Le Idee
VENERDÌ 21 OTTOBRE 2016 LA CITTÀ
L’OPINIONE
IL COMMENTO
di UMBERTO VINCENTI
DIPEPPECARPENTIERI
L
e recenti assoluzioni dell’ex presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, e dell’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, dalle accuse di peculato e altri gravi reati sono state valutate positivamente dai media che le hanno presentate come una vittoria della Giustizia sul cieco giustizialismo da troppo tempo praticato dalle Procure che criminalizzerebbero affrettatamente politici, pubblici amministratori, imprenditori. Cota si era fatto rimborsare dalla Regione qualche decina di migliaia di euro per spese di bar, ristoranti e oggettistica varia; Marino aveva fatto altrettanto con il Comune di Roma per una sessantina di pranzi e cene consumate in giorni festivi invitando anche parenti e amici. Secondo i giudici entrambi, se pur hanno sbagliato, lo avrebbero fatto senza consapevolezza dell’illiceità della loro condotta. Ma il cittadino ha il diritto di non credere alla buona fede di questi due politici? Cota ha denunciato la macchinazione ai suoi danni dalla quale egli ci avrebbe rimesso la poltrona di presidente con gravissimo vulnus della volontà popolare. Peccato che a quel cittadino potrebbe venire in mente che le Regionali 2010 in Piemonte furono annullate in quanto nella lista “Pensionati per Cota” erano state apposte delle firme false. Anche Marino ha denunciato, con innocente candore, la congiura che lo avrebbe defenestrato vanificando il voto dei romani. Ma quello stesso cittadino potrebbe allora ricordarsi che l’ex sindaco di Roma aveva già dimostrato di avere un rapporto complicato con le regole a proposito della famosa Panda rossa da lui parcheggiata abusivamente e dei molti ingressi non autorizzati in Ztl. Resta comunque certo che sia Cota sia Marino abbiano utilizzato denaro pubblico per finalità estranee all’amministrazione di cui erano al vertice: è un fatto che il nostro cittadino dovrebbe cancellare perché le sentenze hanno valutato le condotte di entrambi come penalmente irrilevanti? Qui si annida una questione istituzionale importante. In Italia è accaduto che un processo non casuale di mitizzazione di vari e astratti principi – privacy, non discriminazione, autodeterminazione, multiculturalismo, pluralismo, rieducazione e così via – ha impedito alla comu-
LETTERE
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L’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino (Pd) e, sotto al titolo, la Panda rossa di proprietà dello stesso ex primo cittadino parcheggiata in zona vietata e l’ex presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota (Lega Nord)
SPESE PAZZE E PROSCIOGLIMENTI LE SENTENZE NON FANNO VIRTÙ
LEGGE URBANISTICA DA CAMBIARE
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o più volte accennato al- quazione stessa, poiché anche la necessità di osservare laddove è stata applicata correttala realtà urbana salerni- mente, non necessariamente ha tana e interpretarla seguendo il favorito l’uguaglianza e il rispetto concetto di bioregione urbana. In dei tempi di realizzazione dei piaambito urbano ho suggerito la ri- ni attuativi. È preferibile superare generazione urbana bioecono- la consuetudine sbagliata che il mia per i livelli “strutturale” e processo di pianificazione del ter“attuativo”. Nonostante l’oppor- ritorio sia un processo economitunità di una corretta interpreta- co, poiché tale consuetudine zione dei territori e delle aree ur- spesso piega il disegno urbano a bane che favoriscono il corretto logiche mercantili per favorire il uso delle risorse, alcune istituzio- profitto, e il capitale stesso. ni politiche sono indietro rispetto Si sottovaluta, nel caso ci siano alle corrette interpretazioni geo- buone intenzioni da parte degli grafiche, territoriali e urbane dei amministratori politici, che un pianificatori. Il legislatore nazio- aumento di capitale