasi approfondimento; è una propedeutica che si vuole sicura nella sua essenzialità. In questa larghezza di orizzonte il prof. J. Mossay, dell'Università di Lovanio, nella sua recensione in Byzantion 67 (1997), pp. 589-591 ha rilevato, tra l'altro, che Trisoglio s'interessa principalmente, ed in ciò sta l'originalità del libro, della personalità del Nazianzeno, della sua fisionomia spirituale e morale (pp. 589-590). "Una lunga familiarità con i testi analizzati permette a Trisoglio di trovarsi a suo agio davanti alle prospettive teologiche, spirituali e mistiche di Gregorio" (p. 590). "A quanto mi risulta, un'opera del genere non esisteva ancora in italiano ed essa compie finalmente una grave lacuna" (p. 591). In contemporanea R. Guidi, in Benedictina 44 (1997), pp. 453-456, attraverso ad una lettura penetrante e solerte, giunge all'impressione conclusiva che "il libro è un affresco di piacevole coreografia", che tuttavia implica "una progettazione assai rigorosa: non c'è un concetto che non abbia un dichiarato ormeggio agli opera omnia gregoriani; non c'è una struttura sintattica dentro la quale non si agiti una dotazione linguistica in continuo ricambio; non c'è un capoverso che non si disponga dentro una dinamica di richiami e di echi; il volume insomma sembra l'antemurale di una progettazione assai più poderosa". Il testo si iscrive in quelli che i Bollandisti chiamano Subsidia. Momento essenziale per qualsiasi ricerca a carattere scientifico è la costituzione di un quadro bibliografico il più esauriente possibile; è la preoccupazione prima di ogni studioso ed è anche la più laboriosa. Quale prezioso aiuto ai cultori del Nazianzeno, Fr. Trisoglio occupò il vol. 40 di Rivista lasalliana (1973), pp. 462, con S. Gregorio di Nazianzo, in un quarantennio di studi (1925-1965), amplissimo, preciso, resoconto di tutte le indagini che concernono il Cappadoce. L'elenco dei nomi nell'Indice supera il 1000, tenendo inoltre conto che alcuni di essi sono presenti in più d'una pubblicazione. A continuazione di questa rassegna Fr. Trisoglio ha curato per la Collana Lustrum. Internationale Forschungsberichte aud dem Bereich des klassischen Altertums, edita da Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1999, una nuova panoramica sugli studi usciti dal 1966 al 1993. In 331 pagine sono presentate, in un esame critico che informa sui temi affrontati, le proposte espresse, i risultati raggiunti, 972 pubblicazioni.


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Ad illustrarne il messaggio spirituale Fr. Trisoglio ha pubblicato Gregorio di Nazianzo, Tiellemedia, Roma 1999, pp. 300: una raccolta dei suoi testi più significativi; la versione è introdotta da un'ampia panoramica sulla sua figura, osservata nei suoi aspetti più importanti, ed è corredata di un abbondante commento. Sono 10 riquadri nei quali il Nazianzeno rivolge il suo insegnamento sotto angolature complementari che tracciano un sostanzioso programma di perfezione morale. Concernono: la purificazione dello spirito - la miseria morale ed ontologica della vita - l'ordine nel cosmo, nella Chiesa, nella società, nella persona - i rapporti sociali: l'amicizia - l'incoraggiamento nelle disavventure ed il perdono nelle offese - la magnanimità dei sentimenti - la sapienza e la speculazione teologica - la collaborazione con Dio e la lotta contro il demonio - la scelta di vita: il matrimonio, la verginità, il sacerdozio – l’offerta di se stesso a Dio nell'adorazione della Trinità. ■ Francesco Trisoglio, La salvezza in Gregorio di Nazianzo, Borla, Roma 2002, pp. 213. – La salvezza è l'idea caratteristica, il punto di partenza e d'arrivo, generico in tutte le religioni, specifico in quelle soteriologiche e nei misteri, culminante nel cristianesimo, che venera il suo fondatore come Salvatore. Particolarmente adatto ad illustrare il tema era Gregorio di Nazianzo, teologo lucido e penetrante, asceta dall'anima tanto assetata di perfezione quanto vibrante di emozioni, poeta che della coscienza percepiva, in immediatezza, le ansie e gli impulsi. Trisoglio avrebbe potuto sistematizzarne il pensiero in una costruzione architettonicamente ordinata e connessa, incorrendo però nel rischio di raffreddarlo e di soggettivarlo, filtrando elementi della propria sensibilità in quella di Gregorio. Ha pertanto preferito far parlare lui stesso, in una comunicazione diretta, riportando tradotto il testo di Gregorio, solo disponendolo organicamente in modo da farne risaltare la sistematicità della dottrina. Il volume inquadra pertanto quattro grandi panorami: il piano divino di redenzione dell'uomo; il destinatario della salvezza (l'uomo) ed il suo nemico (il demonio), la via per giungervi, che è la Scrittura, la quale esige un'accorta norma di lettura (esegesi). Per aiutare a cogliere esattamente le inflessioni della voce di Gregorio, Trisoglio ha premesso un ampio esame sulla situazione della Chiesa contemporanea, sulla psicologia e spiritualità di Gregorio, sulla sua originalità ed importanza teologica, sul suo pregio artistico e sul suo influsso nei secoli. I testi sono poi sorretti da un puntuale ed approfondito commento, che mira a scioglierne le eventuali difficoltà ed a non lasciar disperdere la finezza di molte loro intuizioni. V. Grossi in Augustinianum 44,1 (2004), pp. 235-236, facendone un resoconto, presenta la struttura e lo spirito di questo libro, osservando che "esso accompagna in un duplice percorso: attraverso al problema essenziale dell'esistenza umana, inquadrato in una salda intelaiatura teologica, e attraverso all'anima di Gregorio nella sua drammatica vibratilità, che si apre in amare depressioni come in esaltanti visioni di un'unione piena con Dio". Aggiunge poi, in chiusa, che "il libro offre l'occasione di affacciarsi su uno dei panorami più seducenti della cultura cristiana per l'importanza del tema, per l'intensa drammaticità dell'epoca, per la vivezza di una personalità così modernamente dinamica ed inquieta". ■ Francesco Trisoglio, Il Credo della Chiesa. La teologia dei Padri nella catechesi del simbolo niceno-costantinopolitano, Portalupi, Casale Monferrato AL 2004, pp. 247. – Avviene di so-

lito che i predicatori ed i catechisti scelgano a tema delle loro istruzioni il comportamento morale; è una preferenza comprensibile, considerata l'importanza che la pratica concreta della vita riveste nel caratterizzare il valore della persona; però logicamente non è plausibile, in quanto alla morale si trascura così di sottoporre i fondamenti razionali che la sorreggono e la giustificano. Il percorso coerente è: partire, per induzione, dal mondo visibile arrivando all'Autore invisibile; da Lui dedurre l'origine dell'uomo e dalla ragione di entrambi (quella dell'uomo è plasmata a somiglianza di quella di Dio) strutturare la teoria e quindi l'attuazione della morale. La verità su Dio e sull'uomo, nella confluenza di rivelazione e di riflessione, è stata concentrata nel simbolo apostolico romano (quello breve che si recita comunemente nelle preghiere); poi l'insorgere, all'inizio del IV secolo (verso il 318), dell'eresia ariana, che negava la divinità del Figlio e misconosceva totalmente lo Spirito Santo, indusse gli antichi Padri a formulare nel concilio di


