ReHub. Un modello di carcere innovativo

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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Tesi di Laurea Magistrale in Architettura A.A. 2017/2018

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un modello di carcere innovativo

Relatore: Andrea Di Franco Corelatore: Lorenzo Consalez Studenti: Chiara Peruzzotti Luca Sala



Ma il cielo è sempre piÚ blu


INDICE DEI CONTENUTI

8 INTRODUZIONE

13 EVOLUZIONI E INVOLUZIONI STORICHE uno sguardo al sistema penitenziario italiano

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• L’Italia dei diritti e delle pene • La riforma del 1975 • Dopo la sentenza Torreggiani • Dove stiamo andando?

CRITICITÀ E POTENZIALITÀ DI SVILUPPO analisi e risposta ai punti deboli del sistema carcerario italiano • La razionalizzazione della geografia giudiziaria • Le criticità come punto di partenza il margine murario le relazioni del carcere il corpo rinchiuso l’infantilizzazione la detenzione femminile


157 ReHub un modello di carcere innovativo • Il bando del 2017 e il cronoprogramma per l’ampliamento • Un carcere periurbano: dov’è e dove sarà • La situazione carceraria nella provincia di Brescia • Dalle criticità al progetto • ReHub: un modello innovativo • Riferimenti normativi

253 LA RETE DI CONTATTI le esperienze e gli incontri di tesi • Il nostro calendario • Le interviste Mauro Palma Luigi Pagano Lucia Castellano

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INTRODUZIONE


L’importanza di approfondire la tematica carceraria, ai giorni nostri, è di vitale importanza da molteplici punti di vista: l’architettura carceraria, che è poi l’ambito di indagine di questa tesi, è solamente l’ultimo aspetto conseguente di un sistema molto più complesso, determinato da fattori amministrativi, politici e culturali. Viviamo in un tempo in cui la tendenza è quella di imporre il dubbio alle scelte di vita, e di conseguenza ai diritti che ognuno di noi possiede in quanto essere umano. In ambito carcerario, già da molto tempo la storia ci racconta come sia sempre esistita una mancanza e una noncuranza dei diritti, rivendicati in modo continuativo da piccole minoranze, perennemente schiacciate dalle minacce storiche e dalle paure culturali. È per questi motivi che riteniamo sia fondamentale rendere il più trasparente possibile un ambito d’azione non conosciuto, o mal conosciuto, ma allo stesso potenziale, di sviluppo sociale e culturale, nonchè architettonico. L’architettura sociale si è sempre basata sugli aspetti culturali di un popolo, ed è proprio questo ciò che accade nel carcere all’italiana: visto da sempre come luogo di segregazione dell’uomo e oblio della mente, il luogo-carcere si è presto trasformato in un non-luogo, i muri venivano costruiti e le porte venivano chiuse, la luce del giorno diventava un vecchio ricordo e il corpo perdeva la propria capacità di muoversi. Lo scopo principale di questo lavoro è proporre un nuovo modello di carcere, capace di rispondere innanzitutto alle emergenze culturali e ai punti critici riscontrati nell’intero sistema penitenziario, direttamente riversati all’interno dello spazio della pena. Il nostro modello prende vita dall’idea di socialità, intesa come capacità dell’uomo, a cui vengono riconosciuti tutti i diritti, esclusa la libertà, di stringere relazioni durature, di condurre una vita ricca di stimoli e di costruirsi un futuro.

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Non è stato un percorso privo di ostacoli. La necessità di una conoscenza teorica e pratica degli atteggiamenti italiani e internazionali è stata la prima che abbiamo riconosciuto per poter essere in grado di portare a termine un progetto architettonico innovativo. Abbiamo dunque suddiviso il lavoro di tesi in tre parti principali: la parte di ricostruzione storica e critica dei principali avvenimenti nell’ambito carcerario italiano, la parte di analisi architettonica, con l’approfondimento di diversi casi studio di respiro internazionale, e la parte di progettazione, che si è servita di un’occasione di concorso realmente avvenuta per poter sperimentare la validità delle nostre idee.

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EVOLUZIONI E INVOLUZIONI STORICHE la storia carceraria fino alla fine del primo secolo di UnitĂ


L’ITALIA DEI DELITTI E DELLE PENE La storia carceraria fino alla fine del primo secolo di Unità

“Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.” Cesare Beccaria


La storia carceraria italiana è caratterizzata, fino all’Unità d’Italia, da una frammentazione piuttosto evidente, causata dalla mancanza di un sistema di gestione unitario e un potere centrale, fattori che hanno determinato, fin da subito, il divario presente tra la situazione carceraria italiana e quella della maggior parte degli altri stati europei. La gestione delle carceri italiane, e più in generale del sistema penitenziario nella sua totalità, è differenziata a seconda delle aree geografiche di intervento, generando non solo disparità di trattamento, ma anche di filosofia della pena e sua conseguente attuazione. In Europa, infatti, e più specificatamente in Inghilterra, già dalla fine del 1700 erano state teorizzate nuove tipologie di pena e alternative al carcere: John Howard, filantropo inglese, già nel 1777 aveva ipotizzato l’introduzione di un “Giardino della Legge”, luogo di detenzione in cui era previsto l’accesso alle famiglie dei detenuti e in cui il lavoro diventava la base fondativa di una pena non più incentrata sull’isolamento e sulla detenzione passiva, ma su una primordiale idea di comunità. L’idea del lavoro come mezzo di “redenzione” diventa, negli anni, una costante del sistema penitenziario inglese, che propone alla società un ulteriore modello di detenzione, la Workhouse, luogo di lavoro carcerario, ma anche occasione di riflessione sui temi più scottanti in termini di pena: è tramite questa sperimentazione, infatti, che l’Inghilterra arriva ad abolire la pena di morte e ogni genere di tortura, vedendo proprio nel lavoro un mezzo di punizione più adeguato ai tempi. Con la Rivoluzione Industriale, però, la produttività presente all’interno delle Workhouses diventa sempre meno competitiva, facendo sì che la crescente disoccupazione esterna, legata all’automazione del lavoro, renda meno accettabile il lavoro dei detenuti1 da parte dell’opinione pubblica. Nasce così un nuovo modello, la Terror house, che vede una regressiva preferibilità della punizione al lavoro.

Peel’s Gaol Act (1823)

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Il metodo viene descritto da Michael Foucault in “Sorvegliare e punire” come il perfetto simbolo di un potere che pervade la società dall’interno.

È in questo contesto che nasce la teoria del Panopticon, tipologia edilizia progettata del 1791 da Jeremy Bentham e perfetta trasposizione dei nuovi ideali di questa parentesi repressiva: il controllo totale diviene l’unico cardine della concezione penale, atto ad ottimizzare la produzione lavorativa dei detenuti e la tipologia di vigilanza2. La storia carceraria inglese prenderà, negli anni successivi, diverse strade, fino ad arrivare, infine, ad una innovazione culturale e legislativa, anni luce avanti all’arretratezza italiana, un paese frammentato e caratterizzato da diversissime posizioni in materia sia legislativa, sia di concezione della pena.

John Howard ,“The State of the Prisons in England and Wales: With Preliminary Observations and an Account of Some Foreign Prisons”, 1777

Le vicende storiche italiane, come già anticipato, hanno causato una frammentarietà nell’edilizia penitenziaria, nonché nella sua geografia e giurisdizione, facendo sì che i modelli carcerari di epoca pre-unitaria costituiscano, oggi, circa il 30% dell’intero patrimonio edilizio italiano. È sempre nel 1777 che John Howard, alle prese con la redazione del suo libro “Lo stato delle prigioni” 3 visita le carceri italiane e ne dà una sincera e dura descrizione, cogliendone i caratteri di divisione interna: se Milano poteva vantare un modello carcerario in linea con le sperimentazioni europee (la casa di recupero), le carceri venete raggiungevano un livello di arretratezza e disumanità non più accettabili, mentre il Regno di Napoli era ancora un deciso sostenitore della pena di morte e della tortura, riconducendo alla forca ogni ideale di giustizia. Uno sguardo interessato viene invece prestato agli influssi indiretti della dominazione asburgica in Toscana, una regione che, nella promulgazione della nuova Legge Criminale del 17864, cerca una totale concretizzazione delle teorie dell’illuminista Cesare Beccaria5, autore di “Dei delitti e delle pene” e fermo sostenitore del carattere correttivo della pena. L’opera voleva infatti dimostrare l’assurdità del sistema giuridico in vigore, affermando con decisione il valore della pena detentiva rispetto a quella capitale, con la conseguente accettazione del valore correzionale come unico metodo di redenzione. La convivenza comune in

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La Legge di riforma della legislazione criminale toscana, nota come Codice leopoldino o Leopoldina, fu una consolidazione del diritto penale del Granducato di Toscana emanata il 30 novembre 1786 dal granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo. 4

Cesare Bonesana marchese di Beccaria (17381794), è stato uno dei maggiori esponenti del pensiero illuminista italiano. 5

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TIPOLOGIE STORICHE

prima dell’Unità 1860 - 1889

1890 - 1948 1949 - 1977 dopo il 1977


ASA DI RECLUSIONE DI VOLTERRA CASA DI RECLUSIONE DI VOLTERRA olterra | 1700 - oggi Volterra | 1700 - oggi

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MONASTERO DELLE MURATE MONASTERO DELLE MURATE irenze | 1883 - 1985 Firenze | 1883 - 1985

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La“poena medicinalis” è introdotta inizialmente nel “Pitagora”, ma teorizzata apertamente all’interno del “Gorgia” (386 a.C.). 6

Il testo, promulgato da Vittorio Emanuele II, era una rivisitazione del testo pubblicato dal re Carlo Alberto di Savoia il 26 ottobre 1839. 7

nome della quale gli uomini hanno sacrificato una parte delle loro libertà, accettando di vivere secondo le regole di una comunità in cambio di una maggiore sicurezza e utilità è il concetto basilare a cui Beccaria fa riferimento per sostenere che non esiste libertà tutte le volte che le leggi permettono che l’uomo cessi di essere persona e diventi automaticamente cosa. Ciò che Cesare Beccaria cerca di rendere comprensibile è come la pena debba rispondere, in qualche modo, al precetto di Platone, secondo cui le pene “fossero medicinali e non per ira intendessero a tormentare i rei, ma più utilmente il loro animo guasto e corrotto si ingegnassero a guarire”6. Nel 1859 viene istituito il Codice Penale Sardo7, che diventerà, in pochissimi anni, il primo codice penale del Regno d’Italia: il concetto di pena viene esteso e settorializzato, attribuendo punizioni diverse a reati diversi, dalla pena pecuniaria ai lavori forzati, dalla reclusione alla relegazione. Dal punto di vista architettonico, quest’epoca vede l’utilizzo di modelli storici, non inseribili nella categoria dell’edilizia penitenziaria, da un lato perchè sono connotazione di fenomeni architettonici di natura diversa, dall’altro perché la loro tipologia è stata adattata all’utilizzo carcerario in un secondo tempo. I modelli più ricorrenti e ancora utilizzati sono i modelli a corte (conventi, castelli, fortezze, palazzi), a disposizione radiale o stellare (come le carceri di San Vittore o di Alessandria) e a disposizione multipla (Regina Coeli a Roma o Le Nuove a Torino). L’Italia post-unitaria comincia ad essere protagonista di una carenza fisiologica di edilizia penitenziaria, non essendosi mai effettivamente occupata della costruzione di nuove strutture di detenzione. Comincia così un periodo della storia carceraria che vede protagonista una nuova tipologia edilizia, quella della struttura a palo telegrafico, che attualmente costituisce circa il 13% del patrimonio

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ARCERE LE NUOVE CARCERE LE NUOVE orino | 1870 - 1995 Torino | 1870 - 1995

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ARCERE DI SAN VITTORE CASA CIRCONDARIALE DI SAN VITTORE Milano | 1879 - oggi| 1879 - oggi Milano

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edilizio totale. I complessi penitenziari di questo tipo vengono costruiti precisamente negli anni a cavallo tra la prima riforma penitenziaria, il Piano Carceri del 18898, e la seconda, meglio conosciuta come Codice Rocco, del 1932: sono caratterizzati dallo sviluppo di corpi edilizi omogenei e distribuiti ortogonalmente ai lati di una distribuzione centrale. Con il passare degli anni diventa chiaro come questa tipologia non possa più dare una risposta efficace ai problemi della detenzione, fattore avvalorato anche dall’esponenziale peggioramento della qualità dei materiali impiegati nella costruzione. Infatti, se la costruzione dei complessi dopo il 1889 era connessa ad uno specifico programma di finanziamento, quelli costruiti dopo il 1932 si affidavano solamente ai fondi, per altro scarsi, del Ministero dei Lavori Pubblici. Le nuove costruzioni, nonché le successive gestioni, diventano assolutamente inadeguate, anche a causa di provvedimenti attuati in quegli anni di governo fascista: nel 1921 viene pubblicata una circolare ministeriale che stabilisce, tra le altre cose, l’obbligatorietà del lavoro e dell’ora d’aria, nonché l’adeguamento delle celle per ospitare un numero maggiore di detenuti9. È proprio questa decisione che genererà una condizione favorevole al sovraffollamento delle strutture, ben oltre la loro capacità massima. Inoltre, è in questo periodo di nuove costruzioni che guadagna campo l’idea di edificare i nuovi istituti lontani dai centri abitati. Com’era successo con la collocazione dei cimiteri, anche il carcere diventa quindi motivo di rigetto sociale. La soluzione di continuità verrà forzatamente interrotta, negli anni a venire, con l’espansione del centro storico e l’urbanizzazione delle campagne. Dal 1949 al 1977 vengono costruiti, in Italia, ben 65 complessi penitenziari: è solo verso la fine di questo periodo che lo Stato si dota di una nuova Riforma dell’ordinamento penitenziario, mantenendo quindi invariata per tutto il tempo la tipologia carceraria.

Il Codice Penale Zanardelli sostituisce il Codice Penale Sardo in tutte le regioni, fatta eccezione per la Toscana. 8

La maggior parte delle innovazioni introdotte dalle diverse circolari diventeranno parte integrante del regolamento carcerario con la riforma introdotta dal regio decreto 19 febbraio 1922, n. 393. 9

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ASA CIRCONDARIALE CANTIELLO E GAETA CASA CIRCONDARIALE CANTIELLO E GAETA lessandria | 1844 - oggi Alessandria | 1844 - oggi

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ARCERE DI REGINA COELI CARCERE DI REGINA COELI oma | 1892 - oggi Roma | 1892 - oggi

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LA RIFORMA DEL 1975 Gli anni della sperimentazione e il periodo del terrorismo

“L’architettura carceraria è una specie di banco di prova: un’esigenza scomoda che la società mondiale non riesce a superare (se non con i gulag e il genocidio) e i cui risvolti edilizi non può ignorare nè accettare così come ci sono pervenuti nel secolo scorso. Ecco le contraddizioni e i margini di ambiguità insiti nell’operazione -progetto carcerario”. Sergio Lenci


Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 l’Italia è investita da un’ondata di rivolta, partita all’interno delle carceri, ma estesa anche a quegli ambiti sociali di attenzione alle minoranze, con la quale i detenuti rivendicavano condizioni di vita più umane. La Riforma dell’ordinamento penitenziario, varata nel 1975, segna il passaggio fondamentale, almeno in linea teorica, dal regolamento carcerario di ispirazione fascista del 1932 ad una giurisdizione più attenta alle innumerevoli indicazioni contenute nella Costituzione Italiana. Come abbiamo visto, infatti, prima della Riforma non c’era considerazione della dignità della persona, poiché l’intero sistema era volto ad ottenere una coatta adesione alle regole carcerarie, attraverso strumenti privi di qualsiasi attenzione individuale, quali la violenza e la violazione dei diritti umani. Il lungo percorso della riforma penitenziaria, iniziato nel 1947, raggiunge finalmente una tappa decisiva, dando seguito alle indicazioni in materia di pena e diritti del detenuto contenuti nelle “regole minime per il trattamento dei detenuti” dell’ONU del 1955, nelle “Regole penitenziarie europee” del Consiglio d’Europa del 1987 e nella Costituzione Italiana, in particolare in un detto rimasto per molto tempo senza risposta: l’articolo 27 dichiara infatti che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”10. Alla base di questa concezione c’è dunque la consapevolezza che la pena debba avere un aspetto soprattutto rieducativo e riabilitativo, e quindi includere per forza di cose una serie di misure ed attività di natura trattamentale, finalizzate al reinserimento sociale del detenuto. L’umanizzazione della pena, affermata come fondamentale dalla Riforma del 1975, è un concetto avvalorato da una serie di novità introdotte che pongono in primo piano la figura individuale del detenuto e non più, come accadeva nel regolamento del 1931, la dimensione organizzativa dell’amministrazione penitenziaria con le esigenze di disciplina ad essa connesse. L’assoluta imparzialità

Costituzione della Repubblica Italiana, art. 27, comma 3. 10

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Ordinamento penitenziario, art. 1, comma 2. 11

Ordinamento penitenziario, art. 3. 12

Il “carcere duro”, in Ordinamento penitenziario, art. 41-bis, comma 2. 13

nei riguardi di tutti i detenuti da parte del personale al lavoro negli istituti di pena, “senza discriminazioni in ordine di nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose”11, l’assicurazione ad ogni detenuto della parità delle condizioni di vita negli istituti penitenziari12 e l’assoluta mancanza di una preminenza del singolo sulla massa sono solo alcuni strumenti di cui il nuovo Regolamento si serve per sottolineare nettamente la nuova prassi di trattamento della persona ristretta. Il fondamentale principio del trattamento individualizzato e di individualizzazione della pena diventa lo strumento attraverso cui ricondurre l’artefice di reato nel contesto sociale dal quale si è distaccato, non soltanto adeguando la pena al fatto commesso, ma soprattutto consentendo l’applicazione delle misure alternative, che possono essere considerate la manifestazione più ampia del trattamento risocializzante. Negli anni successivi alla Riforma, se lo spirito di apertura e sperimentazione è ormai consolidato, non mancano di certo le emergenze di ordine pubblico: gli anni del terrorismo e delle stragi di stampo mafioso fanno in modo che tutti i progressi fatti fino a quel momento in ambito sia legislativo che edilizio si disperdano, schiacciati dal terrore e dal bisogno di sicurezza che la popolazione pretende con decisione. I protagonisti del Terrorismo Italiano, infatti, avevano sviluppato un sistema di valori alternativo ed antagonistico a quello dello Stato, assolutamente incompatibile con la metodologia rieducativa pensata dal Legislatore: in una simile circostanza, il mantenimento della sicurezza era un’esigenza assolutamente irrinunciabile, certezza rivendicata nell’art. 90 dell’Ordinamento Penitenziario, che prevede la possibilità attribuita al Ministro “di sospendere le ordinarie regole di trattamento, quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza”13.

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ARCERE DI FORNELLI CARCERE DI FORNELLI ola dell’Asinara | 1975 - 1998 Isola dell’Asinara | 1975 - 1998

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CASA CIRCONDARIALE DI VIBO VALENTIA Vibo Valentia | 1997 - oggi 0 10 20

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A questo punto, sembra assolutamente evidente la scarsa portata della Riforma, quando subentrano esigenze di carattere precauzionale e di sicurezza. Comincia, quindi, una stagione di costruzione incessante di 37 nuovi istituti, caratterizzati da una tipologia edilizia compatta, in cui il fattore sicurezza prescindeva da qualsiasi altro, anche se citato nella nuova Riforma o incluso nella Costituzione Italiana. A posteriori, sembra che la storia abbia subito un’involuzione, un regresso non indifferente, fino al ritorno all’ideologia del controllo totale, teorizzata nel 1800 e di nuovo incredibilmente attuale. Il carattere principale di questi nuovi istituti è fondamentalmente l’omogeneità: benché da un lato si riscontri un’attenuazione delle caratteristiche della massima sicurezza, soprattutto nei complessi costruiti negli anni ‘90, si assiste dall’altra parte ad una dilatazione dei sistemi connettivi e ad un’estensione delle aree esterne. Non c’è, purtroppo, nessun tipo di innovazione dal punto di vista costruttivo, fattore che genera, con il passare degli anni, situazioni di degrado e di inadeguatezza tutt’ora evidenti.

Sergio Lenci (19272001) fu vittima, il 2 maggio 1980, di un attacco terroristico di “Prima Linea” in quanto “tiranno che incarcera gli innocenti”. 14

Non tutto ciò che è stato costruito e che viene tutt’ora utilizzato merita un giudizio negativo. Infatti, tra i 65 complessi penitenziari costruiti fino al 1977, ce ne sono alcuni che possono essere considerati opere di sperimentazione in ambito carcerario, merito di architetti che hanno considerato, all’epoca, il tema altamente formativo e fondamentale per la crescita sociale e culturale del nostro paese. Sergio Lenci14, esperto nell’ambito dell’edilizia carceraria, non solo per i numerosi complessi da lui progettati (casa circondariale di Rebibbia, 1959; carcere mandamentale di Rimini, 1967; casa circondariale di Spoleto, 1970; casa circondariale di Livorno, 1974), ma an-

Nelle pagine seguenti: immagini del Carcere di Rebibbia. Fonte: Lenci, Ruggero (a cura di) (2000), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, Diagonale, Roma.

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che per la sua presenza, dal 1953, all’ufficio tecnico della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, decide di applicare in contesto carcerario alcuni dei criteri più consolidati di progettazione in ambito residenziale (l’igiene edilizia in termini di aerazione, luminosità e facilità di manutenzione, distanza minima). È proprio questa commistione di tipologie, tecniche e modalità di utilizzo, infatti, che gli permette di trovare ampie fonti di ispirazione (di matrice razionalista e moderna) e trasportarle all’interno del carcere, così da istituire i primordi del fenomeno di architettura carceraria. Momento fondamentale della sua carriera è sicuramente la progettazione del carcere di Rebibbia, nel 1959. Il governo fascista aveva previsto, nell’area di Rebibbia, la costruzione di una città carceraria che potesse ospitare 6500 detenuti, progetto che non aveva mai visto la luce se non per quanto riguardava il padiglione circondariale femminile e quello penale maschile. Lenci si trova, nel 1954, a dover progettare in un’area caratterizzata già da alcune pre-esistenze, per un progetto definitivo in grado di ospitare “soltanto” 1800 detenuti. L’influenza di tipologie architettoniche differenti da quelle sperimentate fino a quel momento dà i suoi frutti, vedendo la progettazione di un complesso caratterizzato da un sistema interno di ballatoi, molto simile a quello utilizzato in alcuni campus universitari danesi da lui visitati e studiati, e da facciate riconducibili a progetti di Alvar Aalto e del razionalismo italiano.

Nella pagina accanto: dettaglio della struttura della chiesa di Rebibbia. Fonte: Lenci, Ruggero (a cura di) (2000), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, Diagonale, Roma.

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Diventa alquanto importante, in questi anni di sperimentazione, l’attenzione focalizzata agli spazi inter-esterni, ovvero tutti quegli spazi di transizione e di percezione tra interno ed esterno, a due differenti scale: in scala maggiore, a tutti quegli ambienti distributivi e di collegamento presenti in maniera evidente nei complessi di quel periodo; in scala minore, tra l’ambiente proprio dell’abitare e l’ambiente esterno. Il sistema dello spazio aperto, fino a quel momento completamente ignorato e, anzi, in maggior parte addirittura assente, diventa uno dei punti fondamentali del progetto per




il carcere di Rebibbia, in cui Lenci decide di piantare 12000 alberi. Anche l’attenzione ai dettagli, sempre sottovalutati e soprattutto non pensati in nessun altro caso di edilizia penitenziaria, diviene quasi magistrale. Altre sperimentazioni di questi anni sono pas“[...]una porosità che in un primo temsate alla storia per il loro intento iniziale, ma po lascerà trapelare, anche negli Istituti sono state purtroppo snaturate da interventi di esistenti, la società aperta all’interno modifica che ne hanno alterato in parte o comdi una comunità “murata”. Ma in pletamente l’idea iniziale. È il caso del carcere un secondo tempo, nella prospettiva di di Sollicciano, progettato dal gruppo Mariotti, una riduzione progressiva del numero Inghirami e Campani in occasione di un bando dei detenuti grazie all’adozione sempre di concorso del 1974. Pur avendo avuto inimaggiore di misure alternative, potrebbe zio negli anni immediatamente precedenti alla liberare spazi attualmente occupati dalRiforma del 1975, il progetto è stato vittima le attività detentive” in maniera totale e incondizionata degli anni Giovanni Michelucci a venire, durante i quali si può dire che anche l’architettura venne sottoposta ad un trattamento di rieducazione (e alienazione). Il complesso, inaugurato nel 1983, presentava numerose privazioni rispetto ai presupposti originari, fattore che portò un gruppo di detenuti politici allo sviluppo di un progetto proposto, nel 1985, all’architetto Giovanni Michelucci, già impegnato nella tematica carceraria, che decise di portarlo avanti in maniera sistematica. È da questo presupposto che, molti anni dopo, nel 2007, viene inaugurato il Giardino degli Incontri, anche se con qualche carenza rispetto A lato: una delle sezioni al progetto originario. Lo scopo del nuovo padiglione degli incontri è quello di porre uno sguardo di attenzione particolare ai bambini, troppo spesso vittime di una privazione affettiva per timore di introdurli in luoghi inadatti. L’esperimento porta alla genesi di uno spazio effettivamente aperto alla città, seppure all’interno del recinto carcerario.

detentive del carcere di Sollicciano. Nelle pagine seguenti: immagini del Giardino degli Incontri, realizzato nel 2007. Fonte: michelucci.it

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DOPO LA SENTENZA TORREGGIANI Gli Stati Generali dell’esecuzione penale del 2016

“La società che offre un’opportunità ed una speranza alle persone che ha giustamente condannato si dà un’opportunità ed una speranza di diventare migliore”. Documento finale degli Stati Generali dell’esecuzione penale2016


Il fenomeno del sovraffollamento delle carceri italiane è un fenomeno fisiologico, ancor prima che patologico, dell’intero sistema. Nella storia penitenziaria del nostro paese si possono distinguere due stagioni nettamente distinte, la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino all’amnistia del 1970, anno in cui si è registrato un chiaro calo della popolazione detenuta, e la seconda dal 1970 ai giorni nostri, caratterizzata al contrario da una costante crescita. In quest’ultima fase, i vari provvedimenti di clemenza non hanno fatto altro che creare notevoli discontinuità, senza però cambiare la tendenza generale del periodo. Sostanzialmente, però, si può dire che il problema sia sempre esistito (fin dall’epoca fascista) e mai veramente risolto, nonostante alcuni provvedimenti15 abbiano provato nel tempo ad ampliare la possibilità di fruire di misure alternative alla carcerazione e quindi diminuire il problema del sovraffollamento.