non produce nale e il Consiglio regionale cam- necessariamente benessere, anzi pano dovrebbero favorire stru- è probabile che distrugga valore o menti tecnico-giuridici seguendo un bene utile alla collettività, se la le “nuove” interpretazioni territo- valutazione di piani e progetti riali e urbane. Le necessità di non si pone la priorità della cambiare la legge “sostenibilità forurbanistica camte”, del Bisogna pana sono molte“metabolismo uravere plici. La principabano” e dell’imle dovrebbe esseil coraggio patto sociale. re quella di intro- di intervenire Si tratta di avdurre un’innovaviare una nuova zione culturale di- nelle ex periferie fase della pianifistinguendo i beni cazione. Coerendalle merci temente con quenell’accezione bioeconomica, e ste sensibilità, ritengo opportuno quindi fermare i processi specula- sia corretto riformare le consuetutivi. dini pianificatorie attingendo dalNella letteratura troviamo criti- la bioeconomia, ad esempio, che circa la legge regionale cam- l’idea che le città debbano dotarsi pana poiché edulcora il senso e di strumenti di misura per applil’applicazione della perequazio- care il cosiddetto “metabolismo ne urbanistica. La perequazione urbano”, e che il disegno urbano richiede che tutte le aree indivi- si liberi dei ricatti finanziari, per duate siano edificabili e prevede scegliere altri modelli atti a risolil ristoro di quelle inedificabili e vere problemi concreti quali le diquesto comporta che tutte le aree seguaglianze sociali, economiche concorrano ai costi dell’urbaniz- e favorire la costruzione di servizi zazione. La perequazione nasce mancanti. Bisogna avere il coragper superare la discriminatorietà gio di coinvolgere gli abitanti e indei piani, ma in Campania questo tervenire nelle ex periferie degli obiettivo non è perseguibile per anni Cinquanta e Settanta. In all’intero territorio comunale sia cuni ambiti la soluzione è il trasfeperché parziale, e sia perché la fa- rimento di volumi per mettere in se di assegnazione dei valori può sicurezza le aree dal rischio sismiavvenire nel livello “attuativo”, co e idrogeologico, poi liberare i anziché nel livello “strutturale” quartieri costruiti dalle rendite di come dovrebbe essere. «La ricetta posizione dall’affollamento, dal campana della perequazione ur- brutto e dal degrado. La leva fiscabanistica appare piuttosto delu- le della detrazione dei costi di dedente, stante il fatto che essa è par- molizioni-ricostruzioni può stiziale – perché non estesa a tutto il molare la creativa progettuale ma territorio comunale – e che si serve soprattutto è fondamentale rifiudi un unico strumento, peraltro tare la prevalenza dei premi voluun pò datato, costituito dal com- metrici, e non espandere l’area parto edificatorio» (Pagliari G., urbana per non consumare suolo Corso di Diritto Urbanistico, agricolo. La vera rigenerazione in2015, pag. 385). terviene dentro la città. È necessario superare la pere©RIPRODUZIONE RISERVATA
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I casi Cota e Marino emblematici di come le regole siano interpretabili
nità generale di dotarsi di criteri di orientamento da utilizzare nello spazio pubblico per separare il bene dal male in confronto tanto delle persone quanto delle loro condotte. A ben vedere, una lacuna identitaria, di noi come res publica: di essa soffriamo tutti i giorni e proprio la mancanza di uno statuto etico-politico della res publica ha consegnato alla magistratura l’iniziativa di colmare il difetto attraverso il codice penale. È vero o non è vero che sono stati i magistrati che, talora con albagia, ci hanno ricordato che nello spazio pubblico, dove sono coinvolti gli interessi collettivi, sono bandite le pratiche elusive, i conflitti di interesse, le azioni non trasparenti eccetera? Ma può una comunità non ricercare e affermare in au-