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Nicea (325) specificatamente la natura del Figlio, alla quale, nel concilio di Costantinopoli del 381, si integrò quella dello Spirito Santo. È il credo che si recita nella Messa. Il libro ne reca il testo in greco (translitterato), latino, italiano, inserendo ogni parola nell'ambiente originario, illustrandone la portata ed i motivi e riferendo i commenti di quegli stessi Padri che del Credo furono gli artefici. Il libro al dogma cristiano apre un sfondo spazioso, lo inquadra nell'ambiente genetico che lo vide sorgere e ne precisa gli esatti intendimenti. Risulta pertanto un sostegno indispensabile per insegnanti di religione e per operatori pastorali che vogliano assidere su solide basi le loro lezioni. ■ Francesco Trisoglio, Basilio il Grande si presenta: la vita, l'azione, le opere, Analecta Kryptoferres n. 3, Monastero esarchico di Grottaferrata, 2004, pp. 305. – Un'ampia introduzione in 96 pagine studia la complessa e grande figura di Basilio nella vita, opere, personalità, epoca, azione nella Chiesa e nella società; lo esamina come teologo, asceta e scrittore. Nei successivi 11 capitoli sono offerti in una versione sollecita a riprodurne, insieme al senso preciso del pensiero, anche il colorito della forma ed i valori artistici, i passi più significativi degli scritti di Basilio. L'abbondante commento inquadra i testi nell'ambiente culturale, dilucida gli sfondi storici, chiarisce le questioni teologiche ed ecclesiali, rileva i pregi letterari. Il volume è una sintesi di presentazione e di autopresentazione di una delle più alte ed attraenti figure della patristica di quel IV secolo nel quale la patristica, soprattutto greca, raggiunse la più vivida fioritura. L'archimandrita esarca del Monastero di Grottaferrata, p. Emiliano Fabbricatore, nella prefazione ha scritto: "Dalle pagine di Fr. Trisoglio e dai numerosissimi passi da lui riportati, è la voce stessa del Padre cappadoce che risuona per presentarne al lettore la personalità ricca e ardente: quella di un uomo forte cosciente della sua missione, lottatore strenuo per la verità della fede che è l'unica che può garantire la vera unità della Chiesa; un vescovo che è stato anche una delle menti speculative più robuste che la teologia cristiana antica abbia conosciuto...; un monaco generoso nell'ascesi, ma nettissimo nel dichiararne fine unico l'amore di Dio e del prossimo; un pastore sollecito dei bisogni materiali e spirituali dei suoi fratelli; un cristiano che veniva da una famiglia gremita di santi e al quale nessun frutto della grande cultura classicopagana rimase sconosciuto; uno spirito che, nel riserbo e nel pudore più sobrii, conobbe le visite di Colui che è l'hospes dulcis animae. ■ Gregorio di Nazianzo, Autobiografia, a cura di Fr. Trisoglio, Morcelliana, Letteratura cristiana antica n.7, Brescia 2005, pp. 249. – È la traduzione del grande carme autobiografico di Gregorio, fornita di un'ampia introduzione, che ne illustra l'ambiente, le vicende biografiche, i contrasti teologici ed ecclesiali entro i quali Gregorio operò, e di un particolareggiato commento. Nella presentazione che ne ha fatta, G. Cremascoli, in Civiltà Cattolica n. 3775, 6 ottobre 2007, pp. 99-100, dichiara che il commento (pp. 143-219) è di grande interesse per i dati eruditi che ne illustrano il senso e perché allestito in modo da immergerlo in tutta la produzione di Gregorio. Egli nota una particolare cura nel chiarire il senso dei vocaboli tipici del lessico usato, nei quali l'ampiezza del contenuto semantico è una spia della ricchezza ma anche della complessità delle esperienze intellettuali vissute. Giudica poi importanti per i temi affrontati e per la rievocazione dei grandi dibattiti dell'epoca, le quattro Appendici con cui termina il volume. Cremascoli conclude che l'edizione del testo autobiografico, il ricco ed ampio commento e gli studi posti in appendice al volume sono un prezioso contributo agli studi sul Nazianzeno, complessa ed affascinante figura di teologo e di presule. Nouvelle Revue Théologique 130, 2008, p.849, la rivista dei gesuiti belgi, segnalando l’opera, aggiunge che « il faut être reconnaissants à cette collection qui nous fait découvrir quelques richesses de l’Eglise orientale trop peu connues par l’Eglise latine ». ■ Isidoro di Siviglia, La natura delle cose. Traduzione, introduzione e commento a cura di Fr. Trisoglio, Città Nuova, Roma 2001, pp. 216. – Isidoro di Siviglia (ca 560 - 4 aprile 636), vescovo e metropolita della Betica, inserito nel regno visigotico di Toledo, si fece il grande precettore dei nuovi popoli barbari che stavano conquistando l'Europa, ignoranti ma desiderosi di


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sapere. Per loro si assunse quindi la missione di fornire una serie di manuali propedeutici ai vari rami della cultura, per i quali attinse da un'ampia messe di nozioni, che gli pervenivano da un'antichità classica sulla quale aveva una buona documentazione. Il De natura rerum è una raccolta di informazioni cronologiche, astronomiche, meteorologiche, geologiche di immediata utilità pratica. Trisoglio lo ha tradotto, premettendo una ricca introduzione, necessaria alla piena comprensione di un'opera così originale, così lontana, ed insieme così illuminante. L'introduzione verte sulla vita e sulle opere di Isidoro, sul suo ambiente storico e culturale, sulla posizione di Isidoro quale tramite delle conoscenze antiche, sulla natura del trattato, sull'atteggiamento di Isidoro dinanzi alle fonti antiche, sul suo stile, sulla sua figura letteraria e spirituale. Il testo è poi corredato di un ampio, puntuale e documentato commento sulle conoscenze scientifiche del tempo, sulle loro caratteristiche e sulla loro validità, in rapporto alla scienza moderna. Sullo spirito del trattato stralciamo un passo dell'Introduzione (p. 20): "Nel De natura rerum si distinguono nettamente due piani, quello fisico e quello mistico; dall'uno all'altro non c'è salita, c'è trasposizione; non sono in contrasto, stanno nel rapporto oggetto-immagine proiettata, dove però, se la concretezza risiede quaggiù, nel nucleo sensibile, la realtà assoluta sta lassù, nella pienezza del divino. Isidoro è attento a non disarticolare questo rapporto; fa quindi parlare le cose senza lasciar divagare l'immaginazione nelle fantasticherie; si tiene strettamente ancorato al reale: nelle sue trasposizioni pone un saldo equilibrio ed un mirabile buon senso. L'interpretazione mistica, se si trova nell'altra area, si colloca però adiacente alla sua base. Quella di Isidoro è più simbologia che allegoria". ■ Isidoro di Siviglia, Le Sentenze. Introduzione, traduzione e commento di Fr. Trisoglio, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 285. – Le Sentenze sono il capostipite di una lunga e gloriosa progenie che, ai tempi della Scolastica, assurse a vette di memorabile eccellenza. È infatti la prima Summa, la prima risposta a quell'intima aspirazione della mente che anela a cogliere nell'unità di uno sguardo una realtà che è unitaria, perché è viva, ma che, essendo complessa, rischia di spezzarsi nel frammentarismo. “Isidoro – scrive il Regno-attualità 22, 2008, p. 766, presentando la traduzione di Trisoglio - reinventa un modello di scrittura reso urgente dalla necessità di traghettare la sapienza antica ai nuovi popoli barbari. Con una scrittura che unisce l’immediatezza dell’asserzione e del proverbio con l’argomentazione catechistica, cerca di costruire l’essenziale di una trasmissione che è a un tempo di fede e di civiltà”. L'opera di Isidoro riunisce in un prospetto essenziale i filoni vitali del dogma, della morale, dell'ascetica, sorvolando sugli anfratti particolari per meglio individuare le nervature portanti. Percorre i doveri di tutti, cammina sulle strade della comune umanità, ma, unico ai suoi tempi e primo rispetto a quelli successivi, il dovere lo proclama, incisivo, anche ai potenti, a quelli ecclesiastici e soprattutto a quelli civili, che il diritto tendono facilmente ad identificare col proprio potere e, magari, col proprio interesse. Isidoro parla con la forza della giustizia e con quella dell'equilibrio e della moderazione. Non si rivolge al suo pubblico con sermoni, lo interpella con 'sentenze'. I concetti non affogano nelle parole, arrivano netti, incisivi, in un'essenzialità che tutela da divagazioni. Sono appelli all'intelligenza e scosse alla coscienza. Rimbrotta, anche, ma soprattutto precisa idee, indica strade, ammonisce contro pericoli, rincuora dinanzi a difficoltà ed a paure. Dovunque domina una saggezza che respira magnanimità. È una guida sicura, ma non imperiosa; persegue la verità, che s'impegna a trasmettere; l'ha spesso attinta da altri, ma se l'è assimilata dandole una voce che è la sua. È un libro sul quale ci si ferma con gusto e con profitto a meditare; non dice cose grandi, ma giuste e vere; non alletta con uno stile smagliante, ma rispetta il lettore con il decoro naturale del suo linguaggio. Lo stile letterario della "sentenza" aveva avuto illustri rappresentanti in passato ed altri ne avrebbe avuti in futuro: Isidoro, lungo questo cammino, segna una pregevolissima tappa. L'introduzione ed il commento, ampi e puntuali, inquadrano ed evidenziano il valore dell'opera.

