Il nuovo sentire ecologico (di Alessandra Fabbri)

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UniversitĂ degli Studi di Roma La Sapienza FacoltĂ di Architettura Valle Giulia CdL Arredamento e Architettura degli Interni Tesi di Laurea in Storia dell'Arte Contemporanea Anno Accademico 2009-2010

Relatore Prof.sa Daniela Fonti Correlatore Prof.sa Rossella Caruso Con il fondamentale contributo del Prof. Stefano Catucci per la teoria estetica sul paesaggio e i fondamenti di ecologia.

Il volume è stato stampato su ca\rta riciclata Fabriano e su carta ecologica Favini in

Un carattere ecologico ideato dallo studio creativo di Utrecht, SPRANQ. Basato sul font Vera Sans, Ecofont, grazie alla sua conformazione costituita da microscopici fori all'interno di ogni singolo carattere, utilizza ben il 25% in meno di inchiostro durante la stampa.


| Alessandra Fabbri

IL NUOVO SENTIRE

ECOLOGICO

Tra etica ed estetica, per una responsabilitĂ sostenibile dell'arte


Ringraziamenti A Maria Alicata della Fondazione Olivetti per il confronto costruttivo A Luigi Straffi presidente dell'associazione Neworld per le informazioni sul convegno “La Strategia della Lumaca� A Salvatore Paderi e all'Ing. Alessandro Conforto per il Campus Tiscali A Francesco Muccioli per i consigli e l'entusiasmo


Ad Ambrogio Tresoldi, il Maestro. A Giorgio, mio Padre.



> Indice

Prologo

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(0) Introduzione alla pratica artistica contemporanea

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(1) La questione del bello naturale Il Paesaggio Il bello naturale e il bello artistico

39 45

(2) Ecologia: un problema della mente Nascita dell'ecologia moderna I capisaldi del pensiero ecologista La crisi ecologica

53 57 65

(3) Estetica della natura VS Etica dell'ambiente Dalla crisi ambientale alla coscienza estetica del paesaggio

75

(4) Cartografia della nuova natura Il «medio-ambiente» Il ritorno del sublime Il rifiuto del bello naturale

89 99 105

(5) Ambiente: Immagine VS Natura. I Primi Movimenti Ambientalisti Dall’arte di paesaggio all’arte nel paesaggio

115 121



Land Art Robert Smithson e il concetto di Entropia Art in Nature

127 141 147

(6) Joseph Beuys: Arte come strumento di coscienza Lo Sciamano. L’Artista. L’Uomo Gli slogan Operazione «Difesa della natura»: Praslin – Kassel – Bolognano

159 171 177

(7) Gilles Clément: Utopia realista di un giardino planetario Gilles Clément e il giardino nomade Il Giardino in Movimento Il Giardino Planetario Il Terzo Paesaggio Sul giardino e sul paesaggio

191 199 207 215 221

(8) Italia: scommesse per il futuro Nuovi orizzonti PAV. Spazio di sviluppo urbano per l'arte contemporanea Campus Tiscali

227 233 243

Tavole fuori testo Apparato monografico. Esperienze, percorsi, ricerche Lara Almarcegui Amy Balkin Andrea Caretto&Raffaella Spagna Bruna Esposito Cyprien Gaillard Tue Greenfort Henrik Håkansson Ilana Halperin Debora Ligorio Claudia Losi Lucy+Jorge Orta Dan Peterman Marjetica Potrc Wilfredo Prieto Tomas Saraceno Simon Starling

Opere selezionate

257 265 271 279 287 295 305 311 319 327 333 341 347 353 361 369



> Prologo «Una foresta è un ecosistema Un lichene è un ecosistema Una riva… Una corteccia… Una montagna… Una roccia… Una nuvola…» [Gilles Clément, Il Manifesto del Terzo Paesaggio]

Può l’arte, in un momento storico in cui l’etica diventa una necessità ambientale, assumere un ruolo guida per l’evoluzione del pensiero? L’ambiente, negli ultimi anni, è il tema al centro del dibattito culturale della scena internazionale contemporanea. Nelle preoccupazioni comuni di una politica incentrata sull’obiettivo delle riduzioni di emissione di anidride carbonica, troppo spesso si è portati a ridurre la crisi ecologica ad un’unica dimensione. Si tende, cioè, a puntare esclusivamente sulla soluzione tecnologica, dimenticando che la questione è di ben più ampia portata, perché non può tralasciare i molteplici aspetti di cui il cambiamento climatico ne costituisce solo una parte. E’ una questione culturale. C’è bisogno di un’attitudine al cambiamento. Si pone, quindi, la necessità di un’analisi critica nei confronti di tali questioni, anche e soprattutto, attraverso un approccio filosofico alla crisi ecologica. L’ambiente non può prescindere dall’uomo che, in quanto parte di un ecosistema, ha il dovere di ricomporne e salvaguardarne l’equilibrio, per garantire delle condizioni di vita soddisfacenti in prospettiva del futuro. Per far si che questo avvenga occorre una mobilitazione delle coscienze, una riconsiderazione del rapporto stesso Uomo – Natura. Il lavoro vuole indagare quelle che sono, oggi, le problematiche fondamentali legate al tema ambientale, prendendo le mosse da quel terreno fertile che è l’arte, la quale, non soggetta a condizionamenti spaziali e oggettivi, trova libera espressione in un dibattito che investe a

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1

. Gilles Clément, Manifesto del Terzo Paesaggio,

Quodlibet, Macerata 2005. 2

. Still Life: Art, Ecology and the Politics of

Change. Ottava Edizione della Biennale di Sharjah, 4 Aprile – 4 Giugno 2007. 3

. Convegno Internazionale di Studi: Dalla Land

Art alla Bioarte, 20 gennaio 2007, PAV - Parco d’Arte Vivente, Torino. Lo scopo del Convegno è di elaborare la piattaforma teorica dell’Art Program del Parco d’Arte Vivente, attraverso un confronto tra i diversi filoni artistici, storici e contemporanei, che sono confluiti nella concezione del progetto di

questo

“museo

interattivo

arte/natura”:

dal movimento “Art in Nature” all’“Esthétique relationnelle”, dalla “Genetic Art” alla “Bioarte”. L’obiettivo del programma artistico del Pav è quello di costruire una pratica artistica larga, attorno ai contenuti della Bioarte trasformando il

concept centrale - ricreare la vita artisticamente - in un momento di esperienza il cui fine possa non essere più un semplice vedere la natura nelle sue apparenze fenomeniche e neppure nella versione simulata con calcoli algoritmici, ma il poter indagare nella operatività intima della natura stessa.


tutto tondo il quotidiano contemporaneo, ivi compresa l’architettura. Partendo dal presupposto che, come sosteneva Bernard Rudofsky, l’architettura non può essere solo una questione di tecnologia ed estetica, ma piuttosto la cornice che circonda il nostro modo di vivere che – con un po’ di fortuna – sarà un modo di vivere intelligente, non si può fare a meno di approfondire tutto quello che fa dell’architettura altro da sé, quella cornice che inevitabilmente risulta corollario indispensabile per comprendere la totalità stessa del vivere. L’intelligenza che ci appartiene ci consente, dunque, di comprendere che l’ecologia, ormai, può essere considerata una “cultura sociale” diffusa capillarmente e trasfusa in un movimento politico-sociale di ampio raggio, ma anche, nel suo significato più essenziale, una sorta di “filosofia di vita” che ispira modi di pensare e comportamenti coerenti, anche diversi tra loro. Nell’odierna crisi da deindustrializzazione delle metropoli si sviluppano, come sosteneva Gilles Clément nella teorizzazione del Terzo Paesaggio1, nuovi valori positivi all’interno di una concezione biologica, non economica, del territorio. Tutto ciò è il segno di un cambiamento culturale in atto. Il pensiero post-umanistico, inoltre, ci ha regalato nuovi orizzonti cognitivi. Il superamento del dualismo cartesiano tra sostanza pensante e sostanza estesa abbandona le posizioni antropocentriche per indagare il rapporto con l’alterità dell’essere umano, inteso antropologicamente come un insieme temporaneo e transitorio nel processo cosmologico della coevoluzione, favorendo, così, lo svilupparsi di organismi complessi all’interno dei quali l’uomo ha perso il suo centro. L’arte sta sperimentando tutto questo. E nell’ambito di questo panorama culturale è proprio l’arte, come hanno dichiarato i curatori dell'Ottava Biennale di Sharjah, - Still Life. Art, ecology and the politics of change2 – che può rinnovare il suo ruolo di voce critica di fronte a tematiche centrali per la vita dell’uomo e del pianeta. In questa direzione il lavoro si focalizza su quelle che sono le correnti artistiche contemporanee che si muovono nell’ambito di un terreno eticoecologico, sviluppando nuove concezioni mentali e spaziali. Sulla base di queste premesse nascono esperienze interdisciplinari fondate sul concetto di diversità, di alterità, di energia, di sviluppo di una nuova cultura che deve necessariamente attuarsi attraverso un nuovo rapporto con il territorio. Durante il convegno internazionale di studi Dalla Land Art alla Bioarte3, tenutosi a Torino il 20 Gennaio 2007, il critico Nicolas Bourriaud ha sostenuto la tesi secondo cui il modernismo, sviluppatosi nel suo rapporto con il combustibile, inerte ed esauribile, è ciò di cui oggi vediamo la fine. «Si potrebbe vedere allora lo sviluppo di una concezione dell’arte

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4

. Ivana Mulatero, Dalla land art alla bioarte. Atti

del Convegno internazionale di studi (Torino, 20 gennaio 2007), Hopefulmonster, Torino 2008, p. 65. 5

. Ibidem, p. 66.


giustamente non più basata su un rapporto di depredamento e deflagrazione, ma su una considerazione della materia come energia riciclabile»4. Il superamento delle teorie radicali teorizzate negli anni Sessanta è di fatto un punto di partenza in questo senso. Radicale, dice Bourriaud, significa «andare alla radice, sfrondando i rami attraverso un movimento di purificazione, per una purificazione attraverso il ritrovamento dell’archetipo. Tornare al principio delle cose in modo da rinascere e ricominciare». Ma l’archetipo oggi ci è insufficiente. «Al posto di un’identità immanente oggi cerchiamo dei principi di fondo che hanno a che fare con l’alterità. […] La nostra cultura non è più radicale perché non cerca più di enucleare un principio primo, ma al contrario si basa sulle nozioni di nomadismo, mobilità e migrazione, diventando quindi radicante»5. A questo proposito l’arte può costituire una sana risposta alle sfide sociali e politiche poste al mondo contemporaneo dall’emergenza ambientale e, su questi fondamenti, l’architettura può riappropriarsi del suo ruolo di narratrice di spazi, trovando proprio nell’arte forme di ispirazione e nuovi teoremi. Ripartire dall’arte, quindi, come territorio di incontro e interdisciplinarietà per comprendere come, anche l’architettura, in questo particolare contesto storico, faccia parte di un ecosistema più complesso di quello meramente accademico, perché il pensiero contemporaneo non può prescindere, appunto, dall’alterità. L’arte non può cambiare il mondo. Può riuscire, però, a creare situazioni che rivoluzionino la nostra normale comprensione della realtà, costringendoci a riconsiderare molti dei luoghi comuni proprio in merito a questo dibattito, rendendoci più consapevoli e più critici. Perché è possibile che l’intervento di un artista costituisca un’alternativa di senso. Perché è auspicabile che l’opera d’arte diventi un’azione in grado di cambiare la logica e la tendenza del sistema culturale, sociale e politico in atto. Nessun artista sarebbe, probabilmente, disposto ad affermare che la sua opera possa alterare le regole del sistema, ma in molti riescono ad insinuarvi derive, dubbi, fratture e provocazioni, stimolando una riflessione critica di grande intelligenza e sensibilità pur non potendo prevedere nulla riguardo l’efficacia del gesto. Nell’epoca dell’alleanza tra consumismo e modelli di esistenza, scienza ed arte, tecnologia e sapere, globalizzazione e cultura locale, il problema dell’efficacia di un intervento critico consapevole, diventa una questione di sopravvivenza della cultura in generale. L’opera di Beuys, in questo senso, costituisce un esempio significativo.

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6

. Documenta VII, Kassel 1982. L’artista stesso

piantò il primo albero durante la mostra, mentre gli altri 6999 furono piantati in città nel corso dei cinque anni successivi. Beuys morì nel 1986: sua moglie piantò l’ultimo albero in occasione dell’inaugurazione di Documenta VIII.


La sua “azione artistica” si rivelò un fertile campo su cui piantare floride premesse. Fu lui che magistralmente avvertì e realizzò la necessità di sfumare l’estetico nel sociale e nel politico, senza rinunciare a quella sorta di alone magico e metafisico proprio della sfera dell’arte. Culmine della sua azione furono quegli interventi in ambito ecologico che lo videro piantare alberi e favorire processi di rimboschimento nella regione di Kassel (7.000 querce piantate tra il 1982 ed il 1989)6, processi che l’amministrazione cittadina non era stata in grado di innescare al semplice livello burocratico. Il gesto fuori misura di un artista come Beuys ha reso possibile l’inimmaginabile: «per comunicare con i miei simili ho scelto il metodo dell’arte, il solo modo in cui io riesca ad aiutare gli altri a liberarsi della propria alienazione», sosteneva Beuys a riguardo. Negli ultimi vent’anni la presa di coscienza ecologica, la nascita dei movimenti ambientalisti e la diffusione del pensiero “verde” hanno riacceso la questione anche intorno al “bello naturale”. Le tendenze artistiche degli ultimi trent’anni si sono confrontate con la natura, dalla Land Art americana degli anni Sessanta, con i suoi gigantismi, l’utilizzo di mezzi meccanici e i gesti imperiosi alle tendenze più recenti dell’Art in Nature europea, dalla pratica effimera, mossa da un profondo sentimento per i materiali naturali, in completa integrazione con il luogo degli interventi. Quello che è vero è che oggi l’arte si pone come un’esperienza nella natura, che non la riproduce ma opera al suo interno contribuendo e arricchendo il nostro rapporto con la natura stessa. In questa sede, sono stati privilegiati quegli artisti che portano avanti il proprio lavoro sulle rinnovate basi della sostenibilità, facendone una pratica di vita e non solo artistica. Bioma: è la metafora scientifica di questa molteplicità che oggi la società contemporanea rappresenta. Ecosistemi: sono i luoghi delle interazioni all’interno dei quali il concetto di diversità trova terreno per nuove elaborazioni, dove la partecipazione interdisciplinare diventa fondamentale per portare avanti la pratica eticoecologica al fine di un vivere comune in maniera intelligente.

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(0) Introduzione alla pratica artistica contemporanea

«[...] Scomparsa l’arte del giardiniere era tornata la natura, le male erbe abbondavano, avventura meravigliosa per un povero cantuccio di terra. Nulla vi era in quel giardino che ostacolasse il sacro sforzo delle cose verso la vita, la vita veneranda, che qui dominava in pieno rigoglio. Gli alberi s’erano curvati sui rovi, i rovi erano saliti verso gli alberi, la pianta s’era arrampicata, il ramo s’era piegato, quel che striscia sulla terra era andato a trovare quel che si espande nel cielo, quel che oscilla al vento s’era chinato verso quel che si trascina nel muschio; tronchi, rami, foglie, fibre, ciuffi, viticci, sarmenti, spine s’erano mescolati, attraversati, sposati, confusi; in uno stretto e profondo amplesso la vegetazione aveva lì celebrato e compiuto, sotto l’occhio soddisfatto del creatore, in quel recinto di trecento piedi quadrati, il sacro mistero della sua fratellanza, simbolo della fratellanza umana. Quel giardino non era più un giardino, ma qualcosa d’impenetrabile come una foresta, popolato come una città, fremente come un nido, oscuro come una cattedrale, olezzante come un mazzo, solingo come una tomba, vivo come una moltitudine [...]». [Victor Hugo, I Miserabili]



0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

Nel panorama artistico contemporaneo si delineano, in maniera sempre più spiccata, finalità e metodologie volte ad indagare le profonde relazioni che intercorrono tra Arte, Ecologia e Sostenibilità, con la convinzione che le tematiche affrontate rappresentino un nodo fondamentale riguardo al dibattito sulla realtà. Alla pratica artistica va il merito di contribuire ad una ri-lettura critica del presente, offrendo modalità altre per la comprensione del quotidiano, attraverso una dimensione estetica che, se pur autonoma, si fa voce collettiva. Alcuni artisti si stanno distinguendo per l’adozione di pratiche finalizzate alla riduzione degli impatti ambientali attraverso l’utilizzo di materiali naturali e processi di realizzazione sostenibili. Altri esprimono l’approccio naturalistico-antropologico con un’attitudine critica antiteoretica. Molti si muovono, parallelamente, orientando la propria ricerca verso la denuncia di comportamenti sociali dannosi per l’ecosistema. Altri ancora utilizzano pratiche relazionali, confrontandosi con la sfera pubblica, proponendo nuove strategie di sviluppo; qualcuno portando avanti una vera e propria battaglia ecologica che sfocia, nei casi più estremi, in un vero e proprio attivismo politico. Ed è proprio in questo contesto che, oggi, l’Arte, discostandosi dai movimenti artistici precedenti, instaura nuove pratiche relazionali con l’Ambiente e la Natura. Paolo D’Angelo, nel suo libro Estetica della Natura, definisce il Novecento come «il secolo della pittura senza paesaggio, il secolo della rinuncia alla

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1

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura. Bellezza

naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. 38. 2

. Felix Guattari, Le tre Ecologie, Sonda, Torino –

Milano 1991.


0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

natura»1. La possibilità di rappresentare la natura è andata in crisi già da tempo. La Land Art americana degli anni Sessanta e l’Arte Ambientale europea del decennio successivo avevano compreso appieno che il patto mimetico che le legava alla natura andava indissolubilmente sciogliendosi, ragione per cui l’arte non avrebbe potuto recuperare un legame con la natura semplicemente riproducendola, ma solo operando all’interno di essa. Oggi gli artisti prendono, quindi, una distanza significativa dai metodi e dai presupposti che hanno mosso le generazioni precedenti, e lo fanno abbandonando atteggiamenti marcatamente ideologici, declinando, sul fronte dell’osservazione della natura, ogni mimesis poetica ed emotiva, per guardare al mondo naturale con atteggiamento analitico, proprio di un approccio scientifico. Grazie, infatti, agli incroci di più discipline, si sono generati autentici prestiti di saperi e, spesso, vere e proprie fusioni estetiche e cognitive. Fondamentale a questo proposito il testo Le Tre Ecologie, di Felix Guattari, psicoanalista noto per le sue collaborazioni con Gilles Deleuze. Pubblicato in lingua francese nel 1989, dopo Chernobyl, fu tradotto in inglese soltanto nel 2000 e, ancora oggi, è un importante punto di riferimento per molti artisti che si interessano alle tematiche ecologiche, senza necessariamente sfociare in quella corrente definita eco-arte. L’autore, già allora, metteva in guardia l’umanità tutta dai pericoli delle definizioni troppo restrittive teorizzate dall’ecologia naturalista, proponendo invece di pensare e agire all’interno di un campo formato da tre strati, in cui biosfera, soggettività umana e rapporti umani fossero interconnessi. Secondo Guattari l’ecologia doveva cessare di essere associata all’immagine di una minoranza amante della natura o a una categoria di esperti qualificati. Le tre sfere, economia, società ed ecologia dovevano, ai suoi occhi, poter essere pensate come un sistema integrato2. L’arte può costituire, ad oggi, un valido mezzo per mettere al bando le derive pittoresche e stimolare l’avvio di pratiche efficaci, ponendo fine ai miti romantici della natura. Per questo, con l’apporto sempre meno deterministico - la cui dottrina si fonda sulla teoria in base alla quale ogni evento è determinato in maniera casuale da una catena ininterrotta di eventi accaduti in precedenza, cosicché diventa teoricamente possibile prevedere la concatenazione di ogni evento futuro - di discipline come l’Architettura, l’Antropologia e la Biologia, anche l’Arte, nel superamento di quella che in precedenza è stata definita Arte Ambientale, si è arricchita di molteplici interpretazioni del dato naturale. La relativizzazione dell’approccio deterministico ha dato luogo, così,

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3

. HEP: I. La specie umana è l’unica a possedere

un’eredità non solo biologica ma anche culturale. II. La cultura può variare infinitamente e molto più velocemente dei caratteri biologici. III. Gran parte delle differenze tra gli esseri umani sono di origine culturale e non biologica, quindi possono essere modificate socialmente; ne consegue che ciò che conta sono i rapporti interni alla società. IV. La cultura ha carattere cumulativo, dunque il progresso può proseguire illimitatamente, rendendo risolvibile qualsiasi problema sociale. 4

. NEP: I. Gli esseri umani, pur possedendo

tratti peculiari, sono solo una tra le tante specie della comunità bioetica. II. I legami tra esseri umani ed ambiente sono complessi e includono meccanismi di retroazione: le azioni dell’uomo producono altre possibili conseguenze a volte inattese. III. La terra costituisce un ambiente fisicamente

e

biologicamente

limitato:

ciò

impedisce una crescita indefinita della specie umana e delle sue attività. IV. L’inventiva umana può sembrare in grado di superare i limiti della capacità di carico dell’ambiente, tuttavia le leggi ecologiche non possono essere abolite: l’uomo non può essere esentato dai vincoli definiti dall’ambiente fisico e biologico e dalle regole che lo governano. 5

. La disciplina dell’Ecologia Umana, fondata

dalla Scuola di Chicago nei primi anni del secolo scorso, può essere considerata a tutti gli effetti come il predecessore della moderna Sociologia dell’Ambiente. Cfr. in proposito le teorie di Robert Ezra Park e Ernest W. Burgess.


0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

ad una crescente presa di coscienza della dimensione di non totale prevedibilità dei cambiamenti indotti dall’uomo nell’ambiente, sia a livello locale, sia globale, e conseguentemente della necessità di adottare un criterio precauzionale, ponendo, in particolare, un limite alla libertà dell’agire umano nei confronti della natura. Nel dibattito attuale, le teorie post-ambientaliste hanno contribuito in maniera determinante ad orientare una parte significativa della questione culturale intorno al nodo dell’ecologia. Nel tentativo di comprendere i rapporti e le interazioni tra mondo sociale e ambiente naturale, è necessario far ricorso ad alcuni studi nel campo della sociologia, perché l’arte sia considerata, a tutti gli effetti, parte di un ecosistema dove il concetto di diversità trova terreno per nuove elaborazioni, nell’articolata evoluzione verso organismi complessi, all’interno dei quali l’uomo, come già detto, ha perso il suo centro. Non si può, per questo, tralasciare lo sviluppo di quella disciplina che, a posteriori, è stata definita Sociologia dell’Ambiente, teorizzata dagli studiosi Reley Dunlap e William Catton, contestualmente alla pubblicazione di due articoli: il primo del 1978 sulla rivista The American Sociologist, il secondo del 1979 sulla rivista Annual Reviews of Sociology. Il Paradigma dell’Eccezionalismo Umano [HEP - Human Exceptionalism Paradigm]3, criticato dai sociologi americani, rappresenta la trasposizione nelle scienze sociali di valori diffusi nella cultura occidentale il cui Paradigma Dominante [DSP – Dominant Social Paradigm] è caratterizzato da una smodata fiducia nella prosperità, nel progresso scientifico e tecnologico, nei valori dell’individualismo e della libera impresa. È questa una chiara visione secondo cui la volontà umana può tutto e le risorse disponibili sono virtualmente illimitate. Per interpretare ed individuare, allora, un percorso nuovo, mirato ad affrontare e risolvere la crisi ecologica, i due studiosi si orientano verso una nuova prospettiva, un nuovo paradigma, in grado di ridefinire le aspettative della specie umana nei confronti della natura: il Nuovo Paradigma Ecologico [NEP – New Ecological Paradigm]4. Importante, a questo proposito, è l’approccio che fa leva sul concetto di ecosistema umano come sistema coerente di fattori biofisici e sociali, capace di adattamento e sostenibilità nel tempo5. L’ecosistema umano è, pertanto, costituito da risorse naturali, socioeconomiche e culturali il cui impiego è regolato dal sistema sociale a sua volta composto da istituzioni sociali, cicli sociali e ordine sociale. Si rafforza, quindi, già da allora, la consapevolezza di una reciproca dipendenza tra uomo e natura soprattutto in ambienti non scientifici. Una singola disciplina non può possedere, sola, tutti gli strumenti conoscitivi adatti ad esplorare il rapporto tra uomo e natura. Da qui l’esigenza di un approccio interdisciplinare che riunisca tutte le

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6

. Hans Jonas, Il principio di responsabilità.

Un’etica per la civiltà tecnologica [1979], Einaudi, Torino 2002. 7

. Ted Nordhaus and Michael Shellenberger, The

Death of Environmentalism. Global Warming Politics in a Post-Environmental World, 2004.


0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

discipline che si occupano, se pur con differenti finalità e metodologie, della questione ambientale. In questo contesto, appunto, si inserisce l’obiettivo di perseguire una pratica artistica volta al funzionamento della complessa macchina ecosistemica della vita di ognuno. E’ da questo momento che la questione ambientale inizia a porre un problema ben più ampio rispetto a quello puramente scientifico. Come riuscire a cambiare la mentalità dell’individuo? Come riuscire a reinventare delle pratiche cognitive e sociali che restituiscano all’umanità quel principio di responsabilità, tanto caro ad Hans Jonas6, non solo verso se stessa, ma anche e soprattutto nei riguardi della Terra e del suo futuro? Perché l’uomo ha il dovere di preservare la propria specie e con essa la natura che ne è la base organica. E’ necessario rifondare la visione antropocentrica del pensiero occidentale, guardando all’uomo come essere capace di responsabilità e, per questo, in grado di limitare il proprio intervento manipolativo sulla natura. Ancora una volta la questione interessa la sfera culturale dell’uomo. E’ una questione di etica. L’inquinamento materiale non è altro che la conseguenza di un inquinamento della mente che affonda le proprie radici nell’impianto concettuale del pensiero occidentale. Oggi, l’appello dal mondo dell’arte ad orientare il progresso delle scienze e della tecnica verso finalità più umane, è cresciuto esponenzialmente in direzione di una nuova ridefinizione ed individuazione di nuove pratiche di sviluppo e convivenza. Il paradigma ecologico costituisce, così, per un gruppo sempre più consapevole e diffuso di artisti, un fondamento etico sulla base del quale riconsiderare non soltanto il rapporto tra arte e scienza, ma anche e soprattutto l’insieme delle relazioni tra le sfere estetiche, sociali e cognitive. In proposito, gli scritti di Ted Nordhaus e Michael Shellenberger, attraverso una critica ai metodi, al linguaggio e alle retoriche ambientaliste tradizionali, hanno tentato di ridefinire i canoni di un nuovo pensiero ecologista, svincolato da una percezione dell’umanità e della cultura come entità avulse dalla natura e dal suo sistema di relazioni. La loro idea, esplicata nell’articolo The Death of Environmentalism7, secondo cui la politica e la mentalità delle restrizioni e dei limiti, vadano abbandonate in favore di una nuova visione di innovazione e di crescita, in cui il cambiamento climatico sarà visto come una carenza del giusto tipo di sviluppo, e non come conseguenza dello stesso, mette in evidenza proprio i limiti dell’ambientalismo. La biodiversità e l’economia non possono viaggiare su binari diversi, ma,

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8

. Gregory Bateson, Verso un’ecologia della

Mente, Adelphi, Milano 1977. 9

. Ibidem.

10

. Secondo la definizione WCDE - The World

Commission on Environment and Developement - che introdusse per la prima volta il concetto di “Sviluppo Sostenibile”, nel 1987.


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nel contesto di una nuova politica ambientale, devono necessariamente trovare un terreno comune di confronto. C’è la necessità di ripensare la pratica ambientalista dalle fondamenta. La necessità di un approccio che si preoccupi di recuperare le idee teorizzate da Gregory Bateson8 in merito a quel complesso sistema di relazioni che determina i processi di conoscenza, legando le idee fra di loro: un’ecologia della mente, intesa come il complesso sistema di relazioni tra l’uomo e tutti gli altri esseri viventi, e tra gli esseri viventi tutti e la natura. Le idee stesse diventano, così, esseri viventi, soggette ad una peculiare selezione naturale e a leggi che regolano ed imitano il loro moltiplicarsi entro certe regioni della mente. Come tali le idee nascono e muoiono. E la morte di un’idea altro non è che la conseguenza di una mancata armonia con le altre. Da qui la proposta di una ecologia della mente come scienza delle relazioni tra questioni apparentemente lontane, come «la simmetria bilaterale di un animale o la disposizione strutturale delle foglie di una pianta, o ancora, l’amplificazione successiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell’evoluzione biologica e la crisi in cui oggi versano i rapporti uomoambiente». Perché, secondo il pensiero di Bateson, «la pura razionalità finalizzata, senza l’aiuto di fenomeni come l’arte, la religione, il sogno e simili, è di necessità patogena e distrugge la vita»9. Soltanto attraverso una visione olistica del mondo, quindi, che includa anche l’arte insieme agli altri elementi, e che, allo stesso tempo, guardi all’arte stessa come ad un insieme di componenti non separate, si potranno progressivamente affermare una co(no)sc·i·enza ecologica e una cultura sostenibile, nel suo significato più profondo, intesa, cioè, come «capacità da parte dell’uomo di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie necessità»10. La definizione di sostenibilità determina, così, un presupposto etico generale nel quale si contempla il principio ineluttabile del mantenimento delle risorse e dell’equilibrio ambientale del nostro pianeta. Separare, perciò, l’arte dalle altre discipline coinvolte nello sviluppo di una nuova cultura ecologica, diventa una pratica inutile e autodistruttiva. L’obiettivo deve essere quello di trovare, all’interno della stessa pratica artistica, una nuova forma di estetica comune per un’interazione totale tra i diversi linguaggi. La svolta è etico-estetica sul piano sociale. Per un’arte che miri al conseguimento di una conoscenza ecologica profonda, tale da superare le questioni ambientali analizzate da un punto di vista esclusivamente scientifico, per innescare nuovi meccanismi di

29


11

. Gilles Clément, Thomas et le Voyageur, Albin

Michel, Paris 1997. 12

. Patrick Geddes (1854-1933), biologo, botanico

e urbanista scozzese. È divenuto celebre per le sue idee innovative nel campo dell’urbanistica. Fu all’avanguardia nell’avvertire il bisogno di pianificazioni urbane preliminari che tenessero conto

delle

caratteristiche

storiche,

sociali,

biologiche, economiche, estetiche e geografiche del territorio e della città. Intuì, fra i primi, l’esistenza di un collegamento tra comunità umane dalle

e

sviluppo

teorie

biologico,

evoluzionistiche

influenzato darwiniane.

Fondamento del suo pensiero è l’ambizione di collegare tra loro scienze sociali e scienze naturali. Le sue teorizzazioni di riconciliazione tra utile e bello, città e natura, anticipano le riflessioni sull’ecologia umana e sulla sociologia ambientale,

considerando

l’ambiente

come

ingrediente “attivo”, non più solo corollario, dell’organizzazione sociale. 13

. Lorenzo Giusti, Dalla sensibilità ambientale al

pensiero ecologico, in Arte e Critica, numero 59 giugno-agosto 2009.


0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

indagine, caricandosi di nuove aspirazioni, prospettive e significati culturali più ampi. A dispetto dello scetticismo e del negazionismo di alcuni scienziati, il cambiamento climatico è, infatti, ormai un’evidenza, così come la contaminazione dei suoli e dell’aria, la desertificazione, l’impoverimento della diversità animale e vegetale, la deforestazione e l’inquinamento, sono i segni sempre più chiari della crisi in atto. Quello di cui si avverte la necessità è lo slittamento degli orizzonti verso nuove prospettive, in un disegno dove, con le parole di Gilles Clément, occorre tener conto anche di ciò che non si vede, perché «il paesaggio è ciò che si vede dopo aver smesso di osservarlo»11. In un contesto dove la diversità diventa la chiave di comprensione, è proprio attraverso il “giardiniere” per eccellenza che si arriva a capire come la questione non si vada riducendo ad una mera estetica del naturale né tantomeno ad un neosituazionismo vegetale. Le implicazioni più interessanti degli assunti teoretici di Clément sono epistemologiche e, in senso lato, politiche. Sono nella loro capacità di mettere in campo gli strumenti delle scienze della natura, per contribuire, un secolo dopo Geddes12, ad un rinnovamento radicale delle tecniche di osservazione del paesaggio urbano e dell’intero ecosistema umano. Le risposte alla crisi individuano differenti percorsi. In particolare, tra gli artisti più giovani si sta assistendo ad una progressiva perdita di interesse per interventi monumentali, così come per soluzioni dal carattere neoromantico, intimiste o formaliste, le quali sembrano lasciare il posto a progetti interdisciplinari orientati, nella maggior parte dei casi, a suggerire pratiche possibili di sviluppo. Si è creata una confusione enorme in seguito all’ondata inarrestabile di messaggi volti a provocare sensi di colpa ecologici e, soprattutto, in conseguenza di una volontà economica e politica di lucrare su questo sentimento. La pratica artistica non è in grado – e del resto non le compete – di proporre un modello di vita corretto o verde, ma attraverso una lettura critica e personale, in qualche modo, può interrogarsi sul comportamento umano. Una catalogazione per generi o indirizzi ne risulta però difficile per il numero sempre maggiore di adesioni alla causa e per la disparità di mezzi e intenzioni. Come sostiene Lorenzo Giusti13, in linea generale, la ricerca artistica contemporanea contempla una sostanziale libertà programmatica e linguistica che svincola il lavoro di ricerca dall’utilizzo di stili o forme espressive unitarie. Solo per citarne alcuni, Tue Greenfort, ad esempio, si interroga sulle dinamiche culturali ed economiche che condizionano la relazione tra

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0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

uomo e ambiente attraverso progetti caratterizzati da un'apertura interdisciplinare e un approccio scientifico basato su una puntuale ricerca; i suoi interventi delineano modelli critici antiretorici, rielaborati ogni volta in relazione alle caratteristiche del contesto in cui l’artista si trova ad operare. Fondate, invece, su una concezione politica dell’arte, le ricerche di Lucy e Jorge Orta adottano strategie alternative di denuncia, di sensibilizzazione e di intervento, nel tentativo di promuovere e avviare nuovi processi cognitivi e relazionali. I loro progetti, che spaziano dall’installazione al video, fino alla performance, ricordano allo spettatore che l’immaginazione, intesa come capacità di mettere a fuoco immagini alternative del futuro, è il primo degli strumenti necessari per la creazione di nuovi modelli di sviluppo e di convivenza. Andrea Caretto e Raffaella Spagna lavorano in una disposizione altrettanto scientifica sulle relazioni tra esseri umani e ambiente naturale, intrecciando la loro formazione con un filone artistico attivo in relazione alle scoperte della scienza o alle moderne tecnologie. Altri artisti coltivano interessi di tipo botanico, zoologico, o antropologico che li conducono ad analisi sul campo, restituite talvolta in forma documentaria, talvolta in una traduzione estetica di tipo esperienziale. E’ il caso dell’artista svedese Henrik Håkansson, che porta avanti la sua pratica secondo un approccio interdisciplinare di matrice naturalista, analizzando le possibili forme di relazione tra uomo e natura, attraverso la registrazione e la presentazione di frammenti di cicli naturali. Un altro versante su cui si muove uno spiccato gruppo di menti è quello legato alle pratiche attivistiche mirate a diffondere strategia sostenibili, generalmente strutturate in collettivi. È il caso di Amy Franceschini che, con il collettivo Futurefarmers e altre collaborazioni, pone al centro della propria riflessione gli effetti della globalizzazione sull’ambiente, mettendo in atto una forma aggiornata di attivismo culturale finalizzato alla creazione di piattaforme interdisciplinari, sia attraverso progetti di arte pubblica, sia attraverso lo sfruttamento delle possibilità interattive fornite dai nuovi media. Superflex, collettivo danese, da oltre dieci anni, realizza progetti che incoraggiano pratiche sostenibili in zone in via di sviluppo, come il noto Supergas, presentato per la prima volta a Kassel nel 1997 e ancora oggi distribuito in diverse zone dell’Africa. Amy Balkin, interessata a questioni quali il diritto pubblico, l’accesso alle risorse primarie, l’abuso del territorio, l’inquinamento, la speculazione, porta avanti, attraverso una vera a propria indagine giornalistica, una denuncia aperta in merito alle problematiche relative all’area intorno all’Interstatale numero 5, che collega San Francisco a Los Angeles. Tomas Saraceno, con attitudine visionaria, si muove, invece, alla ricerca

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14

. Marjetica Potrc, Le nuove territorialità nell’area

di Acre e il perché della loro importanza: note sulla speranza e sul “gioco” della coesistenza, Dichiarazione n.3, in Lorenzo Giusti e Valentina Gensini (a cura di), Greenplatform. Arte Ecologia

Sostenibilità, Catalogo della mostra, Moleskine, Firenze 2009, p. 63.


0 | Introduzione alla pratica artistica contemporanea

di materiali innovativi e sistemi autosufficienti, capaci di divenire modelli per un futuro sostenibile. I suoi esperimenti indagano le interrelazioni tra esperienza esistenziale e sensibilità ecologica, tracciando direttrici di sorprendente invenzione, sovvertendo la quotidianità dello spazio urbano attraverso nuove modalità di approccio all’ambiente stesso. Sostanzialmente, la vocazione sperimentale, cui le opere degli artisti impegnati sul fronte di una conoscenza ecologica cercano di tenere fede, impone una costante ricerca di nuove modalità espressive e di comunicazione. Questa ricerca del “nuovo”, propria della tradizione modernista e neoavanguardista, sta progressivamente trasformandosi in una ricerca di “nuove possibilità”. Nuove possibilità che si traducono in un alter-modernità, come sostiene Nicolas Bourriaud, intendendo con questo termine il risultato visibile del superamento del post-moderno. Alter-modernità caratterizzata da una moltitudine di possibilità, da un discorso attivo e poliglotta fra le diverse culture del mondo, ma con un’attenzione specifica ai contesti in cui il dibattito avviene. Come ha scritto recentemente Marjetica Potrc in un importante articolo sulle nuove territorialità nell’area di Acre, in Brasile: «Negli anni Sessanta riflettevamo, ora siamo passati all’azione»14. Il processo di cambiamento è soltanto all’inizio.

«Nel passato ci siamo fatti l’idea dell’arte come di uno specchio che riflette il tempo, di un martello che provoca una protesta sociale, di un oggetto d’arredamento che si può appendere alle pareti, di una ricerca personale di sé. C’è però un altro tipo di arte che testimonia della forza delle connessioni e stabilisce legami: una forma d’arte che invita a relazionarci. Il valore della responsabilità sociale manca nei nostri modelli estetici; la sfida per il futuro sarà di superare la frattura esistente tra l’estetico e il sociale. C’è bisogno di creare nuove forme che sottolineino l’interconnessione piuttosto che la separatezza, forme evocanti il sentimento di appartenenza al totale piuttosto che il totale dell’io alienato». [Suzi Gablik]

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(1) La questione del bello naturale «Natura e Arte sono un Dio bifronte» [Gabriele D’Annunzio, Il Fanciullo]


1

. James Hillmann, Politica della bellezza, Moretti

e Vitali, Bergamo 1999, p. 65.


1 | La questione del Bello Naturale

> Il Paesaggio

«Le accanite lotte politiche e le argomentazioni tecniche sulla “natura”, sull’inquinamento, sull’energia e simili, hanno ragioni che non sono solamente ecologiche, che non sono basate soltanto su considerazioni legate alla biosfera, ma anche su ragioni estetiche profonde, dovute alla necessità che ha l’anima di bellezza. Il bisogno che ha la psiche della bellezza è fondamentale» 1. Un breve excursus sulla questione del bello naturale è necessario per comprendere le ragioni che sottendono tutte quelle pratiche artistiche contemporanee che scelgono, come tematica profonda, quella dell’ecologia, legata imprescindibilmente al concetto di ambiente. Spesso l’interesse di tipo scientifico per la natura nasconde un coinvolgimento ti tipo estetico e da esso trae alimento. A questo proposito si può affermare – come scrive Paolo D’Angelo in Estetica della Natura – che l’Ambiente è un fatto fisico, descrivibile scientificamente, mentre il Paesaggio è un fenomeno percettivo che rientra nell’ambito delle esperienze estetiche e, in quanto tale, richiede una consapevolezza di carattere culturale. Dobbiamo ripensare al paesaggio stesso in termini di identità estetica dei luoghi, «superando la sua riduzione alla sola sfera soggettiva perché proprio l’aspetto estetico concorre alla individuazione di un luogo come QUEL luogo specifico», senza essere soggettivo nel senso dell’arbitrarietà e del capriccio, ma intersoggettivo come tutti i valori culturali, e liberarci «di uno tra i pregiudizi più resistenti del nostro modo moderno di guardare alla natura, quello che consiste nell’intendere il rapporto tra produzione artistica e osservazione della natura come uno scambio a senso unico,

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2

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura. Bellezza

Naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. XIII. 3

. Jacob Burckhardt (1818-1897), celebre per i

suoi studi sull’Arte Antica e sul Rinascimento. Condusse una delle prime approfondite riflessioni sulla nozione di Paesaggio. La sua visione di una natura come spettacolo da contemplare, il suo gusto per il paesaggio, proprio di una sensibilità tutta moderna, perché capace di ammirare la natura ponendosi in un atteggiamento di maturata individualità e libertà, e in ultimo, la sua diffidenza verso la rivoluzione industriale, hanno una lontana affinità con i pionieri del pensiero ecologico. 4

. Joachim Ritter (1903-1974), filoso tedesco,

ricostruì storia e nozione teorica del Paesaggio. Per

lui

paesaggio

è

natura

che

si

rivela

esteticamente, vale a dire senza scopo pratico. Nell’epoca moderna, che vede la riduzione della natura

a oggetto delle scienze naturali, solo

esteticamente nella poesia e nell’arte, è ancora possibile cogliere la natura come un tutto dotato di fini. Di qui la nozione di Paesaggio, nata insieme alla modernità, pensata come pendant estetico

dell’oggettivazione

scientifica

della

natura e come compensazione del suo utilizzo strumentale. 5

. Henry David Thoreau (1817-1862), filosofo e

scrittore statunitense. Nutre l’idea, squisitamente romantica, di una natura in cui si realizzi la perfetta unità tra materia e spirito. Per lui l’ideale di una ritrovata comunità con la natura è prima di tutto un principio etico. La sua poetica vede la natura come custode della autenticità dell’animo umano,

rifiutando

un’industrializzazione

che

rende gli uomini strumenti di strumenti. Molti artisti contemporanei hanno ripercorso le tracce di Thoreau, che si stabilì per due anni sul lago Walden con lo scopo di studiare l’ambiente circostante, quasi da eremita. 6

. Joachim Ritter, Paesaggio. Uomo e natura

nell’età moderna, 1963, in Paolo D’Angelo,


1 | La questione del Bello Naturale

come cioè la proiezione di esperienze artistiche sul dato naturale»2. Da Burckhardt3, fino ai filosofi del Novecento come Ritter4, il concetto di Paesaggio si è affermato, nella cultura storico-filosofica moderna, quale terreno fondamentale di elaborazione teorica e culturale attorno all’ambiente naturale, senza che questo fosse esclusivo oggetto di studio delle scienze fisiche, biologiche ed economiche, ma anche e soprattutto per l’influenza che è in grado di determinare sull’animo umano in termini di bellezza, sentimento, gusto. Per questo la storia del concetto di Paesaggio, soprattutto a partire dal Romanticismo, si è progressivamente intrecciata con la riflessione del bello naturale e con la storia dell’estetica, e proprio nella sua accezione estetica, l’amore per il paesaggio è stato un valore fondante dell’intero pensiero ecologico, a cominciare da Thoreau5, una delle figure più originali e influenti nella storia iniziale del pensiero, fautore e promotore di un integrale ritorno alla natura come via maestra di libertà, d’incontro con il sacro, di realizzazione del sé. La nozione di paesaggio, quindi, fa capo alla dimensione culturale e spirituale del rapporto che l’uomo stabilisce con l’ambiente e, incentrandosi anche sugli aspetti storici, filosofici ed artistici della realtà ambientale, allarga la prospettiva di indagine oltre le sole componenti fisico-biologiche ed economico-materiali. Sebbene per questo suo diretto riferirsi alla riflessione storico-filosofica sia un concetto che miri alla ricomposizione tra scienze umane e scienze naturali, è al tempo stesso, però, indice della frattura tra natura e cultura, portata a compimento dalla modernità come conseguenza del progressivo distanziamento dell’uomo moderno dalla stessa natura, e di una nostalgia per la sua perdita. La natura perde l’aura della sacralità e del mistero non essendo più il territorio oscuro del mito, come avveniva in passato. Sostiene Ritter: «Nell’epoca storica nella quale la natura, la sua forza, e la sua materia diventano oggetto delle scienze naturali, dell’utilizzazione e dello sfruttamento tecnico su cui esse si basano, la poesia e l’arte figurativa assumono il compito di interpretare – in senso non meno universale – la stessa natura nel suo rapporto con l’uomo sensibile e di rappresentarlo sul piano estetico. […] Il Paesaggio ha bisogno di essere attestato e raffigurato sul piano estetico là dove la natura copernicana lo esclude, non comprendendolo in sé. Dove il cielo e la terra dell’esistenza umana non vengono conosciuti ed espressi nel sapere scientifico, come anticamente nel concetto della filosofia, la poesia e l’arte si assumono il compito di mediarli esteticamente in quanto paesaggio»6. Il Romanticismo sarà il punto di partenza della rivoluzione del pensiero, momento in cui si consuma il divorzio tra bellezza artistica e bellezza naturale.

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Estetica

della

Natura.

Bellezza

Naturale,

paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. 25.


1 | La questione del Bello Naturale

Con la crisi della teoria dell’imitazione il soggetto naturale viene messo in discussione per l’autonomia del soggetto artistico. Uno dei primi tentativi di opporsi all’immagine inanimata della natura illuminista, matematizzabile e regolata solo da rapporti meccanici e causali, per una natura, al contrario, animata, organica e irriconducibile alla pura quantità .

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1 | La questione del Bello Naturale

> Il Bello Naturale e il Bello Artistico

E’ con il Romanticismo, quindi, che viene sancita l’inseparabilità della conoscenza della natura dal suo godimento estetico, ed è, altresì, nel superamento del suo astrattismo, secondo le teorie hegeliane, che si pongono le basi per il nuovo pensiero contemporaneo, che non è soltanto celebrazione dell’esteticità della natura, ma anche il suo esatto contrario, l’epoca in cui la bellezza artistica si rende indipendente da quella naturale, subordinandola a sé, fino ad eliminarla completamente. Nonostante la concezione hegeliana della natura vada in una direzione ben lontana rispetto alla strada intrapresa dalla moderna ecologia – rivendicando sempre la superiorità umana sul prodotto naturale, del bello dell’arte sul bello naturale, in generale della cultura sulla natura – il richiamo del filosofo tedesco al reale come totalità diventa spunto di riflessione per la possibilità di costruire una visione organica della natura e una scienza ecologica solida. Con Hegel viene sancito definitivamente il declino del bello naturale, perché il bello artistico, frutto dell’operatività umana, è più in alto proprio perché generato dallo spirito. Si apre la strada della subordinazione del bello naturale al bello artistico. Tutte le conquiste successive del Secolo a venire, dipenderanno da questa consapevolezza. La riflessione estetica del Novecento sarà completamente cieca nei riguardi della bellezza naturale: la irriderà, condannandola, fino al punto di negarla. L’esclusione più netta del bello naturale dall’orizzonte dell’estetica, però, avviene con Benedetto Croce. Come sostiene Paolo D’Angelo, per lo storico, «negare l’esperienza del bello naturale ha rappresentato la liberazione da un grave errore. Il bello di natura è un semplice incidente

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7

. Ibidem, p. 47.

8

. Ibidem, p. 50.

9

. «L’arte è la nostra protesta, il nostro baldo

tentativo di insegnare alla natura a stare al suo posto», Oscar Wilde, La decadenza della Menzogna, in Opere, a cura di M. d’Amico, Mondadori, Milano 1992, p. 201. 10

. Theodor W. Adorno, Teoria Estetica, a cura

di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1974, in Paolo D’Angelo, op. cit., p. 55.


1 | La questione del Bello Naturale

della questione estetica. […] Croce, negando il bello fisico, vuole dire che nessun oggetto materiale, sia esso naturale o artificiale, può essere determinato bello per se stesso: esso è solo l’occasione perché l’uomo compia un’esperienza estetica»7. Non solo la teoria, del resto, ma anche la pratica artistica, ha contribuito a scavare il solco che ci separa dal bello naturale rendendone difficile la comprensione. «Anche l’arte moderna ha guardato alla bellezza della natura come un inganno facile. Ci ha insegnato a diffidare. E insegnandoci a diffidare ha rinunciato a farci vedere. Ha voluto rivendicare a merito e onore la sua capacità di costruire un mondo totalmente altro, che può fare a meno di quello naturale»8. È proprio sulla base di queste teorie che si sviluppa il pensiero contemporaneo, nella consapevolezza che l’uomo possa essere l’artefice della rovina della natura, dell’ambiente e delle nostre condizioni di vita. Quello che oggi noi siamo, i movimenti artistici che si sono sviluppati in merito al tema dell’ecologia, prendono le mosse proprio da queste considerazioni, conquiste della modernità. Passando da Baudelaire a Wilde9 alle Avanguardie del Novecento, l’antinaturalismo si propone come linguaggio autonomo che nega la natura e proprio per questo paradossalmente la elogia, perché si comincia a guardare ad essa come ad un’entità minacciata dai pericoli della tecnica e dell’urbanizzazione. Theodor Adorno (1903-1969) nella sua Teoria Estetica, primo su tutti, ha visto che dietro il rifiuto teorico della bellezza si nasconde un problema. Ha riproposto con forza la questione per interrogarsi su cosa ne sia oggi dell’estetica della natura. La banalizzazione del bello naturale anziché eliminare il problema lo rafforza: «Sentire la natura, addirittura poi il suo silenzio, è diventato un privilegio, e questo a sua volta valorizzabile commercialmente. Ma con ciò la categoria del bello naturale non è condannata e basta. La ripugnanza a parlarne è al culmine là dove sopravvive l’amore per essa»10. La Teoria Estetica di Adorno uscì postuma nel 1970, di lì a poco si tornò a parlare di bello naturale. Ad affrontare la questione, però, non fu la filosofia ma l’ecologia. La questione ecologica dell’estetica ambientale non è dunque una conseguenza della critica filosofica in atto, bensì un prodotto dell’affermazione dei movimenti ambientalisti. Il pensiero di Adorno ha profondamente influenzato l’ecologia politica e in generale tutte quelle correnti di pensiero che, rifuggendo qualsiasi tipo di indole romantica, pongono la questione ambientale come problema squisitamente moderno. Il filosofo tedesco, interrogandosi in maniera radicale sul rapporto tra civiltà, dominio della natura e possibilità di liberazione degli uomini, arriva

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11

.

Roberto

Della

Seta,

Daniele

Guastini,

Dizionario del pensiero ecologico. Da Pitagora ai No-Global, Carocci, Roma 2007, p. 42. 12

. Albert Camus, Actuelles. Chroniques 1944 –

1948, Galimmard, Paris, 1959, in Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. cit., p. 28. 13

.

Serge

Latouche,

La

scommessa

decrescita, Feltrinelli, Milano 2007.

della


1 | La questione del Bello Naturale

a sostenere che la civiltà stessa altro non è che il risultato del dominio dei processi naturali, dominio che impone come «prezzo il progressivo e inesorabile consegnarsi della civiltà stessa all’ideologia e alla falsa coscienza, […] perciò il dominio della natura, da strumento di liberazione diventa al tempo stesso mezzo di asservimento: si deve dominare sempre di più la natura per conquistare l’autonomia del bisogno, dall’insicurezza, dalla paura»11. Risiede qui il paradosso della modernità, secondo cui gli uomini contemporanei, grazie alla tecnica, potrebbero essere tutti liberati dalla scarsità materiale e dalla paura, ma che invece vengono schiacciati per le conseguenti smanie di antagonismo e predominio dell’uno sull’altro. Perché il vero limite delle capacità umane non risiede nella natura, ma nello sviluppo illimitato del dominio sulla natura, condizione per la quale si genera l’alienazione sociale. Sostanzialmente per Adorno quanto più la civiltà affonda il suo ego nell’età della tecnica, tanto più diventa consapevole che quel dominio sulla natura che ha consentito il progresso è anche ciò che ha deformato e alienato l’uomo stesso. Scrive Albert Camus : «La civiltà tecnologica ha raggiunto il suo massimo grado di forza selvaggia. Bisognerà scegliere, in un futuro più o meno prossimo, tra il suicidio collettivo e un uso intelligente delle conquiste scientifiche»12. E’ importante partire da qui per affrontare tutte quelle tematiche relative all’ecologia ambientale, all’ecologia politica, ai limiti dello sviluppo – teorizzati da Serge Latouche13 – e ad un utilizzo “etico” della tecnica, al fine di comprendere il pensiero profondo della nuova coscienza artistica del panorama contemporaneo che affonda le sue radici proprio nelle teorie estetiche ed ambientaliste degli anni Sessanta del Novecento.

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(2) Ecologia Un problema della mente

«Ora più che mai la natura non può essere separata dalla cultura. Per comprendere le interazioni tra diversi ecosistemi, la mecanosfera e l’Universo di riferimento sia sociale che individuale, dobbiamo imparare a pensare in maniera trasversale. Così come alghe mostruose e mutanti invadono la laguna veneziana, così gli schermi delle nostre televisioni si popolano fino alla saturazione di affermazioni ed immagini “degenerate”. Nel campo dell’ecologia sociale, si permette a uomini come Donald Trump di proliferare liberamente, come una forma di alga, infestando, cioè appropriandosi, di interi quartieri di New York e Atlantic City» [Felix Guattari, Le Tre Ecologie]


1

. Ernst Haeckel (1834 – 1919), zoologo tedesco

noto per la sua legge biogenetica, considerava l’arte l’unione dell’ordine della natura con l’espressione artistica dell’uomo. L’esperienza artistica era così importante, a suo avviso, tanto da dover rientrare nei programmi scolastici: compito di ogni scuola, doveva essere quello di iniziare per tempo i bambini al godimento del paesaggio attraverso il disegno e l’acquerello. Tra le sue opere quella che conobbe più successo fu

proprio

un’opera

artistica,

Kunstformen

der Natur – Forme d’arte in natura (1904). In essa la natura veniva mostrata attraverso il riconosciutissimo stile, allora molto in voga, dell’Art Nouveau. Kunstformen è parte integrante del suo “progetto di educazione monistica” e della sua concezione dell’evoluzione. 2

. Ernst Haeckel, Generelle Morphologie der

Organismen, in R. Della Seta, D. Guastini, Dizionario del pensiero ecologico. Da Pitagora ai No-Global, Carocci, Roma 2007, p. 14. 3

. Se Charles Darwin è famoso per avere

compreso

e

spiegato

il

meccanismo

della

selezione naturale, è ad Haeckel che dobbiamo molte delle idee alla base della moderna ecologia.


2 | Ecologia. Un problema della mente

> Nascita dell’ecologia moderna

Capire le ragioni della necessità di un nuovo sentire ecologico aiuta a riflettere soprattutto sulla condizione che l’uomo assume in una società complessa come quella contemporanea. Le relazioni che da sempre intercorrono tra l’uomo e la natura si caricano di nuovi significati. Significati che necessariamente diventano prospettive in un’epoca dove non è più possibile prescindere da quelle che sono le problematiche della degradazione del pianeta. Ambiente, territorio, ecologia: termini che da sempre accompagnano l’esistenza di ognuno, oggi si arricchiscono di nuove speranze per una prospettiva di vita futura. «Ecologia, come per la prima volta dichiarò Ernst Haeckel1, discusso allievo di Darwin, è l’ambito di sapere concernente l’economia della natura, lo studio di tutte le relazioni dell’animale con il suo ambiente inorganico e organico. I fatti ecologici sono i fenomeni estremamente vari ed intricati che ci sono presentati dalle relazioni degli organismi col mondo esterno che li circonda, con le condizioni organiche ed anorgiche di esistenza; la cosiddetta economia della natura, i rapporti reciproci di tutti gli organismi che vivono gli uni con gli altri in un medesimo sito. La spiegazione meccanica di questi fenomeni è data dalla teoria dell’adattamento degli organismi al loro ambiente, del loro trasformarsi in seguito alla lotta per la vita, al parassitismo […]»2. Questo include, quindi, i rapporti con animali e piante con i quali l’uomo entra direttamente o indirettamente in contatto: in una parola l’ecologia è lo studio delle interrelazioni complesse.3

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Una per tutte l’idea che la competizione tra le specie (la lotta per l’esistenza) sia uno dei fenomeni fondamentali che strutturano la natura come noi la vediamo. Haeckel, inoltre, arricchì l’idea di natura rivedendola proprio in termini di dinamicità e relazionalità. La natura diviene, così, il luogo che avvolge e circonda l’essere umano, che interagisce con esso, allontanandosi dal concetto statico, e prettamente metafisico, che ne si dava fino all’Ottocento. La relazionalità nasce dal significato proprio del termine greco

oikos, “casa”, a significare la terra come casa dell’uomo, dove le relazioni con l’altro hanno luogo. 4

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit.,

Carocci, Roma 2007, p. 23. 5

. Ibidem, pp. 14-15. Il riferimento esplicito va

a Rousseau, Voltaire e Diderot. Nonostante sia «paradossale questa filiazione sia pure indiretta del pensiero ecologico all’illuminismo, perché non vi è altra riflessione che abbia così duramente messo sotto accusa la stessa ideologia illuminista del progresso, ravvisandovi – con ottime ragioni – la premessa culturale di quell’ambizione dell’umanità moderna di dominio tecnologico ed economico sulla natura che a sua volta è alla base della crisi ecologica […]», nel pensiero illuminista si trovano le radici «tanto del pensiero ecologico quanto della crisi ecologica». Si può sostenere che «esso da una parte abbia riconciliato l’uomo con la natura togliendolo dal piedistallo creazionista, e dall’altra abbia posto le basi per una contrapposizione tra umano e naturale ancora più radicale: quella costruita sulla possibilità e sull’utilità di una manipolazione illimitata della natura da parte dell’uomo, estraniato dal mondo naturale non per via metafisica ma per via tecnologica. È proprio questo processo di alienazione che sarà alla base del comune pensiero di molte filosofie contemporanee, dall’esistenzialismo alla Scuola di Francoforte, dalla controcultura al pensiero ecologico», in Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit., p. 15.


2 | Ecologia. Un problema della mente

Siamo nel 1868 e la tradizione biogeografica della natura viene intrinsecamente legata a quella dell’economia della natura. La visione ecologica trasformò, così, la terra in un luogo chiuso, da salvaguardare, perché finito e dalle risorse limitate, costringendo a ripensare criticamente i sistemi politici, sociali ed economici. Proprio la trasformazione della natura, non concepita solo come “essenza”, ha determinato la nascita, soprattutto negli Stati Uniti, di una filosofia dell’ambiente distinta ed indipendente dalla filosofia della natura. «La tutela della natura divenne presto una preoccupazione molto forte e diffusa negli Stati Uniti, dove le immense estensioni di natura selvaggia erano tra gli elementi principali della diversità dall’Europa e dunque tra i simboli della stessa identità nazionale»4. Proprio attraverso Haeckel possiamo comprendere la complessità e la contradditorietà del pensiero ecologico. Egli «personifica, senza dubbio, il forte debito dell’ecologia verso l’ambizione, fondativa dell’evoluzionismo darwiniano, di liberare dalla metafisica lo sguardo della scienza sulla natura, di far scendere l’uomo dal piedistallo “extra-naturale” su cui l’aveva collocato e costantemente tenuto, con rare eccezioni, la tradizione giudaico-cristiana. Questa è una prima, formidabile, ragione per considerare l’ecologia un pensiero squisitamente moderno. Un pensiero che paradossalmente affonda le sue radici nelle teorie illuministe di chi, rovesciando il punto di vista sui meriti del progresso come sola via di emancipazione dell’uomo da un originario stato di natura, eleva quella iniziale condizione di naturalità a simbolo della purezza, della felicità, dell’armonia, irrimediabilmente perdute nell’uomo civilizzato»5. Possiamo affermare, quindi, che l’ecologia, in quanto disciplina scientifica e storica che studia i nessi e le evoluzioni dell’ambiente e del vivente, è carica di conseguenze critiche ponendosi, fin da subito, come scienza della trasversalità. Si addensano in essa nodi teorici e metodologici che partecipano sia delle scienze umane sia delle scienze naturali, ma, soprattutto, si evidenziano in questa disciplina, anche tutti i problemi delle società complesse, i mutamenti delle strategie del sociale e del politico che probabilmente andrebbero ripensati nella loro totalità. I processi della biosfera e quelli della società si intersecano e si contraddicono, e la definizione stessa dell’ecologia, oggi, risulta problematica in quanto è insieme scienza dell’uomo e scienza della natura. Ma è innanzi tutto scienza di relazioni: di ecologia umana, disciplina che si occupa delle relazioni fra gli esseri umani e il loro ambiente.

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6

. Ivan Illich (1926-2002), sosteneva la tesi

secondo cui il sistema scolastico non istruisse, sottraendo, invece, ai bambini la loro creatività e la loro curiosità; la medicina moderna non curasse, ma creasse altre malattie; l’ideologia consumista mettesse a repentaglio gli equilibri precari tra l’uomo e l’ambiente, creando falsi bisogni; il sistema dei trasporti non favorisse la mobilità, ma al contrario la ostacolasse; i progetti di sviluppo non producessero ricchezza, ma solo povertà. Per Illich, questi non sono tanto paradossi quanto contraddizioni tragiche, sviluppatesi

nel

pensiero

contemporaneo,

perché gli uomini non riescono a dimenticare i propri egoismi, la propria avidità. La sua critica puntuale al consumismo, come sistema che crea bisogni falsi e artificiali e allo strapotere economico-politico delle multinazionali, lo pone tra gli anticipatori del movimento no-global e tra i pensatori anarchico-radicali più stimolanti del XX secolo.


2 | Ecologia. Un problema della mente

> I capisaldi del pensiero ecologista

Per comprendere fino in fondo il dibattito contemporaneo sulle problematiche ambientali è necessario, però, fare un passo indietro al fine di conoscere i fondamenti teoretici che sono alla base del sentire quotidiano dell’uomo nel mondo, nonché dello spirito artistico di chi si muove in questa direzione. Si tratta di concepire l’Ambiente come il contesto di relazioni che rende possibile un fenomeno. Ogni lettura riduttiva, materialisticamente naturalista dell’ecologia, non spiega la crisi ambientale in cui l’uomo contemporaneo si trova e «l’ombra che il nostro futuro proietta», secondo un’acuta espressione di Ivan Illich, poliedrico ed eccezionalmente originale pensatore contemporaneo, recentemente scomparso. Quello del filosofo austriaco è un pensiero di totale rovesciamento di alcune delle categorie fondanti della modernità come l’idea di progresso e la nozione di benessere quali condizioni e processi interamente dipendenti da indicatori economici. A partire dagli anni Sessanta Illich porta avanti una critica radicale nei confronti delle grandi istituzioni sociali nel campo dell’educazione, della sanità e dell’economia, in quanto sistemi che, a suo avviso, inibiscono le aspirazioni di autorealizzazione dell’essere umano6. Oggi, le attività antropiche, che presentano un impatto progressivamente sempre più destabilizzante sugli ecosistemi, rispecchiano il tipo di società attraverso cui gli esseri umani si organizzano. È con questa realtà nuova che l’ecologia deve misurarsi, ponendosi come ecologia dell’uomo, così da assumere, fino in fondo, i connotati di una scienza non solo della natura ma della natura e dell’uomo, una scienza

57


7

. Serge Latouche (1940), economista francese,

esperto di cooperazione allo sviluppo.

