Dal dagherrotipo al digitale La fotografia e le sue tecniche a cura di Roberto Mutti
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AA.VV. Dal dagherrotipo al digitale. La fotografia e le sue tecniche A CURA DI ROBERTO MUTTI
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INDICE
Dal dagherrotipo al digitale
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Le tecniche antiche
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La stampa analogica
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Il mondo Polaroid
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Le antiche tecniche alla luce della contemporaneitĂ
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La rivoluzione digitale
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La storia della fotografia, l’invenzione che quest’anno festeggia il suo 180° compleanno, è sempre stata frutto di emozioni, ricerche, innovazioni infinite che non si fermano né conoscono frontiere passando da arte riservata a pochi a mezzo di comunicazione universale. Due sono i principi su cui questo mezzo si basa, quello estetico-creativo e quello tecnologico ma se la sua storia si è giustamente identificata con quella dei grandi autori che l’hanno realizzata, meno attenzione è stata riservata alla straordinaria evoluzione delle sue tecniche. In questa mostra ci si concentra proprio su questo aspetto esponendo in apposite teche delle vere e proprie rarità – pezzi originali antichi raramente visti da vicino – accompagnate da pannelli che spiegano i diversi procedimenti. Si parte dai dagherrotipi, monotipi che non potevano essere duplicati (per farlo si dovrà aspettare il 1841 con l’invenzione dei negativi da parte di Henry Fox Talbot) per passare agli ambrotipi, alle ferrotipie, alle carte salate, alle diapositive su vetro, alle carte de visite e alle vere e proprie curiosità come le diapositive autocrome dei fratelli Lumiére e le stampe “al chiaro di luna”. Non si tratta di uno sguardo solo rivolto al
passato perché in mostra compaiono anche opere di autori contemporanei (Beniamino Terraneo con i suoi dagherrotipi, Stefania Ricci con le cianotipie, Paolo Marcolongo con clichè verre e kyrlian, Federico Patrocinio con la fotografia stenopeica, Roberto Montanari con la gomma bicromatata, Dino Silingardi con le stampe al platino e al carbone, Erminio Annunzi con la stampa ad annerimento, Beppe Bolchi con il distacco polaroid in bottiglia, Edoardo Romagnoli con la stampa su seta) che si dedicano a queste antiche tecniche come anche alle più recenti con risultati sorprendenti. Anche alla contemporaneità è dedicato molto spazio: da una parte con esempi di pellicole, negativi, stampe dell’epoca analogica e Polaroid che con la possibilità di ottenere immagini in copia unica e in tempo reale ha in qualche modo saldato l’antica tecnica del monotipo in dagherrotipia con l’imediatezza del digitale, dall’altra con una riflessione sul passaggio dalla camera oscura alla camera chiara ha portato a una varietà di soluzioni che vanno dalla stampa lambda a quella ai pigmenti di carbone, dalla fine art alla stampa su materiali diversi come il propilene, il metallo, il plexiglass. Roberto Mutti 7
LE TECNICHE ANTICHE
Dagherrotipo 1839 - 1860 8
Inventato da Louis Jacques MandÊ Daguerre che nel 1839 lo rende pubblico a Parigi, il procedimento era complesso: su una lastrina di rame si applica uno strato d’argento mediante elettrolisi, poi la si lucida. Per renderla fotosensibile la si espone ai vapori di iodio, quindi si sviluppa in un contenitore ai vapori di mercurio e infine la si fissa in un bagno di iposolfito di sodio.
