ARTISTI DIVINI - CATALOGO 2004

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Artisti Divini

:osservare 2 :annusare 3 :assaggiare 4 :godere 1

La vita è troppo breve, per bere del vino cattivo. Lessing


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A Silvio.

“-Enkidu, mangia il pane, è il bastone della vita; bevi il vino, è l’uso del paese.Così mangiò finché non fu sazio e bevve vino forte, sette calici. Divenne allegro, il suo cuore esultò e il suo viso brillò. Lisciò i peli arruffati del suo corpo e si unse con olio. Enkidu era diventato uomo.” Epopea di Gilgamesh


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10 anni fa... DIWINE ARTISTS Prima mondiale Auditorium Cavalli Crema 1-9 Luglio 1995 Questo era il testo della locandina. Mancava solo il catalogo. Ah, già: e la mostra. Per le nostre ristrettezze economiche non potevamo certo permetterci un volume patinato. Gli sponsor ancora diffidavano di noi, preferendo di gran lunga artisti locali già affermati e meno destabilizzanti. Quando li invitammo e vennero all’inaugurazione, dovettero ricredersi: la loro espressione si tramutò dal sorriso di circostanza e pronto al facile sarcasmo alla muta meraviglia. Non si era mai vista una mostra così, dove gli spettatori sembravano davvero felici e a loro agio in un ambiente allestito perfettamente. Ma andiamo con ordine. Il catalogo. Facendo di necessità virtù, decidemmo di utilizzare un formato economico ma riconoscibile. Sulla piazza c’erano già parecchie riviste patinate (e costose) del settore ma solo una faceva al caso nostro: Il Giornale

dell’Arte. Per non incorrere in qualche molestia avvocatesca, lo chiamammo “Il Corriere dell’Arte” copiando però stile, caratteri e logo (al quale, tra i simboli artistici, aggiungemmo bottiglie di vino). Lungo la nostra strada saccheggiammo testi e autori (tra i quali il Grandissimo Veronelli, che rispecchiava la nostra idea che per parlare di vino bisogna parlare di tutt’altro). Al tempo eravamo -e lo siamo tutt’ora- molto timorosi di disturbare il Maestro. Un giorno, di passaggio da Bergamo, infilammo una copia del nostro giornale nella sua cassetta delle lettere, suonammo e scappammo come bambini dispettosi. Interpretiamo il silenzio che ne seguì come un benevolo silenzio-assenso. Incontrammo sulla nostra strada molti accoliti ansiosi di dare il loro contributo: Margherita de Gresy, Pino Giacalone, Jovan Tokaji per citarne e ringraziarne solo alcuni. Una delle prime idee che ci vennero accostando vino e pittura furono i “Vinarelli” che nascevano dalla trasposizione dei lavori ad Acquerello cambiando la materia prima, trasformando miracolosamente (è il caso di dirlo) e alchemicamente l’acqua in vino.


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Al di là dell’aspetto ludico, con i Vinarelli sottolineavamo e palesavamo il rapporto vino-arte e le procedure dell’azione artistica con didascalie dei quadri che somigliavano più a schede poetico-organolettiche piuttosto che critiche. Acquistammo tante bottiglie di vino quante erano le copie del giornale e di ettichettarle con una nostra foto e la dicitura “Vinarello 1995, preparato base per vere pitture vinarelliste”. Le bottiglie e il catalogo erano inscindibili: seguendo le istruzioni cartacee, ognuno poteva a sua volta diventare un vinarellista oppure, semplicemente, passare al quarto principio: Godere. Il fatto che fossero numerate e così particolari, avrebbe portato i consumatori ad utilizzarle per un evento altrettanto speciale. Era il nostro contributo al rendere unico e felice un momento di qualche nostro ammiratore e amico perchè, per dirla con le parole di H.D.Thoreau “Influire sulla qualità di

ogni giorno: questa é la migliore delle arti”. Per sottolineare l’unicità di ogni momento, trovammo giusto focalizzarci particolarmente sull’evento iniziale che avrebbe dovuto far cogliere appieno il nostro spirito. Durante l’inaugurazione della nostra mostra nella ex-chiesa Auditorium Cavalli, ad esempio, gli spettatori appena entrati ammirarono, attraverso una cornice sospesa nella navata, una tavola imbandita posta sul palco nell’abside dove cenavano allegramente i padri e i nonni di nostri amici che eravamo soliti vedere nelle osterie (che nel frattempo gli anni ‘80 avevano “estinto”). Avevamo “incorniciato” un evento consacrandolo: la sacralità e il rispetto che si deve alle opere d’arte ma anche la cura di qualcosa di prezioso come i nostri ricordi e la memoria storica in generale. I Vinarelli, dei quali si é già parlato, erano stati prodotti durante


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estenuanti sessioni notturne dal Maestro Trani. Erano ritratti di donne/orme eseguiti attraverso la tecnica del bodypainting, dove i colori naturali erano mescolati, appunto, con il resto del vino utilizzato durante una serata. Erano tracce di un evento unico, come unica é l’esperienza che si può avere con una particolare bottiglia di vino e con una donna; perchè un altro aspetto enologico che trova riscontro nell’estetica e nell’arte sono i concetti di effimero, bellezza e leggerezza. Da parte mia, optai per approccio più concettuale: nel resto della mostra c’erano, infatti, documentazioni fotografiche di “sculture vinarelliste di autori famosi” completamente inventate, dove Quenau si mischiava con i giochi di Munari sull’arte: una ventina di bottiglie reinterpretate da Christo (impacchettata) o da Modigliani (una bottiglia con un collo allungatissimo), ecc. Due installazioni con

bicchieri da Borgogna sospesi al soffitto che ruotavano lanciando riflessi rubino su dei cerchi enormi dipinti “a cielo”; all’entrata una enorme coppa in rame che conteneva del vino e degli specchi (che spandeva luminescenze e aromi per tutta la sala) e delle musiche etniche e classiche che avevano a che fare con il vino e con i nostri trascorsi e amori balcanici e francesi. A 10 anni dalla nostra prima mostra, abbiamo sentito il bisogno di ribadire, piuttosto che celebrare: alle nostre nuove opere si sono aggiunte quelle eno-poetico-fotografiche di J.L.Côtedu, la provocazione ipertecnologica di B. Caraffa, l’Haiku scritto con saké e inchiostro di seppia del giapponese K.Kanbei e, cosa della quale siamo onoratissimi, un opera/ performance del Maestro Carlos De Riscal che abbiamo riconosciuto (senza chiedergli il permesso) come nostro Padre Spirituale. (J.T.)


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1:

osservare.