Si è

distinto, nel corso della sua pratica, per aver portato avanti una critica aspra e acuta alla scienza

economica

l’ideologia

della

ufficiale,

crescita

condannando

quale

condizione

indispensabile per l’aumento del benessere e lo sviluppo economico. Concentrandosi su fattori altri, Latouche ripropone il valore sociale dell’ambiente, del benessere e della convivialità. 8

. Hans Jonas (1903-1993), filosofo tedesco,

matura

la

sua

riflessione

sul

tema

della

responsabilità per la vita, del genere umano e dell’ecosistema. Questa responsabilità è tanto più urgente quanto più l’uomo, con l’uso della tecnologia su scala mondiale, ha ormai messo in serio pericolo non solo la salute dell’ambiente e dell’uomo, ma addirittura la loro stessa esistenza. Celebre per aver pubblicato, nel 1979, il saggio Il

principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, sua opera centrale, dove indaga le due nuove sfide che, a suo avviso, impegnano la

responsabilità

dell’uomo

contemporaneo:

l’erosione del senso dell’esistenza e la concreta minaccia di distruzione del mondo organico. Due frontiere di ricerca tra loro intimamente legate: rifiutare il nichilismo significa dare una forma articolata alla speranza di preservare l’umanità e la natura dalla distruzione.


2 | Ecologia. Un problema della mente

dell’interrelazione, del confine, della trasversalità, una scienza, in sintesi, che indaghi il binomio natura-cultura. La relazione tra visione culturale della natura e conservazione dell’ambiente rappresenta un nodo fondamentale nelle prassi quotidiane intrattenute dagli uomini con l’alterità non umana: le relazioni dell’uomo con l’ambiente sono una parte indissociabile dell’ecologia. Serve una storia che sappia essere insieme ecologica e antropologica, perché le categorie dell’ecologia scientifica non possono spiegare da sole gli scambi tra l’uomo e la natura, che mutano insieme alle strutture sociali. Vengono accostati, così, due campi che tradizionalmente venivano tenuti separati, ma che ora diviene fondamentale riavvicinare perché l’analisi del rapporto dell’uomo con la natura significa, innanzitutto, comprensione delle diverse civiltà, consapevolezza dell’uomo su se stesso, sulla sua storicità, sulla sua mentalità, sul modo di porsi rispetto alla natura, agli altri viventi, agli altri uomini: significa comprensione del bioma cui l’uomo appartiene e delle sue emozioni. In questo senso non è difficile constatare che, nella modernità, si è assistito ad una grande cesura con il passato, rappresentata dal capovolgimento del rapporto tra società e natura. È venuto meno il principio di solidarietà tra uomo e universo, ed è stato sostituito da quello della dominazione dell’uomo sulla natura. La cultura occidentale ha elevato a valori unici della società il principio dell’utile e del valore. L’ideologia dell’uomo economico, elaborata dal pensiero teorico occidentale, si è riversata direttamente nel quotidiano, nel modo di rappresentarsi e di essere del mondo stesso occidentale. Come sostiene Serge Latouche7 – il cui pensiero è in stretta relazione con quello di Illich – nel mondo contemporaneo la felicità è proporzionale alla quantità di consumo, il che sottende un presupposto utilitaristico della felicità stessa. Un consumo che ha portato al prevalere del valore di scambio sul valore d’uso delle merci, un consumo che prevede un sempre più largo utilizzo di scienza e tecnica, ormai a pieno inglobate nel sistema economico. Tutto questo dà vita ad un sistema integrato che elabora e produce tecnologia secondo una logica che sfugge al controllo delle istanze sociali e all’interesse della società. E’ qui che entra in gioco il principio di responsabilità teorizzato da Hans Jonas8: perché l’uomo ha il dovere di preservare la propria specie e con essa la natura che ne è la base organica. Per Jonas il pensiero occidentale è stato caratterizzato dalla separazione tra uomo e natura, separazione che può spiegare lo scarso interesse per il mondo che ci circonda. A questo proposito ritiene urgente la formulazione di una nuova teoria etica, in tempi come i nostri in cui le morali religiose sono in crisi e lo sviluppo delle scienze pone problemi di scelte totalmente

59


9

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit.,

p. 207. 10

. Gregory Bateson (1904-1980), fonda la sua

riflessione

proprio

Figura

straordinario

di

sui

problemi

ambientali.

eclettismo

è

stato

autore di riferimento per il movimento della controcultura,

nato

negli

Ancora

oggi

resta

uno

seguiti

dagli

ecologisti

anni

dei

Sessanta.

pensatori

nonché

uno

più degli

interpreti più incisivi del pensiero ecologico. 11

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit.,

p. 68. 12

.

Felix

Guattari

(1930-1992),

filosofo

e

psicanalista francese, celebre, tra le altre cose, per aver sviluppato la nozione di ecosofia nell’opera Le tre ecologie: l’ecologia ambientale, in rapporto alla natura e all’ambiente; l’ecologia sociale, in rapporto alle realtà economiche e sociali; l’ecologia mentale, in rapporto alla psiche,

il

problema

della

produzione

della

soggettività umana. «Il principio comune alle tre ecologie consiste, dunque, nel fatto che i territori esistenziali con cui ci portano a confrontarci non si danno come un in sé, chiuso su se stesso, ma come un per sé precario, finito, finitizzato, singolare, singolarizzato, capace di biforcarsi o in reiterazioni stratificate e mortifere oppure in un’apertura processuale a partire da prassi che permettano di renderlo ‘abitabile’ da parte di un progetto umano. E’ questa apertura prassica che costituisce l’essenza di quest’arte dell’«eco» che sussume tutte le maniere di domesticare i territori esistenziali, sia che riguardino modi intimi d’essere, il corpo, l’ambiente o dei grandi insiemi contestuali relativi all’etnia, alla nazione o anche ai diritti generali dell’umanità», in Felix Guattari, Le tre ecologie, Sonda, Torino 1991, pp. 33-34.


2 | Ecologia. Un problema della mente

nuove. Perché l’etica valga universalmente è necessario, quindi, individuare un valore che consenta di colmare il divario tra “essere” e “dover essere”. L’uomo deve adoperarsi per negare il “non-essere”, agendo in favore della vita e delle generazioni future. Il pensiero di Jonas, rifuggendo ogni teoria biocentrica, teorizza «l’eccezionalità dell’uomo come unico essere capace di responsabilità, proponendo di rifondare la visione antropocentrica – del pensiero occidentale – su basi radicalmente nuove che assumano la crisi ecologica come uno dei grandi problemi del mondo contemporaneo e fondino la necessità per l’uomo di limitare il proprio intervento manipolativo sulla natura»9. Ancora una volta la questione interessa la sfera culturale dell’uomo. E’ una questione di etica. L’inquinamento materiale non è altro che la conseguenza di un inquinamento della mente che affonda le proprie radici nell’impianto concettuale del pensiero occidentale. «Verso un’ecologia della mente, scriveva Gregory Bateson10, filosofo statunitense, nel 1972. Perché la pura razionalità finalizzata senza l’aiuto di fenomeni come l’arte, la religione, il sogno e simili, è di necessità patogena e distrugge la vita. […] Egli applica ai problemi ambientali le riflessioni precedentemente sviluppate in altri campi disciplinari. La crescente incapacità dell’uomo occidentale di convivere in modo equilibrato con la natura nasce dall’idea di una superiorità intrinseca della dimensione conscia dell’agire umano su quella inconscia, che invece è la più vicina alle possibilità di apprezzare la natura sistemica della mente e anche il carattere relazionale, interdipendente del rapporto uomo e natura»11. Un errore, questo, che ha dominato, secondo il filosofo, l’intera tradizione scientifica e culturale dell’Occidente, alimentando la crisi ecologica in atto, frutto di una mancata visione globale in grado di capire l’interazione indissolubile tra tutti gli aspetti della realtà e i comportamenti umani, unita all’incapacità di prevedere le conseguenze dannose dell’agire degli uomini, aprioristicamente fiduciosi nel progresso, nei confronti dell’ambiente. Un inquinamento definito da Felix Guattari come una categoria del pensiero propria della modernità. «Lungi dal ripiegarsi sulla natura quale si immagina fosse ieri, compete all’ecologia di reinventare nuove maniere di stare nel mondo e nuove forme di socialità. L’ecologia sarà in primo luogo mentale e sociale o non sarà nulla, o comunque poco»12. L’ecologia, quindi, non riguarda più solo l’ambiente ma la mente umana, e la crisi ecologica altro non è che la conseguenza di una costruzione culturale antiecologica che trova radici nel dualismo cartesiano uomo-

61


13

. Secondo Cartesio la natura era regolata da

ferree leggi meccaniche di valore universale che non vincolavano l’umanità, luogo di produzione del libero arbitrio, del pensiero e della creatività. La conseguenza diretta di questo dualismo sfociava

nello

sfruttamento

della

natura,

considerata al servizio dell’uomo, sganciato da ogni tipo di riflessione etico-scientifica. 14

. Per Newton la natura si riduceva ad una

materia opaca e silente che fluiva in una processualità senza fine né ragione. Allo stesso modo l’universo era una macchina costituita da materia inerte e passiva. In una visione meccanicistica e deterministica del mondo di forte implicazione anti-ecologica. 15

. Cornelius Castoriadis, Une société à la

dérive, in Serge Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007, p. 7.


02 | Ecologia. Un problema della mente

natura, con una sostanziale e decisiva svalorizzazione del mondo naturale13; nella visione meccanicistica e deterministica di Newton14, che autorizza qualsiasi tipo di intervento manipolatorio perché concepito come avulso ed estraneo rispetto al mondo umano, non avendo con esso alcuna relazione; nel pensiero platonico che valorizza solo il mondo delle idee, lontano dalla natura corruttibile delle cose: al mondo sensibile viene sottratta realtà e importanza verso un annichilimento che ha, inevitabilmente, avvelenato tutto il pensiero occidentale, tradottosi poi a pieno nella modernità con il capitalismo. In questa direzione, «l’ecologia è sovversiva poiché mette in discussione l’immaginario capitalista dominante. Ne contesta l’assunto fondamentale secondo cui il nostro orizzonte è il continuo aumento della produzione e dei consumi. L’ecologia mette in luce l’impatto catastrofico della logica capitalistica sull’ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani»15. E’ un ecologia che investe la sfera sociale e culturale dell’essere uomini e in quanto tale necessita di una rivoluzione copernicana all’interno stesso dell’esistere, per affrontare in aperta guerriglia quella sfera dell’umano e del sociale che oggi molti artisti, primi per sentire e vati delle epoche a venire, si sono presi a cuore. Una sfida per la ridefinizione dei valori e degli obiettivi.

63


16

. Vittorio Hösle, Filosofia della crisi ecologica,

Einaudi, Torino 1997, quarta di copertina. Vittorio Hösle (1960), filosofo italo-tedesco, tra i più accreditati della sua generazione, in questo saggio formulò la previsione che la questione ambientale si sarebbe affermata come uno dei paradigmi centrali del pensiero contemporaneo, tanto da scalzare tematiche consolidate, che hanno segnato la storia dell’Occidente, quali il nazionalismo e l’economicismo.


2 | Ecologia. Un problema della mente

> La crisi ecologica

«Che cosa ha a che fare la filosofia con i problemi ecologici? Non è forse meglio che parlino la chimica, la biologia, la geografia, l’ingegneria oppure la sociologia e la politologia? L’incombere della catastrofe ecologica provoca reazioni di rassegnazione o di cinico edonismo e trova le sue radici nella frammentazione del sapere e delle sue tecniche, che sta anche alla base della crisi filosofica attuale. Il compito della filosofia appare allora quello di domandarsi come l’uomo sia arrivato a minacciare l’intero pianeta e che senso abbia, in questa prospettiva, l’idea tradizionale di progresso. Ma non solo: la filosofia deve individuare nuovi valori e categorie per reimpostare il rapporto uomo-natura in modo da formare esseri umani in grado di affrontare la crisi. Ecologia è, letteralmente, dottrina della casa. Ma oltre la dimora materiale, la Terra, è necessario ricostruire la dimora spirituale (e con essa una nuova idea della politica) che garantirà la sopravvivenza della casa planetaria»16. Tematizzare l’esistenza di una crisi ecologica è già di per sé indice di un cambiamento culturale che investe atteggiamenti, aspettative e rivendicazioni di nuovi valori per migliorare la qualità della vita. All’entusiasmo per la scienza e la crescita economica questo nuovo sentire contemporaneo sostituisce la richiesta di nuove considerazioni umane, estetiche ed sociali. La questione ecologica si afferma come centrale, non tanto per i suoi dichiarati impegni ambientali, quanto piuttosto, per l’acquisizione di una profonda consapevolezza del distacco profondo, che via via va maturandosi, tra la Natura e Uomo, riconoscendo nell’essere pensante un

65


17

. La postmodernità è l’epoca segnata dalla

trasformazione del capitalismo da una logica della produzione a una logica del consumo. Il pensiero postmoderno non ha più la fiducia illuministica e positivistica per la scienza, come costruzione razionale e progressiva di conoscenze oggettive. La crescita della conoscenza non è considerata continua, ma discontinua; è caratterizzata da eterogeneità dei linguaggi e da pluralità delle concezioni. 18

. Nel campo dell’etica ambientale le teorie

antropocentriche si basano sul ruolo principale dell’uomo all’interno del mondo naturale, il cui valore è strumentale agli interessi umani, gli unici in grado di attribuire senso al mondo naturale. Importante è soddisfare i bisogni dell’uomo

economico,

la

sua

necessità

di

massimizzare i profitti sfruttando in maniera parassitaria ed egoistica le risorse della terra, la sovrabbondanza e il consumo delle risorse. L’idea che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi legati alla loro esauribilità è alla base di queste teorie. Le teorie ecocentriche, al contrario, si basano, sul differente valore assegnato alla natura, preesistente all’uomo e da esso indipendente. In virtù di questo l’uomo dovrà necessariamente riconoscere alla natura i suoi diritti, impostando un cambiamento del soggetto dell’etica, non più solo l’uomo, ma tutti gli animali, le piante e la biosfera intera.


2 | Ecologia. Un problema della mente

essere sociale che subisce, ma allo stesso tempo incide, i processi ciclici della natura. La rottura degli equilibri ecologici, la fuga della natura dal paesaggio, le spaccature del tessuto sociale, sono tra i sintomi più evidenti della crisi e di una rinnovata preoccupazione per le sorti del pianeta. Essendo un fenomeno anzitutto sociale, alla crisi ecologica si accompagna una cultura post-moderna17 che rimette in discussione proprio quelle certezze, sviluppatesi nella modernità, fondate nel progresso e nella tecnologia a servizio dell’uomo. Pur trattandosi di fenomeni distinti – il post-moderno è un pensiero critico-culturale; l’ecologia un complesso di condizioni storiche, biologiche e sociali – entrambi lavorano per smascherare quei costrutti sociali e ambientali che hanno contribuito ad un evidente malessere del pianeta. Percorrendo questa strada si arriva alla conclusione che progresso non sempre è sinonimo di sviluppo, che crescita non significa necessariamente benessere economico. Una svista concettuale, questa, che ci ha causato non pochi danni. La contraddizione che ne scaturisce è quella che mette in relazione il nostro sistema di crescita e sviluppo con la sopravvivenza della natura: bisogna ripartire da queste considerazioni per comprendere che l’idea di un progresso fondato sull’indiscutibile centralità dell’umano rispetto alla natura non è più possibile; la morale che vede un sistema dove tutto è funzionale alla specie umana è ormai obsoleta e va messa in discussione. Già negli anni Settanta si affermarono movimenti culturali che criticavano profondamente le ideologie economiche dominanti perché ritenute responsabili dello sfruttamento selvaggio e violento dell’ambiente, e si cominciarono ad approfondire le ragioni del rapporto malato uomo – natura. Quindi si fece strada un’attenta e profonda riflessione attorno alle tematiche dell’etica ambientale, un’etica che doveva essere in grado di fronteggiare un progresso scientifico-tecnologico sempre più forte ed incontrollabile. Di fronte ad una possibile catastrofe umana e naturale l’attenzione degli studiosi si concentrò su un’etica capace di ridare futuro alla terra, e oggi, più che mai, si fanno evidenti le incongruenze di un atteggiamento che, nel tentativo di servire l’uomo per sottomettere la natura, ha prodotto nel tempo strumenti e metodi di ricerca che danneggiano equilibri ecologici e forme di vita, umane e non. La questione ecologica generò risposte diverse, ma tutte rivolte al superamento di una visione meccanicistica e materialistica della natura, se pur divise sul valore effettivo che la natura avrebbe dovuto assumere. Da qui discendono i due approcci fondamentali delle environmental ethics: l’approccio antropocentrico e quello ecocentrico18. Visioni diverse che si

67


19

. Specismo è un termine coniato da Richard

Ryder per descrivere la diffusa convinzione antropocentrica che gli esseri umani godano di uno status morale superiore e che quindi dispongano di maggiori diritti rispetto agli altri animali. 20

. Un testo rilevante in proposito è quello

di

Luisella

Alle

Battaglia,

origini

dell’etica

ambientale: uomo natura, animali in Voltaire, Michelet, Thoreau, Gandhi, Dedalo, Bari 2002, dove viene portata avanti un’attenta riflessione sull’importanza della razza animale come specie non subordinata all’uomo, ma autonoma nelle proprie funzioni di “contributo” agli ecosistemi di cui anche l’uomo partecipa. 21

. Questo il pensiero di Murray Bookchin (1921-

2006), importante pensatore libertario nonché uno dei pionieri del movimento ecologista. È stato tra i primi a prefigurare la comparsa all’orizzonte

di

una

grave

crisi

ecologica,

scrivendo un saggio sulla questione ambientale già nel 1952. Il suo primo libro, Our Synthetic

Environment, nel 1962, ha preceduto di alcuni mesi il più noto Primavera silenziosa di Rachel Carson. Bookchin si è occupato delle tematiche ecologiste quando queste non erano ancora riconosciute

come

un

problema

sentito

a

livello collettivo. L’originalità del suo pensiero può essere individuata soprattutto nell’aver ricondotto la crisi ecologica alle sue radici sociali, affermando di conseguenza la necessità di una radicale trasformazione collettiva che sostituisca all’attuale società capitalistica una società ecologica.


2 | Ecologia. Un problema della mente

basano sul valore intrinseco da assegnare alla natura e che gli appartenga in quanto tale, a prescindere dalla ragione umana. Quello di cui oggi, in sostanza, si avverte il bisogno è un approccio che infranga il mito della priorità ontologica dell’umano; la necessità di ridistribuire i valori, riportando l’umano nel mondo, con le sue relazioni naturali, politiche e sociali. La critica più feroce, portata avanti dagli ecologisti, è quella nei confronti di un processo di modernizzazione legato all’industrializzazione a tutti i costi, dove l’entusiasmo per una crescita e uno sviluppo ottenuti a spese dell’umanità e della natura non è più praticabile. Questo perché non è più plausibile considerare lo specismo19 dell’universo morale costruito unicamente in funzione della specie umana20 che, ad oggi, non può più rappresentare l’unico beneficiario del profitto indiscriminato. La modernizzazione ha allontanato l’uomo da se stesso. Per questo la crisi ecologica è essenzialmente una crisi culturale, e per questo si fa sempre più viva l’esigenza di un nuovo sentire che ci permetta di comprendere quanto l’essere umano non possa prescindere dalle forme di vita non umane. Perché Natura e Umanità devono essere considerate in un’unica ottica ecologica che è quella della compresenza e della relazione, e non quella della distruzione reciproca. Vedere nella cultura una soddisfacente via di sopravvivenza è la tacita premessa di ogni etica ambientale che, dunque, a tutti gli effetti può essere considerata un’etica della cultura. Come sosteneva Aldo Leopold – di cui parleremo più avanti – nessun cambiamento importante si è mai compiuto senza un cambiamento interno nelle nostre priorità, nei nostri legami e nelle nostre convinzioni, modificando proprio – in maniera ecologica – i nostri modelli culturali, le nostre costruzioni teoriche, la nostra gerarchia di valori. Per questo è possibile affermare che, contro la logica del dominio, la questione ecologica assume una valenza sociale che proprio per le sue connotazioni la separa da quella ambientale, di cui spesso viene considerata il sinonimo. Ambientalismo ed ecologia in realtà volgono lo sguardo su visioni opposte della natura: mentre l’uno adotta una concezione meccanicistica e strumentale della natura, in una sorta di politica riformista di riduzione del danno, l’altra – sociale – aspira all’abolizione del concetto di dominio umano nei confronti della natura attraverso una politica radicale di trasformazione sociale per l’eliminazione dei rapporti gerarchici tra gli esseri umani21. «Ricongiungersi alla trama della vita significa edificare e mantenere comunità sostenibili, in cui possiamo soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni senza ridurre le opportunità per le generazioni future. A questo scopo possiamo apprendere lezioni preziose dallo studio degli ecosistemi,

69


22

. Fritjof Capra, La rete della Vita, Bur Rizzoli,

Milano 1997.


2 | Ecologia. Un problema della mente

che sono società sostenibili di piante, animali e microrganismi. Per capire queste lezioni, dobbiamo apprendere i principi di base dell’ecologia. Dobbiamo diventare, per così dire, ecologicamente istruiti. Essere ecologicamente istruiti, o ecocompetenti, significa comprendere i principi di organizzazione delle comunità ecologiche (ecosistemi) e usare quei principi per creare comunità umane sostenibili. Dobbiamo dare nuovo vigore alle nostre comunità - comprese le comunità educative, economiche e politiche - così che i principi dell’ecologia si manifestino in esse come principi di educazione, amministrazione e politica. […] Mentre il nostro secolo sta ormai per concludersi e andiamo verso l’inizio di un nuovo millennio, la sopravvivenza dell’umanità dipenderà dal nostro grado di competenza ecologica, dalla nostra capacità di comprendere i principi dell’ecologia e di vivere in conformità con essi»22.

71



(3) Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

«Occorre imparare a pensare come una montagna. Così facendo, giungiamo a vedere il mondo come casa comune». [Aldo Leopold]


1

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Dizionario

del pensiero ecologico. Da Pitagora ai No-Global, Carocci, Roma 2007, p. 158.


3 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

> Dalla crisi ambientale alla coscienza estetica del paesaggio

L’etica ambientale è un’ideologia di pensiero che nasce e si sviluppa nel Nuovo Continente, molto prima di quello che sarà, negli anni a venire, il dibattito sulla questione estetica – la cui rimessa in discussione avviene soltanto intorno alla metà degli Anni Ottanta – strettamente legata alla diffusione del pensiero ecologico e al proliferare dei movimenti ambientalisti, spinta, in aggiunta, da un complessivo ritorno all’etica pratica di derivazione kantiana. Il pensiero si evolve sulla scia di quello che fu un considerevole disastro ambientale dovuto alla desertificazione delle aree coltivate – con una conseguente migrazione da parte della popolazione – e la successiva crisi energetica del 1929. Ispirazione comune ai diversi orientamenti dell’etica ambientale – che trovano nella pubblicazione della rivista Environmental Ethics (USA, 1979), il più accreditato luogo di dibattito sulla materia - «è l’idea che l’uomo sia parte della natura e che dunque l’assolutismo antropocentrico di matrice meccanicista vada messo in questione anche in campo morale»1. Il dibattito che ne è scaturito ha visto, nel tempo, il proliferare di diverse e antitetiche posizioni: dall’antropocentrismo all’ecologia profonda; dal biocentrismo individualista alle teorie che si concentrano sui diritti degli animali; dal neoutilitarismo al principio di responsabilità di Jonas. Vero è che, quando si siano sviluppate una sensibilità e una cultura che spingano a ripensare la relazione che lega l’Uomo alla Natura, invitando ad una riflessione sulla morale che porti allo sviluppo di nuovi interrogativi su come dar vita a norme e valori condivisi, allora possiamo parlare di etica ambientale.

75


2

. Aldo Leopold (1887-1948), è famoso per il suo

prezioso contributo alla causa ambientalistica. Tutto l’impegno in difesa dell’ambiente e tutta la ricerca scientifica di Leopold trovano la loro forma compiuta nel pensiero maturato nella piccola capanna a Baraboo, dove Leopold, in un rifugio lontano dagli eccessi della vita moderna, si impegna per un’azione di recupero ambientale. La campagna di Baraboo, nel Wisconsin, è, dunque, il luogo di un’esperienza integrale in cui rivivere il modello della “vita nei boschi” per ritrovare il proprio senso di libertà, come già era stato per Henry Thoreau; il luogo per ritrovare un agire tecnico sensato; il luogo in cui ritrovarsi ritrovando la natura; il luogo non di una fuga dal mondo moderno e dal progresso, ma per rimettersi al passo con esso. La grande notorietà di Leopold è soprattutto legata ad una raccolta di saggi - A Sand County Almanac (Almanacco di un mondo semplice) del 1949 – in cui racconta la sua conversione all’idea della difesa dell’ambiente come imperativo etico. 3

. Aldo Leopold, A Sand County Almanac, Oxford

University Press, United States 1949, trad. it. Aldo Leopold, Almanacco di un mondo semplice, Red Edizioni, Como 1997. 4

. Nelle lingue romanze il termine wilderness non

trova equivalenti. Proprio per questo il sostantivo è stato adottato in eguale misura nell’uso comune di tutte le altre lingue. Nel Grande

Dizionario Italiano dell’Uso di Tullio De Mauro, la wilderness viene così definita:«la natura allo stato selvaggio, non alterata dall’intervento dell’uomo». 5

. Aldo Leopold, Op. Cit., Oxford University Press,

New York 2001, p. 179.


3 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

A ragion veduta, possiamo trovare le radici della moderna etica ambientale nelle teorie di Aldo Leopold2, primo ecologo statunitense che parla di etica della terra, insistendo sul bisogno impellente di considerare insieme storia sociale e storia naturale, per ripensare la relazione tra uomo e ambiente, natura ed economia, natura e cultura, intesa come valore risultante dalle diversità, che assumono una valenza nuova, al di là della dimensione biologica. Leopold è, quindi, universalmente riconosciuto come il padre della moderna etica ambientale. In Almanacco di un mondo semplice3 contesta tutte quelle filosofie di pensiero che assegnano alla natura un valore puramente strumentale, perché le comunità biotiche – a suo avviso – hanno valore in sé, indipendentemente dalla loro utilità che l’uomo ne ricava. La sua etica della terra diventa, così, un manifesto per le generazioni future, una conquista della modernità, quasi un corollario dei concetti alla base della scienza ecologica e della teoria evoluzionista. Secondo John Baird Callicot, filosofo statunitense, uno tra gli autori più influenti nel campo dell’etica ambientale, fu proprio Leopold ad operare un radicale superamento della prospettiva antropocentrica, ponendo le basi per quella che successivamente si sarebbe sviluppata come un’etica, al contrario, ecocentrica. Callicot traccia, in un articolo del 1979, le linee guida per una riflessione che prende le mosse proprio dal pensiero di Leopold. Secondo Callicot il concetto di etica ambientale non può e non deve fondarsi sul concetto di valore intrinseco di ogni singolo essere vivente: l’appartenenza ad una stessa comunità biotica rende l’uomo moralmente responsabile nei confronti dell’ambiente che lo circonda ed origina un’etica del territorio. Contro il concetto della wilderness4, tanto cara agli americani e a molti Land Artist, che di fatto stabilisce e perpetua una netta separazione tra l’uomo e la natura, escludendo, di fatto, l’ambiente antropizzato, teorizza l’esistenza di un legame profondo tra l’ecologia, l’etica olistica dell’ecosistema, e dell’empatia dell’uomo nei confronti della natura. Ancora, secondo Callicot, a Leopold si deve la riforma intellettuale e morale del pensiero economico, politico e sociale; in un ripensamento della logica della differenza a favore della logica dell’unità. La natura non può essere pensata in termini di mera risorsa, e per questo vanno messi in discussione i modelli economici moderni basati sulla crescita illimitata, tenendo sempre presente che non esiste cultura senza educazione alla natura. «We can be ethical only in relation to something we can see, feel, understand, love and otherwise have faith in»5. Non può esistere un comportamento etico senza avere la possibilità di entrare in relazione con qualcosa, e per Leopold anche il valore estetico è tra quelli bisognosi di

77


6

. Aldo Leopold, Op. Cit., trad. it. in Mariachiara

Tallacchini (a cura di), Etiche della Terra. Antologia

di filosofia dell’ambiente, Vita e Pensiero, Milano 1998, in Paolo D’Angelo, Estetica della Natura.

Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Bari 2001, p. 70. 7

. «In Gregory Bateson l’idea che il mondo

sia essenzialmente bello, che l’insieme delle relazioni che costituiscono la natura si ordini esteticamente, è uno dei termini guida della ricerca, tanto che Bateson stesso parla di una triade “bellezza, coscienza e sacro” [...]», in Paolo D’Angelo, Op. Cit., p. 70. 8

. Ibidem, p. 160.

9

. Ibidem, p. 69.

10

. Ibidem, p. 73.

11

. Vittorio Hösle, Filosofia della crisi ecologica,


3 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

tutela: «L’etica della terra allarga i confini della comunità per includervi animali, suoli, acque, piante: in una parola la terra». Occorre «esaminare ogni questione tanto in termini di ciò che è esteticamente e moralmente giusto, quanto di ciò che è economicamente conveniente. Una cosa è giusta quando tende a preservare la stabilità, l’integrità e la bellezza della comunità biotica, è ingiusta quando tende altrimenti»6. Parlare di estetica dell’ambiente, però, significa affrontare la questione in relazione alla natura, mettendo da parte l’accezione fisico-biologica dell’ambiente stesso, e concentrandosi sul significato più ampio di Paesaggio. Secondo Paolo D’Angelo, quello del paesaggio è proprio un problema estetico, nonostante la geografia e l’ecologia lo abbiano confinato nei limiti delle nozioni scientifiche, screditando di gran lunga il concetto estetico del paesaggio stesso, sostituendo il termine paesaggio con quello di ambiente per una difesa di quest’ultimo a discapito del primo. Cosa deve intendersi per valore estetico del paesaggio? C’è bisogno di una riflessione attenta e critica che ci riconduca verso quella sensibilità, che in ultima analisi ci appartiene, diventata ormai una necessità teorica, al di là di «arbitri soggettivistici» – come puntualizza lo stesso D’Angelo – che vedono nell’esperienza estetica una deviazione senza fondamento teorico. L’ecologia per lungo tempo – nonostante Aldo Leopold e Gregory Bateson7 ne parlino apertamente nei loro scritti – ha fatto a meno della nozione di paesaggio, riducendo l’ambiente ad un insieme di caratteristiche fisicobiologiche: «Il paesaggio in senso estetico non è la bella veduta, non è il panorama, ma un carattere distintivo dei luoghi, che dunque appartiene ai luoghi stessi». Dobbiamo convincerci di pensare al paesaggio «come identità estetica dei luoghi […] per salvaguardare la specificità dell’esperienza estetica che compiamo nella natura […]. Parlare di identità estetica significa – in ultima analisi – fare dell’aspetto estetico un tratto saliente dell’identità locale»8. Il territorio europeo, ben distante da quello americano, lontano dal concetto della wilderness dei grandi spazi verdi del nuovo continente, non dovrebbe prescindere dalla dimensione estetica del paesaggio che non va confinata all’interno di una mera riflessione sull’arte, ma deve diventare un unicuum con la dimensione etico-politica. Indubbio è il fatto che «il nuovo interesse per la bellezza della natura si sia manifestato dapprima, e poi sia rimasto più forte, in quei paesi in cui più precocemente si sono diffuse le tematiche ecologiche, e più rapidamente hanno assunto rilievo politico e sociale i movimenti ambientalisti, ovvero gli Stati Uniti e la Germania»9. Le teorie estetiche e quelle etiche, però, non corrono parallele, e non apportano gli stessi contributi alla causa ecologica, essendo l’estetica ambientale sempre stata vista come una motivazione aggiunta

79


Einaudi, Torino 1997. 12

. Yrjö Sepänmaa, The beauty of Enivironment,

in Paolo D’Angelo, Op. Cit.,, p. 75. 13

. Rosario Assunto (1915-1994), personaggio

unico nel panorama della filosofia italiana contemporanea,

con

una

sensibilità

molto

spiccata per il linguaggio delle forme sia concettuali sia artistiche. Proprio nel suo testo più famoso – Il paesaggio e l’estetica, Giannini, Napoli 1973 – l’appassionato studioso di giardini, si intrattiene con largo anticipo sui temi della tutela del paesaggio, naturale o antropizzato. È stato tra i pochi filosofi italiani, e senz’altro il primo, a dialogare attivamente, proprio in quegli anni, con la nascente cultura ambientalista. «Per lui il paesaggio è innanzi tutto spazio; ma è più del mero spazio geometrico, misurabile, cui si rifa la cultura tecnologico-industriale nel suo progetto di antropizzazione del mondo […]. Il paesaggio – afferma nel testo già citato – è "lo spazio che si costituisce ad oggetto di esperienza estetica"; una dimensione anch’essa limitata, finita, circoscritta come quella dello spazio urbano, e che però diversamente dalla città reca in sé la presenza dell’infinito; uno spazio aperto sulla totalità della natura». In Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit., p. 64. 14

. Rosario Assunto, Il paesaggio e l’estetica, in

Paolo D’Angelo, Op. Cit., p. 76. 15

. Nel campo dell’etica ambientale le teorie

antropocentriche si basano sul ruolo principale dell’uomo all’interno del mondo naturale, il cui valore è strumentale agli interessi umani, gli unici in grado di attribuire senso al mondo naturale. Importante è soddisfare i bisogni dell’uomo

economico,

la

sua

necessità

di

massimizzare i profitti sfruttando in maniera parassitaria ed egoistica le risorse della terra, la sovrabbondanza e il consumo delle risorse. L’idea che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi legati alla loro esauribilità è alla


3 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

all’argomento della difesa della natura, senza valore autonomo di per sé. «Questa sorta di complesso di inferiorità dell’estetica nei confronti dell’ecologia si manifesta già nel fatto che quasi sempre essa si presenta come ricerca di argomenti ulteriori in difesa della natura. L’esperienza estetica che compiamo nella natura non ardisce presentarsi come valore in sé, bisognoso in quanto tale di tutela e capace per se stesso di fondare un’esigenza di protezione, ma piuttosto come argomento aggiuntivo, che si affianca a quelli più sostanziali forniti dalla biologia e dall’ecologia»10. Eppure nel caso dell’arte il fattore estetico resta l’unico movente, o quantomeno il principale, che ci spinge a salvaguardarla, senza la necessità di trovare motivazioni più attendibili per farlo. Come sostiene il filosofo Vittorio Hösle11 si dovrebbe insegnare agli uomini a sentire profondamente la bellezza nei confronti della natura, perché, da un punto di vista motivazionale, è molto più efficace che presentare loro il male morale della distruzione dell’ambiente. Ancora una volta siamo di fronte ad una questione culturale. Pedagogica. Ossessionati, però, dalla paura di accettare ogni tipo di autonoma considerazione estetica in merito all’argomento per non cadere proprio in effimeri estetismi. Ma una natura bella è necessariamente una natura buona, perché «ciò che è contro le leggi ecologiche non può essere bello»12. Un ambiente, dunque, in grado di essere soddisfacente da un punto di vista estetico, è sicuramente un ambiente sano e vivibile. «Rosario Assunto13 […] scriveva nel suo Il paesaggio e l’estetica, un libro sotto molti aspetti pionieristico (fu pubblicato nel 1971), ma non a caso percorso da una sottile polemica contro la reductio dell’estetica all’ecologia: “paesaggio è […] l’ambiente dell’ecologia considerato come oggetto di contemplazione: e nel godimento (o nella frustrazione, nella sofferenza) che alla contemplazione si accompagna è contenuto […] anche il benessere (o il malessere) che quello stesso ambiente ci fa provare in relazione all’appagamento o non appagamento dei nostri bisogni vitali; e il punto di vista ecologico, a sua volta, si interessa, possiamo dire, allo stesso paesaggio del quale ha cura il punto di vista estetico; in quanto l’ambiente dell’ecologia altro non è se non il paesaggio di cui noi parliamo in estetica come di un oggetto di contemplazione”»14. Il dilemma è su come divincolarsi tra bellezza oggettiva e bellezza soggettiva. Così come per l’etica ambientale, anche l’estetica della natura si divide in teorie antropocentriche – dove il valore estetico si misura sull’esperienza che compie il soggetto – e teorie ecocentriche - dove il valore estetico appartiene intrinsecamente alla natura15. Ma il nodo da sciogliere è complesso e ricco di contraddizioni, forse, vero è che se riuscissimo a superare l’idea di un ambiente come semplicemente qualcosa al di fuori di noi, giungendo alla considerazione – nel

81


base di queste teorie. Le teorie ecocentriche, al contrario, si basano, sul differente valore assegnato alla natura, preesistente all’uomo e da esso indipendente. In virtù di questo l’uomo dovrà necessariamente riconoscere alla natura i suoi diritti, impostando un cambiamento del soggetto dell’etica, non più solo l’uomo, ma tutti gli animali, le piante e la biosfera intera. 16

. Paolo D’Angelo, Op. Cit., p. 110.

17

.

Alain

Roger,

Court

Gallimard, Paris 1997. 18

. Ibidem, pp. 140-141.

traité

du

paysage,


3 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

superamento del dualismo uomo-natura – che uomo e ambiente formano un continuo, riusciremmo anche a liberarci dalle ricercate analogie che ci spingono ad avallare l’esperienza estetica, che facciamo della natura, solo con continui rimandi all’arte, l’unica – come già detto – a godere del valore estetico come autonomo e indipendente da tutti gli altri. «Quello che si continua a cercare sono giustificazioni. Un segno estremamente indicativo di questa scarsa apertura alle manifestazioni effettive della bellezza naturale, che poi è l’incapacità di vedere quest’ultima nei termini dei suoi contenuti culturali, sta nel fatto che quasi sempre si addita come esperienza estetica esemplare quella che si prova dinanzi al singolo oggetto naturale, staccato dal contesto in cui si inserisce e dai legami storici, immaginativi, artistici che gli si connettono»16. Fortunatamente, negli ultimi anni, parlare di paesaggio in senso estetico non è più un tabù. Difendere l’ambiente significa anche difendere l’identità dei luoghi e tra i valori da tutelare la bellezza trova, finalmente, il suo giusto posto. Come afferma ancora D’Angelo, si legge in Alain Roger sul suo Breve trattato del paesaggio17: «Un paesaggio non è mai riducibile alla sua realtà fisica – i geosistemi dei geografi, gli ecosistemi degli ecologi – […] la trasformazione di un paese [pays] in paesaggio [paysage] suppone sempre una metamorfosi». Se fatichiamo a capirlo – aggiunge D’Angelo – lo si deve al predominio della cultura ecologica, alla «difficoltà, per noi `uomini dell’ambiente´, nutriti di ecologia, di elevarsi a quello che si potrebbe chiamare l’autonomia del paesaggio. […] Il paesaggio non fa parte dell’ambiente. Quest’ultimo è un concetto recente, di origine ecologica, e passibile, a tale titolo, di un trattamento scientifico»18. Per comprendere un paesaggio, in ultima analisi, non è sufficiente considerarlo solo dal suo punto di vista morfologico, ma è necessario tenere presente – come già sosteneva Leopold – di tutte le sue implicazioni culturali, storiche e sociali. Teorizzare il paesaggio come identità estetica dei luoghi significa operare proprio in questa direzione: «vuol dire – insomma – salvaguardare la specificità dell’esperienza estetica che compiamo nella natura, senza perciò negare che in natura si possano compiere esperienze di tipo diverse, e senza negare che queste esperienze possano concorrere anche alla nostra esperienza estetica […]. All’identità estetica del paesaggio appartengono sempre, costitutivamente, la natura e la storia, ed ognuna in un nesso inseparabile con l’altra. Il paesaggio in senso estetico non è mai soltanto natura, è sempre anche storia. Alla sua identità concorrono sempre sia fattori non creati dall’uomo, sia le azioni con le quali l’uomo segna e modifica l’ambiente in cui si trova a vivere o col quale, comunque, entra in contatto. Per questo parlare di ambiente pensando di avere, con ciò, ricompreso

83


19

. Ibidem, pp. 159-164.


03 | Estetica della natura VS Etica dell’ambiente

anche quel che nell’ambiente è frutto del lavoro e della cultura umana, rischia di essere fuorviante, perché quel che un luogo significa per noi non può mai essere ridotto ai soli dati fisico-naturali o biologici. E’ questo un tema su cui ha insistito a lungo, con ostinazione pari all’impegno, Rosario Assunto. “Il paesaggio è natura nella quale la civiltà rispecchia se stessa, immedesimandosi nelle sue forme; le quali, una volta che la civiltà, una civiltà con tutta la sua storicità, si è in esse riconosciuta, si configurano ai nostri occhi come forme, a un tempo, della natura e della civiltà [...]. Quasi tutto il paesaggio da noi conosciuto come naturale è un paesaggio plasmato, per così dire, dall’uomo: è natura cui la cultura ha impresso le proprie forme, senza però distruggerla in quanto natura; e anzi modellandola per ragioni che, in prima istanza, non erano estetiche, ma in sé implicavano quella che possiamo chiamare una coscienza estetica concomitante; e finivano con l’esaltare, mettendola in evidenza, la vocazione formale [...] di cui la natura, in quanto materia, volta per volta si rivelava dotata”. Riconoscere la compresenza di natura, cultura e storia nel paesaggio, e assumere l’identità estetica di un luogo come frutto della interazione di questi tre elementi comporta però un impegno nuovo anche a pensare la tutela del paesaggio. […] Nell’estetica ambientale, lo abbiamo già detto, di estetica ce n’è spesso pochissima, giacchè quel che si ha di mira è soprattutto un’etica della buona vita e la difesa della natura come imperativo morale. È invece sul tema del paesaggio, in cui, per così dire, la percezione della bellezza naturale esibisce tutti i suoi contenuti culturali più ricchi, che si gioca la possibilità di tornare a parlare, oggi, di bellezza naturale. […] – Inoltre – invece di continuare a girare attorno all’opposizione tra natura e arte […], forse, sarebbe il caso di prendere l’estetica come modello per la decostruzione di questa opposizione, come il terreno in cui si può mostrare quanta arte ci sia in quel che chiamiamo natura e quanta natura in quel che chiamiamo arte. Proprio perciò, quindi, il tema del rapporto tra natura e arte (intesa, questa volta, nel senso stretto di arte figurativa) va riproposto con forza, sulla base della situazione presente, il che significa che occorre interrogarsi sul contributo che le arti possono dare alla nostra comprensione della natura oggi […]»19.

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(4) Cartografia della nuova natura

«Schiavo della natura finché si limita a sentirla l’uomo ne diventa il legislatore non appena la pensa. Essa, che in quanto potere un tempo lo dominava, ora è lì piantata, come un oggetto alla mercè del suo sguardo inquisitore» [Friedrich Schiller]



4 | Cartografia della nuova natura

> Il «medio ambiente»

La Natura ha costituito da sempre, fin dai primordi, il territorio essenziale per l’Arte. Prima di divenire spazio colonizzato, l’ambiente si configurava come luogo magico, uno strumento quotidiano, un territorio sacro, un contenitore di misteriosi archetipi, il campo d’azione del mito. Ma l’uomo contemporaneo, mediante il pensiero e l’azione tecnica e politica, tende a impadronirsi della natura-ambiente, trasformandola in qualcosa che sia alla mano e a disposizione totale dell’individuo, affinché diventi ambito, cioè territorio d’azione su cui legiferare e imporre la sua volontà. Sono le riflessioni del filosofo dell’arte, scrittore e pensatore contemporaneo spagnolo, Felix Duque, da anni impegnato personalmente nella tutela dell’ambiente, che ironizza sul termine spagnolo per indicare ciò che noi italiani chiamiamo ambiente e che per gli inglesi è environment. In Spagna infatti troveremo il Ministero del Medio Ambiente, cioè due parole per esprimere un concetto solo. E ci fa notare come «medio» è il mezzo in cui l’uomo è immerso e che richiama alla mente i grandi sistemi di comunicazione di massa che vanno sotto il nome di «media», mentre «ambiente» deriva dal latino «ambire», col doppio significato di circondare con lo sguardo, ma anche di desiderare ciò che circonda lo sguardo dell’uomo. «A ben guardare, infatti, medio ambiente, è un’espressione antitetica o almeno dialettica […] perché medium allude a un elemento onnicomprensivo in cui cose, uomini e artefatti sono immersi, come in un paesaggio sferico […]. Al contrario, ambiente è il participio presente del

89


1

. Felix Duque, Abitare la Terra.

Ambiente,

Umanismo, CittĂ , Moretti e Vitali, Bergamo 2007, p. 20.


4 | Cartografia della nuova natura

verbo latino ambio, e significa pertanto «chi circonda e abbraccia qualcosa con lo sguardo», da cui ambito (il terreno o campo compreso, abbracciato) e anche – chi l’avrebbe mai detto? – ambizione. In questo caso l’homo ambiens […] è colui che si muove intorno a una cosa, l’abbraccia, l’allaccia, la circonda»1. Nel medio ambiente il filosofo ravvisa proprio l’intenzione dell’uomo di “ridurre” l’ambiente circostante a propria misura, a suo strumento, ad appropriarsi della natura per renderla docile, per dominare e manipolare una realtà che da sempre ha condizionato l’esistenza umana sulla faccia della terra. L’interesse dell’uomo per lo spazio, per l’ambiente in cui vive, lo ha portato a più riprese a considerare il suo rapporto con la natura, allo scopo di preservare una sorta di spazio vitale; i due elementi, uomo e ambiente, considerati dal nostro punto di vista di viventi e pensanti, come interno ed esterno, si co-appartengono, in quanto hanno bisogno l’uno dell’altro, e se l’uomo abita l’ambiente, questi a sua volta abita in lui. Ma l’industrializzazione prima e la tecnica poi hanno invertito certe tendenze, che vedevano in passato la Natura dominare l’uomo con le sue leggi. Ora invece la natura è considerata “in funzione di”, e viene continuamente manipolata, anche dal punto di vista artistico-estetico (pubblicità, design, architettura di paesaggi) e sembra quasi incaricata di «vendere nostalgia»: assistiamo impotenti ad un’operazione di «maquillage», in cui il paradiso perduto viene praticamente recuperato dalla società dei consumi e messo al servizio del turismo di massa, e dei beni di servizio, con la finalità recondita di avvicinare il prodotto all’origine mitica, svuotato però dei suoi contenuti pericolosi alla sopravvivenza umana. In questa visione si inserisce la figura dell’architetto e la concezione moderna dell’architettura. Ad esempio l’architetto “giardiniere”, sempre nel rispetto delle regole urbanistiche di edificazione delle moderne metropoli, progetta parchi tematici e decide sentieri lievemente irregolari non difficili da transitare, che diano comunque l’idea della natura incontaminata, ma che nella realtà altro non è che una palese plasmazione dell’ambiente circostante che rispetti i sentimenti umani e allontani lo spettro della natura selvaggiamente pericolosa. Tutto parte dal presupposto che la natura-inferno non è abitabile, mentre il paradiso-città per essere abitabile deve sottomettere l’ambiente. Non solo, le macchie di natura previste nei piani urbanistici, concettualmente non sono altro che il luogo delle classi passive, relegate in questo succedaneo spazio della natura che diventa il parco. Ricordiamo che da sempre il bosco è stato il terrore di grandi e piccoli: il bosco del lupo, dell’orco, del buio. Il luogo in cui ci si può perdere. Mentre la città e le case infondevano sicurezza.

91


2

. Ibidem, p. 35.

3

.

Eduardo

Chillida

(1924-2002),

scultore

spagnolo. Per lui il carattere dinamico che pervade tutto il cosmo sta in una tensione di forze: gravità, che porta alla “caduta” della materia verso il basso, e d'altra parte forza ascensionale verso l'alto; e analogamente: forza centrifuga che si oppone a quella centripeta, pieno e vuoto, concavo e convesso. Nell'Elogio del horizonte (1990), posto sul Cerro de Santa Catalina a Gijon, il rapporto con lo spazio aperto naturale è prevalente: una sorprendente scultura di 500 tonnellate di cemento, collocata su una zona fortificata che guarda dall'alto il mare. Il processo creativo, in questo caso, è stato l'opposto di quello solitamente percorso: l'opera era già stata ideata e cercava un luogo ideale per collocarsi. La scelta della fortezza della città di Gijon sarà frutto del suggerimento di un giovane architetto. La costruzione durerà quattro anni e raccoglierà molte polemiche. Oggi l'imponente opera è divenuta un segno rappresentativo, quasi il logo, dell'operosa cittàporto delle Asturie.


4 | Cartografia della nuova natura

Ora la città ha perso però le sue caratteristiche, è diventata pericolosa anch’essa e infida. Grazie alle nuove avanguardie, agli ambientalisti e agli animalisti, il bosco piano piano è diventato bello, luminoso, oggetto di sogno e desiderio. Il parco diventa il luogo dove rifugiarsi e così, nostalgicamente e romanticamente, si è portati a credere a una natura benigna e amica dell’uomo, dimenticando che si tratta tutto sommato di un paradiso artificiale. Lo stesso orto botanico, considerato un vero e proprio piccolo gioiello e la cui presenza cresce a dismisura nelle nostre città, a ben vedere è una sorta di «cadavere vegetale»2, un cimitero della natura. Quello che artisti e architetti oggi possono fare per superare l’idea di questa nuova natura artificializzata è abbracciare la causa ambientalista proprio in considerazione dell’elemento natura, sganciato dalle esigenze e dalle indifferenze dell’uomo contemporaneo. Perché troppo spesso la mentalità imperante della tecno-natura, nell’arte e nella scienza, ha fatto sì che i parchi e i giardini siano stati progettati in funzione di una sorta di compensazione al fine di attenuare i mali della non-città attuale. Non-città è un luogo abitato da un essere tecnologico che ha dimenticato le sue esigenze primordiali per soddisfare quelle indotte da un sistema che per continuare a mantenersi in vita necessita di un progressivo e inarrestabile allontanamento dell’uomo dalla natura. Lo testimoniano l’artificialità dei parchi e dei giardini, e della natura intorno a noi, che ha trasformato questo mondo in un mondo umano, troppo umano, al punto da essersi trasformato in «inumano». Dall’Umanesimo antropocentrico fino al Romanticismo di Goethe, abbiamo assistito all’homo creator incaricato della missione di portare alla perfezione la natura tramite l’arte. Ma nella realtà, l’uomo non si è accorto di aver consegnato l’anima al demonio tecnologico condannando la natura alla morte. Per Duque, l’arte non deve sollevarsi contro la natura, ma collaborare con essa, al fine di essere universale e produttiva: ne è un esempio l’Elogio dell’orizzonte di Eduardo Chillida3, in quanto c’è una reale congiunzione dell’opera col suo contesto ambientale, la collina di Cimadevilla, sopra la città asturiana di Gijon; si tratta di una struttura di cemento armato, una enorme scultura col mare di fronte, il cielo sopra e la rude terra vuota sotto. Ma, troppo spesso, l’architettura contemporanea si è consegnata nelle mani della legge del mercato, cosicché non è raro vedere le più audaci realizzazioni dell’ingegneria architettonica combinarsi nelle nostre megalopoli col consumo di massa, anzi pensate proprio per esso. Una cosa è certa: siamo di fronte per la prima volta a una nuova forma di relazione tra tecnica e natura; nel senso che la tecnica, dopo aver trasformato il processo di produzione di materiali ed energie, incorporando i linguaggi e la teoria che l’hanno generata, ora si assolutizza e trasforma

93


4

. Ibidem, p. 41.


4 | Cartografia della nuova natura

l’habitat umano, generando forme, strutture e scenari nuovi, per i quali si rende necessario redigere una nuova cartografia della natura che dovrebbe sancire una descensus ad inferos da parte dell’uomo. «[…] Per ciò che concerne la natura, essa si trova stratificata su almeno tre livelli: 1) quello di una socio-natura in cui le energie sono ancora libere (i materiali, per definizione, non lo sono mai stati): lo stato agropastorale; 2) quello di una natura socializzata che ha integrato industrialmente nel suo seno la produzione, l’immagazzinamento e la distribuzione di energie: lo stato meccanico-industriale; 3) infine, quello di una tecno-società naturalizzata che, di conseguenza, tende alla trasformazione completa del paesaggio (nel senso del topos aristotelico: come limite esteriore del corpo avvolgente di città e cinture industriali) in due direzioni antitetiche: la ricostruzione immaginaria del passato e l’invenzione fantastica del futuro [...]»4. In questo panorama dai contorni stilizzati, in questa Terza Era, facilmente l’elemento natura viene utilizzato da una parte per la ricostruzione immaginaria del passato, dall’altra per una invenzione fantastica del futuro; in entrambi i casi, sostiene Duque, il presente rimane fuori gioco, perché considerato ripetitivo, inquietante e violento. Altrimenti come spiegare il fatto che l’odierna gigantesca industria dell’entertainment operi questa doppia azione di «centrifugazione» ai danni del presente e al servizio della nostalgia con l’allestimento di musei interattivi, tour e visite guidate, parchi tematici e giardini sensibili, insomma, per dirla alla Duque, una sorta di imbalsamazione e mummificazione della natura? Anche il processo di addomesticamento degli animali, dai campi di concentramento quali sono i giardini zoologici per finire agli allevamenti in scala industriale, si inserisce nel quadro della tecno-natura, dove l’animale addomesticato diventa il complemento mobile di questa natura artificiale. C’è in questi comportamenti l’esigenza di un incontro regolato con la natura, che dia sicurezza al vivere umano: a questo serve anche il modo esagerato con cui si persevera negli esperimenti di laboratorio che puntano all’incrocio e selezione di razze animali e vegetali, o a modificazioni e manipolazioni genetiche. Neanche l’arte si sottrae a questo imperativo categorico attuale e sfodera correnti neoavanguardistiche da far concorrenza addirittura al campo scientifico, un esempio tra tutti l’arte transgenica del brasiliano Eduard Kac e il suo coniglio fosforescente. La tecnica si mette a servizio dell’arte – con tutti i pro e i contro che ne derivano – perché la società contemporanea non riesce – e forse non è mai riuscita – a contemplare la natura come una natura vergine. «Essa è sempre stata considerata, coscientemente o meno, come accumulo di materiali per la tecnica, un fattore che, mentre istituisce

95


5

. Ibidem, p. 40.

6

. Nacho Criado (1943), inizia la sua pratica

artistica negli anni Sessanta quando inizia ad interessarsi al riduzionismo formale, fino ad

orientarsi

minimaliste

verso e

tendenze

dell’arte

concettuali,

povera,

sempre

maturando una concezione dell’opera molto personale. Dagli anni Settanta le costanti del suo lavoro si esplicitano attraverso una liberazione del linguaggio che gli permette di esplicitare il senso del concetto, dando priorità, con esso, ad aspetti come l’esperienza del tempo, l’identità e la condizione ibrida della pratica artistica.


4 | Cartografia della nuova natura

differenze […] tra l’uomo e il suo medio ambiente, li genera entrambi con il suo taglio […]. Per la prima volta, la tecnica incorpora dentro di sé la teoria e i linguaggi che la programmano e la dirigono, acquisendo in tal modo la capacità di ri-orientare costantemente le sue direttrici, di autocorreggersi e imparare dalle deviazioni ed errori precedenti. In una parola la tecnica si sta assolutizzando come tecnologia (col relativo inserimento del logos nel suo significato più intimo)»5. In altra direzione si muove però, ad esempio, l’artista concettuale spagnolo Nacho Criado6, che si avvale nelle sue opere di «agenti collaboratori», ad esempio insetti che rodono libri e riviste, muffe che penetrano tra due vetri sovrapposti di una finestra. E’ un’ironica protesta contro l’idea della soggettività creatrice dell’artista, diffusa appunto fin dai tempi del romanticismo ed esaltata dalle avanguardie finché Duchamp non ne ha ridicolizzato senza alcuna pietà tale elevata immagine. Insomma, all’idea di erigere con l’opera umana un «monumento per sempre», si contrappone e si mette in rilievo il carattere effimero della creazione artistica umana. Una sorta di sottomissione reverenziale dell’uomo alla legge della natura. Nacho Criado, in sostanza, parte dall’ordine anchilosato ideologicamente, dice il Duque, per corroderlo simbolicamente. Un omaggio, pertanto, al carattere imprevedibile e indomabile della forza della natura: un segnale, aggiungeremmo, di profondo rispetto per la terra. La sua è un’arte umile, continua Duque, dal momento che ne affida il suo compimento e perfezione alla vita minuscola e invisibile che sorge dalla terra, da quell’humus (vita organica), dalla cui radice deriva la parola uomo. Alla luce di quanto esposto finora, pertanto, per quanto riguarda il termine in lingua spagnola di medio ambiente, non possiamo non renderci conto della totale dissonanza dei due termini e della totale sottomissione dell’ambiente al medio, totale perché investe a 360 gradi tutti gli ambiti dell’agire e del pensare umano, non ultimo quello espressivo dell’arte.

97


7

. Edmund Burke (1729 – 1797), politico, filosofo

e scrittore britannico, di origine irlandese.


4 | Cartografia della nuova natura

> Il ritorno del sublime

Prima di arrivare a constatare l’effettivo rifiuto del bello naturale che tuttora persiste nel campo della filosofia e dell’arte, bisogna fare un passo indietro, all’incirca alle soglie del Seicento, quando viene meno, ad un certo punto, un assunto essenziale nelle arti che affermava di trovare il bello solo in natura, mentre l’arte lo era di riflesso, in quanto capace solo di mimesi, di imitazione, e si andava via via diffondendo l’idea di una totale comunione mistica tra artista e natura. E’ l’idea del sublime, cioè di ciò che sfugge alle regole della bellezza, ma suscita piacere, dolore o anche terrore. Si afferma poco a poco l’esigenza di un’intima comunione dell’artista con la natura che si traduce in un naturalismo misticheggiante, quasi una deificazione della natura stessa. L’estetica del Sublime studia il fenomeno in relazione agli effetti che l’opera esercita sull’animo umano, anziché occuparsi della sua intrinseca natura. Vediamo dunque come già con l’affermarsi del sublime contrapposto al bello, l’elemento propriamente naturale cede il passo a un altro elemento, ed è il sentire dell’artista. E sarà proprio Edmund Burke7 a sostenere per la prima volta il primato del Sublime sul Bello. Nell’idea di Burke è Sublime «tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore», il sublime può anche essere definito come «l’orrendo che affascina». La natura, nei suoi aspetti più terrificanti diventa dunque la fonte del Sublime perché «produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire». Kant di lì a poco torna su questo concetto nella Critica del Giudizio, in cui contrappone al bello il sublime, ampliandolo e distinguendo tra sublime

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4 | Cartografia della nuova natura

dinamico (espressione della potenza annientatrice della natura, di fronte alla quale l’uomo prende coscienza del limite) e sublime matematico (che nasce dalla contemplazione della natura immobile e fuori dal tempo). Di fronte alla magnificenza della natura l’uomo prova dapprima un senso di smarrimento e di frustrazione, ma riconosce poi grazie all’esperienza del sublime la propria superiorità: in quanto unico essere del creato capace di un agire morale, egli è collocato al di sopra della natura stessa e della sua grandiosità. Quindi, pressappoco a partire dal Seicento e più fortemente dalla metà del Settecento, l’arte, come del resto noi la concepiamo, è «bella», e bello non è tanto l’oggetto spontaneo, naturale, ma l’oggetto artificiale: il quadro, indipendentemente dal fatto che il suo referente sia un paesaggio che esiste o non esiste. L’arte non ha più a che vedere con un bello naturale, si autonomizza ed è regola a se stessa. Il concetto di sublime, in realtà, si ritrova per la prima volta documentato nel cosiddetto Pseudo-Longino, in un’opera appunto intitolata Del sublime (I sec. a. C.). Il termine in greco è hypsos, che vuol dire «ciò che è alto», ciò che ha carattere verticale. In latino sublimen ha due etimologie opposte: o «sub-limen», «altissimo», che sta sotto l’architrave della porta, o sub-limo, «sotto il fango», cioè quelle cose abissali, nascoste da uno strato di bruttezza. Ad ogni modo, in entrambi i casi, nello Pseudo-Longino, il sublime è in rapporto al fruitore, cioè a colui che sente recitare o che assiste a spettacoli di carattere letterario. Quindi il sublime ha a che fare con l’effetto che un’opera d’arte produce su un animo nobile. Nel testo l’autore del Sublime dice che la natura ha fatto l’uomo così grande che può contenere in sé l’universo. Ma bisogna arrivare al periodo tra il Seicento e il Settecento per vedere il bello naturale perdere la sua forza, cioè questa capacità di produrre un sentimento forte, uno shock e diventare invece una specie di ninnolo, cioè il bello che non crea turbamento, il bello inteso come «grazioso». Da qui l’esigenza di rivalutare il sublime, soprattutto di rivalutare quegli aspetti del mondo che prima facevano soltanto paura, ad esempio l’alta montagna, i deserti, le rovine; tutto ciò che prima era temuto ed evitato dagli uomini, ora diventa bello, al punto che gli Inglesi vanno a Napoli a vedere le eruzioni del Vesuvio e stanno a distanza di sicurezza, ma non tanto lontano da non provare un certo fremito e un certo brivido. Formalmente la distinzione tra bello e sublime viene esplicitata dal filosofo e uomo politico irlandese, che poi ha vissuto in Inghilterra, Edmund Burke, che scrive nel 1757 la Inquiry, l’Inchiesta sul bello e sul sublime. La distinzione è molto netta e verrà poi ripresa da Kant diventando classica: il bello è legato intanto al piacere, poi al sesso femminile, poi al sesso in generale, al piacere sessuale, e poi alla socialità. Quindi bello è ciò che ha

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4 | Cartografia della nuova natura

grazia, che non turba, che attrae e che, soprattutto, mette gli uomini in rapporto fra di loro. Invece il sublime è legato alla paura, soprattutto alla morte, perché è ciò che minaccia la mia «self-preservation» - dice Burke - è legato alla mia «autoconservazione», è legato poi al sesso maschile, alla virilità ed in particolare all’assenza, alla privazione; quindi privazione di luce, il buio, privazione di forma, il deforme o l’informe, privazione di sentimento, e quindi noia o, ad esempio, distruzione fisica totale. La polemica di Duque rifiuta, invece, la visione kantiana dell’arte e si schiera al fianco di quella hegeliana. Il fine dell’arte, infatti, secondo Hegel, non è né l’imitazione della natura né il tentativo di suscitare sentimenti e purificare le passioni, né l’ammaestramento o il perfezionamento morale: il vero scopo dell’arte è «rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile». Nel bello artistico si deve percepire la manifestazione sensibile della verità.

103



4 | Cartografia della nuova natura

> Il rifiuto del bello naturale

Quando in passato il bello naturale coincideva con il bello artistico, i centri storici dei vecchi borghi s’inserivano perfettamente nel contesto umano e ambientale; nella nostra epoca, al contrario, le attività economiche e commerciali, ma soprattutto quelle sociali si spostano, si decentrano rispetto agli originali siti storici da cui si sono originate le moderne metropoli. La nuova concezione urbanistica dell’architettura finisce per concentrare in strutture di alta ingegneria industriale i poli di comunicazione e di gestione delle attività produttive dell’individuo contemporaneo, col risultato di offendere il contesto ambientale in cui vengono erette queste «cattedrali nel deserto» e di alterare la dimensione umana del vivere. E’ vero che il problema dell’ecologia ha fatto sì che l’artista, l’architetto e l’ingegnere si rendessero sensibili al tema ambientale, studiando le capacità di minor impatto dei materiali e degli stili, ma ha finito col tempo, da una parte, per diventare più un fenomeno di costume e moda che una reale risposta alla questione allarmante del destino del pianeta terra, dall’altra, ha partorito una natura artificiale che in maniera implicita, ma non per chi ne riesce a decrittare i simboli, sta a significare che l’uomo torna a rifiutare il bello naturale in tutte le sue forme per abbracciare un’idea di bello patinato e sublime che lo relega in un universo asettico di plastica e cemento. Sembra quasi veder rispolverata l’idea goethiana dell’arte come compimento ultimo della natura, una sorta di rettificazione, in senso letterale, di ciò che è dato in natura. Nell’idea cioè dell’uomo come perfezionatore delle produzioni naturali e anzi del loro superamento, non

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8

. Ibidem, p. 42.


