Image Mag anno VII numero 02 - Estratto

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e 12,00

02

Marzo Aprile 2018

anno VII n.02

FOTO

IMAGING

VIDEO

FINE ART

STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA

ESTRATTO

IMAGE MAG MARZO n APRILE 2018

Maki

Galimberti


L’incontro Marzo 2018 verrà ricordato per la tornata elettorale. Finalmente. Dopo discussioni, invettive, contrapposizioni, opinioni e opinionisti, avremo un nuovo governo. Come dire: si riparte, peraltro con l’aiuto delle nostre indicazioni. C’è solo un rischio, quello per il quale la politica continui a vivere un proprio mondo, disgiunto e distante dalla vita reale; quasi un piano parallelo, dove le alleanze di palazzo arrivano prima delle esigenze fattive o degli ambiti programmatici. Ci vorrebbe un incontro, quale quello che Image Mag cercherà con i propri lettori. Il paragone non è del tutto calzante, anzi: quasi per nulla. Sta di fatto che la redazione della rivista si muoverà presso i punti vendita PHOTOP per avvicinare quanti stanno

affrontando la passione per l’immagine. Si apriranno ambiti di confronto, partendo dalle fotografie dei lettori. Il tema centrale sarà rappresentato dai portfoli, ma verranno presi in esame anche gruppi di fotografie, questo al fine di costruire, insieme, un racconto logico, su base narrativa. Non appena sarà ultimato, sul sito PHOTOP verrà pubblicato un calendario d’incontri, dove vincerà la fotografia: una volta di più. Dopo mostre, esposizioni, libri, multivisioni, ecco arrivare il confronto diretto, testimone inequivocabile di dove sia arrivata la fotografia. La nostra. Buona lettura

COVER STORY

EDITORIALE

Mosè Franchi

1. L’INCONTRO

Image Mag incontra i lettori.

EVENTI&MOSTRE

70. DA VEDERE & PER PARTECIPARE

Mostre, eventi, manifestazioni, fiere, workshop e seminari.

CAFÉ FOTOGRAFICO 14. PERSONE, FATTI, CURIOSITÀ Notizie da non perdere.

COMUNITÀ FOTOGRAFICA

Maki Galimberti 4. ESTETICA & CONCRETEZZA

60. JAMES NACHTWEY

L’ALTRA COVER STORY

64. ANNIE LEIBOVITZ

Il valore della memoria.

Lezioni di ritratto.

HI-END

66. NIKON, LO ZOOM DUPLICABILE Nikon estende gli orizzonti della fotografia tele, aumentandone la flessibilità.

UNO DI NOI

72. PICASSO E LA FOTOGRAFIA

Pablo Picasso entra di diritto nella rubrica “Uno di Noi”, con forza potremmo dire. La fotografia ha fatto parte della sua vita in tutti i sensi, a tal punto da coinvolgerlo anche a livello sentimentale.

PORTFOLIO 24. GIANCARLO BALLO DIARIO DELL’INCERTEZZA

30. ANDREA FUSO BALKANICA

36. DECIO CARVALHO

IL SILENZIO DELLA SOLITUDINE

42. DANIELE FABIANI METAMORFOSI

Marco - Giovanni - Alessandro

16. TRE FOTOGRAFI PER UN’OLIMPIADE

Comitato editoriale Mosè Franchi, Roberto Mazzonzelli, Francesco Cito, Stefano Messina, Massimo Reggia, Lido Andreella

­­www.imagemag.it Direttore responsabile Mosè Franchi Direzione artistica Massimo Reggia

Progetto grafico Visiva S.r.l. - www.visiva-adv.it Realizzazione grafica Gino Durso Davide Lanzino, Ilaria Nigro

QUESTIONE DI LIBRI 68. LA BIBLIOTECA CHE VORREI I testi che non dovrebbero mai mancare nei nostri scaffali.

Stampa Cortona Moduli Cherubini S.r.l.

