Atelier
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Spazi pubblici/paesaggi comuni: un progetto per la rigenerazione urbana Coordinatore Maria Valeria Mininni con Teresa Pagnelli Discussant Carlo Gasparrini
Introduzione Alla Conferenza è giunto un cospicuo numero di lavori sui temi dello spazio pubblico, visti da una pluralità di angolazioni. L’abbinamento nella traccia dei due temi, spazi pubblici e paesaggi comuni, aveva il senso non tanto di sottolineare l’ accezione di ordinarietà che dalla convenzione europea il termine paesaggio si porta appresso, quanto di sollevare una visione critica del progetto dello spazio aperto, dove le condizioni in cui si abita o “lo si usa”, sono cruciali per pensarlo. Da questa posizione andavano riletti i tanti progetti di rigenerazione urbana sui quali da tempo si stanno occupando le città nelle politiche di riqualificazione e recupero delle periferie, per domandarsi se la rigenerazione verificava una più complessa relazione tra spazio e società. La gran mole di lavori giunti ha reso necessario uno sdoppiamento dell’atelier e, quindi, per noi, la discussione è angolata sui 27 paper che ci sono giunti. Sollevata da più parti la necessità di una più attenta definizione di spazi pubblici, da questo chiarimento il dibattito nell’atelier ha preso le mosse, provando a rileggere insieme alcune utili riflessioni che sul tema recentemente ci propone Crosta parlando di pratiche e territori1. Lo spazio pubblico, dice Crosta, indica gli spazi terzi (né del lavoro, né della residenza) dell’interazione sociale urbana. Essi, quindi, non sono appropriabili privatisticamente da chi li usa, nel senso che l’uso di qualcuno non impedisce l’uso di altri, per cui l’effetto di esclusione si dà o non si dà rispetto al modo di utilizzarli, sia quello di appropriazione volontaria privatistica che esclude alcuni, sia quella non intenzionale come ricaduta di regole non gradite a tutti. Il significato di spazio pubblico, quindi, sta a indicare un dispositivo topografico il cui significato non è preesistente ma ad esso viene attribuito dall’uso che se ne fa, ogni qualvolta se ne fa uso. A questo punto, dice Crosta, è possibile provare a precisare la nozione di pubblico e spazio pubblico a cui si fa riferimento, partendo dalla differenza con lo spazio comune, intendendolo come luogo dove gente diversa fa le stesse cose, mentre nello spazio pubblico gente diversa fa cose diverse e dalla compresenza apprende la diversità, accettandone eventualmente, il senso di limitazione, reciprocamente scambiato, nell’interazione d’uso. Dunque, se gli spazi pubblici non esistono per decreto, ma sono un costrutto sociale, derivando dall’uso che se ne fa, non preesistono all’interazione sociale. Essi sono spazi il cui carattere pubblico è problematico, perché prodotto da una scelta, e quindi, esistono come tensione progettuale di un’ interazione che produrrà fenomeni di apprendimento, in cui la diversità viene appresa come valore comune. Sia che essi siano fatti spaziali sia che siano solo pratiche, non necessariamente sopravvivono all’interazione sociale perché possono o non possono essere confermati o negati dalle interazioni successive, passando, per esempio, da una dimensione di incontro a quella di conflitto.
1 Crosta P. (2010), Pratiche. Il territorio “è l’uso che se ne fa”. Franco Angeli, Milano [pag 18-22]
I lavori, organizzati in 4 contenitori, [teorie, ricerche in corso, progetti e casi studio] sono stati discussi rispetto 3 diversi gruppi di temi-problemi: spazi aperti, come una categoria più specifica dello spazio pubblico che attiene ad un materiale ormai riconoscibile della città, strategie di paesaggi, riconcettualizzano lo spazio di azioni informali, dove la riflessione richiedeva una maggiore attenzione alla dimensione simbolica e percettiva, non un problema di scala ma di atteggiamenti, la rigenerazione urbana, dove le riflessioni si muovevano in maniera esplicita cercando gli strumenti in cui collocare nuove modalità di rigenerazione della periferia anche a partire dalla maniera di trattare lo spazio pubblico. Mariavaleria Mininni
Spazi pubblici/paesaggi comuni: un progetto per la rigenerazione urbana
Coordinatore Maria Valeria Mininni con Teresa Pagnelli Discussant Carlo Gasparrini
9b Strategie del paesaggio Francesco Alberti, Fabio Bronzini Una nuova generazione di paesaggi della diffusione Mariella Annese La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano Monica Bianchettin Del Grano Lo spazio fra le cose come paesaggio comune Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino Ville + Sambre + Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago Pasquale Dal Sasso, Mario Morrica Gli spazi pubblici nei sistemi complessi di relazione tra tessuto urbano e ambiti di naturalità Emanuela Nan SMART Med.Urban-River. I contesti urbano-fluviali mediterranei quali scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interazioni e dimensioni cittànatura. Genova laboratorio provetta Giuseppe Onni Nuovi spazi del turismo. Proposta di progetto dello spazio pubblico negli spazi turistici della Sardegna Giuliana Quattrone Territori violati e abbandonati: una sfida per il progetto di riqualificazione urbana Stefania Staniscia Scenari di nuovi paesaggi del Trentino. Anna Terracciano Sovrapposizioni e stratificazioni dei territori contemporanei. Tornare a de.scrivere, in.scrivere, ri.scrivere.
Celestina Fazia, Maria Francesca Faro, Alessia Toscano Qualità degli spazi pubblici e requisiti per una nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta Il progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape Gabriella Restaino Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma Alberto Zanco Rigenerazione urbana: oggetto architettonico o spazio aperto Spazi aperti Laura Battaglia Il mercato del XXI secolo come motore di rivitalizzazione dei centri storici Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives Antonella Carrano Ripartire dai luoghi dell’abbandono: la rigenerazione urbana attraverso l’azione locale Giulia Chiummiento, Federico Orsini Spazio pubblico e rigenerazione urbana resiliente: il caso di Lyon. Confronto tra casi studio per la definizione di un approccio interdisciplinare Carmela Coviello, Ina Macaione Laboratori di rigenerazione urbana a Matera. Dalla Forma Urbis al costruire una comunità in movimento Daria De Petris Il ruolo dell’housing sociale nella rigenerazione urbana: il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara
Rigenerazione urbana
Giulio Giovannoni Spazi pubblici e dispersione insediativa
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghirardelli La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
Camillo Orfeo Riconvertire linee costiere
Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trilo, Stefania Oppido Rigenerazione degli spazi pubblici e centri commerciali naturali: il caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli
Martina Orsini Spazio pubblico e forma della città
Marichela Sepe La realizzazione degli spazi pubblici in un asse emblematico colpito da un evento sismico: un caso di rigenerazione incompiuta Nausicaa Pezzoni Il progetto di paesaggio come narrazione collettiva Chiara Rizzi Urban Reload_Rovereto Valentina Simula Spazi degradati, società diverse e nuovi occhi. Analisi e metodo per un nuovo approccio alla progettazione urbana Antonio Taccone Una strategia per la costa urbana calabrese Francesco Varone Il progetto urbano come strumento per la rigenerazione urbana Andrea Varriale L’uso degli spazi pubblici a Napoli fra senso civico e regole
Una nuova generazione di paesaggi della diffusione
Una nuova generazione di paesaggi della diffusione Francesco Alberti Università Politecnica delle Marche Dipartimento di Scienze e Ingegneria della Materia, dell’Ambiente e dell’Urbanistica (SIMAU) Email: f.alberti@univpm.it Fabio Bronzini Università Politecnica delle Marche Dipartimento di Scienze e Ingegneria della Materia, dell’Ambiente e dell’Urbanistica (SIMAU) Email: lutacurb@univpm.it
Abstract Il presente report si basa sui risultati di un progetto territoriale, attuato nella provincia di Ferrara, e pone attenzione alle problematiche dei filamenti insediativi tra le città e tra città e campagna: processi evolutivi in corso, qualità della vita, rassegna di buone pratiche di cura del paesaggio e soluzioni-tipo per migliorare la leggibilità, comprensibilità, qualità, percorribilità, sicurezza, godibilità dei percorsi di ricucitura dei paesaggi interrotti, ricostruzione e riqualificazione dei margini periurbani. La definizione di visioni guida al futuro per l’attuazione delle scelte pianificatorie, può essere possibile solo attraverso la costruzione di convincenti modelli territoriali condivisi, capaci di interpretare in modo creativo il modello insediativo emiliano attraverso la sperimentazione e la promozione delle valenze e delle specificità regionali, in grado di diventare un volano importante per il rilancio delle economie locali. E’ necessario che gli stakeholders territoriali prestino particolare attenzione alle strategie di valorizzazione e di promozione delle specificità regionali e provinciali per puntare alla convergenza di politiche di eccellenza, attraverso partnership, per la competitività e la crescita territoriale. Parole chiave Frammentazione, diffusione, governance.
Pianificare il paesaggio “frammentato” tra rischio e innovazione Il progetto urbanistico “Po di Primaro. Sistemi lineari e trasversalità”, promosso nell’ambito del programma di attività previste per la revisione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) dalla Provincia di Ferrara, di concerto con le linee programmatiche dei piani strutturali del Comune di Ferrara e il Comune di Argenta, è al tempo stesso il prodotto e la condizione di un riposizionamento dell’asta fluviale del Po di Primaro in reti più ampie di governance nel governo del territorio. Il risultato perseguito è la messa a punto di strumenti operativi, procedure e suggerimenti per la governance e la cura di tali ambiti insediativi, con riferimento anche alle attuali esperienze di gestione integrata pubblicoprivato. Solo coniugando in modo sapiente competitività, coesione, sostenibilità ambientale e valorizzando l’immagine del Po di Primaro come parco di attività, si potranno incrementare le potenzialità di questo ambito, in grado di scambiare conoscenze e prodotti con l’intero territorio europeo. Un parco di attività capace di ospitare attività produttive e infrastrutture decisive per lo sviluppo fondato sulla (ri)costruzione materiale del territorio, attenta alle sue fragilità, ai problemi e alle opportunità che esso pone. Gli elementi che compongono il territorio lungo il Po di Primaro da Ferrara al mare mantengono la discontinuità urbana propria del paesaggio tradizionale, con la sua riconosciuta bellezza e con i problemi che ne inficiano la competitività e l’appetibilità, che sono ancora ampiamente percepibili e visibili. Un efficiente sistema paesistico, ambientale e agricolo ha potuto adattarsi ed accogliere forme d’uso nuove e legate a pratiche urbane che investono il territorio, grazie anche ad un forte frazionamento proprietario, ad un’ampia offerta di edifici rurali adatti ad accogliere nuove modalità abitative, alla presenza di centri storici di Francesco Alberti - Fabio Bronzini
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Una nuova generazione di paesaggi della diffusione
grande valore. Il territorio lungo il Po di Primaro assume quindi una figura frammentata formata da un insieme di piastre, in alcuni casi di nuova formazione e funzionalmente caratterizzate, in altri casi esito della crescita di nuclei antichi, in alcuni altri, limitati ma rilevanti, costituite da insediamenti terziari isolati. Tale figura poggia su uno sfondo formato da paesaggi agricoli caratterizzati da alcune rilevanti differenze e connotati da problematiche di tipo geologico e idrogeologico accentuate dalle recenti trasformazioni delle modalità di produzione agricola e di occupazione/ impermeabilizzazione del suolo. Si tratta di una condizione specifica assai differente dalla cosiddetta “città diffusa” che caratterizza altre parti della stessa regione. Una condizione meno parcellizzata ma non meno dinamica. L’immagine della frammentazione fisica, rappresentata da un territorio costituito da placche accostate, coincide con la frammentazione degli attori del territorio e delle loro decisioni. La frammentazione definisce, quindi, un quadro complessivamente diseconomico e che incide sulle qualità specifiche del territorio. Produce scelte localizzative e di uso del suolo senza un quadro d’insieme della domanda futura, e la ricerca dell’efficienza interna delle singole operazioni, non considera adeguatamente le relazioni e le conseguenze indotte sul sistema infrastrutturale complessivo, sul sistema ecologico-ambientale, e sul paesaggio. Si evidenzia così una “doppia dimensione” problematica: nell’accostarsi - il sistema paesistico, ambientale e agricolo e il sistema infrastrutturale stradale e ferroviario - non si integrano e si penalizzano reciprocamente, non permettono cioè di definire un vero sistema insediativo efficiente, sovrapponendosi alla figura del paesaggio la erodono e ne compromettono l’equilibrio. D’altra parte, la “frammentazione” non è sempre percepita come un problema rilevante, in quanto sembra garantire condizioni di efficienza delle singole iniziative ed attività economiche. Rispetto a queste ultime il territorio lungo il Po di Primaro costituisce una piattaforma territoriale ancora accogliente, dotata di servizi, accessibile, con una buona disponibilità di aree produttive ecologicamente attrezzate in concorrenza sia pubbliche che private, in alcuni casi con servizi per le imprese, attrattiva per chi vive e lavora nel territorio. La visione del “parco di attività” ha cercato, dunque, di costruire un’immagine differente, più inclusiva e aderente agli obiettivi perseguiti, e ha permesso di mantenere la centralità del fiume e del sistema territoriale che esso disegna. Consente di trattare la reticolarità delle relazioni, la diversificazione delle attività, modelli insediativi e le forme di abitabilità come insieme complesso. Si evidenzia, dunque, con forza l’identificazione di aree produttive e terziarie di “nuova generazione” dove convivono imprese ad alto valore aggiunto, istituti di ricerca e formazione regionale, servizi alle attività economiche e alle persone, posizionati in siti ad alta accessibilità. “Parco di attività” è, dunque, la parola chiave che sottolinea la presenza decisiva di elementi naturali e di spazi aperti dilatati, ed è la definizione più ancorata alla natura del territorio, sufficientemente evocativa per richiamare molteplici dimensioni caratterizzanti il Po di Primaro. La presenza di importanti patrimoni ambientali e paesistici, ma anche di aree che ospitano produzioni di beni e servizi, le infrastrutture e gli spazi per la logistica, confermano la necessità di una cura del territorio e dell’ambiente, un’idea di attività che non si riduce alle funzioni ma indica pratiche e usi, essendo “attività” tutte quelle che si intraprendono in rapporto al territorio. In questo senso è un parco di attività, quello spazio che permette e incoraggia pratiche d’uso del territorio molteplici, una corretta coesistenza, legata al lavorare e al muoversi, al riposare e al fruire la natura, al sostare e all’abitare. Le attività del progetto hanno consentito di identificare cinque grandi temi operativi, che sono stati declinati in altrettanti tavoli di lavoro per la costruzione della città del primaro: • • • • •
il fiume: l’assetto, il rischio idraulico, il valore ambientale e l’uso pubblico; la produzione: le prestazioni ambientali delle aree produttive ecologicamente attrezzate; il paesaggio: la produzione agricola e i valori storici e ambientali; la mobilità: l’integrazione dei modi di trasporto e la sicurezza stradale; la logistica e i flussi: l’integrazione tra porto, interporto e aeroporto.
Il trame offerto dal progetto può essere negli anni fertile a condizione che metta al lavoro visioni del territorio più problematiche, capaci di aprire spazi di azione degli attori, di essere mobilitanti. La visione al futuro concepisce il territorio del Primaro come un ambito di opportunità, un luogo dello scambio tra stakeholders che operano sulle politiche di sviluppo territoriale per “fare”qualcosa attorno a problemi concepiti come comuni, un campo strategico di intervento.
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Figura 1. Progetto di Territorio Corridoio Primaro, l’Infrastruttura verde, individua gli ambiti potenziali di sviluppo territoriale, assumendo il paesaggio come risorsa e come valore fondativo delle stategie di recupero dei centri abitati, e facendo valere la specificità dei paesaggi agricoli del sud-est ferrarese all’interno del Piano Paesaggistico Regionale in corso di aggiornamento.
Le dinamiche urbane che si sono sviluppate in questi contesti hanno spesso portato ad un utilizzo improprio del territorio, con conseguente perdita di riconoscibilità dell’ambiente urbano-rurale, spreco di suolo e consumo di risorse non riproducibili. In questo senso, cercare una nuova coerenza amministrativa e progettuale per la gestione sistemica della sostenibilità dello spazio urbano nei paesaggi di frangia può rappresentare un’occasione per attivare processi di riduzione dei consumi, dei fabbisogni energetici e infrastrutturali. La crescita rapida, disordinata e incontrollata di forme insediative nelle aree periurbane di frangia e nei filamenti insediativi, presenta rilevanti elementi negativi sia del territorio agricolo e urbanizzato nel suo complesso, che del suo valore paesaggistico ed ambientale. Nei filamenti periurbani che legano tra loro piccoli e medi centri urbani ci si trova, infatti, in presenza di un uso disordinato del territorio, di spreco di suolo e di perdita di riconoscibilità dell’ambiente urbano-rurale. Un paesaggio senza regole, illeggibile nelle sue parti e nelle sue relazioni. Spazio che potrebbe rappresentare una risorsa strategica per migliorare la qualità dell’abitare diffuso. La nuova tipologia di insediamento priva di tessuto, assiste alla competizione tra le funzioni, determina fenomeni di trasformazione e abbandono. Emerge così la centralità del “paesaggio delle linearità periurbane” nella nuova politica del territorio. E’ necessario intervenire con urgenza, con gli strumenti che sono oggi disponibili, al fine di ridurre il degrado strutturale della campagna, del tessuto agricolo ed ecologico, del paesaggio di frangia, della perdita di valenza dei beni storico-culturali presenti, dei nuclei storici, delle antiche opere infrastrutturali incardinate nel mosaico territoriale agricolo, e nell’assenza di organizzazione funzionale del tessuto edilizio e di una sua gestione razionale, anche a seguito della rapidità dei processi di trasformazione spesso disordinati in atto. La cura del paesaggio periurbano potrebbe proporsi come una nuova strategia sulla dispersione insediativa che riconsideri come centrale il “ruolo del contesto”, come passaggio da spazio agricolo coltivato ad una nuova generazione di paesaggi della diffusione che provengono dall’erosione della città diffusa e dall’urbanizzazione produttiva e vanno ad occupare spazi che sono rimaste incerti, quasi in attesa.
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Figura 2. Progetto di Territorio Corridoio Primaro, la Visione Guida per la definizione del Telaio ambientale, permette di orientare le strategie per gli interventi di sviluppo sostenibile, attraverso lo sviluppo di energie alternative con fonti rinnovabili, la realizzazioni di reti verdi, il ripristino e risanamento ambientale, e il sostegno alla diffusione di un’agricoltura di qualità. Nella tavola si può osservare come il potenziamento dell’asta fluviale si configuri come sistema di integrazione delle reti ecologiche locali e delle reti di percorsi attrezzati per l’escursionismo e la fruizione del territorio.
Il rapporto tra la ricerca e l’attività applicata di tale processo insediativo reticolare si pone oggi come centrale e imprescindibile. Le aree di frangia e i filamenti insediativi che da esse si diramano possono, infatti, svolgere un ruolo assolutamente strategico nei processi di neourbanizzazione e di crescita irrazionale in atto. Appare, dunque, una sfida culturale, a livello europeo: la costruzione di una politica di coesione territoriale, che punta sulla capacità dei territori di generare sviluppo endogeno.
Figura 3. Progetto di Territorio Corridoio Primaro, la Visione Guida per la definizione del Telaio infrastrutturale, consente di individuare i temi progettuali rilevanti per il potenziamento delle reti per la mobilità sostenibile, attraverso il miglioramento della viabilità di connessione con il territorio (linea di colore nero), la realizzazione di itinerari turistici (linea di colore verde) e percorrenze slow di collegamento tra i diversi centri (linea di colore grigio).
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La costruzione di modalità di governance innovative consente di materializzare nuove forme istituzionali per il governo del territorio e ad aprire nuovi varchi alle connessioni tra i temi dello sviluppo e quelli del governo del paesaggio. I nuovi paesaggi dell’urbanistica, quindi, possono rappresentare una risorsa strategica: lunghe fasce semi-urbanizzate dove sperimentare forme insediative “a emissione zero”, tali da alimentare rilevanti programmi di sostituzione edilizia, di riorganizzazione delle reti infrastrutturali, di rimarginazione e rimodellamento delle aree edificate compatte, di riqualificazione urbano-rurale.
Conclusioni: verso modelli alternativi di rigenerazione del paesaggio Gli interventi, finalizzati a promuovere un processo diffuso di rigenerazione urbana e di sviluppo territoriale, hanno confermato la rilevanza delle relazioni contestuali evidenziate nelle letture morfologiche, riqualificando l’impianto matrice dei centri sparsi sul territorio, valorizzando l’esperienza dell’avvicinamento ai borghi antichi, tutelando le visuali principali verso i paesaggi di prossimità, e favorendo azioni di integrazione tra i nuclei antichi degradati e le città di recente formazione. L’elaborazione di strategie progettuali supera in tal modo i confini amministrativi e si avvale di strumenti coordinati a livello d’area vasta, capaci di esprimere i peculiari caratteri identitari dei luoghi e di veicolare la promozione delle eccellenze, preziosità rilevanti per ogni strategia di marketing territoriale a livello nazionale e internazionale. Ripensare la costellazione degli infiniti reticoli insediativi che legano medie e piccole città come una “tela di ragno”, attraverso un intreccio di filamenti che si snodano senza fine, configura una inedita progettazione di sistemi organici formali e funzionali, con la ridefinizione delle relazioni e delle connessioni tra gli spazi, con la ridelimitazione di elementi di riconoscibilità e identità, non senza l’eliminazione di patologie urbane negative, permette di ricostruire un più equilibrato rapporto tra spazio pubblico, spazio privato residenziale, aree produttive, e paesaggio. Si impongono, dunque, nuovi strumenti operativi, protocolli e metodologie, basati su un deciso approccio multidisciplinare, suggerimenti per la gestione dei processi urbanistici, indirizzi per l’elaborazione di piani e progetti, linee guida per la ricerca di nuovi scenari di bellezza “tra le città”. Strumenti basati sulla salvaguardia delle reti ecologiche per la qualità del sistema paesaggio, su una nuova strategia dello sguardo sulla dispersione, sulla nuova generazione di paesaggi della diffusione, al fine di riaffermare il ruolo cruciale e strategico delle politiche e delle scelte urbanistico-territoriali, e della governance a livello regionale e di area vasta per la tutela del paesaggio. Tale impostazione permette, quindi, di individuare nuove strategie comuni europee e criteri per la diffusione e interazione a livello sovranazionale delle conoscenze e delle soluzioni, e infine, dell’individuazione di “forme urbane di eccellenza”, sia in termini di qualità formale e di assetto insediativo residenziale e produttivo, che in termini di qualità ambientale e qualità della vita. La definizione di Visioni guida per l’attuazione delle scelte pianificatorie, permette attraverso immagini sintetiche e dinamiche del futuro assetto del territorio - travalicando spesso i confini amministrativi per cogliere i campi di relazione spaziali ed economici “a geometria variabile” - di orientare le strategie sulle quali si basano a loro volta i progetti di Piano per gli interventi di riassetto edilizio, di riqualificazione degli spazi pubblici e di ripristino e risanamento ambientale.
Bibliografia Bronzini F. (2012), “Il filo segreto che lega città e territori” in Bronzini F., Bedini M.A., Marinelli G., (a cura di), Marche. Il Battito della mia terra, Il Lavoro Editoriale , Ancona. Bronzini F. (2012) “Forse il paesaggio è una percezione dell’anima” in Alberti F., Il Paesaggio Transitivo. Il ruolo del progetto urbanistico per la città e il territorio contemporaneo, Maggioli Editore, Rimini. Gabellini P. (2010), Fare Urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria, Carocci Editore, Roma. Mininni M. (2012), “Paesaggio, territorio, sviluppo. Il caso della Puglia” in Clementi A. (a cura di), Paesaggi Interrotti, Donzelli Editore, Roma. Clementi A. (2012) “Urbanistica e paesaggio contemporaneo” in Alberti F., Il Paesaggio Transitivo. Il ruolo del progetto urbanistico per la città e il territorio contemporaneo, Maggioli Editore, Rimini Clementi A. (2012), “Innovazioni alla prova” in Clementi A. e Di Venosa M. (a cura di), Pianificare la Ricostruzione. Sette esperienze dall’Abruzzo, Marsilio Editore, Venezia. Clementi A. (2012), “Apprendere dall’esperienza” in Clementi A. (a cura di), Paesaggi Interrotti, Donzelli Editore, Roma
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La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano
La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano Mariella Annese Factoryarchitettura Email: m.annese@factoryarchitettura.it Tel: +39.3206486647 / +39.0696708563
Abstract A partire dalla proposta del PPTR Puglia di utilizzo della campagna come infrastruttura del paesaggio, si propongono due strategie metaprogettuali che affrontano le questioni ancora aperte legate alla gestione degli spazi agricoli periurbani, alla pianificazione funzionale del territorio, al ruolo dello spazio di margine tra urbano e rurale. Attraverso la proposta di ibridare la strumentazione ordinaria si vuole problematizzare l’opportunità oggi fornita dalla visione paesaggista per la definizione di nuove politiche e azioni di intervento ma anche il ruolo che assume il progetto nella trasformazione fisica dei territori di confine. Utilizzando una prospettiva strategica e processuale si propongono approcci diversi alla gestione dello spazio, impostati sulla manutenzione del territorio e sulle forme di tipo autorganizzativo; le ipotesi metaprogettuali si confrontano così anche con il tema della convivenza e della condivisione sviluppando una proposta di bene comune nel quale l’interesse collettivo è negoziato anche attraverso la convenienza individuale.
La Puglia come riferimento per la sperimentazione di strategie e modelli Il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia, nonostante debba essere ancora verificato nell’efficacia1, possiede una forte carica innovatrice: individuando i principi di composizione formale del paesaggio periurbano, esso affida alla campagna il ruolo di riconessione degli spazi aperti proponendo un’innovativa idea di abitabilità che coinvolge direttamente gli abitanti di questi contesti (Annese et al.; 2012). Per l’intereferenza diretta che la visione del Piano ha sulla pianificazione comunale, appare opportuno sondare e declinare alla scala locale il valore di continuità/permanenza/persistenza attribuito alla dimensione rurale dalla strategia progettuale in esso delineata. La scala locale, infatti, rappresenta forse la dimensione più complessa in cui si possono specificare meglio i contenuti del piano ma anche le criticità; verificare le condizioni per l’attuazione del progetto del paesaggio di margine diventa allora un interessante esercizio con cui confrontarsi. Assumendo le indicazioni del piano come premessa si propongono per due contesti fortemente ideltipici distinte strategie di intervento, che da un lato verificano la proposta concettuale di una nuova abitabilità dei contesti periurbani, dall’altro lavorano sulla capacità dello spazio agricolo di elaborare una nuova idea di ambiente insediativo.
Due simulazioni sul progetto di paesaggio2 San Giorgio – Bari - Una strategia metaprogettuale agrourbana Il contesto di San Giorgio a Bari presenta tutti i caratteri della diffusione insediativa costiera pugliese. Il territorio suddiviso in lotti agricoli è rimasto integro per molto tempo, fruito nelle forme stagionali della balneazione e dell’attività agricola. Negli ultimi 30 anni, però, disattendendo le pur spinte previsioni urbanistiche quaroniane3, una ‘mobilitazione individalistica’ ha determinato il più alto consumo di suolo a fini edificatori per 1
1 Proposta di PPTR della Regione Puglia, gennaio 2010. Le strategie rappresentano l’esito delle riflessioni strategiche elaborate sui contesti ideltipici di Bari- San Giorgio e Andria nell’ambito della Tesi di Dottorato EDGE SPACE – Vivere i margini della città, Scuola Dottorale Culture e trasformazioni della città e del territorio – sezione Progetto urbano e sostenibile, Università degli Studi Roma Tre, XIIIciclo. Tutor: prof. arch. A. Vidotto, prof. arch. M. Mininni. 3 L. Quaroni, 1968-1973Piano Urbanistico Generale della città di Bari. 2
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La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano usi diversi e impropri. L’agricoltura, marginalizzata e incastrata tra i lotti edificati, è ancora presente, ma con una spiccata tendenza all’abbandono come conseguenza di un’evidente situazione di conflittualità tra produzione e usi insediativi. Per la riqualificazione di questo contesto, il PPTR attraverso la strategia del Patto cittàcampagna, propone di ridare centralità agli spazi aperti, ai “vuoti” piuttosto che all’edificato, individuando nuove forme di relazione. In chiave mataprogettuale questo vuol dire raggiungere un nuovo livello di abitabilità dell’insediamento, ponendosi come obiettivo la definizione non di una nuova morfologia, bensì di principi a partire dai quali invertire il processo che ha determinato le attuali criticità. Tralasciando quindi le politiche che in tema di abusivismo propongono azioni di riqualificazione dell’esistente con premialità volumetriche e compensazioni edilizie, una diversa strategia di riqualificazione del contesto può avviarsi rivalutando il ruolo dello ‘spazio negativo’4. A San Giorgio gli spazi liberi, residuali della trasformazione edilizia, sono compresi in parte nella fascia litoranea di salvaguardia del peasaggio costiero, in parte nella fascia più interna, nelle aree indicate dalla disciplina vigente come Zone C di espansione. A queste due geografie sono riconducibili distinte condizioni d’uso: i primi versano in uno stato di incuria che non dimostra alcuna ambizione alla trasformazione immobiliare, anche abusiva; i secondi invece, nonostante il diverso regime edificatorio, conservano un’attività agricola marginalizzata ma presente, testimonianza della volontà e dell’utilità di mantenere la produttività dei fondi. Proprio prendendo spunto da questi diversi atteggiamenti, l’ipotesi di riqualificazione appare possibile aprendo una riflessione sulla questione fondiaria. Diritti e aspirazioni proprietarie sullo spazio aperto non possono essere chiaramente cancellati; né, in un regime proprietario privato molto parcellizzato, come quello di San Giorgio, appare plausibile intervenire con l’acquisizione tramite esproprio della proprietà pubblica dei terreni. Una diversa strategia potrebbe invece maturare attraverso tipologie di accordi pubblico-privato che escludano a priori la trasfromazione immobiliare dello spazio pur garantendo la conveninza reciproca delle parti alla stipula. L’accordo cioè dovrebbe, da un lato, vincolare privati ed amministrazione a sospendere per un tempo relativamente breve ipotesi di trasformazione edilizia, dall’altro trovare in maniera condivisa alternative di compensazione economica a questa sospensione. Non si tratterebbe di un vincolo a tempo indeterminato, ma una sorta di tutela temporanea, funzionale allo specifico obiettivo di verificare, o smentire, i vantaggi di una trasformazione alternativa dello spazio e dimostrare la convenienza di un modello di sviluppo basato su logiche non immobiliariste. Ad esempio i suoli inattivi e liberi potrebbero essere acquisti temporaneamente in locazione dall’amministrazione; questo consentirebbe ai proprietari di ottenere una rendita economica maggiore di quella attualemente ottenuta dall’attuale inattività, all’amministrazione di gestire direttamente gli spazi cedendoli nuovamente in affitto agli agricoltori. In alternativa, gli stessi privati potrebbero trovare occasioni di convenienza economica nell’istituzione di rapporti diretti di locazione o cessione delle aree, in base ai quali coloro che hanno mantenuto l’attività agricola possano estenderla su tutti gli spazi aperti. Trilaterando gli accordi con l’amministrazione si avrebbe il vantaggio di individuare forme di locazione più flessibili di quelle previste dalla normativa vigente e di re-inmettere la redditività della produzione agricola a vantaggio delle strategia, ma soprattutto permetterebbe di applicare a forme innovative di gestione5.
Figura 1. Pattern spaziali e schema per una possibile aggregazione spaziale.
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Cfr. Zanfi F. (2008). Città latenti. Un progetto per l’Italia abusiva. Milano, Bruno Mondadori Editore. Un riferimento al riguardo è sicuramente l’esperienza francese delle SAFER- Sociétés d’aménagement foncier et d’établissement rural e del movimento Terre de liens.
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La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano
L’agricoltura da questo punto di vista è una funzione chiaramente strategica, poiché rappresenta l’unico uso compatibile con la proposta di temporaneità degli accordi e con un’ipotesi di urbanizzazione leggera dello spazio in grado di sviluppare un progetto di stampo agrourbano; gli abitanti in questo scenario non sarebbero semplici fruitori del progetto ma soggetti partecipi, perché responsabili della qualità ambientale in cui questa visione può concretizzarsi. L’agricoltura, infatti, assunta come sfondo ad una nuova spazialità condivisa, se ne assumerebbe la cura, rendendola disponibile a pratiche ulteriori: con l’unificazione funzionale dello spazio agricolo si potrebbe giungere ad una progressiva decostruzione dei confini; dall’apertura dei passaggi che consentono una circolazione capillare, sino all’accessibilità a spazi condivisi, sarebbe così possibile implementare la dotazione di servizi del quartiere6. Lo spazio aperto lentamente e progressivamente, nella verifica delle convenienze e rafforzarsi delle intese, potrebbe acquisire una nuova configurazione in cui in cui il vuoto dà struttura e leggibilità al territorio, così recuperando nelle forme anche l’identità storica dell’orto costiero, reinterpretato in chiave contemporanea. Il nuovo modello insediativo, strutturato attraverso un set innovativo di politiche e di interventi potrebbe così giungere a determinare da una lato, una qualità nuova del contesto; dall’altro potrebbe veder realizzarsi un vero e proprio progetto culturale di responsabilizzazione verso il luogo in cui si vive e di cui si comprende il valore: un progetto di paesaggio che punta alla riterritorializzazione dell’abitare nello spazio.
Andria - La strategia della zona E+ Le dinamiche della crescita urbana della città di Andria sono individuabili in un passato relativamente recente e vedono intrecciare e contrapporsi il problema abitativo e la conseguente pratica dell’abusivismo edilizio, con la sovradimensione delle previsioni urbanistiche più recenti. Il vigente PRG7, improntato alla compensazione quantitativa delle insufficenze abitative e di standard piuttosto che al recupero dell’esistente, ha disegnato, infatti, una consistente espansione periferica che ha ipoteca lo spazio agricolo destinandolo a residenze e servizi e, in virtù dei vincoli di legge che ne derivano, ha causato le attuali condizioni di degrado dei margini urbani. Ciò è particolarmente evidente al bordo meridionale della città: una serie di edificazioni spontane costellano il margine urbano, unendo tipologie residenziali di bassa qualità a edifici con destinazione produttiva; abusivismo e mancanza di servizi connotano l’area, rendendo problematiche sia le condizioni abitative che la fruizione e percezione paesaggio rurale ad orti e vigneti che anticipa la distesa della piantata ulivetata. Nel PPTR Puglia il bordo sud della città di Adria è definito dal morfotipo della frangia urbana a maglie larghe; su questo morfotipo il Piano individua alcuni obiettivi di qualità che propongono una riduzione delle criticità attraverso la riprogettazione dello spazio pubblico e l’integrazione negli spazi aperti degradati di nuove funzioni urbane che facciano della condizione di perifericità un valore urbano. Una possibile strategia di riqualificazione potrebbe quindi intervenire su due livelli, un primo attinente la qualità fisica dello spazio e un secondo livello relativo la condizioni insediative, provando ad investire creativamente nelle forme di autoproduzione dello spazio che gli abitanti hanno già messo in atto. Per agire su entrambi i fronti non è necessario distinguere le azioni, ma è presumibile che possa essere la campagna a ricostruire da un lato i principi di qualità formale che sono andati perduti dall’altra a formulare una proposta per nuovi ambiti di socialità. Seguendo un’idea innovativa di multifunzionalità che compensi la carenza di infrastrutture e servizi, le zone F potrebbero essere riclassificate come zone eterogenee agricole, una sorta di zone E+, aree rurali disponibili ad assolvere gli obiettivi della tradizionale zona F pur mantenendo il carattere rurale. Ciò non significa trasformare lo spazio di corona della città in orti sociali, ma sviluppare una proposta programmatica sull’agricoltura che ne promuova l’integrazione urbana. Le zone F rappresentano oggi aree su cui incombe un vincolo di inedificabilità che può essere canalizzato per preservare i suoli dalla trasformazione edilizia. L’Amministrazione può infatti scegliere di adottare modalità pattizie con gli agricoltori, a cui, a fronte del mantenimento del diritto di proprietà è richiesta la produzione agricola ma anche la disponibilità di spazio libero; questo significa promuovere un modello di gestione che spinga i proprietari ad utilizzare parzialmente la superfice dei lotti per la produzione agricola incentivando ad offrire la quota rimanente dello spazio per fruizioni collettive. La quota da cedere per attività sociali sarebbe inversamente proporzionale alla distanza del singolo lotto agricolo dal bordo urbano; ai proprietari dei lotti più distanti si chiederebbe invece un contributo per la gestione delle superfici lasciate libere in prossimità della città. Questo potrebbbe condurre a due diversi scenari; il primo è quello in cui le are ‘libere’ si riducono man mano che ci si addentra nella campagna, degradando nella dimensione totalmente rurale. Il secondo potrebbe essere quello in cui gli agricoltori, con forme di incentivazione economica e fiscale vengono invogliati a forme co-operative che compattano l’attività sui terreni più distanti dalla città così da lasciare porzioni maggiori di superfice libera sul bordo urbano e ottimizzare la produzione agricola (figura 2).
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In chiave agro-urbana è possibile ipotizzare una nuova formula di servizi alla persona e alla famiglia che traggono vantaggio da una lato dalla condivisione della gestione, dall’altro dalle condizioni ambientali che questi spazi possono proporre come valore aggiunto al vivere in città. 7 Piano Regolatore Generale dell 1995. Mariella Annese
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La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano
Figura 2. Masterplan
La conduzione del fondo potrebbe così essere guidata ad elaborare un nuovo assetto dello spazio teso valorizzare l’identità rurale del territorio rendendo riconoscibile la matrice storica che lo ha prodotto. Attraverso un utilizzo consapevole dei materiali rurali, l’attività agricola potrebbe contribuire a definire un nuovo principio d’ordine che utilizzando gli elementi costitutivi della campagna, come i filari delle colture, i muretti a secco, la traccia della viabilità e dei canali irrigui, ridia leggibilità al disegno il territorio e riconnetta le trame agrarie con la città. A supporto del nuovo assetto territoriale dovrebbe intervenire anche una diversa struttura della viabilità, con l’obiettivo di incrementare la permeabilità del paesaggio ma anche per favorire nuove relazioni e pratiche. Alla strategia di densificazione del paesaggio agrario si coniugherebbe poi la strategia di riqualificazione delle aree lasciate libere da usi agricoli (figura 3). Queste superfici, la cui proprietà resterebbe in capo ai contadini e la cui estetica dovrebbe essere quella rurale, potrebbero rappresentare la risorsa di aree attraverso cui dotare il margine urbano di servizi per l’abitato. L’individuazione delle funzioni così come il programma di gestione non dovrebbe però calare dall’alto ma essere elaborato dagli stessi abitati seguendo il principio dell’orto sociale, cioè stabilendo in maniera condivisa le necessità da soddisfare e rendere direttamente responsabili i cittadini della gestione. Le superfici libere posizionate in corripondenza con l’edificato dovrebbero essere quindi lasciate ‘in affido’ ai residenti, che potrebbero gestirle in collaborazione con gli agricoltori, stabilendo in maniera congiunta le priorità che renderebbero il contesto ‘vivibile’. I due diversi sistemi, quello rurale e quello delle dotazioni collettive ibriderebbero i materiali dello spazio aperto, imbrogliano prestazioni e valori d’uso: il risultato sarebbe appunto una spazialità nuova che usa, ad esempio, le regole della coltivazione per disegnare parcheggi, e gli elementi naturali per dare riconoscibilità ma anche filtrare i servizi a ridosso alla residenza, etc. Il vantaggio di questa soluzione sarebbe quello di non avere aree vincolate che rischiano di diventare i ‘territori banchi’ della pianificazione, ma spazi curati dalla manutenzione degli agricoltori e che in base alle necessità e ai bisogni vengono implementate con usi e servi zi pubblici. La stretegia delineata promuoverebbe una un’idea di campagna sociale che collabora per ridurre la condizione di degrado mettendo a disposizione le proprie regole formali, i propri spazi, il proprio sapere tecnico . I servizi pubblici che la comunità individuerebbe e gestirebbe consentirebbero, infatti, di incrementare la dotazione di spazio pubblico della città ma anche di generare un tipo di rapporto comunitario e di vita sociale che il contesto non ha mai avuto. In questo modo la spazio agro urbano diventerebbe un ‘territorio pubblico’, in cui una pluralità di soggetti compie pratiche che permettono loro di interagire ricostruendo così la sfera pubblica. Incanalando le capacità dell’auto-definizione e autocostruzione dello spazio gli abitanti è possibile infatti ipotizzare che essi acquisiscano una nuova consapevolezza del luogo in cui vivono e possano maturare una dimensione collettiva in cui condividono non solo il disagio di vivere in un luogo marginale ma anche la prospettiva di condizioni migliori e possibili in cui abitare.
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Figura 3. Relazioni
Riflessioni sul progetto di paesaggio Le esplorazioni progettuali proposte per i due contesti idealtipici, indagano alcune possibilità di trasformazione delle spazialità contemporanee a partire dalla definizione del PPTR Puglia di periurbano come paesaggio di margine. Nella prima proposta sul contesto costiero di San Giorgio a Bari, l’azione trasformativa assume le permanenze dello spazio agricolo come elementi di partenza attraverso cui ri-organizzare e reinventare il contesto. La strategia è anche esplorativa poiché cerca di verificare nell’applicazione i processi sociali sottesi all’abitare, poiché la costruzione di un nuovo paesaggio diventa anche l’occasione per la realizzazione di un più complesso progetto sociale che unisce dinamiche economiche alla promozione di un nuovo welfare materiale (Lanzani; 2008) che integra i modi dell’abitare a nuove produzioni e nuove richieste di spazi sociali. La strategia elaborata per il contesto del margine sud della città di Andria è invece tesa alla ricostruzione di una spazialità condivisa, attraverso un’azione selettiva sullo spazio agricolo, che, parzialmente allegerito dalla produzione e pur sempre mantenendone forme ed estetica rurale, produce spazi aperti a usi diversi e sociali. In questo modo si ricostruisce un’orditura di luoghi e servizi attraverso i quali costruire relazioni tra l’ambito urbano e il rurale, ma anche all’interno della società. L’obiettivo è quello di ricostruire un paesaggio intermedio tra le due dimensioni reinterpretando in modo creativo lo spazio agricolo e il vuoto tra il costruito. Cercando riavvicinare l’esperienza del paesaggio rurale a quello della quotidianità dell’abitare, si cercano i principi per trasformare un contesto periferico in un luogo in cui si elevano le prestazioni dello spazio aperto, senza negare la natura di campagna ma valorizzandola. Entrambe le strategie esposte considerano lo spazio agricolo come un materiale del progetto, e lo reinterpretano configurando opportunità di riordino che valorizza i caratteri di maggior resilienza; suggerendo un approccio alternativo all’idea di trasformazione, si propone così un ripensamento degli strumenti tradizionali, poiché l’approccio progettuale definisce azioni e non risultati formali. Attraverso una prospettiva strategica e processuale che si concentra sulle relazioni esistenti o possibili tra spazio e società che lo abita, sulle politiche e sulle pratiche in grado di attivare un nuovo spirito di appartenenza ai luoghi che stimoli la loro cura e manutenzione, si problematizza di fatto anche quale sia il ruolo delle competenze tecnico-teoriche rispetto una trasformazione fisica del territorio di questo tipo. La continua di ri-costruzione di senso che la dimesione partecipativa comporta, richiede un ripensamento dell’approccio al progetto dello spazio fisico, che andrebbe costantemente verificato poichè impostato su un principio di variabilità degli assetti libero da impostazioni spaziali deterministiche a vantaggio di attegiamenti di tipo invece incrementale. Questo non significa porre il progetto in condizione di subordinazione rispetto le dinamiche sociali, ma rileva, piuttosto, la necessità di focalizzare sugli aspetti di flessibilità ed evoluzione nel tempo delle scelte adottate rispetto alla configurazione degli assetti fisici. Da questa angolazione, infatti, il progetto sembrerebbe più orientato a produrre dispositivi spaziali atttraverso la cui far coesistere e, meglio
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La de-costruzione dello spazio come modello di trasformazione del paesaggio periurbano ancora, determinare relazioni tra soggetti «fisicamente vicini, ma che non hanno necessariamente valori comuni, che non appartengono alla stessa comunità, cosi come oggetti autonomi» (Lanzani, Pasqui; 2011). Lo studio di dispositivi di relazione è stato già affrontato nel progetto della città nel tentativo di individuare forme di relazione che lo spazio monofunzionale della città moderna rendeva difficoltose8. I materiali a cui questi dispositivi hanno fatto sempre riferiemento sono quelli urbani, ma è evidente che le strategie proposte aprono a nuove prospettive di ricerca che spingono a considerare per il progetto urbano la possibilità di adottare strumenti, materiali ed estetica da individuare nella dimensione agricola dello spazio di margine.
Bibliografia Annese M., Galan Vivas J.J., Marocco F. (2012), “Politiche di valorizzazione del periurbano in alcuni paesi della Unione Europea: confronto tra esperienze francesi, spagnole e italiane”, Atti della XV Conferenza della Società Italiana degli Urbanisti, L'urbanistica che cambia. Rischi e valori, Pescara, 10-11 maggio 2012, in Planum. The Journal of Urbanism, n.25, vol.2/2012, pp.1-7. Bianchetti C. (2008), Urbanistica e Sfera Pubblica, Donzelli Editore, Roma. Ferrario V., Sampieri A., Viganò P. (a cura di, 2011), Landscapes of urbanism. Quaderno n. 5 del Dottorato di ricerca in Urbanistica IUAV, Officina Edizioni, Roma. Giarè F. (a cura di, 2009), Mondi agricoli e rurali. Proposte di riflessione sui cambiamenti sociali e culturali, INEA, Roma. Lanzani A., Pasqui G. (2011), “Sette questioni per l’urbanistica,oggi”; XIV Conferenza SIU – Abitare l’Italia. Territori, economie, disuguaglianze, Torino, 24-25-26 marzo 2011. Mininni M. (2011), “Patto città campagna per una politica agro urbana e ambientale”, in Urbanistica 147/2011, pp. 42-52. Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia; 2010. Regione Puglia – Assessorato all’Assetto del Territorio http://www.paesaggio.regione.puglia.it/ Viganò P. (2010), Territorio dell’urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza, Officina Edizioni, Roma.
Riconoscimenti: Nell’elaborazione delle strategie metaprogettuali si ringrazia il prezioso contributo del prof. arch. Mariavaleria Mininni e dell’arch. Francesco Marocco.
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Sui dispositivi di relazione cfr. Pellegrini P; Viganò P. (2006, a cura di). Comment vivre ensemble. Prototypes of idiorrhythmical conglomerates and sharedspaces. Quaderno n. 3 del dottorato di ricerca in Urbanistica IUAV; Roma, Officina Edizioni. In particolare il capitolo “Devices”
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Lo spazio fra le cose come paesaggio comune
Lo spazio fra le cose come paesaggio comune Monica Bianchettin Del Grano Università Iuav di Venezia Email: monicabianchettin@me.com
Abstract Lo spazio urbano contemporaneo assomiglia ad una reverse city in cui tessuti densi e rarefatti si accostano, non sovrapponendosi alla superficie geografica ma costituendo con essa un sistema ambientale e urbano unitario. Interstizi, edificato, territori agricoli, elementi naturali, aree urbane aperte, residuali o dismesse: lo spazio fra le cose è un elemento fragile che accoglie materiali non omogenei; ed è una vasta e complessa struttura ambientale. L’unione ‘non omogeneità-ambiente’, quale risorsa e intelaiatura del ‘possibile’ dei territori abitati futuri, consente di immaginare una città a maglie larghe in cui lo spazio fra le cose è un’infrastruttura sociale e spaziale disegnata da un concetto di democrazia ampia che lavora con elementi quali connettività, spazi comuni, natura, qualità dello spazio e della vita pubblica. É la costruzione di uno spazio-paesaggio, luogo della coesistenza e della collettività, visto come palinsesto, come infrastruttura “attiva” incontro di componenti urbane, naturali e sociali; come elemento innovativo e centrale della nuova questione urbana. Parole chiave paesaggio, infrastruttura, collettività
Paesaggio / paesaggi Lo spazio urbano esteso della contemporaneità assomiglia ad una reverse city1 dai confini imprecisati, in cui tessuti densi e rarefatti si accostano; una configurazione che ha acquisito evidenza nei territori della dispersione, non con una semplice sovrapposizione alla superficie fisica ma costituendo un sistema ambientale e urbano unitario e consegnando allo spazio fra le cose identità e autonomia figurativa. Alcune esperienze, non cumulative, hanno attraversato in Italia il dibattito e il progetto urbanistico degli ultimi cinquant'anni immaginando approcci, dispositivi e figure spaziali in cui ‘costruito’ e ‘non costruito’ intessono relazioni dialettiche nel disegno dei paesaggi abitati; esperienze che hanno posto le basi di alcuni temi della «questione urbana» su cui oggi si riflette. Lo spazio fra le cose, come realtà fisica, metaforica e sociale, apre ad uno sguardo diverso sulle trasformazioni e sulla realtà, su un ordine non convenzionale. Interstizi, edificato, territori agricoli, elementi naturali, aree urbane aperte, residuali o dismesse: lo spazio fra le cose è un elemento fragile che accoglie materiali non omogenei; è, allo stesso tempo, anche una vasta e complessa struttura ambientale che ha la forza del tempo lungo che seleziona gli elementi, della stratificazione dei segni. Tale duplicità consente di pensare l’insieme ‘non omogeneità-ambiente’ come risorsa e intelaiatura del ‘possibile’ per i futuri territori abitati; permette di immaginare una ‘città a maglie larghe’ in cui lo spazio fra le cose sia un’infrastruttura spaziale e sociale disegnata da un concetto di democrazia basato su connettività, sistemi ambientali, qualità dello spazio pubblico, riduzione delle diseguaglianze. Un’infrastruttura in cui le ambizioni dell’individuo e il bene della collettività trovino forme di convivenza e di condivisione in un paesaggio comune.
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Paola Viganò, ne La città elementare, propone la rilettura della città moderna e contemporanea a partire dallo spazio non costruito, riflettendo anche su alcune esperienze del Moderno che hanno indagato e proposto progetti di città in cui lo spazio assume un ruolo rilevante nella conformazione dei territori urbanizzati. (Viganò, 1999: 127-150)
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Lo spazio fra le cose come paesaggio comune
1 | La forma del territorio e Landscape of urbanism2 si collocano agli estremi di un lungo periodo di ricerca sulla città contemporanea in cui il paesaggio è elemento del progetto, le molteplici declinazioni e definizioni dello spazio fisico raccontato le trasformazioni dei territori e delle pratiche, le riviste e le raccolte collettive di saggi rappresentano i luoghi rilevanti del dibattito. La forma del territorio è un ‘manifesto’ e propone una metodologia in cui ‘costruito’ e ‘non costruito’ sono i materiali del progetto. Il paesaggio unisce ambiente fisico e architettura; è costruzione di una geografia volontaria, manifestazione di una comunità. Vittorio Gregotti ricorda l'importanza della scuola di geografia francese di Annales3 nella lettura del progetto della città e del territorio di fronte alla questione della nuova dimensione urbana. «L'evoluzione umana è l'evoluzione creatrice per eccellenza»: Lucien Febvre rivendica il ruolo attivo dell'uomo sull'ambiente fisico; il paesaggio antropogeografico, così, innova il tema delle preesistenze ambientali (Rogers, 1957) introducendo una dimensione intenzionale e operativa che trova legittimazione nella geografia e nel pensiero fenomenologico e prende le distanze da un concetto estetico, e di conservazione, del paesaggio. La lettura della «forma architettonica del mondo» è la prima azione dell’architetto; un’attività progettante che rileva i segni del susseguirsi di stratificazioni che legano costruito, manufatti e città all’ambiente fisico e alle sue strutture. «Se ci si pone ad una grande distanza, nella visione aerea delle cose, esse perdono la loro riconoscibilità, aumentando tuttavia le nostre possibilità di conoscenza delle loro strutture; le cose si riducono a punti, tasselli; l’insieme dei punti e dei tasselli fornisce la trama della distribuzione sul suolo, i modi e le direzioni secondo cui essa è stata istituita; le linee di margine, di tangenza, di conflitto, le parti intere e residue, l’urto tra geometria e geografia» (Gregotti, 1966: 87-88). La visione dall’alto mostra la realtà territoriale da un punto di vista differente, consente di immaginare nuove strategie d’intervento e, soprattutto, di valutare in modo progettuale i «salti di materia», cioè lo spazio fra le cose, e di assegnare ai ‘vuoti’, nei vari «livelli di complessità di aggregazione o dimensionali, un proprio potere di esistenza strutturante».
2 | Per venticinque anni non si parla più, progettualmente, di paesaggio fino al 1991 quando Casabella dedica un numero a Il disegno del paesaggio italiano: il punto di partenza è un estratto del testo corrente de La forma forma del territorio posto a confronto con le nuove prospettive disciplinari che intersecano il tema; in seguito, con Paesaggi ibridi (1996), descrizione-reportage fotografico su un territorio della contemporaneità, il termine paesaggio, e implicitamente lo spazio fisico, acquista un’attenzione definitiva4. «Parlare di paesaggio non significa ingrandire il nostro campo di osservazione fino ad abbracciare porzioni di territorio sempre più vaste: è un modo di guardare alle stesse cose. […] Il nuovo concetto di paesaggio corrisponde a una diversa idea di città, un’idea che privilegia la molteplicità, l’eterogeneità, il contrasto, l’accostamento di elementi diversi tra loro. Non si tratta di costruire paesaggi omogenei, ma ‘paesaggi ibridi’, concepiti a partire da una nuova idea dello spazio» (Zardini, 1966: 22-23). In Landscape of Urbanism il paesaggio è parola chiave, in una commistione di oggetto e soggetto: il paesaggio nell'urbanistica, urbanistica+paesaggio, urbanistica di paesaggi5 – una riflessione-indagine estesa al vasto mondo occidentale contemporaneo. Molti sono i temi con i quali il progetto si è confrontato negli ultimi quarant’anni: città-regione e nuova dimensione urbana; spazi abbandonati, vuoti urbani e aree dismesse; spazi aperti; spazio residuale e ibrido; spazio pubblico. Negli ispessimenti del paesaggio si condensano le tracce delle relazioni fra spazio fisico e stili di vita, collettivi e individuali; in un progressivo passaggio alla molteplicità dei temi e alla pluralità dei soggetti, alla frantumazione dei valori e agli spazi fragili di pratiche temporanee. Come Franco Farinelli sostiene, «il paesaggio si è mutato da modello estetico-letterario in modello scientifico non per descrivere l'esistente, ma per rendere possibile il sussistente» (Farinelli, 1991). Le ipotesi, i materiali, gli approcci tentativi, le ragioni del progetto hanno lasciato depositi e costruito acquisizioni. Alcuni elementi sono ora parte consolidata del progetto urbanistico contemporaneo. Paesaggio (paesaggi) è termine ‘aperto’ utilizzabile e utile a patto che sia materiale del progetto e dispositivo spaziale; gli usi strumentali e demagogici degli anni recenti pongono cautele e obbligano a definire ambiti d'uso e di significato (Sampieri, 2008). Da questa 2
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La forma del territorio (1965) è il numero 87/88 di «Edilizia Moderna», curato da Vittorio Gregotti direttore all’epoca della rivista; il testo corrente da lui scritto, diventerà, arricchito dal confronto con le riflessioni a cura degli altri autori dei contributi, il secondo capitolo de Il territorio dell’architettura (1966). Landscapes of Urbanism (2011), esito di una masterclass internazionale della Scuola di Dottorato in Urbanistica di Venezia, riunisce contributi di urbanisti e studiosi di varia provenienza. Entrambi i testi sono interessanti per la prossimità e le relazioni con nuove questioni urbane, per le innovazioni progettuali e i quadri disciplinari che descrivono. Marc Bloch e Lucien Febvre fondano nel 1929 la rivista Annales d'histoire économique et sociale e coinvolgono nello studio della storia altre discipline, dalla geografia alla sociologia, spostando l'attenzione dalla storia degli eventi (histoire événementielle) alla storia delle strutture. La terra e l'evoluzione umana (Febvre, 1922) costituisce un momento di rottura con una concezione della geografia quale scienza, neutrale e predeterminata, della descrizione. Da allora in poi si susseguono numerose pubblicazioni. Fra le molte: Boeri S., Lanzani A., Marini E. (1993), Il territorio che cambia; Munarin S., Tosi C. (2002), Tracce di città; Multiplicity (2003), Use. Uncertain States of Europe; Bianchetti C. (2003), Abitare la città contemporanea; Lanzani A. (2003), I paesaggi italiani; Tutto è paesaggio (1999), Lotus, n 101; Fare l'ambiente (2002), Lotus Navigator 05; Landscape Urbanism (2012), Lotus, n. 150 Sono questi i titoli delle sezioni in cui si divide la raccolta di testi.
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Lo spazio fra le cose come paesaggio comune
lunga ricerca non è nato ‘il progetto di città’ della contemporaneità; ci sono state intuizioni e atti di immaginazione, avanzamenti discontinui e itinerari di ricerca durevoli, sguardi diversi sullo spazio e sulla città. Però «la frequentazione di questi temi ha insegnato molte cose e lascia nelle città e nei territori occidentali, come nello statuto dell'urbanistica, tracce indelebili» (Secchi, 2005: 157).
