i terra
radici mani
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Trimestrale, dicembre 2013 - marzo 2014 – Anno V, numero 17 – €€ 10,00 – Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, NE/PN
metamorfosibiodinamica
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stefano amerighi ∙ claudio elli ∙ jan hendrick erbach ∙ matteo gentili johann wolfgang goethe ∙ andrea kihlgren ∙ giacomo leopardi ∙ federica magrini lorenzo mocchiutti ∙ morus nigra ∙ enrico togni ∙ carlo triarico ∙ rudolf steiner ∙ patrick uccelli
La stratificazione del pensiero, la vitalità delle pratiche
pietre colorate i sommario j
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Osservazione del divenire
Modelli e paradigmi:
Editoriale
Il futuro del mondo rurale
Francesco Orini
Carlo Triarico
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L’equilibrio nell’austerità Il Morus Nigra di Vignai da Duline
Giampaolo Gravina
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Mappa biodinamica e Mappa scienza naturale antroposofica
Sulla soglia del limite incontro con Matteo Gentili, Enrico Togni e Patrick Uccelli
a cura di Francesco Orini
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Convertir la ragione in passione Da Goethe a Leopardi. Per un pensiero poetante
Barbara Corazza
a cura di Nicoletta Bocca
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Essere agricoltori significa saper osservare e percepire
Editore ViaFavola edizioni di Francesco Orini Via favola, 18 - 33070 Polcenigo (PN) www.pietrecolorate.com info@pietrecolorate.com
Ritmi e processi vitali della natura
Jan Hendrick Herbach
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La natura è l’uomo rivelato a se stesso Intervista a Claudio Elli
Drinker’s Corner a cura di Nicoletta Bocca e Nicola Finotto
Andrea Kihlgren e Stefano Amerighi
pietre colorate terra, radici, mani registrato presso il Tribunale di Milano il 12/10/2009, n. 462 Iscrizione ROC in registrazione Anno V, numero 17 Dicembre 2013 - Marzo 2014 Euro 10,00
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Direttore responsabile Francesco Orini
Andrea Kihlgren, Federica Magrini, Mauro Mattei, Lorenzo Mocchiutti, Renaissance des Appellations Italia, Enrico Togni, Carlo Triarico, Walter Speller, Patrick Uccelli
Coordinamento editoriale Barbara Corazza Redazione Nicoletta Bocca, Barbara Corazza, Nicola Finotto, Giampaolo Gravina, Francesco Orini, Andrea Scaramuzza, Diego Sorba, Roberto Terpin
Revisione testi Barbara Corazza, Giampaolo Gravina Fotografia Le fotografie dove non diversamente specificato sono di ©Francesco Orini
Ringraziamo Stefano Amerighi, Giovanni Bietti, Corrado Dottori, Claudio Elli, Jan Hendrick Erbach, Matteo Gentili, Danilo Ingannamorte,
Progetto grafico Daniela Beati e Francesco Orini
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Stampa Tipografia Sartor s.r.l. Via Nuova di Corva, 92 33170 Pordenone (PN) Stampato su carta Fedrigoni Arcoprint Edizioni 1.7 gr. 80 Per abbonarsi (Italia) abbonamento annuo (4 numeri) €€ 30,00 (spese di spedizione incluse) Modalità di pagamento: PayPal, Carta di credito, Bonifico bancario iban IT24P0835664790000000002686
Editoriale
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Osservazione del divenire Francesco Orini Guardando la montagna con occhio sottile si noterà che ogni giorno essa cambia. Non sappiamo se questa sia la verità, poiché anche noi ogni giorno siamo diversi. Quello della roccia ci appare come un lento divenire in relazione al breve periodo di tempo che ci è concesso. Eppure tutto è in movimento. Abbiamo almeno due forme di metamorfosi, una più fluida che, incessante e indipendente dalla nostra volontà, si manifesta come la crescita di una foresta ed è legata alla temporalità. L’altra, più rumorosa, legata al nostro essere terreni, al fatto che cadiamo, si rivela quando le convenzioni che condizionano la nostra esistenza non ci soddisfano più. A volte ne siamo consapevoli e la volontà è un fatto accettato, altre volte la trasformazione ci coglie, benché la bramassimo, quasi del tutto impreparati. La velocità di adeguamento al nuovo stato ne determina il passaggio alla forma che percepiamo come migliore.
Pietre colorate Pietre colorate comincia sempre d’inverno. Come l’anno, come la luce. Quattro anni fa insieme a Marco Pozzali e Federico Graziani il primo numero di Pietre colorate, un progetto nato dall’incontro di tre amici. Oggi rinasce diverso e uguale. Marco e Federico, consapevoli di non poter più dedicare la giusta attenzione alla realizzazione di questo foglio, decidono di uscirne lasciando a me il compito di proseguire lo sviluppo del progetto. Si riparte da qui, cercando di comunicare un’intenzione non solo evocativa ed estetica, ma anche di approfondimento monografico intorno a un tema ogni volta differente. Un numero così denso di mutamenti non poteva che parlare di trasformazioni.
Biodinamica Abbiamo cercato di approfondire il complesso argomento della biodinamica. La nostra è una posizione priva di giudizio, come sempre preferiamo metterci in ascolto che dare direttive. Ci è sembrato utile cercare di fare un po’ di chiarezza su una materia di cui si parla spesso con eccessiva semplificazione, dando voce alle persone che hanno sempre dimostrato un’apertura al confronto, libera da schemi e preconcetti, la cui adesione alla biodinamica è costantemente accompagnata da uno sguardo critico che è la base di un pensiero libero. I punti di vista sono molteplici, così come le interpretazioni dell’opera di Steiner, punto di partenza imprescindibile per una ricostruzione anche storico-teorica dei fondamenti della biodinamica. Accanto a interventi di filosofi e storici della scienza, rimangono come sempre centrali le esperienze dei vignaioli, capaci di trasformare il pensiero in sostanza sensibile. Ci accompagnano lungo le pagine le parole di Goethe, ispiratore della visione antroposofica di natura. Nella parte centrale del giornale due mappe, sicuramente non esaustive, illustrano la complessa organizzazione della visione antroposofica e biodinamica. In chiusura i vini, le istantanee di alcuni autorevoli bevitori.
Metamorfosi Il cambiamento va inteso non come sostituzione di una pratica quotidiana, ma come processo intimo che parte dall’interno del singolo individuo, un modo diverso di osservare il mondo, un atteggiamento verso cui tendere, non un punto di arrivo ma l’inizio di un dialogo con tutti gli elementi che ci circondano. Non è importante sapere perché avvengono continue metamorfosi in noi, perché siamo così come un fiume destinati (assoggettati) allo scorrere del tempo. Quello che conta è che tutto ciò, indipendentemente dal fatto che sia qualcosa di cercato, ci mette di fronte alla scoperta di noi stessi e al nostro rapporto con lo spazio di mondo che occupiamo.
“La vita morale ha inizio dal cambiamento di se stessi rispetto al mondo e alle azioni che ci sono destinate. Benché questo termine sia oggi generalmente odiato, io devo difenderlo, e ripetere che moralità è ogni giusto e quindi modesto rapporto con gli altri, e con la natura stessa della terra e di tutte le cose — le luci, le incognite, le distanze — che sono nel cielo”. (Anna Maria Ortese)
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Carlo Triarico Presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica e storico della scienza. Amministra una cooperativa agricola ed è autore di numerose pubblicazioni scientifiche
Modelli e paradigmi: il futuro del mondo rurale “È
da qui che bisogna ripartire per creare un nuovo modello agricolo: dall’humus e dalle sue forme, uniche come l’azione di ciascuno sulla propria realtà agricola”
Un salto di dimensione obbiamo a Steiner l’introduzione della tematica dell’eterico1. Accanto allo spazio fisico bisogna fare i conti con un contro-spazio che si comporta in modo completamente diverso. Steiner ha lavorato molto tempo per rendere possibile questo cambio di prospettiva, ma siamo solo a un primo balbettio, che va accompagnato da ricerca, studio ed esercizio. Fino al Quattrocento un’immagine dipinta si poteva guardare soltanto in due dimensioni: mancava la profondità. Per un uomo del Medioevo la rappresentazione pittorica si basava su convenzioni: le proporzioni non erano di tipo geometrico-astratto (quelle che permettono di rappresentare la terza dimensione
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Ora, noi abbiamo questa certezza: l’io fisico è visibile. Nelle antiche filosofie dell’India era esattamente l’opposto: lo stato di veglia, quello cosciente, era lo stato ingannevole. Ci sono voluti molti secoli perché nella cultura occidentale il primato del visibile, dell’oggettività del reale fosse messo in questione. È stato Kant a dirci per primo che il mondo esterno non si stampa nei nostri occhi, ma la relazione è più complessa. Addirittura sono io con le mie griglie interpretative, con la possibilità di vedere le cose, che proietto qualcosa fuori di me e gestisco quindi il processo di osservazione. Questa sottolineatura del ruolo attivo dell’immaginazione è sfociata nell’Ottocento nel concetto di libertà, che affida alle risorse visionarie dell’individuo la possibilità di plasmare il proprio mondo. Steiner
in un quadro), ma rispecchiavano le gerarchie sociali dell’epoca. Nelle opere d’arte, un uomo grande e uno piccolo normalmente indicavano una maggiore o minore importanza sociale e questo dato era universalmente condiviso. Quando si è cominciato ad applicare le leggi geometrico-matematiche l’umanità intera ha scoperto la possibilità di cogliere una terza dimensione: lo spazio profondo dentro un quadro. Siamo a metà del Quattrocento ed è un passaggio epocale, di portata enorme, verso un diverso stato di coscienza. Oggi con la biodinamica stiamo parlando della possibilità di osservare qualcosa che finora non abbiamo visto con chiarezza, eppure ogni giorno ciascuno di noi fa esperienza sia del corpo fisico che di quello eterico. Mi è stato detto, ed è vero per certi versi, che il mondo fisico è visibile e il mondo eterico non è visibile, ma siamo sicuri che ciò che è fisico sia veramente visibile? Se un oggetto cade vediamo la forza di gravità in azione? O che cosa vediamo in realtà? Vediamo la forza di attrazione? L’elettricità? E ancora, vediamo la luce? Per antonomasia la luce è ciò che rende visibile, ma questo significa che la vediamo veramente? Noi in realtà vediamo il riflesso della luce combinata con l’ombra, con l’opacità. Ad esempio quando nello spazio la luce incontra un corpo opaco come la luna, questa si illumina di luce, ma quello che vediamo è un’interazione riflessa in un particolare rapporto.
arriva in Italia nel 1911, presentando a un convegno di filosofia la possibilità di lavorare in termini scientifici a un nuovo approccio alla teoria della conoscenza, che avrebbe cambiato, non soltanto in Italia, le scuole di pensiero. Purtroppo questo tentativo, assieme a quello legato alla fenomenologia trascendentale, non ha trovato nel mondo scientifico la stessa risposta riscontrata in quello filosofico. Oggi nelle nostre facoltà scientifiche le domande intorno al metodo della scienza e più in generale l’orientamento epistemologico hanno poco seguito, e la scienza viene vissuta e applicata, senza porsi interrogativi. La contestazione più comune a chi applica la biodinamica all’agricoltura è l’assenza di praticità, il riferimento a qualcosa che è invisibile. La scienza contemporanea si illude di avere ormai acquisito tutto quello che c’era da acquisire sulla teoria della conoscenza. Ma siamo certi che non dobbiamo più interrogarci per nulla sugli strumenti che utilizziamo?
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Che cos’è l’agricoltura? Uno dei 356 volumi scritti da Steiner riguarda l’agricoltura: un corso tenuto ad agricoltori, dove Steiner si rende conto anzitempo dei pericoli a cui l’incipiente industrializzazione agricola andava incontro. Nei suoi testi di economia è chiarissima la differenziazione tra economia industriale e processo agricolo: ma se allora erano così diversi, come possiamo considerarli oggi?
Vedi Mappa scienza naturale antroposofica.
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L’idea comune è che l’agricoltura sia un’attività produttiva, anzi il termine di agricoltore è ormai sostituito da quello di produttore: l’agricoltura è un’attività che appartiene alla sfera dell’economia, al mondo della produzione. Questo tipo di nozione che tutti danno per scontata è veramente la fine, la morte dell’agricoltura. L’agricoltura non è mai stata questo, non sono mai esistite le aziende agricole, eppure oggi non abbiamo altro termine per definirle. È come chiedere a un cittadino, che cos’è il mondo urbano? È un mondo di produzione? Sì, vero, certo. È un mondo dove vive anche la sfera economica produttiva, i cittadini sono spesso anche produttori, ma non solo: è un mondo dove ad esempio si fa cultura, ci sono le scuole, ci sono i teatri, e poi è un mondo dove vige il diritto, le regole, ci si dà delle regole a tutti i livelli. Convivono tre sfere del sociale: quella economica, quella giuridica e quella culturale. Allora che cos’è il mondo urbano? Semplicemente un mondo sociale, dove mi esprimo come essere sociale. Cos’era il mondo rurale un tempo? Un mondo dove si viveva, si faceva economia, si faceva cultura e ci si regolava nei rapporti. L’agricoltura non era un’azienda, era la mia casa, il mio mondo di relazioni, la mia storia, la mia cultura. Spingere gli agricoltori a vivere soltanto in una di queste sfere, quella economica, significa snaturare il senso dell’agricoltura. L’aver industrializzato i processi agricoli ha trasformato l’agricoltura in una succursale del mondo industriale: oggi gli agricoltori vivono per mantenere l’industria. In termini molto tecnici, le statistiche americane – per me perfino ottimistiche – dicono che il 7% di quello che l’agricoltura muove ritorna in campo, mentre il 93% va all’indotto. Ne consegue che l’indotto governa i rapporti e in questo squilibrio viviamo drammaticamente l’oppressione del processo industriale. Già nel Settecento la borghesia ha spinto a considerare l’essere umano come cittadino. Questa lotta tra campagna e città, già molto evidente in quegli anni, è arrivata ora agli esiti finali: il mondo rurale non esiste più, è morto, cessato com-
L’humus e un nuovo modello agricolo La vite è una pianta molto particolare. È collegata alla storia europea come nessun’altra, è una pianta che si è evoluta e forgiata in questi contesti è legata all’evoluzione stessa dei nostri suoli. I suoli non sono esseri di natura, come non lo è l’humus: l’humus antropico è stato forgiato, come avviene con la pasta madre che a ogni passaggio di mano si arricchisce di biodiversità. Analogamente, l’humus è quel colloide particolare, iper-complesso e pieno di vita, diverso in ogni luogo. Noi abbiamo il compito, come ogni generazione, di lavorare al nostro modello. Trovare soluzioni tecniche nell’ambito della biodiversità è importante ma non è sufficiente; la nostra ricerca è poverissima quando si parla di agricoltura biologica e biodinamica, quel poco che c’è è dovuto agli agricoltori stessi. Il grosso interrogativo di oggi è quale sia il modello agricolo. Non si può contemporaneamente produrre Ogm e certificarsi Bio: è necessario scegliere. Nei tempi passati c’è sempre stato un indirizzo preciso. In principio l’agricoltura di ispirazione siderale era legata alle costellazioni, da qui ha preso le mosse il sistema delle varietà poi tramandate in gran parte grazie agli Egizi. I Greci hanno inserito le rotazioni con sistema planetario, divenuto paradigma per molto tempo; poi è stata la volta del mondo romano con lo schiavismo, e successivamente di San Benedetto da Norcia che porta l’idea di macrocosmo nel campo e crea la realtà agricola come la conosciamo noi. L’uomo che si mette al centro del sistema — in una sorta di ricomposizione nel microcosmo di quello che per San Benedetto era il macrocosmo — è l’io
pletamente. L’umanità agricola rurale si è estinta. Nell’immaginario contemporaneo l’agricoltura è un’attività residuale, si usa dire “braccia rubate all’agricoltura” o “vai a zappare la terra”, sottintendendo una presunta stupidità. Ma questa è veramente una mistificazione gravissima, perché l’attività agricola conserva una saggezza millenaria di straordinaria complessità. Persino i semi, le varietà agricole, le cultivar, le razze animali sono considerate un dato di natura, una terra di nessuno. A partire da simili equivoci oggi si scatena una conquista vorace a beni comuni millenari come le sementi. Questa battaglia per le sementi è parte di una più ampia deriva dell’agricoltura, sempre più assoggettata alle logiche della quantità. L’agricoltore è continuamente davanti a un bivio: quante rese vuole fare? Più alte sono le rese e maggiore è il sacrificio della qualità. Ma quantità e qualità sono due poli che devono essere bilanciati. Che cos’è il mondo della qualità? Si può fare scienza della qualità? Oggi viviamo la qualità come un’esigenza, ma abbiamo creato sistemi di certificazione della qualità fondati su disciplinari che li trasformano in sistemi di conformità. Prendiamo ad esempio le certificazioni Iso9000, ma anche i disciplinari stessi Demeter, rispondono alla logica di conformarsi a un dettame, che si risolve per via burocratica con l’apposizione di un timbro, il quale certifica il rispetto del pro-
dell’azienda, con gli animali accanto, e poi l’orto, il frutteto, il seminativo, il pascolo, il bosco: cerchi concentrici ognuno riconducibile a un pianeta. Questo modello sviluppatosi nei secoli è crollato a partire dal secondo Ottocento, quando gli organi di quell’essere vivente che era la realtà agricola gestita da un uomo vengono strappati. Viene strappata l’orticoltura: i primi sono gli olandesi, che già nel Seicento, approfittando dei grandi giacimenti di materia organica rappresentati dalle torbiere, si dedicano unicamente al vivaismo. E se in Italia si sviluppa la frutticultura, in America dominano i seminativi, nei loro bei campi livellati e a monocoltura. Oggi, per poter sopravvivere, ciascuna realtà agricola non può più essere il clone di un modello, ma soltanto una postazione unica e individuale, con un humus antropico irripetibile e irriproducibile altrove. Nella realtà biodinamica l’io non è più l’agricoltore, ma la terra stessa, capovolgendo i termini in un senso diffuso di libertà. È da qui che bisogna ripartire per creare un nuovo modello agricolo: dall’humus e dalle sue forme, uniche come l’azione di ciascuno sulla propria realtà agricola, esaltando la biodiversità che ne consegue. È il momento di cercare maggiore consapevolezza in questo nuovo paradigma, una consapevolezza che può svilupparsi solo dalla conoscenza data dall’esperienza.
cesso produttivo ma non la qualità intrinseca del prodotto. Bisogna stare attenti a non lasciarsi fuorviare sbrigativamente dalle certificazioni come risposta alla necessità di definizione di qualità.
Questo testo è la rielaborazione dell’intervento tenuto al convegno “Verso la biodinamica” del 2 Novembre 2013 a Bardi (PR) voluto da La Renaissance des Appellations – Italia.