4 | Cartografia della nuova natura

si nasconde, ci viene da chiederci, l’oscuro proposito di fare del mondo un luogo abitabile, o meglio, a disposizione dell’uomo stesso, senza che questi si renda minimamente conto che così facendo mette a dura prova la resistenza stessa della terra? Una volta, quando c’era il mito, la terra era abitata da mortali e immortali; ora, guardando crescere il profitto delle megalopoli, queste tecnopoli, luoghi dove prolifera la società post-industriale, vediamo circolare solo fantasmi, obietta Duque, alla ricerca di spazi sempre più virtuali e sempre meno fisici. L’uomo post-moderno, a conti fatti, si è decisamente appropriato della concezione romantica del bello e del sublime e si è premurato di svilupparla all’ennesima potenza tanto che, implicitamente, col suo modo attuale di pensare e creare, sembra voler dire: «Ma cosa può esserci di più sacro per l’uomo dell’uomo stesso?». E’ questa la base concettuale di ciò che viene chiamato Umanismo. Come soggetto realmente esistente, questo ciascuno di noi, a favore dell’Uomo, questa figura astratta, quest’entità che si vorrebbe autonoma a tutti i costi, da tutti e da tutto, autosufficiente, auto-centrata, autarchica, auto-operabile e auto-manipolabile – sono termini usati sempre Felix Duque – perfino geneticamente. Questo Uomo così ridondante, questo valore così assoluto, questa creatura immarcescibile non fa altro che attuare un’opera di sottrazione, anzi di spoliazione, nei confronti dell’uomo comune, quello per intenderci enunciato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dall’ONU nel 1948. Stando così le cose, ne consegue che l’Umanismo sfocia nel nichilismo, se quel beato cosmopolitismo da più parti osannato e sbandierato nasconde forse l’improba idea che certe persone, certi gruppi, certe nazioni devono uniformarsi con le buone o con le cattive a quei gruppi, a quelle persone e a quelle nazioni che formano la classe dominante (economica) e che sono per questo l’incarnazione di quell’Uomo e di quell’Umanità, per di più legittimata, promossa e sostenuta dall’artista e dallo scienziato. I discoli del gregge umano che tenteranno di sottrarsi a tale operazione di cosmopolitismo/umanismo, bisognerà annichilirli perché si rifiutano in sostanza di appartenere al Noi. È necessario, secondo Duque, creare un’alternativa valida per contrastare e combattere quel doppio fronte in cui si sono barricati e alleati l’individualismo e l’universalismo. «In questo intervallo tra cielo e terra si leva infatti la città dei mortali»8. E l’alternativa è costituita proprio dall’Europa. Se difatti la civiltà è la stessa, frutto dell’assolutizzazione della tecnica, c’è tuttavia nella sostanza e nei concetti una netta divergenza tra questa e gli Stati Uniti, per esempio nel modo di abitare «la terra». Infatti gli americani edificano attenendosi a due fondamentali concetti

107


9

. Ibidem, pag. 78.


4 | Cartografia della nuova natura

antitetici, da una parte cioè tendono alla dispersione a macchia d’olio dei centri abitati (sprawl cities), con villette familiari, isolate in mezzo alla natura, dall’altra favoriscono la concentrazione della cosiddetta downtown di grandi torri-grattacieli. Gli uni e gli altri uniti da reti autostradali, che ricalcano in tutto e per tutto le cosiddette «autostrade informatiche» e virtuali della Rete Internet, un vero esempio di mobilità interconnessa tra concentrazione e dispersione. Un esempio è Las Vegas. Al contrario, le città europee tendono a conservare la sovrapposizione di diversi stili architettonici incastrati tra loro, a volte esagerando con pletorico iperconservatorismo nell’inventare ciò che si presume ci fosse, ricreando la storia e generando dei veri falsi, come il Barrio Gotico di Barcelona. Si sono così via via col tempo generati due stili e due modi contrapposti di essere uomo e pertanto di abitare la terra. L’american way of life (way of dwelling) è più vicino al neo-umanismo che al neo-storicismo europeo. Un neo-umanismo composto da individui psichicamente narcisisti, autarchici, desiderosi di un’estetica contemplazione della natura, pienamente sradicati dalla terra natale, pieni di tecnica ma manchevoli di mito e di storia. Duque chiama Mepolis la non-città attuale, tutte uguali tra loro, e ne fa risalire l’esistenza al rinascimento artistico italiano del Quattrocento e allo sviluppo scientifico anglosassone dell’Ottocento. In entrambi coesistono due antitetici terrori: quello dell’imprevedibilità della terra, la quale genera mostri e malattie e quello del carattere indefinito e illimitato dello spazio e del tempo dal momento che il sacro e il divino hanno smesso di segnare i limiti e i confini umani. Duque richiama alla memoria la tela raffigurante la città ideale creata dalla Scuola di Piero della Francesca e attualmente conservata a Urbino, un quadro dalla perfezione assoluta delle linee e delle rette all’interno di una prospettiva ineccepibile. E’ un’opera inquietante, perché in questa rappresentazione pittorica della città gli uomini brillano per assenza. «Come in una scenografia in cui il sipario si è alzato troppo in fretta, la città è vuota»9. In questa immarcescibile purezza, ci si chiede, la città dell’Uomo è abitabile dagli uomini? E’ l’uomo che pretende letteralmente di spianare lo spazio, ossia trasformare in suolo stabile ciò che in natura si trova sotto forma di anfratti, di irregolarità e tortuosità dei luoghi; la sua è un’azione sul mondo tanto razionale nella sua esecuzione quanto arbitraria nel suo intento. Siamo oggi di fronte alla perfetta simbiosi tra macchina e arte, in cui non c’è posto per la natura. Infatti, se passiamo in rassegna i tratti generali e caratteristici dell’architettura odierna, noteremo tre cose fondamentali.

109



4 | Cartografia della nuova natura

Per prima cosa una chiara «minimizzazione» delle differenze naturali tra sopra e sotto, tra cielo e terra che cessano così di avere un senso. Poi noteremo ancora, come seconda cosa, la stabilità piena e compiuta di ogni edificio, in cui figura e forma coincidono, il che sta a testimoniare che dall’atelier dell’artista contemporaneo viene espulsa senza mezzi termini la physis greca, in quanto obsoleta e incontrollabile. Infine, terzo, la totale e assoluta «mancanza di contestualizzazione», cioè gli edifici tendono a separarsi da qualsiasi relazione col paesaggio o la storia del luogo dove sorgono, sono magnifici nel loro isolamento, sono autonomi, e anzi cancellano il paesaggio, perché sono il trionfo dell’uomo sulla terra. Come dire che gli edifici non servono più per essere abitati, ma per essere templi del consumo, come i centri commerciali e i grandi spazi museali che come funghi costellano le nostre metropoli. Questo avviene perché l’architettura si è convertita all’arte del design industriale, facendo così dipendere la sua produzione artistica e il suo destino dallo show business e dall’entertainment.

111



(5) Ambiente immagine VS natura

ÂŤLa nostra piĂš grande ossessione siamo noi stessi, poi forse gli animali, e infine i paesaggiÂť1 [Francis Bacon]


1

. La riverenza verso la natura per la sua essenza

divina,

venne

definitivamente

superata

da

Francesco Bacone (1561 – 1626) che teorizzò il dominio dell’uomo sulla natura attraverso l’uso del metodo sperimentale. 2

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Dizionario

del pensiero ecologico. Da Pitagora ai No-Global, Carocci, Roma 2007, p. 46. 3

. Rachel Carson, biologa marina, fu la prima

che, con un saggio divenuto pietra miliare dell’ambientalismo

mondiale,

chiarì

come

la tecnologia applicata alla natura potesse comportare

per

l’uomo

danni

irreversibili.

Nell’opera Silent Spring la Carson descrisse con dovizia di particolari l’effetto che gli insetticidi provocano sulla natura e sull’uomo, ponendo l’accento

sul

problema

delle

monocolture,

sinonimo di produttività, frutto della mente umana e dannose per la terra. 4

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit.

p. 47.


5 | Ambiente: immagine VS natura

> I primi movimenti ambientalisti

Nella sua dimensione politico culturale l’ambientalismo, fenomeno del tutto inedito, nasce tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta come progetto per la trasformazione globale della società, in seguito all’esplosione della prima bomba atomica che sancisce l’acquisizione, da parte dell’umanità, di un potere di manipolazione totale della natura e la consapevolezza dei danni collaterali che lo sviluppo economico intensivo avrebbe recato alla salute dell’uomo e agli ecosistemi. È proprio in quegli anni, sulla spinta degli effetti inquinanti dello sviluppo industriale, che nascono i primi dibattiti politici, «quando l’asse centrale dell’impegno organizzato per la difesa dell’ambiente cominciò a spostarsi dall’obiettivo di conservare quanta più natura possibile a quello di contrastare l’inquinamento dell’aria, delle acque, del suolo. […] Non più soltanto impedire che la natura venisse completamente sfigurata dall’avanzata delle città e dell’industria, che l’uomo contemporaneo perdesse la possibilità di godere dei piaceri e della funzione edificante dell’esperienza della natura, ma soprattutto reagire ad una forza – l’inquinamento – molto più concreta ed invasiva, che nasceva dal modo stesso dell’organizzazione e dello sviluppo socio-economici, minacciava la salute e la stessa sopravvivenza dell’uomo, metteva a rischio gli equilibri ecologici»2. Nel 1962 Rachel Carson3 pubblica il libro Silent Spring – Primavera Silenziosa – criticando l’uso indiscriminato dei pesticidi e destando notevoli polemiche, ma anche molto interesse, fra la gente comune, stimolando la nascita di una legislazione, fino ad allora inesistente, orientata alla tutela dell’ambiente.

115


5

. Il problema dei limiti della crescita, sollevato nel

1972 dal Club di Roma, ha suscitato un intenso dibattito che continua tuttora. Lo studio del Club di Roma è consistito nel proiettare nel futuro le tendenze allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Il divario tra risorse domandate e risorse disponibili dimostrava che lo sviluppo non sarebbe stato sostenibile. Gli studi portarono il gruppo ad affermare che si doveva costruire una politica di non crescita, o acrescita, sia dal punto di vista demografico sia della produzione industriale, in modo da evitare la distruzione della terra. 6

.

Aurelio

Peccei

(1908-1984),

economista,

dirigente d’azienda e scrittore italiano. Dirigente prima della Fiat e poi dell’Olivetti, nel 1968 diede vita al Club di Roma, associazione di scienziati ed economisti di diversi paesi, con l’obiettivo di orientare le strategie politiche in campo economico e sociale. [Interessante il lavoro che, su queste premesse, ha portato avanti il gruppo Avatar Architecture per il Padiglione Italia, alla 11. Mostra Internazionale di Architettura: Out

There: Architecture Beyond Building, 2008]. 7

. Si vedano in proposito le teorizzazioni di

Serge

Latouche

sulla

decrescita

serena.

Il

termine decrescita, scommessa e provocazione, rappresenta

la

generale

consapevolezza

dell’incompatibilità di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate. Il pensiero di Latouche è incentrato sulla necessità di un cambiamento radicale. Bisogna ripensare la società inventando un’altra logica sociale. 8

. Sulle premesse di queste nuove pratiche

artistiche si svilupparono le sperimentazioni di un filone di artisti-scienziati che nel tempo si sono affermati come esponenti di una nuova tendenza mondiale, portando l’arte nei laboratori di genetica e biologia. Un nome per tutti è quello di Eduardo Kac, artista e scrittore che dagli anni Ottanta testimonia e indaga i cambiamenti di


5 | Ambiente: immagine VS natura

Cresce, così, una nuova coscienza, nel segno di una impellente rifondazione dell’esigenza ecologica su basi sociali, umanistiche, etiche ed estetiche, con l’ambizione di tradurre la difesa dell’ambiente da astratto valore ideale in un concreto interesse sociale, non guardando più con nostalgia al passato, ma rivolgendosi al futuro, riformando in profondità la società e l’economia «attraverso il paradigma della complessità, indispensabile per cogliere la stretta interdipendenza tra le dinamiche sociali ed economiche e dinamiche ecologiche»4. Un importante momento di svolta nella presa di coscienza dei rischi ambientali corsi dalla Terra si ebbe, però, con la crisi energetica dei primi anni Settanta, quando, per la prima volta in maniera diffusa, ci si accorse che le risorse del pianeta erano limitate. La coscienza ambientalista ricevette, così, una spinta propulsiva in seguito, e grazie, alla pubblicazione, nel 1972, del rapporto I limiti dello sviluppo5 a cura del Club di Roma di Aurelio Peccei6 e i ricercatori del MIT di Boston, che prediceva pessime conseguenze sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana, proponendo, come limitazione dei danni, una crescita economica e demografica zero come sola via di salvezza per l’umanità. Il termine ecologia divenne, pertanto, l’idea di un nuovo rapporto armonico tra uomo e natura, mettendo sostanzialmente in crisi l’idea di un progresso senza limiti7. Una crisi che investì tutti i campi del sapere, le coscienze e la sensibilità di chi, primi fra tutti gli artisti, sentiva il peso della tecnica come una minaccia per l’umanità tutta. Fu proprio in questa fase che il dibattito critico intorno agli earthworks iniziò a spostarsi progressivamente sul tema assai più complesso del rapporto tra arte e natura. Gli interventi di modificazione del paesaggio, progettati da Michael Heizer, Robert Smithson, Richard Long, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, e molti altri, assunsero allora una nuova valenza, che andò identificandosi con la volontà di introdurre un cambiamento non più irreversibile, in stretta relazione con i modi e i tempi della natura. Parallelamente a queste esperienze altri artisti manifestarono una spiccata sensibilità ambientale, sia ricorrendo all’utilizzo di materiali naturali (Nils Udo e Andy Goldsworthy, ad esempio, ammassavano foglie, fiori, ramoscelli, deponendoli entro composizioni create sul posto), sia attraverso l’impiego di forme espressive dal carattere performativo o relazionale, svincolate dunque dalla produzione di oggetti per il mercato. E mentre Beuys contribuiva alla nascita del partito tedesco dei Verdi muovendosi in difesa della natura, alcuni artisti, tra cui Hans Haake e Newton Harrison, rivolgevano la loro attenzione ai processi biologici, trasferendoli nella pratica creativa8.

117


paradigma che l’arte induce. Il suo lavoro più noto è quello del coniglio, geneticamente modificato, dal colore fluorescente, Alba (2000), attraverso il quale Kac riafferma il ruolo dell’artista come individuo capace di stimolare la riflessione su concetti non solo estetici ed astratti ma urgenti, attuali e fortemente rilevanti per realtà sociale, politica e anche strettamente materiale del mondo. Da vent’anni le sue opere sono note in tutto il mondo come il frutto di una riflessione coraggiosa, libera, approfondita e fuori dal coro sulla comunicazione, sulla storia della tecnologia e sulla storia dell’arte. 9

. Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit.,

Carocci, Roma 2007, p. 49.


5 | Ambiente: immagine VS natura

Considerate in relazione alla storia del movimento ambientalista, le correlazioni tra artisti ed ecologia si presentano ricche di interazioni e rotture, di affinità e di prese di distanza. Ma ciò che quarant’anni fa poteva essere identificato come la manifestazione di una generica sensibilità ambientale, formatasi parallelamente allo sviluppo di una coscienza del ruolo determinante dell’uomo negli equilibri del pianeta, oggi viene a delinearsi, in alcuni casi, come la conseguenza di un pensiero ecologico complesso, che interpella direttamente la dimensione dell’agire sociale e politico. «Il modello ambientalista ha largamente segnato, negli ultimi trent’anni, l’azione organizzata in difesa dell’ambiente […], affermando una prospettiva nella quale la conservazione della natura tende a confluire in un’idea complessiva di riforma radicale della società e dell’economia che dia nuova centralità ai valori d’uso rispetto ai valori di scambio. […] L’ha segnata modificando la stessa nozione di ambiente, non più identificato soltanto con la natura incontaminata, ma riletto in una chiave sociale e umanistica, […] integrando l’ispirazione globale del messaggio ecologico con un forte richiamo alla dimensione locale e comunitaria dell’interesse ambientale»9. Nelle sue espressioni manifeste il movimento ambientalista presenta, quindi, anche un carattere reazionario, nella controcultura e nell’antitecnicismo, anticipando il pensiero cosmopolita e universalista dei concetto di progresso nei tempi della globalizzazione, per una (co)scienza ed un uso responsabile della tecnologia.

119


10

. Kenneth Clark, Paesaggio nell’arte, Garzanti,

Forlì 1995. 11

. Theodor W. Adorno, Teoria Estetica, a cura

di E. De Angelis, Einaudi, Torino, 1974, in Paolo D’Angelo, Estetica della Natura. Bellezza

Naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. 173.


5 | Ambiente: immagine VS natura

> Dall'arte di paesaggio all'arte nel paesaggio

Il Novecento è il secolo della rinuncia alla pittura. Questo sostiene Kenneth Clark nel suo saggio Paesaggio nell’arte10. La progressiva musealizzazione dell’arte e la consapevolezza che la scienza ci ha consegnato sempre più un’immagine de-mitizzata della natura si riscontra già dalla profonda avversione con cui l’Avanguardia guardava tutto ciò che rientrava nel concetto di bello naturale. La possibilità di rappresentare la natura, dopo la breve, ma radiosa, stagione che la portò in gloria nel Settecento, è andata in crisi. La natura non si lascia più rappresentare e Adorno, primo fra tutti, riuscì a vedere come la riproduzione del bello naturale non fosse altro che una tautologia la quale, «mentre oggettualizza la manifestazione, contemporaneamente la elimina»11. E’, quindi, necessario superare l’idea di ambiente come natura, come qualcosa di semplicemente esterno a noi, perché uomo e ambiente formano un continuo, e sono imprescindibili l’uno dall’altro. Evitando di incorrere in un dualismo tra i due, è sbagliato supporre che sia necessario elaborare due estetiche, una basata sulle conoscenze scientifiche per la natura, e l’altra fondata su quelle storico-artistiche per l’arte. Una stessa estetica può e deve dar conto dell’esperienza della natura e quella dell’arte a patto che si superi l’idea di carattere disinteressato del nostro rapporto con l’una e con l’altra. Dalla concezione di paesaggio, romantica e mistica, alla maniera degli antichi, si è arrivati ai tempi moderni riducendolo ad un aggregato di elementi scientifici, catalogandolo nella sola, riduttiva, concezione di ambiente.

121


12

. Ibidem, p. 294.

13

. Matteo Meschiari, Antropologia del paesaggio

scritto, Sellerio, Palermo 2008, in quarta di copertina. 14

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura. Bellezza

Naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. 177.


5 | Ambiente: immagine VS natura

Ambiente: concezione bio-ecologica della natura. Paesaggio: valenza puramente estetica. La nozione di paesaggio, però, oggi, non può prescindere «la dimensione culturale del rapporto che l’uomo stabilisce con l’ambiente e, incentrandosi anche sugli aspetti storici, filosofici e artistici della realtà ambientale, allarga la prospettiva di indagine di tale rapporto al di là delle sole componenti fisico-biologiche ed economico-materiali»12. Scrive Matteo Meschiari : «Che cos’è il paesaggio? Fu Petrarca a “inventarlo” salendo in cima al Monte Ventoso, o sono stati il Rinascimento e la pittura fiamminga a distillarne l’idea, molto prima che il XX secolo lo consegnasse al nuovo millennio come testimone di una crisi epistemologica? Filosofia e geologia, ecologia e architettura, arte e diritto, geografia e geopolitica, semiotica e antropologia si interessano al paesaggio come si trattasse di un crocevia intellettuale ineludibile, un passaggio obbligato nella riflessione sulla modernità. Ma se invece di essere un prodotto culturale recente il paesaggio fosse una modalità arcaica del pensiero? L’antropologia del paesaggio sta avanzando in questo senso qualche timida ipotesi, ma quello che manca è uno sguardo a volo d’uccello per gettare un ponte tra passato remoto e dinamiche contemporanee, tra scienza e arte, tra mente e corpo, tra natura e cultura. Tra antropologia filologica e anatomia dell’immaginario, l’analisi dei temi e dei testi si sviluppa come un periplo irregolare in un arcipelago complesso: più che una serie di risposte è la ricerca di un belvedere intellettuale per ripensare la mappa dei saperi»13. Sul problema della rappresentazione della natura si sono confrontate, nel secolo scorso, soprattutto il cinema e la fotografia, per questo si è andato, sempre più, perdendo quello che costituisce il contatto più autentico con la natura: la prevalenza dell’immagine sulla natura ci ha impedito di compiere, ossessionati dall’artificio, un’esperienza diretta della natura stessa. Proprio per questo l’opera d’arte che nasce agli albori degli anni Sessanta, quando si sviluppano del resto i primi movimenti ambientalisti, diventa esperienza. «Il patto mimetico che legava indissolubilmente l’arte alla natura è andato in pezzi e nulla è più vano che cercare di ricomporlo»14. L’arte non potrà recuperare un legame con la natura riproducendola, ma solo operandone all’interno, perché la prevalenza dell’immagine ne impedisce un contatto diretto interponendosi tra l’osservatore e la natura stessa, impedendone ogni diretta esperienza. Da questo momento la pratica artistica contemporanea esce dall’atelier, abbandona le gallerie, e di conseguenza lo spazio artificiale che esse rappresentano, per agire direttamente sul paesaggio, rifiutando di riprodurre la natura allusivamente ma operando con materiali naturali.

123


15

. Nel 1987 Simon Cutts, artista e poeta,

organizza alla Tate Britain di Londra l’esibizione dal titolo The Unpainted Landscape, per lo Scottish Arts Council. Degli artisti partecipanti scrive: «They do not try to reproduce the appearance of landscape by way of painted effects. […] In the period of the last twenty years, some artists have established new procedures for an art of landscape, and have chosen to work with wider means at their disposal. They have used the recording photograph, the idea of time and sequence to make a journey, the notion of change and substitution in a place».


5 | Ambiente: immagine VS natura

Singolare è il fatto che il titolo di un’esposizione artistica, organizzata da Simon Cutts nel 1987, fosse proprio, The Unpainted Landscape15 – Il Paesaggio non Dipinto – a significare proprio che l’arte ambientale non avrebbe più prodotto immagini di paesaggio perché, al contrario, agiva direttamente nel paesaggio, rifiutando di produrre dei simulacri della natura con mezzi allusivi, ma operando con materiali naturali: un chiaro ed evidente sintomo della presa di coscienza della crisi cui è andata incontro l’immagine della natura. L’arte degli ultimi decenni ha, quindi, reagito spostando completamente il piano del proprio confronto con la natura. Avendo compreso che la strada dell’immagine non era ormai più praticabile molti artisti hanno deciso di comunicare la natura attraverso esperienze, trasformando l’opera d’arte nell’esperienza stessa della natura.

«Gli strati del terreno sono un museo illimitato.

125


16

. Mario Costa, L’estetica dei Media. Avanguardie

e tecnologia, Castelvecchi, Roma 1999, p. 248.


5 | Ambiente: immagine VS natura

> Land Art

Sepolto nei sedimenti vi è un testo che evade l’ordine razionale e le strutture sociali che limitano l’arte. Per leggere le rocce bisogna essere coscienti del tempo geologico e degli strati di materiali preistorici che sono depositati nella crosta terrestre». [Robert Smithson, A Sedimentation of the Mind: Earth Projects, 1968]

A Parigi, alla fine degli anni Cinquanta, i Situazionisti rifiutavano qualsiasi tipo di utilizzazione del paesaggio naturale, puntando tutto su quello urbano e metropolitano. L’errare in aperta campagna era ritenuto deprimente perché lì, nella campagna, gli interventi del caso erano insignificanti: solo le grandi città potevano essere «centri di possibilità e significazione», solo nel paesaggio urbanizzato, che trova la sua massima realizzazione nella Città, poteva aver luogo quella deriva tanto cara a Debord, «comportamento ludico – costruttivo […], tecnica di passaggio rapido attraverso ambienti diversi»16. Dagli anni Sessanta in poi, però, si sviluppa la volontà di stabilire un nuovo contatto con il territorio attraverso l’esasperazione del segno e del gesto. Prevale l’interesse per le tematiche che riguardano l’uomo visto nella prospettiva dell’ambiente urbano, in rapporto con la tecnologia, il consumismo, la quotidianità, l’alienazione. Non è un caso, a questo proposito, che la nuova spinta artistica affondi le sue radici nel territorio americano, perché è proprio negli Stati Uniti

127


17

. Ibidem, p. 248.

18

. «[...] E tuttavia, proprio quando è sotto questa

minaccia

l’uomo

si

veste

orgogliosamente


5 | Ambiente: immagine VS natura

che il problema dell’inquinamento, frutto di un consumismo sfrenato, si manifesta con più forza, dando vita ai primi movimenti ambientalisti, fondamento teorico della rinnovata pratica creativa. La forte spinta ideologica che attraversò quel particolare momento storico portò a percepire come soffocante l’intero sistema dell’arte, i suoi organismi ma soprattutto i luoghi, inducendo gli artisti ad intraprendere pratiche alternative. L’Ambiente diventò così, soprattutto negli Stati Uniti per i suoi smisurati spazi aperti, l’epicentro dei loro interventi. «I Land Artist cercarono in deserti, laghi e distese nevose quello stesso supporto che gli impressionisti avevano trovato nel quadro»17. Il problema del rapporto con il paesaggio e l’ambiente interessò, soprattutto, un gruppo di artisti americani, influenzati dal concettualismo – che rifiutava l’opera come oggetto di scambio sul mercato e insisteva sull’importanza del messaggio, il significato da comunicare, tanto che, a volte, l’opera si risolveva in segni, parole, o progetti – e dal minimalismo – che utilizza un lessico formale essenziale, tanto da limitare la composizione delle opere a pochi elementi – per la scelta dei materiali elementari, allo stato grezzo, e delle forme essenziali. Il paesaggio dei deserti, le rocce, gli immensi spazi delle pianure americane suggerirono loro opere grandiose e suggestive. In questa fuga dallo spazio museale della galleria giocarono certamente molti fattori, come la contestazione del circuito mercantile dell’arte, il desiderio personale di allontanarsi dalla città, la passione ecologica. L’arte, che allora sperimentava installazioni spaziali, giunse ad un punto cruciale: la differenza tra opera e ambiente si andava via via assottigliandosi, tanto da non poter pensare di adattare l’intervento artistico ad una condizione espositiva preesistente e in un certo senso neutrale come quella della “scatola bianca” del museo. La ragione più profonda, però, non contingente, è appunto la coscienza della crisi irrevocabile dell’immagine della natura. Se la mimesis non è più possibile, bisognerà per forza abbandonare gli spazi chiusi dove possono trovare posto solo le rappresentazioni della natura, e non la natura stessa. Gli artisti sperimentano, così, varie forme di dialogo ambientale trasformando l’intervento artistico in un vero e proprio apparato criticopercettivo che relaziona spettatore e contesto. All’incrocio di paesaggio e non-paesaggio portano avanti la pratica di marcare i siti con interventi che segnano il terreno e la vegetazione stessa. Producono un corto circuito tra rappresentazione – il segno – e realtà – l’ambiente – dove l’arte si presenta appunto come anti-mimesi: invece di duplicare la realtà come nelle rappresentazioni tradizionali, l’arte sceglie, ora, di operare e significare attraverso la realtà stessa. Come sostiene Mario Costa, «la Land Art viene generalmente presentata, dai suoi esponenti e dai suoi interpreti, quale reazione naturalistica alla

129


della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l’apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell’uomo.

Questa

apparenza

fa

maturare

un’ultima ingannevole illusione. E’ l’illusione per la quale sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che se stesso», in Martin Heidegger, La questione della tecnica. Heidegger sostiene che la tecnica sia un mezzo in vista dei fini e in quanto tale un’attività dell’uomo.

La

rappresentazione

strumentale

della tecnica condiziona ogni sforzo di condurre l’uomo ad un giusto rapporto con la tecnica, perché la tecnica deve servire lo spirito. Il mondo naturale, di conseguenza, viene conosciuto, ormai, soltanto come “fondo per l’impiego” e non più come semplice φύσις. Inoltre, riallacciandosi alle riflessioni che Heidegger elaborò nel 1953, può essere compresa, nelle sue radici profonde, la crisi ambientale che sta cominciando a manifestarsi oggi su scala planetaria. Queste riflessioni, se pur nate in un clima diverso da quello della crisi contemporanea, rappresentano la più radicale messa in guardia del nostro tempo nei confronti della tecnica, anticipando e

integrando

buona

parte

del

pensiero

ambientalista. 19

. Mario Costa, Op. Cit., p. 250.

20

. «Come le opere che designa, Land Art è un

termine variabile, complesso e denso. Sotto molti aspetti è una forma d’arte essenzialmente americana, le cui manifestazioni si ebbero nell’ambito

della

cerchia

newyorkese

nella

seconda metà degli anni ’60. Ma poi coinvolse artisti di tutto il mondo, che espressero punti di vista e posizioni differenti», in Jeffrey Kastner (a cura di), Land Art e Arte Ambientale, Phaidon, Londra 1999, p. 12. 21

. Il titolo è un chiaro riferimento al libro di

fantascienza di Brian W. Aldiss, Earthworks (Il

mio mondo bruciato), 1965, in cui viene descritto un catastrofico futuro in una terra inquinata. 22

. È proprio nel 1968 che nasce l’antinomia Sito/


5 | Ambiente: immagine VS natura

tecnologia e alla iperurbanizzazione. “La città dà l’illusione che la terra non esista”, sosteneva Smithson, e Heizer definiva i suoi lavori come “l’alternativa al sistema della città assoluta”. A ragion veduta, il movimento della Land Art può essere interpretato come la metafora del concetto heideggeriano del “dominio della tecnica”»18. Così «Il paesaggio perde definitivamente ogni residuo di verginità originale, inscrivendosi a pieno titolo nell’universo antropologico tardo-moderno»19. E’ l’uomo che impone i suoi segni alla natura artificializzandola proprio là dove la natura stessa si va a nascondere. L’idea di marcare il paesaggio porta, così, ad una nuova considerazione sull’importanza del terreno come ricettore dell’arte. La negazione della separazione arte-ambiente permette di considerare la terra, la geologia, la sedimentazione, come elementi che ancorano il segno a una dimensione ontologica profonda e, contemporaneamente, lo dilatano orizzontalmente verso l’estensione geografica. Michael Heizer è il fautore di questa scultura al contrario, di questo operare per sottrazione e riposizionamento del terreno. Il concetto di luogo o paesaggio assume, quindi, un’importanza fondamentale perché diventa lo scopo ultimo dell’intervento artistico. Non viene più percepito in modo distaccato e contemplativo – come nell’arte di paesaggio dei secoli precedenti – ma, al contrario, è visto come elemento complesso di relazioni di cui lo spettatore è parte fondamentale. Nell’Ottobre del 1968 Michael Heizer persuade il re dei taxi, Bob Scull, a farsi finanziare uno scavo profondo quindici metri e largo dieci, smuovendo sessantamila tonnellate di terra nel deserto del Nevada. Nasce in quella occasione la Land Art20. Si inaugura, così, a New York, sempre nell’Ottobre dello stesso anno, alla Dwan Art Gallery, una mostra dal titolo Earthworks21. Al centro della sala, emblematicamente, un mucchio di terra e rottami: opera tipica di Morris che rifiutava le forme statiche e definite, volendo sottolineare lo spirito antiromantico del gruppo, il rifiuto di una visione idilliaca della natura e del paesaggio, così come era stato per i pittori dell’Ottocento. Tra gli artisti partecipanti – Michael Heizer, Walter De Maria, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, solo per citarne alcuni – ognuno con storie personali diverse e diverse poetiche, primeggia il desidero di abbandonare gli spazi espositivi classici e di operare direttamente nella natura, soprattutto nelle ampie distese desertiche del Sud-Ovest degli Stati Uniti che si opponevano a quella porzione di territorio segnato orizzontalmente da una fitta rete autostradale, capace di tagliare intere fette di paesaggio modificandone l’assetto: viste tutte uguali a se stesse che convergevano, alla fine, nel concetto di un non spazio, di un non luogo22.

131


Nonsito, che in inglese gioca sulla pronuncia identica tra Site/Nonsite e Sight/Nonsight. Nel dicembre del 1967 Robert Smithson pubblicò sulla rivista Artforum un’opera narrativa: I

Monumenti di Passaic, nel New Jersey, dove aveva passato l’adolescenza. Rivisitare quei luoghi,

a

piedi,

osservando

quella

nuova

lunghissima striscia d’asfalto che si perdeva all’orizzonte, lo portò a rimettere in discussione il suo concetto di percezione. 23

. Pubblicato sul Mitt Press nell’Ottobre del

1979, in un articolo rimasto celebre, Sculpture

in the Expanded Field, la critica Rosalind Krauss analizza l’allontanamento degli artisti ambientali dalla scultura canonica, secondo uno schema logico di opposizioni tra architettura e non-architettura, paesaggio e non-paesaggio, che definiscono un campo espanso d’azione per l’arte contemporanea. Adesso gli artisti vanno ad esplorare le intersezioni tra le diverse categorie: tra architettura e paesaggio troviamo le costruzioni nei siti, o meglio costruzioni dei siti, vere e proprie interazioni tra strutture architettoniche, terreno e vegetazione dove gli artisti sperimentano varie forme di dialogo ambientale, trasformando l’intervento artistico in un vero e proprio apparato critico-percettivo che relaziona spettatore e contesto. 24

. Double Negative ribalta il modo di intendere

la

scultura

come

superficie

esterna

che

racchiude volumi interni. In questo caso, la forma è data da un vuoto. L’opera è interessata da uno scavo macroscopico: furono rimossi circa 240 mila tonnellate di terra e roccia per creare i due profondi solchi artificiali, messi in contrasto con le naturali corrosioni di un canyon. Heizer scattò più di mille fotografie dell’opera, così grande da non poter essere vista tutta intera da terra, per cui l’osservatore, come suggerisce l’autore stesso, può soltanto guardare prima un lato dall’altro e viceversa. Solo così può prendere coscienza dell’opera sentendosi parte di essa, pur in maniera


5 | Ambiente: immagine VS natura

La volontà precisa era quella di attaccare le convenzioni della scultura, realizzando monumenti del tutto nuovi, attraverso un linguaggio che in alcun modo si accomunava a quelli precedenti per la scelta dei materiali e rispetto alle proporzioni. L’obiettivo, quello di creare un’arte locale, in rapporto stretto e imprescindibile con il luogo dell’intervento23. Quello che ne scaturisce, al di là di un terreno comune di pensiero, è in realtà costituito da interventi artistici dal significato individuale, a seconda di come le storie personali dei singoli interagiscano con l’ambiente circostante. La monumentalità e il gigantismo, propri dell’opera di Michael Heizer o Walter De Maria, manifestano l’intervento estetico nella natura e sulla natura attraverso il ricorso ad un paesaggio che non si può fruire direttamente, perché inaccessibile, sterminato, distante e deperibile, concependo l’intervento nella natura come appropriazione del paesaggio attraverso gesti plateali, invasivi, violenti. L’intervento operato sulla natura non possiede fini ornamentali o edonistici ma costituisce, semplicemente, una presa di coscienza dell’azione umana, su spazi che possiedono un certo ordine naturale e che da tale intervento sono modificati, con il desiderio ultimo di recuperare l’oggetto naturale, sottraendolo ad una civiltà tecnologica incalzante che da tempo ha sconvolto il rapporto uomo-natura. L’interventismo invasivo sul paesaggio, però, l’uso della tecnica attraverso macchinari senza i quali molte delle pratiche artistiche di Land Art sarebbero state impossibili, niente hanno a che vedere con lo spirito ecologista di chi, nato anagraficamente in quegli stessi anni, oggi lavora non SUL paesaggio, ma CON il paesaggio, o meglio ATTRAVERSO di esso, per una Natura ritrovata, non in antitesi con l’uomo, bensì una natura con la quale interagire per porre le basi di una rinnovata sostenibilità. La colossalità e l’impiego di macchine per il movimento della terra – come è stato per gli interventi di Heizer in Double Negative (1970)24 o in Complex One (1972)25 – in alcuni casi rendono, addirittura, indiretto il rapporto dell’artista con il materiale: «L’immagine del Land Artist “who bulldozes the ground”, che violenta la terra con ruspe gigantesche, viene evidentemente da qui. Heizer ha tenuto più volte a ripetere che quel che conta non è il rapporto con l’ambiente circostante, ma la realizzazione dell’opera. Il suo motto “It’s about art, not about landscape” la dice lunga in proposito»26. Non avendo alcun contatto diretto con la materia, gli artisti assolvono piuttosto al ruolo di progettisti che disegnano ciò che verrà tradotto in pratica dalle macchine. «La misura degli interventi è il colossale, ciò che si impone per via della sua scala, ed è visibile anche da grande distanza (il

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infinitesimale per le ridotte dimensioni. L’intento dell’artista è quello di mettere in relazione l’Io con la conoscenza di sé attraverso lo sguardo.

Double Negative non crea uno spazio, è spazio. 25

. Heizer, nel 1972, comincia a realizzare

nella Garden Valley del Nevada un intervento gigantesco, a metà strada tra la scultura e l’architettura, che denomina Complex I. Si tratta di un enorme terrapieno, alto sette metri, lungo oltre quaranta, in parte contenuto tra mura di cemento. Un struttura aggettante in cemento armato proietta la sua ombra sul terrapieno, mentre altre strutture in cemento sorgono nelle vicinanze. 26

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura. Bellezza

Naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma – Bari 2001, p. 180. 27

.

Paolo

D’Angelo,

Atti

del

Seminario:

Il

significato estetico del paesaggio, Dottorato in Progettazione Paesistica, 30 maggio 2004. 28

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura..., cit.,

p. 204.


5 | Ambiente: immagine VS natura

gigantismo è stato forse la malattia infantile dell’arte ambientale). L’opera del land artist non suppone un rapporto precedentemente elaborato con il paesaggio in cui si inserisce, e spesso non cerca nemmeno questo inserimento. La Land Art ha scelto come proprio ambiente di elezione lo spazio vuoto dei deserti americani, un territorio estraneo e privo di connotazioni storiche, nel quale l’opera colossale dovrebbe svettare come una piramide, e di fatto Heizer si è più volte richiamato all’architettura egizia o a quella pre-colombiana. Ma proprio questo azzardato paragone illumina la discutibile ideologia che sta dietro le opere di molta Land Art americana: l’opera colossale arcaica è il monumento di tutto un popolo, la sfida portata con mezzi rudimentali alla estraneità naturale, il segno che conserva la memoria di uno sforzo e di una fatica pressoché inimmaginabili, laddove il colosso moderno, così facilmente eseguito con l’aiuto delle macchine, sfrutta la capacità, che queste ultime ci accordano, di ignorare i limiti corporei della nostra azione. Si tratta di marcare la terra, in modo da esibire l’indizio concreto che essa ci appartiene»27. Ancora per Mario Costa, nel suo libro Estetica dei Media, l’intervento estetico delle operazioni di Land Art si esplica sì in relazione alla natura, ma il ricorso ad un paesaggio che non si lascia fruire direttamente, perché distante e inaccessibile, serve a deviare il momento stesso della fruizione, rendendola necessariamente dipendente da mezzi ausiliari di riproduzione. Paradossalmente quello che resta delle opere di Land Art sono fotografie, filmati, esperienze sensoriali. E’ questa la più grande accusa che, anche secondo Paolo D’Angelo, si possa muovere nei confronti di questa rinnovata pratica artistica. «Quest’arte vive e viene vista quasi soltanto in fotografia, ossia quasi soltanto attraverso riproduzioni. Torna ad essere, contro ogni intenzione, pura immagine, percepita senza alcun legame con l’ambiente in cui è nata e che spesso ha fornito i materiali con cui è fatta. Più che di “opere”, verrebbe da parlare di performances, se non fosse che esse non sono affatto concepite come tali, e per esempio non sono pensate per un pubblico. Un’arte che era nata in antitesi all’immagine torna ad essere pura immagine come tanta arte tradizionale, anzi persino più di essa, perché mentre per l’arte tradizionale, se anche è vero che essa viene molto spesso fruita in riproduzione, è sempre possibile il confronto diretto con l’opera, qui tale confronto è spessissimo o arduo o del tutto impossibile. Un’arte che voleva uscire dalle gallerie, rifiutare lo spazio espositivo, proporsi in ambienti del tutto diversi da quelli tradizionali, torna in buon ordine nell’atelier, rientra nel circuito commerciale: un’arte che può concepirsi soltanto come esperienza, e non come immagine, può essere fruita esclusivamente come immagine, e non come esperienza»28.

135


29

. L’artista era rimasto affascinato da un’opera

di Man Ray, l’Enigma di Isadore Ducasse (1920), una macchina da cucire impacchettata e legata con uno spago, e dall’idea sottesa che una cosa nascosta fosse più suggestiva, creando nell’osservatore curiosità e senso del mistero. Iniziò ad impachettare dapprima oggetti di piccole dimensioni, poi sempre più grandi, con la collaborazione della moglie Jean Claude: insieme diedero vita, negli anni seguenti, ad una società autonoma in grado di realizzare opere monumentali. 30

. Surrounded island (1983), è il più spettacolare

intervento di Christo operato in mare. La progettazione dell’installazione è durata quattro anni. Le undici, piccole isole della Biscaine Bay, in Florida, vicino a Miami, sono state circondate da un tessuto rosa brillante. Per rendere possibile fisicamente tale opera, le porzioni di tessuto sono state cucite tra loro direttamente in mare, in modo da seguire i reali contorni degli isolotti, formando un bordo colorato largo sei chilometri. Quest’opera, tanto gigantesca, fu altrettanto effimera: la sua durata fu di soli quattordici giorni. La fruizione di tale installazione, inoltre, è stata possibile solo attraverso un volo aereo, poiché il territorio di Miami, non presentando alture, rendeva impossibile una visibilità da terra delle isole impacchettate. 31

. Paolo D’Angelo, Atti del Seminario..., cit.

32

. Paolo D’Angelo, Estetica della Natura..., cit.,

p. 188. 33

. Enzo Carli, Il Paesaggio. L’ambiente naturale

nella

rappresentazione

artistica,

Mondadori,

Milano 1981, in Paolo D’Angelo, Estetica della

Natura..., cit., p. 189.


5 | Ambiente: immagine VS natura

La disparità di mezzi e materiali, inoltre, accompagnata dalla breve vita delle installazioni, è stata molto spesso oggetto di polemiche da parte di tutti quelli che hanno visto nella pratica artistica della Land Art uno spreco insensato. Proprio le opere di Christo29, ad esempio, sono state oggetto di denuncie da parte di ecologisti, viste come manomissioni e aggressioni degli ambienti naturali nei quali trovavano collocazione. E’ il caso di Surrounded Island (1983)30, contestata per l’impatto invasivo ai danni della fauna e della flora marina, nonché per la colorazione troppo accesa del tessuto impiegato, destabilizzante per la nidificazione del Falco Pescatore. Nonostante la durata limitata nel tempo (solo quattordici giorni) non c’è garanzia di un rapporto corretto con la natura. Essa può certamente limitare i danni ambientali, ma non incide di per se stessa sulla qualità dell’esperienza che si produce. «Da questo punto di vista, le installazioni di Christo sembrano ancora prigioniere di una logica dell’Avanguardia, non solo perché si presentano spesso come gesti che hanno lo scopo primario di stupire e spiazzare lo spettatore, ma anche perché riducono la natura a corpo vile, manipolabile, disponibile come si vuole all’invasione dell’artificiale: sono operazioni programmatiche di straniamento della nostra percezione della natura. E’ significativo che la pianificazione degli interventi di Christo non richieda tanto un coinvolgimento personale dell’autore con il luogo, quanto una laboriosa (e costosa) regia ingegneristica per la soluzione dei problemi tecnici»31. «Christo artificializza ogni paesaggio che incontra: non ci aiuta a conoscere meglio la natura, ma a vedere anche in essa nient’altro che i connotati, in ultima analisi rassicuranti, della nostra capacità manipolativa»32. Gli scontri di Christo con gli ecologisti rappresentano in maniera evidente le preoccupazioni ambientaliste che, proprio in quegli anni si andavano sviluppando. Molti hanno sostenuto che gran parte degli interventi di Land Art anziché relazionarsi intimamente con la natura la saccheggiano. Enzo Carli, nel suo testo sul paesaggio, scrive: «Un ultimo, sconcertante episodio del rapporto tra l’uomo artista e la natura è rappresentato dalla cosiddetta Land Art […] consistente in un diretto intervento sul paesaggio, non per abbellirlo, coltivarlo o renderlo utile, ma per fini esclusivamente espressivi e non sempre dichiarati chiaramente o talvolta non dichiarati affatto. […] Certo è che dopo l’inquinamento dell’aria e del mare e dopo la “cementificazione” di tanti luoghi della terra, alla santità della natura non mancava che l’oltraggio dall’arte e dobbiamo considerare questi artisti tristi testimoni dell’odierna civiltà, se non come profeti delle immani sventure che il cosiddetto progresso fa incombere sul nostro pianeta»33. Alla Land Art va, comunque, il merito di aver attuato, mediante l’intervento sul paesaggio, una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul

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34

. Nancy Holt, The Writings of Robert Smithson,

New York University Press, New York 1979, in Ibidem, p. 190.


5 | Ambiente: immagine VS natura

tempo. Gli artisti che hanno soppiantano la tela con coltivazioni agricole, aridi deserti, paesaggi urbani, siti abbandonati hanno saputo agire per primi in una dimensione macroscopica dell’arte. Ma, rispetto agli ideali politico-sociali delle generazioni future, i movimenti artistici di questi anni sembrano essere spinti piuttosto dalla rivendicazione di una libertà espressiva, che indaga sì il rapporto con la natura, ma non scaturisce in quella denuncia chiara e provocatoria degli artisti contemporanei che lavorano sui temi dell’ecologia e dell’ambiente. Del resto il rapporto con la natura non appare sempre determinante nelle opere di Land Art, anche a detta degli stessi autori che non si sentono mossi da intenti di salvaguardia o rispetto verso l’ambiente. Smithson non ha mai nascosto il suo scarso interesse per la natura in quanto tale. La sua concezione della natura non implica nessun riferimento antropomorfico all’ambiente, non è intesa nel senso classico del termine. «In effetti, – sostiene Smithson – io ho una tendenza più marcata verso l’inorganico che verso l’organico. L’organico è più prossimo all’idea di natura: io sono più interessato alla de-naturalizzazione o all’artificio di quanto lo sia in genere di naturalismo»34.

139


35

. Pietro Valle, Paesaggio non indifferente, 2003,

su Arch’it.


5 | Ambiente: immagine VS natura

> Robert Smithson e il concetto di Entropia

Soffermarsi sul valore che il concetto di entropia assume nella poetica di Robert Smithson ci spinge a cercare – e a trovare – le radici di un nuovo modo di guardare alla natura e al paesaggio; radici che affondano in quei non-site della civiltà contemporanea che oggi entrano, di diritto, a far parte della nuova natura. I nuovi monumenti del futuro che avanza diventano le rovine che a ritroso procedono verso il passato. La nuova rappresentazione del paesaggio implica una rivisitazione del gesto figurativo che non è più pittorico: questo è un dato di fatto che si rileverà fondamentale per tutte le nuove generazioni di artisti che decideranno di confrontarsi con le tematiche dell’ecologia e dell’ambiente. Nel 1865, Clausius teorizza in fisica il concetto di Entropia, secondo principio della termodinamica per cui ogni cambiamento provoca una produzione di energia incontrollata, che si disperde e non è più utilizzabile. Entropia quindi come scarto, come eccesso, come detrito. «Smithson interpreta come processi entropici tutti quelli riguardanti il terreno e le rocce e, con un corto circuito logico, relaziona tempo geologico, consumo incontrollato dell’ambiente post-industriale e fragilità del linguaggio. Egli interpreta tutta una serie di luoghi degradati (periferie, discariche industriali, miniere abbandonate) come luoghi entropici dove leggere una nuova geologia del deterioramento e un nuovo tipo di rovina: non la rovina prodotta dal tempo ma una rovina in fieri, contenuta potenzialmente in ogni processo di mutazione dell’ambiente. Il paesaggio post-industriale diviene il nuovo parametro per leggere una durata e una materialità che sfuggono al controllo e alla certezza»35.

141


36

. Robert Smithson, A Tour of the Monuments

of Passaic, New Jersey, in Pietro Valle, Città d’America, p. 72. 37

. Pietro Valle, Città d’America, p. 72.

38

. Robert Smithson, Conversazione a Salt Lake

City, in Anna Lambertini, La sabbia nell’anima, il sale della terra. Esplorazioni estetiche nei deserti americani, in Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, n.3, Firenze University Press, Firenze 2006, p. 49. 39

.

Claude

Lévi-Strauss

(1908-2009),

antropologo, psicologo e sociologo francese. Applicando alla società il principio dell’entropia, arriva alla conclusione che la dinamica interna alla società stessa è destinata all’inerzia e alla disintegrazione. Scrive in Tristi Tropici: «Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui. Le istituzioni, gli usi e i costumi che per tutta la vita ho catalogato e cercato di comprendere, sono un’efflorescenza passeggera d’una creazione in rapporto alla quale essi non hanno alcun senso, se non forse quello di permettere all’umanità di sostenervi il suo ruolo. […] Quanto alle creazioni dello spirito umano, il loro senso non esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine quando egli sarà scomparso. […] Piuttosto che antropologia, bisognerebbe chiamare

“entropologia”

questa

disciplina

destinata a studiare nelle sue manifestazioni più alte, questo processo di disintegrazione», in Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Op. Cit., pp. 402-403. Come afferma George Steiner la collera visionaria di Strauss nel tempo va via via intensificandosi: la devastazione dell’ordine vegetale e animale in nome del progresso tecnologico, lo sfruttamento delle risorse a beneficio di pochi, non fanno che generare avversione e disprezzo. Gli eventi politici del XX Secolo e la crisi ambientale altro non sono che i corrispettivi diretti di un atteggiamento omicida

da

parte

dell’uomo

nei

confronti

dell’ecologia. Non basterà – secondo Strauss – l’impegno per la salvaguardia del territorio


5 | Ambiente: immagine VS natura

Le odissee suburbane che vedono in quei non-luoghi un tempo dimenticato, suggeriscono a Smithson l’adozione di nuovi filtri di lettura della realtà e nuove categorie estetiche. La scoperta di nuovi ambienti induce l’artista a ricorrere al concetto di paesaggio entropico dove si sviluppano le ruins in revers, le rovine al contrario. «Negli anni Sessanta, l’artista fu il primo a ripensare il significato dei paesaggi artificiali prodotti dall’urbanizzazione. Nell’articolo A Tour of the Monuments of Passaic, N.J., egli descrive un viaggio tra anonimi sobborghi industriali e cantieri non finiti. A un certo punto del suo diario annota: “Quel panorama-zero sembrava contenere rovine al contrario, ossia tutte le strutture che sarebbero state eventualmente costruite. Questo è l’opposto della ‘rovina romantica’, perché gli edifici non cadono in rovina dopo essere stati costruiti ma semmai sorgono in rovina prima di essere costruiti. Questa mise-en-scène antiromantica evoca l’idea del tempo e altre cose antiquate”36. Smithson fece del caos un elemento irriducibile della crescita»37. E da questo molti artisti contemporanei ripartono – è il caso del giovane Cyprien Gaillard che non esclude dal paesaggio naturale quello antropizzato, facendo della rovina un nuovo concetto estetico; riportando all’interno di situazioni naturali anche quello che naturale non è, ma che, attraverso processi naturali, vive e si modifica nel tempo (è il caso di un edificio che subisce le aggressioni del tempo) – per un nuovo approccio artistico che utilizza la rovina proprio per enfatizzare la potenza della natura. L’attenzione verso i paesaggi entropici induce ad «uscire dalla città verso aree abbandonate, sia che siano naturali o create dall’uomo, e farle tornare ad essere delle situazioni»38. Vuoti suburbani marginali e degradati e vasti territori naturali inospitali e dalla spazialità aperta e senza bordi, quali facce diverse della stessa medaglia, costituiscono pertanto il campo di azione privilegiato. In questa filosofia di lavoro, l’artista fa proprio il suggerimento provocatorio di LéviStrauss relativo alla creazione di una entropologia39, disciplina capace di interpretare i mutamenti di società complesse, cosiddette calde – in contrapposizione alle società primitive, definite fredde – segnate da processi di accelerata modernizzazione e dalla tendenza a generare una sempre maggiore quantità di scarti e di effetti disgregativi e caotici sulla loro struttura. «Così immerso nei suoi paesaggi in piena disgregazione, Smithson diventa l’artista “entropologo” della sua epoca. Questo tipo di paesaggi entropici, contengono una nuova geologia del deterioramento ed un nuovo tipo di scarti. In questi siti remoti l’artista è spinto ad adottare un linguaggio essenziale, fatto di segni minimali, per dare vita a interventi di territorializzazione che ricordano il simbolismo

143


e delle specie. È troppo tardi: siamo dannati. L’antropologia si trasforma, così, in entropologia, scienza dell’entropia, scienza dell’estinzione. 40

. Anna Lambertini, Op. Cit., pp. 49-50.


5 | Ambiente: immagine VS natura

astratto di certi luoghi archeologici preistorici. Si tratta di un’attitudine condivisa con altri, dato che durante questo processo di sviluppo di una espressione artistica atemporale, che potesse offrire una certa resistenza alla arroganza delle immagini del moderno consumismo, i pionieri della Land Art non solo riscoprirono la terra come materiale ma, come accadde a molti architetti nel corso degli anni Sessanta, furono anche attratti dall’estetica piena di forza e dalla spiazzante carica mitologica delle strutture primitive in terra dell’Africa, dell’America Centrale e del Sud”40.

145



5 | Ambiente: immagine VS natura

> Art in Nature

«A cairn built near sheep bones. A cairn built at a windy place A cairn built where a raven flew off A cairn built on the flood line of a river A cairn built after a roll of thunder A cairn built at my campsite A cairn built in a hailstorm» [Richard Long, Walk of Seven Cairns, South Wales, 1992]

Parallelamente al movimento artistico della Land Art si sviluppa in Europa, con qualche anno di ritardo, un’altra corrente che si distingue dalla prima perché mossa dal bisogno di definire il proprio modo di intervenire nel paesaggio in opposizione proprio alle operazioni che, nella natura, venivano realizzate dai Land Artist negli anni Sessanta. Non è casuale che il movimento prenda il nome di Art in Nature, e altrettanto indicativo è il fatto che si sviluppi nel vecchio Continente, lontano dal sogno americano: in un contesto diverso gli artisti non possono che operare scelte diverse. La coscienza del paesaggio, infatti, è quella di paesi, come l’Italia, l’Inghilterra, la Germania, la Francia, dove la natura incontaminata non esiste più, dove, però, l’integrazione dell’uomo al suo interno rispetta le particolarità del paesaggio, riscoprendolo attraverso la storia e le tradizioni di chi lo abita, superando i confini tradizionali dell’arte.

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41

. Vittorio Fagone (a cura di), Art in Nature,

Mazzotta, Milano 1996, pp. 13-14.


5 | Ambiente: immagine VS natura

In contrasto con gli spazi incontaminati americani, ora i paesaggi sono strutturati e ogni segmento di terra è prodotto dall’uomo. Impossibile pensare di agire su grande scala, le opere sono di piccole dimensioni, realizzate con materiali prelevati dallo stesso ambiente in cui si inseriscono e tendono ad essere riassorbite dalla natura col passare del tempo. Effimeri e non invasivi, gli interventi si sviluppano sulla base delle teorie ecologiste. A differenza di quello che accadeva nella Land Art, qui è la natura ad essere al centro dell’opera, l’artista si sente parte di essa e non più il protagonista assoluto. È La dimensione lirica, contemplativa, l’esperienza di immersione nella natura, di meditazione solitaria, che accomuna questa generazione di artisti che, qualche anno dopo le grandi imprese della Land Art, sente la necessità di ridefinire il proprio rapporto con il paesaggio. «In tutta Europa alcuni artisti innovativi, non vincolati da anacronistici proclami o da esasperate strategie di promozione, hanno scelto, quasi sempre in misura esclusiva e con procedure per ognuno diverse, di realizzare la loro opera in spazi aperti della campagna o delle remote periferie metropolitane, utilizzando solo materiali dello stesso ambiente, senza fare ricorso a tecniche, sostanze e colorazioni che, nei confronti dell’habitat circostante, possano risultare in qualunque modo disomogenee o invasive. Le opere realizzate da questi artisti […] si caratterizzano […] per una diversa disposizione rispetto al tempo, che non è più quello rettilineo e senza decrementi, convenzionale della storia dell’arte, bensì quello, vitalmente deperibile, delle stagioni e delle mutazioni naturali»41. Gli artisti che producono opere effimere, perché destinate a ritornare alla terra o a svanire nell’acqua, accettano i ritmi naturali, ciclici della natura, ribadendo, con il loro gesto, che l’uomo non deve dimenticare di essere parte del Tutto. Anche qui, ovviamente, gli interventi artistici sono realizzati direttamente nell’ambiente naturale, con una altrettanto evidente rinuncia ad ogni rappresentazione della natura in quanto mimesis, ma in merito alle dimensioni, ai mezzi, ai materiali e alla relazione con l’ambiente delle installazioni, ci si muove su presupposti sostanzialmente antitetici. Non opere smisurate, ma piccole tracce spesso non facilmente percepibili, frutto della presenza e del movimento del corpo stesso dell’artista, all’interno di un ambiente naturale scelto, studiato e spesso abitato dallo stesso artefice del gesto. «Non uso di macchine e di maestranze, ma impiego solo del corpo umano, del corpo dell’artista stesso impegnato nell’azione nella natura. Non impiego di materiali estranei ed industriali (cemento, acciaio, tessuti sintetici) ma rigorosa utilizzazione di materiali naturali, spesso raccolti sul luogo stesso dell’azione. Non progetti adattabili a qualsiasi ambiente, ma

149


42

. Paolo D’Angelo, Op. Cit., p. 191.

43

. Richard Long, Bristol 2000.

44

. Camminare e fare esperienza della geografia

sono due aspetti centrali della ricerca di Claudia Losi, due elementi che creano una tensione e uniscono l’elemento naturale e l’approccio scientifico ai desideri, alle paure, agli immaginari che

accompagnano

ogni

esistenza.

Scrive

l’artista: «Spero non rimanga nulla di questo mio passaggio, solo polvere attorno, tra le cuciture delle scarpe». È quando il paesaggio diviene esperienza che lascia un segno difficile da dire a parole, uno stato d’essere simile a una traccia leggera, qualcosa che somiglia ad un soffio. [Lisa Parola su Claudia Losi]. Per approfondimenti si rimanda alla scheda dell’artista.


5 | Ambiente: immagine VS natura

interventi ispirati e guidati dalla natura dei luoghi, pensati esclusivamente per un ambiente specifico. Non opere che puntano a darci un’immagine della natura, ma che costituiscono esse stesse delle esperienze esemplari compiute nella natura stessa. E dunque, di contro allo sprezzo talora ostentato dai Land Artist nei riguardi dell’ecologia, un’arte che si vuole strettamente alleata, al limite coincidente, con una corretta pratica ecologica»42. Le linee educate, i cerchi leggeri di Richard Long, sempre molto critico nei confronti della Land Art americana, sono un chiaro esempio del nuovo approccio ecologico al paesaggio. A line made by walking (1967), una delle prime iniziative di Long, è una retta tracciata in un prato camminando ripetutamente in un senso e nell’altro, semplicemente abbassando, con il peso del corpo, l’erba. Nessuno strumento si frappone tra l’artista e la natura: la traccia è una traccia del corpo, così effimera che si può immaginarla dissolversi nel nulla solo poche ore dopo averla pensata. Al tempo stesso, però, la forma rigidamente geometrica, la linea retta, così rara in natura allo stato puro, indicano senza ombra di dubbio la presenza e l’iniziativa dell’uomo, dimessa, ma presente. Il camminare è proprio la caratteristica di questo artista che ne fa un fondamento della sua pratica. «La natura è sempre stata registrata dagli artisti - dall’età preistorica al XX secolo - come una fotografia del paesaggio. Anche io ho voluto fare della natura il soggetto del mio lavoro, ma in un modo nuovo. Ho iniziato a lavorare all’aperto usando materiali naturali come l’erba e l’acqua. Questo lavoro si è evoluto nell’idea di realizzare una scultura camminando. Il camminare ha una sua storia culturale, dai pellegrini, ai poeti nomadi giapponesi, ai romantici inglesi fino ai percorritori di grandi distanze di oggi. […] La mia intenzione era quella di realizzare una nuova forma di arte attraverso un nuovo modo di camminare: il “Camminare come Arte”. Ogni camminata seguiva la mia strada, individuale e originale nella forma, diversa da tutti gli altri modi di camminare, quale il viaggiare. Ogni camminata, anche se non concettualmente definita, concretizzava un’idea specifica. Così il camminare - come arte - forniva un ideale che per me significa esplorare le relazioni tra tempo, distanza, geografia e misura. Perché Camminare è arte, anche se non produce un oggetto»43. Una pratica, questa, ripresa nei primi lavori di Claudia Losi44, artista piacentina che ha fatto della camminata nel paesaggio un’esperienza concreta di fisicità e osservazione diretta. Dietro queste scelte di rispetto assoluto nei confronti del paesaggio si nascondono gli aspetti sacrali della natura. Nell’esperienza di Long la rappresentazione e l’immagine sono alla base dell’opera stessa, mentre per Hamish Fulton l’assenza di ogni descrizione del proprio operare nella

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5 | Ambiente: immagine VS natura

natura è rigorosa e priva di eccezioni. L’artista non lascia segni visibili delle proprie giornate di cammino. Spesso indica o riassume i propri percorsi, nelle esposizioni che dovrebbero documentarli, con linee, segni astratti senza relazione con l’attività compiuta. I suoi gesti nella natura sono così evanescenti – lanci di pietre nell’acqua, piume piantate nella sabbia – che sussistono quasi soltanto nella testimonianza che ne viene data. Per lui fare arte non significa produrre oggetti concreti, ma corrisponde a un determinato modo di vedere la vita: così, le sue fotografie sono la testimonianza della sua protesta contro una società che, intervenendo sull’ambiente naturale e alterandolo, è ormai completamente alienata dal mondo della natura. Ancora un parallelo con l’opera di Claudia Losi in “duetto” con lo stesso Fulton durante l’esposizione del 2007 dal titolo An object cannot compete with an experience – Un oggetto non può competere con una esperienza – titolo ricavato da una affermazione dello stesso artista e condiviso come filosofia di lavoro anche dalla Losi, alunna di Fulton nel 1999. L’artista (che ha accompagnato Fulton nel suo viaggio verso le Apuane) preparò nello stesso anno un gomitolo ricamato, da rotolare sul terreno affinché, non solo si logorasse cedendo materia al terreno, ma acquistasse dal terreno stesso polvere e residui. Significativa, anche qui, l’azione del camminare, dove l’interazione tra gomitolo e terra costituisce una testimonianza tangibile dell’esperienza condotta dall’artista. Sulla scia della sensibilità ecologista, quindi, alcuni artisti hanno fatto della difesa della natura il loro campo di battaglia. Alla pari di attivisti, politici e naturalisti, si sono armati di coraggio e hanno gonfiato la propria voce. Al centro del loro interesse non troviamo più la forma, ma il contenuto. E ed è proprio sulla base di queste premesse che si sono mossi gli Harrisons. Il loro lavoro si fonda sulle conoscenze acquisite durante i numerosi viaggi in ogni angolo del pianeta, volti a studiare situazioni ambientali anomale. I due artisti si fanno portavoce di campagne ecologiste e sono comprensibilmente contrari alle opere monumentali di Land Art. Il loro intervento non incide sull’ambiente, ma si compone di disegni, fotografie e poesie prodotte per raccontare territori degradati. Intervenire sull’ecologia del paesaggio presuppone, però, una pratica ecologica, anche se è distolta da fini artistici. Il lavoro di Helen e Newton Harrison è ai confini con la scienza e per questo spesso si avvale anche di esperti del settore. In molti lavori si può parlare di ecologia nelle intenzioni, cioè nel senso dato al gesto o piuttosto nella presa di coscienza che si ritiene di suscitare. Questo è quello che fanno gli Harrisons, che dagli anni Settanta hanno iniziato a lavorare su progetti legati strettamente all’ambiente, all’equilibrio e alle perturbazioni degli ecosistemi. Seguendo la scia della metafora, un’opera capace di cambiare la

153


45

Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1993

per il Padiglione Tedesco. Noto per i suoi lavori concettuali, quelli più recenti si focalizzano sulle strutture socio-politiche e sulle politiche dell’arte. Nel

2005

l'artista

nordico

Tue

Greenfort

realizza Bonaqua Condensation Cube, opera di chiaro riferimento all' installazione di Hans Haacke Condensation Cube del 1963.