Distributore esclusivo per l’Italia Consorzio Gruppo Immagine

Image Mag è una pubblicazione Consorzio Gruppo Immagine

Periodicità bimestrale

Redazione Consorzio Gruppo Immagine Viale Andrea Doria, 35 - 20124 Milano Tel. 02/23167863 e-mail: info@imagemag.it

48. ANNALISA NUVELLI NEMESI

54. VALENTINA PINTO

ONCE UPON A TIME, RED RIDING HOOD

Image Mag è una testata registrata presso il Tribunale di Milano con autorizzazione n. 237 del 1 Giugno 2012

Prezzo copia 12,00 euro. Arretrati 20,00 euro. Abbonamento a 6 numeri: ritiro in negozio Photop 42,00 euro, spedizione postale 62,00 euro

È proibita la riproduzione di tutto o parte del contenuto sen­za l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore è a disposizione per regolare i diritti delle immagini i cui titolari non siano stati reperiti.

pagina uno


Image Mag è la prestigiosa rivista bimestrale interamente dedicata alla fotografia e ai suoi interpreti. È l’espressione del desiderio di parlare ad appassionati di fotografia usando la lingua degli appassionati di fotografia. Una rivista che presenta immagini stupefacenti realizzate da celebri professionisti e lavori di appassionati che compongono gli epici portfolio, cuore e anima di questo straordinario magazine.

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Š foto di Maki Galimberti

pagina quattro


ESTETICA & CONCRETEZZA

GALIMBERTI paginacinque


COVER STORY I GRANDI PROTAGONISTI DEL PALCOSCENICO FOTOGRAFICO

È

stato bello dialogare con Maki Galimberti, nel suo studio e anche di fronte a quel caffè che diventa rituale quando le cose vanno bene. Fuori la Milano che pulsa e invade, inseguendosi: non da bere, come vorrebbero gli anni ’80, ma da correre; quella che il nostro ha percorso in lungo e in largo per documentare (e raccontare) la cronaca. Maki ci sorprende da subito, con le prime parole: “Non sono stato un fotoamatore”, ci dice; e fin qui nulla di male. La sua fotografia parte però da un dato concreto, sempre. Così è stato per la passione, iniziata con l’opportunità; ma vale anche per la fotografia in genere: nella cronaca, nel reportage e persino nel ritratto. Sul dato oggettivo Maki dirige il suo sguardo, quasi per necessità. Sente addirittura l’esigenza della committenza: “Perché è difficile soddisfare se stessi”, spiega. Noi, guardando le immagini che ci propone, crediamo vi siano elementi aggiuntivi. La porta stretta (sì, anche quella di André Gide) costituisce per Maki una sorta di riserva energetica, che nasce proprio dal dato

pagina sei

oggettivo. Indirizzando lo sguardo su ciò che è, il nostro può sbandare, invertire la marcia, compiere un testa coda, riferendosi sempre al soggetto da raccontare. L’accoppiata “estetica e concretezza” non rappresenta così un ossimoro, bensì l’antidoto per non usare parole fuori luogo o termini di fantasia. Estetica è il bello “se”, così come la concretezza il vero “ma”; e il compito del fotografo sta proprio nel vivere questa ambiguità necessaria, descrivendo ampie convolute tra ricerca e racconto. Il rapporto con lo strumento vive, per Maki, delle stesse regole. Voleva la fotocamera piccola, per non intrudere; e l’ha desiderata grande quando la lentezza prendeva il sopravvento. Oltre a ciò, nessuna retorica e nemmeno espressioni di credo: si usa quel che serve e basta. Del resto, anche per necessità editoriali, il nostro ha dovuto sempre privilegiare il contenuto, ancor prima delle regole. Cosa ci proporrà il Galimberti nel futuro? Questa è una domanda che, in altre interviste, non ci siamo mai posti. Non sappiamo rispondere, ma crediamo che la lucidità concreta di Maki potrà consentirgli