La Redazione


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■ Francesco Trisoglio, Avvio alla politica, Effatà editrice, Cantalupa (Torino) 2007, pp. 302. “Nell’era del consumismo esasperato, incentivato da una pubblicità ossessiva, si avverte l’urgenza di rinnovare un’austerità che non è privazione ma dignitoso autocontrollo” (p. 272): questa affermazione di Francesco Trisoglio è estremamente interessante, soprattutto perché pensata e scritta prima dell’esplodere della crisi economica (e non solo) che stiamo vivendo ormai da mesi. E lo è ancora di più a partire dalla indicazione di una pagina di poco precedente:“L’anima della politica è quella che i politici hanno e che le infondono: lapalissianamente, non possono trasfondere quello che non posseggono. […] La politica crea le condizioni sociali di vita per gli uomini e, in varia percentuale, li forma” (p.265). Nello spazio tra queste due affermazioni sta tutto il volume di Trisoglio, che Giannino Piana nella Prefazione ben qualifica come testo che “offre elementi di grande interesse per recuperarne il significato” (p.8), della politica appunto. È questa la grande domanda alla quale uomini e donne d’Italia (e non solo) cercano disperatamente – o sommessamente – di dare una risposta possibile e ricca di senso. Altrimenti, perché impegnarsi? I soldi e il prestigio (posto che oggi se ne possa ancora parlare) non sono più sufficienti a motivare un servizio tanto complesso quanto difficile e impegnativo. Se non emergono donne e uomini nuovi, una classe politica originale, la stessa politica, non cambierà di certo: resterà appannaggio di una casta, per utilizzare un titolo di successo. Che però non si lancia oltre l’analisi, per costruire un percorso formativo che è invece il pregio del volume di Trisoglio. D’altra parte, la richiesta dei giovani che oggi vogliono mettersi a disposizione delle comunità (soprattutto locali) va proprio in questa direzione. Cercano quella forza che consente di essere fermi nell’intendere la politica come servizio effettivo, concreto ed esigente. Che senso può infatti avere mettersi in gioco, acquisire le competenze necessarie, organizzarsi e organizzare gruppi di amici e di amiche per lanciarsi nell’agone politico, se poi i “professionisti” sono in grado di chiuderti nell’angolo, rendendo sterile tanta generosità? Non è difficile trovare politicanti a buon prezzo, per riempire i posti di una lista. Molto più difficile è aggregare coloro che vogliono viverla come servizio per il prossimo, riuscendo ad agirla come dono di sé agli altri, in quella forma altissima di carità che richiamava Paolo VI. La qual cosa pretende di andare oltre una sottilissima notazione dell’autore: “L’uomo viene guardato, ma non si guarda” (p.137). Mai come nel nostro tempo questa affermazione vale per i politici, che sembra decidano cosa fare e come fare in televisione piuttosto che in Parlamento, sui media invece che nei Consigli comunali. La tentazione di cogliere la forma, invece che la sostanza, è dietro ogni angolo: per annullarla si deve avere un’anima forte, dei valori forti a cui ancorarsi, costi quel che costi. Tutto ciò è possibile se i politici sanno anteporre i fini ai mezzi. Come afferma l’autore, “formare è abilitare una persona, coordinare tutte le sue energie in vista del conseguimento di una meta: implica un indicare i fini, fornire i motivi, mostrare le vie d’accesso” (p.70). In tale prospettiva si colloca il volume, espressione della Scuola di formazione politica avviata presso il Collegio San Giuseppe dei Fratelli delle Scuole Cristiane in Torino dall’autore (conosciuto anche come Fratel Enrico), che da anni si occupa di formare persone in grado di destreggiarsi nel difficile mondo della politica, tenendo dritta la barra verso la testimonianza cristiana anche nella nostra società complessa e contraddittoria. Molto interessante la sua impostazione, che porta a riflettere a partire dai problemi, per “scenari”, come li chiama l’autore. La crisi che stiamo vivendo potrà trasformarsi in opportunità di cambiamento verso una società nuova a migliore: la condizione indispensabile è che i politici – formati al servizio esigente verso obiettivi ricchi di valore per la comunità – sappiano assumersi le loro responsabilità fino in fondo. In questa direzione – quella del formare alla politica con intelligenza - il volume del Trisoglio è certo un ausilio e un supporto molto significativo:.

Sergio De Carli


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Schegge di vita e di storia della scuola italiana

a cura di Francesco Pistoia

1. Documenti come romanzi. La scuola, i ragazzi, i giovani… Una letteratura fiorente, di varia qualità, accompagnata da spettacoli cinematografici e televisivi. Esempio: Notte prima degli esami, 1 e 2 (2006), di Fausto Brizzi, La classe di Laurent Cantet (2008), La classe non è acqua di Cecilia Calvi (1996) o il recente I liceali, sottotitolo Diario della II A, tratto dal romanzo di Elena e Daniele (Mondadori, Milano 2008, pp.288). Nel bene e nel male vanno segnalati Gianni Conti, Il professore, Polistampa 2007; Giacomo Cardaci, Alligatori al Parini, Mondadori 2008, altri romanzi-eventi che si collocano nel territorio della cronaca. Ma occorre ricordare scrittori e giornalisti come Starnone, Mastrocola, Affinati, soprattutto Giovanni Pacchiano, autore di un libro di successo, edito da Feltrinelli (in prima edizione nel 1993), Di scuola si muore. Se ne ricavano frammenti di vita e di storia di giovani, di vita scolastica e di costume educativo. Per la storia di ieri: Documenti della rivolta universitaria, a cura del Movimento studentesco, e Documenti della rivolta studentesca francese, a cura del Centro di informazioni universitarie (l’uno e l’altro risalgono al 1968), ristampati in edizione anastatica da Laterza (Roma-Bari 2008, pp.416 e 280), utili, pur nella loro incompletezza, alla ricostruzione di una drammatica vicenda giovanile. Da leggere in uno con Cantavamo Dio è morto (Ancora, Milano 2008, pp.222), storia del ’68 dei cattolici (così recita il sottotitolo), ricostruita da Roberto Beretta, giornalista di “Avvenire”, scrittore dallo stile terso e accattivante: pagine di cronaca e storia, pagine ricche di contenuti, di riferimenti, di riflessioni, anche di note polemiche, pagine avvincenti, che si leggono come un romanzo. Vi si colgono momenti significativi a lungo volutamente dimenticati. 2. Ma il passato remoto o prossimo produce l’oggi. E all’oggi si può guardare con lo sguardo commosso e carico di nostalgia di un Giovanni Mosca (Roma 1908- Milano 1983), quello del racconto caro a generazioni di studenti, La conquista della Quinta C, che fa parte dei Ricordi di scuola, opera del 1939, che la Biblioteca Universale Rizzoli ripresenta nella Collana degli Scrittori Contemporanei (Milano 2007, pp. 212). Maestro e poi giornalista, Mosca resta un educatore aperto e libero. Racconta di bambini, di genitori, di insegnanti, di comunità scolastiche con amoroso impegno e addita nell’azione educativa intelligente e coerente la via per il miglioramento della società; esprime ammirazione per la vita, quasi sempre povera e anche misera, dei docenti, rispetto per la dignità dei ragazzi,attenzione per la lettura come mezzo efficace di apprendimento, di liberazione, di apertura alla gioia e alla poesia. Ai ragazzi dedica racconti, profili biografici, appunti: pagine vive apprezzabili anche dagli adulti. Vita non facile, la sua: vive anche l’esperienza del carcere ai tempi della RSI, della precarietà, dell’incomprensione. Ma è sempre animato da serena fiducia, da sano ottimismo, da sentimenti di umana solidarietà, che si esprimono attraverso un umorismo gioioso e persistente. Entra in sodalizio con Guareschi, lavora per importanti testate nazionali, scrive per il teatro. In occasione del centenario della nascita la Fondazione Corriere della Sera gli dedica un bel volumetto, Giovanni Mosca. L’esordio al “Corriere”1937 (Milano 2008, pp.128), nel quale è possibile rintracciare momenti di vita scolastica (Sentir pena, Vecchio professore…), spunti di riflessione su eventi culturali (Vi parlerò del cinematografo), frammenti di storia del Novecento. Il “ritratto” di Giovanni Mosca è tracciato da Benedetto Mosca. Le ricerche sulla vita, sul lavoro, sulle opere dello scrittore sono condotte con metodo attento e scrupoloso da Alfredo Barberis. Lettere, articoli, appunti: sono un volumetto davvero prezioso. Il Barberis è anche autore della succosa Introduzione ai Ricordi , libro che il Mosca significativamente dedica ai figli e che si apre con parole che restano: “Io vi parlo qui del tempo in cui, ragazzi,andavamo a scuola; del tempo che

vorremmo tornasse, ma è impossibile. Dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza, delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mon-


