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Esistiamo su mondi paralleli
ESISTIAMO SU MONDI PARALLELI
Le culture umaniste hanno ancora un proprio valore intrinseco di fronte all’avvento di una dittatura ‘tecnocratica’, funzionale unicamente a se stessa? Stiamo producendo nuove forme di alienazione e dissociazione? Le macchine stanno prendendo il sopravvento sull’uomo anche in settori come la poesia e la letteratura che credevamo appartenere alla nostra sensibilità più profonda?
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Siamo caduti in due realtà prossime, ma non continuative. È ormai l’anno 2022 e ci vengono concesse due vite: una da remoto, l’altra reale. La prima è molto interessante, con la possibilità di rendere la persona una potenza pura nella rete. Da remoto, sei una persona connessa col mondo e puoi fare come se il tuo corpo non servisse, o non avesse più alcun limite, tranne gli accessi consentiti on line e l’alimentatore energetico del personal computer. Ma quando si prova a cercare una carezza, si cade in un link di forte malinconia nel comprendere che, in realtà, esistere significa vivere ‘fuori’ dal web. La scossa è fisica nel vedere gli argomenti condivisi con un amico su Facebook e venire a sapere, solamente dopo qualche giorno, che ci sono stati i suoi funerali nella vita reale. Siamo di fronte a un secolo che si ammala sia virtualmente, sia in presenza. E noi che ci sentiamo al centro della nostra esperienza restiamo confusi: confusi dal dire se lo abbiamo compreso con i sensi o in maniera indotta e quanto dogma ci sia, dietro a uno schermo che ti propone i suoi temi individuando i tuoi gusti con gli algoritmi e con i ‘cookies’. Non comprendere più da dove nasca un’idea, un’emozione o un lavoro significa perdere il senso del perché ci si è imbattutiin contenuti particolari. Non si oggettivizza, ma si relativizza: si ha la percezione di avere tutto a disposizione di ‘click’, mentre è solo un’utopia. Significa perdere un tempo materiale infinito, per farsi riconoscere da un sistema ID digitale e avere un appuntamento per pagare un servizio, senza nemmeno fare qualche battuta col tuo vicino di fila. Non sai più se vuoi vivere di luce riflessa dietro a uno schermo, mangiando una carbonara industriale, o salutare il tuo salumiere e chiedergli il nuovo guanciale di Amatrice, ritornando a piedi tra gli alberi. E mentre scrivi, un social ripropone il tuo viso che è sempre più brutto, rispetto a come sei davvero. L’emozione in presenza nell’aver incrociato uno sguardo vellutato e caldo, tale da rendere unico quel momento in quanto finito, non si può riproporre: come un film senza posa, la fisicità dei nostri rapporti sembra ormai preclusa. Cosa scrivere di un tempo diviso fra il dopo Cristo e il dopo web? Chi non è un ‘Millennium’, cioè nato senza web, ricorda un mondo della scuola in cui i ragazzi si sedevano tra i banchi e studiavano in presenza. Tra i temi trattati, la storia di un uomo chiamato Omero, che con la scusa di essere cieco guardava la realtà con l’anima. Oppure, sentire l’odore della carta e dell’inchiostro tra i libri sfogliati e, magari, un po’ ribelle, leggere di nascosto Pasolini: “È la forza originaria dell’uomo che, nell’atto della Storia, si è perduta”. Adesso, con il localizzatore non puoi nemmeno andare al bagno, che lo sanno anche a Londra. Ma cosa si conosce davvero, dietro a uno schermo che cambia i suoi algoritmi? Quanto stiamo cedendo al virtuale, se un reset improvviso potrebbe cancellare i dati della tua pensione, o modificarli erroneamente facendoti rimpiangere la carta? In un futuro tragico, diventeremo prigionieri di altri con la ‘domotica’ e una marea di password da tenere a mente? Come può imparare ad amare un bambino che si nutre culturalmente quasi esclusivamente dal web e da remoto? Stiamo vivendo una realtà caratterizzata da mille difficoltà: dovremmo forse accontentarci di utilizzare la rete solo per inviare della posta elettronica, o semplificare ordini e moduli, dando una ‘sbirciatina’ al mondo e tenere conversazioni solamente con coloro che sono connessi in quel momento. Ma non è molto più emozionante un abbraccio, un viaggio, trovarsi davanti a un’opera d’arte in presenza? È forse una visione riduttiva del fenomeno? Forse, si tende ad amare solo ciò che si conosce o che risulta più ‘a pelle’ con le nostre percezioni e sensazioni, mentre la realtà muta profondamente e irreversibilmente. Più che “no web, no life” siamo veramente di fronte a una mutazione antropologica ed esistenziale, che tende a produrre nuove dissociazioni e uno sdoppiamento tra coscienza e conoscenza.
Valentina Ughetto