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dal nostro mondo
DAL NOSTRO MONDO 70
Erika Brighenti, responsabile marketing
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anni di Zanolli
Il 12 settembre Dr Zanolli ha compiuto 70 anni di vita, un traguardo importante che rappresenta anche un’occasione per conoscere più da vicino l’azienda, la sua storia ed il pensiero strategico che la muove ogni giorno. Ne parliamo con Erika Brighenti, pronipote del fondatore, responsabile marketing.
Come nasce l’azienda Zanolli?
Giovanni Zanolli, il fondatore, inizialmente lavorava per una ditta che si chiamava Antonello & Orlandi che produceva forni per l’arte bianca. Iniziò col fare l’operaio per poi divenirne rappresentante commerciale. Ad un certo punto se ne staccò, aprì un’officina ed iniziò a lavorare per loro in conto terzi; ad un certo punto, l’Antonello & Orlandi diede a Giovanni Zanolli, in cambio di alcuni crediti, dei macchinari e con questi iniziò prima a rigenerare i loro forni, poi a produrre girarrosti ed in seguito a produrre e vendere forni con il cognome Zanolli, che divenne poi il marchio dell’azienda.
La prima sede fu in corso Milano a Verona: all’inizio era un’officina, che un po’ alla volta si allargò prima spostandosi in Z.a.i (zona industriale artigianale n.d.r.) a Verona, vicino al quartiere fieristico della città, e poi a Sommacampagna nel 1991, dove siamo tuttora. Ora la parte produttiva dell’azienda, nell’attesa di completare il trasloco anche degli uffici, dello showroom e della sala demo, si è trasferita a marzo di quest’anno a Villafranca di Verona (dove c’era già la logistica), in un’ottica di ampliamento dell’intera struttura.
Vi sono altre tappe salienti che contraddistinguono il percorso?
Negli anni precedenti già alcuni brevetti ci avevano permesso di posizionarci a livello europeo. Negli anni ‘80 abbiamo messo a punto il primo forno modulare, quelli “a piani” per intenderci: non in blocco unico bensì singoli blocchi - per l’appunto modulari - mentre nel 1987 abbiamo brevettato il primo forno a tunnel in Italia, che già c’era negli Stati Uniti mentre qui era sconosciuto. Questi sono rimasti i prodotti simbolo dell’azienda, pur ovviamente con un’evoluzione: ad esempio il forno a tunnel prima era statico mentre ora il Synthesis è ventilato.
Per quali segmenti di mercato nasce Zanolli inizialmente?
Sicuramente, assieme alla pizzeria, vi erano anche i forni da pane: forni molto grandi, monoblocco. L’esigenza di produrre forni modulari probabilmente nasce perché già negli anni 80 si sentiva l’esigenza di servire clienti che avevano spazi operativi che iniziavano a diventare sempre più ridotti, a dover contenere i costi di installazione e di un eventuale spostamento. Attualmente, noi serviamo la pizzeria, che è il nostro canale di vendita principale, la pasticceria e poi la panificazione. Nel segmento pizzeria, il mercato Italia pesa per un 20%, fatta salva qualche oscillazione annuale, frutto di una lungimiranza commerciale iniziata già negli anni ‘80, quando si cominciò un po’ alla volta ad esportare nei paesi vicini.
Qual è la mission aziendale?
Noi vogliamo soddisfare totalmente il cliente; uno dei nostri slogan in passato era: “Al tuo fianco nella cottura”. Se guardiamo alla pizzeria, c’è un’evoluzione in questo momento perché ci sono sempre più esigenze da parte del pizzaiolo e noi ci proponiamo di spiegare loro che con i nostri strumenti si può fare più di quanto si possa pensare. Prendiamo ad esempio il forno Augusto: ti permette di fare sicuramente la pizza napoletana perché raggiunge i 500 gradi ma non è solo un forno per pizza napoletana. È un concept che ha due brevetti e permette di lavorare anche a temperature diverse: un brevetto è sul design e l’altro è l’Air Trap System. Lavorando infatti a bocca aperta dovevamo trovare un modo per mantenere l’equilibrio del calore, che tende naturalmente ad uscire ed abbiamo così pensato ad una lama di aria calda che, sfruttando il calore che si accumula dentro la cupola, permette di incanalarlo e creare una sorta di barriera che consente di non fa uscire il calore all’esterno. In sostanza, questo forno permette al pizzaiolo di lavorare vicino al forno senza subire troppo il caldo che fuoriesce dal forno, oltre a mantenere il calore uniforme all’interno della camera.