di sviluppare ulteriormente il linguaggio che lo contraddistingue. Sì, perché lui non scappa, non fugge, non si distrae. Comprende il soggetto e lo fa suo: bellezza e meraviglia verranno dopo, come voluto quando estetica e concretezza vivono assieme. Maki, quando hai iniziato a fotografare? A diciotto anni, durante il Liceo Artistico. Pensavo fosse “figo”, senza avere un’idea precisa del lavoro che avrei potuto affrontare. Non sono mai stato un fotoamatore. Ho iniziato in un’agenzia di cronaca. Mi piaceva. Ero ispirato dal film “Sotto Tiro” di Nick Nolte. La tua è stata passione per la fotografia? Che dire. Ho provato a sviluppare e stampare, ma con superficialità. Ero già iscritto all’Università (Architettura). Nessuna passione, quindi... È arrivata quando mi sono trovato di fronte a


FOTO

IMAGING

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FINE ART

STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA

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L’ALTRA COVER STORY NUOVE TENDENZE ALLA RIBALTA DELLA FOTOGRAFIA

TRE FOTOGRAFI PER UN’OLIMPIADE

I GIOCHI OLIMPICI DI PYEONGCHANG Sono appena terminate le ultime Olimpiadi invernali, quelle coreane; e ancora ne viviamo la coda: tra celebrazioni, commenti e ricordi da consegnare alla leggenda. Già, perché ogni quattro anni le attenzioni del mondo si concentrano sui giochi olimpici, traendone conclusioni di sport, che però tracciano anche un profilo sullo stato dell’umanità e le sue condizioni di salute. A tale proposito, è difficile dimenticare gli attentati di Monaco ’72 o i vari boicottaggi: Montreal ’76, Mosca ’80, Los Angeles ’84; questo per dire come la manifestazione olimpica sia capace di esaltare le ideologie, divulgandone i contenuti. I giochi di Pyeongchang, gli ultimi, erano attesi per la partecipazione di una delegazione proveniente dalla Corea del Nord. Si temeva il peggio, anche perché negli ultimi tempi la situazione tra le due Coree era diventata molto tesa e più volte si era parlato del rischio di una guerra. Tutto è andato per il meglio. Durante la cerimonia di apertura c’è stata una storica stretta di mano tra Kim Yo-jong, la sorella trentenne del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, vero artefice del riavvicinamento con la Corea del Nord. Bene così.

pagina sedici

LE LEGGENDE DA RICORDARE I primi tre nomi che ci vengono in mente sono quelli di: Arianna Fontana, Sofia Goggia e Michela Moioli. Tutte e tre hanno vinto l’oro: Michela, nello snowboard cross; Arianna nel pattinaggio di velocità short track 500 metri (ha conseguito anche un argento nella staffetta e un bronzo nei 1000 metri), Sofia nella libera, la disciplina regina dei giochi. Era dai tempi di Tomba che non provavamo emozioni così intense. La Goggia ci ha fatto sperare per metà discesa, poi l’intertempo ha iniziato a segnare un “meno” rispetto le avversarie, confermato a fine discesa. Era quasi oro: un sogno. Si aspettavano la norvegese Mowinckel e la statunitense Vonn, che sarebbero scese dopo. Gli intertempi non illudevano, ma su traguardo due bei “più” restituivano l’oro alla Goggia. Bello. Della Corea ricorderemo anche l’atleta cecoslovacca Ester Ledecka. Ha vinto, da favorita, il gigante parallelo dello snowboard. Una settimana prima, però, era giunta prima nel supergigante dello sci alpino. Straordinario. Ci sembra giusto ricordare anche le altre medaglie: Federico Pellegrino, argento nello sci di fondo; Martina Valcepina, Lucia Peretti e Cecilia Maffei, argento nella staffetta Short Track assieme alla