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M o ru s
nigra
⋅ V i g na i
da
Duline
Giampaolo Gravina
L’equilibrio nell’austerità Il dialogo di Federica e Lorenzo con la biodinamica conserva le valenze problematiche e non dottrinarie dell’antroposofia. Il racconto del loro percorso attraverso una degustazione verticale di Morus Nigra
L
a Duline è il toponimo utilizzato per una porzione di campagna ai limiti orientali della pianura friulana, nel territorio di San Giovanni al Natisone. Siamo a ridosso del cosiddetto “triangolo della sedia” e Lorenzo Mocchiutti arriva qui da Udine nel 1993. Studente di medicina in cerca di una sala prove per la sua band, Lorenzo in quegli anni suona il basso con gli Arbe Garbe (erba acerba), una formazione della scena indie rock difficile da classificare, che ama il folk ma detesta il folclore e declina in lingua friulana un immaginario inacidito da richiami punk. Alla Duline vive suo nonno, rimasto vedovo, e Lorenzo decide di trasferirsi da lui, cominciando a dargli una mano nei due ettari della vecchia vigna piantata a partire dagli anni Venti. Quando nel 1995 incontra Federica Magrini, lei studia antropologia culturale e per la tesi di laurea raccoglie interviste agli anziani di alcune comunità della Carnia. A ben guardare, anche Federica sta elaborando un contributo per arginare quella deriva di folclore che minaccia le tradizioni popolari. E il concetto di trasformazione, prima ancora di venire tematizzato e assumere per loro un rilievo così decisivo, è già al centro dei rispettivi interessi. La svolta agricola, però, è una sterzata brusca e non del tutto indolore, almeno a giudicare dalle perplessità che suscita nei familiari di lui, che mal digeriscono l’abbandono degli studi, così come nel professore di lei, che la vorrebbe avviare al lavoro di ricercatrice. Ma il richiamo della terra è entusiasmante. E non rappresenta tanto un pretesto per scappare da Udine, quanto l’occasione ben più preziosa per una rigenerazione profonda di tutto il percorso compiuto fin qui: la militanza politica e la passione civile, Steiner e l’ecologia, l’amore per l’arte e per la cultura. Così nel ’95 piantano tremila metri di vigna, forti dei consigli di Carlo Petrussi, memoria storica dell’ampelografia friulana. Lorenzo lo aveva già incrociato come insegnante alle superiori, lo ritrova ora come rappresentante dei vivai Rauscedo: è lui a fornire le barbatelle di refosco dal peduncolo rosso, nel biotipo dal grappolo lungo e spargolo con acini molto piccoli. Poi nel ’97 aprono la partita Iva e cominciano a trasferire nel lavoro in vigna le loro idee, e finalmente nel ’99 firmano le carte del primo mutuo per comprare la casa alla Duline e un ettaro di terreno, non senza una buona dose di incoscienza, nello scetticismo diffuso di parenti e amici. Ripensandoci oggi, Federica e Lorenzo concordano nel considerare il 1999 come l’anno “spartiacque”: cioè quel momento in cui il loro progetto, vagheggiato fin qui con slanci di entusiasmo misto ad avventatezza, si traduce in esperienza organica di vita e di lavoro, di vigna e di cantina. E come ogni progetto serio e lungimirante, alimenta una visione e una prospettiva critica, impone scelte disciplinate e coerenti. Nella nostra degustazione verticale, partire proprio dalla vendemmia 1999 è perciò un’opzione importante, quasi un passaggio obbligato che tende a caricarsi di significato: è infatti da qui che tutto sembra cominciare, da queste poche bottiglie di Refosco (circa 400), prima annata e prima etichetta. Fino a questo punto, a ben guardare, non è che il vino rivendicasse chissà quale peso nella loro vita. Federica e Lorenzo erano consumatori di prodotti bio che avevano scelto l’alimentazione vegetariana per ragioni di etica e di cultura. Poi il vino: una folgorazione. Tra le prime bottiglie rivelatrici, un Sauvignon ’92 di Gravner, uno di Kante del ’97, il Tocai del Ronco della Chiesa di Nicola
Manferrari, nonché i Refosco prodotti in quegli anni da Girolamo Dorigo e da Livio Felluga. E qui veniamo al Refosco, un vino spesso incompreso e bistrattato, considerato tipico quando invece è solo rustico e vegetale. Le problematiche non sono poche: in vigna è un vitigno vigoroso, il primo a germogliare e l’ultimo a essere raccolto; e ha bisogno di ottimi drenaggi, mentre al contrario riposa non di rado su giaciture sbagliate. Nei suoli della Duline le matrici di terre rosse calcaree, residui delle antiche pianure, sono percorse da lingue di argilla portate a valle dal fiume Judrio (“il” Judrio, come suggerisce Federica e come correttamente titola Ex Vinis in un frammento di Marc Tibaldi del novembre 2004). In buona sostanza, matrici più simili alle formazioni carsiche come quelle della vicina collina di Medea, che non al flysch e alla ponca di Cormòns e Brazzano. Anche in ragione di una simile composizione dei suoli, Lorenzo si convince presto che con il refosco tentare di contrastare l’esuberanza del frutto rappresenti un errore, e sia invece necessario «cercare l’equilibrio nella complessità», senza doverne per forza sottrarre e “smagrire” la struttura. La buccia, come è noto, ha poco tannino: perciò gioca un ruolo decisivo il tannino dei vinaccioli. Lorenzo sceglie dunque da subito di lavorare con la chioma integrale, proprio per garantire una migliore maturità del vinacciolo. Nel giro di poche vendemmie mette in fuorigioco le concimazioni, abolisce la cimatura e prende le distanze dal diradamento (l’ultimo è datato 1999) ponendo al centro del suo percorso la ricerca di un «bilanciamento attraverso l’austerità». Anche con la biodinamica il rapporto dei Vignai fa leva sulla sensibilità: Federica ha trascorsi di insegnante nella scuola steineriana frequentata oggi dalle sue figlie, e le profonde suggestioni della prospettiva antroposofica restano tutt’ora ben presenti e vive nel loro progetto. Ma è proprio un simile rispetto per il magistero di Steiner che induce Federica e Lorenzo a cercare un approccio critico e non dogmatico con la biodinamica. Non gli interessa tanto “dirsi” biodinamici, poterlo raccontare, anzi guardano con un certo sospetto al proliferare delle fiere come al business delle certificazioni: il prurito di apparire e di schierarsi non li contagia. Piuttosto che un’adesione acritica ai protocolli dei dosaggi e dei preparati, preferiscono conservare la valenza problematica di certe sollecitazioni, nella convinzione che la filosofia antroposofica a cui la biodinamica si richiama vada interpretata oltrepassandone le componenti meramente dottrinarie. «Se l’antroposofia stimola la ricerca, d’accordo. Ma se diventa un dogma, abbiamo buttato via il pensiero di Steiner» sintetizza Lorenzo con invidiabile efficacia. Lasciamo perciò sullo sfondo dogmi, schieramenti e logiche di appartenenza, e ci sediamo al tavolo della degustazione: siamo al centro della casa tutta in legno che i Mocchiutti hanno progettato e realizzato alla Duline, nel mezzo di un salone luminoso e deliberatamente spoglio, che propizia il dialogo e stimola l’ascolto. E mentre fuori le oche dei Vignai non la smettono di starnazzare, proviamo a concentrarci sul Morus Nigra. Il nome evoca la passione per la botanica che Lorenzo nutre fin dagli anni delle superiori: Morus Nigra è infatti il nome botanico del gelso dalle more nere, quello stesso gelso nodoso e ieratico – quasi un totem – che ci dà il benvenuto all’ingresso della Duline e campeggia stilizzato in tutte le etichette dell’azienda.
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MORUS NIGRA Rosso di Sofia 2005 È l’anno in cui nasce la prima figlia, Sofia, proprio durante la vendemmia del refosco. Selezionata la parcella più importante, Lorenzo decide di osare: da un lato spinge le macerazioni fino a 28 giorni, dall’altro destina questa selezione a un prolungato affinamento in bottiglia (quasi 3 anni) per propiziare l’espressione di quel carattere floreale che di solito tarda a manifestarsi. Accanto al Morus Nigra tout court, i Vignai producono perciò 300 magnum di una sorta di limited edition che chiamano Rosso di Sofia. Alla cieca non lo avrei mai detto un vino del 2005: il colore è impenetrabile, i profumi tutti da fondere, sembra ben più tonico e compatto, forte di una scorta di frutto impressionante, di una grinta e un’energia ancora scalpitanti. Nel bicchiere è il più cangiante, l’aria gli serve come il pane e con l’aerazione lascia apprezzare rimandi agrumati e pepati nonché una più convincente dinamica gustativa. Se proprio devo trovargli un limite in questa fase dell’espressione (peraltro ancora precoce: mi sembra il vino col maggior potenziale di evoluzione di tutta la batteria) direi che è il finale a deludermi un po’, specie sul piano delle sfumature. Ma il tempo è dalla sua parte e quando Sofia avrà accesso alle magnum messe sotto chiave in attesa della sua maggiore età, sono convinto che si troverà davanti un vino ben più espressivo.
MORUS NIGRA 2008 Annata difficilissima, la pioggia non molla, la peronospora si fa sentire e provoca la perdita di tanta uva. Lorenzo e Federica la ricordano come una delle vendemmie più complicate e confessano: «ne siamo usciti distrutti». Ma il refosco non smentisce la sua reputazione di vitigno resistente e limita i danni, complice l’entrata in produzione per la prima volta della vigna piantata al Ronco Pitotti nel 2005. Come nel caso del Rosso di Sofia, anche questo sembra un vino ancora molto indietro nello sviluppo, dal profilo perfino più cupo e corteccioso, nonostante l’aerazione. È forse l’annata più restia a concedersi, a distendersi e ad articolarsi, il tono del frutto è quello di una bacca scura e astringente (cassis, mirtillo, aronia), l’attacco di bocca un po’ brusco nella componente sapida, ma l’intelaiatura tannica colpisce per solidità e accoglie uno sviluppo intenso, profondo e persistente. Mi accorgo che è uno di quei vini che in degustazione tendono a dividere piuttosto che a mettere d’accordo: Lorenzo ne apprezza la dinamica e la facilità di beva; Francesco Orini insiste sulla qualità del profilo aromatico, impreziosito da invitanti rimandi di buccia di mandarino; Emanuele Giannone ne ha scritto in termini entusiastici, parlando di «un vino vibrante e flessuoso […] dai tannini infiltranti»; io per contro ci ritrovo più densità interna che complessità, più materia che dettagli. Non me ne vogliano i vegetariani, ma nella mia percezione questo è un rosso da carni al tegame, dalla fibra tenace e dal gusto succulento (cinghiale, piccione); e resto convinto che l’abbinamento con la tavola possa valorizzarne le qualità meglio di ogni degustazione.
MORUS NIGRA 1999 Accanto alle valenze simboliche e inaugurali richiamate sopra, anche dal punto di vista strettamente climatico la ’99 è un’annata che Federica e Lorenzo definiscono senz’altro “straordinaria”. Vale a dire piuttosto calda (anche se di un caldo meno impegnativo che non nel 2000) dove però la potenza e il calore conservano un riflesso “luminoso” e convivono con una quota apprezzabile di freschezza. Nonostante le macerazioni siano state condotte da Lorenzo nel segno della cautela (9/10 giorni), il colore è la prima sorpresa di questo vino: a distanza di quasi quindici anni, conserva ancora qualche traccia di quel riflesso purpureo che è prerogativa costante del Refosco da giovane. I profumi amalgamano con estrema armonia frutto e terra, e la bocca resta slanciata e succosa nonostante un certo volume e pienezza del sorso. È la prima annata in cui si ricorre al legno (fin qui si utilizzavano cemento e acciaio) e Lorenzo racconta questo snodo come l’evoluzione da un’uva debole che andava protetta, verso l’idea di un’uva forte che chiede ossigeno. Si tratta però di un contributo molto discreto: qui le barriques sono solo di secondo e terzo passaggio, anche se negli anni successivi il contributo del legno nuovo sarà più significativo e si andrà stabilizzando intorno al 50%. La mia impressione è di trovarmi di fronte a un vino davvero sorprendente, lontano anni luce da quelle versioni concentrate e dimostrative dei Refosco cosiddetti “d’autore” (penso all’impenetrabile e monolitico Calvari di Enzo Pontoni, o a certe insostenibili derive marmellatose e caricaturali del Refosco di Michele Moschioni). Qui al contrario dolcezza e sapidità sono modulate e fuse ad arte (anche se Lorenzo lo avrebbe preferito ancora un filo più austero) e l’equilibrio si conferma la sua principale risorsa anche a distanza di qualche giorno dall’apertura. Mi accorgo che a me piace e convince forse più che a tutti gli altri, ma non ho nessuna difficoltà a farmene una ragione: i tannini sono fini e saporiti, lo sviluppo aggraziato e coinvolgente e più ne bevo e più ne vorrei.
MORUS NIGRA 2009 Lorenzo vede nell’annata molte analogie con il 1999, perché segnata da un calore non torrido e anzi capace di garantire solarità preservando nel vino un’adeguata quota di freschezza. La maturazione però è avvenuta in tempi molto brevi, aspetto questo che lo induce a pronosticare una minore complessità tannica. Sulle prime il contributo del rovere può farlo sembrare un vino seduttivo e flatteur, ma è una falsa pista. A ben guardare, infatti, non c’è niente di ammiccante in questo Refosco, ma solo una naturale felicità espressiva: il tatto è setoso, i tannini puntiformi suggeriscono diffusione e spazialità, l’attacco al palato è sapido e sollevato, il frutto maturo e polposo ne plasma la sfericità. Poi lo sviluppo rilascia una dinamica e una facilità di beva non comuni e io confesso di restarne conquistato. Rileggendo gli appunti del mio primo assaggio datato luglio 2011, ci ritrovo commenti di analogo tenore, a sostegno della tesi che non tutti i vini destinati a durare nel tempo – come è senz’altro il caso di questo 2009 – debbano per forza mostrarsi scontrosi e recalcitranti nei primi anni di vita. Paradossalmente, però, queste stesse doti di disponibilità e leggerezza lasciano più perplessi e diffidenti tanto Lorenzo quanto Francesco: il primo torna a rimarcare un deficit di austerità, mentre Orini ci va giù più tranchant e lo inquadra come il vino meno complesso e meno interessante dell’intera batteria. Mi permetto di dissentire.
MORUS NIGRA 2002 Nelle difficoltà dell’estate piovosa, si prepara una svolta decisiva. Nonostante l’annata fredda, infatti, il potenziale di frutto si rivela ben presto imponente e Lorenzo è quasi spaventato da tanta inopinata morbidezza. Intuisce così che il calore per il refosco è forse meno importante della luce, e questa consapevolezza gli dà la fiducia necessaria a radicalizzare il suo orientamento. Se fin dall’inizio aveva già messo al bando concimazioni e cimature, ora rafforza la sua diffidenza verso pratiche quali diradamento e/o surmaturazioni, funzionali per lo più alla ricerca di quella concentrazione e muscolarità che il mercato e la critica dell’epoca continuano a premiare; e incurante di remare controcorrente, asseconda piuttosto l’esigenza di bilanciare l’esuberanza del frutto con l’austerità tannica garantita da estrazioni più lunghe. Federica, dal canto suo, rattristata dalle continue piogge che assediavano la vigna, ricorda di aver scritto sul finir dell’estate una lettera a Luigi Veronelli. È stato l’avvio di uno stimolante scambio epistolare con Gino, culminato qualche tempo dopo in un invito a pranzo a Bergamo e in una memorabile giornata trascorsa insieme. Già al primo assaggio il vino conferma di essere ben poco allineato agli stereotipi dell’annata, sfoggiando un profilo compatto e polputo, tutt’altro che magro e diluito. L’attacco speziato dei profumi è molto elegante, con rimandi balsamici e di cioccolato alla menta che intrecciano le note dolci del rovere. In bocca la qualità più convincente è proprio la spazialità, in aperta controtendenza rispetto alla silhouette tendenzialmente ben più snella e al passo più sfuggente dei rossi targati 2002.
MORUS NIGRA 2011 L’annata va in commercio in queste settimane e rivela un’espressività ancora forse troppo embrionale per essere indagata con qualche costrutto. Certo è che si è trattato di un’annata dalla luminosità fuori norma. In particolare, Lorenzo è rimasto molto colpito dal livello dell’intensità luminosa estiva, almeno fino a tutto il mese luglio, laddove ad agosto il caldo si è fatto invece più torrido e opaco. In tutta franchezza, questo eccesso di calore non penso abbia giovato alla trama odorosa del vino, segnata in questa fase da note di pasta frolla e rimandi torbati che tendono a penalizzare l’equilibrio con richiami di distillato. La bocca però ne riscatta almeno in parte la sensazione di staticità: l’assetto è ancora quello di un cantiere aperto, ma la traccia minerale è ben definita e lascia presagire una certa complessità gustativa. Staremo a vedere.
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M at t e o G e n t i l i Enrico Togni P at r i c k U c c e l l i
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Sulla soglia del limite Un uomo formatosi secondo le regole non farĂ mai nulla di assurdo e di cattivo, ma tutte le regole, si dica quello che si vuole, distruggono il vero sentimento e la vera espressione della natura Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther
e Incontro a cura di Francesco Orini
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on fa neanche troppo freddo in quest’alba dolomitica. Siamo a Montagna (BZ), da Patrick Uccelli, insieme a Matteo Gentili ed Enrico Togni. Abbiamo incontrato questi tre vignaioli perché ritroviamo nel loro percorso dei tratti comuni e perché sono in tre fasi diverse di un cambiamento, in cui emergono le parti salienti del loro vissuto. Matteo Gentili è perito agrario, ha lavorato per più di tredici anni in aziende convenzionali tra Montalcino e il Chianti Classico, dal 2011 ha iniziato a lavorare a Corte Pavone, una delle aziende biodinamiche del-
la famiglia Loacker. Si è avvicinato alla biodinamica soprattutto per l’amore che nutre nei confronti della natura e dell’agricoltura. Spesso nella pratica convenzionale aveva notato come il suo operato andasse contro i suoi principi, generando un profondo senso di insoddisfazione. Enrico Togni ha studiato giurisprudenza, lavora i propri vigneti in Vallecamonica. La sua formazione da viticoltore è di tipo pratico. In 10 anni il suo modo di fare viticoltura è totalmente cambiato. Si definisce “il viticoltore del dipende”, non c’è una regola generale, tutto quello che si fa dipende da una
serie di fattori, che vanno dalla stagione alla risposta della singola pianta. Non usa prodotti di sintesi, non diserba e non usa preparati biodinamici. Patrick Uccelli, dopo un tentativo alla facoltà di medicina e uno alla facoltà di filosofia, a 27 anni inizia a studiare viticoltura ed enologia. Laureatosi sia in Italia che in Germania, nel 2008 prende in gestione tre ettari di vigna ereditaria a Salorno, fino ad allora gestiti da un terzista. Il primo anno lavora in convenzionale. La lettura della composizione chimica dei prodotti utilizzati, lo spinge ad accogliere la biodinamica nel suo vocabolario quotidiano.
Il pensiero e la pratica di tre vignaioli in divenire Francesco: Cosa vi spinge a cercare altre tecniche rispetto a quelle codificate nelle pratiche convenzionali? Come mai a un certo punto si smette di applicare una regola consolidata e si inizia un percorso di dubbi e ipotesi alternative? Enrico: Viviamo in un mondo di convenzioni, ad esempio ci è stato insegnato che uno più uno fa due, ma se ci avessero insegnato che invece fa tre, saremmo convinti di questo. Il problema è che a un certo punto ti rendi conto che non è così, che nella vita le cose non corrispondono mai a una regola esatta e ci sono infinite variabili. Per quanto mi riguarda la cosa bella è quella di cercare di capire e vedere fino a che punto posso spingermi nel cercare di interpretare un problema. Patrick: La convenzione è una parte fondamentale della vita umana, perché consolida la socialità fra le persone. In un insieme di persone il fatto di chiamare un oggetto con lo stesso nome è fondamentale. Questa è la base, codificare gli oggetti con un nome è una cosa positiva, altrimenti non potremo capirci, ma va collocata lì dove deve stare, è una convenzione, non è la realtà. La convenzione è un moto descrittivo per rendere la realtà che percepiamo spiegabile e comunicabile. È importante che vada spiegata per quello che è, ossia non è la realtà, ma una descrizione della realtà, sono due cose veramente differenti. La pratica più comune è considerare la convenzione come fosse la realtà, mentre è fondamentale rendersi conto e avere presente che tutte le convenzioni, siano esse il linguaggio, la scrittura, la matematica o la fisica, non sono nient’altro che una descrizione della realtà. Oggi la scienza mi sembra che faccia un po’ fatica e sia un po’ zoppa, in quanto la convenzione viene usata come una scorciatoia per descrivere la realtà. È questo il problema che abbiamo: peronospora + Dimethomorph1 uguale a soluzione, problema risolto. Funziona e siamo convinti che quella sia la realtà, invece è solo un modello delle mille interpretazioni possibili, il modello più sbrigativo, perché ci sono viticoltori che il Dimethomorph non lo usano e ottengono lo stesso risultato, che strano... Enrico: Oppure c’è chi lo usa e non ha risultato lo stesso. Patrick: Sostituire la descrizione della realtà alla realtà in queste convenzioni è un problema, dovremmo fare un passo indietro e concentrarci sulle implicazioni del problema piuttosto che sbrigarci a trovare una soluzione e mettere al centro la realtà a discapito della descrizione della realtà. Non si tratta di abbandonare un modello e dire “la scienza non la voglio”, non è quello il punto, è semplicemente il tentativo di guardare le cose per quello che sono e non per come vengono convenzionalmente spiegate. Enrico: Quando mi confronto con i bambini ri-
mango spiazzato, perché hanno una mente talmente vergine e libera che mi accorgo di quanto l’influenza delle convenzioni mi faccia perdere tante volte il senso della realtà. Patrick: Per lo sviluppo delle persone secondo me è fondamentale l’essere animale — l’astrale2 — ed è quello che fa il bambino. L’animale non ha convenzioni. Possono esserci le convenzioni fra le persone, ad esempio la convenzione di mangiare alle sette di sera, perché altrimenti la famiglia non si incontra, però bisogna lasciar libere le persone di non mangiare se non hanno fame. Quindi abbiamo la convenzione di sedersi a tavola ed esprimere la socialità e al tempo stesso la libertà di rimanere fedeli al proprio istinto: se non si ha fame non si mangia. Le convenzioni sono importanti da un punto di vista sociale, lo ribadisco. Francesco: Questa necessità quindi parte dal fatto di non sentire realizzato il proprio istinto? Dal fatto che una determinata convenzione non vi convince? Matteo: Per me l’arrivo alla pratica biodinamica è stata la conseguenza di più di tredici anni di agricoltura convenzionale, dai quali ho concluso che ci sono dei buchi e degli errori di base troppo importanti. Rendendomi conto che non funzionava, o non del tutto, o almeno non in maniera integrata con l’ambiente come volevo, ho cercato un’altra soluzione. È chiaro che al giorno d’oggi o ti inventi qualcosa di tuo, o sempre per entrare in qualche convenzione che ti faccia sentire anche parte di un gruppo più sostenuto, più credibile e più sicuro, scegli il biologico o la biodinamica. Francesco: Quindi la dimensione sociale deve essere in qualche modo soddisfatta. Matteo: Sì, sentirsi parte di un gruppo è la base dell’animo umano. Enrico: Che la socialità sia fondamentale è vero. Fare o non fare una scelta di questo tipo non è una questione di coraggio o di codardia, è anche una questione di fortuna. Se non incontri certe persone questi ragionamenti è più difficile farli, magari senti un disagio, ma fai fatica da solo a trovare una via d’uscita. Noi siamo dei privilegiati, perché possiamo fare agricoltura, entriamo veramente in contatto con la concretezza della terra, non ragioniamo in astratto. Una persona che lavora in ufficio e fa la spesa fidandosi di quello che c’è scritto nell’etichetta ha una distanza enorme da quello che vediamo noi. Matteo: Io a ventisei anni vivevo con una ricca busta paga. Quando sono arrivato a scoppiare, per il livello di insoddisfazione divenuto insopportabile, mi sono detto: piuttosto vado a vivere in una tenda ai giardini pubblici e mi lavo alla fontanella, però basta, con questa vita ho chiuso. Enrico: Hai detto una cosa che penso accomuni tutti e tre, noi siamo arrivati a un limite nella nostra vita.