Come gestite le richieste di variazioni tecniche che provengono dal mercato?
A volte bisogna dire di no a qualche richiesta che viene dal settore. Ci sono mille varianti possibili ma i forni sono versatili, vanno conosciuti in tutte le loro potenzialità e spesso bastano adattamenti minimi agli impasti per ottenere il risultato ottimale.
La chiave è sempre la formazione, sulla quale noi insistiamo da molto tempo.
DAL NOSTRO MONDO
Come per tutti gli altri settori, oggi chi ha un canale social ed è bravo ad usarlo in maniera efficace, in poco tempo può diventare un punto di riferimento per il grande pubblico ma magari dietro c’è meno sostanza di quanto ti potresti aspettare. Basti pensare al forno a tunnel, che non molti sanno usare correttamente, ma che ad esempio negli Usa ed in Europa è diffusissimo e ti risolve davvero tanti problemi, primo tra tutti quello del personale.”
Un motivo in più per insistere nella formazione?
Si, è fondamentale per noi, ed è anche per questo che collaboriamo con diverse realtà formative, oltre ad avere un forte gruppo di professionisti che collaborano direttamente con noi.
Zanolli oggi dove va?
Il cambiamento di sede per noi non è dovuto solo a ragioni di spazio ma anche ad un’esigenza di riorganizzazione: stiamo implementando i concetti della Lean Production, che implica un cambiamento importante. Vogliamo quindi soddisfare sempre più il cliente sulle tempistiche di consegna, operando in maniera sempre più snella ed ottimizzando i processi, alzando ancor più l’asticella sulla qualità del prodotto. Senza considerare lo sviluppo reale sul concetto di 4.0, che va fatto in maniera esaustiva e completa; siamo convinti che tutto questo ci permetterà di diventare più efficienti e di dare risposte più rapide al mercato.
Zanolli e la sostenibilità: quale rapporto?
Per quanto riguarda i forni, da sempre cerchiamo di far trovare al cliente il giusto rapporto tra il massimo ottenibile e il corretto consumo. Dal lato della produzione, a noi piacerebbe essere autosufficienti ma per ora il fotovoltaico che abbiamo installato non ci permette ancora di essere autonomi, sebbene sia una delle cose a cui puntiamo. Poi, ci sono quelli che potrebbero essere considerati “piccoli” aspetti su cui siamo attenti, come la scelta degli imballi e l’eliminazione di tutta una serie di sprechi lungo la filiera produttiva.
Se vogliamo allargare lo sguardo al futuro delle attività, con questi aumenti dell’energia e delle materie prime, purtroppo riteniamo ci sarà un’ulteriore ondata difficile, dopo ciò che è accaduto con il Covid. Fuori dall’Italia, essendo la pizzeria vissuta meno come momento conviviale di ritrovo serale, certi problemi si sentono meno, hanno costi di gestione diversi. Da noi aumentare continuamente i listini lungo tutta la filiera diventa difficile.
In ogni caso, dobbiamo tutti resistere e questo è il messaggio che ci sentiamo di dare: ce la dobbiamo fare e ce la faremo, ampliando le proprie vedute e la propria conoscenza professionale.
Avete sempre manifestato un’attenzione particolare allo sport e all’arte: perché? Da dove viene?
Questa sensibilità viene dalla famiglia Zanolli ed in particolar modo da Cristiano Zanolli, Presidente dal 1995, da sempre attento e vicino ai valori che lo sport suscita: correttezza, fair play, impegno, passione. C’è anche la volontà di sostenere il talento e di “arrivare” con il lavoro in questa nostra attenzione per il mondo dello sport e dell’atletica leggera in particolare. Lo stesso accade per l’arte e la cultura: passione di famiglia; è anche un modo per non fossilizzarsi e ampliare le nostre vedute con riverberi positivi anche nella nostra attività lavorativa quotidiana. In questo concetto di contaminazione culturale rientra anche l’iniziativa pensata per i 70 anni dell’azienda, ovvero quella di chiedere ai nostri tecnologi, ognuno per la sua area di competenza, di pensare un prodotto con un’eccellenza tipica del territorio veronese, ovvero il Recioto della Valpolicella.