tonomia la propria identità istituzionale? Può non elaborare, per culto della tolleranza estrema, quale carattere e quale condotta, del governante come del quivis de populo, meritino rispetto e ammirazione? Vi è che è impossibile che una repubblica viva e prosperi soltanto con le regole giuridiche e le sentenze giudiziarie: in essa i cittadini devono conoscere e praticare le virtù repubblicane che postulano comportamenti onesti e leali, spirito pubblico, attenzione all’interesse comune, attivismo “pro re publica”. Le virtù civili si imparano e la nostra buona scuola non è affatto impegnata in questa missione: il culto acritico del pluralismo etico e ideologico e la nuova utopia dell’universalismo senza confini rendono quasi im-
possibile sentirsi partecipi della “nostra” repubblica e promotori del suo interesse nazionale. Ecco allora che quando siamo chiamati a eleggere i rappresentanti politici siamo quasi inidonei a compiere scelte informate e razionali. Lo spazio pubblico è occupato dai media che ci trasmettono immagini allucinate; e siamo pervenuti a un tal grado di indifferenza che non siamo capaci, non dico di confliggere, ma nemmeno di protestare. Così abbiamo consentito alle oligarchie politiche, che ci dominano, di privarci, per esempio con il sistema delle liste bloccate, del potere di sceglierci chi ci dovrà governare. È un po’ la morte della res publica, ma non l’abbiamo ancora afferrato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
lettere@lacittadisalerno.it
La decisione sul carcere di Sala e il caso dei giovani in fuga ■ Gentile direttore, In una delle ultime udienze, il Tribunale amministrativo di Salerno ha ordinato la riapertura della Casa circondariale di Sala Consilina. Il provvedimento riveste particolare importanza in quanto, anzitutto, ha presente le dimensioni del territorio provinciale, nel senso dell’avvicinamento del cittadino alle Istituzioni, quanto si inserisce validamente nel problema della chiusura del Tribunale di Sala Consilina che, indirettamente, potrebbe danneggiare la Corte di Appello di Salerno, ingolfando quella di Napoli. Vari sono stati i tentativi e le rimostranze del Foro di Sala Consilina e di quello di Salerno, soprattutto a iniziativa dei penalisti, nati immediatamente dopo il primo atto negativo, ma tutti senza effetto alcuno. Tuttavia, la decisione del Tar segna un buon inizio nella lotta diretta a riformare le previsioni del disegno di legge relativo alla nostra regione, in quanto proviene finalmente, in maniera evidente, da un’autorevole
Consesso che, in tal modo, si è affiancato a chi protestava, raccogliendo le nuove voci e motivando appunto sulla difficoltà del rapporto cittadini-istituzioni. Invero, a cominciare dagli anni Novanta, la legislazione (si vedano la legge n. 142/1990, le leggi Bassanini, la legge costituzionale n. 3/2001) aderendo al dibattito della dottrina più evoluta, ha insistito sul più agevole rapporto tra il cittadino e la Pubblica amministrazione. Quanto alle conseguenze, poi, della soppressione del Tribunale di Sala Consilina, la parola “regionalizzazione” insita nel decreto, potrebbe far pensare a un incauto legislatore salva-spesa inteso a proseguire sul cammino intrapreso, creando il caos non solo nei Tribunali ma anche nelle Corti di Appello. Inutile nascondere che, accanto a queste iniziative, la speranza è soprattutto riposta, oggi, nella tenacia del governatore regionale, che non consentirebbe mai un’azione disgregatrice a danno della sua città e del suo territorio, stante anche la generale e quasi ingovernabile crisi della