Fontana; Dominik Windisch, bronzo nel Biathlon; Federica Brignone, bronzo nel gigante femminile; Nicola Tumolero, bronzo nello Speed Skating; Lisa Vittozzi, Dorothea Wierier, Lucas Hofer, Dominik Windisch, bronzo nel Biathlon staffetta mista. TRE FOTOGRAFI PER UN OLIMPIADE Tre fotografi ci racconteranno le loro impressioni sugli ultimi giochi invernali. Si tratta di Alessandro e Marco Trovati, in compagnia di Giovanni Auletta, tutti di Pentaphoto, dal 1978 leader nell’ambito della foto sportiva. Il menzionare l’agenzia milanese ci permette di ricordare Armando Trovati, il fondatore; colui che ha inventato, è il caso di dirlo, la fotografia dello sci. È mancato in agosto 2017, dopo una grave malattia. Anche lui è una leggenda e in tanti lo ricordano ancora, dove nevi e cielo si fondono nel paesaggio. È stato un pioniere, in era analogica; quando le fotografie si sviluppavano nel bagno dell’albergo. Ha lasciato in eredità un archivio infinito, ma anche quella passione che oggi muove Marco e Alessandro. Se in qualche rifugio alpino incontreremo una foto d’altri tempi appesa alla parete, molto probabilmente la firma è quella di Armando: leggenda nella leggenda e testimone di un’epoca.


Š foto di Alessandro Trovati

paginadiciassette


PORTFOLIO Giancarlo Ballo

DIARIO dell’INCERTEZZA pagina ventiquattro


© foto di Giancarlo Ballo

É proprio vero: Missione “ della fotografia é raccontare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso”. La definizione, che usiamo spesso, è di E. Steichen, coniata peraltro in occasione del suo novantunesimo compleanno. Questa si adatta alla perfezione col lavoro che ci ha proposto Giancarlo Ballo. In uno scatto, qualsiasi esso sia, si palesa sempre l’anima del fotografo, con anche i suoi gusti, il suo stile, le sue gioie e persino i suoi tormenti. Giancarlo ha comunque compiuto un passo in più, quasi un testacoda nella sua voglia di vedere. Alla fine di un periodo difficile, è riuscito a compiere un viaggio dentro se stesso, alla ricerca delle scorie della precarietà. Il percorso non deve essere stato semplice, ma lui l’ha compiuto anche e soprattutto per fini terapeutici: doveva rinsaldare ciò che l’instabilità aveva frammentato. Ne è uscito un lavoro intimo, privato, tra le sfumature di un ricordo ancora da idealizzare. Perché, diciamocelo, quando si guarda a ritroso, la memoria identifica attimi e non giorni. Ecco, sì: le fotografie di Giancarlo rappresentano istanti compulsivi, improvvisi, schegge di disperazione mal digerite. Tutto è finito bene, e questo ci rallegra; rimane però questo diario che indaga ancora dentro un’anima in pena, focalizzando l’incertezza non per come si sia manifestata, ma perché lo abbia fatto. Bravo.

paginaventicinque


PORTFOLIO Andrea Fuso

BALKANICA pagina trenta


Š foto di Andrea Fuso

paginatrentuno


Š foto di Decio Carvalho

pagina trentasei


PORTFOLIO Decio Carvalho

Il silenzio della solitudine C’è silenzio, nelle immagini di Decio Carvalho: silenzio e solitudine. È bello immergervi lo sguardo, anche solo per riflettere: sul tempo, sulla vita, su quei sentimenti che, proprio in quel momento, stanno pervadendo i nostri pensieri. Il “silenzio”, quindi, nelle fotografie di Decio, non è solo una condizione di “non rumore”, ma un’area della nostra mente dove il tempo riesce a galleggiare, concedendoci idee e riflessioni. Queste ci prenderanno per mano portandoci altrove, magari di fronte a quell’ultimo spazio di tempo dove noi, in completa solitudine, saremo in grado di terminare il pellegrinaggio dentro l’immagine, riconoscendo contenuti e significati.
 “Silenzio”, però, vuol dire anche ricchezza, opportunità. Nell’era delle immagini roboanti e compulsive, dei colori vivaci, dei contrasti eccessivi, dei tempi che si accorciano, ci viene offerta la forza di osservare, con la debita lentezza. Grazie.

