Rivista lasalliana 4-2009

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Rivista lasalliana

Trimestrale di cultura e formazione pedagogica anno 76, n. 4, ottobre-dicembre 2009


RL

Rivista lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle e delle Scuole cristiane da lui fondate. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, in particolare in area italiana ed europea, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi sulle Fonti lasalliane e aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. E’ redatta da un comitato di Lasalliani e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche e universitarie della Regione Euro-Mediterranea. Rivista lasalliana trimestrale fondato in Torino nel 1934 anno 76, n. 4, ottobre-dicembre 2009 Direzione e redazione Rivista lasalliana, Via Aurelia 476, 00165 Roma fpajer@lasalle.org – telefoni: 06 66523305 – 06 665231 Riviste in cambio e libri in recensione: Rivista lasalliana, Casella Postale 9099, 00167 Roma Gruppo redazionale Mario Chiarapini, Gabriele Di Giovanni, Flavio Pajer (dir.), Marco Paolantonio, Nicolò Pisanu, hMario Presciuttini, Roberto Zappalà Comitato scientifico Emilio Butturini (Verona), Robert Comte (Lyon), Sergio De Carli (Varese), Lluís Diumenge (Barcellona), Mario Ferrari (Pavia), Teódulo García Regidor (Madrid), Pedro Gil L.(Bilbao), Edgard Hengemüle (Porto Alegre), Herman Lombaerts (Leuven), Vito Moccia (Torino), José M. Pérez Navarro (Madrid), Lino Prenna (Perugia), Gerard Rummery (Australia), Jean-Louis Schneider (Lyon), Lorenzo Tébar Belmonte (Paris). Amministrazione Editore: Associazione culturale lasalliana: Elio Pomatto, Viale del Vignola 56, 00196 Roma gabriele.pomatto@gmail.com – telefoni 06 32294503 – 3471033855 – fax 06 3236047 Abbonamenti Ordinario in Italia € 24.00 - Docenti lasalliani € 18.00 - Sostenitore € 50.00 - Estero € 30.00 ($ 36) Un numero separato € 6.00, Ccp 12378113 intestato a ACL Associazione culturale lasalliana Codice IBAN: IT51N076000000012378113 Composizione, stampa, spedizione Graphisoft, Via Labicana 29, 00184 Roma – tel.067001450 – fax 0677255402 www.graphisoft.it - info@graphisoft.it – M. Proetto, art director Registrazione Tribunale di Torino 26.01.1949 n.353 Tribunale di Roma 12.06.2007 n.233 Direttore responsabile Flavio Pajer Periodico associato all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 1826-2155 Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 (L 27/2004 n.46) art.1 comma 2.


2009, n. 4 (304)

RICERCHE E STUDI

(p.557-562 solito indice, sommario ecc., che potrò consegnare più tardi) 563 Francesco Trisoglio, S.Cesario di Arles… 575 Guglielmo Scannerini, Il Traité des études…(p.590 bianca) 591 Emilio Butturini, don Mazzolari… (p.600 bianca) 601 Vari, Ricerche sull’istruzione religiosa…

PROFESSIONE DOCENTE 617 637 649 663 675

Paolantonio, Valutazione… (p.636 bianca) Diumenge, Etica per educatori… Lorenzo Tebar, Feuerstein… MC Giorda, Storia religioni… Lucchiari, chiaroscuri…

LASALLIANA

683 Rafiringa, 3 articoletti successivi in unico blocco… 693 Valladolid, Retazos lasallianos.. (p.704 bianca) 705 Cronache dal mondo las…

BIBLIOTECA 713 Bibliot 1 / 2 / 3 729 Indici annata 2009 (da fare solo dopo le bozze definitive del n. 4) Libri ricevuti


In attesa del nuovo

Sommario provvisorio

FRANCESCO TRISOGLIO

375-385

La prima catechesi battesimale agli albori del cristianesimo: il De baptismo di Tertulliano – Con quest’opera scritta nel clima polemico a cavallo tra il secondo e il terzo secolo, Tertulliano smonta, con vigore dialettico a volte aggressivo, gli argomenti capziosi dei suoi antagonisti; ne svela il gretto agnosticismo; difende ed esalta l’efficacia del battesimo, felix sacramentum aquae nostrae. La simbologia dell’acqua e del lavacro, l’azione dello Spirito e l’autorità del ministro celebrante, l’intenzione del neofita e il ruolo della comunità, gli affondi nelle Scritture dell’antica e della nuova Alleanza: questi i capisaldi teologici del primo trattato sistematico dell’Apologeta. Non mancano infine robuste e perspicaci soluzioni offerte alla vasta casistica delle quaestiones disputatae del tempo.

HERMAN LOMBAERTS

387-401

Quand la violence menace la vie des jeunes. Le potentiel symbolique de l’ «élément étranger» – Un atto criminale tra adolescenti d’una scuola cattolica belga fornisce materia a letture multiple e spinge la comunità educativa a trovare risposte adeguate all’irruzione di eventi drammatici o comunque eccedenti il quotidiano: gestire l’incontrollabile, farsi carico delle assurdità della vita, elaborare la transizione dall’emergenza alla normalità, imparare da quel curricolo occulto che sono le esperienze non programmate, imparare dalla concretezza “estetica” dell’imprevisto, allearsi con quanto di “strano – estraneo - alieno” può capitare per farne terreno di apprendimento vitale, dove anche il vangelo – come dovrebbe saperlo leggere una scuola cattolica – getta una luce inconfondibile e restauratrice per superare le fratture lasciate aperte dalla violenza.

GIORGIO BELLIENI

403-414

Un contributo pedagogico per l’educazione alla cittadinanza : il servizio civile obbligatorio – Servizio civile come nuova forma di riti di passaggio all’età adulta. Portata formativa di un percorso extrascolastico da offrire in complementarità, se non in alternativa, agli esuberanti ma spesso inconcludenti curricoli dell’istruzione formale, o allo stesso servizio militare. Cosa prevede la legislazione italiana e cosa ha già detto la recente letteratura pedagogica a riguardo. Un pertinente invito a non sottovalutare una opportunità di auto-educazione ai valori della cittadinanza attiva al di là della retorica di scuola o delle ideologie di varia estrazione

PATRIZIA MORETTI

415-431

Una pastorale rinnovata nel segno dell’educativo: i criteri operativi dell’educazione permanente (parte II) – La tesi di partenza è che l’educazione permanente può offrire un modello operativo in risposta alle esigenze dell’azione pastorale, in particolare in ambito di comunità ecclesiali adulte. La riflessione recupera la valenza delle componenti strutturali dell’EP per valutarne la consonanza e la funzionalità con gli orientamenti e le normative dell’azione pastorale delle comunità cristiane, tenendo come orizzonte l’ideale utopico della Chiesa prefigurata come “comunità educante che sa essere al tempo stesso auto-educante”.

FORUM delle Associazioni Familiari

432-436

Per una scuola di qualità – Un’organica e autorevole riflessione su punti nodali dell’attuale stagione della scuola italiana: un’autonomia istituzionale a rischio, una libertà di scelta seriamente compromessa da vincoli economici, un ruolo educativo della famiglia assai fragile e incompiuto, una categoria docente lasciata in balia di improvvide condizioni formative, economiche e burocratiche. “E’ indispensabile che la scuola cessi di essere terreno di scontro poli-


tico e divenga invece il tema per un’azione comune di fronte alla grave emergenza educativa del Paese”.

ROBERTO ALESSANDRINI

437-446

Ombre et nuage. Les corps des anges dans les représentations picturales de l’Annonciation – In molte raffigurazioni pittoriche dell’Annunciazione, l’angelo Gabriele proietta un’ ombra come se avesse un corpo. Un’ombra ancora rara nell’arte del TreQuattrocento, ma sempre più frequente dal Cinquecento in poi. L’ombra anzi si evolve in nube, in luce, in fuoco. Cambiano i simboli e cambiano i loro significati. La pittura del SeiOttocento interpreta con grande sfoggio di metafore i testi biblici di riferimento (la ‘gloria’ di Jahvé nell’Esodo, i vangeli dell’infanzia con le numerose apparizioni, l’ombra taumaturgica di Pietro…), conferendo loro significati consoni all’air du temps..

MARCO PAOLANTONIO

447-466

Valutazione e autovalutazione dell’istituzione – “Nata per valutare, non per essere valutata”, la scuola non può sottrarsi a valutazioni esterne e alla autovalutazione: per ragioni sociali ma anche strettamente professionali. La valutazione esterna, esercitata a livello internazionale, nazionale e regionale, offre orientamenti, esperienze e strumenti operativi isolati e non molto organici. La valutazione interna o d’istituto dovrebbe estendersi sia alle prestazioni dei responsabili (dirigenti e docenti), sia alla qualità del servizio da parte degli utenti (famiglie e allievi). L’offerta formativa di ogni istituto: dichiara gli elementi caratterizzanti la progettazione educativa e la programmazione didattica; dà conto del servizio realmente erogato; illustra come sono pianificati i processi di apprendimento e come sono accertati i risultati. Il tutto mediante forme di valutazione tempestive, trasparenti e adeguate.

LLUIS DIUMENGE

467-478

Etica per educatori. Un minilessico : (3) Ciudadanía - Comunicación - Economía - Política – I quattro lemmi di questa puntata fanno seguito agli otto già pubblicati nei numeri precedenti. Fedele allo standard adottato, l’a. illustra ciascun lemma offrendo precisazioni concettuali, dati storici, richiami scientifici e letterari, ricadute giuridiche, e soprattutto orientamenti pertinenti sul piano dell’operatività educativa.

DANIELA RODONDI

479-484

Soggetti disabili e formazione professionale. Criteri e pratiche di inclusione sociale – Delineato l’attuale profilo normativo entro cui si svolgono le attività di formazione professionale per soggetti disabili, vengono presentate le molteplici azioni svolte ultimamente e al presente dalla “Casa di Carità” per garantire ai propri iscritti un adeguato percorso di integrazione, dapprima dentro il sistema formativo stesso e quindi nel mondo del lavoro e nella società. Conclude una valutazione complessiva dell’insieme del progetto e dei risultati conseguiti.

MARIO CHIARAPINI

485-494

Le nuove tecnologie comunicative: una sfida all’educazione familiare e scolastica – Discorso non nuovo ma sempre più impellente nelle preoccupazioni di chi, in famiglia e a scuola, ha responsabilità educative di minorenni in età scolare. Sulla base dei monitoraggi che periodicamente alcuni Enti nazionali e internazionali praticano su campioni di popolazione, cresce l’allarme per l’invasività talora deleteria dei nuovi mezzi presso i giovani e i giovanissimi. Non mancano regole che disciplinano i comportamenti, ma urge nel contempo, e anzitutto, prevenire ed educare.


LORENZO TEBAR

495-498

¿Cómo aprender el sentido de la vida? – Il senso della vita comincia là dove si risveglia il gusto del conoscere, il piacere della scoperta, l’esperienza di valori vissuti in interiorità e in comunità. L’avventura umana coinvolge tutti i sensi e i sentimenti. Che vanno quindi ‘educati’ almeno come ci si preoccupava di educare l’intelligenza, la memoria, le competenze tecniche. Quando la scuola è aperta alla totalità della persona, è per ciò stesso scuola ‘cristiana’.

ANNA LUCCHIARI

Chiaroscuri sull’attualità.

499-504

1/Silenzio, si sparla, o di certi abusi del linguaggio corrente. 2/ Cieli azzurri: un tuffo nei panorami (incontaminati?) dei Caraibi. 3/Quotidiani e libri, quale futuro?: carta stampata versus chips, una battaglia ai ferri corti. 4/Il fascino irresistibile del buco della serratura: a proposito di vizi privati e pubbliche virtù (del premier nazionale).

JEAN-LOUIS SCHNEIDER

507-518

Contribution à l’étude d’un projet de Règle pour les Frères des écoles chrétiennes. Sur la Règle de 1718, 1er chapitre – La Regola delle origini, come anche lo stile di vita dei primi Fratelli, mostrano che il punto di equilibrio dell’Istituto FSC si trova, non già nella vita religiosa canonicamente intesa, bensì nella missione di istruire i figli degli artigiani e dei poveri, al fine di procurar loro la salvezza. Da questa rilettura del cap.1 della Regola del 1718 discendono conseguenze non indifferenti sul piano della ridefinizione attualmente auspicata non solo della lettera delle Regole, ma dello spirito e della natura della stessa consacrazione religiosa laicale.

ÁLVARO RODRÍGUEZ ECHEVERRÍA

519-524

La Salle, attualità e sfide di un progetto educativo – Inaugurando le celebrazioni del 150° anniversario di fondazione della Scuola San Filippo Neri di Massa (Italia), il Superiore della congregazione ridefinisce i tratti distintivi dell’educazione lasalliana nell’attuale contesto di globalizzazione; richiama l’urgenza dell’istruzione come uno dei bisogni-diritti fondamentali della persona, in particolare dei giovani; ripropone la figura dei religiosi lasalliani come persone associate per la missione educativa nel segno del carisma evangelico del La Salle; lancia un appello ai giovani d’oggi e ai loro educatori perché osino sognare e realizzare un futuro di convivenza nel rispetto delle diversità.

Cronache dal mondo lasalliano

525-536

ITALIA – Mario Presciuttini FSC: un ritratto di famiglia (Remo Guidi), 525 USA – Lasallian Education for Religious Diversity (Jeffrey Gros), 527 FRANCE – Master « Action éducative internationale, Médiation sociale et Ouverture interculturelle » (Institut Catholique de Paris, Faculté de Sciences sociales et économiques), 528 MEXICO – Ressources et recherches lasalliennes (Claude Reinhardt), 529 AMERICA LATINA y CARIBE – Observatorio educativo lasallista para los Derechos de los menores (website de la RELAL), 532 ESPAŃA – La vida religiosa apostólica según el Concilio (Josean Villalabeitia), 532 ITALIA – Note per una politica della gestione degli archivi lasalliani (F. Ricousse, G.Pomatto)


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 4, 563-574

La catechesi nei Padri della Chiesa / 7

San Cesario d'Arles: la catechesi in una società multietnica Francesco Trisoglio, fsc

C

esario, di stirpe gallo-romana, nacque verso il 470, nell'imminenza della caduta dell'Impero d'Occidente (476); tra i 20 ed i 30 anni fu monaco a Lerino, finché nel 503 fu eletto vescovo di Arles, dove prosperava anche una colonia di Greci provenienti da Marsiglia. Nel 513 fu onorato da Teodorico ed insignito dal Papa Simmaco della dignità di suo delegato e di metropolita della Provenza; morì il 27 agosto 542. Visse sotto tre regni: quello dei Visigoti fino al 507, degli Ostrogoti (508-536), dei Franchi dopo il 536. Clodoveo, re dei Franchi, cattolico, aiutato da Gundobaldo, re dei Burgundi, nel 507 a Vouillé vinse Alarico II, re dei Visigoti e nipote di Teodorico, che morì in battaglia. Allora intervenne Teodorico, che assegnò il regno all'altro nipote, Amalarico (508-531), ariano, il quale ebbe però la stolteza di maltrattare la moglie Clotilde, cattolica, figlia di Clodoveo. Ciò comportò l'attacco armato di Childeberto, figlio di Clodoveo e fratello di Clotilde, il quale vinse presso Narbona e cacciò Amalarico (531). Gundobaldo, dopo Vouillé, ottenne un'esigua signoria tra il regno di Clodoveo, ritiratosi a Parigi, dove morì nel 511, e quello di Amalarico. Nel 534 Childeberto conquistò ed annesse il regno dei Burgundi. Intanto nel 535 Giustiniano intraprese la conquista dell'Italia, per cui Vitige, attaccato da Belisario, nel 536 abbandonò la Provenza ai Franchi; Childeberto poté quindi unire tranquillamente al suo regno Arles e Marsiglia. La cura pastorale di


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Francesco Trisoglio

Cesario doveva pertanto adeguarsi a Gallo-romani, Greci, Visigoti, Ostrogoti, Burgundi, Franchi: era un assortimento assai variamente composito, che comportava un intreccio di tradizioni e di costumi dal quale ne derivava un altro di attitudini psicologiche e mentali a ricevere ed a capire il messaggio.1

Essenzialità in perspicuità La sua parola doveva pertanto attraversare una molteplice serie di scaglioni ed in ognuno doveva accendere una luce di verità intellettuale e suscitare correttezza nella pratica morale. Quale accorgimento didattico conguo con la situazione gli si presentò subito l'essenzialità di nozioni e di esigenze nel comportamento, trasmessa in un linguaggio immediatamente accessibile.2 L'essenzialità doveva però tutelarsi dallo scadere in insufficienza; la lacuna può infatti aprire l'adito all'errore in teologia ed alla deviazione nella condotta. Cesario mira con precipuo interesse al comportamento, ma sa che "quantunque sia meglio fare che conoscere, tuttavia il conoscere viene prima del fare; si deve infatti conoscere ciò che si desidera compiere" (Serm. 4,1). Ed a base del compiere pone la verità del credere, concentrandola al suo livello più alto. Nel presentare il Simbolo, al comma iniziale "Credo in Dio Padre onnipotente", appone la precisazione: "Quando senti dire 'Dio', mettiti in mente una sostanza senza principio e senza fine; quando senti dire 'Padre', mettiti in mente che è Padre del Figlio. Con questo stesso nome con cui Dio viene chiamato Padre, si dimostra che col Padre sussiste ugualmente anche il Figlio. Come poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu lo discuta" (Serm. 9). Ne emerge un doppio principio metodologico: la catechesi che mira alla moralità della vita non parte da essa, vi arriva; la pratica quotidiana manca di linfa se resta priva di fondamenti; non è un principio, è un riflesso; gli atti non si sorreggono senza i motivi; le raffiche travolgenti delle passioni trovano gli unici frangivento in ciò che ne supera la provvisorietà in quanto proviene da un assoluto. La parenesi emotiva si dissolve prontamente se non si radica nel trascendente; la catechesi deve avere una forte e limpida anima di teologia. E questa deve esplicarsi in una riflessività che illumini in chiarezza il campo attingibile dalla ragione, nella percezione di ciò che le è accessibile e di ciò che la supera. La prova più alta dell'intelligenza è riscontrare i proprii limiti; non si umilia arrestandosi, si sublima riconoscendo che la verità si protende in un infinito avvolto nel mistero. 1 P. Lejay, Césaire d'Arles, in DThC II,2 (1932) in col. 2185 conclude che egli, all'inizio di un'epoca di barbarie, diventò un maestro, uno di quelli che hanno dato alla Chiesa merovingica una dottrina, una predicazione una disciplina, una cultura. - Il voluminoso lascito letterario di Cesario comprende i discorsi editi da G. Morin in CCL 103-104: Admonitiones (nn.1-80), Sermones de Scriptura (81-186), de tempore (187-213), de sanctis (214-232), ad monachos (233-238). Le admonitiones sono state ripubblicate con ampia introduzione e commento da M.-J. Delage come Sermons au peuple in SC 175; 243; 330. Cesario compose inoltre una Regola per le monache ed una Lettera loro diretta (Vereor), che sono state edite da A. de Vogüé e J. Courreau in SC 345; i sermoni 232-238 e la brevissima Regola per i monaci sono stati da loro editi in SC 398. 2 S. Felici, La catechesi al popolo di S. Cesario d'Arles, in Salesianum 41 (1979), 375-392, a p.391 conclude che la sua catechesi al popolo ha un carattere globale; punta a far risaltare i nuclei centrali e le verità principali della dottrina cristiana, con accentuazione della morale.


San Cesario D’Arles

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È l'impostazione che ne diede Cesario: propose la sostanza in una completezza che la concisione, invece di obnubilare, evidenzia; della verità sa enucleare le linee portanti; c'è una chiarezza che ha un suono di autorevolezza; è un mistero, ma si mostra affidabile in quanto si veste di una logica ben persuasiva; quella formulazione costituisce un eccellente sostegno sia all'intelligenza che alla memoria: la fede va infatti tanto esattamente conosciuta quanto fedelmente ricordata; è sterile una catechesi che non si radica in una perennità che non venga dilavata dal tempo. Cesario vuole che si conosca il mistero del Dio trinitario, senza però disquisirvi sopra; accoglierlo è ragionevolezza, farne occasione di compiaciuta curiosità è vanità; egli anticipa il dantesco:"State contenti, umana gente, al quia; / ché se possuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria" (Purg.III,37-39). Più che discettare di cristologia3, Cesario contempla Cristo nella sua Passione e morte in croce: è una meditazione raccolta che segue le fasi dell'evento in una riflessione fortemente partecipata; c'è commozione di pensiero senza effusione di sentimento: "Ha sopportato tutto ciò in condiscendenza, lui che poteva ritorcere i maltrattamenti sui suoi avversari" (11,4). Non abbassa la soprannaturalità, l'avvicina; le toglie quel freddo di estraneità che facilmente ne accompagna il racconto. Alla totalità del dono divino Cesario vuole che corrisponda quella dell'uomo; ammonisce infatti che "ogni peccatore quando, nell'elemosina, offre a Dio il suo denaro, deve offrirgli insieme anche la sua anima" (32,1). Di questa integralità dello spirito segnala, in una visione generale, il bacillo che la corrode: "Quanto più cresce l'abbondanza delle cose, tanto più aumenta la brama della cupidigia che si sente insoddisfatta" (35,3): nell'invitare all'elemosina vincendo la cupidigia pone la sentenza riassuntiva: con la categoricità della formulazione insinua anche quella dell'idea. Cesario ama inquadrare il caso specifico (la quaestio finita) in un quadro complessivo (la quaestio infinita): a quelli che procrastinavano il battesimo alla vecchiaia domanda "con quale faccia rimandino al tempo della vecchiaia la propria salvezza, quando non possono essere sicuri dello spazio di una sola giornata" (22,5): alla dialettica raziocinatrice surroga l'evidenza intuitiva; l'argomento ha l'irrefutabilità dell'evidenza. Cesario, chiaro nella dottrina, evita di impigliarsi in sottigliezze capziose; se gli capita di incontrare qualcuno che vi si soffermi, include il problema in un cornice generale, riportando testi scritturali che gli siano perfettamente connessi: si avvale così di una doppia voce; fa consacrare le argomentazioni razionali umane con la sacralità della parola divina. Con un'immediatezza analoga, in campo morale, più che illustrare virtù raffinate, urta frontalmente i vizi fondamentali; insiste pertanto con tenacia contro l'ubriachezza, l'aborto, l'adulterio, il concubinaggio, il sortilegio, l'odio verso i nemici: sono i morbi che distruggono la sanità della vita cristiana. È al riguardo intransigente; sapeva che questa sua rigidezza sui princìpi essenziali gli suscitava malumori4, che egli cercava comunque di disinnescare; si sforzava di smussare la durezza dei precetti con il garbo

3 Rumoreggiavano ancora violenti i marosi del monofisismo e del nestorianesimo, mentre stavano avvicinandosi quelli del monotelismo. 4

"Vi supplico, con la più grande umiltà, che nessuno di voi si irriti con me ... perché mi sforzo così spesso di indurvi a pensare al giorno del giudizio, che incute una così terribile ed utile paura" (57,1).


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Francesco Trisoglio

della presentazione5, senza tuttavia mai cedere in nulla sulla verità delle norme per amore di popolarità o per timidezza dinanzi all'opinione corrente; al giudizio passionale degli uomini preponeva il tribunale escatologico di Dio.

Amabilità di tratto e ardore di zelo Cesario cerca di spianare la via all'inderogabilità dei princìpi con una calda comprensione verso coloro che li debbono applicare; cerca di inserire nella legge un palpito di umanità, di rendersi simpatico, di ridurre la distanza tra docente e discente, di addolcire la perentorietà della sua supremazia. Incomincia con l'evitare un tono pomposo che possa lasciar trasparire una boria soddisfatta; si propone, ed attua, un linguaggio simplex et pedestris (1,13) "cammina per terra", al livello degli altri6. Intrattiene sovente con il suo pubblico una conversazione aperta e familiare; richiama al dovere con un fervore velato di discrezione, che diventa l'atmosfera in cui si fondono l'interesse dell'oratore e quello degli ascoltatori; il maestro si è fatto compagno senza scadere di autorevolezza; il suo ammonimento si colora di consiglio, che passa a confidenza per finire talora in una delicata sfumatura di supplica. Preme procedendo accanto, anche se in testa; le sue parole, talvolta, sembrano più bisbigliate che pronunziate; più che lanciare messaggi esse sembrano comunicare riflessioni personali; insegnano trasfondendo la propria esperienza. Parla spesso nel tono dimesso, rilassato della conversazione domestica, piuttosto lenta, ma non fiacca; penetra nelle idee servendosi dell'evidenza; la ripetizione si fa pressione per l'accoglimento e segnalazione dell'importanza. Non gonfia la voce; ha la sicurezza della calma: "I peccatori superbi non debbono disperare né i giusti umili insuperbire in qualche cosa, come se provenisse dai loro meriti" (22,5): è una sentenza magisteriale, però, più che ufficialmente bandita, pare emergere da sola da una realtà indiscutibile. Di fronte ad un certo tipo di comportamento coinvolge: "Vedete voi se ciò vi sembra decoroso e conveniente" (44,6); fa trarre dall'ascoltatore le conseguenze, dopo averlo messo nella condizione di non poter evadere dalla sua proposta. Ritorna frequente l'invito considerate, consideremus, diligenter adtendite, cogi-

temus.

È tanto lontano dall'atteggiarsi a dottore che introduce il pubblico nel suo discorso: in 22,1, dopo aver citato 1 Tim 1,5: "ll fine del mio richiamo è la carità che sgorga da un cuore puro" richiama all'esatta formulazione delle parole: "Fate attenzione, fratelli: che cosa si potrebbe trovare di più conciso nelle parole e di più magnifico nella sostanza della carità che proviene da un cuore puro? ... che cosa c'è di più dolce della carità, fratelli carissimi? Chi non lo sa, gusti e veda". Si fa confermare dagli ascolta-

5 Quando vuole sostenere che chi ha la carità trova spontaneamente molte occasioni per fare del bene, la personifica con finezza: "La carità sa che cosa fare delle tue ricchezze; essa sa perfettamente a chi e quanto porgere, che cosa dare, che cosa mettere da parte; essa capisce quanto tu debba mettere in serbo per l'anima in cielo e quanto debba mettere da parte per il corpo in questo mondo; fratelli, è davvero una buona massaia" (29,2). Con una distinta signorilità sa vivificare un'idea e rendere persuasiva un'esortazione. Siamo alla fondamentale esigenza di visualizzare i concetti. 6

Il che non vuol dire che sia privo di efficacia artistica e di pregi letterari.


San Cesario D’Arles

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tori quello che dice; previene freddezza o dissenso inserendo nella propria esperienza. La sua didattica implica una riflessione personale fatta in comune; si effonde una dimestichezza che si esprime in una sincerità che si fa persuasività. Per agevolare questa comunione cerca di rendere gradito il suo messaggio tanto nella sostanza quanto nella presentazione, perciò, quando deve inculcare doveri che implicano qualche severità o asprezza, ama presentarli attraverso alla Bibbia, così acquistano autorevolezza senza mostrare, da parte sua, un'asprezza che potrebbe creare freddezza. Le minacce le fa volentieri enunciare dai profeti: il richiamo resta suo in tutta la sua urgenza, ma il rigore, se viene conservato, risulta svelenito da quello che avrebbe potuto sembrare un'intimidazione personale, frutto di un animo acerbo; così smorza le riluttanze. In 1,4-5 impartisce norme di zelo pastorale, ma fa risuonare le sue parole in un'atmosfera evangelica (il buon pastore, la vite e i tralci), per la quale esse assumono una tranquilla forza di pressione; non c'è nulla d'imperioso ma c'è la necessità di adeguamento. Questo clima biblico supplisce anche all'aridità di dissertazioni astratte, che non si sarebbero intonate con l'ambiente. Riesce ad unire vigoria e riguardo. Ma soprattutto anima il suo magistero con uno zelo instancabile, che nasce da un vivido fervore interiore, per cui le sue parole si esprimono in un ambiente di sublime sacralità; contro l'avarizia infatti dichiara: "Io affermo dinanzi a Dio ed ai suoi angeli e proclamo che Dio ha sempre proibito queste colpe [adulterio e concubinato]" (43,4; cfr. 54,6). È un'asserzione che, all'occorrenza, s'intensifica a grido: "Io grido con libera voce e lo ripeto più volte, che chi, prima delle nozze, osa vivere in concubinaggio commette un crimine peggiore dell'adulterio" (ibid. 43,4; cfr.73,4). Contro l'andazzo di uscire di chiesa prima che sia completata la celebrazione dei sacri misteri scongiura: "Ve ne prego di nuovo e di nuovo7; umilmente vi esorto ed insieme vi imploro" (73,5)8. Davanti alla severità dei precetti di continenza al di fuori e al di dentro del matrimonio, invita: "Vi prego, fratelli, che mi usiate comprensione, se, per la salvezza della vostra anima, con grande timore e tremore ed anche con un certo impaccio, credo opportuno ammonirvi su argomenti di questo genere [sui rapporti matrimoniali], perché a me tocca dire questo ed a voi spetta ascoltarlo" (44,8). Della sua missione didattica avverte l'intensità, che è motivata da una responsabilità che si fa subito imputabilità. Sa che presentare con assiduità e competenza la parola di Dio è un dovere che ha gravissimi riscontri penali per i pastori, ma i fedeli sono, a loro volta, obbligati ad ascoltare; contro quei cristiani che indulgevano alle pratiche pagane, richiama: "Ecco, noi gridiamo; ecco vi prendiamo a testimoni; ecco predichiamo: non vogliate disprezzare il banditore, se volete sfuggire al giudice" (53,3; cfr.130,4) e sul ricorso ad auguri e sortilegi9 precisa: "Se non vi dico queste cose, dovrò rendere un cattivo conto, per voi e per me" (54,1)10. Ed in 130,4 rincalza: "Qua7

È modulo ricorrente. Sa implorare, ma sa anche agire. La Vita di Cesario, ed. E. Bona, Hakkert Amsterdam 2002, in I,27 narra che un giorno, vedendo che alcuni, dopo la lettura del Vangelo, uscivano di chiesa disdegnando di udirne la predicazione, uscì loro incontro ed aggiunge che spesso, dopo la lettura del Vangelo, faceva chiudere le porte.

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In corrispondenza con la consultazione di oroscopi e di indovini che oggi incontrano un diffuso favore anche in quei ceti ed in quei livelli di 'cultura' ai quali non verrebbe da pensare. 10 L. Navarra, Motivi sociali e di costume nei Sermoni al popolo di Cesario di Arles, in Benedictina 28 (1981), pp. 229-260, a p. 259 vede in Cesario un pastore capace di dolcezza e di semplicità, ma, se ne-


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lunque siano le mie capacità, sono stato costituito dal Signore araldo della verità, che a voi conviene ascoltare ed io ho il dovere di annunciare ... Nessuno di voi dinanzi al tribunale di Cristo potrà accampare la scusa di non essere stato avvisato, affinché, con l'aiuto di Dio, resistesse a tutti i vizi e s'impegnasse nell'acquisto delle virtù" (130,4). La catechesi di Cesario è largamente aperta all'escatologia: 'il giorno del giudizio' e 'il tribunale di Dio /Cristo' emergono regolari nella coscienza di Cesario. Sulla dignità ed eccellenza della missione educativa, nella Chiesa e nella società, Cesario non ha mai avuto incrinature di dubbio; si è chiesto piuttosto quale ne fosse il metodo più efficace. Nell'alimentare il suo zelo, all'attrazione divina corrispondeva la spinta umana. Per la sua simplicissima plebecula nutriva un profondo affetto; le si rivolge con la viva partecipazione di una paterna sollicitudo; le dirige esortazioni fervide di un'amorevolezza che non si trattiene dal dichiarare ripetutamente; il suo ritmico fratres carissimi non è rituale, è respiro. Il suo incitamento va ben oltre al tono della diligenza consueta; gli emerge spontaneo dire: "Vi prego, di nuovo e di nuovo, fratelli dilettissimi, vi avverto con affetto paterno e vi scongiuro con tutte le mie forze, che quelli tra voi che sono buoni perseverino sempre con un'alacre fedeltà nelle opere buone" (50,4).

Concretezza Cesario ama la sua gente; si pone in mezzo a loro, ne coglie la mentalità e l'ambiente; mentre cura di elevarli e proprio per poterli elevare, li accetta. Il serm. 7 è una conversazione familiare semplice ma decorosa, in forma scorrevole; le argomentazioni che adduce sono i confronti con la vita agraria e commerciale; trasferisce la loro attività nell'ambito spirituale; l'ovvietà dei loro comportamenti nel lavoro include la spontaneità della loro applicazione al soprannaturale. Il serm. 6 ricorda come agisce il commerciante (§ 2), come opera il contadino (§§ 4-6): il parallelo conduce vicino, non trasferisce in un tessuto estraneo; sono voci dell'ambiente che, quasi più che arrivare, avvolgono. È frequente il richiamo all'esperienza rurale, che era quella che la sua gente viveva; Cesario fa argomentare le cose; di suo mette una partecipazione affettuosa, spontanea, senza affanno. Il richiamo alla campagna, oltre ad avere efficacia dimostrativa, apre il suo discorso su panorami larghi, ariosi, distensivi; alla verità pone una cornice di amenità; inquadra il vero nel bello. Il frequente ricorso alle circostanze ed agli oggetti della vita quotidiana sottrae al rischio di strappare gli uditori dalla genuinità della loro esistenza per spingerli in un'atmosfera diversa11; è il soprannaturale che viene a loro; non è necessario che lo raggiungano, lo debbono solo accettare; appare quasi come un'efflorescenza connaturata alla loro vita. Le rievocazioni delle esperienze abituali, con le loro occupazioni e preoccupazioni, sono frequenti e sono varie: un po' tutti gli aspetti sono ricordati; la norma morale penetra in tutte le forme della vita, e si tratta, in genere, di cose umili, cessario, severo ed irremovibile. Trova che i suoi atteggiamenti duri non rivelano acredine, ma un afflato apostolico ed una carica affettiva che rendono accetti i suoi richiami più severi e le sue più dure valutazioni. 11

Operazione che sarebbe stata, dopo tutto, urtante e sterile.


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che si maneggiano e si incontrano spesso; sembrano conferire alla virtù una naturale cittadinanza12. Anche le similitudini che Cesario introduce, tutte attinte direttamente dalla pratica concreta nella quale gli ascoltatori erano immersi, hanno un'applicazione spirituale così spontanea che suppliscono alle dimostrazioni; non c'è più bisogno di argomentare; fanno vedere. È ampia l'area in cui Cesario spazia. Connettendosi con la consuetudine familiare, ammonisce che un digiuno non accompagnato dall'elemosina è come una lucerna senz'olio, la quale può accendersi e fumigare ma non dare luce; così un'astinenza nell'avarizia tormenta, sì, la carne, ma non illumina l'anima con la luce della carità (199,6). Noi stiamo attenti che non entri la minima scintilla di fuoco nel guardaroba degli abiti, "ma vi chiedo, che male ha fatto la nostra anima perché non le vogliamo concedere la medesima attenzione che dedichiamo ai vestiti, proteggendola dai cattivi pensieri che la macchiano?" (45,4). Nell'esortazione a non ricadere nei peccati rammenta che una frattura ad un piede o ad una mano permette, in generale, di ritornare alla funzionalità precedente, ma se le membra si spezzano due o tre volte nel medesimo posto la situazione si fa dolorosa e di difficile ricupero (65,1). Quando invita a non sporcare l'anima creata ad immagine di Dio, interpella: che cosa proveresti se uno insozzasse il tuo ritratto? e carica la sfida con un a fortiori che appare logico: se tu ci tieni tanto al tuo ritratto, quale affronto subisce Dio quando imbrattiamo l'anima, che è sua immagine? (44,6) Nell'esprimere il suo disappunto per gl'impazienti che uscivano di chiesa prima del termine della Messa, ragiona: se io vi invitassi a qualche prestazione terrestre e faticosa, mi obbedireste; quando invece vi esorto a cose celesti ed eterne, dovete riflettere sul pericolo in cui incorrono coloro che mi disobbediscono (74,1): è la coerente denuncia di un'incoerenza. Cesario non manca poi di rivolgersi ai rapporti sociali; volendo infatti incitare a mettere in pratica la misericordia quaggiù per meritare quella lassù, la personifica in una patrona (protettrice), in riferimento al concetto di tutela, ma poi la specifica in avvocata, nei suoi effettivi interventi dinanzi al giudice (26,1-2): era la prassi consueta nel procedimento forense in qualsiasi città; tutti la conoscevano, parecchi vi avevano partecipato. In 219,3 imposta un abbozzo di scena: "Qualcuno dice: - È un pesante travaglio amare i nemici e pregare per i persecutori -; Neppure io lo nego; non è certo un disagio lieve in questo mondo, ma grande sarà la ricompensa in quello futuro". E prosegue: se una persona potente ci maltratta, non abbiamo il coraggio di risponderle con durezza; perché? per non ricevere da quella persona potente guai ancora peggiori13; ma quello che ci strappa il timore di un uomo, lo dovrebbe ottenere da noi l'amore di Cristo. È uno scorcio di cronaca nella quale parecchi probabilmente erano stati testimoni o attori. 12 Cesario, con solerzia psicologica, sa rilevare gli aspetti dell'esperienza che più immediatamente risvegliano l'attenzione e producono persuasione; si tratta di realtà a diversa evidenza, nelle quali la forte azione emotiva dell'una produce, di riflesso, l'accettazione dell'altra. Così, per inculcare l'eccellenza della parola di Dio, non la mostra in argomentazioni dialettiche ma in un confronto: posto a fondamento che la parola di Dio non vale meno del Corpo di Cristo, richiama l'estrema cura con cui si bada che non vada disperso il minimo frammento eucaristico; ne sorge ovvio l'identico zelo per non disperdere la parola divina (78,2). Da quello che si fa emerge quello che si deve fare; non è lui a formulare una norma, sono i fedeli stessi ad imporsela. 13

In 73,7 troviamo una semplice variazione del tema.


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E testimoni lo erano stati tutti che le piccole gocce di pioggia, quando fanno massa, riempiono i fiumi, travolgono gli argini e sbarbicano gli alberi; era uno spettacolo che gli serviva a coonestare l'assioma incisivo: "Non trascurare i tuoi peccati perché sono piccoli, abbine paura perché sono molti" e dalla scena naturalistica passa all'argomento ad hominem: "Vorresti avere tante piccole piaghe nel tuo corpo e tante macchie e strappi nel tuo vestito?" (44,6) Affronta direttamente l'interlocutore in una sfida che dissolve compromessi e dissipa ipocrisie; a quelli che, prima del matrimonio, si abbandonano all'adulterio, rivolge l'intimazione: vorresti sposare una donna già contaminata da adùlteri? (43,2). La concretezza alla quale si attiene nel riferirsi agli usi la applica anche nel richiamare i fatti e gli esempi: da essi trae la deduzione, che non è informata ad una logica astratta, ma ha l'ovvietà della naturalezza; non fatica ad enucleare le conseguenze, perché esse gli si presentano da sé e fa in modo che da sé si presentino anche agli ascoltatori. E la concretezza nelle cose che dice egli si propone di conservarla anche nello stile con cui le dice; al suo complesso uditorio vuole parlare communibus verbis (1,13), nel tono del linguaggio corrente, il quale, nella sua schiettezza genuina, mette a loro agio sia chi parla che chi ascolta; suscita un'impressione di serietà; la parola tende direttamente all'idea, non indugia ad assaporare se stessa. Cesario guarda al suo pubblico e gli adegua l'espressione; la vuole immediata, perché non oscuri il concetto, ma la esige anche scorrevole, perché non provochi una fatica che stenderebbe un velo di avversione dinanzi al messaggio. Egli nella sua formulazione non è ricercato ma è fluido in un'agevolezza che, nella sua distinzione, emana un sentore di signorilità: è un riguardo per sé e per il pubblico. Non fatica a parlare e non affatica ad ascoltare.

Interesse Cose e parole si fanno accogliere volentieri se sono interessanti; l'uggia le incupisce entrambe. Cesario avverte che la monotonia delle lunghe esposizioni continuate deprime l'attenzione e chiude l'accesso. Cerca pertanto di trasformare la sua comunicazione in dialogo; inclina ad inserire nelle sue parole quelle degli ascoltatori14. Introduce quindi volentieri nel suo discorso le obiezioni, reali o possibili; la verità risplende dialetticamente più chiara quando supera gli ostacoli che le si oppongono; l'incaglio può e deve farsi incremento. Cesario raccoglie quindi con favore le obiezioni facendosene piattaforma per un rilancio vivace15. Quando sollecita il clero a non disperdere le sue energie nella gestione del patrimonio materiale col rischio di trascurare la predicazione, si sente opporre la necessità di dedicarsi a tale amministrazione per trarre le risorse occorrenti al sostentamento personale ed all'elemosina, Cesario smonta la motivazione in un tono 14

C. Fr. Arnold, Caesarius von Arelate und die gallische Kirche seiner Zeit, Leipzig 1894 a p.121 osserva che le prediche di Cesario non sono monologhi ma colloqui con la comunità; hanno freschezza e vivacità; dovunque c'è l'impegno a fornire agli ascoltatori ciò che è loro necessario e utile e nella forma più possibilmente chiara e penetrante. 15 Egli afferma che i buoni sacerdoti debbono vivamente desiderare che i loro discepoli, per la salvezza delle loro anime, li molestino con assidue interrogazioni (4,4).


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tranquillamente discorsivo (1,7); non respinge in blocco la protesta, ne coglie il nocciolo di validità e lo sistema convenientemente, però la sua replica, se è pacata, è anche recisa; rinforza la sua opinione con citazioni altrui, profane e bibliche. All'occorrenza, non rifugge neppure dall'insinuazione mordace16;la pacatezza non è remissività né fiacchezza. C'era chi si sottraeva all'impegno di predicare adducendo la propria inettitudine all'eloquenza; egli ribatte che ogni ecclesiastico, se non è in grado di chiarire i passi oscuri dei due Testamenti, lo è certamente di ritrarre dai vizi quelli che sono loro succubi (1,12). C'era chi non aveva tempo di leggere la Bibbia almeno per tre ore nelle lunghe notti invernali? risponde: sicuramente per chi sbevazza fino a mezzanotte (6,2). "Siamo giovani e non possiamo praticare la castità": non lo possono per la loro vita sregolata nel cibo, nel vino, nella familiarità con donne (43,1)17. "Non possiamo pensare continuamente a Dio, perché dobbiamo provvedere al cibo, al vestito ed alla gestione della casa"; chiarimento: Dio non ci proibisce di occuparci della vita presente, purché non comporti cupidigia e lussuria (45,1). "Tu dici: il mio nemico mi ha causato tanti mali che io non lo posso amare in nessun modo"; ribatte: Tu pensi a ciò che ti ha fatto un uomo, ma non rifletti a ciò che tu hai fatto a Dio? Se esamini attentamente la tua coscienza, troverai che sono assai più numerosi i peccati che tu hai commessi contro Dio di quelli che un uomo ha commessi contro di te (223,6)18. Cesario sa che la chiarezza apre alla verità l'accesso alla mente, ma è pure persuaso che la vivezza del discorso le attira l'attenzione e che il brio, moderato, la rende attraente. Ad arrivare in via diretta all'intelligenza attraverso alla fantasia, che ne viene solleticata, serve bene l'epifonema, con il suo sentore di una definitività che ha il sapore della scoperta; dice il perenne in un sentore di nuovo. Cesario lo usa in una dose misurata, che ne evidenzia gli effetti senza attutirli in una frequenza che li smorzerebbe. Richiama infatti che "l'ira colpisce prima quelli che intendono nuocere che quelli ai quali si intende nuocere" (41,1); suggerisce che la Scrittura è la provvista di cibo per il viaggio della vita (7,4); afferma che, rispetto alla ragione, la fede è la scorciatoia per giungere al mistero divino (9,1) e che essa ha una potenza così grande "che anche quelli che trascurano di praticarla hanno l'arroganza di lodarla" (12,1). Sono motti che, nella loro elegante concisione, si radicano nella memoria, sempre pronti a riemergere; sono verità antiche che hanno una perennità che le rende attuali in ogni tempo. Cesario ha intuito che la verità, se è potente in se stessa, ha però bi16

Attendono alla coltivazione dei campi per ricavarne risorse per l'elemosina? "Ho paura che lo facciano soprattutto per prepararsi dei banchetti sontuosi". 17 Il serm. 43 si svolge in un dialogo a stretto intreccio dialettico; Cesario rileva le difficoltà alla pratica morale e le confuta sul piano del ragionamento, proponendo motivi e rimedi; usa un linguaggio calmo ma franco; non minimizza le difficoltà sollevate ma le supera con la parola di Dio e con la sua; capisce, ma senza connivenze: la legge divina è un assoluto al quale bisogna, e si può, adeguarsi; può sembrare intransigenza, ma è soltanto fermezza, perché egli ha sempre dinanzi agli occhi le conseguenze escatologiche. È categorico sulla linea di condotta, ma, di fronte alla colpa, tiene sempre aperta la prospettiva della risalita mediante la conversione e la penitenza. Non vuole illudere ma neppure deprimere; ponendosi in una centralità d'equilibrio tra malleabilità ed inflessibilità alla diagnosi appone regolarmente la terapia. 18

In 35,1 è Cesario stesso che scende all'attacco in vivacità di movimento; nota infatti: nel Pater c'è 'rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori'; quelle parole le dici o non le dici? Tu odii tuo fratello e dici quelle parole? -"Ma io non le dico"; tu preghi e non le dici? Bada: tu vuoi entrare in lite col tuo nemico? éntraci piuttosto col tuo cuore; dì al tuo cuore: non odiare. Il problema si è fatto dialogo per diventare monologo all'interno della coscienza; l'arduo precetto che era giunto dall'esterno ora fermenta all'interno.


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sogno di venire presentata in abito attraente; una voce moscia la tradisce; un alfiere sbiadito rende un cattivo servizio al suo stendardo.19

Impegno catechistico20 Della missione di condurre alla salvezza richiamando alla conversione dai peccati Cesario ha una percezione così intensa da apparire opprimente, se la sente gravare sulle spalle come un infinitum pondus (1,3) Intuisce che la sua vita acquista senso e dignità solo dall'annunciare la verità; un rilassamento rimbalzerebbe direttamente al tribunale di Dio. Interpreta la beatitudine sulla fame e sete della giustizia (Mt 5,6) come la volontà di ascoltare volentieri e con tenacia la parola di Dio; conoscerla è infatti la condizione preliminare per poterla praticare (4,1). Il clero deve proporre una vita che sia conforme al progetto divino ed il pubblico ne deve reclamare la comunicazione: l'urgenza è tale che vi confluisce un doppio dinamismo; la gente ha un diritto a conoscere verità che le sale a dovere (ibid. 4,1). Il predicatore che tace depreda un diritto di natura. Il suo obbligo di illuminazione è così ampio ed incalzante che supera la sua possibilità di adempimento: "Per quanto sia grande l'assiduità con cui predichiamo la parola del Signore, forniamo sempre meno di quanto dobbiamo" (4,2). Il pubblico deve sentirsi a disagio se la parola di Dio gli fosse somministrata con troppa lentezza, come se gli venisse sottratta la quotidiana razione di cibo (4,3)21. Per parte sua il clero "la deve offrire a quelli che desiderano ascoltarla ed imporre a quelli che le dimostrano ripugnanza22, nel timore che costoro abbiano da ergersi contro, dinanzi al tribunale di Cristo, dicendo di non essere stati ammoniti e venga richiesto dalle nostre mani il sangue di quelle anime" (ibid. 4,2). La chiara risonanza di Gen. 4,10-11 proietta sulla mancanza di catechesi un'ombra di fratricidio23. Cesario non si ritira da questo sfondo minaccioso; lo conferma, in variazione di riferimento ma in identità di sostanza, confessando il suo timore per il talento non fatto fruttare (Mt 25,26-27: ancora 4,2). Per quanto lo concerne, Cesario predica instancabile ed esorta il clero a predicare, al di fuori di qualsiasi scusa di inettitudine; ai trepidanti offre il sedativo di leggere i sermoni che aveva egli stesso composti e divulgati allo scopo di fungere da surrogati; debbono parlare, se non con le parole proprie almeno con quelle altrui24. 19

Cesario non ha fiducia nella lenta dimostrazione a carattere scialbo; punta sull'illuminazione concentrata ed energica: "A colui al quale non giovano poche motivazioni, ma di grande forza dimostrativa, non potrà recare nessun giovamento il citarne un grande numero" (37,6). P. Lejay, Le rôle théologique de Césaire d'Arles. Étude sur l'histoire du dogme chrétien en Occident au temps des Royaumes barbares, Paris 1906, a p.187 rileva che Cesario era molto impegnato nella disciplina e nelle regole ecclesiastiche, per cui sentì più di altri il bisogno di codificare e di fissare; da ciò deriva la sua tendenza a ridurre le verità ed i precetti in formule. 20 Giovanna M. Pintus, Ascesi e pastorale nella Gallia meridionale: Eucherio e Cesario, in Sandalion 23-25 (2000-2002), pp. 95-105, basandosi sul serm.15 di Cesario, impostato sulla tesi che non basta non fare il male ma bisogna compiere il bene, dichiara (p.105) che in Eucherio abbiamo una celebrazione, in Cesario una catechesi. 21 Il paragone non sa di novità ma è concreto; non scalda la fantasia ma illumina la ragione. 22 Eco di 2 Tim 4,2. 23 Sfumata o calcata? È un fatto che, se la parola di Dio è vita, tanto la sua somministrazione diventa vocazione sublime, quanto la sua occlusione si fa gravosa responsabilità. 24 Sono le 'dispense' scritte che gl'insegnanti rilasciano per la conservazione ed il ricupero delle loro lezioni orali. A traccia per i docenti ed a spunti di meditazione per tutti Cesario compose florilegi di passi biblici; il


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L'annuncio, se è cogente obbligo del clero, non è però sua prerogativa riservata; trasmettere la verità è infatti missione di tutti quelli che la conoscono; Cesario esorta pertanto i suoi ascoltatori a farsi anch'essi tramiti agli assenti delle sue istruzioni, a distribuire "l'elemosina della parola" (8,5; cfr.13,4)25. Invita gli altri a ripetere le sue parole e le ripete egli stesso e dichiara formalmente di ripeterle (26,5 e passim); se ritorna sulle medesime osservazioni, non lascia però l'impressione di un'inerzia che si trascina; la sua non è la povertà di chi non ha nulla da dire, è la cura di chi ha da dire cose che vanno piantate bene perché non vengano dimenticate; porge l'occasione di meditare; il suo indugiare è un restare vicino alla sua gente. Ed a ricordare insegna loro, con pazienza didattica, una tecnica elementare: chi può ricordare il suo sermone tutt'intero, ringrazi Dio e faccia parte agli altri di ciò che ricorda; chi non riesce a ricordare tutto ritenga almeno una parte; ognuno ritenga tre o quattro frasi, un singolo argomento (6,8). Ad agevolare la memorizzazione, dopo aver minutamente commentato la parabola del buon samaritano, conclude redigendo un riassunto conciso delle allegorie che aveva scorte in cose e persone (serm.161). È una diligenza che si tutela però dalla sonnolenza; sa infatti combinarsi con lo scatto; davanti alla promessa di misericordia per chi la dona (Mt 5,7), chiosa immediatamente: "O uomo, con che faccia vuoi tu chiedere ciò che rifiuti di dare?" (25,1) ed il "con che faccia" lo ripete subito dopo; c'è una pacata vivacità di reazione soffusa d'ironia; l'incoerenza si condanna da se stessa. In fondo è un richiamo alla riflessione. Ed una riflessione animata dall'apostrofe, che stabilisce un appassionato contatto diretto, ritroviamo in 31,2, dove, quasi a modello, Cesario svolge una meditazione, davanti ad un sepolcro, sulla vanità delle passioni umane: "O uomo, queste ossa inaridite ti potranno esse stesse rivolgere una predica, se le vuoi ascoltare; la polvere di un altro grida verso di te dal sepolcro". Parla con voci d'oltre tomba; il fervore dell'evocazione è denso di sostanza e pervaso di convinzione. A pacate meditazioni sapienziali Cesario conduce volentieri; in 12,5 fa come centellinare l'atteggiamento che va tenuto dinanzi alla confluenza in Dio di giustizia e di misericordia: "Dio non è solo misericordioso, è anche giusto; dobbiamo credere le due cose; non disperiamo della misericordia temendo la giustizia e non amiamo la misericordia in modo da trascurare la giustizia. Dunque non bisogna né sperare male né male disperare. Spera male colui che crede di meritare la misericordia senza la penitenza e le opere buone e dispera male colui che, dopo aver compiuto le opere buone, crede che non otterrà misericordia". Quanto candore di umanità nella pacata saggezza dell'insegnamento e di intimità nella familiarità dello stile! Le parole suonano lievi in una comprensiva benevolenza; l'atmosfera dell'ambiente è quella di una rivelazione che insieme illumina e conforta. È però una dolcezza lontana da ogni fiacchezza: Cesario ripete a brevi intervalli ed in situazioni svariate totis viribus. È contro l'inerzia spirituale di quanti si accontentano di un'innocenza passiva; proclama infatti che "è bene che uno venga trovato, il giorno del giudizio, puro da ogni male, ma è un grave male se non ha fatto nessun progresso nelle opere buone" (15,3). Che Cesario si attenga all'essenzialità morale non vuol dire che si rassegni alla me-

serm. 36 è tutto intessuto di esempi e frasi estratti dai due Testamenti sull'amore verso i nemici ed il serm. 48 è un prontuario di passi scritturali in lode dell'umiltà. Cesario s'ingegna ad attrezzare la buona volontà. 25 Da uditori a propagatori, da convinti a seminatori di convinzione (74,4); Cesario cura l'amplificazione del messaggio e la promozione dei fedeli.


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diocrità; dal punto di partenza egli apre la via al progresso; propone un dinamismo spirituale che non si appunta su pratiche sofisticate o su austerità penose, si esplica piuttosto in una fiduciosa accettazione delle disposizioni di Dio. Imbastisce infatti un dialogo paradigmatico: "Chi desidera la pace vera, cerchi innanzi tutto di avere la pace con Dio. Ma qualcuno dice: Chi è che non vorrebbe avere la pace con Dio? Certo colui che non vive come Dio ha ordinato che si debba vivere. Chi è colui che non ha la pace con Dio? Colui a cui Dio dispiace. Ma qualcuno dice: Chi è così folle che gli dispiaccia Dio? Se io esamino te stesso, forse trovo che sei proprio tu colui a cui Dio dispiace. Dimmi, te ne prego: non hai mai mormorato contro l'abbondanza delle piogge? non ti sei mai irritato contro la violenza dei venti? ... Se in tutte queste disavventure riconosci di non aver mormorato contro Dio, sappi che tu hai una pace vera con Dio" (166,4). Cesario ha spesso duramente condannato i gravi crimini che infestano la società e spezzano il rapporto con Dio, ma sa anche bonariamente soffermarsi sugli spontanei moti d'insofferenza nei quali la consapevolezza è spesso assai scarsa e l'imputabilità ridottissima: è il maestro a larghissimo ventaglio di visione e di comprensione; dentro al suo rigore cestisce una delicata finezza di sentimento; sa capire la morale e gli uomini che la debbono vivere. Qui siamo ad uno dei molti scorci aperti sulla vita pratica ed alla cordiale simpatia con cui egli considera le debolezze e le insufficienze umane. Sa che sua missione è di condurre gli uomini alle realtà eterne, ma partecipa intimamente anche alle tribolazioni che li travagliano nella situazione terrena. Un giorno presentò al pubblico le sue credenziali: "Per ordine di Cristo, io mi comporto tra voi come ambasciatore dei poveri" (228,6).


RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 4, 575-589

Il Traité des études monastiques di Jean Mabillon. Note di lettura Guglielmo Scannerini

Biblioteca della Abbazia di Praglia

A

i Benedettini di San Mauro si deve l’edizione, in parte ancora valida, dei maggiori autori della patristica1 e il primo tentativo di ricostruzione delle versioni bibliche latine pre-geronimiane (la Vetus Italica di dom Pierre Sabatier, non ancora sostituita). D’altronde questa attenzione ai Padri si può considerare uno dei frutti del fervore di studi (e di lotte dottrinali) che dall’Umanesimo sfocia nelle divisioni confessionali del ‘500 e nell’epoca tridentina2. Non si tratta di una peculiarità dei Benedettini: basta pensare ai Gesuiti, che hanno mantenuto fino ad oggi una grande tradizione di studio dei Padri. Nel periodo barocco il loro contributo fu decisivo nel campo dell’agiografia e dei Padri greci, e soprattutto nei primi secoli la Compagnia fece forte riferimento nella formazione spirituale ai Padri specificamente monastici, come Doroteo di Gaza, Climaco e i Padri del deserto. Un vero fervore,

1 Cf. la sintesi di Giovanni Maria VIAN, Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani, Roma, Carocci, 2001, p. 217-218 e Daniel-Odon HUREL, Les mauristes éditeurs des Pères de l’Église au XVIIe siècle, in Les pères de l’Église au XVIIe siècle: actes du Colloque de Lyon, 2-5 octobre 1991, par E. BURY et B. MEUNIER, Paris, Cerf, 1993, p. 117-136. 2 Cf. VIAN, Bibliotheca divina, cit., p. 197-230.


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tutt’altro che limitato al mondo dei religiosi, se vi si impegnarono anche ecclesiastici, come il vescovo Pierre Daniel Huet, studioso di Origene, più famoso per i suoi saggi sul romanzo e sulla traduzione, o laici come Etienne Baluze e l’anglicano editore di Giovanni Crisostomo sir Henry Savile; l’assemblea del clero di Francia nel corso del sec. XVII finanziò edizioni dei Padri greci3.

La Congregazione benedettina di San Mauro e gli studi Il fatto che istintivamente si tenda a ridurre questa ricchezza di apporti all’attività dei Maurini è dovuto non solo alla quantità e qualità di opere da questi prodotte, ma anche alla creazione di un modello di integrazione tra vita monastica (possiamo dire anche religiosa, in generale) e studi storico-patristici di alto livello e di impostazione critica: un modello che fu esemplare anche per i monaci di lingua tedesca e italiana del XVIII secolo, e più in generale per gli studiosi di storia, soprattutto per ecclesiastici cattolici come il Muratori. Almeno a livello ideale esso ha continuato ad agire come modello nella restaurazione monastica del secolo XIX, di cui il monachesimo benedettino attuale è in diversa misura figlio: questo vale soprattutto per la Congregazione di Solesmes, anche se con importanti limitazioni4. Né si dovrebbe troppo enfatizzare la fine del “modello maurino” tra i Benedettini con la Rivoluzione francese, perché in realtà esso ha continuato a dare dignitosi frutti, almeno nell’ambito delle scienze storiche, nelle regioni in cui la continuità con il monachesimo di “ancien régime” è stata più forte, cioè in Austria e Svizzera. Soprattutto a partire dall’Ottocento l’interesse per i Maurini si laicizza: è il loro apporto allo sviluppo della storiografia moderna che interessa. A questi temi è stata dedicata un’importante raccolta di studi nel 20035 . Di fatto, il modello di integrazione a cui si è accennato non è stato solo esposto e difeso da Mabillon nella famosa e abbondantemente studiata controversia con l’abate Rancé6: esso è stato anche in qualche modo impersonato da lui. Questo risulta da molte testimonianze contemporanee e in particolare dal ritratto affettuoso ma sostanzialmente attendibile che ne fece l’amico e discepolo dom Thierry Ruinart nella biografia pubblicata nel 1709, due anni dopo la morte del maestro7. Il fatto di pubbli-

3 Cf. Louis DOUTRELEAU, L’assemblée du clergé de France et l’édition patristique grecque au XVIIesiècle, in Les pères de l’Église au XVIIe siècle, cit., p. 99-116. 4 Una recente biografia (cf. G.-M. OURY, Dom Guéranger: moine au coeur de l’Eglise: 1805-1875, Solesmes 2000) fa rilevare come Guéranger, partito dall’idea di resuscitare l’erudizione maurina, relativizzerà gradualmente questo ideale (anche costretto dalla realtà della mancanza per un periodo abbastanza lungo di uomini capaci), per privilegiare una solida formazione teologica. Si veda per esempio quanto scrive in merito a Dom Pitra (ibid., p. 309). 5 Érudition et commerce épistolaire: Jean Mabillon et la tradition monastique, études réunies par DanielOdon HUREL, Paris, Vrin, 2003. 6 Un’esposizione sintetica ed esauriente (e allo stesso tempo di lettura gustosa) è quella di Blandine KRIEGEL, La querelle Mabillon-Rancé, Paris, Quai Voltaire, 1992, in cui l’Autrice mette a frutto le ricerche pubblicate nei suoi quattro volumi Les Historiens de la Monarchie, Paris, PUF, 1988. È stata però rilevata l’insufficiente attenzione dell’Autrice all’ispirazione profondamente religiosa della risposta di Mabillon: cf. Jean-Louis QUANTIN, L’oeuvre mauriste et ses détracteurs, in Les Mauristes à Saint-Germain-des Prés, éd. par J.-C. FREDOUILLE, Paris, Institut des Études Augustiniennes, 2001, p. 59-84, spec. p. 64. 7 Facilmente accessibile in una recente e accurata riedizione: Thierry RUINART, Abrégé de la vie de dom Jean Mabillon: 1709, texte présenté et annoté par dom Thierry BARBEAU, Solesmes 2007.


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care la biografia di un proprio religioso era del tutto eccezionale8 nella Congregazione di San Mauro, ancor più il fatto che gli stessi superiori della Congregazione facessero pubblicare in Italia (Padova 1714) una traduzione latina destinata ai monasteri italiani e tedeschi9, così come in latino e in altre lingue circolò il Traité des études monastiques10. Sempre in latino circolò la sintesi del Traité fatta da Mabillon stesso, De monasticorum studiorum ratione ad juvenes studiosos Congregationis suae11 che il bibliotecario di Melk, Bernhard Pez, inserì nella sua Bibliotheca Ascetica12, e un ampio compendio, redatto dapprima in italiano e poi rielaborato in latino13. Proporremo qui la lettura di qualche brano di dom Mabillon sul significato degli studi all’interno di una vocazione ben precisa, quella monastica14. È forse quanto di meglio si può oggi trarre dal “dossier” di una polemica che, a giudizio del più recente e documentato biografo di Rancé, era in fondo piuttosto sterile: il Traité «rimane l’enunciazione classica dell’attitudine benedettina nei confronti dell’erudizione e mostra Mabillon come un uomo santo e umano, che giudicava perfettamente conveniente offrire a Dio il lavoro dello spirito non meno di quello del corpo, senza peraltro disprezzare quest’ultimo»15. Insomma, il Traité, oltre che un documento di una polemica abbondantemente superata, rimane un testo importante per la storia della spiritualità cristiana. Per inquadrarlo è utile ricordare alcuni tratti della fisionomia della Congregazione benedettina di San Mauro16. La Congregazione di San Mauro ha avuto fin dagli inizi (1618) un orientamento di forte ritorno alla Regola benedettina; sull’esempio della Congregazione di Santa Giustina di Padova ha accentuato i valori di interiorità (e quindi ritiro dal mondo) particolarmente apprezzati dalla devotio moderna che aveva fortemente improntato Ludovico Barbo e l’osservanza monastica da lui instaurata nel cenobio padovano. In termini attuali, è un monachesimo di osservanza rigorosa ed esclusivamente contemplativo: questo almeno in teoria, perché queste Congregazioni riformate acquisivano monasteri preesistenti, che avevano spesso da tempi immemorabili oneri di cura pastorale

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In realtà un caso unico, perché la biografia di dom Claude Martin scritta da dom Edmond Martène uscì senza autorizzazione. Cf. RUINART, Abrégé de la vie de dom Jean Mabillon: 1709, p. XXXV-XXXVI. 10 Cf. Philippe LENAIN, Histoire littéraire des Bénédictins de Saint Maur, nouvelle édition revue, corrigée et augmentée, t. 1 (1612-155), Louvain 2006, p. 492-493 n. 42. 11 Ibid., p. 493 n. 44. 12 Bernhard PEZ, Bibliotheca Ascetica antiquo-nova, t. 9, Ratisbona 1726 (ed. anast. Farnborough, Gregg, 1967), p. 650-661. 9

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Stimuli a.r.p. Joannis Mabillonii benedictini ad excitandos & animandos religiosos, ut sese studiis applicent ex ejusdem Tractatu de studiis monasticis gallice conscripto desumpti Ac idiomate italico donati ab admodum reverendo & eximio p. Nicolao Hieronymo Ceppi, romano, Ord. Erem. S.P. Augustini ... nunc autem in linguam latinam translati, et quibusdam additionibus locupletati a P.M. Theophilo Frähamer eundem Ordinem Erem. S.P. Augustini Professo . .., Ratisbonae, Tipis Joannis Michaelis Englerth, 1763. 14 Questo era l’intento di dom René Hesbert nel compilare la sua ricca antologia Science et sainteté. L'étude dans la vie monastique par dom Jean MABILLON, textes recueillis et présentés par dom René Jean HESBERT, Paris, Alsatia, 1958. Il Traité in Italia è forse oggi più citato che letto, anche per la man-

canza di una traduzione italiana recente, mentre esistono due traduzioni recentissime in inglese (2004) e in tedesco (2008). 15 Alban John KRAILSHEIMER, Armand-Jean de Rancé, abbé de la Trappe (1626-1700), Paris, Cerf, 2000, p.79. 16 Sulla spiritualità di San Mauro, cf. Thierry BARBEAU, La spiritualité de la Congrégation de saint-Maur: bilan et perspective d’étude, “Revue Mabillon” n.s. 13 (74) 2002, p. 35-51.