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“...Non é affatto improprio paragonare il vino ad un’opera d’arte: nell’atto di produrlo l’uomo si avvale d’una materia della natura e la trasforma in un qualcosa di nuovo e senza uguali. Un qualcosa che merita d’essere inteso ed apprezzato; bere un vino senza «ascoltarlo» é come passare davanti a un quadro senza vederlo; peggio ancora é come non udire o rifiutare (tapparsi le orecchie) una musica nel momento che é suonata. L’attenzione dovrebbe essere, addirittura, maggiore: un quadro può essere rivisto, una musica riascoltata (una poesia riletta), mentre il vino, quel vino, bevuto in quel momento, é un irripetibile. Se ho cuore ed intelligenza lo giudico con un giudizio unico, definitivo, che si rifà alla memoria degli assaggi passati e ne stabilisce una <nuova, cui fare nel futuro riferimento puntuale. Il vino non é certo più necessario alla vita che la musica e la poesia. Ma che sarebbe mai la vita senza musica, senza la poesia e senza il vino?”

“...Orgoglio d’un uomo è bere e capire sempre quel che si faccia, non solo bevendo. Prima attraversi a nuoto il Po traditore e la tribù ti promuove a vir in potenza. Ma sarai vero uomo se saprai bere mantenendo costantemente il cervello a pelo di brentina. Gino Agnelli, poeta, ti insegna a tradurre il pavese in italiano esaurendo poderosi “volumi” di Eredavalle. Alla terza damigiana ci sarebbe già l’editore. Puoi anche dispensare consigli, allora. Maneggia la bottiglia con circospezione di chi sposti un bucchero prezioso. Investi il cameriere con i tuoi stessi quarti di nobiltà ma troppo ignorante per sapere che una bottiglia di vino non è aranciata nè una birra; che non si versa facendola glugluare, ma lentamente, così che non abbiano a sollevarsi le feci posate sul fondo...”

Luigi Veronelli - l’Espresso

Gianni Brera - La Pacciada


“Un manifesto é una comunicazione fatta al mondo intero nella quale non si pretende altro che la scoperta di un mezzo per guarire istantaneamente la sifilide politica, astronomica, parlamentare, agricola e letteraria. Esso può essere dolce o sempliciotto, ha sempre ragione, é forte, vigoroso e logico. A proposito della logica io mi trovo assai simpatico, Tristan Tzara” T.Tzara “Manifesto dell’amore debole e dell’amore amaro”, Parigi 1920

“L’arte é qualcosa con cui si può sempre farla franca” Marshall McLuhan “Evviva, beviamo, nel vino cerchiamo, almeno un piacer” G. Verdi, Ernani, coro


“L’arte non deve diventare più popolare, è il pubblico che deve diventare più artistico”. Oscar Wilde “Vino e musica furono sempre per me il miglior cavatappi” Cechov, Taccuini

“…Allora la pittura giungerà alla composizione e sarà un’arte pura al servizio del divino. Una sola guida, infallibile, la conduce a queste vertiginose altezze: il Principio della necessità interiore”. Wassily Kandinsky, “Lo spirituale nell’arte”.


11 potenziali Bottiglie di Artisti Divini: Christo, Gaudì, Kanbei, Harring, Man Ray, Modigliani, Oppenheim, Pollock, Hirst, Bijona, Spiegelmann.

Il vino è un composto di umore e “Beltà, il tuo sguardo, infernale di luce. e divino, versa, mischiandoli, beneficio e delitto: per questo ti si Galileo Galilei può paragonare al vino” C. Baudelaire, I fiori del male


“Guarda il calor del sol che si fa vino, Giunto all’umor che dalla vite cola.”

“Rosa rossa è il vino, la coppa è d’acqua di rosa – sembra. Nel fior di cristallo, riposa un rubino vergine – sembra. Nell’acqua della vita, folgora un Dante Alighieri rubino fuso – sembra. Il dolce chiar di luna è il velo ombroso del sole – sembra.” Omar Khayyam


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Quando io bevo penso, quando penso bevo! Rabelais


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“Una sera l’anima del vino cantava nelle bottiglie: uomo io levo verso di te, o caro diseredato, dalla mia prigione di vetro e dalle mie cere vermiglie un canto pieno di luce e di fraternità”.

“Tu hai rose e vino, amici di gaia ebbrezza: Godi dunque un istante, che questo è vera Vita.”

Charles Baudelaire

“Mangia con gioia il tuo pane e bevi di buon animo il tuo vino”

Omar Khayyam

Ecclesiaste

“Allez vieux fous, Allez apprendre à boire. On est savant quand on boit bien; Qui ne sait boire ne sait rien”. “Andate vecchi pazzi, andate e imparate a bere. Si è sapienti quando si beve bene; Chi non sa bere non sa nulla”. Nicolas Boileau

“Non c’è, io credo, una meta più gradita di quando la gioia regna in tutto il popolo, e i convitati nella sala ascoltano il cantore sedendo in fila; e dinanzi a loro le tavole sono piene di pane e di carni, e il coppiere attinge dal vaso grande il vino e lo porta dattorno e lo versa nelle tazze. Tutto questo è veramente assai bello.” Omero – Odissea IX, 5-11


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2:

annusare.


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“...Il vino va odorato con un lieve moto circolare del bicchiere, che lo arrubini e appanni prima di ricomporsi. Poi lo si accosta lentamente alle labbra e si alza in modo che la lingua ne sia ragionevolmente bagnata: papille gustative, terminazioni nervose delle gengivce e delle guance, palato, retrobocca danno la misura del gusto, dell’acidità, del vigore e di tutte le doti - o difetti - che ho enumerato più sopra. Ma quando si sia definita la classe del vino, allora non bisogna indugiare troppo...”

“In fatto di riconoscer vini io ho un istinto così profondo e nativo che basta farmene odorare uno qualunque ed io ne indovino la patria, la stirpe, il sapore, l’età, e i cambiamenti che deve fare, con tutte le altre particolarità relative”.