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Fungicida sistemico derivato dell’acido cinnamico.
Vedi Mappa scienza naturale antroposofica.
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Patrick: Bravissimo! Non hai più niente da perdere o vuoi perdere tutto. Enrico: O vai avanti così, perché hai troppo da perdere, oppure decidi di perderlo e vai da un’altra parte. Patrick: È la situazione estrema che ti porta a cercare un cambiamento, non il malessere medio, nel medio si sopravvive. Enrico: Noi possiamo permetterci il lusso di sbagliare, i contadini di una volta no, se sbagliavano morivano di fame. Per questo dico che ora l’errore è parte fondamentale della crescita di una azienda. Per migliorare bisogna stare sempre sulla soglia del limite. Patrick: L’agricoltore di cento anni fa non guardava il limite come facciamo noi, tirava fuori il massimo dell’annata, perché non sapeva quanto l’inverno fosse lungo, faceva più scorte possibili. Quando sento parlare di ritorno alla natura mi viene il pelo alto come i gatti! Io non ho voglia di tornare nelle palafitte e nelle grotte a fare i murales in Valcamonica, per cui è un bene che ci siamo lasciati alle spalle certe necessità, ma dobbiamo sapere cosa ci ha preceduto. Tornare alla natura e il collegarsi alla natura sono due cose molto differenti. Francesco: Nel percorso che state facendo, per voi è più importante cercare di cambiare il mondo o i due metri di superficie che vi stanno intorno? Enrico: A me piacerebbe essere come un virus. Faccio quello che posso fare, non potrò mai cambiare il mondo, ma penso anche che se nei due metri che ho intorno riesco a condizionare la vita di quello che confina con me, e a sua volta lui cambierà i suoi due metri, che condizioneranno il suo confinante, alla lunga e lentamente forse il mondo lo si cambia, ma è logico che ognuno deve fare la sua parte. Quando altri viticoltori vengono da me per chiedermi cosa ho fatto in vigna e perché, non ho problemi a spiegarlo, ma aggiungo anche che questo vale per me, non posso dire: fallo anche tu. Vuoi provare? Ti dò una mano, ci ragioniamo e iniziamo un po’ alla volta, ma non posso calartelo dall’alto. Calare dall’alto ad esempio è quello che hanno fatto i consorzi agrari negli anni ‘70 e i risultati sono davanti ai nostri occhi. Francesco: Sarebbe come prendere i trattamenti biodinamici e farne un metodo senza sapere perché lo si sta facendo, non cambia molto. Inquini meno la terra, ma la sostanza non cambia. Enrico: Adesso c’è un po’ questo dilagare del biodinamico. Prima bisogna prendere confidenza con un metodo, non ci si può improvvisare da un giorno all’altro, magari solo perché va di moda. Patrick: Il preparato non fa eccezione in questo senso. Io non so se voglio cambiare il mondo, ho un’altra necessità, in tedesco si dice Offenbarung, si può tradurre come qualcosa che si svela. Ecco, io ho neces-
sità che sia il mondo a cambiare me nel momento in cui riesce a svelarsi per quello che veramente è. Togliere le convenzioni e qualsiasi tipo di filtro, riuscire a smontare il più possibile le strutture mentali, in modo che il mondo possa veramente svelarsi per quello che è. Non più una descrizione della realtà, bensì osservare la realtà per quella che è. Enrico: Ti poni in modo più passivo che attivo. Patrick: Ricettivo, in osservazione. Può sembrare meno attivo, ma destrutturare non è un lavoro facile. La struttura è analisi, quello che ci serve per comunicare, destrutturare è la sintesi: è buono, non è buono. Enrico: Però la sintesi non deve essere semplificazione, perché questo è quello che fa l’industria. Francesco: La sintesi deve arrivare dopo un percorso di analisi, non può essere insieme la domanda e la risposta. Matteo: Cambiare veramente noi stessi e il nostro
giudizio di quella successiva, che quindi è già soggettiva e non oggettiva. Enrico: Se vuoi costruire una moto vai dal meccanico o parti da zero? Devi essere un meccanico, devi sapere cosa stai facendo. Francesco: Vi faccio un esempio personale. Un giorno mi sono detto: voglio imparare a fare il pane e voglio imparare partendo dal lievito madre. Potevo fare un corso di panificazione, invece ho pensato alla prima persona che sulla terra è arrivata a fare il pane, quindi perché non posso partire da zero e fare tutti gli errori necessari che mi portano ad avere un determinato risultato? Enrico: Tu stai avvalorando la tesi da cui sei partito: sei arrivato, sbagliando, a conoscere una tecnica. Matteo: Se fosse andato subito da un panettiere che gli avesse dato un pezzo di lievito madre spiegandogli come fare, non sarebbe cresciuto in maniera così personale e solida.
e l’uva — non è quello il problema. I grappoli sono tutti bruciati? No. In una pianta ci son due grappoli bruciati e gli altri sono sani. Il problema è della connessione al cosmo e della resistenza insita nell’individuo. È vero che se ci metti il telo protettivo l’uva non si brucia, ma il problema, per risolverlo veramente, non devi indagarlo partendo da un ragionamento di causa-effetto.” Quindi vi dico, dopo due anni in biodinamica, che è bellissimo aver lavorato tredici anni in convenzionale, tutt’ora mi vanto di avere una grande esperienza, perché a occhio so riconoscere duecento varietà diverse, so potare in dieci modi diversi, conosco i trattori, so ripararli. Però mi rendo conto che, fondamentalmente, quando mi pongo un problema sono ancora legato a questa esperienza precedente, che è importante, ma mi limita molto nel processo di cambiamento. Patrick: Per l’agronomo biodinamico vale lo stesso
orticello è già una cosa importante, lunga e impegnativa. Il mondo intorno a noi cambia e si evolve per sua natura, spero che vada nella stessa direzione per il bene del pianeta e la salute di noi tutti, ma non mi sento assolutamente un profeta che deve divulgare una verità acquisita. Mi fa semplicemente piacere poter condividere con altri un’esperienza che per me è sicuramente positiva sotto ogni aspetto.
Enrico: L’errore è funzionale alla crescita, non rinnego questo, da una base però devi partire. Patrick: Non puoi fare il pane dalla segatura, devi partire dalla farina, questo devi saperlo. Matteo: La conoscenza e le esperienze precedenti rimangono e sono importanti, ma tendono purtroppo spesso a prendere il sopravvento o entrare in conflitto con le nuove. Trovare un equilibrio non è cosa facile e penso servano anni. Ad esempio, negli ultimi tre anni, nelle nostre zone si sono verificate delle “scottature” nelle parti di vigna esposta a sud. La mia prima risposta, automatica, è stata: è una bruciatura da sole, quindi o si coprono le piante con un telo, o non si defoglia. Confrontandomi con un agronomo biodinamico che da anni ragiona esclusivamente in maniera biodinamica, la sua risposta è stata: “Non devi guardare in maniera semplicistica — il sole brucia l’uva quindi metto qualcosa tra il sole
discorso, perché lui da trent’anni vede il mondo attraverso la stessa ottica. Perché può essere legato solo a quel modo di vedere? Incontratevi nel mezzo. Lui giustamente si sforza di trovare la risposta nell’ambito nel quale è stato formato ed è difficile che possa cercarla nel telo di protezione, perché ovviamente non è una risposta sufficiente, ma se sono tre anni che l’uva si brucia, intanto metti il telo e proteggila, nel frattempo cerca la soluzione andando oltre al principio di causa-effetto.
Francesco: Il fatto di avere una conoscenza tecnica è un limite o un vantaggio nel vostro percorso di cambiamento? Nel senso, questa conoscenza non è che magari non vi permetterà mai di essere completamente liberi, di avere lo sguardo puro di un bambino? Matteo: Lo sguardo puro di un bambino purtroppo è veramente difficile averlo, quasi utopistico, perché ogni esperienza fatta diventa “influente” e vincola il
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Senza accorgecene il giorno si è fatto sera e questa prospettiva di incontrarsi a metà strada ci sembra concludere nel modo migliore questa giornata. Modi nuovi e diversi di vedere le cose possono aiutarci a capire sempre meglio quello che facciamo e quello che siamo. Per concludere con una battuta di Patrick: “Una bella giornata, molto piena di spirito. In più forme...”.
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i M a ppa B i o d i na m i c a j
FERTILITÀ DELLA TERRA CENTRALITÀ DELL’HUMUS L’elemento fondamentale della agricoltura biodinamica è la vitalità del suolo e la presenza dell’humus. Nessuna lavorazione e nessun atto agricolo biodinamico potrà trovare accordo in mancanza di una ricca vita del suolo. I suoli mineralizzati non reagiscono quasi per nulla alle influenze delle forze eteriche. HUMUS E INDIVIDUALITÀ AZIENDALE L’humus è un elemento creato dall’uomo, dalle sue lavorazioni del terreno e dalla sua presenza agricola in centinaia di anni. Un humus antropico irripetibile è quello che sta alla base del termine terroir e l’individualizzazione dell’azienda deve passare necessariamente per questo elemento. COMPOST ESSENZA DELLA CONCIMAZIONE Steiner individua l’essenza della concimazione nell’arricchimento umico del suolo ottenuto attraverso il compostaggio di letami o sfalci vegetali, in cui i preparati da cumulo da lui ideati mettano in moto i sottili processi della sostanza. Zolfo, ossigeno, potassio, azoto, carbonio, fosforo come processi sono potenziati nella trasformazione in compost umico necessario a regolare vita astrale ed eterica del suolo, aprirsi alle sottili influenze cosmiche e a far lavorare armonicamente le componenti calcare/argilla/silice. SOVESCI La tecnica del sovescio è utilizzata per la capacità dell’apparato radicale di lavorare il suolo arieggiandolo e favorendone la vita microbica e per la possibilità di una diretta ‘compostazione in campo’ su grandi superfici attraverso la spruzzatura, dopo la trinciatura e l’interramento, di preparati che contengano preparati da cumulo come il 500p di Podolinsky o il Fladen. IL RUOLO DEL MONDO ANIMALE Il mondo animale ha un ruolo fondamentale nell’eco-
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nomia non solo dell’azienda agricola ma di tutta la terra, suo compito è quello di riequilibrare i rapporti fra le sostanze della terra, creare individualità agricola, bilanciare le forze eteriche e astrali che l’uomo compromette. INDIVIDUALIZZAZIONE DELL’ORGANISMO AGRICOLO LOMBRICO-APE-BOVINI Individualizzazione e ciclo chiuso dell’azienda agricola non vanno intesi tanto come autosufficienza autarchica, ma come formazione di un elemento eterico, un elemento astrale e un io individuale dell’azienda, cosa che è possibile ottenere attraverso la presenza di animali indispensabili come il lombrico, l’ape e i bovini. Il lombrico presente nella propria azienda permette attraverso il legame con l’elemento acqua e terra un’individualizzazione dell’eterico, mentre l’ape legata all’elemento calore riuscirà a creare un organo astrale proprio dell’azienda. Sarà invece il letame alla base del compost, quindi dell’humus, e del cornoletame a permettere l’esistenza di un io individuale dell’azienda. Gli animali che sono cresciuti all’interno dell’azienda cibandosi con il foraggio cresciuto su quel suolo, sono in grado di fornire un letame che sopperisce esattamente alle necessità che quel suolo manifesta. TRIPARTIZIONE DEL MONDO ANIMALE Anche nel mondo animale c’è una corrispondenza con la tripartizione che troviamo nella pianta e nei sistemi funzionali dell’uomo. RELAZIONE FRA MONDO ANIMALE E CALCARE/SILICE/ARGILLA La tripartizione mette in evidenza il legame stretto fra questi animali e il rapporto di equilibrio all’interno del mondo naturale e agricolo fra calcare/silice legato alla presenza di volatili e bovini. Questi tre animali-tipo hanno svolto la loro funzione di mantenere questo equilibrio fino a che è stato loro consentito. Attualmente le condizioni di vita che abbiamo loro imposte rendono necessario l’intervento con i preparati che agiscano su questo rapporto e direttamente su calcare e silice, il 500 e il 501.
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ALLEVAMENTO BIODINAMICO Esistono delle indicazioni perché l’allevamento degli animali sia fatto nella piena comprensione della natura animale e del suo ruolo nell’organismo agricolo, del significato delle malattie che insorgono in relazione al foraggio e del rapporto che l’animale ha con la sostanza terrestre. DINAMIZZAZIONE La dinamizzazione consiste nel trasferire a un medium gli impulsi delle forze eteriche formatrici presenti nella sostanza che viene dinamizzata. La loro compenetrazione con l’acqua è ottenuta attraverso la creazione di vortici con un gesto rotatorio che va alternativamente in senso orario e in senso antiorario per un’ora creando, nel momento di inversione, uno stato di caos che è determinante. STUDI SULLE FORZE DINAMICHE DI ACQUA E ARIA Theodor Schwenk nei suoi studi “Il Caos sensibile” e “Concetti fondamentali della Ricerca sulla Dinamizzazione” si è a lungo concentrato sullo studio delle forze dinamiche presenti all’interno di questo processo che è fondamentale anche nella realizzazione di medicamenti omeopatici e antroposofici. DINAMIZZAZIONE E SPIRALE La configurazione a vortice spiraliforme che si crea durante la dinamizzazione e la successiva caotizzazione data dall’inversione di rotazione sono un processo che richiama altri momenti decisivi nella creazione di processi vitali e nel passaggio di informazioni. La creazione di galassie e sistemi stellari denuncia lo stesso tipo di dinamica spiraliforme e ritroviamo la stessa immagine anche nel processo di conoscenza a doppia spirale indicato da Steiner come superamento della dicotomia fra soggetto e oggetto. DINAMIZZAZIONE E ALCHIMIA Nel processo di dinamizzazione si ha quel passaggio dalla sostanza materiale ai suoi principi informativi che
ritroviamo nel percorso sal mercur sulfur di origine alchemica e che ripropone la volontà di comprendere i principi spirituali della materia. PIANTA TRIARTICOLAZIONE FUNZIONALE E QUADRIPARTIZIONE ETERICA DELLA PIANTA La pianta viene letta, a seconda della relazione contestuale in cui è posta, come organismo tripartito o quadripartito. TRIARTICOLAZIONE DELLA PIANTA IN RELAZIONE AI SISTEMI FUNZIONALI Steiner delinea una triarticolazione della pianta che riprende quella dei sistemi funzionali dell’essere umano legati alle facoltà pensare sentire volere. La pianta si presenterebbe quindi come uomo capovolto con una corrispondenza fra capo-radice, polmone/cuore-foglie, sistema metabolico/riproduttivo-fiore/frutto. QUADRIPARTIZIONE DELLA PIANTA IN RELAZIONE A ETERI E ELEMENTI Maria Thun durante le sue sperimentazioni in campo si rende conto che determinati organi della pianta si sviluppavano meglio se seminati durante il passaggio della luna siderea di fronte alle diverse costellazioni legate ai quattro elementi, rivelando così una natura quadripartita della pianta in relazione al suo rapporto con le forze formatrici. ESSERI ELEMENTARI Per Steiner i quattro elementi della natura sono vivificati da entità che ne rappresentano l’aspetto spirituale attivo e creativo. Questi esseri elementari sono un aspetto sovrasensibile della natura che non ha capacità di autocoscienza e che può operare nel giusto modo solo in relazione con l’uomo, rappresentando in questo modo un richiamo all’uomo verso la responsabilità nei confronti della natura. Non sono solo in relazione con gli elementi ma anche con gli animali appartenenti alla sfera elementale in cui operano. (Continua a pagina 14)
i M a ppa S c i e n z a N at u r a l e A n t ro p o s o f i c a j GEOMETRIA PROIETTIVA E SINTETICA Spazio superficie negativo
ALCHIMIA RINNOVATA ELEMENTI SPIRITUALI NELLA NATURA Steiner ritrova nell’Alchimia una scienza che si era occupata esplicitamente degli elementi spirituali della materia. La affronta rinnovandola con gli strumenti acquisiti durante gli studi scientifici e con il rigore di pensiero affinato nella gnoseologia di Filosofia della Libertà. RIGORE SCIENTIFICO E SPERIMENTALE A differenza della tradizione alchemica, Steiner interviene su quelli che erano i concetti base cercando di utilizzare il rigore di una osservazione scientifica che prima mancava nella scoperta e definizione delle forze eteriche. I collaboratori di Steiner come Kolisko, Thun, Hauschka, Schwenk danno un fondamento sperimentale allo studio delle forze eteriche attraverso esperimenti di analitica morfologica come cristallizzazione e dinamolisi, e alla dinamizzazione dei preparati come passaggio dalla sostanza alle sue forze formatrici. ALCHIMIA RIVOLTA AL FUTURO Altro elemento di differenza è che Steiner è un alchimista che lavora per il futuro del mondo naturale. Il suo intento non è quello di risalire all’origine della materia per andare ad agire in quell’ambito ma di utilizzare la conoscenza morfologica ed eterica della materia per ottenere nuovi elementi che permettano la collaborazione dei regni di natura, come ad esempio i preparati biodinamici o preparati farmacologicici. SAL MERCUR E SULPHUR La tradizione alchemica delle forze elementali come sal mercur e sulfur si ritrova tanto nella biodinamica, nel processo di dinamizzazione in cui la sostanza passa da sal a sulphur nella dissoluzione della materia fino ad assorbire nel medium le sole forze stellari della parola formatrice, quanto nella farmacopea antroposofica, dove sal si lega al sistema del ricambio, mercur alla sfera mediana ritmica e sulphur a quella dei nervi e dei sensi.
È impossibile affrontare l’idea degli ampliamenti delle scienze naturali senza considerare l’idea di spazio come luogo di manifestazione di forze fisiche ed eteriche che sta alla base del lavoro di Steiner. Nel 1866 Plücker aveva mostrato come una retta nello spazio possa essere descritta da 4 coordinate. L’insieme di tutte le rette dello spazio è quindi a 4 dimensioni e da questo segue il sorprendente risultato che uno stesso spazio possa avere una dimensione, se lo si pensa formato da punti, e un’altra se lo si pensa formato da rette. Questa scoperta fu ritenuta di basilare importanza da Steiner. Secondo Steiner lo spazio, che è un concetto soggettivo del modo in cui sperimentiamo relazioni fra entità, va pensato con due delimitazioni, una verso l’esterno che si può chiamare piano posto all’infinito e un’altra verso l’interno che possiamo chiamare centro originario. Se pensiamo che lo spazio vada espandendosi dal centro originario avremo uno spazio punto di tipo positivo, se invece pensiamo a uno spazio proveniente dalla periferia originaria avremo uno spazio superficie di tipo negativo. Entrambi gli spazi sono ugualmente grandi e si compenetrano. L’inizio dell’uno costituisce la fine dell’altro. Le forze eteriche operano in questo spazio superficie negativo, detto anche contro-spazio, coesistente e compenetrato allo spazio positivo delle forze fisiche.
ASTRONOMIA e ritmi astronomici ASTRONOMIA E FORZE FORMATRICI Per Steiner, l’astronomia può avere senso solo se studiata nella relazione con le altre scienze. Costellazioni e pianeti sono infatti mediatori delle forze astrali che trasformano le forze eteriche in forze formatrici dando realtà alla sostanza e alle forme e ai processi vitali. RITMI ASTRONOMICI L’ambito di riferimento per il ritmo, elemento indispensabile alla creazione della vita, è il cosmo. Tutti i ritmi creati dai movimenti della Luna, dei pianeti, intersezioni delle orbite, posizione rispetto all’equatore dell’eclittica, posizione del sole, sono strettamente correlati alla vita sulla terra. Il calendario biodinamico nasce per la lettura e l’utilizzo di questi ritmi. Sono fondamentali anche i ritmi quotidiani di inspirazione ed espirazione della terra dettati dal sorgere e tramontare del sole, oppure la posizione di costellazioni e pianeti rispetto all’orizzonte. Si ipotizza infatti che gli astri sopra l’orizzonte agiscano come forze creatrici di forma, gli astri all’orizzonte come forze formatrici di vita e sotto l’orizzonte come forze formatrici della sostanza. ASTRONOMIA ED EMBRIOLOGIA Una delle connessioni che Steiner propone è quella con l’embriologia in cui si rende evidente la correlazione fra macrocosmo e microcosmo dell’essere vivente in formazione. Si sottrae così l’astronomia a una disciplina basata sul puro calcolo matematico e completamente irrelata dalla vita umana per affrontare invece la sua influenza proprio sull’origine della vita umana. ASTRONOMIA E BOTANICA Nella botanica le forze formatrici provenienti dagli astri definiscono, in relazione ai pianeti, le parti costitutive della pianta secondo forme e processi vitali di sviluppo e, in relazione allo zodiaco, fasi di crescita come germinare, crescere, gemmare, fiorire e così via. Il Calendario astronomico, nato dalla ricerca di Maria Thun, considera anzitutto la luna siderea cioè la posizione della luna di fronte alle costellazioni zodiacali ognuna delle quali favorisce maggiormente le forze formatrici legate a foglie, fiori, frutti radici.