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che coinvolgevano più o meno direttamente i monaci, e di cui non era possibile (né spesso si voleva) liberarsi; e perché l’attività pastorale e di direzione spirituale dei Maurini è ben documentata nonostante le riserve della loro legislazione17. In tale prospettiva “contemplativa” era primaria la preoccupazione di offrire ai monaci testi adatti ad alimentare la vita spirituale, esigenza cui si provvide anzitutto con l’Asceticorum vulgo spiritualium opusculorum quae inter Patrum opera reperiuntur indiculus (Paris 1648) di dom Luc d’Achéry, in cui oltre ad autori “moderni” sono consigliati molti autori medievali e patristici. La prima edizione maurina di grande rilievo scientifico, il San Bernardo di Mabillon, ebbe la funzione di offrire un testo corretto dell’autore che veniva privilegiato nelle letture personali e pubbliche. Come accade poi per ogni movimento di “riforma” di un monastero o di un ordine religioso, un’altra preoccupazione urgente era quella di assicurare i diritti patrimoniali dei monasteri e di rafforzare l’autocoscienza e la fierezza di comunità che in genere uscivano da un periodo di decadenza. Si trattava quindi di raccoglierne e studiarne i documenti storici, liturgici e legislativi: preoccupazione che fu un incentivo potente per l’organizzazione del lavoro scientifico nella Congregazione. Dal medioevo, spirituale e istituzionale, l’interesse si è volto decisamente ai Padri, in piena consonanza con quel movimento più generale a cui si è accennato all’inizio, dapprima i latini, nel 1679, con la grande edizione di Agostino, terminata nel 1690, accompagnata e seguita da molte altre, poi i Padri Greci soprattutto nel corso del Settecento, a partire dalle edizioni di Montfaucon18. Lo stesso intrecciarsi delle vicende di queste edizioni con la questione complessa del Giansenismo, e il coinvolgimento in esse non solo di studiosi ma di superiori e maestri spirituali come dom Claude Martin19, basta a far comprendere come non si tratti di imprese scientifiche “neutre” di eruditi che lavorano a tavolino: sullo sfondo è ben presente una finalità religiosa e spirituale. Un tentativo di portare i frutti di questo lavoro anche nella preghiera corale si ebbe nel Settecento con la composizione di un nuovo Breviario (Breviarium ad usum Congregationis Sancti Mauri): al di là degli innegabili difetti liturgici, che lo accomunano agli altri Breviari neo-gallicani coevi20, esso va ricordato per il ricco lezionario patristico, che lo raccomandò, al di là dell’uso liturgico (limitato alla Francia pre-rivoluzionaria, e a numerosi monasteri dell’Impero Austriaco fino a data molto recente) come libro di lettura spirituale21 .

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Cf. BARBEAU, La spiritualité de la Congrégation de saint-Maur, p. 50-51. Cf. la sintesi di Daniel-Odon HUREL, Les Mauristes, éditeurs des Pères de l’Eglise au XVII siècle, in Les pères de l’Église au XVIIe siècle, cit., p. 117-136. 19 Di questa figura chiave, che non divenne superiore generale solo per il veto della corte, è da poco disponibile in italiano la Pratica della Regola di San Benedetto, introduzione, traduzione e note a cura di Annamaria VALLI, Milano, Glossa, 2009. Si tratta di un direttorio per i novizi, usato nella Congregazione e nei monasteri benedettini di tutta l’Europa nel secolo XVIII (anche in Italia). 20 Sono libri composti “a tavolino” prescindendo quasi completamente dalla tradizione liturgica preesistente, con un impianto fortemente didattico, intesi quasi più come sintesi ragionate della dottrina (soprattutto della morale) cristiana che come libri di preghiera; e in ogni caso hanno in vista più una preghiera di tipo personale che la celebrazione corale. 21 È quanto emerge ad esempio per il monastero di Praglia nell’Ottocento dalla corrispondenza dei monaci (cf. Archivio Antico dell’Abbazia di Praglia, 33, X: lettera di don Claudio Buzzoni a don Luigi Paludi, 16 dicembre 1860). 18


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Le critiche di Rancé I Maurini sono stati attaccati per questa attività di tipo scientifico, anche se di scienza “sacra”, non ancora rivolta alla storia profana e all’erudizione pura, o all’educazione dei laici e persino dei cadetti delle scuole militari, come avverrà sempre di più nel corso del Settecento. Essa ha suscitato non solo reazioni interne alla Congregazione stessa, ma in particolare le critiche (che coinvolgevano anche altri Ordini religiosi e vertevano su vari temi) del più famoso esponente dell’Ordine cistercense del tempo, Armand de Rancé (De la sainteté et des devoirs de la vie monastique, 1683), fatte in nome della tradizione del monachesimo antico. Per il tema che ci interessa, le critiche di Rancé sono essenzialmente due. Sul ruolo dello studio nella vita monastica, Rancé denuncia che esso ha sostituito in maniera generalizzata e abusivamente il lavoro manuale22. A differenza del lavoro, lo studio sarebbe pericoloso per lo spirito di umiltà e penitenza e inadatto alla maggior parte dei monaci, per i quali di fatto diviene occasione di ozio e dissipazione; il ruolo dei Superiori comporta qualcosa di più in fatto di studio, ma non ci sono differenze essenziali. Anche per i monaci che allo studio si applicano seriamente e assiduamente le conseguenza probabili sarebbero “dissipazione, aridità, indurimento, insensibilità del cuore ed estinzione completa della pietà”23. Una fosca prospettiva. Non si può negare che Rancé individuasse anche problemi reali: il rischio di monaci trasformati in “accademici puri” si è talvolta verificato, soprattutto nel corso del Settecento24. Soprattutto il fatto che i monaci sacerdoti non fossero più tenuti al lavoro manuale ha avuto un influsso non positivo sull’equilibrio dei valori nella vita claustrale. Era ad esempio situazione diffusa nei monasteri soprattutto italiani dell’Ottocento e fino al Concilio Vaticano II, che i religiosi senza uffici particolari in comunità, a parte i pochi effettivamente dediti allo studio, si impegnassero prevalentemente nei campi più vari della pastorale esterna, talvolta con l’impressione di un certo disordine25. Quanto all’oggetto dello studio permesso ai monaci, secondo Rancé, a parte una formazione elementare poco più che catechistica, ai monaci è lecito leggere la Scrittura e almeno in parte i Padri, ma solo nell’interesse immediato della vita spirituale: cioè le uniche opere adatte ai monaci sono le opere ascetiche (Rancé dice “morali”) e agiografiche (vite dei Padri del deserto), con esclusione di quelle propriamente teolo22 Questo valeva per i “coristi”, cioè i monaci a pieno titolo, generalmente anche sacerdoti; non per i fratelli laici (conversi o “commessi”), applicati quasi esclusivamente al lavoro sia tra i benedettini che tra i cistercensi, che erano considerati “religiosi” ma non monaci in senso stretto.

23 Eclaircissemens de quelques difficultez que l'on a formées sur le livre de la sainteté et des devoirs de la vie monastique, seconde édition reveüe, corrigée & augmentée par l'Auteur, A Paris, chez François Mu-

guet, 1686, 21 diff., p. 373-374. Si legga il gustoso quanto feroce “epitafio” che un confratello ha dedicato all’erudito monaco tedesco Oliver Legipont in Martin RUF, “Aller Studiorum Zweck muss seyn die Ehre Gottes”. Benediktiner, Akademien und Akademieprojekte in deutschland vom Barock bis zur Säkularisation, “Studien und Mitteilungen” 110 (1999), p. 245-334, p. 290 n. 356. 25 Un esempio fra i tanti: le antiche Costituzioni Cassinesi, anche se spesso disattese, prescrivevano di evitare per quanto possibile di aggregare un monastero che avesse cura pastorale annessa (Constitutiones Congregationis Casinensis, ed. 1680, p. II, cap. 6); la Comunità di Praglia da parte sua alla fine degli anni ’40 del Novecento rifiutò di riaprire l’antica abbazia di Pomposa, e una delle ragioni, sostenuta da un autorevole confratello, fu che, mancando la possibilità di assumere la cura di una grossa parrocchia, i monaci sacerdoti non avrebbero saputo cosa fare. 24


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giche, a maggior ragione di tutte le scienze “profane”, inutili o persino dannose perché distolgono il monaco dalla sua vocazione propria26. Qualsiasi studio approfondito è considerato superfluo o persino pericoloso. Chi non ha imparato le lingue antiche prima di entrare in monastero, userà solo testi tradotti27. Le omelie dei Padri sulla Scrittura vengono parzialmente ammesse in quanto considerate -in maniera deformata- come opere di “pietà”, non di teologia. Lo studio è quindi per Rancé sostanzialmente “vana curiosità” e fonte di ambizione: se la Storia presenta delle eccezioni, per Rancé si tratta di vocazioni assolutamente particolari, o più spesso di abusi. Questa non è la posizione comune dei Cistercensi, non solo di quelli medievali, ma anche di altri praticamente contemporanei di Rancé e di stretta osservanza, come il cardinale Giovanni Bona. La sua debolezza fondamentale sembra essere una visione quasi esclusivamente penitenziale e ascetica della vita monastica. Anche il lavoro manuale, che pure viene giustificato da Rancé con la ricchezza di argomenti utilizzati nella letteratura monastica antica28 e dai padri di Cîteaux, è visto da lui soprattutto in prospettiva penitenziale (è la tendenza anche dei Maurini). Non mancano accenti un po’ sconcertanti per esaltare la sua efficacia di umiliazione, addirittura frutto del «désir de se détruire pour Jésus-Christ comme des victimes»29. Una sensibilità “moderna”, più propria all’età barocca (e dei suoi pregiudizi di casta) che al monachesimo antico. Come “moderna” è l’opposizione tra osservanza rigorosa e studio, che Rancé tenta di provare storicamente, con forzature evidenti: si veda il caso di Pier Damiani30 o la bizzarra spiegazione della crisi dei monasteri al crollo dell’impero carolingio31, attribuita al fiorire degli studi … Di fatto la storia del monachesimo, come avrà buon gioco a dimostrare Mabillon, registra piuttosto un legame tra osservanza severa, ritiro dal mondo e studio, sia nel Medio Evo (Certosini, Camaldolesi, gli stessi Cistercensi) che nell’età moderna (Santa Giustina, e gli stessi Maurini hanno un’osservanza rigorosa). Dalla stessa prospettiva limitata (diremmo “moralistica”…) deriva la diffidenza non solo per le scienze profane, ma addirittura per le opere teologiche dei Padri, quest’ultima piuttosto inedita in una formulazione così assoluta per la tradizione monastica. Una posizione che il grande movimento Trappista che si rifà a Rancé, e che dopo la Rivoluzione francese divenne la porzione più numerosa e vitale dell’Ordine cistercense, ha superato lentamente, con una grande svolta negli anni ’50 del Novecento. Si deve riconoscere che questa posizione difficilmente spiegabile di Rancé ha avuto anche ragioni contingenti: tenere i monaci al di fuori delle questioni di teologia e spiritualità (Giansenismo, Quietismo) che nella Francia assolutistica potevano avere ripercussioni politiche pericolose. Tuttavia essa è stata anche favorita dall’influenza determinante su Rancé di autori monastici orientali (quelli del deserto di Gaza e Gio-

26 De la sainteté et des devoirs de la vie monastique, nouvelle édition, reveue, corrigée & augmentée par l'Auteur, A Paris, chez François Muguet, 1701, c.9, q.3-4: t. 1, p. 250-255; c.19 t.2, p. 313-410, spec.p. 360s.; Eclaircissemens de quelques difficultez, 21 diff., p.388-389. 27 De la sainteté, c. 19, q. 5: t. 2, p. 376. 28 Cf. Antoine GUILLAUMONT, Le travail manuel dans le monachisme ancien. Contestation et valorisation, in ID., Aux origines du monachisme chrétien, Bellefontaine 1979, p. 117-126. 29 De la sainteté, c. 19, q. 2: t. 2, p. 340. 30 Eclaircissemens de quelques difficultez, 21 diff., p. 389. 31 De la sainteté, ch. 19, q. 4: t. 2, p. 356-357.


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vanni Climaco), molto attenti alla serietà e alla concretezza della vita monastica ma piuttosto riservati e persino diffidenti sulla cultura teologica dei monaci32. Rancé ha assolutizzato questa posizione, che deriva dalle sue letture preferite più che dalla tradizione del suo Ordine, e l’ha estremizzata: ma questi autori potevano prestarsi ad interpretazioni meno estreme, se erano consigliati anche da Mabillon, ed erano apprezzati dai monaci occidentali fin dall’epoca umanistica33. Rancé cita abbondantemente gli scritti del monachesimo delle origini: come per altri riformatori degli ordini religiosi la sua forza è stata appunto l’attingere direttamente alle fonti, prescindendo dalla tradizione vivente, con la sua ricchezza ma anche con tutti i suoi compromessi: non a caso Rancé è stato letto con interesse anche negli ambienti benedettini tradizionali34, e così sarà ad esempio per dom Guéranger nel secolo XIX. Ma una conoscenza “libresca”, anche se poi integrata dall’esperienza personale, comporta anche dei limiti. Nel nostro caso, Rancé, che ha vissuto il passaggio dalla sua condizione precedente di colto ecclesiastico di corte a quella di monaco e abate in maniera traumatica, ha voluto sistematicamente sottolineare la discontinuità con la cultura del “mondo” che aveva abbandonato. Né bisogna sottovalutare il fatto che la sua era una cultura di letterato35, più che di erudito e di teologo: una cultura vista ormai come tentazione.

Legittimità e condizioni dello studio per i monaci La Congregazione di San Mauro ha reagito a più riprese36 a queste posizioni di Rancé, soprattutto attraverso Jean Mabillon. Il suo Traité des études monastiques (Paris1691, otto anni dopo la Sainteté di Rancé)37 è solo uno dei documenti prodotti nel corso della polemica, ma senza dubbio il più importante. Il Traité ha uno schema molto semplice38: una giustificazione storica e di principio della legittimità degli studi per i monaci, un esame dell’oggetto e del metodo di questi studi, l’esposizione del loro fine e dei mezzi da utilizzare (compreso un lungo catalogo ragionato di opere di riferimento). Non si tratta quindi semplicemente un “piano di studi” a complemento dell’elaborata ratio studiorum seguita dai giovani della Congregazione di San Mauro: vuole piuttosto essere al tempo stesso una guida pratica e un “direttorio” spirituale e culturale per lo studium lectionis, l’applicazione alla lettura della Scrittura, delle opere 32 Cf. Monique ALEXANDRE, De la lecture et de l’étude des Pères de l’Église, in Les pères de l’Église au XVIIe siècle, p. 297-335, spec. p. 301. L’atteggiamento di questi Autori si può in parte spiegare con i

traumi causati nei loro ambienti dalle furiose controversie sull’Origenismo e il Monofisismo. La prima traduzione latina di Doroteo di Gaza, Sermones sancti Dorothei abbatis de vita monastica, Venezia 1523, è opera di un benedettino del Quattrocento, Ilarione da Verona. 34 La copia delle opere di Rancé utilizzata per queste note è appartenuta a monsignor Vittore Corvaja, maestro dei novizi e aiuto bibliotecario di Praglia alla metà del sec. XIX, poi abate ordinario di Montevergine. Nei monasteri benedettini italiani l’opera De la sainteté circolava anche nella traduzione del cistercense Malachia d’Inguimbert con il titolo La teologia del chiostro (Roma 1731). 35 Cf. KRIEGEL, La querelle Mabillon-Rancé, p. 15-16. 36 Cf. KRIEGEL, La querelle Mabillon-Rancé, p. 75 ss. 37 Le citazioni dell’opera (d’ora in poi Traité) sono tradotte dall’edizione in 12° in due volumi apparsa l’anno successivo: Traité des études monastiques divisé en trois parties, avec une liste des principales diffi33

cultez qui se rencontrent en chaque siècle dans la lecture des originaux & un catalogue de livres choisis pour composer une bibliothèque ecclésiastique. Par dom Jean Mabillon. Seconde édition revue & corri-

gée., 2 tomes, A Paris, chez Charles Robustel, 1692. 38 Traité, Avant-propos, v. 1, p. 5-6.


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patristiche e monastiche che la Regola prescrive come elemento della vita monastica in se stessa, prima di ogni altra finalizzazione secondaria (come può essere quella del ministero ecclesiastico) in vista anzitutto di nutrire la preghiera e la vita regolare39. Mabillon ha di mira questa “lettura” nell’accezione più ampia, che abbraccia quindi forme varie: da ciò che oggi chiamiamo lectio divina, alla ricerca scientifica e alle esigenze di formazione di una categoria particolare come i Superiori stessi, passando per i veri e propri “studi” noviziali e in preparazione agli Ordini (al tempo di Mabillon i monaci sono tutti sacerdoti o destinati a diventarlo, e le eccezioni sono rarissime). Non si tratta di confusione di piani: lo spirito che deve animare queste attività apparentemente molto diverse è sempre lo stesso: è il quaerere Deum, e Mabillon lo descrive così, illustrandolo tra l’altro con l’esempio del Venerabile Beda: «Uno studio religioso deve avere per fine la conoscenza della Sacra Scrittura, il buon uso del tempo e le letture che i monaci sono obbligati a fare, la conoscenza e la pratica della virtù, il buon governo del cuore, la separazione dal mondo, l’amore per la vita ritirata, la solitudine e il silenzio. Bisogna condannare ogni altra finalizzazione degli studi che non presupponga questa o non vi sia ordinata…Degli studi praticati così bandiscono ogni sorta di curiosità, tanto più che essi si limitano alla scienza dei santi, ossia alle conoscenze che ci portano alla perfezione religiosa. Bandiscono la dissipazione, perché non tendono ad altro che a riempire il cuore delle verità del cielo. Infine studi di questo tipo sono nemici delle contestazioni, perché non hanno altro fine che il buon governo del cuore, l’amore della solitudine e del silenzio»40.

In questa prospettiva ha poco senso un’opposizione irriducibile tra studio serio e lavoro manuale (che Mabillon peraltro non vorrebbe eliminare dalla vita monastica, neppure per i sacerdoti): «Tutto sarà buono, se si lavora a qualcosa di utile e di onesto in silenzio, in spirito di carità o di penitenza»41. Per Mabillon c’è infatti uno studio immediatamente ordinato a nutrire la preghiera e a facilitare la custodia della solitudine e del silenzio (che neanche Rancé intende abolire); ci può anche essere, almeno per alcuni, uno studio serio e produttivo che non solo è utile spiritualmente, ma può essere un vero “lavoro” e un servizio al prossimo (non è la divagazione “curiosa” temuta da Rancé) purché sia coltivato con lo stesso spirito e ultimamente con la stessa finalità religiosa. D’altronde il più duro lavoro manuale può diventare causa di dissipazione quando è fatto con disposizioni interiori sbagliate, e quando il monaco si lascia travolgere da esso42: la fatica non ha un’efficacia spirituale automatica … Qui Mabillon parla per esperienza personale, ma anche a nome di quei formidabili lavoratori che sono stati gli eruditi del suo tempo. Di fronte all’antico letterato di corte Rancé egli poteva ben dire della sua attività di editore e commentatore di testi antichi, abituato a collazionare documenti e a correggere bozze: «Questo tipo di occupazioni è faticoso. È un mezzo onesto per guadagnare il proprio pane, e di evitare l’ozio; di fare l’elemosina spirituale, e anche corporale. E questo la-

39

Cf. Traité, p. I, c. 8: v. 1, 65-66. Traité, p. I, c. 13: v. 1, p. 108-109. 41 Traité, p. I, c. 14, 1: v. 1, p. 132. 42 Ibid., p. 130-131. 40


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voro che si fa nella quiete e in silenzio può essere anche un buon mezzo per calmare le passioni, purché in esso non si cerchi un’affermazione personale»43.

Quella che può sembrare difesa “d’ufficio” fin dal titolo del primo capitolo del Traité (Que le communautés monastiques n’ont pas esté établies pour estre des academies

de science, mais de vertu; et que l’on n’y a fait état des sciences, qu’en tant qu’elles pouvoient contribuer à la perfection religieuse)44 non si basa solo su una ricostruzione storica sostanzialmente corretta45: è in fondamentale sintonia con l’autocoscienza dei Maurini, quale si esprimeva autorevolmente nella formazione data ai giovani professi da dom Claude Martin. Questi, cercando di definire l’ ”esprit de l’Ordre de St Benoit” (oggi diremmo il “carisma particolare”) distingue tra uno “spirito particolare” e uno “spirito generale”46. Lo spirito particolare non è che «l’allontanamento dal mondo at-

traverso il ritiro interiore ed esteriore; o se preferite, la solitudine del corpo e dello spirito mediante l’allontanamento dalle creature»47 (ricordiamo che sia i Maurini che Rancé, secondo l’uso del tempo, indicano normalmente il monaco con il termine solitaire). Lo spirito generale «è l’applicazione che essi (i monaci) possono avere a tutte le funzioni ecclesiastiche e a tutte le pratiche della vita attiva». Il primo è essenziale: «perderlo è perdere l’Ordine, e perdere se stessi», non così il secondo, che è subordinato alle necessità della Chiesa, per la quale ogni cristiano è tenuto a mettere a repentaglio la sua tranquillità e la stessa vita48. Con una riserva ulteriore, secondo dom Martin: «Avendo Dio suscitato nel corso dei tempi diversi Ordini nella Chiesa, che

hanno condiviso questo spirito generale di cui ho parlato, la necessità non è più così grande né così frequente come in passato, e i religiosi devono amare la loro solitudine e la loro vita ritirata più di quanto i nostri padri non abbiano fatto in passato»49.

Quanto allo “spirito” della Congregazione di san Mauro, per dom Martin è legato soltanto alla sua struttura istituzionale. Questa, attraverso una forte centralizzazione e gerarchizzazione, oltre che grazie al fatto che l’esercizio dell’autorità avvenisse sempre attraverso cariche temporanee, era del tutto funzionale a garantire la conservazione dello “spirito dell’Ordine” attraverso un’osservanza effettiva della Regola. Quindi, in chi esercita l’autorità lo “spirito della Congregazione di San Mauro” è “spirito di saggezza”, che unisce la dolcezza alla forza; in chi obbedisce è uno spirito di perfetta sottomissione50. Con tutta evidenza risulta che i Maurini non avevano minimamente l’intenzione di porsi come un istituto “specializzato” negli studi eruditi, o in qualsiasi altra cosa. Sotto un certo aspetto gli studi fanno quindi parte dello “spirito particolare”, della fisionomia essenziale dell’Ordine, in quanto “esercizi della vita contemplativa”: tra di essi dom Martin elenca «la meditazione, la preghiera, l’ufficio divi43 44 45

Traité, p. I, c. 14, 2: v. 1, p. 138. Traité, p. I, c. 1: v. 1, p. 7.

Cf. per es. il classico studio di Friedrich PRINZ , Ascesi e cultura: il monachesimo benedettino nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1983. 46 Claude MARTIN , Conférences ascétiques, texte publié avec préface et notes d'après le ms. Paris,

B.N.fr.17105 par dom René-Jean HESBERT, Paris, Alsatia, 1954, Conf. 27: v.1, p. 393 Ibid., p. 421. 48 Ibid., p. 432. 49 Ibid., p. 433. Interessante l’eccezione prospettata da dom Martin: le confessioni e l’istruzione religiosa della popolazione che abitava attorno ai monasteri rurali, trascurata dal clero cittadino. Di fatto, prima della rivoluzione francese, questa è la forma più diffusa di attività pastorale dei monaci, sia in Francia che in Italia. 50 MARTIN , Conférences ascétiques, Conf. 32-33. v. 1, p. 465 ss. 47


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no, lo studio della Scrittura, la lettura dei santi Padri»51. Per altri versi essi possono piuttosto ricadere nello “spirito generale”: come i monaci si sono dati o si danno legittimamente in certi casi alla pastorale, così si sono dedicati ad esempio «all’educazione della gioventù, in favore della quale si erano stabiliti collegi e universi-

tà, in cui si insegnavano le arti liberali, le scienze profane, le lingue orientali e soprattutto la teologia e l’interpretazione della Scrittura»52.

Alla luce di questa distinzione cartesianamente chiara, anche se forse un po’ astratta, si potrebbero seguire i lunghi e tuttavia interessanti sviluppi di Mabillon sui vari modi in cui i monaci hanno coltivato e possono coltivare gli studi. Dom Martin parla in termini generali, ai giovani professi che gli sono affidati per l’anno di “récollection” sul modello gesuita prima degli Ordini sacri e dell’eventuale destinazione a un incarico. Mabillon, che interviene in una discussione che verte sul tema specifico degli studi, più chiaramente di dom Martin tende a considerare come la forma di apostolato più congeniale ai monaci (e in particolare ai monaci del suo tempo) gli studi eruditi e la pubblicazione dei loro risultati. Ma non senza decisive limitazioni. Anche lui, come dom Martin, non pensa minimamente a fare degli studi il fine della vita monastica o un’alternativa al perseguimento dello “spirito particolare”. Questo resta essenziale per tutti: l’attività propria del monaco, come nota dom Hesbert, è di tipo sostanzialmente “recettivo”, di ascolto della Parola di Dio; il che non impedisce che tale ascolto venga coltivato con tutti i mezzi, anche intellettuali, che è possibile avere a disposizione in monastero. Nel caso specifico di Mabillon e dei Maurini questi mezzi possono essere anche molto raffinati, il meglio delle acquisizioni delle scienze storiche allora disponibili. Altra cosa è che questa attività “recettiva” in certi casi possa aprirsi a una comunicazione fruttuosa nell’ambito più vasto della Chiesa53. Però Mabillon riserva “études plus poussées” e pubblicazioni a monaci provati, a totale discrezione dei superiori. E anche in questo caso, ancora appellandosi all’esempio del Venerabile Beda, Mabillon mette fortemente in guardia gli interessati, dal lasciarsi trascinare fino a trascurare i normali doveri della giornata monastica; come mette in guardia i superiori dallo scegliere persone non abbastanza solide dal punto di vista della vita religiosa. Bisogna diffidare di chi cerca di propria iniziativa di essere impiegato in attività tanto assorbenti: «Anche quelli che per ordine dei superiori sono impiegati in opere importanti e di ampio respiro, non devono dispensarsi che il meno possibile dagli esercizi regolari, seguendo l’esempio del Venerabile Beda e dei nostri antichi Padri: ma bisogna che si persuadano che per quanto grandi vantaggi possano ricavare dagli studi per sé e per gli altri, devono sempre presupporre come fondamento che l’opera migliore che possano fare è di assolvere agli obblighi del loro stato; e che servirà loro ben poco al giudizio di Dio l’aver fatto dei buoni libri, se non sono stati buoni religiosi. È vero che è difficile, per non dire impossibile, lavorare a opere lunghe e faticose senza qualche dispensa; ma almeno bisognerebbe dimostrare che si fa uso di questa indulgenza con dispiacere, e che ci si augurerebbe di dedicarsi a questo lavoro senza diminuire in nulla le altre proprie funzioni.

51

MARTIN , Conférences ascétiques, Conf. 27, v. 1, p. 432-433. MARTIN , Conférences ascétiques, Conf. 27, v. 1, p. 431-432. 53 Cf. l’introduzione di Dom Hesbert a Science et sainteté, p. XVI. 52


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Questo deve obbligare i superiori a non impegnare in questo tipo di compiti nessuno che non abbia solide basi di pietà,umiltà e raccoglimento per rimediare all’aridità, all’autocompiacimento e alla dissipazione che sono praticamente inevitabili in questi studi e nella redazione di opere per la pubblicazione. Perciò coloro che vi s’immischiano di propria iniziativa non sono assolutamente adatti a queste occupazioni, non essendo credibile che si abbia molta umiltà, né molto zelo per la disciplina regolare, se si cerca di sottrarsi al tenore di vita comune per autoerigersi ad Autore»54.

Alla scuola dei Padri Se entriamo nel vivo degli studi raccomandati da Mabillon, troviamo subito, all’inizio della seconda parte del Traité, un’affermazione che in questi ultimi anni gli è stata quasi rimproverata: «Gli stessi studi che possono essere convenienti agli ecclesiastici, possono essere permessi ai monaci»55. Si è parlato di ambiguità56, preferendo la distinzione schematica fatta altrove da Mabillon stesso tra studi che convengono al monaco in quanto cristiano, in quanto monaco e in quanto prete57. Tale distinzione è appunto teorica, perché di fatto queste dimensioni coesistono, per Mabillon e per i monaci del suo tempo, in un’unica persona concreta; peraltro la parte di studi strettamente legata allo stato clericale per Mabillon è quella che riguarda la Chiesa nei suoi aspetti istituzionali e giuridici, e non la teologia che - come vedremo - compete al cristiano in quanto tale. Soprattutto sembra che questa critica risenta un po’ della temperie degli anni ’50 e ’60 del Novecento. Da una parte si andavano allora riscoprendo (soprattutto grazie agli studi di Jean Leclercq) gli autori monastici del Medioevo, da troppo tempo deprezzati come scrittori “pii” e non veri teologi (cioè non scolastici), intravvedendo la possibilità di individuare una fisionomia di “teologia monastica”, in realtà risultata poi ben difficile da definire; dall’altra si andava recuperando il senso dell’autonomia della vocazione monastica, originariamente distinta da quella ecclesiastica. Mabillon da parte sua ragiona da storico: e sa bene che, almeno in Occidente, se a partire dall’epoca carolingia in poi monaci e ecclesiastici con vita comune (canonici) sono giuridicamente ben distinti, nella realtà non siamo per nulla davanti a mondi chiusi e incomunicabili, ma ad ambienti con valori comuni, stili di vita non troppo dissimili e concreti rapporti. Persino nella Regola benedettina le fonti del monachesimo “laico”, orientale, sono integrate dalla tradizione agostiniana della vita comune dei chierici e dalla prassi dei monasteri basilicali romani, composti di chierici. La stessa biografia di Mabillon, educato dai canonici di Reims ed entrato successivamente nell’abbazia di Saint-Remi, testimonia il senso di una serena continuità tra le due vocazioni, come appare plasticamente da un brano della biografia scritta da dom Martène:

54

Traité, p. II, c. 1: v. 2, p. 69-70 Traité, p. II, c. 1 (titolo): v. 1, p. 193. Cf. François VANDENBROUCKE, L’esprit des études dans la Congrégation de Saint-Maur, in Los monjes y los estudios, Poblet 1963, p. 457-501. Contributo comunque molto utile per gli abbondanti riferimenti

55 56

alla legislazione monastica maurina sugli studi e il lavoro manuale. De monasticorum studiorum ratione: PEZ, Bibliotheca Ascetica antiquo-nova, t. 9, p. 659-661.

57


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«Nell’ultimo viaggio che facemmo insieme a Reims, nel 1703, … noi assistemmo a tutta l’ufficiatura di questa Chiesa (la cattedrale) il giorno dell’Assunzione di Nostra Signora. Sebbene fosse molto lunga e molto solenne, non aveva dimenticato una sola parola di quello che vi si doveva recitare, né una sola cerimonia di quelle che vi si dovevano svolgere. E ammirando l’esattezza con cui si compivano, ringraziò Dio di tutto cuore di vedere che questa celebre Metropolitana era ancor oggi, come lo era stata nei secoli precedenti, un modello perfetto per le altre Chiese di Francia (Ivo di Chartres, Ep. 48) nella maestà del servizio divino e nella modestia dei suoi ministri».58

. Se accostiamo il Traité senza pregiudizi anacronistici e senza l’aspettativa ingannevole di trovarvi le linee di una “teologia monastica” originale, non possiamo che essere colpiti da un fatto: insieme alla Sacra Scrittura, le opere dei Padri e sui Padri, sono presenti a ogni pagina di questo testo e ancora con abbondanza nell’ammirabile Ca-

talogue des meilleurs livres et de leurs meilleures éditions pour composer une bibliothèque ecclésiastique (compilato probabilmente con la collaborazione anche di altri confratelli) che ne costituisce l’ultima sezione59. Per Mabillon i Padri sono i maestri per eccellenza: «Una delle cose principali che si devono cercare nella lettura dei Pa-

dri, è la scienza dei dogmi della fede e la spiegazione della Sacra Scrittura, comprese normalmente sotto il nome di “teologia positiva”»60.

Ora, confrontando la teologia “positiva” (noi diremmo “storica”, coltivata da autori eminenti del XVII secolo, autori che Mabillon conosce e consiglia) e quella “scolastica”, sono evidenti le preferenze di Mabillon per la prima: una illustrazione, in spirito riverente e orante, delle Fede in base alle fonti: la Scrittura, i Padri e i Concili. Senza condannare la seconda, che applica il ragionamento filosofico alle verità della Fede, Mabillon auspica che questo avvenga piuttosto nella linea dei Padri stessi e dei primi scolastici medievali, di San Tommaso oltre che di qualche moderno come Pétau e Melchior Cano, dando la prevalenza alle “Auctoritates” sul ragionamento stesso. Mabillon, che è un grande storico e un grande monaco, un uomo di fede profonda e non un teologo, in teologia è quindi senza alcun dubbio un “conservatore aperto”, preoccupato più della continuità -intelligente- con la grande Tradizione che della “creatività”. Altra sua preoccupazione è escludere quelle questioni inutili che allontanano dall’oggetto vero della teologia, che sono le verità essenziali della fede, da assimilare e vivere. Insomma senza eliminare la scolastica, Mabillon si augura, almeno nelle scuole monastiche, una scolastica riformata in senso patristico61. Va in questa linea l’attacco di Mabillon contro la teologia morale “rilassata” prevalente al suo tempo, soprattutto di autori gesuiti (casistica), critica largamente condivisa da eminenti contemporanei, primo fra tutti Pascal, in nome di un agostinismo più o meno rigoro-

58

Thierry RUINART, Abrégé de la vie de dom Jean Mabillon, c. 3 (ed. cit. p. 7). Il fatto che Mabillon dopo tanti anni sapesse ancora a memoria un ufficio così lungo e complicato non è un’esagerazione pia: era prassi comune nella Francia d’ ancien régime che i canonici imparassero l’ufficiatura a memoria e cantassero senza libri (cf. George GUIVER, La compagnia delle voci: liturgia delle ore e popolo di Dio nell'esperienza storica dell'ecumene cristiana, Milano, Jaca Book, 1991, p. 148). 59 Traité, v. 2, 255-366. Il Catalogo che è composto con una grande larghezza di vedute, ricco anche di opere “attuali” e talora “sospette” perché scritte da protestanti, o persino messe all’Indice, come la grande Bibbia cinquecentesca del benedettino Isidoro Clario. 60 Traité, p. II, c. 4: v. 1, p. 263. 61 Cf. Traité, p. II, c. 6, De la théologie positive et scholastique: v. 1, p. 292-311.


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so o della dottrina morale di san Tommaso d’Aquino62. Come per la Regola benedettina e per la Tradizione, per Mabillon63 i Padri sono dunque i veri interpreti della Scrittura: per questo è indispensabile leggerli, perché la Scrittura è la base tanto della teologia che della spiritualità64. Al tempo stesso è impossibile studiare seriamente i Padri senza una conoscenza approfondita della Scrittura, soprattutto nelle antiche versioni greca e latina. I metodi per accostare le opere patristiche possono essere diversi (cronologico, tematico, graduando la difficoltà…), in rapporto anche alla sensibilità e capacità di ognuno. Tutti dovrebbero leggere almeno i Padri monastici, a partire da Cassiano, e soprattutto San Bernardo. Per chi può fare di più, Mabillon attinge ampiamente alle indicazioni del certosino Bonaventure d’Argonne65. Bonaventure d’Argonne si era occupato solo degli studi eruditi di patristica. Mabillon ad un tempo fa un passo ulteriore rispetto all’opera del certosino sulla via della vera e propria erudizione, dall’altra è più attento di lui agli autori specificamente monastici. Questo forse non è del tutto casuale: già in questo periodo i Certosini, pur rimanendo attaccati alla loro specifica tradizione, sono molto influenzati nella loro spiritualità da autori relativamente “moderni”, l’Imitazione e Francesco di Sales. Tra i Maurini c’è uno sforzo più evidente di considerare i Padri come fonte della spiritualità vissuta, oltre che come (legittimo) oggetto di studio. Interessante tra gli altri il suggerimento di Bonaventura d’Argonne, ripreso da Mabillon, di approfondire un autore rappresentativo per i greci (Giovanni Crisostomo) e/o per i latini (naturalmente Agostino), attorno alle tematiche del quale si potranno organizzare le letture, meno complete, di altri autori. I Padri andranno studiati con riverenza, serietà scientifica, possibilmente nelle lingue originali (il che non esclude un ampio, anche se meno noto, impegno dei Maurini nelle traduzioni) e con senso critico, situandoli in una corretta prospettiva storica, cioè nel quadro del loro tempo, non del nostro. Si apre così la porta anche a studi propriamente eruditi e all’opera di edizione scientifica con il lavoro sui manoscritti. Ma per Mabillon e Bonaventura d’Argonne è soprattutto alla luce della Fede comune della Chiesa che si dovranno leggere i Padri, senza assolutizzarne in maniera fanatica le affermazioni particolari66. Tutte le opere dei Padri sono in linea di principio adatte a essere studiate dai monaci. Limitare i monaci allo studio delle sole opere ascetiche sarebbe privarli della metà del “buon pane” cui hanno diritto. Se nel Traité Mabillon confuta soprattutto in base ai 62

Cf. ibid. c. 7, v. 1, p. 311ss Allo studio dei Padri sono dedicati specificamente due capitoli: Traité, p. II, c. 3-4: v. 1, 243-272 (alcuni brani in HESBERT, Science et sainteté, p. 41-44). 64 Traité, p. II, c. 3, v. 1, p. 243. 246. 65 BONAVENTURE D’ARGONNE, Traité de la lecture des Pères del’Eglise, ou méthode pour les lire utilement, Paris 1688 (rist. anast. Saint-Wandrille 1991), opera che costituiva una prima risposta a Rancé sul problema degli studi. Questi aveva attaccato duramente anche i Certosini accusandoli di rilassatezza, e lo stesso generale gli aveva risposto nel 1687: cf. Jacques MARTIN, Le Louis XIV des Chartreux: dom Innocent Le Masson 5, general de l'Ordre (1627-1703), Paris 1975, p. 22-29. 66 Mabillon non manca di indicare gli autori e le opere fondamentali in rapporto ai vari temi teologici (Traité, p. II, c. 3) e allo studio scientifico della storia della chiesa antica (Traité, p. II, c. 20: v. 2, p. 128-138), graduando l’approccio nei vari stadi della formazione. L’ Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale (10 novembre 1989) della Congregazione per l’Educazione Cattolica riecheggia in vari punti (non si sa quanto intenzionalmente) i consigli di Mabillon e Bonaventure d’Argonne. 63


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dati della storia del monachesimo la tesi di Rancé che le opere dogmatiche dei Padri non siano adatte ai monaci, in un brano delle successive Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe67 svolge, perfettamente in linea col pensiero e la pratica dei Padri stessi, il tema dell’unità profonda tra dogma e “morale” (nell’accezione ampia del sec. XVII, che include ciò che oggi chiamiamo “spiritualità”), Scrittura e teologia, vita cristiana e vita monastica, tanto nel vissuto concreto quanto nelle opere patristiche e medievali: «La morale cristiana ha un legame necessario con la conoscenza dei dogmi, perché la vera pietà è fondata sulla conoscenza di Dio; e nella proporzione in cui questa conoscenza è più perfetta, normalmente la pietà ne risulta più solida. Ora, la conoscenza di Dio dipende dalla conoscenza dei dogmi (…). È su queste verità che sono fondate le principali virtù cristiane: l’umiltà, la pazienza, la conformità alla volontà di Dio, ecc… Se si proibisce ai monaci lo studio dei dogmi, come si potranno trovare, non dico solo dei semplici religiosi, ma dei superiori capaci di chiarire questo tipo di dubbi, e di sostenere la pietà vacillante in se stessi e nei religiosi a loro affidati? Ma diciamo qualcosa di più: se si proibisce ai monaci lo studio dei dogmi, bisognerà estendere questa proibizione, contrariamente al parere espresso dal signor abate (Rancé) alle esposizioni dei Padri sulla Scrittura, come quelle di Agostino sui Salmi, su San Giovanni, sulle parole dell’Apostolo, dove si tratta di dogmi in misura per nulla inferiore a quella delle altre opere; o bisognerà distinguere almeno in queste esposizioni parti dogmatiche da altre puramente morali: cosa difficilissima, per non dire impossibile. Ma perché si dovrebbero fare tali distinzioni, visto che i Padri le hanno pronunciate in gran parte davanti al popolo, e che i fedeli comuni ne sono stati istruiti e edificati? Perché dei monaci non ne potrebbero ricavare lo stesso vantaggio? Analogamente, bisognerebbe impedire ai monaci la lettura di molti sermoni dogmatici di san Bernardo, nonostante li abbia composti per i suoi monaci e persino pronunciati in loro presenza (…). Credo di avere il diritto di concludere da ciò che ho appena detto che non si può separare questa scienza da quella della morale.»68

Il brano è interessante per la profonda conoscenza che Mabillon dimostra di avere delle opere patristiche, in cui un commento alla Scrittura può contenere tanta dogmatica quanto un trattato69: questo non sfuggiva solo a Rancé, se pensiamo che lo stesso Pierre Daniel Huet tende a deprezzare gran parte delle omelie di Origene come esempi di esegesi elementare, di scarso valore teologico, in quanto destinate al popolo70. Quanto dice Mabillon è ancora più interessante per la forte affermazione che - come nell’epoca patristica - è un diritto del semplice cristiano e non solo dell’ecclesiastico conoscere la propria Fede (i “dogmi”, cioè la teologia) con tutta la profondità, anche intellettuale, di cui è capace. Il religioso (ammesso che abbia le capacità necessarie, il che secondo Mabillon non sempre si verifica) non perde questo diritto per dedicarsi a un’ascesi intellettualmente cieca. Rancé insiste continuamente

67 Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe au Traité des Etudes Monastiques, 2e édition revue et corrigée, Paris Robustel, 1693, v. 2, art. 20: De l’étude des pères et des dogmes, et de la critique. Sentiment de saint Augustin touchant l’étude des dogmes (si cita da questa edizione; l’opera apparve una prima volta nel 1692 in un volume in 4°). 68 Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe, v. 2, p. 17-19. Testo anche in HESBERT, Science et sainteté, p. 51-56. 69 Cf. anche Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe, v. 2, p. 3. 70 Cit. in Henri de LUBAC, Storia e Spirito, Roma, Paoline, 1971, p. 200.


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su ciò che è proprio, specifico, monastico, e fa bene; però vita christiana caeterarum

fundamentum est71:

«Basta essere cristiano per avere diritto ad istruirsi sulla propria religione, purché si abbiano gli orizzonti intellettuali sufficientemente ampi per farlo. Gli impegni particolari assunti dai religiosi non diminuiscono in nulla tale diritto»72.

È una modestia malintesa rifiutare conoscenze sante, perché è la Verità che mantiene nell’umiltà, non l’ignoranza73 che è piuttosto figlia della paura74: «Y a-t-il si grand danger à apprendre à connaître Dieu?»75 Verità e carità, secondo l’ideale di Agostino, sono il fine degli “studi monastici”: in questo consiste la vera conoscenza della Scrittura e di Dio stesso.76 Siamo molto lontani dalla rivendicazione orgogliosa di una ricerca sulle realtà della Fede “libera” da ogni vincolo. Per Mabillon c’è infatti una “critica” fruttuosa per amore della verità e della carità77, e c’è una “critica” distruttiva della Fede, e staccata dall’impegno di vita. Naturalmente i fautori di una critica radicale hanno ben presto denunciato questa “mancanza i coraggio”78. Ma per Mabillon (e per molti suoi confratelli) l’adesione serena alla Fede trasmessa non è mai messa in discussione: è con un atteggiamento di pietas che essi accostano i grandi maestri della Tradizione, non per un “laico” interesse storiografico o per curiosità erudita. Perciò non dovrebbe stupire leggere nel Traité des Études monastiques questo invito, uscito dalla stessa penna che ha scritto il De re diplomatica: «Finirò con questo avvertimento, facendo ricordare a coloro che si applicano a questo studio di impegnarsi molto più nella purezza del cuore e nel buon ordine dei costumi, che nella speculazione e nella dottrina; o almeno, di congiungere l’una all’altra. Senza tale purità e imitazione non si comprenderanno mai come si deve le parole e il pensiero dei santi, come dice molto bene sant’Atanasio (De incarnatione) »79. 71

MABILLON, De monasticorum studiorum ratione: PEZ, Bibliotheca Ascetica antiquo-nova, t. 9, p. 659. Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe, v. 2, p. 8. 73 Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe, v. 2, p. 16. 74 Frutto di paura sembra la proibizione imposta da Rancé alle monache cistercensi di N.D. des Clairets di leggere buona parte dell’Antico Testamento; ispirata forse da un giudizio non positivo sul bagaglio culturale delle monache stesse, era comunque una posizione restrittiva, contraria alla pratica dei monasteri medievali, e che irritò anche il rigido moralista Pierre Nicole: cf. KRAILSHEIMER, Armand-Jean de Rancé, abbé de la Trappe, p. 77. 75 Réflexions sur la réponse de M. l’abbé de la Trappe, v. 2, p. 21. 76 Traité, p. III, c. 1: v. 2, p. 165-170. 77 Quella che lo stesso Mabillon, ad esempio, esercita nel denunciare il fiorente commercio romano di false reliquie (cf. Léon DÉRIES, Un moine et un savant: Jean Mabillon, Ligugé. Éditions de la Revue Mabillon, 1932, p. 131-138), e che ispirerà il Muratori nel suo impegno per la “regolata devozione dei cristiani”. 78 Cf. QUANTIN, L’oeuvre mauriste et ses détracteurs, p. 67-68. 84. 79 Traité, p. II, c. 3, v. 1, p. 262. Sulla stessa linea un testo contemporaneo, usato per i ritiri mensili nella Congregazione di San Mauro e tradotto ad uso dei benedettini italiani: il monaco deve «unirsi collo Spirito 72

agli Autori delle Opere che legge, quando questi sono de’ Santi, e de’ Padri della Chiesa, affine di chiederne loro l’intelligenza, e di partecipare allo Spirito, di cui erano essi stessi animati, quando hanno scritto. Quest’è più che leggere, perché si passa dalla lettura ad un colloquio famigliare» (Claude MARTIN, Metodo per il ritiro da farsi una volta al mese secondo l’uso de’ Monaci della Congregazione di San Mauro, in Pratica della Regola di s. Benedetto del padre d. Claudio Martin benedettino ... corretta ed accresciuta di due altre operette del medesimo autore. Nuova traduzione dal francese d'altro monaco della Congregazione cassinense, Venezia, Recurti, 1744, p. 342). Le stesse indicazioni vengono date più ampiamente da BOTraité de la lecture des Pères de l’Eglise, l. I, c. 4 (ed. cit. p. 20-23).

NAVENTURE D’ARGONNE,



RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 4, 591-599

Guerra e pace in don Primo Mazzolari Emilio Butturini Università di Verona

R

icorre quest’anno il 50° anniversario della morte di don Primo Mazzolari (1890-1959), «significativo protagonista del cattolicesimo italiano del Novecento»1. Il giorno esatto della sua morte fu il 12 aprile 1959, una settimana

1 Parole usate da Benedetto XVI il 1° aprile 2009, ricevendo i rappresentanti della Fondazione a lui dedicata. Di tale «protagonista» il papa ha invitato a «riscoprire l’eredità spirituale e a promuovere la riflessione sull’attualità del pensiero», auspicando che «il suo profilo sacerdotale, limpido di alta umanità e di filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a una fervorosa celebrazione dell’Anno Sacerdotale, che avrà inizio il 19 giugno prossimo».(“L’Osservatore Romano”, 2 aprile 2009, p.7). Decine e decine sono i lavori usciti dalla penna di don Primo Mazzolari, senza contare gli articoli del suo quindicinale “Adesso” o di altri giornali e riviste e altrettanti almeno quelli scritti su di lui. Per un riscontro aggiornato cfr., ad esempio, il saggio di Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea all’Università di Parma, L’eredità di don Primo Mazzolari, «Aggiornamenti sociali», aprile 2009, pp.291-301. Il bresciano Gatti fu il suo primo editore, poi la vicentina La Locusta, ma non mancano certo, specie per le opere postume, altre Case editrici, come Mondadori, San Paolo e, soprattutto, le Dehoniane di Bologna. Queste ultime - oltre alla riproduzione anastatica integrale delle annate di “Adesso” 1949-1959, a cura di Aldo Bergamaschi e Giuseppe Albiero - hanno riedito molte opere di Mazzolari e pubblicato nuovi importanti lavori, come i volumi dei Diari, a cura di Aldo Bergamaschi (1927-2007), che fu anche collaboratore di «Adesso». La San Paolo ha pubblicato nel 1991, Tu non uccidere, uscito anonimo con La Locusta nelle prime due edizioni, e quel singolare volume, La carità del Papa. Pio XII e la ricostruzione dell’Italia, 1943-1953, richiestogli dal presidente della POA (Pontificia Opera Assistenza), mons. Ferdinando Baldelli, da diciotto anni a disposizione degli studiosi come contributo per una migliore conoscenza di dieci anni di storia italiana. Fra tanti scritti, oltre che della raccolta di «Adesso» e dei Diari , ho pensato di avvalermi, in particolare, di un testo del suo vicario o “curato” degli ultimi anni (dal 1952 al 1959), don Marino Santini (1918-1999), pubblicato da Mazziana, Verona 1999, col titolo Ricordi di don Primo e con la Presentazione del vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi.


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Emilio Butturini

dopo essere stato colpito da un’emorragia cerebrale durante la celebrazione della Messa. Erano passati poco più di due mesi dall’incontro del 5 febbraio col nuovo papa Giovanni XXIII. Questi aveva accolto con grande cordialità e simpatia don Primo, anche nel ricordo della comune esperienza di cappellani militari nella prima guerra mondiale. L’aveva salutato con un «Signor Tenente», a cui Mazzolari aveva risposto «Signor Sergente», perché allora il futuro papa era un sottufficiale, mentre il futuro parroco di Bozzolo era stato promosso ufficiale. Poi, davanti a tutti, papa Giovanni aveva aggiunto – certo non con unanime consenso di vescovi e fedeli - la famosa frase: «Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana» ed era rimasto a colloquio con lui per almeno venti minuti. Don Primo era uscito confortato, dicendo, secondo la testimonianza del suo cooperatore degli ultimi anni don Marino Santini: «Dopo giorni di pena, finalmente mi sento sollevato»2. Primo Mazzolari, era nato a S. Maria del Boschetto, frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890 e lì aveva trascorso i suoi primi anni, fino a quando, nel 1900, si era trasferito con la famiglia in un grosso centro del bresciano, Verolanuova, dove il padre era divenuto “fittavolo”. Primo era entrato in seminario a Cremona nell’ottobre 1902 e, dieci anni dopo, il 24 agosto 1912, era stato ordinato sacerdote dal vescovo di Brescia Giacinto Gaggia a Verolanuova, per concessione del suo amato vescovo cremonese Geremia Bonomelli3. Dopo un breve periodo in cura d’anime a Spinadesco, a pochi chilometri da Cremona, era stato nominato insegnante di lettere nella prima ginnasio del Seminario per l’anno scolastico 1913-1914. Nell’estate seguente aveva fatto esperienze di segretariato per gli emigranti dell’Opera Bonomelli ad Arbon, presso il lago di Costanza, per assistere il rimpatrio di molti italiani dalla Germania. Era cominciata infatti la guerra, che avrebbe visto il 23 maggio 1915 l’ingresso anche dell’Italia, per decisione della Corona e del Governo, contro la volontà del Parlamento, non più convocato, ma con trecento deputati e cento senatori che decisero di lasciare «i loro biglietti da visita in casa di Giolitti, come gesto di solidarietà neutralista»4. Vi sono nel I volume dei Diari curati dal prof. Bergamaschi, a partire dal giugno 1915, quattro appassionate lettere - da convinto interventista, sulla linea del giornale «L’Azione» di Eligio Cacciaguerra, a cui allora collaborava - al fratello Giuseppe soldato al fronte, fino a quando venne a sapere della sua morte avvenuta sul Sabotino il 6 dicembre 1915, fatto che lo spinse a partire soldato lo stesso giorno in cui ricevette tale notizia. Fece anche quasi subito domanda d’essere nominato cappellano militare, domanda che però restò a lungo “inevasa”, anche per “resistenze” del suo nuovo ve2

Ricordi di don Primo sopra citati, pp. 117-118. Il bresciano Geremia Bonomelli (1831-1914) fu a lungo vescovo di Cremona ed influì sul Mazzolari specie per i temi della conciliazione fra Chiesa e Stato e del potere temporale, in nome di una più autentica azione religiosa e di un autonomo impegno politico dei cattolici. Bonomelli aveva pubblicato anonimo nel 1889 il saggio Roma e l’Italia e la realtà delle cose (in reprint da Feltrinelli nel 1966), che sarebbe stato messo all’Indice. Cfr. M. Maraviglia, Primo Mazzolari. Nella storia del Novecento, Studium, Roma 2000, p.14. Cfr. anche P. Vanzan, Don Primo Mazzolari nel 50° della morte, «La Civiltà Cattolica», 3 gennaio 2009, pp.12-23, specie p.13 e n.4. 4 Così «La Tribuna» del 9 maggio 1915 (nel testo ripreso dallo storico di Nizza Max Gallo, Vita di Mussolini, Laterza, Bari 1967, p.46), dove si osserva ancora che «i partigiani della guerra in Parlamento sono in tutto una sessantina. Né il paese reale né quello legale, per dirla con Salvemini, vogliono l’intervento. Solo le strade sono nelle mani degli interventisti». 3


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scovo, Giovanni Cazzani. Per lui don Primo, che amava ripetere che non serviva avere le mani pulite solo perché le si era tenute in tasca, era sì «croce d’oro, ma croce!», come ricorda don Santini5. Fu mandato per alcuni mesi a Genova, nella IV Compagnia di Sanità, per poi tornare a Cremona come caporale di sanità presso l’ospedale militare (installato nel Seminario diocesano), «con la sensazione di essere un imboscato», commenta il prof. Bergamaschi6. Nel novembre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, si offrì più volte per «qualche servizio mobilitato», in attesa d’una precisa destinazione. Questa l’avrà soltanto con la nomina a cappellano militare il 26 aprile 1918 e l’invio il mese seguente in Piccardia (Francia), al seguito delle truppe ausiliarie italiane. Seguirono, dopo la fine della guerra, un periodo di servizio nella zona del Piave a ricuperare salme di caduti (ritrovando, fra l’altro la tomba del fratello), la nomina a Cavaliere della Corona d’Italia (31 maggio 1919) e un nuovo servizio come Tenente cappellano del 135° Reggimento di Fanteria a Cosel in Alta Slesia, fino al congedo del 23 luglio 1920 e al rientro in Italia il 6 agosto 1920. Nell’attesa dell’ultima nomina, fra gennaio e febbraio 1920, si era trovato a Verona, dove aveva voluto incontrare don Calabria, scrivendo sul Diario: «Credo di aver visto un santo»7.Vari i riferimenti al mutamento del suo pensiero in quel diario di guerra, della quale sempre più provava orrore, spinto – come osserva p. Piersandro Vanzan – da «la solidarietà quotidiana con i soldati, l’immedesimarsi con le loro amare condizioni di vita, il vederseli morire tra le braccia», fino alla illuminante conclusione che «solo quando genti di razze diverse sapranno convivere su una stessa terra, senza farsi del male l’un l’altro, saremo giunti a buon termine. Ma allora il problema nazionale e quello di razza non esisteranno più. L’umanità ne avrà preso il posto»8. Dopo 14 mesi di «delegato vescovile» a S. Trinità (una delle due parrocchie di Bozzolo), divenne parroco di Cicognara per oltre dieci anni, subendo le prime minacce dei fascisti già nell’ottobre 1922, divenute più pesanti dopo il suo rifiuto di celebrare il Te Deum di ringraziamento per il fallito attentato a Mussolini del 25 novembre 1925 e dopo la sua decisione di non partecipare al voto “plebiscitario” del 24 marzo 1929, a seguito della «Conciliazione fra Chiesa e Stato» dell’11 febbraio di quell’anno. Ave5

P. Mazzolari, Diario I (1905-1915), a cura di A. Bergamaschi, Dehoniane, Bologna 1997, pp.713-715 e 722-724. Cfr. poi Santini, Ricordi di don Primo, p.82 e, in particolare, p.87 per un testo autobiografico sulla sua immediata decisione di fare il soldato, dopo la notizia della morte del fratello. 6 Mazzolari, Diario II (1916-1926), a cura di A. Bergamaschi, EDB, Bologna 1999, p.35, n.6. 7 Per queste notizie vedi A. Bergamaschi, Mazzolari fra storia e Vangelo, Morelli, Verona 1987, pp.207208 e, naturalmente, in maniera più diffusa e documentata, l’opera da lui curata, Diario II (1916-1926), cit., pp.15-280, in particolare, pp.169-170 per il ritrovamento della tomba del fratello e p.209 per il primo incontro con don Calabria. Questi apparirà anche come autore in due articoli di «Adesso», che dovevano, forse, essere più continuativi, data la persistenza del sottotitolo «Piccolo quaresimale», quasi si trattasse di una rubrica. Vi fu però l’invito a non collaborare da parte del card. Schuster, rintracciabile in una sua lettera al vicario di Calabria, don Luigi Pedrollo del 23 marzo 1953 (G. Calabria, I. Schuster, Le lettere (1945-1954), Jaca Book, Milano 2000, pp.187-188) e gli articoli rimasero solo due, uno del 15 marzo e uno del 1° aprile 1953. Non mancò invece un breve, commosso ricordo del Calabria da parte dello stesso Mazzolari in «Adesso», 15 dicembre 1954, con la testimonianza delle visite a S. Zeno in Monte, per riversare «nel suo cuore le nostre tribolazioni», ritornandone «con l’animo sollevato e con un ancor più tenero e fermo amore verso la Chiesa». 8 Mazzolari, Diario II (1916-1926), p.221. E’ l’inizio di un discorso che si concluderà col Tu non uccidere del 1955. Il riferimento precedente è a P. Vanzan, Don Primo Mazzolari, cit., pp.14-15, con n.7.


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va espresso a più riprese sul Diario le sue perplessità, prima e dopo la firma dei Patti Lateranensi, riassunte incisivamente in una lettera alla nobildonna umbra, appartenente ad un istituto rosminiano, Vittoria Fabrizi De Biani, definendo «un sollievo la fine della Questione romana», ma un qualcosa che «dà le vertigini» il concordato della Chiesa con un «regime, che ne è l’antitesi»9. Il punto culminante dello scontro si ebbe, con tre colpi di pistola sparati contro la sua finestra («del calibro delle rivoltelle della milizia», come «scappò detto» al brigadiere dei carabinieri che fece un sopralluogo, dice il Mazzolari nel Diario) nella notte fra l’1 e il 2 agosto 1931. Era quello l’anno degli scontri fra Azione cattolica e Fascismo, con la dura enciclica di Pio XI del 29 giugno Non abbiamo bisogno, contro la «statolatria pagana» del regime, molto apprezzata da don Primo e discussa con i suoi giovani10. A seguito anche di questo fatto, fu “promosso”, a partire dal 10 luglio 1932, a parroco delle due parrocchie unificate di Bozzolo (diocesi di Cremona, ma provincia di Mantova), dove rimase fino alla morte, affiancando all’attività pastorale una sempre più intensa attività di pubblicista, con il suo stile caratteristico da «cuore pensante», per usare un’espressione cara a Etty Hillesum (1914-1943). Così nel 1934 pubblicava con l’editore Gatti di Brescia il primo importante libro La più bella avventura. Sulla traccia del prodigo, nel quale, più che considerare le colpe

del figlio minore, pure capace di “avventura” e di ridiscussione di se stesso, sottolineava la meschinità del fratello maggiore e delle sue false certezze. Egli osservava che non era chiaro il confine fra chi è dentro e chi è fuori della Chiesa, perché «un po’ di Chiesa è ovunque, un po’ di mondo è ovunque. Dei due figli della parabola, nessuno è dentro del tutto»11. La pubblicazione del libro attirò il 5 febbraio 1935 il primo richiamo ufficiale del S. Ufficio, con l’ordine di ritiro dal commercio del libro, dichiarato «erroneo» e l’invito al vescovo a vigilare predicazione e scritti del parroco di Bozzolo. Mazzolari, mandò, l’11 febbraio, al vescovo e, il 18 febbraio, al Segretario del S. Ufficio, card. Donato Sbarretti, «lettere di sottomissione», con «cuore devoto e appas-

9 P. Mazzolari, Diario III/A (1927-1933), a cura di A. Bergamaschi, Dehoniane, Bologna 2000, pp. 262263. Cfr. le pagine precedenti e successive del Diario, almeno dalla data del 5 febbraio al 25 marzo 1929 (pp.254-269). La nobildonna qui indicata è una della ventina di corrispondenti di don Mazzolari, per le quali cfr. G. Vecchio, Mazzolari, la Chiesa del Novecento e l’universo femminile, Morcelliana, Brescia 2006. Vanzan nell’articolo sopra cit. (p.18, n. 14) ricorda anche sorella Maria di Campello e un brano incisivo di una lettera a lei inviata dal Mazzolari. Cfr.L’ineffabile fraternità. Carteggio (1925-1959), a cura di M. Maraviglia, Qiqajon, Magnano (Bi) 2007. 10 Mazzolari, Diario III/A (1927-1933), cit., pp.490-503, con le prime emozioni quando con l’«Avvenire» gli arrivò il testo intero dell’enciclica ed egli annotò :«Sorpresa l’Enciclica, sorpresa il testo di essa, per ciò che dice, per la maniera con cui lo dice; commozione fino alle lagrime». Cfr. poi nel medesimo testo, pp.507-512, per le precise testimonianze sui «tre colpi di rivoltella, sparati rabbiosamente l’un dietro l’altro», sul cenno fatto a quell’episodio nella prima messa domenicale, sull’interrogatorio del brigadiere e del commissario prefettizio, raccontati poi più distesamente al vescovo e documentati dalla minuta di una lettera a lui inviata il 6 agosto 1931. 11 Cfr. nell’edizione più recente, a cura di M. Margotti, EDB, Bologna 2008, p.112. Riguardo alla conclusione del periodo citato, si ricordi l’agostiniano «perplexae sunt istae duae civitates invicemque permixtae», per cui poteva avvenire che «fra gli avversari [della città di Dio] si nascondessero futuri suoi cittadini, mentre fra quelli che abitano la città di Dio, alcuni non si sarebbero trovati nella condizione eterna dei santi» (La città di Dio I, 35), «secondo la logica della permixtio, che impedisce di proiettare l’antitesi tra le due città in un insanabile antagonismo istituzionale», per dirla con Luigi Alici, La convivenza civile: una prospettiva filosofico-culturale in Convivenza civile e nuovo impegno pedagogico. XLV convegno di Scholé, La Scuola, Brescia 2007, pp.56-59, p.57 per la citazione puntuale.


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sionato», pregando entrambi che gli fosse indicato dove si annidassero gli errori. Al vescovo espresse anche il rammarico di essere considerato un «vigilato speciale», col rischio di essere denunciato per eretico dal primo cui non garbassero opinioni e sentimenti, che possono essere «liberissimi e legati all’esperienza, alla cultura, all’indole». Lunghissima la lettera di risposta del vescovo, non senza accenti di «trepidazione amorosa di fratello e di padre», ma anche con precise indicazioni per una piena applicazione del decreto romano. «Care e confortevoli testimonianze» egli dichiarò di aver ricevuto in quella «prova dolorosa» - per dirla con il suo vescovo – non solo da mons. Bazzani e p. Bevilacqua (cui fece leggere la sua lettera al S. Ufficio) e da altri amici bresciani, fra i quali ricorda subito «i Montini», ma anche dal suo stesso vescovo, benché la sua lunga lettera «per certi apprezzamenti» non gli fosse entrata «tutta né in cuore né in testa»12. Seguirono gli anni di maggior consenso di massa al fascismo in occasione delle guerre d’Etiopia e di Spagna (anche da parte di alti esponenti della Gerarchia ecclesiastica13) fino alle Leggi razziali del 5 e 23 settembre 1938 (nn.1390 e 1630) e al Testo unico, n.1779 del 29 novembre 1938, che segnarono l’inizio di un forte contrasto tra fascismo e chiesa cattolica, già dall’immediata reazione di Pio XI, all’indomani della prima legge, il 6 settembre 1938, quando, in un’udienza a cattolici belgi, «con la voce progressivamente alterata dall’emozione» sostenne che «non, il n’est pas possibi-

le aux chrétiens de participer à l’antisémitisme […]. L’antisémitisme est inadmissible. Nous sommes spirituellement des sémites», parole riportate sulla stampa belga e francese, non in quella italiana, questa volta neppure su «L’Osservatore Romano», che pubblicò sì il discorso, ma fu costretto ad omettere quella frase14.