Gianni Brera - La Pacciada

Miguel de Cervantes


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“Più inebriante del vino è il tuo amore” “Baciami con un bacio della tua bocca, perché le tue mammelle sono migliori del vino” “Il tuo grembo è una coppa rotonda / dove non manca mai vino aromatico” Cantico dei Cantici Bibe, ospite lieve, la bruna reginetta di Saba mesce sorrisi e Rufina a quattordici gradi. Eugenio Montale - Le occasioni “L’amore tuo diffonde il suo vigore in tutto il mio essere, come un vino” P. Verlaine, Poesie “Un bicchier di vino frizzante e chiaro / io bevo all’amor mio caro, cuor contento cent’anni camperà.” William Shakespeare, Enrico IV, parte II, atto V, scena III


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“Il poeta come la vite dona l’anima al mondo. L’anima della vite è il vino, L’anima del poeta è nel canto.” “Accanto al gentile vino scacciapensieri Evapora la mia vita gaia, Accanto al gentile vino scacciapensieri Io rido al potere del destino. Nell’allegro calore del vino io mi beffo di te, Di te, vile genia, Nel mio cuore che tanto tormentano Gli scorpioni della malinconia. Il vino è maestro della mia lira, Incanta la canzone del cuore, Il vino ci insegnò l’oblio, O voi, fanciulle sleali.” “La vita è vera solo se ha Vino di fuoco e una ragazza di fuoco… E –quasi me ne dimenticavoNon dobbiamo trascurare il canto.” Petöfi Sandor

“Mi siano i tuoi seni come i grappoli della vite, il profumo del tuo respiro come quello dei cedri e il tuo palato come ottimo vino che scende dritto alla mia bocca e fluisce sulle labbra e sui denti!” “Mi ha condotta nella casa del vino e la sua armata contro di me è amore. Ravvivatemi con focacce d’uva, rianimatemi con cedri: sono malata d’amore io! Prendete le piccole volpi che devastano le vigne: le nostre vigne sono in fiore!” “Il fico emette le sue gemme, e le viti in fiore esalano profumo. Alzati, amica mia, mia bella e vieni! All’alba scenderemo nelle vigne, vedremo se la vite germoglia, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni”.

Cantico dei Cantici


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Gesú disse ai discepoli: “Riempite le idrie d’acqua, poi attingetene e portatene al maestro di tavola”. Essi obbedirono. Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua trasformata in vino, chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono il vino buono all’inizio, e quando gli invitati sono ubriachi quello cattivo. Ma tu hai serbato il migliore fino a questo momento.” Giov. 2, 7-10

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Quanto spazio abbraccia con lo sguardo chi, seduto su alta cima, posa gli occhi sul mare del color del vino, tanto ne saltano in un sol balzo, con sonori nitriti, i destrieri degli d猫i. Omero, Iliade, canto V


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“Io, peccatore, non bevo mai senza sete: se non presente almeno futura; prevenendola si capisce” Rabelais, Gargantua e Pantagruel “Il vino è una delle materie più civili del mondo, una delle cose materiali che sono state spinte al più alto grado di perfezione, che offre una più ampia scelta di gioia e soddisfazione.” Ernest Hemingway “Quando lascerò il mondo, col vino lavatemi il corpo, Poi da ciocco di vite, traete il legno della mia bara”. Omar Khayyam Io sono la vera vite e mio padre è il vignaiolo; io sono la vite e voi i grappoli. San Giovanni


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“Il pane di grano bagnato nel vino rosso, non c’è nulla di meglio. Ma bisogna avere il cuore in pace.” Ignazio Silone “Con noi divide il suo cibo e il suo vino. Oh il buon uomo, il brav’uomo, il caro amico!” John Ernst Steinbeck “Un bel canto so intonare, di Dioniso re: si chiama ditirambo: il vino mi ha folgorato l’anima.” Archiloco di Paro “Con Te, nelle taverne, parlar segreto è meglio Che, senza Te, fronte al Santissimo, balbettar preci e voti”. Omar Khayyam


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“...Le ingenue ragazzole che centellinano sorso a sorso lo champagne, trattenendolo in bocca al punto da annegare le papille, quelle sono le più facili a perdere la tramontana. Il bere deve essere lento e continuo, quasi a formare sulla minor porzione di lingua un ruscelletto fluido e costante: meno si spande per la bocca e meno il vino ubriaca. Per contro, i bevitori ingordi si sborniano grossolanamente: ubriacarsi è quasi sempre disdicevole; inebriarsi può essere bello ma è ben presto vietato agli abitudinari; bere senza affogare il cervello è piacere sottile e raro, da veri specialisti. Tutto questo ho imparato girando il mondo e soltanto il mio fegato può trovarci da ridire”. Gianni Brera - La Pacciada

“Il sapore di questo vino è come sei tu, al tempo stesso dolce e asprigno, tormentoso, misterioso, e per nulla ovvio.” Jack Vance “Beviamo! Perché attendere i lumi? Il giorno è lungo un dito. Prendi le coppe grandi variopinte, amico. Il vino! Ecco il dono d’oblìo di Sèmele e Zeus. E tu versa mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spinga.” Alceo


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3:

assaggiare.


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“Dicono: -Domani avremo le Huri, il celeste Gange. Ruscelli di zucchero e latte, polle di miele e vino!Intanto, empi la coppa e dammi il vino di quaggiù: Un sol zecchino supera in beltà mille promesse.” “O Coppiere! Aiula e roseto son giubilo di luce. Gusta l’istante: sette altri dì son solo cenere e polvere. Cogli rose, bevi vino, ché mentre la contempli, Ogni rosa cade a terra, e il prato ingiallisce”. “Vino liba in chiaro cristallo, al suon del triste liuto, Prima che giaccia a terra, in pezzi, il tuo cristal di Vita.”

“Quando l’ebbro usignolo trovò la via del giardino, Scoprì la ridente rosa, e il calice di del vino, All’orecchio mio, pigolò con cinguettio misterioso: -Ricorda che i giorni passati non hanno mai domani”. Omar Khayyam “Gli animi degli osti li inducono di tanto in tanto a stappare una bottiglia con un amico, o a far credito a chi non ha soldi; ma chi ha mai visto il droghiere invitare al tè le sue donne di servizio, o stappare una bottiglia di salsa di pesce oppure offrire a qualcuno una forma di formaggio?” Gilbert Keith Chesterton


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“Non mi è caro chi presso al cratere ricolmo bevendo narra i tumulti, le risse, le lagrimose guerre, ma chi mescendo i bei doni di Afrodite, e delle Muse, canta l’amabile gioia.” Anacreonte “E’ pur bello quando gli uomini sono ebbri quando essi hanno qualcosa di buono da bere ed i loro cuori sono felici.” Ammonizioni di un Saggio egiziano 13, 9

“-Ma bere dopo il sonno non è buona regola di medicina!-Sì, è proprio regola di medicina! Ma che mi saltino addosso cento diavoli, se non ci sono al mondo più vecchi ubriaconi che vecchi medici!-” Rabelais, Gargantua e Pantagruel

“Dopo aver libato e formulato la preghiera di poter fare –che più conta- il bene, non è una colpa bere; purchè a casa si ritorni senza sostegni, se l’età consente. E s’esalti chi svela nel vino intenti nobili, memore di virtù, ricco d’impegno. Silenzio sulle lotte dei Titani o dei Giganti O dei Centauri (fole d’altri tempi), Silenzio sulle risse civili – inutilissime. Bello aver cura sempre degli dei.” Senofane di Colofone “Dissi così, ed egli prese la coppa e bevve: e molto godeva bevendo il dolce vino e me ne chiese anche un’altra”. Omero - Odissea IX