giustizia. Carmine Pepe Sala Consilina ■ Gentile direttore, Per la maggior parte sono giovani sia i migranti che sbarcano sulle nostre coste, sia i nostri connazionali che vanno all’estero per lavoro. Le cifre elaborate dalla Fondazione Migrantes quasi si equivalgono, circa centomila. Anche i primi sognano una vita migliore ma non hanno alcuna qualifica o preparazione. Il loro inserimento nel tessuto sociale deve passare nell’apprendimento della lingua e in un iniziale apprendistato che non sia lo sfruttamento selvaggio favorito dal caporalato. I nostri giovani che decidono di andare all’estero hanno per la quasi totalità frequentato almeno le scuole dell’obbligo, conseguito un diploma o una laurea. Per il nostro Paese è una perdita secca in quanto la formazione acquisita viene “regalata” ad un altro Paese. I numeri in assoluto sono uguali ma non
equivalenti dal punto di vista economico e sociale. All’Italia resta il complesso problema dell’accoglienza che non ha la giusta eco nel resto dell’Europa ma ancora più pesante il compito di fermare l’emorragia di giovani che, muniti di passaporto, se ne vanno alla chetichella come i ricercatori che non trovano ascolto in patria. Lucia Ventre Salerno ■ Caro direttore, Con l’avvicinarsi del referendum ciò che stupisce e che alimenta il disinteresse dei più è l’assenza di ogni accenno alla possibilità dell’astensione. L’attenzione è rivolta al Sì e al No, mai all’astensione, che è anch’essa una possibile scelta. Su questo, è bene avere le idee chiare. A dicembre siamo chiamati non a un referendum abrogativo con quorum, ma a un altro tipo di consultazione nella quale il quorum non c’è. Significa che dalle urne uscirà un risultato vincolante e che coloro che non voteranno finiranno per delegare di fatto la ratifica o meno delle scelte del Parlamento a quanti, invece, voteranno. Pochi o tanti che siano. Insomma, è meglio dire la propria. Giovanni Paolino Angri
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Salerno
LA CITTÀ VENERDÌ 14 APRILE 2017
i grandi dibattiti/3
Rimettere al centro la pianificazione Carpentieri: «Sarebbe saggio rinunciare all’urbanistica contratta e pensare a piani intercomunali bioeconomici» di GIUSEPPE CARPENTIERI* due recenti articoli pubblicati il 9 aprile su “la Città”, uno a firma dell'ex Ministro delle aree urbane, Conte, e l'altro a firma del giornalista Giannattasio stimolano la riapertura di un dibattito pubblico circa il governo del territorio. La cronaca politica ricorda che il dibattito nacque negli anni '70 quando si rilevò l’assenza di standard minimi e la necessità di recuperarli. Furono i progettisti salernitani a creare il tessuto tecnico e culturale della riqualificazione urbana, mentre una parte della classe politica locale scelse di trasformare i progetti presentando la cosiddetta “manovra urbanistica”. Il punto di vista di Conte, oltre a ricordare brevemente quell’esperienza proficua, accenna, nell'ipotesi di revisionare l’attuale Puc, anche uno sguardo al contesto territoriale, mentre Giannattasio accenna la necessita di «ridisegnare il tessuto» esistente. Gli spunti sono interessanti e “condivisibili” ma c'è carenza di cambiamento culturale. In che senso? Conte riporta citazioni di Cattaneo per ricordare l’approccio delle città nordiche nell’Ottocento ma egli si riferiva alla bellezza civile “rubando” concetti a Gianbattista Vico, prima di tutto, e poi influenzato da Camillo Sitte. Altri inventarono l'urbanistica, come Geddes (scuola territorialista), Cerdà (eguaglianza spaziale), Howard (città giardino), Kropotkin (auto sufficienza energetica) ispirati dagli utopisti socialisti come Owen, Fourier, Godin. Successivamente, nel Novecento la sociologia urbana - con la scuola di Chicago - evidenzia il conflitto continuo fra il profitto e il disegno urbano con le conseguenze sociali delle scelte pianificato-
l’iniziativa
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Tornare a discutere e a confrontarsi Abbiamo colto nel segno. Riscontriamo un grande interesse per il dibattito sul futuro urbanistico della città. Dopo il contributo dell’ex ministro Carmelo Conte?-?cheha invitato ad uscire dagli angusti confini territoriali e a relazionarsi con i compresori circostanti - e quello di Gaetano Amatruda che si è soffermato sull’esigenza di aprire le stanze del potere al dibattito, oggi ospitiamo il contributo di Giuseppe Carpentieri. (g.g.) Il centro storico della città