Ci fu quindi l’omelia del card. Schuster del 13 novembre 1938, con la definizione dell’antisemitismo come «un’eresia antiromana […], un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo» e, neppure due mesi dopo, nell’ Epifania del 1939 («L’Osservatore Romano», 15 gennaio 1939) quella, molto più cauta, del vescovo di Cremona Giovanni Cazzani, pure non troppo condiscendente verso il re12

Cfr.Diario (1934-1937), III/B, a cura di A. Bergamaschi, EDB, Bologna 2000, pp. 62-73. Più che i deliranti discorsi del vescovo di Pesaro, Bonaventura Porta, ricordo con lo storico gesuita Giacomo Martina (I cattolici di fronte al fascismo, «Rassegna di teologia», 3-4, 1976, pp.182-183, specie n.29) le dichiarazioni del 28 ottobre 1935 del card. Ildefonso Schuster sul «vessillo d’Italia che reca in trionfo la croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi […] apre le porte d’Etiopia alla fede cattolica ed alla civiltà romana», sia pure non dimenticando le sue fiere espressioni contro le leggi razziali del 1938. Nel 1935 ben diverse valutazioni esprimeva su «L’Osservatore Romano» Guido Gonella (Verso la 2^ guerra mondiale. Cronache politiche. «Acta diurna 1933-1940», a cura di F.Malgeri, Laterza, Roma-Bari 1979, p.195), indicando nella guerra d’Etiopia il sintomo di «uno stato di febbre generale che fiacca tutto l’organismo della politica europea e prepara il terreno ideale per lo scatenarsi di morbi crudeli e letali». Per altre significative posizioni di quel periodo cfr. R. Moro, L’opinione cattolica su pace e guerra durante il fascismo in M. Franzinelli, R. Bottoni (a cura), Chiesa e guerra. Dalla «benedizione delle armi» alla «Pacem in terris», Il Mulino, Bologna 2005, pp.274-294. Don Lorenzo Bedeschi ha curato la pubblicazione di scritti del Mazzolari del 1933, 1941 e 1945 (non relativi al periodo qui considerato) nel volume P. Mazzolari, La Chiesa, il Fascismo e la guerra, Vallecchi, Firenze 1966. 14 G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Marietti, Casale Monferrato 1985, pp.304-305. Cfr. anche E. Fattorini, Pio XI, Hitler, Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007, p.XXII. Cfr. in particolare G. Vecchio, Antisemitismo e coscienza cristiana in L.Pazzaglia (a cura), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, La Scuola, Brescia 2003, pp. 448-449 e n.53, con la precisazione che fu lo stesso Pio XI a chiedere che il suo discorso fosse pubblicato integralmente su «La libre Belgique». 13


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gime, disposto anche ad offrire interpretazioni positive della teoria della razza del prof. Nicola Pende, con «ottima impressione» negli ambienti fascisti locali, come documenta il prof. Vecchio. Di qui la lettera di don Primo al suo vescovo per «parole e toni un po’ crudi nei riguardi degli ebrei», che gli facevano ricordare le «insopportabili stonature di linguaggio di p. Gemelli». Così, nel venerdì santo del 1939 - anticipando quello che avrebbe fatto nel 1959 papa Giovanni che tolse l’aggettivo perfidi e ne stabilì la scomparsa definitiva con la riforma del messale del 1962 - don Primo decise di cambiare la preghiera del Venerdì santo da pro perfidis Judaeis a pro tribulatis Judaeis15. L’ordine di ritiro dal commercio si ripeterà nel 1943 con Impegno con Cristo dell’ed. Salesiana di Pisa, mentre due anni prima era stato il Minculpop (Ministero della cultura popolare) a porre sotto sequestro il libro Tempo di credere dell’editore Gatti, dove, fra l’altro, si affermava: «è tempo di credere, non di ubbidire; e meno che mai di combattere». Intanto in quel 1943 si erano verificati eventi assai importanti per l’Italia, con lo sbarco degli Angloamericani in Sicilia (9-10 luglio), il voto di sfiducia del Gran Consiglio a Mussolini, nella notte fra il 24 e 25 luglio, e l’armistizio dell’8 settembre, mentre, ad un tempo, avveniva l’occupazione tedesca del Centro-Nord, la liberazione dell’ex duce (10 settembre), che annunciava da Monaco di Baviera la prossima fondazione della Repubblica Sociale Italiana di Salò (18 settembre), voluta da Hitler, in contrapposizione con il Regno del Sud, con quello che era rimasto dell’esercito italiano e con i vari gruppi partigiani. Tra febbraio e luglio 1944, Mazzolari subiva prima un “accertamento” nella Questura di Cremona, poi un arresto al Comando tedesco di Mantova, per cui, il 31 agosto 1944, decideva di “darsi alla clandestinità”, rimanendo alla fine “segregato” al piano superiore della sua casa, all’insaputa di tutti. Per i più la sua prima “uscita pubblica” fu solo per la Messa, celebrata in piazza a Bozzolo con i suoi parrocchiani, il 24 aprile 194516. Il 20 febbraio 1946 uscì un nuovo ordine del S.Ufficio di ritiro dal commercio di un suo opuscolo (Impegni cristiani, istanze comuniste), mentre, nel periodo successivo, fino al 18 aprile 1948, vi fu per lui maggiore tolleranza, impegnato com’era nella collaborazione con «Democrazia», settimanale della DC lombarda, a sostegno dell’autonomia delle scelte politiche dei cattolici e con aperte critiche al comunismo, perché «nessun vero miglioramento sociale poteva nascere da una concezione riduttiva e incapace di rispettare “l’eterno dell’uomo”»17. Partecipò anche a pubblici comizi contro il Fronte Popolare, come quello di piazza Sordello a Mantova del 16 aprile 1948, con cinquantamila persone presenti al confronto18. Meno gradita doveva diventare la pubblicazione del suo quindicinale «Adesso», a partire dal 15 gennaio 1949, ma sospeso già dal febbraio 1951, con la proibizione comunque per lui di scrivere sulla rivista, quando uscì di nuovo dal novembre 1951, sot-

15

Cfr. Vecchio, Antisemitismo e coscienza cristiana, cit., pp.450-457, con altri documenti mazzolariani sulla campagna razzista condotta «in modo indegno e rivoltante». Cfr. poi dello stesso Autore, L’eredità di don Primo Mazzolari, pure già citato, p.297. 16 Cfr. Vanzan, Don Primo Mazzolari, cit., p.18. 17 Cfr. Vanzan, Don Primo Mazzolari, cit., ibidem. 18 Santini, Ricordi , cit., p.70.


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to la direzione di Giulio Vaggi, in realtà anche con scritti suoi, ma non firmati. Si ricordi – come osserva, sia pure in altro contesto, il prof. Bergamaschi – che egli parlava sì di obbedienza, ma di «obbedienza cristiana» e si firmava «obbedientissimo in Cristo»19. Può essere significativo che fin dal primo anno di uscita apparissero nel quindicinale di Mazzolari documenti di un altro prete “scomodo”, don Lorenzo Milani: il primo, Franco, perdonaci tutti: comunisti, industriali, preti sul numero del 15 novembre 1949, firmato «un prete fiorentino», cui seguì nel numero del 15 dicembre 1950, Per loro non c’era posto. Vari anni dopo poi, nel numero del 1° ottobre 1958, comparve col titolo Ho aperto gli occhi una lettera di don Milani di risposta ad un lettore di «Adesso», che chiedeva di conoscere il metodo del Priore. La lettera fu elaborata insieme ad alcuni giovani della scuola di San Donato, con la firma di Benito Ferrini, nome immaginario di un parrocchiano di Barbiana del tutto analfabeta20. Pubblicava intanto altri scritti, fra cui il romanzo autobiografico La Pieve sull’argine (IPL, Milano 1952), fino ad una nuova condanna del S. Ufficio del 28 giugno 1954, che non solo gli proibiva di «scrivere e dare interviste su materie sociali», ma anche di tenere predicazioni al di fuori della sua parrocchia. Era quello un momento significativo di svolta del pensiero di Mazzolari sul tema della guerra e della pace, su cui intendo soffermarmi nell’ultima parte di questo articolo. Su «Adesso» erano usciti molti articoli, nella rubrica «Pace nostra ostinazione», e, nel numero della rivista del 1° maggio 1955, si parlava del Tu non uccidere, a cura di Rienzo Colla, editore della vicentina La Locusta, come di un volume «piccolo di mole, ma inquietante […] che raccoglie in forma quasi aforistica il frutto delle meditazioni di giovani cattolici sul problema della guerra e della pace». Era la sintesi delle espressioni usate nell’introduzione della prima edizione dell’opera, per giustificarne l’anonimato, in ossequio al decreto del S. Ufficio. Dopo aver ribadito che suo intento era di contribuire all’affermazione dei diritti dei popoli, al disarmo atomico e al superamento delle false barriere ideologiche, che dividevano l’umanità, impedendo di mirare alla costruzione di un mondo rinnovato e di una vera pace, don Primo, passato dalla tormentata, ma decisa opzione interventista della I guerra mondiale ad una sempre più convinta scelta nonviolenta, indicava quattro motivazioni fondamentali di una netta condanna della guerra: • La guerra è irrazionale perché affida alla forza un problema di ragioni e di diritti, mentre occorre «servirsi della ragione per arrivare alla pace».

19

Cfr. in Diario 1916-1926, II, cit., pp.89-90, la premessa di Bergamaschi all’inizio del 1917, con riferimento alla prima lettera scritta da Mazzolari, il 4 gennaio di quell’anno, al nuovo vescovo di Cremona Giovanni Cazzani. Su «Adesso», 15 marzo 1951, in un’altra lettera allo stesso vescovo, dopo la sconfessione della rivista, scriverà: «Adesso è meno di un attimo, mentre la Chiesa è la custode dell’Eterno ed io voglio rimanere nell’Eterno». 20 Delle prime due lettere don Milani stesso rivendicò di esserne stato l’autore in una lettera del 25 luglio 1952 al nuovo direttore della rivista Vaggi. Vedi in Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, nuova ed. a cura di M. Gesualdi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2007, pp.33-35. Cfr. pp.23-24 per la lettera alla signora Carolina di Firenze del 12 ottobre 1950, dove pure dichiara la paternità della lettera pubblicata su «Adesso» nel 1949. Per il testo della lettera firmata Benito Ferrini cfr., sempre a cura di M. Gesualdi, La parola fa eguali, LEF, Firenze 2005, pp.30-34. Per un incisivo confronto tra la “rivoluzione cristiana” di Mazzolari e il “classismo” di don Milani cfr. Bergamaschi, Mazzolari tra storia e vangelo, cit., pp.102-106.


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• Essa comporta «lo svenarsi nel riarmo prima e nei campi di battaglia poi», mentre si dovrebbe riflettere sul fatto che «se quanto si spende per le guerre, si spendesse per ri-

muoverne le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere e di civiltà».

• Anche se dichiarata per combattere il male, essa produce mali di gran lunga superiori al male che vuole sconfiggere. • La guerra, infine, è «sempre una trappola per la povera gente», invitata a morire per le case e per i campi, promessi magari per spingerla a combattere, ma, passato il pericolo, rivendicati dai soliti pochi, disposti a pagare «per togliere alla gente qualsiasi vellei-

tà di pretendere qualche cosa del molto difeso uccidendo».

Non si deve però rinunciare a resistere contro il male, ma scegliere un altro modo di resistere, «la nonviolenza appunto, che è come dire un no alla violenza, un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva», sostituendo alla «resistenza della forza» la «resistenza dello spirito». La pace infatti è inscindibilmente legata alla giustizia, essa «non sarà mai sicura e tranquilla, – si legge nella conclusione – fino a quando i poveri, per fare un passo avanti in difesa del loro pane e della loro dignità, saranno lasciati nella diabolica tentazione di dover rigare di sangue la loro strada». Questa volta, accanto alle critiche, fra cui quella di padre Antonio Messineo de «La Civiltà Cattolica» del 21 maggio 1955 (rivista che ospiterà successivamente giudizi ben diversi), non mancheranno apprezzamenti positivi in Italia e all’estero, fra i quali vorrei qui brevemente ricordare quelli di tre noti scrittori italiani: Giovanni Papini, Igino Giordani, Luigi Santucci. Partirei da una “scheggia” sul «Corriere della Sera» del 17 aprile 1955 di Papini, che ribadiva - in radicale contraddizione con le posizioni “guerraiole” della giovinezza21 - la condanna dei tanti miliardi spesi per “ridurre gli uomini giovani e sani in corpi miseramente mutilati o in cadaveri straziati [...] rinnegando in modo così assurdo e feroce uno degli insegnamenti essenziali del cristianesimo». Un altro intellettuale cattolico, Igino Giordani, scriveva alla rivista di don Mazzolari («Adesso» 15 giugno 1955), in segno di condivisione dell’idea di fondo della sua opera, non senza critiche alle posizioni espresse da padre Messineo, per rivendicare ai cattolici l’iniziativa della pace, superando il timore di essere confusi con i comunisti «partigiani della pace», dato che «la pace si fa coi nemici, non coi commensali». «Se noi cattolici – scriveva Giordani, divenuto amico e ispiratore dei Focolarini – abbiamo un’idea di pace superiore e più vera che non quella degli atei, dobbiamo farla valere e non tenerla nei volumi, scritti magari in lingua morta». Interessante mi pare anche una lettera apparsa su «Adesso» del 15 settembre di quell’anno (ripresa da «Il Popolo» di Milano) e scritta dal grande romanziere Luigi Santucci, che vedeva nel Comunicato dei Quattro Grandi del 24 luglio 1955 una prima conferma, a livello politico, dell’ostinata richiesta di pace del parroco di Bozzolo. Lo scrittore milanese, amico personale di Mazzolari, definiva la sua canonica «il piccolo quartier generale della pace in Italia», con don Primo divenuto «durante questi anni il cappellano della pace», 21

Vedi, ad esempio, in I. Caliaro, Gli intellettuali e la grande guerra, Einaudi Scuola, Milano 2001, pp.3439. Ricordiamo però che già nel 1932, recensendo la Storia d’Europa di Croce, Papini aveva parlato della guerra come «brutale ferocia», provocando le rimostranze di Luigi Federzoni, allora presidente del Senato. Cfr. Moro, L’opinione cattolica su pace e guerra durante il fascismo, cit., pp.265-266.


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pur essendo ben consapevole che al tavolo di Ginevra sedeva un quinto invisibile “Grande”, la bomba H, e che la speranza di quei giorni era fondata su «una pace negativa […], al di là di una guerra scontata nella sua assurdità annientatrice: non al di qua di un massacro evitato per amore di Cristo». Nonostante questi e altri riconoscimenti, la nuova edizione del 1957 risultava ancora priva del suo nome e solo la terza, del 1965, usciva con la sua firma, sei anni dopo la morte, mentre ne sarebbero seguite varie altre, fino almeno alla dodicesima con la San Paolo. In compenso nel novembre 1957 il nuovo arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini lo invitava a predicare alla Grande Missione di Milano (a cui veniva dedicato il numero di «Adesso» del 15 dicembre 1957), mentre il 5 febbraio 1959 papa Giovanni gli riservava il già ricordato riconoscimento. Nel numero di «Adesso» del 15 marzo 1959 poi non temeva di svelare al papa «umilmente e fiduciosamente», come contributo per l’imminente Concilio ecumenico, «il segreto dei nostri desideri per il bene della Chiesa e del mondo». Erano i famosi otto punti con i quali veniva sintetizzato il frutto degli incontri, tenutisi a Verona nella “Casa madre” dell’Opera don Calabria tra novembre e dicembre 1958, insieme con sacerdoti e fratelli dell’Opera, fra cui il successore del santo veronese don Luigi Pedrollo, fratel Francesco Sossai e il fratello esterno dott. Filippo Parolari. Giovanni XXIII si sarebbe fatto eco di quella «tromba dello Spirito Santo», proclamando nell’enciclica dell’aprile 1963, Pacem in terris (n. 67) che «in un’età che si vanta della forza atomica pensare che la guerra possa essere utilizzata per rivendicare diritti violati è irragionevole (alienum a ratione)». Montini poi, divenuto papa Paolo VI, dichiarerà ad un gruppo di parrocchiani di Bozzolo ricevuti in udienza in Vaticano: «Non era sempre possibile condividere le sue posizioni: Don Primo camminava avanti un passo troppo lungo e, spesso, non gli si poteva tener dietro; e così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. E’ il destino dei profeti»22. Forse Montini conosceva anche la decisa presa di posizione del suo ultimo editoriale La pace e le bombe, apparso su «Adesso» il 15 aprile 1959, tre giorni dopo la sua morte:

Non possiamo parteggiare per una pace che fa le rampe di lancio, fabbrica bombe atomiche per la difesa. […] La guerra arriva lo stesso senza aggressori, e ancor più implacabile, perché tutti si difendono e la difesa pare che dia il diritto di essere feroci.[…]. Non discutiamo le ragioni della difesa, né di questi né di quelli […]. Diciamo soltanto che la fatalità della guerra la fabbrichiamo così, credendoci onesti, paladini della giustizia, morendo per la giustizia. Tutti crociati. Non posso permettere che venga sterminata la mia gente e il mio popolo. Il busillis è qui: come superare la giustizia giuridica che fa perno sul dovere della difesa: «Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete nel regno dei cieli”. 22 Cfr. il volume curato da A. Chiodi, Mazzolari nella storia della Chiesa e della società italiana del Novecento, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2003, p.17.



RICERCHE E STUDI

RivLas 76 (2009) 4, 601-616

Recenti indagini internazionali sull’istruzione religiosa nella scuola Bollettino bibliografico ITALIA – EUROPA

Quando l’ Irc va sotto osservazione: per apologia o per verifica? Mariachiara Giorda Università di Torino

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ue ricerche, una italiana ed una europea1, di diversa natura e destinazione, ma dettate ambedue dal bisogno di verificare le ricadute effettive dell’istruzione religiosa scolastica nell’attuale congiuntura culturale, meritano una lettura attenta che non sarà priva, per noi, di qualche interrogativo.

1. La prima ricerca, nata da un'idea iniziale di Antonio Bollin, direttore dell'Ufficio per l’Irc della diocesi di Vicenza, si è proposta di rispondere ad una fondamentale curiosità: “che cosa sanno i ragazzi e i giovani dì oggi della religione, e, in particolare, 1

OSSERVATORIO SOCIO-RELIGIOSO TRIVENETO, Apprendere la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, a cura di Alessandro CASTEGNARO,

Edb, Bologna 2009, pp. 257. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (ed.), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa. Atti della ricerca del Consiglio delle conferenze episcopali d’Eu-ropa, Ldc, LeumannTorino 2008, pp. 461+Cd-rom con le versioni francese, inglese, tedesca.


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Ricerche e studi

di quella cristiana cattolica? E’ proprio vero che la nostra società si caratterizza per una crescente ignoranza religiosa, che le nuove generazioni anticipano? E che ciò avviene nonostante il lavoro educativo di molte migliaia di docenti impegnati nell'insegnamento della religione nelle scuole e nonostante la diffusa partecipazione alla catechesi di iniziazione cristiana? Più specificatamente, l'indagine si è posta come una verifica dei livelli di alfabetizzazione religiosa posseduti dai ragazzi che si avvalgono dell'Irc. Se le conoscenze acquisite fossero risultate insoddisfacenti anche tra costoro, la tesi dell'ignoranza religiosa delle nuove generazioni avrebbe trovato conferma». Il secondo volume è il frutto di un’indagine europea effettuata su iniziativa della Chiesa cattolica italiana, che, coinvolgendo nell’organizzazione il Consiglio delle conferenze episcopali europee, si è avvalsa di una rete di delegati nazionali scelti dalle rispettive autorità. Il volume raccoglie i rapporti nazionali di quasi tutti i paesi membri dell’Unione europea e di qualche altro che fa parte del Consiglio d’Europa. Ogni rapporto, seguendo una griglia standard di rilevazione, offre i dati censiti localmente; alcuni capitoli sollevano questioni trasversali quali la valenza formativa dell’istruzione religiosa, il dialogo tra autorità religiose e scolastiche, il profilo dell’Irc nelle scuole cattoliche, lo stato di salute dell’Irc in Europa. Per quanto attiene a questa seconda ricerca, ci concentreremo qui soltanto sugli aspetti relativi all’Italia. Una lettura incrociata dei due volumi [d’ora in poi rispettivamente: OSRT e CCEE], porta a soffermarci in effetti, sul contesto italiano, unico riferimento per il primo studio, uno in mezzo a numerosi altri contesti europei, per il secondo: accostando i dati provenienti da ambo le parti e riflettendo sugli aspetti differenti messi in luce, dovremmo avere un quadro generale sulle conoscenze religiose e, nello specifico, cristiane cattoliche dei giovani, e sullo stato dell’Irc in Italia. Pur con approcci ed obiettivi diversi, nessuno di questi studi tuttavia contribuisce a fornire una sintesi dell’insegnamento e dell’apprendimento della religione (non necessariamente cattolica) in Italia; il volume dell’OSRT infatti, concentrato solo sugli studenti che si avvalgono dell’Irc, non prende in considerazione la restante parte, pur minoritaria, con le sue istanze e le sue peculiarità (chiariremo meglio in seguito questa lacuna). L’indagine CCEE, concentrata anch’essa sul solo insegnamento cattolico, non fornisce dati precisi su altri modelli educativi italiani confessionali o non confessionali e neppure sulle proposte di altre Chiese cristiane, pur presenti ed attive in Europa; tanto meno lo fa per l’Italia, dove, com’è noto, la proposta di un’ora confessionale, pur aperta a chi proviene da tradizioni religiose differenti o a chi è privo di appartenenza religiosa, è l’unica possibile nella scuola pubblica. 2. Uno strumento operativo molto utile, che entrambi i volumi riportano, sono i dati recenti relativi alla popolazione religiosa in Italia e agli studenti che frequentano l’ora di religione cattolica; la statistica del 2004 riportata in CCEE (p.171) ha le seguenti percentuali: cattolici 87,8% di cui 36,8% praticanti, protestanti 1,9%, ortodossi 1,2%, altre religioni 2% e non religiosi 7,1% (purtroppo non è segnalata la fonte e soprattutto non è dato di sapere se si riferisce a coloro che vivono/risiedono in Italia o agli effettivi cittadini; distinguere le due opzioni, soprattutto negli ultimi anni, porterebbe a dati sensibilmente diversi). OSRT riporta invece la statistica relativa alla frequenza dell’ora di religione (fonte: Servizio nazionale della CEI per l’Irc - OSRT, Insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane, a cura di G. Battistella, D. Olivieri, 2008), che nel 2007/08 risulta essere la seguente: i frequentanti sono il


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98,3% degli iscritti alla scuola dell’infanzia; il 91,5% nelle primarie, l’85,6% nella secondaria di I grado, l’80% nelle secondarie di II grado (secondo i dati citati nel CCEE sarebbe l’8,4% a non avvalersi nella scuola secondaria di I grado, il 15% in quella di II grado; questi dati si riferiscono all’a.s. 2005/06 e registrano allora un calo del numero dei frequentanti?, dato per altro confermato da indagini ancor più recenti: CCEE p.178); i dati relativi agli avvalentisi risultano un po’ diversi nell’area dove è stata condotta l’indagine, per cui in Veneto sarebbero il 91,3% nella secondaria di I grado e l’81,9% in quella di II grado (OSRT, p.10, note 5-6). Interessante notare come i due dati, quello della popolazione cattolica in Italia del CCEE e quello dei frequentanti dell’OSRT, non siano combacianti e, più cresce l’età dei ragazzi, più la forbice si divarica: sarebbe utile domandarsi da che cosa dipenda la scelta di non frequentare (più) l’Irc, perché gioverebbe a migliorare e a ripensare la disciplina. Molto interessante è inoltre l’accenno alle ragioni della frequenza dell’Irc, che, insieme alle ragioni inesplorate di chi non si avvale, sarebbero un campo di indagine da approfondire ancor più nei dettagli. 3. Più nello specifico, cerchiamo ora di rilevare alcune caratteristiche dei singoli studi. Notevole è la precisione metodologica con cui è stata condotta la ricerca dell’OSRT: questionari composti da 53 domande sono stati presentati agli studenti che frequentano l’ora di religione, delle classi terze della scuola secondaria di primo grado e delle classi quinte della secondaria di secondo grado (vale a dire rispettivamente terza media e quinta superiore). Tuttavia, è proprio un’indagine tra la percentuale dei non frequentanti, e quindi quel 15-20% della popolazione studentesca, che avrebbe costituito una peculiarità originale ed un confronto utile sul piano dei metodi e dei contenuti. Per questo crediamo non sia sufficiente accontentarci oggi - se non in un’ottica apologetica - dei risultati relativi all’educazione cattolica, che rappresenta, soprattutto a livello scolastico europeo, un’opzione e non esaurisce la domanda e neppure l’offerta di educazione religiosa. I grafici e gli schemi che si susseguono, frutto di incroci di domande e di risposte sono a volte di difficile comprensione per chi non abbia una formazione sociologica; riteniamo questo aspetto uno stimolo, in primis da un punto di vista metodologico, perché rende complesso e più profondo ed al contempo delimita il territorio specifico del campo di indagine. L’analisi condotta con strumenti impeccabili da un punto di vista scientifico è poi accompagnata da riflessioni di ampio respiro, che contribuiscono alla ricchezza della ricerca. I capitoli del volume presentano analisi sia quantitative sia qualitative dei risultati, grazie ad un lavoro di suddivisione e composizione per aree tematiche. Dopo l’introduzione relativa ai temi e ai metodi, il cap. 2 descrive le relazioni degli studenti con l’ora di religione (gradimento e coinvolgimento, metodi e offerta formativa); il cap. 3 riporta i risultati dei test ed una loro valutazione quantitativa; il cap. 4 si concentra sui fattori di influenza dei risultati del test; il cap. 5 propone due approfondimenti relativi alla provenienza socio-religiosa e territoriale degli studenti; nel cap. 6 si tenta una prima sintesi dei risultati e in particolare emerge la questione delle capacità dell’Irc di elevare i livelli di alfabetizzazione; nel cap.7 le risposte alle domande sono valutate sulla base di una divisione per aree tematiche, nell’8 si evidenziano le implicazioni della ricerca circa i metodi didattici e infine nel cap. 9 sono riassunti i risultati della ricerca e se ne evidenziano le implicazioni sul piano più generale dell’alfabetizzazione.


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4. Un’ambiguità che si trova nel primo capitolo è relativa agli obiettivi didattici dell’Irc (OSRT p. 23: conoscenza dei contenuti del cattolicesimo, acquisizione delle capacità di accostarsi alla Bibbia e ai documenti della tradizione cristiana, l’acquisizione dei principi e dei valori del cristianesimo, la capacità di confrontare il cristianesimo con altre religioni e varie concezioni della vita, l’acquisizione della capacità di riflettere sui problemi della vita): senza dubbio non sarà stato facile sintetizzare in cinque punti gli obiettivi specifici di apprendimento dell’Irc secondo le ultime intese tra la CEI e il MPI per la scuola secondaria di I e II grado (intesa relativa agli “Obiettivi specifici di apprendimento per l’Irc nella scuola secondaria di I grado”, 26 maggio 2004, e intesa sugli “Obiettivi specifici di apprendimento per l’Irc” per il sistema dei Licei e Istituti di istruzione e formazione del secondo ciclo, 13 ottobre 2005), ma forse sarebbe stato un aiuto per il lettore esplicitare i criteri di scelta di quegli obiettivi, in particolare, anche perché l’obiettivo che appare più facilmente raggiunto è quello dell’acquisizione della capacità di riflettere sui problemi della vita, che non ci pare esclusivamente specifico dell’Irc. Inoltre, sempre in rapporto a questi obiettivi ed al grado di raggiungimento, induce ad una riflessione il meccanismo attraverso cui risulta come più incisivo il fattore della partecipazione alla messa, piuttosto che l’appartenenza ad associazioni o la frequentazione di gruppi di educazione cattolica o del catechismo (OSRT p. 53): in quale modo questa pratica (la messa) potrebbe influenzare sensibilmente l’andamento delle risposte ad un questionario e il raggiungimento degli obiettivi didattici? Se tra gli obiettivi dell’Irc vi è anzitutto la conoscenza degli elementi essenziali della religione cattolica e “non quindi innanzitutto una crescita della fede degli alunni che se ne avvalgono”, come si legge nel rapporto europeo (CCEE p.172], non è chiaro perché andare a messa durante le festività dovrebbe influenzare, in positivo, il raggiungimento degli obiettivi didattici: eppure, oltre al rendimento scolastico elevato, risulta una variabile imprescindibile: la pratica religiosa assidua (OSRT pp.118-119]. Nondimeno, se chi non proviene da una famiglia cattolica ha dei risultati tendenzialmente meno positivi, qual è il significato di questo dato? Concordiamo con l’autore che propone una riflessione conclusiva al capitolo 4, affermando come vi siano fattori che influenzano il livello di preparazione dei ragazzi che non è possibile tenere totalmente sotto controllo, per la mancanza di variabili significative o per l’effetto concatenato di più variabili insieme. Resta tuttavia significativo il dato di provenienza familiare: se gli studenti di “altra religione” si differenziano per i risultati palesemente peggiori (ivi, p.117), si dovrebbe considerare un deficit nel raggiungimento degli obiettivi dell’Irc, l’andamento più negativo di coloro che non hanno accesso ad altri strumenti di educazione cattolica o è un fatto fisiologico? Inoltre, è indicativo lo scorporo delle domande del test e la loro organizzazione in domande a cui gli esposti a tematiche religiose (partecipazione a gruppi di ispirazione religiosa, la frequentazione del catechismo, la partecipazione alla messa e l’identificazione religiosa della famiglia) rispondono in modo “molto più corretto/più corretto/con lo stesso grado di correttezza” rispetto a coloro che non sono esposti. Vale a dire, in un quadro generale di risultati migliori degli studenti che hanno un “radicamento confessionale”, perché esistono delle domande che avvicinano i due gruppi? Non ci pare sufficiente dire che si tratta degli argomenti di maggiore dominio comune (ivi, p. 130), anche perché essendo differenti tra scuola secondaria di I e II grado, bisognerebbe ipotizzare una variazione del patrimonio comune e condiviso degli studenti di terza media e di quelli di quinta


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superiore. 5. Molto interessante la riflessione sul livellamento operato dall’Irc nel senso di incrementare i livelli di conoscenza dei gruppi minori che non hanno altre grandi occasioni di conoscere la religione cattolica: l’insegnamento dovrebbe ridurre le differenze nei livelli di alfabetizzazione e sarebbe quindi in grado di trasmettere i contenuti del suo programma in modo più efficace degli altri strumenti religiosi; lo studio analitico condotto solo sulle domande considerate come le più specifiche e solo per la scuola secondaria di secondo grado, non esaurisce però la necessità di rilevare l’effettiva generale funzione “livellatrice” dell’Irc. Non insistere su questa caratteristica, che pure è un punto essenziale per dimostrare l’efficacia da un punto di vista educativo di una disciplina, perché ne rappresenta la specificità, ci pare coerente con l’economia del volume, volto a indagare i livelli di alfabetizzazione religiosa e “non necessariamente sull’utilità o meno dell’Irc” (ivi, p.177). Vero è, che i dati della ricerca sono stati utili anche per valutare l’offerta formativa dell’Irc in Italia; questa oscillazione ed il fatto che le conoscenze rilevate tra gli studenti non sono sempre attribuibili esclusivamente all’Irc, piuttosto che a conoscenze legate ad un background culturale e religioso, costituiscono un’ambiguità di fondo, mai risolta nel volume, che non permette di ricavare una diagnosi completa non soltanto dello stato di una generale conoscenza religiosa, ma neppure dello stato di salute del più specifico insegnamento della religione cattolica. Se le conoscenze dei giovani che frequentano l’Irc sono attribuibili all’insegnamento stesso, se l’Irc sia efficace o no, se sia fonte di apprendimento originale, sono tutte domande di difficile risposta (ivi, p. 218). La mancanza dei dati (i medesimi) relativi a coloro che non si avvalgono, il raggiungimento degli obiettivi specifici della disciplina secondo le norme vigenti, i dati relativi alla qualità e non solo alla quantità di influenze esterne (dunque un approfondimento delle riflessioni sulla funzione livellatrice dell’Irc), contribuiscono a rendere difficili tali risposte e restano piste che andrebbero indagate in futuro. Ciò non dovrebbe suonare come una critica al lavoro notevole condotto da Castegnaro, teso a sottolineare aspetti differenti del panorama dell’educazione religiosa, quanto un auspicio per le prossime indagini, nell’ottica di un collettivo ripensamento non soltanto di una disciplina ma di un’offerta formativa della scuola italiana che non può non tenere in considerazione i profondi cambiamenti cui sono sottoposte le identità culturali, sociali e religiose di coloro che vivono in Italia in questi anni. Ancora più in generale, comprendere il livello e la qualità delle conoscenze religiose degli studenti tutti (f. e n.f.) potrebbe essere un ottimo punto di partenza per riflettere sull’incidenza della religione e del religioso in questa società definita come postsecolare e multireligiosa. 6. L’indagine sulla religione come risorsa per l’Europa, in particolare nel contesto italiano, ha purtroppo la stessa lacuna di non presentare nello specifico gli obiettivi di apprendimento per come sono stati ridefiniti di recente. Ben poco incisivo il paragrafo sul dibattito pubblico, che non riporta le voci alternative rispetto alla prassi di insegnamento della religione cattolica, le sperimentazioni attuate in passato e nel presente e, soprattutto, lo stato di malattia ormai cronica dell’ora alternativa, inesistente e neppure attivata nella maggior parte dei casi. Qui, come nel volume precedente, mancano riferimenti a interventi di autorità e organismi istituzionali (italiani ed euro-


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pei) che hanno aperto riflessioni e sollevato questioni, che hanno dettato linee-guida in riposta, come abbiamo già rilevato, alle crescenti diversità culturali e religiose nelle scuole che hanno come conseguenza delle inedite priorità educative. Un’occasione mancata è anche il confronto con le scelte, nel loro sviluppo storico, che hanno portato altre nazioni europee, con esiti simili a quelli italiani, a istituzionalizzare l’ora di religione confessionale: quali sviluppi, quali influenze storico-politiche? Quali sono i diversi contesti sociali oggi per cui è più o meno comprensibile una scelta del genere? Quale, in generale, la situazione scolastica di queste nazioni? Se l’unica altra nazione confrontabile direttamente con l’Italia per la presenza di un unico insegnamento confessionale cattolico, con la possibilità di scegliere se frequentarlo o no è l’Irlanda, non si possono tralasciare i percorsi storici e la situazione attuale sub specie religionis, tanto differenti nei due paesi. Grazie al confronto con i risultati dettagliati e molto specifici di Apprendere la religione, risulta piuttosto generica l’affermazione riguardo al miglioramento complessivo della qualità dell’insegnamento dell’Irc, valore aggiunto della scuola italiana da sostenere e valorizzare (CCEE, p. 179). Occorrerà anche notare come nel capitolo si metta in luce l’inesistenza di uno studio o di una statistica che metta a confronto, al termine del percorso di studi, le conoscenze (religiose) degli studenti che si sono avvalsi dell’Irc e di quelli che non si sono avvalsi (ivi, p. 177); non è così automatico, in effetti, che uno studente che si avvale di un insegnamento come questo, ha la possibilità “di confrontarsi con il mondo e con la realtà che lo circonda con una consapevolezza diversa”, perché “la sua conoscenza a 360° gli permette di leggere e comprender più a fondo il dato religioso, al di là della sua fede personale”. Il vulnus più significativo che rileviamo nelle due ricerche esaminate, è dunque la mancanza di un’indagine che valichi i confini dell’Irc con gli stessi metodi, contenuti ed obiettivi; a fronte di statistiche, questionari, indagini sul campo, riflessioni teoriche, coinvolgimento di specialisti, gli obiettivi complessivi dei due volumi (al di là del fatto che essi siano stati raggiunti o meno) sono state di per sé le riflessioni relative allo stato di salute dell’Irc in Italia, ai livelli di alfabetizzazione religiosa (cristianacattolica) degli studenti italiani, al confronto sull’Irc in Italia e in Europa, al contributo che la religione cattolica dovrebbe poter offrire alla costruzione dell’Europa. Manca un’apertura esterna, che vada al di là dello specifico della disciplina della Rc e che, a nostro avviso, sarebbe utile ad intra, per una discussione che non teme critiche e ripensamenti, caratteristica che riconosciamo in pieno a tutto il mondo dell’Irc che negli ultimi anni tanto ha fatto in questo senso, ben oltre la capacità di critica interna di altre discipline della scuola italiana. Allo stesso modo sarebbe utile ad extra, per capire davvero pregi e difetti, risorse e limiti e per dare l’avvio ad un’indagine orientata verso il significato e il peso della religione (quale essa sia) nel sistema educativo italiano, dove il dato di coloro che provengono da famiglie non cattoliche sta crescendo in modo esponenziale, nonché per confrontare i risultati differenti cui portano modelli europei differenti di educazione religiosa: chissà quali sarebbero i risultati dei questionari sottoposti agli studenti veneti, se distribuiti in scuole europee di pari grado. ■


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ENGLAND and WALES

Religious Education in the Catholic school Elzbieta Osewska

Cardinal Stefan Wyszynski University, Warsaw, Poland

S

ince the origin of Catholic Church in the British Isles, Living and sharing our Faith - a National Project of Catechesis and Religious Education is the most important pastoral project, which involved the Catholic community of England and Wales, and which coincided with the publication and the implementation of Weaving the Web. A modular programme of Religious Education. This document forms an integral part of this Project and represents the most controversial event in the history of Catholic religious education in England and Wales. What makes The Project so unique and original? What is the difference between the religious education in Catholic and publicly financed schools? What is the identity and the nature of Catholic religious education? Why has it been so difficult to distinguish between religious education and catechesis in the Catholic schools? What is the concept of Catholic religious education in England and Wales since II World War? What would religious education in Catholic schools like to be and what has to be taken into consideration in order to function meaningfully in a pluralist society? The author of this work2 refers to a whole range of aspects, which may be identified as crucial for religious education (RE) in Catholic schools. Over the years, the attention shifted from the catechism and the teaching of doctrine and morality into a multidimensional educational process, from an apologetic monoreligious system into an ecumenical approach, from a typical classroom setting proper to schools, also for religious instruction, into a community-based learning process with a variety of settings and interactions. This dissertation intends to present and to evaluate in a multi-faced and synthetic way the complex issue of RE in Catholic schools in England and Wales, particularly in reference to the document Living and sharing our Faith – a National Project of Catechesis and Religious Education developed under the responsibility of the Bishops’ Conference of England and Wales. This dissertation is divided into four chapters. In pursuing the study, the methodology consists of an interdisciplinary approach benefiting from socio-cultural, pastoral, educational and catechetical academic investigation. The major problem has been solved by using a proper methodology. Firstly, the analytical-critical-reflection method is used for the analyse of the source materials, secondly, a synthesis of the results of the research is evaluated, and, thirdly, pastoral and educational conclusions show the relevance of this study.

2

ELZBIETA OSEWSKA, Religious Education in the Catholic School in England and Wales in the light of Living and Sharing our Faith. A National Project of Catechesis and Religious Education, Tarnow 2008, pp.

453. ISBN 978-83-733267-0-5. eosewska@wp.pl


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In order to respond to these questions, the author explores, in the first chapter, the social, political, religious and educational context in England and Wales of the past decades, especially since the World War II. It is the main period of interest of the present thesis, and it intends to present the background of the issue being studied in this work in view of the habilitation thesis. The study of the evolution after World War II is highly relevant for understanding the directions taken in the field of the religious education of the young generations. Due to a high level of migration from and to the UK, with many ethnic groups coming from Europe, Asia, Africa and Latin America, the British society has been affected and transformed profoundly by the variety of cultures, religions, traditions, rituals and habits, proper to the migrating communities. This historical migration started a complex process of a global transformation of society, which made it impossible for institutional religions to maintain their position and role as of old. Additionally, immigrants to Great Britain in the nineteenth century as well as the more recent Irish immigration during the 20th century, especially the 1950s, 1960s, and 1980s heightened also the importance and role of the Catholic Church in England and Wales. The Catholic population in England and Wales nowadays is composed of people of ethnic English descent, people of Irish origin, converts or the descendants of converts from Anglicanism or other Protestant denominations, or religions and, lately, Catholics from Catholic countries. The present composition of the Catholic Church is thus highly diversified, and culturally heterogeneous. This makes it very difficult to describe the Catholic Church as an institutional reality or to identify the changes which occurred over the past decades. How do people react to the changes introduced in the Catholic Church since Vatican Council II? How do Catholics react to the changes in the British society? Historically speaking, England and Wales are predominantly Protestant, with the Anglican Church as state religion, and the queen as the head of the Anglican Church. The dominant religious and political presence of the Anglican Church had and still has a deep impact upon the Catholic Church: its awareness of its specific identity, its selfrepresentation, its open/closed relationships with society, its role in the society, its self-protective management, etc. In the next two paragraphs of this chapter, the author is referring to the period after 1944, with the intention to show the evidence that, in the described period, RE was confronted with serious challenges. The first reaction was to put back what had been destroyed, to go back to the kind of society as the one established before the war. In fact, the coherence and the harmony between religion and society, in its traditional sense, now became very complicated. The reconstruction though was not a replica, a repetition of the past, but a new reality was emerging. This historical and educational background helps to see the difficult task religious education in Catholic schools was facing as regards the problems to be addressed, the choice of aims, of the content, and of the methods in order to guarantee its credibility. The structure of the education system in England and Wales has changed a few times since 1944, and RE had to adjust to the whole system. RE has played a part in education in England ever since the earliest attempts, in the nineteenth century, to establish a national school system. The first schools in England and Wales had been run by a religious or a charitable foundation. Under the 1870 Education Act, new schools were established, not only run by the Church, but also by local authorities. In any


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case Religious Education as included in the adopted curriculum. The Education Act of 1944 required that all the schools (other than independent schools) should provide “religious instruction” and worship. This arrangement survived unchanged until the 1988 Education Reform Act, which established a mandatory National Curriculum of ten subjects. Religious Education was added to those to make up the “basic curriculum” albeit as the one subject from which pupils or teachers might withdraw. In the next Education Act of 2002 the requirement was included for Religious Education to be provided for all registered pupils in accordance with the 1998 Education Reform Act. RE should be provided as part of the basic curriculum for all registered pupils attending a maintained school. The 1998 School Standards and Framework Bill defined new categories of maintained schools; rules about the provision of RE differ in some categories. “Community schools” means that the old “County schools” should teach RE according to the Agreed Syllabus of the Local Authority in whose area they are situated. “Foundation Schools” include both old “County schools and the old “Voluntary Controlled” schools which were grant maintained. In these, RE is taught according to the local Agreed Syllabus, unless the schools are of a religious character. In Church schools, RE is characterised by their Trust Deed. ”Voluntary Aided schools are originally founded by voluntary bodies, but aided from public funds. In these schools, many of which are Church foundations, RE should be taught according to their Trust Deed. “Voluntary Controlled schools” were originally founded by voluntary bodies, but are now controlled and entirely funded by the Local Authority. RE should be taught according to the local Agreed Syllabus, but parents may request that RE should be provided in accordance with the Trust Deed. “Special schools” should provide RE for all their pupils as far as possible, according to the status of the school. In this context, the basic concern of the Catholic Church’s efforts was to highlight the dignity of every single person, and to provide a Catholic education for every Catholic child. In the last twenty-five years an academic literature has developed on the nature of RE as a discipline at university level and as a subject in secondary and primary schools. The most known English speaking Catholic theorist are: K. Nichols (UK), G. Moran (USA), R. Rummery and G. Rossiter (Australia), M. Warren (USA), P. Purnell (UK). Many theorists argue that RE, understood as a type of “education”, is distinguishable from more precisely “religious” efforts such as evangelisation and catechesis. Because evangelisation (promoting conversion) and catechesis (promoting maturity of faith among believers) are primarily religious in their motivation, they do not include a critical dimension. The development of RE as a subject has reached a point where such distinctions between evangelisation, catechesis and religious education are recognised in the official Church documents on education. The Religious Education Curriculum Directory for Catholic Schools (1996) issued by the Catholic Bishops of England and Wales makes a distinction and says: Religious Education in school leads children and young people into an exploration of the different aspects of religion and thoughtful reflection upon religious belief. But it also stresses the complementary nature of evangelisation, catechesis and religious education. In the second chapter the author draws attention to the origin and development of

Living and Sharing Our Faith. A National Project of Catechesis and Religious Education. Catholic Church of England and Wales responded to the teaching of the Sec-


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ond Vatican Council and due to the establishment of the more recent catechetical document, the National Project in particular refers to The General Catechetical Directory (¹1971, ²1997)) and Catechesi Tradendae (1979). The vision of the Project was to make significant developments in the theory and practice of catechesis and RE. The emphasis has been put on education in faith as a life-ling process with important specific foci for every stage. But rediscovery of adult catechesis made it possible to highlight the catechetical process which embraces several dimensions: belonging to a community, exploring and understanding the tradition, celebration and prayer, witness of life and service to the others, partnership and cooperation between home, parish, Catholic school, religious groups, educational agencies. The distinction between evangelization, catechesis and RE underscores the special role RE plays in Catholic schools. As a part of a review of the National Project, the Department of Education and Formation of the Bishops’ Conference commissioned an evaluation of the Project, which has confirmed the importance of the work undertaken. Despite many critics, the immense work of the Project has been to supply current needs of RE teachers, pupils of Catholic schools, parents, catechists and to prepare programmes, publications and directories. In the third chapter the author concentrates on the nature, the aims and settings of RE. RE in a Catholic School is based upon the presupposition that a Catholic school is a community of believers Therefore, to teach the knowledge and to develop the skills for dealing intelligently with Christian doctrine and for helping youngsters to grow up, is as important as helping them to be mature members of Catholic Church. Yet, the Coordinators of the National Project realize that not the school, but the parish is a better place for initiation into the Christian faith. RE has been presented as complementary to catechesis, so in case of many pupils it will deepen and enrich their understanding and help them to live their faith. Therefore the aims presented in the RE programmes and textbooks are in the range of knowledge, forming attitudes and providing opportunities of prayer, celebration, worship. The stress is put on the specific settings of RE and catechesis, and the need for a close cooperation between the different environments of faith education. The starting point and the full implementation of effective catechisation, and faith education should be family catechesis, which should take place in the special atmosphere of a community of people, who are a selfless gift to each other. But catechesis in the parish is the fundament for the preparation and the celebration of Penance, first Communion and Confirmation.The parish should also undertake more regular catechetical work with adults. All these settings are part of the global educational process leading to a more thoughtful faith. In the fourth chapter of the thesis the author examines the criteria for the choice of the content for RE in Catholic schools in England and Wales, as finalized in the catechetical documents issued by the Bishops’ Conference of England and Wales, in the RE programmes and the textbooks, with a particular reference to Cornerstone, Signpost and Homecomings,Weaving the Web, Religious Education Curriculum Directory for Catholic Schools, Here I Am, and Icons. The authors of syllabuses, RE textbooks and materials, emphasizing the meaning of the content, also point out the criteria. If the documents of the 1970’s were more theological than anthropological, then the Weaving the Web programme becomes more existential and educational. The more recent documents and programmes written at the turn of the 20th century


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and 21st century find their inspiration in a theology directly connected with the life in Christ. Despite the educational criteria for content selection stated in the introductions, many authors of syllabuses, programmes, textbooks did not avoid the use of catechetical criteria. This is probably connected with the underlying presupposition of fidelity to God and to the human being. The general characteristics of the curricula of RE, and of catechetical textbooks, prepared under the umbrella of the National Project, illustrate its richness and its variety. However, only further developments in sound reflection, in research taking into consideration the achievements of humanistic and educational sciences may enable the Catholic schools, at the beginning of the 21st century, to fully realise their mission, the status of religion in today’s society, and find proper models for RE in today’s context. The authors of syllabuses, programmes, curricula and RE textbooks, helping young people in their preparation for future life in the pluralist society must be aware that the basis of this formation should be rooted in the extensive and full development of the human being. As far as the authors-coordinators of the Project are concerned, the methods are not of the same interest as the content; they only highlight the importance of methodical pluralism. However the authors of the textbooks did include various didactical forms, methods and techniques paying attention to the active and creative work of the pupils. A short history of RE and catechesis from the 20th century in England and Wales illustrates the importance of a searching for an interpretation of the emerging authentic forms of Christian faith. Each event is a challenge for exploring God’s presence at the core of present social, cultural and religious evolution. The Catholic Church engagement with contemporary society and culture is not optional. Entering into dialogue with all those who search for meaning and work at the interpretation of religious traditions may be crucial for the future of RE in Catholic schools in England and Wales. The positive solution requires an ecclesial community which is ready to take the risk of “translating”, “interpreting”, and “creating the living language” as a task of the RE process. ■

BELGIQUE

L’apprentissage religieux à l’école catholique comme exercice herméneutique Marcel Villers

Vicaire épiscopal de l’Enseignement du diocèse de Liège

L

e point de départ des auteurs de ce texte3 est la conviction que l'herméneutique est une des caractéristiques les plus significatives du contexte intellectuel contemporain et qu'elle est un atout pour soutenir l'éducation religieuse. La religion, particulièrement le christianisme, a été, pendant des siècles en Europe, le 3

HERMAN LOMBAERTS et DIDIER POLLEFEYT, Pensées neuves sur le cours de religion, trad de l’anglais par Paul-André Giguère, Lumen Vitae, Bruxelles 2009, pp. 112.


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Ricerche e studi

vecteur principal de l'élaboration et de la diffusion du sens ultime de la vie. La religion répondait à la quête humaine de significations. Tous partageaient la conviction que la vérité chrétienne avait une valeur universelle. Avec les Lumières s'amorce un mouvement intellectuel qui va progressivement conduire au rejet d'énoncés métaphysiques et universellement valables, à la contestation d'une vérité objective. La conscience contemporaine se conçoit comme rupture avec la Tradition. Il n'y a plus consensus sur un socle de valeurs et de significations constituant un système unifié. Les traditions religieuses, philosophiques, éthiques sont relativisées et situées dans leur dimension historique. La vérité est alors comprise comme un événement, le fruit d'une rencontre entre une situation et un sujet. Elle participe du processus d'interprétation. Un texte ne parle pas, c'est le lecteur qui le fait parler à partir de ses questions et de son environnement historique. On saisît alors combien il est capital de s'interroger sur les conséquences de cette vision de la vérité dans le domaine de la religion et sur le rôle de l'approche herméneutique dans le cadre de l'éducation religieuse. La question essentielle porte évidemment sur l'initiation et la transmission des traditions religieuses dans le contexte contemporain caractérisé par la fin des grands récits et l'interruption culturelle de la transmission. Lorsque le contexte culturel change, il est inévitable que s'opère une modification de la compréhension de la religion, des textes sacrés, des rites et des principes éthiques. II y a une histoire de la religion et de ses apports à la recherche de sens qui constitue la quête humaine. Le christianisme est ainsi une suite d'interprétations du christianisme, ce qui révèle la relativité historique de la foi et de ses expressions en fonction des modes particuliers d'exercice de la raison. L'avènement de la raison herméneutique caractérise notre époque. Elle met en œuvre une rupture épistémologique faite de rejet d'une approche métaphysique au profit d'une compréhension historique de la vérité. Cela ne peut rester sans conséquences sur l'éducation religieuse. A’ la faculté de théologie de Louvain, une vaste recherche a été conduite à propos de l'approche herméneutique en éducation religieuse. II s'est agi d'approfondir théoriquement et de tester pratiquement le modèle herméneutico-communicatif d'enseignement de la religion dans les écoles secondaires de Flandre. Plusieurs publications en ont présenté les résultats (cf. D.Pollefeyt, Fonder la vie entre source et horizon, dans Enseignement religieux et expérience spirituelle, par A.Join-Lambert, Lumen Vitae, 2007). Retenons le cœur de sa thèse : «Lorsque l'éducation religieuse part d'une anthropolo-

gie qui considère les êtres humains comme des êtres ouverts à un sens radicalement «autre» que le naturel, on se trouve devant un processus d'apprentissage herméneutique. Car la lumière qui vient d'ailleurs ou la voix de Dieu demandent un sujet qui est capable de recevoir, de reconnaître, d'interpréter et de vivre les expériences dans cette optique. Une triple herméneutique est donc à la base de cette approche, c'est-àdire: une herméneutique du texte et de la tradition où les hommes du passé témoignent d'une telle compréhension de leur existence; une herméneutique du contexte où ce genre d'irruption d'une autre perspective est possible; et une herméneutique du sujet actif et de son rapport avec le texte et le contexte. Ainsi l'herméneutique veut dire non seulement l'interprétation de textes mais aussi un processus de réflexion sur le contexte interprétatif de l'individu, c'est-à-dire une réflexion sur le sujet lui-même dans son histoire et dans sa conception actuelle de soi ». Cette perspective se fonde


Recenti indagini internazionali sull’istruzione religiosa nella scuola

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ainsi sur une conception de l'être humain comme chercheur de sens et voit la tâche de l'éducation religieuse en soutien de cette recherche. Face à une situation ou une question d'existence, le sujet est invité à exprimer ses conceptions et à les confronter à celles des autres élèves. Il découvre ses présupposés mais aussi la diversité des croyances et des choix. II sera amené ensuite à une confrontation avec des expériences vécues, des traditions religieuses, le témoignage chrétien du professeur. Apparaissent ainsi ce que D. Pollefeyt nomme des nœuds herméneutiques résultant du conflit des interprétations exprimées par les participants. Ces heurts et ces nœuds servent de moteur à l'apprentissage. (…) Parmi ces nœuds nous retenons ces quatre: - le cadre épistémologique du cours de religion : un professeur doit être capable de voir clairement en quoi consiste la démarche propre à ce cours, quel type de connaissance y doit être mis en œuvre en fonction de son objet propre. II est capital bien sûr d'identifier le climat intellectuel général que l'on peut définir avec H. Lombaerts et D. Pollefeyt comme le passage d'une conception métaphysique à une perception herméneutique de la réalité et de la vérité; - le deuxième nœud est constitué par l'exigence de corrélation entre la foi chrétienne et le vécu personnel : cette nécessité de corréler est aussi ancienne que l'invitation de Saint Paul à déchiffrer son existence à la lumière de la mort et de la résurrection du Christ. La catéchèse existentielle en a été longtemps la traduction pédagogique. Mais entre la foi et l'existence est venue s'intercaler une culture étrangère à toute expérience religieuse, à tout vécu chrétien. Cela rend difficile toute tentative de corrélation. Il y a désormais comme une rupture de continuité entre foi chrétienne et existence. Néanmoins, le programme actuel du cours de religion catholique pour le Secondaire vise à faire entrer les élèves dans l'intelligence du christianisme et dans une réflexion où se croisent, s'interpellent questions d'existence, culture et foi; - la pluralité des points de vue, des convictions, des expressions culturelles est une des caractéristiques de notre société démocratique et va de pair avec une individualisation accrue. Cette réalité est aussi celle de la classe. L'enjeu est alors de réussir à assurer à la fois la libre expression des convictions individuelles et une certaine cohérence avec la religion de référence du cours, ce qui implique d'user du critère de l'orthodoxie pour valider les propositions avancées. Ce nœud peut être défini comme celui du pluralisme situé; - les finalités du cours de religion sont fonction de son caractère confessionnel comme de son cadre institutionnel, l'espace public de l'école. C'est le quatrième nœud constitué par l'entrelacs des intentions de l'Église et des objectifs assignés par l'État aux cours philosophiques dans le cadre scolaire. On oscille constamment entre trois pôles : l'éducation citoyenne, la recherche de sens, la transmission de la foi. Dans chacune, la religion est approchée sous un angle particulier: comme patrimoine culturel et facteur de cohésion sociale; comme ressource de significations pour l'existence personnelle et sociale; comme adhésion au Christ et à l'Église. Une double tentation menace le cours de religion. La première est la tendance, de la part des autorités religieuses, à l'instrumentaliser pour pallier la grave récession de l'influence ecclésiale et à en faire une occasion de propagation de la foi. La seconde consiste à en élargir tellement le champ de compétences que l'on pourrait en éliminer le caractère confessionnel au profit d'un cours de citoyenneté. Sur chacun de ces enjeux il est temps de prendre connaissance des propositions avancées par H. Lombaerts et D. Pollefeyt dans leur texte (extrait de l’Introduction, pp. 21-28 passim). ■.


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Ricerche e studi

BRASIL

Fundamentação antropológico-cultural da religião segundo Paul Tillich Luiz Carlos Susin

teólogo, Porto Alegre

E

m tempos de maior complexidade ou de grande fluidez, como os nossos tempos, o Ensino Religioso precisa de referências que considerem os inúmeros fatores que dão tal pluralismo e complexidade à sociedade contemporânea e que se expressem de forma suficientemente clara e sintética, para que seja um instrumento de apoio aos que se dedicam à urgente tarefa humanista desta matéria. Aqui está um texto preciso e, portanto, precioso, que contempla esta dupla tarefa4. Seu autor, o irmão lassalista Pedro Ruedell, possui larga experiência em todos os níveis do Ensino Religioso, desde a sala de aula, passando pela turma de alunos, a coordenação de escola, de rede de escolas, até, finalmente, a coordenação em nível estadual, participando de equipes e trabalhando com colegas em reuniões, congressos, encontros; portanto, uma atuação fundamentada na própria experiência e nos ensinamentos ditados pela sabedoria de inúmeros colegas. Após tanto trabalho, ele nos brinda agora com um texto equilibrado e, ao mesmo tempo, rico e inspirador. No campo da educação, atualmente – segundo o autor Ruedell - esta reflexão situase na área específica da educação religiosa formal, com enfoque direcionado para o Ensino Religioso escolar, redimensionado pela legislação em vigor: “Deixamos claro, de saída, que se trata de uma espécie de Ensino Religioso bem diferente daquele que era oferecido tradicionalmente nas escolas públicas e particulares. Aliás, sua ministração nas instituições oficiais era, muitas vezes, contestada por motivo de crença ou filiação religiosa diferente daquela veiculada nas aulas, ou pela laicidade dos organismos governamentais, com base na separação entre Igreja e Estado legalmente instituída em nosso país desde a proclamação da República”. A atual disciplina curricular do Ensino Religioso tem base antropológico-cultural, isto é, atende à necessidade fundamental do ser humano de se desenvolver plenamente, de buscar sentido e valores que dêem orientação e arrimo seguro a sua existência. Para tanto, abrem-se e relacionam-se adequadamente com os semelhantes e demais seres. Sentem-se impulsionados por desejos profundos e aspirações infindas que emergem da seu ser. Construindo-se de forma individual e coletiva, também se abrem a realidades além da história que intuem ou mesmo acreditam existir em um assim chamado mundo divino, ao qual se tem acesso pela fé segundo a revelação 4

PEDRO RUEDELL, Educação religiosa. Fundamentação antropológico-cultural da religião segundo Paul Tillich, Paulinas, São Paulo 2007, pp. 192. ISBN 978-85-356-2096-2.


Recenti indagini internazionali sull’istruzione religiosa nella scuola

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específica de cada denominação religiosa. Todo este dinamismo procede da dimensão religiosa do ser humano que, em linguagem simbólica, é sua realidade profunda e íntima. Mas as expressões dessa religiosidade, assim como se mostram no fenômeno religioso, são sempre ambíguas, muitas vezes desfiguradas e pervertidas. Desta maneira, a dimensão religiosa, como todas as dimensões constitutivas do ser humano, necessita de cuidado para se desenvolver e de oportuna correção em vista de se constituir em elemento fundamental de realização individual e social de homens e mulheres e de reverência ao ser divino, culto que eleve e dignifique os humanos e todo o universo. Este Ensino Religioso abre novas perspectivas dentre as quais merece destaque o fato de ele poder ser desenvolvido respeitando os posicionamentos e convicções religiosas de todas as pessoas e grupos. Está a serviço das aspirações humanas profundas, com abertura total ao mundo. Canaliza e orienta as energias que procedem do íntimo profundo de todos os homens e mulheres no sentido de se construírem no relacionamento recíproco e de edificarem sociedades em que se busca a predominância de paz, progresso, justiça, solidariedade, em harmonia com toda a natureza e na abertura ao mundo divino. Este Ensino Religioso tem como tarefa e metodologia básicas a prática do diálogo no mundo plural de hoje, em rápida transformação, a convivência na alteridade e o respeito ao diferente. Também está voltado, em especial, a sanear as ambigüidades e distorções da religião em geral e de determinadas expressões religiosas em particular, aberrações que hoje, infelizmente, verificamos em conflitos, guerras e ações terroristas. Nesta mesma perspectiva, é tarefa fundamental deste Ensino Religioso ajudar a definir critérios e referenciais de autenticidade religiosa pelos quais as pessoas possam discernir, nas múltiplas exteriorizações religioso-culturais, o que há de verdadeiro e legítimo em coerência com o sentido profundo dos seres humanos e das coisas, para poderem contribuir de modo substancial na educação para a cidadania e a construção de sociedades mais humanas. Evidentemente, este subsídio não pretende substituir as responsabilidades e tarefas que cabem a cada professor ou professora em suas condições bem locais, mas oferece, em primeiro lugar, uma fundamentação sólida, um horizonte luminoso, que, ao longo de um processo de amadurecimento, permanece sempre válido e orientador. Escolhe, para isso, o pensamento ecumênico e atual de Paul Tillich, conhecido como o pensador das correlações entre cultura e religião. E o faz com a maestria de quem aborda questões complexas com linguagem clara e justa, sem complicações. Em uma segunda parte, atento à legislação, desenvolve os pontos básicos de referência do Ensino Religioso que não poderão faltar em nenhum dos níveis do processo. A paz, o pluralismo que significa também respeito e diálogo entre múltiplas tradições religiosas, a base ética da existência humana com dignidade e imprescindível convivência, enfim, a urgente dimensão ecológica da vida humana com raízes religiosas, tudo isso é comentado em termos pedagógicos para que nunca faltem aos planos e às relações de Ensino Religioso. Irmão Pedro, membro da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs, presta-nos assim um inestimável serviço que, no mundo pluralista de hoje, recoloca o cristianismo no contexto do diálogo de culturas e tradições religiosas em vista de uma humanidade que se mantenha e cresça em humanismo na medida em que se nutre


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Ricerche e studi

daquilo que a transcende o santo, o sagrado, o religioso, o absolutamente necessário para ser humano. Este precioso texto cumprirá sua missão de ser uma referência e uma ajuda no meio deste maravilhoso caminho: a aventura humana em que, ajudando-nos uns aos outros, nos transcendemos no Mistério que a todos envolve e ama. ■


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 4, 617-635

Valutare per valutarsi/3

Dalla valutazione all’autovalutazione dello studente Marco Paolantonio

L’

apprendimento socialmente più utile nel mondo moderno è l’apprendimento del processo di apprendimento, una costante apertura all’esperienza, una costante acquisizione del processo di mutamento1. Apprendere ad apprendere, dunque: più che uno slogan un fondamentale indirizzo di metodo, che pone come primo postulato la personalizzazione dell’azione didattica2. Se è utopistico pensare di realizzarla per tutti gli allievi e in modo completo per ciascuno di essi, dovrebbe però dare senso e direzione al lavoro svolto dalla e nella scuola per raggiungere anche traguardi di vera utilità sociale. L’azione, tanto più efficace quanto più coerente e concorde, si sviluppa a quattro livelli:

1 2

C. Rogers, Libertà nell’apprendimento, Giunti-Barbera, Firenze 1973, p. 179 Per chiarezza concettuale e lessicale adottiamo la definizione che M.Pellerey dà per apprendimento: si in-

tende un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di conoscenze concettuali (fatti, concetti, principi, teorie), di conoscenze procedurali (abilità intellettuali e pratiche) e di atteggiamenti (disponibilità positive o negative verso cose, persone, situazioni, azioni) e valori. Si tratta quindi di cambiamenti più o meno profondi che incidono sul patrimonio conoscitivo, operativo ed emozionale del soggetto e che possono essere ricondotti soltanto al suo sviluppo biologico e psicologico. (in Dirigere il proprio apprendimento, La Scuola, Brescia 2006, p.19).


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Marco Paolantonio

● di istituzione, che si concreta il un POF chiaro operativo, cioè un contratto educativo e didattico che coinvolge dirigenti, docenti, allievi e famiglie; ● dei docenti, che - singolarmente e collegialmente - operano all’interno delle singole classi e vengono a contatto con il gruppo e con i singoli allievi; ● dell’ interazione tra docenti e studenti, degli studenti fra di loro, e degli studenti con gli ambienti, gli strumenti, i materiali di apprendimento; ● del soggetto che apprende, in considerazione delle capacità di autodeterminazione e di autoregolazione possedute o che pensa di possedere3. Nelle puntate precedenti4 sono stati presi in esame i primi due livelli, cui necessariamente ci riferiremo ancora; trattiamo ora dei due ultimi, che costituiscono il tema specifico di questa puntata. Paradigmi - E’ opportuno chiarire in via preliminare i cinque nodi tematici su cui si fonda il modello esplicativo cui ci atterremo. - Valutare è valutarsi. Per applicare correttamente agli allievi tempi e modi della valutazione allo scopo di avviarli all’autovalutazione, occorre che la scuola sappia realmente programmare. La programmazione richiede infatti un’analisi della situazione entro cui si opera, la messa a punto delle strategie e la selezione dei mezzi, la verifica dei risultati, parziali e finali: tutti segmenti di un lavoro che nel contempo è necessario a chi apprende e a chi si adopera per far apprendere. - Valutare tutti, valutare ciascuno5. E’ la premessa ‘ideologica’ che, mentre fa promuovere l’apprendimento di ogni allievo secondo le sue caratteristiche personali, deve saper definire gli strumenti per valutare i risultati secondo parametri socialmente riconosciuti (e tradotti in attestati, certificazioni, titoli di studio,...). - Condividere i significati sottesi al linguaggio, che, a proposito della valutazione, ne considera tempi (v. preliminare, intermedia, finale), mezzi e fini (v. diagnostica, formativa, sommativa), affrancandola sia dalle forme di giudizi intuitivi sia dalla semplice raccolta di test settoriali. - Classe come laboratorio d’apprendimento. Significa porre in essere le modalità didattiche più idonee a favorire un apprendimento metacognitivo; in grado cioè non solo di abilitare l’allievo al corretto e redditizio approccio con la materia studiata, ma di farlo diventare sempre più capace di riconoscere e mettere a frutto le proprie capacità. - Collaborazione come abituale metodo di lavoro, tra i docenti, tra docenti e allievi, degli allievi tra di loro. Esige non solo la capacità di affinare e rendere vantaggiosi i rapporti interpersonali (socializzazione primaria) ma quella di chiarirsi, per poterlo comunicare nel modo più convincente, scopi e mezzi del proprio operare in classe (socializzazione professionale).