Per meglio vedere l’immagine, sorprendentemente definita, i dagherrotipi erano inseriti in eleganti astucci con interni in velluto. In alcuni casi le immagini in bianconero venivano colorate a mano da abili miniaturisti. I tempi di esposizione variavano dai 15 minuti degli inizi ai 10 secondi degli anni successivi. I dagherrotipi erano positivi in copia unica. 9
Calotipo 1841 - 1851 ca 10
Fotografia su carta chiamata anche Talbotipo perché il procedimento fu inventato dallo scienziato inglese William Henry Fox Talbot secondo il principio di stampa negativo-positivo contrapposto al dagherrotipo che era in copia unica. Il negativo era costituito da fogli di carta sensibilizzati in una soluzione di nitrato d’argento,
in una di ioduro di potassio e quindi incerati per aumentarne la trasparenza. Dopo lo sviluppo in acido gallico e il fissaggio in iposolfito di sodio il negativo veniva posizionato a contatto in un telaio con un altro foglio di carta sensibilizzato e quindi esposto alla luce solare per circa quindici minuti. Era così possibile ottenere più copie dello steso soggetto. 11
Ambrotipo 1852 - 1863 12
I dagherrotipi erano molto costosi e per questa ragione l’invenzione di Frederick Scott Archer e Peter Fry ebbe grande diffusione per la sua economicità. Su una lastra di vetro si stendeva uno strato di collodio, si immergeva il tutto in una soluzione di nitrato d’argento quindi si scattava (l’esposizione
durava pochi secondi) e fissava con cianuro di potassio. La lastra così ottenuta si laccava sul retro o si poggiava su un fondo nero trasformando così il negativo in positivo, quindi si inseriva il tutto in un astuccio simile a quello dei dagherrotipi. 13
Ferrotipia 1856 - 1930 ca 14
Il ferrotipo venne introdotto nel 1853 in Francia da Adolphe-Alexandre Martin. Il punto di partenza è l’ambrotipo ma al posto della lastra di vetro ne viene utilizzata una in ferro colorata di nero, ricoperta di uno strato di collodio e fotosensibilizzata ai sali d’argento.
I costi ridotti e i veloci tempi di realizzazione resero popolari i ritratti fra la gente comune che si faceva riprendere dai tanti fotografi ambulanti che giravano città e campagne con le loro attrezzature portatili.
Il risultato è un positivo che può essere facilmente sviluppato e stampato.
Poiché il ferro può arrugginire, in tempi successivi fu sostituito dall’alluminio anodizzato. 15
Cianotipia 1842 - 1960 16
Inventato dallo scienziato inglese John Herschel, questo procedimento segue strade diversa da quelle dei contemporanei Fox Talbot e Daguerre che sfruttavano la sensibilità alla luce dei sali d’argento. Per ottenere lo stesso risultato si mescolano alcuni sali di ferro per ottenere il ferricianuro ferrico noto anche come Blu di Prussia che verrà applicato su un foglio di carta: esponendolo alla
luce a contatto con una immagine negativa si ottiene una stampa, come quella qui pubblicata che rappresenta un arredamento, dalla caratteristica tonalità blu. Il procedimento ha il vantaggio di essere semplice, economico e non tossico. Oggi viene recuperata da autori come Stefania Ricci per indagini creative come questa realizzata nel 2019.. 17
Stampa all’albumina 1850 - 1890 18
Annunciata ufficialmente nel 1850 dal fotografo francese Louis Désiré Blanquart Evrard, la carta all’albumina era l’evoluzione di quella salata migliorandone stabilità e durata nel tempo. Si immergeva la carta in una soluzione di cloruro di sodio e bianco d’uovo emulsionato per poi sensibilizzarla con nitrato d’argento. Gli strati di albume davano brillantezza al risultato mentre il viraggio sepia si utilizzavsa per rendere
più stabile l’immagine. Le industrie vendevano le carte in dieci formati: Mignonette (60×35 mm), Pochet (75×37 mm), Carte de visite (104×62 mm), Touriste (108×67 mm dal 1854 al 1860), Victoria o Margherita (126×80 mm dal 1870), Album (165×110 mm), Gabinetto americano (177×86 mm), Salon o Cabinet (270×175 mm dal 1860), Boudoir (220×133 mm dal 1870 ca. al 1900), Family (290×230 mm). 19