Geometria proiettiva spazio negativo
FORZE FORMATRICI - Forze astrali e forze eteriche congiunte Le forze eteriche determinano la dinamica con cui gli elementi lavorano alla formazione della natura vivente ma non sono ancora le singole e specifiche forze di forma in grado di determinare i singoli organi, le fasi dei processi vitali o la formazione della sostanza e dei metalli. Le forze formatrici, il cui approfondimento avviato dal Dr. Marti è rimasto abbozzato, nascerebbero dall’azione congiunta delle forze eteriche che sono universali provenienti dalla periferia spaziale del piano posto all’infinito, con l’influenza delle forze astrali che permette loro di passare a una specificazione e localizzazione sul nostro pianeta. FORZE PLASMATRICI DI FORMA. Sono forze formatrici quelle legate allo zodiaco che originano i movimenti di crescita della pianta, le lettere dell’alfabeto, il colore, quelle planetarie che determinano forma specifica, ramificazione, altezza, o che legano la morfologia dei singoli organi dell’embrione a costellazioni. FORZE FORMATRICI DI VITA. Sono le forze a fondamento delle attività vitali, come processi vitali di respirazione, generazione cellulare nutrizione crescita o riproduzione, oppure i movimenti interiori del parlare, pensare del respirare o ancora le forze presenti nei diversi stadi della vita. Elemento fondamentale regolatore di queste attività vitali è il ritmo un elemento la cui definizione è di difficile definizione ma che sembra legata alla polarità. I ritmi sono essenzialmente ritmi cosmici. FORZE FORMATRICI DELLA SOSTANZA. Sono le forze che sovrintendono alla creazione della sostanza che sta sotto la forma e che in modo sostanziale costituisce la forma stessa.
Scienza convenzionale spazio positivo forze misurabili
NATURA La natura è divisa in quattro regni. Al regno minerale corrisponde il solo corpo fisico ed è governato dalle leggi fisiche. Il regno vegetale possiede un corpo fisico e uno eterico, il regno animale possiede oltre ai primi due anche un corpo astrale evidenziato da moti animici, mentre l’uomo è l’unico regno che possieda oltre ai tre corpi anche la dimensione spirituale che è quella del pensiero e dell’autocoscienza. corpi
spirito
corpo astrale
corpo eterico
corpo fisico
regni
uomo
regno animale
regno vegetale
regno minerale
elementi
fuoco
aria
acqua
terra
evoluzioni planetarie
antico saturno
antico sole
antica luna
terra
dimensioni
tempo
spazio
movimento
forma
La natura è costituita dai quattro elementi che tramite l’azione congiunta dei quattro eteri, delle forze formatrici e delle forze fisiche a essi corrispondenti creano il mondo fenomenico naturale. È attraverso questi quattro elementi che vediamo all’opera e possiamo constatare l’esistenza delle forze che altrimenti ci rimarrebbero invisibili, forze eteriche e fisiche che non possono mai essere separate nella loro azione sui quattro elementi e fra loro. Steiner riprende questa antica visione del mondo naturale e ne dà una nuova interpretazione. Questi elementi vanno intesi come idee archetipiche di ciò che è solido, fluido, gassoso o legato al processo di calore, sono l’espressione degli stati della materia. Steiner mette in relazione il manifestarsi di questi stati della materia come evoluzione della dimensionalità.
FORZE FISICHE Le forze fisiche sono le forze di distruzione nel mondo e nella natura. Si tratta di forze terrene laddove le forze eteriche sono forze costruttrici provenienti dal cosmo. Fino a che un organismo vive le forze di distruzione sono assoggettate alle forze costruttrici e con esse in equilibrio, in un rapporto necessario. FORZA DI DENSITÀ - tenebra addensante La forza di densità addensa, oscura, contrae, concentra, genera sub-superfici come spazio positivo della materia che è sottostante alle superficie generate dall’etere di luce nell’incontro con essa. Densità e tenebra sono i caratteri distintivi della materia. FORZA DI GRAVITÀ - forza aggregatrice È la forza che unifica nella massa, caotizza ogni ordine, mantiene compatto in contrapposizione all’etere di suono che separa, ordina, crea rapporti numerici armonie, polarità, simmetrie. FORZA DI SCISSIONE - forza atomizzante Agisce distruggendo la forma, il volume e la solidità dell’elemento terrestre mediante divisione, frammentazione, sbriciolamento, contro all’etere di vita che crea corpi come unità individuali metamorfosantisi e che è forza di guarigione. FORZA DI ESTINZIONE - calore estinguentesi Il calore fisico nel suo estinguersi, dissipamento, elemento del tempo passato contro al calore come divenire, sorgere, generare.
Essendo a-spaziali e puntiformi, le forze della subnatura hanno bisogno di un tramite per agire nella natura spaziale e questo è rappresentato dalle forze fisiche. ELETTRICITÀ - TENEBRA ADDENSANTE L’elettricità ha una relazione assoluta con la tenebra essa si ritrae costantemente sotto la superficie e tende all’interno. È lo spazio tenebroso della materia positiva che rende possibile la comparsa nella natura, laddove l’etere di luce tende a spazializzare, ad andare verso la superfice, verso l’esterno. MAGNETISMO - FORZA DI GRAVITÀ O COESIONE Il magnetismo, legandosi alla forza di coesione genera una forza capace di portare un ordine rigido in modo opposto all’etere di suono o numerico. FORZA NUCLEARE - FORZA DI SCISSIONE La forza fisica di scissione agisce tridimensionalmente e nella sua azione naturale non raggiunge mai la più piccola unità, l’atomo. Ma originando nel centro puntiforme serve da matrice e da medium alla forza nucleare nel suo aparire in natura. L’atomo è già la combinazione di naturale e subnaturale.
ESOTERISMO Nel pensiero di Steiner è basilare e fondativo il rapporto con l’esoterismo grazie al suo interesse innato verso la realtà spirituale interiore, che lo spinge a cercare di conciliare la necessità della realtà spirituale con quella delle scienze naturali e del mondo fisico. TEOSOFIA Attraverso la società Teosofica tedesca che Steiner è chiamato a dirigere, entra in contatto con le dottrine della reincarnazione e del karma che saranno centrali nel suo lavoro. Nel 1912 se ne allontana a causa di divergenze sulle matrici culturali poiché mentre la società teosofica si orienta verso culture orientali, Steiner elabora un esoterismo basato sul cristianesimo e sulla visione delle scienze naturali mediata dal Goetheanesimo. CENTRALITÀ DEL CRISTO e EPOCA MICHELIANA Steiner approfondisce l’esoterismo cristologico: Cristo come centro dell’universo, dell’evoluzione spirituale e della biografia umana diventeranno il fondamento della sua visione dell’evoluzione del cosmo, del nostro pianeta e della storia delle civiltà. La personalità storica di Gesù è distinta dalla dimensione cosmica e universale del principio Cristo. Fondamentale è anche l’impulso di Michele arcangelo che esorta l’uomo a vivere in piena coscienza un’epoca in cui i cuori devono avere pensieri dove quindi il pensiero deve essere in grado di unire scienza e spirito. ROSICRUCIANESIMO I rosacroce rappresentano per Steiner la ricerca alchemica unita a quella spirituale, etica e religiosa che prepara la strada a un diverso rapporto con la spiritualità della natura e a un diverso rapporto con il divino. Deriva dal contatto con il rosicrucianesimo il legame fra pensiero puro e pensiero meditativo che consente di cogliere forze eteriche, astrali e spirituali.
FILOSOFIA DELLA LIBERTÀ PENSIERO PURO E PENSIERO MEDITATIVO Il PENSIERO PURO È l’approdo del percorso fatto attraverso la filosofia della libertà, a un pensare che sia completamente libero dalla realtà sensibile. In questo modo può diventare piena realtà quella condizione descritta da Steiner del pensare il pensiero, eliminando l’oggetto sensibile e portando a oggetto i soli processi di pensiero. Eliminando anche i processi di pensiero avremo la pura attività dell’Io entro se stesso. IL PENSIERO MEDITATIVO Steiner, indagando le pratiche esoteriche di conoscenza del soprasensibile e avvicinandole tramite lo strumento del pensiero puro, ritiene che lo sviluppo del pensiero come organo di percezione dei concetti possa giungere alla capacità di pensare e cogliere le forze eteriche, astrali e spirituali attraverso un percorso di meditazione rigoroso e scientifico, oltrepassando in questo modo il limite raggiunto dalle osservazioni spirituali di Goethe. I TRE GRADI DELLA CONOSCENZA Immaginazione ci permette di conoscere la sostanza eterica e averne immagini. Conduce al Sé spirituale, l’immagine viva dell’Io riflessa dalla percezione eterica (autocoscienza immaginativa) di contro a un immagine morta dell’Io, restituita dallo specchio fisico che permette solo una autocoscienza rappresentativa. Ispirazione ci permette di entrare in contatto con le forze astrali e vedere la loro azione, lo Spirito vitale è l’esperienza qualitativa dell’Io, mediata dal corpo astrale (dall’autocoscienza ispirativa). Intuizione ci apre la possibilità di concepire le realtà spirituali e di giungere all’Uomo spirituale, l’autoesperienza immediata dell’Io (l’autocoscienza intuitiva): ovvero un Io divenuto finalmente e pienamente se stesso.
La filosofia della libertà è lo scritto in cui Steiner definisce la visione gnoseologica ed epistemologica che gli permetterà di affrontare e risolvere la separazione incolmabile fra soggetto e oggetto. Non è tanto un saggio teoretico quanto una fenomenologia dell’attività del pensare e un metodo per esercitarla in modo cosciente. COSCIENZA DELL’ATTIVITÀ DI PENSIERO Solo la piena coscienza dell’attività di pensiero come atto libero e non condizionato dalla percezione ci permette di sperimentarci come individui liberi in un mondo spirituale di attività concettuale. Senza la conoscenza dell’attività pensante dell’anima non è infatti possibile un concetto del conoscere. L’idea è al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio dell’idea e questo apre anche considerazioni etiche. SEPARAZIONE DI SOGGETTO CONOSCENTE E OGGETTO CONOSCIUTO “Siamo noi stessi che ci stacchiamo dalla natura e ci consideriamo come entità separate, a sé stanti e ci contrapponiamo come ‘io’ al mondo. Possiamo trovare la natura fuori di noi, solo se prima la conosciamo in noi. Quanto le è simile nella nostra interiorità ci sarà di guida. Vogliamo invece scendere nelle profondità del nostro essere per trovarvi gli elementi che abbiamo portato con noi nella nostra fuga dalla natura.” PENSARE IL PENSIERO: UNIONE DI SOGGETTO E OGGETTO L’antitesi dualistica da cui dobbiamo partire è osservazione/pensiero. Solitamente se io osservo e percepisco un oggetto non osservo il mio pensare su quegli oggetti, quindi l’osservazione dell’attività del pensiero è condizione peculiare. Il pensare è quindi l’elemento inosservato della nostra ordinaria vita spirituale, ma posso invece decidere di osservare il pensiero. POLARITÀ DEL PERCORSO DI CONOSCENZA Esiste una realtà sensibile di cui noi facciamo esperienza tramite la percezione e la rappresentazione, ma per comprendere la rappresentazione e renderla esperibile dal pensiero dobbiamo partire dal concetto, dall’idea universale e trasformarla in un concetto individualizzato applicandolo alla sua individuale percezione e rappresentazione. Il concetto infatti non può essere ricavato dall’osservazione. Il concetto preesiste e quindi deve essere colto e portato fino alla rappresentazione. È il pensiero che mi collega con gli oggetti. MEDITAZIONE ED ESPERIENZA DEL PENSIERO Il pensare, quindi, non è solo capace di osservare se stesso, non solo è originario poiché non è posto da null’altro; il pensare trascende soggetto e oggetto, è al di là di essi, perché li pone entrambi come concetti ed è inoltre universale nei suoi contenuti di concetti e idee. Mediante il pensare siamo connessi a un piano metafisico che è tutt’uno con questa realtà, nel senso di una trascendenza immanente. COSCIENZA DEL PENSIERO E COSCIENZA MORALE La Filosofia della Libertà nella seconda parte affronta questa libertà conseguita nel pensiero collegandola con le libere scelte morali e rivelandola quindi come pensiero micheliano.
GOETHEANESIMO L’incontro con il pensiero di Goethe e la curatela delle opere scientifiche di cui Steiner fu incaricato, rappresentano un’influenza decisiva e chiarificatrice dell’approccio innovativo che Steiner avrà con il mondo delle scienze naturali e che sfocerà negli impulsi dati attraverso la biodinamica e la medicina antroposofica. NATURA COME MANIFESTAZIONE DELLO SPIRITO Esistenza di un concetto soprasensibile unitario che racchiude in sé tutti i momenti singoli del divenire formale. L’intuizione della Urpflantze come elemento capace di legare sensibile e soprasensibile. Intuizione basilare nella futura concezione dell’Etere di Vita. CENTRALITÀ DELL’UOMO NELL’OSSERVAZIONE SCIENTIFICA Goethe riporta l’uomo in una posizione centrale e cosciente durante l’osservazione scientifica infrangendo il principio di presunta obiettività dell’osservazione del fenomeno: l’osservazione è soggettiva. METAMORFOSI Fondamento evolutivo che caratterizza l’organismo vivente e che si esprime attraverso ritmi di contrazione ed espansione. La pianta è una evoluzione metamorfica della foglia che attraverso contrazione ed espansione si metamorfosa nelle singole parti costitutive della pianta. L’intuizione è a fondamento del concetto che ogni mutamento è già inscritto necessariamente nel vivente grazie all’idea dell’organismo intero. OSSERVAZIONE MORFOLOGICA Per poter cogliere l’evoluzione del vivente come metamorfosi di un elemento originario è necessario procedere a una osservazione morfologica della realtà che anteponga, a ogni osservazione causale o teleologica, l’attento esame dei mutamenti della forma e dei suoi nessi correlativi con forme e processi apparentemente distanti. La natura vivente può essere colta solo da un pensiero vivente, metamorfico, che procede come la natura stessa. ARTE E SCIENZA Per Goethe arte e scienza scaturiscono da un unica fonte di cui sono espressioni diverse. Mentre la scienza si immerge nella realtà per esprimere in forma di idee le forze propulsive, l’artista utilizza quelle stesse forze propulsive per poter plasmare la sua materia. Steiner farà dell’elemento artistico uno strumento di comprensione e conoscenza.
FORZE ETERICHE
FORZE DELLA SUBNATURA - Elettricità, magnetismo, forza nucleare Esistono forze che agiscono al di sotto del piano fisico, cioè in un piano privo di spazialità. Sono forze in opposizione alle corrispondenti forze eteriche di vita, ed esercitano una azione di distruzione delle forze vitali ben diversa dall’azione delle forze fisiche. Le forze fisiche agiscono infatti come polarità naturale alle forze eteriche, indispensabili per determinare il ritmo di contrazione delle forze vitali. Nella natura le forze hanno continuità, nella subnatura invece hanno carattere quantico o di particella. ELETTRICITÀ contro ETERE DI LUCE L’elettricità è l’etere di luce che distrugge se stesso nella materia, luce estremamente compressa nella materia. MAGNETISMO contro ETERE DI SUONO Il concetto di massa è connesso alla forza fisica bidimensionale aggregatrice mentre il movimento è in relazione con l’etere di suono. Nelle particelle elementari il magnetismo compare come spin attraverso il movimento rotatorio delle particelle, forza corrotta del movimento rotante dell’etere di suono. FORZA NUCLEARE - ETERE DI VITA La forza nucleare mostra corrispondenze con l’etere di vita, ma ne ottiene l’effetto opposto. Il principio di Pauli secondo cui tutte le particelle di un atomo si muovono sempre senza urtarsi, come fosse presente una coscienza generale che le dirige ricorda l’attività coordinatrice dall’interno dell’etere di vita. Ma la forza nucleare, adimensionale e puntiforme, tende invece a disgregare e distruggere il vivente. Il neutrone è manifestazione dell’etere di vita nell’atomo.
Si tratta di forze soprasensibili che determinano la presenza della vita, laddove le forze meccaniche sono legate alla materia inerte. Sono capaci di manifestare elementi di levità, di crescita, innalzando la materia in contrasto con la forza di gravità grazie a una forza di risucchio che agisce dalla periferia cosmica. Queste forze hanno origine nel piano all’infinito della geometria proiettiva, spazializzano partendo dalla periferia originaria, irraggiando verso lo spazio interno creano uno spazio negativo e non possono essere afferrate con il calcolo matematico. Sono forze universali. Agiscono inseparabilmente dalle forze fisiche a essi polari e corrispondenti. ETERE DI LUCE Legato all’elemento aeriforme questa forza, nell’inorganico, rendendo le superfici distinguibili, crea i confini dello spazio, genera periferia e spazializza. Nell’organico agisce come origine della spazialità degli esseri viventi, come forza di crescita. La forza fisica corrispondente è la forza di addensamento, contrazione e concentrazione. ETERE DI SUONO Legato all’elemento fluido, è la forza di sdoppiamento e di divisione, agisce nell’intervallo, crea rapporti d’ordine e manifesta l’armonia del mondo numerico. Nell’organico è la forza di divisione cellulare. La forza fisica opposta è la forza di gravità, o forza preservatrice di massa, che annulla la divisione, agglomera in una massa in cui l’ordine è caotizzato. ETERE DI VITA Legato all’elemento terrestre è forza di unità e di risanamento, è la forza che agisce nella forma creando forme volumetriche e plastiche. Determina l’orientamento spaziale. Non si manifesta solo nella mutevolezza delle forme ma nella trasformazione del loro contenuto, quindi il ricambio delle sostanze. Può permettere assimilazioni di sostanze e loro eliminazione. Ma la sua caratteristica principale è la sua attività coordinatrice dell’intero in corpi in cui ogni parte è in rapporto con tutto il resto. La forza contrapposta è quella di scissione, frammentazione, di dissoluzione della forma, il cui scopo è quello di svincolare il frammento più piccolo possibile, l’atomo. ETERE DI CALORE Legato all’elemento fuoco, è elemento primordiale e creatore del tempo. L’etere di calore è la forza del divenire, del sorgere, è la forza del futuro. La forza contrapposta è il calore fisico, la forza di estinzione, dissipamento. È la forza di ciò che è passato si è dissolto, calore estinguentesi.
CALENDARIO BIODINAMICO
ANALITICA DELLE FORZE ETERICHE
I calendari biodinamici danno indicazione delle pratiche agricole da svolgere a seconda dei ritmi astronomici principali. Il primo e più noto calendario biodinamico è quello messo a punto da Maria Thun, ma molti altri agricoltori biodinamici hanno arricchito con le loro sperimentazioni e osservazioni queste indicazioni: Harmut Spiess, Proctor e Podolinsky Masson e Zago. Qui di seguito le principali lavorazioni e gli atti agricoli legati ai ritmi, su cui vengono date indicazioni nel calendario. PIANTAGIONE E SEMINA LAVORAZIONI DEL TERRENO RACCOLTA POTATURE E TAGLIO DEGLI ALBERI CONTROLLO DELLE CRITTOGAME ALLESTIMENTO E DISTRIBUZIONE DEI PREPARATI ALLESTIMENTO E DISTRIBUZIONE DEL COMPOST LOTTA AGLI INSETTI NOCIVI TRASFORMAZIONE DEI PRODOTTI
Una scienza naturale che tiene conto di forze eteriche e astrali, forze vitali non misurabili attraverso peso e dimensionalità, ha cercato di sviluppare una sua propria metodologia analitica facendo tesoro delle osservazioni morfologiche del goetheanismo. Gli strumenti analitici della biodinamica e della medicina, oltre la verifica sperimentale e l’osservazione in campo, si basano su immagini formali date dal contatto della sostanza con reagenti, che vengono valutate da una lettura semeiotica visiva affinata con l’esperienza. Gli esperimenti iniziati da Lily Kolisko e Ehrenfreid Pfeiffer negli anni Venti e Trenta sono stati successivamente ampliati. L’agricoltura biodinamica si avvale quindi contemporaneamente di analisi della sostanza e della sua organizzazione vitale. CRISTALLIZZAZIONE SENSIBILE Su una lastra di vetro viene distribuito del cloruro di rame assieme alla sostanza organica da analizzare. Si attende che il composto si asciughi lasciando sul vetro la forma disegnata dall’interazione dei due elementi che darà vita a un immagine capace di darci informazioni sulla vitalità della sostanza e sulla sua organizzazione. Analisi particolarmente utilizzata per sostanze liquide. DINAMOLISI CAPILLARE Utilizza una carta cromatografica assorbente che viene prima imbevuta della sostanza organica, poi da una soluzione di nitrato d’argento e successivamente di solfato di ferro fino a un’altezza di circa 12 centimetri, permettendo di leggere la vitalità della sostanza organica attraverso l’immagine creata dalle linee di risalita dei cristalli di nitrato e solfato. CROMATOGRAFIA Impiega una carta cromatografica imbevuta di nitrato d’argento essiccato. In seguito, al centro viene posta una soluzione della sostanza organica da analizzare che viene assorbita muovendosi verso l’esterno e creando una figura circolare capace di darci informazioni sull’elemento analizzato. Analisi particolarmente adatta alla conoscenza della vitalità dei suoli e dei compost.