paginatrentasette


PORTFOLIO Daniele Fabiani

Metamorfosi Daniele Fabiani presenta una raccolta d’immagini, rigorosamente in bianco e nero, intitolata “METAMORFOSI”. Sulle foto dell’autore soffia un “vento immaginario”, che qualche volta rende la terra arida e la screpola, talaltra fa muovere le sue figure trasformandole in statue di legno o di creta. Insomma ci sono invisibili correnti ascensionali che trasformano le figure e le cose, rendendole monumentali. La fotografia per sua natura “immortala” ciò che si vede, fissa l’attimo. Invece nelle immagini di Daniele ci si trova una forza simbolica, un racconto che fa capire a chi le osserva che l’immagine non è fatta soltanto per essere guardata. Questa è la “sorpresa” che

pagina quarantadue

viene fuori dalle opere che Fabiani realizza. La fotografia, rispetto alle altre forme espressive, deve guadagnarsi di continuo il riconoscimento del suo essere “arte”. Fabiani ci è riuscito, con questo lavoro e in un percorso di ricerca che dura da anni. L’immagine fotografica che per sua natura ha un modo di esprimersi diretto,esplicito e comprensibile, con il nostro diventa sperimentazione e le sue scelte (che a volte inquietano) sottolineano però aspetti particolari che l’occhio non sempre percepisce. La foto di Fabiani quindi non è soltanto una naturale descrizione di ciò che ci circonda, ma contiene sempre un messaggio estetico e culturale. Il termine “Metamorfosi” ci parla di una trasformazione d’immagini concrete che con

la fotografia assumono aspetti materici con veri e propri volumi in grado di occupare gli spazi come fossero delle sculture. Arte, per Fabiani, significa “creatività, immaginazione, fantasia”, ma produrre novità e originalità non è assolutamente facile, considerato che nelle arti visive è già stato detto quasi tutto, iniziando dai graffiti nelle rocce in età preistorica fino ai giorni nostri. C’è una dichiarazione che Fabiani ripete spesso, che poi è la sintesi del lavoro che porta avanti da sempre: “Riuscire oggi a infondere un messaggio o un’emozione all’osservatore, vuol dire aver fatto veramente molto, senza però trascurare mai la bellezza dell’immagine che rimane primaria, da realizzarsi sempre con gusto e raffinatezza”.


Š foto di Daniele Fabiani

paginaquarantatre


Š foto di Annalisa Nuvelli

pagina quarantotto


PORTFOLIO Annalisa Nuvelli

NEMESI Nemesi è una giustizia riparatrice, la fatale compensazione di un periodo costellato di sofferenza ed eventi negativi, una forza vendicativa. Da lì parte il percorso fotografico di Annalisa, col quale affronta, tramite un lavoro concettuale, le emozioni, le paure, le sensazioni che ogni donna vittima di violenza, fisica o psicologica, celi dentro di sé. Ogni scatto rappresenta uno stato d’animo, lasciato però alla libera interpretazione di chi guarda. Forse si raggiunge così una denuncia più grande, perché la sofferenza non è solo resa manifesta, ma anche lasciata all’immaginazione di chi saprà osservare. Giustizia è quasi fatta, aspettando la nemesi definitiva.

