E li chiamano contributi

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Mondo Speciale elezioni USA

E li chiamano contributi

KellY JaCobs, DelegaTa Del Mississippi, al CoNTrollo siCurezza Della CoNveNTioN DeMoCraTiCa

Ai candidati 5,8 miliardi di dollari per la campagna elettorale. Per chiedere qualcosa in cambio...

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n Italia o in India, veniamo a conoscenza della corruzione quando la vediamo, ovvero quando i politici sono colti sul fatto mentre ricevono valigette piene di soldi che costituiscono la prova del pagamento di una tangente. Negli Stati Uniti, invece, viviamo nell’illusione che i nostri rappresentanti siano onesti. Forse qualcuno lo era davvero quando è entrato nella vita politica animato da buone intenzioni, ma tutti sono costretti ad accettare bustarelle per essere eletti o rieletti. La necessità di essere riconfermati ogni due anni spinge fatalmente i membri della Camera dei Rappresentanti alla ricerca continua di sovvenzioni da parte di gente ricca o di imprese private. Così, alcuni dei politici più onesti, come il sindaco di New York Michael Bloomberg, sono quelli abbastanza ricchi da potersi permettere di essere indipendenti e di resistere alle blandizie di chi offre sostegni finanziari alle campagne elettorali o un lavoro ben retribuito dopo la scadenza del loro mandato. Nessun altro paese spende tanto per finanziare gruppi di pressione o sostenere le campagne elettorali. Quelle presidenziali e politiche del 2012 costeranno 5,8 miliardi di dollari. La maggior parte di queste sovvenzioni è costituita da denaro contante che le grandi aziende mettono a disposizione di candidati che si impegnano a rappresentare i loro interessi. In una democrazia sana, imprese e cittadini possono presentare ai legislatori petizioni su questioni che considerano impor92

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tanti. Ma ciò presuppone che si raggiunga un equilibrio fra gli interessi in gioco, dove quelli di grandi imprese con illimitate risorse finanziarie, come le compagnie petrolifere, che possono contribuire all’elezione di un parlamentare, siano controbilanciati da altri interessi, come ad esempio quelli di gruppi ambientalisti. In questo modo, un legislatore che vota a favore di tali compagnie in cambio del sostegno ricevuto, è esposto al rischio di non essere riconfermato perché gli elettori non vogliono respirare l’aria da esse inquinata. Non c’è vera libertà di parola finché una delle parti in causa può permettersi di acquistare un megafono mentre all’altra non resta che gridare al vento fino a quando avrà fiato in gola. La corruzione negli Stati Uniti è tanto più pericolosa in quanto è legale. Qui, una grande impresa non ha bisogno di infrangere apertamente una legge. Basta pagare i politici affinché scrivano le leggi che desidera, come dimostrano quelle che regolano le banche, e che riguardano tutti noi. Quando un’impresa induce un politico a riscrivere interamente dietro compenso le leggi sull’ambiente, questo è molto più pericoloso, per i cittadini, del tentativo di fargli chiudere gli occhi di fronte alla violazione di una norma ambientale da parte di una singola azienda regalandogli magari una Lamborghini. I politici americani sono inoltre molto abili nel decidere come e quando riscuotere un compenso. Qualche anno fa, Billy Tauzin, il presidente della commissione parlamentare di controllo sui farmaci,

fece approvare una legge favorevole al settore, poi andò in pensione, e due mesi dopo ottenne un incarico come capo dell’associazione delle industrie farmaceutiche, con uno stipendio di 2 milioni di dollari all’anno: un compenso molto più alto di qualsiasi somma di denaro usata per corrompere politici in altri paesi. In sostanza, la tangente è stata differita, ed era pertanto legale. Sull’arte della corruzione, i politici americani hanno molto da insegnare ai loro colleghi dei parlamenti di tutto il mondo. Negli Stati Uniti la corruzione non è più soltanto un fenomeno circoscritto entro i loro confini, ma una minaccia che grava sul mondo intero. Gruppi di pressione etnici o anche singoli paesi possono finanziare lobbisti in grado di comprare decine di parlamentari. In alcuni casi sono questi stessi lobbisti che scrivono direttamente i testi delle leggi che a loro interessano, e gli agenti al loro servizio all’interno del Congresso sottopongono semplicemente al voto dei

Foto: D. Winter - The New York Times / Contrasto

Di Suketu Metha

parlamentari il testo predisposto. Se siete in conflitto con un altro gruppo del vostro paese, non c’è bisogno di scontrarsi con esso. E meglio andare a Washington e servirsi di lobbisti per pagare un parlamentare che userà le imponenti risorse del governo degli Stati Uniti per attaccare il vostro avversario. (Per precauzione, dovreste pagare anche dei giornalisti che scriveranno articoli incitando i politici a fare il vostro gioco). Lo sanno bene i nazionalisti indù in India, come lo sanno anche i sostenitori del Likud in Israele, gli anti-castristi cubani in Florida, o i greci e gli armeni. Uno degli esempi più clamorosi dell’influenza di agenti stranieri negli Stati Uniti è la recente esclusione dei Mujaheddine-Khalq (i Mujahidin del Popolo), una setta fanatica iraniana, dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato americano. I suoi seguaci sono guardati con disprezzo in Iran perché hanno combattuto per conto di Saddam Hussein durante la

guerra contro l’Iraq. Da allora, hanno preso parte a numerose azioni di sabotaggio e di terrorismo in Iran. Ma godono delle simpatie di ricchi sostenitori iraniani negli Stati Uniti, i quali si sono resi conto che non potevano limitarsi semplicemente a staccare assegni per sostenere la campagna elettorale di candidati americani affinché i Mujahiddin del Popolo venissero esclusi dalla lista delle organizzazioni terroristiche messe al bando. Così, hanno trovato un’alternativa migliore: pagare politici, giornalisti e accademici per farli intervenire ai loro convegni. Per un discorso in pubblico di otto minuti in lode dei Mujahidin hanno ricevuto 40 mila dollari. Sul palcoscenico si sono alternati sia esponenti di destra che di sinistra: dall’ex candidato democratico alle presidenziali Howard Deam al sindaco di New York Rudolph Giuliani, dall’ex capo dell’Fbi al famoso giornalista Carl Bernstein, che denunciò lo scandalo del Watergate. Insieme a molti altri personaggi, hanno ricevuto grandi som-

me di denaro per sostenere i Mujahidin e alla fine, lo scorso settembre, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha stabilito che essi non rappresentavano più un gruppo terroristico: una decisione che costerà la vita a molti iraniani. Quando i membri del Congresso che siedono nelle commissioni per la politica estera prendono soldi da organizzazioni come queste, le leggi e le risoluzioni che approvano possono provocare in effetti come contraccolpo decine di migliaia di vittime in paesi lontani. E questo li rende complici dei crimini che verranno commessi, ovvero sono mercenari al soldo di eserciti stranieri. Il problema sta in un equivoco semantico. Gli Stati Uniti devono ridefinire il significato delle parole. In questi casi, non si tratta di lobbying, ma di corruzione pura e semplice. Se chiamiamo una buona volta le cose con il loro nome forse avremo la speranza di un cambiamento in cui poter credere. traduzione di Mario Baccianini 1 novembre 2012 |

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