Qui

Greenfort riempie un contenitore trasparente con acqua "griffata" prodotta dalla Coca Cola, interrogandosi sul problema della privatizzazione delle risorse pubbliche primarie come l'acqua. Per approfondimenti si rimanda alla scheda dell’artista.


5 | Ambiente: immagine VS natura

percezione dell’osservatore rispetto all’ambiente circostante, è stata, senza dubbio, Beach Pollution (1970) di Hans Haacke45, un enorme cumulo di rottami e di spazzatura domestica raccolta su duecento metri di una spiaggia spagnola, fotografata dall’artista. C’è un’arte che può dirsi ecologica ma sceglie di non agire all’aperto, in un contesto naturale, e c’è un’arte che agisce nella natura senza porre tra i suoi obiettivi espliciti quello della sensibilizzazione ecologica. Per questo possiamo parlare di arte ambientale, perché il termine sottolinea il vero denominatore comune di tutte queste ricerche: far esplodere termini e confini della nostra rappresentazione del paesaggio, sostituendovi piuttosto l’esperienza della natura stessa. Quello che verrà con le generazioni future di chi, respirato per nascita le nuove ideologie ambientaliste, si confronterà con le problematiche dello sviluppo economico globale, dell’inquinamento da idrocarburi e dell’annunciato collassamento del Pianeta, prenderà sì, le mosse dai capisaldi dell’arte ambientale, ma si farà voce critica, denuncia politica, grido di sensibilizzazione nei confronti di tematiche reali, tangibili, alla portata di tutti, nel segno di un radicale cambiamento di coscienza per un’inversione di rotta imprescindibile. Lo spettatore viene ora coinvolto nel processo etico-sociale di rimessa in discussione dei valori dell’uomo contemporaneo. Il rapporto tra arte e natura diventa un terreno da camminare, affinché ognuno possa interagire con la natura, con le sue leggi, le necessità e le esigenze. A questo proposito l’arte può fare molto per facilitare il re-incontro tra uomo e natura, acquistando quel potenziale politico che negli anni Settanta non aveva.

155



(6) Joseph Beuys Arte come strumento di coscienza

ÂŤAncora per un certo periodo di tempo ci rimane la possibilitĂ di venire liberamente ad una decisione, la decisione di prendere un corso che sia diverso da quello che abbiamo percorso nel passato. Possiamo ancora decidere di allineare la nostra intelligenza a quella della naturaÂť. [Joseph Beuys]


1

. Lucrezia De Domizio Durini, Joseph Beuys.

Difesa della Natura. The Living Sculputre Kassel 1997 – Venezia 2007, Silvana Editoriale, Milano 2007, p. 27.


06 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

> Lo sciamano. L’artista. L’uomo.

Figura profetica ed emblematica, utopista, artista e sciamano, Joseph Beuys rappresenta al meglio l’energia centrifuga e anti-tradizionale del panorama artistico della seconda metà del Novecento. Precursore di problematiche ambientali, politiche e culturali; fondatore del movimento dei Verdi in Germania; dell’Organizzazione per la Diretta Democrazia e della Free International University for Creativity and Interdisciplinary Research (FIU); è sempre stato alla ricerca incessante, in ogni sua opera, di un’armonia profonda con se stesso, con gli uomini, e con la natura. Un Artista che, già alla fine degli anni Cinquanta, si apre alle realtà sociali e ideologiche della vita intesa come scienza, agricoltura, musica, economia, politica, ecologia. Un Uomo, interessato alla vita in quanto essere. Un Maestro che ha intrapreso un lavoro da non intendersi solo nell’aspetto ecologico, ma anche, e soprattutto, in senso antropologico: difesa dell’ambiente a difesa dell’uomo. Per Joseph Beuys creare un’opera d’arte era il più puro dei gesti politici. Già aviere combattente per parte nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, è l’espressione più radicale dell’intellettuale europeo che cerca di rinascere da un passato ingombrante. E per fare questo usa i tratti dello sciamanesimo, sapienza antichissima costruita non sui rapporti di forza tra gli uomini, ma sul rapporto profondo e costante dell’uomo con la natura. Un artista che non ha mai separato la sua vita dalla sua pratica perché «ha rivestito la sua stessa persona di arte, e l’arte della sua persona»1. Ed è per questo che solo attraverso il suo vissuto ci è data l’occasione di

159


2

. Ibidem, pp. 35-36.

3

. Ibidem, p. 36.


06 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

comprendere il suo lavoro. Joseph Beuys nasce a Krefeld, nella Germania Occidentale, il 12 Maggio del 1921 e muore, prematuramente, a Dusseldorf il 23 gennaio del 1986. Vive la sua vita a Kleve, figlio di genitori alquanto conservatori, nel segno di una rigida educazione cattolica, in condizioni economiche piuttosto precarie, in un contesto geografico storicamente teatro di innumerevoli guerre, dai tempi dei Romani per arrivare fino ai conflitti mondiali. Pur essendo sempre stato uno spettatore decisamente distaccato della scena politica degli anni del nazismo, nel 1940, mentre frequenta i corsi di medicina pediatrica – cui si dedica, prima ancora che all’arte, visto il suo spiccato talento scientifico – viene arruolato nell’esercito e addestrato l’anno seguente come pilota di bombardiere in picchiata. Partecipa, suo malgrado, alla Seconda Guerra Mondiale e nel 1943, impegnato sul fronte orientale, il suo aereo viene colpito dalla contraerea Russa e precipita in una desolata pianura della Crimea. Qui si apre un nuovo capitolo della sua vita che segnerà inevitabilmente anche quella delle generazioni future. «Se non fosse stato per i Tartari oggi non sarei vivo. […] Mi trovarono nella neve dopo l’impatto, quando le squadre tedeshe avevano già rinunciato. Allora ero ancora svenuto e mi ripresi completamente solo dopo circa dodici giorni, […] ricordo quelle voci che dicevano “voda” (acqua), poi il feltro delle loro tende, il denso e pungente odore del formaggio, del grasso, del latte. Mi ricoprirono il corpo per aiutarlo a rigenerare calore, e lo avvolsero nel feltro per isolarlo e mantenerlo caldo»2. Questo passaggio della vita del Maestro è indicativo per la comprensione della sua intera opera, la generazione del calore attraverso i materiali della natura sarà infatti elemento ricorrente in tutto il suo lavoro. «Terminato il conflitto Beuys si ritrovò profondamente mutato, nel fisico e nello spirito. Fu allora che decise di fare l’artista»3, laureandosi nel 1951 alla Kunstakademie di Düsseldorf, non senza difficoltà, economiche e personali. Difficoltà così forti che lo portarono ad un periodo di “esilio forzato” a causa di una forte depressione, nella casa di campagna dei suoi amici – i fratelli Van der Grinten – che per primi apprezzarono i suoi lavori, diventandone collezionisti. Fu qui che il Maestro si riprese grazie al lavoro nei campi. Qui inizia la sua riflessione su quelle che saranno per lui le verità della vita. «È stata una crisi molto importante perché ho messo in discussione tutto, proprio tutto, compresa la mia vita. Durante questa crisi ho deciso di ricercare con tutte le mie forze quanto c’è di più profondo nella vita, nell’arte, nella scienza. […] Durante quei tre o quattro anni sono riuscito a fissare le linee di una teoria dell’arte più vasta, che coinvolgesse il corpo sociale nel suo insieme, e che non fosse più limitata al panorama culturale tradizionale: l’artista come persona isolata, i problemi dell’insegnamento

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4

. Ibidem, p. 37.

5

. Ibidem, p. 37. Movimento sviluppatosi agli inizi

degli anni Sessanta, Fluxus è un termine latino che significa flusso, ad indicare un fenomeno in continuo mutamento, che non ha forma né luogo. Rifacendosi all’happening americano, il gruppo Fluxus teorizza un modo di fare arte che è un fluire ininterrotto di situazioni, percezioni e molteplici esperienze estetiche e sperimentali. La caratteristica di Fluxus è l’interdisciplinarietà dei suoi eventi, che al suo interno possono contenere e inglobare svariate correnti artistiche, come per esempio la musica sperimentale, il Noveau Realism, la Videoart, l’Arte Povera, il Minimalismo e l’Arte Concettuale. Costituito da un insieme di individui, di artisti, che partecipano attivamente al movimento portando avanti le loro personali sperimentazioni, sostiene l’idea di un arte per tutti. Fluxus è la creazione di una relazione tra vita e arte, Fluxus è divertimento, piacere e shock, Fluxus è un’attitudine verso la pratica artistica, verso la pratica non-artistica, verso quella anti-artistica, verso la negazione dell’ego di ognuno. There were as many different

ideologies and interpretations of Fluxus as there were people, and the chance to work with people of different opinions was one of the most challenging aspects. Anything could be included, from the tearing up of a piece of paper to the formulation of ideas for the transformation of society. Joseph Beuys. 6

. Ibidem, p. 26.


06 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

dell’arte, della storia dell’arte, i musei e tutto quello che già esiste nella nostra società. Ho avuto così la possibilità di spazzare via in un colpo solo tutti i miei problemi degli anni precedenti, di rompere con la tradizione e di trovare il giusto livello per la rivoluzione e l’evoluzione di tutto lo sviluppo umano. È stata fin da principio una ricerca sull’idea del lavoro dell’uomo, e non solo del lavoro dei cosiddetti artisti in quanto specialisti nella società, ma una riflessione sull’idea antropologica della creatività umana. […] Le malattie sono quasi sempre crisi spirituali della vita, in cui vecchie esperienze e fasi di pensiero vengono abbandonate per permettere cambiamenti positivi. Certamente molti uomini non provano mai questa fase di riorganizzazione, ma quando uno ci si trova in mezzo, molto di quello che prima appariva poco o solo vagamente chiaro prende una direzione del tutto plausibile. […] Bisogna prendere nuove vie verso nuove esperienze»4. È seguendo questa tendenza che, nei primi anni Settanta, avviene l’incontro con l’americano George Maciunas, ideatore e fondatore del gruppo Fluxus, cui Beuys aderì senza riserve, condividendo l’idea dell’arte come strumento di coscienza: «l’arte è dappertutto ed è per tutti»5. Tuttavia restò nel movimento solo tre anni perché troppo circoscritto su se stesso e senza comunicazione: stava avvicinandosi agli aspetti più spiccatamente sociali e politici prodotti dalla cultura del tempo. Nel 1967 fondò il Partito Studentesco, nel 1971 l’Organizzazione per la Democrazia Diretta attraverso Referendum e nel 1974 diede vita alla FIU – Free International Uninversity – abbracciando, in quegli stessi anni, i contenuti del movimento dei Verdi; pur prendendone, successivamente, le distanze per la mancanza di una spontanea e autonoma aggregazione sociale – da sempre interessati ai problemi ambientali ed ecologici e quindi in linea con quella che fu l’ultima grande operazione del Maestro: Difesa della Natura. La figura di Beuys non può essere scissa da quella che fu la sua esperienza personale di uomo prima ancora che di artista. «La sua parola si può capire solo nel tempo, quando si ricorda il passato in quanto contiene la produttività della memoria. […] La parola di Beuys scolpisce e conduce l’uomo nel viaggio della propria avventura, tocca le esperienze, intravede i rapporti tra differenti necessità, anticipa le esigenze del tempo, possiede un raggio di osservazione a trecentosessanta gradi, dove l’Uomo e la Natura come unità indissolubile contiene il “bio” dell’uomo come essere finito, attaccato come cordone ombelicale alla nostra madre natura, infinita, immortale»6. Secondo Lucrezia De Domizio Durini – seguace del Maestro e legata a lui da una profonda amicizia, prima ancora che esserne la maggiore studiosa insieme ad Antonio D’Avossa – tre grandi movimenti rivoluzionari fanno parte del nostro passato storico dell’arte: Leonardo da Vinci – cui il Maestro

163


7

. Attraverso il concetto di Plastica Sociale Beuys

teorizzava una pratica artistica grazie alla quale fosse possibile intervenire direttamente sulla vita sociale e politica degli uomini. Ampliando il concetto di inscindibilità di arte e vita proprio del movimento tedesco Fluxus, di cui fu, nei primi anni Sessanta uno dei membri più attivi, elabora una fusione di arte e attivismo politico, scienza, e quant’altro, con la volontà di ricreare non il linguaggio artistico ma il senso dell’arte in relazione alla fruizione sociale dell’arte stessa. L’uomo che intenda liberarsi dai sistemi odierni, dalla schiavitù del capitale, può formulare un’alternativa che Beuys indica come Terza Via, dove concetti come democrazia diretta, tolle-

ranza attiva e socialismo reale sono alla base del cambiamento. 8

. Antonio D’Avossa, Joseph Beuys. Difesa della

Natura, Skira, Milano 2001, p. 49. 9

. «L’Utopia Concreta è un progetto a lunga

scadenza per una realtà possibile, ovvero un vero piano “futurologico” per la liberazione reale del genere umano». Joseph Beuys, in Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 61.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

dedicò studi profondi – gli Impressionisti Francesi e Joseph Beuys, che rompe con il tradizionalismo dell’arte, facendo della sua pratica la vita stessa. «Come è noto Joseph Beuys non è un artista che prolunga i generi, e soprattutto non è un artista di superficie, poiché solo una teoria dell’arte più vasta, legata al reale delle materie, e soprattutto a quel “concetto ampliato di arte” e di “plastica sociale”7, permette all’artista di organizzare quella grande rottura, e allo stesso tempo quella grande apertura, che le sue opere realizzano nel corso della storia dell’arte di questo secolo»8. Ponendo se stesso all’interno dell’opera d’arte Beuys vuole porre l’attenzione sul potere antropologico dell’arte stessa. È lui l’artista che più di ogni altro ha saputo – e voluto – incarnare la figura umana del superamento dell’arte, tendendo i propri sforzi in direzione del territorio dell’utopia concreta9, dell’energia naturale e della comunicazione spirituale. La realtà altro non è che uno spettro fenomenologico delle possibilità umane. Per questo sceglie l’arte per sperimentare la forza generatrice di ogni vita, perché la natura gli ha svelato il suo «segreto manifesto» rendendolo artista «a difesa di se stessa», e l’uomo pian piano imparerà a comprendere realmente quello che è proprio del regno animale, vegetale e minerale superando le dottrine atomistiche, per ascoltare la parte più profonda di se stesso, attraverso una visione interiore. Essendo la natura elemento ispiratore, nonché protagonista, nel linguaggio artistico di Beuys, si è sentita l’esigenza di approfondire il suo percorso artistico che coincide, non a caso, con quello dell’uomo, anticipando di gran lunga le tematiche che, ad oggi, vedono una pratica impegnata, socialmente, antropologicamente, ecologicamente e politicamente. Tutta l’opera del Maestro diviene più che attuale in un momento storico in cui le politiche ambientali assumono un’importanza fondamentale per il futuro del pianeta, costituendo, a tal proposito, terreno fertile da cui prendono le mosse molte delle pratiche artistiche contemporanee. Beuys per primo capì, infatti, che l’uomo, mettendo da parte le problematiche umanitarie per dedicarsi totalmente a quelle scientifiche, con il conseguente sviluppo della tecnologia, stava perdendo di identità. E proprio la crisi dell’uomo contemporaneo, unitamente alla perdita dei valori umani, costituiscono le motivazioni essenziali che per tutta la vita hanno accompagnato l’uomo e l’artista. Il suo obiettivo primario era quello di trovare, attraverso la realtà – e quindi attraverso la natura – una via di accesso alla verità. L’uomo e la natura, riconciliati, costruiranno un mondo vero. L’uomo e l’energia creativa. Joseph Beuys era innanzitutto un uomo che amava gli Uomini e la Natura

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10

. Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., pp. 13-

14. 11

. Rudolf Steiner (1861- 1925), è il fondatore

dell’antroposofia, teoria che propone per l’uomo un cammino di conoscenza “soprasensibile” che limiti la dipendenza dalle percezioni esterne e valorizzi, invece, quelle interiori. La sua idea di verità essenziale ed originaria, comune a tutti gli uomini, deriva da una personale interpretazione del pensiero filosofico e scientifico di Goethe. La visione che ne risulta contempla elementi ricavati dalle religioni orientali; il richiamo alla concezione dei “due cervelli”, emisfero destro

spazio

dell’anima,

emisfero

sinistro

sede del linguaggio e della logica; un costante riferimento al concetto nietzschiano che vede l’arte come atto superiore di creazione spirituale e filosofica; una visione olistica del cosmo che rifiuta il dualismo uomo-natura; l’affermazione del

primato

della

cultura

sulla

politica

e

l’economia. Quello che di importante ci lascia la filosofia steineriana, in merito alle discussioni in materia di ambiente, è lo studio dell’agricoltura biodinamica, punto di contatto tra l’antroposofia e il pensiero ecologico, che unisce i dettami dell’agricoltura biologica con regole volte ad ottimizzare la “cooperazione” tra suolo, acqua, soleggiamento, vita animale e crescita delle piante. Inoltre, l’idea dell’uomo come parte integrante

del

cosmo

trova

riflessioni

più

recenti sul dibattito del necessario percorso di riconciliazione tra uomo e natura (concetti alla base dell’ecologia profonda e dell’ipotesi Gaia di Lovelock). La possibilità di un’agricoltura alternativa ai sistemi di sfruttamento indiscriminato causati dalla legge del profitto è uno dei concetti fondamentali del pensiero beuysiano. 12

. Rudolf Steiner, 1924.

13

. «Beuys si propone attraverso i programmi

della FIU di istituire un ordinamento sociale alternativo – chiamato appunto Terza Via – che superi il sistema occidentale basato sul


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

in cui gli uomini vivono: non ha inventato nessun metodo, ma ha dedicato con generosa umanità tutta la sua vita alla ricerca del miglioramento dei metodi esistenti. «La relazione che Joseph Beuys istituisce tra l’arte e la natura ha le radici profonde nel pensiero dell’uomo romantico, che mette al centro di questo rapporto l’essere umano in comunione con la natura. Così Goethe, Schelling, Novalis e Steiner diventano i punti cardinali e fondamentali per una concezione dell’essenziale unità dell’uomo con la natura. Ma è a partire dalla sua condizione umana che Beuys spinge questa visione in avanti, diretta al futuro»10. Beuys ha saputo cogliere nell’arte tutti gli elementi necessari per arrivare al concetto, più allargato, di Arte Antropologica e Sociale, secondo la concezione schilleriana di educazione estetica intesa come equilibrio di razionalità e sentimento. Imbevuto di tutto il romanticismo tedesco, è molto vicino a Steiner11, che può essere considerato il suo padre spirituale, nonché la fonte principale per l’apprendimento dei sistemi naturali e alla cui Società Antroposofica aderì nel 1973. A differenza dell’antroposofia del filosofo austriaco, però, il lavoro di Beuys non è elitario, non è chiuso, ma si apre verso il mondo, rivolgendosi alle problematiche sociali, guardando al futuro pur sedimentando antropologicamente il passato, ponendolo sempre in relazione con il tempo presente, proprio per un futuro migliore. Beuys non lavora nello spazio, quindi, ma per il tempo. «L’umanità ha la scelta o di tornare a imparare in tutti i campi, partendo dall’intero contesto naturale, dall’intero contesto cosmico, oppure quella di portare alla degenerazione, alla morte, sia la vita dell’uomo, sia la natura»12. Dai filosofi esistenzialisti il Maestro rielabora i principi per la successiva formulazione del concetto di autodeterminazione, alla base della sua personale idea di trasformazione della società; mentre dai filosofi romantici eredita la posizione idealistica di una natura non interamente conoscibile attraverso i soli parametri scientifici, propri dell’approccio positivistico moderno, ma anche, e soprattutto, attraverso una conoscenza spirituale del cosmo, composto sì da materia, ma ordinato da energie che trascendono la misurazione scientifica. Arte, quindi, come strumento per restituire l’uomo alla sua naturalità, riscoprendo la sfera di una sensorialità totale, della spiritualità, del rapporto con la Natura, e di un pensiero creativo indipendente. Terza Via13 chiamerà Beuys quella via alternativa in grado di far riscoprire all’uomo l’energia – di cui ne è il custode – in grado di modificare il mondo, alla scoperta individuale di un rinnovamento profondo dell’essere. L’appello per l’alternativa costituisce un passaggio importante nella

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capitalismo

privato

e

il

sistema

orientale

fondato sul capitalismo di stato. L’ordinamento prospettato

da

Beuys

è,

invece,

basato

sull’idea della collaborazione tra gli uomini e risulta assente il fattore profitto. Alla centralità dell’uomo liberato da ogni ideologia di potere è direttamente collegata l’agricoltura come prova di una organizzazione operativa e produttiva realizzata al di fuori del potere politico», in Antonio D’Avossa, Op. Cit., pp. 18-19. 14

. Per Beuys i sintomi della crisi sono costituiti

dalla minaccia militare, che con l’accanita corsa agli armamenti produce uno spreco di energia e materie prime enorme, con un inevitabile sperpero delle capacità creative di milioni di uomini; la crisi ecologica, che minaccia la distruzione totale della base naturale su cui noi viviamo; la crisi scientifica, che porta ad un abile sperpero occulto dei beni; la crisi della coscienza

e del sentimento, con una conseguente perdita di identità della personalità. A questo proposito urgono cambiamenti in grado di pareggiare il

conto

con

il

nostro

ambiente,

i

nostri

contemporanei e i nostri posteri (da notare come la prima definizione di sostenibilità, del 1987, si riallacci a questi dettami). È tempo, secondo il Maestro, di mutare i sistemi di organizzata

mancanza di responsabilità con un’alternativa del pareggiamento e della solidarietà. 15

. La rivoluzione siamo noi. E’ il secondo dei

quattro slogan teorizzati da Beuys, in risposta ai segni di crisi. 16

. Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 76.

17

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 30.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

pratica artistica di Beuys che, attraverso la pubblicazione del libretto rosso, fornisce un quadro generale sui sintomi della crisi in atto della società14, insistendo sulla necessità di riacquistare una personale autonomia intellettuale che permetta agli uomini di sviluppare uno sguardo innovativo e radicale di fronte alla realtà – il che significa operare una rivoluzione dentro di noi15 – con un atteggiamento di totale cooperazione attraverso l’unità nella diversità: «[…] L’unica vera rivoluzione è quella delle idee. Ad essa, nell’ambito del comportamento sociale, può solo far seguito una evoluzione. […] L’intera idea di questa “terza via” è dire no alla prima possibilità dell’uso privatistico e capitalistico della creatività del genere umano, e no, al secondo, storicamente susseguente, passo di una pianificazione economica svolta in modo centralizzato e controllata dallo stato»16. Motore di questo fondamentale processo di rigenerazione è la propria naturale creatività, strettamente legata alla natura umana, dalla quale non può essere disgiunta in alcun modo una profonda connotazione di libertà. «L’intera idea della creatività è una questione che riguarda l’identità di ogni individuo, una questione dell’identità di ogni persona che vive su questo pianeta. Questo vuol dire che l’idea della creatività non può essere soltanto uno slogan o un pio desiderio; non basta dire che le persone dovrebbero essere creative o che possono essere creative. L’unica cosa che possiamo fare è iniziare con lo studio dei poteri antropologici che appartengono a ciascuno di noi come individuo, uomo o donna. […] Dobbiamo raggiungere una chiara idea di quel che vuol dire un essere umano, e dobbiamo comprendere quali siano le più importanti possibilità di sviluppo per gli esseri umani che vivono su questo pianeta. […] La parte più importante della creatività o la parte più reale dell’intero concetto di creatività, è la libertà: abbiamo il dovere di mostrare quel che abbiamo prodotto con la nostra libertà. Dobbiamo entrare nella dimensione pubblica, dobbiamo uscire all’aperto e confrontarci con tutti, mostrando a tutti quello che abbiamo fatto, con piena coscienza della libertà. […] Quando abbiamo la coscienza di collaborare tutti insieme come individui liberi, siamo anche molto più vicini all’aver creato una democrazia reale e concreta»17.

169



6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

> Gli slogan

L’opera del Maestro non nasce mai come un unicuum, bensì si sviluppa nel tempo e nello spazio, costituendo un frammento elaborato di un’unica grande opera che si inscrive direttamente nella sua vicenda personale e biografica. L’opera amplia, così, i propri confini spaziali, intervenendo sullo spazio naturale e urbano. E’ una Aktionen – per dirla alla Beuys – che si presta ad essere vissuta attraverso la compartecipazione sinestetica di tutti i sensi dell’osservatore. Parole, gesti, suoni, oggetti e materiali rendono l’opera polimaterica e partecipativa, incompiuta, non nel senso di non-finita, ma nell’accezione più ampia di opera perennemente in corso, attraverso un’identificazione totale tra arte e vita, senza necessità di spiegazioni perché, diceva Beuys, il linguaggio dell’arte non va spiegato. Così il tempo dell’opera diviene quello della partecipazione attiva dello spettatore, ma anche quello della natura. Per l’artista tedesco l’uomo è, infatti, il custode di un’energia in grado di modificare il mondo, e pertanto quello che conta è la scoperta individuale di questo potenziale di energia per un rinnovamento profondo dell’essere. Beuys è innanzitutto uno sculture, di anime prima ancora che di forme. Per le sculture formali si è servito di tutti quei materiali che Lucrezia De Domizio Durini definisce visibili e che metaforicamente indicano energia (grasso, feltro, vino, rame), mentre per realizzare la sua Living Sculpture ha preferito materiali invisibili (parole, gesti, intuizioni, odori, rumori, azioni), con l’intenzione chiara e ferma di attuare un processo di solidale collaborazione tra gli uomini, nel rispetto della libertà e della creatività umana.

171


18

. Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 51.

19

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 18.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

«Si potrà quindi comprendere che i materiali usati per le sue opere, azioni e discussioni non hanno alcuna relazione con quelli adoperati dall’Arte Povera o dai Minimalisti americani; essi oltrepassano il puro processo rappresentativo e interpretano il flusso dell’energia umana nel senso naturale e primitivo, il flusso della vita e della morte, dell’uomo e della socialità dell’arte. Si comprende quindi come l’arte per Beuys fosse un tutt’uno con la vita. Questo significa Arte Antropologica. Questo divide la nuova arte da quella tradizionale, divide il passato dal presente»18. Una pratica artistica, quindi, che va oltre le catalogazioni, oltrepassando le definizioni di genere. «Si tratta, in fondo, di strutturare la vita in qualche modo interessante, di trasformare la vita in un’opera d’arte. In un concetto allargato dell’arte che si riferisce ad ogni uomo e al suo concetto di lavoro. Occorre mostrare che l’uomo possiede già da oggi la possibilità di autodeterminarsi, che l’uomo è già nella coscienza attuale capace di prendersi le sue responsabilità»19. OGNI UOMO È UN ARTISTA. Tutti gli uomini hanno un’energia creativa da mettere in atto per apportare un bene, non solo a se stessi, ma all’intera società. Il riferimento è alle qualità di cui ogni persona può avvalersi nell’esercizio di una professione o mestiere, qualunque esso sia. Atto di creatività come atto di libertà di essere uomini inventivi. Vivere creativamente la vita, l’universo, perché in noi risiede la facoltà di plasmare il sociale, di pensarlo non come materia inerte, ma come insieme delle energie intellettive dell’uomo. Il concetto della creatività risiede indistintamente in tutti gli uomini, creatività alla quale è sempre e indissolubilmente legata una profonda connotazione di libertà. La libertà riguarda l’individuo, che è libero di agire secondo la sua volontà, e i rapporti interpersonali, in quanto mette a disposizione degli altri i frutti del nostro libero agire. «Abbiamo – infatti – il dovere di mostrare quello che abbiamo prodotto con la nostra libertà». La creatività, inoltre, si articola su tre livelli di comunicazione (valore fondamentale di qualsiasi rapporto sociale): pensiero, sentimento e volontà. E non è un privilegio esclusivo dell’uomo. Anche un albero può partecipare di tali sentimenti. La critica aperta è quella al materialismo che disconosce gli aspetti vitali della creatività umana e naturale. Per il naturale sviluppo di tutto ciò occorre trovare una strada alternativa sia al capitalismo sia al comunismo, elaborando dei modelli reali in grado di proporre un ordinamento sociale in cui le facoltà umane possano trovare realizzazione.

173


20

. Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 50.

21

. Ibidem, p. 50.

22

. Ibidem, p. 51.

23

. Ibidem, p. 51.

24

. Ibidem, p. 52.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI. «Solo nel nostro comportamento e nella comprensione vi è reale evoluzione. Beuys con la sua parola scolpiva, con il suo fare insegnava»20. Non esiste utopia per il Maestro, piuttosto un Utopia Concreta, focalizzata su una diversa modalità del sentire e dell’agire. «La “Scultura Sociale” di Beuys è intesa come un processo permanente in continuo divenire dei legami ecologici, politici, economici, storici e culturali che determinano l’apparato sociale. Solamente attraverso la “Living Sculpture” è possibile scardinare il miserabile sistema in cui l’uomo contemporaneo è incappato. Una cooperazione fatta di uomini liberi di differenti razze, origini, religioni, ceti sociali, culturali ed economici legati insieme da una libera e solidale collaborazione»21. KUNST = KAPITAL. È nella cultura che Beuys vede il capitale primario della società, la sua risorsa più grande, perché «la prima grande economia nasce dalla capacità dell’uomo»22. Beuys era profondamente convinto che l’istruzione, fonte primaria del corpo sociale, avrebbe prodotto formule pedagogiche di rilevante importanza per la rinascita di una nazione civile. Per fronteggiare la crisi ecologica, la discriminazione razziale, lo sfruttamento, l’oppressione, la manipolazione biologica e sociale. «Beuys ha sentito innanzi tempo la necessità dell’unione europea attraverso il libero mercato e la moneta comune. Tutte problematiche discusse nei cento giorni a Documenta VI a Kassel nel 1977 e tutt’oggi ancora attuali»23. DIFESA DELLA NATURA. Quarto ed ultimo slogan del Maestro, un unicuum fenomenologico in tutta l’arte mondiale che lo lega all’Italia nei suoi ultimi 15 anni di vita, grazie anche alla costante collaborazione di Lucrezia De Domizio e all’occhio magico di Buby Durini. Si tratta di un percorso storico irripetibile che si dirama in differenti situazioni, luoghi, eventi, opere, lavori. Un iter appassionato di notevole importanza per la comprensione del pensiero di Beuys. «Un lavoro che iniziò con archetipi disegni nei suoi primi anni di artista e riprese in Italia negli ultimi anni della sua vita in Difesa dell’Uomo e a Salvaguardia della Natura. È in Italia che il suo concetto di “Utopia Concreta” si realizza attraverso la triade delle Piantagioni Seychelles – Bolognano – Kassel in “Utopia della Terra”»24.

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25

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 24.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

> Operazione Difesa della Natura. Praslin - Kassel - Bolognano

Operazione Difesa della Natura è il lascito più concreto del Maestro alle generazioni future, per la rinascita di una nuova cultura, dove l’arte si fa atto quotidiano, non più limitato alla scatola bianca del museo, non chiuso nell’ambito artistico di una élite di pochi, ma un impegno creativo del vivere. «A partire dal 1980, sino a tutto il 1985, tutta l’energia creativa di Joseph Beuys è rivolta a promuovere con azioni e discussioni l’Operazione “Difesa della Natura”, come progetto globale di un nuovo modo di intendere le pratiche dell’arte verso l’inaugurazione di una nuova cultura»25. Pratica artistica e attivismo ecologico sono elementi inscindibili nell’opera di Beuys, che considera la salvaguardia della natura come «termine essenziale dell’ultimo umanesimo possibile». Il contributo che il Maestro offre per un miglioramento tangibile delle condizioni della società, è dettato dalla necessità di una salvaguardia ambientale sempre più urgente, perché una pratica antropologica e sociale che non tiene conto dell’ambiente naturale, in cui l’uomo fonda la sua stessa possibilità di esistenza, è una pratica incompleta. «Il nostro rapporto con la natura è ormai un rapporto distruttivo da parte a parte. Esso minaccia la distruzione totale della base naturale su cui viviamo. Stiamo percorrendo la via più adatta per annientare questa base mentre pratichiamo un sistema scientifico che si fonda sullo sfrenato depauperamento di questa base naturale. Molto chiaramente si deve spiegare che il sistema scientifico privato capitalistico dell’Occidente non si distingue fondamentalmente, da questo punto di vista, da quello statale capitalistico dell’Est. L’annientamento viene esercitato universalmente. Tra

177


26

. Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 40.

27

. Ibidem, pp. 63-64.

28

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 31.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

miniere e scarico di rifiuti si snoda la via a senso univoco della moderna civiltà industriale, della cui crescita espansiva cadono vittima sempre più le linee di vita e i cicli del sistema ecologico»26. Beuys crede, dunque, che la volontà umana – in termini di autodeterminazione – sia l’unico mezzo possibile per la salvezza dell’intero pianeta, uno strumento indispensabile per ripensare il concetto di tecnologia, richiamando a sé molte delle nozioni teorizzate da Steiner per la formulazione dell’agricoltura biologico-dinamica. «[…] Una tecnologia alternativa, o un alternativo procedere nell’agricoltura sono sempre questioni di energia ma esaminate sotto un altro punto di vista scientifico. In questo la pianta, gli animali e la terra non si osservano in termini meccanicistici, bensì se ne vedono i contesti energetici nei quali vivono. […] Questi uomini nuovi trovano interessante parlare per esempio con un vecchio contadino, che conserva ancora la consapevolezza che la vera alimentazione della pianta non passa attraverso i prodotti chimici, ma dipende anche dalla disposizione della luna e delle costellazioni planetarie. […] Ciò viene ad evidenziare che una volta esisteva una conoscenza di queste energie, una cultura, che oggi dobbiamo riscoprire per iniziare un’epoca tecnologica che meriti questo aggettivo. […] Solo allora diventa possibile inaugurare un’epoca tecnologica che sia veramente al servizio dell’uomo»27. Nel 1924 Steiner tenne una serie di otto conferenze che andarono poi a costituire il suo Corso sull’agricoltura, dove spiegò come forze terrestri ed energie cosmiche, che governano la crescita e lo sviluppo dei vegetali, possano essere interpretate grazie ad una ricerca spirituale che conduce ad una concezione completamente nuova di Natura. È probabilmente a queste nozioni che Beuys si riferisce quando nella discussione Difesa della Natura, avvenuta il 13 maggio del 1984 a Bolognano, traccia lo schema dell’uomo-albero, considerando l’essere umano come un insieme di elementi che compongono la sua peculiare identità di essere creativo: «Possiamo anche vedere che un albero ha un rapporto fondamentale con queste considerazioni in quanto consta anche lui di tre livelli o strati di creatività. Come parliamo di una creatività umana tripartita che si articola nei poteri del pensare, del sentire e del volere, possiamo constatare l’esistenza di tre strati simili in un albero con la sua corona, il fogliame, il tronco e le sue radici»28. Dietro il semplice gesto della messa a dimora di un albero, o della semina di un solco, si cela contestualmente un’azione non solo simbolica ma soprattutto spirituale, che proietta l’artista, intendendo con questo termine qualsiasi uomo che compia un atto creativo, in una dimensione che trascende lo spazio ed il tempo in cui vive. Piantare un albero è secondo Beuys un gesto futurologico, un’azione autodeterminante, perché proietta l’attuazione di quella che oggi appare

179


29

. Joseph Beuys, Discussione: Fondazione per

la Rinascita dell’Agricoltura, 12 Febbraio 1978, Pescara, in Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 77. 30

. «Esistono contadini che sono artisti e che

coltivano le patate. Se un uomo può provare una cosa reale, se può fare sviluppare un prodotto di importanza vitale dalla terra, allora lo si deve considerare come un essere creativo in questo campo. E in questo senso lo si deve considerare come artista», in Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 34. 31

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 24.

32

. Rispettivamente: Cocos nucifera e Lodoicea

maldivica.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

come un’utopia, in una realtà lontana nel tempo ma destinata a divenire concreta, ponendo l’uomo in relazione con la sua stessa concezione di tempo, nell’ottica di un futuro che viene costruito in base alle scelte che compie nel proprio presente attraverso il pensiero, la volontà e il sentimento, attraverso la creatività. «Quando verrà il momento della mia morte, questi alberi saranno alti e robusti. […] Tutto è un modo di porre la nostra attenzione sull’elemento del tempo, perché il tempo in effetti, è una considerazione di enorme importanza quando si sceglie di lavorare con gli alberi, e particolarmente quando si sceglie, come ho fatto in Germania, di lavorare con le querce, le quali sono esseri che vivono molto a lungo. Un tale albero ha una vita che si protrae ben oltre la durata della vita di qualsiasi essere umano, e questo fatto ci pone immediatamente nella contemplazione del tempo. […] Questo per me è il significato della piantagione di alberi. È più di una mera questione d’un lavoro svolto nel campo della biologia o con l’idea di prendersi cura di esseri che vivono semplicemente, di mettersi al servizio della vita, è una questione della salvezza delle nostre anime. Questa è la nostra meta quando ci mettiamo al lavoro per piantare alberi»29. La discussione Difesa della Natura ha luogo nel 1984 a Bolognano (piccolo borgo abruzzese dove Beuys stringe un lungo sodalizio con i baroni Lucrezia de Domizio e Buby Durini che vi risiedono), tuttavia l’idea di una pratica di salvaguardia ambientale va fatta risalire almeno al 1976, anno in cui Beuys in persona effettua una dimostrazione pratica delle teorie steineriane operando la prima aratura biologica nelle campagne messe a disposizione dai baroni Durini. Con tale operazione prende avvio una serie di Aktionen volte a sviluppare ulteriormente il già ampio concetto di arte del Maestro, secondo il quale anche nella più umile delle pratiche considerate generalmente estranee all’arte, quella agricola, è possibile l’espressione della creatività30. Nel Natale del 1980 Beuys è invitato dai baroni Durini a Praslin, nelle isole Seychelles, allora intatte e non ancora interessate dal turismo di massa, dove il Maestro «dà avvio alla pratica della piantagione che da singolare si trasforma in collettiva culminando nelle 7000 Querce»31. Ha inizio l’Operazione Planting a Coconut. La situazione appartata che trova sull’isola gli permette di calarsi in una dimensione temporale estranea al ritmo frenetico dell’occidente e di concentrarsi sullo studio naturalistico, botanico ed antropologico, intrattenendo relazioni con gli abitanti indigeni dell’isola. Perciò il 24 dicembre del 1980 Beuys individua un punto esatto dell’isola dove interrare due palme, un Coconut ed un Coco de Mer32 , di specie molto diverse tra loro per conformazione e tempi vegetativi: la prima, che Beuys mette a dimora in uno stadio germinativo avanzato, è a sviluppo e maturazione piuttosto rapidi; la seconda, munita del seme più grande tra

181


33

. Ibidem, p. 24. Sulla diversità, nel tempo, sarà

fondamentale l’apporto del “giardiniere” Gilles Clément. 34

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 25. Molti critici

hanno poi letto nella coppia Coconut-Coco de

Mer una prima idea per l’abbinamento Quercia– Basalto

tedesca,

essendo,

in entrambe le azioni, il concetto di

nell’installazione

tempo a

definire una delle possibili chiavi di lettura. 35

. Ibidem, p. 25.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

i vegetali conosciuti, germoglia cinque o sei anni dopo la semina a diversi metri di distanza da dove è stato interrato il seme. L’operazione permette al Maestro di intervenire nel rispetto della biodiversità locale, approfittando delle conoscenze popolari degli indigeni e instaurare così, con loro, un dialogo costruttivo al fine della corretta realizzazione dell’opera. Innescando due meccanismi vegetativi differenti, Beuys intende proporre una misura del tempo oggettiva, dove il ritmo è dettato unicamente dalla crescita vegetale e dal rapporto temporale esistente tra le due piante. «Diversità spaziale e temporale, di crescita e sviluppo, diversità naturali e culturali che tuttavia coincidono e direzionano il medesimo progetto. Qui con queste opere Beuys restituisce credibilità all’idea dell’uomo e della natura come elemento della sua creazione»33. A crescita di questa Operazione Beuys sviluppa, dal 1982 fino all’anno della sua morte, le due Aktionen successive – Piantagione Paradise a Bolognano e 7000 Querce a Kassel – direttamente correlate alla prima dalla condizione temporale, organizzativa, e collaborativa. «Planting a Coconut costituisce il banco di prova per la ricerca artistica di Beuys: “un progetto di collaborazione tra le diversità. […] La collaborazione tra individui diversi ma con il medesimo intento. E le Palme si dispongono naturalmente come piantate dall’uomo per l’uomo. […] Le Palme delle Seychelles sono a testimoniare l’intero progetto, in un ambito già in equilibrio; la Piantagione si pone invece nell’ambito della sapienza agricola, organizzata per scopi umani in una costante ricerca dell’equilibrio; 7000 Querce sono infine a testimoniare la necessità dell’espansione planetaria nei luoghi indicati e soprattutto nell’ambito dei sistemi urbani e industriali e di quello dell’arte»34. L’operazione 7000 Querce costituisce – come sostiene il critico Antonino D’Avossa – uno «spostamento proporzionale»: di un rapporto umano che cambia; della misura tra la quercia e la colonna di basalto; tra il mondo vegetale e quello minerale (perché anche il minerale è vivo, in quanto muta nel tempo il suo stato); «ma anche quello delle capacità umane che in simbolica comunione modificano il concetto di arte e lo avvicinano alla natura»35. La Piantagione Paradise è la testimonianza più significativa che Beuys ha lasciato sul territorio italiano. Il 13 maggio 1984, in occasione della discussione Difesa della Natura, il Maestro pianta la prima, simbolica quercia all’interno della tenuta di quindici ettari messa a disposizione dell’artista dai coniugi Durini. Settemila alberi e arbusti, tutti di specie diversa, vengono piantati nei terreni, precedentemente analizzati e fertilizzati con metodi naturali, sotto la direzione dell’artista-botanico che compone una lista-progetto con altrettanti nomi scientifici di vegetali in via d’estinzione appartenenti

183


36

. «[…] sono le lunari querce di Kassel

(direttamente certificate dalla FIU) a promuovere l’espansione del concetto di creatività umana. Io penso sia così – afferma Beuys – che il piantare queste querce non sia solamente un atto della necessità ecologica, bensì tramite esso deve risultare

un

concetto

di

ecologia

ampliato

e questo deve aumentare col passare degli anni, perché noi non vogliamo più porre fine all’”azione piante”! La piantagione di “7000 Querce” rappresenta solo un inizio simbolico, e per questo inizio simbolico io necessito anche di una pietra miliare, questa colonna di basalto. In una azione come questa ci si riferisce alla trasformazione della vita di tutta la società e

dell’intero

spazio

ecologico»,

in

Antonio

D’Avossa, Op. Cit., p. 26. 37

. Come sostiene il critico Antonio D’Avossa, il

termine inglese Paradise si ispira direttamente alla tradizione cabalistica sorta intorno al mito del Giardino Perduto, il Pardes, le cui quattro consonanti (“P, R, D, S”) si riferiscono ai quattro fiumi dell’Eden, intesi come i punti cardinali simbolo di un ritrovato orientamento, oppure, attraverso

un’interpretazione

esoterica

più

erudita, come i quattro livelli di conoscenza che l’uomo può ottenere grazie alla lettura delle

sacre scritture per raggiungere l’illuminazione e la pace. 38

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 32.

39

. Ibidem, p. 32.

40

. Ibidem, p. 33.


5 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

all’habitat mediterraneo. Le implicazioni sociali insite nel progetto di Kassel36 vengono qui protese in una visione romantica di ritrovamento del Giardino dell’Eden37, all’interno del quale uomini e forme naturali ritrovano un principio comune sul quale lavorare per la propria esistenza futura, individuando una nuova strada della creatività, quella di una Plastica Sociale e di un concetto ampliato di arte. Dal lato del contributo naturalistico invece, quest’area diventa una vera e propria oasi botanica a tutela della biodiversità della flora mediterranea. Secondo le direttive dell’artista vengono innestate nella piantagioni quelle specie vegetali a rischi di estinzione per fattori economici e commerciali. «Il nostro lavoro è quello di creare dei modelli, non dei risultati pratici, e dal momento che a Kassel pianto settemila querce, ho deciso di piantare, qui a Bolognano, settemila alberi tutti di specie diversa. Voglio creare a Bolognano un piccolo paradiso, studiare le piante in via d’estinzione e creare, sui colli di Buby Durini, una banca ecologica in cui le piante saranno protette e curate. Ma quest’azione non si ferma a Bolognano, in quanto voglio creare una rete di iniziative simili da estendere in altri comuni»38. Considerando Utopia della Terra – la triade delle piantagioni effettuate rispettivamente a Praslin, Kassel e Bolognano – come un unico progetto, è possibile, secondo Antonio D’Avossa, tracciare le tappe che hanno portato Beuys ad un’applicazione su scala globale della pratica della piantagione intesa come Plastica Sociale, dove l’uomo è l’unico plasmatore e pertanto ha il dovere di «ordinare l’organismo sociale secondo la sua misura e il suo volere»39. Semina montana, un ulteriore progetto di Beuys mai realizzato a causa della sua morte prematura, sembra voler far convergere nella stessa operazione la pratica della salvaguardia ambientale e gli eventi biografici personali. Il progetto, nato dal confronto cooperativo tra Beuys ed alcuni volontari e presentato nel 1984 durante la discussione Difesa della Natura, prevedeva il lancio, da un elicottero pilotato dallo stesso Beuys, di involucri di argilla contenenti semi di alberi autoctoni, nell’intento di raggiungere il suolo delle strette gole dei monti abruzzesi dove non è possibile effettuare una semina tradizionale. La scelta dell’uso dell’argilla si riferisce alla carica energetica propria di questo materiale che, «nelle teorie steineriane dell’agricoltura media l’azione fra la terra e il cosmo promuovendo l’ascesa verso l’alto»40. Il lancio delle zolle dall’elicottero, e quindi dalla dimensione spaziale dell’etere, rappresenta l’inversione speculare di questo movimento, che si ribalta nuovamente nell’atto della germinazione e della crescita in una simbiosi permanente di fecondazione reciproca instaurata tra i due universi simbolici: «l’alto e il basso e il loro reciproco rovesciamento, il

185


41

. Ibidem, p. 34. In occasione dell’onorificenza

conferitagli dal Comune di Bolognano, in veste di cittadino onorario Beuys il 13 Maggio 1984 consegnò al mondo della cultura un sigillo storico. «Seguito da una moltitudine di gente arrivata da tutte le parti del mondo, visita la “Piantagione Paradise” dove simbolicamente pianta una quercia. […] Nel pomeriggio in una cantina, introdotta da Lucrezia De Domizio, avviene la storica discussione che ha per titolo “Difesa della Natura”. […] Sulle storiche lavagne – poste alle sue spalle – Joseph Beuys offre la sintesi semplice e lineare del suo pensiero: la natura ha un tempo e uno spazio infinito, continuo e lineare e una fisicità terrestre che non può essere distinta e lontana da una spiritualità cosmica, curva, infinita, continua e lineare. […] Su quelle due lavagne, con due semplici segni continui, Beuys inscrive tutta la storia della terra, inscrive la sua “Utopia Concreta”, quella prima dell’uomo, con l’uomo e dopo l’uomo. Inscrive l’“Utopia della Terra” di cui l’uomo può e deve essere il silenzioso artefice, perché è attraverso di essa che può ritrovare il senso del suo cammino, l’orientamento necessario per ritornare al nuovo paradiso», in Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 26. 42

.

Si

rimanda,

a

questo

proposito,

alle

considerazioni in merito al concetto di ecologia

della mente teorizzato da Gregory Bateson nel Capitolo 2. 43

. Joseph Beuys, Discussione: Difesa della

Natura, 13 Maggio 1984, Bolognano, in Lucrezia De Domizio Durini, Op. Cit., p. 84. 44

. Ibidem, p. 84.

45

. Antonio D’Avossa, Op. Cit., p. 40.


6 | Joseph Beuys. Arte come strumento di coscienza

volo e la caduta (che già era appartenuta alla sua vita), il seme e la pianta, l’agricoltura e l’aviazione quasi a chiudere in una simbolica circolarità, l’uomo e la terra, sua utopia finalmente concreta dei due orizzonti tracciati sulle lavagne nel medesimo giorno»41. Beuys più di ogni altro ha capito e sentito la necessità di portare avanti una pratica straordinaria volta al conseguimento costante di nuove soluzioni e nuovi obiettivi. Questa analisi nasce e si sviluppa intorno al concetto di unità originaria che lega l’Uomo alla Natura e viceversa. Beuys lo proietta nel suo contemporaneo e lo pone in contrasto con le pericolose mutazioni attuate dall’uomo. A partire da queste considerazioni è possibile, allora, parlare di ecologia in Beuys, e precisamente di una ecologia della mente42. «Se infatti la formula di Schelling afferma che, nell’uomo, l’uomo è uguale alla natura e la seconda che, nella natura, l’uomo è uguale alla natura, è però anche vero che tutto questo può essere riconosciuto da un pensiero che si è chiuso nella rigidità intellettualistica, che si è astratto dalla realtà. L’uomo senza intuizione non è più in grado di riconoscere la natura in se stessa e se stesso nella natura. […] L’identità risulta – quindi – irrimediabilmente compromessa: l’uomo non è più uguale alla natura»43. Da qui nasce la Difesa della Natura di Beuys, tentativo di riaprire il dialogo con la natura stessa, per riaprire un dialogo con l’uomo. «La natura diventa l’oggettivazione del desiderio dell’uomo, la conclusione mai definita, ma auto innescante del processo psico-dinamico della vita»44. Sostiene Steiner: «l’arte e il bello non sono qualcosa che l’uomo porti avanti arbitrariamente. Essi sono forme superiori del processo generale dell’universo, che si manifesta tanto nelle produzioni artistiche quanto nel caso della pietra. L’artista produce opere che sono opere della natura nel senso più alto. Egli può creare qualcosa di degno soltanto se gli si svelano dei segreti della natura, i quali vengono da lui incorporati nelle sue opere»45.

187



(7) Gilles Clément Utopia realista di un giardino planetario

«Le piante viaggiano. Le erbe, soprattutto. Si spostano in silenzio, come i venti. Non si può nulla, contro il vento. Se si mietessero le nuvole, si sarebbe sorpresi di raccogliere sementi imprevedibili mescolate al loess, polveri fertili. Già nel cielo si disegnano paesaggi impensabili. L’evoluzione ne ha i suoi vantaggi, ma la società no. Il più umile progetto di gestione si scontra con il calendario della programmazione: ordinare, gerarchizzare, tassare, quando tutto può cambiare in un attimo. Come mantenere il paesaggio, quale griglia tecnocratica applicare alle intemperanze della natura, alla sua violenza? Il progetto di controllo totale trova degli alleati inattesi: i radicali dell’ecologia e i nostalgici. Niente deve cambiare, è in gioco il nostro passato; oppure niente deve cambiare, è in gioco la biodiversità. Tutti contro il vagabondaggio!» [Gilles Clément]


1

. Clément utilizza il termine giardino traslando

il suo significato originario di luogo chiuso (garten = recinto) a quello più ampio di

insieme. L’antinomia aperto-chiuso insiste sul ribaltamento

dell’idea

dell’Hortus

Conclusus

dove la natura ordinata dell’uomo dominava il vuoto esterno selvaggio ed ostile. Ora è il vuoto ad attirare la nostra attenzione, gli interstizi tra muro e muro laddove è la città globale a spaventare.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

> Gilles Clément e il giardino nomade

Ingegnere agronomo, botanico, entomologo, scrittore, radicale mai elitario, Gilles Clément viene riconosciuto oggi come uno dei più grandi paesaggisti e teorici del giardino. Attraverso la sua attività, letteraria e progettistica, pone con entusiasmo un nuovo sguardo sulle modalità di approccio al giardino1 stesso, privilegiandone l’aspetto dinamico e l’evoluzione naturale; minimizzando l’intervento dell’uomo; elaborando un nuovo modo di guardare e di creare il paesaggio, interagendo con esso, lavorando il più possibile insieme e il meno possibile contro la natura. Faire le plus possibile avèc, et le moins possibile contre, questo il suo motto. I progetti e le idee di Gilles Clément costituiscono un punto di riferimento fondamentale non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per gli esseri umani tutti, artisti compresi, per le modalità con cui vengono affrontati i temi cruciali della natura, dell’ambiente e del paesaggio, innescando riflessioni e confronti senza pari. La sua pratica non vuole essere risolutoria, quanto piuttosto strumento di pensiero per sovvertire tutte quelle abitudini e quei luoghi comuni che ruotano intorno al tema della natura, introducendo i concetti di creatività, di libertà, di energia. «Il suo lavoro affascina tutti coloro che preferiscono la processualità alla forma, la discussione al dogma, l’esperimento alla celebrazione della conferma. […] Gilles Clément è un naturalista che studia la vita, nei suoi aspetti biologici e sociali, ma anche un umanista che è riuscito a trasferire nell’azione progettuale la complessità, l’incertezza e la straordinaria variabilità dei fattori che appartengono

191


2

. Alessandro Rocca (a cura di), Gilles Clément

Nove Giardini Planetari, 22 Publishing, Milano 2007, pp. 14-16. 3

. Un’artista che lavora sul tema dello spazio

incolto e delle aree dismesse è Lara Almarcegui (Cfr. scheda Cap. 8). 4

. Alain Roger, Dal giardino in movimento al

giardino planetario, in Lotus Navigator, n. 2 – Aprile, Electa, Milano 2001, p. 72.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

intimamente alla struttura aleatoria della vita stessa»2. Clément concentra le sue riflessioni su tutti quei luoghi abbandonati dall’uomo – dai parchi e le riserve naturali, alle grandi aree disabitate del pianeta, fino ad arrivare agli spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili, o alle aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie3 – che diventano spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’assenza di ogni attività antropica, ma che presi nel loro insieme risultano fondamentali per la conservazione della diversità biologica. La sua pratica ne mostra i meccanismi evolutivi, le connessioni reciproche e l’importanza per il futuro del pianeta. Tre i celebri concetti sul giardino: Giardino in Movimento, Giardino Planetario e Terzo Paesaggio. Teorizzati attraverso scritti e sperimentati nella realizzazione di giardini, costituiscono i tre punti cardinali della sua ricerca teorica e della pratica di giardiniere, nati dall’osservazione diretta, dalla sperimentazione sul campo e dalle basi culturali e filosofiche. Tutti accomunati dall’interrogativo invadente su quale sia il posto dell’uomo all’interno degli ecosistemi di un pianeta in continua evoluzione. Di difficile collocazione all’interno di schemi e gerarchie precostituite, Gilles Clément può essere, a giusto proposito, considerato un anarchico del pensiero. Lontano dalla rigidità del mondo accademico, curioso della vita in tutte le sue forme, ama definirsi giardiniere, ma ben oltre va la sua figura: concépteur, ideatore e pensatore che utilizza e sviluppa il concetto di giardino come concetto filosofico, l’occasione per rappresentare la sua utopia concreta. La sua ricerca scientifica è inscindibile dalla riflessione filosofica e politica. Una parte fondamentale della sua formazione è costruita, infatti, tanto sull’osservazione degli esseri viventi, quanto sullo studio della filosofia, introducendo così un aspetto peculiare nel suo operato. «Il più filosofo dei paesaggisti francesi» lo definisce Alain Roger, filosofo e romanziere, autore di numerosi saggi sul tema del paesaggio. «Se, come già osservava Gilles Deleuze, caratteristica della filosofia è la capacità di creare concetti, non v’è dubbio che Gilles Clément meriti pienamente il titolo di filosofo: e non è eccessivo, forse vedere in lui il Liebniz o il Deleuze […] dei giardini e del pensiero paesaggistico»4. Le figure di Gilles Deleuze, Michel Focault e Jacques Deridda furono per lui punti di riferimento nell’elaborazione delle sue teorie che si basano «su due convinzioni paradossalmente opposte. La prima implica il viaggio» – Clément si considera un viaggiatore permanente – «nel senso che dovunque ci capiti di andare restiamo sempre qui sulla terra, all’interno del nostro giardino; la seconda afferma l’identità tra vita e viaggio, che vede lo spostarsi, il migrare, il nascere e il perire come l’equivalente

193


5

. Ibidem, p. 16.

6

. Tra le sue realizzazioni più conosciute merita

di essere ricordato il Parc Andrè-Citroen a Parigi, dove applica per la prima volta il concetto di

Giardino

pubblico,

in

Movimento

ad

uno

spazio

sperimentato sul finire degli anni

Settanta nel suo giardino-laboratorio La Valée. Il parco, che apre al pubblico nel 1993, «è situato all’interno di una tra le più impegnative operazioni di rinnovamento urbano condotte a Parigi negli anni della presidenza Mitterand – il conocorso indetto nel 1985 faceva subito seguito a quello per il Parc della Villette vinto da Bernard Tschumi – segnando una fase di rinnovamento della committenza pubblica nel campo del progetto del paesaggio. Le posizioni – espresse nella teorizzazione del Jardin en

Mouvement – sembrano avvicinare il suo autore a diverse esperienze e riflessioni dell’arte e dell’architettura contemporanea, chiamando in gioco parole chiave come evento, spaesamento, nomadismo, dérive, processualità, informale…», in Filippo De Pieri, Gilles Clément in movimento, in Filippo De Pieri (a cura di), Gilles Clément,

Manifesto

del

Terzo

Paesaggio,

Quodlibet,

Macerata 2005, p. 74. 7

. Gilles Clément, Thomas et le Voyageur, Albin

Michel, Paris 1997. In questo romanzo Clément raccoglie in un opera teorica le sue esperienze di giardiniere e viaggiatore per approdare al concetto di Giardino Planetario:

Thomas,

giardiniere

sedentario

fermo nella sua casa di Saint-Sauveur, e il Viaggiatore, uomo di scienza, dialogano attraverso uno scambio epistolare sul significato del Giardino Planetario e sulla possibilità della sua rappresentazione. 8

. Le Jardin Planétaire è definito da Clément

un

progetto

politico

di

ecologia umanista,

presentato per la prima volta nel romanzosaggio Thomas et le Voyageur , edito nel 1997, poi approfondito nella mostra-convegno del 1999 alla Grande Halle de la Villette e attraverso


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

della vita stessa. Le due ipotesi (asintotiche, cioè allineate su prospettive divergenti) sono le fonti di una scienza vagabonda (o girovaga secondo Gilles Deleuze e Felix Guattari) che traccia le coordinate mobili di un campo progettuale destabilizzato, esautorato dal compito della bellezza e investito dalla necessità di un rapporto vero, dinamico e critico, con l’ambiente naturale»5. Negli anni Settanta sceglie di orientarsi verso la realizzazione di piccoli giardini privati, alternando l’attività professionale e l’insegnamento a viaggi di esplorazione, attraverso i quali approfondisce la conoscenza delle specie vegetali. È con l’acquisto del terreno a La Vellée che è in grado di teorizzare il suo originale approccio al giardino, luogo in cui la natura e l’uomo combinano le loro energie al fine di preservare la diversità biologica. Il suo lavoro consiste in una interpretazione costante delle dinamiche in gioco, dove l’obiettivo non è produrre un’immagine statica, prestabilita e precostituita del giardino, ma conservare un equilibrio biologico in grado di offrire il più alto grado di diversità. Per Clément il giardino non può e non deve essere il risultato di un asettico progetto disegnato e concepito sulla carta: le piante sono esseri viventi e come tali si evolvono naturalmente all’interno di un contesto storico e biologico. Il giardino non resta lo stesso nel tempo, ma si modifica all’interno di una realtà dinamica, in movimento. Da qui l’appellativo di giardiniere, nel senso stretto del termine, ad evocare il legame profondo che scaturisce dall’esperienza diretta con la natura. Dopo un lungo periodo di sperimentazioni è solo negli anni Ottanta che inizia ad accettare incarichi per spazi pubblici, riqualificazioni e restauri di giardini storici6, grazie ai quali – unitamente alla pubblicazione del romanzo Thomas et le Voyageur7 e all’esposizione Le Jardin Planetaire8 alla Grand Halle de la Villette – diviene celebre al grande pubblico, esportando le sue idee in ambiti che trascendono quelli specialistici. Per questo la figura di Gilles Clément è emblematica per entrare nel vivo del dibattito artistico sul rapporto che lega, oggi, l’uomo e la natura, rapporto che dal solo campo ecologico si allarga alle pratiche relazionali che investono l’umanità in ogni suo aspetto, dai rapporti sociali alle esperienza cognitive. Ecologia diventa, quindi, la ridefinizione di un mondo al di fuori del sé, partendo da uno sguardo che pone al centro di ogni questione la pratica relazionale, in ogni sua forma, nel senso più alto del termine. È qui che l’osservazione della natura si fa spunto e punto di partenza per lo sviluppo di strategie creative in grado di sovvertire lo sguardo pigro di chi vede, ma non osserva, quei terreni incolti – per dirla alla Clément – che costituiscono proprio la nostra più grande ricchezza in termini di diversità. L’arte, dunque, muovendosi attraverso spazi interstiziali, impercettibili

195


numerose esperienze successive, tra cui le più celebri a Shanghaï e a Vassivière con la Carta

del Paesaggio. 9

Clément parla delle fessure di timidezza

nell’intervista con Ettore Favini e Alessandra Sandolini,

in

GreenPlatform.

occasione Indica

questi

della

mostra

spazi

come

luoghi virtuali in cui specie vegetali limitrofe si avvicinano senza mai toccarsi, innescando una

comunicazione

chimica,

di

vibrazioni,

magnetica. Tutto questo è d’ausilio al giardiniere – alla stregua di una talpa o una coccinella – e può comprendersi solo lasciando che sia. Senza che l’uomo intervenga in alcun modo. 10

. Gilles Clément, Manifeste du Tiers paysage,

Editions Sujet/Objet, 2004; trad. it. Filippo De Pieri (a cura di), Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2004, pp. 10-11.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

fessure di timidezza9, ha la capacità di attivare quei collegamenti creativi in grado di immaginare e costruire nuovi mondi; mondi capaci di sostenere differenze e marginalità oltre ogni tipo di evoluzionismo. Mondi ecologici, perché in grado di sviluppare aree di libertà, «spazi indecisi privi di funzione, sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. […] Tra questi frammenti di paesaggio nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo Paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro»10.

197


11

. Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 69.