RITMI ASTRONOMICI RITMI LUNARI SINODICO È il ritmo di più facile e comune osservazione, è quello che va dalla luna nuova alla luna piena e nuovamente all’eclisse di luna con una durata di 29,53 giorni. Questo ciclo è considerato quello più importante per la moltiplicazione cellulare della pianta. TROPICO Corrisponde al periodo in cui la luna si trova in parte al di sopra e in parte al di sotto dell’equatore celeste con un moto ascendente o discendente rispetto a esso. Riproduce il ciclo solare annuale di estate e inverno. Ciclo essenziale per la crescita radicale e quindi per i periodi di semina e trapianto, ha una durata di 27,3 giorni. SIDERALE È il moto compiuto dalla Luna che sostando attorno alla terra attraversa le 12 costellazioni zodiacali in 27,3 giorni. Le dodici costellazioni sono in grado di influenzare e rafforzare l’azione delle quattro diverse forze eteriche in relazione agli organi della pianta determinando giorni di radice, foglia, fiore e frutto. ANOMALISTICO Rappresenta la traiettoria ellittica della Luna che converge a una distanza minima dalla terra detta Perigeo e a una distanza massima detta Apogeo e ha durata di 27,55 giorni. Se la Luna è in Perigeo stimola le attività di crescita e di riproduzione del vivente ma anche l’attività della proliferazione di parassiti e crittogame, se in Apogeo intensifica le forze solari e indica cautela nell’uso di preparati che le esaltano. DRACONITICO È ritmo determinato dai nodi lunari cioè dai punti di intersezione fra l’orbita della luna e il piano dell’eclittica, una volta in fase ascendente e una volta in fase discendente. Dura 27,2 giorni. Molte esperienze hanno indicato il momento dei nodi lunari come negativo, sconsigliando ogni attività agricola per un periodo che varia dalle 3 alle 24 ore precedenti e successive al nodo. RITMI SOLARI RITMO ANNUALE TROPICO Abbiamo un sole ascendente, da Natale a San Giovanni (24 giugno) e un sole discendente, da San Giovanni a Natale, che determina il susseguirsi delle quattro stagioni. RITMO ANNUALE SIDERALE Anche il sole ci appare nel corso dell’anno di fronte a costellazioni sempre diverse come accade per la Luna e questo sembra essere in grado di influire ad esempio sulla qualità della semina delle diverse piante. Esiste anche un ritmo siderale cui accenna Maria Thun, dato dalla rotazione del sole sul proprio asse che ci viene riflesso a noi dalla ritmo siderale della luna. RITMO GIORNALIERO Questo ritmo corrisponde alle fasi di respirazione della terra, fase ascendente di espirazione da mezzanotte a mezzogiorno e fase di inspirazione da mezzogiorno a mezzanotte. Le ore di passaggio dalle 12 alle 15 e dalle 24 alle 3 sono da sconsigliare per le lavorazioni. RITMI PLANETARI NODI PLANETARI I nodi planetari sono l’intersezione delle orbite planetarie con il piano dell’eclittica. I nodi dei pianeti infrasolari, Mercurio e Venere, hanno una ricorrenza di 48-38 giorni il primo e di 110 il secondo. I nodi dei pianeti sovrasolari Marte, Giove e Saturno, sono più rari e provocano alterazioni per diversi giorno i prima e dopo il passaggio. TRIGONI QUADRATURE QUINTILI E SESTILI Segnalano sopratutto importanti cambiamenti metereologici e ambientali in particolar modo se messi in relazione alla costellazione di fronte alla quale si trovano. OPPOSIZIONI E CONGIUNZIONI Le opposizioni dei pianeti sono in genere da considerarsi favorevoli ai processi vitali mentre le congiunzioni hanno effetto opposto.
SOSTANZA AZOTO CARBONIO OSSIGENO ZOLFO E IDROGENO Per porre le basi dello comprensione profonda della concimazione, di contro all’apporto di elementi azotati introdotti attraverso i concimi chimici, Steiner offre una lettura dei processi sovrasensibili legati all’azoto mettendolo in connessione con gli altri elementi a cui si unisce nella costituzione delle proteine. Carbonio, Ossigeno e Azoto, assieme ai veicoli Zolfo e Idrogeno, sono gli intermediari e i portatori di spirituale, eterico e astrale all’interno della sostanza. Questi elementi sono anche in connessione con calcare e silice, base della sostanza terrestre. L’azoto è infatti indispensabile portatore di astralità al calcare e le leguminose hanno il compito di attrarre l’azoto atmosferico e introdurlo e fissarlo dentro il suolo. La concimazione ha quindi la funzione di vivificare il terreno con quantità di azoto che bastino a convogliare gli elementi vitali nel terreno in una visione diversa da quella dell’apporto ponderale di elementi sottratti dalla crescita della pianta. SEME Queste sostanze che abbiamo visto essere alla base della formazione proteica, possono essere convogliate tramite l’idrogeno verso la creazione del seme. Il seme contiene al suo interno la pianta potenziale, capace di connettere terra, nello sviluppo radicale, e forze eteriche del cosmo, attraverso il germoglio in crescita. La germinazione è correlata a una specie di caotizzazione delle proteine al suo interno, un caos che è in relazione al caos presente nel cosmo che precede la formazione di sistemi e di vita, e ha un rapporto diretto con il mondo stellare e le forze eteriche, che spazializzano e orientano la crescita della nuova pianta. La comprensione del ruolo delle sementi, il loro trattamento, la pratica della rigenerazione sono essenziali per una agricoltura biodinamica vivente. SILICE / ARGILLA / CALCARE SOSTANZE TERRESTRI Il rapporto fra questi tre elementi sostanziali costitutivi del suolo determina la vita vegetale. Attraverso la silice, elemento preposto allo sviluppo del polo nutrizionale della pianta capace di infondere sapore e colore, i pianeti esterni portano la loro influenza all’interno della Terra. Attraverso il calcare, preposto alla riproduzione e moltiplicazione della pianta, vengono attratte nel terreno le forze dei pianeti interni, mentre l’Argilla che porta l’influenza solare, ha il compito di collegare le due direzioni di forze e renderle accessibili alle piante tramite le sostanze umiche. L’equilibrio di Silice Argilla Calcare è fondamentale per la vita vegetale e si interviene sul processo e l’equilibrio di questi elementi anche attraverso i preparati biodinamici e il cumulo. Nello sviluppo della pianta agiscono, attraverso la Silice e i pianeti esterni delle forze ordinatrici co-
agulanti e attraverso il Calcare e i pianeti interni, delle forze generative solventi un dialogo che permette la forma fisica della pianta e la sua capacità nutritiva e riproduttiva. TRIPARTIZIONE DELL’ORGANISMO AGRICOLO Steiner individua anche per l’organismo agricolo, oltre che per la pianta una tripartizione sulla base della tripartizione funzionale dell’essere umano. Attraverso questa tripartizione possiamo mettere in luce quali siano i rapporti fra sostanza terrestre/vita sotto il suolo con la sostanza vegetale e proteica/vita sopra il suolo e il ruolo del terreno e dell’humus nella mediazione fra questi due ambiti di vita. Secondo Steiner il terreno è un vero e proprio organo che si può paragonare al diaframma dell’organismo umano che deve agire come elemento mediano fra ciò che avviene sopra al terreno e ciò che avviene sotto. Sopra il terreno ha luogo la vita animale e vegetale, la respirazione e il metabolismo degli zuccheri della pianta. Sotto il terreno, attraverso calcare silice e argilla avviene lo scambio con le influenze cosmiche. BOTANICA MORFOLOGICA E FENOMENOLOGIA DELLA PIANTA L’influsso del goetheanismo da vita a una nuova visione della botanica legata allo studio dell’evoluzione morfologica della pianta, alla sua correlazione con l’ambiente e quindi anche con il sistema planetario e a una nuova lettura fenomenologica che la collega strettamente con forze eteriche mettendola in relazione alla triarticolazione umana e alle conseguenti capacità curative della pianta nei diversi sistemi funzionali. Una nuova comprensione della pianta, ne permette anche un uso nel mondo vegetale sotto forma di tisana o macerato per la prevenzione di squilibri o malattie. METAMORFOSI DELLA PIANTA La teoria della metamorfosi della foglia come elemento fondativo di tutta la pianta alla base dell’ipotesi della Urfplantze di Goethe viene ripresa e approfondita negli studi di Gerbert Grohmann che mostrano attraverso esempi e immagini questo nuovo approccio morfologico introducendo un modo di osservare il vegetale radicalmente diverso rispetto alla botanica convenzionale. MORFOLOGIA BOTANICA E RITMI PLANETARI LA direzione di ricerca che affianca l’indagine botanica a quella astronomica è stata sviluppata in particolar modo da Ernst Kranich che ha tratto da queste osservazioni indicazioni sul rapporto tra forme di crescita vegetale e orbite planetarie, associando le diverse famiglie vegetali all’influenza dominante di un pianeta. LE PIANTE IN RELAZIONE ALL’UOMO Un altra direzione importante degli studi botanici è stata indagata da Wilhelm Pelikan che ha ampliato l’idea della tripartizione funzionale della pianta. Attraverso l’osservazione e la descrizione di crescita e comportamento, la pianta viene messa in correlazione con la tripartizione degli ambiti funzionali dell’organismo umano evidenziandone le proprietà medicinali secondo l’ampliamento medico antroposofico. PIANTE E TERRENO La visione della pianta all’interno di un ambito funzionale più ampio permette l’indagine sui rapporti fra piante e il terreno in cui crescono. Possono essere piante che consideriamo infestanti ma che evidenziano lo stato di salute e la struttura dei suoli o piante di particolare importanza nei sovesci e nella fissazione dell’azoto atmosferico come le leguminose. Pfeiffer, Wistinghausen e molti altri sono autori di studi importanti. TISANE, MACERATI E DECOTTI Lo studio delle piante secondo le linee di ricerca sopra indicate, ha portato anche a individuare le proprietà curative dei vegetali all’interno del loro stesso regno. Nascono così ricerche sull’utilizzo di tisane e macerati che, accanto alle più note come quelle di ortica o equiseto, ne affiancano molte altre sperimentate da agricoltori biodinamici e raccolte da Bouchet e Masson. Queste preparazioni sono di grande aiuto per stimolare difese e riequilibrare processi nella pianta che permettono di ridurre le quantità di rame e zolfo utilizzata.
tassio, azoto, idrogeno e carbonio che formano la sostanza e sulle forze eteriche formatrici legate al rispetto dei ritmi astronomici per l’allestimento, la dinamizzazione e la spruzzatura. I preparati nascono da una idea di collaborazione fra i tre regni di natura, impiegando e mettendo in sinergia elementi vegetali, animali e minerali che armonizzino fra loro l’operare dei tre regni. La comprensione della complessa ratio dei preparati, cioè le motivazioni profonde legate alla scelta delle piante e degli involucri impiegati, è fondamentale perché l’operare dell’agricoltore sia pienamente cosciente e permetta di adattare i preparati alle necessità della realtà agricola in cui si trova. PREPARATI IDEATI DA STEINER CORNOLETAME o 500 Lavora sul polo calcareo del suolo e sull’apparato radicale della pianta. Favorisce la vita microbica e la formazione di humus, regola il ph, stimola la germinazione e il sistema radicale, combatte il processo di salinizzazione. Viene allestito introducendo letame di alta qualità all’interno di un corno di mucca seppellito nel suolo durante il periodo invernale. CORNOSILICE o 501 Lavora sul polo aereo e sull’apparato fogliare della pianta. Attraverso il processo siliceo rafforza la correlazione fra la pianta e le forze eteriche e formatrici presenti nel cosmo. Lavora sulla luce, quindi sulla strutturazione della pianta, sull’epidermide delle foglie ostacolando le tendenze alle malattie crittogame, favorisce la crescita verticale, migliora le qualità nutritive. Viene allestito introducendo del quarzo finemente polverizzato e impastato con acqua all’interno di un corno di mucca seppellito nel suolo nel periodo estivo. PREPARATI DA CUMULO Vanno inseriti nel cumulo di letame o materiale vegetale per aiutarne la corretta trasformazione in composto umico. ACHILLEA o 502 Legato alla mobilità dello zolfo e del potassio viene allestita inserendo le infiorescenze dell’achillea all’interno della vescica di cervo. CAMOMILLA o 503 Legata al metabolismo del calcio, regolarizza il processo dell’azoto. ORTICA o 504 L’ortica, legata ad azoto e ferro rafforza i primi due preparati, regola la trasformazione umica e introduce una sorta di ‘ragione’ e organizzazione all’interno del compost. CORTECCIA DI QUERCIA o 505 In rapporto con il calcio attenua le malattie vegetali legate alla proliferazione. TARASSACO o 506 Legato all’acido silicico e all’idrogeno il preparato è in grado di orientare il processo del potassio, del calcare e dell’azoto. VALERIANA o 507 Aiuta la mobilizzazione del fosforo nel suolo e spruzzata sul compost forma una sorta di pelle protettiva capace di attrarre forze di calore. PREPARATI IDEATI DAI SUOI ALLIEVI FLADEN di Maria Thun Utilizzato come acceleratore di processi di decomposizione e compostaggio, dato sui sovesci o sugli stabulati delle stalle, è particolarmente efficace nei suoli molto calcarei. 500P di Alex Podolinsky Vengono aggiunti al 500 i sei preparati da cumulo. Permette l’impiego di questi preparati laddove sia difficile utilizzare il compost biodinamico o nella trasformazione e nell’accelerazione dei processi di compostaggio in campo del sovescio. Molto efficace, può indurre mineralizzazione nei suoli dove la materia organica da trasformare è carente. 500 URTICA Lust e Bouchet Una dose quadruplicata di 500 viene dinamizzata utilizzando una tisana d’ortica macerata 24 ore. Irrorata sulle foglie è utile per virosi e blocchi vegetativi. PREPARATI di Hugo Erbe Le indicazioni di questi preparati rivolti sopratutto al ruolo mediatore dell’argilla e agli esseri elementari, sono state ritrovate e ripubblicate di recente da Agribio. Solo alcuni di questi sono stati allestiti e la sperimentazione è in fase iniziale.
PREPARATI BIODINAMICI INCENERIMENTI L’uso dei preparati biodinamici è, assieme all’attenzione alla fertilità della terra e alla comprensione del ruolo dell’humus, uno degli elementi irrinunciabili della pratica biodinamica. I preparati nascono dall’intuizione di Steiner e dalla realizzazione pratica dei suoi allievi dopo il corso di Koberwitz. Il ruolo dei preparati è quello di riequilibrare le alterazioni che pratiche agricole moderne di concimazione e forme di allevamento animale hanno portato all’interno del suolo e della capacità della pianta di mettersi in relazione con le forze eteriche formatrici. I preparati agiscono infatti sul rapporto fra calcare e silice presenti nel terreno e nella pianta, sui processi di zolfo, po-
Gli incenerimenti o calcinazioni sono la pratica indicata da Steiner per dialogare con la natura sul rapporto fra le colture umane e le erbe infestanti, gli insetti o gli altri animali che le ostacolano. Questo processo, legato al lavoro su forze e processi, consiste nel raccogliere e bruciare i semi delle piante infestanti, invertebrati, o pelli di vertebrati secondo una ratio legata allo sviluppo embriologico di questi animali. Le ceneri, dinamizzate attraverso succussione, vengono poi sparse per un periodo della durata di quattro anni secondo le indicazioni del calendario riguardanti le posizioni di Venere nelle costellazioni.
o Jan Hendrik Erbach, Pian dell’Orino
Ritmi e processi vitali della natura Nell’osservare la Natura dovete sempre osservare l’uno come il tutto. Nulla è dentro e nulla è fuori, poiché ciò che è dentro è fuori. Così capirete senza indugio il sacro, il palese mistero Johann Wolfgang Goethe, Epirrhema “È ritmica la crescita di una foglia dopo l’altra nella pianta; è ritmica la disposizione dei petali, ritmiche sono tutte le disposizioni. È ritmica la comparsa della febbre durante una malattia che poi si ricalma; tutta la vita è ritmica. L’essere pervaso dai ritmi della natura, questo sarà la vera scienza.” (R. Steiner, 1918) nche nel cosmo — che significa “ben disposto”, “buon ordine” — ritroviamo il ritmo come caratteristica e azione in entrambe le sue manifestazioni. Dall’esterno, nello spazio planetario e stellare in cui ci troviamo immersi, e allo stesso tempo dall’interno, nella terra, nelle piante, negli animali e negli uomini. I ritmi portano quindi la vita, e riconoscere i processi ritmici nella natura è basilare per l’agricoltura che aspira a produrre alimenti sani e vitali di massima qualità. In questo contesto un aspetto fondamentale è rappresentato dai quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Secondo Aristotele esiste anche un quinto elemento — l’etere — che è “ciò che è diverso da terra, acqua, aria e fuoco, e che è eterno e gira in eterno” (De coelo). Per Steiner l’essenza vitale, presente dentro di noi come nelle piante, è proprio il corpo eterico; mentre la forma e l’immagine, cioè il corpo puramente fisico, nasce dalla combinazione degli elementi sotto l’effetto dell’eterico. È l’etere infatti che “traduce” gli influssi degli astri in forma e immagine agendo come forza plasmante: una sorta di architetto del corpo fisico, sia nella flora che nella fauna. Le costellazioni che cambiano continuamente e si ripetono ritmicamente sono la chiave per la comprensione dei processi vitali nella natura in generale, e in particolare nelle nostre vigne. Alla crescita della pianta partecipa tutto il cielo con le sue stelle! Sono le loro forze infatti a creare la sostanza: quelle dell’ariete, ad esempio, creano il quarzo; quelle del toro l’azoto, ecc. In questa dialettica è particolarmente importante quindi osservare i ritmi delle costellazioni, per poter armonizzare ogni lavoro colturale nella vigna con le forze fisiche, plasmanti e vitalizzanti, che dominano in quel momento. Nella loro rotazione intorno a Terra e Sole, Luna e Terra attraversano tutte le costellazioni dell’eclittica. Se consideriamo che a ogni segno dello zodiaco è abbinato un elemento, ogni elemento viene collegato a tre segni zodiacali: fuoco/calore per ariete, leone e sagittario; aria/luce si lega a gemelli, bilancia e vergine, ecc. Secondo la mia comprensione, le tre costellazioni abbinate a uno stesso elemento esercitano però un’azione qualitativamente diversa sulla vita e sulla vite (ad esempio nella formazione del frutto); così l’influsso della costellazione del leone con terra/luna nel segno si distingue qualitativamente da quello dell’ariete o del sagittario. Per avere un vino armonico abbiamo bisogno di uve armoniche. Soltanto con una tripla ripetizione di un lavoro nei momenti in cui la Luna si trova in un segno zodiacale (per esempio ariete, leone, sagittario) abbinato a un certo elemento, possiamo esercitare un azione positiva completa e armonizzante su frutto, fiore, foglia o radice. Questo rispecchia anche la mia comprensione della Tria principia, la trinità dell’essere.1 L’influsso delle costellazioni dello zodiaco sulla Terra tramite gli elementi varia a causa del passaggio dei pianeti interni ed esterni al nostro sistema solare, rafforzando o indebolendo il loro effetto sugli elementi a seconda della costellazione dominante. Questo influenza non solo la crescita delle piante, ma anche il vento e il clima. Se si considera la relazione tra fitormoni e pianeti è opportuno fare riferimento al lavoro di Jürgen Fritz del 20032, nel quale cerca di contrapporre su piani paralleli le riflessioni di Steiner sull’effetto dei pianeti
sulla crescita delle piante a fenomeni botanici. Molto evidente in questo senso è la connessione tra fitormoni e azione dei ritmi lunari. La gibberellina, ad esempio, stimola soprattutto la crescita longitudinale dell’asse del germoglio e la formazione del frutto: con l’applicazione di gibberellina si può trasformare una pianta di fagiolini ad arbusto in una pianta di fagiolini rampicante. In modo molto simile si comportano le piante che sono state seminate quando la Luna era alla massima distanza dalla Terra (apogeo), che tendono maggiormente a una crescita longitudinale e a propagarsi verso l’alto. Da ciò si possono dedurre possibili connessioni che suggeriscono di coinvolgere la scienza moderna come disciplina complementare nella visione biodinamica. All’interno di questo quadro, il calendario di Maria Thun è uno strumento prezioso e indispensabile per la pianificazione e l’esecuzione dei lavori giornalieri. Alcuni esempi:
A
- Semina dell’inerbimento in giorni fiore in ottobre/novembre. - Trattamento con cornoletame per rinforzare le forze formatrici che incidono sulla crescita delle radici, sotto la costellazione che favorisce la vitalità, quindi nei giorni di terra/radice in ottobre/novembre. - Trattamento con silice: 3x intorno al germoglio nei giorni frutto; 3x intorno al fiore; 3x intorno all’invaiatura. - Mal dell’esca: 3x cornoletame nei giorni di terra/radice sui piedi colpiti in primavera e in autunno; durante la stagione da 3 a 6 trattamenti con l’equisetum sulle foglie prima della Luna piena; ai primi segni eliminare sempre l’uva per rinforzare le radici e aumentare la capacità di autodifesa. La parte più importante per la pianta sono le radici e non l’uva! - Il raccolto dovrebbe essere fatto nei giorni frutto con luna crescente, ma la situazione climatica può costringerci ad altre decisioni. A ogni trattamento seguono poi lavori di zappatura, sia manuali che meccanici. Una sempre più approfondita conoscenza dei principi della biodinamica risulta certamente indispensabile in questo tipo di lavorazione. La biodinamica si basa sulle convinzioni dell’antroposofia, scienza umana che descrive una comprensione sensitiva/sensoriale dei processi vitali. Immaginazione, ispirazione e intuizione sono i più importanti mezzi di conoscenza attraverso i nostri sensi, e rappresentano la fonte del nostro agire. L’approccio scientifico rimane insufficiente e non riesce a spiegare l’interezza delle connessioni. Ridurre la lavorazione biodinamica a una semplice ricetta non può riuscire: questa infatti non si basa su immaginazione, ispirazione e intuizione tramite l’esperienza sensitiva/sensoriale della natura, ma soltanto sull’azione statica secondo delle prescrizioni. Se mi dovessi basare su ciò che ho imparato durante i miei studi enologici non troverei risposta a molte delle domande che mi si pongono durante il lavoro quotidiano. Il comparire ritmico di certi funghi o insetti mi hanno fatto dubitare ad esempio dei modelli fenologici imparati a scuola, mentre nelle descrizioni cronobiologiche si trovano invece interessanti riflessioni che analizzano l’influsso ritmico dei fitormoni nelle piante con spiegazioni convincenti. L’avvicinamento alla biodinamica e all’utilizzo dei preparati come possibilità colturale alternativa per la lavorazione delle vigne è stata la prosecuzione naturale di queste riflessioni, ma resta ancora molto da approfondire e capire. Credo tuttavia che il dialogo con la scienza moderna sia importante e necessario. Il mondo materiale è tangibile e matematico: la scienza può dare il suo contributo per accompagnare, confermare o portare un punto di vista critico alle esperienze della scienza umana (antroposofia). La quantità è misurabile e si serve dell’analisi; la qualità invece è un’esperienza che appartiene alla sfera sensoriale e sensitiva. L’analisi scientifica e l’osservazione delle cose dal punto di vista delle scienze umane rappresentano diversi approcci alla conoscenza: ritengo che un percorso comune in un’ottica di reciproco completamento sia la strada più sensata.