Giuseppe Carpentieri
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Negli ultimi decenni espulsi da Salerno circa 18mila abitanti Uccisa in città ogni speranza di eguaglianza sociale e rigenerazione urbana A destra, l’interno della stazione marittima
rie dei politici, si tratta di riflessioni necessarie per evitare gli errori dello spirito del tempo: il capitalismo. La scienza dell’urbanistica non nacque per favorire il profitto ma per costruire diritti a tutti i cittadini. Se entrambi [Conte e Giannattasio] osservano che bisogna ripensare l’esistente, sarebbe saggio farlo offrendo una nuova visione culturale, come quella bioeconomica e
rimettendo al centro del dibattito gli scopi costituzionali dell’urbanistica: tutela del territorio e diritti. La guida politica salernitana, così come è accaduto per le altre città in contrazione d’Italia, ha sofferto e soffre la cultura neoliberale forgiata nel nichilismo. Le città sono percepite come merce ad uso e consumo della produttività delle imprese. Ancora oggi si
conservano i problemi atavici della crescita urbana speculativa degli anni ’60, poiché si è preferito ignorare i bisogni delle persone e inseguire la religione neoliberale con i capricci degli investitori privati. L’abbraccio al capitalismo neoliberale, oltre a sostituire l’urbanistica e l’architettura con la pubblicità nichilista, ha fatto espellere circa 18 mila abitanti uccidendo ogni spe-
ranza di eguaglianza sociale e di rigenerazione urbana. La crescita urbana ha consumato inutilmente suolo agricolo senza costruire servizi adeguati che mancano sin dalle analisi sulle zone omogenee rilevate dai tecnici salernitani durante gli anni '70. Affrontare il governo del territorio senza conoscere e mettere al centro del dibattito pubblico il concetto di “biore-
gione urbana”, significa perseverare nella miopia politica. Se dagli anni '70 fino ad oggi, Salerno oltre ad aver perso abitanti, non ha saputo collocarsi in uno specifico contesto terziario, allora è ragionevole ritenere che la classe dirigente locale non ha avuto sufficienti capacità creative di identificarsi in uno o più ambiti di attività, che siano veramente utili allo sviluppo umano. Salerno, come le altre città in contrazione, è il centro di un noto “sistema locale del lavoro”, e pertanto sarebbe saggio e utile pensare a piani intercomunali bioeconomici, presentando rigenerazioni urbane nei tessuti esistenti attraverso progetti sostenibili, partendo da serie analisi morfologiche, sociali e ambientali sotto un coordinamento pubblico. Sarebbe saggio rinunciare alla famigerata “urbanistica contratta” rimettendo al centro la pianificazione urbana e territoriale. * dottore in Scienze dell’architettura e in ingegneria edile ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Attualità
DOMENICA 30 APRILE 2017 LA CITTÀ
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i grandi dibattiti/9 La trasformazione dell’ambito urbano esistente deve tener conto delle risorse locali e favorire le attività utili e sostenibili di GIUSEPPE CARPENTIERI ell’ambito de “I grandi dibattiti” aperti dal quotidiano “la Città”, il comune denominatore degli interventi di Conte, Giannattasio, Amatruda, Sangiorgio, Lambiase, Argentino e Botte è lo “sviluppo”, oppure la “crescita” (del Pil), la “valorizzazione”, ricordando la centralità di Salerno come centro metropolitano e il fallimento delle scelte urbanistiche degli ultimi mandati elettorali con la carenza di infrastrutture strategiche. Il mio intervento parte da presupposti culturali diversi poiché accenna a politiche urbane bioeconomiche, e suggerisce un cambiamento dei paradigmi culturali nella nostra società svuotata di senso dall’epoca moderna. Intendo far notare e specificare che i temi sociali, ambientali, economici