Carte de visite 1845 - 1905 20
Introdotta in Francia da André Disdéri nel 1854, era un biglietto da visita fotografico di dimensioni leggermente variabili da 6x10 a 8x12 cm. Costituito da stampe all’albumina ricavate da negativi su vetro incollate su cartoncino sul cui retro (e talvolta in basso sul verso) comparivano i datti dello studio che lo aveva realizzato. I costi di produzione e vendita assai contenuti ne decretarono l’enorme diffusione fra tutte le classi
sociali. Questo portò all’introduzione di molte variabili che cambiavano il nome ma non lo spirito di questi oggetti, la più diffusa delle quali è il cosiddetto Formato Cabinet (cioè da Studio) molto apprezzato nell’Inghilterra dell’Età Vittoriana, caratterizzato da un formato importante, in genere 12x18 cm che rendeva più visibile e importante il ritratto. 21
Diapositive su vetro 1889 22
Nel 18855 il chimico francese Taupenot realizzò le prime diapositive al collodio albuminato che si proiettavano tramite le “lanterne magiche” illuminate ad olio. Nel 1889 al Primo Congresso Internazionale
di fotografia di Parigi venne coniato il termine Hyaloptype, in italiano diapositiva. Da allora la tecnica si sviluppò sempre più consentendo di ottenere immagini di grande qualità e precisione nei dettagli. 23
Autochrome 1903 - 1955 24
Presentato all’Accademia francese delle Scienze e brevettato a Parigi nel 1903 dalla Société Anonyme des Plaques et Papières photographiques dei fratelli Lumière, l’Autochrome era un procedimento industriale di fotografia a colori basato sulla sintesi additiva. Su una lastra di vetro veniva stesi in modo che risultassero giustapposti fra di loro dei minuscoli granelli di fecola di patate colorati in verde, arancione e violetto mentre gli interstizi lasciati liberi venivano riempiti col nerofumo.
Sul tutto veniva stesa un’emulsione fotografica in bianconero. Dopo l’esposizione sul lato del supporto e lo sviluppo che permetteva di ottenere un negativo a colori, si procedeva all’inversione (eliminazione delle zone scure, riesposizione alla luce dal lato dell’emulsione, secondo sviluppo) per acquisire un’immagine positiva caratterizzata da una grana piuttosto evidente simile a un dipinto divisionista. L’avvento nel 1935 del Kodachrome ne segnò il lento declino. 25
Stampa “al chiaro di luna� 26
Molto particolare questa tecnica che prevedeva diversi passaggi per ottenere un effetto spettacolare di gusto fin troppo spiccatamente romantico. Una carta leggermente colorata veniva impressionata da due lastre fotografiche sovrapposte a sandwitch: una era la ripresa del soggetto architettonico ripreso di giorno, l’altra del
cielo nuvoloso illuminato dalla luce del sole. Il viraggio parziale leggermente azzurrato di questa seconda parte dell’immagine faceva sembrare il tutto una ripresa notturna illuminata dalla luna. In genere il soggetto preferito era Venezia ma non mancano, come in questo caso, immagini di altre città . 27
La fotografia stereoscopica 1903 - 1955 28
Molto diffusa nell’Ottocento, la fotografia stereoscopica si realizza con due fotocamere accostate che riprendono lo stesso soggetto da due punti di vista leggermente diversi oppure con una specifica macchina dotata di due obiettivi. Le due fotografie ottenute si inseriscono in un visore
fatto in modo che ogni occhio veda solo una delle immagini: il risultato è un sorprendente effetto tridimensionale. In tempi piÚ recenti si usa stampare le due immagini su un’unica superficie da osservare con gli appositi occhialini. 29
Stampa ad annerimento diretto 30
Nota come Lumen Print, si è affermata nella seconda metà dell’800: si avvaleva di un supporto di stampa alla carta salata, la cui componente base era il nitrato d’argento che diventa nero se esposto ad una intensa luce. Ciò permette – posizionando un negativo a contatto sulla carta salata ed esponendo il tutto ala luce – di ottenere la formazione di un’immagine non stabile. Anticamente si risolveva il problema con fissaggio e viraggio oro. La tecnica di stampa ad annerimento diretto messa a punto da Erminio Annunzi in oltre venti anni di ricerca, si fonda sugli stessi principi ma, invece della carta salata, usa le tradizionali carte ai sali d’argento come Agfa Record Rapid e Ilford FB