3

M. Pellerey, cit., pp. 9-11. Rivista lasalliana 2009/1 e 2009/2. 5 Non sono logiche antinomiche; possono anzi interagire per rafforzarsi a vicenda. In modo convincente lo sostiene G. Bertagna in Valutare tutti, valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, La Scuola, Brescia 2004. 4


Dalla valutazione all’autovalutazione dello studente

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1. La valutazione scolastica Pur con le riserve suggerite da oggettive difficoltà (preparazione e disponibilità psicodidattica dei docenti innanzitutto) e dalla giustificata diffidenza verso innovazioni radicali che non tengono conto di una tradizione scolastica comunque fruttuosa, non è difficile consentire sul fatto che La didattica non si limita alla trasmissione di un sapere, alla presentazione di una disciplina, all’innalzamento quantitativo delle conoscenze, bensì sostiene, nel soggetto che apprende, l’impegno delle sue qualità-capacità profonde, ne favorisce la misura-scelta degli atteggiamenti personali, ne alimenta la prospettazione degli orizzonti progettuali...). Le discipline acquistano così un significato, un senso: rappresentano per il soggetto-persona uno strumento di saldezza formativa e di potenziamento delle energie creative e culturali. In altri termini attraverso esse si costruiscono esperienze, certo di acquisizione di nuove nozioni, di sistemazioni di conoscenze, di conseguimento di correttezza procedurale, ma anche di protagonismo critico, di coraggio euristico, di impegno ermeneutico: esperienze, insomma, che è sempre più difficile sviluppare oggi fuori dalla scuola e dai luoghi dell’istruzione ‘formale’.6 Altra considerazione che va introdotta fra gli elementi portanti di un orientamento metodologico diverso da quelli tradizionali sono i sostanziali cambiamenti della società che si riverberano sulla scuola: Si era abituati a pensare che una buona preparazione scolastica costituisse un repertorio stabile nel tempo, e che perciò acquisire un insieme di competenze negli anni della formazione fosse condizione sufficiente per intraprendere un’attività professionale e per esercitarla nell’arco della vita. Che la situazione sia profondamente cambiata è ormai sotto gli occhi di tutti: nessuna professione ha conservato i contenuti che aveva solo pochi decenni fa; sono nate nuove professioni, mentre altre sono in declino o sono del tutto scomparse. (…) Mentre dentro un quadro caratterizzato da una modesta dinamica delle conoscenze si poteva accettare che la prima parte della vita fosse dedicata all’acquisizione sistematica delle competenze da utilizzarsi nell’età adulta, ormai occorre pensare ad un sistema che assicuri con continuità il soddisfacimento delle esigenze di formazione. (...) Gli anni della formazione scolastica dovrebbero perciò caratterizzarsi per l’apprendimento sistematico di competenze che poi aiutino ad acquisire quanto di nuovo proviene dai settori della ricerca. È come dire che è essenziale sviluppare le competenze linguistiche, matematiche, storiche, logico-argomentative, in breve tutte quelle competenze che facilitano l’adattamento a nuovi contesti di conoscenza.7.

La maggior parte degli insegnanti ha ormai acquisita la convinzione che scopo della valutazione è ● non tanto o solo quello di misurare, cioè di mettere in evidenza le differenze fra gli allievi, ponendoli a confronto per classificarli, ● quanto piuttosto di rendersi conto di come essi apprendono (costruiscono il proprio sapere) ● allo scopo di accertare attraverso i risultati più significativi in che modo essi raggiungono non solo le conoscenze, ma quali capacità di comprensione e autonomia di rielaborazione posseggono.

6 7

C. Laneve, La didattica fra teoria e pratica, La Scuola, Brescia 2003, p. 7. B. Vertecchi, Decisione didattica e valutazione, La Nuova Italia, Firenze 2004, pp. 24-25.


Marco Paolantonio

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Ponendo in prospettiva storico-cronologica criteri e paradigmi che caratterizzano il modo di valutare a scuola, si possono distinguere tre ‘epoche’ che con terminologia corrente potremmo definire: ● tradizionale, quella della valutazione intuitiva, affidata ai criteri soggettivi di ogni insegnante; ● moderna: quella della valutazione oggettiva, caratterizzata dall’uso talora invasivo dei test, fondata sulla docimologia (valutazione analitica; prove strutturate, semistrutturate, nonstrutturate) ● postmoderna: quella educativa, che tenta di unire i valori della valutazione tradizionale a misurazioni e verifiche oggettive che permettano di appurare non solo quali capacità cognitive, ma anche quali fattori socio-emotivi intervengono nei processi di apprendimento e non di rado li condizionano in modo sostanziale.

1.1

La valutazione intuitiva: caratteristiche e limiti

La valutazione tradizionale, sia nel corso dell’anno sia in sede d’esami, si basa di fatto su verifiche orali - interrogazioni o colloqui - e sui lavori scritti. E’ una valutazione che può essere qualificata come intuitiva, perché quando ascolta o legge, l’insegnante non segue una particolare procedura e alla fine del processo ‘investigativo’ ricapitola mentalmente gli elementi che ritiene di aver acquisito e sulla base di essi formula un giudizio e/o assegna un voto. ‘Non è chiaro’ - osserva Maurizio Lichtner8 ● che cosa viene valutato (le conoscenze acquisite, la capacità di comprensione, la qualità dell’esposizione, e in che misura l’uno o l’atro aspetto?); ● come si riconosce il comportamento richiesto (che cosa corrisponde, nella prova, alla ‘capacità di comprensione’?): ● quali sono i criteri a cui l’insegnante si attiene (che cos’è per lui una buona o una mediocre esposizione, un accettabile livello di comprensione?).

E’ sufficiente una pur rapida lettura dei risultati cui sono giunte le indagini dei docimologi per mettere in evidenza i limiti della tradizionale valutazione ‘fai-da-te’. La stessa prova è valutata diversamente da un altro insegnante o addirittura dallo stesso insegnante in un momento diverso9. Ed è sufficiente far ricorso alla propria esperienza per appurare quale può essere il disparere tra i commissari d’esame in sede di scrutinio, anche quando si è in via preliminare si sono collegialmente definiti alcuni metri di giudizio, che abitualmente non mettono in discussione, né lo potrebbero, i criteri seguiti dai singoli commissari nel valutare le prove scritte e orali relative alla loro disciplina.

8 9

Valutare l’apprendimento: teorie e metodi, Franco Angeli, Milano 2009, p. 13

Le difficoltà principali si riferiscono a 5 aree: assenza di criteri di equità (uno stesso voto non corrisponde agli stessi criteri di valutazione: il 6 di un insegnante è diverso da quello di un altro; mancata valorizzazione del miglioramento del singolo alunno (il 4 di un allievo che aveva 2 il mese prima non viene premiato e non ha effetti positivi sull’alunno); la valutazione vissuta dagli allievi come un giudizio comparativo piuttosto che un feedback rispetto a ciò che è andato bene e a ciò che possono migliorare; insufficiente conoscenza dello stato e dell’evoluzione delle conoscenze degli allievi (con ‘effetto sorpresa’ finale); difficoltà nel progettare e proporre prove differenziate. (www.annalaprova.it/sito_annalaprova.it/000040. htm


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Le interrogazioni - le prove orali - paiono offrire ancor minori garanzie di chiarezza, completezza, oggettività delle prove scritte, che almeno presentano elementi verificabili anche nel tempo. Fra i rilievi critici che possono indurre a un esame inteso a modificare prassi radicate quanto spesso prive di elementi oggettivamente controllabili ci sono: ● improvvisazione (non si segue una procedura prefissata, anche per non riproporre in

classe gli stessi temi con le stesse parole, per toccare tutti gli aspetti dell’argomento trattato, per variare i registri della comunicazione verbale per tener desta l’attenzione degli allievi); ● conseguente non omogeneità delle condizioni di prova: non tutti gli allievi sono posti nelle stesse condizioni (temi, tempo, rapporti interpersonali); ● libera e talvolta arbitraria interpretazione delle risposte, condizionate dagli elementi sopra accennatati, dall’effetto alone (che, a parità di prestazioni, fa propendere per giudizi favorevoli per gli allievi giudicati migliori), dall’impossibilità di registrare la conversazione (esprimendo quindi un giudizio finale che è più che altro un’impressione globale); ● presenza di rilevanti fattori di distorsione: spesso l’interrogazione è dialogata, nel senso che l’insegnante non si limita a far domande, ma completa, chiarisce, offre suggerimenti (a tutti?), tanto che alla fine è pressoché impossibile isolare, ai fini di una valutazione e allo scopo di offrire all’allievo elementi di autovalutazione, ciò che effettivamente ha detto lo studente; ● insomma: l’assenza di una misurazione realmente oggettiva, conseguenza degli aspetti sopra individuati.

Siccome l’interrogazione ‘intuitiva’ permane la più diffusa, vale la pena di prendere in considerazione alcuni criteri che consentono di correggerne i difetti più evidenti. Fatti i dovuti adattamenti, certi suggerimenti potrebbero risultare validi anche per le prove scritte. Secondo i principi docimologici, bisognerebbe ( (da M. Lichtner, cit., pp. 4344, mio adattamento): 1. definire gli obiettivi del colloquio10; 2. determinare in anticipo quali sono gli elementi rilevanti da prendere in considerazione (conoscenze specifiche, proprietà e rigore dell’esposizione, capacità di stabilire collegamenti,...); 3. predeterminare le domande (almeno quelle principali) e non modificarle. Ciò fa escludere l’interrogazione pubblica...fino all’esaurimento del tempo e/o dei candidati; 4. una volta fatta una domanda, non dare appigli, facilitazioni, non intervenire correggendo o completando la risposta (una eventuale ripetizione della domanda dovrebbe essere solo chiarificatrice, non aggiungere nulla); 5. distinguere se ciò che viene detto è riconducibile ai comportamenti attesi o è irrilevante rispetto allo scopo e all’oggetto della valutazione; 6. registrare gli aspetti rilevanti delle riposte, prendendo appunti o riempiendo una scheda predisposta (v. punto 2), perché i dati offerti non si possono affidare alla memoria; 7. distinguere la registrazione dei dati offerti dalla singola interrogazione da una successiva lettura più ampia, basata all’accoglimento del maggior numero di elementi da valutare (ne offrono davvero pochi le interrogazioni ‘a sorpresa’, quelle lasciate uniche in un

10

...fra gli altri, ‘La prova deve apparire significativa per lo studente, perché nuova, interessante, quindi motivante; lo studente deve capirne il senso, l’utilità; deve anche poter provare il piacere di mettersi alla prova, nel confronto non tanto con gli altri quanto con se stesso, con le proprie precedenti performance, maturare un orientamento al compito, piuttosto che al voto; la prova non deve produrre ansia e insicurezza, anzi deve accrescere la sicurezza’ (Lichtner, cit., p. 294).


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trimestre o in un quadrimestre, quelle ritenute più significative perché più irte di difficoltà).

Le considerazioni che seguono appaiono tanto più convincenti quando si consideri che i criteri con cui viene condotta ed espressa la valutazione dell’insegnante sono strumenti ‘primari’ anche per l’educazione all’autovalutazione dell’allievo. E’ fuor di dubbio, ed è accettabile entro certi limiti, che l’insegnante di classe abbia suoi propri criteri di valutazione, così come ha diritto di avere un proprio orientamento didattico e che, quindi, il suo giudizio su una prova sia diverso da quello che esprimerebbe un suo collega. Però c’è almeno un obbligo di coerenza e di trasparenza: l’insegnante dovrebbe essere in grado di esplicitare e comunicare i propri criteri di valutazione, le procedure seguite, o di ripercorrere il ragionamento che lo ha portato a esprimere, su ciascuna prova, un determinato giudizio (Lichtner, cit., p.13).

1.2 Docimologia e valutazione oggettiva Nata tra gli anni ’20 e 30 del Novecento, la docimologia (etimologicamente: scienza degli esami) ha in buona sostanza perseguito due scopi: - l’assegnazione del ruolo centrale ai test di verifica dell’apprendimento; - l’attribuzione di funzioni specifiche alle prove tradizionali, opportunamente razionalizzate sui modelli dei test, seguendo, se possibile, gli stessi criteri di validità e di affidabilità. Neppure i più convinti sostenitori di quest’indirizzo propongono tuttavia la pura e semplice sostituzione delle prove tradizionali11 con i test; sarebbe, come rileva il Vertecchi ‘rifugiarsi in una suggestione più scientista che scientifica, che non potrà non essere foriera di disillusioni’12. La ‘conversione’ di metodo esige comunque una seria preparazione mentale e una forte motivazione. Se ai teorici della docimologia si chiede la formulazione di un sistema coerente, a chi la pone in pratica - i docenti - si richiede l’abilità del tecnico, che unisce la conoscenza dei principi a quello dei meccanismi e del ‘materiale’ ai quali li applica. ● Il primo passo è la segmentazione dei processi, vale a dire l’attento studio delle fasi minime che conducono prima ai risultati parziali, poi a quelli sovraordinati. Permettono anche un feedback in grado di far individuare le difficoltà e gli errori di percorso dei singoli allievi e di intervenire per tempo con rinforzi personalizzati. La sintassi informatica e l’istruzione programmata dello Skinner ne forniscono elementi di sicura utilità: in sequenze lineari vengono presentate unità di contenuti che fanno leva sul rinforzo assicurato dalle successive, calibrate acquisizioni positive. ● Le griglie di lettura analitica costituiscono gli strumenti operativi. Quando si propone una prova scritta, ad es., è necessario aver preparata una checklist, comprendente ciò che si considera rilevante e che deve essere tenuto presente sia nello svolgimento

11

Accenniamo alle più note: prove non strutturate (a stimolo aperto e risposta aperta – ad es. tema, relazione, cronaca = risposte non univoche e non predeterminabili; prove semi-strutturate (a stimolo chiuso e risposta aperta - ad es. riassunto, intervista con scaletta, questionario con domande sulla comprensione di testi... = le risposte non sono univoche, ma predeterrminabili grazie ai vincoli posti nelle questionistimolo; prove strutturate (a stimolo chiuso, risposta chiusa – es: ‘vero/falso’ corrispondenze, scelta multipla, completamento = le prestazioni possono essere misurate con precisione, sono perciò dette prove

oggettive di verifica.

12

Op. cit. p. 7.


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del lavoro (e quindi a conoscenza dell’allievo) sia nella valutazione che ne farà l’insegnante13. In sostanza, per l’insegnante di classe l’elaborazione e l’uso di griglie di lettura analitica è certamente utile: favorisce la riflessività, o capacità di autointerrogazione; permette all’insegnante di esplicitare i propri obiettivi, di chiedersi quali sono i propri criteri e le proprie modalità di lettura/interpretazione, che cosa apprezza di più in un compito, quali altri aspetti dovrebbe considerare. Ma sono strumenti sempre provvisori, da modificare e verificare di volta in volta. Possono facilitare la coerenza dell’insegnante con se stesso, cioè l’applicazione più uniforme dei criteri di valutazione e quindi l’equità; possono inoltre assicurar la trasparenza, perché mostrano qualcosa del processo di valutazione, di come si è giunti a formulare un determinato giudizio (Lichtner, cit., p.38). L’abitudine all’adozione di procedimenti del genere porta a una collaborazione costruttiva, perché documentata, con i colleghi oltre che a rapporti di vera interazione educativa con gli allievi, cui si offrono chiari strumenti di valutazione e significativi stimoli all’autovalutazione.

1.3 Gli apporti delle teorie cognitive: la valutazione educativa Riferendoci all’abituale distinzione tra valutazione sommativa, formativa, educativa e diagnostica è utile ricordare che: - se della valutazione intuitiva possiamo dire che spesso è inaffidabile perché appros-

simativa e di solito non riferibile a chiari parametri oggettivi, - di quella analitica-settoriale che caratterizza i test (...) possiamo dire che tutto il discorso sulla quantificazione e sulle prove oggettive privilegia la valutazione sommativa e offre ben poche indicazioni per la funzione formativa e diagnostica che la valutazione deve svolgere. Le prove oggettive possono accertare fraintendimenti ed errori, ma non le ragioni di ciò, perché non indagano sui processi. E servono ben poco alla valutazione formativa, se per valutazione formativa intendiamo non la segnalazione dell’insegnante delle lacune su cui intervenire con una successiva azione didattica, ma il cambiamento indotto nello studente, la maggior consapevolezza da parte sua sui risultati ottenuti o non ottenuti, e sulle caratteristiche del suo modo di studiare e di apprendere’ (Lichtner, cit., p.10).

Sul piano delle considerazioni critiche possiamo concludere che: - l’uso esclusivo dei test ha fatto capire ben poco di che cosa sia o di cosa possiamo intendere per ‘abilità’ o ‘qualità’ cognitiva a riguardo del tipo di intelligenza, della capacità di comprensione, del pensiero logico-critico o di altri aspetti del conoscere;

13 Per un compito di matematica, sufficientemente ‘aperto’ ad es. a ciascuna delle prestazioni dovrà corrispondere una valutazione (ottimo, medio, sufficiente, non sufficiente) a fianco della quale far convergere le osservazioni, che si tradurranno nei successivi interventi di correzione, ricupero o sostegno: ● mostra di possedere le conoscenze richieste ► o / m / s / ns ►osservazioni: .................. ● sa applicare le conoscenze nel contesto dato ● le affermazioni che fa sono corrette ● sa dimostrare ciò che afferma ● sa argomentare ● ha una visione d’insieme del problema posto ● ha capacità d’intuizione ● riconosce alcune analogie strutturali ● mostra capacità di analisi ● la procedura di soluzione è corretta ● ha metodo nel lavoro ● opera correttamente le trasformazioni richieste ● è sicuro nell’uso del simbolismo matematico ● è competente nell’uso del linguaggio specifico ● è corretto nei calcoli ● nella rappresentazione grafica mostra di avere chiarezza concettuale.


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- i test, oltre a limitarsi a misurare sezioni separate di capacità cognitive, non prendono in considerazione altri aspetti della personalità di chi apprende - doti e i livelli di partenza, ritmi di apprendimento e capacità di stabilire positivi rapporti interpersonali, ... - che incidono in modo sostanziale sull’apprendimento. È in base a queste considerazioni che ci si è proposto di superare i limiti della psicometria - le analisi parziali del solo ambito cognitivo - tentando di individuare le capacità di ordine superiore sulle quali operare la valutazione in modo corretto. Si tratta di disporre le operazioni mentali, dalle più semplici alle più complesse, definendo un ordine in base al quale elaborare prove per misurare separatamente tali operazioni, ma stabilendo anche una ‘gerarchia’ che consenta di esprimere una valutazione il più possibile comprensiva. Tra le teorie associazioniste più note c’è la tassonomia del Bloom, che si proponeva di arrivare a una valutazione davvero educativa attraverso prove di conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione degli argomenti proposti14. Anche se condotto con il rigore di metodo del Gagné, l’associazionismo non spiegava però in che modo opera la mente: ne esaminava dall’esterno le manifestazioni. È il tipico procedimento dell’elaboratore elettronico, la cui routine direttiva è stabilita dal programmatore e non si evolve. Il comportamento umano è ben diverso: ogni individuo che agisce consapevolmente riflette sui propri schemi direttivi e li modifica secondo le sue personali capacità valutative. Un ribaltamento di prospettive nasce con il cognitivismo. Dire che il processo cognitivo è guidato dall’interno, significa che il soggetto che apprende è attivo e non passivo, che non si limita a reagire agli stimoli - a immagazzinare i saperi - ma li seleziona e li elabora. Le strategie di apprendimento personale si fondano su una consapevolezza metacognitiva, che richiede al soggetto che apprende la capacità di autointerrogarsi, di prendere in esame le proprie risorse nel campo dell’apprendimento (memoria, attenzione, rapporti logici,…), di valutarne l’utilità e di cercare di ottimizzarne l’uso. Il termine metacognizione designa dunque sia le ricerche sulle attività cognitive (memoria, attenzione, ragionamento, ecc…) sia l’uso strategico dei mezzi che possono influire sui processi di apprendimento in un determinato settore (ad es., come progettare e scrivere un testo). In riferimento ai due aspetti, acquistano un loro peso specifico due vocaboli: ● le abilità, che riguardano il livello delle competenze (ad es. abilità di lettura) e sono un valore in sé (saper leggere bene è sempre meglio del suo contrario); ● le strategie, che riguardano invece le modalità con cui le competenze si manifestano (la lettura ad es., può essere rapida, analitica, silenziosa…) ed hanno un valore contestuale, da considerare cioè in rapporto alla situazione esaminata (una lettura analitica non è sempre più vantaggiosa di una lettura rapida). Le tendenze evolutive 14 La tassonomia del Bloom ha avuto fortuna, perché, sostanzialmente ispirata al buon senso, utilizzava concetti tratti dal linguaggio quotidiano. Le complicazioni nascono dal tentativo di connettere in un sistema, con articolazioni interne alle sei categorie, una gran varietà di situazioni empiriche: la tentazione, sempre incombente, di adattare la realtà alle teorie. Vedi B.S. Bloom, Tassonomia degli obiettivi educativi, Giunti & Lisciani, Teramo 1986, in particolare pp. 204-213.


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che spingono verso una diversa qualificazione dei processi formativi nascono anche, come si è detto, dall’inevitabile confronto con nuove realtà sociali: In condizioni di scolarizzazione diffusa, quali sono quelle attuali, non si può far conto né sulla disponibilità incondizionata verso l’istruzione né sul credito della scuola. Dal momento che l’accesso all’istruzione non costituisce più un fattore di separazione fra strati sociali, e che risulta attenuato il ruolo della scuola come fattore di mobilità ascendente, è ormai improprio ritenere che negli allievi esista una disposizione originaria favorevole al compito di apprendimento. D’altra parte, poiché partecipare ai processi di istruzione scolastica non si considera più un bene in sé, prevale nella considerazione del pubblico l’attenzione nei confronti degli esiti della formazione, della sua utilità in termini personali e sociali’ (B. Vertecchi, cit., pp. 2-3).

Ciò comporta sia l’adozione di nuovi approcci ai saperi da apprendere sia una diversa qualificazione dell’azione didattica, che non può più limitarsi a trasferire le nozioni. Fra le proposte di maggior interesse, che fanno della classe un laboratorio didattico, ne ripresentiamo brevemente alcune.

2. La classe come laboratorio d’apprendimento15 Va specificato che quando parliamo di ‘classe’ intendiamo tutte le situazioni e gli ambienti predisposti allo scopo di fornire progetti e mezzi ordinati a favorire un apprendimento personalizzato, specificamente orientato all’autoapprendimento. Inutile aggiungere che non è possibile un’adozione immediata e totale di queste metodologie; occorre approfondirne la conoscenza e attuarne l’applicazione con senso di misura e con una condivisione collegiale.

2.1 La Didattica breve (o RMD: Ricerca metologico-disciplinare) Nata in ambito universitario16 e riferita alle discipline scientifiche, la DB è approdata nelle scuole superiori ed applicata anche alle materie umanistiche17. Condotta correttamente e coerentemente, può portare a un risparmio di 50% del tempo dedicato al consueto lavoro didattico e consentire così sia il raccordo culturale con il programma svolto negli anni precedenti, sia la fissazione delle abilità di base carenti con l’allargamento delle attività di ricupero e di studio guidato. Come si vede dalle brevi note che seguono, non può essere considerata un’applicazione integrale della metodologia costruttivista. La Didattica Breve: E’ il complesso di tutte le metodologie che agli obiettivi della didattica tradizionale (rispetto del rigore scientifico e del contenuto della varie discipline) aggiunge anche quello della drastica riduzione del tempo necessario al loro insegnamento ed al loro apprendimento. La DB (…) è una didattica giocata tutta sulla pulizia dei ragionamenti e sulla loro essenzialità. Parte da contenuti disciplinari, passa attraverso una riflessione sui metodi di trasmis-

15

Gli appunti si trovano, inseriti in una trattazione più ampia, in Rivista lasalliana 2007/4: L’allievo prota-

gonista del proprio apprendimento. 16 Filippo Ciampolini, La Didattica breve. Il Mulino, Bologna 1999. 17

Cf. i link del data-base DB, ad esempio su letteratura, latino, storia e filosofia.


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sione degli stessi e approda alla costruzione degli stessi contenuti della DB. La sua logica si sintetizza nella sequenza “contenuti-metodi-contenuti”. (da Roberto Crosio, La Didattica Breve, www.valsesiascuole.it).

Caratteristica metodologica della DB è la distillazione disciplinare, verticale (macrologica) e orizzontale (micrologica). Distillare significa smontare gli argomenti previsti dal programma, ricercarne la struttura disciplinare e ‘rimontarli’ secondo criteri di essenzialità e di sequenzialità logica. La distillazione verticale è l’elenco di tutti gli argomenti che il docente intende svolgere durante il corso, sequenzialmente disposti, in modo che la trattazione di un argomento possa ‘razionalmente’ dipendere (o strettamente connettersi) con argomenti che lo precedono. (…) Gli argomenti sono a loro volta riuniti in blocchi (Unità didattiche o moduli).La distillazione orizzontale è l’analisi di dettaglio dei vari argomenti: approfondisce le micrologie di presentazione della spiegazione, suddivide i ragionamenti nei loro passi elementari, sequenzialmente disposti secondo l’ordine con cui il ragionamento ce li propone. Questo tipo di distillazione può essere utilmente rappresentato da mappe concettuali (…). La finalità della distillazione per il docente consiste nel chiarirsi perfettamente la logica interna (e sequenziale) dell’argomento e le strategie più adatte per presentarlo agli alunni. Per gli studenti, la distillazione è il modo per affrontare in profondità il senso dei concetti, rendendosi consapevoli delle conoscenze operate. (R. Crosio, dal saggio cit.)

2.2 L’apprendimento cooperativo (cooperative learning) E’ uno degli aspetti che caratterizzano il “costruttivismo sociale”. L’intersoggettività tra gli attori è il prerequisito e il ‘luogo’ per imparare a elaborare strumenti di comprensione della realtà. Si fonda sulla costituzione di piccoli gruppi equi-eterogenei ed esige una gradualità nell’applicazione del metodo18. L’approccio cooperativo prende in considerazione gli aspetti cognitivi, sociali ed emotivi coinvolti nei processi di apprendimento. Lo caratterizzano la consapevolezza che la collaborazione non nasce spontaneamente; che per essere e fare gruppo è indispensabile condividere uno scopo, e al tempo stesso sviluppare quelle competenze sociali che permettono di essere attivi e positivi nel gruppo nel modo di comunicare, di assumere o meno la leadership, di risolvere conflitti, di affrontare problemi e assumere decisioni. ● Nell’approfondimento cooperativo informale, che ha come ambito una lezione, vengono utilizzati tutti quei modi brevi e specifici di lavorare in gruppo che possono seguire la presentazione o la spiegazione da parte dell’insegnante; ● in quello formale - lo vedremo esponendo le caratteristiche dell’unità formativa - si stabiliscono ● i temi e gli obiettivi ( con criteri interdisciplinari), ● i tempi (che possono riguardare anche diverse settimane); si precisa ● l’organizzazione (grandezza e formazione dei gruppi, all’interno dei quali si attribuiscono ruoli specifici); si predispongono ● i materiali e gli strumenti che offrono le migliori possibilità di

18

M. Comoglio, Apprendere attraverso la cooperazione dei compagni: www.regione.umbria.it/Cridea/versos/documentazione/comoglio.htm


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collegamenti in rete; si definiscono le modalità di ● monitoraggio in itinere, di ● verifiche sommative e finali19.

2.3 L’apprendimento per problemi (problem solving) Il problem solving è l’ approccio didattico che intende sviluppare l’abilità dell’allievo sotto gli aspetti psicologico-comportamentale e logico-operativo. Unisce quindi alla valenza dell’apprendere ‘qualcosa’ quella dell’ imparare ‘come si fa’ (metacognizione). Se il lavoro è svolto in gruppi, le fasi saranno ovviamente presentate dall’insegnante in un attivo dialogo con gli interessati e prevede alcune fasi che abitualmente sono: ● la comprensione: perché quello che affronti è un problema? è del tutto nuovo o assomiglia a uno di quelli già presi in esame? in che cosa?; ● la previsione: chi ti può essere d’aiuto? di quanto tempo disponi? di quali strumenti hai bisogno? in quale ambiente svolgerai il lavoro?; ● la pianificazione: hai chiari tutti i termini e i dati del problema? in quali parti può essere diviso? vuoi lavorar da solo o in gruppo? di quali materiali e di quali strumenti puoi servirti? in che modo lavorerai: prendendo appunti, con grafici e mappe, con libri e internet,…?; ● monitoraggio intermedio: sei sulla pista giusta o ti trovi in difficoltà? cosa va eliminato o invece salvato del lavoro fin qui svolto? come ( con chi e/o con che mezzi) intendi risolvere le difficoltà? hai già concluso qualche parte significativa? - e finale: ritieni di aver trovato la soluzione? sei in grado di esprimerla globalmente e in modo articolato?; ● valutazione: le tue previsioni e la tua pianificazione sono state utili o si sarebbe potuto lavorare in altro modo? quale e perché? hai lavorato bene? Le soluzioni sono tutte quelle richieste dal problema? quale mezzo utilizzerai per presentarle nel modo più efficace e riassuntivo: mappa? riassunto? schema? slide?...20.

2.4 La teledidattica

(e-learning)

Si propone la creazione di ambienti di apprendimento telematico in cui si possano verificare tutte le mediazioni interattive che caratterizzano la metodologia del cognitivismo. L’e-learning (apprendimento elettronico) sfrutta le potenzialità disponibili in Internet per offrire una informazione /formazione diretta o registrata a chi si connette online. Sono forme di insegnamento tipicamente ‘centrate sullo studente’. Non si tratta di una semplice multiformità di proposte, perché è prevista una serie di figure e di servizi che costituiscono una vera metodologia didattica: tutor, comunità di pratica. I contenuti sono offerti con il criterio della modularità didattica e progettati in diversi formati: pagine Htlm, animazioni 2Do 3D, contributi audio e video, simulazioni, esercitazioni interattive, test,…sempre in modalità multimediale che può essere utilizzata come è proposta o modificata con l’aggiunto di altro materiale in rete. Le quattro principali caratteristiche della formazione online sono: ● modularità (materiale didattico diviso in unità della durata di 15/20 minuti), ● interattivià (possibilità di vera interazione tra l’utente e il mezzo tecnico, in modo da sollecitare in continuazione le motivazioni all’apprendimento), ● esaustività (ogni modulo deve corrispondere a un obiettivo

19

Per informazioni rapide ma non sommarie, v. Apprendimento cooperativo, www.ospitiweb.indire.it e anche Come applicare il Cooperative Learning, www.scuolaer.it 20 da Claudia Valentini, Didattica metacognitiva. Problem solving. www.pavonerisorse.to.it


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formativo e portare l’utente alla conclusione dell’obiettivo stesso), ● interoperabilità (i materiali devono essere compatibili con qualsiasi piattaforma tecnologica ed essere facilmente rintracciabili).

Il Progetto europeo di apprendimento per via elettronica 2004-2006 ha previsto la promozione dell’alfabetizzazione digitale, la creazione di ‘campus virtuali’ europei, il gemellaggio elettronico delle scuole europee e la promozione della formazione dei docenti, azioni trasversali per la formazione dei docenti. Facile l’accesso ai siti che danno notizie dall’attività promossa e svolta sia in Italia sia in Europa.21

2.5 Le Unità formative (modularità didattica)

22

Definizione - Il modulo è un’unità di insegnamento/apprendimento indipendente e

autonoma, che può riguardare un tema, un problema, un procedimento, una competenza e ha degli obiettivi ben definiti. Non è costruito secondo il criterio della linearità, ma ha una struttura interna ramificata o reticolare. Anche se alcuni moduli possono essere considerati propedeutici ad altri, l’idea di fondo è quella di assicurare un’estrema flessibilità nella combinazione dei moduli disponibili.

Scopi - Attuandoli, ci si propone di superare la tradizionale suddivisione del sapere in

discipline, ognuna delle quali rappresenta un settore a se stante nel percorso di apprendimento dell’allievo. A lui vengono lasciati il compito e la responsabilità di ricomporre in un quadro di sintesi unitario i tanti elementi di conoscenza, competenza e abilità relativi alla reale comprensione delle varie materie. Ambiziosi e insieme necessari, gli obiettivi della modularità didattica sono quelli di far affiorare - nella proposta di ogni specifica disciplina e soprattutto nel progetto complessivo del programma di studi - la struttura reticolare della conoscenza individuando ● i nodi concettuali di base, ● le relazioni - intradisciplinari e interdisciplinari - che li collegano, ● alcuni percorsi alternativi di apprendimento significativo, ● i particolari processi di apprendimenti previsti e da valutare.

Struttura - Caratteristiche e momenti sono: • il tema, che può essere affrontato e svolto in modo multidisciplinare o interdisciplinare, • la funzione formativa, che inscrive l’unità all’interno della progettazione di Istituto, • la posizione (nella logica della programmazione annuale della disciplina), • il gruppo-classe, con una specifica attenzione alle caratteristiche collettive e dei singoli allievi), • i tempi (con la previsione in ore, settimane, mesi), ● la motivazione (che chiarisce a quali bisogni formativi si intende dare una risposta), ● i prerequisiti d’ingresso, • gli obiettivi formativi specifici (il risultato atteso in termini di conoscenze, competenze, capacità), • gli obiettivi formativi trasversali (comuni alle discipline che confluiscono nell’unità), • i nuclei cognitivi concettuali (la promozione di tipiche attività cognitive, espresse nei termini “essere in grado di…”, “sapere che…”), • il percorso effettivo che si intende compiere (dalle modalità di verifica dei prerequisiti alle attività previste per gli eventuali ricuperi, 21 www.osservatoriotecnologico.net/internet/e-learning.htm http://ec.europa.eu/education/programmes/elearning/programme_it.html 22 V. Rivista lasalliana 2008/3, pp. 366-67, dove gli appunti sono inseriti in una trattazione più ampia: I

contenuti disciplinari dell’insegnamento.


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dalle metodologie didattiche e dagli strumenti posti in essere, alle verifiche – formative, sommative, finali, • la validazione dei risultati (del singolo docente e del team). (da Patrizia Becherini, Insegnare oggi, La Nuova Italia, Firenze 2006, pp. 144-146). Il modulo è quindi una parte del tutto che può essere considerata separatamente, uno degli elementi di una struttura liberamente componibile. Svolto in un arco di tempo che può variare, comprende un minimo di 3-4 settimane. E’ ulteriormente diviso in unità didattiche e può essere impostato e condotto con criterio intra- o interdisciplinare. Numerose e serie sono le difficoltà che le metodologie didattiche innovative presentano, ma il cammino verso l’innovazione è inevitabile. Per onestà professionale deve essere sperimentato e validato progressivamente23.

3. Autoregolazione e autodeterminazione dello studente 3.1 Settori di osservazione. Autoregolazione e autodeterminazione sono i due termini che il Pellerey pone a base dell’autoapprendimento dell’allievo, ribadendo che non è possibile trattarne in modo coerente senza tener presenti i tre ‘livelli’ sovraordinati24, necessaria premessa per un percorso educativo compiuto. Dirigere se stessi nel proprio apprendimento culturale e/o professionale può essere riletto secondo due prospettive complementari, integrando tra loro i concetti di autoregolazione e di autodeterminazione. Con il temine ‘autodeterminazione’ si segnala la dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, della intenzionalità dell’azione: è il registro della motivazione, del progetto, anche esistenziale. Con il termine ‘autoregolazione’, che evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione si insiste più su un sistema del controllo strumentale dell’azione.(...) Al primo ‘livello’, nel dare senso , finalità, scopo all’azione ci si colloca sul piano del controllo di tipo ‘strategico’, che mette in evidenza la componente motivazionale, di senso, di valore. Al secondo livello, si richiede, invece, di sorvegliare la coerenza, la tenuta, l’orientamento dell’azione e regolarne il funzionamento o pilotarla; si tratta di un livello ‘tattico’. (M. Pellerey, cit., p. 8).

23

Un’ipotesi di lavoro che contempera varie esigenze è offerto dal Modello a tre colonne di Hilbert Meyer, che propone di alternare nel corso dell’anno tre formule d’insegnamento come graduale approccio alle nuove metodologie: a) insegnamento curricolare previsto dal piano di studi, organizzato in modo rigoroso e sequenziale può anche prevedere lunghi periodi di insegnamento frontale. Si insegnano in modo sistematico sostanzialmente le conoscenze delle principali discipline tradizionali. I gruppi di apprendimento sono fissi, e di regola sono costituiti dalla classe; b) lavoro libero offre agli allievi un insegnamento fortemente individualizzato, sostenuto dalle nuove tecnologie e ispirato al lavoro libero delle scuole Montessori. Comprende sia il lavoro per prepararsi alle lezioni degli insegnamenti curricolari, ma anche l’approfondimento individuale in settori di studio liberamente scelti in base a un piano di lavoro settimanale, predisposto individualmente dal singolo allievo; c) progetto per attività che non rientrano in quelle dei due precedenti settori, si formano piccoli gruppi possibilmente eterogenei. Anche in quest’ambito gli allievi vengono invitati a pianificare le attività delle fasi in cui si articola il progetto. Programmato in tempi separati dai precedenti, è affidato a piccoli gruppi stabili, possibilmente eterogenei.di allievi che possono uscire da scuola, fare ricerche, indagini e svolgere attività pratiche. L’attività può essere varia e consistere nell’organizzazione di mostre, serate per genitori, rappresentazioni teatrali, ecc.* Oltre il curricolo lineare, di Preti, Bertocchi, Quartapelle - www.ed.scuola.it, p. 99 24 V. note introduttive


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Una versione semplificata dell’impostazione sopra descritta si rifà al modello moltiplicativo della motivazione, riassunto dalla formula M = P x V, dove M sta per motivazione, P per percezione di possedere la competenza necessaria per conseguire un obiettivo o portare positivamente a termine un compito, V sta per valore attribuito all’obiettivo o al portare a termine positivamente il compito25. Agli insegnanti che la verificano e agli studenti che se ne servono può risultare utile la conoscenza delle componenti le attività di apprendimento (distinzione solo dovuta alla necessità di separarne le peculiarità per meglio studiarle, perché fra loro strettamente connesse e interagenti): doti (capacità innate), abilità (stili cognitivi, strategie di apprendimento acquisite), motivazioni, interessi. Il rapporto tra le due prime, che costituisce da sempre il campo di confronto e di scontro tra due scuole di psicopedagogisti - gli ‘innatisti’ e gli ‘ambientalisti’ -, pare attualmente orientarsi verso il riconoscimento di un ruolo più limitato degli aspetti innati e rigidi, attribuendo maggior importanza all’esperienza d’apprendimento e al sostegno ambientale: la scoperta e l’attuazione di un metodo di studio26. A proposito del quale, premesso che ne esistono tanti quanti sono gli allievi, si possono distinguere tre fasi: 1/organizzazione e definizione degli obiettivi; 2/lettura, comprensione ed elaborazione dei contenuti27; 3/ memorizzazione e successiva evocazione di materiale utile per nuovi apprendimenti. Per ognuna di esse è possibile utilizzare diversi tipi di strategie: - per la fase di organizzazione vengono suggerite le modalità per programmare il tempo di studio, concentrarsi, scegliere il luogo dove studiare e le ore del giorno in cui si studia con maggior profitto; - per la fase di lettura, comprensione ed elaborazione risultano efficaci le strategie per leggere più velocemente, de sottolineare e prendere appunti; - per la memorizzazione e il ripasso esistono strategie per ricordare più a lungo ed efficacemente, organizzare il momento del ripasso, gestire l’ansia dell’esame, anticipa-

25

M. Pellerey, op. cit. p. 8. Da una chiara premessa ambientalista prese avvio il noto Programma di Reuven Feuerstein i cui risultati, spesso sorprendenti, sono sicuramente propiziati da procedure che richiedono insegnanti specializzati. Ma il punto di partenza è valido per ogni educatore che sappia porsi come mediatore in classe per educare le intelligenze degli alunni in forza della sua cultura (conoscenze disciplinari e metodo per proporle) e del suo equilibrio affettivo (capacità di calarsi in situazione con senso della misura, autorevolezza, disponibilità, competenza psicologica). 27 Numerose sono le tecniche suggerite dagli psicopedagogisti di lingua inglese. Il Metodo delle 6R (Taking System - 6R) propone come Consigli allo studente: • durante la lezione (o la lettura di un testo) 1. registra (Record), prendendo appunti con la tecnica che preferisci • dopo la lezione (o la lettura) 2. schematizza (Reduce), ricapitolando i fatti e le idee in una colonna, appuntando i principali temi con una parola o una breve espressione in margine alla colonna stessa, per sollecitare la memoria e stabilire collegamenti logici; 3. esponi (Recite), coprendo la colonna e, usando solo le specificazioni, riesponi la lezione meglio che puoi, con tue parole; poi verifica gli appunti, evidenziando ciò che avevi dimenticato di dire 4. rifletti (Reflect), sviluppando le tue opinioni a partire dagli appunti; usane come punto di partenza per collegarti con gli argomenti già studiati che hanno attinenza con quello che stai esaminando 5. ripassa (Review) periodicamente, spendendo 10 minuti per rivedere velocemente gli appunti, per renderti conto di ciò che ricordi bene e di ciò che hai dimenticato 6. riassumi (Recapitulate), condensando in fondo a ogni foglio l’argomento parziale. In fondo all’ultima scheda riassumi l’argomento di tutta la lezione. * da G. Rinaldi, Un metodo per studiare. Introduzione al “metodo 6R.. www. scienzemfn.uniroma1.it 26


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re le domande e le possibili risposte, informarsi sul tipo di prova e sui più probabili contenuti28. 3.2 Strumenti di indagine. Ogni istituzione scolastica ha, o dovrebbe avere, un gruppo di docenti specificamente interessati a studiare e comunicare ai colleghi i migliori strumenti della valutazione da adattare alla situazione in cui operano (livello del corso, indirizzo di studi, tipologia dei discenti,...). Le scelte condivise dovrebbero costituire la concreta materia d’incontro e d’intesa con gli allievi e con le famiglie, posti non solo a conoscenza degli scopi educativi che caratterizzano l’istituzione, ma anche degli strumenti che ne qualificano l’azione. Possono essere utili piste come quelle suggerite dal Cornoldi per individuare Le dieci caratteristiche dello studente strategico che l’insegnante/gli insegnanti dovrebbe/dovrebbero appurare, in collaborazione con l’interessato, se l’allievo: • Conosce un gran numero di strategie utili all’apprendimento • Capisce quando, dove e perché queste strategie sono importanti • Sceglie le strategie con saggezza e le applica operando un monitoraggio • E’ intrinsecamente motivato • Aderisce a una visione incrementale della crescita della mente • Non ha paura dell’insuccesso, infatti comprende che l’insuccesso è indispensabile per raggiungere il successo • Non è ansioso di fronte a una prova, ma piuttosto vede le prove come occasione per imparare • Crede nello sforzo attentamente organizzato • Rispetta ed apprezza la diversità del talento umano (utilizza se stesso piuttosto che altri come pietra di paragone per giudicare il successo) • E’ sostenuto in tutti i punti sopraelencati da genitori, scuola e società in genere29

I questionari e le prove di valutazione AMOS30, creati per soccorrere studenti in difficoltà, hanno poi consentito di offrire supporti efficaci a ‘talenti sprecati’, cioè a studenti con buone potenzialità di apprendimento, incapaci tuttavia di realizzarle e di valorizzarle. Basati sulle teorie metacognitiva e sociocognitiva, offrono una ricca e completa valutazione delle principali componenti strategiche dell’apprendimento. Rappresentano un importante strumento standardizzato per favorirne l’utilizzo di studenti di scuola superiore ed universitari. Si rivolgono a insegnanti di scuola superiore o universitari, psico-pedagogisti, psicologi scolastici e quanti operano nei settori educativi e dell’apprendimento. Cinque i settori esplorati: 1. Il Questionario sulle Strategie di Studi (QSS) serve a far emergere l’atteggiamento dell’allievo di fronte alle strategie di studio. Prevede due fasi distinte, che valutano rispettivamente l’importanza che lo studente attribuisce alle strategie di studio (valutazioni di efficacia) e la misura in cui le usa effettivamente (valutazioni d’uso).

28 R. De Beni, A. Moè, Motivazione e apprendimento, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 19-20. In queste pagine si trova un nutrito elenco di autori e di trattazioni che permettono di approfondire i tre aspetti. 29 Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna 2002, p. 334. Trattato che suggerisce altri strumenti sicuramente utili, come il Questionario sulle cattive abitudini di studio (p. 332) e Suggerimenti per l’insegnamento di una strategia (p. 410), 30 R. De Beni, A. Moè, C. Cornoldi, AMOS, abilità e motivazioni allo studio: prove di orientamento e di valutazione, Erickson, Trento 2003, volume-guida, pp. 150 + schede con questionari e prove.


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2. Il Questionario sull’Approccio allo Studio (QAS) consente allo studente di autovalutarsi in rapporto a cinque dimensioni fondamentali, che riguardano: la capacità di organizzazione personale, il grado di elaborazione attiva, la capacità di autovalutazione, le strategie di preparazione alle prove e la sensibilità metacognitiva. 3. Il Questionario sugli Stili Cognitivi (QSC) introduce lo studente nel mondo complesso delle diversità dell’approccio ai saperi, proponendogli situazioni concrete, e quindi invitandolo a riflettere sulla sua collocazione, a riguardo delle due modalità più diffuse: la globale-analitica e la verbale-visualizzatrice. 4. La Prova di Apprendimento (PA) serve a fornire un indice oggettivo delle capacità di comprensione, memorizzazione e apprendimento, integrando le informazioni ottenute dai primi tre questionari che – essendo autovalutativi – riflettono non solo dati reali, ma anche la percezione che lo studente ne ha. Due le prove; la prima richiede di apprendere materiale completamente nuovo; l’altra è intesa a fornire informazioni oggettivo sul processo basilare di memorizzazione e sulla capacità di progredire nell’apprendimento. 5. Il Questionario sulle Convinzioni (QC) conclude il percorso iniziale di valutazione, riflessione e orientamento dello studente, invitandolo a esplicitare il suo sistema emotivo-emozionale, con riferimento alle convinzioni che possiede su se stesso e sull’apprendimento, alla fiducia in se stesso, e agli obiettivi di apprendimento.

Siccome non sempre esistono le condizioni per seguire il percorso nella sua integralità, si è fatto in modo che esso risultasse divisibile in più prove autonome, ciascuna proponibile indipendentemente e capace per se stessa di fornire informazioni valide. Non mancano modalità meno complesse, ma pur sempre affidabili e utili. Ne è un esempio la compagine di indicatori e di descrittori per la certificazione e la comunicazione delle competenze qui trascritta,31 opera del Centro di eccellenza dell’università Ca’ Foscari di Venezia. La triplice divisione in processi e atteggiamenti (1, 2, 3,...), indicatori (a, b c,...), descrittori [►] è resa operativa nelle sezioni orizzontali, che esaminano: partecipazione/collaborazione, impegno/motivazione, applicazione, ap-

plicazione/transfer, transfer, transfer/ricostruzione, ricostruzione, generalizzazione.

I descrittori, posti in ordine decrescente (dal più positivo 5, al meno soddisfacente 1), sono evidentemente riferiti alla valutazione operata dal docente, ma una traduzione non complicata potrebbe trasformarli in domande rivolte gli studenti per stimolarli a un’autovalutazione dei vari aspetti. E’ naturale che sia la proposta sia l’eventuale successiva correzione dei comportamenti meno positivi devono rispondere a criteri educativi, volti ad appurare le situazioni solo per apportarvi le correzioni più efficaci e consentire un miglior apprendimento. a) Livello d’attenzione

1. Partecipazione / Collaborazione

► 5. Non si fa coinvolgere in azioni o interventi collaterali e dispersivi e contribuisce allo svolgimento fruttuoso delle attività. - 4. Non si fa coinvolgere in azioni o interventi collaterali e dispersivi. - 3. Si fa coinvolgere in azioni o interventi collaterali e dispersivi, ma riprende facilmente le attività. - 2. Si fa coinvolgere in azioni o interventi collaterali e dispersivi. - 1. Interferisce (frequentemente) con azioni interventi collaterali e dispersivi

31

www.cenec.org/ed/documenti/ANGELINO-4-Curricolo%20Artee%20immagine%20PSP%20 indicatori


Dalla valutazione all’autovalutazione dello studente

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b) Grado di pertinenza degli interventi / Interazione cognitiva: ► -5. Interviene confrontando i suoi saperi nel gruppo e apportando contributi significativi alla riorganizzazione della mappa dei saperi. - 4. Interviene apportando contributi personali alla costruzione della mappa dei saperi. -3. Interviene non apportando contributi nuovi, ma riadattando quelli degli altri. -2. Interviene apportando contributi poco significativi o marginali, ma coerenti con una sua logica. - 1. Interviene raramente / Non riesce a mettere a fuoco le idee. c) Flessibilità:

►-5. Considera altri punti di vista, e comprende le motivazioni da cui nascono; è capace di mettere in discussione le proprie convinzioni. - 4. Considera altri punti di vista e ne accetta i punti di somiglianza e differenza rispetto al proprio, comprendendo le motivazioni da cui nascono. -3. Considera altri punti di vista e ne accetta i punti di somiglianza e differenza rispetto al proprio, ma non comprende le motivazioni da cui nascono. - 2. Considera altri punti di vista, ma non riesce a individuare i punti di somiglianza e differenza rispetto al proprio. - 1. E’ molto ancorato alle proprie opinioni, considerando ciò che ha imparato come punti fermi e immutabili.

a) Attribuzione

2. Impegno / Motivazione

►-5. E’ consapevole dei suoi punti forti e deboli, e cerca di superare le difficoltà, adottando le strategie adeguare e sapendo quando e a chi chiedere aiuto. - 4. E’ abbastanza consapevole dei suoi punti forti e deboli, e cerca di superare le difficoltà adottando strategie sufficientemente adeguate. - 3. Ritiene di poter superare le difficoltà con un generico maggior impegno, e non indaga sul tipo di difficoltà e sulle possibili strategie per superarle. - 2. Ritiene che le sue difficoltà siano per lo più dovute a fattori (e responsabilità) esterni e che sia difficile superarle. 1. Ritiene che le sue difficoltà siano dovute a fattori (e responsabilità) esterni e che non ci sia niente da fare.

b) Curiosità

► Posto di fronte a una situazione problematica: - 5. ...ne e esplora tutti gli aspetti e ricerca nuove idee e soluzioni, operando collegamenti e analogie con tutte le conoscenze precedenti; 4. ... ne esplora tutti gli aspetti e ricerca nuove idee e nuove soluzione; - 3. ...ricerca nuove idee e soluzioni per alcuni aspetti del problema; - 2. ...la sua curiosità è episodica, strettamente legata a pochi interessi personali; - 1. ...ha un atteggiamento di indifferenza; aspetta dagli altri la soluzione.

c) Originalità

► -5. Individua situazioni problematiche sia pratiche che teoriche, e per trovare soluzioni sempre migliori fa ricorso alla ricerca di nuove conoscenze, di nuove applicazioni, di collegamenti diversi, aprendo anche ad approcci inconsueti. - Per trovare soluzioni a situazioni problematiche date: - 4. ...fa ricorso alla ricerca di nuove conoscenze, di nuove applicazioni, di collegamenti diversi, aprendo anche ad approcci inconsueti; - 3. ...fa ricorso a collegamenti ed apprezzamenti inconsueti, anche se non sempre supportati da conoscenze ed applicazioni certe; - 2. . ...fa ricorso a collegamenti ed applicazioni inconsueti, ma non si preoccupa della correttezza delle conoscenze e delle applicazioni su cui si basano; - 1. ...fa ricorso a collegamenti ed approcci inconsueti ma senza fondamento.

a) Autonomia (in tutte le fasi)

3. Applicazione

► Porta a termine il compito - 5. ...pianificando il lavoro e organizzando tempi e materiali in modo da poter gestire eventuali imprevisti; - 4. ... pianificando il lavoro; - 3. . ... ma senza


Marco Paolantonio

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pianificare il lavoro; - 2. ...chiedendo spesso incoraggiamenti, conferme ed aiuti; .- 1. ...solo se costantemente incoraggiato/guidato/’obbligato / Non porta a termine il compito.

b) Uso corretto delle consegne ►- 5. Esplora sistematicamente le consegne e comprende il loro senso rispetto al compito, svolgendolo in modo aderente alla richiesta. - 4. Esplora ed interpreta correttamente le consegne, svolgendo il compito in modo adeguato alla richiesta. - 3. Esplora solo le caratteristiche essenziali delle consegne / Ha delle incertezze sulla loro interpretazione, svolgendo il compito in modo non del tutto rispondente alla richiesta. - 2. Fraintende alcune consegne, svolgendo il lavoro in modo solo parzialmente alla richiesta. - 1. Ha difficoltà a esplorare le consegne, svolgendo il compito ‘a modo suo’ / Non svolgendo il compito.

4. Applicazione / Transfer

Contestualizzazione / Organizzazione delle conoscenze

► Usa nuove conoscenze (notizie, modelli, regole): -5. ...sapendole adattare e tradurre nei nuovi contesti con prontezza, in modo organico e consequenziale; - 4. ...sapendole adattare e tradurre nei nuovi contesti; - 3. ...sapendole adattare e tradurre nei nuovi contesti con qualche incertezza o confusione; - 1. Usa in modo parziale / scorretto / non usa le nuove conoscenze (notizie, modelli, regole).

5. Transfer

Capacità di stabilire analogie / falsificazione

► - 5. Ricerca e collega gli elementi di somiglianza e differenza nelle varie situazioni allargando il campo anche ad altre esperienze fatte / ipotizzando anche altre possibilità. - 4. Ricerca e collega gli elementi di somiglianza e differenza nelle varie situazioni. - 3. Collega gli elementi di somiglianza e differenza nelle varie situazioni, ma non sempre in modo rispondente/chiaro/significativo. - 2. Collega solo alcuni elementi di somiglianza e differenza nelle varie situazioni. - 1. Collega elementi di somiglianza e differenza nella varie situazioni solo se uguali od opposti / solo in situazioni molto vicine nel tempo e nello spazio / Non opera confronti.

Consapevolezza riflessiva

6. Transfer / Ricostruzione

► - 5. Arricchisce e integra le proprie conoscenze con le nuove acquisizioni e, consapevole della loro spendibilità, riorganizza la propria mappa dei saperi. - 4. Arricchisce e integra le proprie conoscenze con le nuove acquisizioni, avendo chiara la loro collocazione nella mappa concettuale. - 3. Arricchisce le proprie conoscenze con le nuove acquisizioni, ma non ha ben chiara talvolta / sovente la loro collocazione nella mappa concettuale. - 2. Modifica / amplia le proprie conoscenze con qualche nuova acquisizione, ma in modo confuso / disorganico che può portare a sovrapposizioni o discrepanze. - 1. Modifica solo marginalmente le proprie conoscenze / Ha difficoltà a individuare punti di riferimento nella propria mappa dei saperi.

Coerenza e profondità di analisi

7. Ricostruzione

► - 5. Ricostruisce correttamente il percorso giustificando la logica della sequenza e il ruolo preciso di ogni tappa, individuando i punti da migliorare e quelli da potenziare. - 4. Ricostruisce correttamente il percorso sottolineando la logica della sequenza e distinguendo le tappe fondamentali e quelle di supporto. - 3. Ricostruisce correttamente il percorso anche se in modo schematico ed essenziale. - 2. Ricostruisce con qualche imprecisione e incertezza il percorso. - 1. Nella ricostruzione del percorso trascura / omette passaggi fondamentali, compromettendo il senso del percorso.


Dalla valutazione all’autovalutazione dello studente

a) Autonomia di scelta

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8. Generalizzazione

► Avendo possibilità di scelta per fronteggiare una situazione problematica o nuova: - 5. ...analizza dati e fattori a sua disposizione e ne ricerca altri per comporre un quadro quanto più completo e organico possibile, e in base a diverse variabili prevede / valuta le possibili conseguenze delle scelte; - 4. ...considera i fattori a sua disposizione, li compone in un quadro organico e in base a questo prevede / valuta le possibili conseguenze delle scelte; - 3. ...considera i fattori a sua disposizione, li ricompone in un quadro abbastanza organico anche se incompleto e tenta di prevedere le possibili conseguenze delle scelte; - 2. ...considera i principali fattori a sua disposizione, ma non ne ha una visione organica e ipotizza le possibili conseguenze delle scelte con molte incertezze / contraddizioni (cerca soluzioni per tentativi ed errori); - 1. ...considera in modo confuso i fattori a sua disposizione e non ipotizza le possibili conseguenze delle scelte (si fa condizionare pertanto dalle scelte di altri.)

b) Teorizzazione

► - 5. Sottopone a critica la casistica dei denominatori comuni (concettuali, regolativi,...) e ne cerca le falsificazioni, per definire delle regole più fondate e di più ampio raggio. - 4. Sottopone a critica le proprie esperienze e le rapporta ad altre per allargare la casistica dei denominatori comuni e desumerne delle regole. - 3. Analizza le proprie esperienze e tenta di rapportarle ad altre per allargare la casistica delle classificazioni ed individuare dei denominatori comuni. 2. Considera la proprie esperienze come fatti episodici, che possono presentare caratteristiche comparabili e classificabili. - 1. Considera le proprie esperienze come fatti episodici a sé stanti.

Come queste, le rassegne di indicatori e descrittori delle situazioni che caratterizzano l’apprendimento - o almeno ne permettono un approccio sempre meno ‘intuitivo’ hanno valore solo se utilizzate con criteri educativi: da studiare ed applicare, quindi, per far progredire i singoli studenti, colmando lacune nella massima misura possibile, consapevoli che lo studente ‘eccellente’, ‘medio’, ‘scadente’ è da classificare tale solo in astratto, perché quello reale si incarna in situazioni umane difficilmente comparabili e comunque da promuovere. Non è certo l’invito a ‘declassare omogeneizzando’ i processi di insegnamentoapprendimento, quanto piuttosto l’esigenza educativa di porre in atto gli strumenti che possono far progredire ogni allievo secondo le sue doti e le sue caratteristiche personali. Anche eccellenza e meritocrazia, auspicabili in una scuola rispettosa dei talenti personali spesi a vantaggio della società, non possono avere altro fondamento e altra giustificazione.



PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 4, 637-648

Etica per Educatori – un minilessico [4] Lluís Diumenge, fsc Barcelona

AMBIENTE El ambiente tiene que ver con la población, las especies, los bosques, los ríos, el clima, con el planeta entero. Es la hipótesis Gaia que considera el planeta como un conjunto unitario y vivo. Todo ello es estudiado por la ecología, tratado, estudio o reflexión sobre la casa. Ello exige que se analicen no sólo los individuos concretos, sino también las relaciones que median entre los organismos y su entorno, tal como se manifiestan sobre todo en los ciclos naturales, en la interacción de las diversas clases de organismos, en la distribución geográfica y en las posibles alteraciones de la población. La cuestión ecológica se refiere a las relaciones existentes entre la población humana y el ambiente, profundamente afectado por la tecnología, y los medios y fines (institucionales, ideológicos, morales y religiosos) implicados en la solución del problema. Últimamente se tiende a asimilar los problemas medioambientales con el calentamiento global del planeta (aumento del efecto invernadero relacionado con las emisiones humanas). William S. Broeker acuñó, en 1975, el concepto cambio climático. Siendo ésta una de las dimensiones principales no es la única. A su lado cabe incluir la deforestación, erosión y desertización del suelo; la extinción de especies animales y vegetales a gran escala (pérdida de biodiversidad); la creciente escasez de agua dulce; el aumento de la demanda de energía y de consumo asociados al mundo occidental y a los países en vías de desarrollo, así como al aumento previsible de la población glo-


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Lluís Diumenge

bal del planeta (de 6.600 millones a unos 9.000 millones a mediados del s. XXI). Estas dimensiones del tema ecológico están muchas veces interrelacionadas, pero deben distinguirse para entenderlas mejor y poder plantear más eficazmente el modo de combatirlas. La globalización neoliberal está haciendo más profunda la agresión al medio ambiente. Se han tenido muy poco en cuenta las consecuencias ecológicas de la producción y el consumo. El daño ambiental y la preocupante disminución de la biodiversidad no sólo amenazan la capacidad de vida y de alimentación de los habitantes del planeta, sino que también hipotecan la vida de generaciones futuras. Distintos imperialismos han generado enorme deuda histórica por saqueo y expolio de los países del Sur, decisivos para el proceso de acumulación y enriquecimiento de países del Norte. Es la deuda eco-

lógica.

No se puede repensar el combate contra la desigualdad al margen del impacto que puede tener en el equilibrio ecológico. La justicia ecológica implica una relación adecuada con el ambiente y ésta no se puede dar en mundo injusto. Es urgente promover ética de lo suficiente que ayude a sentirse satisfechos con menos, así como avanzar hacia cultura de la moderación y del límite. Cabe recordar las palabras proféticas de Gandhi: “Tenemos que aprender a vivir más sencillamente, para que los otros sencillamente puedan vivir”. De la misma manera que la humanidad ha ido tomando mayor conciencia de la cuestión ecológica, así la Iglesia ha ido aclarando su postura. ¿Tiene algo que decir al respecto la fe y la moral? Evidentemente, ya que la degradación ambiental no es fruto de la naturaleza, sino del hombre. Y en cuanto se trata de un problema provocado por la libertad humana que elige medios y fines, la crisis ecológica es una crisis moral. Preocupa la falta de respeto a la naturaleza, vinculada al problema del consumismo. Claro exponente, a su vez, de la alienación del hombre en los países desarrollados. Hay que plantear el tema de la responsabilidad humana para con el conjunto de la biosfera en términos que presuponen una concepción antropológica y cosmológica. La relación hombre – naturaleza no debería ser de dominación – esclavitud, sino una relación constitutiva que enriquezca a ambos. Necesitamos una conversión que reconozca el destino común. A veces, se presenta la tradición occidental como meramente dominadora de la naturaleza y, por contraste con ella, se exalta una tradición oriental de acomodarse pasivamente a la naturaleza sintiéndose parte de ella. Algunos acusan de raíces judeocristianas a la primera y otros reivindican para la tradición bíblica una tercera postura, ni dominadora ni pasiva, sino de gestión responsable por parte del hombre. En lugar de acentuar en la traducción del Génesis el dominad la tierra, aludir al cuidad la tierra y la armonía de los vivientes.


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El único camino para la solución del problema es el camino del hombre. Cualquier opción o decisión -personal, social, internacional- debe tener siempre en cuenta que el hombre es el principio, debe ser su ejecutor y su fin. A modo de imperativo categórico kantiano, podríamos afirmar: “obra de tal forma que los efectos de tu actuación sean compatibles con la permanencia de genuina vida humana sobre el planeta”. La tierra no es un regalo de nuestros padres, sino un préstamo de nuestros hijos. Media estrecha relación entre el desarrollo humano y el cambio climático. Un retroceso en el compromiso mundial contra este proceso de deterioro del planeta afectaría directamente a la realidad presente de centenares de millones de seres humanos a la vez que hipotecaría su futuro, y la posibilidad de una vida vivida con dignidad. Desde 1987 empieza a hablarse de desarrollo sostenible, esto es, de satisfacer las necesidades de las generaciones presentes sin comprometer las posibilidades de las del futuro para atender sus propias necesidades. El ámbito del mismo puede dividirse conceptualmente en tres partes: ambiental, económica y social. El reto actual, el mayor en la historia de la humanidad, es el de si inteligencia y ética son mecanismos suficientemente potentes para superar el conflicto medioambiental. Cada vez se insiste más en la necesidad de una tercera generación de derechos humanos: los de los hombres y mujeres del futuro, cuya supervivencia sobre el planeta está seriamente amenazada por el comportamiento irresponsable. La crisis ecológica que padecemos puede ser ocasión propicia para hacer el aprendizaje de otra manera de vivir. Asumir los principios de la Carta de la Tierra, código universal de conducta para guiar a las personas y a las naciones hacia un desarrollo sostenible. En general, suelen mencionarse tres erres ecológicas como vías de solución: reducir, reutilizar y reciclar. Las dos primeras atañen en particular, a gobiernos y empresas. En el reciclaje es donde más pueden influir los ciudadanos. La humanidad tiene que aliarse para cuidar la tierra y unos de los otros. Lo que puede hacer viable esta alianza es precisamente la sostenibilidad, o sea, tener un comportamiento benévolo, respetuoso hacia la naturaleza que permita regenerar lo devastado y atender celosamente lo que aún queda de la naturaleza. La responsabilidad de la comunidad mundial respecto a su propio futuro para con el ámbito común y con el ambiente atañe a todos los representantes de regiones, ideologías y religiones. Han de aprender a pensar y actuar desde contextos globales. Se impone con más urgencia que nunca, la cuestión cardinal de la ética. ¿Bajo qué condiciones fundamentales podemos sobrevivir con una vida humana en una tierra habitable, programando humanamente nuestra vida individual y social? ¿Qué presupuestos resultan imprescindibles para salvar la civilización humana? Cuando nos preguntamos por las consecuencias futuras de la disminución de la capa de ozono, se deben prevenir las consecuencias a largo plazo. Hoy se pasa rápida-


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mente del descubrimiento a la comercialización. Si no se piensa en las consecuencias desde el principio no se llega a tiempo de impedir las que resultan negativas. La puesta en práctica de criterios orientadores exigirá la conjugación de aspectos tecnológicos y administrativos con económicos, políticos y educativos. Y todo ello en el marco de un cuestionamiento ético – antropológico de conjunto: ¿a dónde quere-

mos ir, a dónde vamos y para qué?.

El aspecto educativo es muy importante para lograr, a nivel de opinión pública, amplio consenso sobre la prioridad de valores en el proceso de decisión para el bien común. Filmografía. El río de la vida, Robert Redford (1993). Narra la existencia de un pastor presbiteriano que intenta educar a sus hijos dentro de la ortodoxia calvinista. Para él, el amor de Dios y el amor de la naturaleza se confunden. Identifica el arte de la pesca con mosca (sortilegio para captar la vida que fluye en el río) con la propia religión y la obra divina en toda su exigente belleza. La polaridad río-tierra adquiere significación simbólica. Para saber más: BOFF, Leonardo, La opción Tierra. La solución para la Tierra no cae del cielo, Sal Terrae, Santander 2008, 224. HAUGHT, John F., Cristianismo y ciencia. Hacia una teología de la naturaleza, Sal Terrae, Santander 2008, 288. MCNEILL, John R., Algo nuevo bajo el sol. Historia medioambiental del mundo en el siglo XX, Alianza Editorial, Madrid 2003, 504.

DEPORTE El deporte es un sistema ordenado de actividades naturales (andar, correr, saltar, lanzar…) hechas en competición, en exhibición o por gusto y fundamentadas en el máximo rendimiento no utilitario debidamente medido. Persigue como objetivo conseguir la mejora física, la victoria o llenar el tiempo de ocio. Se practica en todos los medios de la naturaleza: acuáticos, sobre nieve, en el aire, en tierra firme.