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I VINARELLI o dell’analisi eno-artistica (...) ’operazione culturale ed artistica effettuata da Vinarellisti rielabora il Mito a partire dalla nascita della Storia, vale a dire a partire dalla prima pianta messa a dimora da Noè al termine del Diluvio Universale. E, non a caso, la Vite piantata dal custode delle specie animali rappresenta, a livello terreno, l’equivalente mitico dell’Arco Baleno cioè il simbolo della Riappacificazione e della Rinascita. E similmente la Vite ed il Vino che da essa si ottiene, e con quale fatica e gravure di sforzi, rappresentano e sono il simbolo della quotidiana fatica del nascere e del morire di ogni nuovo giorno, come ben hanno compreso i Vinarellisti che si sono fatti carico della fatica del vivere per farci comprendere. Dalla nobiltà del Vino, infatti, l’uomo comune ha sempre separato la tetra fatica del trasformarsi, del rinnovarsi e del Rinascere del Vino stesso che,

nel buio e nel silenzio di una solitaria maturazione, perviene finalmente allo squillo di gioia del Colore che illumina e vivizza la coppa portata alle labbra da Papi e Re, da artigiani e meretrici e, causa artiis, dall’Artista Di Vino che simbolicamente il Vino comprende e plasma nella nuova forma di rappresentazione artistica. E come il Vino lentamente nel buio e nel silenzio di nobili e lignei contatti nelle tetre viscere della terra lotta, fatica ed evolve verso la purezza della sua Forma finale così i Vinarellisti, accettando e soffrendo la splendida condanna dell’essere Artisti, scavano nel loro essere uomini, soffrono nella loro sensibilità e negli umani affetti, a piene mani affondano nella melma del pathos per portare alla Luce la nostra vera natura, la nostra condanna e felicità, in una parola il nostro semplice, meraviglioso e vitale essere Uomini. Margherita De Gresy (dal Primo Catalogo dei Vinarellisti - 1995)


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“… qui sta capovolgendosi ogni cosa: la gola, da peccato capitale, è diventata un moltiplicatore di capitale. Gli investimenti sulle papille fanno faville e dove c’è puzza di palanche, di profitti, di affari, ecco che si lustrano le pupille ai faccendieri, agli smaneggioni, ai bari”. Veronelli, da un articolo su Avvenimenti Una rara immagine di Beppe Caraffa e una schermata dell’installazione Multimediale “VI-SO 0,75” - Virtual Sommelier.

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10 anni più tardi... “...Nel frattempo il mondo nel quale ci muovevamo è cambiato. Lasciando da parte l’arte, che sembra ormai alla deriva nel Mare della Confusione e delle riviste che, come quelle di moda, ormai contengono solo inserzioni pubblicitarie, uno dei motivi che ci ha spinto ad uscire di nuovo allo scoperto è stato un problema di “Gusto”. Se dieci anni fa uno dei nostri obiettivi principali era quello di attaccare il paludato mondo dell’arte (come si conviene ad ogni nuova corrente artistica) attraverso la contrapposizione del piacere enogastronomico, ora pare che la situazione sia quasi ribaltata. Viviamo nell’era delle bolle speculative, anche quando si tratta di cibo. Un’epoca nella quale ci colpisce l’inflazione di informazioni enologiche e gastronomiche alla quale siamo esposti: i palinsesti tv sono farciti di ore e ore di ricette e prescrizioni (la rucola è l’oppio dei popoli?). La gente viene indotta ad una

conoscenza superficiale di cose che fino ad allora aveva colpevolmente dimenticato (dai prodotti dell’orto al vino) come se fosse una questione di trend. I sommelier impettiti istruiscono dai teleschermi sul come-dove-cosa bere rendendo la maggior parte delle persone succubi di atteggiamenti distorti rispetto alla semplice convivialità: i clienti dei ristoranti ormai pagano tanto per ritrovarsi in ambienti che richiedono la sacralità di una chiesa: in dovere di apprezzare cibi estetizzati che devono essere prima decantati e illustrati e gesticolati esageratamente da gestori da manuale, oppure non hanno il coraggio di esprimere il loro dissenso rispetto a bottiglie presentate come il Santo Graal da assaggiatori cresciuti a dispense settimanali e dimenticando -gli uni e gli altri- il Quarto principio Vinarellista: Godere. Ora come non mai, quello che si è scritto in precedenza sulla responsabilità degli artisti verso il pubblico vale per i ristoratori, gli osti, i baristi e chi offre la sua arte a qualcuno: le persone restano persone prima che clienti.


Avete la responsabilità o, meglio, il Potere di rendere unica un’esperienza ai vostri ospiti. Con le vostre alchimie, del tutto simili alle preparazioni del colore per un pittore, potete estasiare chi si accosterà alla vostra Arte oppure disgustarlo. Potete fare volare una persona elevandola e facendole conoscere ingredienti e accostamenti inimmaginabili. Potete farle riaffiorare ricordi assopiti solleticando la loro memoria attraverso il gusto e l’olfatto. Oppure dimenticare. Cosa direste se un pittore vi impedisse la visione del suo quadro spiegandovi per filo e per segno cosa raffigura? Oppure un musicista che vi impedisse di ascoltare la sua musica, un regista che scissciasse nel vostro orecchio la trama del suo film mentre state al cinema... così suonano indigesti e superflui i commenti eccessivi e il blablabla intorno a ciò che si sta per mangiare o bere.


Le citazioni di questo libretto sono tratte dai testi originali e dai seguenti volumi: +Il vino nella storia e nella letteratura / Giusi Mainardi, Pierstefano Berta. - Bologna: Edagricole, 1991. +La pacciada: mangiarebere in Pianura Padana / Gianni Brera, Luigi Veronelli [Milano]: Baldini & Castoldi, [1996]. +L’ uovo alla kok: Aldo Buzzi - Milano: Adelphi, 2002. +Diario in cucina: isola di Simi, Grecia, 1967 / Daniel Spoerri - Bra: Slow Food, 2000. +Il calamaio di Dioniso: il vino nella letteratura italiana moderna / Pietro Gibellini. - Milano: Garzanti, 2001. +Dizionario Veronelli dei termini del vino / a cura di Alessandro Masnaghetti - Bergamo: Veronelli, 2001. +Filosofia del vino / Massimo Dona - Milano: Bompiani, 2003. +L’immaginario del simposio greco / François Lissarague. - Roma: G. Laterza, 1989. +Le nez du vin / Jean Lenoir ; acquarelli originali di Colette Javelle - Edizioni Jean Lenoir, 1981. +Storia del vino: geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri / Tim Unwin - Roma: Donzelli, 1996. +The story of wine / Hugh Johnson. - London: Mitchell Beazley, 1989.

