editoriale
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La realtà virtuale
sta diventando il mondo reale L’impatto della pandemia da Covid 19 ha accelerato un nuovo modo di lavorare: il cosiddetto ‘smart working’ o lavoro da remoto, per chi non ama i forestierismi. Ciò ha costretto tutti quanti a fare i conti con un uso più intenso del digitale: videoconferenze e trasmissioni ‘live’ stanno praticamente azzerando i tanti impegni che, un tempo, richiedevano di spostarsi quotidianamente per raggiungere la propria postazione di lavoro, recandosi, in molti casi, addirittura fuori dalla propria città. La svolta digitale, dunque, è ormai in atto: una modalità pratica e veloce di relazionarsi con i propri interlocutori di riferimento, evitando quei ‘non luoghi’ in cui, di solito, avvenivano gli incontri. Nessuno è escluso dalla grande ‘migrazione’ di massa sul digitale. Nemmeno le persone anziane, un gruppo sociale il quale aveva bisogno più di altri di un simile cambiamento, ma che sembrava il meno avvezzo all’utilizzo della rete. Anche l’ambito formativo risulta, già oggi, tecnicamente ‘ibridato’ dal digitale, grazie a una larga fetta di giovani che utilizzano la connessione a internet per attività di specializzazione professionale, di riqualificazione lavorativa e, persino, per apprendere contenuti, studiare o laurearsi. Pertanto, quando usciremo dal lungo tunnel dell’emergenza sanitaria, nulla sarà più come prima, poiché il web continuerà a essere il principale ausilio di supporto per moltissime attività. In termini antropologici e sociali, tutto ciò certifica una correlazione sempre più stretta tra il web e la nostra vita quotidiana, sia tra le nostre mura domestiche, sia nelle attività che svolgiamo fuori casa. Alcuni settori, come per esempio quello dell’e-commerce, presentano dati addirittura sorprendenti: siamo di fronte a un vero e proprio ‘decollo’ di un nuovo modo di produrre, acquistare e vendere merci, anche a distanze intercontinentali, con soddisfazione di tutti e il superamento di molte difficoltà dettate, in precedenza, dal traffico e da una scarsa mobilità di superficie, soprattutto nelle grandi città. In estrema sintesi, l’era del digitale è già qui, con una presenza ormai irreversibile della rete nelle pieghe della nostra vita quotidiana, occupando un ruolo e uno spazio ormai destinato a crescere. L’accesso al web non è più una scelta opzionale: privarsene significa porsi al di fuori della realtà. Siamo insomma di fronte a una vera e propria rivoluzione, la quale dovrà essere accompagnata da corrette coordinate umanistiche di ‘governance’, al fine di non appiattirci tutti quanti su una linea ‘modernista’ che rischia di farci perdere per
strada il meglio delle nostre esperienze passate “gettando l’acqua sporca con tutto il bambino”, tanto per usare un antico adagio. Il vero progresso, per risultare in quanto tale, dev’essere governato con intelligenza e ingegnosità, per fare in modo che al centro dello sviluppo vi sia sempre l’uomo e non la ‘macchina’. Questa rimane la nostra indicazione d’indirizzo: uno sviluppo funzionale unicamente a se stesso conduce a una pericolosa perdita di valori e sentimenti, sostituiti da semplici pulsioni e sensazioni che incrementano forme apparenti di verità, tanto automatiche, quanto assolute. “Vendigli l’anima e non guardarti indietro” recitava il testo di una canzone del gruppo tedesco ‘Propaganda’ e intitolata ‘Dottor Mabuse’. Ovviamente, non si trattava di un incitamento a forme piatte e compulsive di consumismo, bensì dell’esatto opposto, secondo le tecniche del ‘messaggio indiretto’: presentare in forma critica quel feticismo delle merci che la globalizzazione riesce a imporre di fronte ai bisogni dei ceti meno abbienti, bruciando valori e tradizioni culturali importanti, come la frugalità, l’originalità e l’autenticità individuale, mercificando perfino i rapporti umani. È dunque il primato della nostra anima, quel che dobbiamo preservare. Tutto il resto, possiamo anche lasciarlo fare alle macchine.
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Vittorio Lussana