La legge Simeone del 1998 e la legge n.23 del 1999. 15

Fonte: D.A.P., Antigone 16

La soluzione, alla lunga, è diventata incontenibile: nel 2010, anno in cui si dichiara lo stato di emergenza nazionale per il sovraffollamento penitenziario (151%)16, vengono avviati una serie di provvedimenti, soprattutto in merito a tutti quegli aspetti per cui le misure detentive tradizionali non sono la soluzione più adeguata: così, la percentuale di detenuti in carcere in custodia cautelare scende dal 63% al 34% a fine 2015. Il tasso di affollamento carcerario si riduce: se alla fine del 2010 era del 151%, a fine 2015 era del 105%. I fatti e i numeri chiariscono come l’introduzione di nuovi provvedimenti in materia penitenziaria possa davvero cambiare le sorti dei luoghi carcerari, che possono finalmente tornare ad assomigliare di più a ciò che dovrebbero essere: “Quando ce ne si manda di più, aumenta il sovraffollamento, si accentua la mancanza di risorse e tutti gli indicatori che abbiamo visto sopra vanno in crisi”17. Purtroppo, nessun provvedimento ha portato, alla lunga, risultati positivi: l’8 gennaio 2013 passa alla storia con il nome di “Sentenza

XIII Rapporto Antigone “Torna il carcere”. 17

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AFFOLLAMENTO PER REGIONE % di presenze rispetto alla capienza fonti: D.A.P / Antigone

90% - 99,9% 100% - 114,9%

115% - 129,9% ≥130%


Torreggiani”, giorno in cui l’Italia viene con- “Nel nostro quotidiano il carcere subidannata dalla CEDU per la violazione dell’art. sce una sorta di rimozione, resta fuo3 della Convenzione europea dei diritti umani: ri – per così dire – dal campo visivo “Con decisione presa all’unanimità, la Corte Europea dello sguardo sociale. Gli Stati generali dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per la vio- vorrebbero indurre, invece, la società a lazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti guardare, conoscere e capire. Vorrebbero umani (CEDU)”. Il caso, come è noto, riguarda sollecitare la collettività ad avvicinarsi al trattamenti inumani o degradanti subiti dai ri- carcere e alla sua dolorosa realtà, invecorrenti, sette persone detenute per molti mesi ce di limitarsi ad invocarlo in occasione nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in dell’ultimo episodio cruento, dopo una celle triple e con meno di quattro metri quadrati scioccante zoomata sul dolore della vita testa a disposizione. Con la stessa sentenza tima o in relazione al mancato rientro viene indicato un tempo entro cui cambiare la di un condannato da un permesso (evesituazione di fatto (un anno dal passaggio in nienza molto rara, ancorché amplificata giudicato della sentenza, poi prorogato di un a dismisura), come il luogo dove rinchiualtro anno). In particolare, la condanna intende dere illusoriamente le nostre paure” Documento finale SGEP 2016 punire lo smodato ricorso da parte dell’autorità giudiziaria alla carcerazione cautelare, diventata a tutti gli effetti uno sconto di pena anticipato. Attraverso una serie di misure legislative adottate dal Parlamento in materia di sanzioni penali e modifiche sull’Ordinamento Penitenziario18, la percentuale di persone in attesa di giudizio scende, dal 2013, intorno al 17.7%. Questo significativo calo delle presenze all’interno delle carceri italiane ha permesso l’attuazione di diversi provvedimenti anche riguardanti il modello detentivo, a partire dalla cosiddetta “vigilanza dinamica”, ovvero il permesso per i detenuti di passare la maggior parte delle loro giornate al di fuori della propria cella, che diventa in sostanza una vera e propria camera di pernottamento. È in questo clima di riforme e di produzione positiva di idee, iniziato nel 2014 con lo sblocco di altre misure alternative, che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel corso del 2015, decide di avviare un percorso chiamato “Stati Generali dell’esecuzione penale”, della

Decreto Legge 78/2013 e Decreto Legge 146/2013. 18

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durata di sei mesi e caratterizzato da dibattiti, approfondimenti e confronti suddivisi in otto tavolo tematici, tutti imperniati alle problematiche carcerarie. L’interesse per l’istituzione di un progetto di questo genere deriva dalla riconsiderazione dell’Ordinamento penitenziario del 1975 e dalla consapevolezza di avere tra le mani una legge troppo “moderna” rispetto alla refrattarietà ricettiva dell’intero sistema, se non anche da un’impropria strumentalizzazione securitaria dell’esecuzione penale. In questi cinquant’anni di riforme penitenziarie sembra essersi perso il fine complessivo delle operazioni di esecuzione della pena: attualmente nelle carceri italiane convivono la rieducazione del condannato (come citazione della legge del 1975) e l’idea di sicurezza sociale, che si è però pericolosamente sovrapposta alla prima tra il 1991 e il 1992. Così si sono via via andati ad escludere da tutti gli istituti i trattamenti rieducativi, in ragione di un incremento dell’efficacia meramente punitiva dell’esecuzione penale, tornando drasticamente al periodo, almeno per quanto riguarda l’idea di fondo, precedente a Cesare Beccaria. È questo il problema principale del nostro intero sistema penitenziario, da un lato perché sembra quasi che il carcere sia sempre l’unica risposta alle paure del nostro tempo, dall’altro perché la cultura comune immagina il carcere come un luogo di oblio e di dimenticanze, dove rinchiudere invece che riabilitare. Gli Stati Generali partono dal presupposto che, se si continua così, ogni riforma sarà irrimediabilmente esposta ad una logica involutiva, che tornerà a determinare problemi ormai noti come il sovraffollamento penitenziario. Il percorso si serve quindi di un’attenzione multifocale alla realtà dell’esecuzione penale, prendendo in considerazione non solo gli aspetti legislativi, purtroppo con un’attuabilità marginale in questo frangente, ma anche amministrativi

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30-03-2018

28-02-2018

31-01-2018

31-12-2017

30-11-2017

31-10-2017

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30-06-2017

31-05-2017

ANDAMENTO DELLA POPOLAZIONE DETENUTA fonti: D.A.P / Antigone situazione al 31-03-2018

56400

56600

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30-04-2017


2017

34,5

2016

34,6

2015

34,1

2014

34,5

2013

36,5

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58,1

2011

61,1

2010

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e culturali, per cercare di dare risposte quanto più pragmatiche e concrete. Anche la mobilitazione culturale più ampia possibile gioca un forte peso, sia nelle fasi di analisi, che in quelle di riflessione e progetto. L’obiettivo finale è quello di dare un nuovo volto all’esecuzione penale, che sia pienamente rispettoso dei principi costituzionali e della dignità dei diritti, sia attraverso la riconsiderazione di norme concepite per una popolazione sostanzialmente omogenea dal punto di vista culturale e linguistico (tutto il contrario di oggi, in cui la popolazione straniera è circa il 30% del totale), sia servendosi delle innovazioni tecnologiche in campo di assistenza e di organizzazione penitenziaria. Un importante approfondimento viene dedicato alla funzione rieducativa della pena che, nell’ottica degli Stati Generali, comporta che: -il processo rieducativo riguardi soltanto un uomo considerato generalmente un fine, e non un mezzo, di una strategia politica di sicurezza sociale, di governo dell’immigrazione, di contrasto al terrorismo. -esista la possibilità di rimodulare la pena, tenendo sempre conto dei comportamenti e della condotta del condannato, anche nei casi di detenuti ergastolani. -il soggetto debba sempre essere in condizione di fare scelte consapevoli e responsabili. - il condannato sia sempre titolare di un diritto alla rieducazione e riabilitazione. Nell’ottica di una vera e propria attuazione delle richieste e delle innovazioni contenuti nei documenti del 18 tavoli degli Stati Generali dell’esecuzione penale, un’importante premessa va fatta in merito alle riforme legislative: l’esecuzione penale è solamente l’ultimo anello di una catena piena di incongruenze e criticità, e per questo motivo risente di tutte le problematiche presenti nel campo. Il primo vero intervento dovrebbe essere una completa rifondazione del

DETENUTI IN CUSTODIA CAUTELARE andamento dal 2010 al 2017 fonti: D.A.P / Antigone situazione al 28-02-2018 48

totale dei detenuti detenuti in custodia cautelare


sistema penale, in modo da ridurre innanzitutto il numero di reati, ma anche introducendo sanzioni non detentive con adeguamenti processuali. Il compito degli Stati Generali è quindi quello di denunciare il rischio di un sistema penale privo ormai della sua connotazione originaria di sussidiarietà e che assume invece l’aspetto di un mero intervento punitivo-simbolico. I risultati degli Stati Generali toccano tre piani principali: sul piano legislativo, suggerendo novità e “Prioritaria, anzi propedeutica ad contribuendo alla migliore attuazione della delega ogni alta, è la tematica della dignità penitenziaria; sul piano amministrativo, dettando dei diritti. Non vi è rispetto della linee per un nuovo modello di gestione del siste- dignità del condannato senza il rima penitenziario, dalla configurazione delle nuove spetto dei sui diritti, la limitazione strutture architettoniche fino all’organizzazione in- del cui esercizio per contro, quando tra ed extra muraria e alla formazione degli opera- non strettamente indispensabile per tori; sul piano culturale, promuovendo iniziative e l’esecuzione della pena, è un’offesa fornendo informazioni atte a cambiare la percezio- al suo diritto alla rieducazione” ne sociale del senso e del valore della pena. Documento finale SGEP 2016 LO SPAZIO DELLA PENA: ARCHITETTURA E CARCERE

Il primo tavolo degli Stati Generali ha avuto come oggetto “Lo spazio della pena: Architettura e Carcere”, chiamando quindi in causa le tematiche architettoniche e spaziali dell’ambito carcerario e detentivo. Il tema è sempre stato centrale nel periodo di preparazione e di prima attuazione della Riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 1975, che ha costituito il più importante sforzo organico di evoluzione da un’ottica meramente punitiva a un approccio di tipo riabilitativo. Dagli anni ’70, invece, questo tema è stato progressivamente sacrificato, ed in definitiva abbandonato, a favore delle emergenze rappresentate dal terrorismo e dalla nuova criminalità organizzata. La completa assenza di un interesse verso un approccio anche architettonico ha giocato infatti un ruolo determinante nell’arretramento del nostro paese, che ai tempi della Riforma del

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1975 era invece all’avanguardia rispetto a tutti gli altri stati europei in merito al sistema penitenziario. Il Tavolo è stato coordinato dall’architetto e urbanista Luca Zevi, e si è occupato di individuare nuovi interventi e dispositivi architettonici in grado di dispensare nuove configurazione per gli spazi della pena. Il Tavolo ha innanzitutto rilevato un ruolo ampiamente infantilizzante, afflittivo e inabilitante degli spazi, “Dove non c’è attenzione agli spazi le cui cause sono sostanzialmente attribuibili al della pena generalmente non c’è neppu- fenomeno del sovraffollamento, alle politiche re attenzione alla dignità del detenuto, securitarie del 1991 e 1992 e al “piano carceri”, alla sua riabilitazione e alla creazione caratterizzato da controverse collocazioni terridi opportunità per un suo reinserimento toriali e inadeguate tipologie costruttive.

sociale. Da questo punto di vista la rinnovata considerazione verso l’architettura che si manifesta negli Stati Generali non può limitarsi a un episodio isolato ancorché virtuoso; i luoghi della detenzione devono tornare a pieno diritto a essere tema di elaborazione disciplinare specifica da parte del mondo della progettazione architettonica e non più appannaggio esclusivo degli Uffici Tecnici competenti”

In secondo luogo, è fondamentale ammettere come l’istituto di pena, fino a questo momento, sia sempre stato visto come un contenitore anonimo di persone, senza tenere conto delle necessità spaziali sia individuali che collettive dei detenuti. A partire da queste premesse, il Tavolo ha fatto emergere numerose proposte, mirate a superare il carattere “separato” e alienante dell’istituzione carceraria: -il coinvolgimento del più ampio numero di Documento finale SGEP 2016 enti ed associazioni, locali e territoriali, finalizzato al raggiungimento di una dignità architettonica e spaziale; -la redazione di criteri e buone pratiche di intervento sia per la progettazione di nuovi istituti, che rispecchino a pieno tutte le novità introdotte, sia per la ristrutturazione, riqualificazione e messa a norma delle strutture esistenti, da un lato assolutamente inadatte ad accogliere una popolazione detenuta portatrice di diritti, e dall’altro completamente fuori norma rispetto agli aspetti legislativi dell’Ordinamento del 1975: “I nuovi istituti dovranno esprimere compiutamente,

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a partire dalla loro configurazione architettonica, le finalità di riabilitazione e reinserimento nella società”; -la riorganizzazione degli spazi degli istituti carcerari anche attraverso il coinvolgimento di operatori, volontari e detenuti stessi, tramite la progettazione partecipata del più alto numero di persone possibile; -la redazione di criteri innovativi per la localizzazione di nuovi istituti in contesti di vita attiva, evitando così il tipico distaccamento e la perdita del fondamentale rapporto con la città. Questo è uno degli aspetti più importanti, per fare in modo che il carcere non venga dimenticato dalla popolazione esterna e che oltremodo non sia visto come un luogo di alienazione e dimenticanza. All’interno di questo punto vanno anche citate le proposte per la rielaborazione del perimetro murario, degli accessi, delle relazioni fisiche con il contesto, privilegiando l’aggancio al territorio urbano e il superamento del carattere separato ed isolato degli edifici: “Il carcere deve relazionarsi con il contesto sia esso urbano che rurale”; -il potenziamento delle strutture a sostegno dell’esecuzione penale esterna, come gli ICAM, le Case della semilibertà, le Comunità inserite nel contesto urbano. È fondamentale la ridefinizione progettuale di tutti quegli istituti esterni che hanno l’obbligo di riabilitare l’individuo. Il carcere immaginato dal Tavolo 1 è quindi un organismo complesso, attraversato continuamente da flussi in uscita e flussi in entrata, grazie ad una presenza sempre più costante della città dentro il carcere, generando una prospettiva di porosità dell’istituto di pena: “Una porosità che in un primo tempo lascerà trapelare, anche negli Istituti esistenti, la società aperta all’interno di una comunità “murata”. Ma in un secondo tempo, nella prospettiva di una riduzione progressiva del numero dei detenuti grazie all’adozione sempre maggiore di misure alternative, potrebbe liberare spazi attualmente occupati dalle attività detentive”.

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1975

Riforma dell-Ordinamento penitenziario

1986

Approvazione legge Gozzini che amplia diritti e accesso ai benefici

1991

Decreti anti-mafia che restringono diritti e benefici per ampie quote di detenuti

2000

Nuovo regolamento di esecuzione che amplia opportunitĂ e qualifica meglio alcuni diritti

2005

Legge ex Cirielli che toglie i benefici per i recidivi

2010 2014

Riforme pre e post sentenza Torreggiani che ampliano benefici e garantiscono diritti

PRINCIPALI RIFORME IN AMBITO CARCERARIO dal 1975 ad oggi



DOVE STIAMO ANDANDO?


Dopo la condanna della Corte Europea e dopo gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, si potrebbe dire che l’Italia sia abbastanza preparata in merito alle questioni carcerarie. Invece, nonostante i provvedimenti significativi degli ultimi anni, il problema può dirsi tutt’altro che risolto. Già nel 2008 era stato dichiarato dall’allora Ministro della Giustizia Angelino Alfano che il 50% delle carceri in Italia avrebbe dovuto essere chiuso per lasciare posto a nuovi istituti poiché “il nostro sistema è fuori dalla Costituzione”. Considerando che sia la costruzione di nuove strutture come la loro chiusura richiederebbe tempi biblici (come già accade in alcune regioni dove il problema del sovraffollamento, per esempio, è più presente che in altre), ci si chiede quale sia la mossa corretta da mettere sul banco della discussione, in questo preciso momento storico. Prendere in considerazione come unico mezzo di miglioramento l’edificazione di nuovi istituti risolverebbe soltanto in maniera parziale, e per altro non definitiva, il problema del sovraffollamento. Sono i cambiamenti strutturali nel sistema legislativo e nella sua struttura funzionale ed architettonica che possono concretamente porre fine ai fenomeni negativi. Per fare un esempio, se si continuasse ad agire secondo le norme in vigore, con la costruzione di nuovi istituti il Paese subirebbe dei danni economici spaventosi: un singolo detenuto costa 116.68 Euro al giorno19, mentre un corretto funzionamento dell’intera macchina penitenziaria, con utilizzo maggioritario di misure alternative e conseguente riduzione della recidiva, gioverebbe in maniera rilevante al portafoglio dello Stato. Qual è dunque la soluzione? Il patrimonio edilizio italiano è costellato da innumerevoli tipologie edilizie, dai decrepiti edifici storici, affascinanti, ma totalmente inadatti a rivestire il ruolo a loro assegnato parecchi anni fa, agli edifici prefabbricati, in cattivo stato di manutenzione, ma non solo, anche del tutto obsoleti e pensati per una popolazione inattiva e relegata al controllo totale.

Fonte: D.A.P., Antigone 19

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CRITICITÀ E POTENZIALITÀ DI SVILUPPO analisi e risposta ai punti deboli del sistema penitenziario italiano


LA RAZIONALIZZAZIONE DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA L’ampliamento come risorsa


Il tema dell’ampliamento carcerario è in qualche modo legato al discorso riguardante la costruzione di nuovi istituti di pena, argomento di interesse comune fin dai tempi del Piano Carceri, varato nel 2010 dal Governo Berlusconi e mai veramente attuato.

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N. 244/2007

N. 126/2009, riduzione a 15 milioni di euro. 21

Dibattiti sul tema sono però presenti fin dalla nascita del primissimo programma straordinario del 200820, che prevedeva uno stanziamento di 70 milioni di euro in nuove costruzioni e ristrutturazione di quelle esistenti per il triennio 2008-2010, stanziamento drasticamente ridotto dalla legge successiva21, con la rapida vanificazione di tutte quelle possibilità non solo di programmare nuovi interventi, ma anche di integrare i finanziamenti necessari per il completamento dei nuovi istituti in costruzione. Si arriva così al 2010 quando, a fronte di un tasso di sovraffollamento detentivo pari a 151, viene varato dal governo Berlusconi il cosiddetto “Piano Carceri”, destinato ad affiancarsi, senza sostituirlo, al programma di edilizia penitenziaria. Il Piano inizialmente prevedeva la programmazione di risorse finanziarie per 675 milioni di euro per la costruzione di diciotto nuovi istituti di pena, di cui dieci “flessibili” (di prima accoglienza e a custodia attenuata, destinate a detenuti con pene lievi) cui se ne dovevano aggiungere otto in aree strategiche, venti nuovi padiglioni detentivi all’interno di carceri esistenti e complessivamente 21.700 posti in più (portando così la capienza complessiva italiana a 80.000 unità). Il sistema non ha funzionato, poiché dopo due anni dall’inizio delle operazioni le funzioni sono state attribuite, per varie motivazioni, ai Ministeri della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti, senza nulla di fatto. Il Piano è stato allora ridisegnato nel 2012, con la previsione di costruire non più diciotto, ma solamente quattro carceri nuove (Torino, Pordenone, Catania, Camerino), sedici nuovi padiglioni più il completamento di carceri già in costruzione (Ca-

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gliari-Sassari) e la ristrutturazione di nove istituti, il tutto con la previsione di un’aggiunta di 11.573 posti. Complessivamente, il Piano Carceri ha portato ad un miglioramento della capienza certificato dalla Corte dei Conti, pari a 4.415 posti tra il 2010 e il 2014:”I risultati dell’attività dei Commissari sono infatti da considerare, malgrado le opere realizzate o in corso di realizzazione, senz’altro deludenti rispetto agli obiettivi di grande rapidità ed efficacia attesi dai loro interventi, anche se va tenuto presente che l’attività dell’ultimo Commissario, quello “straordinario del governo”, si è svolta durante un arco temporale ridottosi nel 2014 di più di cinque mesi”. Infine, la Corte dei Conti ha rilevato che, rispetto ai 462,769 milioni di euro assegnati nel periodo 2010-2014 alla contabilità speciale dei Commissari straordinari, solamente l’11,32% era stato speso. La differenza era stata rimessa, a dicembre 2014, all’entrata dello Stato per la riassegnazione ai competenti ministeri, che avrebbero dovuto gestire in seguito le attività interrotte. L’intero iter di proposte, decreti-legge, Piani Carceri che si è susseguito dal 2010 fino ad oggi ha portato con sé numerose polemiche, prima fra tutte quella in merito alla reale necessità di costruire nuovi istituti per far fronte ai problemi di sovraffollamento e malfunzionamento carcerario. È davvero questa l’unica buona soluzione? In Italia assistiamo da tempo ad una dispersione patologica della geografia giudiziaria: il territorio è cosparso di innumerevoli tribunali e istituti penitenziari, fattore che fa lievitare i costi di manutenzione e di gestione, senza risolvere le problematiche più presenti, come le condizioni inumane di permanenza e l’inadeguatezza delle strutture penali. Interessi clientelari frenano da sempre la razionalizzazione degli istituti di pena italiani con lo scopo di resistere sempre di più alla chiusura. La costruzione di nuovi istituti di pena, in sostanza, è troppo dispendiosa, ma soprattutto completamente contro corrente rispetto ai buoni passi avanti che si sono fatti negli ultimi anni in merito alla

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costo giornaliero euro

140,80

100,47

140 120 100 80

109,72

60 52,59

40 20 0

rapporto ag/det

4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0

dipendenti

40000 35000 30000 25000 20000 15000 10000 5000 2500

detenuti

90000 80000 70000 60000 50000 40000 30000 20000 10000

Italia

Francia

Gran Bretagna

Spagna

COSTI A CONFRONTO

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“nuova cultura della pena”. La nuova costruzione in luoghi non strategici (sappiamo infatti che le uniche regioni potenzialmente interessate alla costruzione di nuovi istituti potrebbero essere Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia e Puglia), con criteri edilizi risalenti agli anni ’90, tempi in cui la “sicurezza sociale” ha giocato un ruolo fondamentale nell’adeguamento delle carceri di allora a carceri di massima sicurezza, senza la disponibilità di personale di polizia penitenziaria e operatori pronti a gestirli, sarebbe l’ennesimo suicidio di un’istituzione carceraria già da tempo “carcerogena”. Le alternative vanno quindi ricercate da un lato nell’ampliamento del ricorso a misure alternative al carcere, dall’altro nella possibilità di ristrutturazione degli edifici esistenti: tralasciando i numeri reali dati dal sovraffollamento carcerario, L’Italia sulla carta prevede 47.709 posti disponibili negli istituti di pena. In realtà questi numeri non sono reali, perché se si contano tutti i posti non accessibili per mancanza di manutenzione, il numero scende a circa 41.000 unità. È chiaro che, dato invece il numero totale di 56.000 presenze, la differenza non sarebbe sostanziale, ma sarebbe comunque già qualcosa, se affiancata a politiche di depenalizzazione e aumento di misure alternative. Si arriva quindi all’argomento dell’ampliamento carcerario, un tema assolutamente connesso al sistematico processo di ristrutturazione dell’esistente che lo Stato dovrebbe mettere in atto. Delle 206 carceri italiane, 120 hanno una capienza inferiore ai 200 posti, 63 inferiore ai 100. Sono dati allarmanti, considerando la scarsa economicità di strutture così ridotte, e molte volte isolate e confinate rispetto al governo centrale, e per queste motivazioni lontane da qualsiasi innovazione. In generale, la ristrutturazione delle strutture esistenti, seguendo le direttive più innovative, tra cui quelle dettate e consigliate dagli Stati Generali dell’esecuzione penale, potrebbe essere una validissima alternativa alla nuova costruzione, se inserita

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in un’ottica di accorpamento strategico di alcune strutture e riqualificazione con variazione d’uso di altre. L’ampliamento carcerario, in definitiva, è un discorso che deve necessariamente toccare alcune realtà d’Italia, quelle più particolari e complicate dal punto di vista della riqualifica dell’esistente. Ci sono infatti strutture assolutamente inadatte all’ospitare una funzione detentiva, strutture storiche malandate e spazialmente inadeguate alle richieste attuali. In questi casi, l’unica soluzione potrebbe essere quella di riqualificare con cambio di destinazione d’uso gli edifici storici, con il conseguente accorpamento degli istituti penitenziari. Questa operazione potrebbe essere vista come la soluzione alla costruzione di nuove carceri.