Mens sana in corpore sano refleja el espíritu que animó, desde la antigüedad, a los deportistas. En San Pablo leemos: ¿No sabéis que en el estadio todos los corredores cubren la carrera, pero uno solo se lleva el premio? Corred así, para ganar. Además, cada contendiente se impone en todo una disciplina; ellos para ganar una corona que se marchita, nosotros una que no se marchita. Pues yo corro de esa manera, no sin rumbo fijo, boxeo de esa manera, no dando golpes al aire; nada de eso, mis directos van a mi cuerpo y lo obligo a que me sirva, no sea que después de predicar a otros me descalifiquen a mí (1Cor 9, 24 – 27).

En el siglo XVIII se introduce el sentido competitivo en los juegos físicos y nace el interés por reglamentarlos. La competición, las reglas de juego, el aprovechamiento del esfuerzo físico fueron hallazgo de los educadores británicos. Debidamente combinados, permitieron disciplinar a los alumnos, desarrollar su potencial físico y socializarlos mediante las normas. Con Pierre de Coubertin se consolida el deporte como


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fenómeno social mundial. Su proyecto de Juegos olímpicos, inspirados en los de la Grecia clásica, fueron realidad por vez primera en Atenas (1896). Expresó el principio del logro, fundamental para el deporte, con el lema: citius, altius, fortius. La misma dinámica interna del deporte lo ha conducido a la realidad actual y a su transformación económica. Ya no es sólo instrumento educativo que permite el desarrollo de cualidades físico-morales según valores establecidos por el sistema social tradicional. Apremia la necesidad de incrementar, cada vez más, el rendimiento del deportista. Una carrera infinita hacia la conquista de nuevas marcas, ha identificado el deporte con el trabajo y lo ha sometido a sistemas perfeccionados de entrenamiento. Se pasa del amateurismo al profesionalismo. El deportista ha de poder vivir de su trabajo que se ha convertido en medio de promoción social. La necesidad de ir mejorando continuamente la máquina humana y sus posibilidades de rendimiento ha convertido al atleta en un aspirante a superhombre y al deporte en símbolo del progreso lineal de la humanidad. No se explica sin espectadores ni sin medios de comunicación de masas. Las manifestaciones en que se congregan multitudes son prueba evidente de lo arraigado que se halla en el hombre el sentido emocional del deporte como espectáculo. Esto lo ha llevado a ser vehículo de propaganda tanto política como comercial. Impulsa un sector industrial propio, derivado de necesidades de creación de locales e instalaciones, fabricación de materiales, equipamientos… El fundamento decisivo para la existencia, popularidad y valoración positiva del deporte se halla en su vinculación con la cultura industrial, precisamente en Gran Bretaña, primer país industrializado. El deporte proporciona una vivencia, en gran parte perdida, del cuerpo y del movimiento. Y es así una puerta de escape para energías irracionales. En el ámbito organizativo conviene distinguir dos niveles. Los Juegos olímpicos, con su órgano permanente (COI) y las Federaciones internacionales que codifican la disciplina deportiva. Múltiples son las modalidades deportivas. Las hay de carácter universal y otras que se practican en determinados países (criquet, hockey sobre hielo, pelota vasca…). El fútbol es el deporte rey. Todo el mundo lo ha practicado en un algún momento de su vida. Sus seguidores se cuentan por millones. Se ha convertido en una religión planetaria que alcanza hasta el último de los rincones de cualquier país, grande o pequeño, del mundo. Una fe que se manifiesta tanto en el terreno de juego como en las tribunas, entre la hinchada que canta las glorias de su equipo como entre los jugadores, que dan rienda suelta a su alegría o su enfado. En él se reproducen, por desgracia, comportamientos que se observan en la sociedad como violencia, racismo, intereses económicos. Capítulo aparte merecen los deportes extremos. Son actividades que comportan una real o aparente peligrosidad por las condiciones difíciles en las que se practican. Permiten vivir muchas sensaciones gracias a la relación entre la incertidumbre del medio y la práctica de la actividad física. Entre éstos podemos encontrar el surf, skate, snow, barranquismo, raids, paracaidismo, parapente, submarinismo, puenting…


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La belleza del deporte y el diálogo que propicia continúan siendo un idioma universal a disposición de todos los que quieren entenderse por su medio. El deporte, sabiamente practicado, resulta fuente inagotable de vida, por ser lucha, por poner en contacto con la naturaleza y por contribuir a reforzar el organismo. Si con él, la voluntad se afirma y el hombre adquiere conciencia de sus propios recursos físicos, el deportista siente asimismo un apreciable estímulo para superar la acción llevada a cabo por los demás. Y este esfuerzo limpio, exento de envidia, persigue la aspiración a lograr un título. Este es un anhelo plenamente humano: superarse en los diversos órdenes de la vida. Gracias al deporte, los hombres cumplen uno de sus fines esenciales, el de asociarse. Disponen de un medio de entenderse a través del espíritu de equipo que, sin diluir en absoluto las individualidades, obliga a éstas a posponer el propio yo en aras del bien del conjunto y la prosecución del triunfo. El deporte participa en el fenómeno congénito del juego y de la fiesta con sus momentos esenciales: la representación, la superación y entrega de sí mismo. Quizás no se puede realizar una separación estricta entre finalidad y sentido. Quizás éste radica en su función de abrir la esfera vital y vivencial; en desarrollar la personalidad y en intensificar la vida. Cada país y cada deporte tiene sus ídolos. Grandes triunfadores de ayer pueden ser hoy motivo de escándalo. A principios del 2009, Michael Phelps (8 medallas de oro en los Juegos olímpicos de Pekín) acaparó la atención por fumar marihuana. La misión del deportista es competir. Cuando alguien empieza su carrera deportiva no firma ningún contrato de ejemplaridad. Es lo que, sin ningún problema, sucede con músicos, escritores o actores. En el deporte conviven diversos valores, normas e ideales. La deportividad apela a la corrección. Es un comportamiento humano que incluye el cumplimiento de las reglas de juego y hace prevalecer la elegancia de espíritu y respeto para el contrario sobre el afán de victoria. La práctica deportiva involucra riesgos. Cuanto hace el hombre, lo realiza a base de toda su constitución y repercute de nuevo en él. Ocuparse del cuerpo no es tarea accesoria. Uno de los mayores peligros está en el dopaje. Para paliar fraudes y efectos dañinos, la Agencia Mundial Antidopaje acaba de extender los controles a todos los deportes. Y, de forma especial, a los deportistas de alto nivel. Conviene buscar el equilibrio entre la dignidad del deportista y la lucha contra el dopaje. El mundo evoluciona muy rápidamente y el deporte también. Las nuevas generaciones están aportando nuevas actividades físicas y deportes más espectaculares, dinámicos y peligrosos. Hacer deporte está de moda. Cualquier lugar es bueno para practicarlo. Las nuevas tendencias han influido en la moda juvenil, llena de complementos deportivos.


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Filmografía. Million Dollar Baby, Clint Eastwood (2005) - Tres trayectorias existenciales convergen alrededor de un gimnasio. El cuadrilátero es un escenario metafísico de los embates que plantea la vida. Maggie se siente cautivada por la magia de arriesgarlo todo por un sueño: el boxeo. Galardonada con 4 Óscars , invita a reflexionar sobre el arte de vivir y el precio a pagar, la soledad, la familia, la búsqueda de paz interior. Para saber más: AYORA, Alberto, Gestión del riesgo en la montaña y en actividades al aire libre, Desnivel, Madrid 2008, 256. GARCIA NOZAL, José Mª, Juegos predeportivos para la educación física y el deporte, Ed. Deportiva, Sevilla 2007, 321. UNGERLEIDER, Steven, Entrenamiento mental para optimizar el rendimiento, Desnivel, Madrid 2007, 252.

FUTURO Pensar el futuro equivale a referirse a todo aquello que está por venir. Es un tiempo que sirve para denotar una acción, un proceso o un estado de cosas posteriores al momento en que se habla. Para buena parte de la gente, anclada en el hoy, el futuro resulta una categoría devaluada. Maestros y educadores deben tomarlo en consideración. Su tarea consiste en contribuir a preservar la memoria cultural, transmitiéndola y, al mismo tiempo, trabajar la transición hacia el futuro de la sociedad. Cada alumno, por su parte, ha de conquistar la madurez, la autonomía y la libertad. Con el objetivo de llevar a término el proyecto personal que trasciende el horizonte, casi instintivo, de necesidades y deseos. Hacer memoria no es sólo recordar, es también actuar de manera que la propia historia personal y social pase a formar parte de ese saber cultural mediante el cual el joven va formando su proyecto de vida original e innovador. Quien vive con esperanza se orienta hacia el futuro. No le asusta el porvenir. Vive con horizonte. Tiene capacidad de comprometerse y correr riesgos. Asume el trabajo personal, reacciona, se enfrenta a sus problemas y encuentra nuevos caminos para vivir. La educación es un proceso de actualización, revalidación y transmisión de conocimientos a las nuevas generaciones, a partir de las fuentes vivas de la ciencia, la tecnología y el arte, en función de una misión social que garantice el ejercicio pleno de la dignidad humana. El desafío educativo se apoya sobre un doble reto. Tener confianza en el hombre y en su capacidad evolutiva . Supone, además, una visión universalista y abierta. El futuro de la educación depende, en gran parte, de la capacidad de los educadores de asumir el proyecto frente a nuevos modos de ser, sentir, pensar, valorar, actuar… que necesariamente conllevan nuevos valores y comportamientos, asumidos por un número cada vez mayor de personas. Implica recuperar la pasión por la vida y el reencantamiento de la educación. ¿Es posible una educación como proyecto positivo en que los estudiantes imaginen un futuro en el que la esperanza sea algo próximo y la libertad objeto de luchas y victorias?


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Existen maestros que aluden reiteradamente al calamitoso porvenir que aguarda a sus educandos. No son conscientes de que es inútil blandir el futuro ante sus narices. Bástale a cada día su propio afán. Nada ocurre como está previsto. Esto es lo único que nos enseña el futuro al convertirse en pasado Los maestros auténticos ayudan a descubrir lo positivo que se da en las personas, acontecimientos y dificultades. Existen personas que transmiten y contagian esperanza, no sólo con sus palabras, sino con su presencia, su modo de ser y de vivir. Contagian la fuerza interior que llevan dentro, la esperanza que les impulsa. El drama de la cultura actual, marcada por el dinero, el espectáculo, el consumo compulsivo, radica en la falta de interioridad. Vivimos volcados en lo puramente externo, sin capacidad de ir más allá. Sin interioridad el hombre moderno pone en peligro su misma integridad. Apremia releer la propia vida con una base espiritual. Los jóvenes reflejan los valores y conflictos de la sociedad hodierna. Viven entre posibilidades y contradicciones. El futuro plantea grandes desafíos. Baste evocar la situación de desconcierto en que viven muchas familias. La sociedad de bienestar brinda múltiples oportunidades pero oscurece las referencias fundamentales de la propia vida. Dice un proverbio antiguo: “si tú no sabes hacia dónde vas, ningún camino te llevará allí”. La clave se encuentra en un proyecto que apueste por las personas. Cada escuela debiera plantearse qué experiencia está suscitando en sus educadores, alumnos y familias. Y esta reflexión pasa por preguntarse acerca del cómo promueve la interioridad de las personas. ¿Alguien se ocupa de acompañarles en el descubrimiento de la propia intimidad y de sus experiencias más profundas? La interioridad entendida como ese espacio que se abre entre nosotros y las cosas, las personas y Dios. Permite dar sentido a la existencia y capacita vivir con sentido el presente. Hoy la pedagogía habla de la competencia espiritual que prepara a los alumnos para formularse preguntas hondas, para asombrarse y comprometerse con la realidad del mundo en el que viven, para trabajar la dimensión trascendente y comprometerse vitalmente. Aquí se inscribe el derecho a la utopía que forma parte del ámbito de lo que es racionalmente pensable. La utopía, amén de objetivos a conseguir, presupone la toma de conciencia del camino por recorrer y del esfuerzo que hay que invertir. Exige racionalidad en los juicios y competencia en quien las promueve. El proceso educativo escolar culmina cuando llega la edad de ir a la Universidad o de elegir una profesión. Momento propicio para invitar a cada alumno a elaborar un relato narrativo. Destinar un tiempo para releer el propio itinerario académico, hacer balance de sus talentos personales, de sus puntos débiles o fuertes, de su manera de enfocar la vida. Algún centro educativo goza de la presencia del “coaching”, de una relación profesional que ayuda a las personas a producir resultados extraordinarios en sus vidas, carreras o negocios. A través del correspondiente proceso, profundizan en el aprendizaje, optimizan su realización y mejoran su calidad de vida. Para un buen sector de personas, la Universidad resulta indispensable. La docencia universitaria se ha de entender como actividad compleja que requiere una comprensión distinta del fenómeno educativo. Promueve la capacidad para discernir lo que es


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creíble, útil y científico. Las sociedades dinámicas han de permitir que la pasión, la vocación de los jóvenes, encuentre en la Universidad su camino. Aquí entra en escena la controvertida, para algunos, Declaración de Bolonia. En el nuevo sistema diseñado ya no es válido quedarse satisfecho con la tradicional clase magistral o calificar sólo por medio de un examen único. Se ha de evaluar el esfuerzo de cada alumno por conseguir un nivel razonable de conocimientos, capacidad de expresión y trabajo en equipo así como un conjunto de competencias profesionales. El objetivo aspira a crear auténticos profesionales, capaces de trabajar en cualquier país de la Unión Europea. Proceso apasionante que integra las modificaciones registradas en el mercado ocupacional y en las perspectivas abiertas gracias a las nuevas tecnologías. Todo ello ha conducido a una reestructuración y revisión general de las carreras universitarias. Se han aportado nuevas especialidades de ciclo corto, flexibilidad en conocimientos impartidos y formación diversificada. Se promueve la movilidad entre Universidades. El Espacio Europeo de Educación Superior constituye una gran oportunidad para cambiar muchas cosas en la Universidad. La formación otorga el pasaporte para el futuro. La Universidad orienta hacia el futuro donde se fomentan la diversidad y la confrontación mediante el diálogo de opiniones divergentes. Únicamente observando el mundo de manera abierta a otros posibles es como surge un determinado número de soluciones. Trata de ser un foro donde se expresan variedad de maneras de enfocar el futuro. Aporta respuestas a temas cruciales en el campo de las ciencias, humanidades, técnica y ética. En cifra, pretende hacer nacer personas inconformistas, constructivas e idealistas, inmensamente creativas. Los problemas a los que nos enfrentamos hoy provienen de nuestra manera de pensar, de estar en relación con los otros, de vivir y organizar la sociedad. La transformación social postula nuevas formas de pensar más respetuosas de las diferencias. El nuevo estilo de pensamiento se fundamenta en los cambios probables de la sociedad, a largo plazo, en la primacía del bien común, en la forma de vivir la ética, en la pasión por todo aquello que conduce a la única verdad y que genera vida. Filmografía. La pesadilla de Darwin, Hubert Sauper (2005). Fábula terrorífica sobre la evolución y supervivencia del más fuerte en África. Dios creó el mundo y le dotó de recursos limitados. Los hombres pelean por ellos. ¿Cómo explicar el sueño occidental de los jóvenes africanos? El cineasta teje lazos entre los diversos actores. Hombres y mujeres que, en medio de las adversidades, no han perdido su capacidad de soñar, luchar y solidarizarse. Están de pie. Tienen dignidad. Para saber más: HOBSBAWN, Eric, Guerra y paz en el siglo XXI. Crítica, Barcelona 2009, 207. JIMÉNEZ, Fernando, La sexta extinción. La mayor amenaza de la tierra es la humanidad, Planeta, Barcelona 1998, 326. STOKES, Cynthia, Gran Historia. Del big bang a nuestros días, Alba, Barcelona 2009, 475.


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MEMORIA La memoria es la exposición de hechos, datos o motivos referentes a determinado asunto. Si hablamos de una persona, de una nación o de un continente aludiremos a las correspondientes raíces biológicas, culturales o históricas. Tener raíces equivale a ofrecer resistencia a cuanto pretenda modificar su estado. La raíz es la causa y origen de la identidad. Debe darse el equilibrio que permita defender las propias raíces y abrirse a la solidaridad universal. La identidad social del hombre es una representación que identifica al individuo con un sistema de creencias religiosas y filosóficas, que se supone que la naturaleza humana, en su estructura innata, modela y desarrolla. A finales del siglo XIX y principios del XX, es innegable que en Europa el componente principal de identidad no es la religión, sino la nación, entonces ya considerada como fenómeno natural auténtico y objetivo. Se es italiano, francés, español… Muchos historiadores muestran cómo se fabricaron las naciones y nacionalismos europeos, cómo se crearon las grandes mitologías nacionales y se construyeron memorias nuevas. La religión no es la matriz principal de la identidad. Incluso en sociedades profundamente religiosas, el individuo no pierde nunca la conciencia de su genealogía familiar, de la especificidad de su lengua y de su medio geográfico. Se trata de tres componentes esenciales de la identidad que una religión no puede reemplazar, salvo en casos específicos en que un individuo decida consagrar su vida a la religión. Pero, incluso en estos casos, el carácter étnico, es decir, la mezcla de los componentes esenciales sigue presente. Los nacionalismos europeos han establecido la regla de la construcción identitaria que se configura a nivel tanto individual como colectivo, a partir de una imagen positiva y narcisista de uno mismo y de una imagen negativa del otro. Todo ello es fruto de la cultura, manera específica del existir y del ser del hombre. El reconocimiento de una cultura específica expresada especialmente en la lengua, se une al reconocimiento de la propia nacionalidad y al del derecho al autogobierno. El hombre no llega al nivel verdaderamente humano sino por la cultura, esto es, cultivando bienes y valores naturales. Siempre, pues, que se trata de la vida humana, naturaleza y cultura se hallan estrechísimamente ligados. La cultura lleva consigo necesariamente un aspecto histórico y social. Ha sido moldeada a lo largo de los siglos. La cultura asume con frecuencia un sentido sociológico y etnológico. En este sentido se habla de pluralidad de culturas. Poco a poco se va haciendo una forma de cultura más universal, que tanto más promueve y manifiesta la unidad del género humano cuanto mejor sabe respetar las particularidades de las diferencias culturales.


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No es exagerado afirmar que, a través de una multitud de hechos, Europa entera desde el Atlántico hasta los Urales – testimonia, en la historia de cada nación el vínculo entre cultura y cristianismo. La identidad de Europa es incomprensible sin el cristianismo. Y esto no es sólo una raíz histórica sino también la vivencia de millones de europeos. Hoy el clima europeo es de un fuerte maximalismo laicista. A veces, Europa no sabe quién es ni de dónde viene y, menos aún, hacia dónde tiene que ir. Ha perdido identidad. El 29 de octubre de 2004 se firmó en el Capitolio de Roma la Constitución europea. En su Proemio se excluye cualquier alusión a las raíces cristianas. ¿Cómo puede hablar al corazón de los europeos una Europa que no recuerda? La gran tradición religiosa europea recuerda la dimensión espiritual del hombre, cuya vida es también un misterio. En la historia europea se ha concebido a menudo la libertad como emancipación del mundo de la fe. Pero el cristianismo europeo es también historia de libertad. El cristianismo ha jugado un papel decisivo en la delimitación de nuestra mentalidad como pueblo. Esto no significa que el monopolio de la vertebración espiritual de Europa lo tenga que seguir teniendo el cristianismo. Conviene partir de la plataforma de valores mínimamente compartidos. Los valores universales deben seguir siendo fermento de civilización. No se puede edificar la casa común descuidando la identidad propia de los pueblos de este continente. En el análisis del pasado vamos a buscar, a menudo, el fondo de nuestra existencia como pueblo y la explicación de nuestro presente. Apremia recuperar costumbres, fiestas y tradiciones. El intento de eludir la raíz cristiana que tiene la mayoría de estos fenómenos lleva a ridiculizarlos. Junto con estas manifestaciones, débense recuperar las virtudes más destacadas que dejaron en herencia los antepasados. Estamos delante de la imagen de un Occidente petrificado, como mínimo por lo que se refiere a los niveles culturales. Un Occidente que comete injusticias tranquilamente en nombre del mercado y de la competitividad. Los movimientos antiglobalización perciben que hay algo que no va. Otro mundo es posible. La insensibilización crece y no tan solo afecta a las personas, sino también al planeta. Parece que ante todo esto sigue siendo necesario un discurso crítico y transformador. Europa será frágil si el hombre/mujer europeos no recuperan algunos de aquellos fundamentos culturales y espirituales que están en su origen. Guste o no estos fundamentos son espirituales y más precisamente cristianos. El cristianismo es la mayor revolución que la humanidad haya llevado a término. También otros elementos – el pensamiento griego y el derecho romano - han contribuido a la creación de la idea europea. No existe un Occidente bueno contrapuesto al Oriente islámico malo y a pueblos retrógrados de África y Asia. Al contrario, existe un Occidente cínico, ávido en hecho de idolatrar la ciencia y la técnica que se manifiesta extraño a continentes enteros (India y países del sudeste asiático) en los que la religiosidad islámica, hinduista o budista invade toda la existencia, impregnándola de sacralidad.


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¿Cuáles son los escenarios actuales que nos condicionan implacablemente y nos obligan a hablar de identidad, de raíces y de religión en nuestros coloquios y debates intelectuales? La memoria dogmática del Occidente moderno, esa memoria que funciona en el tiempo histórico, pero también en el tiempo mitológico. Los lugares de la memoria ocultos son los que se reactivan hoy a causa del desprestigio del patrimonio revolucionario y humanista forjado por la revolución francesa y el siglo de las luces, convertidos en el sentir de algunos en lugares de una memoria fría. Resulta obvio que uno de los signos más evidentes del renacimiento de la memoria religiosa en Occidente lo constituye el papel desempeñado por la construcción de la memoria del holocausto. Éste es, posiblemente, el acto fundador del retorno de lo religioso. Se podría sostener que si Auschwitz y las otras grandes catástrofes del s. XX han heho más que nunca del recuerdo – y especialmente del recuerdo de las víctimas y de los supervivientes de las atrocidades históricas – una obligación moral universal, parece que la patología de la memoria y la obsesión por los ritos conmemorativos que caracterizan nuestra época constituyen de hecho una agresión concertada contra nuestra propia capacidad de rememorar el pasado. A la vista de esta contradicción entre la necesidad de recordar y las fuerzas del olvido y de la dialéctica de la negación y la amnesia inmanente a los excesos rituales de la conmemoración, se plantean una serie de preguntas: ¿cuál es la economía pertinente del recuerdo y del olvido?; ¿qué cantidad de historia o de memoria necesitamos?; ¿qué tipo de memoria y para qué? Filmografía. Cento chiodi, Ermanno Olmi (2008).- Olmi recapitula el significado de toda su existencia. Cada historia debe tener un protagonista. “De quién debo hablar? ¿De entre los grandes hombres, a quién he conocido que dejara huella en mí? ¿A quién debo recordar como ejemplo de plena humanidad?”. Parábola de reminiscencias evangélicas que obra el milagro de subvertir el orden y hacer del mundo una pequeña comunidad fraterna. Para saber más: DAWKINS, Richard, El gen egoísta. Las bases biológicas de nuestra conducta, Salvat, Barcelona 2002, 407. LEWONTIN, R.C. – ROSE, S. – KAMIN, L.J., No está en los genes. Racismo, genética e ideología, Crítica, Barcelona 2009, 406. SÁNCHEZ DE TOCA, José Mª, Los profetas del bosque. Vaticinios sobre el destino de Europa según la tradición popular centroeuropea, Corona Borealis, Madrid 2002, 348.

Articoli del Minilessico pubblicati da Rivista lasalliana 2009: Ambiente – Amicizia – Arte – Biologia – Cittadinanza – Comunicazione - Corpo Economia – Educazione - Famiglia – Futuro – Memoria – Politica – Relazione Religione – Scienza/Tecnica – Sport.


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 4, 649-662

Reuven Feuerstein o el carisma de la mediación educadora Lorenzo Tébar Belmonte, fsc

La Experiencia de Aprendizaje Mediado, que tiene sus raíces en los comienzos de la Humanidad, actúa como un determinante poderoso de modificabilidad. Ella puede cambiar las condiciones producidas por la biología, los cromosomas, etc. La modificabilidad estructural de la materia cerebral es el producto de la actividad que el ser humano ha impuesto a su cerebro. R.Feuerstein y A. Spire, La pédagogie à visage humain, Paris 2006

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uizás uno de los grandes privilegios en este mundo es haber tenido buenos maestros. Quizás hayamos tenido buenos maestros, pero tal vez han sido pocos los que han marcado una huella profunda en el devenir de nuestra existencia. Debo reconocer el impacto inicial que me provocó “el carisma” educador del Profesor Reuven Feuerstein. Con los años, junto a su magisterio, he disfrutado de su cálida amistad, llegando a sentir gratificado por su cercanía, como mentor y guía de mi trabajo investigador.


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Reuven Feuerstein, un maestro con carisma Hace más de veinte años se inició la aventura de aplicar los hallazgos de la mediación al gran campo de la docencia reglada, pues parecía que la mediación estaba destinada a quedar recluida en los centros terapéuticos o en los consultorios clínicos. El estudio de este nuevo “paradigma mediador” provocó un enorme cambio en muchos profesionales, en la manera de entender la educación en las aulas ordinarias y, sobre todo, en la forma de presentar la mediación a los docentes, para provocar su mayor autoestima y profesionalidad. Efectivamente, con Feuerstein muchos educadores redescubrimos el estilo humanizador de su pedagogía, el auténtico rostro humano y personalizador de la acción formadora del maestro. Leyenda, gurú, maestro, genio…, poco importan los títulos con que muchos han querido recordar al Profesor Feuerstein, si bien todos le reconocemos dotado del carisma excepcional de los maestros que impactan en la vida. Para muchas familias Feuerstein ha sido la última oportunidad ante una situación desesperada o de desaucio médico de sus hijos. Su consultorio y sus obras están repletos de anécdotas reveladoras de situaciones milagreras y salvadoras. Carisma educativo - Los carismas son dones, cualidades, para el ejercicio especial de una tarea ardua. Los carismas se nos conceden en beneficio de los demás, y es en esta proyección donde tienen su verdadera eclosión y manifestación auténtica. El carisma nos insufla fortaleza y entrega especial, da alas y luz de trascendencia en la acción. Feuerstein ha demostrado ser un excepcional maestro, pues las exigencias que ha enseñado a los medidores las ha practicado primero él con excelencia: Su fe absoluta en las potencialidades de cada sujeto para superar su hándicap, su profesionalidad patente en la práctica mediadora con alumnos Down del ICELP y su sentido ético en el trato con el paciente. Es éste un aspecto de gran impacto en los nuevos mediadores, pues en su formación, impulsada por la creencia de su mediación, radica la recuperación de su autoconfianza y de su autoridad. Feuerstein ha transmitido seguridad y optimismo a los psicopedagogos, repitiendo estos pensamientos de muy diversos modos: ¡No tengáis miedo a los hándicaps! Nuestra fuerza mediadora es más

fuerte. La genética no tiene la última palabra. No hay determinismos en educación. La última palabra está en nosotros! Aquí está la fuerza de su carisma y su investidura

de autoridad profesional sobre el mediador. Pero en todo momento ha exigido la responsabilidad a cada uno: al mediador la de crear las condiciones idóneas, al aprendiz el compromiso de entregarse a las nuevas o complejas tareas. Uno de los aspectos que llama la atención, al encontrarnos con el Profesor R. Feuerstein, es su consistente sistema de creencias, que después hemos ido contrastando con otros psicopedagogos de nuestro tiempo. En su teoría sobre la Mediación, la modificabilidad, la motivación, la interacción, etc, se engarzan y adquieren especial significado otros términos, como aprendizaje, inteligencia, habilidades, estrategias, método… Su magisterio nos ayudó a generar un tronco conceptual integrador, como eje generatriz de coherencia pedagógica, un sistema sólido y estructurado de conceptos que quedó recopilado en el Glosario de términos psicopedagógicos, en la primera publicación (2003). Una visión ecléctica nos ha permitido complementar la interpre-


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tación de conceptos básicos de la psicología del aprendizaje, como dejamos constancia en la bibliografía investigada. Optimismo antropológico - La primera nota que debemos apreciar en la Pedagogía de la Mediación de R. Feuerstein es su “optimismo existencial”. Sólo a partir de una intuición antropológica positiva del ser humano, puede entenderse su fe en la mediación, como estrategia de interacción que lleva a la terapia, a la potenciación del sujeto y a la estructuración de la persona del educando. Todos los maestros se sienten mediadores, todos tienen experiencia de cambios profundos y duraderos en los educandos, pero en Feuerstein las estrategias y las mediaciones tienen un sentido de continuidad, porque estructuran todo un trabajo de intervención con profesionalidad. R. Feuerstein elabora una teoría esencialmente optimista, asentada sobre el postulado central de la propensión de todo ser humano a modificar sus estructuras cognitivas y, por ende, su nivel de funcionamiento mental, emocional, intelectual y comportamental. Esto revela el poder adaptativo que tiene el ser humano, cuando se enfrenta con situaciones nuevas o de creciente complejidad, que exigen un cambio de comportamiento. Esta potencialidad o autoplasticidad caracteriza a los individuos con un bajo funcionamiento, no importa cuál sea la etiología –endógena o exógena- de sus disfunciones. De ahí que la tarea modificadora, guiada por un mediador, podrá cristalizar en cualquier etapa de la vida. Nadie ha explicado como R. Feuerstein el origen de la Pedagogía de la Mediación. Esta explicación nos revela su “carisma”, su apertura y vulnerabilidad ante el problema que le plantea su tarea de educador. Al definir sus objetivos inmediatos no es capaz de predecir los efectos posteriores, pues Feuerstein confiesa haber sentido una necesidad de responder a las carencias y pobrezas de subdesarrollo cognitivo, afectivo y social de los niños, víctimas del Holocausto. Esta urgencia ha ido generando y configurando una sistema de creencias, como una auténtica conversión a responder y atender las necesidad de los otros, que actúan como llamada, como vocación, que ha sido fuente de compromiso y creatividad pedagógica, produciendo unos instrumentos de intervención, definitivas respuestas a sus convicciones y creencias. La neuropsicología ha venido a confirmar esta potencialidad modificadora, gracias a la energía transformadora de la mediación. Los niños supervivientes del Holocausto de la 2ª Guerra Mundial provocaron en Feuerstein esta reacción de ayuda educativa, al tener que cuidar del futuro de sus vidas! Esta fuerza resiliente sentida por Feuerstein fue proyectada en todos sus educandos con plena confianza en la recuperación de sus traumas y experiencias trágicas, vividas en los campos de concentración. (Cyrulnik, B. 2005). Búsqueda de un psicodiagnóstico dinámico - La primera prueba que hubo de superar fue la de lograr un diagnóstico válido, que replicara los pronósticos pesimistas de la psicometría tradicional. R. Feuerstein atribuye al error del diagnóstico la causa del fracaso de muchos educandos, víctimas del determinismo de los tests tradicionales! Aquí sentimos la fuente inspiradora de su propuesta de Evaluación Dinámica -LPADy una de sus mayores contribuciones a la Psicología clínica. Recuerda el apoyo especial que en este proyecto le concedió André Rey. Consecuente con su meta remediadora, Feuerstein busca una explicación antropológica positiva, que sustente su con-


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cepto de Modificabilidad Cognitiva Estructural o potencia rehabilitadora. En los fundamentos piagetianos halla la explicación de una triple ontogénesis que nos impulsa al crecimiento: a) Biológica: ya que nacemos dotados de instintos de supervivencia y crecimiento. b) Social: pues las experiencias, cuidados y educación de la familia y el impacto social nos van configurando; c) Psicopedagógica: La EAM- Experiencia de Aprendizaje Mediado- que actúa como un determinante poderoso de modificación, capaz de cambiar las circunstancia y rebatir todos los determinismos producidos por la biología. Posteriormente, Feuerstein buscará argumentos científicos para hacer más creíble su propuesta psicopedagógica y justificar la MCE en la plasticidad del cerebro y en su capacidad de regeneración, gracias al propio comportamiento de las células, a la materia glial y a la propia regeneración de las células afectadas por ciertas condiciones patológicas…Todo ello es fruto de la actividad que el ser humano impone a su cerebro. En consecuencia, la metodología de la mediación se constituye en un medio poderoso y activador de esta transformación, de la que todo individuo es capaz. 1. Aportaciones de Feuerstein a la educación Podríamos sintetizar su especial aportación en lo que venimos denominando el paradigma mediador: Éste se nutre de un complejo sistema de creencias, de todo un constructo teórico, de conceptos psicopedagógicos clásicos: plasticidad del educando, desarrollo de la inteligencia, influencia del adulto mediador, visión positiva sobre el crecimiento de la persona y la superación de déficits cognitivos… En el paradigma de la mediación se integran varias corrientes: -

1.1.

Las teorías genéticas de Piaget (funciones y operaciones mentales; adaptación y equilibración). La psicología de Vygotski sobre el desarrollo potencial del sujeto. Los principios del aprendizaje significativo de Ausubel. Los apoyos sociales de Bruner (andamiajes). Nuevos conceptos de inteligencia, aprendizaje, motivación, afectividad… asimiladas en las aportaciones específicas de R. Feuerstein sobre la Modificabilidad Cognitiva Estructural y la Experiencia de Aprendizaje Mediado (incorporados en su Programa de intervención –PEI- y el de Evaluación Dinámica: LPAD). ¿Qué novedad ofrece este paradigma?

La pedagogía de la mediación prepara al sujeto para incorporarlo a la sociedad del conocimiento -estamos en el siglo del cerebro- y le exige cambios significativos, pues se trata de integrar todos estos elementos: - La tarea educativa compete al equipo, a toda la comunidad, que sitúa al educando, sus necesidades y sus problemas en el centro de la acción pedagógica. - Todos los docentes construyen competencias a partir de sus disciplinas, lo que implica un proceso interdisciplinar y transversal.


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Exige revisar métodos y estrategias, pues todos debemos enseñar a aprender a aprender, a pensar, con las diversas materias curriculares. Importa más el proceso que el producto. Quiere formar personas autónomas, que aprendan a aprender con método, con mayor nivel de complejidad y de abstracción, capaces de aprender a lo largo de toda la vida. Necesita identificar y localizar las disfunciones del educando, los prerequisitos de aprendizaje, las funciones cognitivas deficientes, en cada una de las etapas del proceso de entrada de la información (input), de la elaboración de los datos y de la salida o respuesta (output), que propician al docente pistas inconfundibles de intervención sobre las dificultades de aprendizaje. Deja los contenidos de aprendizaje en un segundo plano, pues son la base de los aprendizajes, pero lo que importa es el desarrollo de las habilidades cognitivas –operaciones mentales- implicadas en la adquisición del conocimiento. Con la pedagogía de la mediación aporta una plataforma teóricopráctica para afianzar un método y estilo de aprendizaje mediador para el éxito, la motivación y la eficacia. El mediador actúa como experto profesional de los procesos que corrigen disfunciones, enseña estrategias, organiza las actividades del alumno, orienta, provoca, interpela, sintetiza, transfiere y ayuda a elaborar conclusiones, juicios y metacognición consciente de sus procesos. Está atento a los aspectos no cognitivos: emotivos-emocionales del sujeto y la creación de entorno modificadores, que favorezcan el cambio.

Abiertamente podemos afirmar que la pedagogía de la mediación es la más genuina expresión de una pedagogía humanizadora: El mediador acoge a los más necesitados del aula, se sienta y comparte con ellos, se adapta a su lenguaje, busca remediar sus necesidades cognitivas, motivacionales, afectivas... Las ciencias de la educación fundan su mejor propuesta en el estilo dialógico, en la acogida, en el acompañamiento e interacción del educador con los educandos, en clima de confianza y de atención constante a los procesos de crecimiento. Es imprescindible tener en cuenta la dificultad de asimilación de esta nueva propuesta metodológica para los docentes. Existe una resistencia lógica al cambio y a la novedad no entendida, que trata de privarnos de nuestras seguridades. Las teorías implícitas nos denuncian por seguir proyectando nuestras experiencias formadoras, en tanto no conozcamos y hayamos asimilado otros principios y métodos decididamente mejores. Toda formación necesita, pues, un lento itinerario de profesionalización, basado en unos principios teóricos, revisión y clarificación de conceptos psicopedagógicos, en una práctica asidua y en una síntesis asimilada, trasferida a la enseñanza de la propia disciplina. 1.2.

Aportaciones significativas del paradigma mediador de Feuerstein

Donde mejor puede percibirse el carisma de R. Feuerstein es en su humanidad y en su fuerza innovadora. El paradigma mediador posee un carácter transformador de la


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mirada del docente, de una nueva forma de ver a cada persona y la vida misma. Por eso, en cada uno de los elementos del paradigma podemos hallar esta tonalidad: -Una antropología integral de la dignidad de la persona y de la potencialidad del ser humano frente a los determinismos y carencias del ser humano. Se basa en la centralidad de la persona y en la absoluta confianza en sus potencialidades. - Sitúa el concepto de modificabilidad del ser humano en el centro de su ideario. Se trata de un cambio intencionado, promovido por el mediador, para lograr el desarrollo en plenitud de la persona, con su total colaboración y adhesión consciente. La modificabilidad afecta primariamente al docente, en su cambio de visión y en su adaptación a las necesidades y carencias del otro, a su método y estrategias de acción. - La MCE supera el concepto básico de la Educabilidad y el desarrollo del sujeto, ya que busca cambios concretos, producidos por la intervención intencional del mediador. - La confianza absoluta en la eficacia de mediación, como estilo relacional, forma de interacción con el educando, para hacerle protagonista de su propio crecimiento. La EAM es imprescindible para crear la experiencia práctica de transmisión de los aprendizajes y hacer a cada sujeto protagonista de su propio proceso de crecimiento, con plena autonomía. El profesor mediador realiza la EAM como experiencia y práctica de intervención preventiva o de desarrollo potencial del individuo. - El realismo analítico de las disfunciones y dificultades de aprendizaje del educando, lo plasma R.F. en el repertorio de funciones cognitivas deficientes -FCD-, localizadas en cada una de las tres etapas del proceso y acto de aprendizaje: Input –en el acceso de la información al sujeto-, elaboración: actividades interiorizadas de comprensión, y output: emisión de respuestas. Las FCD nos orientan para descubrir la etiología de los problemas y dificultades del alumno para aprender y acertar en la intervención. Es el ámbito que exige más formación, iniciación y experiencia en el mediador. - La construcción de una taxonomía de operaciones mentales -OM- acciones interiorizadas, según Piaget, habilidades de pensamiento que construyen la mente, forman las capacidades y, finalmente, las competencias básicas, para todo tipo de aprendizaje. Las OM son las responsables del desarrollo de las habilidades cognitivas de la persona, ya que activan y energizan el potencial de funcionamiento de cada sujeto, en el acto de aprender, hasta el nivel de complejidad y de abstracción al que pueda acceder cada sujeto. Esta es la energía potencial con la que el mediador, a través de la EAM, construye la metacompetencia con la que aprendemos a aprender para toda nuestra vida. Es evidente que las OM se desenvuelven en cualquier clase de contenidos y en todas las disciplinas curriculares, creando con ellas el armazón del conocimiento. - La genial aportación metodológica, integradora de la teoría y la praxis didáctica, se resume en el mapa cognitivo, constituido por siete pasos que condensan la actividades mediadora del aprendizaje. La podemos aceptar como la síntesis pedagógica inspiradora del cambio didáctico del profesor en el aula. - Los diversos estilos de interacción, con los que el profesor debe mediar cada uno de los conflictos o enfoques de intervención, los hallamos en los criterios de la mediación. Se trata de una propuesta de diversos modos de focalización de la relación educativa para provocar en el alumno una mayor conciencia de comprensión y cambio actitudinal y axiológico. Su carácter relacional nos puede dar una valoración ética de la intervención y de la orientación mediada.


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- El paradigma mediador se sustenta, según Feuerstein, sobre tres elementos esenciales: El LPAD, el PEI y la creación de entornos modificadores. La evaluación dinámica -LPAD- representa una innovación importante en la exploración de la disposición o propensión de cada persona para aprender, con la intervención del propio sujeto, para conseguir un diagnóstico y un pronóstico de la intervención pedagógica sobre sus problemas. Se trata de una batería de pruebas que intentan descubrir el funcionamiento y los procesos de aprendizaje que realiza el individuo, así como la facilidad o resistencias a la mediación. El PEI es un completo programa de 14 instrumentos, con actividades mediadas, donde el mediador desarrolla todos los pasos que conducen a la modificación y al desarrollo del educando. Este itinerario debe ser adaptado por cada mediador, según las necesidades de cada educando. - La inclusión consiste en poner a un niño en un entorno óptimo, para su desarrollo, para su modificabilidad. El mediador debe crear las condiciones idóneas para el cambio, un clima de seguridad, de confianza, que lleve al alumno a comprometerse con la novedad, lo desconocido, para integrarlo en las nuevas estructuras cognitivas. Feuerstein apuesta por crear un entorno modificador, que resultará tanto más arduo y complejo, cuanto mayores discrepancias pedagógicas y sociales existan, respecto de la intervención. El cambio del entorno debería empezar en la familia, en el equipo docente, en los métodos, en los centros escolares y proyectarse a la misma sociedad. - Se cumplen treinta años de ininterrumpida celebración del seminario-taller internacional de formación de mediadores, en ellos Feuerstein ha formado una extensa legión de mediadores para todo el mundo. Su meta es fortalecer la profesionalidad, devolver la autoestima e investir de autoridad la acción modificadora de los mediadores. Ha hecho asequible el tratamiento psicológico de las diferencias en el aula. Ha conseguido actualizar y renovar conceptos esenciales: inteligencia, motivación, estructura, funciones… dando coherencia y consistencia a una jerga profesional antes ignorada. Sintetizamos en este cuadro todos los elementos esenciales del Paradigma Mediador, que han ido apareciendo en nuestra descripción. Estructuración de los elementos esenciales de la

TEORÍA MEDIADORA DE R. FEUERSTEIN

MODIFICABILIDAD COGNITIVA ESTRUCTURAL EXPERIENCIA DE APRENDIZAJE MEDIADO L.P.A.D.

Criterios de la Mediación

P.E.I.

Mapa Cognitivo Contenido-Modalidades-Fases del acto mental-Operaciones MentalesNiveles de realización-Insight


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Nos importa este enfoque pedagógico para completarlo con los elementos comunes de las didácticas generales y conseguir así una propuesta metodológica, aplicable a la programación de cualquier disciplina curricular: A partir del mapa cognitivo hacemos nuestra propuesta metodológica. Los profesores deben decidir qué capacidades quieren desarrollar con cada una de las actividades programadas en el aula. Para ello deben saber responder a esta cuestión básica: ¿Qué actividad mental exige del alumno la resolución de un problema o la respuesta a una cuestión? Éste es el campo de experiencia que marca el auténtico camino de adquisición de las competencias básicas. En coherencia lógica, el docente debe dominar el conocimiento y extensión de cada una de las operaciones mentales, con las cuales va construyendo el potencial cognitivo e intelectual de cada alumno.

OPERACIONES MENTALES RAZONAMIENTO

SILOGÍSTICO LÓGICO ANALÓGICO TRANSITIVO HIPOTÉTICO DIVERGENTE

TRANSFORMACIÓN MENTAL REPRESENTACIÓN MENTAL DIFERENCIACIÓN PROY. RELACIONES VIRTUALES DECODIFICACIÓN CODIFICACIÓN CLASIFICACIÓN SÍNTESIS ANÁLISIS

COMPARAR IDENTIFICAR Percibir….

Reconocer .......

Elaborar...........

Abstraer.....

Pero no podemos aventurarnos a un cambio en la práctica docente, si no se han asimilado los elementos que constituyen el paradigma mediador. La formación del mediador, como cualquier aprendizaje, es teórico-práctico, y exige una comprensión y asimilación de los elementos esenciales que permiten transferir la experiencia de aprendizaje mediado (EAM) a la enseñanza de cualquier disciplina. El estilo mediador se consigue con la praxis de la mediación –fundamentalmente a través del Programa de Enriquecimiento Instrumental-. Al definir el perfil del profesor mediador (Tébar, L. 2003), realizando una síntesis de cuanto se puede deducir de la teoría de Feuerstein, referida al docente en el aula, respondimos a la forma como el mediador desempeña su tarea mediadora en la aplicación del repertorio de rasgos que definen su estilo de interacción mediada, ampliando los parámetros del mapa cognitivo. Queda, pues, brevemente enunciado el imprescindible campo de la formación mediadora de los educadores, para lograr una escuela nueva y la calidad educa-


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dora que demanda la sociedad del conocimiento. Sintetizamos el alcance de las aportaciones de Feuerstein, relacionando dos conceptos clave: La EDUCABILIDAD y la MODIFICABILIDAD-MCE: EDUCABILIDAD

MCE: Modificabilidad Cognitiva Estructural

La EDUCABILIDAD sugiere una disposición y una propensión del sistema cognitivo: Capacidad y plasticidad. Es un cambio cualitativo y cuantitativo por impacto del sistema educativo sobre el educando.

La MCE es un peldaño más alto, en ella hallamos actos intencionales mediados explícitos, para provocar cambios conductuales, observables, gracias a los procesos y estrategias activados por el mediador. La MCE hace cambiar la mirada. El sistema educativo y el educador pueden modificarse ellos mismos y modificar el entorno, los medios y las estructuras, para adaptarse mejor a las necesidades de los alumnos.

Carga su fuerza sobre el acto educativo.

Concede rol primario a la persona, a la capacidad del sujeto y a su competencia para adaptarse al entorno. Crea clima y condiciones para el cambio Es estructurante, gracias a los procesos y estrategias programados por el mediador. Precisa una acción educativa intencional, formal, significativa, modificadora, que trascienda en el funcionamiento del sujeto. Es la re-mediación, intervención para la modificación y el cambio cualitativo y cuantitativo del educando.

Se queda en los medios facilitadores. Es una mediación genérica: acoge, acompaña, adapta e integra saberes y culturas. Ejerce un rol inicial y básico. Todos los padres y maestros lo realizan, aunque se queden en la transmisión de significados.

2. Los campos de aplicación de la mediación educativa. Hemos conocido una clara evolución y cambio de perspectiva en la trayectoria del Profesor R. Feuerstein, creando un proyecto que se apoya en tres pilares básicos para desarrollar su paradigma mediador: 1) El Programa de Enriquecimiento Instrumental, 2) la evaluación dinámica –LPAD- y 3) la creación de entornos modificadores. La gran aportación a la pedagogía del aprendizaje de Feuerstein, que configuran los 7 parámetros del mapa cognitivo, es doble: - Enfoque clínico: Por la descripción e importancia de los procesos funcionales en el acto de aprender, que nos permiten localizar y diagnosticar las dificultades –FCD: Funciones cognitivas deficientes- cada fase (input, elaboración y output), así como la taxonomía de operaciones – capacidades- que desarrollamos en el sujeto en los procesos de aprendizaje. El mediador se convierte en el auténtico experto en problemas de aprendizaje y en eficiente terapeuta. El PEI es hoy uno de los programas más extendidos para la atención de los alumnos con necesidades educativas especiales. - Enfoque pedagógico: Aplicación de la teoría mediadora a la praxis del aula en la didáctica de cada asignatura. Transferir los pasos de la EAM a la metodología y planificación de una lección, para convertirla en una


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experiencia de aprendizaje significativo, y desarrollar las capacidades de los alumnos por la activación de las operaciones mentales. Por esto, proponemos el paradigma mediador como horizonte formador y estilo pedagógico de renovación didáctica en el aula. Desde los inicios, R. Feuerstein asumió el concepto vygotskiano de Potencial de Aprendizaje, que le sirvió para identificar su propuesta de evaluación dinámica – LPAD-. Pero no era el potencial de aprendizaje lo que él quería medir, pues su intención no era encontrar el techo de competencia cognitiva de los alumnos, sino la propensión del ser humano de modificar su estructura cognitiva y, por ende, su nivel de funcionamiento mental, emocional, cognitivo y conductual. Este cambio representa el poder adaptativo del individuo a impulsos del carisma pedagógico. El educando, a través de la exploración psicológica mediada nos aporta indicios de su flexibilidad adaptativa, de su capacidad para aceptar mediación, asumir normas, cambio de estrategias de aprendizaje e integrar los nuevos términos y relaciones en sus esquemas de conocimiento. El nuevo enfoque y la redefinición del LPAD dan el auténtico sello del proceso mediador. Podemos constatar los microcambios, las resistencias, la plasticidad y la adaptación del sujeto al proceso modificador. Era preciso encontrar el término que expresara la capacidad o resistencia del educando – asociamos aquí el concepto de “resiliencia”- para salir del trauma del fracaso, de situaciones que marcaron la infancia de algunos niños. (Cyrulnik, B. 2006). El LPAD quería salir del pronóstico pesimista de la evaluación estática tradicional, utilizando tests vacíos de contenido y adaptados a la cultura del educando. Así fue como R. Feuerstein llegó a concluir que “la situación de los tests inadecuados ha

sido responsable del fracaso de la terapia en muchos alumnos. Por su naturaleza estática no permiten al alumno entender lo que se le pide. Por ello, Feuerstein decide buscar una metodología de evaluación dinámica, teniendo como objetivo evaluar la propensión del niño a aprender y a analizar los factores que se oponen al proceso de aprendizaje. Con esto no solamente logra evaluar al alumno, sino que, además, consigue crear un verdadero inventario de funciones cognitivas, necesarias para el aprendizaje, y desarrollar la metodología de la experiencia de aprendizaje mediado – EAM”. (R.F., 2006:18). La propuesta mediadora de R. Feuerstein, orientada a la modificabilidad del sujeto es una invitación y un reto a los educadores a dejar posturas pasivas e indiferentes y cambiarlas por una actitud decididamente generosa, activa y modificante. 3. Corolario: Realmente podemos afirmar, a partir de nuestra experiencia personal y del testimonio de centenares de maestros y psicopedagogos, que la mediación constituye una nueva pedagogía con rostro humano (Feuerstein-Spire, 2006). Pero no podemos expresar de modo implícito y con una simple frase las muchas aportaciones que hemos ido desgranando en los párrafos anteriores, aunque la síntesis de nuestros objetivos la hemos focalizado en la enriquecedora aportación del profesor mediador en el aula, constructor de la mente del educando, a partir de la adaptación de su pedagogía a la enseñanza de las disciplinas curriculares. Aunque es evidente que éste es el supuesto más controvertido, pues supone una seria y cuidada formación teórico-y práctica. Éste creemos debiera ser el tema a profundizar y difundir en el futuro.


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Feuerstein no ha transferido su experiencia de mediación clínica al aula, aunque nos ha apoyado y animado en todo momento en esta labor. Hoy, cuando avanzan las corrientes inclusivas en educación y sigue aumentando la diversidad cultural en las aulas; cuando las diferencias y las dificultades de aprendizaje desbordan las aulas, es todavía más urgente la formación de maestros mediadores que conozcan y puedan aplicar su teoría y praxis con alumnos de cualquier nivel o con cualquier dificultad psicopedagógica. En resumen, no nos duelen prendas en afirmar que cuanto se haga por la formación pedagógica de la mediación es el camino inequívoco para enriquecer y lograr una mayor profesionalidad y autoestima de cuantos se dedican a la educación.

ETAPAS DEL MODELO DE PLANIFICACIÓN DE UNA LECCIÓN

RELACIÓN CON LOS 32 ITEMS DEL PERFIL DEL PROFESOR MEDIADOR

1. OBJETIVOS

1, 10, 17

2. CRITERIOS DE MEDIACIÓN

2, 13, 26

3. CONTENIDOS: MODALIDAD, CONOCIMIENTOS PREVIOS

6, 8, 12, 16, 22

4. SELECCIÓN DE FUNCIONES Y OPERACIONES MENTALES

3, 18, 21

5. PLANIFICACIÓN DE LA LECCIÓN

9, 19

6. TRABAJO PERSONAL: ACTIVIDADES PERSONALES.

4, 7, 11, 14

7. INTERACCIÓN GRUPAL Y TRABAJO COOPERATIVO.

5, 15, 20

8. INSIGHT: GENERALIZACIÓN Y APLICACIÓN- TRANSFER

24, 25, 27, 30, 31

9. EVALUACIÓN

28, 29, 32

10. SÍNTESIS Y CONCLUSIONES

23

El desarrollo de la formación pedagógica sólo puede completarse integrando la teoría y la praxis, entendiendo ésta como la plasmación de los rasgos que definen a la persona del mediador, que son expresión de su estilo docente, y que quedan en la enumeración de los 32 items que constituyen el perfil del profesor mediador. Nuestro propósito desea responder a la cuestión central, a la que responde este paradigma: ¿Cómo ayuda el profesor mediador, a través de la enseñanza disciplinar, a construir la mente del educando, a enseñarle a aprender y a pensar? Este es el camino para formar la autonomía del educando y prepararlo para que siga aprendiendo a lo largo de su vida.


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4. Breve semblanza de Reuven Feuerstein R. Feuerstein es un psicólogo clínico, nacido en 1921 en Rumanía, en el seno de una familia judía (el 5º de 9 hermanos). Aprende el yiddish, su lengua materna, y crece en el intenso ambiente cultural de su ciudad. En 1938 inicia su trabajo formador en un kibutz de Bucarest. En 1940 cayó prisionero de los nazis, pero fue pronto liberado, por ser extranjero. De 1940 a 1941 estudia la carrera docente en Bucarest, siendo co-director y profesor de una escuela para niños con grandes dificultades. En 1944 emigró a Israel. Se casa con Berta Gugemgeim. Tiene 4 hijos. Con su hermano y un grupo de estudiantes rumanos inicia la fundación de kibutzs, que son destruidos por los árabes en 1948. Reparte su vida trabajando de día en la universidad y por la noche en el kibutz. Se dedica a cuidar, cerca de Tel Aviv, a unos 300 niños salvados del Holocausto. En 1949 padece altas fiebres y principio de tuberculosis. Realiza una intensa recuperación en Suiza. El año siguiente reemprende sus estudios en Ginebra, al lado de Jung, Carl Jaspers, Andrés Rey, Inhelder y, después, Piaget. Estos maestros influirán en su pensamiento creativo y científico. En 1952 recibe el diploma de psicología general y clínica, y dos años después el de licenciatura en Psicología. Prosigue una serie de investigaciones, con las que elabora su tesis doctoral: “Las diferencias de funcionamiento cognitivo en diferentes grupos socioétnicos”, que defiende en la Sorbona en 1970. Con un grupo de compañeros crea el instituto terapéutico ICELP en Jerusalén. Fruto de sus investigaciones es la publicación en 1980 de su obra “Instrumental Enrichment”, completado después con el LPAD, evaluación dinámica. En 1988 aparece otra obra: “No me aceptas como soy…”. Su docencia se extiende por todo el mundo. En 1991 es distinguido con las Palmas Académicas de Francia. El año siguiente es elegido “ciudadano de honor de Jerusalén”. Inaugura en 1993 el nuevo Centro Internacional-ICELP, desde donde irradia su investigación y su magisterio. En el presente año 2009 se celebra el 30º Seminario-Taller internacional de formación de mediadores, que anualmente ha acogido a más de 250 docentes de todo el mundo. (www.icelp.org) Bibliografía: Camusso, D. (1996): Developpement cognitif et Entreprise. Paris: Harmattan. Cardinet, A.: (1995): Pratiquer la médiation en pédagogie. Paris: Dunod. Préface de R. Feuerstein. Charpak, G. y Omnès, R. (2005): Sed sabios, convertíos en profetas. Barcelona: Anagrama. Cirulnik, B. (2005): El amor que nos cura. Barcelona: Gedisa. (2006): De cuerpos y almas. Barcelona: Gedisa. Debray, R. (1997): Apprendre à penser. Le programa de R. Feuerstein: une issue à l’échèque scolaire. Paris: Georg Eshel. Delors, J. (1996): La educación encierra un tesoro. Madrid: Santillana-MEC. Feuerstein, R, et alt. (1980): Instrumental Enrichment. An Intervention Program for Cognitive Modiafiability. Glenview, Ill. Scott, Foresman and Company. Feuerstein, R. Rand, Y. Y Reynders, J.E. (1988): Don’t accept me as I am. Helping “retarded” people to excel. Neuw Uyork: Plenum Press. Feuerstein, R. y Spire, A. (2006): La pédagogie à visage humain. Ed. Le bord de l’eau. Gardner, H. (2005): Las cinco mentes del futuro. Barcelona: Paidós. (2001: La inteligencia reformulada. Barcelona: Paidós.


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Goleman, D. (2003): Las emociones destructivas. Bogotá: Vergara. González, O. (2004): Educación y educadores: El primer problema moral de Europa. Madrid: PPC. Hadji, Ch. (1992): Penser et agir l’éducation. Paris: ESF. Marzano, R. (1992). Dimensiones del aprendizaje. México: Iteso. Meirieu, Ph. (1987): Apprendre… oui, mais comment. Paris: ESF Meirieu, Ph, et Grangeat, M. (1997): La métacognition, une aide au travail des élèves. Paris: ESF. Préface de Michel Dévelay. Morin, E. (2005): Los siete saberes necesarios para la educación del futuro. Barcelona: Paidós. Noiseux, G. (1997): Les compétences du médiateur pour réactualiser sa pratique professionnelle. (Vol 1) Sain Foy-Québec: MST éditeur) (1998): Les compétences du médiateur comme expert de la cognition (vol 2). Sain Foy-Québec: MST éditeur) Piaget, J. (1971): Psicología y Epistemología. Barcelona: Ariel. Rodríguez, T. (1999): La cultura contra la escuela. Barcelona: Ariel Tébar, L. (2003): El perfil del profesor mediador. Madrid: Santillana. (2008): El profesor mediador del aprendizaje. Bogotá: Magisterio. Vygotski, L.S. (1995): El desarrollo de procesos psicológicos superiores. Barcelona: Crítica. De PIAGET a R. FEUERSTEIN - Más que de divergencias entre los dos grandes maestros, podemos afirmar que se da un progreso en el pensamiento de Feuerstein, con relación al de Piaget. Analizamos algunos aspectos más notables. CONCEPTO MODIFICABILIDAD

J. PIAGET Piaget estudia la evolución normal del sujeto sin las consideraciones sociales.

CONSTRUCTIVISMO

Cada sujeto es protagonista y constructor de su inteligencia.

CONFLICTO

El desequilibrio provoca en el sujeto la necesidad de acomodación y de adaptación a la situación de aprendizaje. Piaget, siendo profesor de la Sorbona en 1954 planteó la relación entre afectividad e inteligencia: “La inteligencia

AFECTIVIDAD

es el motor, la afectividad la esencia”.

R. FEUERSTEIN Feuerstein completa a Piaget, añadiendo la “modificabilidad” del sujeto en función de la acción pedagógica del mediador. Subraya, ante todo, la modificabilidad del propio mediador. Compartiendo este principio, posee un pragmatismo pedagógico: Aprender haciendo. El sujeto es siempre actor, incluso en la evaluación, donde se revela en su propensión para aprender. El mediador debe provocar el conflicto cognitivo con su desafío de estimulos y la novedad de modalidades o la complejidad, para desafiar el potencial de aprendizaje del educando. Feuerstein insiste en la interacción entre afectividad y cognición. Su método activa esta influencia. La aportación a Piaget la realiza Feuerstein de forma experiencial. En la relación de acogida y de acompañamiento se crea la energía del cambio.


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MEDIACIÓN

Piaget no es realmente un pedagogo, aunque sí deba acompañar la evolución del sujeto.

OPERACIONES

Piaget propone una taxonomía genética, con una estructura concreta.

ESTRUCTURA

Piaget habla de un funcionamiento constante y de estructuras variables, pudiendo construir nuevas estructuras.

ENTORNO

Piaget propone la construcción de los saberes en la interacción con el entorno.

PROPENSIÓN

Piaget consideró que el enfoque dinámico de la evaluación era inaceptable, pues la noción de aprendizaje no podía considerarse como una forma legítima para evaluar la inteligencia humana.

Para Feuerstein la mediación pedagógica –la experiencia de aprendizaje mediado- es esencial y nuclear, para lograr la modificabilidad y el desarrollo integral del sujeto. Feuerstein activa esta escala de habilidades en minuciosos procesos de intervención, cristalizando su formación. Las operaciones se ponen en acción y adquieren su fuerza dinamizadora en el aprendizaje. Esta capacidad de desarrollo y de crear nuevas estructuras llega, incluso, a superarlas. Feuerstein busca condiciones especiales para superar todo hándicap. No hay que tener miedo al problema en la relación humana que se crea. Lo que permite que se realice la construcción y la modificación es la calidad de la mediación que ha permitido al niño, antes de enfrentarse al entorno, adquirir unas habilidades que le ayudarán a adaptarse a cualquier situación de aprendizaje con autonomía. Hay que crear entornos propicios a la modificabilidad. Feuertein quería evaluar la propensión del niño a aprender y analizar los factores que impiden su proceso de aprendizaje. Tuvo el apoyo especial de A. Rey. Consigue su batería de instrumentos y da cuerpo a un método, basado en el método de interrogación clínica, concebido por Piaget, para comprender mejor la génesis del pensamiento del niño y analizar los procesos del acto mental.


PROFESSIONE DOCENTE

RivLas 76 (2009) 4, 663-674

Storia delle religioni nei corsi superiori L’esperimento in un liceo cattolico di Torino Mariachiara Giorda Università di Torino

Il contributo che segue è il resoconto del primo anno di una sperimentazione di un insegnamento di Storia delle religioni come disciplina autonoma volta a proporre il fatto religioso da un punto di vista storico-fenomenologico, in una scuola secondaria di secondo grado di Torino, nei quinquenni del liceo classico e del liceo scientifico. Si tratta precisamente del Liceo dell’Istituto Sociale paritario dei Padri gesuiti. L’esperimento è ora al suo secondo anno.

I

n Europa l’istruzione religiosa è stata coinvolta nel processo di rinnovamento scolastico con alcune conseguenze anche molto differenti (Pajer 2000)1. In Italia, il quadro legislativo relativo all’ora di religione prevede, dopo il Concordato del 1984 e l’Intesa del 1985, un’ora confessionale di religione cattolica non obbligatoria2; da allora sono state numerose le occasioni di riflessione e di dibattito in seminari

1 Si veda il contributo di F. Pajer L’istruzione religiosa: dall’orizzonte europeo al caso Italia, al convegno dei Sociologi della religione all’Università di Bologna, 28-29 novembre 2008: La religione come fattore di dis/integrazione sociale. Si veda anche il quadro sinottico offerto da A. Pisci su www.olir.it., che riprende e aggiorna quello di Pajer (2002). 2 A questo proposito si veda il contributo Libertà religiosa e sistema scolastico di Roberto Mazzola in http://www.olir.it/areetematiche/18/index.php: “Sul versante del sistema pubblico di insegnamento il rapporto scuola-religione, regolato in parte per via pattizia, in parte per via unilaterale, si interroga su alcune questioni, prima fra tutti il ruolo da riconoscere all'insegnamento religioso nel palinsesto generale dei programmi scolastici, in modo che sia compatibile con la libertà di coscienza dei genitori e allievi, come reclama la Carta costituzionale (artt. 2, 19, 21). Nello stesso tempo, l’evoluzione dell'Irc ha portato ad una ridefinizione, nell'ordinamento italiano, dello status giuridico dell'insegnante di religione, a cavaliere fra istanze di laicità e gradimento esplicito dell'autorità confessionale di riferimento (legge 18 luglio 2003


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e convegni, che hanno avuto come esito analisi critiche, proposte alternative, mozioni, appelli3. In questa direzione, alcune esperienze svolte in differenti scuole superiori negli ultimi anni, sono frutti concreti del dibattito sull’importanza di un insegnamento sulle religioni svolto con un approccio storico-fenomenologico, e sull’insufficienza della proposta educativa a disposizione4.

Linee del progetto Il corso, attualmente al suo secondo anno, è stato avviato dall’inizio dell’anno scolastico 2008-09, grazie ad un accordo tra il Corso di laurea specialistica in Scienze delle religioni dell’Università di Torino e il Liceo paritario sopra menzionato. Il Consiglio del Corso di laurea ha espresso il suo compiacimento per il corso e ha deciso, all’unanimità, il riconoscimento da uno a tre crediti universitari per chi frequenti, con profitto, il corso di Storia delle religioni ed abbia ottenuto il rilascio della certificazione da parte dell’Istituto5. In quanto disciplina specifica che si propone degli obiettivi cognitivi ed educativi, strutturata su contenuti culturali precisi e che adotta una metodologia scientifica, l’ora ha un’autonomia ben definita all’interno dell’offerta formativa che la scuola propone ai suoi studenti; in tutte le classi del liceo scientifico e del liceo classico è stata prevista un’ora settimanale curricolare ed obbligatoria di Storia delle religioni. Si tratta di un approccio conoscitivo ai “fondamentali” dell’esperienza religiosa soggettiva e del fenomeno religioso storico; approccio che si finalizza all’educazione di identità dialoganti e alla convivenza sociale tra diversi. Il “religioso” è riconosciuto ed elaborato come dimensione centrale delle culture, come prodotto culturale ed oggetto di analisi storica, ma anche come portatore di un valore conoscitivo, come una delle chiavi in-

n.186)”. Si veda inoltre, sullo stesso sito, il contributo di A. Famà dell’agosto 2004, L’insegnamento della

religione cattolica nelle scuole pubbliche: un lungo cammino. 3

Si prenda come esempio il lavoro che ha portato alla giornata di convegno dell’11-12 dicembre 2008, tenutasi presso l’università di Perugia, facoltà di Scienze della Formazione, relativa al Corso di laurea in Scienze dell'educazione e al Corso di laurea magistrale in Consulenza pedagogica e coordinamento di interventi formativi, sul tema L'istruzione religiosa nell'Europa delle differenze. Per una via italiana, che ha avuto come esito un manifesto programmatico in 7 punti (vedi il testo in Regno-attualità n.14, 15 luglio 2009, p. 445). Tra i contributi scritti, si farà riferimento al volume curato da Pedrali L. (2002). 4 I casi che menzioniamo non sono certo tutti quelli che negli ultimi decenni sono stati sperimentati nelle scuole superiori italiane; sono interessanti due in particolare, perché rappresentano due modalità differenti (un’ora alternativa e un’ora obbligatoria di Storia delle religioni), in due contesti differenti (un Liceo artistico pubblico di Varese e il Liceo valdese di Torre Pellice), e perché sono entrambi molto recenti (il primo sperimentato per soli due anni a cavaliere del nuovo millennio e il secondo portato avanti dal 1984 ad oggi). Sono senza dubbio da ricordare le sperimentazioni di Roma, quella condotta dagli studenti del corso di Storia delle Religioni dell’Università La Sapienza, sotto la guida della prof. G. Piccaluga e quella del Liceo Giulio Cesare, svolta dal prof. R. Savini dal 1987 al 1991. In collaborazione con l’Università di Milano, vi è stato inoltre il progetto di Storia delle Religioni del prof. F.M. Pace presso l’Istituto statale Virgilio di Milano dal 1986 al 2000 e il progetto dell’Istituto Gadda di Paderno Dugnano, pensato sulla scia del precedente. Il corso del prof. Pace ebbe il merito di produrre un manuale di Storia delle religioni, frutto delle discussioni e del percorso svolto con gli studenti (Pace 1998). Infine, dal 1987 al 1993, vi fu una sperimentazione presso il Liceo Aldo Moro di Reggio Emilia, diretta dalla prof. V.L. Guidetti. 5 Il Consiglio è stato convocato il 23 marzo 2009 dal presidente del Corso di Laurea il prof. Claudio Gianotto, ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Torino. L’estratto pertinente la collaborazione con l’Istituto Sociale riporta tale compiacimento cui si è giunti dopo un’ampia discussione.