Spazi aperti Giancarlo De Carlo rileva che «non esiste più alcun rapporto tra società e spazio fisico perché la società non chiede più nulla né all’urbanistica né all’architettura [...] Invece i rapporti dell’architettura e dell’urbanistica con la società si sono moltiplicati, la domanda sociale di organizzazione e formazione dello spazio fisico è cresciuta di molto, ma è sotterranea [...] Oggi nella città assistiamo al formarsi di interazioni tra spazi e gruppi sociali del tutto nuovi e imprevisti» (De Carlo, 1988). Bernardo Secchi propone un «progetto di suolo», cioè dello spazio non costruito, che riconosce «le tracce storiche e geografiche del territorio» e «acquista significato in un più ampio progetto sociale» (Secchi, 1986); un progetto per una società (anche) di minoranze. Lo spazio fisico è dimensione composita ed eterogenea, in sé e nelle relazioni con il tessuto urbano e i suoi abitanti; esso si confronta con implicazioni di giustizia, che richiedono di affrontare la complessità attraversando le scale, nell'analisi come nel progetto. Per Andrè Corboz «lo spazio urbanizzato non è più quello in cui le costruzioni si succedono in ordine serrato, quanto il luogo i cui abitanti hanno acquisito una mentalità cittadina. [...] All’ideale della cittadinanza universale è andata tuttavia sostituendosi una scala di valori che si fonda su un utilitarismo e un’incoscienza ideologica dalle inquietanti conseguenze a lungo termine». É un altro tipo di spazio, «un territorio inedito [...] non più costituito principalmente da distese e da ostacoli, ma da flussi, assi, nodi» (Corboz, 1985). All’emergere di una società di individui il territorio si frammenta, decadono i luoghi e i valori tradizionali dello spazio condiviso. I conflitti e le domande si placano, le politiche sociali si affievoliscono; e in questo momento l’attenzione di alcuni urbanisti si volge alle pratiche (inedite), a cosa sia ‘pubblico’, allo spazio fra le cose6. Bernardo Secchi denuncia la disattenzione dei piani e dei progettisti alla costituzione fisica, ai materiali, «all'ubicazione e alle sequenze dei diversi spazi aperti, alla loro logica, alla narratività dello spazio urbano», al carattere ambiguo di questi luoghi nel poter essere, socialmente e fisicamente, «separazione come legatura. Nessuna alla diversità delle situazioni entro la grande area urbana consolidata, la sua periferia, entro le differenti declinazioni spaziali, economiche e sociali della città diffusa» (Secchi, 1993). Il disegno degli spazi aperti7 è un tema frequentato in Europa e non solo: piazze, waterfront, porti, aree dismesse, svincoli sono luoghi problematici ma rilevanti della città e possono divenire dispositivi di qualità urbana ed equità sociale. «Un altro paesaggio», nuove forme dell’abitare, stili di vita e comportamenti sia individuali sia collettivi talvolta inediti8 investono il progetto: in esso «la questione dello spazio pubblico acquista un ruolo preponderante» (Lucan, 1993). La crisi dello spazio collettivo e la sua inadeguatezza ne implicano un ripensamento di fronte alle trasformazioni della città e del territorio. Lo spazio urbano non costruito del Moderno era democratico perché trasparente, aperto, per tutti, salubre; ma era anche neutro nel suo essere disponibile. Assumere, ora, lo spazio fra le cose come ossatura dei sistemi urbani significa scegliere «una posizione debole dell'urbanistica come la premessa del progetto» (Koolhaas, 1987), riconoscere la rilevanza della costruzione complessa dello spazio contemporaneo e la sua dimensione pubblica perché collettiva. Un’urbanistica di spazi aperti (Secchi, 1993) per la città futura implica un progetto spaziale e sociale, che ha a che fare con la frammentazione e l’eterogeneità dello spazio (spesso grandezza residuale, luogo di pratiche «marginali e di emarginazione») e con dinamiche sociali multiformi in costante evoluzione; dove alla trasparenza del Moderno si accostano, proficuamente, le ‘opacità’ della complessità dei luoghi contemporanei (Viganò, 2007). Dopo la questione dell’abitare come impegno civile del progetto del Moderno, lo spazio come luogo della collettività e della giustizia è investito di nuove istanze etiche.
Infrastrutture della porosità Nei territori della dispersione riconosciamo aspetti contraddittori, criticità: forme dell'abitare introverse, povertà degli spazi pubblici e un tipo di democrazia paradossale relativa all'uso del territorio come bene privato e come 6
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«In altri termini, l’evaporazione dell’opinione pubblica attorno a faccende urbane rimanda (anche) alla diminuita capacità del discorso sullo spazio di costruire legami tra territorio, forme di governo, pratiche e immaginari. Rinvia alla difficoltà di legare un discorso sullo spazio con ciò che discorso sullo spazio non è». (Bianchetti, 2007: 34) Il disegno degli spazi aperti è il numero doppio n 597/598 del 1993 della rivista Casabella. Le sezioni in cui è suddiviso definiscono letture e campi di indagine: Il Moderno e la codificazione degli spazi aperti, Spazi aperti e crisi dello spazio pubblico, I grandi vuoti monofunzionali, Gli spazi aperti della città diffusa, La riqualificazione degli spazi di risulta. «Dopo l'intensa fase di conflitto urbano degli anni precedenti, la società e la città non ci apparivano più iscrivibili nelle parole, nei concetti e negli apparati categoriali cui sino allora avevamo fatto ricorso». (Bernardo Secchi, 2004: 288)
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Lo spazio fra le cose come paesaggio comune
materiale neutro; e riconosciamo allo stesso tempo opportunità: una grande quantità di spazi aperti, naturali, di risulta. L’eterogeneità degli insediamenti urbani e degli spazi, la varietà di stili di vita e delle pratiche può essere interpretata utilizzando altre categorie e immaginata come risorsa per differenti coesistenze, come infrastruttura su cui si condensa e trova significato un diverso progetto sociale e spaziale. «Porosity refers to density, distance, to taking into account elements of ecological rationality, but it also has deep social implications [...]; it deals with ecological, social and economic questions»9. Porosità è struttura per il territorio: come combinazione leggera e su misura, appoggiata ad un sistema connettivo ampio per una «modernità debole e diffusa». Agronica, di Andrea Branzi, è «un sistema che garantisce la sopravvivenza del paesaggio agricolo e naturale, in presenza di servizi urbani evoluti ma non più totalizzanti», superando l’opposizione città-campagna attraverso «una mediazione innovativa» (Branzi, 2006). Porosità è immagine di territori di passaggio: le esperienze urbane degli Stalker si compiono in «un sistema territoriale diffuso, indefinito e metamorfico all'interno del perimetro urbano». Luoghi residuali, del nomadismo; luoghi della «mescolanza di ordine e disordine» (Rella, 1982), paesaggi abbandonati dalle regole urbane. Sono «spazi affascinanti, spesso privi di rappresentazione, attraverso i quali tracciare un primo percorso unitario di connessione, per sancirne il diritto all'esistenza, rivendicando per questi luoghi, un’autonomia di sviluppo» (Stalker, 1995), un’identità spaziale e sociale10. Porosità è sia spazio fisicamente finito della reverse city sia possibilità d’uso non univoco di quello spazio; è supporto ma non ha rigidità. Il paesaggio è struttura non conclusa ma determinata e determinante che (r)accoglie il molteplice, il discreto, il permanente e il persistente: un insieme eterogeneo è figura dell’incertezza, della ‘discrezione’, dell’ambiguità ed è il luogo della durevolezza, del tempo lungo delle strutture naturali e dello spazio fisico. L'utilizzo degli spazi aperti, agricoli e naturali quali infrastrutture sociali scrive una diversa relazione con il paesaggio, che è una risposta alla povertà sociale della dispersione attraverso le sue stesse potenzialità. Testimonianza della prossimità fra paesaggisti e urbanistica, i progetti di Michel Desvignes utilizzano, per James Corner, «una matrice più aperta, porosa» in cui il paesaggio è un'infrastruttura attiva, una res publica, che contribuisce «alla formazione di un territorio comune»11.
Paesaggio comune Gli spazi abitati visti come unione fra ambiente e pratiche sociali sono al centro di recenti ricerche disciplinari che riflettono, attraverso ipotesi urbanistiche e politiche urbane, su una città ‘come dovrebbe essere’. Alcune pongono criticità come interrogazioni progettuali, utilizzano il progetto come dispositivo di giustizia; auspicano interazioni fra passato e futuro per una nuova città pubblica. ordinario. Il concetto di pubblico già dagli anni 80 si relaziona sempre più spesso non con spazi ‘comunitari’ ma con contesti in cui prevalgono comportamenti individuali e politiche pubbliche poco efficaci; con la temporalità e all'impermanenza; con «spazi e forme deboli dell'interazione sociale» in una crescente distanza dall’idea consueta di collettivo. Quali spazi del pubblico, allora, se rari o precari sono i piani di condivisione fra culture diverse e quale progetto di fronte all’artificiosità e vacuità a cui spesso è soggetto, «alla difficoltà nella messa a punto di immagini ben fondate e spazialmente determinate» (Bianchetti, 2011; 2007)? Ad una condivisione leggera potrebbero corrispondere spazi-paesaggi collettivi meno volti a rappresentare figurativamente il pubblico e più aperti all’urbanitas12. giusto. Fra salvaguardia dell’individualità e accesso alle opportunità per ognuno, lo spazio fra le cose e le sue declinazioni divengono un «dispositivo per affrontare, in situazioni diverse e specifiche, il tema della coesistenza». Rete di mobilità diffusa, come strumento di equità territoriale e mezzo di integrazione sociale; accessibilità lenta e diffusa, per rispondere a ritmi individuali. Attenzione ai sistemi dell'acqua, della biodiversità, della sostenibilità, protezione dai rischi ambientali: l’urbanista lavora, ancora, in una prospettiva (ecologica) di giustizia spaziale attraverso la distribuzione del rischio secondo criteri di razionalità progettuale. Un’inedita e anomala isotropia dello spazio e dei diritti, delle opportunità, della distribuzione delle risorse e dei rischi, della riduzione delle disuguaglianze trova consistenza nello spazio aperto. bene comune. La città pubblica esistente (edifici collettivi e spazi pubblici) costituisce un’importante presenza ed eredità urbana; essa può assumere un ruolo rilevante nei processi di «rigenerazione spaziale e sociale di ampie 9
«As a figure of political rationality, isotropy is associated with the construction of a more democratic society». (Viganò, 2011: 176) 10 Terraines vagues, nelle parole di Ignasi de Solà Morales, sono sia assenza sia possibilità di spazio, e anche «un concreto indice territoriale di questioni etiche ed estetiche sollevate dai problemi della vita sociale contemporanea». (de Solà Morales, 1995) 11 Nel 2011 Michel Desvignes riceve il Grand prix de l’urbanisme. 12 «L’urbanitas ridiventa istanza politica o almeno saggezza come riconoscimento dell’elemento universale e soprattutto comune che è sottinteso alle differenze e alle divaricazioni costantemente all’opera. Ma che un tale ethos post-cittadino si ossa sviluppare oggi lo possiamo solo supporre da indizi e sperarlo». (Donolo, 2011; 17) Monica Bianchettin Del Grano
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parti della città contemporanea» a partire dalla rilettura degli spazi aperti. Con un interessante slittamento del concetto di patrimonio da pubblico a collettivo (Di Biagi, 2009). Proprio la prossimità dei quartieri di iniziativa pubblica «al sistema degli spazi aperti urbani ed extraurbani, alla matrice agricola del territorio e agli elementi strutturali del sistema ambientale» apre nuove possibilità nella costruzione di «inediti paesaggi della contemporaneità e di loro usi allargati», di strategie di riconnessione e ricomposizione dello spazio collettivo capaci di promuovere e accogliere relazioni sociali nuove (Lamacchia, 2009). «La realtà non può essere abbreviata» (Friedman, 2011) ma forse solo ricondotta, usando un ossimoro, ad una continuità discreta. Gli atlanti, le utopie parziali, gli scenari lavorano su sistemi di relazioni discontinue e materiali eterogenei: sulla prossimità quale dispositivo progettuale di un’ossatura a cui si aggrappano cose, case, spazi aperti, boschi, fiumi, sistemi della viabilità, aree industriali, città piccole e grandi, attrezzature pubbliche. É l’ordine di una complessità in cui tempo lungo delle permanenze, apertura alla trasformazione delle persistenze e flessibilità del mutevole sono elementi dialoganti. L’incertezza irrompe e rimette in gioco il pensiero e le pratiche; la relazione è strategia, legame fisico e significato, elemento aperto al cambiamento. Nella locuzione paesaggio comune non riposano riferimenti e implicazioni stabili. Il paesaggio della condivisione e della giustizia non ha una forma predeterminata, ma si configura in base a principi di ordinamento dello spazio e ad una tensione etica (Ischia, 2012) incessantemente ristabiliti e riscritti sulle persistenze dell’ambiente fisico. Paesaggio comune, ora, è forse ciò che, nella sua natura spaziale e sociale, «costruisce la traiettoria lungo la quale gli stessi cambiamenti possono avvenire» (Secchi, 2013) in un nuovo palinsesto per l'urbanistica.
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Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago.
Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago1. Danilo Capasso Università degli Studi di Napoli Federico II DiARC - Dipartimanto di Architettura Email: info@danilocapasso.eu Tel: 0039.081.6583421 Bruna Vendemmia Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: bruna.vendemmia@mail.polimi.it Anna Sirica Università degli Studi di Napoli Federico II DiARC - Dipartimanto di Architettura Email: annasiric@gmail.com Laura Falcone Università degli Studi di Napoli Federico II Email: laufalcone@gmail.com Giovanni Aurino Università degli Studi di Napoli Federico II Email: giovanniaurino@gmail.com
Abstract This paper explains a strategy2 for territorial regeneration developed for the city of Sambreville, in Belgium. As a former village of the Wallonia industrial sillon, the city of Sambreville, during last century, was designed and managed in order to increase industrial production, the Sambre River represented the main infrastructure for the distribution of raw materials and final products. Later, the social and economical structures changed while morphological and physical ones were unvarying. The project Sambre+Ville+Sambre turns the river into public space at a provincial scale, transforming it into a territorial backbone that reorganizes all the different elements composing this archipelago. The strategy, trough the design of a riverside park, builds transversal connections based on the penetration of public spaces from the river to the housing complex. The project crosses all different scales of territorial design: from macro to micro; public spaces are interpreted as the link that interconnects all the different territorial elements.
1 | Introduction The city of Sambreville, in Belgium, is an entity consisting of seven hamlets (Arsimont, Auvelais, Falisolle, Keumiée, Moignelée, Tamines et Velaine-sur-Sambre) with almost 30.000 inhabitants. It is located in North1
This paper is the result of a common reflection about the project “ Ville+Sambre+Ville”, nevertheless we can attribute the introduction to Giovanni Aurino, the paragrapher 2 to Danilo Capasso, the paragrapher 3 and 3.1 to Bruna Vendemmia, the paragrapher 3.2 to Anna Sirica, and finally the conclusion to Laura Falcone. 2 We are referring here to the project “Ville+Sambre+Ville”, winner project of Europan11 competition for the site of Sambreville, Belgium, developed in 2011 by the teamwork composed of the architects Giovanni Aurino, Danilo Capasso, Laura Falcone, Anna Sirica and Bruna Vendemmia. Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago.
Eastern Wallonia, the first fully industrialized region in continental Europe, 15 km far from Charleroi and 23 km far from Namur. Meuse and Sambre Rivers traverse the Region, which is also the most wooded in Belgium, composed of agricultural valleys and woods, and studded with terrils (small artificial hills made of coal dross). Definitely, Wallonia landscape is connoted by human geography and resources more than by its landform; its territory is a palimpsest, produced by the overlapping, in time and space, of different territorial elements: industrial leftovers, natural environment, housing, infrastructures. At a regional scale, it is possible to highlight three intermingled processes: the production of Drosscape, the expansion of tier paysage and the linear development of urban settlements along the main streets network. All this elements coexist in the same territory without establishing any relation. The result is a fragmented landscape crossed by a thick network of streets and rivers. The Sambre River was historically one of the most important connections for the coal industry. Nowadays it is underused, and it contributes to territorial fragmentation. The project “Ville+Sambre+Ville” consists of designing a new sustainable neighbourhood and in re-organizing the relationships between the houses and the river, and between private and public spaces. The hypothesis at the base of the design is: if the river is turned in public space, it can be a territorial backbone reconnecting and organizing all those unrelated landscape elements (Figure 1). A riverside park is created by the requalification of natural landscape, the design of water sports facilities and the improvement of soft mobility. The strategy builds transversal connections based on the penetration of public spaces from the river to the housing complex, which are located along the existing streets. The project crosses all different scales: from macro to micro; public spaces is interpreted as the link that interconnects all the different levels. As the project is supposed to be realized, an important outlook is the chance to test the theoretical contest of the research and its effective results, learning by practice.
Figure 1. “Ville+Sambre+Ville” Birth-eye view of the territorial strategy.
2 | A theoretical statement. Three ideas describing Wallonia: drosscape, tiers paysage and linear development. At a regional scale is possible to describe Wallonia Region using three concepts: the development of Drosscape, the production of tier paysage -third landscape- and the linear development of urban settlements along the main streets networks. Drosscapes. We can define drosscapes as leftover spaces, not affected by urbanization; more precisely, dross areas are considered ‘waste products’ by the urban system that created them. According to Lerup, the city is a fluid magma of stim and dross. Stim is the active and propulsive part of the territory: «the places, buildings, programs and events that most people would identify as being developed for human use» (Berger, 2006; 37). Dross, on the contrary, are unprofitable, un-programmed sites, such as: brownfields, buffer zones inside or outside housing developments, interstitial spaces near the infrastructures, landfills, abandoned military sites, vacant retail centres. We can consider that dross emerges out of two primary process: first as a consequence of current rapid horizontal urbanization, and second as the leftovers of previous economic and production regimes, which are both catalysed by drastic decrease in transportation costs (for good and for people) over the past century (Berger, 2006; 45). Nevertheless the presence of dross is considered as an indicator of dynamism in urban context; it implies the possibility of restoring and re-activating landscape. Dross offers tremendous opportunities to the designer for urban development and creative regenerations and make possible to rediscover many hidden resources in our cities. Furthermore, in a sustainable development perspective, to functionalize abandoned already urbanized areas, has the advantage of returning no longer used spaces to the community, reducing the consumption of natural lands. Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago.
Tier paysage. «The tier paysage - an undetermined fragment of the Planetary Garden - designates the sum of the space left over by man to landscape evolution, to nature alone. Included in this category are left behind urban or rural sites, transitional spaces, neglected land, swamps, moors, peat bogs, but also roadsides, shores, railroad embankments, etc. To these unattended areas can be added space set aside, reserves in themselves: inaccessible places, mountain summits, non-cultivatable areas, deserts; institutional reserves: national parks, regional parks, nature reserves. Compared to the territories submitted to the control and exploitation by man, the tier paysage forms a privileged area of receptivity to biological diversity. Cities, farms and forestry holdings, sites devoted to industry, tourism, human activity, areas of control and decision permit diversity and, at times, totally exclude it. The variety of species in a field, cultivated land, or managed forest is low in comparison to that of a neighbouring ‘unattended’ space. From this point of view, the Third Landscape can be considered as the genetic reservoir of the planet, the space of the future» (Clément, 2004; 9-10)3. In Wallonia the third landscape is largely diffused and is represented, for example, by the lands involved in deindustrialization processes. Linear development. We identify linear development as the concentration of settlement along the radial roads departing from the city center. Tempels, Verbeek, Pisman and Allaert observed that this pattern, in Belgium Flanders, has historical reasons, due to both physical features and cultivation strategies, in fact «during the centuries that followed, (villages and hamlets) continued to develop in a linear form along streams, roads, dikes, and the sea. This illustrates how the historical and physically determined network of settlements has laid the foundations for the polycentric urban system of today» (Tempels, et alii, 2011; 6)4. This same dynamic of expansion shaped also Wallonia landscape; as a result today we can identify a prevalent development of urban settlements along the main road system.
3 | Crossing scales. The river: territorial backbone and local shared space. The three concepts above mentioned: drosscape, tier paysage and linear development, become the tool to interpret the territory of Wallonia and to launch new possible ways of transformation. In fact, due mainly to the decline of industrial sector, Wallonia landscape is dotted of dross, spaces produced by the decrease of previous urbanization. Furthermore, many of these spaces have been recolonized by nature, creating a third landscape, which are naturalized spaces developed in the same place of former urbanized settlements. The project “Sambre+Ville+Sambre” is located on the left side of the Sambre River, it concerns a 5 ha area (rive gauche project), stretching 6 km along the Sambre River; The waterfront looks solitary and underused by inhabitants: it is considered ‘the rear side’ of the city. Actually it is used mostly as a logistic channel. At a local scale, the area is linked to the city center only by an inadequate pedestrian/cycle path on the side of a railway bridge, despite the direct visual connection. Thus, the Sambre River is actually a barrier, which obstructs the interaction between the two banks of the city. Although object of the proposal was the project of a residential neighbourhood in a brown field bordering the River Sambre, we started our design form the open space: aware of the importance that this last assumes as territorial infrastructure. Therefore the project rive gauche became one of the elements in the whole system, the river being its organizing axe. The project, in fact, forecasts a regional environmental system developed all along the Sambre River, including dross and third landscape as areas of potential natural development and urban regeneration (Figure 2). The riverside is transformed in a public park that reconnect the territorial fragments, the third landscape is proposed as low maintenance green areas that reconnect the territorial axe of the river with the common spaces of the residential building at a local scale. Additionally, linear development has been adopted as principle for the localization of residential building: the existing street becoming the starting point to settle the housing complex.
3.1 | The River as a regional backbone. Since the begging, the project first aim was to reconnect a large-scale landscape, linking between neighbourhood and territorial scale, to give the site a new ‘geography’ (Vlay, 2012; 243). Hence, the project core is the creation of a public linear riverside park, beginning in the site and extending north-westward, in the study area and also beyond. The city and its surroundings are reshaped along this green lung, which improves and re-functions the riverside. The new ecological park is the framework of an integrated system including woods, wild green areas, leftover spaces (dross) and residential quarters. In this way, the architectural project is a part of a living network, which becomes a landscape amenity, not just for the inhabitants, but also for the whole province.
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Original text in italian, transleted by the author. Source: https://biblio.ugent.be/publication/1856355. Last access 09/04/2013
Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Figure 2. Ville+Sambre+Ville. From open spaces to public spaces: areas of potential transformation on the Sambre waterfront.
Furthermore, considering Sambreville geographical position (15 km far from Charleroi and 23 far from Namur), the proposal for the construction of a new residential eco-quarter, becomes part of a more general and integrated reflection. In fact, Belgium is the center of NWMA (North West Metropolitan Area), according to Bernardo Secchi in this area of Europe, “identified in many cases as Delta Region, including Amsterdam, Rotterdam, Antwerp and Brussels, is possible to recognize a new form of city: sprawled and without a distinctive centre, that generally reaches the same strength and importance of the main European Metropolis and Megacities”5 (Secchi, 2005; 11). If we consider this region as a whole huge city, the territorial role of Sambreville changes completely. Disserved by two train stations (Auvelais and Tamines), and crossed by the E42 and the N90, Sambreville comes to be an interesting residential option in the system of the city region, a city of “ far connections, spatially extended” (Amin e Thrift, 2005; 49). Understanding this dynamics and trying to develop an integrated, complex natural system is the goal of the project, even more if we consider that this new form of city can represent a future direction for the forthcoming urban development (Secchi, 2005; 11). In this sprawled territory is possible “to explore, together with a new form of the city, a new form of urban design” (Viganò, 2012; 108), a project in which infrastructural networks, water canals and natural environment combined together produce new spatial configurations and habitats. From this point of view also the river obtains new relevance: as it pass trough the entire Wallonia Region, it can become an important axe for the connections between urban hubs, taking advantages from the existing system of harbours and docks.
3.2 | Transforming the river in shared spaces for local communities. At a local scale, combining the idea of the riverside park as a backbone for the development of the Region with the observation of the typical Belgian and Walloon urbanization (linear development), the project places public areas on the left side of the site as starting point of the riverside park, whereas on the right side, along Rue du Cimitière des Français, are located the housing blocks. The residential buildings are designed with an orientation North-South, they lay perpendicular to the road and enclose condo pedestrian courtyards. Their shape is generated by regular parallelepipeds that have been sliced in two parts and rotated to obtain a central void. The courtyards would suggest a new perception of inside/outside relations, rearranging the spatial order: familiar hierarchies disappear so that new ways of cohabitation can be explored. Living spaces and common spaces are completely intertwined; common spaces are designed progressively, starting from the more public riverside park till to the more private courtyards; they are the final part of the green infrastructure, which gradually relates the macro to the micro scale (Figure 3). Inside the courtyards, next to houses, there are playgrounds for children, green and sport areas. The central part of the site, between the houses and the public park, is still an appurtenance of the buildings, even if it is more accessible from the public area. There are small cubes spread around containing facilities for the inhabitants, such as: greenhouses, workshops, condo rooms and green stripes used as flower beds or condo vegetable gardens from which the inhabitants can get zero-mile food. This area is 5
Original text in italian, transleted by the author.
Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago.
separated from the riverside park, more public and open to all the citizens, with a green area, spontaneous and with low maintenance factor, which capitalize the native vegetation. The riverside linear park spans from the River bank then fading out while meeting the project site residential area. An observation tower with a multipurpose community hall, is located along the river, in the public area, it will overlook the riverside and the surrounding landscape. The existing industrial dock, located on the South of the project site, in the short-medium term, could be converted to pleasure boating port with riverside sport facilities, promoting the quality of public uses and the possibility of water transport.
Figure 3. “Ville+Sambre+Ville” the relation public/private spaces and the system of green spaces.
We designed a high-density neighbourhood to accommodate 424 inhabitants; reaching a density ten time the local average (about 80 inh/ha instead of 8 inh/ha). This density was, for us, a necessary tool in order to promote a lively urban atmosphere, which improve social interaction. Nevertheless, we suggest the use of a compact housing type, with maximum three floor building, which identified the block as a small neighbourhood units, wrapped around a collective courtyard (Figure 4). Furthermore, the minimization of the connective spaces allows reaching higher density compared to built volumes.
Figure 4. “Ville+Sambre+Ville” the residential courtyards According to the social composition of the inhabitants and considering the potentiality of the new neighbourhood we considered different typology of apartments, reaching a total built surface of 9.792 m²: 10% of studio flat (33,60 m²); 30 % of two-room apartment (51,00 m²); 45% three-room apartment (68,50 m²); 15% four-room apartment (98.00 m²). Each apartment has a terrace or a small garden.
Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Ville+Sambre+Ville: a riverside park to reconnect the urban archipelago.
Concerning mobility spaces, pedestrian and bicycle circulation is promoted everywhere around the site. The project area is completely car free, even though, car circulation is allowed to access the parking lots and in case of emergency. The parking lots are located on the ground floor. More in details some specific paths are privileged: on the lower level (+ 92.00 MSL), next to water, there is a path, which will continue northward along the river. On the upper level, another one is laid like a ring all around the site. These same tracks are suitable also for the circulation of disabled persons. Though, to improve the connection between the two banks, a new pedestrian and cycle bridge is proposed. A more than 300 meters red ribbon spans between the two river banks, running over the bridge and then, on a green sound barrier thus framing the north end of the site and protecting it from the railway noise pollution. It stays as a landscape art gesture, to represent the idea of re-connection of the project area to the city and the other way round.
Conclusion According to Paola Viganò, the most important instrument for architects and urban planners in order to to produce knowledge is the project of spaces, cities and territories (Viganò, 2010; 9). The project presented in this paper represent an instrument to experience urban landscape at different scales. This inter-scalar attitude allows us to describe the territory as well as to redesign the connections between its different elements. The design of public spaces is the physical instrument to translate the underlining territorial relations into a more liveable environment. Open spaces became an essential part of the new habitat, here public spaces and landscape come together to act as social and physical infrastructure to create a new concept of quality for contemporary living environments and to promote a sustainable urban development. The realization of the project will be a interesting testing scenario6.
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Copyright: All the rights for the figures are to the authors.
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The project design team is in the process of negotiation for the realization of the project.
Danilo Capasso, Bruna Vendemmia, Anna Sirica, Laura Falcone, Giovanni Aurino.
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Gli spazi pubblici nei sistemi complessi di relazione tra tessuto urbano e ambiti di naturalità
Gli spazi pubblici nei sistemi complessi di relazione tra tessuto urbano e ambiti di naturalità Pasquale Dal Sasso Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari DISAAT - Dipartimento si Scienze Agro-Ambientali e Territoriali Email: dalsasso@uniba.it Mario Morrica Università degli Studi “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara Dipartimento di Architettura Email: mario.morrica@gmail.com
Abstract I contesti urbani inclusi in aree protette, in ambiti di riconosciuto valore naturale e paesaggistico e le aree naturali urbane comportano un’attenzione sia delle più generali politiche di trasformazione e gestione che degli interventi sugli spazi pubblici, ai caratteri indentitari dei luoghi, alla stratificazione dei segni naturali ed antropici sul territorio, alla tecnologia sociale. La lettura del paesaggio locale deve cogliere l’evoluzione degli adattamenti e delle pratiche sul territorio visto non solo come mero supporto allo sviluppo o al benessere collettivo ma capace di configurare con il patrimonio di risorse il tessuto sociale e il suo carattere identitario. Il caso proposto del progetto di riqualificazione del lungolago urbano del comune di Lesina (FG) si confronta con il tema del disegno dello spazio pubblico connesso a consolidati sistemi di legame tra tessuto sociale - urbano e spazio aperto naturale tutelato. Si delinea l’occasione per una riflessione sui criteri di valutazione e definizione degli interventi su spazi pubblici in contesti urbani e periurbani di forte naturalità e valore paesaggistico. Parole chiave tecnologia sociale, morfologia, narrazione
Livello epistemologico del progetto: la lettura del paesaggio locale La sensibilità e la ricerca empatica ai contesti diviene un presupposto per sostenibilità dei processi di trasformazione del territorio alle diverse scale e secondo i materiali del progetto urbano. La debole prospettiva degli intenti autoreferenziali e del mero marketing sul territorio ispirato alle strategie di competitività si è spostata su politiche e azioni sensibili alla natura identitaria del supporto alle trasformazioni, alla sua complessità di elementi e relazioni. La revisione del ruolo e degli obiettivi del progetto si muove su due principali piani quello conoscitivo e quello retorico del sistema locale. Diviene essenziale adottare nel momento cognitivo un approccio oggettivo, definire e interpretare le logiche sottese all’esito fisico contemporaneo per riuscire a indicare le vocazioni del luogo. «Le condizioni dell’ ambiente fisico, condizioni storiche, geografiche e sociali nella loro memoria e nella loro evoluzione» (Gregotti, 2008) costituiscono il luogo su cui definire le decisioni progettuali. Nel progetto urbano è insita una fase di lettura, interpretativa, «l’apprendimento di un luogo avviene utilizzando gli strumenti del progetto e le sue tecniche» (Viganò,2010). «Il progetto interpreta incessantemente il territorio nel suo farsi e ne guida la costruzione delle conoscenze cercando strategie da mettere in campo» (Mininni, 2012). La tecnica cognitiva applicata è una possibile forma di definizione del contesto che incide sostanzialmente sulle scelte da adottare, che devono corrispondere e non frapporsi alle tendenze evolutive di quel territorio. L interpretazione influisce sullo scenario futuro del progetto, è una fase essa stessa singolare, univoca in quanto caratterizzata da un forte potere direzionale che senza una visione olistica può portare a una molteplicità di definizioni non affini. La lettura del contesto deve essere costruita in funzione della complessità del sistema, diversificata per caso di studio partendo dalla visione complessiva capace di dare un’ immediata restituzione del carattere topico che verrà analizzato in tutti i suoi aspetti e mutue influenze. Pasquale Dal Sasso, Mario Morrica
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La lettura del paesaggio locale restituisce una visione per sistemi o elementi componenti, siano essi naturali, antropici artificiali o sociali, e il valore emergente attribuito dalla comunità al proprio ambito di vita. La simbologia degli spazi ovvero l’uso che gli abitanti fanno delle morfologie spaziali, può alludere a importanti significati del vivere in comune. La complessità e la sintesi delle reciproche influenze tra sfera naturale e antropica è restituita da una univoca e irripetibile soluzione di equilibri del paesaggio locale; riconoscerne il carattere comporta una validità delle scelte apportate perché coerenti con l’identità locale e capaci di affrontare le dinamiche emergenti. «L’osservazione oggettiva e sintetica del paesaggio è dunque la prima cosa da fare per comprendere ciò che, scomponendo ed analizzando, rischia di non apparire più con il suo carattere fondamentale di unità organica» (Romani, 2005). Il paesaggio come visione emozionale di un costrutto, di un insieme complesso percepito unitamente secondo il suo carattere specifico, unico, e il paesaggio come processo di evoluzione fra la società locale e ambiente fisico insediato. Capace di suscitare giudizi estetici condivisi, quindi una visione empirica, fondata sul tessuto sociale, come immagine compiuta in quell’istante. Il progetto si nutre dell’ osservazione attenta al senso del luogo, allo spessore diverso che hanno le sue componenti, alle leggi di relazione tra nessi, al singolo elemento e il suo ruolo e peso. La conoscenza scientifica di ogni oggetto e di ogni evento (esperienze cognitive) nell’istante percepito diviene evento quando riesce a suscitare un’emozione, a far emergere sensazioni forti, a lasciare un ricordo nella biografia umana. «Le biografie dei luoghi hanno la capacità di apporre al linguaggio astratto e codificato la potenza espressiva delle storie e dei personaggi ambientati in determinati luoghi» (Mininni, 2012). Per intendere bene i processi bisogna prestare ascolto allo spazio, ma non si tratta solo di spazio o di scale diverse, piccole spazialità possono avere grandi conseguenze sociali.
Ecologia del paesaggio e costrutto culturale Sul territorio si attua un incessante processo di adattamento dell’uomo sulla sfera naturale, il dominio insediato caratterizza fortemente le pratiche e i dispositivi utilizzati per il raggiungimento del benessere della comunità. Un sistema di azioni che nel tempo possono subire radicali revisioni in rapporto alla disponibilità delle risorse naturale presenti, alla fragilità dell’ambiente naturale, e agli impulsi o contaminazioni di culture esogene. Intere comunità hanno costruito il loro benessere in funzione della capacità di ottimizzare l’impiego delle risorse naturali ma gli equilibri imposti hanno rilevato l’inefficacia e l’impotenza dell’uomo nei confronti di una natura che ospita dominante. Equilibri effimeri, poco duraturi, date le dinamiche evolutive e trasformative che esigono nuove ponderate risposte dalla comunità. La scala locale sottende una tipicità e unicità delle pratiche, spesso consolidate e sovrapposte, un patrimonio di conoscenze e di saperi che sono il supporto alla crescita e al benessere che in parte si trasmette nelle nuove strategie di sviluppo socio-economico, che diventa visibile nelle trasformazioni fisiche dell’ambito di vita. I tempi antropici di evoluzione sono legati a quelli biologici, la natura concede e l’uomo dispone. Il paesaggio nasce da qui come patrimonio culturale topico e immagine condivisa nel suo valore evocativo. L’accezione di ecologia urbana e di sistema urbano aperto tende a rideterminare i ruoli e le contaminazioni di tecniche e contenuti disciplinari differenti, che esulano dalle consuete dicotomie fra naturale e antropico, di chiara separazione tra i processi naturali spontanei da quelli umani. «L’ecosistema non è altro che una comunità legata propria a un ambiente» (Saragosa, 2005), legame in continua rigerminazione nella messa in discussione della validità degli strumenti volti a consentire livelli qualitativi della vita alti. Ogni ecosistema e, quindi, ogni paesaggio, in quanto risultato di un sistema di fattori intrinseci ed esterni che lo influenzano, è l’espressione di una condizione di equilibrio tra i suddetti fattori, che garantisce la stabilità globale del suo assetto; una condizione di equilibrio destinata ad evolversi, per cause naturali, a lungo termine. Tale equilibrio, soggetto alle continue mutazioni indotte dal variare delle condizioni ambientali, corrisponde ad una condizione di stabilità relativa, o, più propriamente, di meta stabilità, espressa dalla possibilità dell’ecosistema “di mantenersi di norma entro un limitato intorno di condizioni, ma di poter, alla fine, raggiungerne altre, se il campo di coazioni continua a cambiare. Spesso la genesi degli insediamenti è legata alla presenza di capisaldi naturali, spesso inglobati nel loro tessuto come enclave che caratterizzano la vita della comunità, condizionando le scelte di sviluppo e divengono parte essenziale dell’ immagine insediativa oltre che pretiche economiche. Non esistono confini tra componente naturale (lago, fiume, geosito, ecc), e città compatta con le sue infrastrutture sul territorio, ma relazioni di senso fragili che vanno definite, misurate, registrate nella loro unicità. Negli ecosistemi ad elevato grado di naturalità dove sono più difficili gli equilibri tra i sistemi principali, l’uomo ha perfezionato, affinato le attività e le pratiche, ricercando numerose risposte in funzione alle risorse disponibili, ai valori naturali dominanti, adottando logiche fordiste o di coesistenza. L’efficienza della sua cultura passa nel benessere della comunità, nella sua stanzialità virtuosa. La qualità della vita misurata non solo nel potenziale economico individuale e collettivo, ma nell’accessibilità democratica ai servizi comuni, nella qualità degli spazi aperti, nell’integrità e mantenimento delle risorse naturali, nella capacità di preservare l’ambiente più prossimo ovvero ambiente di riferimento. «Ecologia del sistema deve ricercare quei parametri entro i quali il rapporto tra uomo e natura può definirsi armonico» (Giacomini, Romani, 2002), rapporto che non è mai definitivamente risolto, ma evolve in continui assestamenti di equilibrio dinamico. Pasquale Dal Sasso, Mario Morrica
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La lettura del paesaggio nella sua unicità d’insieme culturale introduce nuovi valori ai processi di disegno della città e del territorio, attraverso la cognizione ineludibile della transcalarità delle relazioni tra i materiali della compagine territoriale. L’integrità della percezione visiva, che congela un sistema compiuto di iterazioni, e la sua successiva indagine sugli equilibri sottesi tra dominio naturale e insediamento antropico, restituiscono l’ecologia del paesaggio. Processo di trasformazione perpetuo in cui alla sfera naturale con i suoi bioritmi si affianca la sfera umana. Per comprendere e studiare il paesaggio e ancor più per poter intervenire su di esso è necessario possedere una definizione empirica, razionale, una visione olistica del caso, quindi totalizzante. La complessità del costrutto non può essere sciolta mediante la sola accettazione dei nessi tra sfera naturale e quella umana, non è sufficiente a catturare la complessità della realtà, oggettiva e soggettiva a un tempo, dei rapporti percettivi, cognitivi ed estetici che si istaurano tra ecosfera e genere umano in tutte le loro implicazioni e nella loro stessa origine. Diventa ineludibile cogliere l’esperienza del soggetto collettivo, della comunità locale, la visione condivisa degli spazi di mediazione e di vita. In questo senso la visione prevalente che raggiunge una pluralità di soggetti è quella da interpretare e scomporre nel suo senso e significato.
Caso di studio: la riqualificazione del lungolago di Lesina Il caso di studio relativo alla sistemazione del lungolago dell’abitato di Lesina comprende gran parte delle questioni trattate in quanto ricadente all’interno del Parco Nazionale del Gargano, adiacente alla laguna omonima con elevato livello di sensibilità ecologica e in un ambito paesaggistico di singolare caratterizzazione per l’intera regione. Inoltre il lungolago si svolge al margine del centro storico, collocato su una piccola penisola che si incunea nella laguna e costituisce, ai lati opposti, ad est e ad ovest, dello stesso, il luogo di attracco delle imbarcazioni per la pesca e a servizio del turismo. Ma alle citate questioni si aggiungono, anche in accordo con i paesaggi conformati dal lavoro dell’uomo a cui fa riferimento la Convenzione Europea del Paesaggio, le problematiche della pesca nel lago che costituisce una rilevante voce dell’economia locale e che ha fortemente condizionato le forme, le funzioni attuali e il paesaggio del lungolago e un sopraggiunto interesse civico e turistico per l’uso alternativo di un luogo destinato interamente, in un non più recente passato, ai pescatori. Lo spazio di vita non è solo lo spazio urbano ma l’intero territorio piattaforma dove il bacino lagunare riveste una rilevanza non solo naturale ma anche economica nelle diverse attività del luogo. L’individuo appartenente alla comunità si muove liberamente su territori che abita e con i quali intrattiene rapporti di diversa natura, di lavoro, di residenzialità, non meno di svago e di osservazione. Il lungolago si configura come un margine denso di infrastrutture antropiche, di adattamenti fisici che nel tempo si sono sovrapposti, in parte cancellati o sostituiti per favorire le relazioni, gli scambi tra tessuto antropico e lo specchio d’acqua riconosciuta come risorsa primaria dell’economia legata alla ittica, poi al turismo anche didattico e catalizzatore di usi ricreativi e sportivi. Il biotopo laguna è in relazione costante con le attività umane, con un compagine urbana che addensa e focalizza le proprie aspettative di crescita sociale ed economica sul versante costiero di mediazione con il lago. La coesistenza tra le diverse funzioni a cui il lungolago deve attendere ha da sempre suscitato dibattiti tra amministratori, pescatori, cittadini e,in generale, gli stakeholder. Dagli incontri pubblici e nel rispetto delle diversificate esigenze si sono potuti prevedere interventi condivisi che, naturalmente, dovranno essere “collaudati” in fase di esercizio. «Le riscrittura del pubblico nella città contemporanea sono rivolte a dare visibilità alle diverse forme dello stare assieme» (Bianchetti, 2010), delle dinamiche sociali emergenti, alla sua definizione di spazio aperto pubblico. La flessibilità degli usi diviene un aspetto imprescindibile nella definizione di spazio pubblico prima ancora di opera, la sua capacità adattarsi a nuove esigenze e pratiche d’uso di una comunità che modifica la propria sfera di relazioni in rapporto a fattori endogeni ecosistemici. L’evidente dilatazione e manipolazione nel tempo della banchina è derivata da processi trasformativi dell’urbano, innescati da esigenze socio-economiche che qui ha avuto una maggiore rilevanza; questo luogo si carica di un valore evocativo e rappresentativo degli usi antropici di crescita, nell’empatia tra comunità e lago. Il progetto vuole rigenerare il valore attribuito a questo spazio attraverso il potenziale percettivo e alle nuove compatibili funzioni suggerite dalle dinamiche locali. L’intento del progetto è di rafforzare e di porsi in continuità ai segni che dalla fine del 1800 hanno interessato la fascia di confine tra ambito urbano e ambito naturale, implementando la relazione tra costruito consolidato e spazio aperto naturale attraverso nuovi legami con il paesaggi emergenti. Creazione di una rete di spazi aperti pubblici, ridefinendo il ruolo delle aree di banchina in rapporto al tessuto urbano e alle nuove emergenti appropriazioni che la comunità mette in essere attraverso usi compatibili o stridenti che vanno ricalibrati nella fragilità dell’ecosistema urbano. Il valore sociale dello spazio riviene nella capacità del progetto di cogliere le voci esistenti e di riuscire a favorire la rappresentazione di intenti. Lo spazio pubblico deve essere indicativo non nella sua accezione più romantica e appellativa dell’osservatore esterno, ma rappresentare una specificità, le pratiche comuni costitutive del paesaggio, favorire le iterazioni sociali, accoglie le relazioni interne al sistema. Sono i soggetti che interagiscono con l’ambiente di vita, e i suoi addensatori di pratiche comuni e di collettività più forte devono essere flessibili a recepire i nuovi fenomeni. In ambiti di connivenza tra tessuto urbano e sfera naturale la retorica del progetto assume una maggiore sensibilità per i segni strutturanti il paesaggio locale ovvero per quegli aspetti d’uso e quindi di trasformazione Pasquale Dal Sasso, Mario Morrica
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che fortemente lo caratterizzano. Nella narrazione del paesaggio locale il fattore tempo indirizza sul un costrutto culturale stratificato, sui valori topici che la rendono riconoscibile, da preservare come patrimonio di conoscenze locali oltre che nella sua percezione d’insieme di rilevanza estetica. Nel riconoscimento del carattere del luogo, emergente dal contesto sociale detentore di patrimonio di competenze empiriche per il benessere collettivo oltre che dalle trasformazioni materiali indotte sul dominio naturale, si compongono i requisiti di compatibilità allo statuto del luogo, da adottare nella componente propositiva del progetto atta a rispondere ai processi incipienti. La variabile tempo entra nel ridisegno dello spazio pubblico nell’accezione di flessibilità e labilità dell’uso nel contemporaneo, quindi pratiche destinate a avere cicli di vita brevi; uno spazio pubblico non rigido ma capace di rigenerarsi nei nuovi equilibri dell’ecosistema urbano.
Dispositivi per la definizione e valutazione degli interventi «La questione ambientale e l’insorgenza del paesaggio sono diventate non più temi ma argomenti critici del dibattito disciplinare» sostenendo un dialogo tra diversi bagagli di saperi e tecniche dove il «paesaggio si pone come snodo» nella sua accezione estetica e culturale. L’attribuzione di un valore costitutivo, nel progetto urbano e del suo territorio, della chiave paesaggistica «come costrutto culturale e sociale che orienta tanto modelli di azione» nel processo di coevoluzione fra sfera naturale e antropica, «quanto modelli di percezione» (Mininni, 2012). In generale per la definizione degli interventi occorre svolgere, in maniera olistica, l’intero percorso storico – urbanistico e sociale – del luogo ma per la verifica della loro accettazione risulta indispensabile coinvolgere tutti i soggetti interessati per la ricerca di quell’equilibrio ecologico, o di meta stabilità, di cui parla l’ecologia. Bisogna appurate se gli strumenti di definizione e controllo degli interventi sono atti a garantire la validità delle proposte alternative che progetto introduce in rapporto a una visione non settoriale e additiva delle proprietà o requisiti richiesti all’intervento ma nella virtuosa commistione di contenuti e saperi disciplinari differenti. L’esame sulla capacità dei dispositivi consolidati e di più recente istituzione, nella definizione degli interventi alle diverse scale, di incorporare i contenuti di discipline non più autonome e specifiche, ma che nell’apertura delle frontiere concettuali tendono a forme di ibridazione in un nuovo orizzonte intenzionale. Il progetto deve spingersi nella valutazione analitica gli ambiti operativi rilevati che consentano l’integrazione e ibridazione tra i diversi aspetti, sostenendo la loro efficacia sull’organismo urbano. Negli strumenti normativi, regolamentativi e costitutivi delle trasformazioni della città, soprattutto nei sistemi complessi tra tessuto urbano e ambiti di naturalità, può emergere una possibile campo di applicazione e verifica stringente dei valori ecologici e del paesaggio, superando l’approccio settoriale che con azioni mimetiche sul paesaggio (nello spazio pubblico la celebrazione della virtù della storia e dell’identità dei luoghi) o compensative su realtà locali porta un impoverimento dei valori topici e l’inefficacia delle trasformazioni prefigurate. La normativa di settore non deve essere interpretata come confine all’applicazione ad altri contenuti disciplinari o finalizzata solo al raggiungimento di specifici campi dell’interesse pubblico ma secondo un approccio olistico, calata nella transcalarità tra territorio e urbano – nello spazio pubblico trova una tensione maggiore di aspettativa – deve contribuire alla sostenibilità dei sistemi locali.
Bibliografia Bianchetti C. (2011), Il Novecento è davvero finito. Considerazioni sull’urbanistica, Donzelli, Roma Bonesio Luisa, (2007). Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, Diabasis, Reggio Emilia Giacomini V., Romani V. (2002), Uomini e Parchi, FrancoAngeli, Milano Gregotti V. (2008), Contro la fine dell’architettura, Einaudi, Torino La Cecla F., (2011). Mente locale per un’ antropologia dell’abitare, Elèuthera, Milano Laplatine F., Nouss A. (2006), Il pensiero meticcio, Elèuthera, Milano Laplatine F. (2011), Identità e meticciato, Elèuthera, Milano Magnaghi A. (2007), Scenari strategici: visioni identitarie per il progetto di territorio, Alinea, Firenze Magnaghi Alberto, (2010). Il progetto locale. Verso la conoscenza di luogo, Bollati Borlinghieri,Torino Mininni M. (2012), Approssimazioni alla città, Donzelli, Roma Palermo P. (2009), I limiti del possibile. Governo del territorio e qualità dello sviluppo, Donzelli, Roma Piroddi E. (2000), Le regole della ricomposizione urbana, FrancoAngeli, Milano Romani V. (2008), Il Paesaggio. Percorsi di studio, FrancoAngeli, Milano Saragosa C. (2005), L’insediamento umano. Ecologia e sostenibilità, Donzelli, Roma Viganò P. (2010), I territori dell’urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza, Officina, Roma
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I contesti urbano-fluviali del mediterraneo come scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interazioni città-natura. Genova laboratorioporvetta
SMART Med.Urban-River. I contesti urbano-fluviali mediterranei quali scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interrazioni e dimensioni città-natura. Genova laboratorioprovetta Emanuela Nan Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova DICCA-DSA Email: emanuela.nan@gmail.com Tel: +393298419854
Abstract Benché la presenza dei corsi d’acqua sia stata alla base della definizione e del fiorire di molte città,nell’evolversi di questi contesti, specie sulle sponde mediterranee dove le dimensioni e la portata dei rii è spesso non è particolarmente significativa, la presenza di fiumi all’interno dei territori urbani è arrivata a costituire, oggi, una delle situazioni più ricche di problematicità e rischio. Tuttavia di fronte alle pressanti spinte culturali, sociali ed economiche a un rinnovamento in chiave sostenibile ed ecocompatibile degli spazi urbani, questi contesti, anche grazie alla loro strutturale e spesso osmotica relazione con gli agglomerati storici delle città, sembrano potersi proporre come ideali propulsori in un generale processo di rinaturactivazione urbana. Parole chiave rinatiractivazione, infrastrutture verdi, territori urbani mediterranei
Città/Fiumi L’acqua da sempre costituisce una variabile fondamentale e di assoluto rilievo nella definizione dei territori urbani così come nello sviluppo delle civiltà, tuttavia il rapporto e l’interazione tra questo elemento e gli insediamenti umani è cambiato variamente nel tempo. Se storicamente la presenza dell’acqua è stata condizione indispensabile per la nascita e lo sviluppo delle città al punto da condizionarne in modo significativo tanto struttura e organizzazione quanto la fortuna e il declino – basti ricordare la storia della creduta perduta città di Pi-Ramses, considerate la Venezia dell’antico Egitto, letteralmente spostata pietra su pietra al prosciugarsi del ramo del Nilo su cui sorgeva per essere ricostruita sulle sponde del nuovo braccio – l’avanzamento della tecnologia e lo sviluppo e velocizzazione delle infrastrutture di rete hanno reso sempre più indipendenti gli insediamenti dal territorio, sostanzialmente ribaltando la situazione, e facendo sì che quella compresenza che prima costituiva un fattore di ricchezza e crescita quasi indispensabile oggi si è trasformata in una convivenza spesso scomoda. La crescita incondizionata degli agglomerati urbani ha, infatti, inciso e incide in modo più che significativo sull’assetto morfologico dei territori e rispetto a questi i corsi d’acqua in particolare sono senza dubbio l’elemento naturale che tra interramenti, deviazioni, invasioni … ha, probabilmente, più subito queste trasformazioni, senza quasi mai riuscire ad assestarsi realmente con nuovi equilibri. In particolare, nell’area mediterranea le dimensioni e la portata dei corsi d’acqua, per natura tutt’altro che costanti, hanno rivelato come questa presenza, per molto tempo semplicemente ignorata dalle dinamiche di sviluppo urbano, sia difficilmente incardinabile e governabile. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e al boom industriale, il ripetersi di esondazioni e alluvioni dovute alle saturazioni edilizie degli alvei e dei bacini hanno, infatti, dimostrato tutta la pericolosità di anni di pianificazione sconsiderata e l’urgenza di un cambio di prospettiva e orizzonte nell’approccio ai contesti urbanofluviali.
Emanuela Nan
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I contesti urbano-fluviali del mediterraneo come scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interazioni città-natura. Genova laboratorioporvetta
Territori di oggi Oggi, «le antiche frontiere geografiche, miranti a contenere la nuova città emergente, hanno ceduto, quasi all’improvviso, di fronte alle diverse scale di un nuovo campo di azione, molto più complesso, sfuggente e vitale, nel quale si trovano a convivere nuclei latenti e nodi consolidati, margini incerti e spazi di frizione, tessuti consolidati e trame incompiute, annunciando così la nuova condizione meticcia e progressivamente ambivalente (tra il naturale e l’artificiale) di un nuovo scenario urbano territoriale» (Gausa, 2012), di fronte alla generale rivoluzione dei paradigmi consolidati, in una dimensione ove sempre più il rapporto tra i concetti di spazio, cultura e movimento è mutevole, le stesse idee di dimensione e di tempo richiedono città nuove in grado di assorbire e farsi assorbire dalle persone che le vivono e le percorrono. Dalla scala locale alla globale persone e/o utenti, sempre più differenziati e specializzati, cercano e chiedono nel territorio nuovi riferimenti, seduzioni ed esperienze. Una città nuova è probabilmente quella che dopo aver elaborato la propria storia è in grado di riconvertirla in una nuova lettura dei propri spazi, in modi inediti, in cui gli utenti di oggi sappiano riconfigurarsi e vedere il territorio non solo come una catena di eventi ma come un insieme di cluster o livelli specializzati che si vanno a sovrapporre rendendo ricca la trama urbana e fluido il muoversi al suo interno. «Società Ambiente e Paesaggio sono i grandi temi del confronto etico, economico e politico del dopo la crisi. In pochissimi anni la crisi globale ha fatto maturare un senso diverso dei valori sociali ed economici che cambia gli obiettivi del mutamento. Una nuova geografia del desiderio sta alterando così in fretta i processi di sviluppo che produce crisi essa stessa nei settori economici e culturali più inerti o più resistenti alle spinte del cambiamento, rendendoli improvvisamente vecchi, fuori dal tempo. Il rapporto diretto tra attività e luoghi di non è più una condizione necessaria. Le città tendono a perdere una connotazione fisica definita per assumere la dimensione fluida di campi di relazioni» (Ricci, 2012). A determinare le geografie territoriali non sono più, di fatto, dunque, tanto i fattori spazio-temporali quanto quelli informzionali e relazionali rispetto ai quali le mappe urbane si distorcono per compressione e dilatazione. I nuovi parametri di definizione rispetto a cui, oggi, i territori urbani si riconoscono, articolando configurazioni, non concluse e immutabili, ma, al contrario, variabili ed aperte sono sempre più derivazioni, non del posizionamento delle funzioni, ma dell’interazione tra soggetti, realtà e spinte sociali, culturali, politiche ed economiche … Temi e tempi alla base della strutturazione e definizione dei territori sono, di fatto, profondamente cambiati, la velocità dei processi rende, infatti, vane e fuorvianti le operazioni di pianificazione a lungo termine, mentre la moltitudine d’istanze e sollecitazioni impongono una sempre crescente trasformabilità e declinabilità degli interventi. Lo spazio urbanizzato, se già da tempo ha assunto l’accezione di sistema integrato e multilivello, oggi appare sempre più simile a una miscellanea, composita e variabile, alla cui definizione concorrono molteplici dispositivi e la cui comprensione e gestione operativa sembra trovarsi non più nella perimetrazione di registri e contesti formali, ma nell’individuazione di regole e tattiche logiche capaci di guidare e prevedere gli esiti e le evoluzioni delle differenti dinamiche e vocazioni. In questo contesto, la comprensione e la gestione degli scenari urbani non dipende più tanto dal tracciare mappe e stabilire tempistiche futuribili, quanto dall’individuare e comprendere i cambi di logica rispetto a cui, in risposta alle nuove esigenze e sensibilità, progressivamente mutano, componendosi e intersecandosi i dispositivi che concorrono via via a trasformare e rinnovare le città, interfacciando permanenze, immanenze e nuove necessità. «Dentro questo ampliamento di orizzonte, l’osservazione dello spazio della città contemporanea e l’indagine sui processi di uso e trasformazione che ne sottendono la costruzione, costituisce l’occasione per affermare un ruolo progettuale delle componenti primarie della sua struttura ambientale, in primis il sistema delle acque e i paesaggi agrari urbani e periurbani. Esse possono giocare infatti un ruolo centrale per ripensare le forme insediative dell’abitare diffuso, della specializzazione funzionale e della segregazione sociale nella dialettica densificazione/dispersione. Perché appare sempre più evidente quanto l’orizzonte della nuova questione urbana 1 sia fortemente connesso alla salvaguardia, alla valorizzazione e alla risignificazione di quelle componenti ambientali e al contestuale ripensamento di quelle forme insediative, come leve essenziali per il progetto della città e la qualificazione di una sua rinnovata abitabilità» (Gasparini, 2013). Sotto l’azione di un campo energetico determinato da abitudini, vocazioni, aspirazioni e volontà, imposte e proposte, sia da singoli, che da gruppi, che collettive, nell’epoca della crisi, sempre più orientate verso una nuova sensibilità ecologica, così, il rapporto della città con i sistemi fluviali diviene un importante scenario di operatività. Gasparini sottolinea come «i waterscapes (reti idrografiche, river e seafront, spazi di dilatazione e raccolta delle acque, lagune e paludi)» abbiano acquisito e acquisiscano, proprio in questo senso, sempre più «un ruolo essenziale nel governo degli effetti indotti dai cambiamenti climatici - innalzamento del livello dell’acqua, 1
Sulla nuova questione urbana cfr. The 4th International Conference of the International Forum on Urbanism (IFoU), Amsterdam/Delft, The New Urban Question - Urbanism beyond Neo-Liberalism, 2009
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I contesti urbano-fluviali del mediterraneo come scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interazioni città-natura. Genova laboratorioporvetta
mutamenti dei ritmi e delle intensità delle precipitazioni, processi di erosione, stagionalità fluviale - in forme non puramente difensive ma orientate ad una progettazione e gestione appropriate di questa risorsa. In termini cioè di resilienza - come oramai si tende sempre più ad affermare non più solo nelle scienze ambientali e comunque negli stessi orientamenti dell’Unione Europea - e di ripensamento, talvolta sostanziale, del rapporto storico tra città e acqua e dei paesaggi urbani ad essa collegati» (Gasparini, 2013).