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do, basso basso il nostro cielo. Vi parlo delle stesse cose che voi ricordate, e se ve le siete scordate v’aiuto a ricordarle. Di quelle cose perdute che voi ora ritrovate nei vostri figli, e vorreste – tanto sono belle – che non le perdessero mai” (p. 7). 3. La lettura di alcuni saggi delle Edizioni Ares ci aiuta a uscire dai ricordi e a inoltrarci sul terreno dell’attualità. Ci si riferisce a Un varco nel muro di Ester Capucciati (2008, pp. 152) e a I ragazzi di via Sandri (2008, pp.120): pagine interessanti sull’impegno educativo, interessanti come altre pagine che l’Ares dedica all’educazione e alla scuola (Compagni di scuola di Mario Mauro, L’attimo che resta di Alberto Faccini, Tuo figlio adolescente di Gianpiero Camiciotti). Schegge di vita sono le pagine di Ester Capucciati. Allieva di don Giussani e di don Luigi Negri (ora vescovo di San Marino) all’Università Cattolica, laureata in filosofia e diplomata in scienze religiose, insegna con impegno ed entusiasmo religione cattolica nei licei (prima a Milano e poi a Piacenza). Le pagine del libro in parola raccontano un’esperienza straordinaria, carica di valori umani, tutta ispirata a un apostolato educativo fatto di lavoro, di pazienza, di ricerca, di fiducia nell’educabilità della persona umana, di fede in Dio e nelle creature che sono immagini di Dio. Il libro, in quattro parti, si avvale della prefazione del Negri e di un invito alla lettura di Roberto Brambilla, coordinatore delle Alte Scuole dell’Università Cattolica. La Ester spiega le ragioni dell’iniziativa e a conclusione riporta i versi di Claudio Chieffo, Favola, tratta da La mia voce e le Tue Parole di Paola Scaglione (Ares, Milano 2006): “C’è Qualcuno con te, non ti lascerà mai / non avere paura prendi i campi e vai…”. Un mannello di lettere, di e-mail, di sms, di appunti, di brevi messaggi: gli alunni scrivono alla docente di religione, in ogni tempo, anche di notte, durante l’anno scolastico e in estate; scrivono anche gli alunni che hanno lasciato il liceo e frequentano l’università. Il linguaggio è quello dei ragazzi e dei giovani, fatto di parole semplici, di spontaneità, anche di parolacce… I giovani espongono all’insegnante i loro problemi, i loro pensieri e timori, le preoccupazioni e gli interrogativi che nascono dalla lettura della Bibbia o da quanto succede nel mondo. La ricerca della verità, l’amore fraterno, la fede, l’ateismo, le malattie, le ingiustizie, le incomprensioni, le vicende della Chiesa, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia…I giovani hanno un grande bisogno di comunicare, di aprirsi al dialogo, d’essere coinvolti. L’insegnante, prima contestata, poi accettata, infine amata e stimata come modello. L’insegnamento della religione, di là dalla configurazione giuridica, rappresenta un’opportunità di grande rilevanza pedagogica e sociale per ragazzi e per genitori: condotto nel rispetto della libertà di tutti, tale insegnamento non è solo strumento di più efficace comprensione della storia e dell’arte e della letteratura, è anche uno spazio di libera e seria partecipazione al dibattito culturale contemporaneo, un invito a riflettere, un contributo alla ricerca di valori essenziali. Scrive il Brambilla: “E poi il libro mi insegna quanto sia decisiva per i figli un’educazione che vada alla radice dell’essere uomo…” (p.9). 4. “Maestri di strada e compagni di scuola” è il sottotitolo de I ragazzi di via Sandri. Chi sono questi ragazzi? Sono alunni di una scuola professionale del Centro Elis (sigla che significa: Educazione-lavoro-istruzione-sport). Il Centro è sorto nel 1965 in una zona periferica di Roma, abbastanza presente nelle cronache dell’illegalità, per iniziativa di uomini dell’Opus Dei e con la collaborazione di imprenditori e professionisti aperti al senso della solidarietà e convinti che si può uscire dall’emarginazione e dai conseguenti pericoli attraverso un percorso educativo serio e illuminato. Fu inaugurato da Paolo VI alla presenza di san Josemaria Escrivà. La scuola accoglie ragazzi poveri, orfani, abbandonati, stranieri, extracomunitari, provenienti dalla clandestinità, ragazzi che altri istituti rifiutano. Entrano con problemi enormi, escono sapendo che la vita è bella ed è bello contribuire al miglioramento dei rapporti sociali attraverso un lavoro onesto, una preparazione professionale seria, nella rettitudine e nell’amicizia. L’autore del libro, Pierluigi Bartolomei, direttore della Scuola, mette a disposizione dei giovani la ricchezza della sua vocazione educativa e della sua cultura, della sua esperienza nel campo del sociale, dell’arte, della musica, dello spettacolo. Confessa: “Tra qualche giorno compirò 46 anni e mai mi sarei aspettato di imparare così tanto in questo periodo della mia vita. Non si tratta di un apprendimento accademico né professionale, ma di quanto riesco a capitalizzare giorno per


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giorno dal rapporto interpersonale con i miei allievi” (p.9). Il libro raccoglie alcune storie di vita, pagine scritte da alunni, lettere e messaggi. L’insieme è uno spaccato chiaro e incisivo di storia sociale del nostro tempo. Andrea Pamparana, giornalista del Tg5 e scrittore, Giuseppe Cossiga, figlio del Presidente emerito della Repubblica, deputato al Parlamento, il Bartolomei, voce narrante dell’intera vicenda, delineano un quadro delle attività della Scuola nelle pagine di prefazione: e va detto che il Pamparana collabora con la scuola col suo modulo di filosofia “I percorsi del pensiero”, e il Cossiga con le sue lezioni di storia impartite col gioco e col metodo interattivo (parallele alle lezioni di giornalismo e di comunicazione di Francesco Giorgino, volto noto della Rai). La scuola non si esplica solo nella scuola, fornita di attrezzature moderne, di laboratori, di officine; i ragazzi sono condotti nelle aziende convenzionate (Anas, Trenitalia, Fastweb, Italcementi, Luiss…). E non si fonda solo sull’istruzione: all’Elis importa che i ragazzi acquisiscano competenze professionali piene per inserirsi nel mondo del lavoro, che vengano accompagnati nel mondo del lavoro per realizzarsi come orafi, orologiai, manutentori; ma interessa che siano condotti alla scoperta – o riscoperta - del senso della vita e della dignità della persona umana, della vocazione alla famiglia e ai rapporti sociali. E sono pertanto invitati al volontariato , ad assistere anziani che vivono nella solitudine, bambini che le mamme non possono accudire perché impegnate in lavori precari (e poco redditizi) o in carcere, a condividere da compagni di scuola fatiche e gioie. I docenti hanno la consapevolezza della loro missione: lavorano con amore, educano alla lettura e alla poesia, promuovono teatro, incontri, club culturali, adozioni di monumenti. Accompagnano i ragazzi nelle trasferte sportive, passano momenti conviviali coi ragazzi, diffondono fiducia. Scrive un ragazzo rumeno, che ha attraversato difficoltà familiari e giunto avventurosamente in Italia l’11 settembre 2001 (fare attenzione alla data): “Adesso non mi sembra vero, e non so se è realtà o se sono finito dentro un sogno dal quale ancora non mi sono svegliato. Lavoro, grazie alla mia scuola, in un importantissimo laboratorio, assunto a tempo indeterminato. Creo e realizzo i più costosi gioielli al mondo, quelli che indosseranno le regine e le principesse del nostro pianeta” (p.100). E le pagine del libro lasciano spazio a storie di vita vissuta, a storie di riscatto, a percorsi di rinnovamento. I due libri Ares non hanno pretese letterarie, ma sono di gran pregio: si leggono con interesse, richiamano l’attenzione sulle tragedie del nostro tempo, scuotono dall’indifferenza. Chi legge il racconto “Mohamed il grande”, storia di un ragazzo di Kandahar, affamato, perseguitato, sfruttato, impara a migliorare se stesso e ad aprirsi agli altri. I due libri costituiscono un capitolo nobile di storia della scuola. 5. Maria Vittoria Gatti, laurea in filosofia, esperta di problemi educativi e di comunicazione multimediale, dedica ai giovani e ai loro insegnanti, forte del successo di 8 film e ½ sul Natale e di 8 film e ½ sulla Famiglia , il succoso volumetto 8 film e ½ sugli adolescenti, edito come i primi due da Ancora (Milano 2008, pp. 120). Un invito alla lettura di film reperibili in dvd Billy Elliot (di Stephen Daldry), Paranoid Park (di Gius Van Sant), Sweet sixteen (di Ken Loach), La fabbrica di cioccolato (di Tim Burton), Caterina va in città (di Paolo Virzì), Come te nessuno mai (di Gabriele Muccino), Juno (di Jason Reitman), I ragazzi del coro (di Christophe Barratier), Fame chimica (di Antonio Bocola e Paolo Vari). L’autrice conduce un discorso ampio e organico, particolarmente approfondito per le prime quattro pellicole, comprendente spunti di analisi semiotica del testo filmico, esame dell’ispirazione, dei contenuti, degli aspetti tecnici ed estetici. Svolge cioè opera di cultura cinematografica, di avviamento alla lettura e alla visione del film, di educazione al dibattito. 6. Il cinema è presente anche in Daniel Pennac, che prende spunto da film di successo di ieri e di oggi, da classici e da autori emergenti (L’attimo fuggente di Peter Weir, Zero in condotta di Jean Vigo, La prima notte di quiete di Zurlini, La schivata di Abdellatif Bechiche…) per proporre “uno studio comparato dei film sulla scuola, che “la direbbe lunga sulle società che li avevano visti nascere” (p.71). Si fa riferimento al suo Diario di scuola (Feltrinelli, Milano 2008, pp. 246), opera di un letterato affermato, di un narratore di grido. Pennac racconta la sua storia, il suo lento processo di uscita dalla somaraggine, il suo diventare professore. E racconta le