Altri materiali sono visibili sul sito www.artistidivini.net - Opere degli Artisti Divini sono presenti presso l’osteria Il Naso Rosso, P.le Rimembranze, Crema.


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“...Impedisci a chiunque di riempirti il bicchiere rimasto a mezzo dopo l’ultima mescita: non vale dire che, tanto, è lo stesso vino: ogni bottiglia infatti ha una sua anima. Da come tratta la bottiglia, prima e durante la mescita, induci la cultura enoica del tuo ospite. Molta gente crede che bastino i quattrini per bere bene: si può bere anche male con vino ottimo, benché sia assiomatico e inevitabile il bere male con vino cattivo. Risiedi a lungo in Francia e scopri l’organizzazione, la quale non può essere inciviltà. I francesi hanno selezionato le piante (ceps) e le vigne (crus). Il loro clima è più stabile del nostro, i loro vinificatori hanno potuto definire al meglio lo standard del vino prodotto. Essi fanno il vino con una tecnica insigne: spinta all’eccesso, lo priva tuttavia del suo carattere più sincero. Quando la tecnica di vinificazione è eccessiva, hai l’impressione, bevendo, di baciare una donna troppo truccata: sempre donna è, ma forse andrebbe meglio al naturale. Comunque, non esagerariamo: una Venere priva di tecnica e di pulizia può disgustarti, così come ti può attirare una racchietta che almeno sia brava e pulita...” Gianni Brera - La Pacciada


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VITA DI VLADIMIR VON SACHER, (INCOLPEVOLE) IDEATORE DEL VINARELLISMO (E degli uomini illustri che ebbero la fortuna di incontrarlo) Vladimir Von Sacher (nessuna parentela, sosteneva non creduto, con il più celebre Sacher-Masoch) nasce a Vienna nel 1885, ultimo di 8 figli. Suo padre, un nobile decaduto e piccolo possidente, amante delle arti ma soprattutto del vino, ebbe frequenti discussioni col figlio rispetto ai suoi interessi che, in quel momento, erano orientati più verso la fisica meccanica piuttosto che le arti liberali. Nel 1901 iniziò (costretto dal padre) a studiare arte con risultati non proprio brillanti. Suo compagno di corso fu colui che conquisterà nel tempo (purtroppo) più fama di lui: Adolf Hitler. Adolf, vittima degli stupidi scherzi di Vladimir, promise

che prima o poi gliela avrebbe fatta pagare, soprattutto quando il secondo si appropriò in maniera indebita della borsa di studio per seguire dei corsi a Parigi e lo costrinse ad accettare un umile lavoro come imbianchino a Berlino. Nel 1905, l’Artista arrivò a Parigi ed entrò in contatto con i primi movimenti antiaccademici in occasione del Salon d’Automne dove esponevano i Fauves. Un amico gli fece credere che i pittori avessero organizzato una festa in costume e Sacher si presentò al Salon vestito da selvaggio scatenando l’ilarità dei presenti e l’intervento delle forze dell’ordine. Da lì in poi la vita di Wladimir scorse perpendicolare alle più importanti svolte del mondo dell’arte del ‘900. Due anni dopo l’arrivo di Modigliani a Parigi, nel 1908, riuscì a farsi invitare di straforo al famoso banchetto in onore di Rousseau il Doganiere, nello studio di Picasso. Per la sua naturale timidezza


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e la sua fame atavica, V.S. era troppo emozionato e si ubriacò, finendo addormentato sotto il tavolo e perdendosi le prime tele cubiste di Picasso. Era il 1909 e i cubisti esponevano al Salon d’Automne. Vladimir, visto il suo comportamento allo studio di Picasso, non venne invitato. Fu anche l’anno della fondazione e del Primo Manifesto del futurismo. La fondazione della rivista “Sturm” a Berlino nel 1910 é solo uno degli avvenimenti notevoli di quel periodo; Kandinsky, infatti, dipinse il primo acquarello astratto; Nolde dipinse La Pentecoste; Delaunay La Torre Eiffel; e ci fu la grande mostra di Rouault a Parigi. Il Maestro, dal canto suo, dipinse il primo vinarello astratto rovesciando una bottiglia di Beaujolais su una tovaglia di un bistrot a MontMartre. Dopo la fondazione e la prima mostra del Blaue Reiter nel 1911 Sacher ebbe grandi discussioni con questi artisti, secondo lui troppo “annacquati” e

seriosi. Scrisse un pamphlet sarcastico dal titolo “Dello spirito nell’arte” illustrandolo con etichette di grandi vini. Ne stampò 100 copie a sue spese, regalandone una a Kandinsky, in segno di dileggio. L’anno seguente assistiamo ai primi due grandi plagi dell’opera del Maestro: i Papiers collés cubisti ed il testo di Kandinsky “Dello spirituale nell’arte”. Nel 1913 Sacher finì tutti i soldi della sua borsa di studio e contrasse debiti con Marcel Duchamp. Vladimir tentò di fargli uno scherzo facendosi trovare in casa con pochissimi oggetti che Duchamp gli requisì insieme all’ufficiale pignoratore. Nell’ordine: uno scolabottiglie, un orinatoio e una ruota di bicicletta. Duchamp -manco a dirlo- “creò” i primi Ready-Made. E’ l’anno del Cerchio bordeaux su tovaglia a fiori di Sacher, del Quadrato bianco su fondo bianco di Malevic e anche la vigilia della prima guerra mondiale.


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Nel 1916 il Maestro giunse a Zurigo in contemporanea con la nascita del Dadaismo. Si può tranquillamente affermare che la vera origine di questo movimento é frutto del primo innamoramento non corrisposto di Vladimir per Bernadette che, purtroppo, era anche la ragazza del suo padrone di casa, Tristan Tzara. Da parte sua, il famoso affittuario gelosissimo, gli mandò un ingiunzione di sfratto accompagnata dai giornali con le stroncature del suo trattato sullo spirito nell’arte. Vladimir, che era estremamente permaloso, prese i giornali e glieli strappò stizzito davanti agli occhi. Tzara “inventò” così la poesia dadaista, della quale offre la ricetta nel suo celebre “Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro” nel 1918. La ragazza, manco a dirlo, tornò con il fidanzato reso celebre da un gesto involontario di Sacher. Dopo la Rivoluzione russa, quella tedesca, la Repubblica di Weimar ed il Primo manifesto Dada, Sacher non resistette più

e , approfittando della fine della prima guerra mondiale (durante la quale rimase in Svizzera perchè in Austria sarebbe stato richiamato) tornò a Parigi ed incontrò Man Ray con il quale inizia una convivenza di qualche mese segnata da continui scontri e dispetti surrealisti. Per esempio, quando Man Ray gli bruciò la giacca buona mentre stava stirando, il Maestro saldò dei chiodi sotto il ferro da stiro. Inutile dire che fine fecero i vestiti di Ray ma anche il ferro da stiro. E, ancora: Man Ray era di turno in cucina controvoglia perchè Vladimir era riuscito finalmente ad avere un appuntamento con un grande critico. Ray gli fece credere che una scodella piena di vernice blu fosse una Blaue Reiter Suppe. Vladimir, per non dargliela vinta, ci inzuppò anche il pane. Quando entrò il critico, Vladimir fu scosso da conati di vomito e scappò fuori. Al critico, favorevolmente impressionato dal pane blu, venne fatto