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LE CRITICITÀ COME PUNTO DI PARTENZA Conoscere per poter rispondere

“Non si paga in questo modo. Non si paga defecando e cucinando nello stesso metro quadrato. Non si paga vivendo senza acqua calda e riscaldamento. Non si paga perdendo dignità” Roberto Saviano


Le riflessioni ambito carcerario, sia che riguardino una potenziale nuova costruzione, sia che riguardino una possibilità di ampliamento, devono per forza di cose confrontarsi con ciò che permea dalla situazione esistente: il sistema carcerario in generale, e più specificatamente la struttura edilizia e architettonica del carcere, presenta ad oggi numerose criticità e questioni irrisolte o risolte male, che vanno elaborate e conosciute, per poter essere definitivamente risolte. Numerosi casi internazionali ci permettono di focalizzare l’attenzione su alcune buone pratiche, di nuova costruzione o di ampliamento, che rispecchiano la cultura della pena d’avanguardia. È proprio attraverso lo studio di casi internazionali, sia dal punto di vista legislativo, sia dal punto di vista amministrativo e culturale, che l’Italia può apprendere l’attuazione concreta di regole e affermazioni già da tempo incluse nel nostro Ordinamento Penitenziario. L’architettura del carcere è la cartina tornasole dell’intero sistema penitenziario italiano, ed assieme all’esecuzione della pena è ciò che più di tutti permette o meno la riabilitazione del condannato: è per questo motivo che è così importante cominciare a ristrutturare, ampliare in modo corretto ed innovativo, solo dove ce ne è bisogno, annullando tutte quelle superfetazioni presenti nel sistema e provvedendo con linee guida chiare e di respiro internazionale. È fondamentale aggiungere, però, che la ricerca in questione si è mossa, per chiare ragioni, a livelli diversi e analizzando esempi e situazioni in alcuni casi anche estranei all’ambito carcerario. Siamo convinti che solamente una commistione di tipologie e di ambiti di azione siano in grado di dare le risposte che cerchiamo alle problematiche insite nell’architettura carceraria: non si può prescindere da questa mescolanza, poiché sarebbe come eliminare a priori delle possibilità di sviluppo.

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Abbiamo quindi voluto analizzare quelle che per le noi sono le più grandi criticità del sistema penitenziario italiano: alcune sono di origine architettonica e si tramutano in problematiche di natura sociale e culturale, mentre altre partono proprio da deficit normativi per sfociare poi in una resa spaziale inadeguata. Ad ogni criticità è stata associata una o più situazioni in cui abbiamo riscontrato delle potenzialità di sviluppo, prendendo spunto sia dall’ambito penitenziario internazionale, ma anche da quello residenziale e comunitario.

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“La sfida che propongo alla città attuale è dunque la sfida di saper accogliere al suo interno i diversi di ogni tipo, non per dovere di ospitalità, ma come speranza progettuale” Giovanni Michelucci


IL MARGINE MURARIO: TROPPO SPESSO LIMITE E QUASI MAI FRONTIERA

Il modello di carcere che si è andato storicamente configurando tra la fine dell’Ottocento e l’intero Novecento prevedeva un carcere completamente avulso dall’ambito cittadino, dislocato sia in termini spaziali sia in termini mentali e psicologici. La credenza che il carcere fosse un luogo dell’oblio, di espiazione dei peccati senza però un’effettiva redenzione sociale si è andata rafforzando sempre di più nel corso degli anni, fino a diventare una prassi comune nella cultura sociale consolidata. Eppure, questa tipologia di rapporto carcere-città non ha più alcun tipo di fondamento, né dal punto di vista legislativo, né dal punto di vista teorico e filosofico. È a questo punto che la cultura esterna deve accettare il rapporto osmotico che il carcere deve avere con la città: sono le opportunità di relazione col territorio e con i centri di vita attiva, il sistema della mobilità e quello dei servizi sociosanitari e delle attrezzature formative e culturali che determinano la buona riuscita dell’esecuzione della pena. Addirittura, si potrebbe affermare che il carcere sia, per sua natura, una città nella città, che non mortifichi, ma arricchisca la personalità dei suoi cittadini. Si va quindi, per forza di cose, incontro ad una decostruzione del modello carcerario come lo conosciamo oggi, presupponendo l’utilizzo all’interno del carcere di spazi per le attività formative: aule scolastiche, laboratori artigianali, luoghi di socializzazione, di abilitazione, di formazione, di espressività artistica, teatrale, musicale. Uno dei caratteri più evidenti che il carcere porta con sé è l’elemento del muro di cinta, un separatore obbligato dei corpi e delle coscienze, un dispositivo in grado di azzerare i rapporti fisici ed

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emozionali tra le due parti. La presenza di questo elemento non ha mai permesso di pensare al carcere come un pezzo dello spazio sociale. L’innalzamento stesso di un separatore fisico, per di più lontano dai centri abitati, indica chiaramente che la pena è sempre stata, ed è tuttora, vissuta come un distacco, come uno spostamento di persone, di gente che non deve essere vista e considerata viva. Il concetto di margine è un concetto fondamentale in ambito urbano e territoriale, poiché molto spesso, come “Uno spazio che sia concepito nell’in- in questo caso, viene a legarsi a problematiche teresse degli uomini non può tradursi, sociali. Da sempre è una parola che si lega a fea mio avviso, in un recinto: non può nomeni di inclusione o esclusione dal mondo risultare circoscritto nel perimetro di esterno, generando dei luoghi di bordo, non meuna stanza, di un salone, di una stra- glio identificabili se non come luoghi marginali. da, ma deve possedere il magico pote- Il margine carcerario è un esempio emblematico: re di sconfinare, di dissolvere i muri, nel corso del tempo, le criticità associate agli amdi stabilire una relazione diretta con bienti carcerari hanno fatto dimenticare il caratl’esterno, con la natura, con quanto è al di là del proprio confine visibile e tere potenziale e propositivo dell’ambito murario nei confronti dell’ambiente urbano, relegandolo controllabile” Giovanni Michelucci ad essere un mero divisore dello spazio e delle coscienze. Siamo dunque di fronte ad un margine che diventa confine (dal latino con-finis, “finire insieme”): il muro In alto a destra: Il vallo di assume, con l’atto della delimitazione, il significato di una linea che Adriano e la traccia del stabilisce delle differenze tra due luoghi, i quali subiscono effetti limes romano tra il Reno diversi e assumono peculiarità proprie. L’ambito urbano o peri-ure il Danubio. bano continua nella sua incessante crescita o modificazione tempoIn basso a destra: il pro- rale, mentre l’ambito carcerario assume una valenza statica, in cui getto di PRGC di Fran- lo statuto non cambia e le coscienze neppure. cesco Venezia per la valle di Lauro: ”Il distendersi di un muro abitato conferma un confine e definisce un nuovo equilibrio fra il costruito e la campagna”.

70

È il rifiuto sociale che non permette al muro carcerario e al suo intorno di diventare frontiera. Il termine frontiera (dal latino frons, frontis) assume da un punto di vista etimologico un significato bidirezionale, rendendo lo spazio che individua una zona con una



limite figurale

paesaggio come limite visivo

limite “fra”...

luogo di transizione

limite “in fieri”...

luogo dinamico che vive in attesa di un cambiamento

limite delle tensioni e delle relazioni

luogo di scontro tra realtà chiuse

CARATTERI DEL MARGINE


duplice funzione per i suoi rapporti con l’intorno: è un luogo di tensione e contrasto, ma anche di relazione ed incontro. Se da un lato, infatti, continua a segnare, come un confine, il passaggio da un modo di essere ad un altro, dall’altro è anche un luogo di solidarietà e di pratica senza limiti, una sorta di buffer zone dove tutto è possibile proprio perché non vigono regole. Dando la possibilità ad una frontiera di essere attraversata e vissuta, il margine diviene lo spazio del progresso e dell’avanzamento conoscitivo dell’uomo.

Il significato del verbo greco oράω “vedere” possiede, nelle forme perfette, il significato di “sapere”. 22

È dunque per questi motivi che esiste l’urgente necessità di porre fine al rigetto sociale, alla mancanza di orizzonti, all’oblio culturale e al disprezzo del contatto. Uno dei modi è sicuramente di natura progettuale: bisogna cambiare l’identità, e di conseguenza anche il significato, dell’elemento murario, trasformarlo in un simbolo non più di divisione totale, ma di osmosi, generare nella società la consapevolezza che l’atto di mescolare le attività e gli ambienti accresce la cultura, il lavoro, la riabilitazione, il rinnovamento, al contrario della divisione pura e netta, che oltre ad accorciare la vista, annebbia la mente22. Il cambiamento è possibile attraverso la modifica sostanziale del confine del carcere: per annientare l’assenza di vita bisogna portare la vita, generare relazioni concrete con il paesaggio, abitare il muro, rendere permeabile la materia, permettere allo sguardo di oltrepassare, di vedere e di essere visti. Il fronte murario può trasformarsi in fronte abitato, ospitare attività di interesse pubblico, generare spazi di relazione, oppure può semplicemente diventare trasparente, cambiare i materiali di costruzione e relazionarsi con i segni del territorio, con le case, i campi, le montagne, i suoli e le strade.

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I casi internazionali sono portatori di buone pratiche in termini di relazione del carcere con il contesto urbano, non solo per il posizionamento degli istituti all’interno del tessuto urbano, ma soprattutto per la capacità di abitare il recinto, trasformando quest’ultimo in un vero e proprio edificio di interesse pubblico. È l’edificio, e non il muro, che ha nella sua propria natura la capacità di generare le relazioni, gli scambi, gli spazi di incontro, all’interno e all’esterno del perimetro rinnovato del carcere.

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95 urbane

96

extra-urbane

15

3

21

18-3

152

59-93

CARCERI URBANE / EXTRA URBANE % di presenze rispetto alla capienza fonti: D.A.P / Antigone

prima del 1700 1700 - 17999

1800 - 1889 dopo il 1900


PENITENZIARIO DI MINIMA SICUREZZA PENITENZIARIO DI MINIMA SICUREZZA Nanterre, Francia Nanterre, Francia

1.1

0 0

60

20 20

60

100 m 100 m

team apertura superficie n. detenuti

LAN architecture architect TEAM LAN 2019 APERTURA 4,350 m2 2019 4,350 SUPERFICIE - m²N. DETENUTI


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muro abitato progetto vegetazione viabilità piazza pubblica accesso

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Nella pagina accanto: immagini realizzate da LAN Architecture per il concorso di progettazione del nuovo centro detentivo di Nanterre. Fonte: lan-paris.com

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attività. Dall’esterno, l’edificio si presenta come un parallelepipedo compatto la cui unica irregolarità è la larga apertura del fronte che si affaccia sulla piazza pubblica. L’interazione dei vincoli di vista-non vista e del chiuso-aperto in ogni componente del progetto sono ottimizzati grazie alla sovrapposizione dei volumi. Il lungo, uniforme rettangolo del carcere circondariale rinforza il fronte urbano del viale. Il suo volume mono-orientato previene qualsiasi comunicazione visuale tra la prigione di minima sicurezza e la piazza pubblica, pur ponendo un limite abitato al perimetro. Il volume del carcere circondariale forma una solida e naturale frontiera, permettendo al centro di reclusione di funzionare in completa sicurezza nel mezzo del blocco e riparandolo dalla vista esterna. L’ingresso di quest’ultimo è marcato da un’imponente sporgenza, che scherma la zona neutra alla vista esterna. L’accesso principale e le zone amministrative e logistiche compongono le parti esterne del volume, mentre le zone dedicate ai detenuti occupano il cuore dell’edificio.



1.2

CENTRO GIUDIZIARIO DI KORNEUBURG CENTRO GIUDIZIARIO Korneuburg, Austria DI KORNEUBURG Korneuburg, Austria 0

0 20 20

60 60

100 m 100 m

team apertura superficie n. detenuti

TEAM DIN A4 Arch DIN A4 Architektur 2012 APERTURA 2012 43,700 m² SUPERFICIE 2 262 N. DETENUTI43,700 m 262


CENTRO GIUDIZIARIO DI KORNEUBURG KORNEUBURG, AUSTRIA

Il concorso per la progettazione del nuovo centro giudiziario di Korneuburg, in Germania, è stato vinto dallo studio di architettura DINA4, con la presentazione di un progetto all’avanguardia, non solo dal punto di vista energetico (è infatti il primo centro di giustizia al mondo ad essere progettato come edificio completamente passivo), ma anche dal punto di vita dell’impianto del contesto urbano. Il progetto vuole infatti assumere la caratteristica di centralità all’interno della trasformazione cittadina: è caratterizzato dalla pre-

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progetto / muro abitato progetto vegetazione viabilità piazza pubblica accesso

muro abitato progetto viabilità piazza pubblica accesso

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Nella pagina accanto: immagine della piazza pubblica adiacente all’ingresso del penitenziario e vista del sistema perimetriale. Fonte: din-a4.at

senza di due edifici, uno ospitante il palazzo di giustizia e l’ufficio del pubblico ministero, l’altro contenente le vere e proprie funzioni detentive. Il complesso è pensato come un edificio pubblico a corte, che da un lato riprende il rapporto con l’ambiente circostante, dall’altro genera una nuova piazza-distretto. Gli spazi detentivi sono dunque coinvolti a pieno nel funzionamento generale della struttura. Il sistema a corte infine, presenta un aspetto compatto, con particolare attenzione all’esposizione delle aree verdi e dei cortili interni. All’interno, le diverse aree del palazzo di giustizia sono accessibili da un ampio spazio di ingresso molto luminoso. Il piano terra e il primo piano sono caratterizzati entrambi dalla presenza delle attività pubbliche, delle aule giudiziarie e degli uffici della Corte provinciale. Tutte le zone di attesa pubbliche e semi-pubbliche sono volutamente spaziose e luminose. Le sezioni detentive vengono disposte a T e sono composte da celle singole, tutte monitorate da una centrale operativa. Durante la progettazione, una forte attenzione è stata prestata alle relazioni funzionali e allo studio dei diversi percorsi e flussi tra le aree chiuse e gli spazi aperti, nonché all’utilizzo del colore: il giallo, il verde, il bianco e il blu dominano gli spazi interni ed esterni, col fine di infondere fiducia e sicurezza.

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“La conoscenza avvicina sempre le persone e allontana lepaure. Bisogna abbassare i “ponti levatoi” tra collettività e carcere in modo che l’opinione pubblica non lo percepisca più come una sorta di extraterritorialità sociale, un’enclave del male, del pericolo, della sacrosanta sofferenza” Documento finale degli Stati Generali dell’’Esecuzione Penale, 2016


LE RELAZIONI DEL CARCERE

Gli Stati Generali dell’esecuzione penale pongono anche una forte attenzione sul concetto di effettività dei diritti dei detenuti, eleggendolo componente fondamentale di una società decente e civile23. Il filosofo Avishai Margalit, inoltre, ritiene ancora più urgente del creare dei benefici godibili il fatto di rimuovere ogni causa di sofferenza. Sembra che nel mondo carcerario questa intuizione non valga, almeno fino a questo momento, e anzi rimanga inattuata da entrambi i punti di vista. Inoltre, il filosofo israeliano sostiene che tutte le argomentazioni sulla dignità umana ruotino intorno al concetto di riconoscimento, inteso come esigenza dei singoli di essere apprezzati, onorati, rispettati in quanto esseri umani, indipendentemente da ciò che questo aspetto comporta. Capita invece quasi quotidianamente che il detenuto (qualunque sia la sua responsabilità) sia di fatto privato di numerosi diritti umani, tra cui il diritto fondamentale alla relazione umana. È dunque il tema della dignità della persona quello che fa la differenza sostanziale nella fase dell’esecuzione penale, durante la quale, oltre che alla privazione della libertà (che già di per sé dovrebbe bastare), si assiste anche ad una completa mancanza di possibilità relazionali, a volte per mancanza di spazi appositi all’interno degli istituti, a volte per problematiche legislative o amministrative, altre volte ancora per l’assenza di una consapevolezza sociale e culturale da parte del mondo esterno. Deve farsi strada, quindi, l’idea che la pena debba consentire la ricostruzione di un legame sociale entro una dimensione spazio-temporale che metta il suo destinatario nella condizione di potersi “riappropriare della vita”.

In richiamo al filosofo israeliano Avishai Margalit che, nella sua “La società decente”, annota che “decente è una società in cui le istituzioni non umiliano le persone”, mentre “civile è una società in cui i membri non si umiliano gli uni con gli altri”. 23

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L’art. 27 c. 3 della Costituzione recita così: “Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità”. Intendiamo questo residuo prezioso come il diritto alla socialità, alla possibilità di relazioni, alla quotidianità ordinaria e straordinaria di una vita ristretta, ma che rispecchi il più possibile la vita libera. ABITARE IN COMUNITÀ: L’ALIENAZIONE E LA MANCANZA DI INDIVIDUALITÀ

La vita ristretta porta con sé molte conseguenze, e la risposta alle varie problematiche che si possono presentare è sempre soggettiva. Nonostante questo, esistono dei punti di contatto nei sentimenti ristretti dei detenuti, ancora una volta connessi alla spazialità opprimente e assolutamente non individualizzata. È chiaro, infatti, che il carcere non sia mai stato pensato come un luogo spazialmente individuale, fattore completamente in contrasto con ciò che accade invece nella psicologia del detenuto, sempre più assuefatto dall’ambiente chiuso in cui si trova, in uno stato di solitudine mentale ed emozionale perenne. Questo ossimoro tra affollamento spaziale e fisico e isolamento psicologico ed emozionale genera danni enormi alla salute psicofisica degli abitanti di un carcere, che finiscono col non volere più rapporti con la comunità interna o esterna che sia, spaventati da ciò che questo contatto potrebbe generare a livello emotivo. Nella pagina accanto: immagine tratta dal reportage fotografico di Valerio Bispuri all’interno del carcere di Regina Coeli, maggio 2016

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È quindi importante, anche in questo caso, generare da un lato delle relazioni genuine di comunità, eliminando quel senso di alienazione totale che avviene all’interno di un gruppo numeroso di persone, ma dall’altro pensare anche a spazi appositamente progettati per una individualità ritrovata, che possano veramente essere fruibili


dal singolo in solitudine. La mancanza di scelta fa ancora una volta da padrona nell’idea che la cultura ha del carcere: poiché il detenuto non merita di fare delle scelte, una volta entrato in un istituto, allora nemmeno gli spazi devono dare questa possibilità. Si generano così spazi tutti uguali, celle poste a pettine e specchiate da un lato e dall’altro del corridoio (permettendo ad ogni detenuto di assistere, come allo specchio, alla realtà della propria condizione), arie e spazi aperti generatori di apatia e luoghi di privazione della personalità. L’architettura deve intervenire in modo deciso, generando luoghi differenti e vari, servendosi di ogni dispositivo a sua disposizione: la composizione, la forma, il colore, il materiale, l’altezza, la larghezza, tutto ciò per accrescere il senso di comunità e per individuare la specificità in ogni luogo: è proprio questa che, in un carcere, genera serenità.


2.1.1

PENITENZIARIO NIEUWEGEIN PENITENZIARIO NIEUWEGEIN Utrecht,DI Olanda Utrecht, Olanda 0

0 20

20

60 60

100 m100 m

Archivolt | Inside Outside TEAM team Archivolt / Inside Outside 2004 APERTURA apertura 2004 24,000 m²SUPERFICIE superficie 24,000 m2 360 N. DETENUTI n. detenuti 360


PENITENZIARIO DI NIEUWEGEIN UTRECHT, OLANDA

Il progetto si basa sul concetto di prigione cruciforme, già usato in molti progetti realizzati dallo stesso team di architetti. Le ali mediane sono connesse all’area centrale, dove sono poste tutte le attività comuni, tra cui l’area visite, con una parte separata per lo staff e gli operatori. Quest’ultima ala genera oltretutto una separazione visiva tra i luoghi della detenzione maschile e quella femminile. Il complesso, che è interamente circondato da una cinta muraria, presenta

percorso continuo continuo percorso percorso continuo edificio edificio edificio suolo morbido morbido suolo suolo morbido suolo suolo pavimentato pavimentato suolo pavimentato piazza pubblica pubblica piazza piazza pubblica

percorso continuo suolo morbido suolo pavimentato piazza pubblica accesso

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un edificio di ingresso prominente verso la piazza pubblica, che è l’elemento di accesso alla regione centrale dell’istituto, tramite un ponte sospeso pedonale che attraversa la corte sottostante: è grazie a questo passaggio sopraelevato che viene a generarsi un collegamento utile al carico e scarico merci e alla manutenzione, non in conflitto con il flusso sottostante dei detenuti. Tutte le altre attività come servizi, aree workshop e aree dedicate allo sport sono collocate nei piani al di sotto di quelli che ospitano le sezioni detentive. La struttura logistica è organizzata tramite due postazioni statiche poste all’incrocio delle principali aree di movimento. Ogni scala dà accesso a funzioni e attività separate, incluse le corti interne: si può dire quindi che i flussi separati di circolazione permettono da un lato un’agevole libertà di movimento per tutti i detenuti senza nessuna particolare costrizione, dall’altro un efficiente sistema di controllo.

Nella pagina accanto: fotografia aerea del penitenziario e immagine dell’edificio di ingresso. Fonte: archivolt-bna.nl

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Ciò che più colpisce del complesso è, però, lo studio dello spazio aperto: tutte le corti interne sono caratterizzate da una diversa tipologia di pavimentazione e da un differente tipo di uso o di attività principale: disegnate dall’architetto paesaggista Petra Blaisse, ogni aria si basa sul tema di definire in ogni spazio aperto un uso diverso, così da facilitare il senso di comunità e generare dinamiche di gruppo.



CO-HOUSING MEHR ALS WOHNEN Zurigo, Svizzera 0

20

60

team apertura superficie n. unità 100 m

ARGE/ DUPLEX 2015 40,000 m2 370


CO-HOUSING MEHR ALS WOHNEN ZURIGO, SVIZZERA

Nel 2015 la cooperativa Mehr als Wohnen ha portato a termine il progetto di costruzione di un nuovo quartiere abitativo costituito da 13 edifici per circa 1300 abitanti. La particolarità del quartiere è caratterizzata dalla presenza omogenea di situazioni di cohousing, che interessano ogni tipo di abitante, dalle famiglie più o meno numerose, alle coppie, agli studenti fuori sede. A differenza di un’abitazione condivisa tradizionale, però, qui ognuno dispone di un

unità abitative private spazi pubblici spazi co-housing accesso

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Nella pagina accanto: immagine del sistema comune di distribuzione e inquadramento di una tipologia di facciata. Fonte: mehralswohnen.ch

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camera, singola o doppia, con bagno e in alcuni casi angolo cottura, mentre condivide le zone di relax e di incontro diurno o serale. Uno dei principali sostenitori di questo nuovo modo di abitare è Andreas Hofer, capoprogetto della cooperativa Mehr als wohnen, formata da trenta ulteriori cooperative abitative: “Questo progetto unisce lo spirito tradizionale delle cooperative con il vento innovatore che da alcuni anni spira a Zurigo. Se una volta gli appartamenti a buon mercato erano destinati solo alle famiglie, ora creiamo spazi abitativi per le nuove forme di vita comune, ma anche per una società che invecchia. Mehr als wohnen vuole contribuire allo sviluppo della città con un quartiere vivo, in cui le persone non abitano soltanto, ma lavorano o trascorrono il loro tempo libero”. Infatti, i piani terra dei 13 edifici sono stati tutti destinati a attività commerciali o a progetti promossi dagli stessi inquilini, così da arricchire la vita sociale del quartiere.