12

. Terreni incolti o lasciati provvisoriamente liberi

dall’uomo, le friches sono spazi abbandonati a processi di trasformazione solo apparentemente spontanei. Clément ci invita ad osservarli non dal punto di vista del degrado, ma come luoghi che contengono risorse ed opportunità. 13

. Clément «acquista il lotto di terreno destinato

a diventare il suo giardino privato, nella Creuse, nel 1977. Il terreno è dismesso da una quindicina d’anni. È ricoperto da una vegetazione fitta e semiselvaggia, di grande ricchezza botanica. L’incontro con il luogo segna l’inizio di tutte le sperimentazioni future», in Filippo De Pieri, Gilles

Clément ..., cit., p. 67. 14

. Ibidem, p. 70.


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> Il giardino in movimento

«Un giardino è in movimento quando può essere lasciato libero di non rispondere a una forma fissata a priori»11. Il concetto di Jardin en Mouvement è stato formulato da Clément, per la prima volta, nel 1985, anno in cui viene pubblicato un articolo dal titolo La friche apprivoisèe – L’incolto addomesticato – ispirandosi appunto alla friche12, spazio incolto, abbandonato, di cui non ci si interessa, dove le specie vegetali trovano libertà di riproduzione e di espressione, senza ostacoli. Sperimentata nella sua proprietà a La Creuse13 prima, e nel Parc Andrè Citroen poi, l’idea si caratterizza subito per l’attenzione “educata” ai ritmi biologici e alla diversità vegetazionale presente in tutti quei luoghi lontani dall’antropizzazione imperante, luoghi abbandonati dove l’originale approccio nei confronti di entità solitamente cacciate dal giardino perché considerate nocive, diventa uno stile d’azione, un modello da seguire per la coltivazione della diversità. Il terreno della Creuse è una friche, e come tale si presenta agli occhi di Clément: il più immediato dei giardini, una grande opportunità. «È il laboratorio di un rapporto uomo-natura dove il giardiniere, dopo averlo studiato, collabora col potere di invenzione della natura»14. Dunque, pian piano, il paesaggista-giardiniere arriva, con la sua pratica, a toccare due concetti fondamentali: la signification e la biologie, nel senso più ampio del termine. Tutti i materiali sui quali lavora partecipano a questo movimento di energia. Perché è il movimento, secondo Clément, a costituire la manifestazione della vita. «Nei fenomeni biologici tutto è in mutamento: come potrebbe dunque non

199


15

. Ibidem, p. 69.

16

. Gilles Clément, Le Jardin en mouvement, 2°

ed., Paris, Sens & Tonka, 1994, in Filippo De Pieri,

Gilles Clément..., cit., p. 69. 17

. Alain Roger (a cura di), Op. Cit., p. 71.

18

. Filippo De Pieri, Gilles Clément...,cit., p. 72.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

esserlo anche il giardino?»15. «È la perpetua modificazione degli spazi di circolazione e di vegetazione che giustifica il termine di movimento ed è il fatto di gestire questo movimento che giustifica il termine giardino»16. Un terreno abbandonato, di fatto, può essere considerato un giardino proprio per ragioni di energia. E l’obiettivo deve essere quello di spendere meno energia possibile. Il giardino è costituito da esseri che si muovono per loro natura: piante, animali, pioggia, polvere e uomini. Se il giardiniere tradizionale mira, per formazione, ad eliminare o a moderare lo spazio d’azione di questi elementi, moltiplicando così il dispendio di energia, il giardiniere del Giardino in Movimento interpreta e utilizza le energie presenti nello spazio, cercando di lavorare con e non contro di esse. La funzione del giardiniere, nella teorizzazione di una pratica fuori da quelle tradizionali, è quella di un osservatore che studia quello che ha a disposizione, all’interno di uno spazio in cui la natura è lasciata libera di svilupparsi. Si accontenta di gestire gli eccessi, di decidere se e quali piante tagliare e quali lasciare libere. Collaborando con il potere creativo della natura il giardiniere del Giardino in Movimento ha responsabilità superiori rispetto a quello tradizionale: elabora progetti capaci di integrarsi alla specifica dinamica del luogo. «Se è vero che il principio di economia è l’essenza stessa del giardinaggio, ciò non significa che questo si riduca al volgare “laisser faire”. Al contrario, esso implica un certo controllo: l’incolto viene addomesticato, la natura educata, anche se l’addomesticato deve sempre svolgersi in modo dolce»17. Per questo attrezzi e macchine da lavoro diventano parte di una conoscenza arcaica se confrontata con quella biologica e scientifica, e per questo è necessario conoscere e sfruttare le possibilità e le risorse che la natura ci mette a disposizione. La talpa, mammifero carnivoro insettivoro, solitamente considerato dannoso per il giardino, è per Clément un piccolo contadino, un assistente del giardiniere: contribuisce all’aerazione del suolo, elimina le larve erbivore, stende sulla superficie del giardino uno strato di terra che favorisce la germinazione di alcune specie che, altrimenti, non potrebbero crescere altrove, dove l’erba e le altre varietà ne impedirebbero lo sviluppo. «Il giardino in movimento ha i proprio eroi: per esempio le talpe, uccise, cacciate con ogni mezzo dal giardino tradizionale, che procurano invece in un giardino in movimento preziose forme di land art»18. Stabilito, quindi, che il giardino è un progetto in continuo movimento, il giardiniere deve confrontarsi costantemente con questo presupposto, riconoscendolo e facendolo proprio nelle sue realizzazioni. Perché la fortuna sta proprio nell’imprevedibilità del risultato finale.

201


19

. Il contributo di Gilles Clément è fondamentale

per tutti quegli artisti che orientano la loro pratica verso le questioni legate all’ecologia e all’ambiente.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

E il paesaggio possiede, per sua natura, una dimensione di incertezza legata alla continua trasformazione ed evoluzione degli esseri viventi che lo abitano, senza che si possa intervenire su di esso come fosse un’architettura. Contro la predisposizione di un progetto formale per il giardino, perché le piante sono esseri viventi e non oggetti, Clément sostiene a viva voce la necessità di superare il concetto di ordine estetico ripreso dall’architettura, per approdare ad una nuova possibilità di ordine biologico. Vanno messe da parte le questioni di forma, pur ammettendo una loro importanza, per superare le aspettative che da esse derivano. Bisogna oltrepassare quello che è il concetto tradizionale di ordine e comprendere che quello biologico altro non è che una nuova possibilità di concezione. Di conseguenza il fattore tempo – così come lo era per Joseph Beuys – assume una valenza fondamentale. Le specie nel giardino sono libere di “muoversi”, di colonizzare nuovi spazi prima lasciati liberi, e per questo il disegno del giardino cambierà nel tempo, sotto la guida e l’attenta osservazione del paesaggista-giardiniere. Con la definizione di Jardin en Mouvement Gilles Clément offre un innovativo contributo alla teoria e alla pratica, non solo dell’architettura del paesaggio, ma anche, e soprattutto, a discipline altre che subiranno l’influenza di suggestioni estetiche19. Il movimento non è da intendersi come una sequenza di vedute lungo un percorso, ma è un legame con la vita stessa dei vegetali: cambia il punto di vista perché l’uomo non è più al centro del progetto e non ne determina le caratteristiche spaziali. Il centro è la natura, che offre una lettura dell’incolto costruito su di un impercettibile ordine che non è più estetico, geometrico o formale, bensì un ordine biologico insito nella natura stessa. «Il movimento di Clément non si sviluppa lungo un itinerario, non mira ad un punto di arrivo, ma è nomadico e, nello stesso tempo, caotico, poiché si mantiene all’interno di un perimetro prefissato (il giardino) che delimita uno spazio di libertà in cui segue percorsi non prevedibili, ricorrenti oppure estemporanei. Come scrivevano Deleuze e Guattari in “Mille plateaux” – Nomadologia del mondo che verrà, Castelvecchi 1995 – “il tragitto nomade può ben seguire piste o vie usuali, non ha però la funzione, propria del percorso sedentario, di distribuire agli uomini uno spazio chiuso, assegnando a ciascuno la sua parte e regolando la comunicazione delle parti. Il tragitto nomade fa il contrario, distribuisce gli uomini (o gli animali) in uno spazio aperto, indefinito…si tratta di una distribuzione molto particolare, senza divisione, in uno spazio senza frontiere e senza chiusura”. Il giardino in movimento è un laboratorio del nomadismo permanente, un centro di accoglienza sempre attivo, un luogo di incontri e di sparizioni, di certezze aleatorie o, al massimo, stagionali. In un certo senso, il giardino in movimento […] appartiene ai non-luoghi, cioè a

203


20

. Alessandro Rocca (a cura di), Op. Cit., pp. 16-

20.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

quei siti descritti da Marc Augè che mancano di storia, di permanenza, di identità. Rispetto al flusso vitale – degli uomini, delle piante e degli animali – il giardino in movimento sarebbe una stazione di posta, un centro di smistamento, un parco logistico della natura in cui convergono e si distribuiscono energie che altrove, cioè nei giardini tradizionali e nei terreni coltivati, non trovano ospitalità»20.

205


21

. Gilles Clément, Thomas et le Voyageur, Albin

Michel, Paris 1997, p. 13 (“Insieme abbiamo deciso che la terra è un solo e piccolo giardino”). 22

. Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 78.

23

. Gilles Clément, Op. cit.; trad. it. Filippo De

Pieri (a cura di), Manifesto…, cit., p. 8.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

> Il giardino planetario

«Ensemble nous décidons que la Terre est un seul et petit Jardin»21. Così l’incipit del romanzo Thomas et le Voyageur, manifesto del Giardino Planetario. Cosmopolitismo e radicamento sono gli opposti che, indissolubili nella figura del giardiniere in movimento, sono all’origine della relazione tra i due protagonisti del romanzo: Thomas e l’anonimo Viaggiatore. Il primo, studioso e insegnante, fermo nella sua casa, è abituato a gestire e interrogare tutto quello che cresce entro i confini del proprio orto. Il secondo, scienziato e aperto sul mondo, è abituato a ragionamenti astratti che lo portano a pensare all’andamento della vita sul pianeta tutto. Ambiente e Paesaggio sono agli occhi di Thomas elementi inconciliabili: stato delle cose e sentimento. Scopo comune dei due protagonisti è quello di studiare il giardino planetario per ottenerne una rappresentazione visiva. «Un disegno dove occorrerà tenere conto anche di ciò che non si vede: perché il paesaggio è ciò che si vede dopo aver smesso di osservarlo»22. E quello che non si vede appartiene solo all’esperienza che del paesaggio ne fa l’osservatore. «Il Giardino Planetario è una rappresentazione del pianeta come un giardino. Il sentimento di finitezza ecologica fa apparire i limiti della biosfera come lo spazio concluso di ciò che è vivente»23. Se il Giardino in movimento è una realtà tangibile, il Giardino Planetario non si può restringere entro spazi geografici, non coincide con alcun limite fisico o politico. «Il giardino accoglie le piante, gli animali e i suoi sogni. È un viaggio, una passeggiata. Vi si accumulano i paesaggi e il percorso si dilata, passando

207


24

. Gilles Clément, in Alessandro Rocca (a cura

di), Op. Cit., p. 43. 25

. Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 79.

26

. L’economia ecologica è un approccio alla

teoria economica incentrato su un forte legame tra l’equilibrio dell’ecosistema e il benessere delle

persone.

Questa

disciplina

vede

la

stessa economia come un sottosistema aperto dell’ecosistema globale. Tale visione prende le mosse dall’ecologia, che si occupa dei flussi di materia ed energia degli esseri viventi sulla terra, affrontando il tema del metabolismo, allo stesso modo materiale ed energetico, del sistema economico. La critica principale degli economisti ecologici

all’attuale

economia

riguarda

l’approccio alle risorse naturali e al capitale. Dal punto di vista dell’economia ecologica il “capitale umano” è complementare rispetto al capitale naturale, e non intercambiabile, in quanto deriva dalle stesse risorse naturali. Ma – sostiene Serge Latouche – «i rapporti tra economia ed ecologia si configurano sotto il segno del paradosso. Già, a livello etimologico, queste due parole sono quasi sinonimi. Ambedue si collocano sotto l’ala rassicurante dell’”Oikos” (la casa, il patrimonio, la nicchia) eppure è noto che gli ecologisti più coerenti sono diventati critici acerrimi dell’economia intesa come teoria (lo stesso Marx, non viene da loro assolto) e avversari decisi dell’economia come pratica […]. In, Il paradosso dell’Economia ecologica e lo sviluppo sostenibile come ossimoro», in Serge Latouche, Intervento del 30 settembre 1998 al Seminario internazionale di studio dell’Università di Padova. 27

. «Per giardino bisogna intendere uno spazio

racchiuso che accolga il paesaggio (naturale o costruito) giudicato accettabile di per sé», in Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 81.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

da un universo all’altro. Abbondano le transizioni: si passa da un frutteto a un orto, dal giardino di fiori al prato, dal labirinto al boschetto, dalla stanza vegetale al belvedere, dalla corte alla strada. Nessuno di questi luoghi può dirsi illimitato, e nessun percorso avverrà senza passaggi e senza porte. La tradizione esclude dal giardino tutte le specie viventi, animali e vegetali, che sfuggono al controllo del giardiniere. L’avvento dell’ecologia sovverte questa visione. Per principio, si interessa alla natura nel suo insieme e non al giardino. Tuttavia il giardino è fatto di natura. Uccelli formiche, funghi, insetti e semi non riconoscono le frontiere che separano il terreno sottomesso a regime poliziesco e quello selvaggio. Per loro, tutto è abitabile»24. Per questo l’unica possibile via di rappresentazione è quella che permetterà a Thomas e al Viaggiatore di trovare nuovi simboli, costruire una conoscenza collettiva, integrando il paradigma ecologico del giardino planetario alla cultura dell’uomo. «Trovare un simbolo può essere importante anche perché il principio del giardinaggio planetario presuppone profondi cambiamenti nella coscienza collettiva»25. La finitezza ecologica confina la vita delle specie all’interno dei limiti della biosfera; la mescolanza planetaria delle specie che si arricchisce grazie ai flussi continui, siano essi naturali o artificiali in quanto prodotti dall’uomo, costantemente in movimento, va via via configurando nuove spazialità, nuovi mondi, sovvertendo gli endemismi culturali e fisici degli esseri viventi. L’idea del Giardino Planetario raccoglie in sé il principio di economia ecologica26 del Giardino in Movimento: utilizzare al meglio l’energia propria del luogo e il lavoro degli “abitanti” che lo popolano, con lo scopo preciso di minimizzare i consumi e ridurre gli sprechi. La questione fondamentale per il Giardino Planetario sta nella comprensione profonda dell’importanza della diversità. Dell’imprescindibilità del suo utilizzo, senza però mai comprometterla. Movimento e salto di scala favoriscono la mescolanza planetaria, quella che Clément chiama brassage planétaire, la circolazione e l’incrocio delle specie sul pianeta. L’uomo non può altro che essere, quindi, attore e spettatore di questo processo. Spettatore perché non deve ostacolare tale movimento, in quanto la molteplicità degli incontri e la diversità degli esseri costituiscono altrettante ricchezze in aggiunta a quelle del territorio. Attore perché, essendo l’intero sistema del mondo naturale un giardino – un Giardino Planetario per l’appunto – e pertanto uno spazio circoscritto e controllabile27, quindi un progetto, proprio all’uomo spetta la diretta responsabilità nella gestione, o distruzione, dell’intero sistema. «Ogni frammento di spazio antropizzato può essere considerato come un palinsesto su cui si incidono e sovrappongono le grandi visioni del mondo.

209


28

. Alessandro Rocca (a cura di), Op. Cit., p. 25.

29

. Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 75.

30

. Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646 –

1716), filosofo, scienziato e matematico, il suo contributo filosofico alla Metafisica è basato sulla Monadologia, teoria che introduce le Monadi come forme sostanziali dell’essere.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

Bisogna favorire una presa di coscienza superiore, definita dall’interazione degli esseri viventi ma anche dei loro sistemi culturali: un sistema ecoetnologico plurale e unitario, allo stesso tempo. Un grande giardino, un pianeta piccolo. Il giardino planetario deriva dalla combinazione tra l’osservazione nomade e un’ipotesi: si può considerare la terra come un unico giardino? E le si possono applicare i precetti del giardino in movimento? Il giardino planetario è un principio, e il suo giardiniere l’umanità intera»28. In definitiva il Giardino Planetario è un progetto politico di ecologia umanistica: è attraverso questo concetto che Clément si riappropria di tematiche ecologiche portandole all’attenzione del pubblico senza mai cadere nella banalità, evitando di utilizzare parole e concetti ripetuti e decontestualizzati così tanto da perdere di significato. «Avevo scelto di parlare di ecologia – sostiene – senza utilizzare la parola portata fino al livello più basso della disaffezione da tante battaglie, esitazioni, radicalismi. “Giardino” è un termine più adatto»29. I presupposti ecologici di Clément trovano le radici nella visione metafisica di Leibniz30 secondo cui ogni istante locale interessa ed esprime l’insieme dell’universo, sia nel tempo sia nello spazio. Le monadi, come atomi spirituali, non scomponibili, individuali, riflettono l’intero universo. Ogni corpo è monade e tutto quello che investe la monade avviene e riguarda anche tutte le altre. Così per la monade uomo. La monade altro non è che lo scorcio dell’intero universo. Come ciascuna di esse rappresenta l’universo, anche il più piccolo giardino indica la totalità della biosfera, costituisce un indice planetario. Ma il Giardino Planetario non esiste. È virtualmente presente in ogni luogo, secondo la corrispondenza olistica per cui ogni piccolo giardino, ogni porzione di territorio abbandonato, è parte del grande giardino che è il pianeta. L’uomo ha la necessità di prendere coscienza della fragilità degli equilibri ecologici per poter intervenire e interagire con il sistema naturale senza uno scellerato sfruttamento delle risorse ad ogni costo. Il giardinaggio planetario – sostiene Clément in un’intervista – parte dal principio che l’uomo può, e deve, trovare un migliore rapporto tra guadagni e perdite di energia nello sfruttamento delle risorse del pianeta. Il termine planetario rinvia dunque ad una conoscenza planetaria, così come il giardino anche la coscienza del giardiniere, di per sé essere finito, deve essere planetaria. «Il paesaggio rinvia ciascuna delle sue prospettive alle prospettive interiori di chi lo contempla. Il giardino è la dimostrazione di un pensiero. Il paesaggio, sintomo culturale, creazione dello spirito, non sarà niente senza una propria immagine, raggiunta e vinta attraverso il corpo: il giardino. Ogni uomo, assoggettato alla propria cosmogonia, porta in sé un giardino che traduce il paesaggio e, in secondo piano, l’universo intero. Il

211


31

. Gilles ClĂŠment, in Alessandro Rocca (a cura

di), Op. Cit., p. 25.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

fatto che in un luogo di natura controllato e circoscritto coabitino il visibile e l’invisibile costringe a considerare questo luogo, il giardino, come il territorio specialistico dell’anima dove l’artificio, quali che siano le capacità e i risultati, si pone al servizio di visioni più distanti. Da qui l’impossibile riduzione di questo luogo ai suoi limiti fisici. La correlazione tra paesaggio e giardino nasce quando l’uomo prende coscienza del proprio ambiente e trova le parole per definirlo»31.

213


32

. Gilles Clément, Op. Cit.; trad. it. Filippo De

Pieri (a cura di), Manifesto…, cit., p. 16. 33

. Ibidem, p. 11.

34

. Gilles Clément, Philippe Rahm, Environ(ne)

ment. Manières d’agir puor demain, Skira/Cca, 2006, in Alessandro Rocca (a cura di), Op. Cit., p. 25.


07 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

> Il terzo paesaggio

«Le frontiere del Terzo Paesaggio sono le frontiere del Giardino Planetario, limiti della biosfera»32. L’espressione più seducente del radicalismo di Gilles Clément è senza dubbio quella teorizzata nel Terzo Paesaggio, chiamato così in analogia con il Terzo Stato. «Terzo paesaggio rinvia a Terzo stato (e non a Terzo Mondo). Uno spazio che non esprime nè il potere nè la sottomissione al potere. Fa riferimento al pamphlet di Seyès – abate francese – del 1789: “Cos’è il Terzo Stato? – Tutto. Cosa ha fatto finora? – Niente. Cosa aspira a diventare? – Qualcosa”»33. Il Terzo Paesaggio è l’estensione dei due concetti di Giardino in Movimento, nato dall’esperienza dei giardini nella Creuse, e Giardino Planetario, «un progetto che comporta una dimensione più politica e che esamina il sistema coerente che forma la relazione tra l’uomo e l’ambiente. […] Il Manifesto del Terzo Paesaggio riposa sull’idea che i lotti abbandonati o i frammenti non curati del Giardino Planetario siano il rifugio della biodiversità terrestre, e che in questo si trovi il nostro avvenire biologico. Spazi di questo tipo esistono ovunque nel mondo»34. Il futuro e le speranze dell’umanità stanno proprio in quella riserva biologica e spaziale che nasce dal rifiuto e dall’abbandono, nel residuo che si pone ai margini del sistema prestabilito, precostiutito, lontano da meccanismi economici che ne accentuano il disvalore che, al contrario, diventa punto di forza e si fa ricchezza. Con l’espressione Terzo Paesaggio, frammento indeciso del giardino planetario, Gilles Clément indica, dunque, tutti quei luoghi in cui la natura

215


35

. Gilles Clément, in Alessandro Rocca (a cura

di), Op. Cit., p. 27 36

. Un progetto emblematico che si riconduce

al concetto di Terzo Paesaggio è quello del Parc

Henri Matisse a Lille. Luogo del progetto un terreno di otto ettari dalla forma complessa, residuo

dell’urbanizzazione

del

quartiere

Euralille, tra la stazione TGV e una delle porte storiche di accesso alla città. Sostiene Clément che la storia della città produsse un’architettura difensiva, mura per proteggere l’uomo, ed è a quel punto che si pose l’urgente interrogativo su cosa fosse più urgente proteggere oggi; quale simbolo il giardino può offrire ad una città in espansione? Una foresta del futuro, fatta dal tempo e dalla storia, un sistema di natura eretto a simbolo, con le pareti verticali, un pezzo di natura lasciata a sé stessa nel cuore della città. Un’isola. Ed è proprio un’isola il cuore di questo progetto, uno spazio di diversità dal nome Ile

Derborence, un frammento di terzo paesaggio a sette metri dal livello del suolo e lontano da ogni tipo di intervento umano.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

viene abbandonata alla sola evoluzione del paesaggio, dove l’uomo non domina ma è parte di un tutto. Racchiude al suo interno diverse tipologie di forma e dimensione, con la caratteristica comune di essere un territorio dove l’azione umana è sospesa, per l’abbandono di un’attività, in attesa di un utilizzo migliore, per casualità, o per difficoltà di raggiungimento del luogo. Sono gli spazi di margine che affascinano Clément, quelli che sfuggono al controllo umano e che spesso dall’uomo sono abbandonati, i terrains vagues, la friche. Perché è proprio in questi luoghi che l’energia conquista lo spazio e la natura si riappropria del suo tempo. Terzo perché non appartiene alle categorie riconosciute del paesaggio. Terzo perché ignorato. Terzo perché «definisce l’insieme degli spazi abbandonati, che sono i principali territori di accoglienza della diversità biologica. Comprende il territorio residuo, sia rurale che urbano, e l’incolto: i cigli delle strade e dei campi, i margini delle aree industriali e le riserve naturali. È lo spazio dell’indecisione, e gli esseri viventi che lo occupano agiscono in libertà. Considerare il terzo paesaggio una necessità biologica, che condiziona il futuro degli esseri viventi, modifica la lettura del territorio e valorizza luoghi abitualmente trascurati»35. I residui diventano allora spazi delle ginestre – usando una metafora leopardiana – che costituiscono una terra di frontiera, luogo di ibridazione delle specie, là dove la mescolanza planetaria alimenta il motore dell’evoluzione biologica. Il termine Terzo Paesaggio viene sviluppato in seguito allo studio che Clément opera sul territorio di Vassivière nel Limousine: tutto ciò che sembrava naturale gli apparve nella sua totale artificiosità perché frutto dell’attività umana. Nello scenario di Vassivière scopre da un lato il paesaggio dell’ingegnere forestale, paesaggio di ombra dominato dalle piante di Douglas, dall’altro quello dell’agronomo, paesaggio di luce, prodotto dallo sfruttamento agricolo del suolo. Nella dicotomia di luce e ombra Clément capisce che le due categorie del territorio non erano in grado di esaurire la descrizione dell’ambiente nella sua interezza: una terza categoria faceva la sua prima apparizione agli occhi del giardiniere, un luogo dove le specie vegetali scacciate dall’uomo vanno a rifugiarsi e trovano le migliori condizioni per vivere e sopravvivere all’antropizzazione indiscriminata del territorio36. Clément non dichiara mai esplicitamente il parallelismo tra fenomeni naturali e società degli uomini: la sua non è quasi mai un ecologia sociale. Non dichiaratamente, almeno. Ma la trasposizione sul piano sociale è inevitabile. Perché il futuro fonda le sue radici proprio in quella riserva biologica e spaziale che nasce dal rifiuto e dall’abbandono, nel residuo che riesce a porsi al riparo, al di fuori

217


37

. Filippo De Pieri, Gilles Clément..., cit., p. 84.

38

.

Zygmunt Bauman (1925), sociologo e

filosofo britannico di origini ebraico-polacche. Ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Nei suoi libri sostiene che

l’incertezza

che

attanaglia

la

società

moderna deriva dalla trasformazione dell’uomo da produttore a consumatore, paragonando il concetto di consumismo alla creazione di rifiuti “umani”, la globalizzazione all’industria della “paura”, lo sgretolarsi delle sicurezze ad una vita

liquida sempre più frenetica. 39

. Ibidem, pp. 86-87.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

dell’interesse, oltre i margini. E all’osservatore che spetta il compito di introiettare e trasferire le teorie del giardiniere sui terreni delle pratiche relazionali. Perché le fertili idee di Gilles Clément vanno strumentalizzate. Come sostiene Filippo De Pieri nel suo saggio Gilles Clément in movimento l’espressione Terzo Paesaggio fornisce a Clément gli strumenti per confrontarsi con la città, da sempre punto nodale delle questioni che regolano il rapporto tra la natura e l’uomo. «Sono molte le opere in cui la città compare sotto il segno di un giudizio negativo. È il luogo dell’architettura e dell’urbanistica, cioè dell’energia contraria, perché in architettura non usare energia contraria significa non esistere. Vedo la città – sostiene Clément nel romanzo Thomas et le Voyageur – come il solo elemento del paesaggio che non va nello stesso senso del paesaggio. […] Il Manifesto del Terzo Paesaggio […] alla contrapposizione tra città e paesaggio sostituisce una contrapposizione più articolata, quella tra spazi gestiti e spazi non gestiti dall’uomo. Luoghi di diversa natura, primari e secondari, costruiti e non costruiti, vengono analizzati nelle loro relazioni reciproche, come parti di un tutto. Questa posizione ha il vantaggio di porre con forza il problema del rapporto tra insediamenti umani e ambiente naturale privando però la questione di ogni possibile implicazione nostalgica»37. L’insieme dei residui, di cui il Terzo Paesaggio è costituito, funziona da elemento di connessione tra i vuoti della maglia delle attività antropiche. Si tratta di spazi residuali – per citare il sociologo Zygmunt Bauman38 – che tendono ad uno stato liquido, e per questo non conservano la forma: si modificano nel tempo e si “riciclano” a seconda delle circostanze. Le aree dismesse solitamente vengono considerate nelle grandi città come una vergogna, una sconfitta del potere visibile dell’uomo. Ma è attraverso l’osservazione degli scarti e dei residui, poggiando lo sguardo sul Terzo Paesaggio, rovescio del mondo organizzato, che si avranno spunti per una critica attenta, originale e sovversiva non solo delle tecniche di pianificazione, ma anche della biodiversità, animale vegetale e umana. «Mi sono reso conto che era possibile combinare l’estetica formale con l’equilibrio di un ecosistema», queste le parole di Clément nel saggio La sagesse du jardinier. «Perché Clément è un uomo che cerca e attraverso il suo lavoro giunge a fare della diversità delle culture un oggetto privilegiato di riflessione e a sfiorare soglie dove la scienza perde il suo potere esplicativo e sullo sfondo si intravede qualcos’altro, un non dicibile. Giardiniere e scrittore si diventa anche così: quando il giardino pone delle domande, cui solo la letteratura può rispondere»39. Il suo lavoro e la sua vita sono caratterizzati da una ricerca continua, in equilibrio tra esperienza progettuale e trattazione teorica.

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7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

> Sul giardino e sul paesaggio

È una dinamica seducente e misteriosa quella che lega il concetto di giardino e di paesaggio, dinamica contenuta nello spessore e nella varietà degli esseri viventi; sorgente di stupore e di inquietudine, lo spazio del giardino è vivo e in continuo movimento. Solitamente giardino e paesaggio definiscono scale diverse, ma nel Giardino Planetario i due si uniscono: essendo l’enclos parte di quel giardino globale che è il pianeta, l’attività del giardiniere supererà la dimensione del giardino tradizionale per arrivare ad investire tutta la terra. Aspetto scientifico ed emotivo si fondono attraverso la luce, le proporzioni e la disposizioni degli esseri nello spazio. Diventano così territori emotivi, soggetti ai fenomeni dell’emozionalità, creazioni dell’immaginazione che si oppongono all’ambiente definito come “lo stato delle cose”. «Il giardino contiene il paesaggio. E oggi, a partire dalla mia visione della terra come giardino planetario, mi è ancora più chiaro che il paesaggio è un dettaglio del giardino. Ma ho anche definito il paesaggio nel modo seguente: dico che è tutto quello che noi vediamo e, per coloro che non hanno il senso della vista, è tutto ciò che appare loro attraverso gli altri sensi. Ed è anche, e soprattutto, quel che si conserva nella memoria, per esempio dopo aver chiuso gli occhi o dopo essersi tappati le orecchie. È un’impressione che è personale e che dipende dalla nostra cultura, dal modo di guardare, di vedere, di percepire. […] Il giardino è tutta un’altra cosa perché si tratta di un sogno, perché incarna una visione utopica. Il giardino è un ideale, è l’eden, è quindi qualche cosa che si protegge, che si disegna e che si organizza in funzione del modo in cui si vede il mondo. Con i trascorrere del tempo il giardino è abitato da paesaggi sempre

221


40

. Gilles Clément, intervista con Alessandro

Rocca, in Alessandro Rocca (a cura di), Op. Cit., p. 77. 41

Gilles Clément, in Alessandro Rocca (a cura di),

Op. Cit., p. 49.


7 | Gilles Clément. Utopia realista di un giardino planetario

diversi che sono interpretati in maniera diversa in funzione delle persone che si trovano nel giardino. […] Il giardino è il solo e unico luogo di incontro tra la natura e l’uomo, il luogo dove il sogno è autorizzato […]»40. L’approccio di Clément al paesaggio è, dunque, un’esperienza totale, perché investe tanto il campo manuale quanto quello intellettuale. E’ l’esperienza di un’osservazione, perché osservare, per Clément, è un termine che va oltre lo stretto significato letterale: è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, una pratica che coincide con la curiosità e la capacità di stupirsi davanti alla natura. Il ruolo dell’uomo, all’interno di questo disegno, sarà quello del paesaggista-giardiniere che cerca di inserirsi nei cicli vitali già in atto nel giardino, per non dominare la natura, ma rispettandone le sue dinamiche. Pertanto Clément non abbraccia una visone darwiniana dell’evoluzione, secondo cui la selezione naturale costituisce l’unico valido motore della vita sulla terra, ma, contrario ad ogni ideologia del dominio, predilige l’idea di una continua ricerca di equilibrio tra i sistemi secondo il concetto di ecologia umanistica dove l’uomo interviene sui comportamenti biologici nel rispetto della biodiversità, favorendone lo sviluppo in accordo con l’universo. Dove tutte le componenti del paesaggio, etiche, estetiche e scientifiche convergono. «Quello che si può osservare nell’incolto riassume tutte le problematiche del giardino e del paesaggio: il movimento. Ignorare questo movimento significa considerare la pianta come un oggetto finito, e vuol dire anche isolarla storicamente e biologicamente dal contesto che ne permette l’esistenza»41. L’obiettivo del lavoro di Gilles Clément è cambiare l’approccio al paesaggio, diminuire l’investimento di energia per la progettazione e aumentare quello di conoscenza. Indecisione. Instabilità. Nomadismo Biologico. Contiguità. Evoluzione. Improduttività. Sono questi i nuovi valori positivi all’interno di una concezione biologica, non economica, del territorio: le basi su cui sviluppare il giardino del futuro.

223



(8) Italia Scommesse per il futuro

ÂŤThere is a pleasure in the pathless woods, There is a rapture on the lonely shore, There is a society, where none intrudes, By the deep sea, and music in its roar. I love not man the less, but Nature moreÂť1 [Lord Byron]


1

. “C’è una gioia nei boschi inesplorati, c’è

un’estasi sulla spiaggia solitaria, c’è vita dove nessuno arriva, vicino al mare profondo, e c’è musica nel suo boato. Io non amo l’uomo di meno, ma la Natura di più”. Lord Byron.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

> Nuovi orizzonti

Le questioni ambientali ed ecologiche, ormai da molti anni, costituiscono il banco di prova su cui si misurano, indistintamente, amministrazioni locali, scienziati, antropologi, sociologi, architetti e, non in ultimo, artisti. C’è da chiedersi effettivamente cosa rappresenti, oggi, la natura; se la biosfera debba essere salvaguardata solo all’interno di un “pezzo” di paesaggio, conservato integralmente, in maniera pressoché immutabile, al riparo dall’antropizzazione coatta; o, al contrario, si senta viva e profonda la necessità di scoprire modi alternativi di integrazione tra le azioni umane e i cicli naturali, per realizzare uno sviluppo volto all’interrelazione delle diversità, patrimonio del plusvalore, per dirla alla Clément. Si avverte, per questo, il bisogno di portare avanti un’azione comune che, sulla base dei valori umani e ambientali esistenti, possa ricostruire – o costruire? – il giusto equilibrio tra natura, sviluppo sociale, crescita economica e cultura, perché in ultima analisi proprio di cultura si tratta. E’ un nuovo sentire, quello ecologico, che sottende un nuovo approccio alla materia, una rieducazione dello spirito e una rinnovata coscienza verso questioni che abbracciano tutto il vivere quotidiano e pertanto devono essere considerate nella loro totalità. L’arte, più o meno negli ultimi dieci anni, ha dedicato sempre maggiore attenzione a queste tematiche e, per sua natura, ha spinto in avanti, ancora prima di altri, alcune riflessioni che a giusto motivo l’hanno portata a costituirsi fattore determinante per la riqualifica del territorio e del rapporto Uomo-Natura. Quello che, di fondo, vuole scaturire da questo lavoro – come già detto – è la sostanziale necessità di una interdisciplinarietà, delle intenzioni e delle

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2

. Franco La Cecla, La gestione indispensabile,

in Lorenzo Giusti e Valentina Gensini (a cura di), Greenplatform. Arte Ecologia SostenibilitĂ , Catalogo della mostra, Moleskine, Firenze 2009, p. 75. 3

. Ibidem, p. 76.

4

. Ibidem, p. 77.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

azioni, per la salvaguardia di un sano vivere comune. Quella che fu la crisi ecologica degli anni Settanta, che coincise poi con quella energetica, non riuscì ad incrinare in maniera rilevante gli assetti istituzionali e comportamentali della società. «Oggi, a distanza di quarant’anni, siamo di fronte ad una situazione ben più preoccupante: il cambiamento climatico è un’evidenza a dispetto dello scetticismo e del negazionismo di molti illustri scienziati e lo stato del mondo è “al limite” tra contaminazione dei suoli e dell’aria, desertificazione, impoverimento generale della diversità animale e vegetale, deforestazione e inquinamento di strati profondi di mari e oceani»2. Pornoecologia, sostiene Franco La Cecla nella postfazione del testo di Felix Guattari Le Tre Ecologie, è il pericolo imminente che ci spinge a considerare l’ecologia come una moda del momento, svilita nei suoi concetti più profondi perché asservita alla politica, agli apparati mediatici, alle tendenze del momento, in nome della pratica del greenwashing neologismo di recente invenzione attraverso il quale si vuole indicare l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende o entità politiche che distolgono, con questa pratica, l’attenzione dalle proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi, creando un’immagine mistificatoria – per lavare le coscienze di chi, in fondo, di ecologia non vuole sentir parlare. «All’ecologia è successo di essere finita troppo presto nei canali conosciuti e di non avere, invece, fatto tesoro della ricchezza di elaborazione del pensiero che va dalle grandi intuizioni di Gregory Bateson, alla riflessione sulle “tre ecologie” di Félix Guattari, fino alla filosofia della responsabilità di Hans Jonas e ai riflessi antropo-politici di Bruno Latour. Un pensiero che era, ed è ancor oggi, capace di far riaprire gli occhi tappati delle istituzioni e di avviare riforme di mentalità»3. Dopo aver assistito ad una deriva profonda della mentalità, finalmente ora si è giunti a sviluppare con coscienza il senso del rischio ambientale, elaborando non più certezze, ma proposte, liberando il pensiero dalla visione puramente materialistica ed economicistica del mondo che ci ha accompagnato fino ad oggi. «C’è una realtà di contaminazione di diverse fasce del pensiero che fanno sì che la riflessione sullo stato attuale del mondo non sia un ambito riservato ad una élite, ma un movimento più generale che abbraccia reazioni emotive, maniere di sentire, forme di vita, pratiche e resistenze. Questa è una delle conseguenze, per altro, della mondializzazione: un rimescolamento delle varie forme di pensiero e di sensibilità»4. Clemént sostiene di voler lavorare il più possibile con e il meno possibile contro la natura. Forse noi dovremmo imparare a lavorare il più possibile con e il meno possibile contro noi stessi, contro le nostre risorse, contro le

229


5

. Franziska Nori, in Lorenzo Giusti e Valentina

Gensini (a cura di), Op. Cit., pp. 11-12. 6

. Franco La Cecla, Op. Cit., in Lorenzo Giusti e

Valentina Gensini (a cura di), Op. Cit., p. 79.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

nostre diversità. L’ambiente, inteso come insieme di spazi aperti, di energia fisica, di reazioni chimiche e di continui mutamenti, deve essere visto nella sua complessità, sia esso edificato, sia che si tratti di un solo individuo, di un animale, un vegetale o una città intera. Questa oggi è la nuova natura: la natura delle relazioni. L’arte, al crocevia di molteplici discipline come l’architettura, l’antropologia e la biologia, si arricchisce di prestiti e saperi che esulano dal proprio contesto operativo. Di contro, le altre pratiche acquistano, a loro volta, contributi artistici, elaborando vere e proprie fusioni estetiche e cognitive. La mescolanza dei saperi ci arricchisce di nuovi contributi, costringendoci a riflettere sulla questione ambientale da un punto di vista che non è solo quello scientifico, spingendoci, altresì, a considerare il problema nelle sue implicazioni filosofiche, antropologiche, economiche e sociali; per considerare l’ecologia non solo scienza della natura ma scienza di relazioni, del confine, della trasversalità; per una riflessione attenta e profonda sull’imprescindibilità del binomio Natura-Cultura. All’arte, in questo contesto, spetta, come già detto, il compito di innescare riflessioni critiche, non volendo fornire delle risposte, ma insinuando dubbi nell’occhio di chi osserva; stimoli interessanti per una presa di coscienza riguardo alla complessità dello stato dei fatti. «L’opera d’arte diviene, dunque, concreta nella sua azione che va al di là della sua oggettualità o esemplarietà, ponendosi come strumento per instaurare nuove relazioni di creatività congiunta, inedite situazioni di reciprocità in cui ognuno è chiamato ad essere coinvolto sulla base della propria spontanea, ma responsabile, specificità personale»5. L’interrogativo che, in questa sede, possiamo sollevare è quanto e in che modo effettivamente l’Italia stia rispondendo oggi in merito a queste riflessioni. Molti sono gli interventi artistici operati nel territorio, in relazione al paesaggio, ma soprattutto in relazione al rapporto che lega l’uomo alla natura. Qui si prendono in considerazione, come buon esempio di interdisciplinarietà, due progetti di architettura, intesa nel suo più alto senso dell’essere una scienza di relazioni, che partecipa al processo creativo di ridefinizione degli obiettivi e ri-strutturazione degli spazi, non solo fisici ma anche, e soprattutto, mentali. Per un’ecologia della mente ancora prima che un’ecologia scientifica. Perché «[…] occorre tornare ad una fase di umanizzazione della natura se vogliamo dare ancora senso all’umano. Per questo, mai come adesso, sarebbe necessario ritrovare la sensibilità cosmologica che era una volta patrimonio degli artisti»6.

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7

. Piero Gilardi, Atti del Convegno Dalla Land Art

alla Bioarte, Torino 2007. 8

.«L’arte del vivente è caratterizzata da elementi

viventi o che si comportano come tali, che hanno una processualità, una ciclicità, e pertanto sono soggetti a trasformazioni determinate dal tempo e dal caso. L’artista diviene quasi un osservatore, uno sperimentatore più che un artefice. Spesso il progetto che egli avvia ha esiti incerti, indeterminati e non necessariamente permanenti. Sempre più spesso l’artista ideatore del progetto non è più solo di fronte alla creazione della sua opera, ma ha la necessità di essere affiancato da specialisti, la partecipazione di una pluralità di soggetti fa si che spesso l’arte del vivente entri a far parte della cosiddetta arte relazionale», in Ivana Mulatero (a cura di), Dalla

Land Art alla Bioarte, Hopefulmonster, Torino 2007.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

> PAV. Spazio di sviluppo urbano per l’arte contemporanea

Il Parco di Arte Vivente è uno spazio pubblico in una città in trasformazione. Inaugurato a Torino nel Novembre del 2008, riprendendo una delle definizioni più felici di Felix Guattari nel suo testo Le tre ecologie, vuole essere un parco d’ecologia ambientale, sociale e mentale, spiega Gilardi – artista pioniere dell’arte multimediale e interattiva, nonché ideatore del progetto – «capace di coinvolgere gli artisti contemporanei attraverso il suo funzionamento ed il sostegno alle loro ricerche di forme innovative, in tutti i campi. Un territorio artistico in via di sviluppo. Potrebbe definirsi come una repubblica artista: non un contenitore che si accontenti di ospitare dei progetti e delle esposizioni, ma un modello di sviluppo sostenibile e durevole»7. È un contesto che viene costruito costantemente in collaborazione con gli artisti, attraverso i quali l’arte stessa viene presentata in una forma «vivente»8, in sinergia con i più diversi campi di ricerca, dall’ecologia all’urbanistica, passando per la sociologia. Un sito espositivo all’aria aperta, un’architettura ambientale, un paesaggio, un centro di ricerca, dove arte contemporanea, scienza, natura, biotecnologia, pubblico e artisti, contribuiscono tutti ad un dialogo costruttivo, in un confronto aperto che genera energia e libertà espressiva. Il PAV non è, quindi, solo un luogo d’arte nella natura, ma un sito dove lo scambio delle relazioni sociali avviene attraverso la pratica artistica, seguendo quel filone dell’arte contemporanea che ha in qualche modo a che fare con il vivente – da qui il nome – in quanto organismo vivo, con un proprio ciclo vitale, sia esso vegetale o umano. La dialettica del programma artistico del PAV «si colloca esplicitamente

233


9

. Piero Gilardi, Op. Cit.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

nell’ambito del pensiero post-umanistico. Un pensiero che ha superato i dualismi cartesiani, le posizioni sostanzialiste e antropocentriche, per indagare il rapporto con l’alterità dell’essere umano, inteso antropologicamente come un insieme temporaneo e transitorio nel processo cosmologico della coevoluzione»9. Il parco accoglie lo spettatore nei suoi spazi verdi, concedendosi al suo sguardo sotto forma di una porzione di natura, ritagliata all’interno del contesto urbano e restituitagli attraverso un linguaggio comprensibile a tutti, specialisti del settore e non. È un progetto pilota di museo interattivo dove le sperimentazioni artistiche convergono tutte nel concetto di arte del vivente, spaziando dalle esperienze di ispirazione biologica alle operazioni biotech. Tutti gli artisti che partecipano attivamente alla crescita del PAV sono in sintonia con il processo di trasformazione culturale ed etica che, a fronte del collasso ambientale del pianeta, reclama modelli di sviluppo e modalità di vita ecosostenibili. Le metodologie adottate si relazionano e si confrontano con il bioma: sono processuali e organiche; sono fondate su sistemi cognitivi e interagiscono sul piano interdisciplinare con la botanica, la zoologia e il progetto del paesaggio. La loro temporalità segue quella ciclica della natura vivente, senza tralasciare, però, l’uso della tecnica. Un Parco d’Arte, quindi, come luogo di creazione della contemporaneità che nasce da una preliminare azione microurbanistica: la creazione di un polmone verde protetto. Il suo assetto architettonico e funzionale si conforma alla biocompatibilità e al paesaggio. Il territorio dove sorge il parco, all’interno di un’area in trasformazione, è rimasto per molti anni abbandonato a se stesso, un terrain vague, un luogo sospeso nel tempo dove, su un sito industriale dismesso, si è deciso di rispondere anche all’esigenza di riqualificazione e riconversione del territorio: «il concetto di “restituzione” é il leit-motif del progetto – spiega ancora Giraldi, autore dell’istallazione Bioma all’interno del parco – un territorio restituito al quartiere che da troppo tempo ha di fronte una discarica di materiali edili; alla natura, con tentativi di ri-creazione di habitat inesistenti in città, ma anche restituzione di uno spazio d’Arte capace di creare relazioni tra spettatori di ogni età e cultura». In questo terreno in transito, a suo modo selvaggio, utilizzato come discarica di macerie edilizie, in questo Terzo Paesaggio, tanto caro a Gilles Clément, si assiste, osservando attentamente, a una vita pionieristica animata dall’insediamento di molte specie vegetali. L’idea progettuale del PAV prevede un parco non totalmente organizzato che utilizza un linguaggio formale strutturato sulle processualità del vivente – piante, animali, persone – e attraverso le relazioni che si formano tra le parti, capaci di generare trasformazioni del paesaggio urbano

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10

. Piero Gilardi, citazione tratta dal documento Il

Concept del PAV , Aprile 2007. 11

. Nicolas Bourriaud, critico d’arte e curatore, ha

diretto il Palais de Tokyo di Parigi in collaborazione con Jérôme Sans. 12

. Punto di incontro di tutti i territori artistici

autonomi e le sperimentazioni gestite nel campo dell’ecologia e dell’urbanistica, il PAV può, a giusto proposito, raccordarsi all’esperimento di utopia concreata ideato e realizzato dall’artista Rikrit

Tiravanija

nel

1998,

in

Thailandia,

su un’area acquistata presso il villaggio di Sanpatong, vicino a Chiang Mai. Un progetto nato ai margini delle grandi teorizzazioni. Un esempio di ricerca artistica condotta al di fuori dei confini dell’oggetto autonomo, lontano dalle istituzioni del mondo dell’arte e dalle esposizioni che le sostengono.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

inaspettate e non determinate a priori. Il progetto del parco fa proprie le sollecitazioni e le relazioni con gli artisti, le relazioni degli artisti con l’ambiente, con i suoi vincoli e le sue potenzialità, e con il pubblico e le committenze sociali. Tutto questo avviene in un sistema di connessioni dove il luogo della produzione delle opere è il medesimo di quello dell’esposizione, e il luogo dell’esposizione è il territorio, dove le opere, entrando in rapporto fra loro, concorrono al processo di costruzione di questo frammento di paesaggio. Il Parco di Arte Vivente si prospetta come «un cantiere ininterrotto, un intreccio dialogico di esperienze aperto alle alterità innovative, in omologia con i sistemi viventi della biosfera»10. In sintesi, per usare un concetto espresso da Nicolas Bourriaud11, il parco d’arte si può intendere come «un luogo di negoziazione tra uomini e cose». Bourriaud introduce la sua idea di Parco d’Arte Contemporanea come territorio artistico in espansione e non come un contenitore che si accontenti solo di ospitare progetti ed esposizioni: un modello di sviluppo sostenibile tra le pratiche artistiche e lo spazio d’esposizione che le produce e le ospita. Così il PAV diventa un nuovo tipo di Centro Artistico, a misura urbana, che inventa la sua forma in corso d’opera secondo il principio di continuo movimento. Un progetto di urbanistica in tempo reale. Istituzionalizzandosi come uno spazio autonomo di sperimentazione artistica, centrato sui rapporti tra l’arte e l’ecologia, il sociale e l’urbano, costituisce il punto di convergenza di tutte quelle energie che fanno della pratica artistica il felice connubio di più discipline12. Lo sviluppo del PAV è, dunque, oggetto di una riflessione globale; l’ambiente, insieme di spazi aperti, di fenomeni geologici, di relazioni chimiche, di metamorfosi continue, è una questione di stampo ecologico sempre aperta e allarmante. È in questo contesto che “biologico” e “tecnologico” confluiscono in un ambito dove la tecnologia stessa diventa il mezzo utile a riequilibrare la relazione Uomo-Natura, relazione su cui il Centro fonda i propri presupposti, all’interno di una costante riflessione sul rapporto Arte-Ambiente. L’arte non è più oggetto di un’espressione ma si fa metodologia di lavoro fondata sulla sperimentazione nell’ambito di quella che è stata già definita arte del vivente. Il Parco è luogo in trasformazione, dove gli interventi degli artisti vengono pensati soprattutto per entrare in relazione con il territorio e la sua morfologia mai immobile. L’obiettivo del programma del PAV è quello di favorire momenti di pratica artistica che possano essere momenti di esperienza il cui fine non sarà più quello di un semplice osservare la natura nelle sue manifestazioni fenomeniche, ma quello di interagire con essa, al punto di riuscire a

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8 | Italia. Scommesse per il futuro.

frugare nella sua più profonda intimità. Come sostiene Gilardi «oggi la materia dell’arte non consiste più nell’immagine dipinta, scolpita o realizzata al computer, anche se questi elementi continuano ad essere un supporto concreto a livello comunicativo, ma consiste nella relazione intersoggettiva tra l’artista e il suo pubblico, declinata in forma processuale aperta. Attraverso la pratica artistica oggi non si producono più forme estetiche referenziali alla storia dell’arte del passato, ma piuttosto si producono formazioni, cioè modelli di comportamento e modalità di vita, individuale e collettiva». Le opere costituiscono, così, un tutt’uno con l’ambiente, un’unica entità progettuale, concettuale relazione e formale. Arte del vivente. Arte relazionale. Bioarte. Bioma. Biotopo. Ibridazione. Processualità. Psicocorporeità. Relazionalismo. Spazio interstiziale. Questo è il PAV.

> Credits Il PAV nasce nel 2007 nell’area del sito industriale dismesso della FRAMTEK, società dell’indotto FIAT che produceva componenti per auto. La trasformazione della città dei suoi luoghi di lavoro e dei suoi edifici pensati come eterni, ha portato a concepire la costruzione del PAV come “reversibile”, e a far proprio il principio dinamico del mutamento che assume il termine di “esercizio dell’edificio” come esito del suo ciclo di vita. Per questo sono stati utilizati materiali che implicano un basso impatto ambientale e l’elementare impianto architettonico rende l’edificio facilmente riconvertibile ad altri usi. La sostenibilità dell’intervento ha poi indotto una progettazione bioclimatica, nel rispetto e nell’utilizzo di tecnologie proprie della bio-edilizia, e l’impiego di energie rinnovabili. L’edificio semi-ipogeo, che evoca un arcaico rapporto con il sottosuolo, è realizzato con riporti di terreno che si connettono in copertura al “tetto verde”. Il terreno è modellato in modo da ottenere una collina, accessibile al suo interno attraverso un varco di ingresso costituito da un corpo vetrato destinato a serra e da varchi “tagliati” sui fianchi della collina che collegano l’interno dell’edificio e la corte con il parco. Il progetto dell’edificio vuole ottimizzare la qualità energetico-ambientale e per questo sono state applicate soluzioni progettuali che mirano a integrare l’architettura nel suo contesto ambientale: l’edificio è concepito secondo i principi degli edifici solari passivi che utilizzano materiali di involucro a elevata prestazione energetica e soluzioni tecniche che

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impiegano strategie bioclimatiche in grado di ottimizzare orientamento e forma. La struttura dell’edificio al centro del parco è una cellula ottagonale, generatrice di relazioni spaziali con il paesaggio circostante. La pianta è una corona circolare ottagonale, organizzata attorno ad una corte centrale. Una serra con orientamento Nord-Sud attraversa la manica dell’edificio, mentre la parte a Nord, in corrispondenza dell’ingresso, è una serra fredda, ambiente molto luminoso e non riscaldato con funzione di filtro. A Sud si attesta sulla corte interna una serra riscaldata, integrata da pannelli fotovoltaici. Il fulcro del Parco è generato dall’edificio-installazione di Piero Gilardi, Bioma, costituito da un percorso finalizzato all’esercizio della libera espressione, dove il pubblico partecipa ad esperienze di manipolazione artistica, grazie anche all’uso di programmi informatici basati su algoritmi genetici. La struttura base del Parco è costiutita da un prato privo di percorsi pedonali prestabiliti, con ampie aree libere destinate ad ospitare le installazioni d’arte. Lo spazio è ripartito in modo molto rarefatto ma netto, con una griglia ortogonale quadrata di 20 metri di lato orientata sui punti cardinali, la cui trama e ordito sono sottolineate da segmenti di graminacee di diversa estensione, originati dai vertici dei riquadri. Il prato fiorito forma la superficie di connessione tra i diversi ambiti che caratterizzano lo spazio verde. Il gran numero di specie erbacee impiegate genera una biodiversità vegetale dove insetti ed altri animali trovano rifugio e nutrimento. In corrispondenza del fabbricato il prato si sviluppa in maniera naturale, senza configurazioni prestabilite. In determinate stagioni e periodi dell’anno, in relazione agli eventi proposti, le superfici potranno essere disegnate per aumentare il contrasto tra gli interventi di giardinaggio e la naturalità, nelle aree non modificabili dall’operatività umana, dove l'erba e i fiori lasciati liberi di crescere in maniera spontanea. Lo scopo è quello di non definire a priori percorsi e rotte predeterminate, ma renderli mutevoli e liberi nell’intento di collegare fra loro le installazioni artistiche. Le opere, così, si stagliano nel paesaggio del Parco relazionandosi con il contesto urbano, contribuendo a strutturarne e caratterizzarne il senso. Il progetto architettonico è stato realizzato dagli architetti Gianluca Cosmancini e Alessandro Fassi, rispettivamente esperti di architettura del paesaggio e architettura bioclimatica. L’edificio al centro del Parco Bioma è un’opera d’arte ambientale dell’artista Piero Gilardi ed i suoi spazi interni sono stati progettati dall’architetto Massimo Venegoni. Il comitato di direzione artistica annovera tra i suoi componenti il critico francese Nicolas Bourriaud.

241


13

. Gail Cochrane (a cura di), Tiscali Campus –

Progetto Arte, Tiscali SpA, Cagliari 2003.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

> Campus Tiscali

Il Campus Tiscali è un complesso aziendale, uno spaccato di natura e architettura, un luogo di scambio e di relazioni in cui sono stati chiamati a collaborare nella realizzazione del progetto artisti e progettisti di fama internazionale. Un’isola di diversità – Sa Illetta – dove ad interagire non sono solo coloro che attivamente, giorno dopo giorno, portano avanti la propria esperienza lavorativa, ma anche le parti in gioco, la committenza, gli architetti, gli artisti e i visitatori. Il complesso dell’azienda di telecomunicazioni Tiscali è un progetto di arte contemporanea a cielo aperto, dove le opere non decorano la sede in questione ma ne esplicitano il senso. Un progetto di Public Art che «risponde all’esigenza di spiegare la vocazione emergente di alcune opere: quella di porsi non come oggetti autonomi, ma come interpreti di un luogo e catalizzatori di scambi umani»13. È un esperimento di interdisciplinarietà, dove l’attenzione per l’ambiente non è un obbligo a posteriori ma un obiettivo progettuale, che fa del non costruito uno spazio in cui la mescolanza vegetazionale dichiara a gran voce l’identità del luogo e il rispetto per lo stesso. Da un articolo di Giorgio Pellegrini – ricercatore di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università di Cagliari – si legge: «Immensità orizzontale di aerocampo: aperta tra mare e laguna, in alto il peso azzurro di quel cielo che atterra tremando e si impiglia nei rami degli ulivi schierati. Lo scenario metafisico di Sa Illetta acconsente subito, complice, alla

243


14

. Giorgio Pellegrini, La laguna dei bei segni, in

Ibidem.


8 | Italia. Scommesse per il futuro.

presenza delle forme dell’architettura, dell’arte. E il moto sapiente dei volumi si compie, magnifico, sul piano ocra e verde, sotto la luce del Mediterraneo amato dagli dei e dagli architetti. Ortogonalità discrete, colorate di trachite rossa, nero di basalti, cristallo e biancone d’Orosei, si inseguono in un ritmo alternato, timidamente composto: più ragionevole, che razionale. Pietre di Sardegna, cui ha rubato il mistero di armonie segrete la mano esperta di Pinuccio Sciola, si assemblano isodome, a esibire durezza solare di corpi scanditi, che sa mescolarsi alle epifanie dell’arte. Come l’onirico UFO acciambellato di Olafur Eliasson che si libra, nuvolante e brioso di polvere d’acqua, a fior di suolo e lucida il verdargento risplendente dell’ulivo stupefatto. Specchio dei cirri lanciati a corsa più sopra, il nembo ammaestrato dell’artista danese rammenta di eterna volubilità atmosferica, di essenze vitali, di remote nebulose: proclama ammiccante che liquida è la forma della Natura. Affermazione uguale si scopre nella freschezza moderna di Alberto Garutti. Ibridazione felice di luce metallica e H2O, che vede brillare, sotto la superficie coltissima del fatto estetico – da Händel a Versailles, passando per Calder – l’intenzione funzionale di un’imprevedibile quanto sorprendente generosità irrigua. Sotto un mare di numeri annegano, invece, i meccanismi aggrovigliati della centrale degli impianti del Campus. Ossessione binaria di Liam Gillick: germina formule infinite, di una matematica avvolgente come un immenso telo mimetico, sinuoso di moltiplicate geometrie cibernetiche. Ed è il calcolo di geografie diverse ad intonare – vicino – universali inni inaugurali, stavolta sulla pelle vera delle architetture. Alle poesie di sabbia antica, tracciate da Maria Lai con umore tolemaico e memoria punica, risponde frecciante, sino ad intimidire d’emozione forte, l’aeropoema satellitare di Grazia Toderi. Dove il rombo assordante di Marinetti si spegne, finalmente appagato, nel vuoto rarefatto di altissime quote e i lucori del radar pulsano ininterrotti nel vibrato profondo di un silenzio siderale. Si penetra così dentro il grande budello, perfetto nella sua rettilineità, e unico a vertebrare – trapassandolo tutto – il sistema dei corpi separati del complesso. Ariosa galleria, dove muove il vento dello spirito e la ragione può sostare a soppesare, serena, i nitidi ideogrammi dell’artista. I mantra specialissimi di Michelangelo Pistoletto, istoriati nei vuoti e nei pieni del percorso chiaroscurato, ammoniscono ieratici in un itinerario del pensiero, invitano alla pausa, agli scatti dell’arte, financo nei paradisi nuovissimi del dio Silicon»14. Nel Campus le opere artistiche assumono il carattere di “strumenti utili” in senso estetico, etico ed ambientale. Si confrontano con il territorio,

245


15

. Alberto Garutti, in Ibidem.


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con l’architettura e con l’umano, in un confronto dialogico che vede nell’elemento estetizzante, non un fattore subordinato alla progettazione, bensì un requisito determinante per compiere l’esperienza relazionale del rapporto Uomo-Natura nella sua totalità. Alberto Garutti definisce la sua opera un lavoro che si origina anche sul metodo e sui procedimenti del fare arte. «Il percorso realizzativo (l’insieme delle connessioni con la realtà) e il processo mentale che si antepongono alla realizzazione fisica del lavoro risultano così parte integrante e perciò non meno importante dell’opera stessa: la committenza in questo caso è Tiscali, ma anche la natura stessa di un parco di ulivi in Sardegna. È proprio la relazione tra l’ideatore dell’opera e il contesto umano e ambientale a generare il lavoro; l’intervento supera quella sterile stabilità che nasce dalla mancanza di volontà comunicativa tra artista e luoghi, e si impone come protagonista proprio perché conseguenza di un processo dialettico. Il mio progetto – struttura per l’irrigazione e la vaporizzazione dell’acqua composto da tubature metalliche – utilizzando materiali e strumenti afferenti alla sfera tecnica dell’irrigazione e dell’agricoltura, si pone l’obiettivo di generare immagini e contemporaneamente curare l’ambiente, di soddisfare un’esigenza e di creare nuove visioni. L’arte riesce a portare nuovi significati e contenuti proprio nell’ibrida e complessa posizione di medium tra utile e bello, necessario e visionario, committente e artista, ritornando così a essere l’antica forma utile che ha sempre recitato nello scenario della vita»15. Alla luce di tutto ciò, l’esperienza del Campus Tiscali non è quella di un semplice edificio per uffici o una fabbrica, ma un ambiente dove vivere, lavorare, e associare la ricerca, la creatività e il lavoro nel senso più tradizionale, con una possibile qualità della vita e della relazioni umane. Un progetto che, seguendo l’olivettiana memoria, diventa un luogo di identità costruito e pensato per un comunità, nella consapevole volontà di restituire alla pratica architettonica – che chiama a raccolta i diversi saperi, teconologico, umano, e artistico – la voce di un progetto sociale. Così la realizzazione di Michelangelo Pistoletto si fonde con l’architettura e il confine tra opera artistica e costruito non esiste più. «Molti portali uno dentro l’altro, ciascuno fatto di un materiale diverso […]. Siamo in un luogo di lavoro. Siamo anche in un luogo che ha voluto connotarsi con l’arte e che l’arte interpreta sul piano metafisico e aiuta sul piano pratico. Ci troviamo dentro a spazi interni ed esterni – i portali e i percorsi – sulla cui parte alta è stato inciso un termine che designa appunto sia i territori dell’arte, sia i territori del lavoro. Ciascun termine si riferisce non tanto allo spazio da cui si vede, ma a quelli a cui si accede, in una catene che diventa un percorso. Diventa quindi un nodo di problematiche, in quanto implica nell’ordine: l’idea di tempo; una connessione cognitiva

247


16

. Angela Vettese su Michelangelo Pistoletto, in

Ibidem. 17

. L’area, la cui estensione si aggira introno ai

trentuno ettari, è luogo di particolare qualità paesaggistica. La laguna è difatti tutelata dalla convenzione di Ramsar, protocollo internazionale delle Aree Umide, firmato nel 1971.


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delle diverse attività dell’uomo; la rete fisica e dunque il senso della comunità; la rete telematica che, pur escludendo il corpo, ne consente la relazione a distanza. […] L’umanesimo dell’artista non si presenta […] sotto forma di ricerca interiore, ma come indagine delle relazioni dell’uomo con se stesso e con il resto del mondo, considerando la relazione fondamento primo del convivere. Se queste caratteristiche vengono spinte alla massima potenza, ecco che l’arte si fa proposta etica, si fa morale fondata sulla tolleranza e sulla ricerca costante di un equilibrio tra lo spazio che occupiamo noi e quello che occupano gli altri [...]»16.