MG IV. Non si stampa in camera oscura ma in condizioni di luce attenuata, quindi si pone il torchio con il negativo a contatto con la carta, sotto una sorgente di luce, il sole o una lampada UV. Per stabilizzare l’immagine si usa un trattamento singolo o multiplo in selenio e in un bagno di fissaggio neutro o alcalino. Con questa tecnica si possono usare negativi analogici di grande formato oppure negativi ottenuti da file digitali stampati su adeguati supporti come l’acetato o la carta da lucido. Il titolo della fotografia qui pubblicata è “Paesaggi paralleli”. 31
Planotipia 32
La stampa al platino o Platinotipia è un processo delicato e costoso inventato da William Willis nel 1873-1879. Si miscelano sali di platino (o di palladio) e ossalato ferrico, si stende il tutto in luce attenuata sulla carta per sensibilizzarla, quindi la si mette a contatto con un negativo delle stesse dimensioni e si espone a una sorgente di luce e si sviluppa in
una soluzione di ossalato di potassio. Questa tecnica permette di ottenere la piĂš ampia gamma di tonalitĂ del bianconero. Appassionato delle tecniche antiche, Dino Silingardi collabora con lo stampatore Sergio Devecchi per dare vita a immagini contemporanee delicate come quelle antiche. 33
Stampa al carbone 34
Anche la stampa al carbone parte da un negativo di grande formato a cui si accoppia un supporto su cui si era steso uno strato di gelatina con pigmenti di carbone macinato. Dopo una posa di pochi minuti la carta al carbone trasferisce sott’acqua l’immagine su un altro
supporto: il sandwich ottenuto è posto sotto una pressa, quindi immerso in acqua tiepida per eliminare la gelatina non esposta. Anche in questo caso si ottengono immagini di grande finezza per la delicatezza delle scale tonali. Anche in questo caso l’immagine e di Dino Silingardi. 35
LA STAMPA ANALOGICA
La stampa analogica 36
E’ la classica fotografia che si ricava da un negativo su vetro o su pellicola e viene stampata in camera oscura per contatto o per ingrandimento. E’ il procedimento più longevo della storia della fotografia e solo la rivoluzione digitale lo ha relegato non alla scomparsa ma a un ruolo decisamente marginale. La stampa argentica ha avuto moltissime variabili soprattutto legate ai supporti che potevano essere
(come in questo ritratto di Luxardo) su carta ricoperta da uno strato di polietilene e perciò detta politenata oppure sulla più pregiata carta baritata interamente in fibra cartacea usata in ambito artistico e collezionistico. In questo secondo caso il fotografo poteva perfino realizzare interventi pittorici per colorare parti dell’immagine come in questo ritratto scolastico degli anni ’50. 37
La stampa a colori 38
Oggi si ricorre quasi esclusivamente al digitale utilizzando diverse tecnologie (inkjet, giclèe, lambda). Fino a pochi anni fa, invece, si ricorreva a stampe a colori dette cromogeniche o C print che usano carte sensibili ai sali d’argento come in questa
opera di Occhiomagico. Per un certo periodo si è affermato il procedimento cibachrome (ora fuori produzione) che permetteva di ottenere immagini brillanti con tonalità metalliche come in questo ritratto di Mario De Biasi. 39
La fotografia e i giornali 40
Nel 1885 la pregevole rivista L’Illustrazione Italiana – grazie allo sviluppo della tecnica tipografica – pubblica per la prima volta, accanto ai testi, una fotografia. Nasce così un importantissimo settore che impegna editori, giornalisti, stampatori, agenzie, facendo nascere una vera e propria industria fotogiornalistica. Questo è un esempio che ben riassume tutto ciò: siamo nel 1938 a Coventry GB e il re George fa un giro sulla Daimler sei cavalli costruita nel 1899 per suo padre Edoardo VII.