“Ogni uomo prova il bisogno di affezionarsi a qualche essere vivente e dargli prova del proprio amore� Hermann Hesse


L’AFFETTIVITÀ NEGATA

Tra i bisogni non adeguatamente riconosciuti all’interno del mondo carcerario vi sono quelli legati al mantenimento dei rapporti famigliari e delle relazioni affettive. Il diritto all’affettività, ovvero alla relazione che per forza di cose deve intercorrere, nel corso di tutta la vita, tra persone legate affettivamente, che siano parenti, famigliari o partners, è ciò che negli ultimi anni si rivendica con insistenza all’interno degli istituti penitenziari italiani. Quasi tutti gli stati europei, per lo meno quelli che possono vantare un sistema penitenziario strutturato e all’avanguardia (e in cui l’Italia dovrebbe rientrare), partono dal presupposto fondamentale che l’affettività in carcere sia un diritto quasi scontato. Ancora una volta, non sono solo l’aspetto legislativo ed amministrativo a generare un blocco per l’attuazione delle pratiche più diffuse a livello internazionale, ma è anche l’aspetto culturale di massa a rendere impossibile la trattazione di certi argomenti. È ampiamente riconosciuto come la popolazione libera, ma anche la maggior parte degli operatori interni al carcere, ritenga inappropriato l’inserimento del tema dell’affettività in carcere. Questa convinzione deriva, storicamente, dalla credenza che la pena debba essere brutta, e il carcere debba essere più di ogni altro un luogo di punizione triste e dolorosa, senza speranza. Nessuno si sognerebbe, in una società civile, di negare ad un cittadino un suo diritto fondamentale, il diritto all’istruzione, il diritto all’affettività, il diritto al lavoro. Eppure, le cose cambiano in modo sostanziale appena si varcano le soglie del carcere, il passaggio oltre il muro di cinta rende ogni pensiero libero e degno di una società civilizzata fumoso, senza fondamento. È forse la conoscenza, una conoscenza diretta della

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Tratta dal Documento finale degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale del 2016. 24

realtà carceraria, l’unico antidoto alla dilagante superficialità di pensiero della società: “La conoscenza avvicina sempre le persone e allontana le paure. Bisogna abbassare i ponti levatoi tra collettività e carcere in modo che l’opinione pubblica non lo percepisca più come una sorta di extraterritorialità sociale, un’enclave del male, del pericolo, della sacrosanta sofferenza”24.

“Solo la predisposizione di spazi idonei, accompagnata dalla previsione di un opportuno lasso temporale, infatti, può consentire un’espressione naturale dell’affettività conformemente alla normativa sovranazionale che fa riferimento a una completezza che attiene alla normalità maggiore possibile e che quindi non può ignorare gli aspetti più intimi del rapporto”

Se invece parliamo di spazi, è l’architettura, ancora una volta, che deve rendere giustizia ai luoghi che accolgono famigliari e amici per le visite all’interno del carcere. È sicuramente un punto chiave quello di migliorare la qualità e la quantità dei contatti con i famigliari, sia di tipo collettivo, sia di tipo individuale e intimo. Su quest’ultimo punto i casi europei hanno fatto numerosi progressi riguardo la qualità degli spazi, prevedendo nella maggior parte dei casi veri e propri appartamenti dedicati alle “visite”, diverse dai “colloqui” in quanto non avxxx vengono sotto controllo visivo e/o uditivo, ma in totale riservatezza e privacy. Si tratterebbe quindi di prevedere che, al di fuori di casi particolari, il detenuto possa essere ammesso a godere di un permesso allo scopo specifico di poter coltivare i propri interessi affettivi. Si tratta, quella della “visita”, di una proposta fortemente innovativa e opportuna per l’intero sistema penitenziario.

Nella pagina accanto: immagine tratta dal reportage fotografico di Valerio Bispuri all’interno del carcere di Regina Coeli, maggio 2016.

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Per quanto invece riguarda le aree di incontro con famigliari e bambini, gli spazi da progettare dovrebbero essere i più disparati: dagli spazi per la famiglia, stanze o luoghi che richiamino il più possibile il clima casalingo e famigliare, luoghi di riservatezza per i colloqui telefonici privati o con i propri avvocati, fino a luoghi di incontro all’aperto, attrezzati con giochi per bambini e adatti alle attività collettive all’aperto.



2.2.1

ENNER MARK

Horsens, Danimarca PENITENZIARIO DI ENNER MARK Horsens, Danimarca 0

0

20

20

60

60

100 m

100 m

TEAM

team apertura superficie n. detenuti

Friis & Moltke 2006 & Moltke 28,500 m²2006 2 228 28,500 m

APERTURAFriis

SUPERFICIE N. DETENUTI

228


PENITENZIARIO DI ENNER MARK HORSENS, DANIMARCA

Il nuovo penitenziario statale di Enner Mark è frutto di un processo di riammodernamento delle strutture carcerarie esistenti nel territorio danese, in particolare la vecchia prigione statale di Horsens. Gli obiettivi del nuovo centro penitenziario, portato a termine nel 2009, ricalcano in maniera consona lo spirito riabilitativo presente nella legiferazione danese in materia carceraria. Il centro si pone l’obiettivo di una maggiore sicurezza rispetto a quella presente nelle carceri chiuse esistenti, nonchĂŠ il potenziamento delle opzioni trat-

appartamenti area colloqui area giochi pavimentata accesso detenuti accesso parenti

appartamenti area colloqui area giochi pavimentata accesso parenti accesso detenuti

101


tamentali e professionali. Inoltre, Enner Mark è pensata per provvedere alla dislocazione in più sezioni dei ristretti, così da rendere il centro adatto alle più innovative misure in termini di regime carcerario, forme di trattamento e flessibilità degli spazi. L’intero complesso è situato nell’aperta campagna di Ellen Mark, parte ovest della città di Horsens, ed è caratterizzato da otto edifici separati, connessi da un sistema viabilistico interno. Ogni edificio è circondato da una pertinenza naturale, beneficiando della vista di corti e giardini interni alla cinta muraria. Uno degli scopi principali dell’intervento è ridurre l’immagine istituzionale del complesso, creando una cornice di supporto alle dinamiche penitenziarie. Il tempo speso all’interno è volto a preparare i residenti alla vita all’esterno: per questo motivo, il centro è stato organizzato come una comunità all’interno della cinta. Ognuno degli otto edifici è caratterizzato dalla presenza di quattro sezioni standard, con l’area impiego, la sezione di massima sicurezza, attività culturali (cappella, attività sportive, bottega e biblioteca) e un’area visitatori, la gate house e gli spazi per gli operatori.

Nella pagina accanto: fotografia delle sezioni detentive e immagine dello specchio d’acqua all’interno del recinto murario. Fonte: friis-moltke.dk

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Il padiglione degli incontri è posizionato subito dopo l’ingresso del penitenziario. L’utilizzo degli appartamenti privati è concesso a tutti quei prigionieri in carcere da più di 5 anni, per un massimo di 47 ore consecutive. I due appartamenti presenti all’interno del centro sono composti da due camere da letto, una matrimoniale e una doppia, un piccolo soggiorno con cucina, un bagno e una terrazza all’aperto. Ogni visita esterna da parte dei famigliari richiede ovviamente una perquisizione e un’identificazione. Solamente cinque persone alla volta possono essere autorizzate alla visita del detenuto (nelle formule di: 3 adulti-2 bambini; 2 adulti- 3 bambini; 1 adulto-3 bambini).



2.2.2

PENITENZIARIO LA STAMPA PENITENZIARIO STAMPA Lugano,LA Svizzera Lugano, Svizzera 0

0 20 20

60 60

100 m 100 m

TEAM team APERTURA apertura SUPERFICIE superficie N. DETENUTI n. detenuti

- 1985 1985 -


PENITENZIARIO LA STAMPA LUGANO, SVIZZERA

In Svizzera, in particolare il Cantone Ticino, grazie ad una politica federale che privilegia l’autonomia e quindi anche il decentramento nel settore dell’esecuzione delle condanne, si è potuta trovare una soluzione al problema dell’affettività in carcere, privilegiando il contatto diretto con i famigliari e le persone care a partire quasi subito dopo l’inizio dell’esecuzione delle sentenze. È in questo contesto che si colloca il penitenziario La Stampa, inaugurato a metà degli anni ’80 e non particolarmente interessante nel-

appartamenti area colloqui area giochi pavimentata accesso detenuti accesso parenti

chalet dell’affettività vegetazione area giochi accesso parenti accesso detenuti

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Nella pagina accanto: vista aerea del carcere svizzero La Stampa e immagine del luogo di lavorazione artigianale del legno. Fonte: ticinonews.com

la sua struttura architettonica (sembra infatti richiamare l’edilizia penitenziaria italiana di quegli anni), ha invece un aspetto molto particolare e degno di attenzione: il luogo dei colloqui con le famiglie è caratterizzato da una vera e propria abitazione di montagna, immersa nel verde delle montagne svizzere, distaccata dal complesso penitenziario e posta all’interno del recinto “soft”. Più in generale, il colloquio a cui un detenuto svizzero può accedere può essere di diversi tipi: dal “colloquio gastronomico”, che consiste nella consumazione di un pasto in compagnia di famigliari e amici, passando al colloquio “Pollicino”, per mantenere i rapporti con i propri figli, fino ad arrivare al “congedo interno”, che dà al detenuto la possibilità di trascorrere sei ore con i propri famigliari e/o amici nella casetta degli incontri. Ci sono delle specifiche normative a riguardo, poiché il detenuto può richiedere questa tipologia di colloqui solamente dopo un periodo di detenzione di 24 mesi, mentre tra un congedo e l’altro devono intercorrere due mesi. Tenendo conto che una normativa a riguardo è assolutamente obbligatoria, l’esempio di La Stampa è sicuramente da tenere in considerazione per innovazioni future.

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“Io credo nel popolo italiano. Ăˆ un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popoloâ€? Sandro Pertini


LA PROFESSIONE COME MEZZO DI RELAZIONE

Il lavoro riveste una posizione fondamentale nella trama normativa dell’Ordinamento Penitenziario, in quanto “elemento di trattamento” nella prospettiva di reinserimento sociale del detenuto. È, per questo motivo, un ambito meritevole di tutela assoluta, in quanto dimensione essenziale di ciascun individuo.

Ordinamento penitenziario, art. 20, comma 5. 25

Purtroppo questo è, nella maggior parte dei casi, un discorso ancora lontano dalla realtà, caratterizzata per lo più da una costante scarsità di risorse che, da un lato, ha indotto l’Amministrazione penitenziaria a ruotare l’impiego dei detenuti sullo stesso posto di lavoro, dall’altro a incrementare lo svolgimento delle cosiddette “lavorazioni domestiche”, invece che incentivare l’impiego in diverse categorie lavorative. Ancora una volta, quindi, il criterio stabilito dall’Ordinamento Penitenziario25, secondo il quale il lavoro carcerario deve “fare acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale” non è rispettato: la normalità lavorativa non è certo caratterizzata dalla disponibilità monodirezionale delle offerte lavorative. Tutto questo genera nelle dinamiche interne agli istituti penitenziari un senso di de-responsabilizzazione del detenuto, fattore causato dalla mancanza di lavoro innanzitutto, ma anche dalla scarsità di un’offerta diversificata da parte del settore amministrativo o privato. La residualità del lavoro è, quindi, una delle tematiche di fondamentale importanza per poter rendere il mondo interno il più simile possibile al mondo esterno, eliminando i negativi “favoritismi” del caso.

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DETENUTI LAVORANTI PER REGIONE % rispetto al totale dei detenuti fonti: D.A.P / Antigone situazione al 31-12-2016

0% - 24,9% 25% - 29,9%

30% - 34,9% 35% - 39,9% ≥40%


In considerazione di questo aspetto, è anche degradante il concetto associato al connotato dell’obbligatorietà che accompagna la previsione del “lavoro” all’interno del trattamento penitenziario26. Il documento finale degli Stati Generali dell’esecuzione penale recita così: “Se una delle idee portanti degli Stati Generali è quella della responsabilizzazione e della de-infantilizzazione del detenuto, non apparirà provocatoria una tale proposta, volta a considerare il lavoro come una opportunità, in un contesto di normalizzazione, che dovrebbe pure indurre a superare la vetusta terminologia che ne accompagna la disciplina”. Il riferimento è chiaramente verso l’utilizzo di tutti quei termini che perdono di vista l’aspetto formativo e di possibilità in carcere, ritenendolo invece un compito obbligatorio da svolgersi senza alcuna discrezionalità (per esempio, il termine “mercede” dovrebbe essere probabilmente sostituito con il termine “retribuzione”, e così via).

Art. 20 dell’Ordinamento Penitenziario, art. 50 del Regolamento di esecuzione penale. 26

La promozione e lo sviluppo del lavoro negli istituti penitenziari dovrebbero, infine, essere affidati ad un ente specifico, in grado di individuare le reali domande del mercato, in relazione alle necessità territoriali di lavoro, procurare occasioni, organizzare e sovrintendere alle lavorazioni, interagendo con il tessuto produttivo circostante e soprattutto sostenendo il detenuto in cerca di un’occupazione una volta uscito dal carcere. A questo organismo andrebbero dedicati interi spazi all’interno dei penitenziari, luoghi di scambio e di interazione tra il tessuto produttivo e aziendale esterno e le capacità lavorative interne. La possibilità di accedere a spazi veri e propri dove poter svolgere e/o imparare un mestiere sarebbe già un passo avanti verso l’implementazione del lavoro ristretto, con aree specifiche dedicate al lavoro di comunità e aree di apprendimento e svolgimento individuale. L’attenzione, poi, al collocamento negli istituti di occasioni lavorative più o meno complesse dovrebbe essere indagata sulla base della tipologia di detenuti (Case di Reclusione o Case Circondariali).

111


29,3% uomini 15.370

38,6% donne 881

DETENUTI LAVORANTI PER GENERE % rispetto al totale dei detenuti fonti: D.A.P / Antigone situazione al 31-12-2016

uomini donne


Nell’ambito di lavori che entrino in contatto con il tessuto produttivo, poi, bisognerebbe valutare a fondo tutte le tipologie contestuali che potrebbero andare a crearsi, dal carcere posizionato in un tessuto propriamente industriale, a quello all’interno dei centri abitati, fino a giungere ai penitenziari posizionati in aperta campagna, o comunque relazionati di fatto con un ambiente agricolo o periurbano. La possibilità , di fatto, di intessere dei rapporti con qualsiasi tipo di attività esterna prevalente, sarebbe sicuramente uno stimolo alla relazione con il contesto e una responsabilizzazione ulteriore del detenuto, incentrato e fissato in maniera osmotica al territorio che lo circonda.

113


1 1

1

4

3

2 1 6 5

7

3.1

STORSTRØM FÆNGSEL

Falster, Danimarca PENITENZIARIO STORSTRØM FÆNGSEL Falster, Danimarca 0

0

20

20

60

60

100 m

100 m

TEAM

C.F. Møller Architects 2017 Møller Architects 32,0002017 m² 32,000250 m2

APERTURA C.F. team SUPERFICIE apertura N. DETENUTI superficie n. detenuti

250


PENITENZIARIO STORSTRØM FÆNGSEL FALSTER, DANIMARCA

Il nuovo penitenziario danese di Storstrøm Fængsel, inaugurato il 27 settembre 2017, è stato progettato in un modo tale da essere definito l’istituto di massima sicurezza più umano al mondo: pur essendo uno dei penitenziari più sicuri della Danimarca, infatti, presta anche una particolare attenzione alla riabilitazione del detenuto.

1 2 3 4 5

sezione detentiva amministrazione

1 2 3 4 51 62 73

6

edificio di ingresso

7

incontro / affettività

5

attività ricreative /culturali

6

sezione alta sicurezza

7

workshop

workshop individuale workshop di gruppo servizi igienici corti accesso

4

sezione detentiva amministrazione edificio di ingresso workshop incontro/affettività attività sezione alta sicurezza

workshop singolo workshop gruppo corti servizi igienici accesso

115


L’intento architettonico generale è quello di progettare un servizio che connetta la struttura alla scala di una piccola comunità di provincia. Il risultato è un’architettura che stimola il desiderio dei detenuti e la capacità di reinserimento sociale dopo l’esecuzione della pena. L’architettura genera oltretutto ambienti piacevoli e sicuri per gli operatori penitenziari e riconduce il paesaggio interno a quello naturale esterno dell’isola di Falster. Il penitenziario accoglie 250 detenuti in quattro sezioni detentive standard e in una di massima sicurezza. È prevista anche un’unità per i visitatori, un edificio per le attività, uno per i workshop, uno per lo staff e un padiglione di ingresso.

Nella pagina accanto: fotografie del padiglione lavorativo e di quello dedicato alle attività ricreative e culturali. Fonte: cfmoller.com

116

L’analisi di questo caso è utile nel frangente lavorativo, in quanto pone un’attenzione del tutto insolita e assolutamente innovativa sul concetto del lavoro come mezzo riabilitativo e di reinserimento sociale. Dal punto di vista concettuale e architettonico, infatti, il penitenziario è caratterizzato dalla presenza centrale e radiante del padiglione del lavoro, accessibile da ogni direzione e connessa a tutti gli altri padiglioni del complesso. Questa importante decisione, oltre che ad essere una scelta compositiva, è di certo una scelta strategica, poiché pone il detenuto nella situazione di ritenere le attività lavorative e formative al centro del suo percorso di reinserimento nella società. All’interno, il padiglione si divide in spazi dedicati ai workshop di gruppo, ai lavori di comunità e spazi invece utilizzato per una formazione o uno svolgimento lavorativo individuale.



1

1

2

6

2

4

6

3 7

5

1

9

6

1

8 4

4.2

NY ANSTALT NUUK

TEAM Schmidt

0

0

20

20

60

60

Hammer Lassen Arch Hammer Lassen 2019 2019 8,000 m² 2 8,000 m76

team Schmidt APERTURA

LA PRIGIONE DI NYDanimarca ANSTALT NUUK Groenlandia, Groenlandia 100 m

100 m

apertura SUPERFICIE superficie N. DETENUTI n. detenuti

76


LA PRIGIONE DI NY ANSTALT NUUK GROENLANDIA, DANIMARCA

La nuova struttura penitenziaria groenlandese è caratterizzata da corpi che si susseguono in modo ortogonale e in relazione con il paesaggio: ogni edificio, infatti, è posizionato in modo tale da generare prospettive ottimali. L’idea di fondo è quella di creare un contrasto evidente tra il costruito e il paesaggio circostante, con il risultato però di un complesso interamente site-specific. Oltre alla notevole attenzione al posizionamento di tutte le funzioni, tra cui quelle di gestione e amministrazione, poste a cavallo del muro di

sezione detentiva amministrazione edificio di ingresso workshop

sezione detentiva amministrazione edificio di ingresso workshop incontro/affettività attività sezione alta 1 sicurezza 2 blocco aperto 83 94 servizi sanitari 1 2 3 4 5 6 7

incontro / affettività

5

attività ricreative /culturali

6

sezione alta sicurezza

7

workshop individuale workshop di gruppo servizi igienici corti accesso

workshop singolo workshop gruppo terrazze servizi igienici accesso

119


workshop individuale

workshop di gruppo servizi igienici terrazze accesso

Nella pagina accanto: schizzi compositivi e di concept del progetto. Fonte: shl.dk

sezione detentiva

1

amministrazione

2

sezione detentiva 3 1 edificio di ingresso amministrazione

2

workshop

4

lavorative / workshop edificio di ingresso 4 3 incontro /incontro affettività / affettività 5 5

attività ricreative /culturali ità ricreative /culturali 6 6 sezione alta sicurezza

sezione alta sicurezza

7

blocco aperto

8

servizi sanitari

9

workshop individuale

workshop singolo workshop di gruppo servizi igienici workshop gruppo corti terrazze accesso servizi igienici accesso

120

7

cinta, va anche sottolineato come gli spazi lavorativi e dedicati alla formazione caratterizzino una parte fondamentale dell’intero istituto. Si possono riconoscere, infatti, due aree principali dedicate a queste attività: una all’esterno del muro di cinta, nella sezione a custodia attenuata, e una all’interno del muro, orientata verso la vista paesaggistica migliore. Entrambi i blocchi sono suddivisi tra aree per il lavoro di gruppo e aree per il lavoro singolo, nonché aree per la formazione e la didattica, che in alcuni casi è mischiata con le aree di lavoro.


121


“Grate e cancelli che per ore, per giorni, mesi, anni senza fine con la loro rigidità di ferro, freddo d’inverno e rovente d’estate, hanno cancellato e spento quella luce che consentiva agli occhi, in passato, di distendersi e spaziare nelle distanze chilometriche”


IL CORPO RINCHIUSO: LA FISICITÀ RISTRETTA

A partire dall’ingresso in una struttura di reclusione, nei detenuti prendono avvio numerose modificazioni dei sensi, dovute principalmente alla mancanza di riferimenti abituali e alla limitazione degli spazi, per giunta poco variegati. L’insieme di questi fattori genera nell’individuo l’incapacità di continuare ad avere esperienze sensoriali stimolanti. La conseguenza diretta di queste situazioni è ovviamente un’involuzione dell’intera sensorialità, se non anche una completa modificazione fisica. La metamorfosi interessa ognuno degli aspetti sensoriali del corpo, a partire dal senso dell’equilibrio: molti detenuti soffrono di vertigini per anni, dopo la reclusione, un sintomo dovuto alla perdita di stabilità e di riferimenti nello spazio e nel tempo. Daniel Gonin, medico francese, ha pubblicato nel 1994 il libro Il corpo incarcerato, conducendo numerosi studi sullo stato di salute all’interno delle carceri e riportando tutti gli effet“La pena della prigione è ancora e ti dannosi riconducibili alla pessima spazialità degli soprattutto una pena corporale, che ambienti ristretti. Tra questi ci sono sicuramente i dà dolore fisico e produce malattia danni alla vista, dovuti all’impossibilità di percepire e morte” gli spazi oltre un certo punto, poichè la mancanza di un orizzonte e ancor più il restringimento del campo visivo inducono un’involuzione del sistema ottico umano; danni all’apparato digerente, per l’alimentazione scorretta e la dieta non varia; danni all’apparato respiratorio, a causa dell’aerazione insufficiente e gli spazi angusti; infine, danni al tatto, un senso che viene colpito in maniera preminente poiché in prigione, secondo Gonin, la superficie del corpo non ha più né tatto né contatto.

123


Nella pagina accanto: immagine tratta dal reportage fotografico di Valerio Bispuri all’interno del carcere di Regina Coeli, maggio 2016.

124

È quindi chiara la necessità assoluta di spazi adatti al sostentamento sensoriale dell’individuo, capaci di ravvivare l’apatia emotiva data dalla mancanza di orizzonti, di suoni variegati, di luce naturale, di odori rasserenanti. Anche lo spazio aperto deve giocare un ruolo fondamentale per evitare la completa perdita della complessità sensoriale propria dell’uomo: spazi diversi, materici, in cui il detenuto possa sentirsi inserito in un ambiente riconoscibile come positivo.



1 1

1

4

3

2 1 6 5

7

3.1

STORSTRØM FÆNGSEL

PENITENZIARIO STORSTRØM FÆNGSEL Falster, Danimarca Falster, Danimarca 0

20 20

60 60

100m m 100

Møller Architects team TEAMC.F. C.F. Møller Architects 2017 APERTURA apertura 2017 32,000 m² SUPERFICIE superficie 32,000 m2 250 N. DETENUTI n. detenuti 250


PENITENZIARIO STORSTRØM FÆNGSEL FALSTER, DANIMARCA

Il caso in esame, già analizzato per il buon esempio dato in termini di responsabilizzazione in ambito lavorativo, torno utile anche nell’analizzare gli spazi adeguati al benessere fisico. L’importanza data al corpo, infatti, è riscontrabile in numerose scelte architettoniche, a partire dal disegno delle celle e dalla loro illuminazione naturale.

1

5

sezione detentiva

6

edificio di ingresso

1 2 3 4 5 1 6 2 73

7

workshop

4

incontro / affettività

5

attività ricreative /culturali

6

sezione alta sicurezza

7

2 3 4 amministrazione

edificio vegetazione suolo erboso percorsi accesso

sezione detentiva amministrazione edificio di ingresso workshop incontro/affettività attività sezione alta sicurezza

sezione detentiva vegetazione suolo erboso percorsi accesso

127


Ogni cella dispone di un ingresso di luce naturale da due lati e una vista sul paesaggio naturale all’interno del perimetro murario. La singola cella è progettata in modo innovativo con un muro curvo in visivo contrasto con il suo opposto, metodo che permette allo staff il controllo non invasivo ma costante degli ambienti dalla porta. L’architetto Møller afferma: “Mi sento di sottolineare che il focus sull’ottimizzazione della luce diurna, dello spazio e della sicurezza attraverso l’architettura di questo penitenziario è già un esempio per la progettazione globale. Quando descrivo questo penitenziario in giro per il mondo, gli architetti e gli operatori del carcere rimangono impressionati”. Le celle misurano all’incirca 13 m² e formano unità residenziali da quattro a sette celle, così da formare una comunità sociale con un accesso alla sala giorno e alla cucina comune. I detenuti possono cucinare tutti i pasti e sono essenzialmente liberi di decidere cosa mangiare, se insieme o da soli. Anche l’attenzione al cibo, alla preferenza di certi sapori e odori, quindi, è rispettata nel pieno delle possibilità.