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credere dal solito Man Ray che si trattasse di una sua opera. Nel 1920, in una breve pausa ad Amsterdam dove si arrangiò come poteva, trova lavoro da imbianchino in casa Mondrian. Le prove di colore sul muro evidentemente colpirono molto Il pittore che lo pagò una miseria. L’anno dopo questa ennesima delusione, Vladimir Sacher tornò di nuovo in Svizzera, dove -all’annuncio delle nozze di Tzara- cadde in una profonda depressione, che sfociò in una vera e propria crisi mistica che lo porta a diverse conversioni alle religioni più disparate, nell’ordine: Calvinista, Cristiano Ortodosso, Testimone dei Santi Martiri Svizzeri (che pone di nuovo dubbi sulla sua parentela con il nobile austriaco gia citato) ed infine si convertì definitivamente all’ebraismo. Negli anni seguenti continuò ad errare per l’Europa in cerca di sè stesso. Non sapremo mai se si sia ritrovato o meno. Siamo certi che errò.

Nel 1933 la conversione religiosa svizzera si rivelò particolarmente utile nel suo viaggio in Germania, quando si fece ammettere nella cerchia della “Junge Juden Kunst Fabrik” facendo credere di essere figlio del rabbino Ungherese Jovan SacherKasher. Quando Hitler andò al potere Sacher, immemore degli antichi screzi, ebbe la brillante idea di richiedere una sua sponsorizzazione per una mostra al Reichstag. Il Führer invece, memore del passato scolastico, mantenne la promessa austriaca: autorizzò la mostra ed incendiò il Reichstag. Di lì a poco inizieranno i Pogrom e le persecuzioni degli artisti “degenerati”. Vladimir fuggì in America nel 1935, a “cercare fortuna”... Nel 1938 si stabilì a New York ma anche lì trovò lavoro solo come imbianchino. In cambio di vitto ed alloggio, dipinse il soffitto di casa Pollock ma venne cacciato perchè faceva gocciolare il colore sulle tele


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bianche dell’artista. Come se non bastasse, Pollock gliele fece ricomprare nuove. La decisione drammatica di rinunciare finalmente all’arte é del 1952. Facendo i lavori più disparati, si consola con dell’innoquo collezionismo, iniziando una raccolta di lattine Campbells, fumetti e bottigliette di Coca-cola. Ospitò in casa sua per tre mesi un giovane pittore squattrinato che lo mosse a compassione perchè vide in lui la sua giovinezza. Il giovane pittore (come ricorderà nei suoi famosi diari) usava farsi ampi e volgari gesti di scongiuri ogni volta che Sacher lo chiamava “figlio mio”. Il suo nome era Andy Warhol. Ma l’ultimo sgarbo americano a Vladimir fu ad opera di Roy Lichtenstein: gli chiese in prestito la sua collezione di fumetti e non gliela restituì mai più... Nel 1956, nuovamente amareggiato ma non rassegnato, tornò in Europa. Questa volta la sua meta é l’Italia.

In linea con la tradizione dei grandi viaggiatori mitteleuropei, é deciso a ricercare delle radici dell’arte e per capire, in fondo, i suoi errori passati. A suo dire, di questo periodo, rimangono memorabili gli incontri negli studi di Manzoni e di Fontana. Piero Manzoni lo caccia malamente perchè Sacher considera escatologicamente i suoi lavori delle grossissime “scheiserein” passibili di un successo pari a quello avuto da lui in tutti quegli anni. Fontana non sarà da meno quando, in un accesso d’ira contro l’iniquità dell’arte nei suoi confronti, Vladimir sfregierà e sforacchierà tutte le sue tele nuove... Le tracce del maestro si perdono nel 1968, anno nel quale avvenne l’incontro con Nicola Trani, scappato di casa a 13 anni per recarsi all’Osteria delle Dame a Bologna per ascoltare Guccini e ritrovatosi, suo malgrado, custode delle memorie di Sacher e suo successore spirituale...


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“Melanippo, ubriacati con me. Sceso di là dai gorghi d’Acheronte, oltre il varco, rivedrai questa luce chiara? Tu lo credi?… Lascia, non pensare -siamo giovani- al mondo di laggiù. Ora, quale che sia la sorte, a noi s’addice bere”. “Alle sventure non cediamo l’anima! Bicchi, non gioverà Questo tedio d’esistere. Il migliore “I bevitori viziosi nascondono Farmaco è il vino: prendere una mani tremanti e voglia sbornia”.

continua di bere come una Alceo condanna a vita. Chi beve vino e lo capisce e apprezza è “Se bevi vino, non berlo che con come colui che udendo musica uomini saggi, sente passare gli angeli e li O con idolo, pari a tulipano sotto distingue”. i cieli.”

Omar Khayyam

Gianni Brera


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4:

godere.


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Cherry blossom While hot Sake gets cold I wonder

Koshino Kanbei

Fiori di ciliegio Mentre il Sake caldo si raffredda Mi meraviglio


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“Bignia-Lisa” o lo Spirito dell’ Haiku La “via del vino” in Giappone La profonda relazione che esiste tra “spirito”, religione ed arte non é una peculiarità esclusiva della tradizione occidentale. In Giappone, paese geograficamente lontanissimo dalla conca del Mediterraneo ove nacque la cultura della vite, il ruolo del vino fu svolto da una bevanda altrettanto inebriante, ricavata dalla distillazione del riso. Il “sake”, chiamato per l’appunto anche “vino di riso”, illuminò e rapì –portandoli alla folgorazione dell’anima e della carne piuttosto che ai regni dell’ispirazione e del sogno- milioni di uomini e di donne. Ma se è vero che in Occidente restano evidenze straordinarie dell’importanza che la sacra ebbrezza ebbe nel corso dei millenni non solo come gradita occasionalità nella vita di quasi ogni persona, ma anche e soprattutto come elemento imprescindibile in certe cerimonie religiose o come uno dei “magici” strumenti d’accesso all’esperienza ultraterrena, altrettanto non si può dire del Giappone.