paginaquarantanove


Š foto di Valentina Pinto

pagina cinquantaquattro


PORTFOLIO Valentina Pinto

La fiaba si presenta palese, per il suo significato più intimo, quella di una bimba indotta a scoprire la vita. Eccola diventare ragazza, forse troppo in fretta. Lascia la propria famiglia in cerca di se stessa e del proprio futuro, scontrandosi con i pericoli della vita e con le scelte che questa le pone di fronte. Nella storia originale, Cappuccetto Rosso riempie il cestino di fiori e vivande deliziose. Per rappresentare il tutto, qui sono state scelte delle mele dal brillante colore rosso, simbolo di avvenenza, sensualità e peccato: la bambina incontra la vita reale e perde la sua innocenza. I simboli si susseguono, incessanti: lo specchio, il volto, le paure; quel desiderio che si confronta con se stesso, quella sensualità che emerge ridondante per i fantasmi del luogo. È un viaggio, quello di questo Cappuccetto: veloce e istantaneo; per questo maggiormente comprensibile, perché in ogni dove emergono voglia e pericolo, istinti e paure. C'era una volta una dolce bimbetta e noi qui ne incontriamo un’altra: non la protagonista di una favola, ma colei che affronta il bosco della vita.

paginacinquantacinque


COMUNITÀ FOTOGRAFICA L’IMMAGINE DIVENTA PROGETTO

I

ANNIE LEIBOVITZ LEZIONI DI RITRATTO

l libro è sul tavolo. Si tratta di “Annie Leibovitz: Portraits 2005–2016”, pubblicato da Phaidon. Lo abbiamo sfogliato più volte, riconoscendolo sontuoso, prestigioso, sensoriale, riflessivo. Tutti i ritratti si sviluppano su una doppia pagina. I colori sono ambiziosi, così come le pose. Ne esce, ma ai nostri occhi, una visione intima e personale delle figure maggiormente influenti del nostro tempo: la regina Elisabetta con i suoi fedeli Corgi, Joan Didion a Central Park, Kim Kardashian e Kanye West a casa, Cindy Sherman nel suo studio, Hillary Clinton al telefono. Apriamo ancora il volume, questa volta a caso. Ne riconosciamo una lezione di ritratto? Non possiamo, né sappiamo dirlo. Siamo sempre stati convinti che raffigurare una persona in fotografia

volesse dire incontrarla su un terreno comune. Allo stesso tempo, nelle immagini cercavamo di continuo l’autore, la sua impronta, ma anche le tracce di quella personalità che ne ha animato i lavori. La Leibovitz sfugge a questi luoghi comuni e pare uscire dalle pagine che ci propone. Per una volta, siamo soli: di fronte ai volti e dentro gli spazi; dove anche il tempo rompe con la linearità, per divenire solido, rigido, ambiente esso stesso. Lezioni di ritratto? Sarebbe meglio dire: “Lezioni dal ritratto”. Sì, perché noi, mentre riconosciamo i soggetti, da loro subiamo quasi un monito, un avvertimento repentino e potente. Le pose, gli abiti, i vestiti, gli ambienti, i volti, formano una complessità che ci investe, tutta insieme, suggerendoci persino; e dalla quale è difficile venir fuori. Un altro sguardo vogliamo darlo, una volta di più.