Nella pagina accanto: fotografie degli spazi aperti dedicati allo sport e al relax. Fonte: cfmoller.com

128

Le attività fisiche sono aspetti davvero importanti per una vita attiva all’intero dei penitenziari moderni: l’esercizio fisico all’interno degli istituti è risaputo abbia un effetto positivo per il benessere psico-fisico del detenuto. Il padiglione per le attività è caratterizzato da una spaziosa palestra con campi da badminton, basketball e palla a mano. Ci sono anche due piccole palestre nel padiglione di massima sicurezza. Ogni unità residenziale, comunque, ha la propria stanza con attrezzi ginnici.



3.2

COMPLESSO GIUDIZIARIO DI ZAANSTAD Zaanstad, Olanda

CENTRO GIUDIZIARIO DI ZAANSTAD Zaanstad, Olanda 0

0

20

20

60

60

100 m

100 m

TEAM APERTURA

team SUPERFICIE apertura N. DETENUTI superficie n. detenuti

EGM Architects 2013 EGM Architects 2013 1000

1000


CENTRO GIUDIZIARIO DI ZAANSTAD ZAANSTAD, OLANDA

Il nuovo penitenziario di Zaanstad ha l’obiettivo di sostituire il vecchio penitenziario di Amsterdam Over Amstel, meglio conosciuto come Bijmerbajes e la prigione a Panottico di Haarlem. Il progetto è stato completato come parte di una PPP (public-private partnership) e uno degli aspetti più importanti da sottolineare è sicuramente il carattere umano, che ha permesso di dare una priorità di prima categoria alla sicurezza dei detenuti e degli operatori: la

percorso continuo edificio suolo continuo morbido percorso suolo pavimentato edificio piazza pubblica suolo morbido

campo sportivo vegetazione suolo pavimentato suolo erboso

suolo pavimentato piazza pubblica

131


disposizione delle attività, infatti, permette un movimento controllato ed indipendente dei detenuti e facilita la responsabilizzazione, nonché la razionalizzazione dell’organico penitenziario. Il nuovo edificio è caratterizzato da tre parti principali: la sezione detentiva, il centro psichiatrico e un blocco contenente tutti i servizi. In aggiunta alle celle di pernottamento, il complesso include un centro di formazione professionale, servizi sportivi, un centro medico e una zona per il carico e scarico merci. Un’attenzione particolare è stata data allo studio e alla separazione dei flussi di persone, così da evitare incontri non voluti e commistioni indesiderate di gruppi con altri. Un sistema di circolazione separato è oltretutto incorporato per tutti i servizi di supporto.

Nella pagina accanto: fotografie degli spazi per i colloqui e del campo da calcio. Fonte: egm.nl

132

L’architettura dell’intero sistema esprime da un lato la sua funzione di penitenziario in modo netto e deciso, dall’altro in maniera innovativa e variegata: una limitata palette di materiali e colori regala agli interni sentimenti di calma e chiarezza, mentre l’attenta disposizione delle aperture trasparenti fa sì che la luce diurna non sia mai irraggiungibile. Il contatto con le parti esterne è palpabile, aumentando la qualità di vita e dell’orientamento all’interno del vasto complesso. Ogni spazio esterno è dedicato, attraverso materiali e tipologie di pavimentazione, a diverse attività sportive.



“Lo spazio è correo, perché come il tempo (perché il tempo non è più tuo, ma è uguale a quello di tutti gli altri), perdi lo spazio, perché non hai più alcuno spazio di intimità, di persona individualizzata: perdi poi anche i contatti affettivi” Lucia Castellano


L’INFANTILIZZAZIONE: SCENARI DI UN CARCERE ANCORA NON RESPONSABILIZZANTE E DI RESPONSABILITÀ

In seguito alla condanna da parte della Corte di Strasburgo nel 2013, lo Stato Italiano, come sappiamo, ha iniziato a varare una serie di provvedimenti con lo scopo di diminuire l’affollamento penitenziario e migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Una delle problematiche ancora oggi diffuse, seppur in diminuzione, è la poca importanza attribuita alla responsabilizzazione del detenuto: la radice del problema va ricercata sicuramente nel sistema di concretizzazione delle leggi in ambito detentivo, sia per quanto riguarda il ruolo della polizia penitenziaria e degli operatori carcerari, sia per quanto riguarda la libertà di movimento e di decisione che le persone ristrette hanno all’interno delle mura del carcere. A questo proposito è stato pubblicato, proprio nel 2013, un documento dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari, all’interno del quale viene preso in considerazione il concetto di “sorveglianza dinamica”, in accordo con le linee guida promulgate dall’Unione Europea nel 2006. La sorveglianza dinamica, la cui introduzione principale sta nell’apertura diurna delle celle dalle 8.30 del mattino fino alle 20.00 della sera, consentendo la circolazione “libera” dei detenuti, sancisce una “professionalizzazione” sia da parte del personale di polizia penitenziaria, che deve aspirare a diventare un “corpo specializzato e partecipe nella gestione del detenuto, sia sotto il profilo custodiale che trattamentale”, sia da parte del detenuto, al quale è data la possibilità di gestire il proprio tempo e la propria capacità di movimento e di responsabilità. L’introduzione di tale modalità operativa rappresenta un cambiamento organizzativo capace di ridefinire gli spazi, i tempi e le modalità di interazione all’interno delle sezioni detentive.

135


La sorveglianza dinamica, infatti, dai suoi ideatori viene descritta così: “Un cambiamento strategico ed operativo che mira a recuperare compiutamente il senso della norma, costituzionale ed ordinamentale, richiamato anche dalle direttive europee e dalle recenti sentenze di condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo per trattamento inumano e/o degradante. (…) Ma è anche un modo diverso per valorizzare i compiti istituzionali affidati all’Amministrazione attraverso il recupero della centralità della persona, della sua dignità e dei diritti fondamentali il cui presupposto prescinde persino dalla conoscenza che pure è essenziale per una credibile azione di recupero sociale. Un nuovo modo di essere, organizzativo e gestionale, che l’Amministrazione si è posto come obiettivo indifferibile e che coinvolge tutte le figure professionali”. Tanto c’è ancora da fare, soprattutto perché, ad oggi, non tutti gli istituti di pena usufruiscono della vigilanza dinamica, che in alcuni penitenziari rimane una realtà molto lontana dalla realizzazione.

Nelle pagine seguenti: immagini tratte dal reportage fotografico di Valerio Bispuri all’interno del carcere di Regina Coeli, maggio 2016

136

Nel suo Due modelli a confronto: il carcere responsabilizzante e il carcere paternalista, Mauro Palma distingue tra due tipologie di istituzione, una delle quali, purtroppo, è ancora prevalente in Italia. Se da un lato esistono e funzionano gli spazi responsabilizzanti, in cui l’ambiente carcerario si apre alla società esterna permettendo l’osmosi di conoscenze e di attività, dall’altro lato esistono gli spazi infantilizzanti che, pur in presenza di nuove tipologie di controllo come la sorveglianza dinamica, individuano il detenuto come una persona deteriorata, da accudire, fino a farlo tornare ad uno stato sostanzialmente infantile e di regressione mentale. Il rischio più grande che deriva da questa istituzione, che vede la soluzione nell’accoppiata accudimento-obbedienza, è quello di rendere il detenuto sempre più disabituato alle dinamiche della quotidianità libera, perdendo del tutto la capacità di auto-responsabilizzarsi e avere il controllo delle proprie azioni.


sì no non dichiarato

celle aperte almeno 8 ore al giorno

sì non dichiarato no sì in alcune sezioni

VIGILANZA DINAMICA fonti: D.A.P / Antigone

autonomia di movimento





LA DETENZIONE FEMMINILE: LA NECESSITÀ DI UN CARCERE DI GENERE

Il carcere, lo sappiamo, è un’istituzione storicamente maschile: da un lato, infatti, l’Ordinamento Penitenziario non disciplina e non regola in alcun modo la detenzione femminile (eccezion fatta per le situazioni legate alla maternità). Dall’altro, invece, il fenomeno è causato da un dato strutturale, ormai costante dal 1991, ovvero quello delle presenze femminili all’interno degli istituti penitenziari italiani: al 31 dicembre 2016 le donne detenute erano 2.285 (in leggero sovrannumero rispetto al tetto regolamentare di 2.265 unità) su un totale di 54.653 persone detenute. Rappresentano, quindi, il 4,2% della popolazione ristretta totale e questo le fa apparire come una realtà assolutamente marginale all’interno di un mondo al 96% maschile27. La marginalità dei numeri si associa, ovviamente, alla scarsità di strutture adeguate alla reclusione femminile: sono solamente quattro le carceri propriamente femminili (Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia-Giudecca), che ospitano il 25% della popolazione totale. Il restante è disperso in moltissimi altri istituti di pena italiani, a maggioranza maschile, in cui né le strutture, né il riguardo ai variegati bisogni delle donne sono adeguati. Le sezioni femminili all’interno degli istituti penitenziari, infatti, sono decisamente più carenti di servizi rispetto al resto delle strutture, con mancanza di luoghi adatti e fenomeni di “segregazione” del corpo femminile, con la negazione di qualsiasi contatto con la popolazione ristretta maschile.

Fonti: D.A.P., Antigone. 27

Nessuno sembra mai aver tenuto conto, infatti, di quanto possa essere complesso il rapporto che intercorre all’interno di una comunità femminile ristretta: diversi bisogni, diverse età, diverse situazioni mediche, questioni di pudicizia, problemi di sessismo e

141


25

San Marino Hong Kong

20,5

Andorra

18,9

Laos

18,3

Monaco

17,4

Myanmar

16,3

Macau

15,3

Qatar

14,7

Groenlandia

13,8

Kuwait

13,8

Germania

5,7

Italia

4,2

Francia

3,3

5

10

DONNE DETENUTE AL MONDO % di donne tra i detenuti fonti: D.A.P / Antigone

15

20

25


discriminazione. La prima proposta degli Stati Generali in merito a questa tematica è l’istituzione di un luogo fisico, un “Ufficio per la detenzione femminile”, che esamini ogni singola necessità della donna detenuta, intervenga con azioni positive al fine di adeguare la detenzione alle peculiari esigenze delle donne in carcere e sia punto di riferimento per le detenute. Una prima e immediata soluzione dovrebbe essere quella di attuare una condivisione delle risorse offerte all’interno delle strutture, a partire dalle attività in comune, di istruzione, formazione, ricreazione e religiose: “Ci aspettiamo che la componente femminile della popolazione detenuta, non potendo condividere né spazi né attività con la componente maschile, finisca per risultare ancora più segregata all’interno dell’ambiente carcerario, da un lato allontanate dai propri familiari e luoghi di residenza, dall’altro private di certe opportunità lavorative, formative o anche di istruzione in comparazione con la controparte maschile”. All’interno del mondo ristretto femminile, un mondo fatto di dispersione ed esiguità numeriche, non manca però l’accesso alle attività lavorative: al 30 giugno 2016 le lavoranti sono 840, di cui 356 straniere. I campi di applicazione sono abbastanza vari, anche se la maggior parte delle detenute sono impiegate in servizi d’istituto, alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Tra gli altri lavori, le detenute si prestano a servizi extra murari e alla manutenzione ordinaria dei fabbricati. Una delle grandi tematiche riguardanti il carcere femminile, inoltre, è quella della presenza all’interno degli istituti di detenuti con figli a seguito. La questione, secondo il XIII Rapporto Antigone “Torna il carcere”, è descritta come “una tematica delicata sia dal punto di vista del diritto delle detenute con figli ad essere madri, sia del diritto dei figli di detenute da un lato a crescere con la propria madre e dall’altro a non dover per questo passare i primi anni di vita, età delicatissima di formazione, in un ambiente insalubre come quello carcerario”.

143


14 12 10 8 6 4 2

DONNE DETENUTE CON FIGLI fonti: D.A.P / Antigone situazione al 28-02-2018

Veneto

Umbria

Sicilia

Puglia

Piemonte

Lombardia

Lazio

Campania

Calabria

0


Al 30 giugno 2016 erano ancora 41 i bambini conviventi con le proprie madri all’interno degli istituti penitenziari, un numero, questo, per lo più invariato rispetto a quello di vent’anni fa, seppur con un miglioramento sostanziale rispetto alle condizioni assolutamente inaccettabili riscontrate nel 2001, con un picco di ben 83 bambini detenuti.

28

Legge n. 40/2011

29

Legge 62/2011

È proprio il 2001, infatti, che vede l’attuazione della Legge Finocchiaro28, anche soprannominata “legge 8 Marzo”: fino a quel momento solamente le detenute madri con pena inferiore ai quattro anni potevano accedere alla detenzione domiciliare, collocando invece tutte le altre nel limbo di una scelta atroce, la perdita del contatto col figlio o la crescita del “Ci aspettiamo che la componente proprio bambino all’interno delle mura del carcere. femminile della popolazione deLa “legge 8 marzo” introduce importantissime no- tenuta, non potendo condividere vità, tra cui la detenzione domiciliare speciale (ot- né spazi né attività con la compotenibile dopo aver scontato un terzo della pena), nente maschile, finisca per risultal’assistenza esterna dei figli minori e l’ampliamento re ancora più segregata all’interno delle possibilità di accesso alle misure alternative. dell’ambiente carcerario, da un lato Tuttavia, la legge Finocchiaro non prevede la tutela allontanate dai propri familiari e di un gran numero di detenute donne, quelle con luoghi di residenza, dall’altro dea carico reati legati alla legge sulle droghe e quelle private di certe opportunità lavorative, formative o anche di istruzione senza fissa dimora.

in comparazione con la controparte

Nel 201129 si vede, invece, l’introduzione di nuovi maschile” Documento finale SGEP 2016 modelli detentivi per la tutela delle detenute madri, gli istituti ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per Madri), pensati appositamente per tutte quelle detenute che in ragione del tipo di reato, della durata della pena o perché prive di dimora, non hanno la possibilità di accedere alle misure alternative e hanno continuato a vivere in istituto con i propri figli.

145


Il primo ICAM è stato aperto nel 2007 a Milano, allo scopo di conciliare l’esigenza di limitare la presenza di bambini all’interno degli istituti penitenziari ordinari con quella di garantire la sicurezza della collettività e non mancare all’esecuzione di una condanna o di un provvedimento di custodia cautelare in atto. L’istituto può ospitare al massimo undici donne con un figlio ciascuna. Mentre all’inizio le donne internate erano responsabili solamente di reati minori (come reati contro il patrimonio), attualmente è stata data la possibilità di accogliere anche ospiti che scontano pene lunghe per reati gravi contro la persona: peggiora, ovviamente, anche la situazione che queste detenute hanno alle spalle, di degrado e di violenza prima di tutto. A livello educativo e formativo, all’interno dell’ICAM sono organizzati corsi di alfabetizzazione (molto spesso le detenute hanno un bassissimo grado di istruzione), e più in generale corsi didattici fino al raggiungimento del diploma di terza media. Per l’istruzione superiore e universitaria le detenute sono costrette a sospendere gli studi sino al ritorno in carcere, che avverrà al compimento del sesto anno di età del figlio (e non più al terzo anno, come previsto prima dell’attuazione della legge 62/2011). Gli altri ospiti fondamentali dell’ICAM sono i bambini, con età compresa tra gli 0 e i 6 anni. La presenza degli educatori permette loro di uscire dall’istituto per andare a giocare ai giardinetti o per andare all’asilo, mentre il resto del tempo è scandito da attività ricreative di vario genere. In generale, possono incontrare i propri genitori durante la giornata, nonché passare i fine settimana con i parenti. Nessuno degli agenti di polizia penitenziaria, all’interno dell’ICAM, indossa la divisa. È un fattore importante, questo, una scelta funzionale al benessere psicologico del bambino, che confonde i ruoli, per cui le donne, portatrici di una vita in fin dei conti nelle mani dell’amministrazione penitenziaria, si trovano poi a

146


confidarsi con le guardie stesse, come se fossero davvero in primo luogo uomini e donne con il loro bagaglio di umanità. La previsione di spazi alternativi agli spazi recintati del carcere, quindi, è di fondamentale importanza per generare evitare la perdita di affetti e l’allontanamento, fin dalla tenera età, del figlio dalla propria madre. Probabilmente, nella visione di un’architettura carceraria più innovativa, che rivaluti tutti quegli aspetti legati alla costrizione dei reati, piuttosto che delle persone stesse, sarebbe possibile inserire realtà variegate e differenti, come comincia ad avvenire all’esterno negli ICAM. Rimane aperta la grande tematica di cosa sia meglio, se non dare ad un carcere vero e proprio le sembianze di un carcere come lo abbiamo conosciuto fino ad adesso, o se fare di tutto perché, in qualsiasi caso, i bambini e le loro madri siano tutelate in tutto e per tutto. In definitiva, l’ICAM di Milano è una delle realtà italiane più all’avanguardia, anche se purtroppo è una realtà che non basta, e che forse non basterà mai, a colmare la profonda sofferenza di una comunità in cui la femminilità è ridotta a pochissimi ruoli, e in cui la maternità perde la propria intimità e l’infanzia un pezzo di libertà.

147


5.1

GRAND VALLEY INSTITUTION FOR WOMEN

GRAND VALLEY INSTITUTION FOR WOMEN Kitchener, Ontario, Canada Kitchener, Ontario, Canada 0

0

20

20

60

60

100 m

100 m

TEAM

team M. apertura SUPERFICIE superficie N. DETENUTE n. detenuti APERTURA

M. McKenna, R. Sims & co.

McKenna, R. Sims & co. 1996 1996 6,945 m² 2 6,945 m 120 120


GRAND VALLEY INSTITUTION FOR WOMEN KITCHENER, ONTARIO, CANADA

La Grand valley insitution for women è la prigione di Stato per donne dell’Ontario, in Canada, inaugurata nel 1996 per ospitare all’incirca 120 detenute, costruita per sostituire la prigione di Kingstone’s Prison for Women, non più adeguata alle esigenze della popolazione ristretta femminile. È importante sottolineare come l’istituto si ispiri ai principi espressi nel documento Creating Choices. The Report of the Task Forse on Federally Sentenced Women, pubblicato nel 1990 dai Servizi di Correzione canadesi.

zona giorno+cucina zona pranzo camera singola distribuzione bagno deposito accesso

149


Tra le altre cose, il documento definisce l’impellente urgenza di definire una tipologia di strutture propriamente pensate per le detenute femminili, indicando alcuni elementi basilari di progettazione tra cui: la costruzione di una struttura che riproponga le condizioni di vivibilità e fruibilità di un normale quartiere residenziale, l’eliminazione di tutti i dispositivi di sicurezza di tipo fisico (il muro di cinta, per esempio, di cui l’istituto è privo).

zona giorno+cucina zona pranzo camera singola distribuzione bagno deposito accesso

150


Il progetto è caratterizzato da due parti ben distinte: da un lato l’edificio principale e di ingresso, ovvero la parte “istituzionale” costituita da diversi volumi, in cui sono collocate tutte le funzioni non prettamente residenziali, come le aree per la formazione e l’educazione, il presidio sanitario, la cappella, l’area visite). Dall’altro lo sviluppo dell’area residenziale, completamente innovativa in quanto costituita da 14 cottages nei quali vivono le detenute. L’edificio principale, infine, frutto della compenetrazione di più volumi, cerca di riproporre un paesaggio urbano simile a quello che lo circonda al fine di minimizzare l’effetto di istituzione carceraria. La principale innovazione consiste proprio nella scelta dei progettisti e dell’amministrazione penitenziaria di abolire le sezioni detentive tradizionali, sostituendole con appartamenti a due piano, fruibili da otto detenute contemporaneamente. Gli appartamenti, infatti, ospitano otto camere da letto, un soggiorno, una zona pranzo/cucina, uno spazio gioco per i bambini e una loggia verso il giardino.

151


5.2

PENITENZIARIO FEMMINILE

PENITENZIARIO Reykjavik, FEMMINILE Islanda Reykjavik, Islanda 0

0

20

20

60

60

100 m

100 m

TEAM

Ooiio Architects

team APERTURA Ooiio Architects sviluppo progetto esecutivo apertura SUPERFICIE sviluppo progetto esecutivo 4,500 m² superficie 4,500 m2 N. DETENUTE n. detenuti -


PENITENZIARIO FEMMINILE REYKJAVIK, ISLANDA

La progettazione questo nuovo penitenziario parte dal presupposto che l’aspetto peggiore di vivere all’interno di una prigione è rendersi effettivamente conto di viverci dentro. Il risultato è, quindi, un disegno dello spazio che non ricorda neanche lontanamente il tipico disegno di un istituto penitenziario. Questo esempio è importante perché, anche se estremamente particolare, dà occasione di approfondire da un lato il tema della luce naturale, permeabile all’interno di tutti gli spazi grazie alla forma circolare degli edifici e

sezione detentiva

1

amministrazione

2

edificio di ingresso

3

workshop

4

incontro / affettività

5

attività ricreative /culturali

6

sezione alta sicurezza

7

workshop individuale workshop di gruppo servizi igienici corti accesso

camere singole corte interna accesso

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Qui sotto e nella pagina accanto: elaborati del progetto di OOIO Architecture, planimetria generale e sezioni. Fonte: ArchDaily

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alla loro doppia esposizione, dall’altra l’attenzione rivolta ai diversi flussi di detenute, lavoranti e/o operatori e visitatori occasionali, intrecciati ma mai in contrasto. Invece di un singolo edificio contenente tutte le funzioni e le attività , il progetto si sviluppa generando molti piccoli padiglioni e un programma complesso, simile a quello di un comune villaggio (presidio sanitario, scuola, chiesa e teatro).




ReHub un modello di carcere innovativo


IL BANDO DEL 2017 E IL CRONOPROGRAMMA PER L’AMPLIAMENTO


Il 2017 è stato un anno importante per Brescia e per il futuro dei suoi due istituti penitenziari, la casa circondariale di Canton Mombello e la casa di reclusione di Brescia-Verziano. L’argomento è importante da approfondire perché i due istituti, nel corso di tutto il 2017 (e probabilmente ancora per un po’ di tempo), sono stati interessati dalla stesura di un cronoprogramma molto serrato (in parte già procrastinato) atto all’ampliamento dell’istituto di Brescia-Verziano e alla definitiva chiusura di Canton Mombello, vecchio e inadatto ad ospitare un carcere all’avanguardia. Il discorso, però, è molto più complesso di quel che sembra, poiché le parti coinvolte nel programma sono numerose e di entità diverse. Tutto inizia a marzo del 2017, quando viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e su quella europea il primo bando di gara per la realizzazione del progetto definitivo per il “grande Verziano”, un unico carcere per tutta Brescia in grado di assorbire anche le presenze dell’ormai sorpassato Canton Mombello, un’opera per cui vengono messi a disposizione circa 720.000 euro: il bando europeo concede circa un mese di tempo per la presentazione delle proposte. Il bando e la somma in questione si concentrano sullo sviluppo del progetto all’interno del sedime attuale del carcere per la realizzazione del nuovo padiglione detentivo da 400 posti. Un intervento, quest’ultimo, che ovviamente non basta alla realizzazione di un carcere all’avanguardia, con spazi dedicati alle attività diurne e trattamentali, e soprattutto che rischia di sovraffollare lo spazio all’interno del muro di cinta attuale senza nessun apparente giovamento. Secondo il cronoprogramma, in ogni caso, questo è solo il primo tassello di un lungo percorso: mentre l’appalto per i cantieri viene fissato per i primi giorni di settembre 2017, dovrebbero andare avanti le trattative per l’acquisizione, da parte del demanio, dei terrenti adiacenti all’attuale perimetro del carcere di Brescia-Verziano, terreni utili per l’ampliamento definitivo dell’istituto e per l’inseri-

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aree per attrezzature di livello sovracomunale / consolidato aree per attrezzature di livello sovracomunale / espansione servizi di livello comunale non specificati / espansione aree a verde, gioco e sport di livello comunale / espansione residenziale / espansione PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE fonti: geoportale Lombardia


mento di tutte le attività trattamentali, educative, agricole, professionali del nuovo carcere. Pur essendo terminato il bando di gara e pur avendo visto la proclamazione di un vincitore, i cantieri non sono mai partiti e le trattative non si sono mai concluse. Riguardo al primo punto possiamo dire che il blocco del cantiere sia stato un bene: nell’ipotesi di un ampliamento così vasto e così potenzialmente innovativo, sembrava davvero insensato cominciare la costruzione di un nuovo padiglione all’interno del sedime attuale senza conoscere l’entità dei terreni di ampliamento e senza produrre un progetto di sintonia tra esistente e nuova costruzione. Per quanto riguarda le trattative, gli attori in gioco sono molti e giungere ad un accordo sembra tutt’ora difficile: tutto ruota intorno ai terrenti adiacenti al carcere, proprietà di privati della zona (tra cui anche la Società Agricola Verziano Ss.), alcuni dei quali sarebbero interessati ad una trattativa con il Comune e con il Ministero della Giustizia. Il Comune, infatti, ha proposto ai proprietari privati la cessione, da parte sua, di un edificio storico comunale nel centro storico di Brescia (che potrebbe essere Palazzo Bonoris, ma che in realtà non è ancora stato assegnato) in cambio dei terrenti adiacenti all’istituto di Brescia-Verziano. Questa prima permuta dovrebbe essere utile al Comune di Brescia per attuare una seconda permuta che vedrebbe interessato invece il vecchio istituto di Canton Mombello, proprietà del Ministero della Giustizia. In questo modo, il Ministero verrebbe in possesso dei terreni adiacenti utili all’ampliamento del nuovo carcere di Brescia-Verziano, mentre il Comune diventerebbe proprietario dell’edificio dell’ex Canton-Mombello, che potrebbe diventare la sede per un ostello, un incubatore di startup o per una città scolastica. A bloccare le trattative, però, sono stati una parte dei proprietari dei campi adiacenti al perimetro di Brescia-Verziano, che hanno fatto ricorso al Tar rivendicando dei diritti edificatori a loro concessi,

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proprio su quei terreni, durante la stesura del PGT e poi cancellati con la Variante (pubblicata dalla nuova giunta, che si è insediata nel 2013). Il 2018 è quindi un anno chiave per lo sviluppo della questione. Da un lato, la nuova giunta che si insedierà (dopo i cinque anni di mandato) dovrà decidere come muovere le mosse successive, se ricorrere all’esproprio dei terreni per questioni di pubblica utilità o se invece ritrattare la Variante del Piano e restituire i diritti edificatori ai proprietari. Ciò che è certo è che l’ipotesi di ampliamento di Brescia-Verziano è un’occasione veramente unica per poter sperimentare, finalmente, una progettazione innovativa e d’avanguardia dello spazio carcerario, avvicinandolo a quelle che sono le direzioni internazionali. Per questi motivi, crediamo che fermarsi al bando di progettazione già pubblicato e già terminato sia controproducente, sia per noi stessi, poiché saremmo privati di qualunque stimolo ad una progettazione sperimentale, sia per l’istituzione carceraria, ancora una volta relegata dentro i suoi confini burocratici, ma anche fisici, incapace di vedere oltre il muro di cinta e oltretutto consapevole di non aver fatto comunque tutto il possibile per una progettazione adeguata.