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sofferenze di tanti ragazzi perseguitati e inebetiti dalla scuola, di tanti genitori ansiosi e preoccupati, di tanti docenti alle prese con difficoltà di ogni genere. Diario di scuola è un romanzo pedagogico. Daniel si nutre di amore per la scuola, di attenzione ai ragazzi e ai giovani. Assume una posizione netta in difesa dei ragazzi scolasticamente meno fortunati; il romanzo si trasforma in un saggio, ricco di osservazioni che nascono dall’esperienza, dalla cultura, dalle conoscenze psicologiche, dal tirocinio didattico, dalla vita, dalla storia. Un grido di sdegno contro una scuola che non è scuola, ma caserma, contro docenti che non conoscono aperture, contro regole e pesanti ingombri burocratici. Ma anche un canto gioioso, un elogio della scuola palestra di umanità e di libertà, di docenti appassionati e competenti, aperti al dialogo, capaci di penetrare il mondo dei giovani con intelligenza e impegno. La scuola ha un compito difficile, ma fondamentale, da svolgere. E siamo tutti chiamati a dare una mano, a cominciare dai genitori, liberandoci da pregiudizi, dalla tendenza alla bugia, dalle tensioni immotivate. Diario di scuola è un frammento di vita scolastica e di storia contemporanea. Strutturato per capitoli brevi, talora brevissimi, è snello e agile (nonostante un certo ritmo ripetitivo, che non permette di fare propri i non pochi giudizi lusinghieri che sono stati pronunziati da critici e giornalisti), si legge a scuola, a casa, in compagnia, sotto l’ombrellone, in treno. Lascia una sensazione forte. Fa riflettere sul tempo andato, dischiude prospettive, annunzia (o auspica) novità. Non c’è riforma della scuola, dei metodi, del sistema educativo senza riferimento ai buoni insegnanti e ai buoni educatori. Verità sin troppo evidente, non evidente solo a ministri e riformatori che, pur spinti da lodevoli intenzioni, scivolano, sin dai tempi del Gentile, in errori grossolani… 7. Luciano Corradini. Nato a Reggio Emilia nel 1935, laureato in filosofia. Inizia la carriera di docente nei licei; insegna quindi pedagogia all’Università della Calabria, alla Cattolica di Brescia, alla Statale di Milano, a La Sapienza e infine a Roma Tre. Presiede l’IRRSAE Lombardia, è vicepresidente del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, sottosegretario di Stato alla PI nel governo Dini. Presidente per dieci anni dell’Unione cattolica insegnanti medi (UCIIM), dell’Associazione italiana dei docenti universitari, dell’Associazione per la riduzione del debito pubblico. Una carriera brillante, coronata di prestigiosi riconoscimenti. Brillante, ma vissuta nel segno del Vangelo, dell’umiltà, della militanza nel movimento cattolico. Docenti e presidi d’ogni parte d’Italia si sono alimentati alle sue pagine per esami, concorsi, attività didattica e dirigenziale. Tutta la sua azione si sostanzia di sensibilità, metodo, dinamismo operativo. A noi è andata bene (Città Aperta, Troina-EN, 2008, pp. 446, presentazione di Luciano Monari, vescovo di Brescia e vicepresidente della CEI, foto-ricordo in bianco e nero) è, come specifica il sottotitolo, un diario trentennale. Una limpida cronistoria, fatta di appunti, lettere, riflessioni su famiglia, scuola-università, società. Ne viene fuori la figura di Corradini padre ed educatore. Il lettore coglie storia e anima della sua famiglia, fatta di impegno, d’amore, di sofferenze, di gioie; ne viene fuori una storia della scuola e dell’università in un lungo arco del Novecento. E’ una storia piena di fascino: agile nella struttura e nello stile, pur se ricca di contenuti e di insegnamenti. L’associazionismo scolastico, l’associazionismo cattolico, i movimenti studenteschi, le riforme della scuola fatte o incompiute, i dibattiti politici su scuola e università e giovani, il dialogo educativo, la partecipazione dei genitori, i rapporti scuola-territorio, i progetti nazionali ed europei, il progetto giovani ‘92, il progetto ragazzi, la riforma e le vicende del Ministero della PI, convegni culturali e pedagogici, l’insegnamento dell’educazione civica, il dibattito su scuola e religione, su scuola e cultura biblica… Sono tutti elementi di cui si compone la storia. E Corradini la vive con intensità. Si legge in data 25.4.1988 (a p.362):“Primavera naturale,

civile e familiare. La Pasqua è ancora vicina, il governo è rinato, dopo le laboriose trattative di De Mita, che ieri ha avuto la fiducia del Parlamento. Galloni è ancora al suo posto. Ma Roberto Ruffilli è stato assassinato dalle BR. Dopo Moro, Bachelet, Galli, Tarantelli, un altro cattolico democratico che vuole il consolidamento della democrazia senza aggettivi viene assassinato da oscuri personaggi che si sentono legittimati a disporre della vita altrui per fare una politica che non convince nessuno. Era mio compagno di collegio. Ora è un cittadino del Regno, che prega perché le opere di pace producano i loro frutti”. Luciano Corradini, autore di tanti libri sui problemi della scuola e dell’educazione, educatore militante, cattolico aperto ai valori della


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laicità e della democrazia, rispettoso delle istituzioni, presente attivamente in ogni battaglia per la promozione umana, si rivela in questo suo ultimo libro un testimone sincero e ardente e un maestro credibile. Le pagine di A noi è andata bene sono incoraggianti. 8. Una vocazione per l’educazione, la scuola, la cultura; un impegno ardente per la promozione della donna nella chiesa e nella società; una vita dedicata ai giovani. E per venire incontro ai giovani, in particolare alle giovani, Luigia Tincani (1889-1976) fonda, con la collaborazione di p. Ludovico Fanfani o.p., le “missionarie della scuola”, insegnanti attive soprattutto nella scuola pubblica, che si diffondono in Italia e oltre. La formazione delle insegnanti è preoccupazione costante della Tincani e per tale fine fonda un istituto universitario – l’attuale Lumsa – e un istituto di scienze religiose in seno alla facoltà di Teologia dell’Angelicum. Gli annali delle Missionarie della Scuola registrano la fondazione di collegi universitari destinati all’accoglienza delle matricole universitarie e centri di cultura e spiritualità, nonché un’Università della terza età in Bologna. Nei paesi poveri le Missionarie della Scuola sono presenti con scuole materne e primarie e con opere sociali. L’impegno educativo della Tincani (per anni docente di filosofia e pedagogia) e delle sue figlie è sostenuto da una forte attenzione al vangelo della carità nella luce della spiritualità di san Domenico e di santa Caterina da Siena. Le Lettere di fondazione (Studium, Roma 2007, pp. 442) - che Cesarina Broggi, direttrice dell’Archivio Tincani di via Appia Antica, pubblica, con la presentazione di Livia Violoni, superiora generale, con l’introduzione dello storico Nicola Raponi, con la premessa di mons. Guido Mazzotta - celebrano l’appassionato impegno educativo e spirituale dalla Tincani profuso nella costituzione di una nuova famiglia religiosa dedita all’educazione e all’insegnamento. Le lettere, inviate alle prime aderenti, sono uno scrigno di suggerimenti pedagogici, ricche di riferimenti storici che aiutano a ricostruire i movimenti di idee e di cultura, problemi ecclesiali e sociali, momenti di vita dell’AC, pezzi di storia della Chiesa contemporanea. La Tincani richiama l’attenzione sulla formazione spirituale delle terziarie domenicane impegnate nella scuola: il suo insegnamento è discreto e sobrio, ma solido e costante, fedele a Tommaso e a Caterina da Siena, in piena consonanza col magistero della Chiesa, fondato sul rispetto della dignità della persona e sull’amore per il prossimo. Le Lettere rivelano un mondo ricco di valori morali, di spiritualità cristocentrica, di amore alla preghiera liberante. E un’anima delicata, rispettosa, pensosa del bene di tutti. Al bene occorre indirizzare ogni sforzo, al bene occorre educare con convinto e costante impegno. L’educazione è missione e la missione richiede preparazione e vocazione. Alle giovani che si avviano con lo studio all’insegnamento raccomanda di curare la propria formazione pedagogica, di accrescere la propria cultura, di prepararsi agli esami e ai concorsi con serietà, di educarsi al sacrificio. La Tincani non ignora le difficoltà del momento, le condizioni della scuola, le contraddizioni che caratterizzano il dibattito su progetti di riforma: ma appunto per questo il suo discorso è robusto e significativo. La scuola assolve il suo compito se è fatta da insegnanti ricchi di cultura e spiritualità, attrezzati di conoscenze, ricchi di sensibilità pedagogica.

Francesco Pistoia

Saggi e sussidi didattici per la scuola Vincenzo GUANCI, Carla SANTINI (edd.)