Genova - laboratorioprovetta In questa direzione opera il progetto di ricerca F.P.a.D. Les fleuves méditerranéens: un patrimoine commun au service du développement local del programma IEVP‐CTMED - capitanato dall’Unesco e condotto per Genova, come responsabile scientifico, dal Prof. Pietro Ugolini - che mettendo a confronto quattro diverse urbanità-fiume dell’ambito mediterraneo (Nilo, Rodano, Abou Ali, Bisagno) allo scopo di studiare, alle diverse scale e in differenti condizioni, strategie e indirizzi volti a valorizzare la presenza fluviale, in particolare, e dei corsi d’acqua in genere all’interno dei contesti urbanizzati. Partendo dal presupposto di riscoprire e riconoscere nelle criticità le potenzialità evolutive e propulsive di queste realtà come presenze vive, lo studio delle dinamiche e degli equilibri del territorio ligure, e genovese nello specifico, compreso tra la curva costiera del Mar Ligure, a sud, e quella meno accentuata del displuviale alpino ed appenninico a nord, si mostra un insieme di condizioni particolarmente interessati. 1. I corsi d’acqua del bacino tirrenico hanno superfici che raramente superano i 100 km2 e hanno regimi torrentizi, caratterizzati da forti variazioni stagionali di portata in corrispondenza degli eventi di pioggia. Tale configurazione orografica e l’alta densità abitativa (300 abitanti per km2 distribuita in maniera irregolare e concentrata in prevalenza lungo il litorale) la rendono una regione sensibile sia al dissesto dei versanti che idrologico. 2. Genova storicamente nasce e si struttura in simbiosi con l’acqua, non solo nella semplice e diretta relazione con il porto, ma in forme assai più complesse e celate con la regimentazione dei rii che incanalati sotto le strade dell’antico centro alimentano le fontane pubbliche e servono le grandi ville e la strutturazione di un acquedotto marino per garantire la pulizia delle strade. 3. Nonostante i fiumi abbiano innegabilmente marcato la definizione strutturale e organizzativa oltre che morfologica ed orografica della città sin dagli albori e per gran parte della sua storia, Genova sembra oggi non riuscire a interfacciarsi e relazionarsi in modo disteso e congruo con queste realtà, come è evidente dal fatto che il territorio è stato negli anni recenti è sempre più interessato da frequenti episodi alluvionali che, puntualmente, hanno arrecato ingenti danni anche in termini di perdite di vite umane. La complessità e la valenza delle interazioni che la città di Genova aveva nel suo sviluppo storico intrecciato con l’acqua hanno, dunque, perso, nel tempo, il loro equilibrio e valore trasformandosi spesso in fattori di degrado, se non addirittura di pericolo. Genova è anche città-porto, ma se la relazione, di contrasto o connubio a seconda delle diverse situazioni, con il mare è aperta, dichiarata e discussa, e quindi costituisce sempre e comunque per la città un fattore di rinnovamento, ciò che rende particolarmente complicata il rapporto con il sistema dei rii è che questa presenza sembra oggi spesso per lo più, essere stata ed essere, quasi totalmente ignorata e negata. Lo sviluppo incontrollato della città (a causa anche della carente pianificazione urbanistica risalente al periodo post-bellico) ha, infatti, condotto negli anni a modi di edificazione avulsi dai vincoli derivanti dalla presenza dei corsi d’acqua; essa ha previsto la modificazione degli alvei tramite riduzioni e interramenti. Particolarmente rappresentativa, in tal senso, è stata la gestione dell’alveo del Bisagno (risalente già alla prima metà del XX secolo), protagonista principale dell’alluvione del 1970 e di quella del 2011. Negli anni successivi al 1970 lo sviluppo della città è stato importante mentre le azioni di prevenzione sono state limitate a piccoli operazioni puntuali, non coordinate e prive di organicità di insieme. Solo in periodi più recenti, in particolare dopo l’approvazione nel 2001 del Piano di Bacino del Bisagno, la vulnerabilità idraulica del territorio genovese ha cominciato a essere affrontata in modo coordinato allo sviluppo urbanistico, avviando progetti di opere maggiormente adeguate alle problematiche in essere . In questo contesto, interessante diviene dunque comprendere e riscoprire le diverse modalità e soprattutto gradi di reale e potenziale interazione della città non solo con il Bisagno e il Polcevera, ma anche e forse soprattutto, con il sistema dei rii, che silenziosamente e celatamente solcano tutto il territorio urbano e, in particolare, il centro storico, riconoscendone e distinguendone spazi e dimensioni, tanto fisico-funzionali, quanto significanticulturali. Genova, infatti, nonostante la dimensione per lo più esigua dei suoi torrenti, rappresenta un caso emblematico per complessità, varietà e contraddittorietà di rapporti che - in uno spazio fortemente contenuto e compresso, e quindi di più facile monitoraggio e studio - l’urbanizzato intrattiene con fiumi e rii e che sostanzialmente possiamo riassumere in tre insiemi: Emanuela Nan
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I contesti urbano-fluviali del mediterraneo come scenari privilegiati per lo sviluppo di nuove interazioni città-natura. Genova laboratorioporvetta
• di PAURA-RISCHIO secondo due principali tipologie differenti: rispetto al centro storico, soggetto a rischio allagamenti (causati principalmente dall’inefficienza del sistema di drenaggio urbano), e in relazione alla Val Bisagno, zona densamente abitata, caratterizzata invece da un rischio inondazione. • di MEMORIA-STRATIFICAZIONE in relazione alla valenza ed al ruolo strategico giocato dai diversi corsi d’acqua nel processo storico di sviluppo e crescita della città e quindi, conseguentemente, nella definizione della propria identità peculiare storica ed attuale. • di TUTELA-PATRIMONIO rispetto al numero di diverse realtà non solo ambientali ed ecosistemiche, ma anche economiche e sociali che sopravvivono all’interno del territorio urbanizzato nella relazione con questi elementi. Si tratta, di fatto, di questioni - anche quando parliamo di rischi - non solo tecniche, legate cioè semplicemente alla efficace regimentazione, ma anche e oggi forse sempre più, soprattutto della riscoperta o introduzione di valori e valenze economiche, sociali e culturali condivise. Citando ancora Gasparini, infatti, «L’interazione che i problemi ecologico-ambientali, infrastrutturali e urbanistici posti dai drosscapes esprimono con le strategie di trasformazione urbana, la costruzione di paesaggi urbani innovativi, lo sviluppo di modelli economici alternativi e di cicli energetici sostenibili, è un campo di ricerca progettuale ampiamente sottovalutato dall’urbanistica e dall’architettura. Una maggiore consapevolezza delle ricadute territoriali si esprime invece nelle traiettorie di discipline contigue come ad esempio l’architettura del paesaggio, alcune scienze della terra, l’ecologia del paesaggio e la progettazione idraulica» (Gasparini, 2013). La riflessione sul valore e il possibile intervento sugli ambiti fluviali si traduce così, di fronte alle pressanti spinte culturali, sociali ed economiche odierne a un rinnovamento in chiave sostenibile ed ecocompatibile nel riconoscimento di questi ambiti come contesti propulsori in un generale processo di rinaturactivazione urbana. «Parliamo di un approccio progettuale qualitativo di tipo strategico-adattativo alla rigenerazione degli spazi del drosscape che prende le mosse da un ripensamento tecnico e procedurale del “progetto di bonifica” per superare le pratiche settoriali tradizionalmente utilizzate e identificarlo quindi come un sostrato irrinunciabile di un più complessivo progetto urbano e di paesaggio ecologicamente orientato. Questo processo ideativo e costruttivo a geometria variabile incrocia nel tempo e nello spazio sguardi interpretativi e azioni progettuali differenziati in grado di muoversi dinamicamente fra le scale con un continuo attraversamento bidirezionale, mutuando molti strumenti e pratiche dalle discipline paesaggistiche . Si tratta di affermare un’idea di progetto che è, contemporaneamente, stratigrafico/relazionale nello spazio e resiliente/adattativo nel tempo e che deve essere in grado di interpretare i rapporti dinamici prodotti dal riciclo dei drosscapes nello spessore tridimensionale suolo / sottosuolo / soprassuolo, mettendo a punto una concatenazione non lineare di azioni trasformative e gestionali» (Gasparini, 2013). In questo orizzonte, Genova, come città-porto fortemente collegata e riferita nei suoi processi di sviluppo ed evoluzione alle altre urbanità mediterranee, si presenta, dunque, come un perfetto laboratorioprovetta, territoriotest, non solo o tanto per la comprensione delle dinamiche, ma anche e soprattutto per l’elaborazione di strategie e tattiche, sia di riscoperta socio-culturale che di rinnovo e riattivazione spazio-sistemica, dei paesaggi delle città-fiume nell’area del bacino.
Bibliografia Gasparrini, C., Città da riconoscere e reti eco-paesaggistiche, PPC n. 25/2011 Gasparrini C., “Drosscape, spazi aperti e progetto urbano nell’area orientale di Napoli” in L.V. Ferretti (a cura di), L'architettura del Progetto Urbano - Procedure e strumenti per la costruzione del paesaggio urbano, Franco Angeli, Milano 2012 (a) Gausa Navarro M, (2009), Multi-Barcelona. Hiper-Catalunya, List, Trento/Barcellona Gausa M.(2012), BCN GOA. Multi-String City, Canessa N. Nan E. (a cura di),LIST, Trento/Barcellona Gausa M., Ricci M., (2013), Med.Net.It REP01, Canessa N. Nan E. (a cura di),LIST, Trento/Barcellona Gausa M., Ricci M., (2013), Med.Net.Eu REP02, Canessa N. Nan E. (a cura di),LIST, Trento/Barcellona Ricci M. (2012), New Paradigm, LIST, Trento/Barcellona
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Nuovi spazi del turismo. Proposta di progetto dello spazio pubblico negli spazi turistici della Sardegna
Nuovi spazi del turismo. Proposta di progetto dello spazio pubblico negli spazi turistici della Sardegna Giuseppe Onni Università di Sassari Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica Email: giuseppeonni@uniss.it
Abstract La Sardegna si pone come luogo ideale per lo studio delle problematiche legate al turismo, in quanto lungo le sue coste, nell’arco di cinquant’anni, si è sviluppata una vera città turistica, diffusa e realizzata per parti, copia non conforme di identità culturali ricostruite o del tutto inventate, ma con la caratteristica di essere sempre stata guidata da quella che nell’articolo è definita un’ideologia turistica, che ha considerato spesso gli spazi pubblici come residuali rispetto a quelli della ricettività. Difatti il processo di evoluzione del fenomeno turistico nel corso degli anni ha posto sempre in modo esclusivo l’accento sulle caratteristiche delle risorsa ricettiva piuttosto che sui luoghi e sui territori. L’articolo indaga se sia possibile, seppur all’interno di contesti compromessi dall’ideologia turistica, trovare nuove forme turistiche in grado di rigenerare il rapporto tra paesaggio, spazi pubblici, forme turistiche e società locali. Parole chiave Politiche territoriali, spazi turistici, sostenibilità sociale
Turismo e Sardegna La costa della Sardegna è un campo di studio privilegiato per lo studio dei processi turistici, difatti l’isola, nel corso degli ultimi cinquanta anni, ha visto la realizzazione di molti insediamenti turistici, ma questi spazi turistici sono quasi esclusivamente costieri. L’attenzione alla costa si è originata durante gli anni ’60 dello scorso secolo, modificando in modo sostanziale sia la struttura dell’insediamento che il peso relativo delle diverse parti nella rete urbana. L’evoluzione degli insediamenti ha realizzato quindi quella che si può definire una 'città del turismo', discontinua nelle forme, talvolta villaggi non pianificati, talvolta enclaves turistiche. Il processo di evoluzione del processo turistico ha sempre posto l’accento, in modo esclusivo, sulle caratteristiche delle risorsa ricettiva piuttosto che sui luoghi e quando l’attenzione si è spostata anche sui territori, si è cercato di dare risalto all’etnocentricità degli stessi reiterando forme e modelli. Per questo motivo i turisti si rapportano con immagini dei luoghi più che con i luoghi stessi. Le immagini dei luoghi sono, generalmente, sempre le medesime e la città turistica si realizza con un’ottica temporale molto ridotta. Le politiche, in sostanza, rispondono ai caratteri di un’ideologia che propone il territorio in forma simbolica, ripescando degli archetipi e proponendoli ai flussi turistici, spesso con pochissime elaborazioni 1. Si desume quindi una perseverante visione del territorio come oggetto di politiche turistiche e territoriali poco lungimiranti, indirizzate soprattutto alla creazione di spazi straordinari, arelazionali e temporalmente circoscritti. Spazi straordinari e arelazionali in quanto realizzano immagini aterritoriali evocative, attraverso le quali il turista giunge a conoscere solo superficialmente le società locali ospitanti, confrontandosi con dei simulacri del territorio e non con il territorio stesso.
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Avviene un fenomeno molto noto: elementi di identità, tradizioni spesso amate e difese dalla popolazione, diventano “folclorismo”, cioè oggetti ed eventi sottoposti alle leggi di mercato (quando, dove, come, durata, ecc.).
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Nuovi spazi del turismo. Proposta di progetto dello spazio pubblico negli spazi turistici della Sardegna
Il fattore temporale merita un’ulteriore attenzione: il tempo è una delle variabili che meno sono tenute in considerazione dalle politiche turistiche, i luoghi sono visti come immobili nel tempo, immuni dagli effetti che i flussi turistici producono sul territorio; le stesse politiche sono state sempre rivolte prettamente alla ricettività e non, come avrebbero dovuto essere, ad una completa pianificazione del sistema. Il fatto che lo scopo delle politiche turistiche fosse migliorare la qualità della ricettività e che l’ottica temporale dei soggetti addetti alla guida delle forme turistiche fosse ridotta, ha condotto a politiche rivolte essenzialmente agli oggetti sede di turismo, quali alberghi, resort, B&B eccetera, senza considerare in alcun modo le ricadute sul territorio. È allora utile tentare di rappresentare il percorso turistico della Sardegna attraverso una modellizzazione.
Figura 1. Il percorso dell'ideologia turistica
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La figura 1 evidenzia un importante fattore: il concomitante sviluppo della Costa Smeralda, dei villaggi turistici e delle borgate costiere. La nascita del Consorzio Costa Smeralda ha influenzato, e molto, lo sviluppo delle politiche turistiche tanto da ispirare nuove forme anche in villaggi turistici preesistenti, così come ha influenzato lo sviluppo degli insediamenti costieri, anch’essi in parte preesistenti (Serreli, 2004). I tre casi, in parallelo, hanno condotto a un robusto intervento di costruzione con effetti non troppo differenti tra loro. Nei villaggi turistici e nella Costa Smeralda si è realizzata la costruzione di una Sardegna esotica ed immaginaria, destinata ad un turismo nazionale ed internazionale, ma comunque contenuta entro dei limiti spaziali e con un occhio di riguardo al contesto territoriale; viceversa nelle borgate marine, cresciute senza una pianificazione urbana coerente, la qualità del contesto non è stata osservata ed è stata delegata alla sensibilità dei singoli. Il paesaggio costiero della Sardegna, nel tempo, ha visto lo sviluppo di due processi quasi antitetici tra loro: da un lato si ha una forma ricettiva offerta ad utenti esterni all’isola ed esclusiva nei costi e nelle modalità di accoglienza; dall’altro si è avuto un accrescimento di località destinate quasi esclusivamente agli abitanti locali provenienti dai centri abitati, grandi e piccoli, limitrofi. La politica turistica prevalente, in breve, è stata residenze esclusive contro seconde case. Quanto ne consegue è uno spazio fragile, che non ha realmente una dimensione urbana se non per pochi giorni all’anno. La città turistica esiste solo alcuni mesi l’anno.
L’evoluzione della “città turistica” in Sardegna Il processo di evoluzione dell’insediamento turistico ha avuto tempi, forme e modelli diversi (Boggio, 1978; Brandis e Scanu, 2001; Usai e Cao, 2002; Usai e Paci, 2002; Serreli, 2004; Bandinu, 2006; Sistu, 2008) a seconda del periodo storico. I luoghi del turismo si presentano frammentati piuttosto che concentrati (Price, 1983) e i modelli urbani richiamano due diversi modi di fruire le risorse turistiche profondamente differenti. I centri destinati ai residenti locali hanno una prevalenza di seconde case o piccoli alberghi; le strutture destinate ai turisti non locali sono in sostanza enclaves turistiche, recinti per turisti, prevalentemente villaggi vacanze o grandi alberghi, fisicamente separati dal contesto. In effetti un vero e proprio insediamento turistico non si è avuto se non dal 1962 in poi, data di realizzazione della Costa Smeralda. Ed è un turismo realizzato da un imprenditore privato, l’Aga Khan Karim. Mentre, in precedenza, l’esperienza turistica fu pubblica, diretta dalla Regione Sardegna negli anni precedenti al Piano di Rinascita attraverso la legge regionale n. 62 del 22 novembre 1950 che costituì l'Ente Sardo Industrie Turistiche, in seguito noto sempre come ESIT. Le forme turistiche proposte dall’ESIT fanno riferimento alle abitudini invalse nella popolazione sarda a recarsi in villeggiatura in località di particolare pregio ambientale o storico, sia sul mare che in montagna2, con obiettivo specifico di distribuire le strutture alberghiere all’interno del territorio, soprattutto nel settore settentrionale3. Ma la fondamentale dicotomia è stata proprio la differenziazione delle scelte che ha influito in modo sostanziale anche sui paesaggi turistici: i turisti non provenienti della Sardegna hanno scelto complessi alberghieri e villaggi turistici, mentre i turisti provenienti dalla Sardegna hanno indirizzato le loro vacanze verso i centri costieri o in luoghi di soggiorno temporaneo (Cannaos e Onni, 2012; Cappai et al. 2012, Onni, 2009), poco attenti alla qualità del paesaggio. La costa sarda possedeva nel 1951 sessanta insediamenti e di questi solo ventidue erano dedicati all’ospitalità dei villeggianti durante i mesi estivi. Dal 1951 al 1961, conseguentemente alla crescita economica nazionale, sorsero venti nuovi insediamenti destinati soprattutto a seconde case, ma nessuno di questi realizzò un turismo alberghiero. La realtà turistica degli anni cinquanta è quindi orientata soprattutto a dare alloggio in seconde case ai residenti nell’isola piuttosto che ad una vera e propria offerta turistica extra-regionale, fatta salva la città di Alghero con i suoi alberghi; è pur vero che in Sardegna non esisteva una vera e propria domanda turistica, sviluppatasi solo all’inizio degli anni ‘60. L’importanza della realizzazione della Costa Smeralda travalica il contesto locale in senso stretto: infatti l’impostazione completamente differente ha fatto si che nuovi modelli si ingenerassero sul territorio, soprattutto su quello costiero. Spinti dall’esempio della Costa Smeralda, dal 1962 al 1971, sorsero ventidue nuovi centri di 2
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Dall’art. 2 L.R. 62/1950: L' Ente Sardo Industrie Turistiche ha il compito promuovere ed attuare iniziative dirette allo sviluppo delle attività turistiche in Sardegna; diffondere la conoscenza delle bellezze naturali ed artistiche dell'Isola; incoraggiare le iniziative private, favorendone il consorzio e la mutualità; istituire premi per stimolare iniziative di carattere igienico - sanitario, artistico e di altra specie; promuovere la istituzione di corsi o scuole e la costituzione e lo sviluppo di organizzazioni professionali nell'interesse del turismo; raccogliere notizie ed informazioni relative al turismo regionale, nazionale ed internazionale; studiare e proporre al Governo Regionale provvedimenti diretti ad incrementare le attività turistiche nell'Isola con particolare riguardo al movimento dei forestieri. Già nei primi anni ’60 fu costruita la rete dei cosiddetti Alberghi Esit (11 nel complesso) in alcune località riconosciute di rilievo dal punto di vista turistico, tra le quali: San Leonardo (Santu Lussurgiu), Grande Hotel (Alghero), La Spendula (Villacidro), Il Gabbiano (La Maddalena), Miramonti (Tempio), Miramare (Santa Teresa di Gallura), “Albergo Esit” a Nuoro (sul Monte Ortobene). Fonte: L’Italia in automobile, Sardegna , Touring Club Italiano, 1963
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soggiorno estivo e diciassette località destinate ai “forestieri”, le preesistenti si accrebbero, costituite essenzialmente da seconde case lungo alcune aree quali la costa della provincia di Oristano, soprattutto di Cuglieri e San Vero Milis4, lungo la costa sud orientale della Sardegna 5 e, sulla costa orientale, Costa Rei. Tutti insediamenti caratterizzati da un diffuso degrado urbanistico ed edilizio dovuto ad uno sviluppo, fino alla metà degli anni ‘70, sostanzialmente spontaneo a causa dell’assenza di strumenti urbanistici approvati. La figura 2 mostra, in sintesi, tutti gli insediamenti litoranei sorti in Sardegna dopo il 1962, permettendo di avere un’idea di quale sia stato il processo di litoralizzazione del turismo. Nessuno di questi insediamenti preesisteva prima della nascita della Costa Smeralda.
Figura 2. Insediamenti turistici litoranei
Nuove forme turistiche Si può provare, però, a ragionare sui processi turistici in modo differente, oltrepassando i percorsi tracciati dall’ideologia turistica con lo scopo di rigenerare il contesto della città turistica, ripensando nuova forma turistica 'possibile', da calibrare sul principio della relazione tra società locale e turista, per scardinare la continua ricerca di forme ridondanti, di spazi segregati, di luoghi in abbandono. Si rende necessario esplorare forme turistiche più orientate al dialogo sociale tra turista e residente, che favoriscano la percezione di un nuovo senso del luogo e che siano utili a generare nuova urbanità, localizzate all’interno della città del turismo ma al contempo aperte alla società locale, la cui parola chiave deve essere servizio, inteso sia a favore del turista in quanto nuovi servizi possono rendere più partecipata la loro esperienza nei luoghi visitati e più piacevole la permanenza in luoghi in genere poco noti o poco serviti sia della società locale in quanto consentono di usufruire di prestazioni di qualità senza doverle cercare altrove. 4
Borgate di Santa Caterina di Pittinuri, S’Archittu, Torre del Pozzo, Putzu Idu, Mandriola, Sa Rocca Tunda, Sa Marigosa, Su Pallosu, S’Anea Scoada. 5 Si veda l’espansione di Villasimius, la creazione di villaggi quali Marina di Capitana, Mari Pintau, Kala'e Moru, Geremeas, Baccumandara, Torre delle Stelle, Solanas. Giuseppe Onni
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Ragionando in astratto, una forma turistica che offra servizi nella città del turismo deve rispettare questi requisiti: presentarsi come una discontinuità rispetto le consuete forme turistiche; configurarsi come una forma turistica non preordinata ed eterodiretta, rigenerandosi grazie alla costante possibilità di creare condizioni ottimali alla vulnerabilità reciproca tra ospite ed ospitante; consentire un superamento dell’individualizzazione tipica dei villaggi turistici e dei resort in genere; fornire funzioni e servizi connessi all’abitare per migliorare la qualità della vita dei territori ospitanti e l’equità territoriale. Un caso che può essere utilizzato come esempio di questo modo di concepire il turismo è rappresentato dal compendio costiero di Is Mortorius, un piccolo promontorio lungo la costa del Golfo di Cagliari, in territorio di Quartu Sant’Elena tra gli insediamenti di Capitana e Terra Mala, di proprietà dell’Agenzia regionale Conservatoria delle Coste della Sardegna. Questo piccolo luogo presenta tracce di insediamento dall’epoca nuragica, testimoniata dalla presenza del nuraghe Diana trasformato in fortino durante il secondo conflitto mondiale, nello stesso tempo si stabilì nella parte prospiciente il mare la batteria di difesa costiera “Carlo Faldi”. Permangono anche i resti di una tonnara. La batteria fu adibita a colonia marina nel dopoguerra. Oltre il nuraghe, verso l’interno, sorgono numerose abitazioni, molte seconde case per le vacanze e molte residenze stabili. Un vero insediamento costiero. Alle spalle del compendio e tutto attorno ad esso si distribuisce linearmente, da Cagliari a Villasimius, la città del turismo del meridione sardo. Il compendio è oggi un luogo abbandonato e inospitale e questa condizione di decadenza dei luoghi ha fatto si che l’Agenzia regionale Conservatoria delle Coste della Sardegna che nel 2010 bandisse un concorso di idee per la sua riqualificazione, e dello stesso concorso è utile citare la proposta dal titolo “Passavamo sulla terra leggeri” 6 che rappresenta al meglio quanto si intenda per nuova forma turistica. Attraverso interventi reversibili si insediano funzioni leggere di supporto alla zona turistica circostante (servizi alla balneazione), all'ambito urbano di Quartu e di Cagliari (attività culturali), all'ambito territoriale costiero (Centri documentali sull'insediamento nuragico, sul sistema delle Torri costiere, sul sistema della Linea di difesa a Mare), di educazione ambientale e apprendimento e conoscenza delle dinamiche naturali costiere. Il progetto consente la generazione di alcuni servizi assenti nel territorio, quali spazi d’ombra, un’area di ristoro e semplici servizi alla balneazione sotto forma di spazi riparati che permettono a singoli, famiglie o a gruppi di trascorrere una giornata al mare. In questo modo si migliora la qualità d'uso della spiaggia e si innesca un generale processo di riappropriazione da parte della società locale. Lo scopo finale è quello di favorire la presa di coscienza del luogo da parte di uno strato più ampio di popolazione e in un ambito geografico più vasto, anche usando funzioni culturali, implementate destinando uno degli spazi reversibili ad una piccola sala conferenze. Il principio è quindi la generazione di servizi, qualitativamente elevati ed utili al territorio e non solo al turista. Altra discontinuità è la gestione complessiva del compendio, né pubblica, né privata, ma collettiva, e questo è stato fatto con lo scopo di ribaltare la situazione di degrado e abbandono dei luoghi, ormai considerati terra di nessuno, nonostante siano pubbliche e quindi di tutti. La gestione dell’area è quindi affidata ad un comitato, soggetto collettivo composto dalla società locale7, che si occupa di rendere fruibili gli spazi e di gestire le attività e le varie funzioni, garantendo la pulizia dei luoghi, regolando e controllando l’uso corretto degli spazi a terra e a mare e si occupa di reinvestire tutti guadagni. La proprietà rimane pubblica, ma l’insieme dei beni ambientali e storico-archeologici del compendio sono affidati al collettivo in comodato oneroso, cui corrisponde non un pagamento in denaro ma uno o più servizi: in questo caso la tutela e la conservazione dell’insieme dei beni.
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Capogruppo Vector17 (Francesco Spanedda, Narciso Revenoldi), Collaboratori: Massimiliano Campus, Paola Addis, Roberto Senes, Consulenti: Mariolina Marras (paesaggio), Francesca Bua (Archeologia), Alessandro Muscas (Geologia), Giuseppe Onni (programmazione), Favaro & Milan (Strutture) Un rappresentante della Conservatoria (membri permanenti), più due membri elettivi: un rappresentante del Comune di Quartu Sant’Elena e un rappresentante delle imprese operanti sul sito. In caso di decisioni importanti riguardanti la gestione delle strutture come ad esempio i cambi di fase il comitato potrebbe ampliarsi e esprimersi in forma allargata, inserendo altre due figure: un docente universitario con competenze in materia di paesaggio o di ricerca archeologica e un rappresentante della Provincia di Cagliari, con lo scopo di raggiungere obiettivi di eccellenza in materia di ricerca e di qualità nella capacità di rintracciare fonti di finanziamento europee e non solo.
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Figura 3: Il compendio di Is Mortorius
Conclusioni Occorre allora partire da questi semplici concetti: la forma turistica proposta è leggera, conduce ad esperienze di relazione tra turisti e società locale, è poco invasiva (in quanto non ha senso saturare ulteriormente gli spazi del territorio) e correttamente inserita nel contesto e, infine, cerca di rappresentare un bene comune tra turista e società locale. La struttura si configura allora come una 'forma turistica non preordinata', si rigenera grazie alla costante possibilità di creare condizioni ottimali alla vulnerabilità reciproca tra ospite ed ospitante, permettendo la generazione di un tessuto sociale coeso, che consenta il 'superamento dell’individualizzazione' tipica dei villaggi turistici attraverso l’opportunità di effettuare un esperienza di socialità in un contesto diverso da quello quotidiano, aprendo scenari molto interessanti. Innanzitutto la generazione di nuove relazioni consente l’instaurarsi di un nuovo tessuto sociale. La relazione tra turista e società locale può diventare un momento importante del processo turistico. È per questo che una forma turistica alternativa deve cercare di favorire il contatto sociale. Il territorio, gli spazi turistici, sono direttamente Giuseppe Onni
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interessati da questo confronto, che deve essere diretto e senza interposizioni per re-innescare processi di urbanità. La forma turistica riveste quindi un’importanza reale sui contesti a bassa densità, generalmente marginali e carenti di servizi. I pochi presenti non garantiscono le stesse condizioni di urbanità di territori più densamente popolati. Ragionare solo sul turismo come forma di economia in questo tipo di territori, come lo sono spesso quelli sardi, richiede sempre e solo nuovi alberghi o resort, mentre pensare al turismo come occasione per fornire servizi rivolti al turista e alla società locale significa non solo intervenire sul turista ma anche generare ricadute positive sul territorio ospitante e migliorarne la qualità delle vita. Avere un servizio in questi territori significa consentire a chi vive in quei luoghi la garanzia di un più facile accesso a beni di cui si può disporre solo a distanze ragguardevoli. Significa, quindi, costruire urbanità, aumentare le opportunità e la qualità della vita, raggiungere forme di equità territoriale. Significa produrre anche un nuovo senso del luogo: da un lato, grazie alla possibilità di avere un servizio di qualità, la società locale non è costretta a cercare altrove il proprio benessere e si riappropria dei propri luoghi, dall’altro il turista trova quell’autenticità esistenziale, fondamento nelle motivazioni di viaggio. Si ottiene in contemporanea un’appropriazione e una ri-appropriazione dei luoghi da parte dei due soggetti, su uno spazio condiviso. Si produce un nuovo luogo.
Bibliografia
Bandinu B. (2006), Pastoralismo in Sardegna: cultura e identità di un popolo, Zonza, Sestu. Boggio F. (1978), Il turismo in Sardegna. Considerazioni geografiche, Studi di economia, Università di Cagliari, vol. IX, n. 1/2/3. Cagliari. Brandis P., Scanu G. (2001), La Sardegna nel Mediterraneo. L’importanza economica del turismo oggi, Patron Editore, Bologna. Cannaos C., Onni G (2012), The tip of the iceberg. Tests of indirect measures of tourism in Alghero, in (a cura di) Campagna M., De Montis A., Isola F., Lai S., Pira C., Zoppi C., Planning Support Tools: Policy Analysis, Implementation and Evaluation. Proceedings of the Seventh International Conference on Informatics and Urban and Regional Planning INPUT2012, Franco Angeli, Milano. Cappai A., Alvarez I., Minchilli M. (2012), “Identification and georeferencing of second homes: a planning support in the Sardinian coastal municipalities”, in (a cura di) Campagna M., De Montis A., Isola F., Lai S., Pira C., Zoppi C., Planning Support Tools: Policy Analysis, Implementation and Evaluation. Proceedings of the Seventh International Conference on Informatics and Urban and Regional Planning INPUT2012, Franco Angeli, Milano. Onni G. (2009), “L’albergo diffuso del Montiferru”, in (a cura di) A. Calcagno Maniglio Paesaggio costiero, sviluppo turistico sostenibile, Gangemi, Roma Price R. L. (1983), Una geografia del turismo: paesaggio e insediamenti umani in Sardegna, Formez, Cagliari. Serreli S. (2004), Dimensioni plurali della città ambientale. Prospettive d'integrazione ambientale nel progetto del territorio, Franco Angeli, Milano. Sistu G. (2008), Immaginario collettivo e identità locale. La valorizzazione turistica del patrimonio culturale fra Tunisia e Sardegna, Franco Angeli. Usai S., Cao D. (2002), “L'impatto economico del turismo in Sardegna”, in (a cura di Paci R. e Usai S.) L'ultima Spiaggia, Turismo, sostenibilità ambientale e crescita in Sardegna, CUEC, Cagliari.
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Territori violati e abbandonati: una sfida per il progetto di riqualificazione urbana
Territori violati e abbandonati: una sfida per il progetto di riqualificazione urbana Giuliana Quattrone Consiglio Nazionale delle Ricerche c/o Università Mediterranea di Reggio Calabria Email: gquattrone@unirc.it Tel: 3937955284
Abstract L’ossessione della produttività e lo sfruttamento incontrollato del territorio, nel recente passato, hanno prodotto la nascita di diverse “cattedrali nel deserto”, ovvero infrastrutture industriali oggi abbandonate. Il riuso di questi spazi pubblici “violati” e “deprivati”, riproponendo un sano equilibrio ambientale, come base di qualsiasi azione di trasformazione, deve essere finalizzato ad attrarre nuovi abitanti e a dare nuova produttività ai luoghi. Il progetto urbanistico si trova di fronte a una sfida importante per questi territori: ristrutturare l’equilibrio naturale e invertire l’abuso prodotto dall’uomo, ma anche recuperare una memoria che non può cancellare le tracce che sono state prodotte in questi ambienti deteriorati, dove le rovine dei paesaggi deturpati permettono di prendere coscienza, agendo come un monito che ricorda alle generazioni future il rischio di un atteggiamento incosciente nei riguardi dell’ambiente. Il paper presenta alcuni casi studio, in Calabria - territori a forte valenza paesistica, vittime di scelte politiche sbagliate - che sono stati oggetto, nel passato, di localizzazione di grandi infrastrutture destinate all’industrializzazione del territorio, e che oggi sono aree di archeologia industriale oggetto di studi e concorsi di idee per la riqualificazione dei territori interessati. Parole chiave paesaggio, identità, pianificazione
Il recupero delle aree industriali dismesse La riqualificazione delle aree industriali dismesse e il restauro conservativo del patrimonio industriale incontra diversi problemi per l'estrema varietà delle tipologie, per gli interessi economici in gioco, per la riappropriazione da parte della popolazione dei territori interessati, per i valori storico-culturali, tecnologici, di memorie individuali e collettive insite in questi territori, per le spinte speculative. Nel quadro dei processi di ristrutturazione delle economie locali, la monumentalizzazione e la museificazione di tali territori rappresenta una risposta soltanto parziale a tali problemi, perché rischierebbe l’effetto di banalizzazione di paesaggi fragili che necessitano un progetto di connessione con le altre polarità territoriali e un approccio integrato e sostenibile complementare alle risorse territoriali. Occorre piuttosto avviare un processo di ri-territorializzazione attraverso pratiche socialmente condivise di assegnazione di nuovi significati e nuovi valori al patrimonio industriale, in modo tale da recuperare, inoltre, i legami con le proprie preesistenze e con le altre componenti territoriali. A maggior ragione nel caso di aree mai entrate in produzione dove il valore della memoria storica legata all’attività produttiva e alle ricadute sul territorio non esiste e si contano solo le esternalità e gli impatti negativi di impianti e grosse infrastrutture che hanno deluso le speranze e le aspettative sociali di una infrastrutturazione industriale che oggi, ormai fatiscente, è quasi un fardello che costerebbe di più restaurarla per farla entrare in produzione destinandola all’obiettivo originario che non eliminarla definitivamente. Quindi il problema del riutilizzo e della valorizzazione del patrimonio industriale si connette ampiamente con la rigenerazione dei territori che richiedono organiche riprogettazioni in un’ottica strategica di riscatto dal sottosviluppo e dalla marginalità in cui versano e di costruzione di partenariati tra pubblico e privato. Un’importanza cruciale la rivestono le pubbliche amministrazioni, che intendono utilizzare le aree dismesse per reperire servizi, spazi e funzioni per la collettività realizzando spazi verdi, attrezzature collettive, infrastrutture, ecc., cioè puntando su un recupero fisico e funzionale degli spazi degradati e mai utilizzati e adottando politiche territoriali che mirino a Giuliana Quattrone
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Territori violati e abbandonati: una sfida per il progetto di riqualificazione urbana
connettere il significato e i destini del patrimonio industriale ai processi contemporanei di sviluppo locale, economico e sociale. Ciò significa passare da politiche di mera attribuzione di funzioni (destinazioni d’uso) a una visione strategica e competitiva del patrimonio industriale. Più complesso è il caso di siti archeologici industriali che hanno esercitato una specifica funzione produttiva nel passato generando economie e che oggi sono ormai in disuso e attendono una riconversione. Gli scheletri industriali in questi territori dovrebbero divenire centri di riferimento molto importante, restituendoli a funzioni sociali moderne ad alto livello. Inoltre dovrebbero essere connessi a centri nuovi per dare la sensazione di continuità fra passato e presente e, dunque costituire uno spessore storico. La riappropriazione del passato dovrebbe connettersi con la riappropriazione del presente, legando le due operazioni e dando indirizzi agli interventi attuali con coscienza storica e con la partecipazione degli abitanti. Il declino di questi territori è dunque in alcuni casi derivante da scelte politiche sbagliate che hanno permesso di fare violenza su territori a forte valenza paesaggistica decretandone il degrado, in altri casi dipende dall’utilizzo a fini industriali di territori formati da ecosistemi fragili che registrano perdita di biodiversità e naturalità. Nel primo caso il progetto di rigenerazione deve seguire un’ottica che punti al recupero delle valenze latenti e alla reinterpretazione del ruolo del territorio, nel secondo caso bisogna puntare in primo luogo su operazioni di bonifica, sul ripristino di equilibri ambientali compromessi, sul mantenimento e sulla promozione delle biodiversità. Poi occorre definire una modalità integrata di progetto per rilanciare l’attrattività di questi territori e promuoverne una crescita sostenibile. Tra i casi di archeologia industriale calabresi vengono presi in considerazione due poli industriali, uno mai entrato in produzione, Saline Joniche, e l’altro chiuso alla produzione negli anni ’90, Crotone, entrambi interessano aree vaste di particolare valenza paesaggistica, localizzate a ridosso di territori che dal punto di vista culturale possono contribuire a essere leva per lo sviluppo (borgo di Pentidattilo, Antica Kroton) con azioni mirate di interterritorialità, entrambi si avviano a proposte progettuali di riqualificazione strategica tese a contrastare i fenomeni di marginalizzazione con modalità e procedure differenti (concorso d’idee, piani e studi di fattibilità, ecc.). La lettura di questi scenari può costituire uno stimolo per visioni complesse .
Il caso dell’ex polo industriale di Saline Joniche La vicenda del polo industriale di Saline Ioniche comincia negli anni ’70 e vede alterne vicende. La filosofia governativa centrale di quegli anni è quella di avviare nel territorio reggino un piano di sviluppo economico con l’insediamento di apparati produttivi di grandi dimensioni in riscatto alla perdita del capoluogo. Viene così costruito lo stabilimento della Liquichimica nell’area di Saline Ioniche, con l’intento di dare lavoro a circa mille persone e rilanciare l’economia del territorio. La fabbrica che nasce specificatamente per la produzione di bioproteine, ultimata nel 1974, viene subito sospesa per decisione del Ministero dell’Ambiente in quanto le bioproteine sono pericolose per la salute perché contengono agenti cancerogeni. Nel 1997 il Consorzio Sipi (Saline Ioniche Progetto Integrato), costituito da imprenditori locali, rileva all’asta gli impianti e i terreni ex Enichem con l’obiettivo di rottamare il ferro e l’acciaio degli impianti e rivendere il terreno. Nel 2006, l’impresa svizzera Sei SpA (Società Energia Saline) acquista dalla SIPI una parte dell’area dove sorge l’ex Liquichimica, per la realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone di ultima generazione con raffreddamento ad acqua di mare. L'impianto è concepito in modo tale da poter sfruttare anche le biomasse provenienti dal territorio. Il progetto della Seis, finanziato da capitali privati, oltre alla creazione di occupazione (1000 posti) prevede il recupero delle opere infrastrutturali abbandonate (riqualificazione del porto, viabilità, ecc.). Visto che l’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica è vietato dal Piano energetico regionale e che è nocivo alla salute per le emissioni di CO2, e altre sostanze altamente cancerogene, il progetto, viene fortemente combattuto dalle associazioni ambientaliste ma anche dagli Enti Locali come i diversi comuni dell’area, la Provincia e la Regione, che chiede alla Sei la sospensione dell’iter amministrativo che viene interrotto nel 2008. Nel 2012 la Presidenza del Consiglio dei Ministri firma il Decreto di V.I.A. per il progetto di Saline. Considerando che l’area si caratterizza anche per gli interessanti ecosistemi naturali come l’Oasi faunistica dei laghetti del Pantano, la fiumara Sant’Elia, le Saline, il torrente Falcone, il monte Pentidattilo, la zona collinare con le tipiche produzioni a bergamotteti, le aree boscate, il borgo antico di Pentidattilo caratterizzato dalle tipiche costruzioni in pietra locale, ecc., ecc., nello stesso anno, l’Amministrazione provinciale indice un concorso internazionale d’idee per la riqualificazione del waterfront e la realizzazione di un parco naturale antropico. Il bando interessa un’area di progetto di 90 ettari e raccomanda di considerare cinque elementi costituenti il paesaggio dell’area e su questi improntare un progetto di paesaggio sostenibile in un unicum di relazioni con l’intorno. Gli elementi da considerare sono: i relitti dell’infrastrutturazione industriale consistenti negli enormi silos della Liquichimica. Giuliana Quattrone
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il porto, oramai in parte insabbiato, con una superficie di mq. 137.000 e con un molo di sottoflutto a due bracci di 750 m e una darsena con fondali di 8 m. le officine grandi riparazioni dismesse, il cui impianto copre un'area di circa 10 ettari ed è collegato alla stazione ferroviaria di Saline Joniche mediante un lungo cavalcavia. In passato questo stabilimento, costretto a chiudere per mancanza di commesse, era tra i più moderni e tecnologicamente avanzati delle FS si occupava delle riparazioni di macchine motrici elettriche. il relitto della nave di carico “Laura C”, un mercantile militare di 163 metri di lunghezza e oltre 6000 tonnellate di stazza che nel 1914 si arena nelle acque di Saline dopo essere stata silurata da un sommergibile inglese. Una grande nave sprofondata ormai fusa perfettamente con l’ambiente marino. L’area protetta dei Pantani, depressione retrodunale, che rappresenta l’unica zona umida della provincia di Reggio Calabria, “Oasi di protezione della fauna selvatica”, L. R. n. 7/2001 e zona SIC “Saline Joniche” Il progetto vincitore si distingue per aver privilegiato un’impostazione paesistica di ripristino ambientale attorno al tema dominante dell’acqua. Così propone di ripristinare il paesaggio acquatico della salina con una conformazione simile a quella originaria. L’intervento vuole portare in superficie le aree umide creando un nuovo paesaggio che rigenererà l’area sovrapponendosi al rivestimento industriale dell’ex Liquichimica ma generando un nuovo equilibrio naturale che insieme alla riemersione del tracciato delle fiumare (con un nuovo sistema di invasi di espansione) si qualifica come l’elemento ordinatore del disegno del parco naturale antropico e l’elemento centrale della strategia di sostenibilità ecologica del progetto. Coniugando la filosofia della sostenibilità il progetto prevede, altresì, di riutilizzare lo stabilimento delle officine grandi riparazioni nel breve termine per realizzare processi di decontaminazione e rigenerazione del terreno inquinato da reimpiegare, mentre nel lungo termine come Centro di riferimento internazionale dedicato alla ricerca e al recupero dei paesaggi. All’esterno, nell’area di pertinenza prevede di dar forma al “giardino infinito”, un vivaio con 5.600 alberi in stretta relazione con la struttura delle OGR, mentre la linea ferroviaria di servizio ad essa si prevede di trasformarla in una linea vegetale. Il porto e la zona adiacente alla foce del fiume viene concepito come un paesaggio di dune con la crescita di una vegetazione acquatica e lo sviluppo di una fauna collegata alla rigenerazione dell’ambiente naturale. Il processo di rigenerazione dell’area secondo quanto previsto dal progetto vincitore dovrà avvenire naturalmente nel tempo, garantendo la sostenibilità, la gestione efficiente dell’acqua, l’efficienza energetica ambientale e tecnologica, e si verrà a creare complessivamente un vero e proprio parco scientifico proiettato alla produzione, ricerca e divulgazione dove sperimentare innovativi processi naturali per ri-naturalizzare i territori abbandonati. Viene previsto inoltre di costruire relazioni con l’intorno, costituito dal borgo di Pentidattilo, nell’ottica di attivare un turismo solidale e sfruttarne l’abitato come albergo diffuso, nonchè creare nel borgo un Centro internazionale per il dialogo tra i popoli.
Figura 1-2-3 Immagini del paesaggio di Saline Joniche
Il caso dell’’ex polo industriale di Crotone Il processo di industrializzazione del crotonese comincia negli anni ’20 con l’entrata in funzione del polo industriale di Crotone che (con gli stabilimenti della Pertusola Sud, Montecatini e Cellulosa Calabra) è stato il polo industriale più rilevante della regione, per oltre 70 anni. Il primo stabilimento insediatosi nel polo, la Pertusola Sud, era specializzato nella produzione di zinco elettrolitico, e ben presto si consacrò il maggior polo produttivo di zinco italiano. La sua fortuna dipese in larga massima dai vantaggi localizzativi che offriva l’area d’insediamento per l’ampia offerta di energia a basso costo, derivante dagli impianti idroelettrici della Sila, e la presenza dell’infrastruttura portuale che risultava indispensabile per il rifornimento dei minerali e per lo sbocco della produzione. Lo stabilimento della Montecatini, specializzato nella produzione di concimi e fertilizzanti azotati per l‟ agricoltura, oltre a godere degli stessi vantaggi localizzativi poteva sfruttare l’acido solforico che la Pertusola
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Sud otteneva come sottoprodotto dalla fusione dello zinco utilizzandolo come input primario nella produzione di concimi chimici. Le due aziende che nel 1970 occupavano circa 2.000 addetti erano corraborate da un indotto di numerose piccole imprese locali, connesse alle lavorazioni delle grandi fabbriche, prevalentemente di trasporti, meccanica e manutenzione degli impianti, all’interno delle quali erano occupati centinaia di lavoratori. Nel 1973 all’interno del polo industriale naque la fabbrica la Cellulosa Calabra, specializzata nella produzione di pasta semichimica per carta che si attestò in breve tempo come la più importante fabbrica italiana del settore e l’unica nel Mezzogiorno. Purtroppo a partire dagli anni ‘80 iniziò un lento declino per il polo industriale di Crotone che, dopo una serie di tentativi di ristrutturazioni aziendali, e la conversione di tutte e tre le realtà produttive (Pertusola Sud, Montecatini e la Cellulosa Calabra) in aziende pubbliche, fece ritenere opportuno la chiusura definitiva del polo industriale verso la fine degli anni ‘90. La dismissione del polo chimico ha lasciato una pesante eredità in termini di problematiche economiche, sociali ma soprattutto ambientali che fanno ritenere urgenti opere di bonifica dei siti, oltre che interventi per non disperdere l’importante patrimonio di archeologia industriale, identità e memoria. Per il polo crotonese viene messo a punto un progetto integrato di sviluppo strategico da parte del Consorzio di Ricerca e Sviluppo Arethusa che parte dall’idea del recupero, della fruizione e valorizzazione del sito dell'Antica Kroton nella zona ex Montedison. L'ipotesi progettuale prevede il ripristino delle condizioni ambientali preesistenti con la sistemazione e rinaturalizzazione del waterfront, l’individuazione e valorizzazione dell'area archeologica dell'antica città di Kroton, nonché il recupero e riuso delle qualità edilizie del nucleo industriale e la bonifica di tutta l’area dell’ex polo industriale, per fare in modo che, una volta recuperato, possa diventare un polo di attrazione turistica internazionale. L’obiettivo del progetto, che dovrà attuarsi con la collaborazione di una rete istituzionale di attori, è quello di ricostruire la continuità di paesaggio e fruizione lungo la costa fino al centro storico, ed offrire nuove occasioni di sviluppo economico attraverso il riuso delle archeologie industriali e l’inserimento graduale di nuove architetture leggere. Si punta a una valorizzazione integrata del patrimonio ambientale, storico, archeologico ed architettonico, riqualificando nel contempo il tessuto urbanistico, in modo da rilanciare l’immagine e la fruizione del capitale territoriale della città di Crotone e dell’intera provincia. Più nel dettaglio il progetto interessa un’area estesa su 80 ettari di territorio a ridosso della città che va dalla congiunzione tra il porto vecchio e quello nuovo. Come già detto oltre alla bonifica del sito industriale dismesso ex Pertusola sud e alla riconversione al restauro e alla valorizzazione del poderoso patrimonio archeologico industriale, il progetto prevede anche il recupero e la valorizzazione del sito archeologico “Antica Kroton”. La filosofia del progetto è quella di incentivare lo sviluppo turistico, ricettivo e produttivo locale in chiave strettamente collegata al grande patrimonio culturale e naturale esistente, costruendo una "Infrastruttura attrattiva" capace di generare un flusso costante di visitatori nazionali ed internazionali (un "Grande Itinerario di visita"), fisicamente percorribile e fruibile in 4/5 giorni - secondo il modello innovativo dello Slow Tour - che raccorderà in maniera integrata e affascinante le grandiose emergenze archeologiche, naturali e paesistiche ed una serie di poli di interesse scientifico, artistico e culturali (alcuni dei quali già presenti ed altri in fase di realizzazione) quali il MAC, il Distretto Tecnologico dei Beni Culturali, Il Polo per l’Innovazione delle Energie Rinnovabili, l’Osservatorio europeo sull’ambiente marino e il Centro di Educazione Ambientale Marino, il polo residenziale dell’Alta Formazione, un incubatore per le piccole e medie imprese, la rinaturalizzazione di parte del territorio, il parco fluviale dell’Esaro, la rivalorizzazione del porto per la nautica, nell’intento di creare un luogo cerniera dal punto di vista fisico e simbolico tra le spinte urbane del centro città, l’area industriale e il centro storico, direttamente sul mare e in tal modo ricostruire il rapporto della città col mare in passato a volte troppo spesso paesaggisticamente banalizzato.
Figure 4. e 5. Immagini del paesaggio industriale crotonese
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Considerazioni conclusive La situazione calabrese è emblematica di un’ idea di sviluppo industriale che, sia nel caso in cui è stata completamente disattesa nel corso degli anni (Saline Joniche), che nel caso in cui è stata interessata da un iter discendente di declino industriale (Crotone), ha determinato il blocco decennale di intere aree del territorio, le quali, destinate ad insediamenti industriali non hanno potuto, ed ancora oggi non possono, procedere verso la loro naturale evoluzione fatta di iniziative sostenibili e condivise. Oggi, dopo anni di passività, affiora la preoccupazione della trasmissione della memoria che è uno degli obiettivi dell’archeologia industriale, e che va fatto con un’ azione di tutela del patrimonio, attuando interventi mirati a conservare il più possibile integro il sistema dei mezzi di produzione con i suoi fabbricati e, dall'altro, trovando funzioni da insediare negli edifici restaurati, capaci di stimolarne una nuova fruizione senza per altro cancellare le tracce di quella originaria. Ma se gli investimenti necessari a una qualsivoglia operazione di restauro non hanno un ritorno economico difficilmente questa potrà risultare duratura, per cui occorre trovare nuovi usi di paesaggio che completino l’azione di tutela di quelle permanenze archeologico-industriali che ancora possono costituire sia segni e simboli dell’identità locale che elementi strutturanti il progetto di riqualificazione paesistica ed ambientale. Occorre cioè attivare processi di ri-territorializzazione, attraverso pratiche socialmente condivise di assegnazione di nuovi significati e nuovi valori al patrimonio industriale, ma anche attraverso la costruzione di reti di partnership che consentano di percorrere una strada economicamente praticabile. Le aree dismesse industriali potrebbero diventare luoghi strategici e in questo senso vanno i due casi calabresi scelti ad esempio. Saline Joniche da “terra di nessuno” vuole diventare “spazio di tutti” con un’idea progettuale che consenta la riappropriazione tangibile dello spazio da parte delle comunità. Crotone con la proposta progettuale di riconversione dell’area in servizi terziari cerca di determinare una nuova forma di città. Sono due proposte di trasformazioni strutturali importanti che portano a nuovi processi non solo produttivi e/o economici ma anche risocializzanti e di nuova identità del territorio.
Bibliografia di riferimento
Bianchetti D.(1985), "Aree industriali dismesse, primi percorsi di ricerca'" in Urbanistica n.81. Dansero E., Giamo C, Spaziante A. (2000), Se i vuoti si riempiono. Aree industriali dismesse: temi e ricerche. Alinea, Firenze Gregotti V.(1990), "Aree dismesse: un primo bilancio" in Casabella n. 564. Indovina, F.(1997), "Vuoti... Molto pieni", in Archivio di studi urbani e regionali, n.58. Longhi G.(1989), "Deindustrializzazione e riconversione urbana" in Recuperare n. 43. Provincia di Reggio Calabria Saline concorso di idee per la riqualificazione del waterfront d i saline joniche e la realizzazione di un parco naturale antropico, Arti grafiche Iiriti Regione Calabria Piani regionali dei Musei, delle Aree e dei Parchi Archeologici degli Edifici Storici e di Pregio Architettonico dei Castelli e delle Fortificazioni Militari delle Aree e delle Strutture di Archeologia Industriale della Calabria.
Sitografia
Bando del concorso di idee per la riqualificazione del waterfront d i saline joniche e la realizzazione di un parco naturale antropico - linee guida disponibile su Provincia di Reggio Calabria- sezione bandi http://pnasaline.provincia.rc.it www.provincia.rc.it
Giuliana Quattrone
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino Stefania Staniscia Università degli Studi di Trento DICAM - Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica Email: stefania.staniscia@ing.unitn.it
Abstract In un periodo di crisi di risorse ambientali ed economiche come l'attuale, lo spazio pubblico, che coincide quasi sempre con lo spazio del progetto di paesaggio, pur mantenendo un ruolo centrale nell'ambito delle politiche territoriali, non può che essere pensato secondo presupposti di sostenibilità. Nel paper si presentano gli otto scenari per il futuro paesaggio del Trentino prodotti nell'ambito di una ricerca universitaria sull'evoluzione del paesaggio provinciale. Si tratta di visioni di futuro che si configurano a partire da alcuni temi considerati significativi perché assecondano tendenze di cambiamento da incentivare e/o ne invertono altre da frenare. Partendo dalle potenzialità, più o meno latenti, del territorio sono stati sviluppati gli scenari che propongono una struttura spaziale dalla gestione flessibile. «It is the fabrication of potentials rather than master plans, resourcing versus re-solving» (Jane Amidon). Parole chiave Paesaggio, scenari, progetto In un recente articolo, Michel Desvigne – paesaggista riconosciuto internazionalmente e Grand Prix de l'urbanisme nel 2011 – con molta efficacia tratteggia l'unica possibile strada per il paesaggismo e l'urbanistica in questo «clima de final de época» (2012: 8) facendo emergere tutto il valore aggiunto di un'operatività che è costretta a muoversi tra risorse ambientali e finanziarie estremamente limitate. L'impossibilità economica di realizzare grandi progetti iconici sposta l'attenzione su progetti territoriali collettivi e sostenibili, su visioni che anticipano il futuro e che possono essere costruite con piccole anticipazioni di modesta entità. Questa condizione di precarietà può, però, produrre interventi durevoli proprio grazie all'indeterminatezza che li rende aperti ad accogliere qualsiasi trasformazione futura. Gli interventi sulla città contemporanea, sostiene l'autore, consistono di successivi aggiustamenti e piccole addizioni che si inscrivono in un arco di tempo molto lungo che rende precario il ruolo dell'urbanista, una condizione, questa, che va positivamente considerata perché induce il professionista ad assumere nel proprio lavoro l'idea di incompletezza che «revela una voluntad de coherencia, la voluntad de transformar los territorios en consonancia con lo que se construye ahí, con las practicas que se desarrollan en ese lugar» (2012: 12). Desvigne definisce questo un atteggiamento di «optimismo prudente» (2012: 8) che, si ritiene, corrisponda appieno allo spirito che ha guidato la riflessione sul progetto di territorio e di paesaggio che viene qui presentata.
Otto scenari Il lavoro di ricerca1 – del quale viene presentato l'approccio al progetto di paesaggio – viene articolato in fasi che corrispondono a due grandi blocchi. Il primo corrisponde alla costruzione dei quadri conoscitivi; il secondo, sulla base dei risultati emersi dalla fase analitica, consiste nella definizione di otto futuri scenari. 1
La ricerca "Analisi dell'evoluzione del paesaggio trentino" è stata eseguita con il contributo della Provincia Autonoma di Trento. È stata commissionata nel 2011 dalla Provincia Autonoma di Trento – Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio – alla Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Trento. Coordinatore scientifico del lavoro Prof. G. Scaglione; responsabile per la Facoltà Prof. M. Tubino (Preside); supervisori scientifici Prof. G. Cacciaguerra e Prof. C. Diamantini. Componenti del gruppo di ricerca: assegnista di ricerca PhD Arch. S. Staniscia – segreteria scientifica e coordinamento operativo –, assegnista di ricerca PhD Arch. C. Rizzi, PhD Arch. M. Malossini, PhD Arch. R. Nicchia, PhD Arch. M. Parrilli, Phd Candidate Arch. T. Demetz, PhD Candidate P. Picchi, Arch. V. Cribari. L'avvio del lavoro di ricerca è documentato in ALPS Dossier n. 1 del 2011 a cura di Giuseppe Scaglione. I primi risultati di questo lavoro sono stati già discussi in occasione della XV Conferenza Nazionale SIU Società Italiana degli Urbanisti "L'Urbanistica che cambia.
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
Si tratta di visioni auspicabili di futuro da attuare su territorio provinciale e che si configurano a partire da alcuni temi considerati significativi perché assecondano tendenze di cambiamento da incentivare e/o ne invertono altre da frenare. A ogni scenario viene associata una selezione, più o meno ampia, di strategie utili alla sua implementazione. I singoli scenari, benché autonomi, sono sovrapponibili e compatibili; su uno stesso ambito è, infatti, auspicabile che ne venga attuato più di uno, adottando misure che sono complementari e non esclusive. Gli otto temi emersi dalla fase conoscitiva coprono l'intera gamma dei territori: da quelli maggiormente antropizzati – i centri urbani, le aree industriali, i sistemi infrastrutturali – a quelli in cui è evidente l'interrelazione tra il lavoro dell'uomo e la configurazione del paesaggio – le aree agricole, il sistema idrografico – fino a quelli a elevata naturalità – le alte terre – e danno luogo ad altrettante figure di futuri paesaggi che si caratterizzano per la scala della prefigurazione e per la coerenza con le indicazioni del Piano Urbanistico Provinciale (PUP) che, attraverso le “Linee guida per la pianificazione relative alla Carta del Paesaggio”, offre indicazioni specifiche per la pianificazione dei “sistemi complessi di paesaggio”.
‛Urbanscape’ - Il paesaggio degli insediamenti recenti Le zone insediative sulle quali l’intervento deve concentrarsi, sono quelle dell’ultima urbanizzazione indifferenziata, le aree peri-urbane del costruito recente spesso di scarsa qualità. È stato necessario, innanzitutto, definirle – in assenza di una definizione condivisa che ne descriva le caratteristiche specifiche – identificarle e perimetrarle. Il criterio utilizzato per il loro riconoscimento è stato quello della densità di edifici. Sono state considerate frangia urbana le zone che presentano da tre a tredici edifici per ettaro. Sono stati ovviamente esclusi i nuclei storici, le zone urbane consolidate, che a volte possono essere caratterizzate da tessuti meno densi, e tutti quegli insediamenti che non presentano caratteristiche di forte urbanizzazione quali, ad esempio, i nuclei rurali e i centri di alta quota. Si è, inoltre, ritenuto necessario portare avanti una riflessione progettuale sulle aree rururbane, ossia quelle che definiscono, spesso in forma ambigua, il rapporto tra la città e i territori extra-urbani, un rapporto compromesso che può e deve ricomporsi. A partire dai perimetri delle aree di frangia è stato circoscritto, attraverso un buffer, quel territorio intermedio che ha perso, nel tempo, i suoi connotati specifici caratterizzati dalla tipica sequenza paesaggistica centro abitato - campagna - bosco - alpe. È affidato alle attività agricole il compito di ricomporre la relazione tra urbano ed extra-urbano nell'ambito delle cosiddette aree di frangia. Nei contesti prevalentemente montani questo avviene attraverso la reinterpretazione del paesaggio del 2 3 prato stabile e la re-immissione delle superfici degli incolti vegetati in un nuovo ciclo produttivo. Nei nuclei di fondovalle, invece, è compito dell’orticoltura urbana, gestita spontaneamente o a opera di associazioni e comitati di quartiere, qualificare gli spazi aperti e meglio definire il confine tra urbano e rurale. Le zone rururbane, così ripensate, fungono anche da tessuto connettivo dei nuclei sparsi che tendono a saldarsi attraverso filamenti che si sviluppano lungo il sistema viario. A questi spazi intermedi viene, quindi, affidata la funzione di creare nuove gerarchie e nuove regole per gli insediamenti recenti e futuri, diventando strumento di riorganizzazione del paesaggio e argine alla dispersione urbana.