Partiamo quindi dall’ipotesi che i terreni siano di proprietà demaniale e che siano disponibili per un progetto di ampliamento, da pensare nel suo complesso e, anche se attuabile per fasi, che sia frutto di ragionamenti che coinvolgono in egual misura la struttura esistente e le strutture di nuova costruzione, nonchÊ lo spazio aperto propriamente carcerario e il tessuto agricolo circostante.


UN CARCERE PERIURBANO Il territorio di Verziano: com’è e come diventerà


Il tema del consumo di suolo in Lombardia ha acquisito sempre maggior rilievo, soprattutto durante gli anni di crisi del comparto edilizio: è da questo momento che la conservazione degli spazi naturali e agricoli diventa la priorità. Inizia quindi un processo di rinnovamento degli strumenti di pianificazione con la Revisione del Piano Territoriale Regionale, che interessa sia gli strumenti di pianificazione territoriale a scala più ampia, sia quelli a scala locale comunale del PGT. Gli obiettivi centrali delle variazioni sono due: da un lato il contenimento del consumo di suolo, dall’altra la rigenerazione urbana dei fenomeni di dismissione e degrado. Il momento di svolta nella pianificazione territoriale in ambito bresciano arriva nel 2008, anno in cui vengono individuati, all’interno dei Piani Territoriali di coordinamento provinciali (PTCP), gli Ambiti agricoli strategici, ovvero quelle aree del territorio provinciale che nei PGT comunali devono necessariamente essere classificate tra le aree destinate all’attività agricola. All’interno degli Ambiti agricoli strategici vengono individuate due tipologie di aree, le “aree destinate all’attività agricola” e le “aree di valore paesistico ambientale”. Mentre le prime, già presenti nel territorio, vengono estese in considerazione della propria estensione e continuità con gli ambiti agricoli esistenti, le ultime invece sono caratterizzate da una prevalenza di boschi o colline, oppure da un’interazione con le infrastrutture viarie di attraversamento poste a sud della città. È proprio questo il caso del territorio in cui è collocato il carcere di Brescia-Verziano: le specifiche di pianificazione sottolineano come, nel tempo, l’attività principale di questa aree rimarrà quella agricola, rendendo improbabile la nuova edificazione anche a fini agricoli. Detto questo, non è però da sottovalutare l’impatto a livello propriamente urbano che il progetto assumerà all’interno di questo

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ambiti di valore paesistico-ambientale aree agricole prioritarie in collina: appezzamenti con superficie > 4 ha.

PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE (PTCP) fonti: geoportale Lombardia


contesto: se da un lato, infatti, un suo punto di forza è quello di sottolineare la natura agricola del territorio e in qualche modo potenziarla, andando ad attuare una vera e propria strategia geografica, dall’altro si serve necessariamente di un assetto urbano per definire il suo posizionamento all’interno dei terreni di ampliamento. Non sono stati ignorati, dal punto di vista territoriale, nessuno dei due aspetti: il rapporto con il paesaggio e la generazione di un limite boschivo non ostacolano la connessione del progetto con un’eventuale espansione urbana della città di Brescia. La posizione territoriale dell’area di progetto ha costituito una sfida, a livello compositivo, per la scarsa connessione al tessuto urbano e per la vasta presenza dei terreni agricoli adiacenti: è stato quindi fondamentale, a partire dal lotto dato per l’ampliamento, ricavare la quantità di spazio necessariamente utile all’impianto urbano del progetto, e quello invece adeguato ad accogliere gli spazi aperti pertinenti, di diversa natura, partendo dal presupposto di una progettazione a bassa densità costruita. Siamo quindi partiti dal presupposto che l’intera area, di circa 14 ettari, (159707 m2), fosse troppo estesa per accogliere l’impianto urbano su tutta la sua superficie, considerando anche che, se così fosse stato, l’assetto sarebbe stato alquanto dispersivo. Abbiamo quindi stabilito una sorta di fascia di rispetto nelle aree marginali del lotto a nord e ad est, utile sia dal punto di vista della sicurezza e del controllo, sia dal punto di vista propriamente urbano: le fasce di rispetto sono in genere luoghi con statuti non stabiliti, che possono adattarsi alle esigenze della città o del territorio, qualora se ne presenti l’occasione. L’impianto urbano, quindi, si sviluppa nelle parti più interne del lotto, circondato da una corona vegetale e boschiva che ingloba la recinzione e genera un’ulteriore protezione per entrambe le parti. L’ispirazione è giunta anche dal mondo della natura stessa: immaginiamo il nuovo carcere come una sorta di atollo, una composizione di isole o superfici completamente autonome, ma connesse da un sistema più generale

Nelle pagine seguenti: rielaborazione grafica del territorio di Bresciae Verziano con individuazione dei due istituti di pena di ambito bresciano.

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0

50

100

200

300

500


700

1000 m


e accomunate da una barriera che le protegge e permette la vita e la crescita al suo interno: dunque, la nostra barriera verde vuole essere proprio questo, un dispositivo episodico del paesaggio che protegge l’interno e allo stesso tempo l’esterno, genera un ambiente autonomo, anche se pur sempre collegato al suo territorio, perchè immerso in una natura agricola a bassissima densitĂ costruita.

A lato: immagine satellitare di Maupiti, una delle Society Islands (Polinesia Francese). Fonte: livescience.com Nella pagina accanto: schemi di generazione della strategia di insediamento del progetto.

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fascia di rispetto

perimetro boschivo

impianto urbano

impianto urbano protetto



A lato: il recinto murario visto dai terreni di ampliamento ad est del carcere. Nella pagina accanto: la natura agricola del territorio adiacente al carcere.


A lato: il recinto murario visto dai terreni di ampliamento ad est del carcere. Nella pagina accanto: i punti di contatto del recinto murario con i campi agricoli a nord e ad est del carcere.



LA SITUAZIONE CARCERARIA NELLA PROVINCIA DI BRESCIA La casa circondariale di Canton Mombello, la casa di reclusione di Brescia-Verziano e l’ipotesi di progetto


La situazione carceraria nella provincia di Brescia è caratterizzata dal fenomeno del sovraffollamento degli istituti, fattore che rende il capoluogo di provincia assimilabile a molte altre zone d’Italia: la tendenza del periodo, infatti, è rappresentata da un ritorno al sovraffollamento dopo periodi di leggero miglioramento, dovuto all’attenzione riposta nelle misure alternative alla detenzione e allo sviluppo positivo di nuove norme. Il sovraffollamento, però, è un fenomeno patologico cronicizzato nel sistema penitenziario italiano, ed è il primo fattore che si manifesta nei momenti critici, per due motivazioni principali: da un lato, le misure securitarie, che non permettono un dialogo aperto e lo sfruttamento di tutte le risoluzioni alternative che il nostro ordinamento permetterebbe, dall’altro l’edilizia carceraria, che come sappiamo è tutt’oggi uno dei maggiori problemi dell’intero sistema. Brescia è dotata di due strutture penitenziarie molto differenti tra loro, a partire dalla loro connotazione legislativa: la struttura collocata nel centro di Brescia, Canton Mombello, è una Casa Circondariale, ovvero dove in cui sono detenute le persone in attesa di giudizio e quelle condannate a pene molto brevi, mentre la struttura di Brescia-Verziano, più periferica, è una vera e propria Casa di Reclusione, in cui sono detenute le persone con condanna definitiva o pene più lunghe. Questa differenza è essenziale per comprendere al meglio i dati della popolazione all’interno delle due strutture: Canton Mombello è caratterizzato da un sovraffollamento in proporzione maggiore rispetto a Brescia-Verziano, proprio perchè la detenzione in carcere, anche preventiva, è ormai considerata la norma, senza però tener presente di tutta una serie di altre misure possibili da attuare in caso di persone in attesa di giudizio. In generale, comunque, entrambi gli istituti sono sovraffollati, generando delle ripercussioni a livello spaziale: se a Brescia-Verziano il rapporto detenuto/m2 è ancora accettabile (anche se il calcolo è stato effettuato

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Casa Circondariale di Canton Mombello superficie del lotto 8224 m2 n. totale detenuti 326 rapporto det/m2 0,040

Casa di reclusione di Brescia-Verziano superficie del lotto 36629 m2 n. totale detenuti 119 rapporto det/m2 0,003

Grande Verziano/ accorpamento delle strutture superficie del lotto 159170 m2 n. totale detenuti 445 rapporto det/m2 0,00027


sull’intera superficie del lotto, calcolando quindi tutte quelle aree aperte completamente inaccessibili), la situazione di Canton Mombello è assolutamente inaccettabile, poichè la superificie totale è di molto inferiore a Brescia-Verziano e i detenuti sono molti di più. È chiaro, quindi, che un ampliamento di quest’ultima struttura, con conseguente chiusura di Canton Mombello e trasferimento dell’intera popolazione detenuta, è un’ipotesi che non può che giovare alla situazione carceraria bresciana, ormai al limite della sopportazione. In primis, quindi, il progetto si pone come uno strumento cautelativo di risoluzione del sovraffollamento che, oltre ad introdurre una serie di innovazioni quantitative e qualitative, mira anche alla convivenza di popolazioni con differenti stati giuridici: la sfida è quella di integrare le popolazioni della Casa Circondariale e della Casa di Reclusione, tenendo in considerazione tutti i vincoli che questo comporta, ma anche tutti gli aspetti potenzialmente comunitari e socializzanti. Un’altra importante considerazione va fatta in merito alla presenza femminile all’interno della nostra ipotesi di progetto: attualmente, Canton Mombello non registra presenze femminili (non essendo attrezzato per questo tipo di detenzione), mentre Brescia-Verziano è dotato di una sezione femminile con 43 detenute presenti al momento della nostra visita. La scarsa presenza femminile all’interno delle carceri italiane è ormai un fattore a noi noto, che va risolto, pensiamo, in una maniera abbastanza drastica: anche in questo caso, il progetto si pone come cautelativo, predisponendo degli spazi appositi per l’abitazione di una popolazione femminile leggermente superiore a quella attuale, ma crediamo fermamente che la risposta a lungo termine non sia quella di continua-

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326 189

Canton Mombello stato attuale

119 71

Brescia-Verziano stato attuale

508

445

campienza totale presenti DETENUTI fonte: Polizia Penitenziaria, 05/2017

Grande Verziano ipotesi di progetto


107 115

Canton Mombello stato attuale

104

Brescia-Verziano stato attuale

119

132 >104

132 >115 Grande Verziano ipotesi di progetto

244 >226

in attesa di primo giudizio appellanti/ricorrenti/misti definitivi STATO GIURIDICO fonte: Polizia Penitenziaria, 05/2017


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re a innalzare la popolazione femminile all’interno delle carcere, soprattutto se in presenza di detenuti madri: pur cercando di inte251 grare al meglio la popolazione femminile all’interno degli istituti, le carceri rimarranno sempre e comunque un ambiente caratterizzato da una maggioranza maschile, e il più delle volte, per ragioni che trascendono da qualsiasi scelta architettonica o normativa, le due popolazioni entrano in conflitto. Sarebbe quindi necessario aprire un discorso a parte, una progettazione mirata a questo genere di problematica, indicando luoghi diversi di detenzione, come già av87 per detenute viene con gli I.C.A.M (Istituti di Custodia Attenuata Madri). 60 199

Nelle pagine seguenti: rielaborazione assonometrica del carcere di Brescia-Verziano; foto satellitare del carcere di Brescia-Verziano con individuata l’area dell’ampliamento.

Un’ultima osservazione va fatta riguardo alla presenza della Polizia Penitenziaria e degli operatori all’interno degli istituti bresciani. 251 attuali sono inferiori alle necessità: In entrambi i casi le presenze il progetto, dato l’ampliamento e la disponibilità di spazi, mira ad assorbire tutte le risorse presenti e potenziarle fino alla capienza totale. 338 199

87 60

179

Brescia-Verziano stato attuale

Grande Verziano ipotesi di progetto

251 Canton Mombello stato attuale

capienza totale 338 presenti 87 POLIZIA60PENITENZIARIA 179 fonte: Polizia Penitenziaria, 05/2017 184


Canton Mombello stato attuale

326

43 76

Brescia-Verziano stato attuale

46 >43 Grande Verziano ipotesi di progetto 462 >402

donne uomini GENERE fonte: Polizia Penitenziaria, 05/2017




DALLE CRITICITÀ AL PROGETTO Risposte innovative alla crisi carceraria italiana


L’approccio al progetto è stato innanzitutto un approccio alle criticità riscontrate durante il periodo di ricerca, con il fine di riscontrare un modello critico ed applicabile a diverse circostanze di ambito carcerario. Se da un lato, in-fatti, le buone pratiche internazionali ci hanno fatto conoscere ciò che di innovativo è possibile, dall’altro ci hanno reso consapevoli della totale inadeguatezza della normativa italiana, da quella di ambito amministrativo a quella di ambito edilizio. Siamo dunque convinti che non esista una singola risposta alle problematiche di ambito carcerario, sia perchè il raggio d’azione è troppo esteso per essere racchiuso in un’unica sfera di pertinenza, sia perchè anche dal solo punto di vista architettonico l’argomento è troppo complesso per essere risolto in modo unitario. La strada percorsa è stata quindi quella di un avvicinamento puntuale alle singole criticità, dapprima in maniera auto-noma, successivamente calandole nella realtà progettuale e analizzandole nella loro influenza contestuale. La ricerca critica delle problematiche è stata effettuata tramite lo studio e l’analisi di realtà differenti dalla nostra, ma anche grazie ai consigli e ai suggerimenti raccolti da personalità influenti in ambito carcerario, amministrativo e le-gale: ogni incontro ci ha dato occasione di rilevare le questioni irrisolte e di ambire ad un cambiamento, possibile in quanto avallato dagli operatori del sistema. In generale, abbiamo notato un forte desiderio di innovazione, e ci ha sorpreso apprendere come la tematica architettonica, in ambito carcerario, sia vista come una delle più proble-matiche e afflittive di tutto il sistema. Di seguito proponiamo, quindi, un’analisi delle singole problematiche riscontrate, tenuto conto dei casi studio ana-lizzati, delle opinioni raccolte e delle circostanze contestuali, con la speranza che le risposte cercate ed ottenute possano un giorno diventare le risposte da scegliere.

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LA RESIDENZA

I problemi legati alle dinamiche dell’abitare, in ambiente carcerario, derivano in maggior parte dall’architettura stessa, che nega, in un ambiente privato della libertà, la possibilità di interagire e generare rapporti sociali. L’edificio di tipologia lineare, infatti, distribuisce i singoli moduli abitativi sulla lunghezza, motivando l’espressione di “orizzontalità” della pena, che viene vissuta come un continuo susseguirsi di stanze posizionate lungo un corridoio, incapace di gestire i momenti relazionali e relegando all’interno delle camere di pernottamento tutte le attività diurne e notturne, eccetto per i momenti passati all’aperto, anch’essi relegati all’interno di “stanze” recintate, le cosiddette “arie”. È anche importante sottolineare come gli edifici lineari rap-

Nell’abitare odierno, si relegano all’interno delle camere tutte le attività diurne e notturne, eccetto per i momenti passati all’aperto, anch’essi confinati all’interno di “stanze” recintate, le cosiddette “arie”.

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presentino anche un elemento anacronistico in termini di controllo: l’avvento della vigilanza dinamica e il conseguente regime “a celle aperte” prevede la sorveglianza attiva e il controllo non statico degli individui, soluzione che permette, quindi, dal punto di vista architettonico, un aggiornamento in termini tipologici, poichè il controllo non avviene più da un unico punto, onniscente e panottico. Nel progetto proponiamo, dunque, una disposizione a padiglioni, che facilita entrambe le problematiche riscontrate: lo spostamento da “orizzontalità” a “verticalità” della pena permette agli abitanti di sentirsi inseriti in un contesto di domesticità, dotati di spazi strettamente individuali (le camere, singole o doppie) e altri comunitari ai singoli piani degli edifici. Dall’altro lato, il controllo viene eseguito con più facilità e dinamicità, poichè la superficie lineare da percorrere è inferiore e maggiormente affrontabile in termini di tempo.

Lo spostamento da “orizzontalità” a “verticalità” della pena permette agli abitanti di sentirsi inseriti in un contesto di domesticità

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GLI SPAZI DI RELAZIONE

Le carceri odierne, soprattutto quelle più recenti, sono dotate di vasti spazi aperti e residuali tra i vari edifici, che però, seppur all’interno del muro di cinta, non possono essere utilizzato per questioni legislative legate alla sicurezza. La problematica non è marginale, poichè gli abitanti del carcere sono costretti, anche nelle ore in cui le celle sono aperte, a scegliere tra gli spazi aperti di passeggio (le “arie”), recintati e di piccole dimensioni, gli spazi delle loro celle o gli spazi interni dedicati alle attività trattamentali. In ognuno di questi casi il diritto a godere in modo naturale e consueto dell’aria aperta è assolutamente prevaricato. Esiste, oggi, la concreta esigenza di attrezzare determinati spazi aperti per attività flessibili o programmate, partendo da quelli

Gli abitanti del carcere sono costretti, anche nelle ore in cui le celle sono aperte, a scegliere tra gli spazi aperti di passeggio (le “arie”), recintati e di piccole dimensioni, gli spazi delle loro celle o gli spazi interni dedicati alle attività trattamentali.

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già esistenti e inutilizzati nelle carceri esistenti e garantendogli una valenza più adatta a ciò che sono: spazi aperti potenziali. Progettualmente, quindi, ci è sembrato appropriato dare molta importanza agli spazi aperti,sia a quelli pertinenti delle residenze, sia a quelli di utilizzo lavorativo, sia a quelli relazionali. Nell’ambito degli spazi dedicati alla relazione, nasce l’idea dell’agorà e del centro civico, un luogo di incontro per gli abitanti del carcere e per gli abitanti della città esterna, spazio di socialità dalle molteplici sfaccettature.

L’agorà è un luogo di incontro per gli abitanti del carcere, ma anche di collegamento con gli avvenimenti della città esterna, utilizzabile in diversi modi a seconda delle tempistiche.

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LE ATTIVITÀ LAVORATIVE

Alcune realtà carcerarie, compresa quella di Brescia-Verziano, accolgono già al loro interno attività lavorative, portate avanti da aziende esterne o da cooperative, che assumono i detenuti facendoli diventare veri e propri lavoratori. All’interno del carcere di Brescia Verziano questo avviene già: durante gli anni si sono alternate numerose cooperative, da quella che si occupava della lavorazione del cachemire a quella per la preparazione di cialde di caffè e riempimento di prodotti dolciari (la cooperativa Nitor, tutt’ora attiva). Questa è una buona pratica, da potenziare in termini di spazi e di comodità di interazione tra interno ed esterno: gli spazi del carcere attuale, infatti, non riescono ad accogliere il numero potenziale di detenuti che le aziende sareb-

Gli spazi lavorativi attuali non riescono ad accogliere il numero potenziale di detenuti che sarebbero disposti a a lavorare, e in più sono mal collegati all’esterno, causando problemi e rallentamenti nella gestione.

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bero disposte ad assumere, e in più sono mal collegati all’esterno, poichè si servono dell’unico accesso disponibile dentro le mura. Il progetto mira ad ampliare le realtà lavorative all’interno del carcere, prevedendo spazi in affitto per le aziende e le cooperative esterne e favorendo anche la produzione e la vendita diretta di prodotti carcerari, data la natura agricola del territorio. Il progetto mira, da un lato, ad una velocizzazione dei processi di gestione aziendale, ponendo il nuovo padiglione industriale al bordo esterno del carcere, dall’altro ad un ingresso controllato e programmato per la compravendita dei prodotti agricoli locali, fenomeno che già avviene in alcune carceri, tra cui quella di Bollate.

Il nuovo padiglione industriale si pone al bordo esterno del carcere, per favorire i processi di gestione aziendale. I padiglioni dedicati alla produzione agricola sono invece interni, per favorire lo scambio città-carcere.

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IL MARGINE MURARIO

Il margine murario del carcere è una delle principali cause per cui il carcere è quello che è: un luogo di segregazione e di oblio. Il tema, d’altronde, non può non essere affrontato in maniera radicale, in quanto radicale è il suo impatto sul terri-torio spaziale e culturale circostante. Che sia immerso nel tessuto urbano di un centro storico, in ambito periferico o addirittura periurbano, infatti, la struttura carceraria risulta sempre e solo dal suo involucro esterno, duro e inalterabile, avvertibile per la sua indifferenza e imperturbabilità. È necessario avvertire il problema nella sua interezza: nato come dispositivo di separazione, il muro è da sempre un elemento di divisione e distacco, situazioni che non possiamo più permetterci, in questo momento storico, di ritenere valide. Senza deviare dalle tematiche della sicurezza e della protezione, riteniamo che alzare muri per dividere contesti urbani sia nella maggior parte dei casi un errore: oggi si possono raggiungere gli stessi livelli di sicurezza, a livelo tecnologico, di quelli garantiti dal muro di cinta, mantenendo però il rapporto con la città o con il territorio e garantendo un orizzonte a chi non è libero di raggiungerlo. A livello generale, il modello che il progetto si impegna a promuovere è un criterio innovativo di intendere il recinto, che da limite diventa frontiera, generando una reazione da entrambe le parti con continue situazioni episodiche. Il margine non deve più rimanere un dispositivo sterile di divisione, ma deve diventare un vero e proproprio luogo, con uno spessore variabile, adatto ad accogliere situazioni, permeabilità, orizzonti possibili. La contestualità è un altro elemento fondamentale da considerare: ogni circostanza ha le sue occasioni e le sue prerogative, componenti ineccepibili su cui inne-stare i principi strutturali e compositivi. Questo approccio, sperimentale e libero dalle ripetitività normative, ci ha permesso di guardare il problema da un punto di vista oggettivo, assumendo come primari solamente quegli aspetti di migliorabilità del progetto e del contesto di inserimento di quest’ultimo.

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A lato: il recinto murario del carcere di Brescia-Verziano e la sua completa negazione della realtĂ contestuale.


La situazione del carcere di Brescia-Verziano è as-similabile a qualsiasi altra situazione di ambito italiano: il margine murario si scontra inevitabilmente con il contesto in cui è inserito, in questo caso con il territorio agricolo circostante. La risposta a questa situazione di frattura è l’azione in senso contrario: eliminare, per quanto possibile, questa frattura, non solo a livello sociale e culturale (proponendo una maggiore permeabilità dell’ambiente carcerario alla popolazione esterna), ma soprattutto a livello fisico e percettivo. Sappiamo infatti che la risposta psicologica ad una divisione visibile e insormontabile, all’interno del carcere, non è paragonabile a nessun’altra: la mancanza di un orizzonte e la completa negazione di un mondo altro rendono i detenuti schiavi delle loro stesse paure, arrivando a credere che il muro svolga

Il margine murario tradizionale risulta sempre e solo dal suo involucro esterno, duro e inalterabile, avvertibile per la sua indifferenza e imperturbabilità.