La fotografia è stampata su una carta smaltata piuttosto comune, sul retro riporta il timbro The Associated Press of Great Britain Ltd (ma non il nome del fotografo) e, incollata, una “velina”, sottile carta su cui è scritta a macchina una didascalia più ampia e una più breve. Ogni giornale riceveva la fotografia che poteva utilizzare secondo le sue esigenze e pagare di conseguenza. In alcuni casi i giornali avevano uno staff di fotografi alle loro dipendenze e crearsi così un proprio archivio. 41
IL MONDO POLAROID
Il mondo Polaroid 42
Inventata dall’ingegner Edwin H. Land nel 1947 e presentata l’anno dopo, la pellicola a sviluppo istantaneo è realizzata in modo tale da contenere nella sua struttura gli agenti chimici per sviluppare e fissare l’immagine.
dai fotografi di ricerca (come nel caso di questa “polaoro” che Nino Migliori ha ottenuto aprendo la pellicola e inserendo piccoli interventi in foglia d’oro sull’emulsione).
Concepita per rispondere a esigenze fotoamatoriali (era stata la figlia di Land a suggerirgli la geniale invenzione chiedendogli come mai per vedere la fotografia bisognava aspettare il lavoro del laboratorio) è stata poi utilizzata sia dai professionisti come immagine di prova prima di scattare la fotografia definitiva, sia
In tal modo si superava la sua caratteristica di unicità.
Polaroid ha prodotto pellicole in bianconero e a colori, di piccolo e medio formato e perfino una che realizzava contemporaneamente una stampa e la corrispondente negativa da cui si potevano ricavare altre stampe.
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LE ANTICHE TECNICHE ALLA LUCE DELLA CONTEMPORANEITA’
Cliché Verre 44
Si tratta di una tecnica incisoria piuttosto diffusa nel XIX secolo in Francia dove veniva anche definita “Gravure Diaphane”. Considerata antesignana della fotografia di cui anticipa alcuni principi primo fra i quali la produzione di un negativo: come suggerisce il nome questo era costituito da una lastra di vetro ricoperta di un rivestimento opaco e quindi
graffiato con aghi da incisione. Fu utilizzata anche da pittori come Jean-Baptiste Camille Corot, Charles-François Daubigny, Eugène Delacroix ma l’avvento della fotografia la relegò fra le tecniche obsolete e proprio per questo recuperata da artisti delle avanguardie storiche come Pablo Picasso, Max Ernest, Man Ray, Nino Migliori. In questo caso l’opera è di Paolo Marcologo. 45
Fotografia Kirlian 46
Si tratta di una elettrofotografia ottenuta attraverso una scarica ad alta tensione di oltre 6.000 volt ad alta frequenza (10.000 Hz) che attraversa l’oggetto posto sopra una lastra fotografica appoggiata su una lastra di vetro conduttiva collegata a massa.
inventore il fotoriparatore russo Semvon Davidovich Kirlian, a identificare arditamente ma erroneamente tale aura così ottenuta con una sorta di “anima”.
In tal modo il soggetto trasmette a sua volta un effluvio elettrico che, scaricandosi a terra, impressiona la lastra che ne viene attraversata. Il risultato è un “effetto corona” che circonda il soggetto ripreso conferendogli un che di animato.
Usata in campo industriale per individuare piccoli difetti di fusioni metalliche, la fotografia Kirlian ha un indubbio impatto quando la si utilizza dal punto di vista creativo perché permette di ottenere immagini dotate di grande fascino.