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terpretative delle culture umane. L’obiettivo a cui tendere con l’istituzione di un corso di Storia delle religioni, come approccio educativo e culturale al fatto religioso, considerato nella concretezza delle sue manifestazioni, mira alla costruzione di un sapere e di un sapere essere (un cittadino attivo dotato di capacità di relazione e di dialogo in contesti sociali di pluralismo) che attinge da quel sapere. Si è trattato quindi di progettare un corso curricolare che nel suo profilo disciplinare sapesse considerare la fenomenologia dei fatti religiosi nei loro aspetti antropologici, sociologici, storici, psicologici, gli aspetti specifici delle religioni nella loro effettiva ricchezza valoriale, con particolare attenzione ai testi fondanti, la necessaria attenzione pedagogica e didattica in riferimento alle varie età degli alunni e in sinergia con le altre discipline scolastiche. L'articolazione dei contenuti disciplinari presuppone alcuni criteri prioritari di scelta per il programma da svolgere, dettati dall'ottica pedagogico-scolastica. Essi sono stati: - la preferenza data alle grandi religioni mondiali tuttora vive piuttosto che a quelle conclusesi nell'antichità; - la preferenza accordata a quelle religioni che maggiormente hanno avuto e hanno tuttora impatto con la cultura occidentale (i monoteismi ma non solo); - la preferenza data a quei contenuti conoscitivi che possano risultare funzionali alla ricerca adolescenziale di senso esistenziale, di valori umani e sociali; - la disciplina, curricolare per statuto, prevede dei giudizi che sono presentati in sede di scrutinio e che sono riportati sulle pagelle personali degli studenti6. Il programma si svolge su un quinquennio e gli obiettivi e i contenuti sono commisurati di anno in anno lungo tutto il percorso; in mancanza, per ora, di un libro di testo di Storia delle religioni, adeguato per gli studenti della scuola media superiore, si forniscono documenti scritti, elaborati dal docente o tratti da testi differenti:

I anno

Che cosa è la religione? - la situazione religiosa del mondo contemporaneo post-secolare - alcuni concetti chiave: religione, religioso, sacro/profano, puro/impuro, rito/mito, simbolo - primo approccio al concetto di libro sacro (il testo sacro come codice)

II anno

Il mondo ebraico - il Canone ebraico - la religione greco/romana - il Cristianesimo antico - Gesù messia e profeta - i Vangeli

6 La gamma dei giudizi è la seguente: gravemente insufficiente, insufficiente, sufficiente, discreto, buono, ottimo.


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III anno

Il mondo islamico - il Corano - tra Occidente ed Oriente: la complessità dei Cristianesimi e in particolare le diverse esegesi bibliche - un caso-studio: Storia della Compagnia di Gesù

IV anno

Religioni del mondo orientale (hinduismi e buddhismi) - Lettura di alcuni passi di testi hinduisti e buddhisti - le religioni nel mondo e in Italia oggi: una panoramica

V anno

Le scienze delle religioni - alla scoperta della storia delle religioni - le religioni e la modernità: nodi tematici e sfide nel III millennio - uno snodo tematico: Bibbia e etica - religioni e violenza - religioni e politica - i fondamentalismi

L’esperienza sul campo Poiché l’anno scolastico 2008-09 è il primo della sperimentazione, abbiamo scelto di partire da un programma che fosse simile in tutte le classi. Esso è atto a fornire agli studenti gli strumenti necessari - da un punto di vista concettuale ed anche linguisticoper apprendere la disciplina7. Anzitutto abbiamo constatato le normali ed aspettate lacune, nonché gli scontati pregiudizi degli studenti in ambito storico-religioso attraverso un test d’ingresso con cui abbiamo inaugurato i lavori nel mese di settembre. Le questioni cui abbiamo sottoposto gli studenti sono state del tipo: Che cosa è per

te la religione - Quante sono le religioni del mondo - Spiega l’etimologia di tre religioni a scelta - Che cosa ti aspetti da quest’ora… Abbiamo successivamente dedicato

le prime lezioni ad una mappatura, di taglio storico-sociologico delle religioni diffuse nel mondo contemporaneo, con alcune ore dedicate alla problematica definizione della stessa “religione”. Affrontare in classe il tema del pluralismo religioso ha dato la possibilità di sviluppare il tema dell’incontro delle differenze, dell’interazione e dell’integrazione nel contesto di una società multiculturale ed è stato utile per stimolare negli studenti il desiderio di conoscere prima di giudicare o esprimere la propria opinione su qualcosa di precedentemente ignorato, come sono le culture e le religioni differenti da quella di appartenenza. Abbiamo lavorato sul concetto di “simbolo” religioso, con un’esposizione ed un’analisi dei simboli delle religioni più diffuse oggi, secondo i criteri del numero di aderenti, espansione territoriale e autonomia identitaria. In alcune classi del triennio è stato possibile dedicare alcune ore alle teorie della religione e dell’origine della religione, alla questione del bene e del male e della giustizia divina. La seconda parte dell’anno è stata dedicata, attraverso lo strumento del gioco di ruolo nel biennio8 e di lezioni frontali e lavori di gruppo nel triennio, a fornire alcuni dati su categorie fondamentali per un primo approccio alle grandi religioni contemporanee (cenni storici, libri sacri, fondatore, norme di comportamento, preghiere, correnti, ciclo vita-morte, feste): 7

Filoramo ed.(2003); Filoramo (2004); Bortolone ed.(2003); Abdallah, Sorgo edd.(2001); Khoury (1998); Terrin (1998). 8 Il metodo e le modalità del “torneo” è stato ispirato dalla lettura di Keshavjee S. (2000).


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■ Non volendo offrire un quadro troppo superficiale e troppo rapido relativo a numerose religioni, abbiamo scelto di partire affrontando i tre grandi monoteismi, nel tentativo di riflettere - diacronicamente - sugli sviluppi storici e sul presente di queste religioni. I dati riguardanti la storia delle singole religioni sono stati utili per comprendere i percorsi delle religioni nel loro “stare al mondo” e gli intrecci, i contatti con altre confessioni. Abbiamo infatti riscontrato che spesso gli studenti non erano in grado di fornire una scansione cronologica della nascita e della diffusione dei diversi sistemi religiosi (in più di una classe, ad esempio, nessuno era in grado di affermare con sicurezza se l’Islam fosse anteriore o posteriore al Cristianesimo). ■ Parlare delle feste religiose è stata un’occasione per discutere del concetto di tempo, tempo ciclico e lineare, tempo sacro, ma anche dell’interruzione del quotidiano e dei legami di questo con attività extra-ordinarie. In alcune classi abbiamo sperimentato in concreto la pratica festiva attraverso la preparazione dei simboli delle festività ebraiche e dei cibi tradizionali, affinché i ragazzi potessero vivere l’esperienza in prima persona, gustando cibo senza dubbio non usuale per i loro gusti e le loro abitudini. Nelle classi prime, ad esempio, abbiamo organizzato una festa a tema religioso, in coincidenza con l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze pasquali, proponendo un confronto tra la festa ebraica della Pesach e la festa cristiana della Pasqua. ■ Le potenzialità di una sperimentazione di questo tipo, risiedono anche nelle possibilità di “varianti sul tema”: in una classe del liceo scientifico abbiamo svolto un percorso di analisi della dimensione religiosa quale emerge da un cartone animato ben noto come quello dei Simpson (cf. il saggio di Salvarani 2008); il percorso si è svolto attraverso la visione di dieci puntate selezionate dalla docente, in cui emerge fortemente il tema del religioso, con relativa discussione ed approfondimento delle tematiche specifiche emerse. Questa sperimentazione ha fornito l’occasione di presentare la religione e il religioso attraverso uno strumento molto semplice - un cartone animato - riconosciuto e molto apprezzato dagli adolescenti. ■ In tre classi del liceo scientifico, abbiamo affrontato, con l’occasione della Biennale Democrazia che si è svolta a Torino tra il 22 e il 27 aprile del 2009, il tema delle migrazioni, della cittadinanza e della laicità dello Stato in un contesto di democrazia multiculturale; è stata un’occasione interessante per ampliare gli orizzonti della Storia delle religioni ad altri ambiti disciplinari, quali quello giuridico e socio-politico, intrecciando temi classici della scienza politica con questioni più precipuamente religiose. ■ Infine, in una classe del triennio abbiamo affrontato la questione delle religioni orientali e in particolare dell’induismo, dedicando alcune lezioni all’orientalismo e postorientalismo, alla costruzione della categoria dell’induismo e allo sguardo dell’Occidente sull’Oriente.


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Dai nessi disciplinari all’aggancio con l’attualità Nell’ampia libertà sperimentale di poter rivedere le ipotesi di lavoro, abbiamo cercato di rimanere lungo un percorso quanto più coerente, nel rispetto di un programma presentato all’inizio dell’anno scolastico a colleghi e studenti. Tuttavia, nell’elaborazione e nello svolgimento di questa ora di Storia delle religioni abbiamo reputato utile intercettare almeno altre due esigenze: la collaborazione con altre discipline e l’occasione dei fatti d’ attualità. Abbiamo infatti ritenuto una risorsa importante la collaborazione con le altre discipline, nell’ottica dell’approfondimento e dell’interazione tra materie, che porta di tanto in tanto a sviluppare argomenti diversi dal percorso principale. La Storia delle religioni è certo disciplina autonoma, ma anche è al servizio delle altre materie e può e deve creare nessi interdisciplinari per svolgere con maggior adeguatezza parti del programma di altre materie che spesso per esigenze pratiche, sono svolte con fretta ed approssimazione. Molto facile e, speriamo, utile, è stato trovare dei legami con il programma di storia, così da svolgere soprattutto con gli studenti del biennio alcune lezioni relative alle religioni (“morte”) degli egizi, dei greci e dei romani, nonché in maniera più approfondita, anche grazie alla lettura in classe delle fonti, delle origini del Cristianesimo. Ci è parso un buon modo per affrontare alcune parti di un programma che nell’ora di storia sono solitamente affrontate con disinvolta rapidità e minore precisione. Vi è poi l’occasione del “legame” con l’attualità, che è doveroso cogliere se diventa non solo pretesto di discussione tra gli studenti, ma un momento formativo e di sviluppo di una coscienza critica più matura. Alla base di questa terza ed ultima componente, vi è la convinzione che abbia un significato profondo leggere ed interpretare il presente con alcune categorie fornite dalla Storia delle religioni. Riflettere e dialogare sul presente, è uno degli strumenti più efficaci per “educare alla cittadinanza” e alla partecipazione politica in senso ampio, se si vuol costruire il presente e il futuro di ciascun individuo e della società in cui egli vive. Alcuni temi trattati durante le lezioni, sono stati una lettura delle ultime elezioni americane che hanno portato alla vittoria del presidente Barack Obama, soprattutto dal punto di vista delle influenze e degli spostamenti dei pacchetti di voto legati alle grandi coalizioni cristiane ma non solo: abbiamo tracciato un percorso storico che partiva dalla costruzione della Christian Right per arrivare agli intrecci più recenti tra religione e politica partitica negli Stati Uniti.

Anche l’opportunità di usare dei film o dei documentari è stata utile per ragionare sui temi religiosi, sia da un punto di vista teologico, sia da un punto di vista storico; sulla stregua dei seminari cinematografici Neg/Otia Nostra organizzati dal 2006 dall’Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Studi storico-religiosi, dove l’uso del cinema è un pretesto per la trattazione di tematiche storico-religiose, abbiamo scelto del materiale coerente con l’età dei ragazzi che potesse introdurre, debitamente spiegato e commentato, alcuni aspetti delle religioni contemporanee, dei loro incontri e scontri.


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A titolo d’ esempio, il recente The Millionaire è servito per parlare di hinduismo e dello sguardo occidentale sull’Oriente, il fumetto Persepolis è stato utile, grazie alle vicende autobiografiche della protagonista Marjan Satrapi, a trattare di Islam, dell’invenzione dell’Islam e delle ridefinizioni di questa religione in Iran; ancora, alcuni pezzi del film Il Codice da Vinci sono stati un buon materiale di partenza per riflettere sulla costruzione di una vulgata storicamente inaccettabile, sul senso comune dilagante a riguardo del Cristianesimo, sulle peculiarità delle indagini storico critiche riguardanti le religioni.

Si è lasciato spazio anche alle proposte dei ragazzi: in alcune occasioni sono stati gli studenti a voler discutere di fatti di cronaca legati ad aspetti religiosi, come nel caso di un piccolo ciclo dedicato al satanismo e al diavolo o delle lezioni in cui si è trattato del conflitto in corso tra Israele e Palestina, inaspritosi nell’inverno 2008/2009; comprendere le ragioni alla base di tale dissidio, provare a ragionare sugli intrecci tra politica e religione e coglierne le sfumature sono stati alcuni degli obiettivi di questa digressione. Una studentessa di I liceo classico ha scritto, alla fine delle lezioni: “Capire le esigenze, le ragioni, le usanze, la storia di due popoli, legati a due religioni come l’islam e l’ebraismo mi ha permesso di leggere con uno sguardo nuovo i giornali, cercare di capire le cause e le conseguenze, anche non scritte, di questo conflitto”.

Alcuni nodi problematici In un panorama mediamente soddisfacente, non vogliamo certo nascondere le difficoltà. Anzitutto è in corso un ripensamento sull’organizzazione del corso basato sulla mono-ora, che non permette la trattazione di argomenti troppo complessi o il loro approfondimento e nemmeno l’utilizzo di tecniche differenti nella stessa lezione (ad esempio, l’alternanza tra lezione frontale e lavori di gruppo). Inoltre, non sempre e non per tutte le classi è stato semplice trasmettere agli studenti la consistenza e l’autorevolezza di un’ora come quella di Storia delle religioni, il cui status disciplinare dovrebbero essere pari a quello delle altre discipline. In alcuni casi è pesato il fatto di avere ereditato - per dirla con le stesse parole degli studenti di questo liceo cattolico una “tradizione” secondo cui l’ora di religione è spesso stata un’ora di riposo assoluto, di dibattito libero e di divertimento, in senso etimologico, rispetto alle altre ore. “All’inizio ritenevamo fosse un’ora in cui divertirci e rilassarci, ma poi abbiamo capito che con un po’ di impegno si imparano molte cose senza sforzarsi troppo: imparare cose interessanti e in modo “rilassante” è possibile, anche a scuola!”, ha scritto uno studente di II liceo scientifico in un bilancio di fine anno. Complice di questa sottovalutazione da parte degli studenti è senza dubbio la mancanza di una valutazione numerica dei risultati conseguiti durante quest’ora, problema spinoso che si presenta con le stesse conseguenze anche per l’Irc. Una modalità cui siamo ricorsi, per ovviare a questa impossibilità di una “verifica numerica”, è stato sfruttare i colleghi di altre discipline che attraverso test scritti, temi in classe o interrogazioni hanno potuto verificare le conoscenze degli studenti nel modo classico, attribuendo un voto alle parti di programma trasversali alle nostre discipline o che in qualche, pur essendo state affrontate nell’ora di Storia delle religioni, erano pertinenti al programma (anche) delle altre materie.


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A partire da queste criticità, per il prossimo anno stiamo ipotizzando anzitutto una maggiore differenziazione di programma tra Biennio e Triennio, in maniera tale da rendere più adatti alle diverse fasce di età, i contenuti e i metodi. In secondo luogo, potrebbe essere utile pensare ad alcune lezioni di due ore durante l’anno, per favorire l’approfondimento di temi più complessi e sperimentare la modalità di lavoro a gruppi o del dibattito guidato. Non rimandare alla settimana successiva lo sviluppo di alcuni argomenti, ma avere la possibilità di svilupparli in classe, potrebbe essere molto utile per non lasciare in sospeso la riflessione e non creare rimandi che spesso rendono faticosa la trattazione. Senza dubbio, avendo presente un po’ più da vicino l’ambiente scolastico e conoscendo meglio i colleghi, si potranno organizzare maggiori occasioni di scambi, compresenze e interdisciplinarietà, tutte esperienze che già durante il primo anno hanno dato buoni risultati.

Conclusioni provvisorie In conclusione, quale bilancio generale per questo primo anno sperimentale del corso di Storia delle Religioni? Ci interessa soprattutto capire se e quanto quest’ora può rispondere alle esigenze educative della scuola italiana di oggi, nel tentativo di rispondere alle nuove e inedite priorità di una società multiculturale e multireligiosa. 1. L’insegnamento di Storia delle religioni che stiamo portando avanti è dunque, con grande stima per chi quest’ora ha voluto, accolto e promosso, una esperienza d’avanguardia e in qualche modo, se ci è permesso, paradossale. “D’avanguardia” perché costituisce, per quanto ci è dato di sapere, un’esperienza unica in Italia, in cui la Storia delle religioni si svolge entro un’ora settimanale lungo tutto il corso dell’anno (35 ore annuali circa), obbligatoria per tutti gli studenti; “paradossale” perché è sperimentata in un Istituto privato cattolico, diretto da Padri Gesuiti che hanno colto l’importanza e la sfida di insegnare le religioni, agli studenti che frequentano una scuola confessionale. Ci pare dunque che per queste ragioni, la sperimentazione dell’Istituto Sociale di Torino, possa essere oggetto di riflessioni che travalicano il caso specifico ed offrono un precedente concreto per discutere, ancora, sull’educazione religiosa, nonché sul significato e i metodi dell’ora di religione in Italia. 2. Ancora, possiamo dare voce ai ragazzi che l’hanno frequentata, sapendo che anche il loro, come quello della docente, è un giudizio parziale. Per alcuni ragazzi di IV ginnasio, “partecipare alle lezioni e alle discussioni, fare delle ricerche a casa e a

scuola, collaborare con i propri compagni, ascoltare ed essere ascoltati dalla professoressa, è stato un modo interessante e piacevole di svolgere le lezioni di Storia delle religioni”. Ha detto uno studente dell’ultimo anno del liceo scientifico: “Ritengo che sia un’esperienza molto interessante e utile in quanto si chiariscono alcune credenze sulle religioni, in particolare per esempio sull’islam, che poi risultano sciocche o false. Credo quindi che sia utile per chiunque, anche per chi crede di essere molto sicuro delle sue idee rispetto ad altre religioni. Si imparano anche le tradizioni delle altre popolazioni e si accresce in modo significativo il proprio patrimonio culturale; si impara anche ad avere una maggiore visione del mondo nel suo insieme e nelle sue diversità”. Ancora:“Per una persona curiosa ed interessata a molte cose come me, credo sia stata un’occasione importante poter imparare a conoscere culti e tradizioni


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non cristiane. A volte si danno per scontate cose, termini e idee che scontate non sono, per nulla” è stato il commento finale di uno studente del III anno del liceo scientifico.

3. Un ambito che oggi è riconosciuto come prioritario nel sistema educativo attuale, è quello dell’ educazione alla cittadinanza, volta a diffondere la cultura della democrazia tra i giovani, a contribuire alla lotta contro la violenza, il razzismo, le ideologie, l’intolleranza e a promuovere una cultura ed una prassi dei diritti, della pace, della libertà e della giustizia sociale9. La Commissione internazionale sull’educazione per il XXI secolo ha messo in risalto uno dei quattro pilastri su cui fondare ogni presente e futura educazione: quello di imparare a vivere insieme, sviluppando una comprensione degli altri e della loro storia, delle loro tradizioni e creando su questa base un nuovo spirito che, conscio della crescente interdipendenza a livello globale, potrà indurre gli uomini ad attuare progetti e strategie comuni, volti al fine di promuovere i valori della cittadinanza attiva in un contesto di democrazia. Senza dubbio, uno dei compiti dell’educazione è «insegnare la diversità della razza umana e al tempo stesso educare la consapevolezza delle somiglianze e dell’inter-dipendenza fra tutti gli esseri umani (…). Ma se si debbono capire gli altri, è necessario anzitutto capire se stessi. La scuola deve aiutare i giovani a capire chi sono. Solo allora essi saranno in grado di mettersi nei panni degli altri e capirne le reazioni. Sviluppare questa empatia nella scuola produce frutti in termini di comportamento sociale per tutta la vita. Per esempio, insegnando ai giovani ad adottare il punto di vista degli altri gruppi etnici e religiosi, si può evitare quella mancanza di comprensione che porta all’odio e alla violenza tra adulti. L’insegnamento della storia delle religioni e dei costumi può servire come un utile punto di riferimento per il com10 portamento futuro» .

Come si legge nel rapporto Debray dell’aprile 2002, l’insegnamento del fatto religioso è motivato da «la ricerca, attraverso l’universalità del sacro con le sue proibizioni e i suoi permessi, di un fondo di valori unificanti, per riannodare a monte l’educazione civica e temperare l’esplosione di riferimenti come la diversità, senza precedenti per noi, delle appartenenze religiose in un paese di immigrazione felicemente aperto in senso largo»11. La stessa esigenza di trattare le diversità religiose come componente dell’educazione interculturale è stata ribadita dalla dichiarazione conclusiva della Conferenza dei ministri dell’educazione europei dedicata al tema dell’educazione interculturale (Atene, 10-12 novembre 2003)12. 9

Si veda la Risoluzione adottata dai ministri dell’educazione del Consiglio d’Europa, durante la XX sessione: Cracovia, 15-17 ottobre 2000, Strasburgo, Council of Cultural Cooperation. Si vedano anche Gutmann A. (1987); Malizia G. (2002); Deiana G. (2003); Faggioli M. (2005). 10 Delors J. (1997), p. 86. 11 Si vedano: Debray R. (2002). In Italia, già Ernesto Balducci (1922-1992) esortava a prender atto che «nell’Europa post-ideologica i confronti tra le coscienze vanno impostati ex novo, in vista di un ecumenismo che sorpassa il perimetro delle confessioni cristiane e delle religioni per comprendere anche quei convincimenti umani che hanno come loro principio di legittimità la fedeltà della ragione alle proprie autonome risorse. L’età premoderna è l’età delle guerre di religione, quella moderna è l’età delle guerre ideologiche, quella postmoderna è l’età del libero confronto delle coscienze disposte a contribuire a un progetto storico comune, sulla base di un ethos cosmopolitico»: Balducci (1990a), p. 26; la tesi è sviluppata in Balducci E. (1990b). 12 Si veda il sito: http://www.coe.int/T/F/cooperation_culturelle/education/apercu.asp


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4. L’educazione alle religioni, l’indagine scientifica del fatto religioso è dunque, a livello cognitivo, uno strumento fondamentale di educazione alla cittadinanza globale ed è un antidoto contro derive teoriche ma anche pratiche fondamentaliste e violente. L’analfabetismo religioso diffuso, diventa un ostacolo nella costruzione della cultura alla cittadinanza responsabile; per quanto concerne la conoscenza delle religioni, siamo convinti infatti che l’approccio cognitivo e razionale non siano in contrasto, ma anzi siano premessa fondamentale del dato emozionale e delle scelte personali (di adesione o non adesione ad una confessione): si sa, si conosce, poi ci si coinvolge eventualmente- e si provano emozioni con maggiore cognizione e profondità. Ed è questo tipo di cittadino innanzitutto, e uomo politico consapevole poi, che potrà avere ruolo attivo nel pensare allo spazio delle religioni, ai modelli di convivenza e di tolleranza e che potrà impegnarsi con consapevolezza nella costruzione di una società democratica e correttamente laica. Ci auguriamo dunque che questa sperimentazione, senza per questo non riconoscere tutti gli aspetti perfettibili e migliorabili, possa continuare a rappresentare un modo concretamente alternativo per insegnare e soprattutto apprendere la religione, considerata come uno degli aspetti della cultura dell’uomo, da sempre.

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PROFESSIONE DOCENTE

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I chiaroscuri di Anna Lucchiari

Per tutte le strade del mondo

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el corso di una serie di scavi effettuati una quarantina d’anni fa in vasti territori dell’America Centrale e dell’America del Nord, furono rinvenuti alcuni scheletri umani che vennero catalogati come appartenenti ad individui di razza caucasica. Dagli esami cui i resti furono successivamente sottoposti, tale catalogazione venne confermata e si ritenne che appartenessero a componenti di popolazioni che erano migrate dal continente asiatico circa 11mila anni prima, attraverso lo stretto di Bering che, a quell’epoca, doveva essere solo un istmo che collegava i continenti. Proseguendo gli scavi, sempre nel medesimo territorio, si è riscontrato recentemente che le migrazioni dall’Asia all’America devono essere state più d’una e si pensa che siano iniziate almeno 40mila anni fa, visto che si sono rinvenuti scheletri molto più antichi dei precedenti. Può darsi che fra qualche anno le ipotesi migratorie vengano fatte risalire a tempi ancora più lontani. Può darsi che i flussi migratori siano stati un fenomeno ciclico. C’è una storia dell’umanità che può esser letta come un pellegrinaggio ininterrotto di popoli da un paese ad un altro, da un continente ad un altro. Questo aspetto della storia potrebbe fornire informazioni interessanti, forse molto più di quelle che normalmente ci fornisce la consueta ricostruzione storica, fondata sulla patologia della convivenza, sulle guerre e sulle rivalità. Di queste migrazioni lontane non conserviamo tracce nella nostra memoria, ma di quelle che si sono verificate nel corso del XIX e XX secolo, dovremmo conoscere i dati particolari e complessivi perché fanno parte del nostro patrimonio storico. Salvo che in pochi casi, come ad esempio quello dei Padri Pellegrini che fuggirono dalla madrepatria per sottrarsi alla intolleranza politica e religiosa, le emigrazioni partono da paesi in condizioni economiche e sociali depresse e vanno verso paesi nei quali si spera di conseguire sollievo al bisogno. Per quasi tutto il secolo XIX le isole Britanniche e la Germania alimentarono una corrente incessante di gruppi diretti verso le Americhe, il Canada e l’Australia. Tra il 1815 e il 1906, solo dall’Inghilterra partirono 17 milioni di persone, malgrado il governo britannico si fosse impegnato nella diffusione di un opuscolo nel quale si mettevano in guardia i cittadini dagli “orrori della emigrazione”. Queste parole - scritte a caratteri cubitali ! - erano seguite dalla elencazione di miserie, privazioni e pericoli cui si sarebbero esposti coloro che avessero lasciato le proprie tranquille contrade per cercare fortuna in terre sconosciute. -“Sappiate -recitava il testo originario- che nella

terra che voi considerate la salvezza andrete incontro a morte certa o a causa delle belve feroci o per mano dei crudelissimi nativi che sono campioni di assassini, crudeltà, torture e rapine. Perche’ - continuava il manifesto - abbandonare la propria terra, la propria famiglia, gli amici per un mondo ostile e sconosciuto?”

Malgrado il terrorismo diffuso dai manifesti affissi ad ogni angolo di strada e nell’entroterra dei vari porti di imbarco, nel corso di tutto il 1800, dall’Inghilterra par-


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tirono ogni anno circa 500mila emigranti. Niente e nessuno riuscì a fermare l’esodo perché la molla non era il diporto, ma la disperazione per condizioni di vita ben al di sotto della pura sussistenza, dove il valore della persona sembrava scomparso. Tra il 1890 e il 1914 si verificò una seconda ondata migratoria che portò oltre 14 milioni di nuovi immigrati in America: di questi il 75% proveniva dalla Polonia e dall’Italia ed era portatore di culture diverse da quelle della prima immigrazione che era stata alimentata prevalentemente dall’Inghilterra, dall’Irlanda, dalla Germania e dai Paesi Scandinavi. Al tempo di questa seconda migrazione di massa, gli Americani (ossia gli immigrati del periodo precedente) avevano collocato nella terra di Ellis Island, piccola isola di fronte a New York, la sede degli uffici di immigrazione. Folle sterminate venivano bloccate alla dogana anche in gruppi di tremila alla volta. Sedevano lì, pazienti e rassegnati, ognuno con un foglio in mano, ognuno con un numero appuntato sul petto. Dai documenti dell’epoca possiamo agevolmente immaginare come angosciosi oltre che rischiosi, dovessero essere il viaggio per mare e lo sbarco in terra straniera e quante difficoltà dovessero superare le persone che avevano, per così dire, scelto di abbandonare all’improvviso il suolo natìo, la famiglia, gli amici, con la sola prospettiva di tentare la buona sorte. La mèta dei vari flussi di emigranti dall’Ottocento alla prima metà del ventesimo secolo, fu soprattutto il continente americano. Di conseguenza negli anni Venti, specialmente gli Stati Uniti, si trovarono nella difficoltà di gestire una immigrazione incontrollata e massiccia che era approdata e che seguitava ad arrivare da ogni parte del mondo. Agli inizi della propria storia, gli States avevano ovviamente perseguito una politica finalizzata a richiamare le energie umane necessarie allo sfruttamento degli sconfinati territori dell’Ovest e si erano addirittura favoriti gli spostamenti di gruppi consistenti di persone provenienti dall’Europa del Nord. Ad un certo punto, quando l’emigrazione si rivelò non un fenomeno momentaneo e transitorio, ma un fenomeno praticamente senza soluzione, il governo degli Stati Uniti, decise di intervenire. Per la verità, i flussi migratori originari si erano assestati e i nuovi partivano da terre più lontane e per lo più del centro Europa; per quanto riguarda il nostro paese, dal 1876 al 1967 emigrarono 25 milioni di italiani verso America, Australia e Canada. Questa importante emigrazione, oltre ad esprimere culture diverse delle precedenti, dava l’impressione di essere una massa che, lievitando in modo incontrollato, rischiava di mettere a repentaglio le conquiste che i pionieri avevano conseguito con sacrifici incredibili. Certamente vi era anche questa componente nella definizione delle regole restrittive che gli Stati Uniti, dopo il Venti, si apprestavano ad emanare, oltre al fatto che doveva essersi, comunque, ridotta la capacità di accogliere nuovi gruppi. Questa, forse, è la parte che conosciamo meglio, perché romanzi, racconti e fiction cinematografica si sono calati più volte nella realtà di quel periodo fatto di avventura e di speranza, di sfide vitali e mortali, un periodo nel corso del quale il grande stato americano stava ancora elaborando la sua struttura interna: era uno stato in formazione dove nulla era dato per scontato, dove ogni etnia si apprestava a scrivere la sua storia come su una pagina bianca.


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Certo è che la prima immigrazione venne, già nella denominazione, “pellegrina, pioniera”, in qualche modo nobilitata, mentre la seconda era semplicemente emigrazione. Il pellegrino è spiritualmente predestinato, il pioniere è un po’ l’Ulisse della situazione, l’emigrante è il povero che cerca di riuscire a mangiare tutti i giorni. Le esorbitanti masse bracciantili che si erano rifugiate in quel paese, costituivano certo una pericolosa sacca di disordine e le autorità non erano affatto in grado di controllare efficacemente che gli immigrati vivessero tutti entro le maglie della legalità. Ad un certo punto, l’America trovò nel popolo dei disperati il capro espiatorio dei disordini che si verificarono in quel periodo. Nel 1921 fu quindi varata la prima legge di emergenza che stabiliva un tetto massimo all’ingresso annuale di stranieri, fissandolo al 3% dei membri di ogni singola nazionalità presenti negli States nel 1911. Successivamente le norme divennero ancora più restrittive e la legge Johnson-Reed, rimasta in vigore fino al 1965, stabilì la quota annuale fissa di 150mila immigrati, ripartiti fra le varie provenienze, in proporzione al censimento del 1880. Di fatto venivano avvantaggiati gli europei del nord che avevano alimentato la prima emigrazione. Ad esempio, la quota degli italiani passò da 42mila a 4mila e quella dei polacchi da 31mila a 6mila. A prescindere da considerazioni che, ovviamente competono solo allo stato sovrano, circa la scelta della base di calcolo, delle quote ecc., dare una regola, stabilire un tetto massimo di immigrati annui, sembra un criterio razionalmente valido sia per poter gestire l’accoglienza che per consentire ad essi migliori possibilità di inserimento. Il controllo che gli Stati Uniti esercitarono sui flussi migratori era notevolmente facilitato dalla loro posizione geografica, dato che occorreva arrivare dal mare e, quindi, era sufficiente esercitarlo ai vari porti. Le navi dell’epoca non garantivano, quanto a confort, un trasferimento “umano” secondo l’attuale metro, ma almeno i marinai non abbandonavano in mare le persone. I due principali flussi migratori verso gli Stati Uniti, sia il primo che il secondo, partecipavano più della fuga o dell’esodo che dell’avventura. Chi emigrava intendeva stabilirsi in via definitiva su di un territorio diverso da quello dov’era cresciuto e nel quale riteneva non vi fossero decorose prospettive di vita per sé e per i propri figli. I legami con la madre patria venivano in qualche modo mantenuti attraverso la conservazione domestica della lingua e le relazioni epistolari, oltre che con l’invio di regolari rimesse in denaro a sollievo di coloro che erano rimasti. Ma per il resto, gli emigranti cercavano per quanto nelle loro possibilità, di accogliere le abitudini e gli usi della nuova patria, ne adottavano la lingua producendo una cultura ibrida, ma certamente vivace. Vi sono esempi celebri di poeti, pittori, scienziati e musicisti. Il poeta G. Kahlil Gibran, emigrò dal Libano con la madre e i fratelli e fu la comunità siriana che agli inizi del secolo era già consistente a Boston, a fornire alla piccola famiglia la prima accoglienza e le prime possibilità di inserimento. La madre, subito dopo il suo arrivo, lo iscrisse alla scuola media locale, ma lo inviò a Beirut per completare gli studi superiori. Tornato a Boston, in pochi anni, il poeta cominciò ad utilizzare la lingua inglese per i propri lavori, in luogo dell’arabo che aveva usato fino allora, opzione che rivela una inequivocabile volontà di naturalizzazione.


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Oggi l’Italia si trova ad essere a sua volta un paese di accoglienza per i nuovi emigranti. Come i nostri partivano verso l’America senza competenze, armati solo di buone braccia e di buona volontà, anche questi che provengono dall’Europa dell’Est o dal Nord Africa, non parlano la nostra lingua, non conoscono le nostre abitudini. Partono alla ventura e, in questi viaggi della speranza, come allora, c’è chi finisce schiacciato e chi ce la fa a gettare le basi di un futuro sereno per sé e per la propria famiglia. Quando il numero degli emigranti è contenuto, viene assorbito senza troppi problemi ma, quando sale in modo incontrollabile, cresce con esso il timore di perdere la propria identità: scattano dei meccanismi difensivi e si diffondono reazioni simili a quelle che susciterebbe una vera e propria “invasione”. Qualcuno combatte l’immissione degli stranieri in nome di una razza italica con tutte le sue varianti regionali. Come se gli abitanti del nostro paese fossero un nucleo stabile dalla notte dei tempi e non fossero invece il prodotto di invasioni, quasi sempre cruente, di migrazioni che hanno rimescolato le carte etniche in modo ben visibile nei tratti misti che possiamo osservare nelle varie regioni del nostro paese. Ripescare il concetto di razza e servirsene come di uno scudo porta i vari gruppi a chiudersi in una immaginaria quanto irrazionale difesa delle presunte qualità e caratteristiche nazionali, “uniche ed originali”. Bisognerebbe ricordare il proprio passato con onestà storica e provare a ripercorrere con i propri antenati le strade che li hanno accolti nei secoli e nei millenni e si scoprirebbe probabilmente, come i paleontologi americani, che le strade del mondo sono come una ragnatela fittissima su cui i passi dell’uomo si sono impressi: alcune vie si sono perdute, l’orografia subisce sconvolgimenti periodici, altre sono tutt’ora in uso, altre se ne sono spalancate ex novo come brecce gigantesche. L’umanità continua a camminare, anche quella che pare ferocemente stanziale. Ma se solo si guarda un po’ più da lontano, un po’ più dall’alto, ci si rende conto che in realtà cammina lungo i percorsi antichi e lungo i nuovi. Si muove per spirito d’avventura, per vocazione antica o semplicemente per disperazione. I movimenti umani nascono dalla fame e dalla paura: i gruppi umani fuggono da territori avari e da guerre, e vanno alla ricerca di terre generose e di pace. Il problema di ogni nazione che si reputi civile, è solo quello di approntare delle norme che regolamentino i flussi in modo da poter assicurare una vera accoglienza. Ogni paese e ogni tempo ha le proprie regole che nascono dalla necessità, dalla contingenza e comunque, mentre cercare di regolare questi flussi è solo un criterio di buon senso, cercare di ostacolarli, come ha spesso dimostrato la storia, può portare all’elusione delle regole, alla crescita incontrollata dei clandestini, e soprattutto ad una recrudescenza dei meccanismi di difesa della società che scattano inesorabili ogni qualvolta un gruppo si senta (vero o falso che sia) minacciato. Il nostro paese ha una grande ricchezza di storia e di cultura, prodotto dinamico di vicende che, nel bene e nel male, l’hanno provata, devastata, chiusa e liberata ma che, nello stesso tempo, le hanno fornito una estrema varietà di stimoli. La regolamentazione dei flussi migratori, l’accordo con più stati che possano condividere l’onere di accogliere chi fugge dalla miseria e dai pericoli è l’unico sistema che


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possa garantire a tutti una vita dignitosa. Ogni civiltà cresce nell’incontro con altre, si mette in discussione, si ricrea, progredisce. Dall’alto dei millenni la vita può davvero esser letta come una lunga peregrinazione attraverso tutte le strade del mondo ■

REPERENDUM AD ASTRA

S

pero che il correttore automatico non mi aggiusti la ‘f’ al posto della ‘p’ ! Tutto è possibile. Il gioco è di parole, ovviamente, dove la matrice originaria di raccolta delle opinioni come dovrebbe essere, viene modificata facendo riferimento ad un qualcosa che andrebbe trovato prima e a tutti i costi… Quand’ero giovane, il referendum mi sembrava l’unico vero sistema democratico. Mi sembrava ovvio, indispensabile che per ogni questione ciascun cittadino venisse chiaramente interpellato e che ogni nuovo provvedimento potesse essere adottato solo in seguito ad approvazione di una maggioranza. Ero in buona compagnia, tanto che la partecipazione ai referendum all’inizio era elevata: ci si credeva. Si credeva che davvero servisse a spingere un parlamento o pigro o impigrito o incapace di prendere delle decisioni, ad assolvere al compito cui è stato chiamato. Poi, siccome l’uso logora lo strumento, qualcuno ha cominciato a chiedersi come mai noi cittadini se non assolviamo i compiti che ci vengono assegnati finiamo male, mentre altri finiscono a Montecitorio. Oppure si è domandato come mai dopo aver eletto il proprio rappresentante (che avrebbe il compito di fare le leggi necessarie al buon funzionamento della nostra società per mandato espressamente ricevuto) si debbano ancora spendere soldi (nostri) e tempo per effettuare una consultazione che non dirà nulla, se non che la gente si è stancata di esser chiamata in causa continuamente per mettere d’accordo delle persone che se ne lavano le mani ogni qualvolta ci sia una gatta da pelare. Perché è chiarissimo che se il parlamento non riesce a fare una legge è perché non sa o non vuole prendere partito su una questione spinosa. Si dà il caso però, che mentre l’eccezione chiama a raccolta la grande maggioranza dei cittadini responsabili, l’eccesso di chiamate ad esprimere un parere su cose che potrebbero benissimo essere risolte dai rappresentanti che ciascun cittadino, in un modo o nell’altro, ha eletto e quindi incaricato di occuparsi proprio di queste faccende, disturbi e, spesso, crei fenomeni inequivocabili di rigetto. L’articolo 71, sez. II (La formazione delle leggi) della nostra Costituzione, recita: L’iniziativa delle leggi appar-

tiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi e agli enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi mediante proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.

Mi pare che molti ci siano rimasti male perché l’istituto del referendum (il successivo articolo 75 chiarisce che può esser solo abrogativo) è davvero qualcosa di affascinante dal punto di vista democratico. Non mi riferisco tanto a quello abrogativo concesso e previsto, ma soprattutto a quello propositivo, attualmente presente solo nell’ampio campo delle ipotesi o meglio dei sogni, che consentirebbe di aggiustare via via il


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complesso legislativo alle esigenze di una società che si muove ormai piuttosto velocemente. Ovvio in questo campo sognare pensando alla rete! Si può tranquillamente immaginare la grandiosità dei progressi del futuro: il cittadino responsabile nel pieno possesso di quelli che la nostra carta costituente chiama i diritti inviolabili dell’uomo, la mattina si alzerà e, come di consueto, aprirà la sua posta elettronica dove troverà un messaggio importantissimo cui dovrà dare risposta entro le ore dodici del giorno successivo. Tanto per dargli il tempo di riflettere a sufficienza. E lui lo farà perché prima di andare a farsi la doccia, è chiamato a partecipare ad una scelta importante. Alle ore dodici del giorno successivo lo stesso sito, nel quale ciascun cittadino avrà il suo accesso codificato, rivelerà il risultato e il gruppo legislatore procederà di conseguenza. Ci sarebbe un risparmio incredibile e, in questa ottica, il senato, ossia una camera alta anche per età dei componenti, potrebbe tornare ad avere una qualche funzione regolativa di massima. Oggi (anno di grazia 2087), quesito del giorno: volete che i medici e i giudici rispondano delle conseguenze della loro attività, dei loro errori come ogni essere umano? Volete che la polizia possa entrare in ogni singola conversazione privata, che vi siano o no sospetti sulle vostre attività? Volete che la chiesa dei Bambini di Dio raccoglitori di mele possa avere accesso all’otto per mille? La fantascienza galoppa. Dalle stalle alle stelle, dai foglietti di carta segreti e costosi, logorati ricettacoli di sogni colorati, alle magie impalpabili di una galassia che si presta a consultazioni in tempo reale, locali, regionali, nazionali, internazionali… Potrebbe essere un’idea grazie alla quale si potrebbero risparmiare tutti i soldi che si sprecano per realizzare le consultazioni che peraltro restano spesso lettera morta: attrezzare i locali e le scuole (gli studenti piangeranno perché non perderanno più sei o sette meravigliosi giorni), assoldare gli scrutatori, i controllori, i controllori dei controllori, i pulitori e così via. Allora sì che la Camera, vera fucina legislativa, potrebbe essere ridimensionata. Basterebbe una squadra di poche persone per ogni singolo settore di attività (prendendo spunto dalle denominazioni dei ministeri: agricoltura, istruzione, cultura e spettacolo, finanza, lavori pubblici ecc. ecc.) per dare attuazione alle leggi proposte a maggioranza tramite consultazione on line. Più ci penso e più l’idea mi piace e magari si riuscirebbe così ad evitare che il complesso normativo sia praticamente riferibile ad una società già scomparsa da tempo. Un domani, forse ci sarà la rete ufficiale e poi quella della dissidenza ma sempre rete sarà. Il futuro poggerà sulle sue sconfinate maglie! Domani… dopodomani… dopodopodomani…, chissà… Fantascienza!!! ■


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Ricerche • Studi • Cronache



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RivLas 76 (2009) 4, 683-692

7 AVRIL 2009 – BEATIFICATION DE RAPHAEL-LOUIS RAFIRINGA, FSC

1. Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa (1856-1919), pionnier de l'inculturation à Madagascar Hilaire Raharilalao, fsc

Vice-Postulateur, Antananarivo

E

n ce jour du dimanche de la Sainte Trinité, l'Eglise élève au rang des Bienheureux le Frère Raphaël-Louis Rafiringa, religieux profès de l'Institut des Frères des écoles chrétiennes, natif de Madagascar. En digne fils de saint JeanBaptiste de La Salle, fondateur de cet Institut au XVIIè siècle en France, il s'est illustré notamment comme religieux éducateur dans le charisme de l'éducation humaine et chrétienne des jeunes et des pauvres, vécu en milieu socio-culturel malgache du XIXè siècle. Né le 13 novembre 1856 à Antananarivo d'une grande famille de la religion ancestrale malgache, il mourut à Fianarantsoa le 19 mai 1919 en réputation de sainteté. Il aura vécu un moment particulièrement significatif de l'histoire de la Grande Ile: le passage de la royauté malgache au régime colonial occidental. Ce qui a contribué chez le nouveau Bienheureux à un cheminement humain et religieux déterminant, aussi bien pour la vie de la Nation que pour celle de l'Eglise à Madagascar.

Annoncer l'Evangile dans le milieu culturel malgache Quand les trois premiers frères des écoles chrétiennes en la personne des Frères Gonzalvien, Ladolien et Yon débarquèrent sur le sol malgache le 24 novembre 1866, appelés par les prêtres jésuites arrivés plus tôt pour initier l’évangélisation à Antananarivo, Raphaël-Louis Rafiringa avait 10 ans. Personne n'aura douté que par des circonstances historiques inattendues que sont les deux guerres franco-hova (1883-1886; 1894-1895), les missionnaires seront très vite relayés dans leur œuvre évangélisatrice par les premiers chrétiens autochtones. Les uns et les autres, mais d'une manière fort différente, vont enjoindre dans un même milieu l'unique Parole du Maitre: Allez dans le monde entier, proclamez l'Evangile (Mc 16,15). Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa, avec la Bienheureuse Victoire Rasoamanarivo et les jeunes de l'Union Catholique l'auront accompli à leur dépens, mais dans un sursaut et


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un élan de foi extraordinaire qui n'ont d'égal que la jeunesse de l'Eglise malgache naissante.

Le «missionnaire» dans un contexte malgache de première évangélisation Avec l'avènement de l'expansion européenne et la période coloniale du XIXè siècle, Madagascar avait accueilli les missionnaires protestants de la London Missionary Society ainsi que les missionnaires catholiques français venus de l'Ile Bourbon (La Réunion). Devant l'influence grandissante aussi bien de la politique que de l'évangélisation dans son Royaume, la Reine de Madagascar avait décidé d'expulser tous les étrangers du territoire malgache, les missionnaires inclus (prêtres, religieuses, religieux), Frère Raphaël-Louis se retrouva seul. Avant leur départ, il s'est vu confier par les missionnaires la garde et la responsabilité de la jeune chrétienté malgache. Evoquant une situation aussi historique d'évangélisation, le pape Paul VI ne lancera-t-il pas plus tard son appel de défi, à Kampala en 1969, sans ambages: Africains, vous êtes désormais vos propres missionnaires ... Et à l'occasion de la visite pastorale de Jean-Paul II en 1989 à Madagascar, le Frère Raphaël-Louis Rafiringa fut salué plusieurs fois à l'égal de Victoire Rasoamanarivo comme l'une des figures remarquables de la jeune Eglise locale. Premier fruit lui-même de l'action évangélisatrice des missionnaires en terre malgache et ayant souffert de l'absence de ces derniers pendant trois ans, Bienheureux Raphaël-Louis Rafiringa avait déjà un souci particulier de la relève des missionnaires: les vocations religieuses et sacerdotales autochtones et surtout de leur formation inculturée.

Le Lasallien : pionnier d'une éducation humaine et chrétienne en milieu malgache Religieux convaincu du charisme de Jean-Baptiste de La Salle, et formé à l'esprit de l'éducation, Frère Raphaël-Louis Rafiringa s'employa à évangéliser ses contemporains notamment au sein des églises et des écoles d'Antananarivo. Il resta un grand religieux éducateur malgré les dures épreuves de ces années d'absence des missionnaires et de ses confrères, il sut inventer des pistes apostoliques imposées par les circonstances: catéchismes, visites aux malades et aux lépreux, etc. Et comme apôtre animé d'esprit de foi et de zèle, il trouva des modes d'action éducative nouveaux, bien en avance sur ce que l'Eglise et le concile Vatican II lanceraient et approuveraient toute cette place active et engagée des laïcs.

«L'éducation de la jeunesse dans les missions, écrivait le Bienheureux, est un des moyens les plus efficaces pour faire prendre racine la Religion chez les infidèles, parce que c'est par elle que les principes de la Religion peuvent entrer dans toutes les parties de l’âme avec les premières impressions de l'enfance et grandir avec elle». Le docteur Fontoynont, président de l'Académie malgache dont le Bienheureux était membre, témoignait ainsi le 18 juin 1933 quand ses restes ont été ramenés à Anta-


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nanarivo: «Le Frère Raphaël avait reçu aussi la juste récompense de maîtrise dans

l'art d'enseigner ainsi que de sa profonde connaissance non seulement de la langue malgache, sa langue maternelle, mais du français qu'il enseigne à une foule de ses jeunes compatriotes. Le Frère Raphaël était un excellent éducateur, un grammairien ainsi qu'un linguiste remarquable. Plusieurs de ses communications à l'Académie malgache portaient l'empreinte d'un esprit clair et précis. En ces jours où sont ramenés à Tananarive ses restes, tous ceux parmi nous que la mort n'a pas encore fauchés, apportent par ma voix, un tribut mérité de déférence, de reconnaissance pour les services rendus au peuple malgache, et d'affection à la mémoire du Frère Raphaël dont ses Chefs et ses collègues venus d'Europe surent apprécier la haute valeur, et à qui ses nombreux élèves avaient voué, et vouent encore une affection sans bornes».

Initiateur d'une pédagogie modelante de culture et de foi Avec l'assentiment de ses Supérieurs, à partir de 1896, le Frère Raphaël organisa un enseignement à base de joutes oratoires qui groupa l'élite des jeunes gens de l'Etablissement. C'est un grand honneur que de faire partie de ces hommes graves. Dans ce cénacle, les discussions étaient surtout philosophiques: on cultivait tout spécialement la logique en traitant de la morale et du dogme. Les dimanches, des jeunes gens catholiques se répandaient dans les villages et travaillaient à l'évangélisation; on les appellerait aujourd'hui des catéchistes volontaires. Sans être suffisamment documenté pour apprécier à leur juste valeur les travaux de ces groupes qui, sûrement manquaient d'unité, il ne semble pas téméraire, malgré la pauvreté des documents, d'affirmer qu'ils produisirent un bien. Certains jeunes plus disposés et des mieux doués recevront au moins deux fois par semaine un supplément d'instruction religieuse. Le Frère Raphaël est chargé de ce cours. D'ailleurs, ce travail cadre parfaitement avec ses goûts et ses aptitudes. Fréquentant le milieu intellectuel de l'époque, le Frère Rafiringa a su allier la sainteté et la science. Ecrivain hors pair, historien, poète et davantage, il a été toujours consulté par les intellectuels de toutes tendances et de toutes confessions. Il a su allier en lui la simplicité, la science et la sainteté de vie. Un état heureux qui lui a valu l'admiration des scientifiques de l'époque. Membre correspondant du Bulletin de l'Archiconfrérie du Très Saint-Enfant-Jésus, il produit de nombreux articles à l'intention des missionnaires. Le nom du Frère Raphaël-Louis Rafiringa est cité parmi quelques personnalités marquantes des Frères des écoles chrétiennes dans le Dictionnaire historique de l'Education chrétienne d'expression française, Paris 2001.

Précurseur du mouvement œcuménique au printemps de l'Eglise à Madagascar ? On a dit que le Frère Raphaël-Louis Rafiringa savait donner une large place à l’inculturation - dont on ne parlait pas encore - c'est affirmer qu'il était éducateur chrétien pleinement qualifié. Sa foi, ses convictions de religieux rayonnaient autour de lui, dans les écoles et la vie sociale. Son influence s'étendait dans tous les milieux,


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catholiques, protestants et païens. Il a contribué avec persévérance à promouvoir la culture vraie, celle qui se nourrit de l'Evangile, comme aussi de l'expérience des sociétés évoluées (mgr Victor Sartre, 19 janvier 2000). L'élément protestant qui vient d'arriver dans les écoles des Frères demande à être suivi de près. Il y avait là d'assez nombreux enfants de bonnes familles, et il en viendra sûrement d'autres. Or, former un enfant au christianisme, surtout s'il appartient à une famille influente, c'est à coup surjeter des bases pour un avenir religieux. Il fallait donc renforcer, pour ainsi dire, l'esprit chrétien chez les enfants nouveaux venus. Il est bien vrai que le Frère Raphaël ne se contentait pas non plus d'enseigner la lecture, le calcul et le reste. Il visait toujours la formation des consciences pour en faire des hommes, des citoyens instruits, des hommes de devoir. Pour lui, le chrétien doit être prêt pour servir l'Eglise et son pays. Pendant toute l'année, les dimanches et les jours de fête, c'était le Frère Raphaël qui faisait les instructions aux fidèles, matin et soir. Les protestants et les païens venaient aussi à lui. Il les instruisait et les éclairait, leur prouvant l'existence d'une autre vie après celle-ci, d'un lieu de tourments pour les méchants, de bonheur pour les bons et dont la durée sera éternelle.

Conclusion Quelle est donc l'influence de l'action menée par le Bienheureux Frère Rafiringa pour l'inculturation à son époque et dans le monde d'aujourd'hui à Madagascar? Il va sans dire que la naissance de l'Eglise et son enracinement en milieu malgache ont été aux XIXè et XXè siècles le fruit du travail des laïcs dont la Bienheureuse Victoire Rasoamanarivo, le Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa et les jeunes de l'Union Catholique. A leur retour, les missionnaires ont été non seulement ravis de voir rassemblée la communauté chrétienne catholique, après trois ans d'absence, mais de la voir encore plus nombreuse et dynamique. Sans oublier les vertus du religieux modèle attaché profondément à l'Eglise que fut le Frère Rafiringa, il aura apparu, par ses services d'éducateur chrétien qui éveille, une grande figure malgache, comme étant promoteur d'une culture chrétienne et d'une civilisation nourrie de la lumière et de la sève de l'Evangile. Si, toutefois, de par les vicissitudes de l'histoire socio-culturelle et politico-religieuse qu'a vécu la nation malgache, son influence n'a pas apparemment réalisé ce qui faisait son rêve et celui de tous les missionnaires dans la vie de l'Eglise et du pays, il ressort nettement que le citoyen comme le chrétien malgache sauront trouver en lui un nouveau modèle d' « inculturateur » à la fois proche et interpellant pour une nouvelle mission éducative audacieuse, au service et pour un meilleur avenir de la jeunesse et de la société malgache. C'est dans ce sens que l'Eglise à Madagascar pourra désormais invoquer avec foi et non sans raison: «Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa, priez pour nous!»


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2. L’œuvre culturelle du Bx Raphaël-Louis Rafiringa, membre titulaire de l'Académie malgache Jean Rabenalisoa Ravalitera

Enseignant chercheur de l’Université d'Antananarivo, Membre titulaire de l'Académie Malagasy

L

e frère Raphaël-Louis Rafiringa fut un des rares Malgaches membre de l'Académie malgache fondée par Gallieni par l'arrêté du 23 janvier 1902. Dès le 3 avril 1902, c'est-à-dire après la séance d'inauguration du 27 février, «sur proposition de divers membres, les candidatures de M. Mondain, auteur de divers travaux sur la langue malgache, et du F. Raphaël-Louis Rafiringa, lettré indigène comme membre sociétaire, sont votées à l'unanimité». Il ne tardera pas à devenir membre titulaire en remplacement de Rabesihanaka démissionnaire qui n'avait assisté à aucune séance et qui se sentait déplacé au sein d'une société savante. Le F. Raphaël côtoyait Jullien, Berthier, ses anciens élèves, les pères Cadet et Malzac, les pasteurs Vernier et Mondain. Parmi ces grands malgachisants, il était le seul malgache (compétent). Dans sa lettre de condoléances, lors de la mort de cet illustre académicien, le président de l'Académie Malgache, le docteur Fontoynont écrivait: Je lis dans la Tribune que le Frère Ra-

phaël est mort à Fianarantsoa. C'est une grande perte non seulement pour vous, mais pour nous-mêmes et pour tous ceux que les choses malgaches intéressent.

Quatorze ans après sa mort, lors de la réinhumation de ses cendres à Antananarivo, le président rappelait encore sa profonde connaissance, non seulement de la langue malgache, sa langue maternelle, mais du français qu'il enseigna à une foule de compatriotes. Le F. Raphaël était un excellent éducateur, un grammairien ainsi qu'un linguiste remarquable. Plusieurs de ses communications à l'Académie Malgache portent l'empreinte d'un esprit clair et précis. Nous aimions l'entendre prendre la parole et en un français impeccable, argumenter l'un et l'autre. Ces témoignages montrent la valeur culturelle du Bx F. Rafiringa, très connu et fort apprécié dans le milieu religieux mais méconnu sinon oublié par l'histoire dans le milieu culturel et surtout dans l'histoire littéraire malgache. Fort heureusement, en cette année de béatification (2009), une thèse de doctorat intitulée Ny very tadiavina hita ao amin'ny sanganasan'ny Sefrera Raphaël-Louis Rafiringa [= Les valeurs perdues conservées dans les œuvres littéraires du Frère Rafiringa] comble cette lacune.


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L’œuvre littéraire du Frère Rafiringa II est difficile de dresser un tableau complet de l'œuvre littéraire du F. Raphaël. Tout ce qu'on peut dire, c'est qu'elle est immense et variée mais si mal connue. Personne ne pourra en faire l'inventaire, car un certain nombre d'écrits ont été victimes du «vandalisme» qui fit détruire une grande partie de son oeuvre en 1915. De même, la règle de modestie religieuse à laquelle il se pliait, la collaboration anonyme qu'il apporta à de nombreux ouvrages de la Mission Catholique, ouvrages soit collectifs, soit signés par des missionnaires français, tout cela fait que sa paternité littéraire ne peut être prouvée sans contestation que dans quelques ouvrages. On pourrait classer les œuvres du F. Rafiringa en deux catégories : Les œuvres d'inspiration chrétienne Il produisait des opuscules dont le but est d'éclairer païens et protestants. Ainsi Fonjambolamena madio [=Lingots et or pur], Fanambadiana kristianina [= Le mariage chrétien], Ramanantsoa sy ny zanany [=Ramanantsoa et ses enfants] ou encore Leingahy mianaka [=Leingahy et son fils]. Ces ouvrages étaient autant de démonstrations de la vérité catholique qu'une réfutation des erreurs protestantes et païennes. A l'occasion des fêtes religieuses, il composait des pièces destinées à faire pénétrer chez les spectateurs les beautés du catholicisme comme La pièce historique et véritable Apologie de la Mission, présentée à Antananarivo le 13 novembre 1912 à l'occasion de la clôture de l'année jubilaire de la Mission catholique. Il y avait aussi la traduction en beau malgache de la pièce Le Signe de la Croix de Baju ,ou encore Les vertus et les talents extraordinaires de Mgr Cazet, caractérisés par les proverbes malgaches. Jusqu'à la fin de sa vie, il travaillait encore à traduire La vie des Saints [= Tantaran'ny olo-masina isan'andro], la traduction des Lamentations de Jérémie. On peut dire aussi que les lettres qu'il a écrites à ses supérieurs canoniques ou à ses confrères ont une valeur littéraire. Les œuvres d'inspiration profane Le Frère Ismaël Norbert avançait les chiffres suivantes: 41 poèmes écrits de 2500 vers contenus dans 100 pages; 11 pièces théâtrales contenues dans 193 pages dont: - Andrianampoinimerina, Radama 1er, Radama II, rois de Madagascar; - des traductions des Fables de La Fontaine, de Telemaq... - vers l'année 1881-82, sur les instances réitérées qui lui firent faites, il écrivit une Histoire de Madagascar dont le manuscrit contenait environ 600 pages. Le travail tut remis au père De la Vaissière; - la collaboration du F. Raphaël au Dictionnaire du père Malzac est certaine; dans la préface du Dictionnaire Malgache-Français, sorti en 1888, sous les noms des pères Abinal et Malzac, le p. Malzac mentionna «l'aide de plusieurs Malgaches intelligents et connaissant bien le français»;


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- L'historique du Collège Saint Joseph d'Andohalo couvrant 500 pages manuscrites ; c'est plutôt une manière de diaire; ouvrage d’une valeur historique.

L'éducation de la jeunesse fut aussi le souci constant du Frère. Ainsi fût écrit Fanabiazana ny tanora [=L'éducation des jeunes]. Le périodique catholique malgache Ny feon'ny Marina [=La voix de la Vérité] de novembre 1913 à avril 1914 publie un long article du Frère Raphaël; Citons encore Ny fahaiza-miteny ou L'Art oratoire, une œuvre très originale qui fera certainement école. A partir du jeu national Fanorona (équivalent du jeu d'échec), il a théorisé les 21 figures de la stratégie des jeux pour établir une technique oratoire. Les communications du F. Rafîringa à l'Académie Toutes les communications faites par le Frère à l'Académie Malgache, qu'on peut trouver dans le Bulletin de l'Académie Malgache (BAM) sont d'une extrême importance, une richesse culturelle inestimable. Citons: - De l’orthographe malgache. Réflexions préliminaires, BAM, t.I, 4 (1902) 186-189; - Quelques règles d'orthographe malgache, BAM, t. II,.4(1903) 237-239; - Règles de prononciation malgache et orthographe tirée de ces règles, BAM, t. III, 1 (1904) 15-16; - Notes sur la langue malgache, BAM, t.V (1957) 51-54. En guise de conclusion, on peut dire que le Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa nous a laissé un héritage culturel immense. Sa modestie ne fait que rehausser sa valeur culturelle. Son statut d'Académicien le classait déjà parmi les Immortels. Le proverbe malgache « Volamena latsaka am-bovoka, tsy avelan 'ny soa tsy hihiratra [= tel un poudre d'or jeté dans de la poussière, sa valeur ne le laisserait pas ternir] (traduction libre) illustre ses qualités. Nous faisons nôtre les paroles de Roland Martin, auteur d’un mémoire sur le F. Rafiringa: «Qu'on nous pardonne d'avoir amputé chez le Frère Raphaël la part du divin pour n'étudier que l'homme de culture». Sources bibliographiques Roland MARTIN, Le cher Frère Raphaël-Louis Rafîringa, Université de Madagascar, Antananarivo1970; ILF & BFR, Le Frère Raphaël-Louis Raftringa.

Académicien, Ecrivain, Orateur, Traducteur, Poète, Grammairien, Linguiste, Historien, Visionnaire, édité par Imprimerie Lasallienne Faravohitra et Bureau «Frère Rafiringa», s.i.d.; Jean RABENALISOA RAVALITERA, Ny very tadiavina hita ao amin 'ny Sanganasan 'i Sefrera Raphaël-Louis Rafiringa, FLSH, Antananarivo 2008 (thèse de doctorat); J.L.C. RAMAHERY, Le C.Frère Raphaël-Louis Rafiringa, Imprimerie Catholique, Antananarivo 1994; Bulletin de l'Academie Malgache, notamment les années 1902-1904 et 1957.