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una funzione non di separazione, ma di protezione, come se fose un riparo dalle loro paure, quelle legate all’incapacità di affrontare il mondo esterno. La nostra idea mira ad un ribaltamento della situazione: far partecipare entrambi i fronti, quello interno e quello esterno, alle dinamiche opposte: dall’interno vogliamo permettere l’apertura verso l’orizzonte e la possibilità di far parte, anche a livello psicologico, dello spazio circostante, mentre dall’esterno vogliamo abbattere la credenza generalizzata che il carcere debba per forza essere un luogo di reclusione invisibile, inudibile, intoccabile.

Lo spessore boschivo aumenta la superficie totale della struttura di controllo permettendo una sempre diversa permeabilità di sguardo da dentro a fuori e viceversa.

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A lato e nella pagina accanto: immagini del margine murario del carcere di Brescia-Verziano, nella sua percezione esterna.



REHUB. UN MODELLO INNOVATIVO


Dopo un’attenta analisi delle criticità e delle possibili risposte, abbiamo cominciato a sviluppare l’idea di progetto. Ci siamo inizialmente confrontati con la superficie a disposizione per l’ampliamento, trovando fin da subito inutile il suo totale utilizzo a fini edificatori: dato l’ambito agricolo del territorio e la grande quantità di terreno a disposizione, la scelta è stata quella di puntare ad un progetto a bassa densità costruita, che potesse riproporre le buone proporzioni tra spazio costruito e spazio aperto del carcere esistente, potenziando la qualità di entrambi. L’atteggiamento iniziale è stato caratterizzato quindi dalla scelta di una misura, all’interno della quale porre il limite del costruito e attraverso la quale disegnare lo spazio aperto. Un’altra importante figura che è stata considerata è stata quella generata dal costruito esistente, originariamente pensato per essere collegato da un asse di distribuzione (ovvero con disposizione “a palo telegrafico”) e quindi collocato all’interno di un impianto a terra di scansione lineare. Tale assetto, presente nel sito e incancellabile, ci ha spinto a rivendicare la nostra azione di ampliamento tramite un’estensione figurativa dell’impianto esistente, con la continuazione della fascia di sviluppo degli edifici già collocati in situ e la riproposizione della scansione costruita. Questa decisione è nata in concomitanza con la scelta di trasformare i vecchi edifici esistenti del carcere in un luogo di scambio per il territorio: costruzioni vecchie e ormai inadatte ad accogliere utilizzi di tipo abitativo, ma adeguate per contenere usi pubblici, dall’amministrazione al teatro, dalla foresteria alla clinica medica. La nuova fascia di sviluppo si è quindi automaticamente trasformata, progettualmente, in quell’ambito tanto voluto da Mauro Palma di attività relazionali, collettive e culturali, tanto necessario quanto inesistente nelle carceri odierne. Questa sicurezza ha dato ancora più forza all’idea di misura dello spazio costruito, poichè ci ha dato

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l’occasione per contrapporre ad un segno forte, quello della fascia centrale, un’altra figura altrettanto forte, opposta e complementare, di sviluppo urbano. Il nuovo carcere si struttura, quindi, come un sistema a polarità, in cui gli ambiti d’uso sono ben distinti, anche se poi nello specifico le diverse attività vengono combinate anche all’interno dello stesso ambito. Si possono riconoscere tre settori principali: quello residenziale e abitativo, quello del nuovo centro civico, luogo dedito alle attività relazionali e culturali e quello lavorativo. Da un punto di vista costitutivo, invece, l’area di progetto è interessata da una individuazione strategica di tre diversi statuti: ognuno di essi è accompagnato da una particolare valenza di carattere urbano. L’area carceraria, circondata dal recinto, è accessibile dalla

area di rispetto

area recintata area intermedia

A lato: schema di generazione del progetto - tre diversi statuti.

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ambito residenziale

ambito relazionale

ambito lavorativo

A lato in alto: schema di generazione del progetto - le polaritĂ del sistema e la fascia delle attivitĂ relazionali. A lato in basso: il gradiente delle attivitĂ relazionali, dalla piĂš collettiva alla piĂš individuale.

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300 m


città esterna solo in maniera controllata e strutturata. L’area adiacente, invece, è circondata da una recinzione più blanda e permette l’accesso programmato al pubblico con un controllo non invasivo. L’area esterna, infine, vale come fascia di rispetto, dedita alla sua vocazione agricola e boschiva.

Nella pagina accanto: planivolumetrico del progetto.

L’aspetto fondamentale del nuovo carcere su cui vogliamo fare leva è dato, in ogni caso, dalla possibilità progettuale di scambio tra la città interna e la città esterna, uno scambio strutturato e controllato che permette alla cittadinanza di entrare in contatto con le realtà positive del carcere. La parola scambio indica non a caso un’azione vicendevole: i due mondi possono e devono incontrarsi, anche se in forma dialettica, per poter valorizzare entrambe le parti. A livello ambientale, infine, il progetto si pone come favorevole e promotore di uno sviluppo sostenibile del territorio in cui si trova. La necessità, sotto questo punto di vista, è stata quella di riconoscere le incredibili potenzialità di un intervento del genere, a livello territoriale ed urbano: seguire le linee guida del bando internazionale di progettazione innovativa Reinventing Cities ci ha aiutato nella comprensione degli apporti che il nostro progetto avrebbe potuto dare all’ambiente. L’intervento si muove soprattutto all’interno della linea guida che parla di “Biodiversità, ri-vegetazione urbana e agricoltura”: lo sviluppo della infrastruttura verde, che nel caso specifico diventa anche un dispositivo di sicurezza, rende possibile il mantenimento e la promozione della biodiversità, la resilienza climatica e la mitigazione dell’effetto di isola di calore dovuta agli elementi costruiti. Inoltre, la decisione di favorire la produzione agricola locale denota aspetti positivi non solo per motivi legati alla socialità e alla responsabilità collettiva, ma anche per aspetti ambientali: “lo sviluppo di sistemi alimentari locali e sostenibili per alimentare a chilometro zero e aumentare la consapevolezza sui diversi vantaggi di consumare alimenti freschi, stagionali e sulla produzione locale”30.

Reinventing cities: linee guida. Indicazioni e linee guida per la procedura del bando. Linea guida n.8 “Biodiversità, ri-vegetazione urbana e agricoltura”. Fonte: www.c40reinventingcities.org 30

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Nuovi servizi per il cittadino

BiodiversitĂ e rivegetazione

Produzione locale e vendita diretta

Utilizzo delle risorse esistenti


Anche per quanto riguarda i servizi offerti alla comunità, riteniamo che uno degli obiettivi del progetto sia proprio rendere accessibile il sito a più persone possibili, innestando meccanismi di crescita sociale e culturale, apportando un miglioramento in termini di tolleranza e collaborazione tra cittadini: “Tra gli esempi vi sono lo sviluppo di progetti che siano accessibili a varie parti della popolazione (diverse per condizione economica e sociale, background culturale, età, sesso, origine, ecc.); che diano la priorità a sviluppi con uso misto e orientati all’uso del trasporto pubblico e all’applicazione di strategie cronotopiche” 31. In conclusione, l’utilizzo delle risorse locali, il potenziamento delle realtà produttive e la nascita di un nuovo centro civico e urbano all’interno di un ambito agricolo, che non lo neghi, ma che lo metta a frutto, è uno degli argomenti fondativi della nostra idea di carcere: un dispositivo sociale con funzione riabilitativa che faccia del bene alla città e al suo territorio, interno od esterno che sia.

Reinventing cities: linee guida. Indicazioni e linee guida per la procedura del bando. Linea guida n.9 “Azioni inclusive e benefici per la comunità”. Fonte: www.c40reinventingcities.org 31

Nella pagina accanto: schemi esplicativi delle dinamiche ambientali del progetto. Nella pagina seguente: planimetria generale del progetto.

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300 m


LEGENDA

5d. centrale operativa

ComunitĂ detentive

6. Detenuti in attesa di giudizio 6a. spogliatoi/palestra 6b. lavanderia 6c. biblioteca/studio 6d. mensa/cucina 6e. centrale operativa

1. Detenuti definitivi 1a. lavanderia 1b. spogliatoi/palestra 1c. cinema 1d. mensa/cucina 2. Detenuti definitivi 2a. mensa/cucina 2b. biblioteca/studio 2c. lavanderia 2d. centrale operativa 3. Detenuti definitivi 3a. mensa/cucina 3b. lavanderia 3c. aula polifunzionale 4.Detenuti definitivi 4a. studio/relax 4b. spogliatoi/palestra 4c. mensa/cucina 4d. centrale operativa 5. Detenuti in attesa di giudizio 5a. mensa/cucina 5b. lavanderia/relax 5c. biblioteca/studio

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7. Semiliberi e art.21 7a. spogliatoi/palestra 7b. lavanderia 7c. mensa/cucina 7d. centrale operativa 8. Sezione Femminile 8a. cucina sociale 8b. spogliatoi/palestra 8c. lavanderia 8d. mensa/cucina 8e. centrale operativa


Centro civico 1. Amministrazione/caserma 2. Direzione/staff operatori 2a. Uffici direzione 2b. Uffici staff operatori 3. Teatro 3a. Accoglienza/guardaroba 3b. Palco 3c. Caffè 4.Edificio di ingresso 4a. Accoglienza e controllo visitatori 4b. Centrale operativa principale 4c. Ingresso clinica 4d. Foresteria 5.Scuola 5a. Aule didattiche 5b. Studio individuale/di gruppo 5c. Biblioteca 6. Ristoro/Culto 6a. Sopravvitto 6b. Caffè/bar 6c. Preghiera 6d. Cappella

7. Incontri 7a. Sala d’attesa 7b. Ludoteca 7c. Incontri collettivi 7d. Sala d’attesa 7e. Incontri privati 7f. Colloqui Telefonici 7g. Appartamento privato 8. Workshop

Attività lavorative 1. Edificio industriale 1a. Laboratorio lavorazione cachemire 1b. Nitor/cialde per caffè 1c. Call Center 1d. Liuteria/strumenti musicali 1e. Falegnameria 2. Produzione agricola 2a. Preparazione prodotti dell’orto 2b. Serra calda 2c. Preparazione/vendita prodotti 2d.Preparazione/vendita prodotti 2e. Serra fredda 2f.Preparazione prodotti/girasoli 2g. Strutture per attrezzi agricoli

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UN NUOVO MODO DI ABITARE IL CARCERE

Sotto: sezione di progetto. A lato: schemi esplicativi del funzionamento delle comunità detentive. Nelle pagine seguenti: planimetrie e schemi esplicativi del funzionamento degli edifici detentivi.

L’esigenza generale dei luoghi di reclusione è quella di dare ai propri abitanti la possibilità di intessere delle relazioni sociali: questa circostanza conduce verso una visione comunitaria del carcere, che ha la capacità di esplicarsi sia nelle aree dedite alle attività trattamentali e di gruppo, sia in ambito abitativo. Oggigiorno, purtroppo, la residenzialità è ancora uno degli ambiti più maltrattati all’interno delle carceri, per mancanze legislative, amministrative e gestionali, ma soprattutto per carenze a livello edilizio e architettonico. Gli edifici che ospitano le stanze non favoriscono il giusto gradiente tra socialità e privacy, non essendo dotati nè spazi conviviali adatti, nè di spazi individuali. In questo senso, anche il lessico è anacronistico: tutt’oggi chiamate celle, le singole camere assuomono un ruolo divisorio e separatore, quando invece sarebbe più giusto definirle camere di pernottamento, ovvero luoghi propriamente privati in cui il singolo detenuto si ritira per passare esclusivamente le ore notturne. L’intenzione progettuale mira, quindi, a ripensare il concetto dell’abitare all’interno del carcere, partendo dalla disposizione di molteplici padiglioni fino ad arrivare alla composizione del singolo edificio. La scelta della disposizione a padiglioni, in ambito residenziale, è stata dettata da varie necessità: da un lato, l’intenzione è stata quella di ricreare, all’interno dei gruppi di detenuti, un senso di appartenenza e responsabilità nei confronti dell’intera comunità. Dall’altro,


semiliberi e art. 21 48 detenuti definitivi e in attesa di giudizio 282+132 detenuti

sezione femminile 46 detenute


piano terra 0

5

10

20

35

50 m


il patio: luogo di aggregazione e dispositivo di controllo

illuminazione zenitale

estate - free cooling

inverno - effetto serra

primo piano

il patio centrale


terzo piano

secondo piano

Edificio 1 camere di pernottamento

primo piano

spazi condivisi al piano spazi condivisi dalla sezione e dall’intera comunità distribuzione/relazione e controllo

piano terra


questo assetto permette, da un punto di vista spaziale, la formazione di aree aperte di ampiezze e misure diverse, capaci di accogliere usi molteplici e flessibili, in relazione alle attività al chiuso poste ai loro margini. Ogni comunità detentiva richiede uno specifico grado di controllo e permeabilità, fattori che permettono la loro completa apertura o parziale chiusura all’interno dell’ambito residenziale: la differenza di trattamento è dovuta a specifiche esigenze normative o securitarie che pur in un’ottica innovativa non possono essere tralasciate. A livello di edificio, invece, ogni padiglione è stato pensato per accogliere il concetto di verticalità della pena (e non più di orizzontalità): la caratteristica principale è il gradiente di privacy, elemento per noi alla base di ogni convivenza forzata e non. Ogni piano, quindi, è strutturato in modo da accogliere spazi dediti alle attività relazionali, come le aree dedicate allo studio o alla colazione, e spazi di distribuzione, che oltre a diventare veri e propri luoghi di aggregazione grazie alla loro ampiezza, sono anche un ottimo dispositivo di controllo. Infine, la disposizione delle camere viene posta al perimetro dell’edificio: è, questa, una scelta specifica nata dalla necessità di inserire un numero definito di posti e dalla volontà di predisporre un a quantità di spazi comuni proporzionato. Lo spazio centrale, oltre ad essere un dispositivo energetico di illuminazione e di compensazione del calore, è anche luogo di aggregazione su più livelli, oltre al fatto che diviene utile all’interno del concetto di comunità verticale, in cui il controllo, essendo dinamico, si serve anche della visibilità e dell’udibilità. L’atrio centrale funziona come un grande spazio di mediazione termica: la copertura trasparente con lamelle, infatti, garantisce l’illuminazione direzionando i raggi solari a seconda dell’incidenza. Inoltre, la possibilità di apertura o chiusura della copertura permette il fenomeno del free-cooling in estate e il fenomeno dell’effetto serra in inverno.

Nella pagina accanto: esploso assonometrico dei piani di uno degli edifici detentivi. Nella pagina seguente: vista dell’area residenziale del carcere.

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UN NUOVO CENTRO CIVICO

L’Agorà è sempre stato il cuore pulsante della città, luogo dove si radunava l’intera comunità per discutere di temi attuali o per assistere a manifestazioni di carattere religioso, sociale o politico. È proprio a partire da questa immagine che abbiamo ipotizzato lo spazio centrale del nostro centro civico, chiamandolo Agorà, in richiamo ad un luogo flessibile, ma allo stesso tempo strutturato, in grado di accogliere la quotidianità come le occasioni e le manifestazioni straordinarie, cuore della vita sociale della città, che nel nostro caso è duplice: da un lato la città interna del carcere, che si organizza intorno alla polarità del centro civico e vive dello scambio reciproco di interessi e relazioni, dall’altro la città esterna, che grazie a questo nuovo luogo di connessione possibile, ha l’opportunità di entrare all’interno dell’ambito carcerario sperimentando in prima persona l’occasione di fruibilità di un luogo che ridiventa a tutti gli effetti un luogo aperto all’intera cittadinanza, ricco di eventi pubblici e opportunità specifiche. lezioni di gruppo -detenuti -operatori

studio e ripetizioni -detenuti -visitatori

sopravvitto -detenuti

bar/caffè -detenuti -visitatori -operatori


il carcere fuori

la cittĂ dentro

pertinenza/culto

pertinenza/scuola

pertinenza/incontri

culto -detenuti -visitatori -operatori

colloqui individuali colloqui familiari e ludoteca -detenuti -visitatori -detenuti -operatori -visitatori

appartamenti -detenuti -visitatori -partner


piano terra 0

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105 m




LE ATTIVITÀ LAVORATIVE

L’aspetto lavorativo all’interno del carcere è un punto che sta alla base del concetto di riabilitazione e della responsabilizzazione del detenuto. Le aree dedite alla produzione e al lavoro sono, nel progetto, collocate all’interno della “città aperta”, in quanto vengono intese come punto di contatto tra la società esterna, che ha la possibilità di entrare in carcere sia come entità produttiva che come entità di consumo, e la società interna, fondamentale per la gestione e la produzione lavorativa carceraria. L’intero sistema è caratterizzato non solo dal punto di vista logistico, ma anche dal punto di vista ambientale, da una sequenza graduale che vede il territorio agricolo circostante riappriopiarsi del contesto carcerario, non venendo meno però alla sovrapposizione con l’esperienza urbana, che circola dall’esterno all’interno del carcere provocando relazioni e possibilità di aderenza tra le due società, non più in conflitto, ma accomunate da una realtà produttiva comune. Tramite il lavoro, la produzione e la vendita, la società ritorna ad essere uniforme, non ossimorica. L’edificio industriale è posizionato ai bordi dell’intervento progettuale proprio per permettere una facile gestione dell’apparato lavorativo: il padiglione è suddiviso in vari spazi, che possono accogliere le cooperative già operanti all’interno del carcere di Verziano, o le



aziende esterne che sono interessate alla formula incentivata delle attività lavorative “all’interno del muro”. Il percorso centrale interno attraversa l’area lavorativa e permette l’accesso agli edifici che ospitano le attività lavorative: l’accesso agli spazi del padiglione industriale sono posizionati direttamente sul percorso, mentre gli accessi agli spazi della produzione agricola vengono posizionati sul fronte agricolo. Gli spazi dedicati alla lavorazione, preparazione e vendita diretta dei prodotti agricoli degli orti vengono utilizzati per prepare alla consumazione e alla vendita i prodotti dell’orto: ogni spazio interno è caratterizzato da ampie porzioni organizzabili a seconda delle necessità produttive. Sono state inserite anche due serre, per la produzione invernale di particolari prodotti legati alla vendita annuale, come fiori e piante. La produzione agricola è caratterizzata da diverse tipologie di prodotti: mentre le serre sono predisposte per la produzione invernale di piante e fiori, i campi agricoli ospitano ortaggi da foglia, da frutto e da radice, tenendo conto della stagionaltà di ciascun alimento. Vengono poi coltivate erbe spontanee, piante officinali e fiori utili per l’orto, nonchè piante erbacee composite, tra cui girasoli e camomilla. La produzione è in parte legata alla vendita diretta dei prodotti, e in parte strutturata per la consumazione interna al carcere. Lo spazio agricolo è anche caratterizzato dalla presenza di piccoli capanni per il posizionamento degli attrezzi o per la manutenzione invernale degli orti.

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233






IL LIMITE COME FRONTIERA

Il margine del carcere è pensato fin da subito come un dispositivo territoriale, che sia in grado di dialogare con gli elementi contestuali del paesaggio e che azzeri le distanze culturali ed estetiche che esistono oggi tra il territorio esterno e quello murario. Il nuovo elemento è caratterizzato non più dalla linearità tipica delle fasce murarie, ma da uno spessore boschivo, che aumenta la superficie totale della struttura di controllo permettendo una sempre diversa permeabilità di sguardo da dentro a fuori e viceversa. È importante sottolineare come il dispositivo sia stato pensato per provocare un effetto su entrambi i fronti urbani, quello cittadino e agricolo e quello carcerario. Da fuori, l’alternanza della vegetazione fitta e meno fitta e la copertura, senza negazione, della recinzione, potenzia la presenza di una fascia di rispetto che si pone come nuova “frontiera”, vista come prosecuzione di un buffer dove non esistono regole prestabilite. La frontiera diventa un luogo delle possibilità di diversi statuti. Da dentro, invece, si ha l’accettazione del margine come limite, con conseguente sua trasformazione in un elemento episodico del paesaggio, non ascrivibile in nessuna categoria tradizionale, perchè commistione di usi, materiali, percezioni, traguardi visivi e del cammino. Il suolo identificato come “forzatamente periurbano” accoglie usi quotidiani e/o straordinari, traguardi del corpo e del pensiero. È dunque interessante osservare come, in diversi punti marginali dell’intero sistema, si possa assistere ad un inspessimento o ad un cambiamento più o meno radicale dello spessore del limite, variazioni dovute principalmente a tre fattori: la validità (dall’interno) di aprirsi al paesaggio visuale, la necessità (dall’interno) di protezione e di intimità, l’opportunità (da fuori) di assistere ad una natura episodica del fronte.

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fronte lineare: ipotesi muraria

fronte inspessito: ipotesi di progetto

fronte episodico



Per quanto riguarda la sicurezza, ciò che è necessario specificare è il funzionamento degli edifici posti sul bordo esterno e che quindi assumono la valenza di recinto “hard”. Il padiglione è posto al bordo esterno, in contatto con la porzione del carcere recintata in modo “soft”. Non è previsto l’accesso o l’uscita diretta dal padiglione, ma è incoraggiata la visibilità dall’interno all’esterno e viceversa. L’edificio di ingresso permette l’accesso da fuori solamente in casi controllati: gli spazi al piano terra sono infatti utilizzati solamente per usi amministrativi, eccezion fatta per la porzione di accesso per visitatori, vicina alla centrale operativaa e in ogni caso costantemente controllata. Il padiglione industriale necessita delle aperture sul fronte esterno per consentire il carico e lo scarico delle merci. Ogni movimento è controllato ed avviene sotto sorveglianza. Il tutto è permesso grazie alla presenza della seconda recinzione “soft”, che garantisce comunque uno statuto carcerario, anche se all’esterno della recinzione “hard”. La recinzione “soft”, nonostante non rientri nella classifica dei muri abitati, merita una spiegazione in quanto è quella che permette agli edifici al bordo di ricoprire la loro funzione e di avere la possibilità, in alcune situazioni, di aprirsi all’esterno. Il perimetro “soft” è dotato di due cancelli, aperti in modo programmato e continuamente sorvegliati da telecamere.




RIFERIMENTI NORMATIVI linee guida per la fattibilità del progetto

la Costituzione stabilisce che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, anche se io preferisco il termine risocializzazione. Per ottenere questo risultato bisogna da un lato far capire a chi ha violato il “patto sociale” che quel patto è giusto e per questo va rispettato, e dall’altro garantire una detenzione rispettosa dei diritti. Un carcere più umano è più utile alla società di un carcere disumano, o comunque inutilmente afflittivo, perché restituisce persone migliori. Giorgio Lattanzi


Il progetto di tesi fin qui presentato sostiene l’idea di un carcere innovativo per come l’intero sistema viene sviluppato: una grande struttura, che ottimizza le risorse e che allo stesso tempo rende possibile l’accostamento di risorse diverse e possibili utilizzi. Sappiamo però che la nostra proposta è ancora lontana dalla realtà, poichè tra la verosimilità e la realtà ci sono a volte ostacoli apparentemente insormontabili. Abbiamo quindi deciso, una volta portato a termine il progetto come meglio lo immaginavamo, di scontrarci con le leggi e gli ostacoli normativi: questo ritardo è stato assolutamente voluto, in quanto non abbiamo ritenuto opportuno porci il problema dell’ostacolo normativo all’inizio della progettazione, momento in cui, invece, abbiamo preferito dare ascolto alla criticità riscontrate, alle buone pratiche internazionali e ai consigli delle persone che ci hanno aiutato a comprendere la realtà carceraria. L’importanza di vagliare le nostre ipotesi progettuali da un punto di vista normativo, anche se alla fine della ricerca, crediamo renda il progetti di tesi non solo più interessante, ma anche più ricco di contenuti e spunti per un futuro lavoro di progettazione. La tesi si muove all’interno di un campo di azione sempre verosimile e mai astratto, proprio perchè acquisisce i suoi spunti principali dagli esempi internazionali ed europei, questi ultimi anche accomunati dalle stesse legiferazioni e linee guida della Corte di Strasburgo32. I nodi da sciogliere, in termini di ordinamento penitenziario, sono sostanzialmente tre: il primo è riconducibile alla garanzia del diritto all’affettività all’interno del carcere, il secondo riguarda un’innovazione profonda del concetto di muro e di recinto carcerario e il terzo racchiude una radicale modifica dell’abitare ristretto. Queste grandi tematiche sono state affrontate, nel progetto di tesi, in modo sostanziale, dando ad ognuna una risposta illuminata al meglio delle nostre possibilità.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). 32

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A. Diddi, “Il diritto del detenuto a coltivare legami intimi con persone esterne al carcere: una questione antica e non (ancora) risolta” in “Processo Penale e Giustizia”, 2013, n.3. 33

A questo proposito, Cesare Beccaria, ne “Dei Delitti e delle Pene” affermava che “il più sicuro ma più difficl mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione”. 34

Corte Costituzionale, sent. 1990 n. 313; sent. 1974 n. 204; sent. 1997 n. 376.