Ciò ha autorizzato molti, a partire dal suo
L’opera qui pubblicata è di Paolo Marcolongo. 47
Dagherrotipi e ambrotipi 48
Civita di Bagnoregio, dagherrotipo, 2017
Trient, dagherrotipo, 2016
E’ rarissimo che i fotografi contemporanei realizzino dei dagherrotipi, la ragione principale essendo la complessità e tossicità dei procedimenti di sviluppo e fissaggio. Più recentemente si è dedicato anche alla realizzazione di ambrotipi.
Port d’Aval, ambrotipo, 2013
Noto come raffinato stampatore, Beniamino Terraneo da anni si dedica con rigore alla ricerca realizzando opere affascinanti che, mescolando passato e presente, propongono una nuova estetica. 49
Fotografia al foro stenopeico 50
La fotografia a foro stenopeico è una tecnica antichissima molto diffusa nell’Ottocento ma utilizzata con costanza dai fotografi creativi in ogni epoca. La fotocamera con cui la si ottiene utilizza, invece dell’obiettivo, un minuscolo forellino detto
stenope che impone tempi di posa così lunghi da non riprendere i soggetti in movimento creando paesaggi urbani stranamente deserti. Federico Patrocinio si esercita con grande abilità anche, come in questo caso, con il ritratto con esiti di delicata poesia. 51
Stampa alla gomma bicromatata 52
Per realizzare le stampe alla gomma bicromatata occorre preparare un composto di gomma arabica, bicromato di potassio e un pigmento colorato a piacere (in questo caso il blu). Con questi composti viene prodotta un’emulsione sensibile alla luce, che viene stesa sulla carta, successivamente viene appoggiato sulla stessa, un negativo a grandezza reale dell’immagine che vogliamo riprodurre quindi si illumina il tutto con
una lampada. Infine, tolto il negativo, la carta positiva viene messa in un bagno d’acqua per alcuni minuti, dopo di che appare l’immagine positiva definitiva. Questo è il procedimento seguito oggi da Roberto Montinari per ottenere questo delicatissimo e affascinante esito. 53
LA RIVOLUZIONE DIGITALE
La rivoluzione digitale 54
Il passaggio dalla pellicola al file è stata una vera e propria rivoluzione non solo tecnica ma anche stilistica. Da un lato, dopo le prime incertezze, ha permesso alla fotografia di diffondersi in modo capillare fino a coinvolgere milioni di utenti, dall’altro ha stabilito un rapporto fra gli apparecchi fotografici e quelli informatici così che un fotografo deve avere competenze che oggi riguardano anche l’ambito dell’hardware e del software. La camera oscura è stata dunque sostituita dalla camera chiara cioè un computer che acquisisce,
controlla, modifica e permette poi di stampare in luce diurna. In tal modo, per un verso si è seguita una strada più tradizionale con nuovi tipi di carta che si rifanno a quelli usata nel mondo analogico e per l’altro ci si è aperti a nuove possibilità come la stampa su tessuto: qui di seguito Edoardo Romagnoli con Luna_3796 propone un’opera su seta prodotta dalla Stamperia di Lipomo mentre Mara Pepe per Scale di Venezia ha impresso l’immagine fotografica con la tecnica dei trasferibili. 55
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Gianni Maffi “Mandala per un paesaggio naturale” nell’installazione photoSHOWall
Le moltissime possibilità offerte dal digitale si aprono a un mondo tutto ancora da scoprire. Può essere interessante, ad esempio, osservare la recentissima tecnica messa utilizzata dal laboratorio Decor Inside. L’utilizzo di nano-inchiostri che non si depositano sulle superfici ma penetrano nelle micro rugosità dei materiali permette di ottenere prodotti particolarissimi il più interessante dei quali è la stampa su acciaio. Il risultato è sorprendentemente simile all’immagine daghettotipica: il cerchio si chiude. 57
Un nuovo formato per la fotografia
www.photoSHOWall.com 58
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