Pizza e salumi:
una carrellata
di Caterina Vianello
La varietà di salumi che compongono il nostro “atlante gastronomico” non ha probabilmente uguali nel mondo.
Se l’utilizzo degli affettati sulla pizza è ormai uso comune, ci sono tuttavia delle accortezze da tenere presente. La prima è quello di conoscere bene le caratteristiche gustative, organolettiche e geografiche di ogni prodotto, per esaltarlo al meglio; la seconda è quella di fare attenzione alla cottura, che rischia nella maggior parte dei casi di far perdere ai salumi tutta la loro ricchezza aromatica. La terza è quella di non temere la semplicità e di usare un salume per volta, riuscendo così a valorizzare al massimo ogni prodotto selezionato. Detto ciò, ecco una carrellata di salumi pronti per essere fatti a fette.
. Prosciutto crudo
Avendo a disposizione un vero e proprio patrimonio di prodotti a marchio Dop o Igp, capaci di trasformare ogni farcia in vero e proprio piatto, il primo accorgimento è quello di non utilizzare il prosciutto crudo in cottura ma di aggiungerlo fuori dal forno. Le alte temperature infatti rischiano di aumentare la sapidità del salume e di asciugarlo eccessivamente, facendogli inoltre perdere qualità organolettiche e caratteristiche gustative. Meglio evitare quindi di sprecare un prodotto eccellente e, piuttosto, scegliere con cura quale usare, magari valorizzando le specificità dei sapori (dolcezza, note aromatiche, sapidità) e il territorio. Il campionario tra cui scegliere è ampio: prosciutto di Parma (Dop, Emilia-Romagna), San Daniele (Dop, Friuli Venezia Giulia), Amatriciano (Igp, Lazio), di Carpegna (Dop, Marche), di Modena (Dop, Emilia-Romagna), di Norcia (Igp, Umbria), di Sauris (Igp, Friuli Venezia Giulia), Toscano (Dop, Toscana); Veneto Berico-Euganeo (Dop, Veneto), Crudo di Cuneo (Dop, Piemonte).
Speck
Gusto intenso, saporito, con sentori di fumo, spezie ed erbe aromatiche. Non servirebbero altre presentazioni per lo speck. L’Alto Adige ne ha fatto uno dei suoi prodotti di punta e, anche in questo caso, visto un sapore già marcato, è bene aggiungerlo sulla pizza a fine cottura per evitare di seccarlo. È ancora una volta il sapore a guidare gli abbinamenti, per i quali dobbiamo prediligere formaggi delicati, in modo da non andare a contrasto ma creare piuttosto un bel bilanciamento. Bene anche l’aggiunta di altri ingredienti che richiamino il contesto montano, come i funghi.
Prosciutto cotto
La delicatezza, gustativa e cromatica, è l’essenza del prosciutto cotto, cui la sottile bordatura di grasso arriva a conferire un sapore più pieno. Sotto la dicitura generale tuttavia, piuttosto vaga, ci sono delle enormi differenze, soprattutto legate all’utilizzo di conservanti e coloranti o relative alle condizioni di allevamento dei maiali. La legge italiana identifica per i prosciutti cotti tre categorie qualitative ben distinte, che si differenziano per rapporto tra percentuale di acqua e di carne magra: il “prosciutto cotto”, ottenuto dalla coscia del suino, la cui umidità deve essere inferiore o uguale all’82%; il “prosciutto cotto scelto”, per il quale devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera e con un’umidità inferiore o uguale al 79,5%; infine, il “prosciutto cotto alta qualità”, con un tasso di umidità inferiore o uguale al 76,5%.
Salame
Da nord a sud, c’è l’imbarazzo della scelta. Se la Lombardia vanta Brianza (Dop), Cremona (Igp, Lombardia) e Salame di Varzi (Dop), l’Emilia Romagna risponde con il Felino (Igp) e il Piacentino (Dop), la Sicilia con quello di S. Angelo (Igp), mentre praticamente tutta l’Italia è unita nella produzione dei Salamini Italiani alla Cacciatora (Dop). Qui il consiglio è quello di studiarne bene caratteristiche e tratti distintivi nel gusto per valorizzarli al meglio e, conseguentemente, meglio aggiungerli a fine cottura, per evitare che il forno ne azzeri il sapore.