Capire il Novecento. La storia e le altre discipline Franco Angeli, Milano 2008, pp. 144. Fino a che punto un buon manuale di storia rende comprensibile la complessità del XX secolo ai giovani dell’inizio del XXI? Fino a che punto la storia insegnata dà conto delle enormi trasformazioni attraversate dall’umanità durante il Novecento? Il volume muove dalla constatazio-


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ne che il solo punto di vista politico-istituzionale – base consueta privilegiata e adottata da programmi, curricoli e manuali scolastici – risulta fortemente limitante per capire il Novecento. Per questo indica modi complementari per elaborare curricoli in cui i punti di vista siano molteplici e multidisciplinari. Tra i contenuti notiamo, per esempio: una trasposizione didattica per un curricolo verticale del noto saggio Il secolo breve (tr.it.Rizzoli 1994) dello storico Eric Hobsbawn; una guida all’uso delle fonti letterarie per comprendere e approfondire i fenomeni storici; un percorso di lettura delle opere d’arte intese come fonte di conoscenze storiche; una lettura analitica delle grandi trasformazioni verificatesi dentro e attraverso i mass media in ambito di fruizione musicale; un approccio al paesaggio geografico come bene culturale, palinsesto della storia e del’identità regionale… La seconda parte del volume propone unità di apprendimento sia per la scuola primaria che per i due gradi delle secondarie, con l’indicazione di rispettivi laboratori su temi come le migrazioni, arte e storia, musica e folklore, storia e geografia delle bonifiche. Com’è facilmente intuibile, il libro divulga il frutto maturo di anni di sperimentazione da parte di gruppi di insegnanti, guidata da esperti in didattica disciplinare. (s.r.a.)

Mariano ARTIGAS, Melchor SÁNCHEZ DE TOCA

Galileo e il Vaticano

Marcianum Press, Venezia 2009, pp. 312. A un anno di distanza dalla sua pubblicazione nella serie della prestigiosa BAC (Biblioteca de Autores Cristianos), l’editore veneziano propone in versione italiana questo importante saggio, arricchito di una prefazione di mons.Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. L’edizione italiana, tralasciando discutibilmente il sottotitolo originale (Galileo y el Vaticano – Historia de la Comisión Pontificia de Estudio del Caso Galileo, Madrid 2008), rischia di indurre il lettore a credere che l’opera copre tutta la complessità del periodo in causa, mentre il libro si occupa solo di una parte, la più recente: la storia della Commissione di studio del caso Galilei creata da Giovanni Paolo II nel 1981 e chiusa da lui stesso nel 1992. In ogni caso, l’opera non si presenta come l’ennesimo tentativo ecclesiastico di stampo apologetico sull’argomento. E questo si rivela in un certo senso ancor più rilevante se si tiene conto delle loro credenziali: Mariano Artigas († 2006), sacerdote con due dottorati (fisica e filosofia), insegnava filosofia della scienza nelle università di Barcellona e di Navarra, mentre Melchor Sánchez de Toca è sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Cultura e coordinatore del progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest). L’obiettivo del libro è, appunto, quello di analizzare con la lente d’ingrandimento la breve storia della Commissione Pontificia sulla questione galileiana analizzandone finalità e risultati. Armati di grande onestà intellettuale e finissimo spirito critico, i due autori si addentrano nella vicenda scaturita dal discorso di Giovanni Paolo II per le celebrazioni del centenario della nascita di Albert Einstein (11 novembre 1979): in quell’occasione entrò in scena, un po’ a sorpresa, anche Galileo, considerato il padre della fisica moderna. Il compianto pontefice lamentava l’azione degli ecclesiastici che condannarono Galileo e, riferendosi alla costituzione conciliare Gaudium et spes (n.36), segnalava la radice di quell’errore: non aver riconosciuto la legittima autonomia della scienza. Il Papa chiedeva concretamente che “teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo”. Sulla base di questo auspicio, nel 1981 prese vita la Commissione Pontificia di studio del caso Galileo, la quale si impegnò ad approfondire gli aspetti storici, esegetici e scientifici della questione. Ma la cosa non finiva lì perché Giovanni Paolo II segnalava anche un’altra prospettiva di non minor importanza: accanto al noto conflitto, nel caso Galileo le coincidenze tra scienza e religione risultano più numerose e importanti delle discrepanze. Non era sufficiente, cioè, una semplice rivisitazione degli elementi storici, ma a partire da essi, mettere anche le basi per una nuova prospettiva epistemologica. Osservano i due autori:


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quest’ultima “è una linea che è stata molto poco trattata, ma che può dimostrare che nel caso Galileo una vera e propria opposizione tra scienza e religione non c’era (…). È un peccato che sia stata prestata assai poca attenzione a questo aspetto, che può essere considerato una questione in sospeso”. Con stile coinvolgente e di facile lettura, i due autori evidenziano la differenza tra i dati storici e il mito Galileo, presentando con attenzione critica le questioni ideologiche che si sono costruite attorno al padre della scienza moderna. In questo senso è di grande utilità la rassegna delle opere che più hanno influito sull’opinione pubblica, soprattutto dal secolo XIX ai nostri giorni. Non meno critica è l’analisi dei risultati della Commissione Pontificia e la mancanza di coordinamento rivelatasi negli ultimi anni della sua attività, trovandosi a oltre dieci anni dall’inizio dei lavori nell’impossibilità di presentare delle conclusioni rilevanti. In realtà, cosa si poteva dire di nuovo sul caso Galileo? Il discorso di Giovanni Paolo II del 1992 è stato recepito come una “riabilitazione” del geniale inventore italiano, ma si è riusciti a instaurare davvero un nuovo rapporto tra Chiesa e scienza? È l’interrogativo che sta alla base di questo libro, tenendo conto che la cultura scientifica ha inserito una presunta opposizione costitutiva tra scienza e fede. Se è vero che la scienza ha cambiato non solo la realtà circostante ma anche i modi di pensare e di agire, nell’attuale Anno dell’Astronomia, proclamato proprio nel IV centenario delle prime scoperte astronomiche di Galileo, si ripresentano gli stessi interrogativi sul rapporto tra scienza ed etica. Il libro si rivela così un opportuno invito a rileggere la vicenda di Galileo e riscoprire la convinzione del padre della scienza moderna, per il quale “procedono di pari dal Verbo divino

la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”. In questo modo, la tragica incomprensione sul caso

Galileo insegna che se è un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche, specularmente un uguale dovere compete alla comunità scientifica nei confronti della riflessione etica.

Adrian Danca

Maria MARTELLO

Educare con Senso senza disSenso

La risoluzione dei conflitti con l’arte della mediazione Franco Angeli, Milano 2009, pp. 266.

Trasformare il conflitto da problema a risorsa. Quando l’insegnante è vittima di un conflitto, e quando invece è il carnefice. Perché saper ammettere e gestire un conflitto è assolutamente preferibile a ignorarlo o, peggio, occultarlo. Perché la relazione educativa, a scuola e non solo, genera conflitti. Quando il conflitto diventa una provvidenziale scuola di vita. La prima parte del volume sviluppa queste tesi sulla base di provate esperienze e alla luce delle osservazioni della psicologia interpersonale. La seconda parte esplora invece le aree tematiche della formazione: come si cambiano le mentalità nel rapporto interindividuale e sociale; come garantire reciprocamente gli “spazi di sicurezza emotiva” nelle relazioni di lavoro; figura e ruolo del mediatore invocato a risolvere confitti; le procedure della mediazione tra discrezione e negoziazione. La terza parte presenta una gamma di “buone prassi”, reali o costruite che siano, analizzate nei loro contesti, moventi, protagonisti, procedure, esiti finali. Un volume che mira a educare alla relazione costruttiva, cioè a maturare quell’intelligenza emotiva assai spesso dimenticata da una scuola preoccupata quasi solo (e talvolta senza riuscirci) di educare l’intelligenza cognitiva. Un volume che indica criteri e strumenti per educare ai valori della cittadinanza e fondare la convivenza civile: in questo è ricca di proposte concrete soprattutto la terza parte, dove la pratica della mediazione viene illustrata attraverso i mille casi della vita scolastica e familiare che vede coinvolti docenti, genitori, nonni, consigli di classe, personale non docente ecc. Ogni categoria, sembrerebbe, con sempre troppe ragioni da vendere e nessun torto da ammettere. Ovvero: cosa càpita quando la litigiosità è eretta a ordinario


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sistema di relazioni… Un buon vademecum in tempi di vandalismo e di bullismo, e in clima di parole d’ordine gridate dall’alto e dal basso come “valori”, “dignità”, “diritti”, “responsabilità”, e l’ormai dilagante “emergenza educativa”.

Silvana Rita Allais

Michelina BORSARI, Daniele FRANCESCONI (edd.)