1 Riferimento alla dottrina alchemica dei tria principia o tria prima, ossia zolfo (sulphur), mercurio (mercurius) e sale (sal), principi contenuti nei quattro elementi e collegati ai segni zodiacali, che corrispondono ai tre momenti del processo chimico (combustione/condensazione/calcinazione), alle parti dell’essere umano (anima/spirito/corpo), alle fasi del giorno e del ciclo vegetativo. 2 J. Fritz, Forschung - Biologisch-dynamische Pflanzenbaugrundlagen, in “Lebendige Erde”, 2003.
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Convertir la ragione in passione Da Goethe a Leopardi. Per un pensiero poetante o Barbara Corazza
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Goethe: «Tutto è foglia» Leopardi: «Tutto è male»
E già due anni prima scriveva: La scienza della natura non è che scienza di rapporti. Tutti i progressi del nostro spirito consistono nello scoprire i rapporti. Ora, oltre che l’immaginazione è la più feconda e maravigliosa ritrovatrice de’ rapporti e delle armonie le più nascoste, come ho detto altrove; è manifesto che colui che ignora una parte, o piuttosto una qualità una faccia della natura, legata con qualsivoglia cosa che possa formar soggetto di ragionamento, ignora un’infinità di rapporti, e quindi non può non ragionar male, non veder falso, non iscuoprire imperfettamente, non lasciar di vedere le cose le più importanti, le più necessarie ed anche le più evidenti. (1836)
N
el saggio di botanica La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790, Goethe racconta la sua ipotesi di ricerca in forma autobiografica, perseguendo, da poeta e scienziato, filosofo e pittore — si è detto che è stato l’ultimo uomo universale — una sintesi fra campi del sapere già allora considerati distinti e inconciliabili. La stessa canzone mi era ripetuta da altre parti; nessuno voleva ammettere che si potessero combinare scienza e poesia. Si dimenticava che la scienza è uscita dalla poesia, né si considerava che, mutando i tempi, le due potrebbero amichevolmente ritrovarsi, con vantaggio reciproco, su un piano superiore.1
La facoltà immaginativa, sola in grado di scoprire le “armonie le più nascoste” nelle cose, è quella che consente di riconoscere il bello, è la facoltà poetica. Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d’illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l’immenso sistema del bello, chi non legge o non sente o non ha mai letto o sentito i poeti, non può assolutamente essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato, di corta vista, di colpo d’occhio assai debole, di penetrazione scarsa, per diligente, paziente, e sottile e dialettico e matematico ch’ei possa essere; non conoscerà mai il vero, si persuaderà e proverà colla possibile evidenza cose falsissime. (1833)
Per Goethe la ricerca scientifica non è separata dalla ricerca estetica, la sua indagine sulla natura è un’indagine sulla forma, o meglio sulla formazione e la trasformazione delle forme, nel processo creativo della natura. Per questo motivo cerca un modello conoscitivo che restituisca le dinamiche metamorfiche, l’eterno divenire dell’uguale, il doppio movimento della forma che è insieme stasi e movimento, identità e mutamento, struttura e vita, uno e tutto 2. Per “penetrare nell’insieme organicamente collegato” della natura non è sufficiente l’osservazione analitica, che scompone il vivente togliendogli la vita, ma è necessaria una “visione intuitiva” che colga le relazioni, visibili e invisibili: lo sguardo dello scienziato dev’essere quello del poeta e dell’artista.
Non si tratta, va sottolineato, di una prospettiva irrazionalistica che afferma il primato del sentimentale sul razionale, dello spirituale sul sensibile, al contrario. L’immaginazione, le illusioni, le passioni sono strettamente legate al corpo per Leopardi. Il sentire poetico ha una valenza conoscitiva — la capacità di penetrare profondità e distanze, cogliere connessioni e somiglianze, creare visioni d’insieme — che non è alternativa ma complementare all’indagine razionale, ed è nella tensione con essa che prende corpo la conoscenza. Il “vero e perfetto filosofo” dev’essere anche “sommo e perfetto poeta; ma non già per ragionar da poeta; anzi per esaminare da freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che il solo ardentissimo poeta può conoscere.” (1839) Scienza e poesia, sembra far eco Leopardi a Goethe, non solo possono, ma devono combinarsi, per comprendere il “modo di essere” della natura, che è poetico.
Osservando le cose naturali, ma soprattutto gli esseri viventi, col desiderio di penetrare nell’insieme organicamente collegato del loro esistere e del loro agire, noi crediamo di riuscirvi meglio scomponendoli in parti; e, certo, questo procedimento ci permette di fare molta strada. Basta un cenno per ricordare agli amici del sapere tutto ciò che dobbiamo alla chimica e all’anatomia umana per la comprensione e la visione generale della natura. Senonché questi sforzi analitici, portati continuamente innanzi, recano in sé molti svantaggi. Ciò che prima era vivo è bensì scomposto in elementi; ma da questi non si può ricomporlo né, tanto meno, ridargli vita. Perciò, in tutti i tempi, gli scienziati hanno sentito il bisogno di conoscere il vivente in quanto tale, di vederne in mutuo rapporto le parti esterne visibili e tangibili, di considerarle indizi del loro interno, e per tal modo dominare l’interno, per così dire, in una visione intuitiva. Come quest’aspirazione scientifica si ricolleghi all’impulso artistico ed imitativo, non occorre insistere.3
L’analisi delle idee, dell’uomo, del sistema universale degli esseri, deve necessariamente cadere in grandissima e principalissima parte, sulla immaginazione, sulle illusioni naturali, sul bello, sulle passioni, su tutto ciò che v’ha di poetico nell’intero sistema della natura. Questa parte della natura non solo è utile ma necessaria per conoscer l’altra, anzi l’una dall’altra non si può staccare nelle meditazioni filosofiche, perché la natura è fatta così. La detta analisi, in ordine alla filosofia, dev’esser fatta non già dall’immaginazione o dal cuore, bensì dalla fredda ragione che entri ne’ più riposti segreti dell’uno e dell’altra. Ma come può far tale analisi colui che non conosce perfettamente tutte le dette cose per propria esperienza o non le conosce quasi punto? La più fredda ragione, benchè mortal nemica della natura, non ha altro fondamento nè principio, altro soggetto di meditazione speculazione ed esercizio che la natura. Chi non conosce la natura, non sa nulla e non può ragionare, per ragionevole ch’egli sia. Ora colui che ignora il poetico della natura, ignora una grandissima parte della natura, anzi non conosce assolutamente la natura, perché non conosce il suo modo di essere. (1834-35)
Negli anni in cui Goethe pubblicava i suoi studi scientifici4, Giacomo Leopardi, da orizzonti geografici, biografici e poetici molto diversi, annotava considerazioni simili nel suo Zibaldone, quell’esempio supremo di scrittura magmatica e metamorfica “unico probabilmente in tutte le letterature” (Contini), che raccoglie il suo “pensiero in movimento” (Solmi) nella forma aperta e frammentaria di un “diario intellettuale” (Damiani) in cui temi e riflessioni appaiono e scompaiono, ritornano, si inabissano e riaffiorano, “come percorsi carsici” (Mengaldo), a distanza di tempo, in un continuo divenire della scrittura e del pensiero. Colpisce in particolare l’analogia con le pagine del 22 agosto 1823, in cui la critica a una conoscenza puramente razionale è ancora più decisa di quella di Goethe e poggia sulle stesse argomentazioni: lo sguardo analitico che, scomponendo, uccide e dunque non conosce veramente; la natura come insieme interconnesso di rapporti; la necessità di una comprensione generale, a cui si giunge con l’aiuto “dell’immaginazione” e “del sentimento”.
Freddo e caldo, ragione e natura, filosofia e poesia, verità e bellezza6: il pensiero leopardiano corre sempre sul filo teso e non-dialettico di opposizioni mai risolte, tessute da una scrittura densa e limpida, gioiosa nel ragionamento anche quando constata i limiti della ragione. Non c’è nulla di esoterico nel suo linguaggio. A differenza di Goethe, che nel giardino della natura vede racchiusi sacri enigmi da decifrare7, rimandando a una dimensione soprasensibile e iniziatica, Leopardi muove da un pensiero radicalmente materialistico e nichilistico, che “si dispiega in un incessante racconto della crisi, in uno sguardo sull’assenza e sull’abisso” (Prete). La caduta è irreversibile, la ferita non rimarginabile: l’abbandono del poetico ha fatto fuggire gli dèi, le stanze dell’Olimpo sono vuote, la ragione, divenuta nemica della natura, ha distrutto le illusioni che la rendevano viva e amica, condannando l’uomo all’infelicità della separazione. Eppure rimane, nel riconoscimento comune della frattura, il richiamo a uno sguardo poetico che solo può tentare di ricomporla, e la possibilità di tale sguardo anche da una prospettiva “materiale e fantastica e corporale” contrapposta a una “metafisica e ragionevole e spirituale”8. Nel Faust di Goethe, Homunculus — l’essere creato in laboratorio dall’uomo — è puro spirito e in quanto tale non vivo; per nascere deve congiungersi alla Natura, perdendo la propria spiritualità e acquisendo un corpo che partecipa al divenire della vita. L’intelligenza astratta ha bisogno dei sensi per diventare viva. Di questo incontro rimane, allora, una traccia, un’indicazione di metodo, l’invito a difendere il simbolico9, a inseguire un pensiero che sente, un sapere che non separa, una conoscenza viva nutrita da una ragione appassionata.
Chiunque esamina la natura delle cose colla pura ragione, senz’aiutarsi dell’immaginazione nè del sentimento, nè dar loro alcun luogo, [...] potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, cioè risolvere e disfar la natura, ma e’ non potrà mai ricomporla, voglio dire e’ non potrà mai dalle sue osservazioni e dalla sua analisi tirare una grande e generale conseguenza, nè stringere e condurre le dette osservazioni in un gran risultato; e facendolo, come non lasciano di farlo, s’inganneranno; e così veramente loro interviene. Io voglio anche supporre ch’egli arrivino colla loro analisi fino a scomporre e risolvere la natura ne’ suoi menomi ed ultimi elementi, e ch’egli ottengano di conoscere ciascuna da se tutte le parti della natura. Ma il tutto di essa, il fine e il rapporto scambievole di esse parti tra loro, e di ciascuna verso il tutto, lo scopo di questo tutto, e l’intenzion vera e profonda della natura, quel ch’ella ha destinato, la cagione (lasciamo ora star l’efficiente) la cagion finale del suo essere e del suo esser tale, il perché ella abbia così disposto e così formato le sue parti, nella cognizione delle quali cose dee consistere lo scopo del filosofo, e intorno alle quali si aggirano insomma tutte le verità generali veramente grandi e importanti, queste cose, dico, è impossibile il ritrovarle e l’intenderle a chiunque colla sola ragione analizza ed esamina la natura. La natura così analizzata non differisce punto da un corpo morto. (3237-39)5 1 J.W. Goethe, La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura, Guanda, Parma 1983, p.86. 2
È anche il titolo di una sua poesia sul processo di metamorfosi (Eins und Alles).
3
J.W. Goethe, cit., p.42.
4
Stuttgart-Tübingen 1817-1824.
6
E l’autobiografia di Goethe si intitola Poesia e Verità.
7
Cfr. la poesia La metamorfosi delle piante, in J.W. Goethe, cit., p.86
8 Cfr. il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in Giacomo Leopardi, Poesie e prose, vol.II, a cura di Rolando Damiani, Mondadori, Milano 1988.
5 Vedi anche il seguito. Le citazioni dello Zibaldone sono tratte dall’edizione critica a cura di Rolando Damiani, Mondadori, Milano 1997. I numeri tra parentesi si riferiscono alle pagine del manoscritto.
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Antonio Prete, Il pensiero poetante, Feltrinelli, Milano 1980.
i C l au d i o E l l i j
La natura è l’uomo rivelato a se stesso In quanto abbiamo esposto si troverà certamente qualcosa di insolito e sconosciuto, sia riguardo all’argomento che alla terminologia. Ma quando si considerano dei nessi cosmici da un nuovo punto di vista ciò è inevitabile. La comprensione e l’acquisizione dei nuovi svolgimenti di pensiero richiede molta buona volontà. Ci si deve immedesimare in essi. Occorre saper concepire in modo nuovo sia i fatti insoliti, sia quelli conosciuti. Per indicare e descrivere tali cose ci serviamo di espressioni linguistiche, consapevoli tuttavia che spesso non esistono temi appropriati. Spesso si accenna a qualcosa con sinonimi per additare un complesso di circostanze relativamente alle quali il lettore stesso deve farsi delle rappresentazioni. Ciò non avviene senza un continuo lavoro di pensiero e senza lo sforzo ripetuto di giungere a una visione d’insieme Ernst Marti, L’Eterico
e Intervista a cura di Nicoletta Bocca e Nicola Finotto
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laudio Elli è veterinario e lavora secondo i principi della medicina antroposofica. Si è accostato al pensiero di Rudolf Steiner possedendo quelli che sono gli strumenti di una cultura scientifica tradizionale dentro la quale si è formato. Proprio per questa sua preparazione e per la sua capacità di utilizzare entrambi i linguaggi, gli abbiamo chiesto di parlarci del possibile rapporto fra scienza convenzionale, biodinamica e medicina antroposofica. Le scienze convenzionali hanno stabilito un rapporto con la natura che si presenta come oggettivo, verificabile attraverso la ripetibilità degli esperimenti e la matematizzazione delle rappresentazioni. È possibile impostare un dialogo fra queste scienze e gli ampliamenti che ne ha dato Steiner? Alla base di questa difficoltà a comunicare con la scienza sta un problema gnoseologico molto profondo: l’idea di come affrontiamo la ferita che si è creata nella separazione fra uomo e natura, fra ciò che vediamo e ciò che sta dietro il palcoscenico della realtà fisica che è spirito, la dicotomia fra il soggetto che conosce e l’oggetto che è conosciuto. Il modo di pensare a cui l’uomo si è abituato dopo quello che noi chiamiamo il peccato originale (Rudolf Steiner lo chiama peccato di conoscenza), che ha allontanato l’uomo dalla comprensione immediata della natura e dalla possibilità di conoscere direttamente e spiritualmente, è il pensare causale, che purtroppo è in grado di comprendere nella corrente temporale solo ciò che va dal passato al futuro: se ho un effetto ho una causa precedente. Anche il pensare teleologico, quello che va dal futuro al passato, a un certo punto è entrato nella scienza, ma purtroppo il finalismo che ha sviluppato e che noi conosciamo è
di tipo materialistico: se a un cervo crescono le corna vuol dire che sono strumenti che gli devono servire, a cosa? A difendersi. Goethe, invece, si comporta diversamente, non vuole imporre una lettura sul fenomeno, aspetta che il fenomeno parli. Le corna del cervo non esistono perché ha bisogno di incornare qualcuno, ma possiamo provare a leggerle sulla base dello sviluppo morfologico e sull’affinità di forma ad altri organi. Il lavoro sulle forze formatrici all’opera nell’embriologia e il loro rapporto con l’astronomia, le relazioni fra cosmo, forze eteriche e dinamica della materia, questo è un terreno di ricerca straordinario che implica un modo di pensare diverso. Goethe ha aperto una porta e Steiner, che ne ha curato le opere scientifiche proprio al termine dei suoi studi universitari, l’ha varcata. Il pensiero causale serve a comprendere il corpo fisico nella sua evoluzione materiale apparente, il pensare teleologico serve per comprendere la psiche umana, il corpo astrale. Ma è il pensiero morfologico, quello vivente, capace di comprendere le forze eteriche all’opera che deve leggere la trasformazione, l’elemento metamorfico, un elemento che ci mette a dura prova, perché non ci dà la sicurezza del pensiero causale. Steiner dice che la realtà non sarà mai interamente calcolabile, perché legata a un elemento spirituale. Lentamente l’uomo nella sua evoluzione è entrato in contatto con la calcolabilità, questo lo ha inesorabilmente allontanato dalla spiritualità e lo ha spinto a entrare nella dimensione in cui l’unica realtà è quella calcolabile. Numero, misura, peso ci danno sicurezza, e quando qualcosa non è calcolabile il metodo induttivo cerca di vicariare l’incalcolabilità con il metodo statistico e il calcolo delle probabilità. Heisenberg1 leggeva il Faust prima di lavorare, 1 Werner Karl Heisenberg (1901 – 1976). Fisico tedesco. Premio Nobel per la Fisica nel 1932, è considerato uno dei fondatori della meccanica quantistica.
Goethe per lui era una pietra di paragone. Tutti i fisici, quelli onesti, si accorgono di questo problema e lo ammettono. Il principio di indeterminazione introduce la scoperta dell’elemento spirituale, dell’incalcolabilità: cosa farò domani non lo so nemmeno io, posso preparare delle situazioni ma cosa accadrà realmente non lo so. Questo elemento credo che diventerà sempre più pregnante e spero che ci metta alla corda e ci obblighi a uscire da questa passività del pensiero che si è abituato alla calcolabilità e alle dimostrazioni. Il pensiero che ha generato il problema dovrebbe ammettere di non essere in grado di risolverlo. Steiner ha provato a farlo centoventi anni fa, dicendoci: “Pensate in un modo diverso, non più solo causale o teleologico, ma anche correlativo, morfologico, in modo che vi abituiate ad affrontare fenomeni dove causa ed effetto cambiano, si trasformano, dove quello che prima era effetto ora diventa causa e viceversa”. Questo è ciò che ci destabilizza: noi vorremmo appoggiarci a qualcosa di stabile e nel momento in cui dobbiamo rimettere costantemente in discussione l’acquisito per via della sua metamorfosi, con un pensare che non è in grado di seguire ciò che si trasforma di secondo in secondo, siamo persi, mentre dovremmo uscire dal calcolabile ed entrare nella dinamica dell’essere. Questo Goethe lo ha capito e Steiner lo ha portato alle estreme conseguenze, per questo è arrivato allo spirito. Quindi possiamo intendere le forze eteriche come una delle modalità di espressione dello spirito? Il mondo eterico è solo spirito a livello base, dove lo spazio diventa tempo e dove tutto è in movimento, magmatico. Quando faccio la sezione di una pianta, ho la pianta in quel momento, ma quella non è la pianta, l’idea di pianta che ne contiene tutto il
Il percorso di conoscenza viene immaginato solitamente come una linea retta che passa dalla percezione dell’oggetto alla rappresentazione per giungere al concetto. Per Rudolf Steiner, invece, la conoscenza è un percorso che possiamo immaginare come una doppia spirale che rimane aperta. Da un lato abbiamo la percezione dell’oggetto P che possiamo portare sempre più verso l’idea trasformandolo in percezione soggettiva o rappresentazione R. A un certo punto questo percorso si interrompe di fronte all’abisso della ferita originaria, l’apertura della spirale che si crea nella dicotomia fra soggetto e oggetto e rappresenta la distanza fra fenomeno e uomo, che si è fatto altro dalla natura che vuole conoscere. Ma se l’uomo si volge nell’altra direzione, verso il mondo concettuale, esiste un altro percorso che permette di afferrare il concetto assoluto CA, preesistente e legato a entità che lo hanno formato, e di portarlo verso la rappresentazione fino a ottenere un concetto individualizzato CI. La conoscenza è quel passaggio che collega, tramite un salto dimensionale che è l’intuizione, l’immaginazione come estremo limite della rappresentazione e l’ispirazione come estremo limite del concetto individualizzato. È il concetto che ci permette di esperire la realtà sempre in modi nuovi e solo mutando i concetti noi possiamo mutare le percezioni.