> Credits Il Campus Tiscali si trova al centro di un sistema comunicativo a scala europea. La particolare densità delle informazioni che confluiscono nel Campus – la rete di telecomunicazioni – si mostra in forma quasi di pura materia nell’edificio a corte interamente occupato dai server, macchine tutte uguali, accostate tra loro in un’unica massa di memoria. Il cuore del progetto. Il non luogo che Tiscali genera e controlla da Cagliari è comune molte altre aziende di servizi, ma rilevante in questa realizzazione è la volontà di entrare in significativa relazione con il desiderio e l’obiettivo di creare uno stabilimento nel senso più tradizionale del termine, luogo di identità aziendale ma anche di accoglienza e cura di una comunità. La necessità di definire un’area adeguata alla costruzione del nuovo stabilimento indirizza la scelta di destinare una porzione di terreno denominato Sa Illetta17, prospiciente la laguna di Santa Gilla, a parco telematico, dove concentrare il maggior numero possibile di attività del settore. La rete virtuale assume, così, una dimensione molto più concreta nell’ipotesi di realizzare un bacino fisico e culturale dove il confronto, la ricerca e lo scambio di conoscenze possano confrontarsi nella prospettiva di un luogo di lavoro che sia allo stesso tempo spazio relazionale. Gli edifici sono costruiti con muri o porzioni di muro in direzione NordSud, dentro i quali sono aperte ampie vetrate intervallate da parti piene, in corrispondenza degli ambienti di servizio di ciascun piano. I materiali esterni - vulcanite rossa e marmo di Orosei - si riferiscono alla tradizione sarda, utilizzati però secondo tecniche moderne per facilitarne la manutenzione. Tutti gli edifici sono collegati al piano terra da un porticato aperto che costituisce l’asse principale del complesso edilizio, mentre gli spazi tra i corpi di fabbrica sono segnati da diversi tipi di corti: alcune presentano portici, altre sono sistemate a giardino, o ancora lastricate e disegnate come piccole piazze interne.

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Il centro nodale del campus è rappresentato dal fabbricato d’ingresso che ospita il foyer e un auditorium per 200 persone, affiancato da due corpi simmetrici destinati ad uffici e sale riunione. Nella parte più esterna del campus sono invece gli edifici riservati a scopi funzionali e operativi. Tutto il complesso è da considerarsi come il frammento di un programma più generale. La spina centrale distingue due aree che si differenziano per scelta tipologica. Nella porzione che affaccia sulla laguna i corpi sono in linea, le corti aperte, in modo da mantenere sempre disponibile la vista verso l’acqua; nella porzione verso terra un edificio a corte, che ospita il server centrale, anima del progetto. Il rispetto della planarità del paesaggio, anche in contrapposizione alla posizione arroccata della città storica, garantisce la relazione visiva con lo specchio d’acqua, evidente tanto dall’interno degli edifici in linea, quanto, naturalmente, attraverso gli spazi interstiziali tra un edificio e l’altro. Una relazione visiva avvalorata dalla continuità del manto erboso – fortemente voluto e pensato dalla committenza – che si stende dalla strada principale carrabile alla riva, offrendo una superficie di spicco agli edifici ed entrando in relazione particolarmente felice con il territorio circostante, anche grazie al rispetto dell’uliveto esistente. L’omogeneità del manto erboso evidenzia, infatti, uno dei riferimenti più espressivi dell’intero progetto che affonda il costruito direttamente nel terreno, quasi a volerlo subordinare ad esso. La principale scelta di materializzazione dell’architettura, ovvero le grandi superfici in trachite rossa segnata da marcapiani in marmo di Orosei, non fa che confermare il riferimento all’architettura romanica sarda e in particolare alla relazione, coloristica e materica, tra superficie muraria e piano di campagna, evidenziata attraverso l’annullamento di qualsiasi pavimentazione di contorno agli edifici che sembrano poggiati direttamente sulla terra. La trachite rossa, sottoprodotto del blocchetto di calcetruzzo, dismessa perché troppo pesante e difficile da porsi in opera, qui trova nuova valorizzazione, come il marmo di Orosei, dimenticato e maltrattato; scelta in linea con il principio del “valore al disvalore” teorizzato da Gilles Clément, per un’attenzione sempre maggiore all’identità locale di cui i matriali sono testimoni. Il percorso di attraversamento trasversale viene segnato da una semplice pavimentazione in basalto, enfatizzato dall’opera di Michelangelo Pistoletto, che prevede una serialità di portali, a marcare gli ingressi degli edifici, costruiti ognuno con diversi materiali, e ognuno riportante scritte che richiamano, al tempo stesso, la dimensione sociale della ricerca dell’artista e i valori che Tiscali vuole salvaguardare all’interno del suo progetto. Resta il senso della percorribilità completa e non guidata, una

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monumentalità dell’edifico anticlassica perché, volutamente, non marcata da un fronte principale; la possibilità e l’invito a muoversi nello spazio con libertà; una relazione non guidata o scenografica con il paesaggio circostante; un approccio immediato con la riva d’acqua. Una relazione tra architettura e paesaggio, quello trovato e quello riprogettato, che fa del Campus un luogo di interazione. La concezione è quella di un’architettura che non costiutisce un oggetto isolato, ma è il risultato della comprensione di un sistema di relazione con la città e il paesaggio; quella di un’architettura che, allo stesso tempo, è per se stessa e parte di un’intera città; un’architettura che porta avanti una ricerca sul carattere del luogo attraverso il linguaggio, cui dedica i molteplici sensi di un’opera che si fa narrazione. La soluzione sta, quindi, non nel grande gesto di invenzione formale, quanto in buone pratiche di «governo della circostanza», tanto flessibili sul piano della disciplina, quanto attente alla qualità di formalizzazione dei processi.

253



Apparato monografico esperienze, percorsi, ricerche

«Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare» [Eduardo Galeano]


1

. «Le

piante

che

vegetano

in

condizioni

ostili, compaiono senza preavviso, crescono inaspettatamente e poi muoiono in un luogo per rinascere a pochi metri, sono da sempre una figura chiave della métis: metafore di un’astuzia lontana dalla razionalità lineare, prevedibile e acquietante di tanta parte del pensiero moderno», in Gilles Clément, Manifeste du Tiers

paysage, Editions Sujet/Objet, 2004; trad. it. Filippo De Pieri (a cura di), Manifesto del Terzo

paesaggio, Quodlibet, Macerata 2004. In questo piccolo libro di Gilles Clément le piante sono veri e propri dispositivi dell’osservazione che

rendono

visibile

il

cambiamento,

proponendosi come materiale di una riflessione sul paesaggio, l’agire e l’estetica.


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> Lara Almarcegui «Mi è stato proposto di realizzare un’installazione permanente su un terreno a ridosso del Porto di Rotterdam. La vista sull’acqua era così spettacolare che è sembrato subito evidente il fatto che l’intervento dovesse essere il meno invasivo possibile, così da permettere al panorama di catturare la vista. Solo così il progetto avrebbe funzionato. Decisi che il progetto avrebbe lasciato il lotto completamente privo di disegno. In questo modo tutto accade per caso e non c’è nulla di prestabilito. La natura è in grado di svilupparsi liberamente relazionandosi con gli usi spontanei del territorio e con fattori esterni quali il vento, la pioggia, il sole e la vegetazione. I terreni di scarto sono per me essenziali, perché credo che ci si possa sentire liberi solo in questo tipo di territorio dimenticato dagli urbanisti». Lara Almarcegui Nata nel 1972 a Saragozza, Spagna. Vive e lavora a Rotterdam, Olanda.

L’arte di Lara Almarcegui si occupa dell’utilizzo non pianificato e delle componenti materiali del tessuto urbano. Lavorando con la perseveranza e la meticolosità di un archeologo contemporaneo (come Wilfredo Prieto sostiene sia l’artista), o di un antropologo del recente passato, l’artista ha, in senso letterale, soppesato l’ambiente edificato, scavandone gli strati profondi. Dal 1995 l’opera di Lara Almarcegui consiste nella realizzazione di interventi documentativi site-specific, legati alle specificità ambientali, antropologiche, culturali e botaniche degli spazi abbandonati. Partendo dalla storia di un luogo, generalmente circoscritto, un tempo abitato o sfruttato dall’uomo, e successivamente abbandonato nel corso del tempo e condannato all’incuria, l’artista sviluppa i suoi progetti, sulla scia di quelle che sono le teorizzazioni di Gilles Clément, “giardiniere” del Terzo Paesaggio1. Gli interventi riguardano indistintamente casolari abbandonati o barche lasciate lungo il fiume. L’artista, attraverso fotografie e video, documenta il processo di progressivo abbandono, concentrandosi sulla flora e la fauna che progressivamente riprendono il controllo degli spazi antropizzati. Ad attrarla è, quindi, proprio la polarità inversa della comune dialettica tra uomo e natura: non più il racconto eroico (e spesso retorico) dell’affermazione dell’uomo sulla natura, quanto piuttosto il processo silenzioso (ma non meno affascinante e ricco di implicazioni morali ed estetiche) di riappropriazione dello spazio, indagando, così, le proprietà estetiche e le qualità poetiche dell’evoluzione dello spazio stesso.

257


2

. La rovina assume una valenza specificamente

romantica, propria di quell’idea del Sublime, tra l’orrido e l’abbandonato. C’è in questo una sorta di ri-educazione all’osservazione del paesaggio, per mettere fine allo stereotipo del campo di grano e del girasole, propri di una recente cultura. In questo senso il lavoro dell’artista si avvicina a quello di Cyprien Gaillard. 3

.

Marc

Augè,

Rovine

Boringhieri, Torino 2004.

e

Macerie,

Bollati


| Apparato monografico. Esperienze, percorsi, ricerche

L’artista, nell’analisi spaziale di un contesto, si sofferma anche, e soprattutto, sul processo di rovina degli edifici, interrogandosi sulla stessa definizione di rovina: da quale preciso momento un comune edificio si trasforma in una rovina? La Armacegui, avanza l’ipotesi che questo processo abbia inizio con l’esposizione alle intemperie, quali il vento, il sole e la pioggia, ma anche la vegetazione rampicante e infestante, che penetra nella struttura stessa dell’edificio e ne accelera il disgregamento2. Parte integrante della sua prassi artistica, a questo proposito, è la produzione di guide. Attraverso la fotografia, i testi e le mappe, l’artista ha documentato siti abbandonati e aree dismesse di Amsterdam (1999), San Paolo (2006), della zona Al Khan di Sharjah (2007), e ha recentemente completato un progetto a cui lavorava da lungo tempo: Ruined Buildings in The Netherlands in the 19th and 20th Centuries (2008). L’opera in esame comprende oltre 150 tra edifici in rovina e strutture abbandonate: da piscine a hotel; da musei mai ultimati a vecchi ponti mai utilizzati. Oltre all’eco degli studi sugli edifici abbandonati condotti da Robert Smithson negli anni Sessanta (Ruins in Revers), l’indagine dello spazio nell’opera di Lara Almarcengui è strettamente correlata anche agli studi dell’antropologo Marc Augé, che definì la rovina come «un’attitudine nella stessa formazione del ciclo temporale, senza una conclusione nella storia, nell’illusione del sapere e della bellezza»3. Queste pubblicazioni contengono la documentazione storica, sociale e geografica delle strutture dimenticate e delle zone dismesse; conferiscono importanza a siti che hanno sfidato il deterioramento introdotto dallo sviluppo e dai progetti architettonico-urbanistici, e che rimangono vulnerabili, in un prossimo futuro, ad una eventuale trasformazione globale. Le opere di Lara Almarcegui possono essere, così, divise in quattro filoni, ognuno strettamente legato all’altro: DEMOLIZIONI – RIMOZIONI – MATERIALI DA COSTRUZIONE – AREE ABBANDONATE. Il lavoro che l’artista ha presentato a Torino, in occasione della mostra Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità – Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino 2008 – restituisce al pubblico una serie di cartoline che documentano quattro “aree abbandonate” urbane (A Wasteland, 2003-2007; Rotterdam Harbour, 2003-2018; Genk, 2004-2014; Arganzuela’s Public Slaughterhouse, Madrid, 2005-2006; Peterson Paper Factory, Moss, 2006-2007). Ogni sito è stato per anni, o continua ad essere tutt’ora, conservato allo stato pre-progettuale. Si tratta di spazi ben definiti, interstiziali, entropici, in cui la mancanza stessa di un progetto è l’unica cosa pianificata, in cui vengono favoriti i mutamenti non regolamentati durante i periodi, spesso prolungati, di

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negoziazione con le autorità locali e i proprietari. Visti in un contesto di conservazione ambientale, la loro rievocazione pone l’accento sul concetto privilegiato di natura come ciò che non è stato corrotto dal genere umano, ripercorrendo la strada che già da tempo ha intrapreso Gilles Clément, e mettendo in discussione il motivo per cui alcuni paesaggi sono considerati più degni di attenzione rispetto ad altri. La Almarcegui si sofferma anche sui “materiali da costruzione”. Le sue opere partono con la collocazione di pile dei materiali costitutivi di uno spazio espositivo in quello stesso spazio come in Construction Materials of the Exhibition Room FRAC Bourgogne (2003), e sfociano nella missione apparentemente impossibile di stabilire il peso di tutto il cemento, l’acciaio, il vetro, di cui si compone una metropoli come San Paolo del Brasile, Construction Materials of Sao Paulo (2006). Construction Materials of the Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (2008) è il risultato di una serie di precisi calcoli e misurazioni effettuati dall’artista sugli “ingredienti” contenuti nell’intero edificio, sotto forma di un sostanzioso elenco esposto come testo a muro, a ricordo di vecchie ricette. Potente nella sua semplicità, l’opera permette allo spettatore di immaginare la sede in un tempo geologico, come l’esatta somma delle sue parti: né più né meno che un agglomerato temporaneo di materia ed energia.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010 2009 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2007 2007 2004 2003 2003 2003 2002 2001

263

6th Madrid Abierto, Different Locations, Madrid City Mobilization, Different Locations, Shenzhen, China Radical Nature, Art and Architecture for a Changing Planet 1969–2009, Barbican Art Gallery, London Lara Almarcegui, PAV Parco d’Arte Vivente, Torino Arte Al Centro, Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Biella Guide to ruined Buildings in the Netherlands XIX-XXI Century, Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam Lara Almarcegui, La Box - Ecole nationale superieure d’art de Bourge, Bourges LIAF 2008, Different locations, Lofoten Islands, Norway Power of Place, Nettenfabriek, Apeldoorn Lara Almarcegui/Peter Fillingham, Ellen de Bruijne, Amsterdam Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Estratos’’, Different locations, Murcia Construction Materials of the exhibition Room, Centro Arte Contemporáneno, Malaga SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Lara Almarcegui, FRAC, Bourgogne, Dijon, France Catastrofi minime, Museo d’Arte Provincia di Nuoro – MAN, Nuoro Lara Almarcegui, INDEX, The Swedish Art Foundation, Stockholm Art Centre, Le Grand Café, Saint Nazaire, France Gallery Marta Cervera, Madrid, Spain Etablissement d’en Face, Brussels, Belgium


4

. Per approfondire il concetto, Mark Shapiro, Il

business del Clima, Internazionale, n. 853, del 26 febbraio 2010, pp. 42-48.


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> Amy Balkin «Il mio interesse per l’Aria e l’Atmosfera (e le loro rappresentazioni) è strettamente legato ad un progetto tutt’ora in corso, Public Smog, riguardante una serie di tentativi volti a creare un parco di aria pulita nell’atmosfera. In questo senso Public Smog analizza l’atmosfera per la sua funzione sociale, politica, ed economica. Visto lo stretto intreccio tra politica dell’atmosfera e atmosfera politica, è importante considerare l’aria come costruzione politica, giuridicamente e finanziariamente manipolata da entità inquinanti e Stati-Nazione che continuano a sabotare i tentativi di mitigare i cambiamenti climatici». Amy Balkin Nata nel 1967 a Baltimora, USA Vive e lavora a San Francisco, USA

La pratica artistica di Amy Balkin prende in esame le modalità di interazione fra gli esseri umani e il loro ambiente sociale e fisico, soffermandosi spesso sui temi della speculazione e dell’accesso pubblico alle risorse comuni. La sua attività include visite guidate, presentazioni con diapositive, conferenze, installazioni, siti web e ricerche scientifiche. Avvalendosi della collaborazione di accademici, scienziati e gruppi di attivisti, Amy Balkin porta avanti quello che potremmo definire un’opera d’arte totale. Nel 2001 inaugura il progetto This is the Public Domain, nato con l’acquisto, da parte dell’artista, di un piccolo appezzamento di terreno nei pressi di Tehachapi, in California, per trasformarlo, attraverso vie legali, in proprietà pubblica internazionale utilizzabile da chiunque. Con un efficace capovolgimento della legge federale statunitense del 1862, Homestead Act (conosciuta come Legge del Podere, con la quale si voleva promuovere l’espansione della frontiera americana attraverso la vendita del terreno pubblico), This is the Public Domain mette in discussione la definizione di territorio in termini di proprietà privata, tentando invece di allargare le frontiere dello spazio globale pubblico, alla luce dei principi dell’open source promossi da internet. Sulla scia di questa esperienza un altro progetto, Public Smog, ancora in corso dal 2004, penetra nella conflittuale e indefinibile intersezione fra cambiamenti climatici, politica ed economia, in accordo con i principi dettati, ormai troppo tempo fa, dal filosofo Felix Guattari nel suo libro Le Tre Ecologie. Acquistando crediti per l’emissione di anidride carbonica4, disponibili per

265


5

.

Il

Protocollo

di

Kyoto

è

un

trattato

internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l'11 dicembre 1997, da più di 160 paesi, in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia, prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008-2012. 6

.

Il

termine

turbocapitalismo

viene

usato

per indicare l’insieme delle politiche e teorie capitaliste che caratterizzano il nostro tempo, quel complesso di filosofie economiche che vengono predicate dai profeti del sistema della globalizzazione e applicate dai grandi attori mondiali: le aziende multinazionali, gli USA, il Fondo Monetario Internazionale e il WTO (World

Trade

Organization).

L’espressione

è

stata

formulata dall’economista Edward Luttwak ed è molto in voga negli Stati Uniti.


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le industrie inquinanti sul libero mercato e ritirandoli dall’uso, l’artista ha creato due parchi d’aria pulita nell’atmosfera, di ubicazione e dimensioni variabili. Il primo parco, al di sopra della costa californiana, è stato creato con il sistema statale di scambio di quote di emissione di gas serra, mentre un altro è rimasto aperto al di sopra dell’Unione Europea fino al termine del 2008, grazie all’anidride carbonica acquistata attraverso un operatore ungherese secondo i criteri del Protocollo di Kyoto5. L’ironica costruzione concettuale dell’artista mette in discussione il ruolo della vendita di emissioni come rigido rimedio miracoloso alla crisi climatica, interrogandosi sulla monetizzazione e l’esproprio dell’aria che respiriamo. Come sostiene la Balkin, «dato lo stretto intreccio tra politica dell’atmosfera e atmosfera politica è importante considerare l’aria come costruzione politica, giuridicamente e finanziariamente manipolata da entità inquinanti e Stati-Nazione che continuano a sabotare i tentativi di mitigare i cambiamenti climatici». Parte integrante del progetto è la domanda formale dell’artista, che chiede di dichiarare l’intera atmosfera Sito del Patrimonio Mondiale Unesco. Sovvertendo i meccanismi astratti delle transazioni turbo-capitaliste6 pro bono publico, l’impresa Public Smog propone un sublime atmosferico in cui si respiri aria di rivoluzione. Un altro progetto del 2005 Invisible-5, sviluppato in collaborazione con gli artisti Kim Stringfellow e Tim Halbur, e con le organizzazioni Pond (Art, Activism, and Ideas e Greenaction for Health & Environmental Justice), indaga il contesto sociale, economico e ambientale della valle di San Joaquin, in California, al centro della quale transita l’autostrada interstatale 5 che collega San Francisco e Los Angeles. Oltre che per il trasporto di persone e merci, il corridoio costituisce un asse strategico per lo sviluppo dell’allevamento e dell’agricoltura intensivi, l’industria casearia, lo smaltimento dei rifiuti, l’industria petrolifera e del gas, l’industria delle costruzioni. A causa della concentrazione di questi elementi, l’area del corridoio 5 è una delle più tossiche del pianeta. Invisible-5 racconta le storie delle persone e delle comunità locali e la loro lotta per il raggiungimento di una giustizia ambientale. Il progetto si presenta come un archivio sonoro, condiviso attraverso il web, nel quale sono raccolte le testimonianze degli abitanti unite a suoni e musiche caratteristici della zona. Tra i suoi lavori più recenti vanno ricordati il video Reading Climate Change 2007: Synthesis Reportr Summary for Policymakers (2008) e l’intervento Sell Us Your Liberty or We’ll Subcontract Your Death (2008). – P U B LI C S MO G I S A S CHE ME T O B UY B ACK YO UR RI GHT S ON T HE OP EN MA R K ET –

267



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MOSTRE SELEZIONATE 2009 2009 2008 2008 2007 2007 2006

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Free as air and water, 41 Cooper Gallery, New York Greenplatform. Arte, ecologia, sostenibilità, CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze Field Work, SMART Project Space , Amsterdam Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Just Space(s), Contemporary Projects LACE, Los Angeles Cape Farewell, Climate change No Way Back, London School of Economics, London



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> Andrea Caretto > Raffaella Spagna Raccolta, condivisione, suolo, commestibilità, neolitico, agricoltura, cibo, adici,pasto, risorse, prelievo di zolle, cucina, ricette, osservare, paleolitico, messe, chicco, atico, semini, suddivisione, ricerca storica, conoscenze botaniche, determinazione, sistematica, tassonomia, rovistare, getti, scovare, staccare, ripartizione, trasporto, culinarie, teneri germogli, pistilli, petali, foglioline, clorofilla, succhi, spremute, semi oleaginosi, tostatura, tubero, triturare, polverizzato, rugiada, elisir, commensali, esperimenti, mangiare, guardare, tatto, passeggiata, percorso, paesaggio, stoccaggio, calpestare, spezzato, infuso, decozione, impasto, bollire, rizoma, rimestare, selezione, scarti, intrugli, estrarre, macerazione [...] Andrea Caretto è nato nel 1970 a Torino, Italia. Raffaella Spagna è nata nel 1967 a Rivoli, Italia. Vivono e lavorano a Torino.

Lui raccoglie erbe selvatiche sul ciglio della strada che dalla collina scende giù in città, poi in una grande piazza elegante dona ai passanti i mazzi di quelle che intitola Malerbe. Ogni mazzo è contrassegnato da un cartellino con il nome scientifico dei fiori e delle erbe. Un nome in latino che rende strana, preziosa, quasi esotica, quella vegetazione tanto comune. Lei sale sui tram e sui bus della linea urbana che lancia con la fionda piccole palle di terra piene di semi di fiori selvatici. Le lancia fuori dal finestrino in direzione di aiuole, di prati di città, oltre ai muri dei giardini privati. Le lancia perché il selvatico fiorisca e riprenda un po’ di spazio tra la natura costretta e coltivata. Ai viaggiatori che la guardano stupiti regala una bustina di quei fiori e spiega che si tratta di un’operazione artistica ideata nell’ambito di Big Social Game, la Biennale internazionale dedicata dalla città ai giovani artisti a Torino nell’estate 2002. Andrea Caretto e Raffaella Spagna non si conoscono ancora ma compiono già, singolarmente, azioni che li apparentano. Con i reperti e le tracce di una ricerca fondata sull’osservazione e sull’attraversamento dei territori naturali, declinano un’idea di ospitalità basata sul dialogo, aprendo nuovi punti di vista. La loro collaborazione è iniziata proprio nel 2002 per gioco e quasi per sfida, regolati da norme precise. Che cosa in un prato, in un bosco, sulla riva di un ruscello, sappiamo ancora riconoscere come commestibile? Che cosa è buono e cosa è velenoso? Che sapore hanno le viole e qual è l’aroma di un caffè fatto di radici?

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Esculenta (2002), dal latino “cose commestibili”, è una vasta azione di raccolta di materie naturali spontanee, condivisa con amici e curiosi. Quando le provviste sono sufficienti i due artisti preparano una cena. Cene selvatiche le loro, dove anche il sale e l’acqua per la pasta, di farina di castagne, sono stati recuperati direttamente dal mare e dalle sorgenti. Più che a motivi di ordine ecologista, i lavori di Caretto e Spagna rispondono a un moto interno che tenta la ricostruzione del rapporto tra uomo e natura attraverso l’esperienza diretta del raccogliere, del seminare, del nutrirsi, del “domesticare”. Interessati al confine tra selvatico e coltivato, i due artisti ne indagano le zone di confine e di scambio, recuperando, in alcuni casi, conoscenze e pratiche antiche e perdute, come in Esculenta e in Fibrae (2005), o applicando modalità sperimentali, come in Esculenta–Lazzaro (2004), un’operazione di rimessa in moto del ciclo vitale degli ortaggi acquistati nei grandi supermercati. Fondati spesso sul coinvolgimento e sulla condivisione, i progetti dei due artisti assumono il carattere della narrazione, aperta alle forme del comunicare, del dono e dello scambio con il pubblico. Andrea Caretto e Raffaella Spagna lavorano, quindi, sulle relazioni profonde che legano gli esseri umani all’ambiente naturale. Attraverso gli strumenti delle scienze naturali e dell’antropologia analizzano i rapporti tra essere umano, organismi viventi e ambiente, sviluppando progetti, performance, pratiche relazionali e interventi installativi arricchiti dalle rispettive formazioni: l’architettura del paesaggio per Raffaella, le scienze naturali per Andrea. Caretto e Spagna sono i più interessanti esponenti italiani di un ampio fronte internazionale di artisti che affronta la questione del rapporto fra uomo e natura, prendendo a prestito i loro strumenti dalla scienza e dalla tecnologia, e mettendo la ricerca scientifica, l’azione collettiva e la documentazione, al servizio del loro lavoro. Questo lavoro preliminare viene, poi, sottoposto ad un processo di formalizzazione estremamente rigoroso, che consente loro di superare il limite di molte di queste operazioni: la loro “durezza” concettuale, che spesso va a scapito della forma e della forza poetica del lavoro. Emblematico in questo senso, fin dal titolo, è il complesso progetto Esculenta-Lazzaro (dal 2004) che prevede la riattivazione della vitalità latente negli ortaggi che troviamo sul mercato, pronti per essere consumati: una metaforica “resurrezione” che viene a coincidere con un riscatto iconografico molto forte, in cui i beni di consumo vengono riabilitati come esseri viventi. Lo sviluppo del progetto Esculenta, così come quello di Food Island (2007) e Sativa-Cerealia (dal 2005) ha origine da un moto introspettivo che indaga le relazioni con l’ambiente.

273


7

.

L'Ecologia

Profonda

«è

un

movimento

filosofico, fondato da Naess, che teorizza il radicale superamento dell'antropocentrismo e l'adozione di un punto di vista integralmente olistico e organicista come condizioni necessarie per affrontare con efficacia la crisi ecologica e riconciliare l'uomo con la natura. L'espressione Ecologia per

Profonda

designare

ambientaliste

viene

quelle

oggi

visioni

d'impronta

caratterizzate

dall'idea

e

utilizzata mentalità

fondamentalista

che

la

modernità

industriale e tecnologica, nata in Occidente e oggi imposta all'intera umanità, sia intrinsecamente incompatibile con la salvaguardia degli equilibri ecologici. Questo approccio dà luogo ad una forte accentuazione dell'azione personale individuale, come premessa principale per il sovvertimento dell'attuale civiltà contro natura, che risuona direttamente con il pensiero e con il movimento controculturali», in Roberto Della Seta, Daniele Guastini, Dizionario del Pensiero Ecologico, da

Pitagora ai No Global, Carocci, Roma 2007, p. 148. L'Ecologia profonda descrive se stessa come profonda

poiché

interessata

alle

domande

filosofiche fondamentali sul ruolo della vita umana come parte dell'ecosfera, distinguendosi dall'ecologia biologiche,

come così

branca come

delle

scienze

dall'ambientalismo

meramente utilitaristico basato sul benessere dei soli umani.


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In Sativa il racconto di un territorio afflitto da grosse problematiche ambientali e sociali (la Val di Susa) viene elaborato ripartendo dai cereali. Le relazioni profonde esistenti tra essi e genere umano (di natura simbolica, sociale e sostentativa), nonché la relazione “selvatico– domesticato”, vengono tradotte in passaggi esperienziali dal profondo significato, quali la coltivazione in studio di prati di orzo e grano duro; la spremitura e il consumo del succo da essi ottenuto, come elemento fortemente nutritivo e purificante per il sangue; la lavorazione della fibra verde, scarto della spremitura, per la realizzazione plastica di un “paesaggio della memoria”. Human Microbiome (2009), opera inedita prodotta dal CCCS per Green Platform, si presenta come un armadio monolitico con cassetti e aperture praticabili, nei quali è possibile “visionare” materiali ed elaborati di diversa natura sul microcosmo corporeo, denominato in campo scientifico “microbioma umano”. I dati presentati sono tradotti in immagini, disegni, video, oggetti-scultura, tutti elaborati ai fini di una rappresentazione cognitiva e creativa dell’ “alterità” costituita dai microrganismi che ci abitano. Le intime relazioni di simbiosi con i batteri, tra macrocosmo umano e microcosmo batteriologico che lo abita, diventano metafora delle più estese e indispensabili relazioni che intercorrono tra l’uomo e il sistema ecologico che lo comprende. Caretto e Spagna ci invitano a riflettere sulla ricerca di un’autentica sostenibilità in termini di ecologia profonda7: occorre una radicale revisione della prospettiva antropocentrica e l’acquisizione di consapevolezza nei confronti della complessità del mondo che ci circonda per sentirsi finalmente parte di un sistema più ampio, dal quale non possiamo prescindere e a cui apparteniamo come tutte le altre specie viventi, siano esse piante, batteri o animali.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010 2010 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2007 2007 2007 2007 2007 2006 2006 2006 2005 2005

Les Mardis de l'Art, MUDAM - Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean, Luxemburg Sensibili Energie, Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, Arezzo Naturae, Biblioteca civica "A. Arduino", Moncalieri (TO) Soil Practice, e/static, Torino Greenplatform. Arte, ecologia, sostenibilità, CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze Exposition “O”, Rurart Centre d’Art, Rouillé (Francia) De La Transformation Des Choses, CAIRN (Centre d'Art Informel de Recherche sur la Nature), Digne-les-bains, (Francia) Materie Oscure. Aula in fondo a sinistra, CRAC (Centro Ricerca Arte Contemporanea Liceo Artistico Statale ''Bruno Munari''), Cremona Ecosoft Art, Pav - Parco Arte Vivente, Torino Eurasia. Dissolvenze geografiche dell'arte, MART Museo di arte moderna e contemporanea, Rovereto (TN) 1' Biennale dell'Osservatorio del Paesaggio, Auditorium Cascina delle Vallere, Moncalieri (TO) M.P. (Matieres Premieres), Centre d'Art Le Parvis, Ibos, Francia. Los Limites del Crecimiento, Sala Alcalà 31, Madrid. Solo show at Lione DocksArtFair, Fabioparisartgallery, Lione Living Material, PAV (Parco d'Arte Vivente), Torino. Les Imprevus au jardin, Domaine de la Piece, Saint Gervais sur Mare (Francia). Beautiful Nature, Spazi di rappresentazione della natura, Galleria Comunale d'Arte Contemporanea, Castel San Pietro Terme (BO) Azioni 2000 - 2006, Museo Marino Marini, Firenze. Natura Morte e Resurrezione, Borgo Seghetti Panichi, Castel di Lama (AP). Actions, Sativa 1 - Cerealia, Munlab Ecomuseo dell'Argilla, Cambiano (TO). T1- La sindrome di Pantagruel, Torino Triennale Tremusei, Castello di Rivoli

2004 2004 2004

Ordinamenti, Giardini Fresia, Cuneo. Recinto 02, Parco del Castello di Racconigi (To). Quarto Piano, porta a destra, citofonare Luciana, casa di Luciana Littizzetto, Torino.

2003 2003

Semi e piante di fiori selvatici, Porta Palazzo, Torino. E.S.C.U.L.E.N.T.A, Bu.net, Torino.

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> Bruna Esposito «Con un esile filo di luce, nella nostra epoca, si può ottenere energia elettrica. Immagino un altro filo, invisibile, che ci tiene tutti collegati a tutto… e se fosse vero che siamo micro particelle dell’immenso, allora spero che il sole continui a brillare di luce propria e illumini le nostre scelte». Bruna Esposito Nata nel 1960 a Roma, Italia. Vive e lavora a Roma, Italia.

Bruna Esposito definisce le proprie opere sculture impermanenti. L’artista dà vita, infatti, ad un universo transitorio, ma ricco di rimandi metaforici alle grandi questioni della contemporaneità. Il suo lavoro è fondato su gesti semplici, sul coinvolgimento plurisensoriale, sull’interesse per il ciclo biologico della vita, sull’utilizzo di materiali modesti, spesso riciclati, ma fortemente evocativi. Le sue sono opere da sperimentare, più che da osservare. L’allusione è al tempo che passa, alla necessità di estraniarsi ogni tanto dalla pressione delle urgenze, di accordarsi una pausa di riflessione. L’artista prefigura un altro mondo possibile, in cui le leggi dell’economia vengono contraddette, in cui, grazie ad una rinnovata attenzione, anche le situazioni ed i materiali più semplici possono essere poeticamente trasformati e recuperati per un nuovo senso. E’ un mondo fatto di atmosfere incantatorie e di oggetti modesti, di gesti che denotano cura emozionale, evanescente. Il suo lavoro emana il pathos drammatico della provvisorietà, il senso doloroso dell’utopia. I suoi equilibri sono instabili, la bellezza che produce è effimera, la forza della sua opera è quella di chi ha il coraggio di dichiararsi vulnerabile. Sapientemente calibrate, le opere di Bruna Esposito sono realizzate, talvolta con un’intenzionale economia di mezzi, secondo scelte che privilegiano il rigore più che la ricerca della spettacolarità. Impiegando i materiali più vari, predilige soprattutto quelli che non appartengono alla tradizione artistica ma rientrano, invece, nell’esperienza del vivere.

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Gli elementi e gli oggetti che compongono le sue installazioni spesso manifestano la propria storia, e l’artista ne accetta il naturale decadimento e la conseguente caducità delle opere realizzate. Oltre ad elementi tangibili, l’artista costruisce spesso i suoi lavori includendo aromi, modulazioni di luce naturale, alimenti e suoni. Nelle sue opere il momento dell’incontro con il visitatore è assolutamente fondamentale, al punto che parole o documenti visivi possono restituire solo in forma frammentaria un’esperienza che coinvolge la vista, ma anche l’udito e l’olfatto, con modalità e svolgimenti temporali sapientemente predisposti. Spesso nei suoi progetti è incisiva la collaborazione con altri artisti, soprattutto quando si tratta di installazioni. E’ il caso di una delle sue collaborazioni più recenti con Maria Morganti alla Caterina Tognon Arte Contemporanea di Venezia (dal 4 Giugno al 21 Novembre 2009), dove Bruna Esposito ha seguito i suoni, l’acqua e alcuni evidenti aspetti del degrado della città lagunare, proponendo nuovi lavori a fianco di opere recenti. L’acqua è uno dei temi più cari all’artista: «prende e restituisce tante cose, il mare, le più varie. Corrosi dalla salsedine e sabbiati prendono così l’aspetto di testimoni arcaici anche i tappi di bottiglia. La luce carezza il buio degli abissi. Quello che non vedo risplende di sotto. Incontro delle anime di piccole e grandi cose. Sull’ostinato basso continuo delle onde, i ciottoli, le pagliuzze, i frammenti di conchiglie e grovigli di minuscole presenze umane sento di notte in coro a bocca chiusa». La sua ossessione sullo spreco dell’acqua potabile per il deflusso degli escrementi è diventato, nel tempo, un progetto di rilevante importanza, progetto che persevera da ben vent’anni, da Berlino a Istanbul, e continua ad evolversi anche giorno dopo giorno, in ogni sua opera. Sereno-variabile (2002), realizzato in occasione dell’esposizione al Castello di Rivoli, nasce, invece, dalla collaborazione di Bruna Esposito con il compositore Stefano Maria Longobardi. La musica composta convive o si alterna a quella di uccellini ospitati nelle gabbie solitamente impiegate per uso domestico. La leggerezza delle note passa attraverso le piccole sbarre, diffondendosi nello spazio. Un rituale di movimenti lenti e gentili, eppure dolorosi ed inquietanti, caratterizza Aureole (1999). Una serie di polpi essiccati disposti a corona ruota lentamente intorno ad una sfera di travertino, mentre un ventaglio di baccalà si alza e si piega dall’alto di una piccola colonna. Le creature catturate ed essiccate per diventare nutrimento vengono dotate di una seconda vita e al tempo stesso esposte come elementi che raccontano la storia del ciclo vitale, dove il decadimento, la morte, ma anche la necessità di reperire il cibo sono costanti imprescindibili.

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Tra i prestigiosi riconoscimenti internazionali ottenuti, nel 1999 Bruna Esposito ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia insieme alle altre artiste selezionate per il Padiglione Italia. Aquarell (1999), l’opera esposta in quell’occasione come un miraggio galleggiante sulle acque veneziane, è oggi parte della collezione del Castello. Aquarell è una panchina di specchi, fragile eppure potenzialmente tagliente, intorno alla quale, su richiesta dell’artista crescono le ortiche. L’opera è permanentemente installata nello spazio verde antistante alla Manica Lunga.

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MOSTRE SELEZIONATE 2003 2001 2001 2000 1999 1999 1997

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Ottava Biennale di Istanbul 51. Biennale di Venezia, Giardini e Arsenale, Venezia Milano Europa 2000. Fine secolo. I semi del futuro, PAC, La Triennale, Milano Verso Sud, Castello di Piglio, Piglio-Frosinone Clocktower National and International Studio Program 1999-2000, PS1 Contemporary Art Center, Long Island City, New York 48a Biennale di Venezia, Giardini e Arsenale, Venezia Documenta X, Kassel



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> Cyprien Gaillard «Condannare o combattere contro l’inevitabile è inutile. Sono convinto che il mondo e la vita, in tutte le sue forme, siano regolate dalla legge dell’entropia. Io celebro questo principio di inevitabile decadimento e in qualche modo lo accelero: sia attraverso il mio lavoro (gli estintori, il tagliare gli alberi...) sia attraverso la mia vita di tutti i giorni (il mio persistente rifiuto a riciclare). Penso che attraverso il Caos si raggiungerà una nuova armonia». Cyprien Gaillard Nato nel 1980 a Parigi, Francia Vive e lavora a Parigi, Francia

Il centro intorno a cui gravita l’opera poliedrica di Cyprien Gaillard è il concetto di entropia, termine ripreso dalla termodinamica e interpretato come misura del disordine di un sistema fisico. Semplificando, si può dire che nel momento in cui un sistema passa da uno stato ordinato ad uno disordinato la sua entropia aumenta. In modo romantico, l’artista esplora questa legge fisica, questa possibilità, questa funzione di stato all’interno di contesti urbani e naturali, dove il sopraggiungere del caos è spesso subliminale. Perché Gaillard, con i suoi interventi, cerca, e trova, un elemento di rottura con la tradizione, sfogliando decisamente nell’orrido, nell’inquietante, facendo rientrare, di diritto, il suo lavoro nella categoria, appunto, del sublime. L’attività artistica di Cyprien Gaillard mette in discussione il concetto romantico di natura come qualcosa di fondamentalmente armonioso con cui gli esseri umani dovrebbero trovarsi in equilibrio. La stessa creazione del pianeta, del resto, secondo l’artista, è stata una storia tutt’altro che idilliaca: le eruzioni vulcaniche, i terremoti, le estinzioni e gli incendi devastanti suggeriscono implicitamente che la natura si è sempre accompagnata alla violenza del caos, all’entropia e alla disarmonia, anche prima che la storia umana avesse inizio. Il presunto stato di quiete della Terra è stato così da tempo. Importante nel lavoro di Cyprien Gaillard è soprattutto lo spazio pubblico. La sua pratica artistica è spesso una riflessione sul suo utilizzo e la sua occupazione, sul paesaggio urbano, sui rapporti fra centro e periferia, sulla convivenza metropolitana, le politiche abitative e l’urbanistica. E’ un artista poliedrico che si muove a suo agio fra i più svariati linguaggi

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. Intervista a Cyprien Gaillard in occasione della

prima personale dell’artista alla galleria SMS contemporanea di Siena, 13 Dicembre – 1 Marzo 2009. 9

. In Mousse Magazine, n.9 del 2007, pp.15-17.

10

. Ibidem.


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espressivi, concentrando la sua riflessione sulle relazioni che intercorrono tra le pratiche artistiche degli anni Settanta e quelle più attuali. Si interroga su tematiche che vanno, appunto, dai legami con i movimenti artistici della Land Art, con particolare attenzione per il lavoro di Roberth Smithson e Gordon Matta-Clark, all’interesse per l’estetica dell’architettura fallimentare, dal lavoro sul labile confine tra vandalismo di stato e atto illecito individuale, all’attenzione ai paesaggi suburbani e alle demolizioni spettacolari. Come dice il critico e curatore Lorenzo Fusi8, quello di Gaillard è un lavoro che non si confonde con l’operato degli architetti, che non cerca risposte politiche al fallimento delle utopie sociali e architettoniche ma che piuttosto pone attenzione all’estetica e alla bellezza della rovina e delle architetture disertate e cerca di cambiare il nostro approccio a quegli edifici che hanno un valore storico nonostante il loro fallimento. Una rieducazione al paesaggio e alle forze entropiche che lo ridefiniscono. Perché lo spazio antropizzato rientra nel paesaggio. Uno dei linguaggi prediletti dall’artista è quello della rappresentazione filmica, come ad esempio Desnianssky Raion (2007), cortometraggio in cui rappresenta il ritratto antiutopico degli scontri fra bande urbane rivali, in un’architettura moderna altrettanto brutale. Quella che sembra una Stonehenge del XXI Secolo è in realtà l’insieme di blocchi “megalitici” di torri situate nei sobborghi di Parigi, San Pietroburgo, Belgrado e Kiev, che per Gaillard richiamano l’Età Medievale, i suoi castelli minacciosi e cintati, la fede cieca nella Chiesa, le guerre senza fine9. La sensibilità dell’artista per le rovine riporta in primo piano la riflessione dell’artista Roberth Smithson sull’entropia, condizione irreversibile per cui ogni sistema tende al deterioramento e al collasso. L’opera di Gaillard sembra coltivare attivamente gli stati entropici, e addirittura li accelera, se necessario, con l’aiuto di estintori e azioni violente come l’abbattimento di alberi, nel tentativo di «raggiungere una rinnovata armonia con il caos»10. Nel 2003 inizia la serie Real Remnants of Fictive Wars, che fino allo scorso anno consisteva in sei film 35mm di durata variabile, da pochi minuti a una ventina di minuti. Paesaggi apparentemente tranquilli in ambienti rurali e urbani - la periferia di Parigi, un tunnel della stessa periferia parigina Petite Cinture, una foresta in Auvergne, una fitta giungla in Vietnam, e il terreno dell’ottocentesco castello Chateau de Millemont - sono improvvisamente avvolti da nuvole di vapori bianchi emesse da estintori industriali. Uno dei film più recenti, proiettato per la prima volta in occasione della mostra Greenwashing cancella l’iconica opera di Land Art, Spiral Jetty, creata sulla riva del Salt Lake, nello Utah, da Robert Smithson nel 1970. Un gesto analogo compare nelle tele di The New Picturesque (2007), una serie di vedute bucoliche ispirate ai dipinti di Courbet, Poussin e Lorrain,

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ma “vandalizzate” con vernice bianca. Al di fuori delle regole della buona condotta ambientale e della conservazione dei beni artistici, le nubi tossiche en plein air di Cyprien Gaillard, simili a graffiti, ridisegnano il paesaggio come se la nube, che ad un certo punto lo aveva annientato, potesse riportarlo in vita, conferendogli una dimensione più profonda. Il fumo che si vede nelle sue fotografie proviene da estintori che l’artista svuota nei paesaggi più diversi, documentando ciascun atto con un video, una sorta di cinema minimale, una pratica per alcuni versi molto vicina al vandalismo pubblico, come sostiene lo stesso Gaillard. Spettacolarizzazione, modernismo, detriti, disordine, entropia, utopia, architettura fallimentare, vandalismo, sono le parole che meglio esprimono il lavoro di questo artista.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2007 2007

Architecture and Its Discontents, Kaleidoscope Project Space, Milano Pittoresk, MARTa Herford Museum of Art and Design, Herford Laboratorio 987, MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y Leon Frac Champagne Ardenne, Reims Stroom Den Haag, The Hague Pruitt-Igoes Falls, Kunsthalle Fridericianum, Kassel Art TLV 09 - International art biennial, Tel Aviv Modernism as a ruin, Generali Foundation, Wien Christian Frosi. Arte e Natura nel Parco, Parco Regionale di Roccamonfina Foce del Garigliano, Roccamonfina (CE) Projection of selected videos with musical performance by KOUDLAM, Galeries du musée de Toulon Projection of selected videos with musical performance by KOUDLAM, The Long Week End, Turbine Hall, Tate Modern Projection of Desniansky Riaon with musical performance by KOUDLAM, New Museum, New York City Projection of Desniansky Riaon with musical performance by KOUDLAM Santo Spirito in Sassia, Roma SMS Contemporanea, Museum Complex of Santa Maria della Scala, Siena Second_nature, Centre artistique et culturale du domaine de Chamarande, Chamarande Re-construction, Biennial of Young Artists, Bucharest Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Homes & Graves & Gardens, Centre d’Art et du Paysage de l’Ile de Vassivière, Vassivière

2007 2007

Art Unlimited, Art Basel, Bâle, avec / with Cosmic Galerie, Paris and Art & Public, Genève Desniansky Raion, Cosmic Galerie, Paris Beyond the Country Perspectives of the Land in Historic and Contemporary

2006 2006

Art, Lewis Glucksman Gallery, Cork The Lake Arches, Laura Bartlett Gallery, London L’usage du monde, Musée d’art moderne et contemporain, Rijeka

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. Il criticismo è un indirizzo filosofico che si

propone di risolvere i problemi della conoscenza filosofica con la sua scomposizione in problemi elementari, in modo da poterli studiare meglio, e poi giudicare. Il suo principio sta nel criticare la ragione tramite la ragione stessa, in modo da scoprirne i limiti e da fondare con certezza alcuni dei principi che afferma.


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> Tue Greenfort «La Natura non può essere considerata come qualcosa al di fuori di noi, qualcosa che racchiuda tutto quello che è fuori dalle città o dalle attività umane. Come organismi viventi, anche noi siamo immersi nella natura e tutte le nostre azioni hanno un impatto sulla natura e possono essere considerate come parte di essa». Tue Greenfort E’ nato nel 1973 a Holbæk, Danimarca Vive e lavora a Berlino, Germania

Il lavoro di Tue Greenfort può essere descritto come un processo filosofico articolato in diverse tappe, tutte incentrate sulla necessità di ripensare, in termini critici, il rapporto dell’uomo con il suo ambiente. Questo leitmotiv viene declinato dall’artista in modalità sempre diverse e mutevoli, non soggette a uno schema fisso ma variabili a seconda dei luoghi e delle circostanze in cui si trova a operare. Nella pratica artistica di Greenfort l’ambiente non è mai osservato come un sistema chiuso e pacificato, da riportare a una dimensione ingenuamente idillica in opposizione allo sfruttamento dell’uomo, ma, piuttosto, come un campo dispiegato di forze contrastanti, biologiche e politiche, tutte da verificare e da analizzare nelle loro componenti essenziali. Nel procedere dei suoi interventi più recenti, l’artista si è occupato di una molteplicità di problemi legati all’uso e alla produzione delle energie. Erede innovativo del criticismo11 europeo di matrice illuminista, il lavoro di Tue Greenfort si propone come un processo interrogativo sulle dinamiche culturali ed economiche che informano e condizionano la relazione uomoambiente. Lontani da ogni determinazione teorica rigida e definita, gli interventi dell’artista sono ipotesi di comprensione culturale, modelli critici strutturati ogni volta sulle peculiarità del contesto e della geografia sociale in cui egli si trova a operare. La continuità concettuale del metodo e delle strategie di analisi operate dall’artista si accompagna, così, ad una costante variabilità degli strumenti adoperati e delle sue realizzazioni finali, conferendo una natura essenzialmente imprevedibile e anti-ideologica a

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. Still Life. Art, ecology and the politics of

change, Sharjah Biennal 8 – dal 4 Aprile al 4 Giugno 2007. 13

. Il primo rapporto finanziato da un governo,

nello specifico quello inglese, preparato sotto la direzione dell’ex capo economista della Banca Mondiale Nicholas Stern su richiesta del governo britannico, per individuare, in oltre 700 pagine, gli effetti dal punto di vista economico e sociale del surriscaldamento del clima.


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tutto il suo lavoro. I lavori di Tue Greenfort si sviluppano in maniera non lineare, tuttavia ogni nuovo progetto sembra nascere spontaneamente da quello precedente. I suoi interventi affrontano questioni urgenti per la società globalizzata come l’agricoltura, lo spreco, l’industria e la biodiversità. In particolare negli ultimi anni, l’inquinamento, le modalità del riciclare e le politiche cosiddette “verdi”, sono stati al centro della sua riflessione artistica, che consiste in minimi interventi su processi già esistenti. In una delle sue opere più conosciute, presentata negli Emirati Arabi, alla Biennale di Sharjah12, l’artista faceva esplicitamente riferimento al Rapporto Stern13 e alla ricerca secondo la quale occorre limitare a due gradi l’incremento del riscaldamento globale nei prossimi cinquant’anni per evitare gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Per quella occasione Greenfort alzò di due gradi la temperatura delle sale espositive del Sharjah Art Museum, riducendo il lavoro degli impianti di climatizzazione e provvedendo, con il denaro ricavato dal risparmio energetico, all’acquisto di una porzione di foresta pluviale in Ecuador. Secondo l’artista, infatti, la natura non può e non deve essere considerata come qualcosa al di fuori di noi, qualcosa che racchiude tutto ciò che è fuori dalle città o dalle attività umane. Organismi viventi, anche noi siamo immersi nella natura e tutte le nostre azioni hanno un impatto su di essa e possono essere considerate come parte del tutto. I progetti di Tue Greenfort sono, quindi, segnati da un’interdisciplinarietà e un approccio “scientifico” sviluppato attraverso ricerche approfondite e dettagliate. Nelle sue opere l’artista invita ad interrogarsi sul potere dell’arte in merito alla sua potenziale capacità di cambiare il mondo. Greenfort lavora nella convinzione che l’arte abbia la capacità, traendo ispirazione da diverse discipline, di elaborare ed aprire questioni delicate, senza per questo dover essere etichettata politicamente. Nei suoi lavori dimostra di essere meno interessato agli animali di per sé di quanto non lo sia invece al concetto allargato di ecologia, che comprende in sé storia culturale e socio-politica oltre che lo studio delle risorse naturali. L’artista gioca con il concetto di ecologia legata ai luoghi, appropriandosi delle strategie tipiche dell’arte site specific. Per questo fa spesso uso di risorse capaci di attirare l’attenzione sull’ambiente immediato che lo circonda, spingendo gli spettatori verso una comprensione più riflessiva del mondo circostante. Greenfort adopera teche e provette, punta spilli su insetti e piante come Linneo, fingendo di classificare, di studiare e fare esperimenti di fisica e biologia. «Natura - spiega Greenfort - è un concetto al quale spesso mi ricollego. In primo luogo c’è l’esperienza diretta, spontanea e semplice del mondo vivente che mi circonda. Natura per me è la relazione complessa

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. Intervista con Francesca Pagliuca, in UOVO,

n.14 del 2007, p. 25


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tra l’appartenenza e l’ignoto: anche se siamo in grado di riconoscere un uccello o una piantina, di compararli e distinguerli, continuiamo a non avere la minima idea di ciò che essi significhino»14. In una mostra del 2005, che aveva come tema il collegamento tra due regioni tedesche divise dal confine naturale del fiume Elba, Greenfort ha realizzato un progetto di arte pubblica commissionato dal comune tedesco di Glückstadt. Si trattava di una installazione in movimento dal titolo A White Shade of Pale: alla guida di un autobus a carburante ecologico (olio vegetale) percorreva il fiume a bordo di un ferryboat che metteva in comunicazione le due rive sulle quali si svolgevano le mostre della collettiva. In un’altra opera si è confrontato, invece, sul tema delle relazioni che intercorrono tra uomo, animale, e città. Con il titolo Daimlesrstr. 38 (2001) Greenfort, attraverso una serie di riprese fotografiche, ha posto una camera nascosta nel paesaggio desolato della periferia industriale di Francoforte e ha legato a un filo una salsiccia collegandola allo scatto. Lo scopo era attirare le volpi che popolano quelle zone, in un progetto che vuole essere pseudo-scientifico: dapprima l’animale appare sorpreso dal flash della macchina che scatta l’immagine appena si avvicina al cibo richiamata dall’odore, ma nell’arco di una settimana l’astuta volpe impara a rubare il bocconcino senza che la macchina fotografica riesca più a immortalarla. Come già detto, Greenfort non è interessato agli animali in sé, piuttosto a un concetto esteso di ecologia, che metta insieme la storia della cultura e la sociopolitica, intese come risorse in natura. La performance utilizza un trabocchetto primitivo per prendersi gioco della natura (la volpe) e ci riporta alla questione dei confini, spaziali e ontologici, tra essere umani e animali, in un contesto oggettivamente umano come la città. Greenfort abbraccia in questo senso l’ideale, che fu dei Situazionisti, dello spontaneo sovvertimento del funzionalismo ovattato dei tempi moderni. Il riferimento ai Situazionisti è particolarmente evidente in un lavoro realizzato nel 2002, Fresh and Upcoming. Si tratta di un’installazione realizzata nel luogo pubblico per eccellenza: la strada. Un’opportunità di intervenire nell’ambito urbano non tanto come dimostrazione della libertà individuale, quanto piuttosto come una prova di essa, che induceva lo spettatore a spegnere e accendere un interruttore collegato ad un lampione. Nel 2005 l’artista nordico realizza Bonaqua Condensation Cube, che fa riferimento all’installazione di Hans Haacke del 1963. Qui Greenfort riempie un contenitore trasparente con una qualità di acqua “griffata” prodotta dalla Coca Cola, interrogandosi sul problema della privatizzazione

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delle risorse pubbliche primarie come l’acqua. L’arte di Greenfort evoca un mondo in cui animali, esseri umani, natura, cultura, scienza e industria, come l’opera d’arte e la sua collocazione, sono collegati da una rete di relazioni. È un concetto di ecologia così complicato e contraddittorio quello sviluppato da Greenfort che si adatta perfettamente ai nostri tempi, nei quali le volpi sono nel contesto urbano i nostri vicini di casa e l’acqua non è così trasparente come appare. «Io non osservo la natura come un fenomeno esterno – sostiene in un’intervista – ma come uno che interagisce all’interno di uno spazio, un habitat o un ambiente dove sono uno dei tanti organismi esistenti».

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Radical Nature, Art and Architecture for a Changing Planet 1969–2009, Barbican Art Gallery, London Life Forms: A discussion about how nature is viewed in contemporary art , Bonniers Konsthall, Stockholm Greenplatform. Arte, ecologia, sostenibilità, CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze Moral Imagination. Current Positions in Contemporary Art in the Face of Global Warming, Museum Morsbroich, Leverkusen A better world, Bonner Kunstverein, Bonn Liverpool Biennial 2008. Made up, Different Location, Liverpool Supernatural, CCA Andratx, Majorca Tue Greenfort, Fondazione Morra Greco, Napoli Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Tue Greenfort, Johann Konig, Berlin Two exhibitions: Piotr UklaĐski ‘A retrospective’ + Tue Greenfort ‘Medusa’, Wiener Secession, Wien Offers for re-enacting, Kunsthalle Exnergasse, Wien SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Tue Greenfort, Witte de With, Rotterdam Beautiful Nature. Spazi di rappresentazione della natura, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Castel San Pietro Terme (BO) Tue Greenfort, Max Wigram Gallery, London Arts & Ecology programme, Royal Society of Arts, London


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. Il Naturalismo, movimento nato in Francia alla

fine dell'Ottocento come applicazione diretta del pensiero positivista, si propone di descrivere la realtà psicologica e sociale con gli stessi metodi usati dalle scienze sociali. Tra i fondamenti teorici del Naturalismo vi è la concezione che la psicologia umana debba essere considerata alla stessa stregua dei fenomeni della natura perchÊ entrambi accadono con il medesimo svolgersi di causa ed effetto. 16

. Novelas de la selva, Museo Rufino Tamayo –

dal 26 Giugno al 21 Settembre 2008.


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> Henrik Håkansson «Il primo proposito è quello di provare a focalizzare la nostra attenzione sui problemi della sopravvivenza. Il mio lavoro si propone , appunto, di comprendere e divulgare le strutture ambientali del mondo naturale dal quale tutti dipendiamo. Il secondo obiettivo consiste nel prendere consapevolezza, salvaguardare e sviluppare la nostra visione riguardo a tutto ciò. Il terzo è cambiarla». Henrik Håkansson E’ nato nel 1968 a Helsingborg, Svezia Vive e lavora tra Varberg, Svezia e Berlino, Germania

Attraverso i suoi video, i lavori acustici e le complesse installazioni, Henrik Håkansson estrae frammenti dai cicli naturali per poi ricrearli e documentarli. Spesso, con l’aiuto di sofisticati mezzi tecnologici, l’artista osserva la crescita delle piante, lo sviluppo degli uccelli e degli insetti, esaminando le possibili pieghe che il dialogo tra l’umano e il naturale può prendere. Nelle sue ricerche recenti si focalizza sulla ripetizione e i pattern prodotti dalle apparizioni di massa di specie diverse, catturati attraverso sistemi temporizzati. Ispirate alle tecnologie animali – dai sistemi di ecolocazione dei chirotteri ai richiami dei volatili – le opere di Håkansson vivono in uno stato di grazia fra esperimento scientifico, documentazione e romanticismo “naturale”. Frutto di un approccio interdisciplinare di matrice naturalista15, il lavoro di Henrik Håkansson combina interessi trasversali che sono di carattere biologico, antropologico ed estetico. L’osservazione attenta dei ritmi di vita naturali, lo studio delle piante e degli animali, costituiscono la base scientifica di una riflessione più ampia - portata avanti attraverso la registrazione e la presentazione di frammenti di cicli naturali - sulle possibili forme di relazione tra l’uomo e la natura. Nel 2008 il Museo Rufino Tamayo di Città del Messico ha dedicato ad Håkansson un’importante mostra personale16 a seguito del soggiorno dell’artista nella riserva messicana di Montes Azules, nella zona di Selva Lacandona. Tra i lavori realizzati in quella occasione, (Chronicles) Selva Lacandona (2008), l’artista presentava 100 immagini tratte da una serie di riprese

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. GreenPlatform. Arte Ecologia Sostenibilità,

CCCS, Firenze – dal 24 Aprile al 19 Luglio 2009. 18

. Intervista con Henrik Hakansson di Jörg

Heiser, Earth Sound Research Revival, in Mousse

Magazine, n. 21 del 2009.


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effettuate con 12 videocamere di sorveglianza posizionate nella parte meridionale della foresta. Se alla fonte del progetto c’è soprattutto la volontà di studiare la ciclicità dei processi naturali; il pericolo corso dalla Selva, che vede progressivamente diminuiti i propri confini a causa dell’intervento dell’uomo, conferisce al progetto significati diversi: l’analisi dei comportamenti degli animali diviene, in questo caso, lo studio di una lotta per la sopravvivenza di fronte al progressivo restringimento degli spazi vitali. In proposito, tra i lavori sonori presentati al Museo Tamayo, MARCH.16 (Pharomachurus mocinno) (2008), riproposto in occasione della mostra GreenPlatform17, riproduce il canto del Quetzal, l’uccello più famoso dell’America Centrale, venerato presso i Maya e gli Aztechi con il nome di Quetzacoatl, il serpente piumato. Considerato ancora oggi il “re” degli uccelli, il Quetzal è ormai una specie in via di estinzione. Nel lavoro di Håkansson il canto del Quetzal è riprodotto da un amplificatore, un Fender Reverb 65, considerato a sua volta una leggenda e definito, nella scena rock, il “re” della sua categoria. L’opera viene dunque a costituirsi come una scultura-santuario, un omaggio a una leggenda vivente, il Quetzal, di cui presto dovremo probabilmente affidare il canto alla sola riproduzione artificiale. «Io sono l’unico punto di partenza. Ogni cosa e’ vista dal mio punto di vista, tutto muove da ciò che voglio vedere. L’ansia e la decisione di passare oltre vanno sempre di pari passo, perché nulla è mai concluso. Nei casi che ricordi, ma anche più in generale, vedo il lavoro come un processo naturalmente legato al processo cui fa riferimento. Una sorta di infinità, una specie di movimento circolare che torna sempre dove è partito, ma senza inizio né fine. È un aspetto problematico, perché in molti sensi guardo spesso con una certa repulsione a miei lavori che sembrano conclusi: avrebbero potuto essere diffusi in forme diverse; ma non userei mai il termine repulsione parlando del soggetto, o dell’argomento, di un mio progetto. Mi sento di dire che nutro il bisogno di rivisitare, o di cercare la possibilità di riprendere un mio lavoro, di restarci vicino o persino dentro. Probabilmente considero i lavori che concludo come parti di un progetto continuativo»18.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2009 2009 2009 2009 2008 2007 2007 2007 2007 2007 2007 2006 2006 2006

2005 2004 2003

2003 2002

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Rethink. Contemporary Art & Climate Change, Different locations,Copenhagen Radical Nature, Art and Architecture for a Changing Planet 1969–2009, Barbican Art Gallery, London Life Forms: A discussion about how nature is viewed in contemporary art , Bonniers Konsthall, Stockholm Greenplatform. Arte, ecologia, sostenibilità, CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze I Paesaggi e la Natura dell’Arte, Museo d’Arte Contemporanea Sannio – ARCOS, Benevento LIAF 2008, Different locations, Lofoten islands, Norway Henrik Hakansson, Three days of the condor, Kettle’s Yard, Cambridge Timeout. Art and Sustainability, Kunstmuseum Liechtenstein, Vaduz SituazionIsola. A New Urbanism, Isola Art Center, Milano Silenzi0, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino La magnifica ossessione MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, Nuoro SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Tropico-Vegetal, Palais de Tokyo, Paris Air-port-city, Tanya Bonakdar Gallery, New York artist-in-residence exhibition, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston, Palais de Tokyo, Paris (with Allora-Calzadilla and Sergio Vega) Galleria Franco Noero, Torino, Italy Henrik Håkansson, The Dunker Culture Centre, Helsinborg, Sweden An Introduction to the birds, Villa Merkel, Esslingen; De Appel, Amsterdam; Bonner Kunstverein, Bonn Moderna Museet c/o Riddarhuset, Stockholm Henrik Hakansson, Index, Stockholm Secession, Wien



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> Ilana Halperin «All’interno della mia pratica artistica, i disegni, come quelli dei continenti, combinano eventi conosciuti con situazioni fantastiche che accadono nella vita reale. Le idee, così come i continenti, sono in continuo movimento, le lasci inattive e all’improvviso eruttano di nuovo. Vengono fuori così come accade per i territori sommersi. Nuove masse territoriali. Di sicuro le terre vengono fuori secondo diversi insiemi di regole, comunque spontanei e precisi come accade per un pettegolezzo durante un pasto o una seduta di lavoro in cima ad un vulcano. Giustapposizioni insospettate del casuale e dell’inconcepibile. Per me il disegno non è altro che uno studio in potenza. Un modo per decifrare gli eventi». Ilana Halperin E’ nata nel 1973 a New York, USA Vive e lavora a Glasgow, Gran Bretagna

Dopo aver iniziato la sua carriera artistica come scultrice, Ilana Halperin ha deciso di occuparsi sempre di più di pratiche performative, intraprendendo una serie di progetti volti all’esplorazione delle relazioni tra i fenomeni geologici e la vita quotidiana. In tutti i suoi progetti gli eventi politici, storici e naturali confluiscono in un unico flusso narrativo. Ilana, a questo proposito, studia i cambiamenti della Terra usando la geologia come un linguaggio che le permette di penetrare l’intima relazione tra l’uomo e la continua trasformazione del nostro pianeta, analizzando, da sempre, le relazioni tra i propri ritmi di vita e quelli di fenomeni naturali. Si sofferma sull’intersezione temporale che intercorre tra la sfera personale, quella storica e quella geologica. Approfondisce temi scientifici creando narrazioni laterali, ma i suoi riferimenti geologici non sono solo citazioni scientifiche. Attraverso una disparità di mezzi comunicativi- lavori fotografici, disegni, lectures performative, brevi racconti, installazioni scultoree – la Halperin combina la topografia di esperienze personali con fenomeni geologici, registrando coincidenze di incontri fortuiti, affrontando ogni scoperta con la meraviglia di chi scopre il non cercato, l’improvviso. Gli eventi geologici diventano, così, melodrammi, e le narrazioni personali si fanno scientifiche attraverso una collisione della scala dei tempi geologici e personali. L’artista segue dal vivo ogni evento (che sia l’eruzione di un vulcano o lo scioglimento di un ghiacciaio), il suo è un lavoro di re-interpretazione,

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. Palenque è un sito archeologico Maya nello

stato messicano del Chiapas. Al suo interno conserva una delle più belle opere di architettura e scultura che i Maya abbiano prodotto. Il lavoro di Smithson, in collaborazione con la moglie Nancy Holt, documenta le rovine che ospitarono il soggiorno degli artisti. L’albergo è un cimelio del passato. Un non luogo. Un complesso mal ridotto di immagini, congetture, analisi e ricordi. 20

. E’ curioso ricordare che anche Smithson visitò

il vulcano, proprio nel 1973, con l’intenzione di realizzare, in seguito a questa esperienza, un lavoro in risposta all’emergenza ambientale. Morì, purtroppo, tragicamente l’anno successivo. 21

. Dromocroma, Galleria Autori Cambi, Roma –

Febbraio 2004


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decifrazione e ri-locazione dei ritmi di vita biologici e umani. I progetti, spesso, implicano il viaggio verso destinazioni remote che si concludono in azioni artistiche e gesti poetici. Le sue imprese, a questo proposito, l’hanno condotta dalle remote montagne Karst, nel Guanxi, nel Sud-Ovest della Cina, fino alla fitta rete di caverne in Slovenia. L’approccio concettuale di Ilana e, la sua tecnica, richiamano alla memoria i lavori del Land Artist Robert Smithson, in particolare la sua idea di entropia (sulla quale si sofferma molto anche Cyprien Gaillard) e la nozione di luogo/non-luogo, dove la “questione artistica” riesce a descrivere un luogo in maniera virtuale, utilizzando campioni geologici prelevati dal sito. A questo proposito, infatti, nel booklet che accompagna la ricerca svolta nel 2005 per il Camden Arts Centre di Glasgow, fa riferimento agli scritti di Smithson che descrive il viaggio, suo e di Donald Judd, alla pratica del rock-hunting nel New Jersey, e il loro ambivalente interesse per la mineralogia e la geologia. Ruins in Reverse - Nomadic Landmass (2003), il cui stesso titolo è un omaggio all’Hotel Palenque19 di Smithson – una lecture presentata agli studenti di Architettura dello Utah, nel 1972, - fa parte del più ampio progetto denominato Nomadic Landmass, ispirato al vulcano Eldfell, un cono di cenere vulcanica, formatosi dopo l’eruzione del 1973 sull’isola di Heimaey, di fronte alla costa sud dell’Islanda, luogo dove Ilana ha festeggiato il suo trentesimo compleanno20. L’opera Ruins in Reverse costituisce un vero e proprio omaggio a Smithson che, negli anni Settanta, iniziò a documentare le sue escursioni nei sobborghi cittadini in pieno sviluppo, trattandoli come veri e propri monumenti. Ilana considera l’idea come un’entità multi-dimensionale nel tempo e nello spazio, continuamente accresciuta dalle associazioni riflessive tra le sue parti costituenti, lo spettatore, l’artista e la storia, entrambi personali e pubbliche. Quello che ha presentato nella sua prima mostra in Italia alla Galleria Autori Cambi21 nel 2004, consisteva in un grande wall drawing, nel quale la sua traccia ripercorreva l’incredibile e complessa stratificazione storicoarchitettonica del luogo che ospitava la galleria stessa. Bisognerebbe aggiungere al vocabolario dei neologismi una parola che coniuga la geofisica e l’arte del saper vedere i molteplici piani di lettura della realtà. Quella scientificamente esatta è “Dromocroma”, e indica la «traccia dei tempi di propagazione di un’onda sismica in funzione della distanza dall’epicentro di un terremoto». Seguire le tracce lasciate dall’artista al visitatore può tramutarsi in un’esperienza che lo porta al di là del mondo conosciuto, verso le remote dimensioni del tempo e dell’esperienza possibile.

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Esperienza estetica, per chi ha familiarità con i concetti di visibile ed invisibile. Il progetto Eldfeel and I are the Same Age (2004), è come un’inondazione di lava di lapis. Il vulcano chiamato Eldfeel, emerso da trent’anni, compie la sua prima eruzione nel giorno del trentesimo compleanno dell’artista che lo va a visitare seguendo dal vivo l’evento a cui si sente, in qualche modo, strettamente legata. Un sottile desiderio che l’uomo porta in sé da quando ha scoperto di essere in grado di agire sul proprio destino: sentirsi parte del mondo che, come un fiume in piena, continua a scorrere per fenomeni determinati, ignorando completamente la sua presenza. Corrispondenze che innescano nella Halperin i termini di un progetto. Un lavoro la cui meticolosità sottolinea il valore del tempo anche se, per sua stessa natura, è concepito come la negazione del senso della durata. Il suo intervento si completa con un lavoro sonoro, una testimonianza viva delle vibrazioni che la natura trasmette. Quindi, che stia parlando d’amore con un esperto vulcanologo, navigando verso la Groenlandia a bordo di una rompighiacci, o che stia festeggiando il proprio compleanno insieme ad un vulcano che ha la sua stessa età, Ilana Halperin usa la propria relazione con i fenomeni per offrire la chiave di lettura dei più impenetrabili paesaggi naturali. Il paragone tra fenomeno geologico ed esperienza personale può essere tradotto in quello più alto tra sublime e terreno. La Halperin porta avanti l’idea che i due concetti siano intrecciati a tal punto da essere concatenati, strettamente correlati con il tempo profondo dell’universo. La coincidenza del tempo e degli eventi fa pensare che la relazione tra l’uomo e l’ambiente, il tempo e l’azione, la ricerca e l’immaginazione, siano assolutamente reciproci.

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Experimental Geography, The Colby College Museum of Art, Waterville Portscapes, around Maasvlakte 2, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam Spring Exhibitions, Ilana Halperin Space’s, New York Experimental Geography, Richard E. Peeler Art Center, Greencastle Estratos’’, Different locations, Murcia Physical Geology. Alchemy Project. Manchester Museum, Manchester Towards Heilprin Land. Doggerfisher, Edinburgh. SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Infinite Orogeny, a two person show with Adam Putnam, Studio Visconti, Milano The Square Root of Drawing, Temple Gallery, Dublin How I Finally Accepted Fate. Curated by Jason Murison. Elizabeth Foundation. New York Nomadic Landmass, Doggerfisher, Edinburgh Dromocroma, a two person show, Autori Cambi, Rome. The Dazzled Eye, The Whitworth Gallery, Manchester Our House is a House that Moves.Skuc Galerija, Ljubljana Participation in the Makrolab project, Venice Biennale Two-person show with Adam Putnam. The Kettilhouse. Akureyri, Iceland The Difficulty of Falling in Love During an Earthquake, Tramway, Glasgow Multiples in Time and Space, Ampersand International Arts. San Francisco Geologic Intimacy, Switchspace, Glasgow


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. Thomas Friedman, Il mondo è piatto. Breve

storia

del

Milano 2006.

ventunesimo

secolo,

Mondadori,


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> Deborah Ligorio «Il concetto di sostenibilità supera, a mio avviso, il contesto ambientale e ambientalista: riguarda l’ecologia della vita quotidiana, i rapporti umani, gli adattamenti culturali, l’equilibrio interiore in rapporto all’esterno. Penso si possa considerare – il concetto di sostenibilità -una filosofia applicabile all’economia in generale, sia a quella dell’esistenza individuale sia a quella sociale. La sostenibilità è un atteggiamento che si confronta con la consapevolezza che tutto tende ad esaurirsi, una teoria che si preoccupa del mantenimento di un equilibrio costante. Robert Smithson per parlare d’entropia, la tendenza dei sistemi organizzati di disintegrarsi nel tempo, usava nel suo saggio “Entropy and the New Monuments” (1966) il monito del romanziere Vladimir Nabokov: ‘The future is but the obsolete in reverse’». Deborah Ligorio E’ nata nel 1972 a Brindisi, Italia Vive e lavora a Berlino, Germania

I lavori di Deborah Ligorio sono opere narrative e, solitamente, le osservazioni d’impronta sociologica ne sono il filo conduttore. Una peculiarità dei nostri tempi è la velocità dei cambiamenti. All’artista interessa leggere gli effetti prodotti da queste trasformazioni, attraverso un approccio umano ed emotivo, ma non sentimentale o lirico. Si tratta di operare attraverso uno sguardo disincantato, producendo un’analisi che risvegli la consapevolezza e ipotizzi possibili soluzioni per non subire passivamente questi mutamenti. Nei suoi lavori Deborah Ligorio sembra seguire l’idea della creazione della forma pura piuttosto che quella di una rappresentazione di tipo naturalistico, stabilendo l’importanza della non oggettività dell’arte, riducendo al minimo gli elementi strutturali che compongono la natura. Pochi elementi essenziali, sia dal punto di vista formale, sia cromatico, costituiscono i suoi lavori e creano un’immagine accostabile ad un perfetto sistema informatico. L’artista propone, così, uno schema di rappresentazione atto a ricreare o semplificare il sistema globale, sociale ed economico, in cui viviamo. Le mappature che ne risultano altro non sono che una visualizzazione astratta di configurazioni sociali, politiche ed economiche, di flussi di trasformazione e di cambiamenti di abitudini e prospettive. Le forme richiamano dei pattern modernisti eppure si riconfigurano seguendo i flussi della società contemporanea in cui l’immagine che osserviamo ci suggerisce che, come per Thomas Friedman, «il mondo è piatto»22. Il testo di Friedman, a questo proposito, ci regala la fotografia di un pianeta

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in cui le distanze si sono annullate, in cui non ha più nessuna importanza in quale angolo della terra ci si trovi, perché il mondo è diventato del tutto trasparente, accessibile, percorribile in lungo e in largo. E’ diventato piatto. La globalizzazione, che ha investito la nostra quotidianità, ha preso talmente piede da essere ormai un fatto scontato, tanto a portata di mano da aver reso il pianeta un grande campo dalle opportunità straordinarie, ma solo per chi saprà coglierle. Così, le diverse reti capaci di creare una differente mappatura dello spazio rappresentato non sono solo il risultato degli ambienti costruiti, ma anche e soprattutto il prodotto delle relazioni sociali. Nelle sue alterazioni video le forme geometriche che si avvicendano sullo schermo, si compongono e scompongono secondo un andamento rigido e matematico, creando affascinanti composizioni astratte, mentre la voce dell’artista attraverso una meccanica litania in lingua inglese (la lingua della globalizzazione), riporta il discorso sulla realtà circostante focalizzando l’attenzione sulle problematiche della società contemporanea, palesate nell’immagine della città. Le opere create dall’artista sembrano planimetrie metropolitane in continua evoluzione, come le odierne città, costrette dalle leggi del mercato ad una crescita esponenziale e divenute come immensi organismi antropomorfi, ormai decisamente classificabili secondo le “taglie” S, M, L, XL teorizzate da Koolhas. Pur prendendo coscienza del fatto di essere in parte vittime di questa esasperata codificazione di spazio, tempo e attività, intrinseca al sistema vita/sopravvivenza, del quale non siamo altro che semplici particelle, Deborah Ligorio, in realtà, cerca di esemplificare questa struttura, ripudiandola attraverso l’astrazione delle forme. Grazie a un puro susseguirsi di figure, che sembrano riportare in vita un mondo tecnologico “primitivo”, privato e personale, l’artista pare indicarci una possibile via di fuga: qualcosa di analogo avveniva nei suoi Custom Habitat (2001), unità abitative funzionalmente vicine ai sistemi ideati da Joe Colombo, ma progettate come rassicuranti rifugi per gli amici. Abitazioni immaginarie il cui design descrive abitudini e caratteristiche di singoli individui appositamente interpellati. Oppure nella serie di video-animazioni in cui il Paesaggio è protagonista – tra cui SizeScape (2003), e-scape (2003), Landscape (2002) – restituisce una forma visiva e grafica a luoghi astratti come quelli associati alle mappe del flusso d’informazioni. Attraverso un lavoro che, lontano da ogni intento didascalico, offre una visione lucida e personale dei sistemi “socialmente evoluti”, Deborah Ligorio porta avanti una riflessione che tende a intimizzare questi sistemi universali, restituendo all’essere umano la paternità delle proprie scelte e del proprio agire.

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La procedura di Deborah Logorio è caratterizzata da un personale modo di descrizione dei “dintorni” attraverso una successione ritmica dei racconti. Per Deborah Ligorio la riflessione sullo spazio, interpretato come luogo fisico e mentale, è il punto di partenza per analizzare fatti e storie d’interesse sociale. Associando dettagli della propria vita privata ad episodi di vita collettiva riflette su argomenti come le forme flessibili, le economie alternative e i sistemi sostenibili. Nel suo lavoro lo spazio è una realtà simultaneamente geografica, architettonica, e interiore, ma comunque sempre intesa come prodotto delle relazioni tra il singolo e la società: il territorio, l’ambiente o l’ecosistema condizionano le abitudini di chi lo abita e l’uomo a sua volta modifica lo spazio in cui vive. Mescola perciò aspetti mentali, sociali, culturali, fisici e geografici, mentre osserva l’ambiente in tutta le sue complessità.

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2002

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Deborah Ligorio, Francesca Minini, Milano When Angels Forgot To Tell, Kunstverein Arnsberg, Arnsberg All’Orizzonte Degli Eventi, Sommer & Kohl, Berlin Altri Discorsi, Fabbrica del Vapore, Milano Fuori Centro, Hangar Bicocca, Milano Moral Imagination. Current Positions in Contemporary Art in the Face of Global Warming, Museum Morsbroich, Leverkusen Il Sublime È Ora, Palazzo S. Margherita, Modena Manifesta7. Principle Hope, Ex Peterlini, Manifattura Tabacchi, Rovereto XV Quadriennale di Roma, Palazzo delle Esposizioni, Rome Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Deborah Ligorio. Vulcano, Francesca Minini, Milano SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Ambient Tour, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino M-Stadt. Paesaggi urbani europei, Kunsthaus Graz am Landesmuseum Joanneum, Graz Büro Friedrich, Berlin, Germany with Mats Adelman, Signal, Malmö, Swede2005 Sweden Padiglione Italia Out of Biennale, Trevi Flash Art Museum, Trevi (PG) Art-chitecture of change, Isola Art Center, Milano with Laura Horelli, Galerie KunstBank, Berlin, Germany Wanderers, Filmtheater’t Hoogt, Utrecht Defrag, Suite 106, New York Ratio, Galleria Comunale Arte Contemporanea, Monfalcone, Gorizia Nature/Nature, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza Exit, Sandretto Re Rebaudengo Foundation, Torino



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> Claudia Losi «Appartengo ai miei lavori. che appartengono ai luoghi. Conservano una storia. E il loro valore è dato da quei luoghi, dagli eventi, dalle emozioni che hanno raccolto e trattenuto fra trama, ordito e punti di ricamo. Essi si basano sull’osservazione di luoghi naturali, per capire ciò che mi lega alla terra, ai suoi tempi, attraverso il ricamo o le fusioni di paraffina in una simbiosi di paesaggi fisici e mentali». Claudia Losi E’ nata nel 1971 a Piacenza, Italia Vive e lavora tra Piacenza e Bologna, Italia

La riflessione e la pratica artistica di Claudia Losi hanno origine nell’interesse per la Natura. L’artista si muove tra un desiderio unitario di fusione e la coscienza della separazione, tra un approccio emotivo e uno più analitico, concettuale. Nella sua idea di natura rientrano inquietudini ecologiche e più ampie considerazioni politiche e sociali, cui sono, però, sempre sottesi una irresistibile attrazione da un lato, sobrietà e rigore, nel far ricorso ai dati scientifici, dall’altro. La camminata nel paesaggio, esperienza concreta in cui si fondono immersione fisica ed osservazione diretta, è stata alla base di buona parte del suo lavoro dei primi anni. Un metodo, consapevolmente adottato, per rivitalizzare vivendolo dall’interno, il rapporto con il paesaggio. Nell’opera di queste camminate, l’artista recuperava gli elementi essenziali nell’intento di restituire l’esperienza di una temporalità dilatata, le sensazioni visive e atmosferiche del contatto col suolo. Ricorrente nel suo lavoro è l’idea del filo e del ricamo come metafora della relazione. Con ago e filo vuole tenere insieme, trattenere, sul filo di un’intuizione di prossimità, intesa come vicinanza nello spazio o nel tempo, il dettaglio e l’insieme, il presente e il remoto, l’ordinario e lo straordinario. Alla pratica lenta del ricamo Losi affida la riformulazione di un paesaggio naturale vissuto e attraversato, di cui ricalca, punto dopo punto, i processi di crescita e trasformazione. A partire dal 1998 Claudia Losi intraprende anche una serie di progetti

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collettivi legati alla pratica del ricamo. Tra i suoi progetti più recenti c’è Balena Physalus (2004), consistente nella realizzazione di una balena in tessuto a dimensione reale. Il mitico ed antico animale diventa simbolo e veicolo di un’impresa altrettanto mitica, di una progettualità dagli sviluppi imprevedibili, che mira ad un risultato al limite dell’impossibile, simbolo, soprattutto, del viaggio rappresentato dal desiderio, dall’impresa, dall’utopia. «Ci piace l’idea di una balena in riva ad un fiume, arenata temporaneamente su una sponda che corre nel bel mezzo della città. Da qui Torino la si osserva dal basso con uno strano sguardo un po’ da stranieri che accompagna l’identificazione di ponti, chiese e piazze lassù. La si riconosce, non c’è dubbio, ma la si vede da una prospettiva diversa, mischiata da qui alla vegetazione selvatica delle rive, al fragore della rapida, alle papere e ai gabbiani. Appena passata la rapida il fiume non è più quello che scorre, appena poco prima, attraverso la scenografia studiata del parco. Da qui è un po’ come se guadagnasse la rotta del mare. I Murazzi del Po sono un buon posto per una Balena, che è un punto mobile nel disegno geografico di un’avventura. Esplorazione è, del resto, una delle più spiccate attitudini nella mia ricerca e il viaggio, una pratica indissolubilmente legata ai miei lavori». L’artista applica alle sue realizzazioni la regola della lentezza che, sul versante “operativo”, si traduce nella scelta di ricamare - isole, interi arcipelaghi, vulcani, coste frastagliate - metafora del camminare, perché è il camminare che rende possibile il rilievo della forma di un luogo e la fa apparire, alla fine, sui tessuti e sulle sfere fatte di filo. Per ciò di cui è impossibile fare esperienza diretta - la cartografia fantastica del Polo Nord o della Pangea, un bacino dell’era glaciale, un viaggio alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest – l’artista sceglie la cera bianca, ricostruendo, come per impararla a memoria, le forme di una geografia scomparsa che rammenta la naturalezza implacabile del cambiamento. La geografia, come il paesaggio, non esistono in natura. Losi ne fa il frutto di una sorta di poiesis che nasce dalla consapevolezza che «il reale supera l’immaginazione, ma senza quest’ultima difficilmente potremmo reggere, noi uomini, la realtà». Claudia Losi ha la stessa attenzione per il tempo che riguarda e tocca la storia delle persone. Nei ricami collettivi mostra la figura inversa e complementare del viaggio: l’attesa.

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MOSTRE SELEZIONATE 2009

2005 2005 2004 2004 2004 2004 2004

Claudia Losi: Balena Project. Linee annodate/Argille disciolte, Assab One, Milano Diritto Rovescio, Triennale di Milano, Milano Qui e non altrove.Qui. ArtePollino-un altro Sud , Italia On Paper, Galleria Monica De Cardenas, Zuoz FuoriLuogo 2008, Camminare paesaggi. Camminare parole. Camminare idee, cose sognate, piste pensate Stefano Arienti e Claudia Losi, Due sedi, Torino Claudia Losi - Martin Creed, Ikon Gallery, Birmingham Fuoriluogo 2008, Connecting Cultures, Milano Claudia Losi: La coda della balena e altri progetti 1995 – 2008, Museo Marino Marini, Firenze SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Open Air, Orto Botanico, Parma Project Room, IKON Gallery, Birmingham Hamish Fulton, Claudia Losi, La Marrana Arte Ambientale, Monte Marcelllo Ameglia, La Spezia Arduenna, Fortezza della Brunella, Aulla (Massa Carrara) La scimmia nuda, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento Claudia Losi, Monica De Cardenas, Milano BALENAPROJECT | Ecuador’05, MACC de Guayaquil and Cento Cultural, Universidad Catolica de Quito, Ecuador Affacci, 2005, Case ATC, Torino Balenaproject, Capo Mortola, Ventimiglia(IM) Claudia Losi, Galleria d’Arte Moderna, Spazio Aperto, Bologna Balenaproject e altre storie, Lerici, La Spezia Ex Caserma dei Carabinieri (with Antonio Marras), Alghero Balenaproject, animazione, Viafarini, Milan Balenaproject, balena di fiume, The Beach, Murazzi del Po, Torino

2003 2003 2002 2002

Claudia Losi. Mari, Monica De Cardenas, Milano Installazione, Théatre Studio des Champs Elysée, Paris Paradiso Perduto, Palazzo dell’Arengo, Rimini Galleria Lindig in PaludettoProject Room, Nünberg, Germany

2002 2001 2001

Spazio Mobile, Rocca Sforzesca, Imola Monica De Cardenas, Project Room, Milano Galleria Primo Piano, Roma

2009 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2007 2007 2007 2007 2007 2007 2006 2005

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. Il termine biopolitica (composto da bìos,

vita, e da polis, città) indica un concetto usato per la prima volta da Georges Bataille all'inizio del Novecento, ma che è divenuto centrale nel dibattito filosofico in seguito all'uso che ne ha fatto Michel Foucault a partire dalla metà degli anni Settanta. Per Foucault la biopolitica è il terreno in cui agiscono le pratiche con le quali la rete di poteri gestisce le discipline del corpo e le regolazioni delle popolazioni. È un'area di incontro tra potere e sfera della vita. Un incontro che si realizza pienamente nell’epoca dell'esplosione del capitalismo.


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> Lucy+Jorge Orta «La mia passione e l’impegno per l’arte sono stati un prolungamento delle ideologie del movimento giovanile, sono state esattamente l’ossessione di cui avevamo bisogno per costruire un mondo più giusto. Convinti che l’arte avesse una funzione strategica in questo processo, era importante cercare, allora come oggi, un nuovo pubblico, al di là dei circuiti tradizionali e chiusi. Ho provato a fare arte e a diffonderla al grande pubblico cercando nuovi approcci, introducendo i suoi aspetti poetici nelle vite di ogni giorno; rimuovendo l’arte e gli artisti dai loro piedistalli». L.O. Lucy Orta è nata nel 1966 a Sutton Coldfield, Gran Bretagna Jorge Orta è nato nel 1957 a Rosario, Argentina Vivono e lavorano a Parigi, Francia

L’obiettivo di Lucy e Jorge Orta è quello di una ridefinizione della relazione del corpo con il proprio ambiente nell’era contemporanea. Il fulcro della loro opera è, dunque, proprio nel rapporto del corpo con ciò che lo circonda, sulla base delle teorizzazioni del concetto foucaultiano di biopolitica23 secondo cui l’orizzonte biologico si fonde con quello politico; nella possibilità di resistenza del biologico e del vivente rispetto alla dinamica del “politico”; nel tentativo di storicizzare la progressiva crescita dell’invadenza del potere istituzionale sulla vita e le sue espressioni più incontrollabili. Il lavoro di Lucy e Jorge Orta si sviluppa sul passaggio, tipico della modernità, da un’idea della vita umana come totalità, che può essere solo preservata o distrutta (il diritto di vita o di morte), a una concezione in cui la vita viene gestita e disciplinata dal potere politico attraverso norme specifiche, con la collaborazione di quelle discipline scientifiche che contribuiscono a formare il concetto di normalità. La vita stessa, che per Foucault costituisce il terreno decisivo dell’esercizio del biopotere, nell’era globale del capitalismo, rappresenta sopratutto un oggetto di mercificazione la cui gestione è concentrata nelle mani di chi detiene le capacità tecnologiche. Il soggetto, in quanto corpo insieme biologico e politico, con le sue implicazioni sociali, politiche ed economiche è al centro delle opere dei due artisti. Prendendo le mosse dall’immaginario biopolitco, la riflessione degli artisti si concentra su un concetto di ambiente inteso come complesso di questioni biologiche, tecnologiche, economiche e politiche, il tutto in una

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. Questi i temi del Convegno Bideceinge. La

strategia della lumaca. Per una società della misura: idee pratiche di un altro sapere ed un altro saper fare, svoltosi a Roma il 26 Febbraio 2009. Bideceinge è la traslitterazione maccheronica dall’inglese della frase pronunciata da Ghandi: “Siate il cambiamento che vorreste vedere nel mondo“.


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continua ridefinizione dei confini spaziali dei campi d’azione di ognuna. “Ecologia dell’esistenza” è la definizione per eccellenza che individua il lavoro di Lucy e Jorge, in cui l’idea stessa di contesto ambientale viene trasformata e superata. Se infatti, nella tradizione artistica recente, la cosiddetta arte site specific o enviromental art considerava il luogo nella sua complessità geografica, sociale e storica, nel lavoro degli Orta il luogo, l’ambiente, viene considerato principalmente nel suo significato biopolitico, come tutto che rende possibile la vita umana. Da qui nasce l’esigenza di un’arte flessibile, adattabile e modulare. Perché questo è l’essere umano; perché il contesto è ogni volta diverso. La loro opera è senza limiti, in grado di attivare meccanismi di relazione e partecipazione. Innesca riflessioni su nuovi modi di vita e di relazione, grazie alla comunicazione che permea tutta la loro produzione, che non smette mai di essere pungente e mirata. Lucy e Jorge da sempre si confrontano con questioni fondamentali per la sopravvivenza e il buon vivere dell’umanità. In questo senso lavorano per un’arte in comune con la ricerca scientifica. Il loro strumento principale è il libero pensiero e il loro prodotto finale è o una reazione scientifica o un’opera d’arte; un’opera d’arte trasmette le esperienze di un artista al resto del mondo e questo è lo scopo etico degli Orta: condivisione e comunicazione. La scienza e l’arte condividono le stesse preoccupazioni rispetto alle cosiddette urgenze ecologiche, soprattutto riguardo alle drammatiche conseguenze del cambiamento climatico globale, che costituisce l’emergenza più preoccupante dell’era moderna24. ETICA è la parola chiave che collega nel percorso di Lucy e Jorge Orta: arte, politica, ed ecologia. Il punto di vista dell’arte contemporanea sottolinea gli aspetti più versatili della nostra attività nel mondo, per evidenziare i suoi costanti cambiamenti ed esprimere urgenze ed aspirazioni. L’opera intrapresa dai due artisti mette in luce le possibilità di azione che offre l’arte contemporanea, dimostrando come si possano produrre effetti sinergici, a partire da un’etica partecipativa in grado di influenzare la vita sociale, la cultura e l’educazione. La riflessione intorno al rapporto fra uomo e ambiente, in cui l’uomo stesso vive e si muove, è fondamentale nella ricerca di Lucy e Jorge Orta. In questa direzione, pregnante è anche il rapporto con l’architettura, perché le architetture temporanee da loro progettate oltre a definire fisicamente il territorio della comunità, diventano metafora delle relazioni sociali. Il loro lavoro, conosciuto ed esposto da tempo in tutto il mondo, spazia tra arte, architettura e design.

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. Un think tank (letteralmente “serbatoio di

pensieroâ€?) è un organismo, tendenzialmente indipendente dalle forze politiche, che si occupa di analisi delle politiche pubbliche operando, quindi, nei settori che vanno dalla politica sociale alla strategia politica, dall’economia alla scienza e alla tecnologia, dalle politiche industriali o commerciali alle consulenze militari.


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Attraverso tecniche diverse - dalla scultura all’installazione, dagli oggetti ai disegni, dalla performance alle strategie di comunicazione - affrontano tematiche dell’attualità contemporanea: la comunità e la coesione sociale, il nomadismo e la mobilità, lo sviluppo sostenibile e l’ecologia. Tra i loro progetti-chiave degni di nota vanno menzionati Refuge Wear e Body Architecture attraverso i quali gli artisti ragionano sulla costruzione di micro ambienti mescolando architettura e abbigliamento; HortaRecycling progetto sulla catena alimentare in contesti globali e locali; Nexus Architecture che indaga i metodi alternativi per ricreare i legami sociali; The Gift-Life Nexus, una metafora del cuore sul tema dell’etica biomedica delle donazioni di organi; OrtaWater , un progetto che spazia dalla riflessione sulla generale scarsità di una risorsa fondamentale come l’acqua, per via dell’inquinamento, a un controllo sociale per ottenere acqua pulita. Una grande retrospettiva all’Hangar Bicocca, dal titolo Antarctica, ha presentato al pubblico italiano un’importante selezione dei loro lavori, tra cui i più recenti, frutto della spedizione in Antartide fatta nel 2007 in occasione della prima Bienal al Fin del Mundo in Argentina. Lucy e Jorge Orta credono fermamente che la disciplina creativa debba dibattere e ripensare i principi tradizionali delle strutture sociali, introducendo nuove idee attinenti all’impegno di ciascun individuo per il miglioramento delle condizioni del pianeta, alla pianificazione urbanistica, alla trasmissione di valori culturali, politici ed ecologici. Per questo la sede del loro studio è diventata una sorta di Think Tank25 internazionale dove artisti, docenti universitari e studenti provenienti da tutto il mondo, sviluppano i temi cruciali della nostra società in seminari ed incontri che confluiscono poi nei loro progetti.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010 2010 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009, 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2007 2007 2007 2007 2007 2006 2006

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Adelaide International 2010: Apart, we are together, JamFactory, centre for Contemporary Craft and Design, Sydney A New Stance For Tomorrow: Part 3, Sketch, London GSK Contemporary - Earth: Art of a Changing World, Royal Academy of Arts, London Antarctic Village - Metisse Flag, FRAC Lorraine, Metz I nomi degli alberi, Chiesa di San Severino (Monte Agruxiau), Iglesias (CI) Cape Farewell, Climate change Greenplatform. Arte, ecologia, sostenibilità, CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze Lucy Orta, Plymouth Arts Centre and Plymouth College of Art, Plymouth (Un)Inhabitable? Art of Extreme Environments - Festival @rt Outsiders Maison Européenne de la Photographie, Paris HEAVEN 2nd Athens Biennale 2009, Flisvos Building & P. Faliro Beach, Athens Pot Luck: Food and Art, The New Art Gallery Walsall, Walsall Antarctica, Hangar Bicocca, Milano Body Architecture, The Swedish Museum of Architecture, Stockholm Survival, Fashion Space Gallery, London College of Fashion, London 1% Water and our future, Z33, Hasselt, Belgium International Expo Zaragoza, Zaragoza Lucy+Jorge Orta.The Meal atto XXIX , Reggia di Venaria Reale, Venaria Lucy+Jorge Orta, Galleria Continua, San Gimignano 70 x 7 The Meal, act XXXI, Sherwell Church Hall, North Hill, Plymouth OrtaWater, CEAAC Strasbourg, Strasbourg Fallujah - works in progress, Art Forum Berlin - Motive Gallery Amsterdam Totipotent Architecture – Atoll, Public art commission, Parco Mirafiori, Torino LESS. Strategie alternative dell’abitare, PAC, Milano Lucy + Jorge Orta: Selected Works, Motive Gallery, Amsterdam



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> Dan Peterman «Il mio scopo è quello di vedere le cose in maniera nuova: in questa ottica, anche seminare un orto e far crescere delle piante significa “guardarlo in maniera differente” e, quindi, fare un’opera d’arte. Ciò che valuto a proposito del mondo dell’arte è la sua inclusione, il modo cioè in cui consente di passare attraverso molteplici discipline, prospettive, discorsi». Dan Peterman E’ nato nel 1960 a Minneapolis, USA Vive e lavora a Chicago, USA

Il lavoro di Dan Peterman focalizza la propria attenzione sul costante movimento e sulla trasformazione di materiali riutilizzabili quali plastica, alluminio e rifiuti infiammabili. L’utilizzo per le proprie sculture o installazioni, attraverso il riciclo di tutto ciò che l’uomo decide di eliminare, analizza le sotto e sovrastrutture sociali attraverso il rifiuto. Quello di Peterman si spinge nella direzione di un gesto artistico estremo, il riciclaggio dei materiali per la creazione di opere d’arte in una sorta di pronto soccorso ecologico della cultura visiva. Avendo iniziato a lavorare, sin dagli anni Ottanta, sia come artista sia come attivista riguardo alle relazioni che intercorrono tra ecologia ed estetica, economie alternative, produzione di energia “verde” e riciclo ecosostenibile, ha fatto di questi temi il centro del suo interesse non solo artistico, ma anche etico. Un esempio di questa pratica artistica sono gli accessori in plastica completamente riciclabile realizzati da Peterman, che ci rimandano, da una parte, attraverso la loro rigida forma geometrica, alla Minimal Art, e dall’altra ad un funzionalismo spiccato, così da proiettarci nell’annosa questione del limite sottile tra arte libera e arte applicata. Peterman, attraverso le sue opere, che spaziano dalla piccola alla grande scala, sembra ritrovarsi in uno stato di rassegnazione che solo l’ecologia, nell’era della globalizzazione neo-liberale, può sciogliere, restituendo una speranza attraverso i territori dell’arte. Il lavoro della serie Things That Were Are Things Again (2006), composto da un insieme di pezzi di alluminio, punta il dito verso la stessa direzione

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. Per utopia negativa, o distopia, si intende una

società indesiderabile sotto tutti i punti di vista. Il termine è stato coniato come opposto di utopia ed è soprattutto utilizzato in riferimento alla rappresentazione di una società fittizia (spesso ambientata in un futuro prossimo) nella quale le tendenze sociali sono portate ad estremi apocalittici.


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intellettuale di una quasi Utopia Negativa26. Quello che ne risulta è una realtà costituita da oggetti astratti, in filigrana, che momento dopo momento rimandano a segni ornamentali. All’interno dello spazio museale, questi oggetti diventano un’attrazione decorativa; invece del riciclo, una cosa solo rivolta al mercato dell’artigianato artistico. L’artista tende, però, a respingere delicatamente il concetto della sua produzione come un mero esempio di riciclaggio. La formulazione è troppo limitata. Perché nega la flessibilità, l’agilità e la mobilità attraverso le frontiere, essenziali per la sua pratica. «Ciò che valuto a proposito del mondo dell’arte è la sua inclusione, il modo in cui consente di passare attraverso molteplici discipline, prospettive, discorsi».

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Moral Imagination. Current Positions in Contemporary Art in the Face of Global Warming, Museum Morsbroich, Leverkusen Beyond Green: Toward a Sustainable Art, The DeVos Art Museum, Northern Michigan University, Marquette, Michigan - Traveling Exhibition Project Supernatural, CCA Andratx, Majorca Offers for re-enacting, Kunsthalle Exnergasse, Wien SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates Beyond Green. Toward a Sustainable Art, Smart Museum of Art, Chicago Untitled (Vision Existence Resistence), Franco Soffiantino Arte Contemporanea, Torino Plastic Economies, Museum of Contemporary Art, Chicago Ecologies: Mark Dion, Peter Fend, Dan Peterman, Smart Museum of Art, Chicago



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> Marjetica Potrc «Negli anni Sessanta riflettevamo, ora siamo passati all’azione! Cosa significa vivere una vita responsabile e dignitosa oggi? La pratica di un’esistenza sostenibile. Credo che mondi lenti e mondi veloci possano esistere simultaneamente all’interno di realtà parallele. A me sembra che i Balcani occidentali e la regione di Acre siano il mondo veloce. Perciò è possibile per noi imparare dalle loro esperienze». Marjetica Potrc E’ nata nel 1953 a Lubiana, Slovenia Vive e lavora a Lubiana, Slovenia

L’artista slovena Marjetica Potrc è intensamente impegnata ad esplorare le condizioni di vita e l’espansione urbana contemporanea, la tensione tra sviluppo urbano e crisi sociale, l’incremento della povertà e la crisi ecologica, riflesso dei conflitti esistenti nel nostro tempo globalizzato. L’artista visita alcuni “luoghi difficili” del mondo, come l’Africa e il Sud America, per testimoniare questa nuova condizione urbana. Negli ultimi tempi, Marjetica Potrc ha lavorato, con grande attenzione, alla tematica dell’agricoltura urbana, vista come una rassicurante possibilità contro la perdita del contatto tra gli abitanti della città e la natura. Un chiaro esempio del suo interesse verso queste tematiche si riscontra nel lavoro che Marjetica Potrc ha prodotto per la regione Toscana. Rispondendo alle esigenze del contesto sia economico sia geografico della regione Toscana, Marjetica Potrc decise, nel 2003, di contribuire con uno specifico progetto d’area, che riguarda proprio il tema dell’agricoltura urbana, a quello che è stato un riuscito progetto glocale, volto al tentativo di creare un legame profondo tra città e territorio: ARTE ALL’ARTE. Con questo progetto, ideato e organizzato dall’Associazione Arte Continua di San Gimignano, si è sviluppata l’idea di Distretto Artistico AgroAmbientale, con l’obiettivo della valorizzazione del territorio. Un circuito volto alla ricono-scibilità, una nuova via per la valorizzazione della cultura e dell’ambiente, con l’intento di avvicinare tradizione e sensibilità contemporanea. Quindi, come esempio di esperimento futuro di agricoltura urbana, la sua proposta, allora, fu quella di creare un vero e proprio orto, da poter coltivare, posto sul tetto di una casa privata di Siena.

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In quell’occasione furono predisposti alcuni dispositivi di raccolta e riciclo dell’acqua piovana, in modo da poter provvedere alle risorse di acqua necessarie sia, da sempre, per piantare gli ortaggi, sia per gli usi domestici di ogni giorno. L’artista, infatti, sostiene che «le guerre future saranno combattute per l’acqua, e non per il petrolio, e si svolgeranno nelle città». Tutto questo, ancora oggi, pone irrimediabilmente il dilemma sul futuro ecologico della città. In modo ancor più straordinario, la Potrc introdusse in quel progetto gli esperimenti svolti nelle città del mondo “non–occidentale”, nel cuore stesso dell’occidente, dimostrando la tendenza della globalizzazione odierna ad orientarsi verso un processo irreversibile che vede nei modi di vita sperimentati fuori dall’occidente un valido esempio per migliorare proprio il mondo occidentale sviluppato. Siena è, ancora adesso, uno di questi laboratori.

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Shenzhen & Hong Kong Bi-City Biennale of Urbanism\Architecture Isola Randagia, Liceo Artistico Caravaggio, Milano Open e v + a 2009. Reading the city, Different locations, Limerick Beyond Green: Toward a Sustainable Art, The DeVos Art Museum, Northern Michigan University, Marquette, Michigan Marjetica Potrc, Spazio Oberdan, Milano We have a dream, with Tomas Saraceno, Spazio Gerra, Reggio Emilia Islans+Ghettos. The social effects of urban expansion in the 21st century, Heidelberger Kunstverein, Heidelberger Marjetica Potrc, Max Protetch, New York Diogene-bivaccourbano, Lungo Dora Savona, Torino Marjetica Potrc, Barbican Center, London Marjetica Potrc and Tomas Saraceno: Personal States/Infinite Actives, Portikus, Frankfurt am Main, Germany Empowerment program, Cineclub Arsenale, Pisa Geodesign e design della sopravvivenza, Nuova Accademia di Belle Arti – NABA, Milano Fragmented City, Shed Spazio Nuova Ticosa, Como Public Services, Sparwasser HQ, Berlin Arte all’Arte 10. Arte Architettura Paesaggio, Diverse sedi, Toscana Personal Status – Infinite Actives (with Tomas Saraceno) Portikus, Frankfurt Go inside, National Gallery of Arts, Tirana Ways of living, Kettle’s Yard, Cambridge Drawing Cities, Max Protetch Gallery, New York, NY Urban Growings, De Appel Foundation for Contemporary Art, Amsterdam, Netherlands Marjetica Potrc: Urgent Architecture, PBICA, Lake Worth, Florida; and MIT List Visual Arts Center, Cambridge Connecting People, Nuova Accademia di Belle Arti – NABA, Milano

2003 2003

Marjetica Potrc: Urgent Architecture, MIT List Visual Arts Center, Cambridge, USA Caracas: House with Extended Territory, Galerie Nordenhake, Berlin Marjetica Potrc: Next Stop, Kiosk, Moderna Galerija Museum of Modern Art,

2003 2003 2003

Ljubljana Marjetica Potrc: Strategie urbane, Ar/ge Kunst Galleria Museo, Bolzano La struttura della crisi, Arsenale, Venezia Marjetica Potrc: Urban Negotiation, IVAM, Valencia

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> Wilfredo Prieto «Sono in cerca di un’idea, un’ispirazione che possa offrirsi a me come strumento, e questo strumento continua a cambiare in funzione della specifica idea o concetto sul quale sto lavorando. Non sono mai stato troppo attaccato ad un modo di lavorare che sia esclusivamente a senso unico. Credo che essere un artista voglia significare, innanzi tutto, avere assenza di limiti, nessuna definizione, lasciando che sia, piuttosto, un modo di essere, uno stile di vita. Penso che la figura di un artista sia paragonabile alla terra di nessuno, un limite irraggiungibile, dove trovare una forma di crescita personale senza abbandonare il gioco. Questo penso, quando penso ad un artista. La figura dell’artista contemporaneo può essere paragonata a quella di un archeologo che esce allo scoperto per soffiare via la polvere da ciò che in realtà è stato già detto, per scoprire quello che realmente ogni cosa comunica attraverso la propria essenza». Wilfredo Prieto E’ nato nel 1978 a Sancti-Spiritus, Cuba Vive e lavora a Barcellona, Spagna

Le installazioni di Wilfredo Prieto indagano la possibilità di sperimentare la realtà ricreandone le condizioni, spesso illusorie, attraverso i più svariati materiali. Gli interventi di Prieto alterano le coordinate percettive quali spazio, colore, forma e geometria, richiamando la relatività della percezione: un invito implicito a ad andare oltre l’impressione immediata che l’opera può suscitare. Attraverso sottili manipolazioni illusorie Prieto costringe lo spettatore ad accostarsi alle sue opere come a un sistema di riferimento alterato, che supera i limiti convenzionali. La polarità artificio/natura è centrale nella sua ricerca, ed è funzionale all’alterazione degli standard estetici correnti, per indurre nello spettatore un senso di enigmatica incertezza e artificialità. L’attività di Wilfredo Prieto coniuga vis critica e impegno con un senso dell’assurdo, frutto di una calcolata esagerazione. Le sue opere spesso creano situazioni in cui meccanismi tortuosi e ridicolmente elaborati vengono impiegati per realizzare azioni relativamente semplici. Per la realizzazione di Mucho ruido y pocas Nueces (2003), ad esempio, per fornire illuminazione e acqua ad una piccola pianta in vaso all’interno di una galleria, l’artista ha utilizzato un’autocisterna e un gruppo elettrogeno parcheggiati sulla strada di fronte alla stessa. La sua esplorazione di un’arte “senza scopo”, le cui immagini possono essere assorbite rapidamente, ma i cui possibili valori possono impiegare tempo per essere “rilasciati”, si occupa da tempo anche di oggetti organici. In nome della scultura l’artista ha piantato degli alberi di banane in un appezzamento di terreno , Untitled [Banana Trees] (1998-2002), ha dipinto

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degli alberi di mango per dare l’idea che i frutti fossero maturi, Optical Art (1999), e ha trasportato in una carriola una pianta decorativa in giro per l’isola di Curaçao, Paseo (2000). Il contributo italiano dell’artista è quello di Estanque (2008), in occasione della mostra Greenwashing, una nuova scultura in cui un raggruppamento di barili di petrolio è stato apparentemente trasformato in un idilliaco habitat eco-friendly: uno stagno di ninfee con una rana viva. Anche se il barile di petrolio non rientra nella categoria degli oggetti quotidiani di cui abitualmente ci circondiamo, il suo significato ci è, tuttavia, empaticamente familiare, in quanto unità di volume standardizzata per la produzione e il consumo di petrolio: come tale, il barile è spesso assunto come simbolo di tutti i mali dovuti alla dipendenza dai combustibili fossili. Per di più il barile, in sé, è indice globale della situazione macroeconomica, della stabilità geopolitica e del meccanismo di base della domanda e dell’offerta di energia. Basti pensare che, secondo l’annuario CIA World Factbook del 2007, ogni giorno in Italia viene utilizzato l’equivalente di 32.1 barili di petrolio per ogni mille persone (11.7 barili pro capite all’anno). La cifra per gli Stati Uniti corrisponde circa al doppio della stima italiana, mentre quella di Cuba è dimezzata. Quello che Wilfredo Prieto mette in atto è una “snaturalizzazione” dell’ambiente, trasformando i contenitori di petrolio in accumuli di acqua per ninfee, stando a dimostrare che il petrolio, dopotutto, è una sostanza organica. La sua installazione evoca inevitabilmente la prospettiva dell’ecomarketing, suggerendo un’apparente armonia anfibio-petrolifera, che potrebbe tranquillamente essere usata dall’ufficio marketing di un audace gruppo industriale in cerca di un modo efficace per dimostrare quanto verdi siano i suoi principi produttivi. Come molte opere di Prieto, Estanque (2008) può essere letta nel contesto del paese natale dell’artista, Cuba. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, alla fine degli anni Ottanta, gli Stati Uniti hanno inasprito il loro embargo commerciale e le importazioni di petrolio a Cuba sono cessate dal giorno alla notte. Questa situazione ha costretto i cubani a ritornare alle tecnologie agricole e di trasporto in uso ai tempi dei loro avi, come i cavalli, i buoi o le biciclette. Per quanto duri siano stati gli effetti del “Periodo Speciale” post-sovietico (il Paese perse l’80% del mercato per le esportazioni, frequenti furono i black-out e la media delle calorie assunte dai cittadini scese ben di un terzo) indubbiamente i benefici ambientali non tardarono ad arrivare: negli ultimi anni, infatti, si è verificato un vero e proprio boom di trasporti a risparmio energetico, orti sociali e progetti per fonti di energia rinnovabile. Prieto, pur avendo conseguito il diploma in arti visive, non produce

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. Intervista per il Centro di Cultura dell’Havana.


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opere pittoriche da più di dieci anni. Lavora soprattutto con la scultura e l’installazione, realizzando, però, opere di dimensioni notevolmente ridotte per provocare nello spettatore un senso di meraviglia. «Le mie idee derivano da esperienze quotidiane e penso che il mio lavoro come artista non sia propriamente quello di realizzare queste idee, quanto di afferrarle. Viaggiano fluttuando come le nuvole. Sono lì, alla portata di ognuno. Chiunque può alzare lo sguardo al cielo e impossessarsene. Perché appartengono a tutti»27. La pratica di Prieto manifesta la stessa reticenza che l’artista adotta parlando delle sue realizzazioni, giocando con le incertezze, evocando qualcosa che potrebbe essere o che potrebbe accadere, ma che probabilmente non succederà – come scivolare sul grasso, insaponare una buccia di banana durante un’esposizione, o imbattersi in escrementi umani lungo un viale pubblico – altera l’ordinario finché non diventa improbabile, ma non del tutto impossibile.

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That’s Not How I Remember It, Anna Helwing Gallery, Los Angeles Mondo e terra, La collezione del FRAC Cosrsica MAN – Museo d’Arte di Nuoro, Nuoro That was Thenhis is now, PS1 MoMA, New York The disobedients, Annet Gelink Gallery, Amsterdam Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino State of Exchange, INIVA, London Time after time, Galica Arte Contemporanea, Milano 52a Biennale di Venezia, Giardini e Arsenale, Venezia System Error. War is a force that gives us meaning , Palazzo delle Papesse, Siena The Hours, Museum of Contemporary Art Sydney, Sydney Untitled (red carpet), NogueraBlanchard, Barcelona Walking the dog and eating shit, John Lennon Park, Havana, Cuba Apocalitical. Louvre Museum, Kadist Art Foundation, Paris Grease, Soap and Banana, Santa Clara Convent, Havana, Cuba Mute, McMaster Museum of Art, Hamilton, Canada The Hours. Visual Arts from Contemporary Latin America, Irish Museum of Modern Art, Dublin Mucho ruido y pocas nueces II (A lot of noise and a few nuts), MUSAC, Leon, Spain Untitled (White Library), NogueraBlanchard, Barcelona Speech, Martin Van Zomeren Gallery, Amsterdam Strech, The Power Plant Contemporary Art Gallery, Toronto, Canada VII Havana Biennal, Contemporary Art Center Wilfredo Lam, Havana, Cuba Wilfredo Prieto en el Wilfredo Lam Center, Wilfredo Lam Contemoprary Art Center, Havana, Cuba


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. Felix Guattari, Le Tre Ecologie, Sonda, Torino

– Milano 1991. 29

. In questa direzione si muove, anche se con

finalitĂ diverse, la pratica artistica di Amy Balkin.


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> Tomas Saraceno «Bisognerebbe definire il lavoro dell’artista e dell’architetto nella storia. Per me è più interessante cercare di trovare casi interdisciplinari tra queste due aree di ricerca. Fino ad ora, mi sono trovato sicuramente più a mio agio con l’arte piuttosto che con l’architettura: nell’arte la possibilità di dilatare il processo di percezione attiva un’attitudine critica che porta a riconsiderare la tua posizione verso la realtà, verso il mondo. Forse possiamo imparare dal principio di ecologia come sistema di coabitazione tra differenti aree culturali. Questo ci aiuterebbe a comprendere la necessità del principio di cooperazione. Il mio lavoro cerca di indagare e interpretare la realtà esistente, utilizzando le innovazioni tecnologiche per nuovi obiettivi sociali». Tomas Saraceno E’ nato nel 1973 a San Miguel de Tucuman, Argentina Vive e lavora a Francoforte, Germania

Poetiche dello spazio. Dinamiche sociali. Attenzione alle questioni ambientali. Sono questi i temi che Tomas Saraceno, artista di derivazione architettonica, affronta nei suoi lavori, dando vita ad un sistema di pensiero aperto e rivoluzionario. I video e le installazioni di matrice visionaria abbattono le barriere disciplinari, auspicando una nuova forma di sviluppo socio-culturale e naturale ispirato all’ecosofia di Felix Guattari, che rovescia la prospettiva antropocentrica collocando l’uomo, non più alla sommità della gerarchia dei viventi, ma inserendolo, al contrario, nell’ecosfera: l’uomo come parte del Tutto. Il filosofo francese sviluppa la nozione di ecosofia nel suo testo più famoso, fondamento culturale di molte pratiche artistiche, Le Tre Ecologie, distinguendo l’ecologia ambientale, in rapporto alla natura e all’ambiente; l’ecologia sociale, in rapporto alle realtà economiche e sociali; l’ecologia mentale, in rapporto alla psiche, luogo della produzione della soggettività umana28. Saraceno lavora come un Leonardo da Vinci del XXI Secolo che cerca materiali innovativi e sistemi autosufficienti che diventino un modello per una possibile vita futura. I suoi lavori mettono in scena una realtà in cui al singolo cittadino viene offerta l’opportunità di scegliere un’alternativa alle assurde ed egoistiche politiche globali. L’aria come spazio libero ed extra nazionale è al centro della sua ricerca29. Il cielo è, infatti, per l’artista uno spazio abitabile e la sede preferenziale

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per le sue future città volanti che, simili a cumuli di nubi, migreranno sopra i continenti e i mari. Nato dalle sue appassionate visioni politiche, supportate da ricerche scientifiche d’avanguardia, Air-Port-City è un progetto ampio a cui l’artista lavora dal 2006 attraverso disegni, prototipi scultorei ed esperimenti. L’idea alla base di questo lavoro è quella di offrire la possibilità di migrare in queste utopiche città volanti, che essendo sospese nel cielo, non verrebbero governate dalle legislazioni nazionali, ma come gli aeroporti, sarebbero sottoposte al diritto internazionale. Il progetto, volto ad evitare una catastrofe ambientale, cerca in questa innovativa proposta abitativa una città futura ideale. Queste città-aeroporti a impatto zero esisterebbero grazie all’ausilio di strutture pneumatiche, che volerebbero in aria spostandosi con la forza del vento, alimentate dall’energia solare. Tomas Saraceno riflette sul “non-dialogo” vissuto oggi dalle città della nostra contemporaneità; il suo intervento abbraccia l’idea di un tutto costituito da parti non scindibili, un ecosistema che ha bisogno di tutti gli elementi di cui è costituito per sopravvivere, così come non potrebbe esistere se queste parti non fossero in costante dialogo e interazione dinamica e rinnovatrice tra loro. «La biosfera è quella forma di sistema chiuso che ci costringe a ideare, come per le navicelle spaziali, strategie per l’autonomia e l’autosufficienza, così che la pipì possa essere riciclata e tornare a essere acqua da bere. Se l’architettura – intesa nel suo senso più ampio per cui si dice architettura di una poesia, architettura di un edificio, di una rete, di un programma – è come un telone di fondo, un background, l’arte permette di dilatare le possibilità di percezione di fenomeni e oggetti». Il progetto, ai limiti dell’utopia, è in realtà una struttura cinetica, capace di portare una rivoluzione nella concezione della nazionalità e dello scambio di informazioni. Una nuova forma di libertà per il singolo, che diventa cittadino del mondo. Uno degli ultimi lavori dell’artista, Immagine-Movimento (2008), presentato alla mostra Greenwashing, consiste in un film fotografico. Per girare questo lavoro l’artista ha concepito una telecamera a vento; tramite un sensore azionato da un’elica viene rilevata la velocità del vento e le sue variazioni scattano automaticamente un numero di fotografie proporzionali alla velocità del movimento dell’aria. Il vento attraverso l’elica fornisce inoltre alla telecamera l’energia per funzionare. Se non c’è vento viene scattata una sola foto, ma quando il vento soffia la sequenza delle immagini cattura, come un video, il movimento delle nuvole, ottenendo in questo modo un effetto di accelerazione spazio-temporale. In considerazione del fatto che il vento rilevato a terra è diverso da quello che soffia a 3 o 6 Km da terra, dove si trovano le nuvole che noi vediamo,

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il numero di fotografie scattate non necessariamente riflette la loro velocità di spostamento. Per funzionare la macchina fotografica a vento ha bisogno che una determinata condizione persista nel tempo, se il vento soffia ad una determinata velocità per troppo poco non riesce a cogliere alcun movimento, allo stesso modo, se le raffiche sono incostanti non vengono registrate dalla memoria e quindi restano invisibili. L’esposimetro della macchina fotografica determina, inoltre, la velocità dello scatto, quindi anche in situazione di vento costante se la luce è scarsa, l’immagine verrà rallentata. Il panorama di nuvole, che si presenta allo spettatore che osserva il video, fa perdere completamente le coordinate spaziali, lasciando l’uomo sospeso nel cielo, cittadino di una delle tante città aeree di Tomas Saraceno. L’opera di Saraceno costituisce, senza dubbio, una delle più interessanti degli ultimi anni per ciò che riguarda il rapporto arte – tecnologia – natura. Ovvero, come usare la scienza per guardare avanti. I temi ambientali tornano sempre nelle sue parole: quando gli si chiede cosa significa per lui “aria”, un elemento fondamentale nelle sue opere, risponde: «L’aria è importantissima. Ricordate Chernobyl? Quando abbiamo visto quell’esplosione e l’enorme nuvola tossica che si spostava di centinaia di chilometri, forse abbiamo iniziato a capire meglio cosa significa. Abbiamo capito soprattutto che dobbiamo preoccuparci di quello che succede nel mondo anche se è molto lontano». Nel lavoro di Saraceno prevalgono esigenze di operatività e di concretezza, sia in termini progettuali, sia in termini di sensibilizzazione, attraverso la conoscenza e la riflessione che le sue opere smuovono, sintetizzando una visione del mondo allo stesso tempo scientifica, morale ed estetica. Magica, perché il mistero ha una grande influenza nell’intimità dei pensieri più razionali.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010

2007 2006

Tomas Saraceno: Utopian installations, Bonniers Konsthall, Stockholm Rethink. Contemporary Art & Climate Change, Different locations,Copenhagen Radical Nature, Art and Architecture for a Changing Planet 1969–2009, Barbican Art Gallery, London Life Forms: A discussion about how nature is viewed in contemporary art , Bonniers Konsthall, Stockholm Nascor. Fra arte e natura, Fondazione Noesi per l’Arte Contemporanea, Martina Franca (TA) Six exhibitions, Musee d’Art Moderne Grand-Duc Jean – Mudam, Luxembourg Tomas Saraceno: Lighter than Air, Walker Art Center, Minneapolis 53a Biennale di Venezia. Fare Mondi, Giardini e Arsenale, Venezia Liverpool Biennial 2008. Made up, Different Location, Liverpool We have a dream, with Marjetica Potrc , Spazio Gerra, Reggio Emilia Tomas Saraceno: The Iridescent Planet, Ali Arts Learning Institute, Roma U-Turn, Different Locations, Copenhagen LIAF 2008, Different locations, Lofoten islands, Norway Cloudy Dunes Air-Port-City, Attitudes, espace d’arts contemporains, Geneva, Switzerland Megastructure reloaded, Modem - Space for Contemporary Music and Arts, Berlin Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Tomas Saraceno: Microscale, Macroscale, and Beyond: Large-Scale Implications of Small-Scale Experiments, Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive BAM/PFA, Berkeley Tomas Saraceno: Biosphere MW32 air-port-city, Pinksummer, Genova Air-Port-City, Tanya Bonakdar, New York

2006 2006 2006

Cumulus, The Curve, Barbican Art Gallery, London Sehnsüchtig gleiten Ballone rund um die Welt, Berlin Personal Status – Infinite Actives (with Marjetica Potrc) Portikus, Frankfurt

2009 2009 2009 2009 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2007

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> Simon Starling «Ho realmente, sempre, creduto che lo spazio fosse un elemento fondamentale, tanto quanto gli altri, nell’ambito delle mie performances; attraverso la collocazione di una semplice lastra di vetro all’interno di uno spazio, questo si trasforma, infatti, in un modo del tutto particolare, in qualcos’altro. Il suo impatto in relazione all’architettura circostante si intensifica notevolmente. Naturalmente l’idea di un moderno ready-made è quella di alterare, in qualche modo, le relazioni tra l’oggetto e la sua realtà di essere tale, attraverso uno spazio “asettico” come quello del museo. Penso che quello che cerco di fare sia di renderlo funzionale in due direzioni. Spingendo gli elementi avanti e indietro. Probabilmente si tratta piuttosto di objet trouvés che di ready-mades: hanno una vita differente». Simon Starling E’ nato nel 1967 a Epsom, Gran Bretagna Vive e lavora a Copenhagen, Danimarca

Il lavoro di Simon Starling è incentrato soprattutto sugli aspetti che riguardano l’intervento dell’uomo e della tecnologia umana sui materiali. Ne è dimostrazione una delle sue opere più conosciute che ha per titolo proprio Made ready (2003), per porre l’accento, quasi in un rovesciamento del “ready made” duchampiano, sui processi di fabbricazione dell’opera, al punto da rielaborare anche ciò che originariamente era opera della natura, trasformandolo in un frutto dell’ars o della teknè umana: così avviene per i modelli botanici in metallo, realizzati ai primi del Novecento dal fotografo e naturalista tedesco Karl Blosfeldt, che Starling riproduce in alluminio ed inserisce all’interno di vetrine che richiamano contesti didattico-museali. L’affiancamento di modelli botanici, con oggetti tipicamente artificiali quali ad esempio una poltroncina da ufficio ed i pezzi di una bicicletta fanno emergere sorprendenti somiglianze fra la struttura delle piante riprodotte e la forma del telaio quella dei raggi della bicicletta, il cui metallo viene utilizzato per realizzarle. In questo senso ancora una volta il titolo di una delle opere, Bridge (2003), costituita da due parti simmetriche di bicicletta, è illuminante. Le due parti di bicicletta sembrano congiungersi in un immaginario ponte, e i pezzi della bicicletta appaiono come un ponte ideale fra la creazione umana e la creazione naturale. Processo e scambio, equilibrio e circolarità sono gli aspetti centrali delle installazioni, degli oggetti e delle fotografie, spesso contorte, dell’artista. La sua prassi artistica presuppone, una rete di interconnessioni e di trasformazioni che ridisegnano la mappa dei sistemi ecologici ed economici, delle tradizioni storiche e scientifiche e dei riferimenti al design

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modernista e al movimento Arts&Crafts. Indicativa, a questo proposito, è l’opera C.A.M. Crassulacean Acid Metabolism (2005), consistente in quattro radiatori di ghisa (funzionanti) a forma di cactus, collegati ad una caldaia per mezzo di tubazioni in rame. Il titolo dell’opera è tratto da un processo biochimico che costituisce una variazione complessa della fotosintesi, per il quale alcune piante, tipicamente quelle che crescono nelle regioni più secche ed aride, assorbono anidride carbonica durante le ore di oscurità. I cactus e tutta la famiglia delle piante grasse possono, in tal modo, minimizzare lo stress eco-fisiologico e la perdita d’acqua dalle foglie, evitando lo scambio di gas durante la fase più calda del giorno. Il cactus, organismo vegetale altamente efficiente sul piano energetico, affascina Simon Starling da molto tempo: specie desertiche erano, ad esempio, parte integrante della sua Kakteenhaus (2002), nonché di Taberna Desert Run (2004). Quest’ultima opera è costituita da una bicicletta, alimentata da una cella a combustibile funzionante ad idrogeno, che l’artista ha utilizzato per attraversare il deserto dell’Andalusia. L’unica emissione proveniente dal veicolo era l’acqua pura che l’artista ha, in seguito, utilizzato per creare il dipinto di un cactus opuntia. C.A.M., invece, reinterpreta il “prudente” design delle piante grasse attraverso una loro vera e propria rifusione sotto forma di dispositivi artificiali che, per contro, sono altamente inefficienti: i radiatori che emanano calore all’interno dello spazio espositivo che ospita l’opera. L’artista collega il processo dell’opera C.A.M. all’ingenuità e al profitto, che ha a che fare con l’energia idroelettrica. C.A.M. può anche ricollegarsi al mercato “grigio” dei rottami di ferro, in cui cavi rubati vengono fusi per poi essere contrabbandati e, più genericamente, alla pratica universalmente diffusa della rifusione e del riutilizzo dei metalli. Questi processi sono sati sfruttati sin dall’epoca preindustriale e il valore dei rottami di ferro oggi è considerato un importante indice economico. Che si ricolleghino all’anidride carbonica fissata dai cactus, all’uso dei bacini idrici come “batterie” o saccheggio di metalli, i materiali e le energie di questa opera possono essere intesi come parte di un sistema di alimentazione biologico-tecnico di natura ciclica, da cui traggono significato. Le opere di Simon Starling, quindi, studiano il concetto di valore e la sua possibile attribuzione, tanto a un oggetto quanto a un’opera d’arte, attraverso l’esame dei parametri e dei procedimenti che, portando un oggetto comune a divenire un “oggetto d’arte”, ne decretano il cambiamento di valore. L’opera By nigth the Swiss buy cheap-rate electricity from their neighbours

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which they use to pump water into holding reservoirs. By day they use the stored water to generate hydroelectric power wich they then sell back to their neighbours at peak-rate price. After Christopher Williams/ After Jean-Luc Godard (2005), - “Di notte gli svizzeri comprano dai loro vicini elettricità a tariffa ridotta, che usano per pompare acqua nei bacini di contenimento. Di giorno usano l’acqua accumulata per produrre energia idroelettrica, che poi rivendono ai vicini alle massime tariffe. – da Christopher Williams/da Jean-Luc Godard” - nasce in occasione della mostra personale al Kunstmuseum di Basilea nel 2005 e prende spunto da una serie di fotografie realizzate nel 1993 da Christopher Williams, che hanno come soggetto la “Grande Dixence”, la diga svizzera dove Jean-Luc Godard aveva girato Opération Béton ("Operazione Cemento", 1954). La Svizzera acquista dalle Nazioni vicine elettricità poco costosa, a tariffa notturna, per pompare acqua nei bacini idrici. Nei giorni in cui la domanda di energia è più elevata, l’acqua immagazzinata viene utilizzata per produrre elettricità che può essere rivenduta a tariffe di punta. Prendendo spunto da questo piccolo escamotage, l’artista compie un’azione analoga che lo porta, attraverso l’appropriazione delle fotografie di Williams, ad acquisire un valore già consolidato che lui stesso aumenta stampando le stesse immagini al platino invece che ai sali d’argento, un procedimento molto più costoso di quello adottato in origine. In questo modo al valore “artistico” delle fotografie acquisite, Starling aggiunge il valore materiale del mezzo utilizzato, infondendo nuovi significati alle opere di Williams e aggiungendo un’ulteriore tappa nel percorso evocativo dell’oggetto. Un percorso all’interno del quale la diga svizzera, non è più soltanto un sistema economico di sostentamento, ma diventa un oggetto studiato attraverso gli occhi dell’osservatore che, grazie all’opera di Starling, recepisce anche la visione che del medesimo luogo avevano avuto in tempi diversi Williams e Godard.

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MOSTRE SELEZIONATE 2010 2010 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2009 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2008 2007

Exchange project with Neugerriemschneider at Kamel Mennour, Paris Fall Out, Malmo Konsthall, Malmo Simon Starling: Red White Blue, Casey Kaplan Gallery, New York Simon Starling: Thereherethenthere (Works 1997-2009), Musee d’Art Contemporain du Val-de-Marne – MAC/VAL, Vitry-sur-Seine Simon Starling: The long ton, Neugerriemschneider, Berlin Free as air and water, 41 Cooper Gallery, New York Radical Nature. Art and Architecture for a Changing Planet 1969-2009, Barbican Center, London Simon Starling: Inverted funicular bridge, Museion – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano, Bolzano BP Exhibition, Tate Britain, London 53a Biennale di Venezia. Fare Mondi, Giardini e Arsenale, Venezia Altermodern, Tate Britain, London Simon Starling: Under Lime, Temporare Kunsthalle, Berlin Simon Starling: The Nanjing Particles, Mass MOCA, curated by Susan Cross, North Adams Richard Long and Simon Starling, Spike Island, Bristol Simon Starling: Concrete Light, Limerick City Gallery of Art, Limerick, Ireland Plant Room, Kunstraum Dornbirn, Dornbirn, Austria Project for a Public Sculpture (After Thomas Annan), The Modern Institute/Toby Webster Ltd., (offsite), Glasgow, Scotland Three Birds, Seven Stories, Interpolations and Bifurcations, Galleria Franco Noero, Torino Simon Starling: Cuttings (Supplement), The Power Plant, Toronto Simon Starling: The Nanjing Particles, MASS MoCA (Massachusetts Museum of Contemporary Art), North Adams Cronostasi, Galleria d’Arte Moderna – GAM, Torino Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse, e perplessità, Fondazione Sandretto Re-Rebaudengo, Torino Simon Starling: Particle Projection (Loop), WIELS - Contemporary Art Center, Brussel

2007 2006 2006 2005

SB8. Sharjah Biennial, Sharjah Expo Centre, Sharjah, Emirates 24 hr. Tangenziale, Galleria Franco Noero, Turin Wilhelm Noack oHG, Neugerriemschneider, Berlin Cuttings, Kunstmuseum Basel, Museum für Gegenwartskunst, Base2005

2003 2001

Basel Angle of vision, Fundacio Joan Miro’, Barcelona Inverted Retrograde Theme, Secession, Vienna

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Opere selezionate


Portscapes è un’iniziativa curata da Latitudes (Barcellona) e promossa dall’Autorità del Porto di Rotterdam, in collaborazione con SKOR (Foundation for Art and Public Space,

Amsterdam). Lara Almarcegui utilizza spesso le città come territori inesplorati, approcciandovisi come ad entità sconosciute e trasformando spazi vuoti e anonimi in luoghi di incontro e strumenti di relazione tra gli abitanti. Perchè la sua predilezione va a tutte quelle aree apparentemente prive di antropizzazione, in contrasto con i vasti piani di espansione territoriale. Solamente lo sguardo attento e “diverso” di un’artista riesce a scorgere i particolari rilevanti di una distesa vuota, facendone l’oggetto di una vera e propria visita guidata, non rivolta quindi ad un classico monumento, come normalmente avviene, ma ad un luogo apparentemente “secondario ed insignificante”. Ad essere portati in luce ne saranno principalmente gli aspetti naturali, e da questa inusuale prospettiva, inoltre, si potrà godere una vista della città completamente differente, straniante.

1 2 1. Lara ALmarcegui,

A Wasteland in the Port of Rotterdam, 2009. 2. Lara ALmarcegui, A Wasteland in the Port of

Rotterdam, 2009. 8 November 2009, tour intorno a cinque terreni incolti nelle vicinanze del porto di Rotterdam.


| Opere selezionate. Lara Almarcegui


Il risultato specifico della ricerca di Lara Almarcegui per Portscape è rappresentato in un giornale. Quando nel futuro queste aree subiranno modifiche, dovute all’espansione terriotriale e capitalistica, il contributo della Almarcegui servirà a testimoniare l’assetto delle zone adiacenti il porto nel 2009.

3

3. Lara ALmarcegui, A Wasteland in the Port of

Rotterdam, 2009. Newspaper.


| Opere selezionate. Lara Almarcegui


4 4. Lara ALmarcegui,

The Rubble Mountain, 2008. Nell’ambito della mostra collettiva Estratos, Proyecto Arte Contemporåneo 2008. Murcia


| Opere selezionate. Lara Almarcegui


Building materials. Le opere sui materiali da costruzione di Lara Almarcegui si sviluppano partendo dalla collocazione di pile di materiali costitutivi di uno spazio espositivo all’interno dello spazio stesso, per finire, ad esempio, nella missione apparentemente impossibile di stabilire il peso di tutti i materiali che intervengono nella costruzione di una metropoli come San Paolo del Brasile.

Ruined Buildings. Quando un edifico diventa una rovina? Per L ara Almarcegui tutto comincia quando la costruzione si espone agli agenti atmosferici più rilevanti, in seguito ad infissi rotti o buchi nel tetto. Non più al riparo dagli eventi esterni l’edificio diventa da questo preciso momento una preda per gli elementi naturali: vento, acqua, sole vegetazione selvaggia trovano la loro strada attraverso ogni fessura e lentamente si fondono con la struttura dell’edificio. La guida contiene più di 150 voci, una panoramica affascinante di rovine e di edifici abbandonati: un museo mai finito, un hotel di lusso, una serie di piscine all’aperto, un faro…

5 6 5. Lara ALmarcegui,

Materiais de construção cidade de São Paulo, 2008. Nell’ambito della mostra collettiva Estratos,

Proyecto Arte Contemporáneo 2008. Murcia 6. Lara ALmarcegui,

Guide to ruined Buildings in the Netherlands XIX-XXI Century, 2008. 26 fotografie incorniciate con 10 libri.


| Opere selezionate. Lara Almarcegui


Il progetto artistico presenta 19 abitazioni in vendita a Brittons. Gli abitanti sono stati trasferiti nei sobborghi limitrofi e nel vicinato, e Brittons assume l’aspetto di una città fantasma. Rimosse dal loro originale contesto le abitazioni restano sospese tra un passato distante e il loro reinserimento futuro in un altro sito. Visitando ognuna di queste case e raccontando le loro storie, gli artisti offrono l’opportunità di riflettere intorno al problema dell’urbanizzazione, della costruzione, e della trasformazione futura della città di Wellington. Collocato nel contesto della pratica internazionale di Lara Almarcegui, il progetto

Relocated Britton’s Yard, continua la sua pratica artistica nell’esplorazione dei processi di entropia nell’ambiente costruito. Gli edifici, per l’artista, lasciano spazio a più infrastrutture, ad edifici ancora più grandi, al progresso, oppure persistono nel tempo e superando quindi la loro vita “utile”, cadendo inevitabilmente a pezzi. Lara Almarcegui discute in merito a questi spazi in trasformazione, in particolar modo quando la trasformazione è in fase di stallo, assumendo una valenza magica di libertà.

7 8 7-8. Lara ALmarcegui,

Relocated Britton’s Yard, Wellington, 2009.


| Opere selezionate. Lara Almarcegui


This is the Public Domain è un progetto in corso d’opera attraverso il quale Amy Balkin vuole trasformare un appezzamento di terreno presso Tehachapi, in proprietà pubblica internazionale utilizzabile da chiunque, mettendo così in discussione la definizione di territorio in termini di proprietà privata.

Public Smog è un parco pubblico nell’atmosfera che penetra nella indefinibile intersezione tra cambiamenti climatici, politica ed economia. Realizzato attraverso operazioni finanziarie legali e politiche, Public Smog è soggetto alla prevalenza dei venti e al trasporto a lungo raggio di gas serra e particolati. L’artista ha avviato così la costruzione di un parco pubblico aereo, variabile per estensione e collocazione, attraverso l’acquisto di crediti per l’emissione di anidride carbonica. In questo modo viene messo in discussione il sistema della vendita di concessioni come rimedio alla crisi climatica, alla monetizzazione e all’esproprio dell’aria.

1 2 1. Amy Balkin, This is the Public Domain. Progetto in corso d'opera, dal 2001. 2. Amy Balkin, Public Smog. Progetto in corso d'opera, dal 2001.


| Opere selezionate. Amy Balkin


Il progetto Invisible-5 indaga il contesto sociale, economico e ambientale della valle di San Joaquin, in California, al centro della quale transita l’autostrada interstatale 5 che collega San Francisco e Los Angeles.

Invisible-5 racconta le storie delle persone e delle comunitĂ locali e la loro lotta per il raggiungimento di una giustizia ambientale. Il progetto si presenta come un archivio sonoro, condiviso attraverso il web, nel quale sono raccolte le testimonianze degli abitanti unite a suoni e musiche caratteristici della zona.

3 4 3-4. Amy Balkin, Invisible-5, 2005.

Invisible 5 (The Grapevine, Buttonwillow; San Fernando Valley Map), 2006. Percorso audio-critico lungo la Interstate 5 tra San Francisco e Los Angeles. Prodotto da: Amy Balkin, Tim Halbur, Kim Stringfellow, Greenaction for Health and Environmental Justice, Pond: Art, activism, and ideas.


| Opere selezionate. Amy Balkin


«Il cambiamento climatico è una realtà. Causato da tutti noi, costituisce un problema culturale, sociale ed economico, e deve andare oltre i confini del dibattito scientifico. I fautori del progetto Cape Farewell sono convinti che gli artisti possano avvicinare il pubblico a questa problematica attraverso la creatività. L’Artico è un posto straordinario da visitare. È un posto da cui trarre ispirazione, un posto che ci stimola ad affrontare quello che stiamo per perdere». Queste le parole di David Buckland. Poliedrico designer, artista e regista britannico, ideatore di Cape Farewell, progetto riconosciuto come la più significativa risposta artistica ai cambiamenti climatici. Il programma artistico è parte integrante del progetto. Un’immagine toccante, una scultura o semplicemente una performance possono esprimersi meglio di volumi scientifici, arrivando al pubblico in maniera diretta, stimolando l’immaginazione di ognuno. Amy Balkin ha partecipato alla spedizione del 2007: «la coscienza del surriscaldamento globale cresce come consapevolezza politica e culturale; allo stesso modo la lezione, il senso e il valore di questa spedizione si sviluppano di conseguenza. Spero di tornare da questo viaggio con una comprensione migliore dell’Artico come “organismo”, e con una più spiccata abilità nel diffondere il pensiero relativo agli impatti del cambiamento climatico sul nostro pianeta».

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5. Amy Balkin, Cape Farewell, 2007. Art/Science Expedition Crew.


| Opere selezionate. Amy Balkin


E.S.C.U.L.E.N.T.A, dal latino: cose commestibili. Nasce da un moto interno, è forma esteriore di impulsi e istinti. Narra dell'impulso naturale e ancestrale di raccogliere ciò che si trova in natura allo stato spontaneo per nutrirsene e sostenere la propria esistenza e vitalità fisica. Esculenta non si configura come un'azione tesa ad esaminare analiticamente la più o meno ampia varietà di materiali naturali commestibili, né intende esprimere giudizi ecologisti o stimolare anacronistici ritorni a stili di vita "preistorici”. Contattare la percezione dell'essenzialità dell'autosostentamento, della pura sopravvivenza fisica, costituisce l'origine e l'intento fondante dell'intero progetto. L'azione di raccolta di materiale naturale spontaneo (vegetale e minerale) costituisce la prima e più importante fase del progetto; essa comporta il completo coinvolgimento fisico e di tutti i sensi di chi vi partecipa. Osservare l'ambiente non è un'azione vaga, ma è diretta e guidata dalla volontà di trovare un qualsiasi genere di materiale naturale commestibile. Esculenta è un'operazione aperta alla collaborazione di chiunque intenda parteciparvi.

1 2 1. Andrea Caretto Raffaella Spagna, E.S.C.U.L.E.N.T.A Azione di raccolta di materiali naturali commestibili - Fraz. Revigliasco, Moncalieri (To), 24/02/03 2. Andrea Caretto Raffaella Spagna, E.S.C.U.L.E.N.T.A - Esempi di prodotti finiti


| Opere selezionate. Andrea Caretto&Raffaella Spagna


L'installazione Food-Islands, realizzata presso la sede temporanea del PAV (Parco d'Arte Vivente), nell'area degli ex mercati generali di Torino, è costituita da una videoproiezione e da un sistema di irrigazione goccia a goccia che alimenta otto piccole isole contenenti diversi elementi: rocce, piante e animali. Il video mostra le riprese effettuate dagli autori in una notte di mercato nell'inverno 2001 presso i Mercati Generali di Torino (ora sede della mostra); l'intero complesso - dopo essere diventato sede di servizio per le Olimpiadi di Torino 2006 - è ora in attesa di una nuova destinazione d'uso. Il video è proiettato sul

3 4 3. Andrea Caretto Raffaella Spagna.

Food Islands, 2007. Sede espositiva PAV (Parco d’Arte Vivente), Torino, ex Mercati Generali, Novembre Dicembre 2007. Sistema idraulico: cesto da supermercato in filo metallico, telo in plastica crystal, pompa da giardino, tubi da enologia, irrigatori a goccia, decorazioni natalizie in plastica, bicchieri di plastica, contenitore per alimenti, fili di nylon. Esemplare di Eichornia Crassipes (Giacinto d'acqua – fam. Pontederiaceae) nella vasca di alimentazione. 4. Andrea Caretto Raffaella Spagna.

Food Islands, 2007. Sede espositiva PAV (Parco d’Arte Vivente), Torino, ex Mercati Generali, Novembre Dicembre 2007. Particolare: Piante carnivore gen. Sarracenia e

Drosera, felce Asplenium trichomanes in tronco di Vitis vinifera (Vite).


| Opere selezionate. Andrea Caretto&Raffaella Spagna


soffitto originario in cemento armato degli ex mercati generali, oltre la controsoffittatura dei locali ristrutturati che è stata, per l'occasione, in parte asportata. Il sistema ad “isole” interconnesse, è formato da un bacino d'acqua principale e da un sistema sospeso di tubazioni trasparenti. Una pompa ad immersione spinge a ciclo continuo l'acqua dalla vasca alla tubatura principale e di qui, attraverso una serie di derivazioni, agli irrigatori a goccia che irrorano i diversi elementi. L'acqua viene poi raccolta tramite piccoli imbuti e tubazioni di scarico e ritorna per gravità alla vasca principale. L'installazione è concepita come un “sistema” complesso nel quale ogni elemento è legato concettualmente agli altri da un rete di relazioni, spesso non lineari, che formano una sorta di racconto ipertestuale, che narra dei processi di crescita e trasformazione della materia da inorganica a organica e viceversa, e dei temi del mercato e della distribuzione a larga scala di “materiale organico” commestibile. L'installazione è in buona parte realizzata utilizzando materiali di uso comune facilmente reperibili nei supermercati e nei centri commerciali, quali: addobbi natalizi, bicchieri di plastica, tubi da enologia, contenitori in filo metallico da supermercato, ortaggi, contenitori per alimenti.

5 5. Andrea Caretto Raffaella Spagna.

Food Islands, 2007.


| Opere selezionate. Andrea Caretto&Raffaella Spagna


Human Microbiome, opera inedita prodotta dal CCCS per Green Platform, si presenta come un armadio monolitico con cassetti e aperture praticabili, nei quali è possibile “visionare” materiali ed elaborati di diversa natura sul microcosmo corporeo, denominato in campo scientifico “microbioma umano”. I dati presentati sono tradotti in immagini, disegni, video, oggetti-scultura, tutti elaborati ai fini di una rappresentazione cognitiva e creativa dell’ “alterità” costituita dai microrganismi che ci abitano. Le intime relazioni di simbiosi con i batteri, tra macrocosmo umano e microcosmo batteriologico che lo abita, diventano metafora delle più estese e indispensabili relazioni che intercorrono tra l’uomo e il sistema ecologico che lo comprende. Caretto e Spagna ci invitano a riflettere sulla ricerca di un’autentica sostenibilità in termini di “ecologia profonda”: occorre una radicale revisione della prospettiva antropocentrica e l’acquisizione di consapevolezza nei confronti della complessità del mondo che ci circonda per sentirsi finalmente parte di un sistema più ampio, dal quale non possiamo prescindere e di cui facciamo parte, come tutte le altre specie viventi, siano esse piante, batteri, animali.

6 7 6. Andrea Caretto Raffaella Spagna,

Human Microbiome, 2009. Struttura in legno, monitor LCD, oggetti in paraffina, documenti cartacei 258x210x129 cm. Installazione prodotta dal CCCS, Firenze. 7. Andrea Caretto Raffaella Spagna,

Human Microbiome, 2009. Particolare.


| Opere selezionate. Andrea Caretto&Raffaella Spagna


Aureole è uno dei lavori installati al Castelo di Rivoli in occasione della personale di Bruna Esposito. Una serie di polpi essiccati, disposti a corona, ruota lentamente intorno ad una sfera di travertino, mentre un ventaglio di baccalà si alza e si piega dall'alto di una piccola colonna. A terra un bacile accoglie invece il movimento di una ruota fatta di pesci essiccati infilzati su sottili aste metalliche. È un rituale di movimenti lenti e gentili, eppure dolorosi e inqietanti. Le creature catturate e lasciate seccare al sole per diventare nutrimento vengono dotate di una seconda vita e al tempo stesso esposti quali trofei di morte. L'opera d'arte come cibo, proprio perchè letteralmente commestibile, è un tema ricorrente nel lavoro di Bruna Esposito.

Castelli di Sabbia è una piccola scultura di sabbia che rovina durante una mostra. In italiano la parola rovina significa resto, traccia, ciò che rimane ancora visibile dopo l'usura del tempo.

1 2 1. Bruna Esposito, Aureole, 1999. Sculture cinetiche: pesci e molluschi essiccati, moduli fotovoltaici, travertino, batteria, motori elettrici, bottiglia in vetro. 2. Bruna Esposito, Castelli di Sabbia, 2000. Scultura impermanente: sabbia, scarpe usate, incenso.


| Opere selezionate. Bruna Esposito


In Sereno-variabile quattro ventilatori disposti agli angoli delle pareti creano una piacevole corrente d'aria, mentre diversi uccellini cantano dalle loro gabbie. L'opera è nata con la collaborazione di Stefano Santa Maria Longobardi, compositore caro alla Esposito. Entrando nell'opera si è accolti da un molteplice abbraccio e da una complessità di significati. L'allusione metereologica apre una serie di rimandi metaforici, rendendo palpabile il desiderio di un momento di poesia.

3

3. Bruna Esposito, Sereno-variabile, 2002. Diamanti, mandarini, ciuffolotti messicani, cardellini di varia specie, aste in ferro, uccelliere, ventilatori, timer, lettori Cd, speakers, cuffie audio, Cd.


| Opere selezionate. Bruna Esposito


4 5 4. Bruna Esposito, Cosa resta, 1993. Rete da pesca, scarpe usate con mosaico di specchi. 5. Bruna Esposito (con Danilo Cherni), Mobile, 2005. Installazione sonora. Ghiaia, microfoni, tavoli di ferro, vetro,lavagna, legno, sedie di ferro e legno, campanellini, vasi di ceramica di Clementina Lantieri. m. 9,5 x 5 x 3,70 (alt. massima).


| Opere selezionate. Bruna Esposito


Muovendosi tra l’ordine e il caos, il video

Desniansky Raion esplora la nozione di entropia così come è stata sviluppata e diffusa da uno dei maggiori esponenti della Land Art: Robert Smithson. Dopo un’inquadratura introduttiva “statica” su una costruzione degli anni Settanta, un monumentale arco di trionfo proprio all’ingresso di Berlino, il video sviluppa le tre sequenze, senza un visibile filo narrativo conduttore, con il sottofondo della musica elettronica del compositore Koudlam: la prima riguarda una violenta battaglia tra due bande di hooligan in un parcheggio nei sobborghi di San Pietroburgo; la seconda comincia con fuochi d’artificio e un grandioso fascio di luce proiettato sulla facciata di un complesso residenziale nei sobborghi di Parigi, poco prima che il complesso collassi; la terza e ultima sequenza parte con un precario volo su una moltitudine di torri grigie che si ergono in un paesaggio innevato e malinconico nella periferia di Kiev. Desniansky Raion è un lavoro molto figurativo. È un video in cui si alternano vandalismo ed estetica minimalista, ordine e caos.

1 2 1. Cyprien Gaillard, Desniansky Raion, 2007. Video, 30:00 min. Edition of 5. 2. Cyprien Gaillard, Desniansky Raion, 2007. Santa Maria della Scala, Siena 13 dicembre 2008.


| Opere selezionate. Cyprien Gaillard


Filmato nella giungla vietnamita RRoFW IV è una serie di cinque filmati che documentano il lavoro artistico di Cyprien Gaillard sulla scia della lezione della Land Art. Utilizzando degli estintori, l’artista crea nubi di fumo che gradualmente invadono l’inquadratura, per poi scomparire assorbite dalla lussureggiante vegetazione vietnamita. La camera da 35 mm dona al filmato un sapore narrativo, riprendendo, per di più, l’estetica dei film sulla guerra del Vietnam. Il progetto ebbe inizio nel 2002. La serie è coomposta da cinque cortometraggi in 35 mm, definiti dallo stesso Gaillard come un lavoro di Land Art. In ogni corto una fitta coltre di fumo bianco, prodotta dagli estintori, invade lo spazio, dal centro urbano fino alla periferia, per arrivare al paesaggio naturale. Il tutto sapientemente scelto dall’artista per le proprie azioni performative. Il lavoro sembra essere un omaggio alla pittura romantica, pur introducendo allo stesso tempo la nozione di vandalismo tanto cara all’artista.

3 4 3. Cyprien Gaillard, Real Remnants of Fictive

Wars (part IV), 2005. Video 35 mm. Edition of 5 4. Cyprien Gaillard Real Remnants of Fictive

Wars (part II), 2004. Video 35 mm. Edition of 2


| Opere selezionate. Cyprien Gaillard


In Dunepark, Gaillard porta alla luce un bunker Nazista, seppellito sotto la sabbia fuori da L’Aia, in Olanda. Il bunker era stato costruito nei primi mesi del 1943, durante l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi, come parte del Muro Atlantico di Hitler, un sistema di difesa contro l’invasione degli Alleati. Dopo il muro, il bunker era stato semplicemente ricoperto di polvere (coprirlo costava meno che distruggerlo). L’opera può essere vista come la personificazione della “Bunker Archeology” teorizzata dal filosofo e urbanista francese Paul Virilio nel suo testo eponimo del 1975. Per Gaillard il processo fisico di escavazione è una forma di “scultura negativa”. L’artista vede in questo bunker sommerso un readymade sepolto. Con l’aiuto di una consistente equipe e di numerosi volontari della Foundation Atlantikwall Museum Scheveningen, Gaillard porta alla luce questo complesso sepolto per rivelarlo in tutta la sua gloria brutalista.

5 6 5. Cyprien Gaillard, Dunepark, 2009. Olanda. Scultura ready-made di un bunker tedesco della II Guerra Mondiale. Cemento. 6. Performance al Dunepark di Cyprien Gaillard.


| Opere selezionate. Cyprien Gaillard


Attraverso la serie The New Picturesque Cyprien Gaillard esplora appunto la nozione di “pittoresco”, letteralmente “quello che merita di essere rappresentato”, e nello specifico il concetto della pittura di paesaggio del Diciottesimo Secolo, in accordo col quale il pittoresco è spesso paesaggio in rovina e brutto. In questo senso una veduta “pittoresca” è raramente un bel vedere nel senso classico del termine. Prima dell’intervento dell’artista il dipinto rappresentava soltanto un bel paesaggio. Con un gesto radicale Gaillard nasconde tutti gli elementi narrativi presenti nella composizione al punto di rivelare la qualità intrinseca del pittoresco stesso, perseverando, in maniera metaforica, nel suo interrogativo di trovare tracce umane nella natura. L’azione dell’artista sfocia così in un vero e proprio atto di vandalismo. «La natura in sé non mi interessa: la considero unicamente come parte dei miei paesaggi moderni. Non riesco a separare le due dimensioni naturali: quella antropizzata e quella vergine. Sono nato nel 1980 e queste costruzioni hanno sempre fatto parte della mia idea di paesaggio. Penso che l’unica dimensione utopica del mio lavoro sia il suo essere prodotto al di fuori degli studi, dei laboratori, in uno sforzo (che condivido con la Land Art) di riconciliare il mondo dell’arte con quello reale».

7 7. Cyprien Gaillard, The New Picturesque

(Hatten), 2009 Olio, acrilico a vernice su tela 19.69 x 23.62''. Pezzo unico


| Opere selezionate. Cyprien Gaillard


L’opera Bonaqua Condensation Cube fa riferimento a quella già esistente di Hans Haake - Condensation Cube (1963–65) - così come il potere del marchio di fabbrica. Nell’ultimo decennio, hanno fatto il proprio ingresso, nel mercato delle acque minerali, anche le multinazionali delle “soft drinks” ed in particolare Coca Cola che ha lanciato nel mercato, nel 1999 la BonAquA: attualmente al nono posto della classifica delle acque più vendute negli USA. Greenfort riempie un cubo di acrilico trasparente e sigillato ermeticamente proprio con l’acqua Bonacqua, imbottigliata dal discusso marchio dell’azienda Coca Cola. Crea così una “scultura ambientale” continuamente in divenire. Nel momento in cui la temperatura dell’aria circostante varia, l’acqua si condensa o ritorna allo stato liquido all’interno del cubo. Nelle vicinanze l’artista colloca, sotto forma di scultura, una bottiglia d’acqua di plastica, manifestazione ironica intorno al contorto problema relativo alla privatizzazione della risorsa più preziosa del mondo. Il processo di condensazione, che porta a causa del riscaldamento una diminuzione del liquido da 1,5 litri a 0,5 litri, dà l’assurdo titolo all’opera, spiegando come sia necessaria una quantità maggiore di acqua solo per riempire una bottiglia. La sua arte elegante e concettuale parte dal presupposto che cultura e natura siano sinonimi e che insieme debbano collaborare.

1 1. Tue Greenfort, Bonaqua Condensation Cube, 2005. Vetro, Silicone, Acqua Bonaqua. Teca 45x45x45 cm


| Opere selezionate. Tue Greenfort


Tue Greenfort è interessato alle tematiche inerenti le questioni ambientali. Nel suo lavoro

Closed Biosphere ha utilizzato acqua, alghe, semi e bottiglie di plastica per coltivare un biotopo, oggi di sei anni. L‘artista mostra inoltre questo sistema chiuso attreverso un formato ingrandito, completato da un’installazione filmica dal titolo Microcosmos che permette allo spettatore di studiare la vita all’interno della bottiglia, in un microscopico dettaglio.

2 3 2-3. Tue Greenfort, Microcosmos, Closed

Biosphere, 2006 – 2009. Per Life Forms Exhibition, Bonniers Konsthall, Stoccolma, 16 Settembre 2009 – 10 Gennaio 2010.


| Opere selezionate. Tue Greenfort


Il danese Tue Greenfort dispone all’esterno della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo tre cassonetti con pareti trasparenti per la raccolta differenziata della spazzatura. L’artista vuole sollecitare un controllo pubblico e "chiaro" attorno al tema scottante dei rifiuti. I lavori presentati per Greenwashing testimoniano che concetti come ambientalismo, ecologia e natura sono ormai desueti e inadatti all'analisi e alla comprensione del complesso panorama ecologico in cui viviamo. L'impronta ecologica, l'impatto zero, l'annullamento delle emissioni di anidride carbonica, le foodmiles, il marketing ambientale e il debito ambientale, sono tutti termini di recente invenzione spesso abusati, ma sempre più inafferrabili e immateriali. Sono vocaboli e espressioni che ci spingono a percepire con sempre maggior inquietudine le intrusioni e le deprivazioni delle risorse del pianeta generate dalla costante modernizzazione globalizzata.

4 5 4. Veduta dell’installazione di tre cassonetti della spazzatura subito fuori dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, in occasione della mostra Greenwashing. Ambiente: pericoli,

promesse, e perplessità, Torino, 29 Febbraio – 18 Maggio 2008. 5. Dettaglio dell’installazione.


| Opere selezionate. Tue Greenfort


Per ripulire le acque superficiali di un bacino idrico altamente contaminato, Greenfort spruzza, nel bacino stesso, una sostanza chimica capace di portare le particelle inquinanti sul fondo. L’artista intende in questo modo mettere in evidenza l’inutilità di certe politiche ambientali, volte a combattere non tanto le cause quanto le conseguenze dell’inquinamento.

6 6. Tue Greenfort, Diffuse Einträge, 2007. Macchina spargi letame modificata. Cisterna da 100 litri piena di cloruro di ferro, container da 17.600 litri 2x5x25 m, pieno di acqua potabile Exhibition view: Skulptur Projekte, Münster, 2007.


| Opere selezionate. Tue Greenfort


A causa dell’aumento delle temperature dovute ai cambiamenti climatici, dell’inquinamento delle acque e della mancanza di nemici naturali come tartarughe e tonni, le cui popolazioni sono state decimate dalla pesca intensiva, la medusa rosa Pelagia noctiluca, tra le più urticanti della sua specie, ha trovato ottime condizioni di riproduzione nel Mediterraneo, dove sta formando popolazioni in continua crescita. Il lavoro di Tue Greenfort prodotto dal CCCS per

Green Platform propone alcune riproduzioni in vetro della medusa rosa, realizzate da una piccola azienda artigianale di Murano. Con questa operazione l’artista intende portare all’attenzione del pubblico il problema della perdita della biodiversità, fondamentale per il mantenimento di un equilibrio nell’ecosistema. La battaglia contro la proliferazione della medusa rosa, un tempo ricercata e studiata dai musei di storia naturale, rappresenta l’ennesimo tentativo da parte dell’uomo di combattere le conseguenze dei suoi cattivi comportamenti senza intervenire alla fonte del problema.

7 8 7. Tue Greenfort, Medusa Swarm, 2009. Sette elementi in vetro di Murano. Dimensioni variabili Installazione prodotta per Green Platform dal CCCS, Firenze. 8. Tue Greenfort, Medusa Swarm, 2009. Dettaglio.


| Opere selezionate. Tue Greenfort


Håkansson ha una relazione piuttosto interessante con la natura: ha messo in scena un concerto per una razza di uccello Inglese, ha indotto degli insetti ad attraversare una corda tesa, ha messo delle rane in condizione di rilassarsi al suono della musica ambient e ha cercato di esprimere lo stato psichico delle piante.

1 2 1-2. Henrik Håkansson, Broken Forest, 2006. orchidee, tronchi d’albero, d’accaio, luci HPS e umidificatore.

A travers bois pour trouver la forêt, solo exhibition, Le Palais de Tokyo, Paris, 2006.


| Opere selezionate. Henrik H책kansson


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3. Henrik HĂĽkansson, Fallen Forest, 2006. A horizontal rainforest. Metallo, legno, recipienti di plastica, alberi, piante, foglie, lampade alogene e sistema di irrigazione a goccia con timer.

A travers bois pour trouver la forĂŞt, solo exhibition, Le Palais de Tokyo, Paris, 2006.


| Opere selezionate. Henrik H책kansson


Il singolo uccello che canta una melodia, o anche solo un frammento di melodia, è un elemento ricorrente nelle opere di Hakansson, forse perché nella natura del romanticismo risiede semplicemente il concetto di bellezza, perché ogni singola nota del richiamo di un uccello potrebbe essere il romanticismo della natura. Questa, di per sé, potrebbe essere l’evoluzione della musica, e quindi è una fonte di grande ispirazione per il genere di comunicazione che l’artista produce. «Dietro al tavolo da lavoro ho una quantità incredibile di chitarre e amplificatori, e la possibilità di una forte amplificazione, al momento, è una forza trainante per quello che faccio. Sono i riferimenti musicali a creare l’atmosfera dell’opera in generale, e forse è qui che i mondi collidono». L’analisi dei comportamenti degli animali diviene infatti, in questo caso, lo studio di una lotta per la sopravvivenza di fronte al progressivo restringimento degli spazi vitali.

MARCH.16,2008 (Pharomachurus mocinno), riproduce il canto del Quetzal, l'uccello più famoso dell’America Centrale.

4 5 4. Henrik Håkansson, El Triunfo, MARCH.15,2006

(Pharomachurus mocinno), 2008. C-print 49x69 cm.

Henrik Håkansson - Novelas de la selva, solo exhibition, Museo Rufino Tamayo de Arte Contemporáneo, Mexico D.F., 2008. 5. Henrik Håkansson, MARCH.16, 2008

(Pharomachurus mocinno), 2008. amplificatore (fender super reverb 65), base lignea, stampa fotografica incorniciata (48,8 x 68,8 cm), lettore CD.


| Opere selezionate. Henrik H책kansson


L’artista Ilana Halperin, come suo contributo per l’iniziativa Portscape, ha prodotto una audioguida disponibile in MP3 su dispositivi elettronici e on line. Attraverso questa guida i visitatori saranno in grado di fare un’esperienza nella zona subito adiacente il porto.

A Brief History of Mobile Landmass si ispira alla percezione di Maasvlakte 2 in termini di formidabili fenomeni geofisici ed un senso geologico del tempo. Per quest’opera narrativa la Halperin non usa soltanto fatti, vissuti ed esperienze personali, ma si spinge ad inserire nel lavoro anche le ricerche e le valutazioni portate avanti dai vulcanologi, i geologi e gli esperti interessati alla costruzione di Maasvlakte 2. Questo progetto fa scaturire interpretazioni in merito ai processi naturali e artificiali in base ai quali nuovi territori vengono creati. Ricordando

Gli straordinari Viaggi di Jules Verne, la Halperin combina importanti informazioni scientifiche con una descrizione fantastica e vivace.

1 2 1. Ilana Halperin, Portscapes. A Brief History of

Mobile Landmass, audio-guida 2009. 2. Ilana Halperin, Portscapes. A Brief History of

Mobile Landmass, audio-guida 2009. I visitatori ascoltano l'audio-guida ‘A Brief

History of Mobile Landmass’.


| Opere selezionate. Ilana Halperin


Ilana Halperin, Note ai disegni, 2005. «All’interno della mia pratica, i disegni, come quelli della serie Landmass, combinano eventi reali con situazioni fantastiche che accadono nella vita reale. C’è stato un anno in Lapponia in cui il fiume è straripato prima del tempo. Le inondazioni che ne risultarono furono peggiori di quelle del 1981 quando era necessario scendere in barca per la strada principale. Idee, come quelle relative al progetto Landmass, si muovono in continuazione, restano sopite e poi improvvisamente eruttano di nuovo. Territori conosciuti diventano sommersi. Nuove conformazioni di terra. Alcuni luoghi emergono con nuove e differenti regole, allo stesso modo spontanee e precise, come una chiacchierata geologica esplode nel bel mezzo di un pranzo durante una sessione di lavoro sulla cima di un vulcano. Giustapposizioni inaspettate del casuale e dell’inconcepibile. Per me il disegno è uno studio in potenza. E’ un modo per cercare di decifrare gli eventi». Pubblicato in Drawing Links, Drawing Room, Londra 2005.

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3-4-5. Ilana Halperin, Nomadic Landmass

(Eldfell), 2005. Graphite su carta, 50 x 70 cm.


| Opere selezionate. Ilana Halperin


Towards Heilprin Land è un progetto realizzato durante il viaggio lungo la costa nord-orientale della Groenlandia a bordo di una nave rompighiacci con la spedizione Oceanwide. 18-28 Settembre 2006.

6 7 6-7. Ilana Halperin, Towards Heilprin Land, 2006. C-print on mdf.


| Opere selezionate. Ilana Halperin


Deborah Ligorio é una diarista del paesaggio che registra i suoi filmati con attenzione riflettendo, sulle trasformazioni di natura sociale, politica e ambientale. La sua opera potrebbe essere ascritta a una sorta di etnografia poetica, simile ai desideri degli psico-geografi o alle passioni degli esploratori del diciottesimo secolo, ossessionati dalla dimensione storica dello spazio, dal significato culturale del luogo e dalla grammatica dell’appartenenza. Le sue indagini, incentrate sull’identità geografica e paesaggistica, sono filtrate meticolosamente attraverso la sua percezione del sito, resa con una doppia prospettiva interna ed esterna alla narrazione mediante l’uso della propria voce fuori campo, che mitizza il luogo rendendolo più surreale.

The Submerged Town è un viaggio nella memoria del Trentino Alto Adige. L’artista rievoca il progetto ingegneristico dell’azienda Montecatini di costruire un lago artificiale che avrebbe unito due laghi naturali, il Lago di Resia e il Lago di Curon, sommergendo al contempo alcuni villaggi della valle. L’immagine di un campanile parzialmente sommerso dalle acque si erge a metafora della lotta quotidiana e della necessità di adattarsi. L’artista traccia i caratteri di una scomparsa e tenta di registrare il ricordo di una presenza, oscillando tra il magico e il reale, senza mai abbandonare la propria posizione critica di fronte alle politiche dei progetti di sviluppo urbano e ambientale.

1 2 1-2. Deborah Ligorio, The Submerged Town, 2008. Video 6 mm film on DVD, 5’.

Manifesta 7, Rovereto, Manifattura Tabacchi.


| Opere selezionate. Debora Ligorio


3 4 3. Deborah Ligorio, Appunti per Flussi , sistemi di raffreddamento passivo, 2007, wallpapers.

Ambient Tour , Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2007. C-print on mdf. 4. Deborah Ligorio, Flussi, 2007.

Ambient Tour , Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2007. C-print on mdf.


| Opere selezionate. Debora Ligorio


La maggior parte dei progetti ideati da Claudia Losi nasce dall’incontro con un luogo che lentamente prende la forma di un’opera: sia essa un ricamo, una scultura, un’installazione. In un tempo lontano le balene nuotavano tra gli Appennini, in un mare che ha lasciato ora il posto al cielo. Con queste parole Claudia Losi spiega come è nata l’idea della sua Balena. Realizzata in tessuto di lana secondo la morfologia e le dimensioni reali della mediterranea Balena Physalus (23 metri di lunghezza), è stata cucita nei Lanifici Botto e Boglietti tra le colline del biellese in Piemonte. Proprio come un’antica mirabilia, l’oggetto si carica di suggestioni, raccoglie sguardi e gesti, suscita racconti e fa riemergere ricordi tanto più quando è mostrato lontano dal mare. L'idea del progetto nasce nel 2002 dalla memoria delle balene che milioni di anni fa nuotavano tra le colline dell'Appennino; un’immagine riaggiornata agli anni Settanta quando, in molte città italiane, veniva esposta al pubblico una balena vera conservata sotto formalina e mostrata in un container da circo. Lavorando a partire da questi immaginari e queste memorie, l’artista ha realizzato un esemplare di Balenoptera Physalus, il più grande e veloce cetaceo del Mediterraneo.

1 2 1-2. Claudia Losi. Balena Project, 2002-2008. Tessuto in lana, imbottitura in fibra, camera d’aria gonfiabile cm 240x400. Fiorenzuola D’Arda, Gruppo cooperativo Piacenza, 2006.


| Opere selezionate. Claudia Losi


Dal 2002 ad oggi Balenaproject ha viaggiato per il mondo arrivando fino in Ecuador e trovando a ogni tappa una comunità di riferimento che, oltre ad accoglierla, aggiungeva alla sua storia nuove visioni. Una Balena comune di dimensioni reali, realizzata in tessuto di lana grigia, viaggerà per qualche anno in giro per l’Italia e in alcuni altri paesi che l’ospiteranno. In musei, in riva al mare, accanto a un ghiacciaio, in una piazza storica o in un quartiere di periferia, nel cortile di una scuola.

3 4 3. Claudia Losi. Balena Project, La coda della balena e altri progetti 1995 – 2008. Tessuto in lana, imbottitura in fibra, camera d’aria gonfiabile cm 240x400. Museo Marino Marini, Firenze. 4. Claudia Losi. Balena Project (Ecuador), La

coda della balena e altri progetti 1995 – 2008. Lana tinta e imbottitura Installazione di 400 pezzi, approssimativamente di 12 cm ognuno. Le piccole balene sono state realizzate in fibra di lana nella località di Guamote e altri villaggi a più di 4 mila metri sopra il livello del mare, nella provincia di Chimborazo, in Ecuador.


| Opere selezionate. Claudia Losi


Progetto Arte Pollino un altro Sud, comunità locali del Parco del Pollino, Parco Nazionale del Pollino. «Mi è stato chiesto di pensare a un progetto che coinvolgesse le realtà di un territorio che non avevo ancora avuto la fortuna di incontrare. Impossibile quindi realizzarlo senza una stretta collaborazione di chi sul territorio del Parco del Pollino, vive, lavora e ama. Ho pensato ad una modalità di coinvolgimento leggera, aperta ma strettamente legata a quei luoghi. E’ stato quindi chiesto, con un passaparola, a circa un centinaio di persone di raccontare un proprio personale ricordo che avesse avuto luogo nel versante lucano del Parco: dove giocavo da piccolo, quel bosco dove ho dato il primo bacio, quel campo dove ho inciso un piccolo aereo sulla buccia di un’anguria. Inoltre si è chiesto di fornire delle immagini: disegni, fotografie o altro. Con questo materiale ho realizzato personalmente dei disegni, poi trasferiti su pezze di tessuto e date in mano alla sapienza artigianale di un gruppo di signore del paese di Latronico. A loro di ricamarle, di aggiungervi piccoli inserti cuciti a piacimento, di creare delle strutture cuscino su cui fissarle.

Non altrove. Qui.

5 6 5-6. Claudia Losi, Qui e non altrove. Qui, 2008/2009.


| Opere selezionate. Claudia Losi


Con la consegna al quartiere e ai suoi cittadini di Multiplayer e Aiuola Transatlantico si completa il programma Nuovi Committenti a Mirafiori Nord, che ha già portato in quartiere due opere concepite, progettate e realizzate per la collettività e insieme ad essa: Totipotent di Lucy Orta e Laboratorio di Storia e Storie di Massimo Bartolini. Un cortile condominiale disegnato per invitare la comunità alla socialità e all'incontro in un paesaggio rinnovato e accogliente. Un cortile di un complesso di edilizia residenziale pubblica vicino allo stabilimento FIAT Mirafiori, all’entrata un’area verde, un’aiuola con sedute, tavoli ed elementi decorativi ideati dall’artista Claudia Losi. «Quando ho visto il cortile di via Scarsellini, la prima immagine che mi è venuta in mente è quella di una grande nave».

7 8 7-8. Claudia Losi, Aiuola Transatlantico (come

una barca in un prato), Torino – Mirafiori Nord, 2008. Disegni per trenta piastrelle in maiolica, realizzate dal maestro vietrese Franco Raimondi. Matita su carta. Site Specific Work. Progetto per il programma artistico di spazi pubblici Nuovi Committenti, promosso dalla Fondazione Adriano Olivetti, Roma, e Urban2, Mirafiori Nord, Torino. Mediatori culturali: Luisa Perlo e Lisa Parola (a.titolo), Torino.


| Opere selezionate. Claudia Losi


E' nata così per Claudia Losi l’immagine poetica dell’Aiuola Transatlantico, che si è intrecciata al desiderio espresso da un gruppo di dieci abitanti di avere nel loro spazio comune un luogo d’incontro, nel quale ci si può parlare, fare merenda e attività con adulti e bambini. Il metodo adottato da Claudia Losi in via Scarsellini è simile al concetto di “osservazione partecipativa”di cui scrive Franco La Cecla nel suo recente pamphlet dal titolo Contro

l’Architettura, nel quale descrive questa pratica come un valido mezzo per capire le abitudini, la ricchezza del vissuto negli spazi, le difficoltà e i pregi che le persone incontrano nel loro quartiere. Il movimento della terra di questi giardini galleggianti prende la forma di un mantello fluente, che potrebbe eventualmente essere ricoperto con dell’erba. Il margine di cemento verde sale e scende seguendo l’andamento delle onde, contenendo e delimitando i diversi e complessi spazi, il tavolo intarsiato con foglie, i sedili incorporati nella terra, come i gradini che portano ad una casa dove si può stare senza necessariamente guardarsi in faccia l’uno con gli altri, grandi emisferi in cui le forme animali e vegetali vengono scolpite, fiorendo qua e là, come vasi di fiori. Un posto dove stare.

9 9. Claudia Losi, Aiuola Transatlantico (come una

barca in un prato), Torino – Mirafiori Nord, 2008. Progetto per il programma artistico di spazi pubblici Nuovi Committenti, promosso dalla Fondazione Adriano Olivetti, Roma, e Urban2, Mirafiori Nord, Torino. Mediatori culturali: Luisa Perlo e Lisa Parola (a.titolo), Torino.


| Opere selezionate. Claudia Losi


Il progetto Antarctica, la cui realizzazione è inseguita dai due artisti a partire dagli anni Novanta, consiste in una vera e propria spedizione antartica, avvenuta nel periodo dell'estate australe (tra febbraio ed aprile), in occasione della periodica manifestazione The

End of the World, Biennale che ha luogo nella penisola antartica. La scelta del luogo è stata la base di ricerca argentina dell'isola di Marambio, ex Seymour, collocata nel mare di Weddell (64° S e 56° W) a 200 metri sopra il livello del mare, ad una distanza di 2800 chilometri dal polo Sud. Gli artisti hanno realizzato in questo luogo, dalle condizioni climatiche ed ambientali estreme, un vero e proprio «villaggio», composto da 50 tende a forma di cupola. Le abitazioni sono state realizzate tutte artigianalmente, cucendo insieme col tessuto tradizionale sezioni di bandiere di tutto il mondo con sovrapposti parti di abiti usati, guanti che simbolizzano la molteplicità e la diversità dei popoli e con frasi tratte dalla Dichiarazione Universale dei Dirittti dell'Uomo del 1948, serigrafate sopra le parti in seta.

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1. Lucy+Jorge Orta, Antarctica.

Exhibition, 2008 Installazione all'Hangar Bicocca, Milano. Dimensione variable.


| Opere selezionate. Lucy+Jorge Orta


L'Antartico, la fine del mondo, il più grande deserto di ghiaccio esistente, la sua più grande riserva di acqua potabile, luogo assolutamente disabitato, è regolato dal Trattato Antartico del 1959 che stabilisce nei suoi confini la libertà della ricerca scientifica, la protezione dell'ambiente e l'esclusione di attività militari. Una terra ancora vergine, simbolo di libertà, una fragile ultima speranza. Un luogo di sublime bellezza, che gli Orta hanno scelto per rappresentare il clima attuale della "migrazione" e lo stato di rifugiati in cui molta gente del mondo si riconosce, attraverso la costruzione di un "Villaggio dell'Umanità" che vuole rappresentare un mondo senza frontiere, una "zona franca" per le popolazioni di etnie diverse.

2 3 2-3. Lucy+Jorge Orta, Antarctica.

Exhibition, 2008 Installazione all'Hangar Bicocca, Milano. Dimensione variable.


| Opere selezionate. Lucy+Jorge Orta


Orta Water, fa parte di una ricerca di sensibilizzazione sul tema delle emergenze e delle risorse primarie voluta dalla Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia, nel 2005; in particolare, il tema trattato è quello dalla carenza di acqua che affligge il nostro pianeta. A partire dall'analisi rigorosa di tale problema cruciale e attraverso un'elaborazione poetica, il gruppo di ricerca ha prodotto negli anni una serie d'installazioni che riguardano il ciclo di raccolta, purificazione e distribuzione dell'acqua. Gli oggetti sono in seguito stati presentati presso il Bojmans Van Beuningen Museum di Rotterdam, la Galleria Continua di Pechino, nel 2006 e, infine, la sede italiana della Galleria Continua, a San Gimignano. Un accumulo di contenitori per l'acqua di tutte le forme e materiali, vengono ordinati in strutture costituite da tubi che rimandano alla labirintica rete di distribuzione del prezioso liquido.

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4. Lucy+Jorge Orta, Orta Water - Bottle rack, 2005 Portabottiglie, 100 bottiglie di OrtaWater, caraffa di acqua messicana. Dimensioni 190x90cm / 80kg


| Opere selezionate. Lucy+Jorge Orta


Non mancano le attrezzature di primo soccorso con kit di medicinali, barelle, giubbotti di salvataggio e salvagente in fogge e colori che ricordano quelli della protezione civile. "Gioco e paura, leggerezza e impegno civile, infantilismo gentile e una coscienza critica del presente�, osserva Angela Vettese, sono le contraddizioni che connotano gli oggetti "inutili", alcuni appositamente realizzati, per questa occasione.

5 6 5. Lucy+Jorge Orta, OrtaWater – Fluvial

Intervention Unit, 2005. Installazione. Dimensioni: 90x80x25cm / 5 kg. 6. Lucy+Jorge Orta, Orta Water - Life Nexus

vitrine, 2005. Struttura in ferro, 3 cuori di porcellana Royal Limoges, 8 bottiglie, tubi di plastica, specchio, vetro. Dimensioni: 90x80x25cm / 5 kg.


| Opere selezionate. Lucy+Jorge Orta


Falluja, nasce dalla collaborazione tra i due artisti e lo scrittore Jonathon Holmes, autore dell’omonima opera teatrale che è andata in scena a Londra a maggio-giugno del 2007 e di cui gli artisti hanno curato la scenografia. Prodotto in collaborazione con l’Institute of Contemporary Art, ha havuto la sua prima rappresentazione nel vasto ed impressionante spazio dell’Old Truman Brewery on Brich Lane. L’opera si basa sulla ricerca e le interviste realizzate dal premio Nobel Sciolla Elworth. Vengono presentate, così, le testimonianze dirette dell’assedio di Falluja: civili iracheni, militari america, politici, giornalisti, medici parlano per la prima volta della loro tragica esperienza. La scena è stata concepita per creare un’esperienza sensoriale a 360°. Sono presenti: veri veicoli militari, 25 uniformi da combattimento, 15 cappucci di vari materiali e un enorme schermo stampato; il sottofondo musicale è dato dalle musiche originali del compositore Nitm Sawheny. Si tratta di un paesaggio dove i testimoni danno una viscerale ed evocativa rappresentazione degli avvevimenti.

7 8 7. Lucy+Jorge Orta, Fallujah - Clinic Installation, 2007. Installazione. Ferro, bivacchi, tessuto, inchiostro, legno, suppellettili militari, ruote. 8. Lucy+Jorge Orta, Fallujah - M.I.U. II, 20022007. Installazione. Ambulanza della Croce Rossa Militare, fotografie digitali adesive, lettere adesive, suppellettili militari. Dimensioni: 490x200x260cm (3000kg).


| Opere selezionate. Lucy+Jorge Orta


Il design sostenibile è, secondo Peterman, uno strumento per trasformare, potenzialmente, il nostro vivere quotidiano. È altresì in grado di rimodellare i campi propri dell’architettura per un nuovo approccio che enfatizzi l’uso responsabile e corretto delle risorse. Questo approccio lega fra loro la giustizia sociale e ambientale e, operando in questa direzione, si estende anche agi approcci cosiddetti “verdi”. Le tematiche relative in materia di sostenibilità affermano che i problemi ecologici sono insolubili senza una giusta attenzione alle interconnessioni tra i fattori ambientali, etici ed economici. In tempi recenti la sostenibilità è stata descritta come un approccio che incontra i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali.

1 2 1. Dan Peterman, Excerpts from the Universal

Lab (travel pod #1, #2, and #3), 2005. Beyond Green: Toward a Sustainable Art, mostra itinerante. 2. Dan Peterman, Excerpts from the Universal

Lab (travel pod #1, #2, and #3), 2005. Dettaglio.


| Opere selezionate. Dan Peterman


3 4 3. Dan Peterman, Things That Were are Things

Again, 2006. Mostra itinerante, Andrea Rosen Gallery, NY. December 15, 2006 - January 20, 2007. 4. Dan Peterman, Monk Parakeet (Hyde Park,

Chicago, Illinois), 1997. Color photography, 19.9 x 30 cm, signed and numbered certificate, edition: 9.


| Opere selezionate. Dan Peterman


Il National Public Art Council Sweden e il comune di Knivsta hanno chiamato l’artista slovena Marjetica Potrc e gli architetti di STEALTH (Ana Dzokic and Marc Neelen) – insieme alla paesaggista Ingalill Nahringbauer – a riprogettare il cortile della scuola di Thunmanskolan con due “fattorie” decisamente all’avanguardia e superecologiche. La Fruit Farm prende forma tangibile – e commestibile! – in frutti deliziosi e incontaminati. La Energy Farm è cresciuta come un sistema ibrido consistente in pannelli solari e in una turbina a vento che trasforma l’energia del sole e del vento in elettricità per la rete della scuola. Insieme, la nostalgica Fruit

Farm e la tecnologicamente avanzata Energy Farm rappresentano una dichiarazione rivolta a una comunità più vasta relativa all’attenzione per le risorse energetiche: natura e città possono, devono, coesistere.

1 2 1-2. Marjetica Potrc, The Energetic Farms

School, 2008. Pennarello su carta.


| Opere selezionate. Marjetica Potrc


3 4 3-4. Marjetica Potrc, Marjetica Potrc, Florestania, 2006. Disegno n. 10 tratto da una serie di 12 disegni. Pennarello su carta. Nell’ambito della mostra con Tomas Saraceno

We have a dream. Per un realismo visionario, Spazio Gerra, ReggioEmilia 2008.


| Opere selezionate. Marjetica Potrc


Wilfredo Prieto persegue spesso un’ironica strategia di quello che sembra essere messo in scena in maniera futile con “molto rumore per nulla”. I suoi lavori si sono sviluppati con un'attenzione particolare per la mimima scala che si lascia più facilmente alterare, come nell'opera Untitled (Homage to Dan

Graham) (2001), nella quale Prieto incollò fra loro delle monete a seconda del loro valore, trasportandole così dal campo economico a quello artistico. Senso dell'assurdo è quello che pervade comunemente l'opera di Wilfredo Prieto.

1 2 1. Wilfredo Prieto , Grease, Soap and Banana, 2006. Grasso, sapone e buccia di Banana. 2. Wilfredo Prieto, Estanque, 2008. Barili di petrolio, acqua e rana.


| Opere selezionate. Wilfredo Prieto


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3. Wilfredo Prieto, Untitled (GrĂşa - Crane -), 2006, Crane trying to lift itself, Installation view at MadridAbieto '06.


| Opere selezionate. Wilfredo Prieto


Nato dalle sue appassionate visioni politiche supportate da ricerche scientifiche d’avanguardia, Air-Port-City è un progetto ampio a cui l’artista lavora dal 2006 attraverso disegni, prototipi scultorei ed esperimenti. L’idea alla base di questo lavoro è quella di offrire la possibilità di migrare in queste utopiche città volanti, che essendo sospese nel cielo, non verrebbero governate dalle legislazioni nazionali, ma come gli aeroporti, sarebbero sottoposte al diritto internazionale. (Amy Balkin con Public Smog e gli Orta con

Antarctica lavorano nella stessa direzione). Il progetto, volto ad evitare una catastrofe ambientale, cerca in questa innovativa proposta abitativa una città futura ideale. Queste città-aeroporti a impatto zero esisterebbero grazie all’ausilio di strutture pneumatiche, che volerebbero in aria spostandosi con la forza del vento, alimentate dall’energia solare. Il progetto, ai limiti dell’utopia, è in realtà una struttura cinetica, capace di portare una rivoluzione nella concezione della nazionalità e dello scambio di informazioni. Una nuova forma di libertà per il singolo, che diventa cittadino del mondo.

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1. Tomas Saraceno - Observatory/Airport City, 2008. Cuscini con aria compressa, cupola di metallo, pavimento specchiato.

Psycho Buildings exhibition, Hayward Gallery, SouthBank London 2008.


| Opere selezionate. Tomas Saraceno


Ogni progetto di Tomas Saraceno è da intendersi come un’unità organica, un subsistema che si relaziona al sistema del suo pensiero restituendoci l’idea di utopia, intesa come via di fuga, non nel sogno, ma in una alternativa concreta. Solo l’individuo è sufficientemente libero da non preoccuparsi di piacere ai capi, sosteneva Fuller, la cui critica all’architettura modernista fu durissima, arrivando ad affermare che lo stile internazionale introdotto in America dal Bauhaus non si preoccupava di conoscere la meccanica strutturale o la chimica, ma si limitava a convincere gli industriali a cambiare la forma delle maniglie. Un po’ come Henri Poincaré sosteneva in La scienza e l’ipotesi: per sperimentare bisogna liberarsi da idee preconcette, condizione difficile considerando che lo stesso linguaggio è impastato di idee preconcette. Alla stessa maniera Fuller affermava che l’architettura universale, sintesi di spazio, tempo e sviluppo, non può esistere se non liberandola dalla dipendenza dalla materia esistente. In questo senso si muove Tomas Saraceno, il cui lavoro, abbattendo le barriere disciplinari e la concezione preistorica dell’uomo contro la natura, promuove l’integrazione con essa e con l’energia e le risorse che essa ci fornisce.

2 3 2-3. Tomas Saraceno, Air-Port-City, 2008. Cuscini con aria compressa. 08_Liverpool Biennial International Exhibition.


| Opere selezionate. Tomas Saraceno


«Sono affascinato dalla tridimensionalità delle ragnatele e pensando ai ragni che tessono i futuri ascensori spaziali mi sono inspirato. Il punto iniziale del progetto è la comparazione fatta da alcuni astrofisici e scrittori che hanno confrontato la struttura dell’origine dell’universo con quella della ragnatela. Il passo successivo è stato realizzare dei modellini in acrilico della sala del Padiglione Italia, dove ho posto dei ragni che hanno tessuto nel tempo le loro ragnatele. Così ho scoperto che la ragnatela come struttura tridimensionale è stata poco studiata, che nessuno al mondo ne ha mai fatto una scannerizzazione in 3D. Poi, con la collaborazione di diversi scienziati e istituzioni, ho trovato il modo di realizzarla. Ho trovato interessante anche il fatto che il modello di comparazione dell’origine dell’universo — il millennium simulation — sia ancora poco conosciuto, come anche la tela dei ragni in tre dimensioni; anche se è una cosa più tangibile, nessuno finora l’ha capita davvero. Sono fenomeni troppo lontani da lasciarsi vedere, rimangono invisibili ai nostri occhi, anche se i ragni sono con noi in ogni casa e tessono universi.

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4. Tomas Saraceno, Galaxy Forming along

Filaments, 2009. 53. Biennale di Venezia, Making Worlds, 2009.


| Opere selezionate. Tomas Saraceno


«Sono un architetto prestato all’arte (o un artista prestato all'architettura) che riscopre nell’utopia una nuova forma di sostenibilità sociale». In collaborazione con ricercatori di aracnidi, astrofisici e ingegneri, Tomas Saraceno ha impiegato due anni per sviluppare l’installazione di 400 metri cubi Galaxy Forming

along Filaments, like Droplets along the Strands of a Spider's Web. Un modello su vasta scala della ragnatela della velenosa vedova nera, per comprendere in che modo gli scienziati usino le immagini delle ragnatele dei ragni per descrivere l’origine e la struttura dell’universo.

5 6 5-6. Tomas Saraceno, Biospheres, 2009.

Rethink, exhibition on Statens Museum for Kunst in Copenhagen.


| Opere selezionate. Tomas Saraceno


Per il progetto Tabernas Desert Run, Starling ha attraversato il deserto Tabernas, in Andalusia, su una bicicletta elettrica improvvisata per l’occasione. L’unico rifiuto prodotto dal mezzo era l’acqua, che l’artista ha utilizzato per dipingere l’illustrazione di un cactus. Il contrasto tra il cactus estremamente efficiente e gli sforzi sopportati dall’uomo sono entrambi comici ed insignificanti, evidenziando lo sfruttamento commerciale delle risorse naturali nella regione spagnola.

1 2 1. Simon Starling, Tabernas Desert Run, 2004. Bicicletta alimentata da cella a combustibile. 2. Simon Starling, Tabernas Desert Run, 2004. Bicicletta alimentata da cella a combustibile, teca in vetro, acquerello su carta, 170x224x62 cm. Vista dell’installazione.

Greenwashing. Ambiente : pericoli, promesse e perplessità, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2008.


| Opere selezionate. Simon Starling


C.A.M., reinterpreta il prudente design delle piante grasse attraverso una loro vera e propria fusione sotto forma di dispositivi artificiali che, per contro, sono totalmente inefficienti: i radiatori che emanano calore all’interno dello spazio espositivo che ospita l'installazione. Starling collega il processo di C.A.M. all’ingenuità e al profitto in una più plausibile “via d’uscita” notturna, che ha a che fare con l’energia idroelettrica. L’opera può inoltre ricollegarsi al mercato nero dei rottami di ferro, in cui cavi rubati vengono fusi per poi essere contrabbandati.

3 4 3-4. Simon Starling, C.A.M. Crassulacean Acid

Metabolism, 2005. Installazione con 4 radiatori in ghisa, tubazioni in rame, caldaia a gas, bottiglie di propano, video, monitor, DVD in loop.

Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse e perplessità, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2008.


| Opere selezionate. Simon Starling


In mostra alla Temporäre Kunsthalle, opera sitespecific, Under Lime è essenzialmente un ramo tagliato ed innestato su una trave del soffitto. I Tigli (Lime in inglese, Linden in tedesco) sono quelli che danno il nome al famoso viale (Unter den Linden) che corre accanto allo spazio espositivo. La stessa sega elettrica servita per il taglio del ramo è esposta in mostra defunzionalizzata poiché divenuta paranco di sostegno. Attraverso questo modesto atto di trapianto, Starling invita lo spettatore al semplice rimando che la tradizione ha assegnato al tiglio: simbolo di unità familiare, saggezza e giustizia, la totalità degli alberi del viale fu abbattuta dai nazionalsocialisti per offrire una maggiore visibilità alle parate di propaganda e vennero ripiantati solo nel dopoguerra. Ecco che l’installazione offre non solo uno sguardo ulteriore sul passato con cui la Germania cerca ancora oggi di venire a patti, ma instaura un equilibrio tra esterno ed esterno, tra cultura e natura.

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5. Simon Starling, Under Lime, 2009. Temporäre Kunsthalle, Berlino.


| Opere selezionate. Simon Starling



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