‛Infrascape’ – Il paesaggio delle infrastrutture Quello dell'infrastrutturazione è un tema ineludibile in territori con una prevalenza di aree montane come quello trentino, ad essere precisi quello della provincia di Trento è considerato un territorio totalmente montano4. Già nel 1967 nel PUP di Giuseppe Samonà la realizzazione della "costellazione di città" – la visione strategica per il Trentino del futuro – passava per l'integrazione territoriale. Si puntava all'integrazione fisica attraverso il miglioramento delle infrastrutture di trasporto con uno sguardo particolare ai territori con maggior grado di marginalità. Si prevedevano il miglioramento delle reti stradali esistenti e la realizzazione di nuovi assi di collegamento, rappresentando questi interventi elementi fondamentali per lo sviluppo del territorio. Se è, quindi, impossibile immaginare per questo territorio un futuro a ridotto grado di infrastrutturazione è imprescindibile, proprio in riferimento al contesto in cui si interviene, una riflessione sul rapporto tra infrastrutture e paesaggio. Si è in presenza, infatti, di un territorio a elevato pregio naturalistico, sensibile ecologicamente e ad alta vulnerabilità. Lo scenario proposto opera, quindi, su due livelli: il progetto di nuove infrastrutture – di fatto già previste dal PUP vigente – e l'adeguamento e il riciclo di tratti esistenti. Nel primo caso sono stati pensati dispositivi progettuali tali da integrare il manufatto nel paesaggio che lo circonda; nel secondo caso si tratta, invece, di riconfigurare tratti di strade dismesse o declassate con forte valenza paesaggistica in dispositivi per la Rischi e valori". Il libro Staniscia S. (2012), Paesaggi diversi (?), LIStLab, Trento rappresenta la prima occasione in cui la ricerca è stata presentata seppur in modo mirato. Il volume non riporta i contenuti della ricerca e i suoi esiti ma descrive le modalità con le quali la stessa è stata sviluppata. 2 Denominazione dalla Carta dell'Uso del Suolo. 3 Denominazione dalla Carta dell'Uso del Suolo. 4 Fonte: ISTAT, IMONT (2007), Atlante statistico della montagna italiana, Istituto nazionale della montagna, Roma Stefania Staniscia
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
percezione e la presa di coscienza del paesaggio, in ‛stradepaesaggio’5. Gli strumenti proposti in questo caso sono mutuati dal visual landscape. Pensando, inoltre, alla fruizione lenta del paesaggio si ipotizza l'estensione della rete delle piste ciclabili attraverso il riuso delle linee ferroviarie dismesse dopo la prima e la seconda guerra mondiale.
‛Tourscape’ – Il paesaggio del turismo Molti sono gli ambiti turistici nei quali può scomporsi il territorio trentino. Alcuni di questi sono ambiti di turismo consolidato, altri presentano punti di forza che devono essere valorizzati per un’offerta di sistema, altri ancora insistono su territori molto eterogenei caratterizzati da un’offerta turistica minore ma molto varia. In ognuno di questi ambiti il paesaggio può e deve costituire non solo lo sfondo rispetto al quale si svolgono le attività turistiche bensì un generatore di valore aggiunto – le bellezze naturali e un territorio ben tutelato sono al primo posto come motivazione di viaggio –. Il ciclo di vita di molti prodotti turistici trentini è giunto oggi, nella maggior parte dei casi, alla maturità – si pensi ad esempio al turismo legato agli sport invernali – con il rischio di un possibile declino in assenza di azioni che rafforzino sia la qualità competitiva che l’integrazione dell'offerta. Lavorare sulla qualità competitiva significa, dal punto di vista dello scenario proposto, incidere sulla qualità del territorio e nello specifico del paesaggio. È la qualità del territorio e del paesaggio a diventare fattore trainante di flussi turistici, oltre che garanzia di benessere per i propri abitanti. È a partire da questo assunto che viene sviluppata la strategia che insiste sia sulle strutture insediative che sulla mobilità. I nuclei storici vengono proposti come centri per l’ospitalità diffusa. Si sviluppa un'ipotesi di riqualificazione e riconversione di quelle strutture che – pensate in altri periodi storici, per flussi turistici a elevata intensità e per una diversa tipologia di turista – sono oggi solo grandi contenitori, detrattori del paesaggio e dell’ambiente, oggetto di un inesorabile processo di degrado. Si studia la possibilità di introdurvi nuovi usi legati alle politiche di riduzione del pendolarismo e all'incentivazione del lavoro a Km 0. Lo scenario prevede, inoltre, l'implementazione di una mobilità a tre velocità: una veloce su ferro, una media, quella delle ‛stradepaesaggio’, e una lenta, quella delle piste ciclabili. (Fig. 1)
Figura 1. ‛Tourscape’
‛Agroscape’ – Il paesaggio rurale Il concetto di multifunzionalità in agricoltura è l'elemento cardine intorno a cui è costruito lo scenario. L'attività agricola – così come riconosciuto anche dalla PAC – oltre a fornire prodotti alimentari eroga servizi utili alla collettività; svolge funzioni ambientali, paesaggistiche, culturali, ricreative; fornisce, quindi, beni e servizi pubblici, esternalità positive che vanno dalla manutenzione e presidio del territorio, alla protezione dell’ambiente, alla conservazione del paesaggio, alla gestione delle risorse irrigue, al mantenimento e sviluppo del contesto rurale. La strategia per i paesaggi agrari passa attraverso tre linee di azione: la costituzione di tre 5
Si fa riferimento al libro Caravaggi L., Menichini S., Pavia R. (2005), Stradepaesaggi, Meltemi, Roma.
Stefania Staniscia
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
parchi; un nuovo sistema di connettività – piste ciclabili e strade del gusto –; interventi puntuali sul sistema dell’ospitalità e su alcune delle zone in cui è in atto un processo di rinaturalizzazione. La presenza di aree agricole di pregio, di sistemi di paesaggio di interesse rurale e di un'importante attività economica legata all’agricoltura lungo l’Adige, il Sarca e nella Val di Non, ha portato ad immaginare in queste regioni tre parchi agricoli strutturati a partire dalle specificità delle produzioni locali. Il nuovo sistema di connettività si struttura su due velocità, lenta e veloce. Nel primo caso si tratta di integrare i tratti di pista ciclabile già esistenti con nuovi tracciati che consentono di dare continuità agli itinerari che attraversano gli ambiti del turismo enogastronomico. Il secondo sistema proposto, quello delle strade del gusto, costituisce un tentativo di implementazione delle strade del vino e dei sapori esistenti. Questi nuovi itinerari attraversano i parchi agricoli e consentono una lettura integrata del contesto, il paesaggio viene associato al prodotto e la qualità del paesaggio diventa garanzia della qualità del prodotto e viceversa. Un’indagine sul numero delle strutture ricettive ha fatto emergere la presenza di aree a bassa o nulla densità. È, quindi, importante immaginare, collegati alla costituzione dei tre parchi agricoli e all'istituzione delle strade del gusto, nuovi cluster dell’ospitalità che costituiscono porte di accesso ai parchi, centri di educazione e di informazione legati alla produzione agricola. Si propongono, infine, attività che siano in 6 grado di contrastare la tendenza alla rinaturalizzazione attraverso l’incentivazione di alcune produzioni locali e della filiera corta. (Fig. 2)
Figura 2. ‛Agroscape’
‛Waterscape’ – Il paesaggio del sistema idrografico L'acqua e il sistema idrografico, una risorsa naturale fondamentale per i territori alpini, sono storicamente stati considerati unicamente secondo parametri legati alla messa in sicurezza del territorio e allo sfruttamento della risorsa idrica a fini industriali. Lo scenario proposto si preoccupa di invertire questa percezione e di innescare un cambio di prospettiva lavorando – anche in coerenza con gli indirizzi del Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche in vigore dal 2007 – su due fronti: al recupero e alla valorizzazione degli aspetti ambientali e di quelli paesaggistici. Se da un lato, quindi, si perseguono gli obiettivi di equilibrio ecosistemico in ambito fluviale e lacustre, dall'altro, lavorando sulle condizioni di accessibilità e di fruibilità delle sponde e delle rive – in particolare in ambito urbano – si propongono interventi che hanno la finalità di ricomporre il rapporto dei cittadini con l'acqua, in una fase storica negato. Lo strumento ipotizzato per attuare queste politiche è quello del parco. Lo scenario, anche assecondando una tendenza già in atto7, ipotizza la costituzione di parchi lungo le principali aste fluviali che svolgeranno un'azione di tutela e protezione e nello stesso tempo rappresenteranno dei dispositivi per la fruizione delle sponde fluviali a fini didattici, culturali e ludico-ricreativi.
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La rinaturalizzazione è dovuta per lo più all’abbandono colturale in sistemi insediati marginali, per la maggior parte si tratta di prati da sfalcio meno comodi e meno produttivi. 7 Si veda l'esperienza dei Parchi fluviali del Vanoi e del Chiese. Stefania Staniscia
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
‛Ecoscape’ – Il paesaggio della rigenerazione ecologica Questo scenario pone all’attenzione alcuni temi che è ormai inderogabile affrontare. Non è più possibile immaginare interventi di risarcimento e/o ripristino ambientale che si occupino specificamente della questione tecnica prescindendo dalle questioni che riguardano gli aspetti legati al progetto di paesaggio. Questo scenario viene costruito con una logica oppositiva, convivono e si sovrappongono nello stesso due aspetti contrapposti. Da un lato vengono rappresentate le aree con valenza paesaggistica e ambientale – la rete ecologica provinciale, gli ambiti fluviali – e dall'altro vengono mappati tutti quei luoghi che generano potenziale conflitto con queste per arrivare a definire, attraverso l'overlay mapping, zone interessanti per un progetto di paesaggio che lavora con presupposti ecologici e ambientali. Ci si occupa dei drosscapes, paesaggi che hanno terminato il proprio ciclo di vita – per esempio le aree industriali dismesse o le cave inattive in attesa di essere bonificate – e/o che accolgono le attività dello scarto – discariche, depuratori –, paesaggi che devono essere risarciti e recuperati con operazioni non solo di ripristino o di bonifica ma con progetti di paesaggio che siano in grado di risignificare luoghi che sono stati sfigurati e alterati, di attribuire loro nuovo valore e nuovo senso. I paesaggi dello scarto vengono "fatti reagire" con i paesaggi ad alta naturalità e sensibilità per comprendere le possibili interazioni, sovrapposizioni e condizioni conflittuali. La mappa risultante fa emergere tutti quegli ambiti – da quelli fluviali ai siti contaminati da bonificare – in cui sono previsti interventi di ripristino, recupero, riqualificazione – di tipo ambientale e paesaggistico – per arrivare a definire aree a maggiore concentrazione e conflittualità sulle quali la strategia individua delle modalità di intervento in cui il paesaggio diventa struttura e regola. L’obiettivo generale di questa strategia è quello di ricomporre dinamiche e processi ecologici in contesti compromessi, frammentati e discontinui. (Fig. 3)
Figura 3. ‛Ecoscape’
‛Highscape’ – Il paesaggio d'alta quota L'idea dalla quale prende avvio questo scenario è quella de «la "terza via" dello sviluppo alpino» proposta da Enrico Camanni (2006: 17-23). Il giornalista descrive il mondo della montagna diviso tra tradizionalisti e modernisti «entrambi disarmati di fronte alla crisi culturale ed economica delle Alpi» (2006: 18) perché propongono modelli che si sono già dimostrati fallimentari, da un lato con tentativi di museificazione e di cristallizzazione della tradizione che sono sfociati in forme di mistificazione e dall'altro perseguendo un modello di sviluppo che «mangia se stesso» senza pensare «ai devastanti effetti collaterali» (2006: 20). La terza via per la montagna è quella di perseguire un modello specifico di sviluppo che «da un lato preservi (le Alpi) dall'omologazione politica e culturale, e dall'altro le liberi dalla tentazione autarchica, economicamente e storicamente inaccettabile» (2006: 23). I paesaggi d'alta quota sono da sempre i territori in cui più forte si è manifestata l'identità alpina. Lì storicamente più forte è stato il senso di comunità – si vedano per esempio le forme di gestione comunitaria dei boschi attraverso le regole –, più profondi sono stati i segni della storia politica che ha segnato questa regione – il fronte "immobile" della grande guerra si sviluppa nelle alte terre –, più Stefania Staniscia
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Scenari di nuovi paesaggi per il Trentino
frequenti gli scambi – per passi e valichi, prima della costruzione delle strade di fondovalle, transitavano i maggiori flussi di passeggeri, merci e capitali –, più rapido lo sviluppo del turismo – così come nell'attualità il suo declino –. Oggi sono questi i territori a maggior valore naturalistico, ambientale e paesaggistico – si veda per esempio il riconoscimento nel 2009 delle Dolomiti come patrimonio dell'UNESCO –. È attraverso la reinterpretazione in chiave contemporanea – secondo presupposti di alta qualità ambientale e paesaggistica – di questo capitale che lo scenario propone di intraprendere la "terza via".
‛Identityscape’ – I paesaggi dell'identità Può ricondursi all'ipotesi di una "terza via" per lo sviluppo del Trentino anche la costruzione dell'ultimo scenario, quello dei paesaggi identitari che, per sopravvivere, devono riuscire a mantenere un difficile equilibrio tra conservazionismo retorico e modernizzazione acritica. Lungi dal tentativo di dirimere la controversa questione sull'entità dell'identità di un territorio – a maggior ragione del Trentino che secondo Duccio Canestrini «appare come un mosaico di piccole patrie, (...) All’interno del “mosaico” trentino corrono i solchi vallivi, ciascuno con le proprie caratteristiche. Sicché si può parlare di identità di vallata, più che di identità trentina»8 – lo scenario assume la qualità del paesaggio come nuovo fondamento dell'identità provinciale. Si parte, infatti, dal presupposto che il paesaggio, rappresentando una stratificazione selettiva risultato di un processo dinamico durato millenni, contenga già in sé il gene dell'identità del luogo. Tutelare e conservare, gestire e trasformare e, infine, riqualificare e progettare il paesaggio a partire dal grado di compromissione e alterazione dei fattori identitari sono le azioni previste dallo scenario – in coerenza con la Convenzione Europea del Paesaggio e con il Codice dei beni culturali e del paesaggio –. Vengono individuati, rispetto ai fattori identitari già indicati nello studio preliminare alla revisione del PUP, alcuni strumenti utili a preservarne e/o migliorarne la tenuta nel tempo. Gli scenari proposti – oggi patrimonio, oltre che del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento anche dell'Osservatorio del Paesaggio del Trentino – sono strumenti utili a delineare le 9 possibili tematiche oggetto del futuro “Fondo per la riqualificazione degli insediamenti storici e del paesaggio” e a definire aree di intervento sempre nell’ottica dell’attuazione del Fondo. Costituiscono, inoltre, spunti e riflessioni progettuali che convergeranno nei futuri Piani Territoriali di Comunità, oggetto, quindi, di una effettiva verifica di attuabilità ed efficacia.
Bibliografia Camanni E. (2006), “La "terza via" dello sviluppo alpino”, in Callegari G., De Rossi A., Pace S. (a cura di), Paesaggi in verticale. Storia, progetto e valorizzazione del patrimonio alpino, Marsilio, Venezia, pp. 17-23 Desvigne M. (2012), “El paisaje como condición previa”, in Paisea, n. 023, pp. 008 - 017
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http://www.trentinocultura.net/radici/identita/identita/ident_ambiente_h.asp (ultimo accesso 20-04-2013) Legge Provinciale n. 1/2008 che finanzia il recupero, la valorizzazione e la sviluppo degli insediamenti storici, insieme a interventi per la conservazione e la tutela del paesaggio.
Stefania Staniscia
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
Sovrapposizioni e stratificazioni dei territori contemporanei. Tornare a de.scrivere, in.scrivere, ri.scrivere Anna Terracciano Università degli Studi di Napoli Federico II DiARC- Dipartimento di Architettura Email: arch.annaterracciano@gmail.com
Abstract E’ in realtà suburbane come queste, in cui paesaggi dell’archeologia e regioni metropolitane restituiscono vecchie rovine e nuovi resti (in costruzione), antichi strati e nuovi livelli (in evoluzione), che si incrociano e nello stesso tempo si sovrappongono. Riconoscere il valore strutturante del territorio, ma anche quel deposito di luoghi e cose in cui materiali ibridi e potenziali raccontano storie in attesa di un progetto. Una nuova struttura geo-urbana dunque, fatta di reti ecologiche e reti archeologiche attinge a questo deposito, prefigurando nuove vite capaci di costruire relazioni tra le cose e il paesaggio, tra città esistenti e in formazione, all’interno di un’unica visione d’assieme che favorisce una condizione più irregolare ed elastica della città e del territorio: le antiche forme espansive cedono il passo alle nuove forme di coalescenza territoriale (Calafati, 2004), destinate a combinare i vecchi centri attrattivi con i nuovi punti di attrazione e con i nuclei intermedi (Gausa, 2002). Provare a ri.scrive sul palinsesto territoriale è dunque avere un’ idea per quel territorio attraverso disegni che si muovano tra la riconoscibilità dei luoghi e la capacità di orientarne la trasformazione Parole chiave deposito, tempo, grafie
Condizioni contemporanee «Le terre desolate sono luoghi di disperazione, ma esse danno anche protezione ai relitti e alle prime deboli forme del nuovo (...) sono luoghi per i sogni, per gli atti antisociali, per l’esplorazione e la crescita. » (Lynch, 1990) Il territorio contemporaneo è il luogo della continua distruzione del sistema di valori posizionali che ha governato la costruzione della città fino alla modernità e nel quale si rappresenta una nuova forma del tempo. Città e società, per loro natura instabili, ridefiniscono incessantemente i rapporti tra luoghi e attori, dando luogo, di continuo, a situazioni critiche che vengono arginate con soluzioni transitorie1. L’esplosione urbana, fenomeno pervasivo tuttora in corso2, costruisce ovunque paesaggi generici ed equivalenti. Omologa, perché riduce il territorio ad una grammatica elementare di enclaves l’una accostata all’altra. Una condizione questa che sembra riflettere la frammentazione della nostra società in cui l’individualismo sfrenato dimentica lo spazio collettivo e frammenta territori diversissimi rendendoli tutti uguali (Boeri, 2011). Il cambiamento imprevisto e non 1
Città moderna, città contemporanea e loro futuri. Relazione (1998) di Giancarlo Corsaro al testo di Bernardo Secchi “Città moderna, città contemporanea e loro futuri” presentato al Convegno Nazionale di Cortona “I futuri della città”, nel dicembre 1998 2 Città moderna, città contemporanea e loro futuri. Relazione (1998) di Giancarlo Corsaro al testo di Bernardo Secchi “Città moderna, città contemporanea e loro futuri” presentato al Convegno Nazionale di Cortona “I futuri della città”, nel dicembre 19983 Il tema della ripercussioni, che la gravissima crisi economico-finanziaria che sta attraversando da alcuni anni l’interno sistema capitalistico occidentale, avrà sulla città e il territorio contemporaneo, fin quasi a poter determinare un cambiamento radicale nella struttura della città, viene affrontato da Secchi in alcuni dei suoi testi e interventi in Seminari e Convegni degli ultimi anni. Anna Terracciano
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
controllato della condizione sociale e il mutamento degli stili di vita costruisce nuove geografie e nuove centralità. Il continuo riorganizzarsi delle diverse attività, dismissioni, degrado, riusi, abbandoni, consumo di suolo, mescolano di continuo materiali e rapporti, e sono causa e rappresentazione di una nuova immagine di città che ci appare sotto le sembianze del caos. Ma se il disordine non esiste ed esiste solo un ordine complicato (Friedman, 2011), la complessità degli attuali fenomeni impone dunque un ripensamento delle modalità di descrizione che siano più aderenti allo spazio e ai materiali contemporanei. «Noi pensiamo allo stesso tempo per parole e per immagini. Ma le regolarità esprimibili a parole e quelle contenute nelle immagini non sono le stesse. Con le parole, presentiamo una accumulazione; con le immagini, una totalità. Una “cosa” (e quindi l’universo) appare diversa a seconda che la si presenti a parole o con le immagini. Le parole sono perfette per analizzare un’esperienza; per esprimere le totalità, abbiamo bisogno delle immagini. (...) Io non conosco la realtà, ma mi sembra che la si possa affrontare solo con l’immagine.» (Friedman, 2011) La costruzione delle immagini e l’uso del disegno come strumento di conoscenza, concettualizzazione e rappresentazione, divengono dunque centrali nella costruzione di un futuro possibile per il territorio contemporaneo.
Territori in cambiamento Provare a costruire questo futuro non è una storia nuova. Più e più volte nel corso della storia, le città europee hanno subito cambiamenti epocali e sono state in parte abbandonate dai loro abitanti e dalle loro attività. Ma ogni volta che la città ha attraversato uno di questi cambiamenti, la costruzione del futuro si è basata su un uso selettivo del passato. Le città europee e le campagne circostanti si presentano come un enorme palinsesto (Corboz, 1985) su cui diverse generazioni hanno lasciato tracce profonde e i segni della loro vita e della loro cultura. Ed oggi, che i territori contemporanei sono attraversati da una crisi profondissima, siamo ad un punto di svolta anche nella storia della città. Il XIX e il XX secolo sono ormai anch’essi strati del territorio contemporaneo e il dibattito su ciò che li sostituirà e su quali saranno i modi e le forme della modificazione, ha raggiunto un momento decisivo (Secchi, 2007). Lo spazio entro il quale vivremo i prossimi decenni è infatti in gran parte uno spazio già costruito, in cui vuoti ed estese aree molli, bacini e distretti industriali obsoleti ed abbandonati o in via di abbandono, si alternano e si incuneano ad aree dure, nelle quali la residenza e le attività terziarie si contendono il terreno palmo a palmo (Secchi, 1984). Da un lato l’architettura e l’ingegneria hanno fornito il vocabolario visivo della riconoscibilità e dell’omologazione per rimodellare significative parti di città, espressione di ricchezza e potere, dall’altro, sacche sempre maggiori di povertà e degrado sono cresciute ai margini. Ricerca dell’ attrattività ed esclusione sociale sono divenute i due volti dell’ inarrestabile competitività tra le città. La periferia non è più un concetto geografico che si misura nella sua distanza dal centro (Boeri, 2011), ma drosscapes (Berger, 2007) e brownfields costruiscono un arcipelago (Cacciari, 1997) di spazi ormai incuneati nei tessuti della città. Sono questi i materiali di un sistema aperto, da scomporre e ricomporre all’interno di una nuova dimensione della città. Ma come è possibile affrontare tutto ciò? Forse ricercando un nuovo rapporto tra urbanistica ed architettura che si misuri nella capacità di attraversare le scale all’interno di una tensione positiva che produce idee e progetti; nell’ importanza degli spazi aperti e della sintassi che ne regola il disegno come struttura spaziale della città, chiara e leggibile, affinché possa essere praticabile da tutti; nella responsabilità che l’urbanistica che si assume di fronte ai grandi temi che animano la questione urbana contemporanea3. «Il tema è ora quello di dare senso e futuro attraverso continue modificazioni alla città, al territorio, ai materiali esistenti e ciò implica una modifica dei nostri metodi progettuali che ci consenta di recuperare la capacità di vedere, prevedere e di controllare. E’ infatti dalla visione che dobbiamo cominciare. (...) E modificare vuol dire la ricerca di un metodo di progettazione diverso per agire sulle aree intermedie, sugli interstizi, reinterpretare parti malleabili e parti dure aggiungendo loro qualcosa che dia appunto senso all’insieme; stabilire cioè nuove legature, formare nuovi coaguli fisici, funzionali e sociali, nuovi punti di aggregazione che sollecitino prospettive più distanti, sguardi più generali entro i quali possano darsi progetti più vasti, discorsi più convincenti e veri» (Secchi, 1984). In un’epoca dominata dalla retorica dell’ incertezza e della dispersione, diviene fondamentale e necessario provare a costruire quelle visioni di sfondo entro cui temi prioritari e progetti puntuali, divengano matrice fondativa e struttura concreta nella costruzione del futuro. «Ma se il futuro del territorio, della città, del nostro spazio abitabile è totalmente iscritto nello stato presente dei luoghi» (Secchi, 1992) e costruire il futuro è lavorare dentro i caratteri della città contemporanea modificandoli (Secchi, 1998), ancora prima di provare a costruire il futuro, diviene nuovamente centrale descrivere la 3
Cfr l’intervento di Bernardo Secchi, A new urban question, all’interno di «What are the crucial research questions in the spatial sciences in Switzerland and in Europe?», Symposium trilogy of the Swiss Spatial Sciences Framework (S3F), tenutosi il 19 novembre 2009a Zurigo
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
condizione contemporanea. L’ ansia descrittiva4 che ha pervaso la disciplina negli anni ottanta e novanta e che ha prodotto una enorme quantità di inventari, cataloghi, archivi sembra oggi definitivamente sostituita da una nuova, seppure non molto differente, ansia descrittiva. Dalle descrizioni in cui oggetti e persone appaiono tra loro separati, mentre il terreno rimane sfondo distante e incapace di costruirsi come spazio del pubblico (Secchi, 1994), alle attuali descrizioni in cui l’attenzione si sposa dalla cose e dai soggetti ai dati, che restituiscono relazioni, spostamenti e modi di uso dello spazio. Il dato, il suo tracciamento e la sua visualizzazione (potendo contare sulla enorme vastità di informazioni e di utenti della rete) è al centro dell’ansia descrittiva contemporanea, e lo spazio che resta sullo sfondo, non è più quello del terreno, ma quello virtuale della rete. «Per secoli, il termine ‘digit’ (dal latino ‘digitus’) ha indicato il dito’, ma ora la sua forma aggettivale, ‘digitale’, si riferisce ai dati. Sono le nostre mani ad essere diventate obsolete come strumenti creativi? forse sono state sostituite dalle macchine?»5 I modi nei quali possiamo oggi conoscere il territorio e la società sono dunque differenti dal passato e ancora più distanti dal passato sono i modi nei quali possiamo restituire i risultati della nostra esplorazione e ricerca. In realtà solo pochi hanno cercato di utilizzare l’esperienza del territorio contemporaneo e le diversità che questo ci proponevano rispetto ai territori urbani consolidati. Ma la cosa più importante che i progetti e le situazioni mettono in evidenza, è che il territorio, più che la città, è oggi al centro della nostra riflessione come forma più estesa di insediamento che, in passato, abbiamo nominato in modi diversi. Il centro del progetto diviene un territorio intero attraversato ed utilizzato.7 Occorrono dunque nuovi filtri interpretativi e nuove categorie di lettura che sappiano cogliere, soprattutto, quel tipo di situazioni incerte e indeterminate, che corrono ai margini delle strutture definite e che si infiltrano, creando una improvvisa porosità, tra i tessuti della città consolidata come in quelli della dispersione insediativa. Il disegno diviene dunque quello strumento necessario per rendere evidente quell’identità originaria che è la parte dura del territorio, il suo valore strutturante che continua ad affermarsi, ma diviene anche e soprattutto quello spietato strumento di selezione per cogliere quella qualità sfuggente, che le città e i territori producono, che abita tra la realtà delle strutture imponenti e la realtà dei luoghi semiabbandonati e che deve divenire centrale nell’esperienza del progetto contemporaneo. Immagini capaci di restituire una mutata condizione del territorio che disegnano un altro tipo di cartografie, evidenti o latenti e, al loro interno, possibili zone di incrocio, incontro e frizione: nuove mappe, reali e mentali, grazie alle quali favorire nuovi scenari urbani (Gausa, 2009). Luoghi e materiali disponibili ad essere modificati per costruire un futuro più giusto e possibile. Tali mappe vanno oltre la descrizione geografica dello spazio, raccontando il territorio in tutte le sue dimensioni, non solo fisiche. Un primo livello di lettura riconosce la dualità tra morfologia e modi di abitare attraverso figure che rappresentano fenomeni e cose difficilmente conoscibili o comunicabili (Gabellini, 1999). Un secondo livello di lettura riconosce la dualità tra forma fisica dello spazio, il suo uso e la sua percezione. La mappa diventa allora un potente strumento non solo di rappresentazione spaziale ma anche di racconto. Si supera il tema della neutralità scientifica e queste carte divengono rappresentazione di un contesto sociale/politico/territoriale. Il linguaggio, i dati, i colori e il segno grafico raccontano il contesto e una storia ulteriore rispetto al primo livello informativo (Lupi, 2012). In questo modo il disegno perde ogni prerogativa di omnicomprensività per divenire fortemente selettivo e dispositivo per individuare luoghi, materiali e priorità del progetto. Ed è in questo passaggio, da strumento necessario per rendere evidente (de.scrizione) a dispositivo selettivo (in.scrizione) che il linguaggio della rappresentazione si muove con differenti gradienti lungo l’asse che va dal realismo all’astrattismo (Gabellini, 1999). Quella qualità sfuggente, che le città e i territori producono e che viene selezionata come prioritaria e dunque strategica, può essere rappresentata solo attraverso un disegno che sposta l’attenzione dalla riconoscibilità dei luoghi alla loro potenzialità. Il tentativo è provare a costruire delle geografie dello scarto come 4
Nel testo Urbanistica descrittiva, pubblicato sul n. 588 di Casabella nel 1992, Bernardo Secchi parla di un descrittivismo sterile dell’urbanistica che si risolve in se stesso e che passa accanto al nuovo senza rilevarlo. Intendendo per nuovo quello spazio periferico, semplicisticamente rappresentato nei piani urbanistici dell’epoca entro la vasta categoria dell’ area compromessa o dentro l’immagine del consumo di suolo. Lo spazio periferico, vero territorio del nuovo richiede, prima ancora che piani e progetti, descrizioni pertinenti e spiegazioni specifiche e ciò, a sua volta, richiede, da parte degli urbanisti, una diversa strategia dell’attenzione. (...) L’attenzione è sempre il prodotto dell’immaginazione, usando ancora una volta il termine alla Putnam, dell’elaborazione delle informazioni disponibili entro una serie di immagini progettuali e del loro uso per illuminare e giudicare le situazioni così come possono essere percepite e descritte. Ciò che a me sembra di dover constatare è la povertà dell’immaginazione dell’urbanistica europea, la sua incapacità di collaborare ad una precisa definizione e costruzione del nuovo, la sua accettazione di una idea di futuro come incontro, il suo adattarsi a registrare, eventualmente combattere le idee anzichè produrle. Tutto ciò se non la causa mi appare essere fortemente associato al dilagante ed accogliente descrittivismo. 5 Cfr. l’articolo Architecture and the Lost Art of Drawing, pubblicato da Michael Graves (architetto e professore emerito alla Princeton University) il 2 settembre 2012 su The New York Times, nel quale l’autore afferma che è diventato di moda, in molti ambienti dell’architettura, dichiarare la morte del disegno. Che cosa è successo alla nostra professione, e alla nostra arte, per causare la presunta fine del nostro mezzo più potente di concettualizzare e rappresentare l’architettura? Pubblicato sulla pagina web de The New York Times all’indirizzo http://www.nytimes.com/2012/09/02/opinion/sunday/architecture-and-the-lost-art-ofdrawing.html?pagewanted=all&_r=0e riportato da Il Post all’indirizzo web http://www.ilpost.it/2012/09/03/il-disegnoarchitettonico-e-morto/ Anna Terracciano
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disegni escludenti (perchè selettivi di luoghi e materiali) ma al tempo stesso inclusivi (perchè capaci di contenere in nuce una possibilità per la città e il territorio contemporanei). Disegni di un paesaggio sospeso, come radiografia di un territorio che necessita di una nuova interpretazione relazionale delle sue vecchie strutture, fisiche e mentali attraverso cui strutturare nuove visioni e schemi, e pertanto, nuove connessioni tra vecchie e nuove strutture (Gausa, 2009). De.scrivere è dunque capacità di far vedere e in.scrivere è selezionare per costruire priorità.
De.scrivere. In.scrivere. Ri.scrivere. Il caso dei Campi Flegrei Il processo necessario per catturare questo tipo di situazioni non è facilmente attuabile ed è ciò che questo lavoro si propone in una realtà suburbana come quella dei Campi Flegrei, in cui i paesaggi dell’archeologia e le regioni metropolitane restituiscono vecchie rovine e nuovi resti (in costruzione), antichi strati e nuovi livelli (in evoluzione), che si incrociano e nello stesso tempo si sovrappongono (Gausa, 2000). Il tentativo è quello di proporre nuove descrizioni per i Campi Flegrei come capacità di far vedere un deposito di materiali differenti, temi densi e di convergenza. Ipotesi queste, rafforzate dalla consapevolezza che la descrizione non svela solo il reale, ma anche immagina (Secchi, 1988), e che dunque, costruire nuove e aggiornate interpretazioni del territorio contemporaneo, richieda anche operazioni selettive e di prefigurazione. La descrizione è infatti una prima azione del progetto: segni e tracce a cui attribuiamo un valore si selezionano e si dispongono come tratti che caratterizzano il contesto da modificare. E chi progetta traccia la filigrana di possibili mappe che ridescrivono rischiosamente il reale. In questa ri-lettura, che diventa premessa e promessa di ri-scrittura, lo sguardo verso l’esistente reca in nuce il potenziale valore del progetto (Rispoli, 2007). De.scrivere La forma del suolo quell’insieme di impronte che definisce connotati e riconoscibilità al volto dei Campi Flegrei; la permeabilità è la misura del gradiente di acqua nella stratigrafia dei terreni; fragilità e frammentazione sono la misura della compromissione del sistema ecologico alla grande scala ma anche della molteplicità di aree abbandonate che disegnano la porosità delle aree urbanizzate; l’ accessibilità categoria di lettura di un sistema infrastrutturale gerarchizzato e non generalizzato, che restituisce una pluralità di aree aree interstiziali e di scarto. Permanenza e persistenza raccontano invece il palinsesto (fig. 1) territoriale, accumulo delle sue geo-grafie, immenso archivio di segni, scritti, cancellati, riscritti, frutto di un lungo processo di selezione cumulativa tuttora in corso (Secchi, 2000).
Figura 1. Il palinsesto territoriale Anna Terracciano
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La presenza della grande spianata centrale a imbuto, corrispondente all’area dell’attuale via Campana, attraversata da linee parallele ma prevalentemente perpendicolari alla costa, ha favorito un orientamento urbano verticale in questo territorio. Anche se a livello territoriale tale vecchia direzione è tuttora in evidenza, il processo generatosi nella città di fine secolo, avrebbe indotto una crescita quasi improvvisa, scavalcando le antiche barriere della città: circumvallazioni, tangenziali, strade a scorrimento rapido costituiscono i tracciati delle nuove linee guida urbano- territoriali, che tendono a condurre le città verso un nuovo schema regionale e a grappolo. Identità e molteplicità sono dunque le categorie che rileggono un nuovo mosaico territoriale, in cui le città esistenti sono i nodi densi che si aggrappano agli antichi tracciati e alle nuove strade, mentre nuove città in formazione (fig. 2) sono l’esito di lenti processi di ri-aggregazione territoriale. I Campi Flegrei cessano di essere una realtà compresa tra le caldere e il mare, i concetti geografici tradizionali vengono sostituiti da quelli territoriali, quelli compositivi da quelli economici: le antiche dinamiche urbane contemplano oggi una nuova realtà metropolitana, mobile incerta, sfuggente e vitale.
Figura 2. Nuove città in formazione
In.scrivere Questa modalità di leggere e de.scrivere i Campi Flegrei ci restituisce la stessa varietà di situazioni insediative e la stessa eterogeneità di materiali che ci consegna l’esplosione della città contemporanea. Una molteplicità di pattern si susseguono, ciascuno caratterizzato da proprie prerogative fisiche, storiche, sociali ed economiche. Aree rurali [per lo più abbandonate ed incolte] e seminaturali, complessi portuali e aeroportuali, antichi quartieri periferici di confine spesso caratterizzati da strutture storico preesistenti, rovine e aree degradate, siti inquinati o potenzialmente inquinati, recinti industriali dismessi o in via di dismissione, aree residenziali associate alla crescita periferica della metà del secolo definiscono un paesaggio di luoghi e materiali accomunati da una condizione deficitaria e instabile, ma al contempo ricca di aspettative, in attesa di un progetto che sappia restituire nuovi gesti e nuove significazioni. Territori indefiniti e incerti dunque, il cui minimo comune denominatore è sia l’assenza di uso e funzione, ma anche e soprattutto una condizione di attesa e di speranza, che li trasforma in territori del possibile, pronti ad essere modificati per costruire nuovi scenari all’interno della città. Riconosciuta la parte dura e quella trasformabile attraverso disegni, che con linguaggi differenti, raccontano lo stesso territorio da prospettive differenti, cosa succede se proviamo ad intersecare/sovrapporre tali prospettive? Nelle aree di margine, in quelle interstiziali e in quelle residuali, si gioca un nuovo rapporto tra centro e periferia, tra città e campagna. Nuove città in formazione si addensano nelle aree di sovrapposizione tra le strutture consolidate e quelle molli. Le dinamiche che hanno investito simultaneamente le aree metropolitane e le città grandi e piccole, i centri rurali e le campagne, hanno rotto le regole millenarie dello spazio urbano, ma hanno anche generato una moltiplicazione di forme fisiche cui fanno da sfondo nuove economie e a cui si Anna Terracciano
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
accompagnano nuove pratiche d’uso e stili di vita (Gabellini, 2010). La possibilità infatti di spostarsi rapidamente e intrecciare relazioni attraverso il territorio, grazie al potenziamento delle reti infrastrutturali e la diffusione delle tecnologie telematiche, ha profondamente modificato il legame con i luoghi, producendo un fenomeno di dilatazione spaziale dell’abitare urbano. I valori dell’abitare sono dunque necessariamente messi in discussione e ridefiniti all’interno di una rete di relazioni che interessa un contesto spaziale dilatato alla scala metropolitana e potenzialmente esteso al mondo interno (Farina, 2009). Ma la continuità delle reti infrastrutturali, la dimensione reticolare delle connessioni ecologiche, la struttura porosa del territorio (Gasparrini, 2012), intercettano proprio quell’immenso deposito di materiali, spesso diffusi anche in modo puntiforme, in.scritti in quelle geografie dello scarto (fig. 3) che costituiscono il sistema di priorità che il nostro progetto vuole assumere. Nei Campi Flegrei inoltre, materiale privilegiato che può giovare un ruolo fondamentale nella costruzione di nuovi scenari territoriali, è quella quello della storia e dell’archeologia. Oggi quelle rovine ci appaiono come una collezione di oggetti accostati e muti, indifferenti al paesaggio circostante e inaccessibili ai possibili fruitori.
Figura 3. Geografie dello scarto
Reti ambientali (fig. 4) e reti archeologiche possono divenire i nuovi network paesaggistici, che si contrappongono a questa condizione frammentaria e discontinua del territorio e della sua fruizione. Tale condizione produce danni alla sua integrità, mina la sua sicurezza, ne impoverisce progressivamente la biodiversità e impedisce le relazioni virtuose tra gli ecosistemi (Gasparrini, 2012). La trama degli spazi aperti, che dà forma e struttura a tali network, si costruisce come concatenazione di spazi-concatenazione di progetti, in cui habitat differenti coesistono all’interno di un sistema complesso e sostenibile. Intesi anche come luoghi della socialità e dell’inclusione, della continuità tra reti e spazi, del riequilibrio tra funzioni e polarità urbane, costituiscono la componente strategica preponderante di un progetto di rigenerazione capace di attraversare tutte le scale del territorio e della società. Spazi capaci di irrigare e rigenerare anche i tessuti urbani esistenti, superando l’atteggiamento normativo di frenare il consumo di suolo, sostanzialmente inefficace nel medio-lungo periodo, ad una strategia progettuale di produzione di nuovo suolo (Secchi, 1984).
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
Figura 4. Reti ambientali ed attrezzate
Ri.scrivere Un paesaggio di trame e tessuti (fig. 5) più che una trama di paesaggi e ambienti. La sua nuova natura in rete favorisce una condizione più irregolare ed elastica della città e del territorio: le antiche forme espansive cedono il passo alle nuove forme di coalescenza territoriale (Calafati, 2004), destinate a combinare i vecchi centri attrattivi con i nuovi punti di attrazione e con i nuclei intermedi (Gausa, 2002). La natura diviene dunque la nuova infrastruttura al servizio della città e la convergenza tra i problemi ecologico-ambientali, archeologici, infrastrutturali e urbanistici, si traduce all’interno di strategie di trasformazione urbana, nella costruzione di paesaggi urbani innovativi, caratterizzati dallo sviluppo di modelli economici alternativi e di cicli energetici sostenibili (Gasparrini, 2012). Network paesaggistici e trama degli spazi defibiscono la nuova articolazione formale e funzionale dello spazio pubblico. Essa attinge a questo deposito immenso di materiali e luoghi che
Anna Terracciano
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Paesaggi della sovrapposizione e della stratificazione. Il disegno come dispositivo per descrivere, interpretare, riscrivere
Figura 5.Il progetto del nuovo waterfront attrezzato e il parco archeologico subaqueo
abbiamo provato a costruire nel nostro percorso, prefigurandone nuovi cicli di vita capaci di costruire relazioni tra le cose e il paesaggio, di riconnettere luoghi e frammenti differenti tra città esistenti e quelle in formazione (Calafati, 2004), lavorando con strategie comuni e attraverso le scale, in parti differenti del territorio, all’interno di un’unica visione d’assieme. La costruzione di maglie e arterie destinate a unire situazioni consolidate, realtà permeabili, spazi in attesa e scarti, mediante la congiunzione di attività economiche, crescita fisica e interazione spaziale, favorisce dunque, al di la dei vecchi limiti geografici, una nuova realtà geo-urbana in rete. Tornare nuovamente a ri.scrive sul palinsesto territoriale è dunque avere un’ idea per quel territorio attraverso disegni che si muovano tra la riconoscibilità dei luoghi e la capacità di orientarne la trasformazione. Disegni indeterminati, incerti, a tratti sfuocati, ma che contengono le aspettative di accessibilità, ecologia e inclusività. Disegni a carattere allusivo, immagini senza un principio e senza una fine, nelle quali sia immediatamente visibile l’idea di progetto. Quando si osservano nell’insieme, si delinea una trama in cui tutti i punti sembrano in tensione, sospesi ma in movimento, che ci permettono di viaggiare da un punto all’altro, proponendo più percorsi di lettura. Non sono mappe, non sono disegni che aspirano ad essere completi, ma sono un invito a perdersi. Non si occupano di dare un finale [definitivo], ma si attestano nello spazio della conoscenza, della riflessione e della prefigurazione.
Anna Terracciano
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Bibliografia
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Anna Terracciano
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo Pasqualino Boschetto* Università di Padova DICEA Email: pasqualino.boschetto@unipd.it Tel. 049.8275486 Carlo Ghiraldelli* Università di Padova DICEA Email:carlo.ghiraldelli@unipd.it Tel. 049.8275486
Abstract Il tema della rigenerazione urbana è di grande attualità e può contribuire a ravvivare la discussione tecnica e scientifica al fine di calibrare con maggiore precisione sia gli strumenti di riferimento normativo che quelli più propriamente di esemplificazione progettuale. Nella situazione veneta, dove strumenti e forme di controllo e di razionalizzazione del consumo del suolo non hanno saputo governare efficacemente i notevoli fenomeni di dispersione territoriale, lo strumento operativo della rigenerazione urbana e territoriale va considerato come una grande opportunità di reale sviluppo coerente del territorio.
Parole chiave Rigenerazione urbana, sviluppo urbano, waterfront
1 | Appunti normativi ed operativi fra consumo del suolo e rigenerazione urbana in Veneto Si vuole qui riportare alcune riflessioni sulla prassi della rigenerazione urbana come possibile strumento di sviluppo, annotando alcune esperienze in atto nel Nord-Est italiano. Il Veneto, come altre regioni, sta cercando di definire specifiche norme che abbiano come obiettivo primario quello del contenimento dell’uso del territorio. E’ un tema chiaramente non nuovo, ma forse non ancora sufficientemente metabolizzato sia nella società civile che nella sua stessa rappresentanza istituzionale. Nel caso del Veneto, e del Nord-Est in generale, la tematica è diventata assolutamente ineludibile (e indifferibile), data la particolare situazione insediativa ampiamente nota. La dispersione e lo sprawl insediativo di questa parte del nostro Paese sono ben noti agli addetti ai lavori, ma purtroppo si è visto che le molte operazioni e pratiche di contenimento proposte e messe in campo non sono state assolutamente sufficienti ad arginare il fenomeno che ha saputo integrarsi, con estrema bravura, in quasi tutte le pieghe della funzionalità operativa ai vari livelli. I risultati effettivi non possono essere ritenuti soddisfacenti, in quanto gli incrementi del consumo di suolo sono ancora troppo alti, sia in termini assoluti che relativi. La regione Veneto ha cercato di recepire, con propria legge, quanto definito all’art. 5 della Legge n. 106/2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”) 1. Le diverse proposte presentate hanno cercato di convergere nel testo del * 1
La redazione del paragrafo 1 è di Pasqualino Boschetto, la redazione del paragrafo 2 è di Carlo Ghiraldelli. L’art. 5 della Legge 106/2011, comma 1, lettera h) fa riferimento alla “legge quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane”. Il comma 9 dello stesso articolo riporta:« … incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio nonché promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
progetto di legge predisposto dalla Giunta Regionale che qui si intende brevemente sintetizzare 2. Il riferimento normativo nazionale di partenza, pur nella sua sinteticità, è abbastanza preciso e gli scopi dello stesso sono sufficientemente chiari: attivare procedure e metodi, anche in campo urbanistico, capaci di agevolare/incentivare operazioni di tipo edilizio, in qualità di volano di sviluppo economico. Non si fa esplicito riferimento nominalistico alla “rigenerazione urbana”, forse per non creare confusioni terminologiche, ma i contenuti sono ben noti e conosciuti: “… riqualificazione di aree urbane degradate […] nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare …”. La normativa nazionale richiama prioritariamente il tema della “riqualificazione”, da tempo incardinato nella prassi legislativa di settore. A nostro avviso, però, nel passaggio alla scala regionale (attuativa) vi è l’opportunità e la necessità di precisare con maggiore attenzione i contenuti specifici e gli ambiti cognitivi di applicazione, riferendosi chiaramente alle singole realtà regionali. Nel caso specifico il richiamo alla “riqualificazione di aree urbane degradate” andrebbe forse più opportunamente precisato anche in termini di “rigenerazione urbana sostenibile”, operando anche uno sforzo illustrativo e definitorio delle diversità cognitive ed operative fra diversi strumenti quali: riqualificazione, rigenerazione, riuso, recupero, “crescita qualitativa senza crescita quantitativa”. Nella situazione veneta, proprio quest’ultimo elemento sembra ben congruire con la particolare situazione insediativa ed organizzativa del territorio regionale. Il tema della “pianificazione urbanistica senza crescita” è particolarmente sentito in Veneto e in tutto il Nord-Est italiano, a causa dei ben noti indicatori/valori, in termini di consumo del suolo. Non è un caso, infatti, se la stessa Giunta Regionale ha da poco istituito un tavolo tecnico-scientifico di lavoro per studiare il fenomeno e per fornire alcune indicazioni che possano essere recepite in atti legislativi di effettivo contenimento di consumo di suolo. In generale rigenerare il patrimonio edilizio esistente vuol dire predisporre progetti capaci di aumentare il valore degli immobili (rottamazione edilizia ed urbana), immettendo nel mercato edifici praticamente nuovi, facili da manutentare e, soprattutto, che consumino molto poco (retrofit energetico, ecc.). Chiaramente il processo virtuoso non si esaurisce nel campo edilizio/architettonico, ma investe in maniera determinante la processualità della pianificazione urbanistica. A tal fine, lo strumento operativo principale che possa essere favorevolmente impiegato sembra essere quello del “credito edilizio”, così come definito all’art. 36 della LR Veneto n. 11/2004. E non è un caso se proprio l’art. 36 della 11/2004 reca come titolo “riqualificazione ambientale e credito edilizio”: ossia, il credito edilizio come principale risorsa operativa per agevolare e incentivare la riqualificazione ambientale (e paesaggistica). Purtroppo lo strumento del credito edilizio è ancora in fase di sperimentazione applicativa, ancora privo di un percorso applicativo condiviso e consolidato, ma a questo sicuramente la prassi e le “successive approssimazioni” porranno i necessari e giusti rimedi. Alcune forti perplessità si sono manifestate in relazione ai “poteri di deroga” (art. 4 del DPR 380/2001) di cui all’art. 3 della proposta di legge della Giunta Regionale. Purtroppo, risultano già in atto consistenti azioni di trasformazione urbanistica, in termini di cambio di destinazione d’uso, che rischiano di compromettere interi ambiti insediativi del patrimonio edilizio rurale e agricolo di notevole valenza ambientale e paesaggistica. E’ il caso, ad esempio, di alcuni complessi di valenza storico-ambientale presenti nel Pedemonte regionale (dei Lessini e delle Prealpi veronesi in particolare), dove interi complessi edilizi (borghi, corti rurali, edifici rustici di notevole consistenza) per lo più dismessi, non più funzionali alle attività agricole o sottoutilizzati, vengono trasformati in veri e propri residence, con semplice cambio di destinazione d’uso, “bucando la pianificazione urbanistica” come si suol dire. Sembra opportuno richiamare, in tal senso, le stesse recenti indicazioni fornite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, come pure gli orientamenti giurisprudenziali consolidati e la stessa ultima sentenza del TAR Veneto (11.06.2012), che sembrano tutte concordare sulla stessa indicazione: qualora si faccia riferimento al Testo Unico del DPR 380/2001 la “deroga” è applicabile unicamente agli “edifici e impianti di interesse pubblico”. Altre perplessità scaturiscono dall’attenta lettura dell’art. 6 del progetto di legge regionale richiamato, dove si specifica che: “… il Consiglio Comunale entro 180 giorni con apposita delibera individua la perimetrazione delle aree degradate da riqualificare …”. Un primo aspetto, sicuramente positivo, è quello di demandare ai singoli comuni l’individuazione degli ambiti di degrado, come pure la definizione delle procedure attuative specifiche: un fattivo passo in avanti verso la semplificazione delle procedure tecnico-amministrative. L’aspetto che non convince è quello della “perimetrazione” delle aree degradate da riqualificare. Si continua a ragionare unicamente in termini di “progetto di riqualificazione”, del quale la “individuazione della perimetrazione” è atto costitutivo iniziale. E’ proprio in questi termini che il processo di “riqualificazione” si scosta in maniera consistente dallo strumento maggiormente innovativo della “rigenerazione” (urbana e territoriale). L’atto della perimetrazione è propedeutico a tutto il resto (piano, valutazione, procedura, ecc.): ipotesi fondamentale di rilocalizzare […] le regioni approvano specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedono: a) Il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b) La delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) L’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purchè si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) Le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti;…». 2 Proposta di legge della Giunta Regionale di cui alla DGR n. 8 del 15.05.2012. Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
partenza sulla quale poggia l’intero impianto progettuale. La rigenerazione urbana, invece, viene generalmente suddivisa in due parti: la prima riguarda l’individuazione dei fenomeni di degrado in atto; e la seconda riguarda il piano di rigenerazione/riqualificazione vero e proprio. E’ proprio lo studio preliminare dei fenomeni di degrado (non solo quelli edilizi) che deve permettere di individuare il possibile dominio dove attivare le valutazioni successive. La “perimetrazione” dell’ambito di intervento deve quindi risultare dallo studio di fattibilità sulla ricaduta territoriale dei fenomeni di degrado in atto nel territorio, colti nelle loro molteplici forme: territoriali, ambientali, paesaggistiche, economiche, sociali, funzionali, ecc. L’effetto combinato della “perimetrazione” e del termine temporale (dei 180 giorni) ci sembra ancora una volta assolutamente velleitario, nella sua pregnanza utopica uniformante. E’ la singola amministrazione comunale che, in base alla propria specifica situazione, deve valutare in assoluta autonomia un possibile elenco iniziale di ambiti di intervento, aperto anche alle proposte dei proponenti, pubblici o privati, che abbiano manifestato precisi interessi in tal senso. L’istanza propositiva del proponente deve partire proprio dallo studio del fenomeno di degrado (specifico e/o generale) individuato. All’Amministrazione comunale spetta chiaramente l’onere della prima valutazione dello studio preliminare prodotto dal proponente, che si sostanzia sulla misura dello “interesse pubblico”, in riferimento ai criteri e livelli prefissati. Stabilita la sussistenza dello “interesse pubblico” e i risultati dello studio dei fenomeni di degrado affrontati, allora si può passare al piano di riqualificazione/rigenerazione vero e proprio, avendo cura di stabilire la perimetrazione come una procedura aperta, in grado di rappresentare un vero e proprio strumento operativo utile al conseguimento degli obiettivi prefissati. Si comprende quindi come la “perimetrazione” debba essere opportunamente traslata dalla posizione iniziale verso quella finale, in funzione delle necessità operative. Il “credito edilizio” rappresenta strumento operativo fondamentale per risolvere e proporre scenari progettuali sostenibili all’interno dei domini territoriali ed urbani di rigenerazione urbana. La perimetrazione deve pertanto dipendere dalle diverse soluzioni prospettate, ed essa può avere anche caratteri di discontinuità territoriale e spaziale: anche un piccolo ambito specifico, isolato, soggetto a riqualificazione ambientale (o paesaggistica), può generare un credito edilizio che può essere riportato all’interno di altre parti del dominio di rigenerazione/riqualificazione, generando al contempo “valore in termini di interesse pubblico” che dovrà essere opportunamente quantificato/valutato. E’ proprio su queste possibili aggregazioni aperte e varie del dominio di rigenerazione/riqualificazione che si deve puntare con determinazione, anche perché ormai è assodato che solo la competitività può allentare il peso della rendita di posizione, che spesso rappresenta il vero ostacolo da superare. Ecco allora che scenari e soluzioni anche diversi/alternativi tra loro, individuati dallo studio iniziale sulla caratterizzazione dei fenomeni di degrado, possono mettere in evidenza la stessa intercambiabilità di alcuni beni immobiliari, rappresentando utile strumento di calmierizzazione per le stesse rendite di posizione. Passare quindi dal piano di riqualificazione al programma di rigenerazione (che comprende il piano stesso) per cercare di governare in maniera opportuna situazioni e fenomeni strutturalmente complessi che non possono essere affrontati con approcci e strumenti tradizionali. E inoltre, con lo spirito e l’apertura della sperimentazione controllata, anche dei piccoli passi purchè condivisi e trasparenti. Recenti studi hanno dimostrato che in Italia esistono circa 59,1 milioni di abitazioni censite al Catasto, detenute per il 91% da persone fisiche. Di queste circa 10 milioni sono state realizzate tra il 1946 e il 1971. Gli edifici con più di 40 anni rappresentano circa il 50% nelle nostre grandi città. Il 65% degli edifici è stato realizzato prima del 1976 con caratteristiche ed efficienze energetiche (consumi) oramai insostenibili. Un edificio con più di 30 anni consuma mediamente 180-200 kWh/mqxanno contro i 50 kWh/mqxanno di un nuovo edificio di classe energetica “C”. La Direttiva n. 2010/31/UE prevede che, entro il 31 dicembre 2020, tutti gli edifici privati di nuova costruzione debbono garantire prestazioni di rendimento dell’involucro tali da non aver bisogno di apporti per il riscaldamento e il raffrescamento, oppure debbano ricorrere all’apporto di fonti rinnovabili prodotte in loco o nelle vicinanze. Anche questi pochi dati sintetici ci fanno comprendere come la rigenerazione urbana e territoriale sia una grande opportunità per cercare di rispondere in maniera coordinata e coerente innanzitutto ad una delle necessità ritenute prioritarie e condivise a tutti i livelli dalle nostre comunità (locali, nazionali e comunitarie). E inoltre, non secondariamente, la prassi della rigenerazione urbana e territoriale può contribuire in maniera rilevante al contenimento del fenomeno del consumo di suolo ai fini insediativi, particolarmente sentito e rilevante come nel caso veneto.
2 | La rigenerazione urbana nella sistemazione di waterfront in Veneto Quello dei concorsi di idee è sempre stato un campo di sperimentazione importante. Di seguito si citano brevemente due esempi di una certa rilevanza dei centri turistico-balneari del Veneto. Verso la redazione del Piano particolareggiato dei Ghezzi di Chioggia.
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
Il bando di concorso riguardava la sistemazione e la riqualificazione di un’ampia area di margine, di forma lineare e allungata, posta sul fronte ovest dell’abitato di Sottomarina, affacciato alla laguna interna del Lusenzo e al centro storico di Chioggia. I principali riferimenti urbanistico-normativi sono una variante parziale al PRG e un P.I.R.U.E.A. (“area Ghezzi”), in grado di inquadrare l’area in oggetto come zona di particolare interesse comunale e sovra-comunale, e dove si voleva intervenire con le tipiche procedure strumentali della rigenerazione urbana. L’area in oggetto, quasi del tutto inedificata, costituisce il più ampio comparto edificatorio previsto dal PRG vigente e per ubicazione e conformazione la sua attuazione andrà ad incidere in misura decisiva sullo sviluppo edilizio futuro del Comune di Chioggia, anche in termini di tipologia insediativa ed architettonica. Evidenti, inoltre, dovranno essere anche i futuri condizionamenti infrastrutturali, in termini di assetto viario complessivo della zona. L’Amministrazione comunale, in maniera lungimirante, ha ritenuto che la progettazione dell’area dovesse avvenire in maniera coerente, cercando di evitare l’iterazione delle tipologie insediative esistenti, richiedendo una progettazione composita e di effettiva integrazione fra la scala urbanistica e quella architettonica, che potesse anche far da stimolo, riferimento ed elemento valoriale anche per le stesse adiacenze urbane esistenti. L’area è fortemente caratterizzata dai suoi specifici valori ed elementi ambientali e risulta ricca di preesistenze e di invarianti territoriali. Il lato ovest dell’area si affaccia sullo specchio lagunare del waterfront del Lusenzo, e il lato est poggia sul margine urbano esistente dell’abitato di Sottomarina. Per storia e consuetudine l’area viene identificata come un’area non insediata di margine urbano. E’ sempre molto interessante rilevare e riflettere sui diversi punti di vista presi come riferimento dalle molte soluzione progettuali proposte. E questo è un approccio tipico e assolutamente coerente con la procedura della rigenerazione urbana, che poggia saldamente anche e soprattutto sul confronto fra scenari (progetti) diversi. Molti dei progetti hanno cercato di integrare il fronte acqueo con la fascia estesa a verde pubblico e con i corridoi verdi trasversali di penetrazione all’area insediativa, creando in molti casi strutture insediative a pettine. Il margine della laguna del Luserno è colto principalmente nelle sue potenzialità compositive, e in alcuni casi anche di consistente trasformazione con chiara riduzione dei suoi valori di “semplice naturalezza”. Quasi tutti i progetti hanno cercato di dare ampio risalto agli elementi connettivi dei vari percorsi dolci (pedonali e ciclopedonali) con particolare attenzione ai nodi di intersezione con la nuova viabilità stradale richiesta. Dal punto di vista morfologico è interessante rilevare come molti progetti abbiano cercato di rafforzare l’immagine del margine urbano anche con la diversa trattazione planivolumetrica dei pettini insediativi, e come altri ancora abbiano cercato di sfrangiare quanto più possibile il margine edilizio ed urbano stesso. Alcune proposte, nella loro serialità compositiva su tutto il waterfront hanno evidenziato il richiamo alla presenza dei tipici “murazzi” della costa veneziana (tipiche costruzioni locali veneziane poste a difesa dalle acque). I percorsi del Centro per la riqualificazione e valorizzazione degli spazi pubblici del centro storico di Jesolo. In questi ultimi decenni Jesolo ha saputo diventare una specie di laboratorio progettuale con la presenza anche di alcune importanti firme internazionali. Nel caso degli spazi pubblici del centro storico l’amministrazione comunale ha deciso di procedere attraverso un concorso di idee progettuali volte alla riqualificazione e alla valorizzazione delle piazze pubbliche (della Repubblica, 1° Maggio, Matteotti, Kennedy e una nuova) e dei relativi percorsi di collegamento. In questo caso l’elemento centrale diventa la valorizzazione dell’insieme degli spazi pubblici, in qualità di innesco concreto di processi veri e propri di rigenerazione urbana dell’intero (o di parti significative) del centro storico. E’ il classico esempio dell’investimento pubblico iniziale in grado di attivare ricadute economiche importanti anche in termini di economie di scala locale, che possono trovare fattiva esemplificazione proprio nelle procedure di rigenerazione urbana condivisa e opportunamente orientata, dove diventa fondamentale l’investimento privato e quindi le condizioni al contorno necessarie per determinarlo/incentivarlo. Il bando chiaramente chiede la razionalizzazione ma non l’eliminazione della viabilità dei mezzi a motore, anche se diventa assolutamente fondamentale creare delle isole prevalentemente pedonali. Anche in questo caso l’elemento acqueo risulta essere essenziale e riferimento imprescindibile, anche se non direttamente presente uniformemente negli spazi da progettare. E’ interessante notare come alcuni progetti abbiano approfondito in maniera puntuale, e per così dire duale, il tema generale del waterfront: da un lato irrorando in maniera anche molto artificiale gli spazi pubblici di terraferma (sistema delle piazze e sistema dei percorsi) con la presenza di semplici architetture d’acqua, e dall’altro con semplici rapporti di mediazione morfologica e spaziale con il sistema delle acque naturali presenti (fiume e corsi d’acqua secondari). Il tema del superamento della frammentazione degli spazi e dei percorsi pubblici è stato affrontato in termini di contestualizzazione puntuale (piazze) oltre che lineari. L’asse ordinatore (decumano delle connessioni) definisce nuove e vecchie materialità architettoniche di pietra e acqua, riprendendo gli stilemi del paesaggio tipico della venezialità urbana. La presenza di una forte tensione di percorsi dovuta all’intreccio tra viabilità ciclo-pedonale e viabilità veloce, è stata risolta attraverso una riorganizzazione funzionale del sistema della mobilità stradale. La commistione organizzativa della spazialità pubblica (su livelli funzionali accettabili) è stata ricercata con la temporalizzazione del tratto centrale di via Battisti, per permettere la continuità figurativa e spaziale del decumano centrale, Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
compreso tra piazza Repubblica/approdo Cavetta e il sistema delle piazze Matteotti/I^ Maggio. Alcune proposte hanno previsto la realizzazione di un nodo ricreativo, a servizio della comunità locale e turistica, posto lungo piazza Kennedy, come semplice integrazione spaziale e figurativa fra il percorso principale di attraversamento con il parcheggio interrato e la cavea artificiale posta nella sua copertura. Lo studio di arredi urbani originali evidenzia, anche in termini simbolici, la volontà di ricucitura urbanistica dei luoghi e l’uso di materiali semplici e ripetitivi (legno, pietra) permette all’osservatore di ritrovare sempre elementi materici riconoscibili all’interno dei diversi percorsi.
Bibliografia Comune di Chioggia; Verso la redazione del piano particolareggiato dei Ghezzi. Catalogo dei progetti partecipanti; Bottega dell’Immagine; Chioggia; 2011. Legge del 12 luglio 2011, n. 106: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia. Legge regionale del Veneto del 23 aprile 2004, n. 11 – Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio. Proposta di Legge della Giunta Regionale del Veneto di cui alla DGR n. 8 del 15.05.2012.
Figura 1. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Figura 2. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
Figura 3. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezz
Figura 4. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
Figura 5. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Figura 6. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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La rigenerazione urbana e territoriale come strumento di sviluppo
Figura 7. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Figura 8. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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Figura 9. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Figura 10. Concorso di Idee. Chioggia e l’area Ghezzi
Pasqualino Boschetto, Carlo Ghiraldelli
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Rigenerazione degli spazi pubblici e centri commerciali naturali: il caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli
Rigenerazione degli spazi pubblici e centri commerciali naturali: il caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli Gabriella Esposito De Vita* Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) Istituto di Ricerche sulle Attività Terziarie (IRAT) Email: g.esposito@irat.cnr.it Tel: 081.2538660 Claudia Trillo* SOBE-University of Salford Email: c.trillo1@salford.ac.uk Stefania Oppido* Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) Istituto di Ricerche sulle Attività Terziarie (IRAT) Email: s.oppido@irat.cnr.it
Abstract Il contributo affronta il tema della rigenerazione urbana di aree interne alla città consolidata, storicamente destinate a funzioni produttivo-artigianali e mercatali, oggi in condizioni di degrado e di abbandono anche a seguito di interventi di ri-localizzazione delle attività produttive e commerciali in contesti extraurbani specializzati. Attraverso la discussione del caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli, il contributo dimostra che queste aree, progressivamente svuotate del loro ruolo, possono oggi trovare nella valorizzazione della tradizionale identità artigianale e commerciale e del capitale sociale ad essa collegato l’opportunità di costruire strategie per fronteggiare il declino socio-economico ed il degrado fisico, anche attraverso forme di partenariato pubblico-privato. Nel caso studio, l’attivazione del capitale sociale, avvenuta attraverso un approccio di tipo partecipativo e strumenti integrati pubblico-privati, sta contribuendo difatti a perseguire obiettivi di rigenerazione urbana, in linea con quanto richiesto dalla Commissione Europea con l’approccio “Sviluppo Locale di tipo Partecipativo” (Community-Led Local Development). Parole chiave rigenerazione urbana, aree mercatali tradizionali, Community-Led Local Development
1 | Introduzione Nella città contemporanea si registra una combinazione di fattori che sta determinando il progressivo abbandono degli spazi pubblici, anche nella città consolidata ed in luoghi tradizionalmente vitali e dalla forte identità. Aree mercatali, cui vengono sottratte le attività che ne caratterizzavano l’uso in favore di luoghi specializzati extraurbani, diventano enclave urbane parzialmente abbandonate, depauperate della originale mescolanza funzionale e innervate di spazi pubblici ormai svuotati. Affrontando tale tema, il contributo intende dimostrare come la sinergica relazione tra processi top down, promossi attraverso iniziative pubbliche, e processi bottom up, fondati sull’attivazione di capitale sociale, possa favorire fenomeni di rigenerazione urbana capaci di rispondere alla domanda locale. In particolare, gli spazi pubblici della città consolidata in condizioni di degrado e abbandono possono trovare nella valorizzazione delle *
Pur nell’unitarietà del lavoro svolto, Gabriella Esposito De Vita ha sviluppato l’impostazione metodologica e l’interpretazione della ricerca di campo, Stefania Oppido ha approfondito le forme partenariali ed i programmi di sviluppo locale e Claudia Trillo ha contribuito allo sviluppo e all’interpretazione del caso di studio.
Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Rigenerazione degli spazi pubblici e centri commerciali naturali: il caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli
attività artigianali e/o commerciali tradizionali e nell’attivazione del capitale sociale ad esse collegato la linfa vitale per l’avvio e l’auto-alimentazione di un processo di rigenerazione, fondato non solo sulla riqualificazione fisica e funzionale ma sulla rivitalizzazione socio-economica. L'influenza reciproca tra luoghi tradizionali di commercio al dettaglio, spazi pubblici e vita sociale evidenzia, infatti, la necessità di un approccio globale alla riqualificazione delle aree mercatali espresso dalla formula del centro commerciale naturale (Figura 1). Per dimostrare questa ipotesi, il gruppo di ricerca ha intrapreso uno studio, suscettibile di ulteriori sviluppi, nel contesto urbano napoletano, in particolare sull’area di Piazza Mercato e del Borgo Orefici. Il caso studio dimostra come un approccio partecipativo e forme di partenariato pubblico-privato possano non solo favorire il recupero della tradizionale identità commerciale di un’area urbana ma anche contribuire a fronteggiare il declino delle attività economiche, ridurre l’abbandono degli spazi pubblici e favorire nuove o rinnovate forme di socialità.
Figura 1. Il processo di attivazione del capitale sociale nell’area di Piazza Mercato e del Borgo degli Orefici a Napoli.
La metodologia di ricerca si basa sulla rilevazione qualitativa diretta dell'area studio e sulla identificazione e coinvolgimento della rete di soggetti coinvolti in iniziative pubbliche o private (Yin, 2008; Gaber & Gaber, 2007). L’attività è stata supportata dalle indagini sul campo con strumenti propri di un percorso di community planning contestualizzati in ambito italiano e ponendo particolare attenzione alle specificità dell’area di studio. Tuttavia, l'approccio metodologico e gli strumenti adottati possono essere generalizzati ed applicati in contesti analoghi, offrendo elementi di riflessione ai decisori, ai progettisti ed agli attivisti che affrontano casi di rivitalizzazione di aree mercatali tradizionali nei centri urbani europei. In tal senso, il contributo offre spunti operativi immediatamente implementabili nella programmazione europea 2014-2020. Difatti, la bozza di regolamento per i fondi strutturali, in corso di approvazione (Commissione Europea, 2012), enfatizza il ruolo dello Sviluppo Locale di tipo Partecipativo (SLOP, ovvero CLLD - Community-Led Local Development) (Commissione Europea, n.d.). Si tratta di un approccio rivolto ad attivare l’intero capitale locale, sia fisico, sia socio-economico, estendendo a tutte le tipologie di contesti ciò che da più di un decennio era stato sperimentato con successo nelle aree rurali. In particolare, la Commissione Europea indica nello SLOP l’approccio adeguato a perseguire gli obiettivi di sviluppo urbano sostenibile. Il caso studio, oltre a consolidare il corpus di conoscenze teoriche sul rapporto tra approccio partecipativo e rigenerazione urbana, aspira ad offrire alcune raccomandazioni agli operatori che progetteranno ed implementeranno approcci SLOP nell’immediato futuro.
2 | Rigenerazione urbana in contesti commerciali tradizionali Nella storia delle città, le aree tradizionalmente destinate al mercato hanno giocato un ruolo fondamentale nella costruzione delle comunità urbane – in termini di economia, cultura e socialità – per la loro connaturata vocazione di luoghi di socializzazione (Carr et al., 1992). L'importanza del commercio nella costruzione di reti sociali è strettamente connesso al ruolo degli spazi pubblici; in particolare, nei centri storici e nella città consolidata le piazze del mercato e le strade commerciali da sempre hanno rappresentato il fulcro della struttura urbana e sociale (Atkinsons, 2003; Carmona et al., 2010; Zukin, 2010). Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Questi luoghi costituivano, in passato, veri e propri “centri commerciali naturali”, frutto del lento sedimentarsi di attività produttive e commerciali che si configuravano come un sistema integrato (INDIS, 2008). Il commercio al dettaglio, pur in diversi contesti ed epoche, ha svolto e svolge un ruolo determinante nella costruzione e nel mantenimento dell'identità di un quartiere (Jacobs, 1961). In anni recenti, si registra una preoccupante tendenza alla contrazione del numero di attività commerciali tradizionali all’interno della città consolidata, anche a causa dello sviluppo di aree commerciali extraurbane in grado di offrire una localizzazione più conveniente – dal punto di vista del costo dei suoli, dell’accessibilità, della disponibilità di parcheggi – e attrattiva per competitors internazionali (Zukin, 1998; Loukaitou-Sideris, 2000; Halebsky, 2004; Lowe 2005). Questo fenomeno conduce sovente, pur con traiettorie diverse nei diversi contesti, al degrado fisico e sociale delle parti di città più marginali o più complesse, pregiudicandone il ruolo di tessuto connettivo della socialità (Christopherson, 1994; Ehrenhalt, 1999; Seidman, 2004; Chapple et al., 2009; Sutton, 2010). Obiettivo del presente contributo è discutere il potenziale di un approccio partecipativo alla rigenerazione di questa tipologia di aree, indagando il contributo dell’attivazione del capitale sociale al recupero integrato delle funzioni e dell’ambiente urbano in declino per i fenomeni sopra descritti. Anche sotto la spinta della proposta del nuovo regolamento per i fondi strutturali 2014-2020, lo sviluppo locale partecipativo sta guadagnando ampio spazio quale approccio preferenziale allo sviluppo urbano sostenibile, dopo una lunga stagione in cui è stato ampiamente sperimentato attraverso i fondi comunitari nell’ambito rurale. Il tema dell’approccio partecipativo nello sviluppo e nella rigenerazione urbana affonda le sue radici nei movimenti statunitensi degli anni ’60; tuttavia, è già dagli anni ’70 che anche in Italia, sotto laspinta dal basso di movimenti e gruppi di pressione verso il cambiamento, si è sviluppata una copiosa letteratura accompagnata da esperienze progettuali (Campos Venuti, 1993; Cinà, 1995; Balducci, 1996). Non è questa la sede per entrare nel merito, basti ricordare che l’idea di “progettare la città con gli abitanti” (Sdavi, 2002) non nasce oggi; tuttavia, nell’attuale scenario di crisi economica e valoriale trova sicuramente nuovo slancio. Nella letteratura di settore si rileva una rinnovata attenzione a tale tema, con particolare riferimento al processo partecipativo che conduce all’attivazione del capitale sociale nei processi di rigenerazione degli spazi pubblici e nei più recenti progetti di matrice comunitaria si è intrapreso un percorso di ascolto delle istanze locali (Lepore, 2002; Carta, 2004). Il tema sta catturando l'attenzione crescente di progettisti e pianificatori urbani (Gehl, 2001; Carmona, 2010), ma anche di sociologi, economisti, politologi (Neal, 2008) e sta acquistando importanza nell'ambito delle politiche pubbliche (Carmona, 2001). In questo scenario si inseriscono riflessioni sulla possibilità di sperimentare approcci manageriali, che caratterizzano le esperienze di centri commerciali pianificati, in contesti commerciali tradizionali della città consolidata, la cui configurazione è frutto di un'agglomerazione spontanea: i centri commerciali naturali (CCN) (Rossi, 1998; Morandi, 2003). Un’alta percentuale di interventi di rivitalizzazione commerciale nel contesto italiano, infatti, si riferisce ai centri storici, considerando che «valorizzare il centro storico ed urbano significa favorire la riqualificazione e la riutilizzazione del sistema distributivo, produttivo e dei servizi allocati nei centri storici (…) significa incentivare forme di associazionismo fra imprese al fine di aumentare l’attrattività del centro storico e la competitività delle imprese presenti» (INDIS, 2008: p. 7). Si tratta, quindi, di definire nuove modalità per valorizzare il carattere sistemico dei centri storici, per mantenerne (o ripristinarne) la vitalità individuando nelle attività commerciali tradizionali le risorse strategiche per innescare la rigenerazione dell'area e stimolando una nuova cultura di marketing tra gli imprenditori (Paparelli e Del Duca, 2010). Obiettivo prioritario dei CCN è la rivitalizzazione del centro urbano incrementandone il numero di utenti e moltiplicando le occasioni di frequentazione e di acquisto, restituendo attrattività per residenti, players commerciali e visitatori occasionali (Cardillo, 2005; Sansone, 2007; Sansone e Scarfato, 2008). L’aggettivo “naturale” si riferisce alla localizzazione degli esercizi commerciali, i quali non si trovano all’interno di centri commerciali pianificati ma sorgono spontaneamente nelle vie, nelle piazze e nei vicoli del centro urbano (Commissione di Studio, 2011). Tale approccio è in linea con l’orientamento comunitario delineato dallo Small Business Act per l’Europa (SBA) con il quale l’Unione Europea pone le PMI al centro di una politica economica ispirata al principio del Think Small First (Commissione delle Comunità Europee, 2008). I processi di formazione di un CCN sono in molti casi spontanei e bottom-up e partono dal riconoscimento, da parte degli attori economici, della necessità di costituire una massa critica che consenta di massimizzare competitività e risultati e condividere le esternalità negative: migliorare la competitività individuale attraverso obiettivi comuni. In Italia, soprattutto in Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, la diffusione di CCN ha sostenuto una spinta associazionista e cooperativa molto forte. La Regione Campania, con la deliberazione n. 1476 del 18 settembre 2009, ha approvato la disciplina istitutiva dei Centri Commerciali Naturali per «favorire il processo di aggregazione degli esercizi di vicinato (…); b) concorrere alla salvaguardia e alla rivitalizzazione delle aree urbane; c) favorire, anche con la collaborazione ed il sostegno degli enti locali e delle associazioni (…) l'attrattività commerciale e turistica del territorio di insediamento». Il contributo proposto esplora tale traiettoria mediante il caso studio di Piazza Mercato e del Borgo degli Orefici a Napoli – riconosciuti Centro Commerciale Naturale – poiché la presenza di un rilevante patrimonio materiale e immateriale, insieme alla volontà di riscatto espressa dalla realtà produttiva e commerciale locale in anni recenti, Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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rendono il caso congruente con gli obiettivi di implementazione di strategie integrate di valorizzazione in storiche aree artigianali e commerciali.
3 | Architetture partenariali per la valorizzazione di un centro commerciale naturale: il caso della Città Bassa di Napoli Il caso studio di Piazza Mercato e dell’adiacente Borgo degli Orefici a Napoli è stato selezionato con l’obiettivo di approfondire le potenzialità connesse all’attivazione di capitale sociale nella rigenerazione di aree commerciali naturali. Difatti, l’area di studio rispecchia tutti i connotati di una zona centrale urbana tradizionalmente vocata al piccolo commercio, investita dalla crisi del settore e dal conseguente declino socioeconomico e fisico. Al contempo, nell’area di studio sono state attivate in anni recenti una serie di iniziative (interventi, attività di animazione) sia di tipo tradizionale (interventi di riqualificazione fisica con finanziamenti pubblici ) che basate su un approccio partecipativo (attivazione di reti di stakeholders, sollecitazione del capitale sociale). Il caso studio si presta pertanto ad un’analisi approfondita dei processi svolti e di quelli in corso, evidenziandone i primi risultati e le problematiche. E’ dunque possibile analizzare gli elementi trasferibili delle lezioni apprese dal caso studio, per trarne insegnamenti applicabili in contesti con problematiche analoghe. La posizione strategica tra il centro storico ed il porto ha determinato il destino commerciale dell'area, nella quale Piazza Mercato e Borgo Orefici si sono configurati, a partire dall'epoca angioina, come due poli commerciali specializzati nell'ambito di un unico distretto commerciale e di mercato (A.A.V.V., 1988; Catello, 1972; Moccia, 2001; Colletta 2006; D’Arbitrio, 2009). Questa caratteristica identitaria, sopravvissuta per otto secoli, è entrata in crisi a seguito di processi di ri-localizzazione che, a partire dagli anni ’90, hanno depauperato l’area del suo ruolo e della sua vocazione storica nel contesto napoletano. Si è assistito ad un fenomeno di progressivo abbandono dovuto ad un complesso sistema di concause; nel decennio 1991-2001 il numero di addetti alla vendita al dettaglio ed all’ingrosso nell’area è calato considerevolmente. La contrazione delle attività commerciali, oltre a determinare una perdita del patrimonio storico legato alla tradizione artigianale e commerciale, ha prodotto un forte impatto sugli spazi pubblici che riflettono uno stato di abbandono. Un segno evidente di questo processo è l’alta percentuale di locali terranei non utilizzati, circa il 41%, (censimento realizzato dalla Società SI.Re.Na. città storica S.C.p.A), con la conseguente perdita di un active edge capace di mantenere la vitalità dell’ambiente urbano e contribuire al controllo sociale degli spazi pubblici (Punter, 2010). Infatti, se nel Borgo è iniziato in anni recenti un processo di riqualificazione, mediante iniziative di natura pubblica a valere su fondi comunitari, nell’adiacente Piazza Mercato e nelle aree a ridosso di questa permane una situazione di degrado e di abbandono, nonostante le numerose proposte, i progetti e le iniziative. Uno dei progetti-obiettivo del “Progetto Integrato Territoriale Città di Napoli” (PIT Napoli), partito nel 2000 per iniziativa comunale in risposta alla strategia per le città capoluogo lanciata dalla Regione Campania nel Programma Operativo Regionale 2000-2006, è il “Progetto di riqualificazione urbana e di rivitalizzazione socioeconomica del Borgo degli Orefici in Napoli”. Tra le idee portanti del PIT si registra il recupero e la valorizzazione del rapporto città/mare e centro/periferia ed in tale ambito sono stati finanziati interventi di riqualificazione, iniziati nel 2005, che hanno consentito il rifacimento della pavimentazione, dei sottoservizi e opere di arredo urbano, per un totale circa 27.000 mq di strade, con la pedonalizzazione di ampie aree (Consorzio ABO, 2012). A tali lavori ha fatto seguito il bando per gli aiuti alle imprese nel 2006 (a valere su P.O.R. Campania 2000-2006 – misura 5.2 “Sostegno alla riqualificazione del tessuto imprenditoriale nell’ambito dei programmi di recupero e sviluppo urbano”) per supportare la riqualificazione di botteghe e negozi ricadenti nello stesso ambito del PIT.
Figura 2. Piazza Mercato (a sinistra) e l’incubatore d’impresa La Bulla (a destra). Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Accanto a queste iniziative top down di stampo tradizionale, con specifici capitoli di spesa destinati alla riqualificazione dello spazio pubblico ed al sostegno d’impresa nell’area del Borgo Orefici (Figura 2), si registrano altri due progetti di iniziativa pubblica ma di matrice partecipativa, finanziati nell’ambito del programma europeo URBACT ed estesi all’intera area della Città Bassa. Tali progetti non finanziano direttamente interventi materiali ma li “facilitano”, mettendo in rete le città partecipanti e sollecitando l’avvio in ciascuna città di una campagna d’ascolto e di coinvolgimento dei soggetti del territorio. Si parla di due Reti Tematiche internazionali: CTUR (Cruise Traffic and Urban Regeneration of city port heritage), di cui la città di Napoli è stata capofila, ed HerO (Heritage as Opportunity). Il principale output di tali progetti è rappresentato dal Local Action Plan per la Città Bassa di Napoli che costituisce un programma di intenti acquisito in vista di una prossima realizzazione (Comune di Napoli, 2011). Le due esperienze URBACT hanno trovato terreno fertile non solo nella compagine economica dell’area ma anche nelle associazioni culturali, nelle iniziative delle scuole, nell’Università (Figura 3). La concezione di tali progetti è di natura processuale ed affida al Local Support Group (LSG) il ruolo di favorire e garantire la partecipazione di tutti i portatori di interessi legittimi alla costruzione di una strategia di sviluppo locale. All’interno del LSG costituito a Napoli, un rilevante contributo è stato offerto dai due consorzi nati per recuperare e valorizzare le due anime storiche della Città Bassa, il Consorzio Antico Borgo Orefici e il Consorzio Botteghe Tessili di Piazza Mercato. Da tali soggetti economici partono le iniziative bottom up per la rivitalizzazione dell’area più interessanti. Il rapporto tra i due Consorzi è stato rafforzato da un Protocollo d’Intesa sottoscritto nel 2007 insieme al Consorzio I Miti di Napoli e alla Seconda Municipalità di Napoli per la definizione di un Piano organico di sviluppo della Città Bassa in collegamento con il Porto di Napoli e con il Decumano (Consorzio ABO, 2012). Negli ultimi anni i Consorzi hanno condotto un’intensa attività di dialogo con le istituzioni private e pubbliche per la realizzazione di un Piano integrato di interventi del waterfront, del Porto e dell’area di Piazza Mercato. Il recente riconoscimento di Centro Commerciale Naturale sia per il Borgo Orefici, sia per le Antiche Botteghe Tessili di Piazza Mercato, con Delibera di Giunta Comunale n. 509 e n. 510 del 18/3/2010, ha rappresentato un importante risultato nel processo valorizzazione della storica vocazione dell’area. Sono attualmente in itinere i tavoli di confronto sulle forme e i contenuti del CCN, cui partecipano con diverse modalità il CNR e l’Università, affinché l’iniziativa coniughi il motore economico con l’esigenza di preservare la dimensione culturale e le tradizioni dell’area.
Figura 3. Il Gruppo di Supporto Locale dei progetti URBACT a Napoli (Fonte: URBACT Napoli, Citynews n.1/2011).
La vivacità delle iniziative è testimoniata anche dall’intensa attività culturale che si è sviluppata durante le varie fasi di sviluppo dei citati progetti URBACT intorno all’area ed alle sue principali emergenze. Alcuni laboratori didattici promossi dalla (allora) Facoltà di Architettura dell’Università Federico II, così come la 3° edizione del Premio "La Convivialità Urbana" nel 2012, organizzato dall’associazione Napoli Creativa, hanno riguardato Piazza Mercato con l’obiettivo di sollecitare una progettazione partecipata degli interventi nell’area. In occasione Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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del Premio è nato anche il Progetto “Piazza Mercato.Network”, un portale ideato per supportare l’elaborazione progettuale in occasione del concorso e che ha proseguito l’attività contribuendo a formare spontaneamente un laboratorio d’ascolto e a rafforzare il senso di comunità. Queste iniziative, tra le altre, testimoniano il progressivo rafforzamento del network socio-economico che ha affiancato, negli anni, le iniziative pubbliche per la riabilitazione fisica dell’area.
4 | Metodologia di ricerca e primi risultati L’analisi del caso studio si è articolata in una fase preliminare di raccolta e analisi della documentazione esistente, inclusa: letteratura sulla storia socio-economica dell’area e sullo sviluppo storico urbano, dati sociodemografici e report, documenti di programmazione sulle iniziative attuali e passate, strategie, politiche, piani, strumenti vigenti, report di attività condotte dai principali stakeholder, documenti su investimenti pubblici, materiale informativo e promozionale. Tale fase è stata mirata alla ricostruzione narrativa delle vicende che hanno interessato l’area di studio nella storia, per quanto attiene al suo sviluppo identitario, ed in particolare nell’ultimo decennio per quanto riguarda le più recenti iniziative tese alla sua rivitalizzazione. Questa indagine è stata ulteriormente supportata dallo studio del contesto fisico – edifici, monumenti e spazi pubblici – e del contesto socio-economico, condotto attraverso sessioni di lavoro sul campo in momenti differenti della giornata ed in giorni diversi della settimana. L'indagine di campo include la documentazione fotografica e note redatte dai ricercatori durante l'osservazione diretta. Successivamente a questa fase, nel maggio 2012 si è dato inizio ad ulteriori analisi dirette, finalizzate all’interpretazione dei caratteri morfologici, funzionali e sociali dell’area, sia attraverso interviste, sia seguendo un approccio di active observation. Le sessioni di active observation sono state svolte nell’ambito di meeting pubblici che hanno coinvolto gli stakeholders locali: i ricercatori hanno partecipato a public hearings del progetto URBACT, ad incontri ed eventi organizzati dai soggetti privilegiati agenti nell’area, annotando informazioni e riflessioni e partecipando attivamente alla discussione. In parallelo a queste sessioni, sono state somministrate interviste semi-strutturate a 40 soggetti pubblici e privati selezionati per il ruolo chiave avuto nelle iniziative in corso. Le interviste, condotte da uno o due ricercatori, sono state precedute da una breve interazione personale tra il gruppo di ricerca e il testimone privilegiato, durante incontri istituzionali, partecipazione a focus group e workshop o attraverso contatti telefonici. L'intervistato è stato in primo luogo informato degli obiettivi della ricerca e dell’abilitazione alla gestione dei dati sensibili effettuata dall’ente (n. iscrizione 2012070300182013 Autority per la Privacy). Le interviste hanno avuto una durata media di circa 45 minuti e sono state documentate da registrazioni e note ed archiviate secondo un template, indicando data, istituzione/organizzazione, focus e parole chiave della discussione. Ogni documento di intervista compilato è stato identificato da un nome di file per facilitarne l'archiviazione e la consultazione. Gli stakeholders intervistati sono inclusi nelle seguenti categorie: • • • • •
istituzioni locali (I) (Regione Campania, Comune di Napoli, II Municipalità) istituzioni per la sicurezza (IS) (Prevenzione ed ordine pubblico) soggetti socio-economici (S) (Rappresentanti degli enti consortili ed imprenditori) attivisti (A) (attivisti in campo culturale e sociale, enti no-profit) esperti (R) (ricercatori nei campi della pianificazione, progettazione, sicurezza, sociologia e marketing)
Attraverso la partecipazione ad iniziative locali e forum e la somministrazione delle interviste a testimoni privilegiati si è costruita una prima mappatura delle istanze, delle criticità e delle potenzialità del percorso di rigenerazione collegato alla costituzione del centro commerciale naturale. Si ipotizza di portare avanti la ricerca, estendendo l’indagine agli utenti dell’area allo scopo di finalizzare l’ascolto alla costruzione di possibili traiettorie di rigenerazione urbana. La campagna di indagine ha consentito di rilevare l’interazione realizzatasi nell’area tra attivismo delle forze imprenditoriali locali – testimoniato dalla presenza dei due consorzi descritti e dal commitment a svolgere un’azione integrata che emerge dalle interviste condotte agli stakeholders – e impegno delle istituzioni locali, in particolare le iniziative dell’Amministrazione comunale sviluppatesi sotto l’ombrello del programma URBACT o di piani d’azione finanziati con fondi europei. Le interviste hanno contribuito ad evidenziare la relazione tra interventi pubblici e iniziative private nel perseguimento degli obiettivi di riqualificazione dell'area e rilevare il valore aggiunto della comunità e dell'attivazione del capitale sociale nel processo di rigenerazione. Nello specifico, i risultati delle analisi dirette sono stati i seguenti. Mediante la fase di active observation, il gruppo di ricerca ha interagito con i principali soggetti pubblici e privati che operano nell’area e che sono stati promotori o attori delle iniziative descritte, prendendo parte attiva alle discussioni pubbliche. Attraverso l’indagine visuale ha osservato la rilevanza del patrimonio storicoarchitettonico, in termini di edifici e spazi pubblici, ed i risultati ottenuti nel Borgo attraverso l’azione del Consorzio che, insieme al suo brand, ha inteso recuperare e valorizzare l’identità e la vocazione dell’area. Ha altresì osservato la persistenza della percezione di insicurezza generata soprattutto dalle condizioni di degrado e Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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abbandono dell’adiacente Piazza Mercato e delle aree a ridosso, accentuata dall’alta percentuale di locali non utilizzati ai piani terra. Anche nel Borgo, ad eccezione delle parti basamentali degli edifici e degli interventi di urban design, il patrimonio costruito necessita di interventi di riqualificazione. Tabella I: Schema delle interviste ai testimoni privilegiati.
RICERCATORI ESPERTI NEL SETTORE
ATTIVISTI
SOGGETTI SOCIO-ECONOMICI
ISTITUZIONI PER LA SICUREZZA URBANA
ISTITUZIONI LOCALI
ID num 1I 2I 3I 4I 5I 6I 7I 8I 9I 10IS 11IS 12IS 13S 14S 15S 16S 17S 18S 19S 20S 21S 22S 23S 24A 25A 26A 27A 28A 29A 30A 31A 32A 33R 34R 35R 36R 37R 38R 39R 40R
Discussione sullo scenario
Categoria/campo di interesse
Intervista e discussione
Regione Campania Regione Campania Regione Campania Comune di Napoli Comune di Napoli II Municipalità II Municipalità Autorità Portuale C.C.I.A. Sicurezza e ordine pubblico Sicurezza e ordine pubblico Sicurezza e ordine pubblico Rappresentante di ente consortile Rappresentante di ente consortile Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Imprenditore Attivista Attivista Attivista Attivista Attivista Attivista Attivista Attivista Attivista Esperto di pianificazione Esperto di pianificazione Esperto di progettazione Esperto di criminologia Esperto di criminologia Esperto di criminologia Esperto di marketing Esperto di sociologia
luglio 2012 marzo 2013 marzo 2013 luglio 2012 novembre 2012 marzo 2013 marzo 2013 luglio 2012 maggio 2012
Criticità C2; C4 C2; C3; C4 C3 C2; C4, C5 C1; C2 C2; C3; C4 C2; C3 C3; C4; C5 C1; C5
Potenzialità P1; P2; P3 P3; P4 P4 P1; P2; P3; P5 P1; P2; P3 P3; P4; P5 P1; P4; P5 P3; P4 P1; P2; P3
marzo 2013
C1; C2; C3
P4; P5
marzo 2013
C2; C3; C4
P4
marzo 2013
C2; C3
P4; P5
luglio 2012
C2; C3; C5
P1; P2; P3
luglio 2012
C1; C2; C3; C5
P1; P2; P3
ottobre 2012 ottobre 2012 ottobre 2012 ottobre 2012 ottobre 2012 ottobre 2012 novembre 1012 novembre 1012 novembre 1012 luglio 2012 novembre 2012 marzo 2013 marzo 2013 marzo 2013 marzo 2013 febbraio 2013 febbraio 2013 marzo 2013 gennaio 2013 gennaio 2013 gennaio 2013 gennaio 2013 marzo 2013 maggio 2012 marzo 2013 febbraio 2013
C3; C4; C5 C4; C5 C1; C3 C1; C5 C1; C2; C4 C2; C4 C2; C4; C5 C2; C3; C5 C2; C3, C5 C2; C5 C3; C4; C5 C2; C3 C1, C2; C3 C1, C2; C3 C2; C4, C5 C1; C3 C1, C2; C3 C1, C2; C3 C1; C4 C1, C4; C5 C1; C2; C4 C1; C3 C1, C3 C1; C2; C3 C1; C4; C5 C1, C3; C4
P2; P3; P4 P2; P4 P3; P4 P2; P3 P2; P3 P2 P2; P4 P3 P2; P3, P4 P1; P3; P4 P4; P5 P4; P5 P4; P5 P4; P5 P2; P4; P5 P4; P5 P4; P5 P4; P5 P1; P2; P3 P1; P3; P5 P1, P2, P3 P4; P5 P4; P5 P4; P5 P1, P2; P3; P4 P4; P5
I risultati delle interviste hanno evidenziato le principali criticità e potenzialità dell’area rispetto allo sviluppo del CCN, raggruppate in cinque voci ciascuna. I fattori critici identificati mediante i primi step della ricerca di Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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campo e testati e gerarchizzati mediante la prima tornata di interviste sono i seguenti: mancanza di active edge (C1) valutato quale criticità primaria all’unanimità dai ricercatori intervistati; stato di degrado ed abbandono (C2) che costituisce una delle priorità per le istituzioni, i soggetti socio-economici e gli attivisti; percezione d’insicurezza (C3) particolarmente importante per istituzioni ed attivisti; discontinuità d’uso e di percorrenza (C4) che appare importante per i rappresentati degli enti locali e gli esperti accademici; ed indeterminatezza temporale degli interventi (C5) priorità per gli imprenditori. Le opportunità ed i potenziali fattori sui quali fare leva per promuovere la rigenerazione dell’area mediante lo sviluppo del CCN sono rappresentati da: vocazione mercatale (P1) rilevante per istituzioni locali e ricercatori; vocazione artigianale (P2) assolutamente prioritaria per operatori socio-economici; localizzazione strategica (P3) primo punto di forza per le istituzioni locali e i soggetti economici; vivacità culturale (P4) prioritaria per gli attivisti e per operatori della sicurezza, abbinata alla mixitè sociale (P5) sulla quale si concentra anche l’attenzione dei ricercatori. La Tabella I sintetizza la ricorrenza dei giudizi sulle criticità e sulle potenzialità dell’area.
5 | Conclusioni ed apertura della linea di ricerca Il percorso di ricerca sviluppato ha consentito di evidenziare una serie di lezioni apprese, che possono costituire un bagaglio utile ai programmatori e ai pianificatori, soprattutto in vista di un esteso ricorso all’approccio SLOP (CLLD) sorretto dal nuovo ciclo comunitario 2014-2020 anche per lo sviluppo urbano sostenibile. Ulteriori sviluppi della ricerca consentiranno di integrare l’indagine di campo con una campagna d’ascolto che coinvolgerà anche gli utenti dell’area per definire le architetture partenariali e le possibili traiettorie di trasformazione fisica del CCN. Le principali lezioni apprese dal caso studio, che possono considerarsi trasferibili a contesti analoghi in quanto di carattere generale e non specificamente legate a fattori esclusivamente correlati al contesto, sono le seguenti. Il processo di rigenerazione dell’area studio ha incontrato due ostacoli rilevanti nella sua implementazione. Innanzi tutto, la mancata realizzazione di tutte le opere infrastrutturali determina lo stato attuale di degrado e di abbandono di parte dell’area di studio, rappresentando un forte ostacolo alla fruizione e valorizzazione dell’area anche a causa del senso di insicurezza che si determina tra gli abitanti e gli utilizzatori. Pertanto, è importante tenere conto del crono programma complessivo degli interventi di riqualificazione fisica, in quanto l’eccessiva diluizione nel tempo impatta sulla fiducia degli investitori e degli utilizzatori dell’area. Inoltre, la discontinuità del processo causato dall’alternanza politica dei local governments e il conseguente cambiamento di referenti istituzionali al tavolo di lavoro determina il rischio che si abbiano slittamenti temporali del programma anche in termini di gestione del partenariato. E’ importante che i referenti istituzionali garantiscano continuità ai processi di sviluppo, non personalizzando la presenza ai tavoli ma stabilendo protocolli formali che assicurino, al di là dell’alternanza politica, certezza di committment politico anche nel lungo termine. Viceversa, sono emersi fattori strategici sui quali fare leva per l’avvio del processo di rigenerazione emersi. In particolare: • il ruolo strategico che l’attivazione del capitale sociale ha avuto ai fini del recupero e della valorizzazione delle attività commerciali tradizionali ed identitarie dell’area, per arrestare il fenomeno di contrazione delle attività e sostenere la rigenerazione dell’area; • l’azione attiva e complementare dei due Consorzi e la loro capacità di guidare e coordinare in maniera sinergica le forze economiche dell’area, rappresentando una forza trainante per la rigenerazione dell’area. In particolare è stato evidenziato il ruolo de La Bulla come catalizzatore di economie locali e promotore dell’identità culturale e delle competenze tradizionali. La capacità associativa delle forze produttive e commerciali dell’area è strettamente connessa alla storia delle comunità da secoli insediate in questa parte della città ed alla loro genesi corporativa; • la positiva convergenza tra il PIT Napoli e le azioni intraprese nell’area, soprattutto in riferimento all’esperienza di riqualificazione del Borgo Orefici, con le attività del Gruppo di Azione Locale URBACT che hanno favorito la cooperazione tra istituzioni pubbliche e soggetti privati e la costruzione di un network di stakeholders; • la vivacità di idee progettuali ed iniziative culturali, promosse dall’università Federico II, dal CNR, dall’Associazione Napoli Creativa e da altri enti scientifici e culturali che si sono misurati con i temi dell’area di studio, che ha contribuito a far emergere suggestioni e prefigurazioni per il futuro dell’area. In conclusione, il processo attivato nella Città Bassa evidenzia l’utilità di recuperare il significato identitario attribuito all’area dalla storia urbana, valorizzando non solo il patrimonio tangibile – edifici, monumenti e spazi pubblici – ma anche quello intangibile, in particolare le competenze e l’esperienza nella produzione e nel commercio di specifici beni. L’obiettivo di rigenerazione urbana è perseguibile attraverso gli strumenti della Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Rigenerazione degli spazi pubblici e centri commerciali naturali: il caso di Piazza Mercato e Borgo Orefici a Napoli
pianificazione partecipata, ascoltando la domanda di stakeholders e comunità locale per delineare una visione condivisa dell’area e costruire insieme strategie ed azioni, in questo caso nell’ambito dello strumento del Centro Commerciale Naturale. In questo scenario, i Centri Commerciali Naturali, attivabili anche grazie all’approccio SLOP (CLLD), rappresentano un valido campo di sperimentazione della proficua interazione tra soggetti pubblici e privati, ponendo in evidenza il contributo che un’organizzazione strutturata del sistema produttivo e commerciale locale può fornire alla rigenerazione degli spazi pubblici.
Bibliografia Atkinson R. (2003), “Addressing urban social exclusion through community involvement in urban regeneration”, in: Imrie R., Raco M. (eds.), Urban Renaissance? New Labour, Community and Urban Policy. Policy Press, Bristol, pp. 101 - 120. AA.VV (1988), Oreficerie napoletane: esposizioni dal secolo XVII al XIX, Electa, Napoli. Balducci A. (1996), "L'urbanistica partecipata", in Territorio, n. 2, pp. 17 - 20. Campos Venuti G. (a cura di, 1993), Cìnquant 'anni di urbanistica in Italia 1942-1992, Laterza, Roma. Carmona M., Tiesdell S., Heath T. and Oc T. (2010), Public Places Urban Spaces. The dimensions of urban design, Elsevier, Oxford. Carmona, M. (2001), “Implementing urban renaissance”, in Progress in Planning, no. 56, pp. 169 - 250. Cardillo R. (2005), Centri Commerciali Naturali, Ed. Marketing City, Modena. Carr S., Francis M., Rivlin L.G., Stone A.M. (1992), “Needs in Public Space”, in Carr S. et al., Public Space, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 87 - 136. Carta M. (2004), NEXT CITY: la città del futuro prossimo, Meltemi Editore srl, Roma. Catello E. (1972), Argenti Napoletani dal XVI al XIX secolo, Ed. Banco di Napoli, Napoli. Chapple K., Jacobus R. (2009), “Retail trade as a route to neighbourhood revitalization”, in Wial H., Pindus N., Wolman H. (eds.), Urban and regional policy and its effects, Brookings Institution-Urban Institute, Washington, DC, Vol. 2, pp. 19 - 68. Christopherson S. (1994), “The fortress city: privatized spaces, consumer citizenship”, in Amin A. (ed.), PostFordism: a reader, Blackwell, Oxford. Cinà G. (1995), Pianificazione e sviluppo locale. Un profilo dell'esperienza italiana. L'Harmattan Italia, Torino. Colletta T. (2006), Napoli città portuale e mercantile. La città bassa, il porto ed il mercato dall’VIII al XVII secolo, Edizioni Kappa, Roma. Commissione Europea (2012), Regolamento COM(2012) 496 final, Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul FESR, sul FSE, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:2020:FIN:IT:PDF Commissione Europea (n.d.), Sviluppo Locale di tipo Partecipativo. http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/ docgener/informat/2014/community_it.pdf Commissione Europea, COM(2008) 394 definitivo, “Una corsia preferenziale per la piccola impresa”. Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa), Bruxelles, 25.6.2008. Commissioni di studio Formazione e Finanza Agevolata dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Salerno (a cura di, 2011), Centri Commerciali Naturali: aspetti normativi e procedurali - fonti di finanziamento - vantaggi e benefici - casi pratici. Comune di Napoli (2011), URBACT Napoli, Citynews n.1/2011, disponibile su http://urbact.eu/fileadmin/Projects/CTUR/outputs_media/URBACT_-_citynews_A4.pdf Consorzio ABO Antico Borgo Orefici (2012), Piano di Sviluppo Borgo Orefici, Napoli. D’Arbitrio N. (2009), I Borghi e le Strade delle Arti di Napoli. I gioielli e i tessuti d’oro e d’argento dei maestri dell’arte, Catalogo edito da Artemisia Laboratorio di Comunicazione, Stagrame, Casavatore. Ehrenhalt A. (1999), “Community and the corner store: Retrieving human-scale commerce”, in The Responsive Community, no 4, vol. 9, pp. 30 - 39. Gaber J. and Gaber S.L. (2007), Qualitative analysis for planning and policy. Beyond the numbers, American Planning Association, Chicago. Gehl J. (2001), Life between buildings: using public space, 5th ed. Arkitektens Forlag, Copenhagen. Halebsky S. (2004), “Superstores and the politics of retail development”, in City & Community, no. 3, pp. 115 134. INDIS Istituto Nazionale Distribuzione e Servizi (2008), Gli interventi di rivitalizzazione commerciale dei centri storici e delle aree urbane, con la collaborazione del Coordinamento interregionale del commercio e dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia), Santarcangelo di Romagna, Maggioli editore. Jacobs J. (1961), The Death and Life of Great American Cities, Random House, New York. Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Sitografia Commissione Europea http://ec.europa.eu/ Consorzio Antico Borgo Orefici http://www.borgorefici.eu/ Consorzio Antiche Botteghe Tessili di Piazza Mercato http://www.antichebotteghe.it/ Piazza Mercato.Netwotk, luogo di discussione ed elaborazione di un progetto di riqualificazione per Piazza Mercato e dintorni http://progettopiazzamercato.net/ URBACT, Connecting cities, Building successes http://urbact.eu/
Riconoscimenti La ricerca è stata sviluppata nell’ambito del Progetto IRAT-CNR “Diversità culturale e attivazione sociale: strategie per la sicurezza e lo sviluppo locale” coordinato da Gabriella Esposito De Vita. Si ringrazia Stefania Ragozino per la partecipazione all’indagine di campo a partire dal gennaio 2013.
Gabriella Esposito De Vita, Claudia Trillo, Stefania Oppido
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Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione
Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione Celestina Fazia Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento DARTE - Arte e Territorio Email: celestina.fazia@unirc.it Maria Francesca Faro Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento DARTE - Arte e Territorio Email: archmariafrancescafaro@archme.it Alessia Toscano Università Mediterranea di Reggio Calabria Email: ale.toscano@tiscali.it
Abstract Nell’epoca delle rapidissime trasformazioni dell’esistente, elementi e piani semantici si sovrappongono, rimodellano i confini e il senso del luogo, creando nuovi paesaggi e nuove relazioni. Sistemi sovrapposti, espressioni differenti, epoche stratificate generano sistemi pubblici complessi operando in quegli spazi interstiziali potenzialmente capaci di produrre nuove e sempre inedite configurazioni e continue occasioni di rigenerazione. Attraverso un nuovo progetto di città è possibile innescare quel processo di riqualificazione dello “spazio tra” che lascia aperta la possibilità di future trasformazioni. Il concetto chiave è recuperare spazi (anche inediti), storia e qualità guardando a nuovi scenari futuri che indicano più soluzioni rappresentate dalla velocità e dall’efficientamento dei meccanismi di funzionamento della città e degli spazi pubblici. Inoltre, analizzare attentamente il territorio, sfruttarne le vocazioni insite e valorizzarne i punti di forza, sono i cardini di un’attenta ri-progettazione, che non può prescindere da un uso sostenibile delle fonti di energia. Creare una linfa (inter)culturale e (inter)attiva -dentro e tra gli spazi pubblicinella quale si riconosca la popolazione prima di tutto ma in grado anche di coinvolgere il fruitore occasionale. Questi i possibili obiettivi che il progetto di rigenerazione urbana può raggiungere, indicando una strategia per operare in quei centri degradati, in parte disabitati, o amorfi e privi di significati/significanti la cui economia può però ripartire investendo nel recupero e nella valorizzazione degli spazi pubblici e dei tessuti urbani. Parole chiave: connessioni, progettare per parti, attrezzature
1 | Geografia e forma degli spazi pubblici nello spazio delle nuove relazioni sociali Le nuove relazioni sociali, i nuovi modi di vivere e i luoghi dell’abitare esprimono le trasformazioni della società del terzo millennio, e una domanda di spazi congrui ad accogliere tali e tante attività. Ma qual è la geografia di tali spazi, quali i collegamenti con il contesto sociale e quali soprattutto le implicazioni urbanistiche, gli elementi di sfrido con una generale aspettativa di offerta di città? L'obiettivo generale della comunità scientifica e degli addetti ai lavori deve essere quello di sviluppare il tema degli spazi pubblici nell'ambito della città contemporanea, riconoscendo in essa il delinearsi dinamico di quella
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Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione
"modernità liquida", ovvero di una società urbana permeabile ai continui richiami di trasformazione e di tensione al cambiamento dettati dall'era della globalizzazione1. L’innovazione si esplica nella capacità di individuare interventi fattibili nell'ambito dei processi di pianificazione, progettazione e programmazione in itinere, che sviluppino la capacità di erogare spazi pubblici idonei e prestazionali secondo un approccio integrato e multi scalare, in modo da introiettare sia le istanze che a livello locale declinano la domanda di qualità nella spazialità dei luoghi di interscambio funzionale e sociale, sia le modalità di integrazione che il concetto di inclusione urbana giocoforza attiva. La città contemporanea è dilaniata da profonde contraddizioni sociali (diventando oggetto di nuove minacce globali) che, proprio in ambito locale, vengono ad esasperarsi, incidendo in maniera determinante sugli stili di vita delle persone, sulle loro quotidiane paure e sul loro stesso orizzonte di libertà. Il tema della sicurezza è attuale e trasversale rispetto alle questioni relative al nuovo modello di città e alla necessità di affrontare la questione in termini operativi e propositivi; la constatazione dell'esistenza di una domanda generalizzata di sicurezza urbana -soprattutto negli spazi pubblici- a cui corrisponde un'offerta pubblica frammentata e scarsamente efficace, è la via maestra. Parlare oggi di sicurezza urbana significa, infatti, affrontare la questione ponendo l'accento su tutte le declinazioni del termine, come sintesi di questioni più ampie e troppo spesso irrisolte. Il tema della sicurezza urbana è diventato centrale nella costruzione di scenari di sviluppo a lungo termine. Si è difatti consapevoli che una città caratterizzata da alti livelli di sicurezza urbana consente il raggiungimento di alti livelli di qualità della vita, nonché di condizioni/volano per l'attrazione di investimenti pubblici e privati. Accanto al concetto di rischio, sia esso antropico/tecnologico o naturale, secondo cui impostare azioni di prevenzione per la salute pubblica (safety), si è sviluppato il concetto della sicurezza urbana come principio trasversale, che informa ogni politica pubblica e attraverso cui si misura l’efficacia delle stesse politiche. In altre parole si è passati dal concetto di città sicura che parcellizza la conoscenza e le responsabilità/competenze amministrative e governative in ambiti settoriali, peraltro giunti ad una elevata conoscenza di base (dalle azioni della protezione civile di gestione dell’emergenza, alle azioni della prefettura per la salute pubblica attraverso meccanismi sofisticati di prevenzione), al concetto di sicurezza urbana (security) che ha l'obiettivo di integrare la conoscenza secondo sistemi di controllo del livello di sicurezza di aree urbane. Emergono con forza due tematismi che costituiscono la base di partenza per sperimentazioni progettuali: 1.La costruzione di una piattaforma di integrazione tra diversi soggetti istituzionali per garantire la sicurezza urbana intesa come azione integrata; 2. Lo sviluppo di una metodologia che possa essere implementata negli strumenti di progettazione urbana e di pianificazione della città, che coltivi la sicurezza urbana come fattore endoprogettuale delle trasformazioni. Vista la multidisciplinarietà delle dimensioni e delle questioni concernenti i requisiti di prestazionalità degli spazi pubblici, le contaminazioni disciplinari sono inevitabili. Per questo la città è il luogo complesso dell'indagine e della sperimentazione; in particolare, le aree urbane delle grandi città sono soggette a diverse sollecitazioni derivanti dagli effetti positivi e negativi che la globalizzazione produce in maniera dinamica su di esse, su uno spazio dei flussi materiali e immateriali, dei transiti delle comunità migranti. Gli elementi che garantiscono la pianificazione e il controllo dell’efficacia dell’offerta di città, attraverso la riorganizzazione/ottimizzazione dei suoi spazi pubblici sono: -predisporre attività di monitoraggio della qualità della forma urbana nell'ottica della percezione e come presidio sicuro dell'urbano; -favorire l'integrazione della domanda di inclusione/sicurezza urbana nel nuovo welfare; -promuovere l'integrazione della domanda di competitività con quella della inclusione sociale e della sicurezza urbana nella costruzione di progetti di trasformazione urbana. Inoltre, la messa in rete dei servizi e del loro funzionamento, la mappatura sul territorio, le informazioni sulle modalità di erogazione, sui tempi, sedi, struttura contribuirà ad accrescere la competitività della città in termini di visibilità, a generare nuove attrattività legate a prodotti e servizi, specificando e indirizzando l’offerta verso una domanda dinamica, georiferita, multietnica, che renderà pertanto la città inclusiva. Anche le dotazioni urbane, le infrastrutture, gli esercizi commerciali, dovranno essere collegate in maniera complementare all’utilizzazione di tali servizi e coordinate da un indirizzo strategico finalizzate a migliorare l’accessibilità (attraverso il collegamento con i mezzi di trasporto pubblico) la fruizione, l’efficienza e a valorizzare le innovazioni emergenti. Lo spazio pubblico diviene il “luogo di scambio” per eccellenza, nel quale le interazioni si combinano insieme creando un sistema “urbano-sociale” carico e complesso esteso basato sulla combinazione di luoghi e network.
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V.Boffo, F. Torlone (a cura di), L’inclusione sociale e il dialogo interculturale nei contesti europei, strumenti per l’educazione, la formazione e l’accesso al lavoro, Firenze, htpp: www.digital.casalini.it 9788884537490.
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Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione
2 | Oltre la frammentarietà di un intervento per parti: processi di rigenerazione I Borghi e Centri Storici del nostro Paese rappresentano un patrimonio identitario di indiscusso valore artistico e culturale, una risorsa strategica che potrebbe favorire il riequilibrio del sistema ambientale, sociale e culturale, anche in un periodo di forte crisi quale quello attuale. I piccoli comuni, spesso, invece vivono una condizione di degrado e abbandono, inadeguati a rispondere alle rapidissime trasformazioni dell’esistente che la società dell’ICT richiede. A questa sorte non si sottraggono alcuni nuclei urbani che costellano la costa ionica del messinese. Piccoli centri, unici per la straordinaria posizione geografica e la qualità architettonica dei manufatti che, seppure ormai diruti, ne scandiscono le vie; borghi degradati, in parte disabitati, la cui economia può però ripartire investendo nel recupero e nella valorizzazione dei manufatti e dei tessuti urbani al fine di incentivare la vocazione turistica propria del territorio. Il workshop promosso nel 2011 dall’associazione Arte Alta con l’Università Mediterranea di Reggio Calabria è stata l’occasione per studiare una strategia d’intervento su questi centri minori e in particolare la proposta elaborata2. in collaborazione con gli architetti Abla Jouni e Alba Guerrera, si è occupata del piccolo borgo di Forza d’Agrò. (Figura 1)
Figura 2. Forza D’Agrò, ortofoto con l’indicazione degli assi principali del progetto
Il progetto, riflettendo sulla necessità che intervenire su un centro storico «deve esprimere, sia la natura omogenea che lo caratterizza sia la sua articolazione in parti distinte» (Thermes, 2006, pp. 56-57), assumendo l’esistente come fonte di rigenerazione, ha indagato il rapporto tra contesto storicizzato e progetto contemporaneo, soffermandosi sulla capacità degli spazi interstiziali del tessuto urbano di produrre nuove e sempre inedite configurazioni. Le fasi del progetto. La fase di analisi, nata dalla volontà di comprendere il luogo, nella sua dimensione fisica e sociale, in rapporto con la evoluzione e crescita morfologica, è stata infatti condotta in modo da definire nuove
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Progetto intitolato “Forza 8” è stato elaborato da Maria Francesca Faro (capogruppo) con Alba Guerrera e Abla Jouni in occasione del 1° workshop “Otto per infinito, otto progetti per infiniti scenari”, I Biennale delle artiste del Mediterraneo, Forza d’Agrò (Messina), 2011, Comitato Organizzatore: Officina di Hermes, Arte Alta, Università Mediterranea di Reggio Calabria.
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Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione
potenzialità d’uso di Forza d’Agrò, individuando nella zona che insiste sui ruderi del complesso di palazzo Mauro il punto nevralgico della proposta. Lettura del tracciato urbano quale elemento in grado di dare vita allo spazio pubblico e a quello privato, dividendolo o integrandolo a volte, studio del tessuto edilizio, in funzione delle polarità dei monumenti, verificando in che modo riescano a centralizzare il tessuto urbano e il sistema dei vuoti urbani, sono state le premesse dell’intervento, che hanno consentito di strutturare successivamente un processo aperto, orientato verso la sostenibilità e la rigenerazione. (Figura 2)
Figura 2. Forza D’Agrò, schemi del progetto
Le scelte strategiche hanno individuato interventi compatibili, dimensionalmente e architettonicamente, con il genius loci del borgo, coordinati tra di loro in modo che l’uno fosse necessario a l’altro, ponendosi in un rapporto di continuità critica con l’architettura di Forza D’Agrò. Intervenendo per parti, infatti, inserendo quegli enzimi capaci di innescare future modificazioni, è stato possibile creare un percorso culturale interattivo nel quale si potesse riconoscere la popolazione prima di tutto, riappropriandosi dei luoghi dimenticati, ma anche in grado di coinvolgere il fruitore occasionale. Le vie minute del borgo sono state interpretate come una rete di base del tessuto su cui inserire un nuovo sistema di connessione fatto di rimandi visuali (tra elementi architettonici significativi, manufatti e paesaggio) e sistemi virtuali (totem illustrativi) in grado di coinvolgere tutto il centro abitato e ricucire il tessuto interno con i margini. La creazione dei percorsi strategici, lungo gli assi delle percorrenze interne del centro abitato, ha, infatti, consentito di mettere in connessione quegli elementi del progetto recuperati e trasformati in nuovi contenitori di funzioni pubbliche: Palazzo Mauro e piazza Carulli.
Figura 3. Forza D’Agrò, vista dello Stretto di Messina dal teatro di piazza Carulli
Questa operazione ha inteso conferire nuova dignità architettonica ai diversi episodi spaziali che conformano il borgo; operazione che ha il suo momento più rappresentativo nel belvedere trasformato in laboratorio teatrale all’aperto, con l’inserimento di un volume stereometrico che come una camera urbana accoglie la scena del teatro e contemporaneamente inquadra paesaggio, consentendo all’osservatore di interagire con esso. (Figure 3 e 4)
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Qualità degli spazi pubblici e requisiti per nuova dimensione urbana. Spunti di riflessione
Figura 4. Forza D’Agrò, Il teatro e la piazza con i sistemi di collegamento verticale
Su questo sistema si innesta la scalinata che connette i differenti blocchi dell’antico palazzo le cui parti sono state trasformate in laboratorio/albergo per artisti, ma anche in museo interattivo e centro termale. Il progetto si presenta, dunque, come un sistema di spazi di connessione, in cui è possibile leggere la storia del luogo, in un’integrazione tra le necessità di uso della città contemporanea e le stratificazioni storiche dello spazio che si percorre. Le scelte formali puntano a connettere lo spazio pubblico esterno ed interno a palazzo Mauro, favorendo la permeabilità visiva e recuperando la vista verso il mare e la vallata. (Figura 5)
Figura 5. Forza D’Agrò, Il sistema di connessione esterni ed interni a Palazzo Mauro: la scalinata, l’hammam, l’albergo per artisti, il museo interattivo.
Prospettive di sviluppo. Il progetto nel suo complesso si è articolato in alcune tematiche che affrontano la problematica della rigenerazione del territorio con la questione della sua rinascita sostenibile. La riqualificazione energetica, infatti, gioca un ruolo importante perché può contribuire in modo determinante alla rigenerazione urbana in chiave di sostenibilità sociale ed ambientale e si trasforma in una grande opportunità di rilancio della città stessa. Celestina Fazia - Maria Francesca Faro - Alessia Toscano
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• La riconversione del territorio può essere fatta attraverso l’introduzione di infrastrutture sostenibili: le reti di approvvigionamento sono ripensate in modo nuovo ed integrato • Il rinnovo energetico del centro storico: le tipologie esistenti sono riviste e trasformate in funzione delle nuove potenzialità. • La rete degli spazi pubblici forma, insieme all’architettura degli edifici, un sistema complesso di centralità urbane. L’antico convive con il nuovo valorizzando le risorse esistenti e le spinte future. Intervenire attraverso l’architettura contemporanea, reinterpretando il passato, vuol dire inserire una discontinuità concettuale tale da consentire al centro storico di rigenerarsi ogni volta che sia necessario, affinché il ciclo della sua esistenza non si esaurisca, anzi renda ogni volta nuovamente attiva la sua essenza generatrice nell’ottica di un nuovo metabolismo urbano. Lo sviluppo di due percorsi paralleli uno culturale e l’altro ricreativo si sovrappongono e intrecciano, lasciando aperta la possibilità di future trasformazioni che coinvolgano l’intero borgo attraverso piccoli interventi sugli spazi pubblici ma anche su quelli privati. Attraverso queste operazioni, manufatti degradati divengono elementi generatori di una nuova economia.
3 | Il retrofit energetico per la rigenerazione urbana «Non ci sarà rigenerazione urbana – se non si punta sull’efficientamento energetico. L’Italia è in ritardo sul fronte dell’efficienza energetica nell’edilizia.»3 Il tema della rigenerazione urbana, della qualità dei luoghi e degli spazi comuni e il rinnovamento di ambienti urbani degradati, sono argomenti di primaria importanza per gli addetti ai lavori anche in relazione al mutamento ed alla freneticità degli stili di vita. Ma, lo scarso utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, il patrimonio edilizio fatiscente sotto l’ aspetto prestazionale energetico, l’urbanizzazione spesso convulsa che caratterizza i territori ed inoltre l’uso scellerato dei suoli, hanno portato negli anni alla creazione di situazioni di invivibilità dei luoghi e delle città. Nasce quindi la necessità di promuovere interventi volti a restituire ai luoghi, la “qualità” ambientale attesa, limitando al minimo l’impatto che tessuto urbano preesistente ha sull’ ambiente, puntando sulle nuove tecnologie, sulla domotica, sulla qualità e sull’eccellenza. È in tale prospettiva che si manifesta il tema della città intelligente, del risparmio energetico, del contenimento delle emissioni, vale a dire tutte le soluzioni nuove e possibili per rendere più sostenibile e d’altra parte, vivibile, l’ambiente urbano. Analizzare attentamente il territorio, carpire le esigenze reali, sfruttarne le vocazioni insite e valorizzarne i punti di forza, sono i cardini di un’ attenta pianificazione-progettazione di interventi, non esclusivamente impiantistico-strutturale ma intesa in senso lato, comprensiva della sfera economico-culturale. L’esigenza è, quindi, quella di comprendere se e come intervenire in scala ridotta, al fine di dare il “via”, “l’impronta” al territorio, partendo dalle singole abitazioni, che costituiscono l’ ambiente urbano, fino ad estendersi a veri e propri quartieri “ecosostenibili”. Come? Migliorando le prestazioni dell’ involucro edilizio sostituendo serramenti con infissi ad elevate prestazioni termiche ed adottando sistemi a cappotto termico per il rivestimento delle facciate, anche mediante l’ utilizzo di materiali naturali ed ecocompatibili appartenenti alle tradizioni ed ai luoghi; ricorrendo ai collettori solari, impianti geotermici o a biomassa ed a pannelli fotovoltaici integrati nella copertura, ma anche alla raccolta delle acque piovane dalle coperture delle abitazioni, per un loro riutilizzo a scopo irriguo. «Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli»4.
Bibliografia Fazia C., Città inclusiva città sicura. Strategie per la promozione della sicurezza urbana, Iiriti editore, Reggio Calabria, 2011. Moraci F., Strategie per ottimizzare la governance multilivello. Assunti teorici, in "I nuovi contesti della governance urbana. Città, territori e ambiti complessi", Le Penseur, Brienza, 2012 Moraci F., Fazia C., Le città smart e le sfide della sostenibilità, Journal of Land Use, Mobility and Environment TeMA 1 (2013) Thermes L. (2006), “Tre contraddizioni e un progetto”, in AAVV, Il progetto dell’esistente. Paesaggi urbani e paesaggio costiero in Calabria, Iiriti editore, Reggio Calabria, pp. 56-57.
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Allarme lanciato nell’ambito del World Urban Forum dalla Fondazione Annali dell’Architettura e delle Città. Sesta edizione World Urban Forum, Napoli 1-7 settembre 2012, Fondazione annali dell’ architettura, fonte Casa e Clima 4 Proverbio dei Nativi americani Celestina Fazia - Maria Francesca Faro - Alessia Toscano
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape Vincenzo Monfregola Università Federico II di Napoli Facoltà di Architettura, corso di laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Paesaggistico - Ambientale Email: monvin@hotmail.it Tel: 333 95 73 862 Roberto Riccio Università Federico II di Napoli Facoltà di Architettura, corso di laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Paesaggistico - Ambientale Email: ro.riccio@hotmail.it Tel: 349 77 36 814 Francesco Saverio Trombetta Università Federico II di Napoli Facoltà di Architettura, corso di laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica, Paesaggistico - Ambientale Email: francescosaveriotro@gmail.com Tel: 366 74 24 974
Abstract L’espansione del costruito e del tessuto urbano nei territori agricoli e rurali ha determinato un mosaico di spazi ibridi articolato secondo un alternarsi di pieni e vuoti, di città e campagna, senza alcun nesso apparente. La complessità dei territori è costituita dalla sovrapposizione di strati diversi sedimentati nel tempo secondo una logica misteriosa di cancellazioni e di permanenze che uno sguardo superficiale non può non classificare che come caotico e incoerente. Alla visione delineata si contrappone l’approccio del lavoro di tesi specialistica degli autori sul territorio di Saline Joniche, identificabile come progetto guida per la redazione di un piano urbanistico sovracomunale, che si esplicita attraverso la capacità di delineare scenari urbani costruiti su una visione progettuale delle reti e consente di superare il disegno finito di masterplan, privilegiando un processo continuo di scelta tra opportunità di cambiamento. Parole chiave Multiscalarità, Salvaguardia, Network.
Un nuovo background per la rigenerazione urbana La città contemporanea ci propone negli ultimi anni racconti e domande progettuali molto diversi dal passato, sia sotto il profilo del carattere dei luoghi in cui esse maturano, sia sotto quelle delle scale e dei materiali che vengono coinvolti nella rigenerazione urbana, facendo emergere un repertorio diversificato di esperienze che forse consente di abbozzare una tassonomia dei nuovi territori del progetto urbano. Ad esempio le aree di infrascape e waterscape, i grandi e complessi spazi aperti a scala urbana e territoriale di nuova generazione che ridisegnano la forma urbana, attraversano la città lungo i corsi d’acqua e le reti ambientali e infrastrutturali, ridefiniscono i rapporti tra centro e periferia, il ruolo dei margini, le aree di transizione, il modo stesso di raccontare la città. Oppure i progetti nelle aree di drosscape, un arcipelago di spazi oramai incuneati nel tessuto urbano della città consolidata, spesso diffusi anche in modo puntiforme a disegnare una nuova porosità del sistema insediativo che va oltre la tradizionale retorica dei grandi vuoti urbani, attraverso una strategia sapiente e multipolare di riqualificazione delle vaste aree dello scarto e del rifiuto, abbandonate, incolte, residuali, inquinate o comunque segnate da processi intensivi di trasformazione ambientale. Anche i Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
territori delle campagnes urbaines partecipano al ridisegno della città, ripensando i modi e le forme del suo funzionamento ecologico e della riappropriazione collettiva, produttiva e culturale interagendo con le infrastrutture naturali, sollecitando i margini di contatto con i tessuti esistenti e arricchendosi di una multifunzionalità a gradienti differenziati. In questi nuovi scenari che le reti ambientali e infrastrutturali suggeriscono, attraverso la ricerca di forme diversificate di densificazioni controllate delle periferie pubbliche e delle dispersioni insediative, anche introducendo nuove centralità e mixitè alla ricerca di strategie di intervento multiscalari capaci di scomporre la logica autocentrata dei quartieri e delle lottizzazioni informali e precarie e ricomporli dentro nuove gerarchie urbane e articolazioni locali.
String Landscape: progetto di parco lineare per l’area costiera di Saline Joniche La peculiarità e la morfologia dei nuovi spazi aperti suggeriscono un approccio progettuale nuovo, che si esplicita attraverso visioni proiettate in una pratica del futuro. A questo nuovo approccio si lega il lavoro di tesi, i cui obiettivi sono osservare il territorio con uno sguardo multiscalare, interpretare le relazioni che il territorio ha tra i suoi elementi, prefigurare nuovi scenari possibili.
Osservare il territorio Saline Joniche rientra nel sistema metropolitano dello Stretto di Messina, nel territorio comunale di Montebello Jonico in adiacenza con la SS 106 Jonica, e si trova 25 Km a sud di Reggio Calabria. Il territorio è connotato dalla presenza di elementi fortemente caratterizzati che, se da una parte contribuiscono a costruirne l’identità, dall’altra risultano essere frammentati e disconnessi. La peculiare struttura morfologica, fatta di montagne e di fiumare, ha costituito nel tempo un deterrente all’urbanizzazione, cosa che sebbene abbia limitato le connessioni tra parti significative del territorio, ha permesso di mantenere una netta prevalenza degli spazi aperti su quelli costruiti. Tale area sembra quindi essere composta da una successione slegata di concrezioni altamente specializzate (Officine Grandi Riparazioni, Liquilchimica), agglomerati urbani più o meno densi (il centro di Saline Joniche, il sistema dei borghi storici), spazi aperti a diverso grado di naturalità (le aree agricole di pregio, il ricco sistema idrografico con le fiumare, la linea di costa), sistemi di infrastrutture (la SS 106 costiera e la linea Fs Reggio Calabria–Metaponto) che hanno accentuato la cesura tra le colline e la costa.
Interpretare le relazioni che il territorio ha tra i suoi elementi Un territorio che si avvale di uno straordinario scenario paesaggistico (le fiumare, le aree industriali dismesse, i centri di costa, l’area naturalistica dei pantani, la costa, il porto, i borghi) messo a dura prova dalla pressione antropica. La prevalenza di spazi aperti su quelli costruiti rivela l’importanza strategica e il ruolo centrale del sistema ambientale, composto da core areas, corridoi ecologici e stepping stones1. Le core areas sono intese come invarianti assolute del sistema naturalistico, identificabili nell’area naturalistica dei Pantani. Il sito riveste una rilevante importanza naturalistica, in quanto unica zona umida della provincia di Reggio Calabria e per tanto luogo di straordinario valore, determinato dalla presenza di specie nidificanti o di passo, spesso rarissime. Il sito si trova all’interno dell’area di pertinenza del complesso industriale della Liquilchimica, costruito alcuni decenni fa, distruggendo parte della zona. Oggi l’area è sotto la tutela del WWF e classificata come area SIC. I corridoi ecologici, intesi come fasce di connessione necessarie a favorire l’interscambio tra core areas, sono identificabili lungo le fiumare e la fascia costiera. Le fiumare sono caratterizzate da una notevole pendenza dell’alveo a monte, e dalla stagionalità delle portate. Si assiste ad una alternanza fra le magre estive e le piene autunnali e primaverili. Nelle aree in prossimità delle foci, la maggior parte dei torrenti è canalizzata e interessata dal deposito di materiali inquinanti. La fascia costiera è un sistema altamente dinamico con forti fenomeni di erosione. L’occupazione di vaste porzioni dei cordoni dunali da parte di insediamenti e manufatti di vario genere, il mancato apporto di sedimenti verso costa causato dall’alterazione dei cicli sedimentari per intervento antropico nei bacini idrografici (sbarramenti fluviali, regimazioni idrauliche, estrazioni di materiali alluvionali), l’influenza sulla dinamica litoranea dei sedimenti intercettati dalle opere marittime (opere portuali), hanno portato alla quasi scomparsa del litorale. L’instabilità dell’area costiera se da un lato ha portato ad un arretramento della linea di costa, dall’altro ad un insabbiamento del porto. Attualmente è in stato di abbandono e il suo utilizzo è limitato a piccoli pescherecci. Le stepping stones sono aree a naturalità molto alta di completamento alla matrice naturale primaria. Esse sono costituite dal tessuto agricolo (coltivazione di bergamotto, vite, ulivo) e nuclei boscati e zone incolte (leccio, faggio, roverella).
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Progetto 'Rete Ecologica provinciale', fonte PTCP Reggio Calabria.
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Il sistema insediativo, ovvero gli spazi costruiti, presenta i tratti della città multinucleare ed è costituito dai centri costieri, dai borghi dell’entroterra e dalle aree industriali dismesse. I centri costieri,di recente costruzione, hanno tutti la caratteristica di piccoli nuclei urbani, nei quali si contraddistingue l’abitato di Saline Joniche, il borgo Sant’Elia e il borgo Riace. Elevato è il rischio idrogeologico per la presenza di abitazioni in aree a forte erosione costiera e vicinanza alle fiumare. Nell’immediato intorno all’area di Saline Joniche insiste una costellazione di manufatti storici, arroccati sui contrafforti dell’Aspromonte. Nella fascia costiera in contrapposizione ai centri di costa vi sono le aree industriali dismesse delle Officine Grandi Riparazioni e dell’Ex Liquilchimica. L’impianto delle O.G.R. copre un’area di circa 10 ettari, un enorme capannone bianco di dimensioni impressionanti; lo stesso è collegato alla stazione ferroviaria di Saline Joniche mediante un lungo cavalcavia, appositamente costruito, ed una stazione a servizio delle officine, oggi soppressa. L’area della Liquichimica si estende su un’area di 35 ettari e presenta caratteristiche comuni alla maggior parte degli stabilimenti industriali presenti sul territorio; silos alti dieci metri, una ciminiera imponente di circa settanta metri ed una serie di edifici di dimensioni notevoli a servizio della produzione.
Prefigurare nuovi scenari possibili Il progetto si propone di creare un sistema organico ed unitario che tenga insieme i differenti patch di territorio attraverso la definizione di un tessuto connettivo fluido, dai confini malleabili. La costruzione di una nuova identità territoriale avviene dunque attraverso la progettazione di uno spazio aperto continuo che genera nuova forma del territorio: il progetto di String Landscape.
Figura 1. Il progetto di String Landscape.
La proposta progettuale si fonda sul riconoscimento dell’identità di Saline Joniche quale territorio a forte connotazione e valenza naturalistico - ambientale. In tale direzione il potenziamento di questa identità diviene l’obiettivo di fondo e l’elemento portante su cui si fonda la costruzione delle strategie di riqualificazione dell’area, ricercando un giusto equilibrio tra la connotazione ambientale, cui si legano caratteri di forte qualità ma anche di fragilità, e la dotazione di infrastrutture, attrezzature e servizi in grado di sostenere e consolidare il ruolo di nuova centralità dell’area. In altre parole si persegue l’idea di un disegno di interrelazione tra salvaguardia del territorio e sua fruibilità e dunque tra rispetto per il valore insediativo-ambientale del paesaggio e la ricerca di un modello di sviluppo economico sostenibile in stretta integrazione con il territorio circostante. Ciò ha condotto: • all’assunzione della completa ricostituzione/rinaturazione della fascia costiera come elemento principale della strategia di riqualificazione e rilancio dell’area e come punto di partenza per più estese e generali azioni di valorizzazione/salvaguardia delle componenti ambientali (con particolare riferimento al sistema delle acque); • al controllo del peso insediativo, lavorando sulla sottrazione e sul trasferimento dei volumi della fascia tra il mare e la linea ferroviaria, e delle aree a rischio idrogeologico lungo le fiumare, attraverso meccanismi di compensazione differenziati; • al ridisegno delle forme insediative ancorato alla ricerca della continuità delle componenti paesaggisticoambientali, lavorando sul rafforzamento di alcune direttrici trasversali di concentrazione volumetrica e dunque sulla alternanza tra fasce edificate permeabili e fasce di continuità ecologica; • alla ricerca di un modello sostenibile di mobilità/accessibilità fondato sulla riduzione della mobilità privata su gomma e sulla sua razionalizzazione; • alla rigorosa selezione delle funzioni centrali da insediare privilegiando quelle in grado di costruire un’offerta turistica di qualità attratta proprio dalla ricchezza e varietà di offerta del nuovo parco antropico.
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Figura 2. Il progetto di parco lineare per l’area costiera di Saline Joniche.
Alla luce dunque dell’obiettivo di fondo di valorizzare la vocazione naturalistico-ambientale di Saline Joniche per il rafforzamento della sua identità e delle scelte di base sopraintrodotte, si delineano le seguenti grandi strategie: • • • • •
Potenziare e razionalizzare il sistema delle connessioni con il contesto territoriale Salvaguardare e valorizzare le risorse naturalistico ambientali e potenziare il sistema delle connessioni ecologiche con particolare attenzione alla mitigazione del rischio ambientale Controllare i carichi urbanistici e ridisegnare il sistema insediativo innescando processi di compensazione multipolari Costruire un sistema integrato di accessi all’area e predisporre forme sostenibili di mobilità interna Realizzare un sistema di nuove centralità integrate e diffuse
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Scenario 1 | La Porta della Città
Figura 3. La Porta della Città.
In virtù di quanto delineato nelle strategie urbane, è stato imprescindibile partire dalla definizione di un sistema di interventi – fortemente integrati tra loro – in grado di affermare questo territorio, con un ruolo determinante per Saline 'città porta', quale luogo di attrazione di attività e servizi specializzati, funzionali al suo reale decollo. In particolare, pertanto, il progetto presentato prevede interventi mirati a dotare la città di una nuova fisionomia verso il mare, con nuovi elementi di integrazione paesaggistica-urbana, di una serie di strutture di servizio per nuove centralità, nonché di infrastrutture di base per la mobilità, oltre che delle strutture ricettive e dei relativi servizi a valore aggiunto necessari a sostenere un significativo rilancio delle funzioni urbane della parte di città verso il mare. A questo scopo, diventa evidente la necessità di costruire una rete che, da un lato, rafforzi il sistema delle connessioni tra le più importanti infrastrutture di trasporto (porto e ferrovia), predisponendo un sistema integrato della mobilità e dell’accessibilità; dall’altro, identifichi un sistema di porte di accesso e di nodi di scambio, concepiti come luoghi di nuova centralità, attrezzati per l’accoglienza, l’informazione, il parcheggio e lo scambio dei sistemi di trasporto, attraverso la creazione di un nodo intermodale in corrispondenza dell’area portuale. Il progetto proposto, oltre alla riconfigurazione del porto e al recupero e restauro della fisionomia del paesaggio, passa infatti anche attraverso il recupero e la riconversione di alcune importanti presenze di archeologia industriale nell’area contigua dell’ex Liquilchimica, laddove si prevede la realizzazione di un nuovo insediamento a carattere prevalentemente turistico-ricettivo. Il progetto assume, in tal senso, un ruolo strategico perché combina insieme gli elementi del livello urbano, come nuovo e articolato sistema di servizi alla città, così come la possibilità di riattivare il circuito turistico, e le necessarie attrezzature e servizi, alla scala locale e territoriale.
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Scenario 2 | Il Parco dei laghetti
Figura 4. Il Parco dei laghetti.
Il parco dei laghetti si inserisce nel sistema di paesaggi del corridoio ecologico che dal bosco mesofilo fitto dell’Aspromonte si dipana lungo le aree agricole della fascia pedemontana per poi giungere alla costa. Allo stesso tempo svolge il ruolo di area di respiro, a forte naturalità, grazie alla sua ubicazione tra due spazi antropizzati: il centro urbano di Saline Joniche e l’area industriale in via di dismissione che verrà riconvertita ad area residenziale con vocazione turistico-ricettiva. Proprio l’obiettivo di configurare una sostanziale continuità con i sistemi vegetali del versante pedemontano induce ad una composizione ricca del bosco che, a partire dall’area di parcheggio alberato ipotizzata in prossimità della stazione della linea FS, corre lungo i bordi del pantano per poi insinuarsi in forme più rade negli spazi della nuova residenza prevista nell’area industriale capace di produrre l’effetto spaziale di cornice densa e monumentale del paesaggio umido. Quest’ultimo, con i suoi diversi gradienti, con densità arboree differenti, interagisce con alcuni dei manufatti industriali preesistenti e riconvertiti e con gli spazi aperti presenti nel nuovo insediamento, e contemporaneamente con il paesaggio dunale della spiaggia attraverso sistemi arborei e filari. Dalla stazione delle FS, attraverso il parcheggio, si accede ad una grande attrezzatura che ha la funzione di porta di ingresso al parco. Da qui si dipana una serie di percorsi ciclopedonali di diversa natura. La prima, a nord dell’area del pantano, si attesta ad un canale artificiale che separa l’area umida dalla statale. La seconda, a sud, si sviluppa lungo i binari ferroviari dismessi, dove la piantumazione delle essenze segue la linearità degli elementi preesistenti. La terza, interna, attraversa le acque salmastre, intercettando attrezzature per il birdwatching, e si ricongiunge alla viabilità interna all’area delle nuove residenze, dispiegandosi tra giardini tematici e piazze per i grandi eventi.
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Scenario 3 | Il Polo delle Ex Officine Grandi Riparazioni
Figura 5. Il Polo delle Ex Officine Grandi Riparazioni.
Un’ idea di fruizione dinamica, coinvolgente, emozionale ed altamente suggestiva. La ricchezza vegetale del bosco planiziale, dell’area umida con i suoi diversi gradienti, e la metamorfosi del paesaggio agrario sono messi in scena lungo i percorsi, secondo una strategia di transizione dall’auto alla ciclopedonabilità e di progressivo avvicinamento sensoriale agli spazi di maggior pregio ambientale e paesaggistico. Un’ idea di accessibilità capace di depontenziare la gomma, privilegiare il ferro, valorizzare l’esperienza corporale della pedonalità. Nell’area delle ex Officine Grandi Riparazioni l’idea progettuale è basata sulla sovrapposizione degli usi, con un’enfasi posta sulle aree pedonali e gli edifici. Il progetto si propone l’intento di riavvicinarsi alla tipologia stratificata di città, e lo fa integrando differenti funzioni e servizi che si sviluppano su vari livelli. La forma stratificata della città, infatti, possiede delle caratteristiche intrinseche che permettono una buona vivibilità alla scala urbana. Sul sedime del manufatto dismesso dell’OGR viene edificato un blocco che racchiude in sé una folta varietà di usi, ad ogni strato corrisponde una o più funzioni collegate verticalmente, dal parcheggio per le automobili sotterraneo fino al tetto verde che ospita le abitazioni, passando per un centro commerciale sul quale le abitazioni stesse si appoggiano, e che si pone come ulteriore centralità della città. Il rapporto tra pieni e vuoti, il rapporto di vicinanza e la presenza di servizi e di spazi di socializzazione sono le caratteristiche che fanno la qualità di un luogo.
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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ll progetto di parco lineare di Saline Joniche: String Landscape
Bibliografia Donadieu P. (2006), Campagne urbane.Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli. Gasparrini C. (2009), “La città come nuovo sfondo", in Monograph, n. 0, pp. 8 - 11 Mantovani S. (2009), Tra ordine e caos. Regole urbanistiche per una urbanistica paesaggista, Alinea, Firenze. Politecnico di Torino (2004), Infra esperienze. Forme insediative, ambiente e infrastrutture, Marsilio, Torino. Sassatelli M. (2006), George Simmel, saggi sul paesaggio, Armando, Roma. Waldheim C. (2006), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York.
Sitografia Quadro conoscitivo territoriale, disponibile su Comune di Montebello Jonico, Piano Strutturale, sezione Urbanistica http://www.montebellojonico.it/index.php?id=105 Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, disponibile su Ptcp Provincia di Reggio Calabria, sezione elaborati http://ptcp.provincia.rc.it/index.php/elaborati Acque interne e marino costiere, disponibile su Ispra Ambiente, sezione banche dati http://www.isprambiente.gov.it/it/banche-dati/acque-interne-e-marino-costiere
Vincenzo Monfregola, Roberto Riccio, Francesco Saverio Trombetta
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Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma
Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma Gabriella Restaino “Sapienza” Università di Roma Facoltà di Architettura Email: gabriella.restaino@uniroma1.it Tel. +39 349 5287399
Abstract Pensando al paesaggio come espressione contemporanea di cultura e rappresentazione del territorio, oggi vi è la necessità di ripensare la valorizzazione di quelle aree, spesso di margine e/o dimenticate, insieme a quei percorsi storico-culturali, urbani e territoriali – che le attraversano o ne rappresentano l'ossatura portante – al di là della loro potenzialità economica diretta solo ai fini della promozione di un turismo di tipo culturale o di processi di riqualificazione, spesso “azzardati”, di Project financing, rivalutandoli, invece, principalmente come tracce – frammenti di passato incorporati nel presente – di storia e cultura, nello stesso tempo antica, moderna e contemporanea, da “restituire” in primo luogo a chi lungo questi vive e cammina; in modo da far rivivere e percepire il passato come componente indissolubile del presente, con semplicità, proponendo un “viaggio culturale” quotidiano ... a “piedi nudi” nella storia...
Restituire la storia dispersa Seguendo i processi che nel tempo hanno prodotto cancellazioni, riusi e trasformazioni di sistemi territoriali e strutturazioni suburbane differenti – come chi fruga tra pagine di libri diversi, staccate le une dalle altre, lacunose o perfino con parti mancanti – è possibile “restituire” quelle trame di storia dispersa che, insieme alle tracce della contemporaneità, rappresentano “paesaggi comuni” della “nuova” comunità urbana e suburbana che si va formando. «Ė solo dalla trama di ciascun volume (di ciascun assetto del territorio) che ogni pagina (ogni frammento ...) di fatto, acquista un significato» (Ricci, 2006 p.66). Il Melting pot o, se vogliamo, la Jam session di culture è quel processo in atto nelle grandi metropoli d'oltreoceano e anche in Italia in alcune grandi città e/o territori suburbani, come nel caso di Roma, che si va formando autonomamente tra persone provenienti da diverse parti del mondo come superamento dell'identità locale a favore di un'immagine sociale “altra” diversa da città e città, territorio e territorio. Questo processo può essere preso come la forza motrice di un nuovo modo di pensare, vivere e riconoscersi nel territorio a seconda delle strutturazioni e/o de-strutturazioni contemporanee del paesaggio. Il caso del suburbio di Roma colpisce per la presenza di innumerevoli “frammenti” di storia perduta/dimenticata che punteggiano il tessuto della città “fuori le mura” in modo assolutamente anonimo; che siano permanenze di strade, aree naturali abbandonate, parti urbane prive di “forma/immagine” riconoscibile o singoli reperti archeologici/architettonici, un tempo importanti capisaldi del territorio. Tutte emergenze che alimentano un sentimento di decisa “estraneità” ai luoghi. Considerando che l'interpretazione del territorio come “paesaggio” e la sua valutazione sono un processo “culturale”, oggi si può dire che l'idea stessa di paesaggio nasce ormai come creazione “multi culturale” di chi vive e percepisce il territorio come tale, rappresentazione individuale e collettiva della storia del luogo da “restituire” in primo luogo a chi lì vive e cammina.
Gabriella Restaino
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Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma
Dibattito archeologia/sociologia urbana/urbanistica: migrazioni e globalizzazione, effetti sullo sviluppo della città, il caso di Roma In Italia le migrazioni sono state in passato in gran maggioranza “migrazioni interne” con i grandi contesti urbani come punti di principale destinazione. Negli ultimi dieci/quindici anni invece, a questo tipo di migrazione (attualmente caratterizzata in maggioranza da giovani sotto i trent'anni che si spostano per motivi di studio e lavoro) si è associata una migrazione internazionale che ha come punti di destinazione sia le grandi città sia le regioni agricole e industriali e, come scrive Pierre George, «il loro ritmo di assorbimento è subordinato allo sviluppo delle aziende che vi hanno sede e che richiedono diversi tipi di manodopera» (George, 1972). Nel tempo il modello comportamentale del migrante è andato radicalmente mutando. Mentre il migrante “interno” delle regioni centrali e meridionali (spesso di cultura contadina) tendeva a trapiantare nella città ospitante comunità che ripetevano i modelli di vita originari dei paesi di provenienza, costituendo gruppi chiusi (vedi a Roma tra gli anni 1950 e '60: siciliani, calabresi, napoletani, abruzzesi e laziali) segregati verso l'esterno e solidali solo tra comunità dello stesso ceppo di provenienza, il migrante “esterno” (spesso diplomato o laureato) in una prima fase ha cercato di assimilarsi e di far propria la cultura del paese di destinazione, in seconda fase ha teso a diventare “cittadino di due mondi”, mantenendo da un lato i valori della cultura di provenienza e da un altro lato ha teso ad acquisire i modi del paese ospitante, proponendo la diversità culturale come plusvalore creativo e produttivo. I migranti in molti casi hanno potuto «arricchire il tessuto connettivo della socialità di un rione, rigenerando spazi dismessi e rianimando spazi degradati con popolazione giovane e creativa» (Società Geografica Italiana, 2003), stabilendo così un processo che si oppone al disagio, alle conflittualità con i residenti, alle chiusure comunitarie, alle ghettizzazioni. Questo processo va anche in opposizione a quell'aspetto della «globalizzazione che va generando una crescente separazione tra i luoghi in cui viene prodotta una cultura e i luoghi in cui essa può essere fruita» (Zamagni, 2002), prova a far saltare i confini che determinano le culture e cerca di non dare a «globalità il significato di annullamento delle identità e delle dinamiche multidimensionali locali» (Frudà, 2003).
Roma oggi: la città dentro la metropoli Nel raggio di dieci chilometri dal Colosseo, nel suburbio di Roma (figura 1), il paesaggio è segnato da un tessuto edificato in modo fittissimo, quanto non uniforme. Negli ultimi tre decenni la città si è dilatata dentro l'anello stradale del Grande Raccordo Anulare, oltre il quale è persino straripata in direzione ovest, verso la foce del Tevere, anche oltre il Lido di Ostia e Fiumicino, per ora evitando la Tenuta di Caccia di Castel Porziano e la Pineta di Castel Fusano, mentre a sudest si è quasi realizzato un continuum urbano con i comuni limitrofi. La inesauribile spinta all'espansione ha prima lambito e poi direttamente investito alcuni vecchi nuclei municipali, oltre il larghissimo perimetro comunale di Roma. Dagli anni Cinquanta, infatti, la crescita demografica di una trentina di comuni confinanti o prossimi alla capitale è stata proporzionalmente maggiore che nella stessa Roma. Ai circa 2.830.000 abitanti oggi registrati nella capitale (2.617.175 residenti secondo il Censimento ISTAT 2011) ne sono quindi più o meno strettamente legati altri 500.000, di cui ben 100.000 tra Tivoli e Guidonia Montecelio, a ridosso della periferia orientale. Una delle maggiori realtà urbane del Paese. la città di Roma con il suo suburbio sembra ormai aver chiuso il suo lungo e costante ciclo di crescita demografica, che in centodieci anni l'ha portata da 213.000 a circa 2.840.000 abitanti. Da quando è stata dichiarata Capitale sino ad oggi, Roma ha “drenato” dal Lazio, dall'Abruzzo, dalla Campania, dal Meridione e dall'Italia centrale in genere circa 3.100.000 persone, ad una media annua altissima di oltre 26.000 migranti che ha anche avuto punte superiori alle centomila unità all'anno (tra 1961 e '63). Nel quadro urbano del Lazio, Roma non è più isolata, sta nascendo un piccolo hinterland romano, si vanno rafforzando le funzioni di Viterbo, Latina e Frosinone, e la stessa immagine di Roma come polo esclusivamente politico-amministrativo si arricchisce di nuovi contenuti, anche industriali o di terziario avanzato. Il suburbio storico – cioè quel che ne rimane, non tanto in reperti edilizi plurisecolari, quanto in spazi urbanistici tuttora utilizzabili per usi non in aperta contraddizione rispetto a quelli originari – è innaturalmente confuso nella città contemporanea. Quest'ultima è cresciuta indifferente e alle spese della struttura territoriale storica preesistente, realizzando un'espansione che ha ignorato ogni visione urbanistica d'insieme. Nel tempo, infatti, l'edificazione del suburbio (spesso priva di un disegno urbano strutturante) è stata estesa anche nelle aree marginali o inadatte o non previste dai vari piani regolatori, sfruttando la pressante domanda di abitazioni causata da un flusso immigratorio “naturale” e “incontrollabile”, sia attraverso lottizzazioni inserite a posteriori o in deroga ai piani regolatori sia con insediamenti “precari” che poi hanno richiesto e ancora richiedono interventi pubblici di risanamento e riqualificazione. Gabriella Restaino
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Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma
Due città giustapposte – con due destini divergenti – si dividono dunque lo spazio del suburbio storico incessantemente edificato. In una “la città storica” si può ancora riconoscere il valore architettonico e urbanistico, nell'altra “la città della metropolizzazione”, la criticità e i rischi di uno sviluppo edilizio incontrollato, riconoscibile sia dai “segni urbani” ormai cicatrizzati degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, sia da quelli contemporanei attuati spesso sotto la spinta della “urgenza” (leggasi la storia delle recenti delibere romane su carteinregola.wordpress.com) invadendo quasi ogni area libera e riducendo l’immagine del suburbio storico di Roma a quello di molte delle periferie urbane di grandi e piccole città d’Italia, spesso ancora prive di quei servizi e di quelle infrastrutture che ne avrebbero potuto mitigare il rapido degrado igienico-ambientale e sociale.
Figura 1. Il suburbio di Roma (tavola di Gabriella Restaino, Francesca Onori e Licia Toccaceli)
I quartieri Esquilino e Quadraro a Roma: “Jam session” e “Melting pot” di culture A Roma è poco presente il fenomeno della “ghettizzazione” dei gruppi nazionali in determinati quartieri; solo di recente si sono verificate alcune concentrazioni di gruppi di alcune nazionalità in punti determinati della città, come la elevata presenza dei cinesi nella zona dell'Esquilino (già Rione del Centro storico posto lungo e attorno l’asse dell’antica Via Sistina), in particolare nelle adiacenze di Piazza Vittorio. L'Esquilino rappresenta un modello economico tipico dei lavoratori immigrati, un'enclave economica in cui si sono concentrate delle attività tipicamente etniche. Il valore culturale ed economico di quest’area è la base per il rilancio dell'Esquilino, gli immigrati si difendono dalla mancanza di aggregazione con la popolazione del quartiere continuando le loro attività, chiudendosi all'interno delle comunità, organizzandosi con iniziative nazionalistiche che offrono una protezione culturale agli attacchi degli autoctoni. Nonostante il clima di diffidenza, iniziano a nascere delle iniziative culturali “miste”, come un nuovo giornale cinese/italiano, La Cina in Italia, che rappresenta un tentativo di sfondare il muro delle paure e lanciare un ponte tra due culture molto diverse che tentano di entrare in contatto. Le potenzialità dell'area dell'Esquilino sono facilmente immaginabili con un confronto con aree simili di altre città europee, dove la multiculturalità è semplicemente vissuta nel quotidiano, e dove gli abitanti comunicano ognuno nella propria specificità la ricchezza delle esperienze dei propri paesi. In realtà, le esperienze di questo tipo sono già presenti a Roma nei quartieri di lunga tradizione di immigrazione, soprattutto africana, ma ormai anche bengalese e araba. Roma è ormai una città multietnica e, in ogni caso, è l'area metropolitana con il maggior numero di immigrati extracomunitari e profughi dei paesi africani, asiatici e balcanici. Tra i 300.000 immigrati che vivono nella nostra città appaiono, però, molto diversificate le condizioni di accesso alla vita sociale per chi proviene dall'America Latina, dalle Filippine, dai paesi dell'est Europa o dal Corno d'Africa. Gabriella Restaino
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Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma
A Roma sarebbe possibile riconoscere e valorizzare un'area importante della città come quartiere internazionale, evitando l'esperienza dei ghetti etnici che caratterizza le grandi aree metropolitane del nord del mondo. La zona intorno a Piazza Vittorio è abitata sia da popolazione benestante legata al commercio o di recente insediamento – essendo l'Esquilino la parte più accessibile e meno esclusiva del centro storico – sia da abitanti poveri di antica data, ma soprattutto da molti immigrati, legati alle transazioni commerciali e di import-export, o legati al fatto che, sin dal loro arrivo nella città, hanno trovato qui un luogo di incontro delle relative comunità internazionali. Piazza Vittorio è diventata negli anni '90 una piazza realmente multietnica. Poiché, purtroppo, soffre da almeno un quarto di secolo per il forte degrado causato principalmente da problemi statici di edifici costruiti non a regola d'arte, da eccesso di traffico e da sovrapposizione di funzioni urbane, non sono mancati i tentativi di costruire l'equazione “immigrazione = degrado”. L'Esquilino però non è un ghetto etnico, ma una vera e propria Jam session di culture differenti, per costume, tradizioni, letteratura e musica, che hanno anche prodotto la formazione dell’ormai nota (in Italia e all’estero) Orchestra di Piazza Vittorio «diciotto musicisti che provengono da dieci paesi e parlano nove lingue diverse. Insieme, trasformano le loro variegate radici e culture in una lingua singola, la musica» (www.orchestrapiazzavittorio.it). Il rione Esquilino, divenuto nell'ultimo decennio, l'area di più consistente insediamento multiculturale, è di fatto il più esteso e originale rione multietnico di Roma. Rispetto ad altre aree metropolitane dove si sono configurati quartieri mono-etnici (quello arabo, quello cinese, quello turco, ecc.). l'Esquilino propone, infatti, nel quotidiano, una caleidoscopica rappresentazione di culture che, dalle più lontane terre del sud del mondo alle più vicine aree mediterranee e dell'est europeo, si fondono, si integrano e si trasformano dando vita ad un vero e proprio tessuto sociale interculturale: il “Laboratorio Esquilino” (si vedano per questo i lavori di Alessandro Giangrande ed Elena Mortola della facoltà di Architettura dell'Università “Roma Tre”). Tale trasformazione inequivocabile di Esquilino in zona-sede di servizi terziari (coop. alimentari del Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, bar e ristoranti eritrei, macellerie musulmane, botteghe di arte indiana, rivenditori di stoffe africane, ecc.) e di residenzialità composita si riscontra soprattutto tra gli abitanti che intessono relazioni “atipiche” e impensabili qualche anno fa. Da tali considerazioni, dalla consapevolezza della necessità di riqualificare le funzioni dell'Esquilino e di sviluppare una sempre maggiore comunicazione sociale nel rione, sono nate e continuano a nascere, ad opera della cittadinanza, una serie di iniziative di lotta alla povertà, di laboratori interculturali, di attività sociali ed economiche tra cui i centri di accoglienza. Questi ultimi propongono la creazione di centri di prima accoglienza per nuclei familiari e per singoli (italiani e stranieri), sostegno alle persone senza fissa dimora (reperendo una prima occupazione e un alloggio), recupero del patrimonio abitativo IACP e IPAB (attraverso la mappatura del territorio, arrivando ad interventi di recupero del patrimonio immobiliare comunale inutilizzato per finalità di tipo abitativo, centri diurni per bambini, ecc.), agenzie di servizi orientamento e alloggio per turisti, studenti, e disabili, commercio equo e solidale. Il Quadraro, invece, rappresenta un esempio di Melting pot ormai sperimentato da anni. L’area appartiene storicamente al suburbio di Roma già dal Seicento (è presente nelle mappe del Catasto Alessandrino, 1660) e si sviluppa tra le antiche Via Tuscolana e Via Casilina e anticamente si estendeva verso i Castelli Romani. La Via Casilina è il percorso che attualmente connette il Quadraro con l’Esquilino passando per Tor Pignattara, un’altra zona di marcata connotazione etnica (dove prevale la comunità del Bangladesh) e dove si sta sperimentando un nuovo progetto multiculturale: “Piccola Orchestra” di Tor Pignattara i cui componenti saranno bambini e adolescenti, «veri custodi di un futuro che, a Roma come nelle maggiori capitali del mondo, si prospetta come una costellazione di culture che debbono imparare a convivere tra loro, accettandosi e prendendo il loro incontro come arricchimento umano e non come privazione della propria identità sociale» (www.romacheverra.it). L’insediamento moderno del Quadraro nasce all'inizio del '900 con una lottizzazione di struttura urbanistica basata su villini di due o al massimo tre piani con attorno un'area verde di pertinenza, si sviluppa negli anni Trenta e a fine Guerra diventa meta di immigrati dalle città limitrofe bombardate e di sfollati dal centro di Roma, che era l’obiettivo dell'assalto degli alleati. Da quel momento a dopo la Guerra fino agli anni Sessanta e Settanta ha inizio un processo di edificazione “povera” e spontanea e di edilizia economica e popolare che ha modificato l’immagine dell’area urbana. Il moderno quartiere del Quadraro, comunque, conserva e custodisce silenziosamente le tracce di una storia più antica, come il Monte del Grano (nome popolare della piccola collina che nasconde il Mausoleo dell’Imperatore romano Alessandro Severo) collocato all'interno del Parco XVII Aprile 1944. Attualmente il Quadraro sta vivendo un periodo di recupero e rivalutazione storico-urbanistica e, per la sua connotazione così forte di area a grande valenza paesaggistico-culturale, è attualmente considerato e definito un “paese nella città” (www.ilquadraro.it/storia-del-quadraro.html). Luogo da sempre di incontro di culture differenti il Quadraro ha prodotto una sorta di Melting pot di artisti a livello nazionale e internazionale con realtà come la Quadraro Basement (www.quadrarobasement.com), che attualmente si presenta come una delle più dinamiche e floride realtà di produzione e promozione musicale presenti in Italia, fra le maggiori agenzie di promozione d'eventi, una vera e propria “factory” di produzione artistica multiculturale. Gabriella Restaino
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Restituire le trame di una storia dispersa: i paesaggi comuni del “Melting pot” del suburbio di Roma
Riqualificazione del suburbio della città: esperienze progettuali condivise e pluridisciplinari per la valorizzazione e il recupero attraverso la trasformazione sostenibile La musica, l’architettura, le arti, l’ambiente, il paesaggio storico e contemporaneo insieme – le “tracce” del passato fuse nel presente – possono dare luogo a percorsi multiculturali “altri”, fatti di esperienze progettuali condivise e pluridisciplinari (figure 2 e 3) tese alla valorizzazione e al recupero attraverso una trasformazione sostenibile di tutti quegli spazi “dimenticati e abbandonati”, interstiziali e di margine presenti nelle aree suburbane della città. Proprio inseguendo i segni della contemporaneità, le soluzioni date da nuove e differenti interpretazioni urbane che le diverse culture, arti e letterature offrono e propongono in queste realtà suburbane, anche difficili, di condivisione di spazi spesso privi di identità, è possibile ripensare una restituzione di quella storia… oggi dispersa e spesso “invisibile” e non riconosciuta… il racconto di Roma da sempre.
Figure 2 e 3. Progetto di riqualificazione paesaggistica e trasformazione del paesaggio urbano. La nuova immagine della parte di città compresa tra Via Casilina e Via Prenestina (tavole di Federica Ciarla ed Elena Gervasi, studentesse del Corso di Progettazione del paesaggio di Gabriella Restaino, AA 2010-2011, CdL Architettura UE, "Sapienza" Università di Roma)
Bibliografia
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Rigenerazione urbana: oggetto architettonico o spazio aperto
Rigenerazione urbana: oggetto architettonico o spazio aperto Alberto Zanco zacalbi@libero.it
Abstract Nella città contemporanea, dove sono ampie le superfici abbandonate dalla produzione e dal trasporto delle merci, la rigenerazione urbana è una questione affrontata con diverse strategie. La prima di queste strategie, legittimata da un effetto economico-culturale, si avvale della costruzione dell’oggetto architettonico come fulcro di rinnovamento. Essa dimostra di essere il frutto di un volere individuale e, spesso, di non riuscire a soddisfare le condizioni di vita dei cittadini. La seconda, legittimata da un effetto ambientale, attraverso un progetto di modifica in termini qualitativi dello spazio pubblico, è legata all’approccio paesaggistico. Essa riesce a dare un maggiore benessere alla collettività perché favorisce pratiche quotidiane ma, soprattutto, perché è frutto del volere degli abitanti stessi. La terza strategia riesce a mettere assieme le precedenti attraverso un dispositivo complesso e che necessita di notevoli investimenti. Questo contributo indaga le tre strategie mettendo a confronto casi, anche molto noti, ed approcci distanti per cercare di far emergere le componenti che rendono più democratico l’uso dello spazio. Parole chiave Vuoto, spazio pubblico, oggetto architettonico.
Renovatio urbis La renovatio urbis è una questione che fa parte delle politiche sulla produzione dello spazio urbano dal Rinascimento fino ai nostri giorni. Rispetto al passato questo fenomeno è maggiormente rilevante nella città contemporanea perché il fattore quantitativo lo caratterizza. Aree industriali non più produttive, depositi ferroviari e aree portuali in via di dismissione sono numerose, spesso occupano superfici vaste all’interno della città occidentale ed hanno posizioni strategiche nei confronti di essa. Gli interventi di trasformazione economicosociale che investono questi spazi hanno lo scopo di cambiare l’immagine a questi luoghi circoscritti, ma a volte anche la vocazione dell’intera città o di parti di territorio. Per citarne alcuni, sebbene si siano sviluppati in maniera molto differente tra loro, è bene annoverare l’intervento ai docklands lungo il Tamigi a Londra, al porto a Genova, all’isola della Giudecca e all’Arsenale di Venezia o agli ex stabilimenti Pirelli a Milano. Una città contemporanea che può essere d’esempio è senza dubbio Parigi. Essa ha subito forti trasformazioni nell’ultimo ventennio del XX secolo durante la stagione dei Grands Travaux promossa dal presidente François Mitterrand attraverso operazioni urbane affidate ad architetti od ingegneri con incarichi diretti o concorsi di progettazione. La nuova Opéra Bastille (1989), l’ampliamento del Louvre (1989), che lo renderà uno dei complessi museali più grandi al mondo, la trasformazione della vecchia stazione ferroviaria d’Orsay, non più utilizzata, nel museo (1986) che rappresenta tutte le arti della seconda metà del XIX secolo e degli inizi di quello successivo e l’Institut du Monde Arabe (1987) riqualificano aree urbane centrali. A rendere più facile la crescita di zone periferiche, grazie ai nuovi collegamenti del trasporto pubblico, ma non solo, sono le grandi operazioni come l’ambiziosa Bibliothèque Nationale de France (1996), lo Stadio (1998) e la Grande Arche de la Défense (1989), costruito per il decentramento di alcuni ministeri. Spesso esse sono opere pubbliche con finalità culturali e di grande impatto alle quali viene affidato il compito della renovatio urbis. In questo periodo numerose città europee si arricchiscono di teatri per la lirica e per i concerti, istituti culturali, sedi universitarie, città della musica, città della scienza e musei: le attività culturali sostituiscono quelle produttive. Un ruolo importante è ricoperto dalle istituzioni museali com’è il caso del Centre Pompidou, prima esperienza alla quale ne seguirono numerose. Esso fu costruito tra il 1972 e il 1976 sul plateau Beaubourg, rimasto vuoto in seguito alle
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Rigenerazione urbana: oggetto architettonico o spazio aperto demolizioni degli anni Trenta di vecchi edifici, allo scopo di riaffermare l’immagine di Parigi come centro globale della produzione artistica nei confronti di New York. A seguire questo caso, un esempio emblematico, discusso e criticato è la realizzazione del Guggenheim Museum di Bilbao (1997). Esso è il segno di un processo di rilancio economico dell’intera città basca, che ha voluto darsi una nuova identità a seguito della crisi dell’industria siderurgica. Questo particolare caso è il simbolo di come porre l’oggetto architettonico, il suo volume e il suo programma alla base della rigenerazione urbana, e di come la scelta di un piccolo gruppo di potere sia il dispositivo che vuole migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Una mossa differente per dare un maggiore benessere alla collettività è quella che si occupa del progetto del vuoto, dello spazio tra le cose. Essa è una mossa in opposizione a quanto sopra descritto. A focalizzare l’attenzione sul progetto di suolo è Bernardo Secchi con un articolo del 1986 pubblicato su Casabella. Egli spinge ad occuparsi del progetto di suolo in modo ampio, non solo pensando di modificare l’uso di ciò che è già presente o sostituirlo con nuove architetture cercando di riempire i vuoti. In questo periodo, temi come lo spazio aperto ed il paesaggio riescono ad avere un maggiore ruolo all’interno del dibattito disciplinare. Sempre la città di Parigi, intorno al 1982 dopo decenni di disinteresse, valorizza il parco urbano come elemento qualitativo all’interno della città con il concorso internazionale per il Parc de la Villette. Esso era, fino al 1974, un’area occupata dal mercato del bestiame che è stato poi trasformato in parco con un vasto programma funzionale. Come in questo caso, al paesaggio è affidato il compito della renovatio urbis di quei luoghi difficili lasciati dalla città industriale, perché è in grado di trattarli ed avviare un processo di ricucitura ambientale. Aree frammentate dalle infrastrutture, waterfront, infrastrutture (autostrade, linee ferroviarie, ponti e porti) abbandonate e terreni inquinati, frutto di dismissioni legate alla produzione e al trasporto delle merci, hanno la potenzialità latente di divenire spazi equi, di benessere sociale e di miglioramento urbano per produrre opportunità di integrazione. Il progetto urbano del Moll de la Fusta di Barcellona (1984), inserito in un progetto di riorganizzazione viabilistica, costruisce un’importante parte di città controllandone la dominante spaziale, attraverso uno spazio urbano complesso e ben qualificato in cui le diverse funzioni convivono. Questa operazione è stata solo la prima fase di riqualificazione che ha investito circa sei chilometri di waterfront dagli anni Ottanta ad oggi, creando un vastissimo spazio pubblico di notevole valenza ambientale per la città. Nell’ultimo decennio gli effetti dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della gestione delle acque e del consumo di energia non rinnovabile hanno fatto in modo che si diffondesse una consapevolezza ecologica e che le tematiche ambientali contaminassero tutti i campi del sapere. L’approccio paesaggistico ha contribuito al superamento di alcune contraddizioni all’interno delle discipline progettuali con una nuova definizione: Landscape urbanism.
Effetto economico-culturale Il filosofo John Rajchman su Casabella (1999-2000) definisce Effetto Bilbao il fenomeno che ha spinto numerose città contemporanee a dotarsi di una nuova opera d’architettura, come il museo di Frank O. Gehry per la città basca, nel tentativo di catturare l’attenzione mediatica e trasformare una città industriale, segnata dalle acciaierie, in una città a vocazione culturale e turistica. Nel 1987 a Bilbao è stato prodotto il piano per il ridisegno delle aree dimesse ed un programma funzionale in grado di attrarre investimenti. Nel frattempo la città ha investito sui collegamenti esterni con l’ampliamento del porto (1998-2011) e la costruzione di un nuovo terminal per l’aeroporto (2000), e sulla mobilità interna con una nuova metropolitana (1995) che collega il porto e la zona costiera all’entroterra e l’ampliamento del sistema tranviario (2002). Essa ha valorizzato il fiume e le sue rive attrezzandolo come un’infrastruttura e creando nuove connessioni tra i suoi bordi per una maggiore fruizione ed integrazione sociale. I terreni liberati dall’industria sono stati bonificati ed attraverso un progetto di suolo sono stati raccordati diversi livelli, creati spazi pubblici attraverso un approccio paesaggistico che ha investito l’intera città. Bilbao ha visto crescere il famoso Guggenheim Museum, un centro congressi, un museo delle arti, edifici residenziali, una biblioteca universitaria e altri manufatti. Tutto ciò rimane spesso offuscato dalla presenza del simbolo di questo rinnovo: l’oggetto architettonico. Senza dubbio questa operazione è stata fatta per dare alla città un monumento che diffondesse la sua nuova immagine in Europa e in tutto il mondo, però considerare l’oggetto architettonico come fulcro della rigenerazione urbana significa banalizzare l’intervento. Cercare di sfruttare l’effetto Bilbao ha poco senso senza un più ampio progetto. Questo approccio è stato utilizzato come modello in varie città di piccole e medie dimensioni alla ricerca di una rinascita. Tralasciando tutti quei tentativi mancati di ripetere l’operazione attraverso nuovi Guggenheim Museum (Las Vegas, New York, Guadalajara, Rio de Janeiro, Helsinki, Vilnius), soprattutto perché a volte non hanno nulla a che vedere con la rigenerazione urbana, un caso interessante per la sua genericità è quello di Margate. Una città costiera del sud-est dell’Inghilterra ad un centinaio di chilometri da Londra che ha legittimato l’apertura della galleria d’arte Turner Contemporary (2011) con la rigenerazione urbana. Un esempio di come la città ha cercato di risolvere le questioni urbane con strumenti architettonici. Questa operazione è stata supportata da un notevole investimento senza riuscire a dare ai cittadini il beneficio richiesto. La totale mancanza di un progetto di più ampia scala e di possibili visioni di cambiamento per la città fa sì che l’intervento non abbia nessuna ripercussione sull’aspetto
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Rigenerazione urbana: oggetto architettonico o spazio aperto urbano e sociale. Al progetto di realizzazione di un polo culturale di medie dimensioni, come può essere questo, va affiancato un progetto di suolo che investa tutta la città, un progetto che sappia rinnovare in termini di qualità tutto il waterfront della città che appare degradato ed isolato e un disegno che attraverso il paesaggio, in forma di giardini e viali alberati, ricomponga tutti i frammenti di spazio pubblico verso una dimensione sociale della vita quotidiana.
Effetto ambientale Il Landscape urbanism invita a spostare l’attenzione dall’edificio al suolo, mettere sullo sfondo i volumi e far emergere tutto quello che sta nel mezzo per riconoscere i luoghi dove si svolge la vita pubblica e dove si innescano operazioni di mediazione e conflitti. Diversamente dal passato, il paesaggio è associato alla città ed al territorio come dispositivo riparatore alle conseguenze della città industriale e per questo utilizzato come agente di rigenerazione urbana. A New York un’infrastruttura tecnica adibita al trasporto delle merci diviene in un’infrastruttura sociale: è il caso della High Line, un parco pubblico lineare che si snoda al di sopra delle strade del West Side di Manhattan. Essa era una linea ferroviaria costruita in quota per separare i flussi di traffico su strada, a causa dei numerosi incidenti che avvenivano agli incroci tra il trasporto delle merci e la circolazione automobilistica. La High Line fu aperta nel 1934 ed abbandonata negli anni Ottanta dello scorso secolo. Questo approccio è simbolo di come il riuso di un elemento urbano non più funzionale, destinato alla demolizione, insieme al paesaggio (ed al suo programma) può essere alla base della rigenerazione urbana di un area circoscritta, e di come la scelta dei cittadini, una scelta collettiva, sia il dispositivo per migliorare le proprie condizioni di vita. A guidare la riconversione di questa struttura in acciaio è stata un’associazione di abitanti e non un’azienda pubblica come nel caso di Bilbao. A partire dall’ultimo decennio la città di New York sta rendendo accessibili e fruibili le aree abbandonate dai sistemi produttivi attraverso progetti di Landscape urbanism per offrire una migliore qualità di vita ai cittadini. Essi sono progetti che investono le sponde fluviali, le aree tagliate dalle infrastrutture e le stesse infrastrutture di trasporto. Questi progetti hanno la volontà di mettere in connessione nuovi spazi pubblici ed i quartieri circostanti in un habitat con un ecosistema ambientale totalmente rinnovato.
Conclusioni Considerare l’oggetto architettonico come motore di cambiamento e nuova crescita apre alcune questioni: l’immagine che la città vuole diffondere di sé sarà un’immagine omologata che paradossalmente ridurrà il fattore di attrazione a causa dell’omogeneizzazione del paesaggio urbano che propone. Esiste una diffusa consapevolezza che riprodurre l’effetto Bilbao, cercando di adattarlo in altri contesti, mostra una limitata innovazione urbana e riduce i possibili investimenti sul tessuto urbano. La città e il territorio non possono puntare solo sull’intrattenimento e l’attrazione turistica perché questo comporta una dipendenza economicoculturale e, soprattutto, la perdita di altri settori. Lo spazio pubblico è il luogo dell’immagine collettiva, del consumo e della vita quotidiana. Se la città viene ripensata senza un progetto urbano di uno spazio pubblico di qualità non risponderà a queste esigenze e farà avanzare l’impoverimento del proprio spazio sociale con la conseguente frammentazione del corpo sociale. Lavorare sullo spazio pubblico attraverso il paesaggio avvierà un processo che ha come determinante il tempo e che non darà risultati in termini prettamente economici, ma svilupperà una struttura spaziale per la città attraverso uno spazio a scala territoriale connesso a giardini urbani in grado di favorire pratiche quotidiane fondamentali per il benessere individuale e collettivo. Pensare alla città futura in un periodo fuori dal paradigma della crescita, in assenza di dinamiche di sviluppo economico-sociale, spinge l’urbanistica a rivedere i propri strumenti progettuali. La città contemporanea ha bisogno di strategie progettuali efficaci per rendere più democratico l’uso dello spazio e per governare il proprio processo di cambiamento e rinnovo come la città industriale si è dotata di piani urbanistici per guidare la propria espansione e crescita.
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Il mercato del 21° secolo come motore di rivitalizzazione dei centri storici
Il mercato del 21° secolo come motore di rivitalizzazione dei centri storici Laura Battaglia Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica DICCA - Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale Email: laura.battaglia@unige.it Tel: 010.353.2820
Abstract Il mercato dei centri storici, fulcro della vita collettiva occidentale, è stato generatore di molte città: coniugava l’aspetto artigianale e commerciale a quello insediativo, era centro di gravitazione dell’intera popolazione, luogo vivo ed esclusivo, risultato della ricchezza intrinseca, tanto da identificarsi nella città stessa, nella ‘cittàmercato’. Oggigiorno però, soprattutto a causa degli svariati e repentini cambiamenti dell’ultimo secolo, la città-mercato è andata sempre più incontro a fenomeni di degrado socioeconomico, procurando capillari sconvolgimenti, che stanno modificando profondamente anche l’assetto del territorio. E’ necessario creare un modello di mercato del 21° secolo, moderno e sostenibile, che sia il motore di rivitalizzazione dei centri storici e, pertanto, anche dell’entroterra. Riqualificare i mercati significa ripartire dalle basi, considerando la filiera corta come possibile soluzione, valorizzare l’artigianato ed i prodotti locali di alta qualità agroalimentare a ‘Km zero’, risvegliare nella popolazione significati culturali e sociali legati alle tradizione ed alle proprie città. Parole chiave Mercato, Riqualificazione, Sostenibilità.
Il mercato e la città Fin da tempi remoti il mercato dei centri storici, inteso come fulcro della vita collettiva occidentale, è stato generatore di molte città: pur avendo differenti funzioni a seconda delle caratteristiche e connotazioni delle stesse, coniugava l’aspetto artigianale e commerciale a quello insediativo. Era quindi nato come un sistema integrato: luogo di scambio e allo stesso tempo d’incontro, non solo confinato ad una zona precisa, ma diffuso in laboratori e botteghe su tutta la superficie cittadina, specializzato per strade che, come in Italia, hanno assunto persino il nome delle arti e dei mestieri che nell'ambito di esse si esercitavano. Il mercato dunque non era identificato solo nell’infrastruttura o nei prodotti che erano venduti in essa, ma viveva allargato a tutti gli spazi legati al tessuto storico, facendo parte di esso, caratterizzandolo, determinandone la conformazione e lo sviluppo nel territorio; si può definire quest’entità come una ‘città-mercato’, centro di gravitazione dell’intera popolazione, luogo vivo ed esclusivo, risultato della propria personalità e ricchezza intrinseca (Giacoia, 2003: 345 - 351). Come noto, nel centro storico della città confluiva sia l’economia locale sia quella dell’entroterra circostante nonché, come nel caso delle città costiere del Mediterraneo, quella dei porti commerciali e dei prodotti di tutte le attività legate al mare: la città-mercato spesso si estendeva fino al porto dove sorgevano spontaneamente alcuni mercatini per rifornire chi ormeggiava delle merci di prima necessità. Le profonde trasformazioni avvenute specialmente durante la rivoluzione industriale hanno però portato a drastici ed accelerati cambiamenti delle città e della società: l’aumento demografico, la speculazione edilizia, il boom dei mezzi di trasporto ed il progresso tecnologico, hanno determinato uno straordinario sviluppo economico ed il relativo sconvolgimento del tessuto urbano, oltre che l’aumento di beni e servizi prodotti dall’agricoltura, dall’industria e dalle attività terziarie. Dal fenomeno dell’urbanesimo, che ha visto lo spostamento della maggior parte della popolazione rurale nelle città, mutandone profondamente l’assetto e procurando un rinnovo sociale nel centro storico, si scivola Laura Battaglia
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rapidamente all’evoluzione del mondo contemporaneo che ha portato ulteriori cambiamenti in termini ambientali, sociali ed economici (Eslami, 2005: 27 - 34). Questa veloce metamorfosi trova fondamento e giustificazione nella crescita squilibrata della globalizzazione e del rapido avanzamento tecnologico, che hanno investito e spesso travolto l'intera società, incidendo radicalmente anche sull’organizzazione delle città. L’impaziente desiderio di progresso della società del ‘primo mondo’ ha portato alla mancanza di una forma di sviluppo lento e graduale, dando spazio a nuove forme di esistenza che si confanno sempre più ai ritmi di vita frenetici dei cittadini. Focalizzando più nello specifico l’attenzione sull’entità ‘città-mercato’, si evince attualmente un totale sconvolgimento del sistema, che, come risaputo, ricade a catena su molteplici ambiti della città, stravolgendo profondamente anche l’assetto del territorio. E’ in questa cornice che i mercati del centro storico e di conseguenza l’intero tessuto urbano, vertono, col passare del tempo, da una situazione di centralità economica, commerciale, culturale e sociale ad una di perdita di questo importante ruolo di fulcro, e subiscono fenomeni di degrado socioeconomico, rischiando di perdere il proprio valore intrinseco se non vengono riconvertiti alla propria specifica vocazione ed utilizzo. In questo contesto, in cui proliferano le grandi catene di supermercati e ipermercati nelle periferie, emerge pertanto la difficoltà dei mercati dei centri storici di adattarsi ai tempi incalzanti dei processi di crescita nonché di rispondere armonicamente alle richieste della globalizzazione. E’ interessante, a questo punto, soffermarsi ad analizzare il termine ‘evoluzione’, in quanto spesso viene considerato come sinonimo di ‘miglioramento’: in realtà significa prima di tutto differenziazione e trasformazione, ovvero aumento della varietà di tipi disponibili, e non livellamento da omologazione e uniformazione. Per cui lo stesso tipo di servizio, in questo caso il mercato (ed i legami da cui ne derivano), deve trasformarsi e differenziarsi per evolversi: non può ‘migliorare’ se continua ad avere come unica prospettiva di esistenza quella che trova spazio solo nei grandi sistemi, bensì deve scovare nella filogenesi della città-mercato il modello iniziale da cui partire, per poi diramarne l’albero genealogico in più direzioni e rispondere pertanto alle svariate esigenze dei diversi consumatori. Oggigiorno i mercati rappresentano quindi una problematicità e nel contempo, se correttamente riqualificati, una potenzialità di rivitalizzazione dei centri storici, considerando che «il disegno della città dipende dalla cultura di un popolo, dal rapporto con la sua storia, soprattutto se si tratta, come in Italia, quasi sempre di approcci ‘brownfield’, cioè su tessuti urbani esistenti» (Bonfantini, 2007). Nonostante negli ultimi anni stiano proliferando nuovi centri commerciali e le periferie prendono autonomia, per cui la situazione economica attuale sembra puntare molte aspettative sulle grandi catene, dirottando il valore delle botteghe storiche, dell’artigianato e dei prodotti locali su di esse, si solleva sempre più, in gran parte dei cittadini, il crescente desiderio di tornare alle proprie origini ed a quella città generatrice di tradizioni e cultura. Non a caso anche quest’emergente bisogno di preservare e rivitalizzare i centri delle città si propone in un momento storico di transizione e ‘crisi’ − per inciso: tale vocabolo, in giapponese è formato da due ideogrammi: ‘pericolo’ ed ‘opportunità’; senza scomodare i nipponici, si pensi all’etimologia della parola crisi: dal latino crisis, proveniente dal greco krísis, a sua volta derivato da kríno, cioè ‘io giudico’; kríno è affine a ‘cernere’, ovvero ‘scegliere, vagliare’. Se il verbo cernere è oggi poco usato, è invece comune nei composti: decernere = decidere; excernere = vagliare; discernere = vedere distintamente. Occorre dunque invertire la tendenza degli ultimi anni, volta a promuovere soltanto gli ipermercati o i centri commerciali come unico modello vincente di esistenza socioeconomica, riportando la centralità pure in città, e pertanto favorire i consumi di prodotti tipici e di qualità, spontaneamente legati alle comunità locali. E’ utile perciò appoggiarsi a dottrine come l’urbanistica, non dimenticando che è una conoscenza che si declina in molte discipline interdipendenti tra loro, per avere una conoscenza globale delle possibili soluzioni in merito alla pianificazione ed alla gestione territoriale; purtroppo sistematicamente «nell’urbanistica contemporanea, che spesso teorizza o pratica uno sviluppo della città ‘per parti’, per politiche settoriali, si perde di vista l’esigenza di una crescita ‘concertata’ tra i diversi settori, cioè la necessità di uno sviluppo equilibrato tra zone centrali e periferiche, in una parola, di una profonda unitarietà dei progetti di rivitalizzazione dell’intero organismo urbano» (Bruttomesso, 2010: 41 - 50). Ebbene, in questo contesto, le grandi catene, che da un lato favoriscono i desideri di questa società basata sempre più sul consumismo, possono coesistere con la città-mercato ma non devono, dall’altro, schiacciarne i mestieri, le tradizioni e i prodotti locali: è opportuno riformulare un’idea innovativa e strategica di mercato nei centri storici basandoci su un nuovo modello, che abbia da un lato ed a suo favore le nuove tecnologie e dall’altro un valore culturale e sociale, ma di diverso tipo (volto ad esempio, a uno sviluppo turistico sostenibile). Incombe la necessità di individuare nuovi punti di forza, incentrati su altri valori: i mercati devono rimodellarsi come alternativa alle grandi catene, per cui, i consumatori potranno scegliere tra gli abbondanti prodotti standardizzati, anche confezionati o addirittura già precotti, ma troppo spesso OGM, oppure prediligere quelli endemici e di stagione, delle campagne e del mare limitrofi, nei mercati dei centri storici, all’insegna della filiera corta, della preservazione della biodiversità come ricchezza del territorio, come scelta di alta qualità agroalimentare e della valorizzazione dell’entroterra.
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Il fine di riflettere su un nuovo modello di mercato, il mercato del 21° secolo, è soprattutto quello di confutare il paradosso della povertà nella società dell’abbondanza, non solo intesa in termini economici ed ambientali, ma soprattutto culturali e sociali. Per realizzarlo bisogna partire da quel modello ancestrale di città-mercato, che ha permesso di costruire un’identità specifica per ogni città, sposando ad esso gli aspetti positivi delle innovazioni tecnologiche; queste ultime potrebbero, se ben sfruttate, apportare benefici e vantaggi alla comunità, intesa non solo di cittadini ma anche di turisti, in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il mercato del 21° secolo potrebbe quindi essere considerato come strumento chiave per rigenerare e rivitalizzare il tessuto urbano del centro storico della città, oltre che le attività delle zone limitrofe, al fine di promuovere e migliorare stili di vita sostenibili. Riqualificare i mercati significa ripartire dalle basi, considerando la filiera corta come possibile soluzione, per valorizzare l’artigianato ed i prodotti locali e spingere nuove strategie di marketing improntate sul ‘Km zero’, per risvegliare quindi nella popolazione significati culturali e sociali legati alle proprie città. In particolare, i prodotti come alimenti o artigianato locali si definiscono ‘a Km zero’, o anche con il termine più tecnico ‘a filiera corta’, o ‘a circuito breve’, quando vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione. Con questa scelta di consumo, si valorizza pertanto la produzione locale e, per quanto riguarda il consumo di alimenti del posto, si garantisce al consumatore di poter scegliere prodotti freschi, stagionali e genuini, recuperando così il legame con il ciclo della natura e con la produzione agricola, nonché il legame con le proprie origini, esaltando nel contempo gusti specifici, sapori tipici e tradizioni gastronomiche.
Marakanda: progetto di riqualificazione dei mercati storici mediterranei Recentemente si è avvertita la necessità, a livello europeo e non solo, di rivisitare i punti di forza e le problematiche legate ai mercati in varie città costiere del Mediterraneo e molti sono i progetti che trattano questo tema. Tra questi, il progetto transfrontaliero Marakanda, finanziato nell’ambito del programma ENPI CBCMED, ha come principale obiettivo quello di rafforzare la cooperazione dei paesi dell’Unione Europea con i Paesi della 1 sponda sud del Mediterraneo . In particolare, il progetto, che tra i partners vede coinvolta l’equipe di Pianificazione Urbanistica della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova, ha come finalità la promozione dello sviluppo socioeconomico del territorio a cui si rivolge, rafforzando la relazione tra i paesi del Mediterraneo attraverso la valorizzazione dell’artigianato e dei prodotti agricoli di alta qualità che rappresentano un importante elemento della tradizione culturale, artistica ed economica che caratterizza l’identità peculiare delle città del Mediterraneo. L’idea principale del progetto è quella di trasformare il ruolo tradizionale dei mercati delle città, che stanno affrontando grandi sfide che minacciano la loro stessa sopravvivenza, mediante la definizione di modelli di gestione innovativi che possano modernizzarne la funzione, migliorando contemporaneamente la qualità dei prodotti agroalimentari e dell’artigianato. In breve, gli obiettivi specifici del progetto sono quelli di migliorare le competenze e le capacità degli amministratori locali e dei piccoli imprenditori che operano nei mercati cittadini attraverso lo scambio delle ‘good practices’, di realizzare, condividere e valorizzare gli standard di qualità per una gestione efficiente del mercato storico locale e infine raggruppare micro e piccole imprese (cluster) nel settore dell’artigianato e dei prodotti alimentari di alta qualità che operano nei mercati cittadini con lo scopo di rafforzarne il processo di internazionalizzazione. Dette finalità vengono declinate in fasi: Gestione e coordinamento: fase trasversale a tutto il progetto. Trasferimento del know-how: si condividono le esperienze/best practice degli attori locali e degli stakeholders riguardanti i mercati storici, mettendo in rete le informazioni a loro disposizione. Questa fase è volta allo sviluppo e al rafforzamento della conoscenza e delle capacità all’interno del network. Sperimentazioni locali: si identificano nuovi modelli attraverso la sperimentazione di azioni pilota. Sperimentazioni transfrontaliere: si favorisce il trasferimento del sapere locale tra le città, attraverso la promozione di prodotti e servizi a livello locale e internazionale. Comunicazione e capitalizzazione: ha come scopo la partecipazione delle autorità locali e dei loro stakeholders ai network tematici e promuove la diffusione della consapevolezza circa l’importanza dei mercati storici cittadini nello sviluppo economico e urbano. Per quanto concerne la metodologia di lavoro, come si evince nella ‘Figura 1’, è stato necessario, attraverso la compilazione di questionari, effettuare un’analisi SWOT da parte dei partners, per evidenziare ed individuare 1
Il progetto, che ha durata di 3 anni (avviato nel marzo 2012), è capofilato dal Comune di Firenze e raggruppa 10 partners di cui 2 provenienti dalla sponda Sud del Mediterraneo: Comune di Genova, Comune di Favara (Agrigento), Comune di Xanthi (Grecia), Comune di Limassol (Cipro), Barcelona Municipal Markets Institute, IMMB (Barcellona), Plural Study Centre (Italia), CRUIE (Università degli Studi di Genova), National Research Centre (Egitto), Souk El Tayeb Association, Beirut (Libano). http://www.marakanda.eu/
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punti di forza e di debolezza, di opportunità e minacce dei mercati considerati. Nel caso della città di Genova, da una prima indagine, sono state evidenziate, per alcuni mercati, criticità ricorrenti legate al degrado socioeconomico del centro storico. Partendo dall’analisi SWOT è stato possibile definire i profili dei mercati delle città del partenariato, delineandone lo stato dell’arte ed individuandone le buone pratiche da veicolare tra partners. La prima delle categorie annoverate nella selezione delle best practices, utile anche alla redazione delle conseguenti guidelines, fa riferimento alla dotazione urbana ed alla pianificazione territoriale (le altre categorie di analisi sono: comunicazione, valorizzazione dei prodotti locali, gestione e servizi). Nel merito, sarà l’equipe di Ricerca di Genova a fornire uno specifico contributo alle attività del progetto nel disegnare l’action plan riguardante la logistica del recupero dei mercati in particolar modo di quelli legati al centro storico.
Figura 1: Metodologia del Progetto ENPI CBCMED Marakanda
Marakanda intende quindi creare una rete fra i mercati dei centri storici di alcune città al fine di mettere in comune idee, attività, soluzioni e modelli per la gestione dei mercati, rivisitandoli in chiave moderna. L’obiettivo finale del progetto è quello di elaborare delle azioni pilota che costituiranno una prima applicazione del modello di ‘mercato del 21° secolo’, un mercato sicuro per tutte le categorie di utenti, che si inserisce in un ottica di sviluppo economico, culturale, sociale della città, pronto a soddisfare le richieste dei turisti in cerca di prodotti tipici e di stagione e capace di rilanciare e rivitalizzare il quartiere della città in cui sorge.
Conclusioni Attualmente la grande sfida è quella di migliorare la governance del territorio e creare nuove forme di crescita che riportino le città, nonché le zone limitrofe, alla propria vocazione: in quest’ambito, il mercato ed il centro storico potranno nuovamente coesistere, come già evidenziato nel paper, nella tutela e conservazione, e non nel degrado e sventramento. Il modello di mercato del 21° secolo come motore di rivitalizzazione dei centri storici, porterà ad una forma di gestione improntata, da un punto di vista economico, sociale ed ambientale, su uno sviluppo durevole e sostenibile, e sarà il risultato della condivisione di ‘buone pratiche’ comuni della rete di mercati di varie città costiere mediterranee. La riqualificazione di queste ultime è assunta, infatti, come la vera protagonista nel progetto transfrontaliero Marakanda: il centro storico delle città non deve più essere cristallizzato nel ricordo della propria natura ma deve rinascere, ritrovare la propria essenza in quella città-mercato ancestrale, perché diventi di nuovo un polo di Laura Battaglia
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gravitazione, attraverso un mercato moderno, che si adatti alla città e la rispetti, assorbendone allo stesso tempo le logiche. Stiamo vivendo in un’epoca in cui vi è già una logica di sviluppo, che a seconda delle città attraversa una fase più acerba o matura, dove c’è già un cambio di destinazione delle zone, per cui sia il residenziale che il turistico trovano nel cento storico un terreno fertile. Occorre andare incontro ad una crescita non in termini prettamente quantitativi ed economici bensì ridare valore alle tradizioni, ai prodotti di alta qualità agroalimentare ed all’artigianato locale. Questo è possibile se verranno incentivate idee di rinnovamento per i mercati, in un’ottica di modernità e sostenibilità, ed ulteriori liason strategiche oltre che un dialogo costruttivo tra i diversi stakeholders. Nel caso di Genova, città policentrica formatasi dall’unione successiva di più borghi, caratterizzati ognuno dai propri servizi di prossimità, gli abitanti conservano ancora l’abitudine e la necessità di acquistare ‘sotto casa’ ed è per questo che si avverte sempre più, per l’equipe di Pianificazione Urbanistica della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova, la necessità di approfondire le modalità con cui si possa rivitalizzare la simbiosi tra mercato e centro storico. Riconsiderare i grandi spazi della città fronte mare, in cui la parte commerciale marittima ha lasciato ormai il posto a funzioni residenziali e turistiche, con interventi edilizi conservativi, ma soprattutto sfruttare le scoperte tecnologiche più eclatanti, anche come scopo di apportare innovazioni sociali. Il mercato del 21° secolo dovrà pertanto saper cogliere le potenzialità offerte sia dalle nuove tecnologie sia dalla filiera corta, in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città.
Bibliografia
Bruttomesso R. (2010), Waterfront urbani. Percorsi e scenari di una strategia vincente, in Fallanca De Blasio C. (a cura di, 2010), Le città del Mediterraneo, Atti del IV Forum Internazionale, Reggio Calabria 27/28/29 Maggio 2008, Iriti Editore, Reggio Calabria, pp. 41 - 50. Eslami A.N. (2005), “Trasmigrazione dell’idea di città, delle concezioni e degli elementi dello spazio urbano” in Eslami A.N. (a cura di), Architetture e Città del Mediterranee, tra Oriente e Occidente, De Ferrari & Devega S.R.L., Genova, pp. 27 - 34. Giacoia A. (2003), “Gli scenari dello scambio della Città Mercato”, in Fallanca De Blasio C. & Eslami A.N. (a cura di, 2003), Luoghi dello scambio e città del Mediterraneo: Storie, Culture, Progetti, Iriti Editore, Reggio Calabria pp. 345 - 351.
Sitografia
Articolo di Iacono N., Futuro delle città, qualità della vita, partecipazione dei cittadini, consultabile sul sito web http://www.egov.maggioli.it/blog_stampa.php/16364/ Articolo di Montagnini E., Reggiani T. (2010), “Nuove Forme di Consumo e Socializzazione: I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS)”, in Consumatori, Diritti e Mercato, 1/2010, pp. 91-101 consultabile sul sito web http://www2.dse.unibo.it/t.reggiani/reggiani.ferriani_GAS_apr2010.pdf Articolo di Rossi A., Brunori G. (2011), “Le pratiche di consumo alimentare come fattori di cambiamento. Il caso dei Gruppi di Acquisto Solidale”, Agriregionieuropa, Anno 7/Numero 27, dicembre 2011 disponibile sul sito web http://www.agriregionieuropa.univpm.it/pdf.php?id_articolo=854 Atti di Conferenza Internazionale, “Management Models and Good Practices” in Symposium of Mediterranean Food Markets and 8th Symposium of the Food Markets of Barcelona: The markets of the Mediterranean, IMMB, Barcellona, 4/5 Giugno 2012, disponibile sul sito web http://w110.bcn.cat/Mercats/Continguts/Documents/Fitxers/catal%C3%A0%20complert.pdf Documenti base dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), Un modo diverso di fare la spesa, disponibile sul sito web http://www.retegas.org/index.php?module=pagesetter&func=viewpub&tid=2&pid=3 Lezione di Bonfantini B. (2007), Città storica e progetto urbanistico contemporaneo, disponibile sul sito web http://www.laboratoriorapu.it/Plans_Project/Download/Lezioni/Lezione%209/Citta_storica.pdf Rivista di studi e di iniziativa Europea “Centro In Europa”: La Liguria e il Mediterraneo in Mappatura delle relazioni Euromediterranee della Liguria, Paralleli, Istituto Euromediterraneo del Nord Ovest. Editore Redazione SRL, Supplemento al numero 2/Luglio 2008, Anno XV, anche disponibile sul sito web http://emo.pspa.uoa.gr/node.php?n=pub_introduction&lang=en Sito web ufficiale del Progetto ENPI CBCMED Marakanda http://www.marakanda.eu/?lang=en Sito web ufficiale della Commissione Europea sull’Agricoltura e sviluppo rurale, sezione Agricoltura Biologica, http://ec.europa.eu/agriculture/organic/home_it
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Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives
Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives Carmelina Bevilacqua Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria PAU – Patrimonio Architettua & Urbanistica
Email: cbevilac@unirc.it Jusy Calabrò Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria PAU – Patrimonio Architettua & Urbanistica
Email: jusy.calabro@unirc.it Carla Maione Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria PAU – Patrimonio Architettua & Urbanistica
Email: carla.maione@unirc.it
Abstract The paper intends to investigate how urban regeneration actions are facing the increasing role played by public spaces in performing physical transformations with respect to the economic, social and environmental issues. Starting from the assumption that urban regeneration initiatives are based on a mixed use approach (Calthorpe, 1993; Cervero, 2003; Katz, 1994, Brueckner 2000), we aim at investigating the role played by public spaces as indicator of quality of urban transformations. The case studies analysis, based on some insights of the CLUDs project under 7FP Irses 2010, aims to demonstrate how urban regeneration tools, Public Private Partnerships – led, give public spaces the role above mentioned. The case studies analyzed in Boston Metropolitan Area (MA) and in San Diego (CA), experienced BID, TOD, and PDA in which the public space assumes a new conceptualization. Urban transformations, through business localization and a strong connection among urban activities, change the way of considering public space turning it into a work/live flexible meaning. We suggest public spaces as measure and way to control as well the quality of urban regeneration initiatives, means to investigate «the urban dimension of public-making» (Iveson, 2011:2). Parole chiave Public space, mixed-use, sustainability
Public Spaces measure of urban regeneration projects The paper investigates the role of public space in measuring the quality of urban regeneration projects. Particularly, which kind of meaning it assumes with respect to the urban regeneration tool used. Urban transformations are usually supposed to push local economic development (Mitchell, 2001; Porter,1998; Molotch, 1996) through business concentration, job creation, equity distribution of regeneration effects. Nevertheless, we argue that public spaces could make urban regeneration initiatives measurable also with respect the quality of physical transformations. Since «the character and form of public spaces have been critical to the effectiveness of programmes» (Raco, 2003: 1871), the role of connection that they play in mix-used patterns could characterize different performance on physical transformations (Amin, 2008). According to a given spatial configuration of an urban area, public spaces «represent sites of diversity and difference» (Raco, 2003:1871) and consequently, strongly linked to a proper sense of place of local communities (Lynch, 1981). The paper intends to point out how the public space can acquire different peculiarities by the particular instrument of urban regeneration implemented. Urban regeneration indeed is able to define and shape different levels of susceptibility of public space to be part of the livable community (Lynch, 1984, 1995). We may consider in addition that the main role played by public space depends on the particular urban regeneration tool used: it Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
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could be «product of privatization, commercialization, historic preservation, and specific strategies of design and planning» (S.Low, D.Taplin, S. Scheld, 2005:1). Usually, instruments more business driven consider public space as a place to attract people, beside instruments more community led consider public space as network empowerment to attract people. Under the broad concept of sustainability, Smart Growth and New Urbanism theories (Robert H. Freilich, Neil M. Popowitz, 2010) have been considered to show how urban regeneration processes strengthen quality of life, in realizing a strong urban images and safe urban environment as prerequisites and catalysts for the economic and social development of cities. According to the Commission's European Sustainable Cities Report (EC 1996a) it is necessary to identify indicators to measure sustainable performances. The public space is recognized as indicator to measure quality because promoting public health, social life and cultural identity of urban transformations (Voula Mega and Jørn Pedersen, 1998). Public spaces assume different connotations within the urban context with the aim to create iconic symbols for city, providing community sense of belonging, and have been proved to be effective in urban regeneration tools by many countries in USA and in Europe (Mimi Li, 2003).
The public space approach: US vs EU A city cannot be considered as product of parts, rather as a whole in which each piece interacts with the other ones within a system of relations and exchange from global to local. Thus public space plays a strong role in the urban system, even it has been changing through ages, assuming different importance: it could be considered as «the material location where social interactions and public activities of all members of the public occur» (Mitchell, 2003a, p. 131); as «space of attention orientation, a space that shapes citizens sense of what people, perspectives, and problems are present in the democratic public» (Bickford, 2000:356). Nowadays, the «term ‘publicly accessible space’ refers to any variety of physical settings, from sidewalks to outdoor cafés to urban plazas» (Nemeth, 2009: 2464). People give them renovated meaning according to behaviors or lifestyles, changing the interpretation of time and space dimensions as well, considered into a broader contest of virtual sphere, often blurred, a sort of «Time-space compression» that «refers to movement and communication across space, to the geographical stretching-out of social relations» (D. Massey,1994:24). Nowadays even a street, or a so called transit-path, could be considered public space, where people meet and socialize: “agora” acquires a broader connotation in the contemporary cities. It might be seen as a widespread crisis in living the places where we live and work, shaping them to our needs: the places of transition, with not well defined urban identity and functions, are the privileged ones. The users of those places, non-places, give them a temporary meaning, according to different uses, such as transportation, social interactions or hubs depending on the needs, without considering their proper spatial attitude. Then, the urban space meaning is diverse not only in time, but also in space: for instance, European and American cities have historically differing concepts about public spaces. Indeed, the «country’s planning history and traditions, may be a key element of open space provision and usage» (Thompson, 2002: 60). On the one hand the “traditional” European design of public spaces, well defined within the urban frame with borders strategically set, recognizable as the privileged places for social life experiences; on the other hand, the lack of such spaces in most of the American cities, particularly on the West coast, where the sprawled urban patterns enhance a more individualistic way to use the outdoor space. Nevertheless «The sustainable city is not rooted in an idealized version of past settlements, nor is it one given to a radical castingoff from its own particular cultural, economic and physical identity in the name of the latest passing fad for urban change» (Haughton- Hunter 1994:311). Although there’s a «widespread recognition that attachment to place, locally based resident interaction, and sense of community are generally positive social goals, whether or not they can be linked to specific design proposal» (Talen, 2002) we might argue that «there is a strong link between urban form and sustainable development, but it is not simple and straightforward». It has been suggested that a sustainable city «must be of a form and scale appropriate to walking, cycling and efficient public transport, and with a compactness that encourages social interaction» (Elkin, McLaren, Hillman M., 1991:12). That is to say: «publicly accessible spaces are important features of any vibrant and sustainable urban environment» (Nemeth, 2009: 2464), and a livable urban environment has acquired importance, as far as lifestyle and sustainable development. Nevertheless, quality is a very tricky issue to be measured, it should be strongly considered within the context taken into account.
Public Space and mixed use in US cities In many US cities we can see a strong attitude toward sprawled development and «many critics have condemned the suburbs for their sterility and uniformity, for their isolating and segregating effects on social life, and for the way they drain resources from the city» (Bickford, 2000:358). That is why the promotion of the use of public transport, traffic calming, walking and cycling are often cited as solutions (Elkin et al., 1991; Newman, 1994). Physical city and urban experience are strictly linked, so that the importance of spatial design in influencing Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
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positively or negatively people way of life. Community input then is crucial for the so called “place-making process” (Jacobs, 1961) to stress the interaction between physical space and its human use (Lynch, 1984), how people perceive and organize their environment. Nevertheless, frequently depending on satisfying needs of potential investors, nowadays urban area transformations are becoming marked-led products than outcomes of local needs satisfaction (Harvey, 2000 – Raco, 2003). From that, «compact city» as example of «… socially sustainable mixed uses, that will concentrate development and reduce the need to travel, thus reducing vehicle emissions» (Jenks, Burton, Williams, 2004:3). In many cities «there has been a remaking of the character of the place in which services and consumption differences have become primary», places reshaped to create new meaning in the urban landscape. According to Raco (2003) public spaces are critical to establish the effectiveness of urban regeneration programs, representing sites of diversity and difference, «important means of framing a vision of social life in the city» (Zukin, 1995:229). We could say that, with respect to the strategic vision of a particular urban area, with respect to the urban regeneration tools used, public space assumes different connotations, sometimes business, touristic or connection oriented. According to this, new flexibility comes to fore and public spaces, assuming often work/live flexible meanings, could be qualified as measures of good practices of urban regeneration initiatives, tangible indicators of successful mixed use areas. The case studies analysis refers to San Diego and Boston American cities: the aim is to verify whether TODs, BIDs or PPPs led initiatives of mixed use implementation, foster the role of public space as means of quality life improvement. Tabella I: Case studies comparison
Case studies Description
Urban regeneration tools
Jacobs market street village (CA) Jacob's Market Street Village was founded around a transit center, Market Street And Euclid Ave, belonging to the category of Transit Village.
Little Italy Community District (CA) Little Italy San Diego, (CA), has been the point of entry for Italian immigrants in the city and the favorite place for the international tuna fishing industry. Now it is Historical District in San Diego County.
Transit Oriented Developments (TODs) offer opportunities to create parks and open space for quality of live improvement at local level: especially designed around public spaces they provide neighborhoods urban identity. Indeed, is recognized the TOD potential as catalyst for investment which, through PPPs, becomes the real force of change that raises property values by encouraging the transformation of the existing. In this context, local government gets benefits, both in raising revenues related to direct taxes, but also on subsequent choices for the community by strengthening the
BIDs in USA are mostly used to rebuild declining urban centers, they are «seen as a minimally invasive renewal strategy that mimics Jane Jacobs’ pedestrianoriented» (Lewis, 2010:181), mixed-use vision” to pursue a sort of livable- walkable urban environment. «BIDs are lauded as a flexible, efficient marriage of public needs and interests with private-sector energy» (Lewis, 2010:181), to cope with the “out of the center” commercial attitude of the big sprawled American cities and the consequent declining of downtown. Little Italy gives particular opportunity to understand the role of BID and CBD (Community Benefit
Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
Fort Point District (MA) Fort Point district historically is a lightindustry related area along the Fort Point ChannelSouth Boston, today it’s a mixed use area. It is characterized by a strategic position within the city geography: along the Fort Point Channel, within the Boston Innovation District, a big Economic Development Area attracting enterprises and economies from all the Massachusetts. The planning process is the core of this kind of publicprivate partnership: public management of private money to rich community advantages. In Fort Point, the urban regeneration is considered in its broad sense, involving economic aspects, ( job creations, tax revenues, increasing of property values, advantages of location for companies) and a new urban context vision, with an open spaces system of more than 11 acres pursuing a better quality of life for people who live and work there (affordable housing, sustainable policies). The strategic position on Fort Point Channel, in the city center proximity, within the 3
Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives
suburban districts, facilitating direct contacts between people, and creating more diverse social and cultural public spaces( Duaney et al. 2001; Calthorpe and Fulton 2001).
Districts) as tools for local economic development enhancement. Thus from evidences, Diego County BIDs are playing an important and widely recognized role to improve economic growth in all San Diego County, through public benefits enhancement, important tool of governance to implement urban regeneration initiatives. The BID/CBD overall strategy, managed by a no profit organization (Little Italy Ass.), is about retail retention, business attraction, beautification and, above all, a brand that implies quality and reliance on the neighborhood as desiderable place to live and work in San Diego.
Boston Innovation District, Economic Development Area, give it the character of polarity in the metropolitan area.
The role of the community
The community has played a key role in urban regeneration process. The case study indeed could be considered as "pilot case study" for community participation. JsMSV shows the ability of individuals to cooperate with the planning forces for a strategic Joint Action.
Nowadays Little Italy is considered a San Diego’s Model Community, indeed in 2010 community was the honoree of two distinguished awards in the world of redevelopment and planning; one was by the Urban Land Institute (ULI) - “Smart Growth Award of the Decade; the APA recognized the Little Italy Association with a Community Recognition Award for the great use of public space in the neighborhood.
In Fort Point district the participation process has been strongly pursued since the BRA (Boston Redevelopment Authority) main goal through the 100 Acres Master Plan was to reach public benefits through private investments. The participatory planning process is particularly important from the beginning to the end of the master plan drawing: charette and meetings have been regularly done in order to share the urban regeneration attempt of Fort Point District with the local community and all the main stakeholders. People, cultural and artist associations, contributed to maintain the historic character of the place but pushing it toward innovation and a flexible life/work place.
The public space vision
The core of the mixed use area is the transit station, redesigned as a public space: it has the important function of being a meeting place for the community, a place for special events. JsMSV is a
Within the neighborhood, public spaces such as piazzas, are iconic spaces under landmark preservation, constant reminders of Little Italy’s rich culture and history:
Public space improvement in Fort Point is one of the main goals of the urban regeneration process. Particularly, the “harbor promenade” implementation and a system of 11 acres of
Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
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Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives
Discussion
modern version of the Greek agora (Bernick-Cervero, 1997:5), and the public space become node or hub of connection with the rest of the region.
piazza Basilione is an example. Here we can find also the Mercato, weekly farmer market that could be considered a temporary public space in which people meet and socialize during shopping in India Street location.
open spaces, give the area a renewed livable and walkable urban environment, with the right mix of functions.
Experience in this case study has demonstrates that implementing TOD models can give significant community benefits. According to “Reconnecting America”(no-profit org.), A mixed use area redesigned as public space in TODs model produce: • Conservation of open space • Cleaner air • Minimization of increased traffic congestion • More walking • Healthier lifestyles • Neighborhoods are safer because there are more people on the street: more “eyes on the street”
In little Italy the use of BID as urban regeneration tool give a strong business connotation to the mixed use neighborhood, by providing a sort of big public open space meaning: the outdoor life indeed improved radically after the BID/CBD creation, giving birth to a livable urban environment in which public spaces are strongly highlighted within the urban context as way to implement a livable environment, improving economic growth and local development of the area, symbols of success of the built environment regeneration.
Fort Point is an example of urban regeneration within those urban interstitial areas located in the middle of changing functions: from the properly urban functions to the specialist port facilities. We might argue, this is strategic project that improve the already consolidated important position in the metropolitan area, with new meanings for the ex industrial area: the outcome is a balanced mixused area, where sustainability, innovation and spatial design interact successfully.
Conclusions From case studies analysis, the relevant role of public space as indicator of quality of sustainable communities: there is a strong dependence between urban regeneration tools PPPs - led (BIDs, TODs or PDAs) and economic development in empowering higher standard of quality of life (social benefits) through public spaces implementation. The public space as measure of sustainable regeneration initiatives emerged, with respect to quality of life improvement (per capita income, instruction levels as quantitative indicators), urban form amelioration (spatial relations) and enhancement of services and business concentration under the district rational. Indeed, it might be stated that where public spaces become key of success, with «the important function of community gathering spot, site for special events, and enhancement of the “sense of place”, or modern-day version of the Greek agora» (Bernick and Cervero 1997:5), they are positive externalities of the urban regeneration process. From evidences, it could be argued the public space role as frame that enhance connection among complementary functions in the mixed use areas increasing a kind of balance within the urban context. Particularly when TODs occur, public space plays a supportive role of connection, empowering the network at regional level; as far as for BIDs, public space plays an attractive role, enhancing people and business to stay, contributing to livable urban environments and economic development; in the area of mixed use, it becomes measure of the public action in enhancing public benefits, allowing higher quality standards of the urban environment. In such cases the public space allow for a balance among different functions and activities. All of them foster land value recapture possibilities, increasing economic value and local economic development opportunities.
Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
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Public spaces as quality indicators in urban regeneration initiatives
Bibliografia Amin A. (2008), “Collective culture and urban public space”, in City: analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, no.12, vol.1, pp.5-24 Bernick M., Cervero R. (1997), “Transit Villages for the Twenty-First Century”, McGraw-Hill, New York Bickford S. (2000), “Constructing inequality: city spaces and the architecture of citizenship”, in Political Theory, no. 3, vol.28, pp. 355-376 Brueckner J. K. (2000), “Urban sprawl: diagnosis and remedies”, in International regional science review, no.2, vol.23, pp. 160-171 Calthorpe P., Fulton W. B. (2001), “The regional city”, Island Press Duany A., Plater-Zyberk E., Speck, J. (2001), “Suburban nation: The rise of sprawl and the decline of the American dream”, North Point Press Elkin T., McLaren D., Hillman M. (1991), “Reviving the City: Towards Sustainable Urban Development, Friends of the Earth”, London Freilich R.H., Popowitz N. M. (2010), “Umbrella of Sustainability: Smart Growth, New Urbanism, Renewable Energy and Green Development in the 21st Century” Harvey D. (2000), “Spaces of hope”, Edinburgh University Press, vol. 24, Edinburgh Haughton G., Hunter C. (2003), “Sustainable cities”, vol. 7, Psychology Press Iveson K. (2008), “Publics and the City”, Wiley-Blackwell Jacobs J. (1961), “The Death and Life of Great American Cities”, Jonathan Cape, London Jenks M., Burton E., Williams K. (1996), “The Compact City. A Sustainable Urban Form?”, Oxford: Oxford Brookes University Press Katz P., Scully V. J., Bressi T. W. (1994), “The new urbanism: Toward an architecture of community”, vol. 10, New York: McGraw-Hill Lewis N. M. (2010), “Grappling with governance: the emergence of business improvement districts in a national capital”, in Urban Affairs Review, vol. 46, no. 2, pp.180-217 Low S. M., Taplin D., & Scheld S. (2005), “Rethinking urban parks: public space & cultural diversity”. University of Texas Press Lynch K. A. (1984), “Reconsidering the image of the city”, in Cities of the Mind: Images and Themes of the City in the Social Sciences, pp.151-161 Lynch K. A., Banerjee T., Southworth M. (1995), “ City sense and city design: Writings and projects of Kevin Lynch”, MIT press Massey, D. (1991), “A global sense of place. Marxism today”, vol.35, no 6, pp. 24-29 Mega V., Pedersen J. (1998), “Urban Sustainability Indicators”, The European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition Mimi Li (2003), “Urban regeneration through public space: a case study in squares in Dalian, China”, University Press, Waterloo Ontario Canada Mitchell D. (2003), “The right to the city: social justice and the fight for public space”, Guilford Press, pp. 18, New York Molotch H. (1996), “ LA as design product: how art works in a regional economy”, in The city: Los Angeles and urban theory at the end of the twentieth century, pp. 225-275 Németh, J. (2009), “Defining a public: the management of privately owned public space” in Urban Studies, vol. 46, n.11, pp. 2463-2490 Newman K., Wyly E. K. (2006), “The Right to Stay Put, Revisited: Gentrification and Resistance to Displacement in New York City” in Urban Studies vol. 43, no.1, pp. 23-57 Porter M. E. (1998), “Clusters and the new economics of competition”, in Watertown: Harvard Business Review, vol. 76, pp. 77-90 Raco M. (2003), "Remaking place and securitising space: urban regeneration and the strategies, tactics and practices of policing in the UK." in Urban Studies, vol. 40, no. 9, pp. 1869-1887 Talen E., (2002), “The social goal of new urbanism”, in Housing Policy Debate, vol. 13, no.1 Thompson C. W. (2002), “ Urban open space in the 21 st century”, in Landscape and Urban Planning, vol. 60, no.2, pp. 59-72 Zukin S. (1998), “Urban lifestyles: diversity and standardisation in spaces of consumption”, in Urban Studies, vol. 35, no 5-6, pp. 825-839
Acknowledgment CLUDs – Commercial Local Urban Districts - Research Program, funded within the framework of the EU IRSES MARIE CURIE 7FP. The research is led by Pau-University Mediterranea of Reggio Calabria (Italy) and the participants are: FOCUS-university of Rome La Sapienza (Italy); SOBE-University of Salford (UK); Aalto University (Finland); Northeastern University of Boston (USA) and San Diego State University (USA).
Carmelina Bevilacqua, Jusy Calabrò, Carla Maione
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Ripartire dai luoghi dell'abbandono: la rigenerazione urbana attraverso l'azione locale
Ripartire dai luoghi dell'abbandono: la rigenerazione urbana attraverso l'azione locale Antonella Carrano Università “La Sapienza” di Roma DICEA- Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale Email: antonella3carrano@gmail.com Tel: 333.47.74.011
Abstract L’importanza che le azioni locali stanno assumendo fa di esse un nuovo modello di intervento sociale: si configurano come micro-processi, che partendo dal coinvolgimento attivo dell’abitante e dalla sua diretta responsabilizzazione nella gestione degli spazi, fanno emergere nuove forme di urbanità. Obiettivo del paper è quello di indagare analiticamente questa nuova forma di attività sociale nel quadro di una teoria più generale della rigenerazione urbana dei luoghi dell’abbandono. A partire da un’analisi di una serie di casi studio presenti nella città di Roma, e svolta all’interno di un progetto sviluppato con la collaborazione del Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale (DICEA), il paper tenta di individuarne i vantaggi e i limiti oltre che le modalità con cui tali esperienze possono essere relazionate reciprocamente e con il sistema delle amministrazioni. Parole chiave Riappropriazione, locale, network.
1 | L'azione locale come lavoro di comunità Sulla scia dei modelli europei e nord americani, sono apparsi in Italia nuove forme di azione locale, sia promosse dalle amministrazioni pubbliche, sia come esperienze spontanee provenienti dal basso. Tali azioni riportano in auge il lavoro di comunità, con un’accezione nuova di quest'ultimo termine, inteso come sinonimo di espressioni limitrofe di “quartiere” e “cittadinanza” (Tosi, 2002: 11-38) . Ad agevolare questa rinascita è l’ambiente all’interno del quale il lavoro si inserisce, in cui i principi di partecipazione appaiono ampiamente accettati. L’azione locale viene vista come un processo di valorizzazione di nuovi attori e relazioni sociali costituenti, per l’appunto, una comunità, e dove quest’ultima diviene il mezzo necessario per raggiungere determinati obiettivi. Data l’enfasi sempre più diffusa verso le modalità di azione locale, il paper vuole introdurre il Progetto “Spazi Verdi Autogestiti”, svolto in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale (DICEA) dell’Università “La Sapienza” di Roma, che ha come oggetto lo studio di particolari pratiche locali di rigenerazione urbana: i giardini condivisi. Scopo di questo progetto è quello di individuare, attraverso l’analisi di casi esistenti, i vantaggi ed i limiti di queste realtà oltre che le modalità con cui esse si relazionano con il sistema di amministrazioni. Ulteriore fine del lavoro è quello di costruire un network che oltre a visualizzare una mappatura dei casi esistenti permetta l’inserimento di nuovi, costituendo un’utile banca dati atta a comprendere come queste dinamiche di appropriazione siano legate al contesto sociale e geografico ,e ragionare sulle modalità di costituzione di questi micro-processi.
2 | Rigenerare lo spazio urbano attraverso nuove forme di azione locale: i giardini condivisi Chiamati in inglese “Community gardens” ed in francese “jardins partagès”, i giardini condivisi sono piccole Antonella Carrano
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Ripartire dai luoghi dell'abbandono: la rigenerazione urbana attraverso l'azione locale
aree verdi, il più delle volte sorte su proprietà pubblica, gestiti direttamente dai cittadini. Si connotano come un fenomeno spontaneo legato alla necessità di presidiare aree verdi abbandonate o degradate che versano in condizioni ideali per la speculazione edilizia e di creare spazi adatti alla socialità laddove mancano o sono carenti. << Un giardino condiviso è “un esempio straordinario di verde urbano nascosto e inedito che si può definire indigeno, locale, (…)anonimo, vernacolare. (…) prodotto di bricoleur che agisce naturalmente all’insegna dell’improvvisazione. (…) estraneo alla cultura ufficiale (…) privo di modelli di riferimento e indifferente alle influenze della moda (…) che esprime una libertà creativa assoluta ed una ricchezza di valori sperimentali.>> ( Pasquali, 2006). I giardini condivisi nascono negli Stati Uniti e più precisamente a New York negli anni ’70 come evoluzione degli antecedenti “victory gardens” e, con una connotazione soprattutto di orti, rappresentano una risposta contro l’inflazione economica . 1 Negli anni 90 arrivano a Parigi. I primi giardini sorgono nella zona est della città, su appezzamenti di terreno abbandonati dopo la demolizione di alcuni edifici. Oggi i jardins partagès sono 57, riuniti nella rete Municipale del programma “Charte Main Verte” , nato allo scopo di sostenere ed incrementare queste realtà offendo consulenze tecniche, consigli di metodo, oltre che dar loro un riconoscimento ufficiale. In Italia questo fenomeno è molto più recente. Sorti in diverse città (Bologna, Roma, Milano, Trento), i giardini condivisi sono ancora una pratica sperimentale, ma tuttavia in continua espansione soprattutto nella città di Roma dove la loro storia si intreccia con quella degli orti urbani. Proprio qui, allo scopo di promuovere questa pratica emergente, nasce nel 2010 l’Associazione Filoverde che l’8 luglio dello stesso anno organizza la“Festa del Giardino Condiviso”, riunendo per la prima volta le diverse realtà esistenti nella città:il Giardino dei Galli di San Lorenzo (sede dell’evento), il Giardino di Castruccio Castracane (Pigneto), il Giardino del Mandrione (Casilina), Prato Fiorito (Borghesiana) e altri. 2 Dal 2010 ad oggi, Zappata Romana ha censito circa 100 fra orti e giardini condivisi a Roma. La maggior parte di queste realtà passa attraverso il Servizio Giardini, lo strumento con il quale il Comune di Roma gestisce le aree verdi pubbliche . Esso, mediante un’apposita concessione-convenzione , affida le aree verdi a soggetti terzi, rimanendo responsabile della sola manutenzione straordinaria delle stesse (affidamento a costo zero). A differenza di Parigi, Roma non possiede una buona regolamentazione per questo tipo di pratiche, che dovrebbero essere considerate come una risorsa preziosa per una città che deve amministrare un territorio tanto ampio. Zappata Romana, in collaborazione con associazioni e comitati ,promotori di orti e giardini condivisi, rifacendosi alla “Charte Main Verte”, sta stilando un regolamento da sottoporre all’amministrazione capitolina e costituito da linee guida generali aperte e partecipate, i cui scopi sono: Sviluppare proficui rapporti di collaborazione con le autorità comunali competenti; Regolarizzare le diverse realtà di orti e giardini condivisi, facendole uscire dal cono d’ombra dell’attuale semi- abusivismo; Agire da stimolo per molti progetti già operativi e per quelli a divenire. Il tutto si sviluppa all’interno di una globale consapevolezza dell’eterogeneità intrinseca dei giardini (e degli orti): le linee guida fornite sono solo una regolamentazione base da plasmare, successivamente, su ogni singolo contesto.
3 | Il progetto “Spazi verdi autogestiti”. Le motivazioni dell'esistenza dei giardini condivisi prescindono da quelle dell'orto urbano “classico”: essi nascono non solo da un legame con la terra ,ma da un'accesa spinta ecologista associata alla volontà di miglioramento del proprio ambiente di vita e di auto organizzazione (Giangrande, Mazzitelli, 2011) , della gestione dello spazio e della creazione partecipata di luoghi di ritrovo che rafforzino i legami sociali fra i soggetti. In collaborazione con il DICEA, il progetto “Spazi Verdi Autogestiti” nasce dalla volontà di indagare questa nuova forma di attività sociale nel quadro più ampio di una teoria generale sulla rigenerazione degli spazi urbani abbandonati. Il progetto si delinea in due distinte fasi:
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Più correttamente si dovrebbe parlare di ritorno, in quanto la capitale francese aveva già un’antica tradizione di Giardinaggio Condiviso risalente all’ 1800 con i “jardins ouvriers” diventati poi nel 1952 “jardins familiaux”. Progetto di studioUAP che indaga su orti e giardini condivisi a Roma,quale azione collettiva e di riappropriazione dello spazio pubblico urbano e lo sviluppo di pratiche ambientali, economiche e sociali innovative.
Antonella Carrano
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1. Analisi dei casi esistenti nella città di Roma: raccolta di informazioni mediante sopralluoghi , interviste e bibliografia al fine di realizzare una scheda informativa (fig.1) per ogni giardino studiato. 2. Pubblicazione dei dati raccolti in un sito appositamente creato, che si inquadra all'interno di un contesto più ampio di rigenerazione della città (progetti di riqualificazione, programmi di intervento, occupazione a scopo rigenerativo.. ) e che permetta ,oltre che la visualizzazione di una mappatura dei casi esistenti, la possibilità di inserirne nuovi attraverso la compilazione on-line di una scheda.
Figura 1: esempio di scheda illustrativa realizzata.
L'idea è quella di creare una banca dati utile a comprendere come queste dinamiche di riappropriazione siano collegate al contesto sociale e geografico, in modo tale da poter ragionare sulle modalità di costituzione di questi micro processi e sulle dinamiche di iterazione fra essi e le amministrazioni.
Antonella Carrano
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3.1 | I casi studio
Figura 2: Il Giardino di Castruccio
Il Giardino di Castruccio (Fig. 2). Municipio: VI Quartiere: Pigneto Indirizzo: via Castruccio Castracane, 10 Superficie in mq: 362 Tipologia di contesto: spazio pubblico Orari di apertura: dalle 9,30 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 18,30 - giorni alterni (a seconda della disponibilità dei “giardinieri”) Soggetti: Associazione “La Città delle Mamme” ed Associazione “DRIM” Attività: Nella stagione primavera/estate 2012 l’Associazione:” Città delle mamme” da l’avvio al progetto “Temporaneamente a Castruccio:per la riattivazione del giardino” che comprende una serie di eventi. Modalità di appropriazione: Il Giardino rientra negli interventi previsti dall’opera di riqualificazione del Pigneto (art.2, comma2, Lg 179/92 - Interventi su aree e fabbricati trasformabili) voluta dall’Amministrazione Rutelli e dal Municipio Roma 6. Lo spazio viene realizzato come opera compensativa da Immobiliare Giubileo 2000 e ceduta al Comune. Dopo la dichiarazione di agibilità , il Servizio Giardini, di cui il Giardino è a carico, chiude l’area. Dopo circa 5 anni, l’Ass.ne “Città delle Mamme” forza i cancelli e si riappropria dello spazio. In un primo momento si tenta di sottoscrivere una convenzione con il Servizio Giardini, approfittando dell’iniziativa “Adotta un Giardino” proposta dalla giunta di Alemanno. Il progetto si rivela troppo oneroso per essere sostenuto dalla sola associazione. Per poter sbloccare la situazione, il gruppo di mamme presenta al Comune un ricco programma di eventi intitolato :”Temporaneamente a Castruccio: per la riattivazione del giardino”, finanziato dalla Banca di Credito Cooperativo. Il Comune accetta ed affida l'area all'Associazione. Per un anno il gruppo “Città delle Mamme” anima il Giardino con eventi e laboratori educativi. Rapporti con le politiche pubbliche: Il Giardino di Castruccio è un' area verde del Comune di Roma affidata a soggetti esterni attraverso la sottoscrizione di una concessione- convenzione con il Servizio Giardini . Rapporti con il quartiere: Il Giardino di Castruccio non viene percepito come una risorsa all’interno del quartiere, ovvero come uno spazio pubblico fruibile a tutti, ma come un enclave nelle mani dell’associazione che lo “occupa”. Questa condizione crea una forte opposizione al Giardino ed alle attività che si svolgono in esso, soprattutto da parte dei condomini più prossimi allo spazio verde. Processi di organizzazione: Il Servizio Giardini , mediante il servizio di volontariato offerto dalla Guardia Nazionale Ambientale (Corpo di Guardie Giurate Volontarie nato nel 2001 allo scopo di tutelare l ’ambiente e la fauna che lo abita) si occupa della manutenzione straordinaria del Giardino comprese le operazione di apertura e chiusura dello stesso ,mentre l’associazione “Città delle Mamme” cura la manutenzione ordinaria e l' organizzazione di eventi . Il supporto legale viene offerta ,a titolo gratuito, dall’associazione DRIM.
Antonella Carrano
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Figura 3: Il Giardino dei Galli
Il Giardino dei Galli (Fig.3). Municipio: III Quartiere: San Lorenzo Indirizzo: via dei Piceni,45 Superficie in mq: 1065 Tipologia di contesto: spazio pubblico Orari di apertura: dalle 6,00 alle 14,00 e dalle 14,00 al tramonto del sole – tutti i giorni Soggetti: Cooperativa “Oltre”, Associazione Sportiva Popolare, Collettivo Volsci 32 Attività: La Cooperativa organizza diverse attività ludiche e ricreative in collaborazione con le scuole del quartiere. Inoltre da' agli abitanti, la possibilità di utilizzare il Giardino per l'organizzazione di feste di compleanno ,dietro il pagamento di un piccolo contributo destinato alle spese di manutenzione del verde. Oltre all'altalena ed allo scivolo sono presenti alcuni giochi donati dalle famiglie e che i bambini possono utilizzare in condivisione. Nell'ultimo periodo è stato creato un orto didattico dagli alunni della scuola primaria. Modalità di appropriazione: In base alla Legge 285/97 - Disposizioni per la promozione dei diritti per l'infanzia e per l'adolescenza- il Municipio Roma 3 chiede alla Coop, Oltre di individuare all'interno del quartiere, uno spazio verde da adibire alla ricreazione di bambini ed adulti. Viene individuata l'area di Via dei Galli, che fino ad allora era uno spazio abbandonato in grave stato di degrado. Lo spazio , che non configura come privato, viene tuttavia reclamato dal proprietario di un Bed&Breakfast vicino. Si apre il contenzioso. Il Comune, sotto la spinta del Presidente Corsetti , molto vicino alle sorti del quartiere, si offre di sostenere le spese legali per la Cooperativa vincendo la causa. I cittadini puliscono l'area, la Provincia offre un contributi per la costruzione dei vialetti, la messa in opera di alcuni giochi per bambini e le panchine. Rapporti con le politiche pubbliche: Il Giardino dei Galli rientra nelle competenze del Servizio Giardini del Comune di Roma grazie alla sottoscrizione della convenzione per l'affidamento a costo zero a soggetti terzi. La Provincia è uno dei principali finanziatori del Giardino. Rapporti con il quartiere: E' percepito come una grande risorsa per il quartiere, soprattutto grazie all'elevato grado di usufruizione che offre agli abitanti ed all'unicità di cui questo spazio ricreativo gode, in un quartiere povero in tal senso. Processi di organizzazione: Il Servizio Giardini si occupa della manutenzione straordinaria. Le operazioni di manutenzione primaria sono invece a carico della Cooperativa. L'associazione Sportiva Popolare , cura la gestione del piccolo Chiosco , la pulizia del giardino e dei servizi igienici . Questi due casi sono stati scelti al fine di mettere in evidenza l'eterogeneità di queste pratiche, che non assumono un carattere analogo all'interno della città , ma si plasmano sulla diversità dei contesti territoriali in cui si inseriscono. A seconda dei casi, il Giardino può assumere l'aspetto di una enclave (es. Giardino di Castruccio) con una ristretta elite di frequentatori, oppure di un luogo aperto alla socialità e risorsa per il quartiere che lo ospita (es. Giardino dei Galli). Nei due casi sopra riportati si evidenzia,inoltre, il ruolo altalenante delle Amministrazioni : si va da casi di quasi completa assenza delle istituzioni , come nel caso di Castruccio, a casi, invece, in cui la loro presenza si è manifestata già a partire dai processi di riappropriazione delle aree, come per il Giardino dei Galli. Antonella Carrano
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Ripartire dai luoghi dell'abbandono: la rigenerazione urbana attraverso l'azione locale
3.2 | Osservazioni e prospettive di lavoro In un'epoca di crisi dello spazio pubblico, sempre più privatizzato e sempre meno luogo di comunanza, alcune sue peculiarità possono ritrovarsi nell'attuazione di queste pratiche. Esse , nella lotta per la rigenerazione pubblica degli spazi, dovrebbero essere concepite in un'ottica di governance da parte delle amministrazioni, ovvero come uno strumento essenziale di governo locale del territorio, fortemente caratterizzato dal concetto di partecipazione nella costruzione e nella cura dei luoghi. L'ottica in cui si muove progetto è a favore di tutto questo. Terminata la prima fase di raccolta dati, esso si propone di creare uno spazio virtuale dinamico che raccolga le informazioni ricavate dall'analisi dei casi studio considerati, e che si evolva attraverso il contributo degli attori direttamente coinvolti. La prospettiva di lavoro generale è quella di creare uno strumento che non si sostituisca alla figura del facilitatore, inteso come soggetto di supporto nella comunicazione fra le parti (processi locali ed amministrazioni), ma che ,anzi, sia un supporto al suo lavoro di mediazione ed aiuti alla comprensione delle dinamiche attraverso le quali questi micro-processi si formano e si relazionano con il territorio, al fine di favorirne la nascita di nuovi. Tuttavia , il progetto si muove nella piena consapevolezza che lo sviluppo di queste realtà di azione locale , non può prescindere da una rigenerazione della strumentazione amministrativa, oggi inadatta a interagire con le nuove dinamiche che animano le nostre città.