Famiglia: la costruzione religiosa del legame sociale Fondazione Collegio San Carlo, Modena 2008, pp. 208. Considerata unità naturale, cellula sociale o istituzione fondata sul consenso giuridico dei suoi membri, la famiglia ha ricevuto nel corso dei secoli le continue attenzioni dei sistemi religiosi, che considerano rilevanti le relazioni domestiche perché attraverso di esse passa una frontiera dei sacro che coincide con il dare la vita e garantisce il perdurare delie generazioni. E proprio Famiglia: la costruzione religiosa del legame sociale si intitola il nuovo volume curato da Michelina Borsari e Daniele Francesconi, pubblicato dalla Fondazione San Carlo di Modena e dalla Banca Popolare dell'Emilia-Romagna (www.fondazionesancarlo.it). Il libro raccoglie, accompagnati da oltre 200 immagini a colori, sette saggi di un ciclo di lezioni organizzato lo scorso anno dal Centro studi religiosi, un ciclo, spiegano i curatori, "che ha mostrato quanto sia indispensabile mettere da parte la visione di un passato omogeneo e indifferenziato, per apprezzare invece i cambiamenti radicali che sono via via intervenuti nella formazione delle famiglie, nel modo in cui esse si formavano e si scioglievano, nell'autorità costituita al loro interno, nelle relazioni tra i loro membri, negli strumenti giuridici per la loro protezione e nel loro potere e prestigio sociale". II primo saggio, di Eva Cantarella, docente di diritto romano e diritti dell'antichità all'Università di Milano, traccia un quadro delle istituzioni del matrimonio e della famiglia nel mondo antico. Il caso greco rivela che il matrimonio conserva una costante ritualità, destinata a segnare l'ingresso della donna nella casa del marito, mentre a Roma si succedono vari modelli di unione, da quello di natura religiosa a forme più laiche come la compravendita, il saggio di Adriana Destro, docente di Antropologia culturale all'Università di Bologna, ricostruisce i modelli della famiglia e del discepolato nel contesto in cui opera Gesù, il quale non sceglie la famiglia come base sociale della propria attività, ma intraprende la strada del gruppo discepolare, cioè di una struttura più flessibile e multiforme, che rinvia alle varie forme aggregative disponibili nella società dell'epoca, sia di natura religiosa che lavorativa. Nel suo saggio, Sergio Zincone, professore di Letteratura cristiana antica all'Università di Roma "La Sapienza", muove dei testi biblici che hanno orientato la discussione dei Padri della Chiesa su matrimonio e famiglia, in particolare Genesi, vari passi evangelici e Lettere di Paolo, fonti a partire dalle quali la tradizione cristiana si costruisce prevalentemente come riflessione sulla temperanza e che per i cristiani assume un valore specifico in prospettiva matrimoniale e in rapporto alla continenza sessuale e alla verginità. Il testo di Sara Matthews-Grieco, docente di Storia alla Syracuse Unìversity dì Firenze, illustra le trasformazioni dei rapporti tra i coniugi nella prima età moderna attraverso il loro riflesso nelle raffigurazioni della famiglia sacra. Per tutto il Quattrocento predomina la rappresentazione della parentela di Gesù (composta dalla Vergine e da sant'Anna, con san Giuseppe relegato al fondo dello spazio pittorico), mentre nella prima metà del Cinquecento al modello di famiglia multi-generazionale si sostituisce quello nucleare e alla trinità matriarcale quella patriarcale, in cui san Giuseppe assume il ruolo centrale e protettivo. Una considerazione filosofica sulla crisi di senso della famiglia nell'epoca moderna viene offerta dal saggio di Giuseppe Riconda, professore emerito di Filosofia teoretica all'Università di Torino. La prima morale borghese, mediata da valori cristiani, aveva sviluppato un modello di famiglia nucleare capace di esercitare la responsabilità e l'autonomia e di educare caratteri dai contorni netti attraverso l'autorità del principio paterno e la dolcezza fiduciosa del principio materno. Nello sviluppo successivo, dissociata dai valori religiosi, lo spirito borghese si è mostrata invece come puro spirito calcolante e strumentale.


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L'intreccio tra fondamento religioso e codificazione giuridica risulta particolarmente complesso nel diritto di famiglia musulmano. I! matrimonio islamico, infatti, non è un sacramento ma un contratto, che tuttavia trova fondamento in fonti divine o divinamente ispirate (Corano, Sunna, giurisprudenza delle scuole musulmane) che gli conferiscono valore religioso. Il saggio di Roberta Aluffi Beck-Peccoz, docente di Diritto musulmano all'Università di Torino, analizza in particolare l'evoluzione di alcune figure centrali del diritto di famiglia islamico, facendo emergere inedite dinamiche interpretative. Conclude il volume il saggio di Adriano Fabris, professore di Filosofia morale all'Università di Pisa, dedicato alle trasformazioni attuali delia famiglia e a! suo farsi instabile e plurale, nella mentalità che, a partire dall'Ottocento, la connette strettamente al rapporto d'amore (red.).

Alessandro SCAFI

Eurodesign. Immagini, avventure e misteri della moneta europea Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 167. Per il numero limitato dei tagli e per la loro vasta circolazione, le banconote hanno sempre rappresentato un luogo di selezione e di sintesi visiva dei valori e delle glorie di un Paese. La nascita dell’euro - che ha debuttato sui mercati finanziari il primo gennaio 1999 ed è diventato moneta spendibile, sostituendo le valute nazionali, nel 2002 - ha creato un problema nuovo. Che cosa raffigurare sul recto e sul verso di biglietti di banca che passano nelle mani di oltre 300 milioni di cittadini di 16 dei 27 paesi membri dell’UE? Dal concorso europeo esce vincitore Robert Kalina, disegnatore professionale alla Banca centrale austriaca, il cui design mette in evidenza tre elementi architettonici principali - porte, finestre e ponti – rinunciando alle figure umane e ai volti che avevano accompagnato le cartemonete dell’Otto-Novecento sotto forma di personificazioni astratte e allegoriche o di ritratti realistici di personaggi importanti. Forme e colori delle nuove banconote vengono illustrati agli europei la prima volta il 13 dicembre 1996. I sette tagli non rappresentano monumenti precisi, ma periodi della storia culturale europea. Sul biglietto da 5 euro – dedicato allo stile classico (dall’VIII secolo a. C. al IV secolo d.C.) - risalta la pietra grigia di un arco “che potrebbe essere stato edificato in epoca romana, negli anni intorno alla nascita di Cristo”, mentre la banconota rossa da 10 illustra lo stile romanico, che ha preso piede in Europa dalla fine del X al XII secolo e di cui restano soprattutto edifici religiosi. I 20 euro, colorati di blu, sono dedicati allo stile gotico, in voga in Europa dal XIII al XIV secolo: le masse murarie si alleggeriscono e l’arco acuto sostituisce quello semicircolare. Sui 50 euro di colore arancione compaiono invece due finestroni in stile rinascimentale, mentre il biglietto verde da 100 è dedicato al barocco e al rococò, sviluppatosi in Europa tra il Sei e il Settecento. La banconota da 200 euro, di colore giallo-marrone, illustra l’era della rivoluzione industriale, quando il metallo inizia a sostituire la pietra come materiale da costruzione. E’ lo stile adottato tra il 1850 e il 1914, qui sintetizzato dalla facciata di un edificio in ferro, tipico delle stazioni ferroviarie ottocentesche. Infine, la banconota violetta da 500 euro è dedicata allo stile moderno, che risale agli anni Trenta del Novecento. Assenza di decorazioni, tetti piatti, linee dritte, pareti bianche intonacate e levigate, grandi finestre trovano la loro espressione in due facciate sovrapposte di edifici, le cui lastre di metallo potrebbero racchiudere un palazzo di uffici di fine secolo scorso. Se i disegni del recto delle banconote propongono “una storia degli stili europei ideale e astratta, priva di richiami locali”, - si capta l’essenza in modo riconoscibile, ma indistinto - il verso dei biglietti raffigura, sempre nei diversi stili, il disegno di un ponte, elemento architettonico che simbolicamente e concretamente collega popoli e culture. Diversa la situazione per le monete, disegnate da Luc Luycx, che su un lato riproducono in tutti i Paesi la stessa immagine e sull’altro lasciano libertà di scelta ai singoli Stati. In particolare, Austria, Grecia e Italia hanno scelto di raffigurare un disegno diverso sopra ogni tipo di moneta e questo ha consentito al nostro Paese di celebrare Dante raffigurato secondo l’affresco del Par-


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naso di Raffaello (2 euro), l’uomo vitruviano di Leonardo (1 euro), il monumento equestre

dell’imperatore romano Marco Aurelio (50 centesimi) un’opera futurista di Boccioni (20 centesimi), un dettaglio della Nascita di Venere di Botticelli (10 centesimi), il Colosseo (5 centesimi), la Mole Antonelliana (2 centesimi) e la fortezza di Castel del Monte, costruita in Puglia da Federico II di Svevia (1 centesimo). “E’ interessante notare – annota l’A., docente al Warburg Institute di Londra.– che nella descrizione offerta dal sito Internet della BCE diversi simboli che esprimono una forte identità nazionale, talvolta già presenti nelle vecchie valute, sono presentati in una luce nuova e in un contesto europeista, a esprimere allo stesso tempo fedeltà allo spirito della nazione e apertura al processo di integrazione”. Pur anonima, senza volto e con i segni identitari ridotti al minimo, come lamentano i detrattori, la valuta europea celebra architetture ideali, edifici stabili e non effimeri, realizzazioni dell’uomo e non della natura, che combinano estetica e tecnologia. Del resto, con identità sempre in divenire, servono simboli capaci di adattarsi a ogni sviluppo e pronti a rappresentare ciò che oggi esiste solo in potenza.