e urbanistici di Salerno non trovano soluzione sul piano ideologico che li ha creati. La recessione non è la conseguenza di una mera scelta di politiche urbanistiche sbagliate ma di una cultura politica occidentale costruita sull’aumento continuo della produttività, e sull’avidità. In Italia, i processi di trasformazione urbanistica e di agglomerazione degli insediamenti industriali sono sostanzialmente sbilanciati a favore del profitto dei proprietari privati. È l’implosione dello “sviluppo” che crea la recessione in Occidente perché la crescita del Pil, cioè la ricerca del profitto, sfrutta anche le famigerate Zone Economiche Speciali (Zes) localizzate nei paesi emergenti. Ricordiamoci che la crescita del Pil del non misura la qualità della vita, mentre l’innovazione informatica e la robotica sostituiscono i lavoratori. Nell’attuale consuetudine, le previsioni dei piani urbanistici sono merce pagata dagli investitori privati, nella spe-
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La zona orientale di Salerno
Lo sviluppo disordinato fa danni sociali e ambientali Un piano intercomunale bioeconomico per porre rimedio ai danni del passato ranza di creare profitti attraverso il mercato. In generale, è noto che il capitalismo crea dipendenza e sottosviluppo (Wallerstein) mentre la rinuncia alla sovranità economica e la globalizzazione neoliberale hanno contribuito a impoverire il meridione d’Italia, che registra nel 2016 altissimi tassi di disoccupazione come in Campania con il 42,9% fra i giovani (18-29 anni) e il 30,4% (25-34 anni). Tutto ciò vanifica anche le previsioni degli strumenti urbanistici poiché in un contesto di periferia economica, gli investitori privati seppur dotati di liquidità, non trovano conveniente costruire merci immobiliari che non possono essere assorbite dal
la scheda
Un nuovo contributo al confronto di idee sul futuro del territorio Si arricchisce di nuovi contributi il dibattito sulle prospettive del nostro territorio. Dopo l’intervento di Carmelo Conte, ex ministro per le aree urbane, che ha avviato il confronto, altri raccolgono l’invito ad aprire un
momento di riflessione sul futuro di Salerno e della sua provincia, uscendo dai confini municipali e confrontandosi con i comprensori circostanti. Da Vittorio Sangiorgio a Gaetano Amatruda, da Gianpaolo
Lambiase a Luciana Libero, da Antonio Cammarota a Ferdinando Argentino e Anselmo Botte. Ora, sull’argomento ritorna Giuseppe Carpentieri, che aveva già curato un intervento pubblicato il 14 aprile scorso.
mercato locale. È uno degli effetti dell’ideologia liberale, il “laissez faire” al mercato. In questo contesto, non sorprende che a Salerno solo il 25% dei comparti edificatori sia stato realizzato. La necessità del nostro terri-
torio è la trasformazione dell’ambito urbano esistente scoprendo le nostre risorse locali e favorendo le attività utili. Cosa significa tutto ciò per l’urbanistica e il territorio? L’area funzionale salernitana, individuata nel Sistema Locale
del Lavoro (Sll) censito dall’Istat è l’ambito da disegnare con un piano intercomunale bioeconomico, per porre rimedio al disordinato sviluppo urbano che crea danni ambientali e sociali ai cittadini, e sfavorisce lo sviluppo di attivi-
tà sostenibili. L’approccio territorialista può governare i processi di centralizzazione e di agglomerazione. Questo percorso comincia coordinando i Comuni, con l’uso di tecnologie e metodi di auto rappresentazione dei valori locali per individuare un percorso che risponda alle peculiarità del territorio. Si tratta di processi e percorsi di auto coscienza dei luoghi, della storia e delle proprie identità. Analizzare il sistema locale e dimensionare un piano intercomunale bioeconomico corrisponde a un approccio e a un impegno diverso dalla revisione del Puc di Salerno che si vuole legittimamente aggiornare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA