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Linea Dori
LINEA DORI 3000 SRL Via di Vigna Girelli 48/b 00148 Roma, Italia Tel/Fax +39 0665671626 info@lineadori.com
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dal 1950 Linea Dori 3000 SRL
La Linea Dori nasce nel 1950, fondata da Cesare Dori. Ha una storia romantica che profuma di pane e di legno, che affonda le sue origini in una piccola bottega artigiana nel centro storico Roma, dove ogni pezzo veniva realizzato a mano con legni selezionati e stagionati. Fabio Dori, figlio di Cesare, amando il lavoro del padre, ha portato avanti la sua piccola bottega trasformandola in un’azienda. La Linea Dori, ad oggi, è leader nella progettazione e produzione di attrezzature professionali per panifici e pizzerie. Tali attrezzature, apprezzate in tutto il mondo per loro unicità, robustezza e funzionalità, vengono costruite con macchinari all’avanguardia nel rispetto di antiche tecniche di lavorazione, usando legnami che provengono da foreste ecosostenibili con programmi di rimboschimento. I suoi prodotti in legno vengono realizzati esclusivamente con legnami non trattati chimicamente e la lavorazione viene effettuata senza l’uso di colle, o qualsiasi altro prodotto nocivo che venga a contatto con gli alimenti. I prodotti dedicati all’infornamento sono accompagnati da certificato di idoneità. Inoltre, tutti gli articoli destinati ad entrare in contatto con gli alimenti sono lavabili a mano, grazie alla finitura alimentare certificata con cui vengono trattati. La Linea Dori 3000 srl è in costante aggiornamento per tutte le esigenze degli operatori dell’Arte Bianca garantendo il massimo della professionalità con un prodotto certificato e idoneo alle normative vigenti, GMP e ISO9001. La sua missione è quella di migliorarsi sempre e di portare nel futuro la sua tradizione Made in Italy attraverso l’impegno della terza generazione, Fabiola e Camilla Dori.
sul Legno...tutto un altro sapore! — Il tuo successo è la nostra missione:
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Edoardo Papa.
InFucina, il ristorante che ama la pizza.
di D.M.
Nell’esplorare il panorama gastronomico della Capitale non potevamo dimenticare Edoardo Papa. Con il suo InFucina fornisce una prospettiva diversa nell’interpretazione della pizza , che diventa un'esperienza unica per il cliente. “La mia esperienza deriva da oltre 30 anni di cucina come autodidatta. Non mi sono ispirato a nessuno, ho soltanto dato spazio alla mia creatività. Ho avuto la fortuna di girare l'Italia da nord a sud e in ogni regione ho curiosato e approfondito le tradizioni, soprattutto culinarie. Quando ho aperto In Fucina, ho semplicemente messo le mie ricette sul disco di pizza piuttosto che sul piatto, partendo da una riflessione: noi italiani siamo abituati a mangiare quasi tutto con il pane, e allora perché non usare la pizza sia come pane che come piatto? In sintesi io amo la cucina e la pizza, così ho deciso di metterle l'una sull'altra.” Cosa significa per lei pizza alla romana? O a suo avviso è più corretto parlare di “pizza a Roma”?
“Preferisco essere considerato un artista che quotidianamente dipinge le proprie tele, mai uguali al giorno precedente, quindi non mi piace essere catalogato, cerco di creare una pizza che somigli al mio modo di pensare, senza appartenere a nessuna scuola. “
“L'impasto che lavoro non è né romano né tantomeno napoletano, in questi 11 anni ho usato e creato almeno 50 tipi di impasti, partendo però sempre da farine biologiche, macinate a pietra e senza nessun additivo, miglioratore o qualsiasi altra "diavoleria" che le rendano più facili da lavorare. Una condizione imprescindibile della mia cucina è la "digeribilità"! Guai se quello che preparo risulta pesante. La caratteristica fondamentale del mio lavoro è la ricerca costante e continua di materia prima naturale, sostenibile, "PURA", così come lo devono essere i miei fornitori. Ultimamente ho provato una farina di grani antichi, proveniente dal Molise, che viene coltivata con sistemi di aratura ante 1950, con macchinari moderni che rispettano i canoni delle coltivazioni medievali. Il sistema di aratura è quello con l'aratro di 5 cm che smuove solamente la parte superficiale del terreno, dando al seme la parte più nutritiva della Terra. Lo sa che un terzo dell'anidride carbonica prodotta viene dalle coltivazioni tradizionali con l'aratro che va oltre 50/60 cm in profondità e che in questo modo sprigiona carbonio? Lo sa che se si continua così in Italia, tra 50 anni le nostre terre saranno completamente infertili? Che in Italia solamente lo 0,8% è coltivato con l'aratura a 5 cm? Noi dobbiamo diffondere queste informazioni e sensibilizzare quanto più possibile l'opinione pubblica.”
La passione con cui Papa ci spiega la sua filosofia di lavoro è davvero piena di trasporto. E gli chiediamo ancora:
Perché In Fucina è “il ristorante che ama la pizza”? Che messaggio intende dare?
“Le mie ricette nascono sempre dalla stagionalità dei prodotti, il mio modo di preparazione scaturisce dal momento, dall'intuito e dalla sensazione che deriva dalla materia che ho davanti. La pizza rappresenta una "stoviglia" sulla quale adagiare le ricette create.
Una ricetta cui sono particolarmente legato consiste in mostarda di pere e mele bio, ricotta e mozzarella di bufala e speck affumicato artigianale, il tutto poggiato su una focaccia bianca e cotta in tempi e modalità diverse.
Aggiungo l'ultima novità che riguarda il delivery che tra breve metterò in campo: le pizze arriveranno a casa con sotto l'ultima cottura da fare e gli ingredienti manca per farcirle, insieme alle istruzioni con dida un barcode che permetterà di aprire un video che aiuterà il cliente a concludere perfettamente il processo. Le pizze saranno molto semplici da finire, ma sempre con la qualità che mi contraddistingue, con materie prime di assoluto livello e ad un prezzo "sorprendente".”
Mantenimento ad alto
Francesco Roscino. Pizzeria Emma, Roma
di C.O.
accanto Uno scorcio della pizzeria Emma
“Io nasco selezionatore di prodotti. Nel 2002 ho aperto la mia prima società di selezione e fornitura per la ristorazione e mi occupavo principalmente di prodotti francesi, fra cui il sale di Guerande. Attraverso questo prodotto ho conosciuto Pierluigi Roscioli del forno Roscioli, che cercava un sale grezzo per il suo Lariano. Da lì è iniziato un percorso professionale che ci ha portato a collaborare quasi continuamente nel primo decennio dei 2000, ad avere un ristorante temporaneo insieme e soprattutto a diventare amici fraterni. Nel 2013 ho deciso di rilevare una storica pizzeria nella via adiacente al forno e di intraprendere un percorso mio, facendo della selezione di materie prime l’elemento centrale dell’offerta di forno e cucina, quella che poi è diventata “Emma”. Con Pierluigi abbiamo messo a punto l’impasto, che è composto da diverse tipologie di farine di diversi molini, tutte biologiche. La sua firma sull’impasto è stato il suo regalo di inaugurazione del locale. “ È Francesco Roscino a parlare, patron di Emma, pizzeria con cucina nel cuore di Campo de Fiori, tra i primi protagonisti della rivisitazione della pizza romana. “Il concetto di pizzeria in Italia è quello di un locale popolare, accessibile a tutti. Dove si possa mangiare senza troppa formalità “una pizza tra amici”. Emma ha dimostrato che questo concetto si può applicare anche a un prodotto di altissima qualità, con un incremento di prezzo non così elevato. La risposta da parte della clientela è stata entusiastica. A questo concetto abbiamo aggiunto quello di ristorante puro, con una cucina che propone un menu molto articolato, della tradizione ma sempre basato sulla materia prima. La stagionalità, il biologico, la cucina espressa: il tutto applicato anche al forno.”
Ha un significato per lei la definizione di “pizza alla romana”?
“A Roma la pizza si è sempre fatta bassa e croccante, la cosiddetta “Pizza Romana”. Tutti noi siamo cresciuti con questo gusto nel dna. Ma la pizzeria “vecchio stampo” era lontana dagli attuali orientamenti di qualità; poca attenzione agli equilibri di lievitazione e agli ingredienti usati, sia per gli impasti che per i condimenti. Il risultato era spesso un prodotto poco digeribile, carico di lievito e abbastanza standardizzato. In anni più recenti nasce il movimento che si ispira alla pizza napoletana, con una maggiore attenzione agli impasti e agli ingredienti, anche se, in effetti, la pizza napoletana fatta a Roma rimane un ibrido, in quanto spesso croccante. Cosa questa ritenuta un difetto per la pizza napoletana, soffice per definizione. Emma nasce da questo, dalla voglia di dare una dignità nuova alla pizza romana restituendo alla clientela una tipologia di pizza da sempre apprezzata
a Roma ma con in più un’attenzione maniacale alla selezione delle materie prime, degli impasti e dei prodotti usati. Facciamo tre fasi di lievitazione, in totale circa 36 ore a diverse temperature. Usiamo meno di un grammo di lievito per kg di farina, quasi niente. Svolgiamo completamente il processo di amilasi a temperatura controllata e la lievitazione in una sala apposita. L’utilizzo di materie prime di alta qualità e l’attenzione all’impasto rende questa pizza estremamente digeribile, cosa per noi molto importante.” Le farciture che propone sono legate esclusivamente al territorio? O i criteri sono diversi?
“Dell’ agro romano utilizziamo naturalmente tanti prodotti, principalmente frutta e verdura. Ma il principio che ci ispira è quello della qualità totale, quindi non possiamo limitarci al km 0. I pomodori li prendiamo in Sicilia, compriamo campi di datterini en primeur nella zona di Scicli; il pomodoro in conserva è Pomilia (Puglia), Officina Vesuviana, Miracolo di San Gennaro, Corbara (Campania). La bufala è di Paestum, la mozzarella vaccina di Maccarese e così via. Dodici tipologie di olio, più di dieci di pomodoro solo per fare un esempio: questo è il nostro modo di lavorare. Per quanto riguarda la cucina ci sarebbe altrettanto da dire, ma ne parleremo magari la prossima volta”.
Jacopo Mercuro La pizza? Deve essere... cotta!
di David Mandolin
Jacopo Mercuro è un giovane pizzaiolo, appassionato e tenace nel perseguire i propri sogni nonché la ricerca della propria modalità espressiva. La sua pizza, spiccatamente “alla romana” come la definisce, può essere degustata a Centocelle: la pizzeria 180 g è una realtà giovane e già affermata nel panorama gastronomico della Capitale. “Tutto è iniziato qualche anno fa, tra le mura di casa. Lavoravo nello studio legale di famiglia, ma sentivo che non era quello che mi metteva il sorriso a fine giornata. Quando tornavo a casa invece provavo a giocare con gli impasti, il tempo volava; pian piano ho iniziato ad approfondire la materia e ho scoperto che la pizza è vita. Qualche corso professionale e poi mi sono messo in gioco aprendo “Mani in pasta”, la mia prima pizzeria al taglio a Roma.”
“La pizza romana ha molte declinazioni, la prima che mi viene in mente è la teglia romana: un prodotto fantastico, il mio primo amore. Poi c’è la tonda romana, la pizza bassa e croccante, che il destino ha messo davanti al mio percorso. La tonda romana era un prodotto sul quale non puntava nessuno, se non le storiche insegne aperte dai primi anni 70’. A Roma, da bambino, la pizza si mangiava bassa e croccante, senza cornicione. La pizza tonda romana era l’unica pizza che non si era evoluta e il gioco è stato quello di prendere un prodotto del passato e fargli fare un salto nel futuro, riscrivendone i canoni e diventandone un punto di riferimento. Così è partito 180grammi, tre anni fa, una scommessa folle, un percorso che ci ha portato ad essere la prima pizza tonda romana con tre spicchi del Gambero Rosso, riscuotendo successo tra pubblico e critica.”
sotto La pizza di Mercuro per Pizza e Pasta Italiana Che caratteristiche ha l’impasto che propone e che la contraddistingue?
“Quando mi chiedono qual è la caratteristica della pizza di 180grammi io rispondo: “cotta”. È una pizza bassa e croccante, che nasce da un pre-fermento solido gestito a 18 gradi per 20 ore, cotta in un forno a fiamma (gas), a 330 gradi per due minuti circa. Abbiamo elevato il concetto di pizza tonda romana, tanto che oggi molto giovani si cimentano in un prodotto su cui non puntava più nessuno. Roma aveva bisogno della sua pizza, così abbiamo creato quello che mi diverte definire “la pizza romana del futuro.” Come elabora le farciture che propone? Sono legate al territorio oppure si tiene più “libero” scegliendo fornitori anche oltre la sua regione?
“La sperimentazione sugli impasti va di pari passo con il lavoro fatto in cucina, dove studiamo condimenti che valorizzino la nostra pizza. Il gioco è stato quello di partire dalla ricerca della materia prima regionale (come la bufala di Amaseno) per poi andare a fare ricerca su tutto il territorio italiano (come il guanciale di mora romagnola). Per i condimenti mi piace giocare, presentare ai miei clienti una parte di me, la pizza è il modo di esprimere quello che ho dentro e raccontare Jacopo. Tutto gioca sull’equilibrio di sapori e sull’impatto cromatico. Una delle ultime nate è “burro, parmigiano e tartufo”: uno dei miei piatti preferiti è la pasta burro e parmigiano, e doveva diventare una pizza! Così è nato un gioco di varietà e consistenze.
Su una base di fior di latte, in
uscita andiamo
a mettere una crema di
parmigiano reggiano 36
mesi con aggiunta di vaniglia
del Madagascar che ne esalta
il sapore; il burro lo ritroviamo
in un crumble di burro salato,
grattata di parmigiano
reggiano Vacche Rosse, tartufo
nero uncinato e una gratta di
Marco Montuori, professione pinsa.
Marco Montuori, giovane pizzaiolo dalla storia davvero interessante, si è specializzato nella pinsa, prodotto relativamente giovane nel panorama dell’arte bianca laziale ma che si è rapidamente diffuso in tutto il mondo per la sua versatilità. Gli abbiamo chiesto di raccontarla ai nostri lettori, assieme ad una serie di utili indicazioni.
"Ho da sempre amato cucinare, già a 14 anni tornato da scuola mi preparavo il pranzo da solo, i miei genitori lavoravano e io arrangiavo i miei primi piatti a casa. In quello stesso anno cominciai a lavorare come cameriere ad Anzio, la città in cui sono cresciuto. Al ristorante ero l’ultimo arrivato e il più piccolo, ovviamente i camerieri più grandi ed esperti se ne “approfittavano”. Qui di Caterina Orlandi
nasce il mio amore: mentre aspettavo lo sfornare delle pizze rimanevo incantato nel guardare il pizzaiolo all'opera davanti alla fiamma del forno a legna. La voglia di saperne sempre di più e di lavorare davanti al forno era troppa, così andai dal mio titolare proponendogli di lavorare gratuitamente e iniziai a muovere i primi passi verso questo mondo. Le difficoltà in questo percorso non mancarono, ma quello era il mio ambiente ed ero felice. Dopo il diploma mi trasferii a Roma, cominciai a studiare seriamente la materia mentre nel frattempo lavoravo come pizzaiolo per pagarmi gli studi; a 22 anni iniziai ad insegnare nel tempo libero a chiunque me lo chiedeva e diventò provvisoriamente un secondo lavoro. Poco tempo dopo conobbi i produttori del mix per la Pinsa Romana e cominciai una collaborazione con questa azienda, una grande occasione che mi fece crescere tantissimo sotto il punto di vista professionale. Entrai così in contatto con la pinsa per la prima volta e fu “amore a prima vista”! Cominciai ad insegnare privatamente la realizzazione della pinsa entrando in contatto con belle realtà seguendo grandi progetti soprattutto all’estero. Nel 2016 ho creato una base fissa d’insegnamento a Roma, nasce così Pinsa School: il mio intento era quello di creare la prima scuola esclusiva per l’insegnamento della Pinsa Romana ed ha riscosso un enorme successo.
sopra Marco Montuori
Un altro importante tassello della mia carriera è stato senza dubbio quello di diventare consigliere dell’Associazione Originale Pinsa Romana, ente che certifica e tutela le pinserie che realizzano il prodotto in maniera originale seguendo il protocollo di lavorazione. Ad oggi a 30 anni, dopo 16 anni da quel primo lavoretto in pizzeria e dopo 8 d’insegnamento, rifarei tutto così non cambiando nulla. Un consiglio che mi sento di dare a chi comincia oggi il suo percorso professionale è quello di perseverare, è un percorso lungo e che non termina mai, ma che se seguito con passione e costanza, porterà grandi soddisfazioni. Quali sono queste caratteristiche?
La sua è proprio una bella storia che può insegnare il valore della perseveranza per crescere professionalmente. Vuole illustrarci meglio storia e caratteristiche della pinsa?
La storia della Pinsa non è molto chiara; la verità è che la pinsa nasce nel 2001 da un’intuizione dettata dall’esperienza e dalla grande passione per la panificazione del tecnico pizzaiolo Corrado Di Marco (fondatore dell’omonima azienda) che crea questo innovativo prodotto. Di Marco per suscitare la curiosità dei clienti raccontò durante un'intervista di diversi anni fa che la pinsa nacque nell'antica Roma; in modo molto inaspettato questa storia iniziò a circolare molto velocemente diventando così agli occhi di tutti "la vera verità". È qui che nasce la confusione, molti ancora credono che quella sia la vera storia ma la realtà è appunto un'altra... mi dispiace per gli antichi Romani che non hanno potuto assaggiare la pinsa ma è effettivamente nata con diversi secoli di ritardo! Ad oggi la crescita esponenziale della pinsa ha portato all’apertura di più di 5000 pinserie in tutto il mondo, frequentate da migliaia di clienti consapevoli delle caratteristiche e delle peculiarità di questo prodotto. Il mix di farine con cui viene realizzata (frumento, soia e riso) abbinato all’alto grado di idratazione e una lavorazione completamente diversa dalla normale pizza permette a questo prodotto di essere unico nel suo genere sotto il punto di vista della qualità e della digeribilità. La forma ovale permette di riconoscere subito il prodotto, con la sua forma stretta e lunga cuoce nel forno in maniera uniforme garantendo al cliente la classica croccantezza esterna.
Ci spiega la procedura?
L’impasto della pinsa si può riassumere in due concetti: croccante fuori, morbido dentro. È questo che fa innamorare le persone di questo prodotto, è il connubio perfetto tra le due consistenze senza dimenticare il profumo e il sapore unico dato dalle diverse farine che lo compongono e da una particolarissima pasta acida essiccata. La procedura dell’impasto è quella di qualsiasi impasto ad alta idratazione, l’acqua va inserita pian piano e non tutta insieme per permettere al glutine di formarsi nel modo corretto. Ad un chilogrammo di farina si aggiungono 800 grammi di acqua, 3 di lievito, 20 di sale e 20 di olio EVO. Il cliente della pinsa è un cliente attento a ciò che mangia, a cui piace star leggero senza rinunciare al gusto. Le tipologie di locali che si prestano bene a questo prodotto sono le classiche pizzerie che servono pizza tonda, molte in questi anni si sono convertite a “pinserie”. In alcune zone ricche di passaggio è perfetta anche come prodotto da street food nel formato più piccolo da circa 20 centimetri, all’estero forse è molto più facile trovare una pinseria che serve questo formato invece di quello più grande al piatto.
Cosa caratterizza la pinsa da un punto di vista delle farciture? Che tipi di prodotti si legano meglio a questo tipo di pizza?
Sicuramente le farciture utilizzate sulla pinsa sono meno canoniche rispetto alla pizza, nascono per stupire. Molti chef ci si sono avvicinati proprio per la sua versatilità nella creazione delle ricette più gourmet. È chiaro che i prodotti che si legano meglio sono quelli di qualità, sul lato tecnico consiglio condimenti non troppo umidi per facilitare la cottura di questo impasto ad alta idratazione.
Ricetta:
Ecco la ricetta della pinsa proposta da Marco Montuori
L’impasto è il classico della Pinsa Romana, ovvero:
1 kg di farina Pinsa Romana 800 g di acqua fredda 3 g di lievito di birra secco 20 g di sale 20 g di olio Evo
È importante finire l’impasto a 22 gradi circa e lasciare partire la lievitazione prima di metterlo in frigo in massa fino ad almeno il giorno dopo. Potete far maturare anche fino a 96 ore senza problemi, è una farina di forza e tiene molto bene le lievitazioni. Una volta fatto maturare l’impasto va pezzato in palline da 250 g che andranno lasciate lievitare fino al raddoppio. Andranno stese con delicatezza, farcite con una mousse di piselli e mentuccia romana e infornate. Dopo la cottura farcite con le melanzane: io le ho cotte in precedenza infornandole con una teglia nel forno della pizza, semplicemente con sale e olio. Concludiamo la farcitura con stracciatella di burrata, noci tostate, sale, olio EVO e paprika piccante.
L’omaggio a Roma di Tony Gemignani
di Caterina Orlandi
sopra Tony Gemignani
nella pagina accanto La pizza proposta per Pizza e Pasta Italiana La pizza romana è davvero senza confini e negli anni, come già anticipato nelle pagine precedenti, si è diffusa in tutto il mondo. In queste pagine trovate l’omaggio a questo straordinario prodotto reso da Tony Gemignani, professionista dell’arte bianca che non necessita di troppe introduzioni come tutti i bravi professionisti presentati in queste pagine. Gemignani, pluricampione del mondo, imprenditore - con numerosi punti vendita, docente di Scuola Italiana Pizzaioli negli Usa da molti anni nonché autore di diversi libri, - è prima di tutto un pizzaiolo che ama il suo mestiere e che ama moltissimo l’Italia e tutte le eccellenze che il nostro paese può offrire. Ecco a voi la sua pizza in teglia.
“La pizza alla romana può essere fatta in diversi modi. Una delle ricette che ho elaborato è sostanzialmente una fermentazione utilizzando il metodo dell’autolisi in massa. La fermentazione in massa è una tipologia di impasto mixato anziché stagliato e impallinato: l’impasto va messo in un ampio contenitore sigillato (coperto) e lasciato fermentare in frigorifero dalle 24 alle 48 ore. Dato che questa ricetta ha una maturazione così lunga, suggerisco di utilizzare una farina che abbia almeno un W 330 o più alto. Utilizzo anche altri due tipi di cereali che verranno miscelati all’interno dell’impasto. NB: l’acqua in questa ricetta potrebbe essere aumentata (se desiderato).
Ricetta:
800 gr acqua fredda 200 gr acqua calda Totale acqua: 1 kg
1 kg farina alto contenuto di glutine/alto contenuto proteico W 330 100 gr farro o farina integrale 100 gr soia
Miscelare tutti i tipi di farina assieme tra loro.
10 gr lievito disidratato attivo 2 gr malto a bassa diastasi 36 gr sale marino 36 gr olio Evo Cominciamo dicendo che ho utilizzato un'impastatrice a spirale. Miscelare il malto assieme a tutta la farina, miscelare il 50% di acqua fredda nella farina per 2 minuti alla velocità più bassa. Riposo per 45 minuti coperta in vasca: questo viene chiamato metodo dell’autolisi.
Usando una frusta in metallo attivare il lievito in 200 gr di acqua calda e lasciarlo riposare per 5 minuti. Aggiungere quanto ottenuto nella vasca e far girare l’impastatrice alla velocità più bassa. Lentamente aggiungere il 90% dell’acqua rimanente mentre si fa girare l’impastatrice ora alla velocità superiore. Lasciar lavorare per 3/5 minuti e aggiungere il sale. Continuare per 3 minuti e aggiungere poi l’olio evo, altri 3-4 minuti sempre a velocità superiore e aggiungere il rimanente del 10% di acqua e mescolare finché l’impasto non risulterà pronto. Estrarre l’impasto dalla vasca. Metterlo in un vascone sigillato e precedentemente unto d’olio.
Dopo 2 ore procedere con la piegatura dell’impasto per 3 volte, riponendolo poi nel contenitore in frigorifero positivo per 48 ore (per ottenere il miglior risultato). Estrarre l’impasto dal frigo e delicatamente formare le pagnotte. Lasciare l’impasto coperto a temperatura ambiente fino a che non ha raddoppiato o triplicato il volume. Ora lasciare che l’impasto lieviti durante la notte coperto, riposto nelle cassette apposite all’interno del frigo. Passata la notte in frigo estrarre il tutto, lasciare che prenda la temperatura circostante e che riparta la lievitazione prima dell’utilizzo.
Stesura in teglia:
Passare l’impasto nella semola e adagiarlo in una teglia apposita per pizza alla romana. Stenderlo il più possibile e mettere la teglia in una zona calda per circa 1 ora. “Massaggiare” l’impasto dolcemente con i polpastrelli, stendere un filo d’olio d’oliva e precuocere al 50%, poi aggiungere la mozzarella tagliata e le patate (tagliate sottili precedentemente). Assicuratevi che in fase di preparazione le patate siano state immerse nell’acqua per 4 ore per rilasciare l’amido: questo aiuterà le stesse a cuocersi meglio. Cucinare il tutto in un forno elettrico o a gas a 280° per 9-13 minuti, con l'accortezza di ruotare a metà cottura la teglia di 180° per rendere omogenea la cottura. I tempi comunque sono indicativi, e dipenderanno dal tipo di alimentazione del forno disponibile.
Farcitura
Quando la pizza ha terminato la cottura tagliatela, aggiungete rosmarino sminuzzato, prosciutto di Parma, sale marino, formaggio di capra, Parmigiano grattugiato e se, aveste disponibile della nduja in chiusura, sarebbe l’ideale!”
LA PIZZA IN PALA ED IN TEGLIA
di Graziano Bertuzzo — Area Tecnica Scuola Italiana Pizzaioli
PALAimpasto alla romana (diretto) Procedimento Ingredienti in ordine di inserimento
• 5 kg farina tipo 00 W330
• 5 gr lievito secco per kg di farina
• 5 gr malto x kg farina
• 25 gr sale per kg farina
• 30 gr olio evo per kg farina
• Idratazione 90% Introduciamo tutta la farina, tutto il lievito e tutto il malto e facciamo girare la nostra impastatrice alla 1° velocità per qualche minuto per ossigenare il composto. Successivamente aggiungere il 60% di acqua per kg farina a 15°, aggiungere il sale (tutto). Gradualmente versare il rimanente 30% di acqua a filo, inserendo la seconda velocità dell’impastatrice (nel nostro caso 200 battute minuto). Una volta incorporata l’acqua aggiungere tutto l’olio e terminare l’impasto: l’ideale sarebbe rappresentato da una temperatura finale tra i 22 e i 24°. Mettere impasto in un vascone unto, lasciarlo a temperatura ambiente 15/20 minuti, fare delle pieghe dentro il vascone e inserirlo in frigo a 4° per 48 ore. Formare pagnotte dal peso a piacere, lasciare raddoppiare l’impasto a temperatura ambiente, stendere e infornare per una fase di precottura di circa 7 minuti a 280°. Altrimenti 11-12 minuti a 280° per cottura unica.
TEGLIA impasto alla romana (diretto) Ingredienti in ordine di inserimento Procedimento
• 5 kg farina tipo 00 W330
• 5 gr lievito secco per kg di farina
• 5 gr malto x kg farina
• 25 gr sale per kg farina
• 30 gr olio evo per kg farina
• Idratazione 90% Abbiamo utilizzato il medesimo procedimento per l’impasto messo in pratica per la pizza in pala. Per la teglia 60x 40 però il peso della pagnotta oscilla tra 1 kg e 1,1 kg; una volta formate le pagnotte lasciarle raddoppiare a temperatura ambiente. Poi ungere la teglia, stendere, farcire la pizza e cuocere direttamente senza precotture a 300° con platea 60% e 40% irraggiamento
la DOPPIA farcita
Ingredienti e procedimento uguale che per la pizza teglia; la discriminante (essendo doppia la pasta) è la cottura, che va impostata (diretta o con precottura) in base alle caratteristiche organolettiche dei condimenti con i quali farciamo.
Roma, una città della pizza.
di Antonio Puzzi, Antropologo dell'alimentazione e giornalista
Qu ando mi hanno chiesto quale fosse il punto di vista di
Slow Food sulla pizza romana, confesso che ho esitato non poco a riordinare le idee. Partirei però con quella che forse meno sembra avere a che fare con la pizza: la modalità di pagamento. “Fare alla romana” – come si sa – vuol dire suddividere in parti uguali il conto di un locale dove abbiamo cenato o pranzato con amici e colleghi senza badare a chi abbia consumato cosa.
Probabilmente è una delle forme più alte di convivialità, in quanto per il piacere di stare insieme si è disposti anche a mettere sul tavolo qualche euro in più. Secondo la prestigiosa Accademia della Crusca, l’origine di questa espressione è probabilmente antica ma trova nell’Ottocento la sua formula più coerente con l’uso contemporaneo: molti autori infatti la adoperano per definire una vivanda messa in comune dai vari commensali. In questo senso, tale locuzione verbale ha molto a che vedere con la pizza, la quale è di per sé una pietanza sinonimo di condivisione. Fermo restando dunque che ogni pizza, soprattutto se mangiata “a giro”, è una pizza che viene condivisa “alla romana”, è altrettanto importante ricordare che esistono due importanti tipologie di pizza che sono più propriamente legate alla Capitale. Entrambe sembrano avere origine all’interno dei tanti panifici dell’Urbe. La prima a nascere è stata probabilmente la “pizzetta” ossia il trancio di pizza tagliato a fette e venduto a peso: la sua particolarità è quella di avere una farcitura (o un condimento, a seconda della ricetta) particolarmente abbondante.
La seconda è la cosiddetta scrocchiarella. Pur essendo di adozione più tarda, quest’ultima è forse la pizza che più ricorda la prima pizza mangiata dal nostro progenitore: Enea. Leggenda vuole che il “patriarca” della civiltà tricolore nato dalla penna di Virgilio abbia sofferto a tal punto la fame da mangiare la propria “mensa”. Nella lingua latina, il termine “mensa” è adoperato sia per descrivere la tavola (ed è improbabile che Enea lo abbia fatto) sia per descrivere il piatto (fatto di un impasto di acqua e farina, cotto al forno) su cui venivano poggiate le abbondanti pietanze (e ci sembra più facile propendere per l’ipotesi che Enea abbia mangiato proprio questo prodotto, privo però di tutti gli ingredienti). La particolarità della “scrocchiarella” è il suo essere sottilissima e farcita anche qui con dovizia di ingredienti.
A dare dignità alla pizzetta (oggi rimpiazzata – a mio avviso senza rispetto – dalle pizzette tonde di imitazione napoletana), è stato il “pizza hero” (come vuole il titolo del programma televisivo che lo vede protagonista) Gabriele Bonci. Il “Panificio” e il “Pizzarium” (ma oggi anche la sua bottega al Mercato centrale di Termini) sono templi del gusto, vere mete di pellegrinaggio per gli amanti della pizza. Impareggiabile la “pizza di Bonci” con impasto al farro, condita con abbondante mortadella.
FORNI PAVESI RIMINI
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