Per parlare di diritti in carcere bisogna innanzitutto essere consapevoli del punto di partenza, ovvero che il carcere è innanzitutto un luogo di negazione controllata del diritto più fondamentale di tutti, la libertà. Detto questo, qual è dunque la giusta misura della privazione della libertà durante l’esecuzione della pena carceraria, rispetto all’esigenza, espressa nella Costituzione italiana, di non venire meno in alcun modo ai bisogni fondamentali della persona? La risposta va ricercata ponendosi l’interrogativo circa l’essenza della pena in un ordinamento moderno: con l’illuminismo e la nascita dello stato moderno, il concetto di pena come supplizio ed afflizione fisica e psicologica viene sostituito con un’idea riabilitativa della pena, non attuata però nella realtà dei fatti, in quanto realizzata attraverso fenomeni di privazione dei diritti, libertà e patrimonio33. Di conseguenza, anche l’istituzione carceraria ha compiuto una trasformazione, passando, in linea teorica, dall’essere un sistema di tipo punitivo fino ad avere finalità rieducative e risocializzanti34. A questo proposito, tale finalità ha trovato espressione nell’art. 27 c. 3 della Costituzione, che afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Anche la Corte Costituzionale, nell’ormai lontano 1990, conferma che “in uno Stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stessa della pena [...]” e che “la tendenza a rieducare indica una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico” 35.

35

A. Martufi, “Diritti dei detenuti e spazio penitenziario europeo”, Università degli Studi di Ferrara, 2012-2014. 36

246

Fatte queste premesse, la pena “dolce” della detenzione moderna, in contrapposizione ai supplizi, non ha eliminato il carattere violento e la punizione dei corpi: la pena detentiva è da leggersi come di duplice faccia, poichè “realizza la tutela dei beni giuridici attraverso la lesione degli stessi” 36. In altre, parole, sembra che la pena mantenga ancora oggi un carattere in qualche modo afflittivo, contro qualsiasi legge moderna conosciuta.


IL DIRITTO ALL’AFFETTIVITÀ E ALLA SESSUALITÀ

La Costituzione afferma, quindi, che l’esecuzione della pena deve essere tale da non rappresentare, nelle sue modalità, un peggior castigo di quello che già si realizza per effetto della privazione della libertà, ma deve consentire in tutto e per tutto la risocializzazione del detenuto: la perdita di libertà non dovrebbe, quindi, pregiudicare alcuna esigenza fondamentale dell’uomo, in cui ci sentiamo di inserire quell legate allo sviluppo della propria sfera affettiva. L’affettività è uno degli ambiti che viene più colpito e sradicato durante la pena detentiva: l’interruzione forzata di qualsiasi rapporto col mondo esterno e l’impossibilità di avere continui e regolare contatti con i propri affetti provocano nel detenuto un senso di solitudine ed esclusione difficile da recuperare. La generica opposizione a questa argomentazione è quella di chi sostiene che l’allontanamento dagli affetti durante il periodo di detenzione sia una giusta punizione per chi ha infranto la legge, soprattutto in un periodo, come quello in cui viviamo, di continua richiesta di leggi securitarie. La Costituzione, però, è limpida, e sancisce il dovere dello Stato e della comunità civile di proporre percorsi trattamentale socialmente inclusivi, che possano generare un cambiamento negli atteggiamenti relazionali del detenuto e quindi innescare un processo di miglioramento37. Il principio rieducativo e di umanizzazione della pena hanno portato ad un’affermazione dei diritti dei detenuti in molti disposizioni nazionali e carte europee dei diritti fondamentali. Parlando infatti di Europa, a livello sovranazionale la CEDU registrava, all’inizio, pochissimi casi relativi alle violazioni dei diritti del detenuto, poichè le varie interferenze erano sempre ritenute inerenti all’applicazione della pena detentiva: i giudici europei hanno infatti dichiarato che “it is not the function of the Court to elaborate a general theory of the limitations admissible in the case of convicted prisoners”. Malgrado ciò, si

DAP, “Le dimensioni dell’affettività”, Biblioteca DAP, a cura di di A. Gadaleta, S. Lupo e S. Irianni. 37

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CEDU, sent. 13 gennio 2013, Torreggiani c. Ialia; sent. 6 ottobre 2005, Hirst c. Regno Unito; sent. 12 novembre 2002, Ploski c. Polonia. 38

39

Regola n. 24, c. 4

Art. 1 lett. c) Raccomandazione del Parlamento europeo n. 2003/2188 (INI). Concetto ribadito anche nelle “Regole di Bangkok”, adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2010. 40

Art. 8 e Art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. 41

è comunque affermato il dovere di non sottoporre i diritti umani a restrizioni non giustificate. Con la sentenza Torreggiani del gennaio 2013, la Corte Europea ha precisato che lo stato detentivo non implica l’eliminazione di una qualunque sfera di libertà, tra cui la libertà di vedere rispettata la propria vita familiare e privata38. Le regole penitenziarie europee, tramite cui l’Italia è accomunata a molti paesi stranieri di cui abbiamo riportato le situazioni carcerarie all’avanguardia, assumono particolare rilievo per quanto riguarda alcune raccomandazioni del Consiglio d’Europa: la Racc. 1340/1997 e la Racc. 2/2006 (adottata poi dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006). La prima raccomandazione invita tutti gli stati membri a migliorare le condizioni di visita da parte delle famiglie, predisponendo luoghi adatti e dove i detenuti abbiano la possibilità di avere degli incontri privati. La raccomandazione del 2006, invece, specifica che “ i detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile - per lettera, telefono o altri mezzi di comunicazione - con la famiglia, terze persone, rappresentanti di organismi esterni e a ricevere visite da dette persone”. Ancora, si chiarisce che “le modalità di esecuzione dei colloqui devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali” 39. Infine, la Raccomandazione del Parlamento europeo n. 2003/2188 del 2004 inserisce tra i diritti da garantire ai detenuti quello di avere “una vita affettiva e sessuale attraverso la predisposizione di misure e luoghi appositi” 40. Esistono anche articoli41 che tutelano il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il diritto al matrimonio. Detto questo, però, la CEDU afferma che non esiste un obbligo specifico per gli stati parte di riconoscere ai detenuti un diritto assoluto e incondizionato alla sessualità: è un’area d’azione in cui gli stati membri possono godere di ampia discrezionalità. Un approccio prudente, quindi, nonostante il quale però la Corte Europea non ha mancato di esprimere approvazione per tutti quei percorsi di riforma attuati

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da diversi stati europei in merito alle questioni affettive e intime. Per concludere questo approfondimento normativo, siamo a conoscenza che le relazioni affettive sono normativamente tutelate dalla regolazioni penitenziaria, mentre la dimensione sessuale dell’affettività non è normativizzata, anche se non esiste uno specifico divieto alla possibilità di intrattenere rapporti intimi in ambito detentivo42: siamo dunque certi che, mancando un vero e proprio divieto, questo ambito di ditto non possa essere scambiato per un ambito che mina la tutela dell’ordine e della sicurezza. Troppo spesso i diritti fondamentali vengono dimenticati in nome di una maggiore sicurezza: siamo certi che non si tratti di una questione securitaria, ma di una questione di mancata informazione, cultura popolare e dimenticanza di ciò che ci appartiene, il diritto ad avere dei diritti.

Gli interessi affettivi sono citati nell’Ordinamento Penitenziario all’art. 30 per quanto riguarda i permessi premio e all’art. 18 per qunato riguarda i colloqui. 42

LA RECINZIONE

Il carcere, come sappiamo, è storicamente un luogo legato al Palazzo di Giustizia, ed è caratterizzato, fin dall’inizio, ad un concetto afflittivo della pena: questi due aspetti hanno fatto in modo che fosse caratterizzato fin da subito da alte mura che garantissero sicurezza dei cittadini (poichè la maggior parte degli istituti venivano posti all’interno delle città). Le strutture sono state fin da subito abbandonate da un pensiero architettonico trasformando il carcere in quello che è oggi: un luogo chiuso e compatto che incute timore solo alla vista, fattore che induce la società di oggi a considerare il carcere al pari di una discarica: nessuno vorrebbe abitarci vicino43. La cosa che stupisce è come questo abbandono sia stato dovuto, in sostanza, alla pigrizia e alla negligenza del sistema penitenziario. Non c’è nessuna indicazione specifica, all’interno dell’ordinamento penitenziario, che individui le fattezze specifiche della recinzione del carcere. Possiamo comunque portare avanti il ragionamento in

F. Gabellini, “La città dell’attesa. Un carcere trattamentale per la società contemporanea”, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, 2009-2010. 43

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Il regime detentivo speciale disciplinato dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario è uno degli strumenti normativi più importanti di cui l’ordinamento dispone nella lotta alla criminalità organizzata. 44

Ordinamento penitenziario, art.11, c. 8 e c. 9; art. 21 bis; art. 21 ter; art. 47 ter; art. 47 quinquies; art. 4 45

base alla tipologia di istituto penitenziario che si va a recintare: anche nei caso modello europei, quasi tutti denotati dalla presenza del regime di massima sicurezza, il bordo esterno è perimetrato da un alto muro di cinta, a volte mimetizzato dalla natura, a volte reso più accettabile grazie a murales e immagini, a volte posto in bella vista, come monito a qualunque tentativo di evasione. Detto questo, la normativa italiana riscontra anch’essa delle restrizioni securitarie quando si parla di regime di massima sicurezza o di 41bis44, mentre non accenna ad alcun tipo di attenuazione in presenza di case a custodia attenuata. Dal momento che il progetto si pone proprio all’interno di questa categoria, riteniamo valida, anche dal punto di vista normativo, l’intenzione di proporre un cambiamento, un’innovazione, da un lato perchè non c’è niente che lo vieti, dall’altro perchè da qualcosa bisognerà per iniziare a cambiare. LA DETENZIONE FEMMINILE

In generale, tutti gli interventi normativi che hanno riguardato e riguardano la detenzione femminile, in Italia, prendono in considerazione le problematiche legate alle funzioni genitoriali che le donne possono avere in caso di gravidanze o di figli a carico. In questi termini, sono state create vere e proprie misure alternative alla detenzione, istituti autonomi di accoglienza delle detenute madri (gli I.C.A.M, di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti)45, ma nessuno mai si è occupato di portare avanti una riflessione sulla donna in quanto detenuta. È nel 2008 che il D.A.P riconosce la specificità della detenzione al femminile: “Si richiama l’attenzione su una grave lacuna dell’amministrazione penitenziaria nel non tener conto delle peculiarità dell’esecuzione penale riguardante il genere femminile e ancora delle difficoltà del sistema a elaborare accorgimenti organizzativi e offerte riabilitative idonei a cogliere e valorizzare la specificità della popolazione detenuta femminile. Si ritiene necessario iniziare da un lavoro di sensibilizzazione finalizzato

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alla costruzione e all’attivazione di un impianto concettuale, metodologico, politico e sociale che riconosca e valorizzi le differenze di genere, dando così anche attuazione alle norme che tutelano i diritti” 46. Anche per quanto riguarda questa tematica, la normativa europea prevede invece un’innovazione e un miglioramento delle condizioni detentive femminili. Le regole penitenziarie Europee, adottate dal Consiglio d’Europa nel gennaio 2006, contengono orientamenti globaili sulla gestione delle carceri e sul trattamento dei detenuti: non sono regole vincolanti, sebbene la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si sia basata su di essere per esaminare le denunce sulle condizioni della detenzione, e quindi per condannare l’Italia nel 2013. La raccomandazione n.2 del 2006 afferma, per esempio, che “oltre alle specifiche disposizioni indicate in queste Regole e che riguardano le detenute donne, le autorità devono porre un’attenzi ne particolare ai bisogni fisici, professionali, sociali e psicologici delle donne detenute al momento di prendere decisioni che coinvolgono qualsiasi aspetto della detenzione” 47.

Circolare D.A.P del 17 settembre 2008, Regolamento interno per gli istituti e le sezioni femminili. 46

Raccomandazione R(2002)2 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole Penitenziarie europee, 34.1. 47

Presentate queste indicazioni, rimaniamo fermi nella convizione che il carcere non sia, anche se migliorato e valido da un punto di vista riabilitativo, un luogo adatto alle donne. In totale minoranza e assolutamente marginalizzate, le donne in carcere rischiano di essere recluse all’interno di un ambiente già recluso, di essere emarginate per necessità di protezione e controllo assolutamente dannose per una futura riabilitazione.

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LA RETE DI CONTATTI


ottobre 5. cena con Mauro Palma/Brescia 10. ingresso al carcere di Bollate/Milano

dicembre

10. incontro con Luigi Pagano/Milano 13. Unexpected heritages/Bergamo

4. ingresso al carcere di Brescia-Verziano/Brescia

23. ingresso al carcere di Bollate/Milano

4. incontro con Francesca Lucrezi/Brescia

29. incontro con Lucia Castellano/Milano

18. ingresso al carcere di Bollate/Milano

novembre 20. ingresso al carcere di Bollate/Milano 28. incontro ricerca FARB/Milano


gennaio / febbraio 23 gennaio. ingresso al carcere di Bollate/Milano 1 febbraio. incontro ricerca FARB/Milano

marzo 16. ingresso al carcere di Opera, conferenza “Lo strappo” / Milano 21. proiezione “Un’ombra lunga”, Lato B/Milano 29. incontro ricerca FARB/Milano

aprile / maggio 4. workshop FARB al carcere di Opera/Milano

giugno / luglio 8 giugno. workshop FARB al carcere di Opera/Milano 26 giugno. incontro con Francesca Lucrezi/Brescia 6 luglio. incontro con Claudia Pecorella/Milano


MAURO PALMA 5 ottobre 2017, Brescia


L’incontro con Mauro Palma, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale, vede la discussione orientata su alcuni punti fondamentali. Mauro Palma si immagina un carcere in cui, necessariamente, siano sottolineati tre aspetti: fondamentale è il rapporto con la città e con i collegamenti infrastrutturali. Il margine carcerario non deve invitare ad una separazione, ma ad una permeabilità, se non visiva, almeno funzionale e di utilizzo (le “forme di osmosi comunitaria tra interno ed esterno”). In secondo luogo, un ambiente penitenziario non può prescindere dalla previsione di spazi di espressione culturale, col presupposto che la cultura, in ogni ambiente in cui viene esercitata, porta progresso. Infine, Palma si sofferma in modo particolare sul concetto di altrove, un luogo caratterizzato da una dimensione diversa rispetto a quella carceraria, dove il tempo venga scandito in maniera più simile possibile alla vita quotidiana all’esterno. Il concetto di altrove, ci spiega, potrebbe coincidere con il concetto di nuova agorà, un luogo di incontro e di commistione di utilizzi e tempi, che siano in grado di scandire il tempo del carcere in un modo quanto più possibile quotidiano. Palma ci racconta come, durante le sue visite istituzionali nelle carceri inter-

nazionali, si sia potuto rendere conto di come le carceri straniere utilizzino la tecnologia: ci fa notare, infatti, come molto spesso si venga a perdere il senso di comunità, lasciando il posto all’alienazione di un luogo senza persone e con l’automazione totale dei meccanismi). Ciò che dovremmo fare in Italia è avvicinarci il più possibile ai lati positivi della vita esterna (la libertà di movimento, di aprire le porte in autonomia e così via) senza perdere il senso di comunità.

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LUIGI PAGANO 10 ottobre 2017, Milano


Luigi Pagano sostiene che il carcere italiano non sia mai stato effettivamente pensato da un punto di vista architettonico, ma solamente da un punto di vista meramente edilizio. La differenza tra le carceri costruite a fine del 1800, come il carcere di San Vittore, pur essendo oggi antiquati, hanno dietro un concetto di pena molto chiaro: la teoria del controllo e il sistema a panottico sono in un certo senso teorie che giustificano una progettazione e una costruzione di quel tipo, oltretutto decisamente affascinante. Negli anni successivi, invece, nulla è servito a dare il via ad una riforma architettonica: la Riforma del 1975 prima, il Piano Carceri e la costruzione di nuovi istituti negli anni ’90 sono rimaste occasioni sprecate. I problemi principali del carcere odierno riguardano la distribuzione degli spazi: è ovvio che un accentramento dei luoghi di detenzione, come avviene in quasi tutti gli istituti penitenziari, non permette l’attuazione della vigilanza dinamica e la sorveglianza “a zona”. Essendo stato il primo direttore del carcere di Bollate di Milano, fino al 2002, Pagano è consapevole dell’occasione, ben sfruttata in seguito, che è stata data all’istituzione, permettendo la modifica di alcuni spazi,

l’abbattimento delle arie, l’utilizzo specifico degli spazi aperti e altri interventi di modifica degli spazi interni. Questo è stato possibile solamente per la rarissima situazione che si era andata a creare: Pagano, infatti, sostiene che Bollate non sia comunque un carcere modello, ma piuttosto un carcere che nonostante tutto è riuscito a intraprendere delle strade innovative, concedendo minime libertà ai detenuti con l’applicazione della vigilanza dinamica. È proprio riguardo al concetto di vigilanza dinamica e il conseguente uso degli spazi esterni alla cella che Luigi Pagano ha mostrato qualche perplessità: “Quando Strasburgo ha detto -venti ore in cella sono troppe, metti fuori i detenuti-, dove li metto? Li metto in cortile per sei ore. Però poi che faccio? La rivolta la avremmo per rientrare nelle celle, non per uscirne. E allora li metto in corridoio, fatto che comporta delle problematiche enormi, perché poi gli spazi impediscono il lavoro, e se il lavoro per arrivare deve attraversare cento controlli, corridoi enormi, per un’impresa significa perdere tempo, significa monetizzare del tempo completamente perso. Le cooperative hanno altri interessi e altre idee, di adattamento alla situazione, un’impresa no. Abbiamo infatti avuto fortuna quando a San Vittore riuscimmo a

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contattare Tronchetti Provera e creammo il primo call center all’interno di un carcere, utilizzando una semi sezione, dando in comodato gratuito la spazio ventiquattr’ore su ventiquattro. Per altre attività ovviamente la soluzione non è così semplice”. Infine, Pagano sostiene che il carcere, in definitiva, sia ricco di paradossi: se da un lato deve avere uno scopo riabilitativo, dall’altro nessuno all’esterno e all’interno vuole che sia effettivamente così. Se bisogna salvaguardare i diritti dei detenuti, dall’altro bisogna partire dal presupposto che la cultura sociale affermi che il carcere deve essere “brutto”. Più si aggiungono esigenze legittime, più queste risultano illegittime, fino ad arrivare ad una situazione di peggioramento rispetto a quella iniziale. La soluzione, forse, risiede nel considerare il carcere come un luogo di riabilitazione, ma semplicemente di reclusione? “In ogni caso, la soluzione sta nell’aumentare le pene alternative, aumentare il benessere sociale, l’art. 3 della Costituzione viene ventiquattro articoli prima del 27. Ma sono tutti discorsi che faccio per dar corpo alle contraddizioni che voi dovrete sanare. Sono tutte cose che poi non permettono di avere delle coerenze in carcere”.

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LUCIA CASTELLANO 30 ottobre 2017, Milano


Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate dal 2002 al 2011 e tutt’ora Direttore Generale per l’Esecuzione Generale esterna dal maggio 2016, sostiene che il carcere non sia pensato per chi effettivamente lo abita: è un’affermazione veritiera, da cui possiamo dedurre che le strutture che conosciamo oggi non hanno nessuna valenza architettonica (poiché non rispecchiano le volontà degli abitanti). È il pensiero profondo del carcere ciò che manca nella nostra cultura: ci racconta come a Bollate, che tutti individuano come “modello da seguire”, in realtà si sia agito semplicemente come si sarebbe fatto in qualsiasi altro non-luogo (adattando le reali necessità ad un luogo senza caratteristiche di specificità). Il carcere dei diritti, sperimentale, secondo la Castellano si traduce con l’attuazione di due principi. Il primo consiste nel concetto di carcere residuale: la necessità è quella di trovare forme alternative di risposta al crimine, poiché il carcere ha dimostrato, negli anni, tutta la sua dannosità. È ormai assodato che vada tenuto come forma marginale, residuale, soltanto per i crimini davvero pericolosi. La costruzione di nuove carceri dovrebbe essere proibita, poiché bisognerebbe invece incrementare quelle misure che del carcere non hanno bisogno.

Aggiunge anche, però, che nel nostro caso la situazione è diversa, poiché il carcere di Canton-Mombello è da chiudere: la tesi nasce quindi dalla necessità di eliminare di fatto un carcere, non da quella di costruirne uno nuovo. Il secondo principio deve invece basarsi su un carcere di esercizio dei diritti fondamentali: bisogna abbandonare del tutto la concezione Foucaultiana della rieducazione secondo una disciplina incessante. Si genera così una sorta di lavatrice istituzionale, secondo la quale la sorveglianza scientifica di ogni detenuto si traduce in un percorso rieducativo che non chiama a nessuna responsabilità di azione. È rispetto a questo concetto che afferma: “Rispetto a questo, lo spazio è correo, perché come il tempo, ciò che tu perdi, perché il tempo non è più tuo, ma è uguale a quello di tutti gli altri, perdi lo spazio, perché non hai più alcuno spazio di intimità, di persona individualizzata, perdi poi i contatti affettivi. Quindi, attraverso la perdita di questi tre pilastri della vita di un uomo libero, invece si pretende di far uscire un uomo rieducato: questa ideologia ha mostrato tutto il suo fallimento, nei decenni, tanto è

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vero che si parla di “pietosa bugia” della rieducazione, perché succede che all’interno di questa dinamica, per cui io ti privo di qualsiasi potestà di scelta sulla tua giornata detentiva, perché mi devi chiedere anche un paio di scarpe, se puoi appendere la foto della tua fidanzata, in questo contesto io poi voglio farti uscire come una persona migliore”. Il carcere non deve essere solo un luogo di privazione della libertà, ma deve soprattutto diventare un luogo di esercizio dei diritti fondamentali, nella misura in questo è permesso dal fatto di essere privato della libertà. La concezione quindi si ribalta: il presupposto non è la privazione dei diritti, ma il riconoscimento dei diritti. La condanna della CEDU nel 2013 ha segnato un punto di svolta assoluto: non solo il carcere sarebbe dovuto diventare residuale, ma anche l’organizzazione penitenziare avrebbe dovuto essere completamente aggiornata, entro un anno e a normativa invariata. Se oggi bisogna immaginarsi un carcere, bisogna assolutamente immaginarlo a misura di chi lo abita. È per questo che la Castellano ritiene che un’idea corretta sarebbe quella di inserire i detenuti stessi nella progettazione: il detenuto subisce la carcerazione, e quindi gli

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spazi, i luoghi e il tempo vengono detestati, quando il periodo di pena finisce buttano via i vestiti, ciò che si sono comprati: “chiaramente il carcere diventa una parentesi, un tempo sospeso di assenza esistenziale che può durare anche parecchi anni, mentre invece noi dovremmo cercare di recuperare il tempo, certo non è un tempo piacevole quello del carcere, ma almeno non è tempo perso. Il recupero del tempo, attraverso anche l’utilizzo dello spazio”. È il concetto di colpa che deve essere cambiato con il concetto di responsabilità, e su quest’ultimo impiantare l’organizzazione dello spazio e quella del tempo. La cultura di massa tende ad individuare il detenuto come oggetto della pena, non come soggetto penalizzato: la Castellano sostiene che sia una concezione errata, poiché seppur pericolosi e con reati gravi alle spalle, sono in ogni caso soggetti di diritti, diritti che vanno riconosciuti, assumendosi il rischio come in qualunque altro caso. Infine, viene toccato il tema del muro, che, afferma, “è più che altro un simbolo, un simbolo di esclusione”.



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TESI DI LAUREA E DOTTORATO

Di Franco A., Architettura come progetto di libertà, in: Mariotti A., L’architettura oltre il muro, nuovi punti di contatto tra la casa di reclusione Due Palazzi e la città di Padova, (pag. 7-17), Maggioli Editore, 2015 Macera M., Il progetto del margine della città contemporanea. Figure, declinazioni, scenari, 2013 Vassella L., L’architettura del carcere a custodia attenuata. Criteri di progettazione per un nuovo modello di struttura penitenziaria, Franco Angeli Editore, Milano, 2016

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Fratelli e sorelle – Storie di carcere, produzione Clipper Media, Rai cinema e Teche Rai, Italia, 2013 cupisti b.,

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Ringraziamo i nostri professori, Andrea Di Franco e Lorenzo Consalez, per averci guidato nella scoperta della realtà carceraria, e per averci dato l’opportunità di conoscere il lato umano dietro all’architettura. Ringraziamo la direzione del carcere di Brescia-Verziano e la direttrice Francesca Paola Lucrezi, per la disponibilità e l’interesse dimostrato verso il cambiamento. Ringraziamo Mauro Palma, che ci ha aperto il cuore e la mente con le sue idee di rivoluzione quotidiana. Ringraziamo Lucia Castellano, per la franchezza delle sue idee e la gentilezza del suo operato. Un ringraziamento particolare alla Franci, amica e insegnante più di chiunque altro. Un grazie alle nostre famiglie e ai nostri amici, per averci aiutato e sostenuto in questa grande esperienza.








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