Mortadella
Se la mortadella è così dolce e delicata, il merito va tutto al grasso di gola, forse il più pregiato tra i tessuti adiposi. Colore rosa, profumo leggermente speziato e intenso, superficie vellutata, sapore delicato: la mortadella è uno dei salumi che meglio si presta ad essere utilizzata sulla pizza, a patto di non smorzarne il carattere elegante e goloso insieme. Anche in questo caso, quindi, meglio procedere con abbinamenti non in contrasto ma in corrispondenza e meglio aggiungere le fette una volta che la pizza è stata sfornata. Burrata, stracciatella, pistacchi: sono tra gli accostamenti migliori, non solo per i toni gentili, ma anche, nel caso dei pistacchi, per la croccantezza che gioca con la rotondità del salume e dei formaggi.
Pancetta
Tesa o arrotolata, più saporita o dai toni più dolci grazie all’abbraccio avvolgente del grasso, anche per la pancetta vale la regola di un’aggiunta delle fette fuori dal forno o proprio negli ultimi istanti di cottura. Anche in questo caso il calore gioca un ruolo fondamentale, sprigionando ed esaltando gli aromi. Da appuntarsi, in particolare, la Pancetta di Calabria (Dop), dalla buona sapidità e che può essere resa ancora più accattivante dall’aggiunta di peperoncino o la Pancetta Piacentina, più delicata e dolce.
Bresaola
Inevitabile pensare a quella della Valtellina (Igp): colore rubino, consistenza soda, profumo aromatico e gusto moderatamente sapido. Ecco perché meglio aggiungerla a crudo e utilizzarla preferibilmente su pizze bianche, magari riproducendo il classico accostamento al piatto con rucola e parmigiano in pizze bianche o in abbinamento con il taleggio.
‘Nduja
Dedicata agli amanti dei sapori piccanti: nata per recuperare gli scarti di lavorazione, è ormai diventata un prodotto identitario della Calabria. Si può cuocere, e in questo caso la sua consistenza cremosa, in pasta, si farà ancora più morbida, oppure aggiungerla dopo la cottura, a piccoli tocchi. Accostamenti imperdibili con olive e ricotta, anche per regalare vivacità di colori alla base dell’impasto.
Capocollo
Si ottiene dalla fascia muscolare del suino tra il capo e le vertebre. Aggiunto sulla pizza appena estratta dal forno, rilascia profumo e aromi di stagionatura. Vale la pena provare quello di Calabria, a marchio Dop: all’esterno ha colore roseo o rosso più o meno intenso (per la presenza di pepe nero o peperoncino) mentre al taglio ha colore roseo vivo con striature di grasso. Delicato al palato, ha un profumo di giusta intensità. L’accostamento con formaggi freschi (stracciatella) e verdure (carciofi), riesce a valorizzarlo al meglio. Ciauscolo
Eccellenza marchigiana, fa della spalmabilità della pasta il suo punto di forza. Si ottiene dalla doppia macinatura di tagli pregiati di carne suina come pancetta, spalla e rifilature di prosciutto e lonza. Le “fette” sono omogenee, di colore rosso-roseo uniforme. Il profumo è delicato, tipico e speziato con un gusto sapido e saporito. Abbinato a formaggi delicati e verdure, e con l’accortezza di aggiungerlo in uscita dal forno, riesce a dare il meglio di sé.
Porchetta
Non poteva mancare in quest’elenco la porchetta. Di Ariccia, ovviamente, emblema della cucina romana. Si caratterizza per una crosta croccante (anche dopo diversi giorni dalla cottura), sotto la quale si celano carni di colore bianco-rosa inframmezzata dal colore delle spezie. Inconfondibile al gusto per la presenza di rosmarino, aglio e pepe nero, è stata sapientemente valorizzata dalla “scuola romana”. A fette, accostata a verdure, patate e/o formaggi, ha un alto tasso di golosità.
Sul finire del ‘700 il celebre buongustaio francese Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826), ha scritto: “I secoli che ci hanno preceduto hanno dato al gusto un’aggiunta importante: la vaniglia”.
Per capire quanto sia vera questa affermazione, avviciniamoci un po’ di più a questa spezia. La sua storia è molto antica: sembra infatti che questa pianta sia stata coltivata per la prima volta circa mille anni fa dai Totonac del Messico centrorientale e, quando gli Aztechi del nord ne conquistarono le terre nel XV secolo, s’innamorarono del profumo e del gusto della vaniglia che unirono alla cioccolata, loro bevanda preferita. Lo stesso fecero poi gli Spagnoli che conquistarono il Messico nel 1521 con Hernan Cortez. Poco dopo, il cacao fu portato in Spagna e si ripeté l’abbinamento con la vaniglia, diventando velocemente una bevanda che dalla Spagna si diffuse a Parigi, a Londra e in Italia.
La pianta
La pianta della vaniglia è una delle 100 specie di orchidea vaniglia, una rampicante con fiori gialloverde pallido e lunghi baccelli verdi. La sua terra di origine, come abbiamo scritto sopra, sarebbe il Messico. Ma passare dalla pianta al prodotto che conosciamo richiede un lavoro abbastanza lungo e complesso, come vedremo fra poco. Flessibile e poco ramificata, la liana rampicante di vaniglia forma dei lunghi e sottili fusti che si arrampicano su alberi, esattamente come in passato facevano le viti dalle nostre parti, aggrappandosi ad altre piante e salendo anche per più di dieci metri. I fiori, in gruppi di otto o dieci, formano dei piccoli bouquet. Di colore bianco, verdastro o giallo pallido, hanno una struttura classica di un fiore d'orchidea, malgrado un'apparenza alquanto regolare. La fecondazione nelle regioni d'origine è effettuata da un genere di api senza pungiglione. Dopo la fecondazione, l'ovario si trasforma nella capsula pendente lunga da 12 a 25 centimetri. I frutti freschi e ancora inodori hanno un diametro da 7 a 10 millimetri. Contengono migliaia di semi minuscoli che vengono liberati per apertura della capsula. La raccolta si fa a frutti immaturi (verdi) ma passare dalla pianta al prodotto che conosciamo richiede un lavoro abbastanza lungo e complesso.
La spezia
La trasformazione di frutti inodori in una spezia vellutata e gradevolmente profumata ha bisogno di una preparazione minuziosa e metodica, i cui principi furono sviluppati in Messico – sembra – fin dal tempo dei Totonac, poco meno di mille anni fa. Per lungo tempo, si seguì un metodo denominato “preparazione diretta”, che consiste nel lasciar maturare il baccello, alternandone l'esposizione all'ombra e al sole. In tempi più recenti, quell’antico metodo fu abbandonato per un metodo denominato “preparazione indiretta”, che consiste nel provocare un trauma violento al baccello per arrestarne la vita vegetativa detto "killing", seguito da una serie di operazioni di trasformazione, di essiccazione e di smistamento che durano all'incirca dieci mesi prima di ottenere un bastoncino di vaniglia commercializzabile.
Nella storia
All’inizio del XVII secolo, il farmacista della regina Elisabetta I, Hugh Morgan, consigliò di impiegare la vaniglia per aromatizzare budini dolci e, negli anni ’80 del Settecento, i Francesi scoprirono che, abbinata al gelato, dava risultati molto interessanti e piacevoli. Il gelato alla vaniglia divenne presto di gran moda a Parigi, tanto che il diplomatico americano di stanza a Parigi e futuro Presidente degli USA, Thomas Jefferson, se ne innamorò e volle scriverne la ricetta, ora conservata nella Biblioteca del Congresso a Washington. Tra gli altri personaggi celebri per la storia della vaniglia, forse quello più importante è Edmond Albius, un giovanissimo schiavo de La Réunion, isola dell’Oceano indiano, ad est del Madagascar, di pertinenza francese. A 12 anni, Edmond rivoluzionò quasi per gioco il metodo di impollinazione, rivoluzionando anche il mercato mondiale della vaniglia per sempre, portandola sulle tavole del mondo e abbassandone il costo. A quell’epoca l’isola si chiamava Bourbon, da cui il nome di “Vaniglia Bourbon”.
Nella cucina italiana
Sulla vaniglia (Vanilla planifolia) si potrebbe scrivere un libro anche solo per l’Italia; va detto in primis che, dopo lo zafferano, è la spezia più costosa al mondo e che i maggiori produttori sono il Messico e il Madagascar. Molto usata da cuochi e pasticceri, la vaniglia è presente in: Budini, Vov alla vaniglia, Panna cotta, Yogurt, Gelato, Tè, Crema bavarese, Cioccolato di Modica e in alcune creme usate in pasticceria. Comunque oggi a cuochi, pasticceri e pizzaioli la fantasia non manca e nuovi abbinamenti, se fatti bene, sono sempre graditi.