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processo e l’evoluzione morfologica, la Urpflantze2 è una cosa più complessa, il pensare causale non mi basta più per comprendere questo organismo. Il problema è che il pensiero filosofico è andato a morire nella materia come l’uomo, e se il pensare non risorge, non può seguire il vivente. Di conseguenza, la tragedia del materialismo è che non comprende la materia, perché la materia è spirito, spirito frantumato. Il vicolo cieco della fisica è che vuole frantumare la materia per trovare lo spirito. L’impulso di Bacone3 ha spinto sempre più verso la frantumazione, l’infinitamente piccolo, cercando di scoprire in quella direzione l’origine della materia, ma la soglia non si affronta frantumando, ma componendo, sintetizzando. Goethe è andato nella direzione opposta, cercando di comprendere la materia non frantumando la sostanza che osservava, ma mettendola in relazione. Quindi cosa è lo spirito? Lo spirito è la materia che trova il suo senso. L’elemento fisico trova il suo senso nel momento in cui può essere contestualizzato e questo avviene attraverso il pensiero. Cosa intende Steiner con il risorgere del pensiero? La conoscenza non è un processo lineare, questo è l’altro elemento importante che Steiner porta nel processo di conoscenza. Quando sono davanti a un oggetto ne ho una rappresentazione e finché sono nell’osservazione posso arrivare fino alla rappresentazione come percezione soggettiva, cioè ognuno di noi guardando questa gomma si crea la sua rappresentazione, come percezione soggettiva che dipende dal punto di osservazione o dalla disposizione caratterologica. Il problema nasce se qualcuno si arroga il diritto di pensare che la sua rappresentazione è quella reale a discapito delle altre. E fin qui siamo nel pensiero complementare, abbiamo visioni e rappresentazioni che sono complementari, ciascuna delle quali è vera al suo interno ma non è più vera delle altre, potrebbe essere vera e assoluta ma sappiamo che non lo è. Questa è la tragedia del metodo induttivo: pensare che se aumento il più possibile la quantità delle visioni parziali e complementari posso ottenere la realtà. Non è così invece, miglioro la qualità dell’osservazione, questo sì, ma in questo modo non sono ancora arrivato al concetto. La mia percezione soggettiva messa accanto a quella dell’altro, se non sono un arrogante, può ampliare la mia conoscenza, permettendomi di acquisire il punto di osservazione dell’altro, ma non mi è ancora sufficiente. Questa è la ferita di cui parlavamo all’inizio. L’uomo è stato ferito nella separazione originaria e il modo in cui tenta di suturare la ferita e conoscere è un conoscere ferito, che ferisce tutto ciò che pone sotto la sua attenzione. Nel momento in cui conosciamo, feriamo, la cosa in sé non è conoscibile, questo è Kant. Il problema è che allora del mondo io posso soltanto farmi una mia rappresentazione. Steiner dice: no. Se dopo la percezione soggettiva mi giro in un’altra direzione posso cogliere il concetto universale, lo porto verso la rappresentazione come concetto individualizzato, contestualizzato. Il pensare deve essere: da una parte questo lo vedo con gli occhi e dall’altra parte lo colgo con il pensare. Il pensare sta al mondo delle idee come l’organo di senso sta al mondo delle percezioni: il pensare è l’organo di senso del concetto. Esiste un momento in cui questa ferita si può rimarginare anche senza far ricorso a un rapporto con il soprasensibile e con l’esperienza del mondo spirituale? 2 “Pianta originaria”. È il modello archetipico spirituale che contiene tutta l’evoluzione fisica-temporale della pianta, a cui si rifanno tutte le forme vegetali. 3 Francis Bacon (1561 – 1626). Filosofo inglese. Dapprima interessato all’alchimia, se ne allontana in vista di una scienza sperimentale che consenta un utilizzo pratico della natura da parte dell’uomo.
Il pensare ha in sé una prerogativa che nessun altro oggetto ha, quello di essere contemporaneamente e in modo indivisibile percezione e concetto, qui l’elemento della “caduta originaria” della conoscenza, della separazione tra soggetto e oggetto, non ha diviso e Steiner lo sceglie come punto di partenza del conoscere. Io osservo il mio pensare e questa condizione eccezionale mi fa da soglia per arrivare a percepire l’essere umano in un’unità di soggetto e oggetto, altrimenti posso fissarmi sulla percezione uomo e non cogliere il suo concetto che è quello di spirito libero in divenire. L’uomo non è comprensibile tramite il processo di conoscenza considerato finora, proprio perché è spirito, per comprendere l’uomo bisogna partire dal suo concetto universale che non è contenuto nella percezione uomo attuale se non in modo imperfetto e incompleto. Il problema è quindi acquisire un pensare dinamico al punto tale da poter partire non più dalla percezione uomo, ma dal concetto uomo. Non più un pensare schiavo dell’osservazione sensibile, ma in grado di andare prima a cogliere il concetto, poi portarlo alla percezione uomo e nel momento in cui ho dell’uomo un concetto spirituale, e non lo penso come evoluzione animale darwinistica, la percezione uomo cambia. Il mondo delle percezioni è rinnovabile solo rinnovando i concetti e questo vale anche per il procedere della scienza. Il pensare ha una sua dignità, può suturare la ferita. Percezione e concetto sono due colonne portanti della conoscenza che interagiscono fra loro. La percezione decontestualizza, il concetto ricontestualizza, questo è entrare in una dimensione spirituale. Lo spirito non è una cosa astratta, è un’attività di pensiero che noi paradossalmente usiamo tutti i giorni senza accorgercene. Ne La filosofia della Libertà, Steiner fa una moviola della conoscenza, rallenta tutto il processo. Siccome il processo del pensare, del concepire attraverso concetti è molto veloce, la nostra coscienza è nell’oggetto e non nell’attività. “Mentre penso non vedo il pensare che io stesso produco, ma l’oggetto del pensare che io non produco”. Mentre penso a questa gomma, la mia coscienza è nella gomma e non nella mia attività di pensiero, quindi ritengo che questa attività sia un elemento innato. In realtà, senza questa attività l’oggetto rimarrebbe sconosciuto. Se la luce ha il suo organo di senso nell’occhio, l’idea ha il suo organo di senso nel pensare, dice Steiner. Cominciamo a parlare di spirito a questi livelli. Parole come spirito, immaginazione attiva, intuizione rimandano a esperienze che introducono un elemento di arbitrio, laddove abbiamo l’idea che la scienza abbia permesso una democratizzazione della conoscenza rispetto all’epoca in cui religione e alchimia ne proponevano una esoterica e non condivisibile. Il mondo spirituale è organizzato in maniera un po’ più complicata rispetto al concetto di democrazia che noi possediamo, spesso questo assetto lo ritroviamo anche nella natura, nelle organizzazioni dove la sopravvivenza del gruppo è decisiva: è organizzato contemporaneamente in modo democratico e in modo gerarchico. Risponde alle situazioni. Dice Steiner che Giuda ha dovuto tradire perché i romani non sapevano chi fosse il Cristo dei tredici, perché i tredici operavano tutti insieme, in sintonia. I cosiddetti miracoli non li faceva uno solo, quindi solo un interno sapeva chi fosse il tredicesimo, perché alternativamente ognuno di loro diventava tredicesimo. Si va al centro e si diventa il tredicesimo, poi si torna in periferia e va dentro un altro, lo si impara sin da bambini giocando. Così dovrebbe essere organizzata la comunità, che a seconda del frangente si modifica. Si sa chi in quel momento può ergersi a dirigere la situazione, perché è quello che ha più esperienza, più talento. Subito dopo, in un’altra situazione, quello deve farsi da parte e subentrare un altro. Invece, arrivate al potere, le persone non
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mollano più. Non riescono a rientrare nel cerchio. Dovrebbe esserci elasticità, plasticità, metamorfosi. Inoltre non esiste maschile e femminile, ma nel momento in cui la personalità si è assunta il compito di dirigere la situazione, allora emergerà l’elemento maschile, nel momento in cui c’è bisogno di coralità si passerà nell’elemento femminile. Con l’interesse che si è creato attorno alla biodinamica, è nata la tendenza a ridurre in poche formule un pensiero articolato. Questa voglia di farsi capire a ogni costo può essere il rischio di una biodinamica ormai divenuta moda? Lasciar cogliere la complessa articolazione del pensiero che sta alla base della biodinamica, le sue sorgenti esoteriche, è indispensabile. Farlo in modo comprensibile anche, ma non si può scendere a compromessi. Dall’altra parte ci deve essere uno sforzo per uscire da un pensiero univoco. Non è per arroganza, ma perché un metodo non può essere dimostrato con un altro metodo. Non si può tentare una spiegazione attraverso un modello che si basa su presupposti che non c’entrano nulla. Voler farsi accettare semplificando le intuizioni, i concetti, il metodo, in modo da essere accolti nella comunità scientifica, non porta ad alcun risultato. Punti in comune ce ne possono essere, la scienza i dati per incominciare a interrogarsi li avrebbe tutti, come è accaduto con i forti limiti della mappa del genoma e con la morfogenetica, il problema è che non ha coraggio di autocritica. Ma dove i punti in comune non ci sono, ripeto, non bisogna inseguire una metodologia che disattende i principi su cui si basa il nostro lavoro. Nel momento in cui ci chiedono il doppio cieco4, come avviene in farmacologia, per il nostro metodo è una bestemmia. Qui c’è la doppia coscienza di medico e paziente, mentre il doppio cieco vuol dire la doppia incoscienza di chi somministra un farmaco e di chi lo riceve. La scienza dice: se funziona lo stesso è il gold standard5, ma così rinnega il vero effetto terapeutico, che si muove sul processo che il farmaco mette in moto nella consapevolezza e nell’individualizzazione del processo di guarigione. Questo dovrebbe essere chiaro anche a chi sceglie la biodinamica. Non si tratta di una serie di formule da applicare senza averne la ratio. Ci vuole la pratica e ci vuole anche il tentativo di comprendere il motivo e il modo con cui Steiner è arrivato ai preparati. Io posso, come un imitatore, prendere i preparati e usarli. Funziona, ma potrebbe funzionare meglio, molto meglio. Lo vedo in ambulatorio con il farmaco, è diverso nel momento in cui ne ho l’immagine. Se non lo faccio in questo modo, allora sì che diventa un credo. Se lo faccio perché funziona, non so perché ma funziona, non ci siamo. La conversione non deve avvenire alla Tommaso, ci credo solo se tocco, anche se tutto quello che Steiner dice va sempre sottoposto a verifica e quindi si deve in un certo senso toccare. Lì sì che c’è un plagio di un certo tipo che non è accettabile, perché a quel punto la tua conversione non è una vera conversione, è funzionalista. Poi appena non funziona, e non funzionerà, perché stiamo lavorando sulla vita e sulla metamorfosi, sarà la crisi, non ti saprai più adattare alla nuova situazione, perché non hai il metodo, questa capacità di pensiero che ti porta al concetto individualizzato. Chi allestisce i preparati biodinamici dovrebbe far convivere l’affinamento della tecnica di preparazione e l’approfondimento dei risvolti spirituali che sovraintendono ai preparati, solo così si saprà allestirli in modo che possano adattarsi a qualsiasi problema di terreno e di tipo di coltivazione. 4 Tipo di sperimentazione clinica in cui sia il soggetto che l’osservatore ignorano il trattamento somministrato. 5 O standard di riferimento. In ambito terapeutico, trattamento ritenuto di riferimento in base alle evidenze disponibili e che quindi dovrebbe essere utilizzato per saggiare l’efficacia di ogni nuovo trattamento.
Andrea Kihlgren Dopo gli studi filosofici, dalla fine degli anni ‘80 conduce l’azienda agricola Santa Caterina nei colli di Luni, vicino La Spezia. Fa parte dell’associazione Agricoltura Vivente, un gruppo legato dall’applicazione della biodinamica secondo lo sviluppo avviato da Alex Podolinsky
Essere agricoltori significa “L’osservazione è faticosa. Comporta un atteggiamento molto attivo ma allo stesso tempo passivo, è un percepire: se noi attraversiamo un campo percepiamo delle cose che sono formative, per poi tradurle in azione. Credo sia questa la lezione di Steiner”
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a mia piccola realtà agricola è nata un po’ per combinazione, senza premeditazione. Mi è arrivata attraverso l’eredità, mia madre aveva avuto questi terreni alla morte di mio nonno e mi chiese di seguirli; io, che avevo fatto altri studi, presi questo incarico senza sapere bene che cosa e dove avrebbe portato e nel giro di due anni capii che dovevo occuparmene assolutamente a tempo pieno. Questo per dire innanzitutto che nella strada in cui mi sono trovato arrivai impreparato. Rimango un autodidatta e tutte le mie scelte non possono non tener conto di questo particolare approccio, che è diventato un’occasione di riflessione anch’esso e mi ha potuto permettere di pensare all’agricoltura in termini molto liberi. Sono passato attraverso l’accettazione di come stavano andando le cose in agricoltura alla fine degli anni ’80 e pian piano è maturata dentro di me l’esigenza di qualcosa di diverso, ho sentito la necessità di arrivare a lavorare in maniera differente da come mi era stato consegnato il lavoro, diciamo così in termini convenzionali. Dapprima attraverso una conduzione biologica, ma conservando un’insoddisfazione: mi sembrava di star dentro a schemi che non mi facevano comprendere molto e non mi lasciavano neanche appassionare molto. La passione è arrivata invece con la biodinamica. Perché? Perché qualcuno mi ha fatto capire che cosa succedeva nel suolo: in quel momento per me è nata l’agricoltura. In questo senso ho accolto la biodinamica non dico in maniera acritica, ma con entusiasmo: mi sembrava la cosa giusta e in quanto tale ho cominciato a praticarla. Sono partito dagli insegnamenti arrivati da Alex Podolinsky1, una via molto pratica, centrata sulla elaborazione, la conservazione e l’uso dei preparati biodinamici2. Cose molto semplici, ma essenziali, rigorose, chiare. Questo procedere pratico è rimasto il segnavia per me e per tutto il gruppo di Agricoltura Vivente3 e credo sia una cosa molto ben fatta in questo senso. Podolinsky è rigoroso e non incline ad accettare voli pindarici, forse esageratamente. Per me è rimasta l’esigenza interiore di fare un po’ più di chiarezza, perché molte cose che riguardano la biodinamica non sono percepibili, non sono chiare davanti a noi, come ad esempio l’eterico4, che è qualcosa che sfugge alla visibilità. Perciò non ho potuto, forse anche per la mia formazione, fare a meno di interrogarmi, ma allo stesso tempo continuando a vivere la concretezza della biodinamica. La vita del suolo rimane qualcosa di unico, un’esperienza straordinaria, mi sembra impossibile che non divenga preoccupazione quotidiana per gli agricoltori. Ho maturato in questi anni una critica fortissima verso l’ufficialità degli studi agronomici, perché mi sembra che non sia possibile, a prescindere da come vogliamo poi gestire questa ricchezza di vita del terreno, che nelle pratiche agronomiche normali di questo non venga tenuto conto. Io ho sofferto molto, in un certo senso, del fatto che la biodinamica sia vista come una setta, e in quanto tale che non possa esserci una comunicazione con la scienza agronomica ufficiale, che non si riesca a trovare dei temi, dei percorsi, delle visioni comuni. Poi strada facendo mi sono reso conto che questa problematicità esiste. L’osservazione può fare la differenza e quando si cerca il confronto sul terreno comune della scienza, bisogna pur ammettere che la biodinamica ci invita a fare nostro un altro punto di osservazione. E fino a quando non c’è un’umiltà reciproca nell’accettare queste diversità fondamentali, la comunicazione diventa difficile. Prima dell’osservazione bisogna lavorare su di noi, sull’osservatore. Questo aspetto nella scienza ufficiale non mi pare che esista: esiste il valore dell’operato, della ricerca, l’esigenza di progredire su una determinata strada. Steiner per primo non ne ha mai preso le distanze. Ha criticato, ha posto il suo punto di vista alternativo, ma ha sempre riconosciuto il valore della scienza, di tutti i risultati conoscitivi della scienza. È lui per primo che ci invita a fare questo, perciò non
possiamo dimenticarlo, ma bisogna pur riconoscere che c’è un punto di vista diverso. Steiner in una delle sue conferenze parla del contadino che lo scienziato considera sprovveduto: il contadino va in giro per il suo campo, lo scienziato lo considera ignorante. In realtà non è così, per il semplice motivo che il contadino, mi si scusi, ma è anche lui una persona che medita, che percepisce. Per chiunque attraversi un campo in questo modo, per chi l’agricoltore è abituato a farlo, questo percepire elaborando le cose è familiare. In fin dei conti anche l’eterico è questo mondo che parla alle nostre sensazioni, ma non è qualcosa che possiamo poi tradurre in un’oggettività, di cui magari la scienza agronomica ufficiale ci chiederebbe conto. Eppure queste sensazioni formative sono decisive per il nostro operare agricolo, ci fanno diventare agricoltori, perché l’osservazione e la percezione, mi sono convinto, sono le più grandi doti. L’osservazione è faticosa. Comporta un atteggiamento molto attivo ma allo stesso tempo passivo, è un percepire: se noi attraversiamo un campo percepiamo delle cose che sono formative, per poi tradurle in azione. Credo sia questa la lezione di Steiner, che è anche la lezione di Goethe. Un’idea di percezione che è rimasta perdente rispetto all’ufficialità della ricerca scientifica, ma di cui bisogna tener conto, non perché debba diventare quella vincente, ma perché è molto importante. È una formazione di noi stessi, è il modo di avvicinare ciò su cui noi dobbiamo poi operare. Ho l’impressione che oggi questa modalità del sentire, insieme attivo e passivo, venga subordinata a un’oggettività che ci richiama meccanicamente. Al contrario il nostro ruolo dev’essere anche quello di una persona che ha costruito dentro di sé le condizioni per operare. La nostra eredità agricola passa attraverso la nascita del monachesimo occidentale, che avviene con San Benedetto. Per otto ore i monaci pregavano, per otto ore riposavano, per otto ore lavoravano: questo è stato il modello di una vita laboriosa. Ricordiamo che San Benedetto era fuggito da Roma scandalizzato dalla decadenza della vita religiosa, e prima a Subiaco e poi a Montecassino ha elaborato questo modello di vita. La nascita di una capacità operativa virtuosa, che ha rinnovato le basi dell’agricoltura in Europa, è passata attraverso il potenziamento della formazione interiore. La vocazione etica è insopprimibile nell’uomo, non possiamo vivere scissi. Perciò il nostro buon fare deve dipendere proprio da questo atteggiamento che siamo capaci di creare e costruire dentro di noi. Questa è la lezione importante che, secondo me, Steiner ci ha lasciato. Ho l’impressione che Steiner non abbia inventato quasi nulla, anzi credo che molte delle sue considerazioni abbiano radici nella filosofia indiana: in fin dei conti l’eterico — una forza energetica che avvolge e condiziona gli esseri viventi — non l’ha certo inventato lui. Io però mi dissocio dalla prospettiva di una scienza dello spirito e in questo senso inizia la mia criticità nei confronti di Steiner. La scienza dello spirito è qualcosa di anomalo, come una sorta di ferro ligneo, qualcosa che fatica ad assumere una sua autentica consistenza. Penso che lo spirito debba essere coltivato dentro di noi, ma non possa essere costruito attraverso una scienza, perché la scienza si fonda su un operare oggettivo. In realtà non credo neanche che in ambito scientifico abbia senso parlare di verità: a parer mio la verità sta su un altro piano, al livello dell’etica, dove l’uomo può trovare risposte alla sua esigenza di valori fondanti. La scienza vive del suo rinnovarsi, non l’etica. Pensiamo ad esempio al vecchio precetto “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”: non credo debba esser rinnovato, anzi dobbiamo ancora imparare ad accettarlo e a farlo nostro. Questo è il vero luogo della verità, a parer mio, perché è ciò che ci accomuna nel tempo e che avvicina gli uomini. Credo che possiamo guardare a Steiner come a un grande vaso che ha raccolto tantissime cose, la sua enciclopedica produzione scoraggia qualunque ben intenzionato lettore. E tuttavia resta un inesauribile serbatoio di opportunità, di impulsi che non dovremmo prendere in maniera troppo rigida e diventare dei piccoli sacerdoti che si consegnano a una ritualità. Al contrario, accogliere questa grande fertilità di sollecitazioni che chi pratica la biodinamica ha visto realizzarsi concretamente e non può più abbandonare perché i risultati parlano da soli. Insomma io credo che la vita possa diventare, ed è una bella cosa quando lo diventa, un’avventura spirituale.