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3. Homélie pour la Béatification de Raphaël-Louis Rafiringa Odon-Marie Arsène Razanakolona Archevêque d’Antananarivo Bien chers frères, En cette solennité de la Très Sainte Trinité, l’Eucharistie que nous célébrons, dans le cadre de la béatification du Frère Raphaël-Louis Rafiringa, signifie pour notre Eglise le commencement d’une action de grâce que nous rendrons au Père, au Fils et au Saint Esprit et que nous voulons incessante. A la suite du Psalmiste, nous devrions tous nous poser la même question et trouver la réponse au fond de notre cœur : « Comment rendrai-je au Seigneur tout le bien qu’Il m’a fait ? ». Chacun d’entre nous, chaque famille, chaque communauté ecclésiale, chaque association pieuse, chaque congrégation religieuse, l’Institut des Frères des Ecoles chrétiennes en particulier, la grande famille lasallienne, tous nous devrions y apporter une réponse dans le concret de notre vie: Comment rendrons-nous au Seigneur tout le bien qu’Il nous a fait ? Ceci dit, permettez-moi d’attirer votre attention sur un point qui me paraît important : quel est donc l’objectif de l’Eglise quand elle décide d’élever un serviteur de Dieu au rang des Bienheureux ? La question n’est pas anodine, car, en pareilles circonstances, ce qui se passe généralement chez nous révèle des zones d’ombres qui mérite d’être éclaircies. A Andohalo, la chapelle dédiée à la Bienheureuse Victoire Rasoamanarivo ne désemplit pratiquement pas ; de partout, les fidèles accourent à Soavimbahoaka pour se recueillir sur la tombe du Frère Raphaël-Louis Rafiringa, désormais Bienheureux. Des pèlerinages sont organisés à longueur d’année à Ambiatibe, auprès du Bienheureux Père Jacques Berthieu. Quel est le motif de cette dévotion fervente ? Nous fréquentons ces sanctuaires pour prier, pour obtenir une faveur par l’intercession du Bienheureux ou de la Bienheureuse : une guérison, la résolution d’un problème de vie qui nous tracasse, l’aboutissement d’un projet qui nous tient à cœur, etc. Or, ce faisant, ne risquons-nous pas de manquer l’essentiel ? En décidant d’élever au rang des Bienheureux un Serviteur de Dieu, l’Eglise reconnaît officiellement l’authenticité de ses vertus et par là offre à la communauté un exemple de vie à suivre. De ce point de vue, la fervente dévotion pour obtenir une faveur ne suffirait donc pas. La béatification du Cher Frère Raphaël-Louis Rafiringa signifie que l’Eglise nous présente sa vie de foi et ses vertus comme un modèle à imiter. Son témoignage de foi est une invitation adressée à tous les baptisés. Sa petite enfance a été modelée par l’influence du paganisme oppressif de son clan. Or, voilà qu’à 13 ans, il se fait baptiser. Saint Paul aux Romains, dans la deuxième lecture que nous venons d’entendre, nous explique le pourquoi : « Ceux-là qui sont conduits par l’Esprit de Dieu sont fils de Dieu ! » Le jeune Raphaël, épris de liberté, a été touché par l’Esprit de Dieu et s’est laissé conduire par Lui. Désormais, chez lui, la grâce du baptême ne sera pas vaine : elle va complètement transformer sa vie, sa perception du monde, sa manière de penser, ses façons d’agir. La foi reçue au baptême est passée dans sa vie au quotidien, et pour ainsi dire circule dans ses veines, pour appuyer


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son effort de discernement, influencer ses choix, et le pousser à l’action… Cependant tout ceci n’a pas été vécu sans difficultés : de dures épreuves vont assaillir le Frère Raphaël-Louis tout au long de sa vie : l’incompréhension de sa propre famille restée païenne, les critiques non fondées de ses adversaires, les calomnies, les menaces contre sa vie, la prison, le poids de la responsabilité qui lui a été confiée à chaque départ des missionnaires… Mais il est resté ferme et tenace, grâce à sa foi inébranlable : « nous qui avons part aux souffrances du Christ, nous rappelle Saint Paul, nous aurons part aussi à sa gloire ». Aujourd’hui, le Bienheureux Frère Raphaël Louis Rafiringa est salué comme l’une des grandes figures de notre Pays : sûrement en raison de son patriotisme exemplaire, de son remarquable érudition − il était un des premiers autochtones membres de l’Académie Malgache −, de ses talents oratoire et poétique, de ses qualités exceptionnelles d’éducateur… Or malgré cette riche personnalité, il a su donner à ses engagements l’unité et la cohérence que sa vie religieuse requiert. Ainsi, le Frère Raphaël Louis ne serait pas poète si sa muse n’était pas sa propre foi ; il ne se serait pas distingué dans la maîtrise de la langue malgache et française si la mise en œuvre de sa foi ne l’exigeait pas de lui ; les cinq talents qu’il a reçus, il ne les a pas cachés sous terre, mais les a fait fructifier pour en gagner cinq autres ! L’héroïsme du Bienheureux Raphaël-Louis Rafiringa, c’est son intransigeance et sa loyauté vis-à-vis de sa profession religieuse, sa générosité et sa détermination à accomplir coûte que coûte, en digne fils de Saint Jean-Baptiste de La Salle, la mission que le charisme de l’Institut lui a confié. Son héroïsme c’est d’être un citoyen, un homme d’Eglise et un chrétien responsable ! C’est donc cette foi éclairée vécue simplement au quotidien qui nous est donné en exemple. Une foi qui a transformé l’homme, qui a transformé son milieu et qui, au bout du compte, lui a valu d’être élevé au rang des Bienheureux ! Mais je voudrais m’adresser aussi aux jeunes de ce pays : levez vos yeux et contemplez ce nouveau Bienheureux : le Frère Raphaël-Louis Rafiringa ; ce saint homme vous aime ! Méditez sur sa vie et laissez-vous guider par son enseignement et son exemple. Suivre ses pas vous mènera à bon port. Il se fait baptiser à 13 ans, disionsnous : ce fut déjà un choix, le choix d’un adolescent, certes, mais dans le contexte de l’époque, ce choix fut difficile. Un choix délibéré et ferme malgré tout : le jeune Raphaël a choisi de dire OUI à l’appel du Christ. Et il restera fidèle à ce OUI, jusqu’à sa mort ; il en respectera toutes les exigences ! A17 ans, il choisit de renouveler ce OUI, en répondant positivement à l’appel de Dieu, transmis à lui par le truchement du Frère Gonzalvien : un OUI libre et généreux. Fils d’un forgeron païen, désormais il se laissera forger par un fils de Saint Jean-Baptiste de La Salle, pour être en mesure d’accomplir l’œuvre de Dieu qui l’attend. Jeunes gens, méditez sur cette vie, prenez exemple sur elle : dites OUI à l’appel de l’Esprit, et gardez ceci dans votre cœur : c’est la fidélité à ce OUI qui a valu au jeune Rafiringa d’être élevé, aujourd’hui, au rang des Bienheureux ! Je lance aussi un appel pressant aux éducateurs : aux parents, aux enseignants, aux responsables d’associations et mouvements de jeunes : méditez sur la vie de cet éducateur exceptionnel. Rappelez-vous la parabole du semeur : si la terre est bonne, le grain qui y est semé pousse et produit du fruit jusqu’au centuple ! On peut dire que le jeune Raphaël était une bonne terre : il a su profiter de l’éducation qui lui a été pro-


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diguée. Ce qui n’est pas pour occulter le mérite de ses éducateurs. En effet, le jeune Raphaël était pris en mains par des éducateurs qualifiés et expérimentés, des chrétiens convaincus qui ont su illustrer leur enseignement par l’exemple de leur vie, des religieux authentiques, des missionnaires dévoués… Tels sont les Frères Gonzalvien et Ladolien : entre leurs mains expertes, le grain semé dans la bonne terre pousse et devient « un arbre où les oiseaux du ciel viennent faire leurs nids ». Le jeune Raphaël suivra l’exemple de ses propres formateurs. Quand le moment sera venu pour lui d’assumer, à son tour, le rôle d’éducateur : il ne faillira pas ; formé à la bonne école, il saura préserver toute sa vie la cohérence entre ce qu’il dit et ce qu’il fait, entre ce qu’il croit et ce qu’il vit... Et c’est cet éducateur-là qui est aujourd’hui élevé au rang des Bienheureux ! Pour terminer, je me réjouis avec tous les religieux et religieuses de notre Eglise et salue spécialement l’Institut des Frères des Ecoles Chrétiennes qui légitimement peut être fier de la béatification de l’un des leurs. Je vous exhorte à suivre les pas de ce Bienheureux aîné, vu la façon dont il a vécu son engagement religieux. Il s’est préparé avec application et ferveur à assumer l’œuvre éducative confiée aux fils de Saint Jean-Baptiste de La Salle et à acquérir l’esprit missionnaire que cela requiert, selon l’instruction reçue du Seigneur : « Allez donc : de toutes les nations faites des disciples…, leur apprenant à garder tout ce que je vous ai prescrit ». Cette consigne, le Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa l’a mise littéralement en pratique. Suivant les pas de son Saint Fondateur, il s’efforçait d’imiter le Christ en observant scrupuleusement la Règle de sa Congrégation jusque dans ses moindres détails. Vivant seul, après l’expulsion des missionnaires, il continuait à vivre comme s’il était toujours dans sa communauté : « sonnant la cloche tous les jours, au lever d’abord, et pour tout le temps des exercices de prière ». Son engagement religieux, il l’a vécu au sein de l’Eglise ; c’est la raison pour laquelle, les missionnaires, en partant ont pu lui confier la lourde mission d’assurer la survie de l’Eglise naissante. Ce OUI à cette nouvelle mission rappelle le OUI de la Vierge à l’Annonce de l’Ange. Le Bienheureux Frère Raphaël-Louis mettait entre les mains de la Mère de Jésus et Reine des Apôtres l’Eglise orpheline qui lui a été confiée. Avec la Bienheureuse Victoire, il devait comprendre l’angoisse des Disciples au lendemain de l’Ascension. Religieux/Religieuses malgaches, vous l’êtes, tout comme le Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa : prenez résolument le chemin qu’il a suivi : il vous tend la main et vous mènera vers la sainteté. Chers Frères, nous croyons à la Communion des Saints : notre pauvre Eglise militante lève le regard, avec confiance, vers ceux qui nous ont précédés : la Bienheureuse Victoire Rasoamanarivo, le Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa, le Bienheureux Jacques Berthieu ; ils sont désormais nos prémices comme laïque, comme religieux et comme prêtre et confortent notre espérance par leur triomphe. Rendons grâce au Dieu Trinité pour l’amour prodigieux qu’il témoigne ainsi en faveur de notre Eglise. Bienheureux Frère Raphaël-Louis Rafiringa, priez pour nous !

Antananarivo, 7 avril 2009.


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RivLas 76 (2009) 4, 693-703

RETAZOS LASALLIANOS (1-5)1 José María Valladolid, fsc

¿Fue o no fue hermano Adrián Nyel? [1] Adrián Nyel se encontró por primera vez con Juan Bautista de La Salle una mañana de mediados de marzo de 1679. Los dos acudían a la casa de las Hermanas del Niño Jesús, en Reims. Juan Bautista lo hacía con frecuencia. Nyel, sin embargo, acababa de llegar desde Ruán, acompañado de un jovencito llamado Cristóbal. Lo enviaba la señora Maillefer para abrir una escuela de niños en Reims, su ciudad natal. Nyel, en Ruán, estuvo encargado de supervisar las escuelas de niños que sostenía generosamente en la ciudad la citada señora Maillefer y otros bienhechores. Esas escuelas provenían de la acción apostólica del padre Nicolás Barré, religioso mínimo, que había intentado formar con los maestros una sociedad, o grupo, o comunidad, de hombres dedicados exclusivamente a educar a los niños. Lo había conseguido con los maestras que educaban a las niñas; pero al abordar la misma tarea con los maestros, no lo logró y el asunto debió de originar bastantes contrariedades. Los superiores decidieron trasladarle al convento de París y le mandaron que no se ocupara más de las escuelas. La señora Maillefer escogió a Nyel para enviarlo a Reims, casi seguro, porque era una persona decidida, que había sido testigo del proyecto del padre Barré, y que co1

L’ hno. José María Valladolid, dottore in teologia, ha prodotto una vasta serie di saggi sugli scritti e la biografia del La Salle nonché sulla storia delle istituzioni lasalliane. Per anni, come responsabile dell’Ufficio studi alla Casa Generalizia in Roma, ha diretto la collana di schede documentaristiche Lasalliana.Ultimamente ha pubblicato in Spagna un ampio studio in 3 volumi su La Salle catechista (Ed.San Pío X, Madrid). Inizia da questo numero a offrire a Rivista lasalliana una corposa serie di flash volutamente episodici - a un tempo caratteristici e a volte problematici - sulla personalità del La Salle e le sue opere, sulle vicende e i protagonisti della fondazione della Società delle scuole cristiane e su diversi aspetti più o meno noti delle successive interpretazioni storiografiche. Si tratta di sapide ‘rivisitazioni’ di pagine note e di altre meno note della sterminata bibliografia lasalliana, proposte qui in veste divulgativa e in tono familiare, ma non per questo meno documentate e attendibili. (ndr).


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nocía los pasos que él había dado. Tal vez él mismo había estado implicado en el ensayo de comunidad de maestros, y hasta parece que en aquel tiempo se llamaban, entre ellos, hermanos. El proyecto de Nyel en Reims, apoyado por La Salle, se desarrolló con rapidez. La primera escuela, en la parroquia de San Mauricio, se abrió el 15 de abril de ese año, apenas un mes después de su llegada; la segunda, la de Santiago, ocho meses después, el 2 de octubre. Las dos escuelas eran atendidas por cinco maestros, y La Salle ayudaba económicamente a su sustento, porque el dinero que daban las dos bienhechoras, la señora Maillefer y la señora Levêque no eran suficientes para pagar la pensión cobrada por el párroco de San Mauricio por alojar y alimentar a los cinco. Juan Bautista, además, se dio cuenta de que aquellos maestros (¿incluidos Nyel y Cristóbal?) tenían poca preparación para enseñar y educar a los niños, y se propuso formarlos adecuadamente para cumplir el ministerio de educadores cristianos. Y decidió también cambiar de alojamiento, para que todo resultara más barato. Alquiló una casa cercana a la suya, donde vivirían los cinco maestros, y les llevarían la comida desde su casa. En 1680, al año justo de haber comenzado con la primera escuela, Juan Bautista aprovechó la Semana Santa, del 14 al 20 de abril, para hacer con ellos una especie de retiro, en su propia casa familiar. Y produjo tal fruto, que dos meses después, el 24 de junio de 1680, c ompletó la experiencia y los llevó a comer a su casa. Pasados otros tres meses, el 3 de octubre, se abrió la tercera escuela, la de San Sinforiano, en la casa donde vivían los maestros; creció tanto que hubo que abrir dos clases. Ya eran siete los maestros. En 1781, sólo dos años después de haberse encontrado con Nyel, Juan Bautista llevó a los maestros a su casa para hacer otro retiro, en la Semana Santa, del 31 de marzo al 5 de abril. Pero sólo acudieron seis maestros, porque Nyel, que era como la cabeza de aquel grupo de maestros, se empeñó en ir a Rethel, en contra del parecer de La Salle, para abrir una escuela. Cuando regresó encontró en los maestros una mejoría evidente, y se congratuló por ello con La Salle. Éste, dos meses más tarde, se los llevó a vivir a su casa, en la calle Santa Margarita, el 24 de junio, porque ese día terminaba el alquiler de la casa vivienda de los siete maestros. Las gestiones de Nyel en Rethel no tuvieron éxito; pero en 1682 lo intentó de nuevo, y lo logró. La escuela comenzó a funcionar el 26 de febrero de 1682. Nyel se queda allí para atenderla, aunque no sabemos si buscó un maestro de la ciudad. El 14 de mayo de 1682 falleció en Reims el joven Cristóbal... Y es probable que Nyel no pudiera acudir a su entierro. Pocas semanas después se abre la escuela de Guisa, en junio de 1682, y tuvo dos clases, por lo tanto, dos maestros más; uno de ellos pudo ser el propio Nyel. En Reims, por estas mismas fechas, La Salle y los siete maestros tuvieron que dejar la casa paterna del fundador, y se instalaron en una casa alquilada, en la Calle Nueva. Esto ocurrió el 24 de junio de 1682. El mismo años de 1682, el 30 de junio, comenzó a funcionar la escuela de Château-Porcien, según dice el Fundador en su carta 111. Y en Noviembre del mismo año se abre la escuela de Laon.


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Así pues, a finales de 1682 - ¡sólo tres años y medio después del encuentro con Nyel ! - existen siete escuelas: tres en Reims, de las que se encarga Juan Bautista; otras tres fuera de Reims: en Rethel, en Guisa y en Laon, de las que se encarga Adrián Nyel. De la de Château-Porcien, los pocos meses que existió, tal vez se ocupó también La Salle, pues envió a dos de los maestros que había preparado en Reims. Para las escuelas que llevaba Nyel, él mismo buscó maestros. Varias veces pidió a La Salle, por carta, que se hiciera cargo también de aquellas tres escuelas, pero La Salle no aceptó, y le dio largas. Al acabar este año de 1682, La Salle dice que vio claro que Dios le pedía que se dedicara a la obra de las escuelas. Fue a estas alturas cuando algunos de los maestros le plantearon su preocupación por el futuro, y varios abandonaron la comunidad. Pero al comienzo de 1683 llegaron jóvenes decididos a ser maestros; La Salle los aceptó y los formó para el ministerio. Nyel seguía en la zona de Laón, y allí siguió hasta el verano de 1685, cuando comunicó a La Salle que se sentía viejo y cansado, que quería regresar a Ruán; y le pedía que se hiciese cargo de las tres escuelas, las de Rethel, Guisa y Laón. Y sin más avisos se marchó a Ruán. Por lo tanto, Nyel, desde 1682 a 1685, estuvo un tanto desligado de La Salle y de los maestros de Reims. ¡Casi tres años! Esporádicamente viajaba a Reims, pero no podía detenerse mucho, pues tenía que seguir atendiendo las escuelas, y tal vez, dando clase en una de ellas (en Laon, probablemente). En el tiempo que Nyel estuvo alejado en el Norte, La Salle tomó las decisiones importantes, como la de dejar su canonicato, la de repartir sus bienes, y la de reunir a los Hermanos (en septiembre de 1684). En esta reunión es cuando decidieron llamarse Hermanos, adoptar un hábito y seguir unos reglamentos. Es muy probable que no asistiera ninguno de los maestros de fuera de Reims, aunque no todos los biógrafos piensan así, pero no lo razonan. Consta que en 1684 Juan Bautista hizo un viaje a Rethel, llamado por el conde de Mazarino para tratar de la creación del Seminario de Maestros para el campo. Tal vez tuvo la oportunidad de hablar con Nyel de los cambios obrados en la comunidad de Reims y del nombre y vestido que habían adoptado... Pero esto no consta en ningún documento. Lo cierto es que Nyel, en su zona y en sus escuelas, no seguía con sus maestros lo decidido en Reims. Y cuando regresó a Ruán, al final del verano de 1685, La Salle tuvo que hacerse cargo de las tres escuelas. Mandó a ellas a los Hermanos de Reims, porque tenía algunos preparados para sustituir posibles bajas. Y éstos, al llegar a dichas escuelas, ya introdujeron el hábito, el nombre y las prácticas aprobadas. Pero para entonces Nyel ya no estaba con la comunidad de La Salle de Reims. Las Reglas y los votos sólo se introdujeron en 1686, cuando Nyel ya estaba en Ruán. Nyel, al regresar a Ruán, siguió con el cargo de superintendente de las escuelas, hasta su muerte, ocurrida el 31 de mayo de 1687. La Salle lo sintió profundamente y mandó celebrar servicios religiosos por su eterno descanso en las seis escuelas que dependían de él. ■


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¿Cuántos catecismos escribió el Fundador? [2] A lo largo de la Historia del Instituto no se ha prestado a los escritos del santo fundador toda la atención que merecían. Pero entre los menos estudiados están los catecismos que él compuso. Juan Bautista de La Salle compuso cinco catecismos que respondían a las diversas necesidades que tenían sus escuelas. Y a pesar de ello, los especialistas de la historia de la Catequesis ni siquiera le citan en sus obras. Es lástima, pero a nosotros, los Hermanos, corresponde poner de relieve la valiosa aportación que nuestro Fundador hizo a la catequesis. En el listado de obras del señor Juan Bautista de La Salle presentadas para la aprobación el 2 de noviembre de 1702, con el fin de publicarlos, figuran, entre otras, cinco catecismos. Son los siguientes: 1. Deberes del cristiano para con Dios y medios para cumplirlos, en texto seguido. 2. Deberes del cristiano para con Dios y medios para cumplirlos, por preguntas y

respuestas.

3. Del culto exterior y público, tercera parte de los Deberes del cristiano. 4. Compendio Mayor (a veces traducido por «Epítome Mayor») de los Deberes del

cristiano.

5. Compendio Menor («Epítome Breve») de los Deberes del cristiano. En el listado presentado para la censura, el número 1 figura en último lugar; es decir, el orden es: 2-3-4-5-1. Cada catecismo tiene su finalidad, y fueron escritos en etapas distintas. Estudiando los cinco catecismos en conjunto, parece que el primero que se escribió fue el Compendio Menor, y tiene su explicación. Los primeros maestros no sabían qué exponer en el catecismo, pues carecían de cultura religiosa. No tardarían en pedir al señor De La Salle que les diera un listado de temas que debían explicar a los niños. Él elaboraría, en forma de preguntas y respuestas, este primer Compendio de la doctrina cristiana, en el que se ve ya claramente, pero de forma muy concisa, la doctrina que el niño tiene que conocer y practicar (Deberes del cristiano y medios para practicarlos). De este Compendio Menor los maestros (y los Hermanos) habrían hecho copias manuscritas, que luego sirvieron a los niños para “repasar” el catecismo en la escuela, antes de que llegara el maestro (como dice la Regla de 1706). Con el tiempo fue sustituido por el Catecismo de la diócesis, pues muchas tenían el suyo propio. A partir del Compendio Menor se escribió el Catecismo de las Escuelas Cristianas, que es el que figura con el número 2, es decir, Los Deberes del cristiano, por preguntas y respuestas. Este Catecismo era para uso de los Hermanos, y el Director de cada casa distribuía todo su contenido por semanas, y lo exponía a vista de los Hermanos cada domingo por la tarde, para que preparasen las lecciones de catecismo de la semana (Regla de 1718). Antes de ser impreso, en 1703, tuvo que circular en forma de copias manuscritas, ya que cada Hermano necesitaba el suyo. El análisis interno de este libro induce a pensar que el Compendio Menor no es un resumen de este ca-


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tecismo, sino al contrario, que este catecismo es un desarrollo del Compendio Menor. Este libro se ha llamado tradicionalmente Deberes II. En tercer lugar, el Compendio Mayor era el que usaban los Hermanos para los catecismos «sobre los principales misterios» (Regla de 1718), que tenían que dar, durante media hora, dos veces por semana, el día de asueto y los domingos y fiestas. Va recorriendo los principales misterios de la fe y, al final, hace un resumen de los mismos. Cada uno de los misterios está bastante más desarrollado que en el Compen-

dio Menor.

En cuarto lugar, el titulado Del culto exterior y público, era el catecismo que utilizaban los Hermanos para los catecismos de los domingos y fiestas y en otras celebraciones litúrgicas a lo largo del año (Reglas de 1705 y de 1718). Era la terca parte del Catecismo de las Escuelas Cristianas, es decir de Los Deberes..., por preguntas y respuestas. Y también se compuso por preguntas y respuestas, como parte del anterior. Ha sido conocido como Deberes III. Finalmente, el último en ser compuesto fue el Deberes I, es decir, Los Deberes del cristiano... en texto seguido. Algunos han pensado que fue el primer catecismo compuesto por La Salle, y que Deberes II es un resumen de él. Comparando estos dos catecismos se comprueba que son bien diferentes, y que ninguno se deriva del otro, sino que son dos redacciones distintas; y también se puede ver que la elaboración de Deberes I es más amplia y posterior a la de Deberes II. Este libro sirvió en las Escuelas cristianas, de libro de lectura a los niños; y para los Hermanos, de «catecismo de estudio», ya que tenían cada día dos medias horas de estudio del mismo (Reglas de 1706 y de 1718). El hecho de estar redactado en texto seguido y que fuera una excelente síntesis de la doctrina cristiana, hizo que muchos párrocos los recomendaran a sus feligreses. Por eso se extendió, como libro de formación religiosa, prácticamente por toda Francia, hasta el punto de alcanzar 301 ediciones en los siglos XVII y XVIII. Algunos estudiosos del Santo han considerado también como catecismos otros libritos escritos por el fundador, como las Instrucciones y oraciones para la santa Misa, la Confesión y la Comunión, porque están redactados, en buena parte, por preguntas y respuestas. Pero no tratan de toda la doctrina cristiana, sino de unos sacramentos muy concretos, y por eso no los incluimos entre los Catecismos, sino entre los libros de piedad. ■

¿Qué fue de Cristóbal, el joven acompañante de Nyel? [3] Todas las biografías del Fundador nos hablan de aquel día de marzo, hacia la mitad de la cuaresma de 1679, en que La Salle se encontraba a punto de entrar en casa de las Hermanas del Niño Jesús, en Reims, en la calle Barbâtre. En ese momento, precisamente, llegaban también dos forasteros, con cara de haber caminado durante la


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noche. Uno de ellos era Adrián Nyel, persona madura, de 55 años; el otro, un muchacho de unos catorce años, a quien Nyel quería emplearlo como maestro ayudante en la escuela que deseaba abrir en Reims. Nadie nos ha dado el nombre de este jovencito, pero el hno.Yves Poutet ha deducido que se llamaba Cristóbal. ¿Cómo lo ha conseguido saber? Indagando entre los fallecidos en la residencia donde vivían los maestros de La Salle. Se ha encontrado el acta de defunción de una persona, firmada por el párroco de San Sinforiano, el abate Gonel, que dice así: «14 de mayo de 1682, Cristóbal, maestro, en la casa del señor de La Salle, fallecido el día de ayer» (este acta puede verse en el Cahier lasallien 26, p. 189). Los maestros, en aquella fecha, residían en la casa de Juan Bautista de La Salle, en la calle Santa Margarita, a donde les había llevado el 24 de junio de 1681. Era la tercera residencia de los maestros, y el joven Cristóbal vivió en las tres. Desde abril de 1679 hasta finales de ese año habían residido en la casa de la parroquia de San Mauricio, del párroco señor Dorigny. Desde comienzos de 1680 hasta el 24 de junio de 1681 vivieron en una casa alquilada por La Salle, en la cual se juntaron, al comienzo, cuatro maestros, y luego otro más; es decir, cinco: dos de la escuela de San Mauricio y tres de la escuela de Santiago. Estando en esta casa se abrió la tercera escuela, la de San Sinforiano, y estaba cerca de las murallas, y se añadieron otros dos maestros. ¡Ya eran siete! Cristóbal, cuando llegó a Reims acompañando a Nyel, era un adolescente. ¿Cómo podía éste pensar en encomendarle una clase de la escuela que proyectaba. Lo probable es que Nyel, que ya venía preparando su viaje desde septiembre de 1678, y tal vez antes, pensaba en una escuela con una sola clase, y que él sería el maestro. Y, por si necesitaba alguna ayuda, antes de ponerse en camino escogió a uno de los niños del hospicio, del cual dependían las escuelas que él supervisaba en Ruan. Era probablemente un muchacho abandonado por la familia o huérfano de ambos padres. De esa forma trataba de ayudar a un adolescente del hospicio a que se ganase la vida. Esta suposición, propuesta por Poutet, explica que en el acta de defunción no figure ningún apellido, como si se tratara de un “expósito”. Pues bien, este muchacho, al abrirse la primera escuela, en San Mauricio, y hallarse en la necesidad de hacer dos grupos con los niños, tuvo que encargarse de uno de ellos. Él, con el señor Nyel, eran los dos maestros que la atendían. Con el dinero que abonaba la señora Maillefer y una corta pensión que Nyel había arreglado en Ruán, podrían vivir los dos. Por eso el joven vivió con Nyel en la casa de la parroquia de San Mauricio hasta octubre de 1679; y desde esta fecha, con otros dos maestros, que atendían la escuela de Santiago; poco después (¿noviembre o diciembre?) se les unió un tercer maestro para esta escuela; y ya eran cinco. Había que aumentar la pensión que se pagaba al señor Dorigny, y faltaba dinero. La Salle se comprometió a buscarlo o a ponerlo de su bolsillo. Pero La Salle calculó (los biógrafos dicen «que hacia la fiesta de San Nicolás», que es el 6 de diciembre) que, con ese importe por los cinco, podían pagar una casa, y pasarles la comida de su propia cocina. De ese modo, ahorrarían dinero; y así lo hizo.


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Pero cuando los instaló en esa nueva residencia, por Navidad, se abrió, - los biógrafos dicen que por sugerencia de Noel - la tercera escuela, la de San Sinforiano; hubo que añadir otros dos maestros, cuya pensión no se sabe de dónde venía. Pero ya eran siete las personas que convivían en aquella casa. La Salle se fue dando cuenta de la vida desordenada que llevaban, y les propuso adoptar un reglamento muy elemental: hora de levantarse, de la oración, de la clase, de la comida, de preparar la escuela, de acostarse... y ellos lo aceptaron de buena gana... Cuando el 24 de junio de 1681 dejó la casa alquilada y decidió llevar a los siete maestros a vivir a su casa, la vida de aquellas personas ya estaba un poco regulada. Y el joven Cristóbal era uno de ellos. Aquellos siete maestros convivían con Juan Bautista y con tres de sus hermanos: Juan Luis, Pedro y Juan Remigio. Juan Luis y Pedro eran más o menos de su edad, ya que habían nacido en 1664 y 1666; y Cristóbal, al parecer, hacia 1664. Pero la vida del joven Cristóbal acabó pronto. Ya hemos dicho que murió el 14 de mayo de 1682. En la casa de la calle Santa Margarita sólo vivió once meses, y con Pedro y con Juan Remigio de La Salle tal vez no llegó a vivir más que dos o tres meses, pues el Consejo de familia los alejó, por la fuerza, de Juan Bautista. Juan Luis fue el único hermano que se opuso a abandonar a su hermano Juan Bautista y se quedó en aquella casa. De la partida de defunción de Cristóbal no se deduce la causa de la muerte. Pero sí se entiende que era el acompañante de Nyel, porque en aquella casa el último fallecimiento fue el de Luis de La Salle, el 9 de abril de 1672. En 1682, ¿quién otro pudo fallecer en aquella casa, si no era uno de los maestros que acompañaban a Juan Bautista de La Salle? Queda por indicar una circunstancia. Por las fechas en que falleció Cristóbal, el señor Nyel estaba de viaje por la zona de Rethel y de Guisa, ocupado en las escuelas de aquellas ciudades. Lo más probable es que no pudiera asistir al entierro de su joven protegido, sobre todo si no hubo posibilidad de avisarle con urgencia de la enfermedad del joven maestro. ■

¿Por que salió Juan Bautista de la Salle de la casa familiar? [4] Todas las biografías de san Juan Bautista de La Salle nos dicen la fecha exacta en que el santo salió de su casa paterna y se fue a vivir, con los maestros de sus escuelas, a una casa alquilada, en la calle Nueva. Fue el 24 de junio de 1682, y hacen notar que era el día de san Juan Bautista, su santo patrono. Habían estado viviendo juntos desde el 24 de junio de 1681. En esa fecha de cada año, terminaban y comenzaban, por lo general, los contratos de alquiler de las casas, de las tierras, y de otros bienes. Por eso, también terminó ese día el contrato de alquiler que Juan Bautista había firmado por Navidad de 1679, con validez por dieciocho meses, es decir hasta el 24 de junio de 1681, de una casa


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cercana a la suya. En ella tuvo alojados a los maestros que atendían, en aquel momento, las escuelas de Reims; primero fueron cinco maestros, luego siete. Según lo dicho, y aunque el 24 de junio era, efectivamente la fiesta de su santo patrono, la fecha no tenía otro significado especial. Al terminar el contrato de la casa alquilada, el 24 de junio de 1681, Juan Bautista se llevó a los maestros a su casa. Era la casa paterna, situada en la calle de Santa Margarita, que había sido comprada por el padre del santo en 1663, cuando Juan Bautista tenía 12 años. Hasta entonces habían vivido en una parte del «Hotel de la Cloche». Al morir el padre, Luis de La Salle, el 9 de abril de 1672, todos sus bienes quedaron como herencia conjunta para los siete hijos que vivían. Juan Bautista fue el tutor de todos ellos, aunque vivieran en sitios diversos: Rosa y Santiago José, en sus conventos; María, con su esposo, con quien había contraído matrimonio el 20 de marzo de 1679; Juan Remigio, con su abuela; y Juan Luis y Pedro, con Juan Bautista en la casa paterna. Los tres hermanos que vivían en la casa pagaban al fondo familiar un alquiler anual de 250 libras anuales. Era una renta muy módica, casi simbólica. Pues bien, todo marchaba sin dificultades hasta que Juan Bautista comenzó a admitir a los maestros en su casa, para las comidas, a partir de la Semana Santa de 1681. El revuelo entre los familiares fue tal, que reunieron el consejo de familia y no ocultaron su disgusto a Juan Bautista. Y así, antes incluso de que los maestros fueran a vivir con Juan Bautista y sus hermanos, ya habían hablado y decidido que Juan Bautista, como tutor, vendiera, en pública subasta, todos los bienes de la herencia, y que el dinero se distribuyera entre los hermanos. No llegaron a un acuerdo y, en consecuencia, el matrimonio Juan Maillefer y María de La Salle, cuñado y hermana, respectivamente, del santo, lo llevaron a los tribunales. La notificación del juicio le llegaba a Juan Bautista el 8 de enero de 1681. En esa fecha los maestros todavía no iban a comer a su casa, y además faltaban seis meses para que se decidiera a llevarlos a vivir en la casa paterna. El 30 de enero de 1681 se dictaba una orden nombrando expertos jurados para el juicio. El 28 de agosto los expertos presentaban el acta y se decidía que todos los bienes de la herencia fueran vendidos. Los demandantes y el demandado tenían un plazo para presentar alegaciones, pero Juan Bautista no presentó ninguna. Así pues, el 15 de marzo de 1682 se confirmó la decisión del 28 de agosto, y se enumeraban las propiedades que deberían ser vendidas. Pero ya antes de esa fecha, el 30 de marzo, se había anunciado la subasta mediante carteles fijados en diversas iglesias y en el juzgado. El 19 de abril se anunciaba en la parroquia de San Sinforiano, a la que pertenecía la casa de la calle de Santa Margarita. El 24 de abril se tasó el precio de la casa, por una suma de 6.000 libras. Luis de La Salle y su esposa Nicolasa Moët la habían comprado por 7.600. Cuando se inició la subasta de la casa, Juan Maillefer quiso comprarla, y ofertó 8.000 libras. Nicolás Lespagnol, tío de Juan Bautista, subió hasta 8.800 libras. Juan Maillefer aumentó a 9.000, y Nicolás Lespagnol, a 9.150 libras. De nuevo Juan Maillefer subía a 9.400, y entonces Juan Bautista, por medio de su procurador, Graillet, ofreció 9.500 libras. Nadie lo superó, y la subasta quedó aplazada a la semana siguiente.


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El 10 de julio de 1682, Juan Bautista, por medio de su procurador, ofreció 9.700 libras. Pero el procurador del señor Francisco Favart subió a 9.900, y Juan Maillefer, a 10.000. Aquel día nadie superó esa oferta. El 24 de julio Juan Bautista y Juan Maillefer oyeron la última oferta, que era de 10.025 libras, presentada por Francisco Favart, a través de su procurador Raulet. Fue la última oferta, y ponía como cláusula que Juan Bautista podía continuar en la casa hasta el día de Navidad de 1682. El señor Favart fue el adjudicatario y el 27 de julio hicieron los trámites de venta y compra ante la autoridad judicial. Con las otras ventas realizadas de forma paralela, campos, viñas, etc., la suma total que recibía La Salle era de 16.073 libras, que se dividieron en cinco partes, ya que dos hermanos, Rosa y Santiago José, al ser miembros de órdenes con votos solemnes, no podían recibirlo. Todo esto ocurría en el mes de julio de 1682, pero Juan Bautista ya había abandonado la casa el 24 de junio. ¿Por qué? Al ver el sesgo de las cosas, y los impedimentos que le ponían para que se quedara con la casa de sus padres, después de consultarlo y de orar mucho, decidió dar el paso que Dios le pedía y que el padre Barré le había sugerido: cortar los lazos familiares e irse a vivir con los maestros. Por eso, habiendo encontrado una casa adecuada en la calle Nueva, fue sacando poco a poco sus muebles personales y los trasladó a la nueva casa alquilada, de manera que no necesitó aprovecharse de la cláusula que le permitía seguir hasta Navidad de 1682. Él, con gran dolor de su corazón, dejó la casa. Probablemente se hizo cargo de ella Juan Maillefer, hasta la navidad de 1682. Si Juan Bautista dejó la casa, no fue porque no quisiera quedarse en ella, sino porque la familia le obligó a venderla y a repartir la herencia. Y Juan Maillefer, que también hubiera deseado comprarla, vio que otra persona, ajena a la familia, adquiría la propiedad de la casa donde habían fallecido los padres de su esposa, María de La Salle. Todo este jaleo de familia los primeros biógrafos lo desconocieron, y por eso no hablan de ello. Han sido las investigaciones del Hno. Luis Aroz las que sacaron a la luz todos los documentos que lo atestiguan, y muchos otros datos que hemos omitido. [Quien desee informarse lo puede encontrar en el Cahier lasallien 52, a partir de la página 21]. ■

La muerte del Hno. L’Heureux y la laicalidad del Instituto [5] Dos de los tres primeros biógrafos del santo fundador, Maillefer y Blain, hablan de este asunto como de algo que se ha transmitido de manera estereotipada. La forma en que abordan este asunto da la impresión de lo tenían preparado de antemano, como si ya estuviera escrito en un guión del que no debieran apartarse. Eso induce a pensar que uno o varios Hermanos cercanos al fundador recibió o recibieron el mensaje y tuvieron mucho cuidado de que se transmitiese fielmente a la posteridad.


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El hecho fue como sigue. El Fundador había trasladado al hno Enrique l’Heureux de Reims a París para que siguiera en La Sorbona el segundo curso de teología, ya que el primero lo había seguido en Reims. El traslado, además, tenía como objeto que fuera, al mismo tiempo el superior de la casa de París y atendiese a los postulantes. El objetivo de que estudiara teología era que se pudiera ordenar de sacerdote y que fuera su sucesor en el gobierno del Instituto. Pero sólo tres meses después de comenzado el curso 1689-1690, hacia mediados de diciembre, La Salle viajó, a pie, de París a Reims, y llegó muy debilitado. Pocos días después de llegar a Reims le avisaron, en cartas sucesivas, de que el Hermano Enrique estaba enfermo; luego de que estaba grave; después, de que estaba a punto de morir... Esto debía de ocurrir ya hacia finales de diciembre, en plenas navidades, y el fundador, aún no repuesto de su viaje, se puso de nuevo en camino hacia París, también a pie, con la esperanza de encontrar con vida al Hermano Enrique. Cuando llegó, en los primeros días de enero, el Hermano Enrique llevaba ya dos días sepultado. El santo sintió su muerte de tal manera que se le escaparon unas lágrimas... aunque en seguida se repuso. La consecuencia de este hecho, según han transmitido los biógrafos, y tal como ha quedado recogida en la Regla (R. de 1705, 2, manuscrito hoja 2v) es que los miembros de este Instituto «no podrán ser sacerdotes ni aspirar al estado eclesiástico, ni siquiera cantar ni llevar roquete, ni ejercer ninguna función en la iglesia». Los biógrafos aseguran que esta decisión del fundador fue una especie de inspiración, y que se lo comunicó a algunos Hermanos. De donde se deriva que la muerte del Hermano L’Heureux fue considerada por La Salle como un aviso del cielo, y que el hecho de haber truncado la Providencia el itinerario del Hermano hacia el sacerdocio indicaba que ninguno de los Hermanos debía recibir la ordenación sacerdotal. La interpretación parece demasiado simple, pero las circunstancias que rodearon al hecho de la muerte y la decisión del santo nos permiten ir bastante más lejos. Para corroborarlo hagamos un breve calendario de lo acontecido. - En 1683 (sólo cuatro años después del encuentro con Adrián Nyel), La Salle cedió la canonjía. - En 1684 los maestros se dieron unas Reglas, adoptaron el nombre de Hermanos y vistieron de forma peculiar. - En 1684 y 1685 La Salle distribuyó todos sus bienes a los pobres. - En 1686 Adrián Nyel dejó las escuelas de Rethel, Guisa y Laón en manos de La Salle y él se retiró a Ruán. El día de la Santísima Trinidad los Hermanos emitieron voto de obediencia por un año. En septiembre de este mismo año La Salle propuso a los Hermanos que designaran un superior, y salió elegido el Hermano Enrique L’Heureux. A las pocas semanas, probablemente en octubre, La Salle fue repuesto como superior por las autoridades diocesanas. El motivo fue que el Hermano Enrique «no tenía carácter sacerdotal». Esto indujo a La Salle a disponer las cosas para que ese Hermano recibiera el sacerdocio. - 1687-1688: el Hermano Enrique l’Heureux estudia el primer año de teología en San Dionisio, en Reims. - 1688: a finales de febrero La Salle y dos Hermanos llegan a París para dar escuela en la parroquia de San Sulpicio.


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- 1689-1690: en el verano de 1690 el Hermano Enrique es trasladado a París, seguramente para ser superior de la comunidad, para atender a los postulantes y para acabar la teología. - 1690: en diciembre, se pone enfermo el Hno. Enrique y fallece en los primeros días de 1691. Todos estos sucesos señalan claramente el designio de La Salle, de contar lo antes posible con un sacerdote que pudiera hacerse cargo del gobierno de «la comunidad de Hermanos» y sustituirle a él en el cargo. Pero de pronto sus planes se deshacen, y es cuando se le presenta la perplejidad: ¿tienen o no tienen que ser sacerdotes los Hermanos? Y su respuesta es que no. ¿Por qué? Dos dimensiones del ministerio en la comunidad de Hermanos: por un lado, él tenía bien claro que los Hermanos, como maestros cristianos, no necesitaban el sacerdocio, porque el ministerio de la educación cristiana era propio de los laicos, es decir, de los simples fieles; por lo tanto en esta dimensión no se presentaba el problema. Nunca se lo había planteado, pues lo veía muy claro. Pero por otro lado, su duda se centró en si tenía que haber algún sacerdote para poder ejercer el «ministerio de gobierno» del Instituto. Y fue en esta otra dimensión donde encontró una señal providencial en la pérdida de su discípulo más querido. Tradicionalmente, en el Instituto se ha considerado que la norma de no ser sacerdotes, en las dos dimensiones, la del ministerio educativo y la del ministerio de gobierno, emanaban del mismo hecho providencial: la muerte del Hermano Enrique l’Heureux. Mi interpretación, sobre todo después de haber estudiado en mi tesis el ministerio educativo en La Salle y en los Hermanos, en cuanto catequistas, es que el Fundador tuvo siempre muy claro que sus discípulos, como educadores, no deberían ser sacerdotes, y ellos, por una razón muy clara y sencilla: porque el sacerdocio no les era necesario para ejercer tal ministerio. Y fue en la otra dimensión, la del gobierno, donde Juan Bautista de La Salle se arriesgó, lleno de fe, para introducir en la vida religiosa una práctica hasta entonces no sólo inexistente, sino incluso impensada. Y al mismo tiempo que innovador en la vida religiosa, revalorizó el carácter laical del cristiano consagrado para asumir el ministerio del gobierno. ■ *** Proximos retazos (6-10) :

- Cómo renovaban los votos los primeros Hermanos - ¿Pretendió La Salle fundar un “Instituto secular”? - Cuando La Salle se marchó al Sur ¿pensaba desprenderse del cargo de superior? - ¿Tuvo La Salle una crisis vocacional después de la muerte de sus padres? - Tres innovaciones geniales de Juan Bautista de la Salle



LASALLIANA

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Cronache dal mondo lasalliano International Lasallian News

FRANCE / Yves Poutet FSC, historien des origines lasalliennes

N

otre confrère Yves Poutet est né le 2 octobre 1920, à Périgueux: c’est la fidélité à sa ville natale qui l’amènera à publier une étude fouillée sur la formation première de Léon Bloy chez les Frères (reprise en Cahiers lasalliens 44). Il a vécu son enfance à Limoges, près de la cathédrale: à sa demande, l’un de ses frères a assuré l’entretien des tombes des Frères de la ville, dont le dernier a été enterré en 1902. Là encore, fidélité à ses origines comme beaucoup de jeunes de l’Ouest de la France qui désirent, dans les années 30, devenir Frères, c’est à Guernesey qu’il fait en 1935 son petit noviciat et, en 1936, à Douvres son noviciat, où il devient le Frère Calixte François: il y fera aussi 2 ans de scolasticat. Vite se manifestent ses capacités pour l’étude et la recherche érudite, ce qui le fera retourner plusieurs fois au scolasticat, à Nantes puis à Talence (Bordeaux), à la fois pour y enseigner et pour poursuivre ses études. A la fin de la guerre, il fait un an de service militaire ; et il enseigne dans plusieurs écoles à Fougères, à Nantes et à Angers. Professeur d’histoire au scolasticat de Talence, il apprend à ses élèves à structurer leurs travaux en « causes, faits, conséquences », ce qui oblige à chercher les tenants et les aboutissants, l’avant et l’après, de chaque moment historique. Il ne craint pas de heurter les idées reçues, par souci de rigueur intellectuelle: sur la question de la laïcité, celle du catéchisme, celle de l’enseignement catholique… 1956 marque un tournant dans sa vie, avec le Second Noviciat à Rome : c’est là qu’il mûrit, au contact du Frère Maurice-Auguste Hermans, l’ambition de préparer un doctorat ès Lettres sur l’action et les écrits de notre Fondateur. Commence alors une immense collecte de tout ce qui permet de connaître l’époque et les milieux où a vécu Jean-Baptiste de La Salle, ainsi que les influences qui l’ont marqué ou qu’il n’a pas suivies. Cela aboutira à une thèse magistrale dont il publiera les deux premières parties (785 et 445 pages) à Rennes en 1970 sous le titre : Le XVIIe siècle et les origi-

nes lasalliennes. Recherches sur la genèse de l’œuvre scolaire et religieuse de JeanBaptiste de La Salle (1651-1719). Et comme il reçoit une aide du CNRS (Centre na-

tional de recherches scientifiques) pour continuer sa publication par l’étude du rayonnement de Jean-Baptiste de La Salle, il conserve cet argent qu’il remettra scrupuleusement aux ‘Etudes lasalliennes’ en 1999, lorsque seront publiés les Cahiers Lasalliens n° 43 et 44, qui reprennent des articles correspondant un peu à l’objet de cette troisième partie de sa thèse. Avant de passer à la présentation de ses travaux historiques, il faut noter que, travaillant au CNRS, il a accepté un jour de perdre son poste


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pour prendre la direction d’un lycée technique que son Frère Provincial lui demandait de prendre: fidélité à son Institut. Ses travaux auront surtout été des recherches érudites. C’est à partir de 1960 que le Frère Poutet commence à publier des articles dans les bulletins de Sociétés savantes, dans des Encyclopédies et des Dictionnaires réputés, voire dans les journaux des villes où il vient faire des recherches. Il fait deux séjours à Paris, rue de Sèvres (1966-68 et 1971-75), tout donné à la recherche. Sa bibliothèque devient progressivement si importante, à la fois en volume et pour son travail, que, lorsqu’il devra quitter Talence en 2005, il choisira d’aller prendre sa retraite à Caluire pour être près des Archives, où elle a été installée. Beaucoup de choses l’intéressent: les 17e et 18e siècles, dans les domaines de la vie sociale et religieuse, les conditions de vie, les structures politiques, administratives et géographiques, la spiritualité, la théologie, les écoles, la pédagogie, les catéchismes, etc. Sa bibliothèque est le témoignage de cet intérêt diversifié. Les longues recensions qu’il prépare pour des revues d’histoire des 17e et 18e siècles lui permettent de conserver les livres qui lui sont envoyés; il se tient ainsi au courant des idées et des recherches les plus actuelles, et il établit des liens avec ses propres recherches; son fichier personnel doit bien contenir 13.000 fiches. Il contribue, par des articles, à des revues spécialisées du Canada francophone, comme Les Cahiers de l’Oratoire Saint-Joseph. C’est de là que sortira le livre, publié à Montréal (1992), La dévotion à St Joseph chez les Frères des Ecoles chrétiennes: 1680-1898. Il fait aussi une vulgarisation solide avec le Frère Pungier – Un éducateur et un saint aux prises avec la société de son temps (¹1981, Bordeaux, Slepa ; ²1987 Paris, CLF). Des recueils de ses écrits consacrés à Jean-Baptiste de La Salle et à certains de ses contemporains, sont repris dans le Cahier Lasallien 48 Jean-Baptiste de La Salle aux prises avec son temps (1988, 362 pp.), où il fait la démonstration en règle que Jacques de Batencour est l’auteur de l’Escole paroissiale. Les CL 43 et 44, sous le titre Originalité et influence de saint Jean-Baptiste de La Salle (1999, 310+463 pp.) regroupent encore des études, l’un sur des précurseurs et des contemporains, et l’autre sur la formation à la piété et le rayonnement postérieur de son œuvre. Quant au CL 56, consacré à Charles Démia (1637-1689) et à son Journal de 1685-1689 (1994), c’est un patient déchiffrage avec les clés pour en mesurer la portée précise. C’est que le Frère Poutet a mis ses connaissances historiques au service, non seulement des Frères des Ecoles chrétiennes, mais aussi de Congrégations de Sœurs fondées au 17e siècle: les Sœurs de saint Charles de Lyon (Charles Démia), les Sœurs de l’Enfant Jésus de Rouen (Nicolas Barré), les Sœurs de l’Enfant Jésus de Reims (Nicolas Roland, dont il a mené l’enquête historique en vue du procès de béatification), les Sœurs de Thérèse Couderc, les Sœurs bénédictines du saint-Sacrement. Ne négligeons toutefois pas les 30 années (1975-2005) passées à Talence, archiviste de l’établissement (Saint-Genès) qui a pris la suite du scolasticat. Ses archives ne sont pas une prison dans laquelle il s’enferme: il participe à de nombreux congrès, il reste en contact avec beaucoup de Sociétés savantes et nombre de Congrégations. Le Frère Michel Sauvage, dès qu’il est devenu Régional, lui a confié le suivi des bibliothèques des maisons de Frères (il est vrai que peu de Directeurs l’ont appelé à temps quand il était question de supprimer celle de leur maison!). Surtout, sa présence le jour (et une partie de la nuit) dans ses archives lui permet d’assurer une permanence d’écoute pour une association d’aide aux femmes enceintes qui veulent échapper à la


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pression de leur entourage qui les pousse à avorter. C’est un service qu’il lui coûtera beaucoup de quitter pour venir à la Maison de retraite de Caluire. Ceux qui ne l’ont connu qu’en Maison de retraite n’ont peut-être vu qu’un homme déjà diminué, accueillant, certes, à ceux qui viennent le consulter pour leur travail de recherche mais un peu mystérieux pour ses confrères: « à quelles recherches peut-il bien encore vouloir se livrer?.. ». Il ne faut pas oublier qu’il a été l’un des Frères français les plus reconnus pour ses connaissances sur le XVIIe et le XVIIIe siècle, et sur l’histoire de l’Institut. Il est resté très longtemps en relation, par exemple, avec Raymond Darricau, qui a préfacé le CL 48 en soulignant combien le Frère Poutet sait allier recherche intellectuelle et démarche spirituelle. Beauchesne publie, en 1992, Saint Jean-Baptiste de La Salle, un saint du XVIIe siècle, où le Frère Poutet résume en 100 pages limpides ce que nous connaissons de la vie du Fondateur, avant de présenter ses œuvres et le culte dont il fait l’objet. Les éditions Don Bosco, en 1995, inaugure leur collection “Sciences de l’Éducation” par sa synthèse de 236 pages, Genèse et caractéristiques de la Pédagogie lasallienne, que les Frères australiens traduiront peu après pour le monde anglophone [et que notre Revue a longuement récensé, RL 1996/1, 48-54, ndr] . Le dernier travail qu’il a mené à terme est une vie de Sœur Mecthilde du Saint-Sacrement dont la cause de béatification est en cours. Ses derniers mois ont été une lutte contre la mort, nécessitant de longs séjours à l’hôpital sans que cela marque de progrès sensibles vers un mieux-être. Il s’est éteint, pacifié, au milieu de ses Frères de Caluire. Nous remercions Dieu non seulement pour ses dons intellectuels, qu’il a largement utilisés pour faire connaître notre Fondateur dans les « agoras » de notre monde – l’Université française, les Congrégations religieuses et notre Institut – et pour ses veilles attentives pour écouter et aider des femmes en difficultés; mais surtout pour sa vie de Frère, toute droite et simple, témoin de la présence aimante de Dieu en notre monde, dont le charisme de JeanBaptiste de La Salle est aujourd’hui un signe un peu plus visible grâce à lui.

F. Alain Houry, avec des notes des FF. Robert Blanchard, Lucien Flécheau et Léon Lauraire

USA/ Luke Salm, FSC, theologian of the Lasallian Spirituality

B

rother Luke Salm (1921-2009), a Doctor of Theology, Professor of Religious Studies at Manhattan College in New York City and a past president of the Catholic Theological Society of America. An elected delegate from the New York District to the 39th, 40th, and 41st General Chapters of the De La Salle Brothers, Brother Luke was engaged in making available to a wider public recent scholarly research on the life of Saint John Baptist de La Salle and the early history of the Brothers' Institute. Already published are his Beginnings: De La Salle and His Brothers (1980), Encounters: De La Salle at Parmenie (1983), and John Baptist de La Salle: The Formative Years (1989). Brother Luke has also authored biographies of Brothers Miguel, Bénilde, Mutien-Marie, Scubilion and Arnold. Probably his best


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known work which has made the Founder of the de La Salle Christian Brothers better appreciated and valued is his classic The Work Is Yours: The Life of Saint John Baptist de La Salle (1989). This work, widely acclaimed, has served not only as a source of knowledge but inspiration as well (Br.John Guasconi)

Funeral Eulogy for Brother Luke Salm

by Br.William Mann, FSC, President of the Saint Mary’s University of Minnesota In my last conversation with Luke in June, as we said goodbye with a twinkle in his eye, he recalled our teary farewell of a few years ago when, while serving as Vicar General in Rome, I had flown to New York prior to the surgery from which Luke didn’t think he’d survive. Arriving at his hospital bed on the evening before the operation to say not so much farewell, but thank you, thanks to a friend and brother, an inspiration and icon for all he had been to me personally. But thanks, also, as Vicar General, in the name of the whole Institute, for the enormous contribution he had made, for the remarkable gifts he had shared, for the countless lives he had touched not only here in the portion of God’s kingdom known as Manhattan College, but in the Institute and Lasallian Family in North America and all around the world. For me, a heart-breaking but grace-filled hospital visit where I had the privilege, in the name of all Lasallians, to thank in a personal way one of the Lasallian giants of the second half of the 20th century. To thank this delightfully human, dynamic lifeforce and vital protagonist in the awesome theological and catechetical renewal of the 1960s and in most of the principal Lasallian events and issues of our day. Not only for his participation in four General Chapters, a most uncommon occurrence, sent as a gifted representative of the New York District, but to have actually been at the General Chapter of 1966-1967 a key and significant player in crafting the Declaration of the Brother of the Christian Schools in the World Today, often joking in later years that his most significant contribution was in getting the late great Brother Michel Sauvage of France to draft a document that was shorter by hundreds of pages than anything else that Michel had ever written. Not only as someone who, after the General Chapter of 1986, shared with so many of us insights into our new Rule, but also as one who had served on the Commission that actually wrote it, contributing theological expertise and Lasallian insight to its sometimes lyrical final version. A man for the ages who attempted to help the Brothers around the world to re-vision and re-capture the passion of the Lasallian origins so that “our world so secular and broken” might glimpse Christ alive in us (Gal 2,20) and, hopefully, “fall in love with God again.” (Father Cantalamessa). It is my honor and privilege to give voice today to the gratitude of many for this man who now “shines like the stars”, shines both in the eternal presence of God and in the hearts of those “who will eternally bear witness to the great gratitude we have” for having been blessed and privileged to bask in his delightful presence (Méd.208.2).


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How fitting it is that the gospel of the Good Shepherd (Jn 10,11-18) was chosen for our liturgy today in remembrance of the life of a man who across continents and cultures and generations, by word and deed in faith and zeal, strove to reach out and draw together to welcome and include such disparate and varied elements in our Church and our Lasallian world. However, I’d like to propose an additional or alternative less pastoral more contemporary image to capture the spirit of Luke. One borrowed from theologian Michael Himes who recently proposed to a group of university professors “an image of the intellectual tradition of humanity [at our colleges and universities] as a cocktail party where every teacher works as a host, inviting new and perhaps uncomfortable guests to come and mingle with history’s greatest minds and most generous souls. ‘We have the privilege,’ he reminded the participants, ‘of helping others to love what we fell in love with ourselves.’”(America, 6-13 July 2009). Imagining Luke, disciple and follower of the Good Shepherd, who sought out and welcomed in by working the crowd as teacher or as host at a cocktail party resonates with me. Luke as brother, theologian, professor, friend, residence hall prefect inviting and entertaining, engaging and drawing out, introducing others, helping us love what he fell in love with himself, being fully and joyfully alive, sharing his passion for teaching and scholarship, for theology and brotherhood, for words and for the Word, for our Founder, the Declaration, the Rule, for being a Lasallian and a Brother “some for now and some forever.” (Br. Charles Kitson). I used to think Luke did what he did in addition to his work as College teacher and professor of theology, but I came later to realize that it was precisely from within his core as College teacher and theologian, that his giftedness emerged. It was not lost on him that, like John Baptist de La Salle, he was both theologian and gifted writer and that they shared the gifts of keen intellect, resolute tenacity, and the ability to inspire and motivate others. It was not lost on me that his theological doctoral studies and collegial experience in higher education at his beloved Manhattan College, prepared and fashioned him for the role he was called to play on the international stage. And so today, we pause to thank his family and the Manhattan College Community for sharing their brother with the world. We thank God for the gift of this giant we now mourn, who contributed so powerfully “to the general good of the Church” (Méd. 208.3), to the education of so many religious and clerics and to the formation, dignity, and empowerment of the Christian laity on college campuses and, for so many years, at the Buttimer Institute of Lasallian Studies. And we say our final thank you to Luke himself, whose very “presence brightened everything” (John O’Donohue) and whose devotion as brother, teacher, and friend inspired and taught many, not only “the road to heaven” (Méd. 208.3) but the pathway toward a more full and glorious life (Jn 10,10), beginning right here in this world and continuing with God for all eternity. Safe voyage home, Luke; and God speed on the journey. ■


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ROMA / Le nouveau Service « Recherche et Ressources Lasalliennes »

S

a finalité générale sera de contribuer à mieux connaître et faire connaître l'identité lasallienne et servir la mission des Frères et des Laïcs lasalliens. Ses objectifs concrets visent deux dimensions distinctes, sans être séparées : ■ la recherche - approfondir la connaissance de la tradition lasallienne dans ses diverses dimensions (historique, théologique, spirituelle, pédagogique…). - intensifier des liens avec les chercheurs et les lieux de recherche lasalliens. - promouvoir de nouvelles recherches, encourager la formation et la mise en route de nouveaux chercheurs, Frères et Laïcs, en particulier dans le domaine des origines. - susciter des occasions de confrontation entre chercheurs. - se soucier de la publication et de la diffusion des travaux de chercheurs. ■ les ressources - entretenir (préservation, restauration) et enrichir le patrimoine historique situé au centre de l'Institut : Archives, Musée, Bibliothèque. - en faire un outil le plus efficace possible au service de la connaissance de la tradition lasallienne. - porter le souci de la diffusion de la tradition lasallienne. C'est la contribution du Service à l'action de formation dans l'Institut en direction des Frères et des Laïcs. Lignes d’action : 1. Susciter des travaux sur les différentes dimensions de la tradition lasallienne, soit en s'appuyant sur les compétences des membres du service, soit en contactant et accompagnant des chercheurs ayant les compétences nécessaires. 2. Détecter de futurs chercheurs, Frères et Laïcs, avec une attention particulière aux Frères jeunes. 3. Organiser des séminaires, des ateliers, pour permettre des rencontres et des confrontations entre chercheurs sur des sujets déterminés. 4. Etablir des contacts et des liens avec des centres universitaires, lasalliens ou non. 5. Éditer des ouvrages à partir des travaux de chercheurs, des séminaires, et veiller à leur diffusion auprès de spécialistes mais aussi du plus large public possible. 6. En ce qui concerne les documents archivés ou les ouvrages lasalliens recueillis: - continuer à veiller à leur classement; - faciliter leur accès: information, accueil; - faire connaître leur existence et leur contenu: diffusion d'infos, courriers, visites ; - réorganiser les Archives et la Bibliothèque de la Maison généralice. 7. Organiser ou participer à la réalisation de formations pour des Frères et des Laïcs, par exemple du type SIEL (Sessions internationales d’études lasalliennes). Le Service est assisté par un Conseil international, composé du Secrétaire coordinateur, des Responsables des Départements Recherche, Archives-Bibliothèque, Musée, et des membres nommés dans les Régions de l’Institut.■


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COLOMBIA /

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Adhesión de la Universidad de La Salle a la Magna Charta Universitatum

El pasado 16 de septiembre el rector de la Universidad de La Salle de Bogotá, Hno. Carlos Gómez Restrepo, FSC, viajó a Bolonia (Italia) con el propósito de oficializar la adhesión de la misma Universidad a la Magna Charta Universitatum, en el marco de la celebración de los 20 años de la firma de este acuerdo. La Magna Charta es el resultado de una propuesta hecha en 1986 por la Universidad de Bolonia, la más antigua de las Universidades Europeas y del mundo occidental, fundada en 1088. Este documento fue elaborado en 1987 por un pequeño grupo de líderes universitarios que se habían congregado en Barcelona, entre los que se cuentan principalmente rectores y presidentes de asociaciones universitarias de los países de la Unión Europea. Dicho manuscrito fue firmado hace 20 años en Bolonia por todos los rectores de universidades a nivel mundial que se hicieron presentes en la conmemoración del 900° aniversario de la Universidad de Bolonia. En este documento se proclaman ante los Estados y ante la conciencia de los pueblos los principios fundamentales y los medios que deben sustentar en el presente y en el futuro la vocación de la universidad, los cuales redundan en el hecho de defender la autonomía universitaria, realizar una actividad docente estrechamente ligada a la actividad investigadora y permitir que la misión universitaria enmarcada dentro del saber universa! desconozca las fronteras geográficas y políticas para poder interactuar en sus conocimientos y avanzar en la búsqueda de una sociedad que se transforma y se internacionaliza [www.lasalle.edu.co]

ON LINE / Ricerca e formazione: alcuni siti web lasalliani www.lasalle.org/cil Il sito informa su finalità, curricoli e moduli della SIEL (Sessione internazionale di Studi lasalliani), programmata per l’anno 2009-2010. Testi in inglese, spagnolo e francese. http://www.bibl.ulaval.ca/ress/manscol/ F..Paul Aubin, FSC, membro del Centre interuniversitaire d’Etudes québécoises dell’Università di Laval e del Québec, offre la più esaustiva base di dati bibliografici relativi ai manuali scolastici introdotti o prodotti nel Québec dal 1765 al 1965. www.lasallian.info/doc/buttimer%2520brochure09a.pdf


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Cronache dal mondo lasalliano

L’istituto statunitense Buttimer (dal nome di Br.Charles Henry, FSC, superiore generale 1966-1976) propone da anni programmi di formazione intensiva sugli scritti del La Salle e le origini del movimento educativo lasalliano. http://www.icp.fr/fr/Organismes/Faculte-de-Sciences-Sociales-et-EconomiquesFASSE/Formations-et-diplomes/Master-Cultures-et-Societes-specialité-actioneducative-internationale-mediation-sociale-et-ouverture-intercuturelle-M1-et-M2 Il nuovo Master biennale di formazione specializzata in analisi e pedagogia interculturale, diretto in Francia dall’Institut de LaSalle (F.Nicolas Capelle, FSC), e gestito nel quadro della Facoltà di Scienze Socio-Economiche dell’Università cattolica di Parigi. www.redaccionenred.org/?p=741 Con i suoi 54 anni di servizio ininterrotto a favore dell’alfabetizzazione, educazione ed evangelizzazione delle popolazioni aymara di tutta la Bolivia, Radio San Gabriel, diretta dal F.Jaime Calderón, FSC, rimane un riferimento di primaria rilevanza nel sistema di comunicazioni dell’area rurale andina. www.lasalle.es/cel/ Sito della formazione lasalliana offerta dalla Regione Spagna-Portogallo a educatori e docenti operanti in centinaia di Centri scolastici di istruzione primaria, secondaria e superiore. www.eulasalle.com/ Sito del complesso delle istituzioni universitarie LaSalle in Madrid: il campus, le facoltà (scienze dell’educazione, scienze della salute, gestione e tecnologia, scienze della religione), le innovazioni, i progetti. www.relal.org.co/ Sito della Regione lasalliana dell’America Latina: documenti, curricoli di formazione, piani di azione pastorale scolastica e sociale


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BIBLIOTECA /1.

RivLas 76 (2009) 4, 713-728

Scienze della formazione: manuali e saggi

ANDREA AVON

La legislazione scolastica: un sistema per il servizio di istruzione Contenuti, significati e prospettive tra riforme e sfide quotidiane FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 736.

Una summa sistemica (e non solo sistematica) del sapere legislativo-organizzativo della scuola, che può sostituire senza rimpianti interi scaffali di libri monografici e di documenti stagionali usciti a valanga in questo primo decennio del nuovo secolo. Una mappa giuridica di riferimento normativo per orientarsi nella foresta di leggi e ordinanze, di riforme e controriforme, non solo per conoscere il significato delle norme ma per saper come possano essere utilizzate al meglio. Si sentiva il bisogno di discernere i fondamentali dalle incrostazioni avventizie, i principi-guida dalle opinioni, i diritti-doveri della scuola dalla retorica sui medesimi. L’opera di Avon, dirigente scolastico e docente di Legislazione scolastica all’università di Trieste, risponde a tale bisogno. E vi risponde offrendo un vigoroso e lucido quadro conoscitivo e interpretativo dell’insieme del sistema scuola, visto nelle sue componenti di struttura, nei tratti essenziali degli ordinamenti per ordini e gradi di scuola, nell’organizzazione programmata e verificata del servizio scolastico, senza dimenticare l’evoluzione recente delle normative, che vanno dai regolamenti di disciplina ai diritti della famiglia, dall’autonomia d’istituto ai criteri di valutazione, dalla gestione dei curricoli alla integrazione degli alunni stranieri, dalle competenze del collegio dei docenti ai profili della formazione iniziale e permanente degli insegnanti … Ogni sezione del trattato si conclude con un opportuno quadro cronologico delle disposizioni legislative e amministrative relative all’oggetto in questione. Un ricco e puntuale indice analitico, costruito attorno a una cinquantina di parole chiave, aiuta immediatamente a orientarsi nei temi portanti, nei sottotemi e nell’inesauribile casistica delle normative. L’affidabilità del testo sta inoltre nel fatto che è nato e maturato nella pratica della formazione universitaria dei futuri insegnanti. Il corposo volume poi è arricchito da allegati multimediali, cui possono aver accesso gli acquirenti del volume (cf. www.francoangeli.it, cliccando Biblioteca multimediale), in vista dell’aggiornamento periodico delle principali fonti normative. Uno strumento professionale ad hoc come questo non può mancare sul tavolo dei responsabili scolastici, nella sala professori, nelle segreterie degli istituti e nelle redazioni della stampa specializzata. Ma non meno utile e funzionale risulterà per gli insegnanti di primaria e secondaria che partecipano a corsi e concorsi di ogni genere e livello.

Silvana Rita Allais

FRANCO FRABBONI, GERWALD WALLNÖFER (edd.)