Analizzando le discipline religiose che sono l’essenza stessa della poesia giapponese -Zen, Mahayana, Confucianesimo e Shintoo- alla ricerca di indizi sul rapporto con l’uso di bevande alcooliche, si rileva infatti che la posizione predominante a questo riguardo è una “consigliata distanza” quando non addirittura il “biasimo”. “Non amare il vino. Se a un banchetto è difficile rifiutarlo, fermati subito dopo averne bevuto un poco. Astieniti da tutte le cose volgari. È un’ammonizione a tenerti lontano dal sake: stai attento!” Dal “Goshichiki”, regola VIII, ricompilazione del 1760 Ma la verità è che anche noi giapponesi adoriamo bere, esaltarci, ubriacarci, trascendere, così come qualsiasi altra persona, e l’effetto che il vino ci fa è assolutamente identico a quello che fa a tutti gli altri esseri umani, a prescindere dal peso delle tradizioni e delle imposizioni della cultura dominante. All’interno della vastissima produzione letteraria del Giappone, all’estero per la massima parte ignorata, esistono alcune tipologie di composizione che per ragioni varie sono giunte alla conoscenza anche


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del mondo occidentale. Probabilmente la più famosa di esse è l’ “haiku”. È su questa che vorrei concentrare la mia attenzione, e più precisamente sull’influenza che lo “spirito dionisiaco” ha su questa forma poetica. Nato nel XIII secolo, articolato in diciassette sillabe nella sequenza 5, 7, 5, e strettamente regolato da un codice invariabile che ne limitava i temi trattabili (stagioni, elementi atmosferici, paesaggi, ricorrenze, uccelli e animali, fiori e piante, religione), oggigiorno l’ “haiku” è reperibile nelle metriche più disparate, e i poeti contemporanei abbordano liberamente ogni tipo di argomento. Così come accade ora, è facile intuire che anche in passato ci furono casi di devianza dalle regole, con la differenza che se oggi questa è un’attitudine tollerata che viene perfino ufficializzata come pratica innovativa, in tempi lontani l’inosservanza dei princìpi era causa di allontanamento dalle “scuole” e di esclusione dalla società. Non è dunque un caso che da un esame limitato alle composizioni canoniche dei classici si ricavino solo scarsi esempi di accenni al “vino”, tutti abbastanza “tiepidi” o indiretti, che nel caso dell’

“haiku” potremmo esemplificare con il seguente verso: La lite nell’osteria Si riaccende Sotto la luna velata Shiki Nondimeno, se non ci fermiamo alla considerazione delle opere che sono giunte fino a noi in forma scritta ma ci permettiamo di uscire a nostra volta dalle rigide consegne di un approccio “accademico” ed espandiamo l’ambito della ricerca includendo anche informazioni procedenti dalla tradizione orale , ci imbattiamo in almeno una notevole eccezione. In tutto il Giappone, infatti, è conosciuta la storia che narra le vicissitudini di un “Poeta Bevitore”, vissuto approssimatamente nell’era Heian (794858 dC). In quell’epoca i componimenti in voga erano ancora quei “waka” che sarebbero per l’ “haiku”, nei secoli a venire, la fonte ispirativa oltre che la matrice dalla quale esso procede anche nella forma, non essendo altro che il risultato dell’isolamento della prima parte di questi poemi di 31 sillabe.


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Per quanto non ci sia giunto alcuno degli scritti di questo autore, la sua fama sembra essere stata grande, verosimilmente proporzionale all’impatto che la magnitudo della sua anticonvenzionalità deve avere avuto sulla società del tempo.In vari documenti provenienti da diverse aree geografiche del Paese si incontrano infatti cenni che alludono alla sua apparizione. Figlio primogenito di un dignitario imperiale, fu istruito ai più alti livelli nelle discipline marziali e in quelle artistiche nelle quali eccelleva, ma certi suoi comportamenti ritenuti scandalosi attirarono su di lui critiche fin dagli anni della gioventù. Era noto infatti che una corrisposta passione lo legava ad una ragazza pubblica, con la quale soleva trascorrere notti intere ubriacandosi, facendo all’amore e scrivendo, concludendo spesso col farsi trovare addormentato e svestito per strada, sfinito dall’alcool e dal sesso. La dedizione all’amore carnale e lo sfrenato gusto per il vino lo possedevano a tal punto che in queste notti creava versi sublimi, ma censurati e aborriti dai maestri poichè offensivi della morale e della “religione”. Questi scritti venivano stracciati davanti a tutti gli altri discepoli,

ed egli veniva duramente redarguito, con la proibizione di abbandonarsi a cose tanto basse e l’esortazione a mettere il suo grande talento al servizio di più elevati e puri valori. Un tragico episodio impresse una svolta decisiva alla sua vita. Proveniente da un’osteria giunse alla casa di cortigiane ove viveva la sua amata nel momento in cui un samurai, infuriato per il rifiuto della ragazza, tentava di usarle violenza. Accecato dalla rabbia e dal dolore si scagliò sull’uomo, commettendo agli occhi della società del tempo un tremendo crimine: uccidere un nobile per proteggere una comune prostituta. Seguirono l’ostracismo, la fuga e il divieto a tutte le scuole e le istituzioni di accoglierlo. Il padre lo ripudiò, facendo cancellare dagli atti ufficiali ogni traccia dell’esistenza di questo figlio, fatto che spiegherebbe le controversie che esistono riguardo al suo vero nome di famiglia, al suo luogo di origine e alla sua data di nascita. Della ragazza non si seppe più nulla. Da questo momento comincia la fase più confusa e leggendaria della sua vita. Per un arco di tempo straordinariamente lungo, segnalato in più luoghi distanti tra loro, compare in taverne o in postriboli,


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assetato di sake e pronto a condividere il suo amore per la vita e il suo desiderio di una nuova giustizia con la gente più semplice. Ora poeta, ora divino ubriacone, lascia come uniche tracce parole meravigliose aleggianti nell’aria, il gusto del proibito e il ricordo del palpitante calore della sua presenza, divenendo nel segreto di molti cuori una specie di eroe popolare. A mio personale parere l’interpretazione più attendibile di questi dati, che considera la nebulosità della collocazione storica, l’apparente ubiquità e la molteplicità dei patronimici a fronte della costante identità del nome d’arte, non è quella dell’inverosimilità ma quella dell’esistenza di vari personaggi di simili caratteristiche, trasformati dal tempo e dall’immaginazione collettiva in un unico personaggio mitico. Ma veniamo ai nostri giorni. Nel 1984, a Tokyo, un gruppo di artisti di tutto il Paese si riunisce nella casa di uno di essi in occasione di una ricorrenza. Si mangia, si beve, e si beve ancora. La conversazione si inoltra nella notte, e gli spiriti sono unanimi: la gente, accecata e sofferente per lo “sradicamento” perpetrato in nome della “contemporaneità”, ha perso di vista il senso dell’esistenza, il gusto per la vita.