1 È considerato tra i maggiori esperti di agricoltura biodinamica al mondo. Il suo nome è legato all’applicazione e allo sviluppo del metodo biodinamico in Australia. 2
Vedi Mappa biodinamica.
3 È un’associazione di agricoltori che applica il metodo pratico della biodinamica indicato da Steiner e successivamente sviluppato da Alex Podolinsky. 4
Vedi Mappa scienza naturale antroposofica.
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S t e fa n o A m e r i g h i Dopo la formazione alla facoltà di scienze politiche a Siena, decide di continuare la tradizione agricola di famiglia. Inizia quindi a seguire la sua azienda nelle campagne cortonesi, sviluppando un personale percorso di sintesi biodinamica e rivalutazione del paesaggio agricolo
saper osservare e percepire “Vedo una generazione di ragazzi della mia età ormai prossimi ad aver perso completamente quella sensibilità, quell’osservazione, quella capacità di interpretare il suolo, che è la parte che chi ha scelto di impegnarsi in agricoltura dovrebbe sviluppare il più possibile”
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engo da una famiglia contadina estremamente convenzionale. In questo momento della mia vita, dopo una decina d’anni dalle prime letture biodinamiche, dall’incontro con François Bouchet1 e l’utilizzo dei primi preparati, mi trovo a fare un po’ il punto della situazione e vedere cosa si è realizzato di quello che avevo in mente all’inizio del 2000. Di sicuro c’è una parte di rapporti umani che mi ha ripagato in una maniera che né la maturità del frutto né la qualità del vino consentono. Ho fatto incontri meravigliosi, come se a un certo punto la natura potesse restituirmi il mio impegno in termini di amore e di attenzione. Per me che provengo da una zona agricola intensiva, in cui la mezzadria e la storia contadina recente hanno lasciato un segno negativo, questa è una delle cose più belle che mi porto dentro. A un certo punto il bisogno di affrancarmi dalla mia famiglia mi ha spinto a seguire i principi biodinamici in modo ortodosso. Il calendario, che per me significava una sorta di terapia, mi ha aiutato a interpretare in modo ritmico il mio quotidiano. In seguito ho attraversato momenti in cui il contatto con Podolinsky e con certe visioni meno legate all’antroposofia e alla biodinamica di inizio secolo mi hanno suggerito che si potesse seguire in maniera meno rigida il calendario, propiziando un fare più dinamico e meno statico. In realtà era una reazione dettata dal bisogno di dimostrare che c’era un’agricoltura differente e non era un semplice metodo né tantomeno una religione, come più volte mi è stato contestato — non più tardi dell’altra sera da mio padre — ma una visione complessa. Quando viene qualcuno a trovarmi sostenendo che non c’è differenza tra biologico e biodinamico, in quanto alla fine entrambi rispettano la natura e non ammettono l’uso di prodotti che hanno origine sistemica, a quel punto capisco quanto quella visione della biodinamica, che non è solo fattiva ma che è una visione olistica, di sistema, negli anni si sia andata un po’ perdendo. Forse anche per la difficoltà di interpretare una pratica che vorrebbe l’organismo agricolo compiuto, secondo il
modello di una fattoria il più possibile chiusa, difficilmente realizzabile per tutta una serie di motivi. Ad esempio secondo me è paradossale e profondamente anti etico comprare un letame pagandolo duemila euro. Se lo sapesse mio nonno mi direbbe «sei un bischero». Ci sono delle dinamiche che hanno bisogno di essere ripensate e allo stato attuale è quello che sto facendo. Ho sempre immaginato la viticoltura come la punta di diamante dell’agricoltura e quindi come quella che avrebbe potuto lanciare una visione straordinaria, non solo legata al vino, ma allo sviluppo e a una alternativa agricola, che per me rimane la cosa più importante. Lo vedo intorno a me: nei campi che vengono arati con trattori sempre più grandi, nelle rese per ettaro sempre più basse di cereali, nei cereali sempre meno pagati e in una qualità alimentare sempre più in crisi.Vedo una generazione di ragazzi che hanno la mia età che sono ormai prossimi ad aver perso completamente quella sensibilità, quell’osservazione, quella capacità di interpretare il suolo e capire, ad esempio, quando è il momento di seminare o il momento di arare. Questa è la parte che oggi chi ha scelto di impegnarsi in agricoltura dovrebbe sviluppare il più possibile. Certe pratiche diventate ormai quotidiane in tante aziende, anche di amici, sono dettate dalle urgenze di semplificazione dei nostri tempi. Penso che ci sia bisogno di ripensare un po’ il modello delle nostre aziende, perché se non conserviamo come obiettivo l’organismo agricolo individuale, rischiamo di distrarci molto da quell’aspetto dell’osservazione che rimane la parte più bella. È importantissimo l’impulso che può dare un consulente, ma la qualità dell’osservazione va coltivata in proprio. Non siamo soltanto soggetti passivi di questo momento storico-economico, ma ne siamo anche gli artefici principali e i più importanti, perché alla fine tutto passa per l’agricoltura. Uno degli obiettivi da cui non bisogna allontanarsi è proprio quello di cercare di realizzare delle fattorie il più possibile complesse e non legate soltanto alla viticoltura. Viticoltura di cui ho fatto la mia professione, che è la mia ragione di vita, ma che alla fine è la parte per me meno poetica. Insomma, mi affascina di più la dinamica di come cresce una zucchina rispetto a come viene affinato un vino, so che sembra paradossale ma è così.
1 Consulente biodinamico, autore del libro L’agriculture bio-dynamique, comment l’appliquer dans la vigne, Deux Versants Editeur, 2003.
Questo testi sono la rielaborazione degli interventi tenuti al convegno “Verso la biodinamica” del 2 Novembre 2013 a Bardi (PR) voluto da La Renaissance des Appellations – Italia.
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Drinker’s corner o Abbiamo chiesto a colleghi giornalisti, produttori, sommelier e osti di regalarci la loro favorite choice del momento. Prendendo in prestito le parole di Giovanni Bietti, vogliamo specificare che non abbiamo nessuna intenzione di stilare una classifica, o un “elenco dei migliori”. Tanto più visto che si parla di piccoli produttori naturali e artigiani, che sono lontanissimi da una visione del vino competitiva o legata a premi, classifiche e punteggi. Proponiamo semplicemente un breve elenco di vini prodotti in biodinamica (in genere certificati, ma non in tutti i casi), scelti con l’unico criterio di provare a mostrare al massimo grado la varietà, la vitalità e la ricchezza del vino artigianale
Giovanni Bietti
molto giovani ma lavorate con pazienza certosina. L’uva è essenzialmente greghetto (con la g, è il biotipo di Sangiovese diffuso da queste parti) e il vino ha una finezza e una bevibilità davvero rare, quasi “francesi”, unite a una marca territoriale e vulcanica stupefacente.
Muntà 2008 Andrea Tirelli Un bianco piemontese non può mancare, visto che questa tipologia è stata tra le prime in Italia prodotte in biodinamica. Scelgo un Cortese dei Colli Tortonesi di un giovane e minuscolo produttore, secondo me davvero promettente. Vino robusto, ricco di sfumature, di erbe, ottima freschezza e bella lunghezza, in grado di invecchiare ancora molto bene e di reggere abbinamenti anche impegnativi.
Cerasuolo d’Abruzzo 2011 Emidio Pepe Interpretazione “antica” del Montepulciano, che ci fa recuperare i sapori di una volta: questo era infatti il vino dei contadini abruzzesi, che giudicavano spesso la vinificazione in rosso un po’ pesante. E in effetti questo Cerasuolo dal colore molto carico e dai profumi selvaggi e carnosi ha possibilità di abbinamento quasi illimitate.
Teroldego Sgarzon 2009 Foradori Davvero emblematico del percorso di crescita e di esplorazione della produttrice: vinificato e affinato in anfore spagnole, lunghissima macerazione, vino senza compromessi in cui l’esuberanza colorata e fruttata del Teroldego si unisce a notevole — e insolita, almeno fino a oggi — finezza e complessità.
Ottomarzo 2010 Tenute Dettori Pascale in purezza da vigne di oltre sessant’anni allevate ad alberello. Per me uno dei vini sardi — stavo per scrivere meridionali — più gentili e sorprendenti. Fresco, aereo e imprevedibile nonostante la gradazione alcolica sostenuta, con un incredibile profumo di bacche, erbe, frutti neri e aspri, e un palato veramente armonico, reattivo e sfaccettato.
Vermentino Poggi Alti 2012 Santa Caterina Pochi giorni di macerazione per questo bianco elegante, fresco e sapido, realizzato da Andrea Kihlgren sulle colline di Sarzana. Ha un carattere ligure quintessenziale, misurato e riservato, con note salmastre che sembrano voler letteralmente abbracciare i piatti di mare e le tipiche torte verdi.
Corrado Dottori Hermitage La Sizeranne 1995 Chapoutier Sì, è vero: l’azienda è grande e incline al compromesso. Ma è stato il primo grande Syrah della mia vita e il primo amore non si scorda mai.
Pinot Nero 2010 Macea È impossibile non menzionare la provincia di Lucca se si parla di biodinamica, dato che si tratta della zona vinicola italiana che vede in assoluto la maggior concentrazione di seguaci delle teorie di Steiner. La Garfagnana sta mostrando una vocazione tutta da seguire per le varietà internazionali più “fredde” e austere, e questo Pinot Nero dei fratelli Barsanti mi sembra uno degli esempi più convincenti finora sentiti, veramente territoriale, senza il minimo ammiccamento.
Savennières Les vieux Clos 2007 Nicolas Joly A volte i vini minori sono semplicemente più buoni. Di questo assaggio a Cerea ricordo ancora distintamente i sentori di scoglio, come quando da piccoli si rompevano i paguri per pescare nelle vasche di acqua salata. Castelli di Jesi Verdicchio Riserva San Paolo 2010 Pievalta Il Verdicchio, quando è questa roba qua, spacca. E Alessandro è mio amico e ha realizzato il sogno di fare sulla destra dell’Esino un vino che ricorda i più importanti Pouilly-Fumé. Viva i sogni, viva l’amicizia.
Solatio 2009 La Cerreta Tra i diversi esempi di ottimi Sangiovese toscani realizzati in biodinamica, scelgo questo prodotto della Val di Cornia: maremmano fino in fondo, caldo e solare ma dotato di grande contrasto e succosità. Vino che chiama a gran voce i sapori del territorio: primi con sughi di carne, cinghiale, carni rosse.
Champagne Blanc de Blancs Extra-Brut Premier Cru L’Amateur David Leclapart Lo sciampagn di solito è meglio che non perda la bolla. Ma questo, invece, quando perde la bolla inizia il vino. E si gode.
Rosso Le Coste 2010 Le Coste sul Lago Prodotto sugli spettacolari pendii del Lago di Bolsena, un vino proveniente da vigne
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Riesling Grand Cru Hengst 2000 Josmeyer Quando il vino bianco è così, sfido chiunque a parlarmi di tannino. Tutto un equilibrio sulla pietra. Bellissimo.
Alto Adige Pinot nero riserva 2010 Mason di Mason Manincor Certo la Borgogna è un’altra cosa, nessuno discute. Ma questo altoatesino si difende più che bene, anzi nelle annate migliori in modo eccezionale. È quello che ogni tanto ci vuole per riconciliarsi con un palato che si avventura spesso con bicchieri arditi. Un po’ come chi per una volta sente il bisogno di indossare un completo comme-il-faut.
Riesling Trocken Quarzit 2012 Weingut Peter Jakob Kühn Chi l’ha detto che i Riesling tedeschi devono sapere solo di idrocarburo ed essere dolci? Cristallino, dissetante, aereo, in questo vino domina la luce: quella di certe giornate di un nord più spirituale che geografico.
Gavi Pisé 2011 La Raia Un’azienda giovane e molto promettente. Un ottimo rapporto qualità prezzo e tanta vita davanti. Davvero vale la pena dimenticarsi qualche bottiglia in cantina.
Mauro Mattei
Langhe Bianco Coste di Riavolo 2009 San Fereolo L’unione di mascolinità/riesling e femminilità/gewürztraminer prende sfumature differenti a seconda delle vendemmie. Ed è bello scoprire come questo equilibrio si concretizzi in modo cangiante anche con l’affinamento. Lo definirei ricorrendo a un aggettivo cacofonico ma in questo caso didascalico: intrigante.
Pouilly-Fumé Pierre Précieuse 2010 Alexandre Bain Il Sauvignon Blanc è una varietà complicata, riesce a generare vini complessi e territoriali, e allo stesso tempo banalmente varietali. I vini di Alexandre Bain riflettono terroir e personalità in maniera originale, cercando la pienezza, la polpa, ma senza rinunciare a succo e acidità. Ricordo un 2008 dal frutto esotico rinvigorito da una bocca quasi elettrica, un 2009 al limite della surmaturazione, forse tozzo ma a suo modo voluttuoso. Con il 2010 il cerchio pare chiudersi: un vino delizioso, che miscela la golosità del frutto a una vena minerale prodigiosa.
Walter Speller Chianti Classico Riserva 2008 La Porta di Vertine La Riserva di Giacomo Mastretta proviene da vigne di sangiovese intorno a quota 500 mt, tra le più alte nel comune di Gaiole. Elaborato con significative porzioni di uva non diraspata e senza alcun controllo della temperatura in cantina, il vino prolunga il contatto sulle bucce fino a circa 60 giorni, prima di invecchiare per un minimo di 18 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia. Autentica espressione del terroir di Gaiole, è un Chianti dalla cospicua scorta di freschezza e dal complesso gusto fruttato, incorniciato da tannini saporiti.
Morey-St. Denis 1er Cru Les Millandes 2011 Domaine Arlaud I fratelli Cyprien e Romain Arlaud mandano avanti l’azienda con l’aiuto della sorella Bertille, lontani dai riflettori, nel nome e nel rispetto di territorio e sostenibilità. Le vigne sono in regime biologico dal 2000 e in conversione biodinamica dal 2009. In cantina non ci sono interventi correttivi e i vini sono un esempio di purezza e luminosità, freschi e ficcanti, austeri ed eleganti. Les Millandes, in particolare, è un Premier Cru dalla posizione invidiabile, appena sotto le grandi vigne di Clos St. Denis e Clos de La Roche: anche se il millesimo non è dei migliori, il rigore stilistico si conferma notevole e le sfaccettature sorprendenti.
Prosecco Col Fondo 2012 Ca’ dei Zago Un giovanissimo Christian Zanatta ha deciso di voltare le spalle al Prosecco convenzionale. E ha avviato la conversione biodinamica del vigneto di famiglia, dislocato su una collina quasi perfetta, chiamata Cima, che fa pensare un po’ alle Langhe. Una collina che offre alle vigne (in qualche caso ultraottantenni!) quasi ogni esposizione possibile, e garantisce al suo Prosecco vibrazioni di freschezza anche nelle vendemmie più stressate dal caldo.
Dogliani San Fereolo 2006 San Fereolo Nicoletta Bocca è una persona speciale: apparentemente dura, nasconde una dolcezza e un entusiasmo unici. Il suo percorso nella biodinamica rivela una tensione di carattere morale, che scardina l’approccio dogmatico a favore di una visione delle cose sempre più ariosa e più lucida. Anche i suoi vini mi appaiono modulati da questa dicotomia: sulle prime monolitici, si raccontano progressivamente nel bicchiere, si concedono e si ritraggono senza sosta. San Fereolo 2006 rappresenta uno dei primi tasselli di questo iter ma diventa immediatamente un riferimento, ponendosi come espressione pura del terroir e dell’annata. Un vino monumentale, ricco e serrato, che chiede attenzione e si dipana nel bicchiere solo con la giusta ossigenazione.
Brunello di Montalcino Helichrysum 2008 San Polino Minuscola azienda nel cuore di Montalcino gestita da Katia Nussbaum e Luigi Fabbro, che osservano le dinamiche bio del proprio lavoro con l’innocenza e la purezza di due bambini. Qui tutto è organic, le sperimentazioni convincono più delle formule e la voglia incessante di imparare dalla terra lascia più spazio ai dubbi che non alle certezze. Pochi dubbi, però, sulle vibrazioni di personalità che alimentano il Brunello di San Paolino. La selezione Helichrysum assembla le uve migliori in uno stile tutto suo, già molto seduttivo in gioventù, ma che ha bisogno di un adeguato periodo di affinamento in bottiglia per rivelare la più complessa espressività di matrice territoriale.
Mâcon-Cruzille Aragonite 2008 Clos des Vignes du Mayne Alain Guillot è stato fra i capostipiti del movimento biologico in Borgogna. Poco meno di sette ettari di proprietà danno la possibilità a lui e a suo figlio Julien di lavorare in maniera completamente artigianale, di utilizzare metodi ancestrali e di evitare ogni tipo di intervento in vigna e in cantina, limitando o addirittura eliminando il ricorso alla solforosa, quando l’annata lo permette. Grandi conoscitori del Gamay, i Guillot ci sorprendono anche con gli Chardonnay. Aragonite, in particolare, deve il suo nome ai minerali che compongono i suoli e non è un vino di Mâcon propriamente detto, nonostante la denominazione. Aiutato dall’annata fredda, non mostra alcuna grassezza e si scioglie in sensazioni agrumate di grande complessità, in rimandi riccamente minerali, salmastri e gessosi, allargato appena da folate di zafferano. In bocca si ostina a marcare il suo lato fresco e salato, conservando profondità.
Diego Sorba Grignolino del Monferrato Casalese 2011 Tenuta Migliavacca Perseguire la biodinamica dal 1964 a oggi e poi avanti ancora vuol dire vederci lungo; con il pregio non solo di esser stati i primi, ma soprattutto di non farsi mai vedere in giro. Cortona Syrah Apice 2010 Stefano Amerighi Rispettando la sua fonte d’ispirazione (il Rodano) dovrebbe a sua volta finire per ispirare tutti coloro che in Italia — Toscana, Sicilia o altrove — perseverano con il travisamento della syrah.
Champagne Brut Grand Cru 2006 Benoît Lahaye Benoît Lahaye è a Bouzy, nel cuore sudista della Montagne de Reims, dove il pinot nero regna nella sua espressione territoriale più opulenta. Benoît non disdegna il parziale ricorso alla fermentazione malolattica e alle barriques, eppure questo vino è segnato da un’eleganza stupendamente minerale e da un tratto quasi affusolato, senza alcuna tentazione muscolare. La bocca è mirabilmente soda e il dosaggio è integrato in un profilo sassoso che rilascia piacevolezza e tensione sapida al frutto. Uno Champagne d’autore che lega la bevibilità alla complessità, la sensibilità agronomica e realizzativa alla pulizia e alla precisione espositiva.
Champagne Extra Brut La Closerie - Les Béguines Jérôme Prévost È stato il mio primo assaggio di Champagne di vigneron e col senno di poi mi ritengo davvero fortunato ad averlo incontrato, dal momento che mi ha spalancato una finestra su un mondo che ora seguo appassionatamente. Côtes Catalanes Blanc 2008 Domaine Matassa Mi piacciono molto i bianchi mediterranei della zona di Calce, ma questo mi sembra spiccare in quanto a oleosità e dirittura. Champagne Brut Nature Benoît Lahaye Non mi va di proporre “spumantini” per palati molli, preferisco chi non si spaventa di fronte a una bolla senz’altro più da cotechino che da aperitivo (anche se il cotechino non c’è!).
Danilo Ingannamorte Montepulciano d’Abruzzo 1983 Emidio Pepe Un rosso da grandi occasioni, che soddisfa ogni aspettativa. Una lezione eloquente sulla bellezza dell’invecchiamento.
Jasnières Calligramme 2008 Domaine de Bellivière In realtà è l’intera batteria dei vini di Eric Nicolas che ogni volta mi lascia di stucco, con la sua cifra di eleganza, coerenza e precisione.
Atmosphères Brut Méthode Traditionelle Jo Landron Un vin de soif che regala gioia di vivere e leggerezza. Mette di buon umore già a partire dall’etichetta. Anche il perlage un po’ più contadino sembra perfetto per l’atmosfera che vuole regalare.
Côteaux du Languedoc Promise 2005 Domaine Fontedicto Ecco un rosso che esprime “contadinità”: cioè pur impegnandomi la bocca, più di tutto mi disseta.
Saumur Blanc L’Insolite 2010 Domaine des Roches Neuves Thierry Germain Uno chenin blanc che proviene “insolitamente” da un terroir di rossi di carattere. Grandissima eleganza, acidità da lunga vita, ogni volta che lo riassaggio provo l’emozione di sentire un vino vivo e vibrante, che ti concede anche uno scorcio su quello che diventerà.
Riesling Trocken Bundsandstein Pfalz 2005 Hirschhornerhof Frank è un gentiluomo alto 2 metri e 5, che ti consegna il suo vino fino in cantina, su una Citroen CX Break del ’75 lunga poco meno di 5 metri con cui s’è fatto due milioni di km in giro per l’Europa.
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pietre colorate
Ma io non cerco salvezza nell’indifferenza; la commossa maraviglia è la parte migliore dell’umanità e, per quanto il mondo gli renda difficile il sentire, l’uomo, quando è commosso, sente profondamente ciò che è infinito Johann Wolfgang Goethe, Faust