La Pedagogia tra sfide e utopie

FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 398. E’ saggio ogni tanto sapersi orientare nella mappa delle teorie e delle opinioni che si vanno producendo sul conto della professione che si esercita. Questo libro ha l’ambizione di offrire una bussola per chi lavora in campo educativo, a livello teorico come pratico. Ci hanno posto mano non meno di 27 esperti professionisti di scienze pedagogiche e didattiche, operanti in università italiane e tedesche. Lo spettro delle materie trattate copre l’immenso campo delle categorie dell’educazione: le sue finalità, i suoi linguaggi, le chiavi interpretative, le metodologie della ricerca. La pedagogia è qui ridefinita e declinata nei suoi aspetti classici (epistemologico, filosofico, storico-empirico, etico, evolutivo…) e prospettata nelle sue nuove frontiere (l’interculturale, la pratica clinica, i new media, l’andragogia, il plurilinguismo…), al punto da far sospettare rischi di sconfinamenti e ibridazioni. Anche un solo sguardo trasversale ai vari contributi fa saltare all’occhio la profusione enciclopedica di approcci e quasi l’enfasi compiaciuta sul


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nuovo lessico pedagogico: vi si parla, per esempio, di “pedagogia per il postmoderno” (Franco Cambi), di “educazione come ecologia umana” (Gerhard Merters), di “costruttivismo didattico orientato alla prassi” (Werner Wiater), di “nuova cultura dell’apprendimento” (Heinz Mandl),, di “ricerca educativa nel tempo di internet” (Paolo Calidoni), di “sapere plurale e della pluralità” (Franca Pinto Minerva), di “paradigma clinico applicato in educazione” (Duccio Demetrio), di “formazione dell’intelligenza connettiva” (Umberto Margiotta), di “meta-pedagogia” (Giovanni Genovesi)… Ogni approccio trova indubbiamente una sua legittimazione, resa più plausibile anche dal corredo bibliografico a volte copioso. Ogni specialista tenta di esporre al meglio la propria visione, anche se lo fa in modo per lo più autoreferenziale (sintomatico il caso di due autori italiani, Genovesi e Colicchi, che non sanno elencare in calce al proprio articolo che una dozzina di opere esclusivamente autografe…). La carenza di una qualche interlocuzione o dialettica interna tra autori appartenenti a diverse “scuole” di pensiero (e a volte persino gelosi del proprio punto di vista, assiologico o ideologico che sia) può anche risultare disorientante per il lettore meno provvisto di riferimenti alternativi. E’ la ricchezza ma anche il limite di tante opere collettanee, dove emerge più spesso l’exploit dei singoli solisti piuttosto che la sinfonia del coro. L’originalità di quest’opera sta comunque nel fatto che offre una sostanziosa silloge di contributi qualificati provenienti da due aree linguistiche assai definite, l’italiana e la tedesca appunto, dove l’intercambio culturale, proprio a causa anche della barriera linguistica, è stato storicamente meno intenso che con altre aree (per es. l’americana o la francese). Molto utile, in proposito, l’appendice bibliografica (pp. 389-396), che mette in parallelo il “Novecento della Pedagogia italiana” col “Novecento della Pedagogia tedesca”: due schede che offrono specularmente i due profili teoretici e storici del pensiero pedagogico, e che si concludono con la selezione di “venti maestri” italiani e altrettanti tedeschi, ciascuno corredato con un paio di titoli scelti tra le rispettive opere maggiori.

Silvana Rita Allais

GIOVANNI GENOVESI (ed.)

Scienza dell’educazione: oggetto e metodo FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 119.

Dizionario di Scienza dell’educazione e di Politica scolastica Lessico di base

FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 158. I due testi scritti a più mani, accomunati dalla stessa curatela e inseriti nella stessa collana editoriale (“Piste”, ovvero: Pubblicazioni Internazionali di Storia e Teoria dell’Educazione), hanno in comune anche la destinazione, in quanto si rivolgono “a tutti coloro che - studenti, ricercatori universitari, insegnanti di ogni ordine e grado in formazione e in servizio, genitori e operatori scolastici e cittadini - a qualunque titolo sono interessati ai problemi e alle sorti del sistema formativo”. In effetti si tratta di due strumenti di base - di due “usuali da consultazione” si direbbe in linguaggio tecnico - che avviano ai rudimenti del sapere pedagogico e del saper-fare amministrativo e didattico. Ambedue presuppongono un minimo di familiarità con il linguaggio à la page del gergo socio-politico-pedagogico, ma diversa è la struttura interna dei contenuti: il primo testo pretende di fare “chiarezza sui fondamentali riferimenti logici che permettono alla disciplina accademica “scienza dell’educazione” di essere una scienza” (p.8), cercando di fugare equivoci tuttora frequenti quali la confusione tra Educazione e Pedagogia, la convinzione che la Pedagogia sia una scienza pratica, l’oscillazione tra la dizione “scienza” e la dizione “scienze” dell’educazione, ecc. (p.9), il secondo, invece, si presenta come un consueto lessico di lemmi collocati in ordine alfabetico, ma suddivisi nelle due sezioni enunciate nel titolo stesso, per cui si hanno una ventina di voci in “scienza dell’educazione” e una trentina di voci attinenti la “politica scolastica”, ognuna dell’ampiezza media di due-tre pagine, fornita di rinvii alle voci viciniori o contigue (ma senza segnalazioni bibliografiche specifiche come d’uso, essendo la ‘bibliografia essenziale’ raggruppata solo in un’unica scheda finale, ma anch’essa – dettaglio che non può


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non sorprendere – ridotta a un elenco di titoli prodotti esclusivamente dai membri del gruppo redattore, anziché spaziare anche sulla più vasta letteratura scientifica in oggetto, proprio come il genere “dizionario” inviterebbe opportunamente a fare; in effetti anche all’interno dello sviluppo delle voci mancano riferimenti sostanziosi alle auctoritates in materia, salvo qualche allusione marginale a tale o tal altro nome della storia dell’educazione) . Nel primo blocco di voci ogni termine è ricostruito in base all’etimo, all’uso corrente della parola, e soprattutto alle vicende trascorse nella storia dell’educazione, per concludersi nella collocazione del concetto stesso entro la prospettiva della “Scienza dell’educazione”. Nel secondo blocco, relativo a voci inerenti alla politica scolastica, il procedimento si arricchisce di considerazioni sulle vicende politiche del sistema educativo italiano, e sui condizionamenti ideologici subìti dalla legislazione e dalla giurisprudenza corrente. Il nome della collana “Piste”, di cui fanno parte i due volumetti, ci sembra tradurre bene il senso di queste produzioni: sta a indicare a un tempo il coraggio dell’avanscoperta e l’aleatorietà dello sperimentalismo.

s.r.a.

PAOLO BIANCHINI

Educare all’obbedienza

Pedagogia e politica in Piemonte tra Antico Regime e Restaurazione SEI, Torino 2008, pp. 359.

La scuola come l’intendiamo oggi è un’invenzione ‘moderna’, nel senso dato al termine dalla periodizzazione storica. Solo a partire dai secoli XVII-XVIII, infatti, nell’Europa della prima industrializzazione l’istituzione scolastica si caratterizza come ambiente dove l’insegnamento è impartito simultaneamente a più allievi. E in quel periodo principia a realizzarsi anche una società ‘moderna’, basata sul cambiamento di rapporti tra politica e religione, che cominciano a diventare sfere separate di potere. La politica è l’azione di Stati nazionali sempre più autoreferenziali, che fondano il loro potere sull’apparato giudiziario e su quello scolastico, limitando o estromettendo ogni altro concorrente. Il trapasso avviene per gradi e in modo geograficamente disomogeneo, ma costante. Ed è interessante osservarne l’evoluzione in contesti definiti e puntigliosamente documentati come nel nostro caso, non solo per ricostruirne e capirne le vicende, ma per riuscire a comprendere come sono nate, si sono affermate o sono tramontate, le attività educative che globalmente indichiamo come ‘scuola’. La ricostruzione storica operata dal Bianchini, ricercatore di Storia dell’Educazione presso l’Università di Torino, prende in esame una trentina d’anni a cavallo tra il Sette e l’Ottocento, nel Regno di Sardegna, quando la pedagogia (termine ancora da coniare allora) fu posta al servizio della politica e ufficialmente identificata con gli interessi dello Stato. Invertendo il processo di secolarizzazione imposto alla scuola sabauda da Vittorio Amedeo II, la restaurazione in Piemonte affidò nuovamente alla Chiesa il compito di gestire e controllare l’istruzione. Al clero e agli ordini religiosi venne affidata insieme con la funzione didattica anche quella etica: la moralizzazione dei contenuti dell’insegnamento, degli insegnanti e degli allievi. Era un indirizzo seguito già dai governi che si erano succeduti tra la fine del ‘700 e i primi decenni del secolo successivo sia pure con riferimento a etiche diverse. Per i repubblicani francesi formare i cittadini era equivalso a offrire a tutti, sia pure in modo ideale, l’opportunità di partecipare alla vita pubblica e, quindi, la morale andava esercitata nei confronti della nazione e dei concittadini; per Napoleone era invece fondamentale che i giovani imparassero ad amare un potere nazionale inflessibilmente accentrato: l’imperatore e l’impero. Tornati sul trono, i Savoia dimostrarono di non possedere un loro modello educativo ben definito e si affidarono all’etica religiosa della Chiesa cattolica, salvaguardando in parte il modello scolastico ed educativo rivoluzionario - soprattutto per quanto atteneva all’istruzione elementare - ma adottando quasi per intero quello napoleonico. Limitando alla sola alfabetizzazione l’esame ampio, articolato ed esemplarmente documentato che l’a. offre delle profonde trasformazioni sul modo di intendere la scuola e l’educazione in Piemonte, appare chiaro che il debito nei confronti della politica educativa d’oltralpe risultò e-


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vidente alla fine degli anni Venti, quando, per rendere più fruttuoso l’insegnamento elementare, vennero chiamati in Piemonte i Fratelli delle scuole cristiane, veri e propri esperti in materia, ai quali già Napoleone aveva affidato buona parte delle scuole elementari in Francia. L’istruzione elementare, accessibile a tutti o quasi, nelle intenzioni di riformatori come Taparelli D’Azeglio, Balbo, Galeani Napione intendeva formare buoni cittadini e fedeli sudditi, senza però rischiare di minare le fondamenta della società, così come paventavano da sempre i nemici dell’alfabetizzazione, ovvero senza privarla di lavoratori docilmente dediti alle attività produttive più necessarie e meno gratificanti sulle quali poggiava l’economia nazionale. Solo nella seconda metà dell’Ottocento si affermerà il principio dell’istruzione obbligatoria che, in Piemonte, nel periodo qui preso in considerazione - tra la Restaurazione e il primo Risorgimento passa dalla definizione di ‘opportuna e utile’ a quella di ‘necessaria’. Nei trent’anni presi in esame, educare all’obbedienza significò quindi porre a fondamento dell’insegnamento l’etica dei doveri verso l’autorità costituita (e fu un ritorno al passato); la didattica invece, per merito delle congregazioni insegnanti - prima fra tutte quella lasalliana - raggiunse livelli d’eccellenza.

Marco Paolantonio

ANTONELLA NUZZACI, TERESA GRANGE (edd.)

Qualità, ricerca, didattica

Quale sistema europeo per l’istruzione superiore FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 174.

II dibattito sull'istruzione superiore continua ad essere al centro dell'interesse di studiosi e decisori politici, i quali, nella scia delle linee di cooperazione, coordinamento e convergenza dell'Unione Europea, sono spinti ad occuparsi di una università che cambia e che si proietta verso uno spazio europeo dell'istruzione e della ricerca, capace di dare forma a un progetto culturale, politico e sociale internazionale ed unitario. Il Processo di Bologna, che vede molti paesi europei impegnati a lavorare in un'ottica intergovernativa su obiettivi transnazionali, tenta di connettere e far convergere i diversi sistemi della ricerca e dell'insegnamento superiore entro un quadro comune (sistema basato su tre cicli, titoli comparabili, aumento della mobilità ecc.) affinché l'università possa contribuire attivamente al percorso di costruzione di un'identità europea riconoscibile e ai processi di incremento della coesione sociale. Il presente volume si concentra sul caso italiano per meglio cogliere, sul piano degli strumenti culturali e amministrativi, quei fondamenti che ne hanno determinato i mutamenti strutturali, quelle scelte che hanno portato il Paese a condividere con altre nazioni una riforma volta al progressivo miglioramento della qualità e dell'efficacia dei sistemi dell'istruzione superiore. Ci si è proposti di esplorare in che modo le riforme intraprese nel nostro sistema universitario, collegate con il processo di convergenza delle strutture di istruzione superiore in Europa, abbiano influenzato le diverse dimensioni e le caratteristiche interne della didattica e della ricerca in Italia. I contributi riuniti nel volume prendono in esame, da prospettive differenti, il problema di che cosa significhi costruire un sistema universitario nazionale strettamente coordinato ed inserito in quello europeo, capace di mettere in rapporto tessuto civile, formazione, professionalità e ricerca. Si tratta di comprendere quale tipo di percorso abbia avviato l'istruzione superiore e quale genere di sistema stia prendendo vita, consapevoli, comunque, che tale mutamento non può che avvenire attraverso la partecipazione di tutti gli attori e di tutte le comunità scientifiche interessate se si vuole che le università sostengano tale evoluzione e agiscano in una prospettiva dì integrazione ben gestita e chiaramente deliberata. I saggi affrontano nel libro i problemi inerenti le caratteristiche costitutive e gli ordinamenti che stanno oggi configurando il nostro sistema universitario, partendo proprio da quella serie di interrogativi concernenti l’idea di università che si persegue e le difficoltà delle singole istituzioni di orientarsi e rappresentare il nuovo paradigma unitario (dall’Introduzione al volume) .


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GRAZIELLA FAVARO, LORENZO LUATTI (edd.)

L’intercultura dalla A alla Z

FrancoAngeli, Milano 2004, pp. 425.

Intercultura è termine entrato in uso nel linguaggio pedagogico in Italia alla fine degli anni Ot-

tanta, soprattutto in seguito alla trasformazione in senso multiculturale e plurilingue della scuola e dei servizi educativi, è parola dai molti significati. L'educazione interculturale significa, tra le altre cose, imparare a vivere insieme in un mondo in cui le relazioni con gli altri e l’incontro con le differenze sono sempre più 'ingredienti normali" della vita quotidiana. Per fare questo, è necessario aprire le menti dei bambini e dei ragazzi, agendo sul piano cognitivo, delle informazioni e conoscenze sul mondo; e aprirne i cuori, agendo sulla dimensione affettiva, riguardante le rappresentazioni degli altri che sono alla base degli incontri. Il testo fa il punto sul tema dell’intercultura e delle sue applicazioni nella pratica educativa e approfondisce le diverse dimensioni procedendo per parole-chiave, individuate fra quelle che sono alla base delle azioni e dei progetti educativi. Dopo avere ripercorso la storia dell'idea interculturale in Italia e in Europa, e delle sue diverse interpretazioni (nella prima parte), il libro compone il puzzle dell'intercultura, trattando (nella seconda parte) temi quali: l'accoglienza e l'integrazione degli alunni immigrati; la narrazione e l'autobiografia, la mediazione linguistica-culturale e l'apprendimento dell'Italiano come seconda lingua, gli stereotipi, le forme di razzismo e le relazioni con gli altri, l'arte come terreno privilegiato di scambio tra culture, la cittadinanza in un contesto multiculturale. Nella terza parte viene presentato un percorso esemplare di formazione interculturale, sperimentato in tre paesi europei (Belgio, Italia, Spagna), all'interno del progetto Socrates ("L'educazione interculturale: un cantiere d'Europa”) e rivolto a giovani inseriti in differenti percorsi di studio universitario. Un volume enciclopedico nel senso migliore del termine, che si raccomanda da sé a insegnanti, ricercatori, biblioteche scolastiche. JOSÉ LUIS BREA

Cultura_RAM.Mutaciones de la cultura en la era de su distribución electrónica Gedisa, Barcelona 2007, 247 páginas. Este es un libro que recomiendo a todos los docentes, pero en especial a los docentes universitarios, porque es un texto que nos hace pensar menos en el pasado y más en el presente y en la producción incondicionada del futuro. Brea propone que los nuevos lenguajes del ordenador, cambian no sólo las formas de hacer las cosas, sino la cultura en su totalidad. Cosa que ya sabíamos desde McLuhan, pero lo que realmente lo pone a uno a pensar, es la afirmación de que con las redes y los lenguajes computacionales se está privilegiando una memoria RAM o de flujo. La cultura no produce ahora una memoria de archivo, de acumulación, de documento, sino más bien, y sobre todo, una memoria de proceso, de interrelación activa y productiva de los datos (y de interconexión también de las máquinas entre las que ellos se encuentran distribuidos, en red); una memoria de programa y procesamiento y no más una memoria de archivo; una memoria red y no más una memoria documento; una memoria constelación, fábrica, y no más una memoria consigna, almacén. Su capítulo La universidad del conocimiento y las nuevas humanidades, lo deja a uno realmente sin aire. Hace un recorrido por la universidad moderna, para demostrar su desfase con la cultura de matrix [de red, de flujo, de conexiones), y vislumbra una universidad-red, o universidad del disentimiento, en la que ningún canon cerrado pueda aspirar a imponer alguna visión universal o globalizada del mundo, haciéndose al contrario posible una multiplicidad de visiones diferenciales. Plantea que esta universidad ya no se sitúa de manera prioritaria en las funciones formativas ni reproductivas, sino realmente en las productivas de nuevo conocimiento, a través de unidades nómadas y cada vez más autónomas (institutos y grupos de investigación, y todo tipo de agencias libres trans-institucionales) constituyendo una red excéntrica de centros y nodos de calidad.


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Como es obvio, detrás de ese nuevo modelo de (des)organización, rige también un nuevo modelo epistemológico, que pone el acento no en la verificación y el consenso, sino en la contrainducción disensualista como principio de funcionamiento efectivo de las lógicas de descubrimiento y hallazgo. Bajo esta perspectiva, la lógica de la investigación científica se desarrollará como búsqueda de inestabilidades y la producción del conocimiento disruptivo, a partir de la especulación efectiva en torno a las hipótesis menos probables y disensualistas. Un libro provocador, que sería bueno que lo leyeran los positivistas, los administradores de la investigación y los directivos universitarios.

Gabriel Alba

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Eventi editoriali: Zanichelli, Esd, Sei

a cura di Francesco Pistoia

1. L’Agenda sedici mesi 2008-2009, impostata con criteri diversi rispetto alla tradizionale Agenda di cui ogni anno la Zanichelli fa omaggio ai suoi affezionati sostenitori e soprattutto a docenti e a quanti operano nel campo dell’educazione, della scuola e dell’università, celebra i 150 anni di storia della Casa bolognese con una serie di servizi, di memorie, di immagini, di appunti. Federico Enriques con Castelli di carte. Zanichelli 1959-2009: una storia (Il Mulino, Bologna 2008, pp. XXX-558) racconta la storia di un’impresa, dei suoi successi e difficoltà, dei suoi rapporti col mondo della scuola e della ricerca, della sua organizzazione e dell’assetto commerciale, del suo radicarsi sull’intero territorio nazionale; illustra i “pochi criteri etici su cui si basa la casa editrice” (lealtà, sincerità, prudenza, non vergognarsi di non sapere e non aver paura di sbagliare, non essere originali a tutti i costi, essere fiduciosi e motivati, indurre fiducia e motivazione…); presenta testimonianze (Pier Francesco Bernardi, Giuseppe Giovannella, Laura Lisci, Vittorio Ornelli, Paolo Tignone); chiarisce il discorso con grafici e tabelle. Laura Lisci traccia il profilo di Rinaldo Forti, capo ufficio stampa della Zanichelli dal 1970 al 1983, improvvisamente mancato in giovane età. Lavorava “a Roma nell’ufficio di via Pietro Cossa, in Prati, che in Zanichelli era considerato un luogo mitico. Il suo ruolo in casa editrice sembrava diverso da quello degli altri, e non era del tutto chiaro a nessuno. Neanche a me, entrata in Zanichelli nel 1970, l’anno della decima edizione dello Zingarelli. Forti era uomo di vaste relazioni. Aveva rapporti costanti con le istituzioni, con i giornali, i librai, gli insegnanti, gli autori, gli editori”. Enriques introduce alla conoscenza del mondo del libro, dei suoi creatori, di funzionari, dirigenti, disegnatori, grafici, progettisti, comunicatori, giornalisti. Fondamentalmente centrato su problemi di organizzazione aziendale, il libro risulta interessante anche per insegnanti, operatori scolastici, studiosi di didattica, osservatori di fenomeni culturali e di costume. C’è nelle sue pagine anche una storia della scuola e della didattica contemporanea. Vi si parla di libri per la scuola e di libri per l’università, di aggiornamento e di formazione, di correnti culturali, di uomini di scienza. I capitoli, ordinati con criterio cronologico (dal 1960), sono arricchiti in genere di “schede” che richiamano l’attenzione su temi rilevanti: Zanichelli e Bolo-

gna - AZ Panorama: la scommessa di un’enciclopedia intelligente - La scuola media unificata Il rinnovamento della Fisica di Amaldi, Le stagioni di via Irnerio - La pubblicità fai da te del libro scolastico: il saggio - Servizio Collaborazione Insegnanti - Dalla cartolina postale agli ordigni elettronici - Oddone Belluzzi - Premi Nobel nel catalogo Zanichelli - La traduzione - Avventure di viaggio delle pellicole - I libri di architettura - La collana “Montagne” - In vacanza. Castelli di carte racconta cinquant’anni di storia con stile limpido; suscita emozioni e curiosità;

offre spunti di riflessione su società cultura e scuola; fa crescere nei lettori l’amore per le cose belle, per il libro, per i giovani, per la ricerca. Ricorda che il centenario nel 1959 fu celebrato con un catalogo storico e per i 150 anni si è pensato a un catalogo storico on-line. Nella sche-


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da dedicata all’evento si legge: “Ogni casa editrice ha un ‘catalogo’ tout court :con questo termine si intende l’elenco dei ‘libri in commercio’. A una certa età, quando le persone si abbandonano ai ricordi, orali o scritti, le case editrici preparano il loro catalogo storico, che contiene tutti i libri pubblicati con dati bibliografici (in primo luogo la data di pubblicazione) e ulteriori informazioni. La compilazione di un catalogo storico è facilitata dall’eventuale presenza di una ‘biblioteca storica’, che raccoglie tutte le opere pubblicate”. L’Agenda cui si faceva cenno facilita la lettura del libro e la consultazione del catalogo. Figure del Risorgimento, Carducci Pascoli D’Annunzio, Darwin, Feynman, Fermi, Biblioteca Scientifica, Manuali di divulgazione scientifica, Testi giuridici, Libri multimediali, Strumenti per alunni disabili, Copertine d’artista, Teatro e Cinema, Piante e fiori: temi trattati in sintesi , questi e altri, tutti espressivi di un’attività straordinaria. E non possiamo non ricordare Sturzo con le sue opere! E che dire di Italo Calvino, invitato a compilare un’antologia per la scuola media (La lettura)? Diamo a lui la parola:”Fare un’antologia è un dannato lavoro. Passo le giornate leggendo leggendo con pochissime scelte utili. Forse non ho ancora trovato il giusto metodo di lavoro: questo d’inseguire ricordi di vecchie letture è un esercizio frustrante e che assorbe un tempo infinito. Da quindici giorni lavoro solo a questo e ho messo insieme solo una dozzina di pezzi. Soprattutto il tema Racconti d’avventura si è rivelato più difficile del previsto. I racconti dei più grandi autori sono in genere troppo lunghi e a tagliarli perdono tutto…”. Ma la celebrazione dell’evento è effettuata da Zanichelli con le novità 2008-2009. Qualche titolo: Il Morandini 2009, la grande guida del cinema, compilata da Laura, Luisa e Morando Morandini, 23mila schede, con Cd-Rom; l’Atlante 2009 ; l’Atlante storico elettorale d’Italia (1861-2008); l’Atlante storico; lo Zingarelli 2009, 375mila voci tra le quali 1000 tra new entry e nuovi significati, aggiornatissimo, nuovo nella grafica, con Cd-Rom comprendente anche il Dizionario della lingua italiana di Tommaseo e Bellini, pubblicato tra il 1865 e il 1879 in 8 volumi, ora recuperato e digitalizzato. Il settore lessicografico della Zanichelli è tra i più avanzati e apprezzati. I dizionari linguistici non comprendono solo l’inglese (il Ragazzini 2009) o il francese (il Boch) o il tedesco, ma anche il russo, il romeno, il polacco, l’albanese, l’arabo, il filippino, il croato, il cinese, il turco, l’ucraino, l’esperanto… Da ricordareVocabolario ItalianoSwahili di Cavicchioni, nonché Greco antico, neogreco e italiano di Manlio Cortelazzo e Arjuna Tuzzi: un dizionario dei prestiti e dei parallelismi. Da ricordare i primi e i minidizionari per ragazzi, il dizionario su Sinonimi e contrari, sulle Sigle, sulle Parole straniere, sulle Frasi, la mail quotidiana inviata gratuitamente sulle Parole del giorno, l’Enciclopedia geografica, il Dizionario enciclopedico d’informatica, il Dizionario di mitologia e dell’antichità classica. Nella collana “Idee per insegnare” compare La matematica per il cittadino di Graziella Barozzi e collaboratori, che aiuta a studiare e a insegnare la matematica “attraverso un metodo comprensibile a tutti”, un contributo per uscire dalla crisi in cui versa l’insegnamento di questa disciplina. E se si vuole capire la situazione della scuola italiana oggi, Zanichelli interviene anche con pagine sul Pisa, Le valutazioni internazionali e la scuola italiana. Ma Zanichelli fa pure un regalo a giovani e meno giovani con i “Classici sempre in tasca” della Biblioteca italiana Zanichelli, che comprende in piccolo e simpatico formato: Dante Alighieri, Commedia; Petrarca, Canzoniere; Pirandello, Il fu Mattia Pascal - L’umorismo; Italo Svevo, La coscienza di Zeno; Tasso, La Gerusalemme liberata; Leopardi, Canti-Operette morali-Pensieri; Belli, Sonetti, nonché Il Mini Dizionario dei Proverbi a cura di P. Guazzotti e M. F. Oddera, proveniente dal Grande Dizionario (accanto al quale è opportuno collocare l’Enciclopedia degli aneddoti di Fernando Palazzi, in 3 volumi). La BIZ è diretta da Pasquale Stoppelli, che si avvale di collaboratori specialisti.

2. Il trimestrale L’Arca di San Domenico nel primo fascicolo del 2005 ricorda i vent’anni di “predicazione scritta”, i vent’anni di attività della Edizioni Studio Domenicano, ESD, di Bologna. Ed è il caso di soffermarsi un po’ sull’evento, davvero significativo e ricco di speranza. 48 pagine: articoli, servizi fotografici, dati. Un lavoro di p.Vincenzo Benetollo, che dirige la Casa sin dall’inizio. Scrive: per me “quest’attività è stata un dono e un privilegio di cui sono immensamente grato a Dio, al Dottore Angelico S. Tommaso, che è stato per tutti noi un protettore


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benevolo, ai confratelli Domenicani, che mi hanno sostenuto con il loro lavoro e i loro suggerimenti, a tutti i collaboratori e gli amici che mi hanno aiutato e consigliato”. Benetollo rivolge un particolare pensiero di gratitudine a Pietro Lippini, che considera padre delle Edizioni Studio Domenicano. Il profilo storico delle ESD è un contributo alla storia della cultura e alla storia della cultura cattolica. Le ESD hanno inizio dal testamento della Signora Pia Comini in De Vecchi che lascia ai Domenicani la Villa di via dell’Osservanza in Bologna col desiderio che essa diventi centro di cultura e di studi. Ma l’Ordine Domenicano, nato nel 1216, diffonde e difende la fede cristiana per mezzo del libro sin dalle origini. Nei conventi domenicani è sempre attiva una biblioteca e accanto ad essa una “Bottega dei libri”, laboratorio di custodia, di restauro e di duplicazione e, dopo l’invenzione della stampa, una “Stamperia S. Tommaso d’Aquino”. La soppressione degli Ordini religiosi da parte di Napoleone (1798) e da parte “del governo massonico e anticlericale dell’Italia unita” (1866) pone fine alle iniziative librarie dei Domenicani: la gran parte del patrimonio librario passa alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna. “Oggi, dopo un’interruzione di 120 anni, le Edizioni Studio Domenicano danno continuità alla ‘predicazione scritta’ iniziata nel medioevo”. Il Catalogo comprende opere di elevato valore culturale e opere monumentali. Si pensi alla Somma teologica in 35 volumi, alla Somma contro i Gentili in 3 volumi, ai Commenti di Aristotele in 6 volumi, alle Questioni disputate in 11 volumi, al Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo in 10 volumi: San Tommaso presentato in latino e in italiano agli studiosi e agli studenti. Si aggiungano le Opere di S. Tommaso in italiano: volumi dedicati alla Scrittura, alla spiritualità, a questioni filosofiche e teologiche, ordinati, tradotti, presentati con vigile attenzione. Testi sul pensiero sociale cattolico, grandi sintesi di filosofia, di teologia, di storia, manuali e dizionari, riviste, libri in Cd: un patrimonio di cultura reso accessibile a tutti da studiosi affermati: Spiazzi, Perotto, Coggi, Centi, Mondin…

3. La Società editrice internazionale, Sei, celebra 100 anni di vita (1908-2008). Ne tratta Fabio Targhetta con Serenant et illuminant (Sei, Torino 2008, pp. XIV-200, sotto la sigla100. Sapere nel tempo). L’Autore precisa in premessa che intende ricostruire un secolo di attività svolte dall’Editrice salesiana al servizio della “buona stampa” in ambito scolastico ed educativo, oltre che nei settori dell’apologetica, della saggistica, della cultura, della spiritualità, ed evidenziare i rimandi “alla complessa storia sociale, politica, scolastica ed economica del nostro Paese”. Sei densi capitoli, dal modulo lineare e scorrevole, sintetizzano le tappe di un percorso sostanziato di limpide intenzioni, spirito di intraprendenza, attenzione ai segni dei tempi. La Casa nasce come SAID, Società anonima internazionale per la diffusione della buona stampa, col contributo dei Cooperatori salesiani e sulla base di una ricca esperienza accumulata per decenni nel campo dell’organizzazione tipografico-editoriale promossa da don Bosco. Il grande santo sociale dell’Ottocento è sospinto dal progetto di una missione educativa intesa a diffondere il bene e lo spirito di ricerca della verità. Il mondo giovanile coi suoi problemi, il contesto socioeconomico che ne condiziona lo slancio, il desiderio di liberare tanti ragazzi dai pericoli della strada e dall’analfabetismo sono all’origine di un’impresa editoriale sostanziata di forte passione pastorale ed evangelizzatrice. Nel 1915 Benedetto XV fonda l’Opera nazionale della buona stampa “con lo scopo di contrastare la stampa antireligiosa e settaria”. Nel 1919 la Casa assume la denominazione di Società editrice internazionale, denominazione che ha il pregio di comprendere nell’acronimo Sei il motto della casa, Serenant et illuminant. Il successo non manca, ma si registrano pure difficoltà di non poco conto. Le pagine sulla Società tra le due guerre e sull’imperversare del fascismo o quelle sulla contestazione studentesca e su momenti di acuta tensione sono frammenti di storia viva da cogliere nell’in-sieme di un discorso che è dedicato alla scuola e alla cultura, ai giovani, ai giornali e alle riviste, al teatro e allo spettacolo. Sul piano della dirigenza aziendale emergono figure di spicco: Giuseppe Caccia, Giuseppe Pagliassotti, Aristide Micco, Francesco Meotto. Il libro è una storia della scuola: la riforma Gentile, i problemi dell’istruzione professionale e tecnico-scientifica, i profondi cambiamenti degli anni ‘50 e 60, lo sviluppo della scuola di massa, la riforma dei programmi del 1979… La ri-


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forma Gentile, pur se in parte accettata “anche in virtù di significative aperture ad alcune istanze del mondo cattolico”, non attutisce lo spirito critico dell’Editrice e degli “ambienti intellettuali di orientamento cattolico nei confronti dell’idealismo immanentista gentiliano“. Provoca, soprattutto all’inizio della sua applicazione, danni economici consistenti alle editrici scolastiche: e tuttavia queste sono costrette ad adeguarsi al nuovo clima. Un catalogo composito sostenuto da ‘un pilastro’: Piero Gribaudi, docente e studioso di geografia, autore di un manuale, L’uomo e il suo regno, che ha coinvolto generazioni di ragazzi. Gribaudi, educatore di grande statura, educa al paesaggio e all’ambiente, al viaggio, all’esplorazione, alla ricerca; è interessato a tutta la geografia: alla geografia fisica, alla geografia politica, economica, commerciale, antropica, alla didattica della geografia. I testi per la scuola sono affidati a docenti forniti di sicura competenza disciplinare e di sensibilità pedagogica, impegnati in università, in istituti salesiani, in licei statali. Antologie per le scuole medie e i corsi superiori, classici per la scuola, letture scelte per le classi elementari, libri per scuole rurali, per scuole aperte agli adulti, per biblioteche scolastiche, circolanti, popolari, parrocchiali. La Sei affida ad autori esperti del mondo dei ragazzi e dei giovani e della loro psicologia la compilazione di libri per l’insegnamento della religione e per la catechesi. L’Editrice cura i rapporti con università e centri di ricerca, con la cultura militante, con protagonisti della letteratura, della scienza, dello spettacolo, del giornalismo, coi ministeri, con enti e associazioni: e il catalogo è sempre aggiornato e all’altezza dei tempi. Per gli studenti del liceo classico la Sei stampa, e ristampa anche ai giorni nostri, il Pechenino. Con questo nome è conosciuto uno strumento di grande aiuto per i ragazzi alle prese con lavori di traduzione dal greco: è il testo Verbi e forme verbali difficili o irregolari della lingua greca , la cui prima edizione presso il tipografo torinese Sebastiano Franco risale alla metà dell’Ottocento. La letteratura per l’infanzia e la gioventù è un settore ben nutrito, ricco di opere significative: fa riferimento particolare al patrimonio salesiano preesistente, alle Letture cattoliche, alle Letture drammatiche per istituti di educazione e famiglie, alla Biblioteca della gioventù italiana, alle Storie scritte dallo stesso don Bosco. Tra gli autori più diffusi: Fanciulli, Pezzani, Visentini, Zanon Fossati, Valori, Castellino, Orsini, Tumiati… I libri per ragazzi sono illustrati. Il Percorso iconografico elaborato da Pompeo Vagliani in appendice è una storia della Sei e della cultura cui la Sei si richiama o produce attraverso le immagini. Un percorso in sei periodi, le cui immagini provengono dal Catalogo della mostra allestita dalla Fondazione Tancredi di Barolo a Torino su “Serenant et illuminant: i grandi libri illustrati per l’infanzia della Sei. 1908-2008”. Illustrati da chi? Da Enrico Canova, Giovanni Battista Carpanetto, Gech, Attilio Mussino, Mario Barberis, Carlo Chiostri, Alberto Paolo Bevilacqua… Antonio Maria Nardi, Sergio Tofano, Brunetta, Filiberto Mateldi, Luigi Meandri, Carla Ruffinelli, Sandro Lobalzo…Non mancano cenni bio-bibliografici sugli autori. Un semplice ricordo: Olga Visentini (figura di spicco per lo studio dei rapporti tra pedagogia e letteratura e il fascismo), soprattutto Ugo Mioni (18701935), sacerdote, autore di oltre 400 racconti e romanzi per ragazzi, esaltato e contrastato: “Mioni cercò un compromesso tra l’avventura esotica salgariana e una concezione religiosa alquanto tradizionale che lo portò ad un approdo sostanzialmente diffidente nei confronti del mondo moderno”. I suoi romanzi, “al di là di ogni considerazione sul loro valore intrinseco, assicurarono un buon successo di vendite alla Casa salesiana, ormai specializzatasi nella letteratura infantile, secondo quello schema che vide prevalere in questo ambito gli editori scolastici con le stesse modalità con cui, in seguito all’unità d’Italia ed all’allargamento all’intero territorio nazionale del mercato editoriale, prevalsero nell’ambito delle pubblicazioni per la scuola”. L’attenzione agli studi di lingua e letteratura italiana, l’attenzione alla cultura classica, l’impegno per una pedagogia cristiana viva e per una didattica innovativa, costituiscono non solo un capitolo fondamentale della Sei, ma la premessa appassionata e rigorosa all’intera sua azione. Si spiegano così dizionari, collezioni, commenti, saggi. E in questo clima sorge e si sviluppa con notevole successo e apprezzamento da parte di studiosi e insegnanti il discorso sui classici e sulla filosofia contemporanea. Don Antonio Cojazzi e Luigi Stefanini sono protagonisti di questo nuovo scenario. Nascono: “Filosofia e vita”, rivista di formazione filosofica e di dibattito, diretta da Francesco Tinello, con la collana Problemi teorici e morali nei classici del


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pensiero; la “Rivista dei giovani” con la Biblioteca della rivista dei giovani; la rivista “Catechesi”… e altre iniziative destinate a durare nel tempo. Il Sommario storico della filosofia dello

Stefanini, pubblicato nel 1928 e ristampato sino al 1945, è “uno dei primi manuali di filosofia a seguire lo sviluppo cronologico”. Nella collana di classici del pensiero pedagogico Letture di pedagogia esce nel 1927 il libro di Lombardo Radice La pedagogia dell’idealismo giudicata da un cattolico. E ora tre nomi: Marino Moretti (Centonovelle, Mia madre, Il romanzo della mamma, Manuali di grammatica italiana); Igino Giordani (biografie di Pio X, Pio XII, Caterina da Siena, Gesù di Nazareth); Michele Federico Sciacca. Brevi profili del poeta e narratore, dello scrittore e politico, del filosofo. Tre figure di prestigio che approdano alla Sei lavorandovi con impegno ed entusiasmo. La Sei ha il merito di sottolinearne valori e ideali. Sciacca pubblica presso la Sei, incoraggiato da don Cojazzi, Il mio itinerario a Cristo (1945), storia di una conversione, e affida all’Editrice il suo “Giornale di metafisica” e la Biblioteca del Giornale di Metafisica. Serenant et illuminant: un ottimo libro di storia, un bel romanzo. Peccato non sia corredato dell’elenco dei nomi…

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BIBLIOTECA /3.

Saggistica varia

ROBERT COMTE

Le courage de se construire. L’identité, entre don et promesse Salvator, Paris 2009, pp. 222. Depuis de nombreuses années, Robert Comte, frère des Ecoles chrétiennes, théologien et formateur d'adultes, s'intéresse intensément aux études relatives à l'identité. Son travail de formateur, exercé auprès de fidèles laïcs engagés dans les diocèses ou dans des réseaux congréganistes, l’a rendu sensible aux processus de changement qui sont à l'œuvre lorsque l'adulte entreprend une formation un peu longue et qu'il s'y laisse guider pas à pas; processus qui invitent plus ou moins rapidement à faire une plongée en soi-même; plongée qui, inévitablement, interroge les choix passés, les options ou les postures que le temps a figées; plongée qui pousse à un réaménagement des priorités, qui souligne de nouvelles solidarités, recomposant finalement un nouveau paysage personnel qui fait émerger une facette nouvelle de l'identité. Ce sont ces dynamiques de l'identité en mouvement qui intéressent notre auteur. À un point tel qu'il consacre, depuis longtemps, une attention particulière à toute la littérature qui traite le sujet; et notamment à la littérature anglo-saxonne si riche en ce domaine. D'autant plus riche, d'ailleurs, qu'elle fait montre d'un pragmatisme plus ajusté aux données de l'expérience qu'aux discours spéculatifs de type philosophique. Robert Comte, qui est un pédagogue, semble se sentir chez lui dans cette approche de terrain qui est bien décrite par le questionnement suivant: "Par mes choix et mes actions d'aujourd'hui, quel genre de personne suis-je en train de construire ?" Le but de l'auteur est bien là: nourrir notre courage pour que nous restions acteurs de nos vies, sans cesse. Aussi l'auteur nous offre-t-il un ouvrage très documenté, à la bibliographie vaste et actualisée. Il nous fait entrer dans la réflexion d'auteurs de référence, nous en montrant l'apport, la pertinence, les enjeux, les limites. Il ne juxtapose pas les points de vue, mais il les met en dialogue pour que le lecteur fasse ses propres tris et construise sa pensée personnelle. Ainsi le lecteur est-il entraîné par une pensée qui, au fil des auteurs évoqués, s'élargit, se structure, se nuance; sans violence, tout au long de la lecture, il a le temps de l'appropriation et du débat. L'auteur se fait conducteur: avec un vocabulaire simple, accessible, il présente le contexte actuel des dynamiques de l'identité avant d'aborder les coordonnées de l'identité et les étapes ordinaires de sa construction et de ses réaménagements. Au fil du parcours, le lecteur appréciera la dis-


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tance critique de l'auteur qui ouvre, ainsi, un espace de réflexion libre et personnelle. On notera cependant que la réflexion de Paul Ricœur y tient une place méritée. Probablement parce que - à l'occasion des stages de relecture de vie qu'il a accompagnés dans des contextes variés la pratique de Robert Comte a croisé la recherche du philosophe français (lui-même marqué par la démarche anglo-saxonne). Le propos de l'auteur ne s'enferme pas dans les données psychologiques des recherches autour de l'identité. Cet aspect constitue seulement le soubassement d'une intention plus élaborée que suggère le sous-titre: l'identité, entre don et promesse. Pour finir, ce qui intéresse Robert Comte c'est de faire comprendre comment se comporte l'identité de la personne quand elle aborde aux rivages de la foi chrétienne. Car la foi chrétienne est une foi de l'Incarnation ; elle va chercher ses racines au plus profond des réalités d'hommes et de femmes situés dans des histoires, dans des situations variées. À partir de là, l'identité de chacun est mise en mouvement vers la figure du Christ, au contact de personnes, de communautés, de textes sacrés indéfiniment commentés, interprétés... pour répondre de façon renouvelée à la double question: Et vous que dites-vous ? Qui suis-je ? Quel type de personne deviens-tu ? Là encore, l'auteur nous guide avec tranquillité à travers quelques questionnements concernant les récits fondateurs, les récits de transformation, un Dieu aimant qui appelle et qui, entre don et promesse, accueille sans cesse les réaménagements de nos réponses balbutiantes, provisoires, hésitantes et cependant fidèles dans l'effort permanent de nos reconstructions. Robert Comte nous offre là un petit précis sur l'identité personnelle et, notamment, sur l'identité chrétienne. C'est un livre qui, avec une érudition contenue et une clarté pédagogique, introduit à un sujet qui passionne toujours. Grâce à la simplicité du propos et au respect de l'auteur qui conduit doucement le lecteur, celui-ci est introduit peu à peu à sa propre intériorité et commence un chemin de relecture de son propre itinéraire, se confrontant aux données actuelles de la recherche en ces domaines. Peu à peu il avance sur sa route, pénétrant, à son rythme, dans les dynamiques de son identité propre qui fait sa trace entre don et promesse. L'auteur nous propose un ouvrage spirituel de bonne tenue. II servira à la méditation des personnes et communautés qui désirent évaluer leur parcours pour le mieux situer dans un regard de foi, en tenant compte des apports de la pensée et des pratiques actuelles. Il sera utile à tous ceux qui sont en situation de formation et qui accompagnent des parcours de relecture de vie. Il rejoindra aussi la préoccupation d'éducateurs affrontés aux questionnements de grands jeunes qui cherchent des balises pour leur construction personnelle et, particulièrement, pour leur construction chrétienne. Ce livre, raisonnablement optimiste, peut aider à structurer des réponses pour tous les âges, pour que la personne, avec courage, reste éveillée jusqu'au bout.

Nicolas Capelle

GLENN W. MOST

Il dito nella piaga. Le storie di Tommaso l’Incredulo Einaudi, Torino 2009, pp.230. Da dove deriva la convinzione che Tommaso abbia effettivamente infilato il dito nelle piaghe di Gesù? L’unica fonte di questa storia, il Vangelo di Giovanni, testo fondativo della figura dell’Incredulo per la tradizione occidentale, non solo non conferma, ma sembra smentire. Dice l’apostolo: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (20.25) dichiarando che il semplice vedere le ferite non sarà sufficiente a fargli credere nella resurrezione. La sua è la richiesta di una dimostrazione tattile, non solo visiva. Ma quando il risorto dice a Tommaso “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila sul mio costato e non essere più incredulo, ma credente”, Tommaso si limita a rispondere: “Mio Signore e mio Dio!” (20.27-28). Giovanni mette in rilievo il desiderio di Tommaso di toccare Gesù, ma non menziona alcun


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atto che avrebbe soddisfatto quel desiderio e non dice che l’apostolo ha toccato il corpo del risorto. Vengono descritti l’invito verbale di Gesù, la risposta verbale di Tommaso e la reazione verbale del Cristo, ma non vi è traccia di alcuna azione fisica compiuta da Tommaso. Gesù non ha né rifiutato né esaudito in realtà la richiesta di Tommaso e l’apostolo “desistendo dalla sua richiesta di toccare il corpo di Gesù, ha lasciato completamente aperta la questione della materialità di quel corpo: sappiamo che si poteva vedere, ma non sapremo mai se si potesse anche toccare. E Giovanni evita con cura di rivelarci quale genere e grado di materialità avesse davvero il corpo di Gesù risorto”, scrive in questo libro Glenn W. Most, professore di Filologia greca alla Scuola Normale di Pisa. Tommaso, che tra i testi canonici compare solo nel Vangelo di Giovanni e nell’elenco di Atti 1,13, diventa uno dei più citati protagonisti dei testi apocrifi, una figura centrale per gli gnostici, un personaggio familiare della leggenda medievale cristiana, un incredulo necessario alla teologia nella lotta contro le tesi eretiche. Per l’intero Medioevo quasi nessuno dubita che Tommaso abbia realmente toccato Gesù e, alla marcata tendenza dei Riformati a mettere in questione quella tesi millenaria, la Riforma cattolica risponde in modo fermo e polemico. Lunga e complessa è anche la tradizione iconografica di Tommaso incredulo. Le prime immagini compaiono alla fine del IV secolo e divengono molto popolari nel Medioevo sia in Occidente che in Oriente. La raffigurazione dell’apostolo, sempre ritratto a figura intera, non si trova mai da sola, ma fa sempre parte di un ciclo di immagini sacre. Tommaso è di solito senza barba, quasi sempre chinato o accostato a lato di Gesù mentre tocca la sua ferita con la mano allungata e il dito proteso. Gli altri discepoli completano la scena. Anche le figure rinascimentali sono a figura intera e tendono a conservare gli elementi iconografici tipici delle rappresentazioni medievali. Tuttavia, iniziano a fare la loro comparsa anche rappresentazioni individuali dell’episodio, come in Cima da Conegliano e Girolamo da Treviso. Fin dalla fine del XV secolo si sviluppa inoltre una tradizione specificamente fiorentina - Tommaso era il santo prediletto dei Medici e il patrono delle corti mercantili - che presenta caratteristiche singolari, anzi anomale. In queste immagini e sculture (Mariotto di Nardo, Bicci di Lorenzo, Verrocchio) Tommaso è sempre giovane e senza barba, è insicuro ed esitante nel gesto e nella posa, mentre Gesù è completamente vestito - soltanto uno stretto spacco nel mantello ne rivela la ferita - ha sempre la barba e il suo braccio cinge le spalle di Tommaso in modo protettivo. Non solo lo autorizza a esaminare la ferita, ma va oltre, incoraggiandolo ed esortandolo a toccarla; il suo atteggiamento è tenero e affettuoso, pieno di amore e comprensione. Nell’innovativa raffigurazione di Caravaggio, Gesù con la mano destra scosta il mantello come un sipario denudando il petto per una drammatica ispezione visiva e tattile, afferra con forza la mano di Tommaso, spingendola ancora più dentro la sua ferita, elemento comune a molte rappresentazioni nordeuropee dello stesso tema. E’ questa la prima versione della scena in cui i personaggi sono rappresentati a mezza figura e in cui Tommaso compare al centro della composizione e in primo piano, come il vero protagonista di una lunghissima storia di incredulità e di fede.

Roberto Alessandrini

FLAVIO CAROLI

Il volto di Gesù. Storia di un’immagine dall’antichità all’arte contemporanea Mondadori, Milano 2009, pp. 112. Un crocifisso con la testa d’asino e una persona in atto di adorazione: è questa la prima immagine conosciuta di Gesù, una caricatura graffita nel II secolo sulla parete di una casa romana del Palatino, un segno di derisione pagana nei confronti del credo cristiano. “Quel Cristo mezzo uomo e mezzo somaro è dunque l’atto nascente della grandiosa epopea immaginativa che per due millenni ha tentato di raffigurare il volto di Gesù”, spiega nel suo nuovo libro Flavio Caroli, docente di Storia dell’arte moderna al Politecnico di Milano. Se i primi cristiani esitano a rappresentare Cristo fino alla fine del III o all’inizio del IV secolo, prudente e comprensibile atteg-


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giamento di una setta perseguitata, dopo l’editto di Costantino che concede loro libertà di culto la situazione si modifica radicalmente e anche il linguaggio figurativo si fa meno enigmatico e allusivo. Già alla metà del IV sec., Gesù compare infatti in modo realistico nelle catacombe di Comodilla. Non si tratta più, come in precedenza, del volto di un ragazzo sbarbato, sull’esempio dell’immagine pagana di Apollo, ma di quello di un uomo scarno, ieratico, con i capelli lunghi e la barba folta, il “ritratto” che si cristallizzerà nei diciassette secoli successivi. Nel quadro dei forti contrasti culturali e teologici e dei furori distruttivi che oppongono i difensori e i nemici delle immagini che rappresentano il divino, la figura di Cristo viene ad essere considerata un’affermazione di ortodossia. “Sia la Chiesa cattolica sia la Chiesa ortodossa considerano Gesù vero Dio e vero uomo - spiega Caroli -; ma l’applicazione di questa idea è leggermente asimmetrica. L’Oriente accentua illimitatamente l’aspetto divino rispetto a quello umano, mentre l’Occidente è naturalmente portato a giocare una larghissima parte della posta inventiva su Gesù in quanto uomo”. Prende forma la distinzione tra un’immagine che serve come referente di meditazione, cioè sostanzialmente narrativa, come piacerà all’Occidente, e una che sia invece oggetto di venerazione in se stessa, cioè rivelativa, come chiederà la tradizione orientale imponendo alle icone precise norme. Nel Medioevo l’immagine di un Gesù guaritore, maestro e ammonitore inizia a fare spazio a quella di un Cristo infinitamente sofferente e ad aprire le porte, nell’arte occidentale, all’idea del dolore. Tutti i grandi artisti faranno i conti con l’immagine del Cristo, spesso approdando a risultati espressionistici e commoventi; Dürer dipinge nel 1500 un autoritratto nel quale si spinge ad una ardita assimilazione della propria immagine a quella di Cristo; Grünewald anticipa la frattura protestante dipingendo un Gesù orrendamente trafitto dalle spine della corona e dalla flagellazione, con le braccia stirate, le dita tese, i piedi trafitti che si torcono. “Sbocciata all’arte dalle allucinazioni del gotico tedesco, e nutrita del radicalismo cristiano che sta preparando le tesi di Lutero, la Crocifissione di Isenheim porta alle estreme conseguenze espressive il conflitto fra la coscienza individuale, disperata, del peccato, e la illimitata fiducia nella Grazia, che costituisce le radici stesse del pensiero luterano e della Riforma protestante”, osserva Caroli. Tra realismo narrativo e “divinità umanata”, tra il Cristo bianco e femmineo del Bacio di Giuda di Carracci e la seria bellezza raffigurata nella Vocazione di san Matteo di Caravaggio, tra la immobilità ieratica della Cena in Emmaus di Rembrandt e la disperazione del Cristo flagellato contemplato dall’anima cristiana di Velasquez, il volto di Gesù diviene un lavateriano archetipo fondamentale per l’interpretazione del volto umano, prima di abbandonare ogni ideale romantico e divenire icona del consumo. Nel Cristo nell’orto degli ulivi Gauguin lo raffigura troppo poco nobile, con i capelli rossi; Guttuso nella Crocifissione lo espone alla Madre e a Maria Maddalena, entrambe nude e intente a pulire il suo corpo; Andy Warhol lo traduce, con colori industriali e stampa in offset in un’immagine che sembra pubblicitaria. E, infine, il cinema, con le versioni di Pasolini, Zeffirelli e Olmi. La fantasia moderna – conclude Caroli – vede Gesù con la barba (che infonde sofferenza e autorevolezza e lo distacca dall’idea di un divino fanciullo), con tratti mediorientali e un elemento ineliminabile: la malinconia, il senso di un “immenso sacrificio devoluto agli infiniti limiti della natura umana”.

Roberto Alessandrini

MARCO MARZANO

Cattolicesimo magico. Un’indagine etnografica Bompiani, Milano 2009, pp. 187. Toni foschi, ambientazione rurale, ispirazione anti-moderna, tensione apocalittica che annuncia catastrofiche verità, afflato oscurantista. Medjugorje, una delle principali espressioni della spiritualità mariana nel mondo, si presenta con caratteristiche che la avvicinano simbolicamente più al culto di Fatima che a quello prevalente di Lourdes. E’ l’espressione di un cristianesimo tradizionale, millenarista, molto cattolico e poco ecumenico, di un “grande movimento sociale” che reclama l’attualità di un mondo incantato e rivendica una semplificazione radicale del messaggio


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religioso. Al contrario, quella del Rinnovamento nello Spirito è una spiritualità gioiosa, esuberante, vitale, che rifiuta le mediazioni, marginalizza le figure dei santi, adotta semplificandole alcune nozioni della psicoanalisi (per esempio quella di “ferita” da sanare rievocando gli eventi traumatici) ed elementi new age (la convinzione che il contatto fisico possa attivare flussi energetici dai poteri terapeutici). Lontana da ogni ambizione di cambiamento sociale, di riforma culturale o spirituale, questa forma di religiosità punta sul desiderio di cambiare se stessi, rinascere nella fede, riplasmare la propria personalità. Un interessante viaggio etnografico tra le apparizioni mariane e i gruppi del Rinnovamento nello Spirito viene qui proposto da Marco Marzano, docente di Sociologia all’Università di Bergamo e tra i fondatori della rivista Etnografia e Ricerca Qualitativa. Si tratta di un’indagine di grande interesse, condotta in prima persona frequentando pellegrini e ai gruppi di preghiera e osservando, a distanza ma con acutezza e senza pregiudizi, due fenomeni di grande interesse per lo studio della religiosità contemporanea. La storia del Rinnovamento carismatico è del tutto autonoma rispetto a quella delle apparizioni mariane. Sorto negli Stati Uniti come gemmazione del neo-pentecostalismo protestante, (battesimo nello Spirito, glossolalia, esternazioni profetiche, proselitismo, enfasi sulla conversione e sulla rinascita spirituale, ritrovata centralità della Parola e delle Scritture), il movimento si configura “per un verso fenomeno reazionario, sintomo di una regressione a un cristianesimo pretridentino, popolare, paganeggiante, magico e superstizioso” e dall’altro “uno degli esiti paradossali del Concilio Vaticano II”, scrive Marzano. “Per l’enfasi posta sul ruolo dello Spirito Santo, che ‘soffia dove vuole’ e inonda la Chiesa di carismi e di grazie, per la grande considerazione nella quale vengono tenuti i membri laici, ai quali è riconosciuta l quasi totale sovranità sull’organizzazione del movimento, per l’ecumenismo e l’apertura al dialogo con i protestanti di cui è una singolare manifestazione”. La partecipazione intensa e euforica alle cerimonie, la funzione importantissima svolta dalla musica, la potente e liberatoria espressività, il rilascio delle emozioni, l’entusiasmo e la gioia vanno nella direzione opposta allo sforzo, intrapreso almeno dal Concilio di Trento in poi, di “limitare, controllare, reprimere le forme più emotive, spontanee, magiche e superstiziose della religiosità popolare e di contenere il ‘linguaggio del corpo’ e le manifestazioni di devozione spontanea e paganeggiante”. Qui, al contrario, il canto è una forma di preghiera alla quale si partecipa con tutto il corpo, così come potente, intensa ed emozionante è la preghiera che si verifica nel caso della glossolalia, un’orazione recitata in un linguaggio sconosciuto, formato da parole incomprensibili, ma nel quale non si ravvisano né trance, né stati alterati di coscienza. Il carismatismo si configura così come una religione del “self”, del “sé sacro”, vero oggetto di culto, epicentro di ogni flusso culturale e simbolico, fonte di terapia, strumento di proselitismo, ma anche oggetto della guarigione e della liberazione, deposito del carisma e dell’energia. Nel quadro di un superamento delle inquietudini conciliari e delle raffinatezze del pensiero teologico e in quanto organizzazione antintellettualistica, movimentistica ed egualitaria, il Rinnovamento non violenta i canoni della celebrazione cattolica, ma non rinuncia ad esplorarne in confini nel nome di una religiosità “spettacolare” e sensazionalistica che premia l’immaginazione e la creatività.

Roberto Alessandrini

BRUNETTO SALVARANI , PAOLO NASO (edd.)

Il muro di vetro. L’Italia delle religioni Primo rapporto 2009

Emi, Bologna 2009, pp. 224. L’analisi dell'odierno panorama religioso italiano; i profili dei personaggi che negli ultimi anni sono stati protagonisti dell'incontro religioso e del dialogo ecumenico; i documenti prodotti, le bibliografie e gli eventi: sono i contenuti di questo primo rapporto 2009 sull’Italia delle religioni, curato da B. Salvarani, docente di teologia del dialogo alla facoltà teologica dell’EmiliaRomagna, e P. Naso, docente di Scienze politiche alla Sapienza e all’Istituto Religioni e culture dell’Università Gregoriana. I testi portano le firme di Stefano Allievi, fr. Enzo Biemmi, Paolo


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Branca, Giampiero Comolli, Gaëlle Courtens, Marco Dal Corso, Giovanni Ferrò, Simone Fracas, Gioachino Pistone, Giovanni Sarubbi, Bruno Segre, Federico Tagliaferri e Sergio Velluto. Il Rapporto si articola in tre parti. La prima riunisce una serie di testi che focalizzano gli aspetti più significativi dell’odierno pluralismo religioso: il ruolo delle chiese e delle comunità, i processi di dialogo istituzionale, la questione dell’informazione e della formazione, le trasformazioni in atto fra gli ebrei e i musulmani italiani, la religiosità popolare, i vecchi e nuovi sincretismi. La seconda parte è una breve rassegna di profili di protagonisti nel mondo nazionale plurireligioso, mentre la terza rappresenta un prezioso compendio di documenti, dati, bibliografie ed eventi accaduti nel 2008. “L’Italia - scrivono i curatori - si trova come di fronte ad un muro di vetro. Vede il pluralismo, ne coglie gli aspetti esteriori (il ramadan, la spiritualità pentecostale, il rigore dei testimoni di Geova, le mizvot ebraiche, la meditazione orientale), ma non è in grado di interagire consapevolmente con questa realtà. Certo, le eccezioni esistono e tale muro, come tutti i muri che l’umanità ha provato ad alzare, ha delle fratture e dei pertugi che consentono qualche salutare scambio; persino qualche contaminazione. Ma possiamo dire che, ancora oggi, le culture, le politiche, persino le teologie prevalenti tendono a consolidarlo, questo muro di vetro, che r.a. ci mostra gli uni agli altri ma non consente l’interazione”. LAURA BALLIO, ADRIANO ZANACCHI

Carosello Story. La via italiana alla pubblicità televisiva Rai-Eri, Roma 2009, pp. 176 con dvd allegato. Alle 20.50 di domenica 3 febbraio 1957 debutta sulla Tv italiana un programma nuovo. Si chiama Carosello, è il primo contenitore pubblicitario del piccolo schermo, un’invenzione tutta italiana e unica al mondo, e segnerà l’inizio di un fenomeno destinato a modificare il costume e il linguaggio del Paese. I primi siparietti commerciali di quella che venne definita “fiaba consumista” sono della Shell Italia, dell’Oréal, della Singer e del Cynar. Il programma, che assieme al telegiornale sarà tra i più seguiti, andrà in onda ogni sera in bianco e nero, per vent’anni, fino al 1 gennaio 1977, con una sola sospensione di tre giorni per il lutto della strage di piazza Fontana (oltre che per le tradizionali ricorrenze del venerdì santo e del 2 novembre). La fine di quell’esperienza ventennale viene ricordata persino su La Civiltà Cattolica da un autorevole studioso dei mass media, p. Enrico Baragli. La rubrica televisiva è definita una “scuola permanente di (non) valori” che ha alimentato il consumismo e compendiato gli stereotipi perché la pubblicità non conosce malattia, vecchiaia e morte, ignora i conflitti sociali e il mondo del lavoro. Carosello segue di soli tre anni la nascita della Tv (3 gennaio 1954) in un’Italia ancora contadina e lontana dall’esaltazione del consumo. La pubblicità si chiama ancora réclame o propaganda, gli inserzionisti e i pubblicitari sono ancora impreparati alla novità (il costo di un comunicato è di un milione e mezzo di lire nel 1957 e di 6 milioni 800 mila vent’anni dopo), il linguaggio è controllatissimo (non si possono usare, per esempio, le parole “amante”, “divorzio” e “reggiseno”). Inoltre, la Tv, di cui la Rai ha il monopolio, ha una forte vocazione pedagogica e paternalistica: gli interessi della produzione cinematografica vietano i film recenti, quelli della morale le gambe nude delle ballerine e quelle del buon gusto la pubblicità di fissatori per dentiere, insetticidi e pannolini. Con i suoi spettacolini-esca, che rispolverano il repertorio del teatro leggero, Carosello è a sua volta uno strumento di pedagogica iniziazione alla vita moderna, di distacco dalla morale della rinuncia, come raccontano Laura Ballio e Adriano Zanacchi. I comunicati commerciali durano 2 minuti e 15 secondi, come prevedono le rigide norme della Sacis, la società dalla Rai che controlla i contenuti e confeziona le rubriche. Un minuto e 45 secondi sono riservati alla parte spettacolare, che sono di fatto favole a lieto fine e che non devono avere riferimenti al codino pubblicitario finale di soli 30 secondi (oggi la durata prevalente di uno spot). Il pubblico privilegiato è composto da donne e bambini. Con quel nuovo mezzo si


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cimentano anche grandi attori e grandi registi in uno sforzo creativo che produce l’indimenticabile Calimero, il pulcino che “non è nero, è soltanto sporco”, ma anche Olivella e Mariarosa – la casalinga superefficiente e la massaia depressa - la “dolce, cara, mammina” di sette figli ghiotti di miele Ambrosoli, l’Omino coi baffi (“sì, sì, sì, sembra facile fare un buon caffè”), Riccardone e Svanitella della Cera Liù, Pallina della Cera Solex, la piccola Susanna dell’Invernizzina, la favola di Jo Condor e del Gigante Amico della Ferrero. Nel 1971 Carosello va in America, patria della pubblicità. Una selezione di filmati che portano le firme di Gillo Pontecorvo, Claude Lelouch, Richard Lester, Giuseppe Patroni Griffi, Ermanno Olmi e Ugo Gregoretti, viene presentata al Museo d’arte moderna di New York e riscuote grande successo. E nel 1983, a sei anni dalla sua scomparsa, la Mostra del cinema di Venezia dedica al programma una rassegna curata da Enzo S. Lavina, Enrico Ghezzi e Marco Giusti. Il mondo culturale ed educativo che aveva criticato Carosello come portavoce di consumismo non poteva prevedere il boom dell’emittenza commerciale privata degli anni Ottanta. In realtà, Carosello raccoglieva la pubblicità in un solo contenitore, piaceva ai grandi e ai bambini, andava in onda quasi alle 21, in un momento di ascolto famigliare e collettivo e rendeva possibili “accorgimento educativi” della visione e del commento. Oggi tutto questo è impossibile perché gli spot sono disseminati nel corso dell’intera programmazione senza l’intervento di mediazione degli adulti.

Roberto Alessandrini

MARIANO L. BIANCA

La mente immaginale

Immaginazione, immagini mentali, pensiero e pragmatica visuali FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 560.

La mente umana ha la sorprendente capacità di generare immagini attraverso un’attività molto complessa che coinvolge diverse aree celebrali. Quelle immagini, che si formano in noi osservando il mondo, ma anche attingendo al deposito di ciò che già abbiamo memorizzato e alla capacità di una “produzione” sempre rinnovabile, consente di compiere azioni e risolvere problemi teorici, innescare emozioni e comportamenti, prefigurare situazioni e formulare progetti. Grazie ai progressi delle neuroscienze e, in particolare, della neuropsicologia, oggi possiamo interrogarci sul modo in cui si formano le immagini mentali, sull’impatto che esse hanno rispetto ai nostri comportamenti, sulla relazione tra i processi immaginativi, il pensiero non figurale e i linguaggi naturali. Possiamo quindi interrogarci sul modo in cui le immagini che si formano in noi vedendo una fotografia o un filmato inducono modi di pensare o di agire e chiederci se esiste un pensiero visuale diverso da quello logico o razionale. Queste sono anche le domande dell’imponente saggio La mente immaginale del prof. Bianca, ordinario di Filosofia Teoretica e Filosofia della Mente all'Università di Siena, direttore del Dipartimento di Studi storico-sociali e filosofici nonché direttore delle riviste Arkete e Anthropology and Philosophy. Il volume, pubblicato dalla FrancoAngeli nella collana di Filosofia Storia e Scienze sociali del Dipartimento di studi storico-sociali e filosofici della Facoltà di Lettere e Filosofia (Arezzo) dell’Università di Siena, è suddiviso in tre parti: la prima è rivolta all’analisi dell’immaginazione e dei suoi processi, la seconda al pensiero visuale e alle sue operazioni e la terza al valore conoscitivo delle immagini mentali, al loro rapporto con il mondo e alla loro incidenza sul comportamento e le azioni. Le riflessioni di Mariano L. Bianca si inquadrano – come precisa l’autore – “in una teoria filosofica dell'immaginale e dell'immaginazione che si fonda sui risultati attuali delle ricerche scientifiche e su riflessioni e considerazioni che derivano dai risultati dell'introspezione e dell'osr.a. servazione dell'attività della mente e dei comportamenti umani”.


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