© Annie Leibovitz/Trunk Archive

paginasessantaquattro


© Annie Leibovitz/Trunk Archive

Sentiamo di doverlo fare, quasi per un obbligo verso noi stessi. Ci siamo persi? No, certamente. Non siamo riuscito a comprendere? No, perché mai? Forse abbiamo intrapreso un viaggio al quale non eravamo abituati: quello che dal soggetto arriva dentro di noi. “Lezioni dal ritratto”, dicevamo; e, in effetti, è così. Lady Gaga, Sting, James Lebron, ci guardano, ma in silenzio. In realtà siamo noi guardanti che ci mettiamo a nudo a loro cospetto. Ecco che Annie ci fa capire chi siamo, consapevolmente: oltre quei vestiti che abbiamo fabbricato a fatica prima di indossarli. Qui, di fronte alle immagini del libro, non ci servono più; e nemmeno potremo usare quelli che vediamo. La frattura è forte: noi e loro. Ci avvicina la coscienza, quella della paura e dei paradossi, dei timori e delle contraddizioni, degli sbagli e delle cose buone. A guardar bene, siamo anche in grado di ricomporci, afferrando un tempo più grande: il nostro, divenuto infinito, pieno, vero perché circostanziato al dove si è. Lezioni di ritratto? Beh, proviamo a dire qualcosa. C’è una complessità infinita, nelle immagini che vediamo; persino dettagliata. E questo vale anche per i campi stretti, dove emerge il simbolo, l’elemento connotante. Gli ambienti, poi, risultano faraonici, surreali, persino esagerati; ma mai inadeguati. Diciamo che Annie si è assunta dei rischi, anche se forse non poteva fare altrimenti. La fama dei soggetti sarebbe divenuta ridondante; meglio quindi collocarli laddove potessero esprimersi senza invadere, liberi finalmente anche loro di strapparsi le vesti di rito, per farci comprendere: di loro, di noi, della vita.

ANNIE LEIBOVITZ Annie nasce il 2 ottobre 1949 a Waterbury, nel Connecticut. Era uno dei sei figli di Sam, un tenente dell’aviazione, e Marilyn Leibovitz, un’istruttrice di danza moderna. Ha viaggiato gli USA in lungo e in largo e forse, al finestrino della Station Vagon paterna ha sviluppato quella sensibilità fotografica che oggi conosciamo. Grande appassionata di Avedon, nel 1967 s’iscrive al San Francisco Art Institute, dove ha sviluppato l’amore per la fotografia. Nel 1970 si presenta alla rivista Rolling Stone. Impressionato dal suo portfolio, l’editore non esita ad assumerla. Nel giro di due anni, Annie ne ha 23, è capo fotografo. Nel 1975 la rivista le ha offerto l’opportunità di accompagnare la band dei Rolling Stones nel loro tour internazionale. Nel 1983 la Leibovitz lascia Rolling Stone per la rivista Vanity Fair, dove diventerà autrice di molte copertine di personaggi celebri; ricordiamo, tra questi, Demi Moore in dolce attesa e Whoopi Goldberg semisommersa in una vasca da bagno piena di latte. Durante la fine degli anni 1980, la Leibovitz ha iniziato a lavorare su una serie di campagne pubblicitarie di alto profilo. Tra queste quella per l’American Express “Abbonamento”, per la quale ha ritratto celebrità del calibro di Tom Selleck e Luciano Pavarotti. Annie è considerata una delle migliori fotografe americane, particolarmente per quanto attiene al ritratto. Nel 1999 ha pubblicato il libro Women, che è stato accompagnato da un saggio dell’amica Susan Sontag. Nella pubblicazione Leibovitz ha presentato una serie d’immagini femminili: dai Giudici della Corte Suprema, fino alle showgirl dello spettacolo. Di Annie ricordiamo la fotografia dove John Lennon (completamente nudo) è avvinghiato a sua moglie Yoko Ono. Si tratta dell’ultimo ritratto dedicato all’ex Beatles. È l’8 dicembre 1981. Poche ore dopo la posa per questa fotografia, Lennon fece due passi fuori dalla sua residenza a New York. Lì è stato colpito a morte dallo stalker Mark David Chapman. Nel gennaio del 1981 (22 gennaio), l’immagine è apparsa sulla copertina della rivista Rolling Stone. Anni dopo la Leibovitz ha raccontato che quando Lennon ha visto il primo test Polaroid delle riprese, si era espresso così: “Hai catturato esattamente il nostro rapporto”. Ad Annie Liebovitz è stata affidata la direzione artistica del Calendario Pirelli 2016. La fotografa americana ha proposto una carrellata di personaggi femminili che si sono distinti per passione, talento, tenacia, conquiste, vittorie e riscontri nella vita come nel lavoro; non più modelle sensuali, quindi, ma muscoli, idee, rughe, vita, verità.

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