Bisogna riscoprire il mondo, recuperare il sentimento di “appartenenza”, e il primo passo è avere il coraggio di uscire dal meccanismo perverso della comunicazione “omologata” e di cambiare il linguaggio. Infuocati dall’alcool, questi poeti e poetesse sentono improvvisamente che la loro missione è quella di mettere la propria voce al servizio della vita. È una sensazione “dionisiaca” quella che li possiede, ed essi la riconoscono come la guida che permette all’uomo di percorrere la “via della bellezza e della pace”. Nasce in quel momento il sodalizio chiamato “Bignia-Lisa”, in onore del più divino dei vini mai provati sulla terra, di cui il “Poeta Bevitore” viene considerato a tutti gli effetti il “maestro spirituale”. Molto vicina nelle linee generali alla grande tradizione dell’ “haiku”, questa scuola viene spesso erroneamente considerata “ribelle” per il fatto di avere apertamente elevato il sake e il vino al rango di proprie muse ispiratrici, quando invece ciò non è che un’evidenza esteriore della vera rivoluzione: la scelta di un’interpretazione liberatoria e “vitale” dei princìpi fondamentali che ordiscono la trama sottostante alla creazione artistica. La base di tutto, per i poeti di questa corrente, è infatti la consapevolezza che


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la Poesia è Religione. Una religione nel senso più atavico del termine, che altro non è se non il sentimento originario dell’uomo di appartenere al mondo nella sua interezza, di esserne una parte viva, di seguire i suoi stessi movimenti, le sue stesse leggi, il suo stesso corso. O ancora, detto in un altro modo, la conoscenza ancestrale dell’interdipendenza e della compartecipazione, dell’ “identità” di tutti gli elementi, dal più piccolo al piú grande. “Essere qui” ed “essere ora”. Essere “completamente”. “Essere” le cose, tutte le cose, abbandonarsi, entrarvi e lasciarsi compenetrare da esse: questo è per i discepoli del “Bignia-Lisa” la poesia, questo è l’arte, e il vino è il grande simbolo di questo stato d’animo. È l’ispirazione di riferimento, a volte il tema delle composizioni, e in certi casi perfino lo strumento materiale con il quale lavorano, intingendovi pennelli e pennini. Oh, questo vino! Preso dalla tua bocca, Ancora più buono Per gli appartenenti a questo gruppo l’ “haiku” non è una questione razionale, non ha nulla a che fare con l’intelligenza, è

puramente spirituale e fisico; molto fisico per la verità, e un corpo nudo, il cibo, la passione sensuale, sono tanto sacri quanto lo sono il vento di primavera, le cicale che friniscono nei pini sotto il sole d’estate, l’oscurità del mare, i passi ovattati nella neve, o il grano che ricresce nei campi. L’alba – La luce dei tuoi seni Mi risveglia Nel profumo del sashimi, Promesse di felicità – Come ieri Aspettando la tua bocca Che scende sul mio sesso – Un harakiri Per immergersi appieno nel senso profondo di questa “scuola” credo sia fondamentale comprendere la sua peculiare maniera di trattare il risultato materiale di un atto creativo: questo infatti è considerato solo l’espressione di un’illuminazione istantanea attraverso la quale si contempla l’inesprimibile significato di una cosa, che è contemporaneamente la nostra unità con quella cosa stessa, e la nostra ri-unione con tutte le cose, in cui ci realizziamo


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nella nostra profonda essenza. E questa illuminazione, contrariamente a quanto si potrebbe credere, non è necessariamente un vissuto piacevole, ma può essere anche la discesa in un’immensa oscurità. Un’altra estate Fiori secchi, e una macchia Ancora lì, in quel punto dell’asfalto Secondo questa concezione l’opera, limitata al minimo intervento umano possibile (pochissime sillabe, o una semplice immagine), ha come unica funzione quella di conferire il “potere di vedere”, di far cadere la barriera che è venuta ad esistere tra l’uomo e il mondo. È una celebrazione dell’essere nel mondo, dell’essere il mondo. “La vera opera d’arte non è l’espressione, ma l’esperienza che l’ha generata.” “Non confondiamo le cose con ciò che le rappresentano. Solo nel viverle si compie il senso dell’uomo.” “Tutti siamo poeti ed artisti, per il fatto stesso che esistiamo.” È da queste posizioni poetiche che

deriva, in modo naturale, il diniego degli appartenenti a questa corrente a riconoscere la paternità delle creazioni: convinti di non avere alcun merito nella composizione poetica o grafica, e ritenendosi semplici strumenti di una forza creatrice, gli appartenenti a questa corrente infatti non firmano mai le proprie opere. Queste poche note, che non sono sicuramente sufficienti a illustrare l’essenza e la portata innovativa del movimento “Bignia-Lisa”, al tempo stesso sono già troppe. Forse, seguendo l’insegnamento dei suoi poeti, sarebbe più consono dimenticare tutte le parole scritte finora e limitarsi a una sola frase: “sono sangue, lacrime e sudore, sake e vino, insieme ai succhi dell’amore, quelli che si mescolano con l’inchiostro che scrive questi dipinti e dipinge questi haiku”. La mia opinione è che questo, per quanto ridotto e poco conosciuto rispetto ad altre realtà poetiche, sia uno dei fenomeni artistici più originali e realmente ispirati del nostro Paese. Mai si era vista in Giappone una così totale e sincera dedizione alla vita nella sua interezza e alle sue istanze primigenie, e io mi inchino davanti al valore di questi uomini e queste donne che hanno saputo onorare una delle


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forme più belle della poesia tradizionale riempiendola del battito del cuore che regge l’Universo. Ovunque, ed in ogni momento, la “storia” è somma di testimonianze. Di queste ultime ai posteri giungono solo quelle scritte, e di queste, a loro volta, solo alcune. Ciò che noi “sappiamo” del passato è solo ed esclusivamente ciò che è stato registrato da chi, di volta in volta, era il detentore degli strumenti della comunicazione, ciò che non si è perduto, o ciò che non è stato espressamente distrutto o cancellato, per motivi spesso fin troppo evidenti, da chi è venuto dopo.

È forse a questo che si deve la relativa scarsezza di tracce di quella che fu, in tempi più o meno remoti, l’importanza dell’elemento “dionisaco” nell’arte e nella religione nipponiche? O ancora: che traccia resterà tra mille anni della scuola “Bignia-Lisa”?

Shirayuchi Junichiro


“Giova fra il giro delle coppe, nel simposio, starsene a bere e bere conversando�. Focilide



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