Roberto Alessandrini

Enzo CICONTE

‘Ndrangheta

Rubettino, Soveria Mannelli 2008, pp. 153. Osso, Mastrosso e Carcagnosso erano tre cavalieri spagnoli che aderivano ad una società segreta di Toledo. Intorno al 1412, dopo aver vendicato con il sangue un’offesa arrecata ad una sorella, fuggirono dal loro paese e trovarono rifugio nell’isola di Favignagna, dove rimasero nascosti per 29 lunghi anni. Terminato quel tempo, Osso si recò in Sicilia e fondò la mafia, Mastrosso andò in Campania per organizzare la camorra e Carcagnosso si portò in Calabria per dare vita alla ‘ndrangheta. Questa favola racchiude gli elementi simbolici essenziali della cultura e dell’ideologia della criminalità organizzata: rimanda alla Spagna, mito fondante delle organizzazioni mafiose, accredita origini nobili, richiama l’onore, la famiglia, la segretezza, le regole e allude – nel richiamo a Favignana, sede di penitenziario – all’importanza del carcere nella formazione del mafioso. Ingredienti ai quali si aggiunge una miscela di sacro e profano che porta a cercare riparo, forza e autorevolezza nei santi cattolici e nella Madonna. Enzo Ciconte, tra i maggiori esperti italiani di criminalità organizzata, deputato nella X legislatura, saggista e docente universitario, racconta la favola dei cavalieri spagnoli in un libro dedicato alla ’ndrangheta, la mafia più forte, flessibile e dinamica nel traffico internazionale della droga, ma anche la meno studiata e la più misteriosa, rimasta a lungo al riparo dei riflettori e ascesa di recente alla ribalta mediata con l’omicidio Fortugno e la strage di Duisburg. Il libro narra la storia degli “uomini d’onore” calabresi dall’Ottocento a oggi, descrive la struttura famigliare dell’organizzazione (fenomeno che ha enormemente limitato il pentitismo), il protagonismo nella stagione dei sequestri di persona, i rapporti con l’economia e la politica, la partecipazione alle logge deviate della massoneria e gli stretti rapporti con le altre organizzazioni criminali. Il radicamento dalla ‘ndrangheta anche fuori della Calabria, nelle regioni del centro e del nord Italia (per non parlare di Paesi come Germania, Australia, Spagna, Colombia, Francia e Canada), è anche il risultato – spiega Ciconte – della legge sul soggiorno obbligato dei mafiosi, che ha favorito il radicamento delle organizzazioni criminali in vari luoghi del Paese. Ma è anche una delle conseguenze inattese del miracolo economico, che ha registrato un’imponente emigrazione dal sud al nord dell’Italia e un evidente ritardo delle politiche so-


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ciali e urbanistiche delle città settentrionali che, concentrando calabresi, siciliani e campani in periferie-ghetto, ha favorito, senza volerlo, il terreno di coltura di logiche e mentalità criminali. Ma è bene non dimenticare anche la responsabilità morale degli imprenditori del nord, che negli anni della costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria non hanno fatto valere la loro forza politica ed economica e si sono sottomessi ai ricatti dei mafiosi locali. Anche di recente, lo Stato si è mostrato incapace di intervenire con efficacia contro le ‘ndrine. E’ la conferma che la sola azione repressiva non è sufficiente “se non è accompagnata dalla rigenerazione del modo come in Calabria si è fatta e si fa politica, dal rinnovamento delle classi dirigenti, questione che non riguarda solo i partiti, ma anche le associazioni degli imprenditori e dei commercianti, e i sindacati; se non è aiutata dai giovani, da una Chiesa che sia in grado, come sta facendo, di liberarsi dalle scorie del passato e di suoi rappresentanti silenti o collusi”. Se non è sospinta – aggiunge Ciconte – “dal mondo della cooperazione che sia capace di aiutare gli sforzi di tanti giovani che con le cooperative promosse da Libera e da tante altre associazioni stanno gestendo i terreni e le proprietà immobiliari che un tempo erano in mano delle ‘ndrine perché ormai davvero tutti sono convinti che solo impoverendole le si potrà davvero indebolire e prima o poi sconfiggere”.

Roberto Alessandrini

Giovanni FILORAMO, Francesco REMOTTI (edd.)

Pluralismo religioso e modelli di convivenza Edizioni dell’Orso, Alessandria 2009, pp. 246. Sono gli atti del Convegno internazionale di Torino, 20-21 settembre 2006, svoltosi nell’ambito di “Torino Spiritualità”. Un convegno che, a differenza di altri incontri che privilegiano far dialogare rappresentanti qualificati delle fedi religiose, ha fatto interloquire studiosi del fenomeno religioso chiamati a intervenire per le loro competenze accademiche nei diversi rami delle scienze religiose non teologiche, prescindendo quindi dalla loro posizione personale in materia religiosa. Il pluralismo religioso è fenomeno emergente nell’attualità occidentale ed anche italiana, ma non nuovo, solo che si pensi alla pluralità religiosa che caratterizzò imperi antichi (ad es. l’impero degli Achemenidi, l’impero romano) o epoche premoderne (ad es. l’Andalusia che ha visto convivere i tre monoteismi). Le religioni possono essere studiate come fattori di conflitto, tanto quanto di integrazione e di convivenza. Diversi specialisti hanno sviscerato il problema da diverse coordinate storico-geografiche, socio-culturali, politico-giuridiche. L’ottica del convegno era manifesta: se la convivenza è davvero un valore, e un valore irrinunciabile, occorre pensare non solo a specifiche tecniche di convivenza, ma a una vera e propria cultura della convivenza, da cui quelle tecniche traggono ispirazione. Tutte le relazioni hanno il merito di proporre all’analisi tanto presupposti e condizioni di convivenza, quanto gli ostacoli che molto spesso vi si frappongono. I contributi - una dozzina di tasselli complementari che creano un mosaico convincente – “hanno voluto trasferire il tema della convivenza interculturale e soprattutto interreligiosa dal piano di una retorica spesso inconcludente e persino infida a quello di una riflessione scientifica, capace proprio per questo di indicare mezzi, strumenti e prospettive mediante cui una approfondita cultura della convivenza possa trasformarsi in una efficace politica della convivenza”, come affermano i Curatori dell’opera.


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LIBRI PERVENUTI BUSCEMI Pasquale, Un vescovo in dialogo con la sua Chiesa. Mario Sturzo e le sue Lettere pastorali, “Documenti e Studi di Synaxis”, Giunti-Studio Teologico S.Paolo, Firenze-Catania 2008, pp. 253. ISBN 978-88-09-06334-1.

DE COOPERAÇÃO da URI (Iniciativa das Religiões Unidas), Diversidade religiosa e Direitos humanos, Gráfica da Assembléia Legislativa do Estado do Paraná, 2005, pp. 36 +

CIRCULO CD.

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (ed.), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa. Atti della ricerca del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, Elledici, Leumann TO 2008, pp. 461 + cd. ISBN 978-88-01-04116-3.

CONILL SANCHO Jesús, Dalla legge naturale all’universalismo ermeneutico, “Quaderni di filosofia”7, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2009, pp.40. ISBN 978-88-95159-14-0. FILORAMO Giovanni, REMOTTI Francesco (edd.), Pluralismo religioso e modelli di convivenza, “Biblioteca di Studi storico-religiosi” 3, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2009, pp. 246. ISBN 978-88-6274-083-8. FRACARO RODRIGUES Edile – Emerli SCHLOEGL – Sérgio R. AZEVEDO JUNQUEIRA, Alteridade, Culturas & Tradições, Cortez Editora, São Paulo 2009, pp. 104. ISBN 978-85-249-1457-7. FRACARO RODRIGUES Edile – Sérgio JUNQUEIRA, Fundamentando pedagogicamente o Ensino Religioso, Editora Ibpex, Curitiba 2009, pp. 173. ISBN 978-85-7838-210-0. LOMBAERTS Herman, POLLEFEYT Didier, Pensées neuves sur le cours de religion, préface de msg Marcel VILLERS, Coll. Haubans 3, Lumen Vitae, Bruxelles 2009, pp. 112. ISBN 978-287324-351-7. PENTON M. James, I Testimoni di Geova e il Terzo Reich. Inediti di una persecuzione, trad. di A.Aveta e S.Pollina, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2008, pp.552. ISBN 978-887094-714-4.

Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di una ricerca, a cura di Leonardo Palmisano e del Gruppo Scuola e Laicità, con un saggio di Gustavo Zagrebelsky, Claudiana, Torino 2009, pp.176. ISBN 978-88-7016-764-1.

SOUZA ALVES Luiz Alberto, Cultura religiosa. Caminhos para a construção do conhecimento, Editora Ibpex, Curitiba 2009, pp.221. ISBN 978-85-7838-188-2. TERRACCIANO Antonio (ed.), Attese e figure di salvezza oggi, “Biblioteca Teologica Napoletana” 29, Editrice Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sezione S.Tommaso d’Aquino) e Campania Notizie srl, Napoli 2009, pp. 342. ISBN 978-88-95159-13-3. TUROZI DE OLIVEIRA Ednilson, Ensino Religioso. Fundamentos epistemológicos, Editora Ibpex, Curitiba 2009, pp. 139. ISBN 978-85-7838-144-8. VETRALI Tecle (ed.), La santità terreno di unità, “Quaderni di Studi Ecumenici” 18, Ed.Istituto San Bernardino, Venezia 2009, pp. 234. ISSN 0393-3687.




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