Bibliografia
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Sitografia
Breve storia dei giardini condivisi ,da Parigi a New York. http://www.labsus.org/index.php?option=com_content&task=view&id=3821&Itemid=41 Documentazione su spazi pubblici,orti e giardini condivisi. http://www.reterurale.it/flex/cm/FixedPages/Common/Search.v2.php/L/IT?frmSearchText=luca+d%27eusebio& x=-1189&y=0 Filoverde: gestione partecipata del verde urbano http://www.co-housing.it/filoverde-gestione-partecipata-del-verde-urbano/ Il blog del Giardino di Castruccio http://ilgiardinodicastruccio.blogspot.it/ Il Community Gardening http://www.labsus.org/index.php?option=com_content&task=view&id=2254&Itemid=41 Informazioni relative alle linee guida per la gestione degli orti e giardini condivisi http://www.cittadinanzasolidale.it/?p=1156 Mappatura dei giardini condivisi, orti urbani a Roma a cura di Zappata romana http://www.zappataromana.net/
Antonella Carrano
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Spazio pubblico e rigenerazione urbana resiliente: il caso di Lyon. Confronto tra casi studio per la definizione di un approccio interdisciplinare
Spazio pubblico e rigenerazione urbana resiliente: il caso di Lyon. Confronto tra casi studio per la definizione di un approccio interdisciplinare Giulia Chiummiento Università di Roma Sapienza Dipartimento DATA Email: giulia.chiummiento@uniroma1.it, Tel: 3492918436 Federico Orsini Università di Ferrara DA – Dipartimento di architettura Email: rsnfrc@unife.it Tel: 3479271507
Abstract Il progetto dello spazio pubblico, inteso come spazio aperto all’interno del tessuto urbano, è oggi uno dei principali motori di rigenerazione urbana. Tali processi sono regolati dalla natura dei soggetti implicati nella trasformazione. La consapevolezza della necessità di un approccio interdisciplinare è alla base della tesi argomentata nel presente paper: solo il coinvolgimento di molteplici saperi e differenti discipline all’interno delle dinamiche che costruiscono il progetto dello spazio pubblico, permette di dare rispondenza ad un nuovo apparato esigenziale capace di soddisfare problematiche afferenti alla sfera sociale, economica e ambientale. Nel presente contributo verrà indagato, attraverso il confronto tra differenti processi di progettazione dello spazio pubblico all’interno dell’esperienza di Lyon, l’effettiva integrabilità di saperi disciplinari non prettamente afferenti alla sfera urbanistico-architettonica, ritenuti necessari alla predisposizione di nuovi strumenti programmatici, soluzioni progettuali e linee strategiche di trasformazione per una città resiliente. Parole chiave Spazio Pubblico, Rigenerazione urbana, Approccio interdisciplinare
1 | Lione, quadro geopolitico Capoluogo della regione Rhone-Alpes e seconda città della Francia per area metropolitana, Lione è una polarità di importanza nazionale. Insediamento produttivo già a partire dal XVI secolo, negli anni ‘60, Lione subisce una forte espansione insediativa legata allo sviluppo industriale. La consapevolezza della complessità delle trasformazioni urbane in atto ha portato all’istituzione nel 1969 del Grand Lyon-COURLY1. Oggi, la comunità Urbana di Lione si estende per 500 Kmq, comprende 58 comuni e una popolazione di 1 200 000 abitanti, con un bacino economico e culturale di influenza che investe l’intera région urbaine de Lyon (Marchigiani, 2005). Le modalità dei recenti processi di trasformazione urbana, come risposta alle problematiche legate agli squilibri sociali e ambientali derivanti dai piani di espansioni del dopoguerra, sono alla base dell’interesse del presente articolo.
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Il Grand Lyon-COURLY (Communauté urbaine de Lyon) è un organismo di coordinamento intercomunale che si estende oggi all’intera agglomerazione di Lione.
Giulia Chiummiento, Federico Orsini
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2 | Una differente visione urbana: il Grand Lyon, problematiche e nuovi attori della trasformazione urbana. 2.1 | Le problematiche Come altre metropoli europee, Lione inizia il proprio percorso di rinnovamento sul finire degli anni ‘80. In questi anni si assiste alla dismissione di aree industriali interne al tessuto urbano e ad un malcontento della comunità per l’impossibilità di riconoscere l’ambiente urbano come proprio habitat. L’alto rischio di degrado ambientale, fisico e sociale e le pressioni della comunità locale circa la revisione delle pratiche di trasformazione urbana sono alla base di un ripensamento delle politiche di sviluppo. Il Grand Lyon intraprende una riflessione sugli spazi del centro storico e sulle aree semiperiferiche e periferiche. Dal dibattito emerge il bisogno di ristabilire le priorità per un approccio democratico ed innovativo alla riqualificazione. La critica al funzionalismo viene riaffermata con forza, per ristabilire saldamente le basi filosofiche del fare urbanistica. L’approccio tradizionale proponeva soluzioni standard per accordarsi con la struttura economica e produttiva del tempo, l’ambiente costruito era il risultato di modelli teorici che faticavano a contenere una risposta adeguata alle esigenze dell’uomo e del sistema biotico all’interno del tessuto urbano. La dimensione del paesaggio come sistema vivente e la dimensione sociale dell’uomo erano state dimenticate per rispondere all’uso dell’automobile e della città come sistema artificiale. Il raggiungimento delle condizioni di confort per il benessere psicofisico dell’uomo era divenuto una questione confinata ai soli ambienti indoor da demandare alla tecnica e non ad un’azione progettuale consapevole (fig. 1).
Figura 1. Il quadro esigenziale di riferimento per la trasformazione della città segue una logica transcalare. Le problematiche prese in esame considerano gli squilibri ambientali come quelle più vicine all’uomo e alla percezione dell’ambiente urbano.
2.2 | Nuovi strumenti e nuovi enti È a partire da questo quadro generale che agli inizi degli anni ‘90 personalità politiche lungimiranti si fanno promotori di ricerca e sperimentazione sui temi del rinnovamento urbano. Il nuovo sindaco Michel Noir auspica “una vera rivoluzione delle mentalità. Nessuno ha mai pensato l’urbano [..] senza interdisciplinarietà, senza un pensiero globale, le disfunzioni e le segregazioni sono inevitabili” (Michel Noir, 1992). La nuova politica urbana risulta un compromesso tra forze sociali, economiche e ambientali. Questi ingredienti vengono rimescolati seguendo logiche di sperimentazione, ridefinendo nuovi strumenti strategici2. Al fine di rispondere ad un crescente bisogno di conoscere città e abitanti, si assiste così ad una riorganizzazione amministrativa. Lo spazio pubblico diviene tematica trasversale per la soluzione di differenti problematiche urbane. La necessità di dare risposte che afferiscono a campi disciplinari differenti, porta all’istituzione di organi e strumenti di governo innovativi3. Il rinnovamento dell’assetto amministrativo si pone come obiettivo la definizione di una metodologia di intervento che abbia alla base una lettura dei caratteri fisici, ambientali e sociali del luogo, 2
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Nascono per esempio un comitato di pilotaggio dello spazio urbano e servizi intersettoriali per la determinazione di buone pratiche di intervento riguardanti la il Plan Presque’ile con lo scopo di liberare il centro dall’automobile e ripensare la dimensione pedonale; il Plan Bleu per salvaguardare le risorse idriche; il Plan Lumiere per una lettura notturna della città; il Plan Vert per l’ottimizzazione della trama verde; lo Schéma d’aménagement des espaces publics per il recupero degli spazi pubblici, le Plan de Déplacement Urbain e la Charte de l’Ecologie Urbain. I gruppi interdisciplinari di ricerca hanno lo scopo di informare e coordinare gli interessi di amministrazione, tecnici, imprese e cittadini. La ridefinizione del quadro delle esigenze, attente ora all’impatto ambientale della trasformazione urbana, favorisce l’introduzione di tecnologie e processi innovativi e di nuovi organi, quali ad esempio i comitati di pilotaggio dello spazio urbano e servizi intersettoriali per la determinazione di buone pratiche di intervento riguardanti la strada, l’acqua, l’igiene pubblica, l’illuminazione, la vegetazione. Si definisce inoltre un vocabolario dello spazio pubblico nel 1995. Il servizio Spazi pubblici del GL diventa un attore di controllo e di concertazione. Si assiste alla separazione dei ruoli tra maitre d’ouvrage e maitre d’oevre.
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integrando attori economici, amministrativi e destinatari del progetto attraverso l’utilizzo di strumenti trasversali di ricerca, sperimentazione e informazione. Obiettivo ultimo è quello di raggiungere una consapevolezza diffusa che permetta di avere un ‘intervento democratico’ e una conformità ecologica. Questa considerazione diventa evidente quando si analizza ad esempio la politica dei trasporti. La progettazione del trasporto pubblico permette di restituire continuità urbana all’insieme degli spazi pubblici e garantisce una gerarchizzazione più efficace delle percorrenze viarie, con positive conseguenze sulla presa di coscienza dell’ambiente, sull’incremento della qualità urbana dello spazio pedonale, sulla rinaturalizzazione urbana legata a progetti di piantumazione e progettazione di parchi e giardini. (Tsinomis, 2007). È però il coinvolgimento di privati e società miste di economia, come la SYTRAL, che consente l’effettiva riqualificazione dello spazio pubblico, con un conseguente incremento della diffusione di mobilità dolce ed della qualità dei percorsi lungo le sponde dei fiumi e nel centro storico. L’attenzione ai problemi ecologici e ai processi di rinaturalizzazione urbana porta a partire dagli anni ‘90 alla formazione di un ente preposto alla ricerca e all’innovazione della struttura ecologica della città. La Unité des Arbres et Paysages (UAP), che fa capo alla Direction de la Voire, opera con l’obiettivo di riaffermare la convivenza tra il naturale e l’artificiale. Il comitato di interesse locale, le associazioni di quartiere, le associazioni di protezione della natura domandano un cambiamento sul piano progettuale, ribadendo l’importanza della questione ecologica. Così l’ambiente ritorna ad essere una questione politica e l’ecologia urbana un campo di sperimentazione per restituire ad essa la giusta dimensione all’interno del paesaggio urbano. La UAP ha raggiunto un ruolo di sperimentazione rafforzato dalla collaborazione con scuole e università. Un esempio di tale ricerca applicata è il programma SCIENCIL4. A questa processualità si affianca una fase di sensibilizzazione che prevede l’informazione del cittadino al fine di vincere quella reticenza alla trasformazione, tipica di alcune parti sociali o di forze economiche, legata a pratiche tradizionali o ad una visione statica dell’urbano5. La ricerca applicata sul suolo urbano richiede infatti tempo per la valutazione di interventi e soluzioni. Lavorare con la natura significa accoglierne i caratteri di crescita e introdurre nel progetto la dimensione temporale del paesaggio per una lenta riappropriazione dello spazio urbanizzato e un lento riequilibrio. Come racconta l’attuale responsabile6 dell’UAP “lo scopo della ricerca è proporre soluzioni atte all’integrazione e al supermanto di eventuali conflittualità”. Unità come la UAP diventano indispensabili per la concertazione e il coordinamento degli interessi, influenzano le politiche urbane, assistono la maitrise d’ouvrage e la maitrise d’oevre, si occupano della comunicazione e della educazione all’ambiente, forniscono nuove visini urbane e sensibilizzano alle tematiche dell’ambiente. L’azione sugli spazi pubblici diventa anche occasione per far riemergere i caratteri culturali stratificati nel tempo e nei luoghi. Le zone della Croix Rousse e della Colline de Fourvière sono oggetto di una trasformazione orientata sul recupero della percezione dello spazio urbano: le operazioni condotte in queste aree seguono le regole delle Zones de protection du patrimoine architectural, urbain et paysager 7 Altro esempio interessante sono gli atelier organizzati dall’equipe dell’INSA8. Questo gruppo di lavoro interdisciplinare rappresenta e ricopre vari campi e varie istituzioni. In conclusione, la politica di riqualificazione degli spazi pubblici affrontata in questi ultimi anni da GL, si fonda su una critica delle pratiche storiche di pianificazione di “mauvaise qualité”. Se da una parte l’attenzione all’ambiente diventa obiettivo centrale delle trasformazioni, dall’altra la nuova politica integra differenti pratiche 4
La ricerca sull’arboricoltura urbana viene realizzata con la creazione della associazione Plante et Cité, una piattaforma di scambio e di comunicazione tra enti di ricerca, amministrazione e imprese. Il GL mette a disposizione siti per la sperimentazione e gli stessi cantieri di trasformazione urbana diventano occasione di monitoraggio e osservazione per permettere il continuo aggiornamento delle buone pratiche di intervento. 5 Interessante è la messa in discussione di alcune questioni di decoro urbano. Ad esempio il GL ha lanciato una campagna di sensibilizzazione all’“erbaccia”, evidenziando pubblicamente i benefici sociali, sanitari e ambientali di una “vegetazione spontanea” e senza pesticidi. Alcune scelte tecnologiche permettono di diminuire il numero di diserbanti (“desherbage raissonée”) per rispondere ad obiettivi primari per la qualità dell’ambiente urbano: la qualità dell’acqua di infiltrazione, la salute pubblica e dell’ambiente. 6 F. Ségur, responsabile della UAP. In diverse interviste Ségur espone l’esigenza di risolvere l’integrazione tra suoli areati e leggeri per la rinaturalizzazione e suoli stabili e con caratteri di portanza che rispondano all’uso dell’automobile. Un esempio che risponde a tale esigenza è il Mélange Terre-Pierre. 7 Lo ZPPAUP viene definite dalla Loi Paysage. I differenti valori e livelli di trasformabilità vengono stabiliti dalle amministrazioni e da architetti che si occupano di conservazione (Architectes des batîments de France). Per queste aree è importante la fase di indagine circa le risorse e le criticità presenti e l’elaborazione di una serie di documenti prescrittivi di completamento del PLU. Ancora una volta si può assistere ad azioni legate alla strategia di “vegetalizzazione” della città. L’innovazione sta nel tentare di rimettere in discussione le modalità di progetto del verde urbano, che aveva seguito un approccio più votato all’estetica che al soddisfacimento di esigenze ambientali. Nel 1996 il paesaggista Gilles Clément fu chiamato a redigere un Plan de Végétalisation per regolare l’uso della vegetazione nelle differenti aree della città. Vengono così riconosciute “tre entità naturali”: una vegetazione boschiva sulle pendici delle colline, una rinaturalizzazione delle rive dei fiumi, una natura più facilmente integrabile per le aree più urbanizzate. “L’obiettivo è di riconsiderare il verde urbano secondo la sua intima essenza di materiale vivente”(Clément, 1998). 8 Responsabili di tale ente sono Jean-Yves Toussaint e Monique Zimmermann. Giulia Chiummiento, Federico Orsini
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sociali, favorendo la mixitè di usi, modificando quelle pratiche sociali “sconvenienti” e di uso improprio della città. “Gli spazi pubblici urbani riqualificati (..) si caratterizzano per l’apparizione di forme di “superprogrammazione”: le operazioni assegnano a determinate aree molteplici attività (gioco, discussione, , sosta, ecc.). Queste attività sono materializzate nello spazio attraverso dei dispositivi tecnici e spaziali. Si definiscono così spazi “ipersignificanti” che richiamano la cittadinanza ad utilizzarli propriamente”. (Tniomis, 2007). Una delle tematiche centrali della riqualificazione diviene l’intervento sullo spazio pubblico. A partire dagli anni 90 Lione si dota di équipe di lavoro pluridisciplinari che seguono l’iter procedurale di intervento, dalle fasi di programmazione alle fasi di esecuzione e gestione. Nel progetto dello spazio aperto si assiste al coinvolgimento di artisti, paesaggisti, agronomi, ingegneri idraulici, ecc. al fine di sfruttare le loro competenze nel costruire spazi caratterizzati ma non “bloccati”, che presentano come componente intrinseca la modificabilità in virtù dell’utilizzo di materiali vegetali (Marchigiani, 2005), come nel caso del Plan Presq’Île9 o del concorso bandito nel 1990 per formulare un vocabolario comune di riferimenti e soluzioni progettuali circa il disegno dello spazio pubblico (Fig. 2). Gli obiettivi evidenziati nel quadro delle politiche urbane, possono essere riletti attraverso l’analisi di azioni concrete diffuse sul territorio, sia esso il centro storico o la periferia dei grands ensables, capaci di ridefinire processi di ricostruzione di una città resiliente, intesa come quella “capacità dei sistemi (naturali o umani) di assorbire elementi di disturbo, dando luogo ad un processo di riorganizzazione interna che sia in sintonia con il mutamento della realtà esterna, in modo tale da preservare nel tempo, sia pure modificandole, la propria struttura e funzioni” (Crawford Holling, 1973).
Figura 2. Il piano di recupero degli spazi pubblici nel centro della città segue un vocabolario di soluzioni tecnologiche che riguardano materiali, piantumazioni, complementi di arredo.
3 | Alcuni casi studio 3.2 | Esplanade du Gros Caillou Il progetto di Aménagement de l’esplanade du Gros Caillou (Fig.3), situata all’estremità est del Boulevard Croix Rousse, riguarda un sito peculiare per caratteri morfologici ed orografici, inserito in un contesto di forte valenza storico culturale, scarsamente accessibile e sicuro. Nel 1994 viene prevista la riqualificazione urbana e architettonica di quest’area. La lettura del sito viene eseguita da un’équipe pluridisciplinare coordinata dall’Agence d’Urbanisme del Grand Lyon e animata da una continua concertazione con le associazioni locali. In fase progettuale la coordinazione è avvenuta da una Maîtrise d’ouvrage, composta dal Grand Lyon (Direction de la Voirie) e Ville de Lyon, e una Maîtrise d’oeuvre che coinvolge l’équipe mandataire pluridisciplinare Gautier+Conquet architectes et paysagistes, il Bureau d’études Voirie Reseaux Divers SITETUDES, il Bureau d’études espace public et aménagements urbains ICC, il concepteur lumière LIGHT CIBLES. Questo coinvolgimento è alla base di una regolazione delle procedure e tenta di soddisfare un quadro ampio di problematiche ed esigenze, attraverso l’elaborazione partecipata e concordata dei documenti di progetto
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Il piano di riqualificazione delle piazze e delle strade del centro storico è occasione di sperimentazione e di raccolta di idee e buone pratiche progettuali attraverso il lavoro di équipe di progettisti selezionate con concorso pubblico o in via diretta.
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(redazione di Cahier des Charges e Dossier de consultation des entreprises, concertazione attraverso Comité de Pilotage, consultazione, assistenza e accessibilità dei risultati, Direzione dei lavori, valutazione degli interventi). L’estremità est del Boulevard si trasforma in una Esplanade pedonale di 18 000 mq. Il progetto comprende la realizzazione di un parcheggio sotterraneo di 440 posti e la realizzazione di uno spazio pedonale di interazione e flessibilità di usi e di grande valenza ecologica. Il progetto dello spazio aperto coinvolge la regolazione dei flussi di traffico, la ridefinizione delle fermate di trasporto pubblico, le trasformazioni di uso pedonale e automobilistico dell’area. Il progetto ristabilisce la continuità urbana e l’accessibilità all’area pedonale e apre il panorama ad una nuova percezione dello spazio urbano. Il progetto del sistema naturale diventa elemento centrale del progetto, evitando un verde “ghettizzato” in recinti. Le alberature preservate e riposizionate, sono disposte per privilegiare la visione panoramica. L’uso del verde viene diversificato: gli alberi di allineamento in continuità con il boulevard, la grande superficie verde su suolo rinforzato per garantire la polivalenza di usi, la fascia boschiva in corrispondenza dell’area dedicata alle attività all’aperto per i bambini. Gli obiettivi rimangono chiari fino alla soluzione di dettaglio. La convivenza tra naturale e artificiale può rileggersi nella scelta di frammentare il meno possibile il verde: sedute e camminamenti sono semplicemente appoggiate sulle superfici verdi. Lo studio dei materiali di pavimentazione è attento alle tematiche ambientali, funzionali, economiche e seguono le linee guida elaborate nel Référentiel de conception et gestion des espaces publics (Direction del’Eau, Direction de la Propreté, Direction de la Voirie). La palette di materiali è varia come quella dell’essenza vegetali: rivestimenti bituminosi, sabbia stabilizzata, asfalto permeabile, pietra calcarea, cemento e superfici erbose insieme, griglie per alberature.
Figura 3. Progetto dell’Esplanade du Gros Caillou. Planimetria e alcuni materiali utilizzati nella trasformazione
3.2 | Le Berges du Rhône La riva sinistra del fiume Rodano (Fig. 4) costituisce un vasto sistema lineare che si sviluppa per circa 5 km nel cuore della città. Utilizzato a lungo come parcheggio, il comune di Lione ha deciso di inserire il progetto di riqualificazione di quest’area all’interno dei grandi progetti di trasformazione urbana con lo scopo di ridare una connotazione pubblica a questo luogo. Bandito il concorso, il progetto di riqualificazione viene assegnato nel 2003 allo studio di paesaggio In Situ, in collaborazione con lo studio Jourda. La Maîtrise d’ouvrage è composta da Le Grand Lyon e Le Service Espace Public che avviano da subito fasi ravvicinate di concertazione con le parti sociali coinvolte per la scelta e l’evoluzione dei progetti presentati. Il gruppo di progettazione scelto collabora con laboratori di lavoro specifici che affrontano le tematiche dell’illuminazione, della gestione economica, delle piantumazioni (Coup d’Eclat, GEC Rhône Alpes, BET VRD, Biotec, Agibat, Sol Paysage, BET Structure). Il progetto vincitore si caratterizza per la costruzione di uno spazio fluido che alterna spazi pubblici e servizi per i cittadini alla natura, capace di mettere in connessione due estremi della città, il parco de la tête d’or a nord e il parco di Gerland a sud. La sezione trasversale di progetto, legata alla morfologia urbana e allo stato preesistente, varia da una larghezza minima di 5 metri ad una massima di 75. Questa variazione permette la definizione di luoghi estremamente differenti tra di loro10 che però non entrano in contrasto con la continuità e la fluidità del
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L’eterogeneità spaziale del progetto è totale. Si passa da ambienti caratterizzati da un’atmosfera più naturale, come gli alvei lungo il fiume, a quelli decisamente urbani situati nella parte centrale di progetto, quando il fiume attraversa il cuore della città. Alcuni esempi sono il sistema di terrazze gradonate ed alberate all’altezza del ponte de le Guillotère che mettono in relazione la quota della città con la quota del fiume, il parco per skater mentre, il sistema di spazi verdi alberati
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percorso principale. A questo elemento lineare si associano interventi puntuali quali il sistema delle terrazze bel vedere previste da François Jourda e i piccoli padiglioni collocati al livello della strada, che accolgono ulteriori servizi per i cittadini. I battelli sono stati recuperati e accolgono una molteplicità di servizi che rendono il lungo fiume uno spazio vissuto costantemente a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il progetto di riqualificazione ha come obiettivo principale una rinaturalizzazione diffusa dell’area che per lungo tempo è stata usata solo come parcheggio. L’installazione di isole naturali, visibili ma difficilmente accessibili dalle persone, ha permesso di definire ambienti favorevoli per alcune specie animali e vegetali, che hanno di conseguenza ripreso a frequentare spontaneamente il fiume. Ad una rinaturalizzazione estrema corrisponde poi una naturalizzazione antropizzata là dove il fiume entra nella parte urbana: vasche d’acqua, pavimentazioni in legno, prati ed alberi definiscono un nuovo paesaggio urbano capace di essere oggi una delle principali polarità per i cittadini lionesi.
Figura 4. Progetto Berge du Rhone. Immagine prima dell’intervento, scenari di insieme e materiali utilizzati
3.3 | Le Confluence Stretta tra i due fiumi Rodano e Saone, la Confluence a Lyon è un’ex area industriale di 150 ettari (Fig. 5). Caratterizzata da una forte infrastrutturazione ferroviaria e fluviale che serviva da supporto per il complesso ed esteso sistema industriale, l’area è oggetto di un processo di riqualificazione che comincia nel 1998 quando viene coinvolto lo studio del paesaggista Michel Desvigne. Rispetto agli approcci tradizionali caratterizzati da grandi investimenti privati e pubblici in un solo momento, Desvigne propone una nuova metodologia di intervento. Anziché produrre un piano di sistemazione rigido, l’equipe definisce una “strategia d’infiltrazione, un processo di occupazione evolutiva, sfruttando la frammentazione del territorio per introdurvi giardini e passeggiate” definendo “un sistema di parchi provvisori, che accompagnino tutte le trasformazioni senza attendere il grande progetto” e garantendo “una immediata qualità paesaggistica”(Desvigne 2002). Viene definita così una struttura urbana decisa dal paesaggio, dal sistema del verde e dei percorsi pubblici che diventa il supporto per la successiva trasformazione. Obiettivo di tale metodologia di intervento è la definizione di un “processo temporale di trasformazione” (Desvigne 2009). Il progetto in definita si pone come obiettivo primario quello di ridare una qualità ed una identità ad area abbandonata prima che il processo di costruzione abbia inizio, al fine di “convincere i cittadini a tornare a vivere in centro” predisponendo già quegli spazi di relazione, gioco, ecc. necessari per un uso continuo della città. Nasce una estetica della trasformazione nella quale lo spazio pubblico diventa la base necessaria per la stessa trasformazione. Esito di tale approccio è stato una rapida integrazione dell’area dismessa nelle dinamiche urbane, prima ancora che vi si insediassero i principali servizi legati all’edificato. La SEM, che nel 2008 diviene la SPLA (Société Publique Locale d’Aménagement ), è creata per coordinare le diverse fasi di un progetto unitario. I designati a redigere il piano sono il paesaggista Michel Desvigne e l’urbanista François Grether per la prima fase, quest’ultimo viene sostituito dal gruppo Herzog e De Meuron nella definizione della seconda fase di progetto. Promotori locali, proprietari degli ambiti di trasformazione, partecipano al programma CONCERTO dell’unione europea, attraverso il quale riescono ad avere finanziamenti europei. Oltre al Grand Lyon e alla SPLA sono coinvolte associazioni e Agenzie, esperti di energie rinnovabili e programmi europei, laboratori di ricerca sull’efficienza energetica (HESPUL, ALE, Enertech, Cethil). Nello specifico, il progetto si compone per fasi. La prima fase, regolata dal Plan Bleu, prevede il recupero dalla passeggiata lungo la Saona. L’obiettivo principale consiste nella creazione di giardini temporanei capaci di ridefinire l’identità del luogo e quindi capaci di richiamare la popolazione. I giardini vengono allestiti attraverso e spazi di sosta ombreggiati e riparati dal rumore delle macchine alla quota superiore, la piantumazione di filari di alberi d ideale per il mercato ambulante ed giornaliero, la lunga passeggiata sospesa in legno che porta verso la parte più naturale.
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l’installazione di “piastre-giardino”, vasche di terra appoggiate sul suolo esistente nelle quali vengono piantumati arbusti e fiori, definendo così un nuovo paesaggio naturale ed una insolita atmosfera urbana. La seconda fase prevede la realizzazione del parco: a partire dall’asse strutturale creato lungo la Saonne si estendono perpendicolarmente fasce verdi e di acqua che strutturano l’intero insediamento urbano. Il sistema del verde viene così caricato di un altro significato: non solo attrattore iniziale ma anche sistema capace di strutturare la trasformazione urbana seguendo e rafforzando tracce già presenti nel paesaggio della Confluence. La terza fase del processo di trasformazione si basa sulla struttura urbana risultate al processo di costruzione dello spazio pubblico.
Figura 5. Progetto Lyon Confluence. Scenari di trasformazione.
Bibliografia Alexander C. (1977), A pattern language. Towns, buildings, constructions, Oxford University Press, New York Bertelli G. (2005), Luogo e progetto: abitare lo spazio pubblico : esperienze didattiche sull'area della Confluence a Lione, Libreria Clup, Milano Caniglia Rispoli C. (1970), Spazio pubblico per la città, Giannini, Napoli Clément G. (2005), Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet Desvigne M. (2009), Intermediate Natures. The landscape of Michel Desvigne, Birkhauser, Berlin Espuelas F. (1999), Il Vuoto. Riflessioni sullo spazio in architettura, Marinotti Edizioni Gisotti G. (2007), Ambiente urbano, introduzione all'ecologia urbana, Flaccovio, Palermo Marchigiani E. (2005), Paesaggi urbani e post-urbani : Lyon e IBA Emscher Park, Meltemi, Roma Tsiomis Y., Ziegler V. et al (2007), Anatomie de projets urbains : Bordeaux, Lyon, Rennes, Strasburgo. Editions de la Villette Curatele Farinella R., Ronconi M. (a cura di, 2011), Politiche dell’abitare e progetto urbano. Esperienze europee, Editrice Compositori, Bologna Mostafavi M., Doherty G. (a cura di, 2010), Ecological Urbanism, Lars Müller Publishers Saggio su volume Desvigne M. (2002), “Recherches pour une esthétique de la trasformation” in A. Masboungi (a cura di) Penser la ville par le paysage, Parigi, Editions de la Villette Articolo su rivista Betin C. (2001), “La construction de l'espace public. Le cas de Lyon.”, In Géocarrefour, Vol. 76 n°1, pp. 47-54 Ghilotti M. (2005), “Un futuro prossimo: il margine verde della Confluence”, in Territorio, n. 34, Franco Angeli Edizioni, Milano Holling C.S. (1973) “Resilience and stability of ecological systems”. in Annual Review of Ecology and Systematics. Vol 4 :1-23
Sitografia RUROS, Key action 4 “City of Tomorrow and Cultural Heritage”, Quinto programma quadro, 2002 http://alpha.cres.gr/ruros/dg_it.pdf Urban spaces , Manuale per lo spazio urbano, Joint Strategy, Settimo programma quadro, 2011 http://www.urbanspaces.eu/files/Joint-Strategy-in-Italian.pdf Studio di progettazione della riqualificazione dei margini fluviali, sezione progetti, primo documento. http://www.in-situ.fr/agence/agence.html Studio di progettazione della trasformazione del Gros Caillou, sezione pregetti spazio pubblico. http://www.gautierconquet.fr/ Sito del Grand Lyon, sezione grandi progetti urbani Giulia Chiummiento, Federico Orsini
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http://www.grandlyon.com/ Informazioni sugli enti e sulle nuove tecnologie applicate allo spazio pubblico. http://www.millenaire3.com/, http://www.plante-et-cite.fr/
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Laboratori di Rigenerazione Urbana a Matera | Dalla Forma Urbis al costruire una comunità in movimento
Laboratori di rigenerazione urbana a Matera Dalla Forma Urbis al costruire una comunità in movimento Carmela Coviello International PhD in Architecture and Urban Phenomenology, Unibas DICEM – Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo Email: coviit@gmail.com Tel: +39 340.7258140 Ina Macaione Scuola di Architettura di Matera, Unibas DICEM – Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo Email: ina.macaione@unibas.it
Abstract I paesi e le città cambiano continuamente nel tempo e questo processo di cambiamento è inevitabile e benefico. La città di Matera, laboratorio sperimentale dai primordi della civiltà e sede di eventi rivoluzionari della forma dell’abitare, vede declinare il suo ecosistema alla fine del Settecento. La maggiore densità urbana, la crisi della pastorizia uniti al contesto meridionale periferico portano a un peggioramento della qualità di vita fino al tracollo. Negli anni ‘50 del ‘900, alcuni tra i più grandi architetti e urbanisti del tempo (Aymonino, Quaroni, Piccinato… ) furono chiamati a progettare i nuovi quartieri del Risanamento Sassi. Questa edilizia popolare di pregio reclama oggi un’urbanistica intesa come “laboratorio di rigenerazione urbana” nel quale le idee siano in grado di richiamare le forze culturali ed economiche di natura professionale e imprenditoriale, precisando le aree, i temi e le azioni esemplari che le mettano in moto fondando progetti pilota dimostrativi di una partecipazione civile al senso di comunità. I “Laboratori” di rigenerazione urbana, dialogo aperto tra la popolazione, l’Università di Basilicata e il Comune di Matera, vengono fondati definendo i soggetti, i metodi, le ricadute territoriali e o le qualità delle relative proposte, privilegiando la creazione di nuova occupazione, la risposta ai problemi di qualità della vita nella rigenerazione urbana. Parole chiave Opportunità, Cambiamento, Progresso, Sperimentazione partecipata
1 | La pianificazione alla luce della rigenerazione Lewis Mumford scriveva che «nella città, forze remote e influenze si mescolano con il locale e i loro conflitti sono non meno significanti che le loro armonie». 1 Le città sono in costante mutazione, mai statiche, mai finite e sempre pronte ad adattarsi ai nuovi cambiamenti. Le cause di questa rapida e continua evoluzione sono da cercare, secondo C.Couch2, in due aspetti principali: la radicale ristrutturazione dell’economia di base delle città che è avvenuta quando da centri di produzione si sono trasformate in luoghi di servizi e centri di consumo; l’altro aspetto è il processo di decentralizzazione che ha spinto molte funzioni a essere dislocate fuori dalle aree interne, favorendo il proliferare di conurbazioni periferiche. Il risultato di questi processi vede un abbandono a larga scala e un decadimento degli edifici così come dell’ambiente circostante, un aumento della disoccupazione e un degrado del tessuto sociale. 1 2
Urban Regeneration: A Handbook,2000 Edited by P.Roberts and H. Skyes Urban Regeneration in Europe, 2003 Edited by Chris Couch, Charles Fraser, Sue Percy
Carmela Coviello, Ina Macaione
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Laboratori di Rigenerazione Urbana a Matera | Dalla Forma Urbis al costruire una comunità in movimento
Il tentativo di risposta da parte delle politiche europee e non solo a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso hanno preso il nome di rigenerazione urbana con l’obiettivo di trasformare le aree degradate e le terre di nessuno creando nuovo impiego dove il lavoro è andato perduto, migliorando le condizioni ambientali e approfondendo i problemi relativi all’ambito sociale. Potenzianlemente nei contesti urbani i sistemi politici, economici e sociali possono generare questo costante cambiamento e una nuova domanda di economia del progresso permettendo una carica di forze sostanziali che creano le potenzialità per migliorare la condizione delle aree urbane. Questo processo di cambiamento fisico essenziale deve essere preceduto da una dettagliata analisi della condizione urbana sulla quale si interviene, mirando ad un progresso simultaneo dello spazio fisico, delle strutture sociali, della base economica insieme alle condizioni ambientali attraverso strategie integrate che mirino alla risoluzione dei problemi assicurandosi il consenso, la partecipazione e una cooperazione completa delle parti legittimamente interessate (stakeholders) alla rigenerazione, partecipazione da costruire attraverso partnership o altri modelli di lavoro. Le teorie di rigenerazione urbana riguardano principalmente le dinamiche istituzionali e organizzative relative al cambiamento urbano; queste dimensioni della teoria rigenerativa mostrano importanti caratteristiche che aiutano a definire il ruolo e le modalità di un intervento rigenerativo.. Dato che, in linea di principio quest’attività ha come prerogative quella di essere più pratica che teorica, essa deve essere vista come un’attività interventista che scuote i settori pubblici, privati e le comunità in grado di mutare le sue strutture istituzionali nel tempo e adattandosi ai cambiamenti economici, sociali e dell’ambiente così come alle circostanze politiche della città, un mezzo per mobilitare gli sforzi collettivi fornendo una base per la negoziazione di soluzioni adeguate. La teoria della rigenerazione urbana inoltre considera il sistema urbano come un unicum e l’integrazione quale caratteristica centrale che aiuti a distinguere i primi tentantivi di rigenerazione dalla direzione dei cambiamenti in aree urbane. «La pianificazione in ambito urbanistico è la costruzione della città che promuove il benessere delle persone e delle comunità, creando ambienti confortevoli, equi, salubri, efficienti e attraenti per le generazioni presenti e future.»3 Quando la pianificazione si allontana dal suo assetto legato principalmente all’uso del suolo che considera la città come un mero manufatto ingegneristico, essa può diventare uno strumento in grado di oscillare tra l’aspetto fisico delle città, la destinazione d’uso e la conoscenza delle varie dinamiche economiche, sociali e relative all’ambiente. (Landry,2009) La differenza tra I due approcci è nelle persone coinvolte a gestire il processo di pianificazione; da una parte, a dirigere ci sarebbe un professionista competente in materia di ambiente costruito mentre dall’altra, probabilmente la persona a capo di un’operazione diversa dalla pianificazione tradizionale dovrà essere parte di un più ampio gruppo interdisciplinare di professionisti che interverranno nel processo di narrazione della città, cercando di capire come questo processo possa essere messo in atto. Anche gli strumenti propri della pianificazione, le mappe, alla luce di una nuovo modello di piano dovranno essere ripensate: mappe che rilevino, oltre che le informazioni tradizionali, anche i fenomeni emergenti (ad esempio i flussi d’innovazione, i processi partecipativi, l’uso dello spazio). Landry sostiene che una pianificazione alla luce della rigenerazione vedrà la sua completa attuazione in tempi più lunghi e che abbisogna di soggetti sostenitori che credano in questo processo per un arco temporale di almeno un ventennio; egli inoltre sostiene che essa non debba essere lasciata ai cicli della politica di una città. In alcuni contesti europei operazioni di rigenerazione urbana sono stati guidati da coloro che vengono definiti dei “missionari urbani” ( Eric Reynolds e Bill Dunster a Londra rispettivamente con il Camden Lock Market e BedZed Factory ) introducendo un modello rigenerativo di successo con l’obiettivo di giungere ad un sistema che rafforzi i cittadini affinché siano incoraggiati a generare una realtà di buon livello.
2 | Il passato e il futuro di una città vivente Il concetto di Matera quale laboratorio sperimentale è insito nella storia della città fin dai primordi della civiltà: una realtà urbana che esiste da sempre (i primi ritrovamenti risalgono a 400.000 anni fa) con una comunità che si insedia nell’attuale area dei Sassi, le grotte naturali che hanno nel tempo acquisito forme ed ampiamenti ad opera dell’uomo venendo a costituire un groviglio di percorsi, superfici e spazi estremamente complessi che costituisce un vasto tessuto urbano fatto di circa tremila abitazioni di cui solo il dieci percento interamente costruito. L’ecosistema dei Sassi comincia a cedere alla fine del Settecento: la maggiore densità urbana, la crisi della pastorizia uniti al contesto meridionale periferico portano a un continuo peggioramento della qualità di vita; la città comincia ad estendersi in alto, sul Piano a ridosso dei Sassi. L’aumento della popolazione unito ll’impossibilità di utilizzo delle condotte la rete idrica e fognaria e la mortalità infantile portano la situazione a degenerare. 3
www.planning.org/carreers
Carmela Coviello, Ina Macaione
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Dopo la visita ai Sassi di Palmiro Togliatti nel 1948, Alcide de Gasperi nel 1954 firma la prima Legge Speciale per lo Sfollamento dei Sassi:I due terzi di tutti gli abitanti della città dovevano forzatamente abbandonare le loro case per trasferirsi nei nuovi rioni costruiti dallo Stato. Alcuni tra i più grandi architetti e urbanisti del tempo furono chiamati a progettare i nuovi quartieri che avrebbero ospitato circa quindicimila persone sulla base del Piano Regolatore realizzato da Luigi Piccinato nel 1956. Furono realizzati i quartieri di Spine Bianche, Serra Venerdì, La Nera, Agna Cappuccini, e i tre borghi rurali de La Martella, Venusio e Picciano perché le famiglie dei braccianti vivessero non lontani dai terreni coltivati. I nuovi quartieri furuono progettati prevedendo ampi spazi verdi sia al loro interno che esternamente per separarli dalle strade principali e fu data molta importanza agli spazi aggregative e alle piazza. Il tempo che è intercorso dalla progettazione alla realizzazione è stato di di circa quindici anni, dopo I quali gli abitanti sono stati trasferiti nei nuovi quartieri, In cambio della nuova casa che si otteneva pagando un canone d’affitto minimo, la casa nei Sassi veniva espropriata e resa demaniale. Concluso lo sfollamento intorno agli anni Sessanta, i Sassi vennero abbandonati e fu vietato abitarli, diventando così un grande centro storico abbandonato, generando un’evidente separazione sociale e fisica con il resto della città.
Figura 1. Aerofotogrammetrico della città di Matera con analisi descrittiva dei quartieri storici moderni del centro storico e, in rosso, dei qurtieri laboratorio di rigenerazione urbana
Nei decenni, a cominciare dal Concorso Internazionale di Idee per il Restauro Urbanistico ambientale dei Rioni Sassi svoltosi tra il 1974 e il 1977, proseguendo con la Legge 271 del 1986 con la quale la gran parte degli immobili sono stati ristrutturati, una considerevole parte del Patrimonio è stato restaurato. Dal 1993 I Sassi sono diventati Patrimonio Unesco considerato paesaggio culturale ed esempio di insediamento antropico in equilibrio con l’ambiente circostante. Carmela Coviello, Ina Macaione
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Eppure il sociologo londinese Charles Landry, in visita alla città di Matera lo scorso Aprile ha esordito il suo intervento affermando che “Matera non è solo Sassi”. La città e la sua evoluzione sono peculiari nella loro interezza e nessuno spazio di essa deve essere sottostimato: i Sassi, il centro storico Settecentesco, i quartieri del Risanamento Sassi così come alcuni quartieri coevi di questi ultimi con interessati interventi edilizi Ina-Casa e Unnra-Casas (Rione Villalongo e Rione Piccianello, Rione San Pardo);non ultimi, gli interventi di nuova edificazione sorti ai bordi Nord e Sud della città sull finire degli anni Settanta, attualmente un patrimonio architettonico problematico e qualitativamente discutibile (Rione San Giacomo, Rione Pini, Aquarium, L’Arco e Rione Serra Rifusa, Parco Giada, Matera 2000, etc.)(Fig.1). Ognuna di queste parti della città ha in sé potenzialità e limiti attualmente in attesa di essere quantificati ed analizzati in maniera olistica e non solo attraverso gli strumenti della pianificazione tradizionale ma tendendo a intervenire in contesti specifici con strumenti innovativi che alla base possiedono un forte concetto di insieme urbano.
3 | Matera: città laboratorio partecipato Questo organismo complesso che è la città di Matera è reso ancora più complesso dall’attuale crisi, soprattutto in merito alle difficoltà delle “comunità insediate” nel condividere i medesimi obiettivi. Appare evidente che la stessa città non riesca più a riflettere sul vantaggio di essere una città. Fino ad un certo punto, è stato chiaro che la società materana ha avuto i suoi obiettivi: diversi gruppi componenti la città riuscivano a stare insieme grazie ad un sistema di regole condivise pur faticosamente raggiunte. Ma oggi, cosa significa città? Questo non è chiaro già nella forma urbana fatta di tanti “coriandoli” sparsi. Oggi qual è la città, quali sono le relazioni che tengono tutti insieme in un posto e che permettono di usare ancora la parola “città” per definire lo spazio? Sembra sia diventato indispensabile attivare una “comunità riflessiva e partecipativa”, ripensando totalmente a questo termine, alle regole, alle cose da fare attivando un programma che permetta nuovi indirizzi nelle azioni. Matera è una città in particolare transizione, che esce da una situazione di marginalità, di periferia e forse di sostanziale crisi economica. Una città che però si sta lanciando con impegno sul piano dell’offerta culturale, del turismo e dell’immagine internazionale. Essere stata riconosciuta dall’Unesco quale “Patrimonio dell’umanità” indubbiamente rappresenta un fattore decisivo per il futuro che va sfruttato strategicamente pur permanendo alcuni elementi di debolezza. Per rispondere alle sfide del presente, l’amministrazione comunale4 ha avviato alcuni “laboratori di rigenerazione urbana”, sparsi in tutto l’ambito urbano. È un’iniziativa che nasce da una peculiarità di Matera, avendo questa città oltre che i Sassi, anche i quartieri del “risanamento”, fatti a valle dello sfollamento dei Sassi, che di fatto hanno riqualificato la periferia che fa da anello al centro storico. Di non altrettanta qualità è la produzione successiva, o meglio quegli esempi della grande architettura italiana del dopoguerra hanno fatto scuola fino agli anni ‘70 e hanno influito decisamente sulla produzione edilizia e lo sviluppo urbano fino ad allora; con gli anni ‘80 questa tradizione è andata perduta: si è distrutto tutto e oggi si registrano le difficoltà della periferia più estrema, il tradizionale bordo italiano malfatto costruito secondo la solita sequenza “prima le case e poi le infrastrutture”. È emersa progressivamente tutta una serie di problemi che la città sta attualmente vivendo, soprattutto da un punto di vista economico, perché di fatto Matera non ha altra risorsa che se stessa, la sua fisicità. Ed è proprio su questa fisicità che l’attuale amministrazione sta puntando molto. Il principio che si sostiene è: la “città” è il capitale di partenza, non ce ne sono altri perché tutte le attività produttive hanno chiuso, in particolare il Polo del Mobile Imbottito, che aveva creato una speranza e dei contatti col mondo del design milanese– ancora oggi si sogna la possibilità di istituire una scuola di design del mobile – ma la crisi ha definitivamente spento questa prospettiva: di fatto non ci sono capitali effettivi, bisogna ripartire dall’unico patrimonio certo che la città possiede; Matera è una città che attrae e occorre essere capaci di catturare anche i giusti investimenti. L’Assessorato all’Urbanistica della città di Matera sta puntando su questo ovviamente scontrandosi con il sistema nazionale, perché l’attrattività imprenditoriale può esistere solo in uno stato di sicurezza, di garanzie, certezze. La proposta di lavoro decisiva proposta al sindaco è stata quella di avere un confronto istituzionale diretto anche a livello governativo nazionale, per la creazione di una sorta di “zona franca” in cui sperimentare nuove forme di contrattazione, di sistemi di norme. L’obiettivo è quello di dimostrare che il Mezzogiorno, una volta creato un sistema di regole chiare, può farcela, partendo da quell’unico capitale, forse, che è la forma della città, la struttura fisica, con tutto quello che significa, il suo modo di essere abitata, percepita, di “essere sempre paesaggio”, in ogni caso. Su linee guida che hanno come punto di partenza il riuso e il riciclo (Fig.2), in una chiave di sostenibilità (idea che comincia a farsi strada) si crede sia possibile giocare questa partita.
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Attualmente Ina Macaione è assessore del Comune di Matera alle Politiche di Governo del Territorio ed edilizie, Tutela e ripristino del paesaggio, qualità urbana ed architettura, politiche abitative. Tutela del patrimonio UNESCO (Sassi e Murgia materana) e centro storico.
Carmela Coviello, Ina Macaione
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Laboratori di Rigenerazione Urbana a Matera | Dalla Forma Urbis al costruire una comunità in movimento
Figura 2. Azioni-Obiettivo del Piano Strategico per la città di Matera con in evidenza il leitmotiv del programma: re-cycling, re-duce-re-uce e i sette punti sui quali l’Assessorato alle Politiche di Governo del Territori ed edilizie, Tutela e ripristino del paesaggio, qualità urbana ed architettura insieme alla Tutela del Patrimonio UNESCO e centro storico ha costruito il suo programma di lavoro.
La nostra idea è che sia necessario intervenire passo dopo passo in una sorta di cammino di cui non è indispensabile conoscere tutto se non la direzione, l’importante è procedere. In questa prospettiva, i passi devono essere delle microazioni connesse tra loro a costituire una rete rigenerativa urbana. Ecco che nasce l’idea dei laboratori di rigenerazione urbana nei quali è necessario investire per innescare la vita e la creatività. I “laboratori di rigenerazione urbana” devono essere i luoghi in cui sia possibile sperimentare nuove forme di convivenza che diano forme nuove alla città, che ridiano il senso delle scelte. Fino a questo momento ne sono stati attivati tre in situazioni diverse, socialmente consolidate. Il primo è il “Forum Sassi”(Fig.3), cioè un luogo dove gli abitanti e gli operatori dei Sassi si incontrano, per riuscire a costruire una visione condivisa sul futuro di questa parte della città.
Figura 3. Logo rappresentativo del Forum Sassi presente anche on-line con una pagina facebook e un blog aperto sul sito del Comune di Matera
In questo laboratorio molte cose sono già state discusse, seppure oggi è importante capire quale è il futuro, quali prospettive si rendano oggi necessarie. Un altro laboratorio è quello istituito presso il quartiere storico di Spine Bianche (Fig.4), un quartiere dove la comunità non riconosce il valore architettonico ed urbanistico dell’area. Sussiste sicuramente una forte identità di quartiere ma allo stesso tempo non vi è nessun apprezzamento e riconoscimento dello spazio in cui questa comunità vive. Si è reso quindi necessario un lavoro di sensibilizzazione per costruire una consapevolezza dei luoghi in cui vivono; probabilmente non diventeranno un analogo degli abitanti di Berlin Britz, ma si convinceranno almeno a non compiere interventi profondamente alteranti l’architettura e l’assetto urbano di questi spazi di pregio.
Carmela Coviello, Ina Macaione
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Figura 4. Mostra tematica sulle architetture e i dettagli del quartiere realizzata con la collaborazione degli studenti della Scuola di Architettura di Matera allestita negli spazi della sala parrocchiale di Spine Bianche.
Un terzo laboratorio è invece quello avviato nel quartiere Piccianello(Fig.5), un quartiere auto-costruito, coevo ai quartieri storici del risanamento.Uno spazio non pianificato (lo si vede dal modo in cui sono state realizzate le strade e costruite le case). È molto popoloso seppure la popolazione stia invecchiando e non ci sia un forte ricambio generazionale. È un quartiere molto importante per la città perché è sede dello spazio nel quale, di anno in anno si costruisce il Carro per la processione della festa per la Madonna della Bruna, evento cruciale per la città. È stato scelto perché al di là delle sue caratteristiche urbanistiche, possiede una fortissima identità: i “veri materani” vivono lì. L’obiettivo del laboratorio nel quartiere di Piccianello dovrebbe essere quello di cambiare la mentalità di quanti intervengono e agiscono all’interno del quartiere.
Figura 5. Conferenza di apertura del Laboratorio di Rigenerazione Urbana nella sala parrocchiale del quartiere di Piccianello e sessione di lavoro con gli abitanti del quartiere e gli studenti della scuola di Architettura di Matera. Carmela Coviello, Ina Macaione
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Dunque si tratta laboratori molto diversi fra loro perché si confrontano con realtà specifiche e con i diversi attori che interagiscono con essi; ad ogni laboratorio corrispondono strategie e finalità diverse per la costruzione di un futuro: in comune, infatti, hanno la lotta ad un deficit di fiducia che è facile rilevare nelle varie realtà urbane. Complessivamente è la lotta ad un rifiuto netto del convincimento che non ci sia alcuna speranza, che non sia possibile un cambiamento, che non sia possibile una vita “normale” in questi luoghi. Ogni laboratorio elabora la propria strategia, ognuna oggetto di proposte progettuali di vario genere che tentano di mescolare gli interventi sul tessuto sociale con quelli sul tessuto fisico. In questi laboratori sono coinvolti antropologi, fotografi, artisti, e il vero obiettivo nella prima fase è di fare uscire le persone dalle case, farle incontrare, farle discutere e quindi partecipare alla progettazione del loro futuro, per giungere alla costruzione di una visione condivisa di futuro comune.
4 | Conclusioni I laboratori di rigenerazione urbana nei quartieri della città di Matera che hanno visto il loro esordio durante il mandato dell’attuale Amministrazione comunale in collaborazione con il corso di Architettura dell’Università di degli Studi di Basilicata, hanno certamente illustri precedenti in altri contesti europei. Tuttavita la realtà complessa di questa città e le sue numerose contraddizioni nel corso dei secoli rendono questa sfida estremamente interessante e complessa al contempo. Gli scopi vogliono essere concreti e partecipati e i tre laboratori già in atto nella città mirano a diventare terreno di sperimentazione e modello di processo rigenerativo per il resto dell’eterogeneo tessuto urbano con l’obiettivo di cucire le realtà costruite nel tempo che, seppure mantenendo le loro peculiarità, possano sentirsi parte di un più ampio contesto urbano.
Bibliografia Couch C., Fraser C., Percy S. (eds. 2003), Urban Regeneration in Europe, Lund Humphries, London. Landry C.(2009), City Making,l’arte di fare città Codice, Torino. Mumford L. (1973), City Development,Studies in Disintegration and Renewal Harcourt, New York. Roberts P., Skyes H. (eds, 2000), Urban Regeneration: A Handbook, British Urban Regeneration Association, London. Toxey A. (2011), Materan Contradictions: Architecture, Preservation and Politics, Ashgate Publishing, Farnham.
Sitografia Webportal che raccoglie testi, articoli e links in merito alla pianificazione per la rigenerazione del paesaggio urbano, il riuso e lo sviluppo così come una rivitalizzazione urbana su modello smart city. http://www.weburbandesign.com/pages/bluerings_s09.htmwww Sito a diffusione turistica che raccoglie contenuti di storici e sociologi materani a integrazione delle informazioni classiche a più larga diffusione http://www.sassiweb.it/visite-guidate/visita-sassi-matera/tour-sassi-di-matera/recupero-e-unesco/
Informazioni aggiuntive Sebbene il lavoro presentato sia frutto di una riflessione condivisa, sono da attribuirsi a Carmela Coviello i paragrafi 1,2 e le conclusioni e a Ina Macaione il paragrafo 3.
Carmela Coviello, Ina Macaione
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Il Ruolo dell’Housing Sociale nella Rigenerazione Urbana: il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara
Il ruolo dell’Housing Sociale nella rigenerazione urbana: Il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara Daria De Petris Università degli studi dell’Aquila DICEAA - Dipartimento di Ingegneria Civile Edile-Architettura Ambientale Email: dariadepetris@libero.it Tel: 328.6660771
Abstract Pescara, per il suo carattere di città diffusa, manifesta disponibilità a un continuo rinnovamento di tessuti e innesto di nuove centralità. All’interno del suo corridoio urbanizzato stretto tra la ferrovia e il mare, si individua l’area oggetto di studio che, per via della presenza di aree dismesse ed edifici industriali abbandonati a seguito della delocalizzazione delle attività presenti, è interessata da un forte stato di degrado fisico, ambientale, funzionale e sociale. Proprio qui deve nascere una proposta di riscatto, capace di ribaltare il problema in risorsa per lo sviluppo. La proposta elaborata verte a reintegrare l’area di Borgo Marino Sud nell’ambiente urbano, trasformando gli attuali non-luoghi in spazi di elevata centralità urbana dal punto di vista infrastrutturale, urbanistico-ambientale, sociale e occupazionale. Si intende sfruttare a tal proposito il tema dell’housing sociale e della riqualificazione dello spazio pubblico, come occasione per attivare le potenzialità della porzione urbana oggetto di studio, e per consentire la formazione di nuovi paesaggi comuni. Parole chiave Rigenerazione urbana, spazio pubblico, nuove centralità.
1 | Quadro conoscitivo: Descrizione dello stato di fatto 1.1 | Premessa La seguente relazione costituisce oggetto di tesi di laurea nell’ambito di Progettazione Urbanistica, pertanto, non essendo tuttavia terminato un numero sufficiente di elaborati tale da consentirne la completa stesura, si descriverà lo studio svolto finora sulle indagini territoriali e urbane e sulle possibili politiche d’intervento. La città di Pescara raggiunge oggi i centoventimila abitanti ed è nodo di essenziali flussi di traffico nazionale. La prima saldatura dell’urbanizzato è avvenuta negli anni del dopoguerra lungo la linea di costa, nei territori compressi tra la ferrovia e il mare. Poi, dal 1980 in poi, il magma edilizio è straripato nella valle, fino a produrre una vera e propria città in forma di germinazione interna valliva della vasta e più consolidata città lineare di costa, che identifica il nuovo modello insediativo adriatico. Questa città transcomunale ha inglobato nel suo cuore le localizzazioni industriali extraurbane e le loro arterie di connessione territoriale, che funzionano oramai da principali vettori della mobilità metropolitana. Si individua un paesaggio urbano inedito nelle forme, connotato dalla piccola dimensione, dall’eterogeneità, dall’assenza apparente di ordine e gerarchie, la cui progressiva trasformazione sembra governata dal continuo e casuale sovrapporsi delle iniziative e dalla capacità di autorganizzazione dei gruppi locali d’impresa. In questo scenario si inserisce l’area coinvolta dallo studio: una sorte di ‘periferia nel cuore della città’. Il tema della rigenerazione urbana rappresenta l’occasione per risolvere problemi come l’assenza di identità del quartiere, la carenza di spazi pubblici e l’elevata densità edilizia. La riconversione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, oltre ad essere una straordinaria opportunità per l’abbattimento del debito e la razionalizzazione della spesa delle amministrazioni locali, rappresenta una grande occasione per sperimentare interventi di ridefinizione e rigenerazione dei centri urbani. Un patrimonio che per consistenza, localizzazione, valore storico-artistico e sociale, è di grande importanza strategica sia per lo sviluppo a livello locale, che per il rilancio complessivo del sistema-città. Daria De Petris
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Il Ruolo dell’Housing Sociale nella Rigenerazione Urbana: il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara
Il progetto, dunque, intende intervenire in un settore urbano di forma trapezoidale che include il quartiere residenziale di Borgo Marino Sud, ed è compreso tra il Lungomare Cristoforo Colombo e le vie Bardet, Vespucci e Magellano, facenti parte del sistema distributivo viario locale. Adiacenti a tale settore e immediatamente confinanti con esso, vi sono due grandi aree dismesse: l’area dell’ex mercato ortofrutticolo Co.Fa. (area di 82.961 mq individuata dal PRG come “trasformazione integrale” da attuarsi tramite piano particolareggiato) e l’ex area deposito carburanti Di Properzio (grande area di 58.670 mq, che la variante al PRG individua come “trasformazione integrale” da attuarsi tramite piano particolareggiato). Altrettanto importante ai fini della comprensione dei caratteri dello stato di fatto del luogo, è infatti il problematico dialogo con la restante parte della città, a causa di una insufficiente permeabilità urbana e da un grave stato di degrado dovuto anche alla presenza di dette aree dimesse, di siti da bonificare e di capannoni abbandonati a seguito della delocalizzazione delle attività verso aree periferiche.
Figura 1. Area di studio oggetto di progetto.
1.2 | Cenni storici sulla nascita della città e dei borghi marinari Menzionata come Piscaria in documenti del XII secolo, la città sorse in parte sul luogo dell'antica Aternum, centro posto alla foce del fiume omonimo. Naturale scalo marittimo in tarda età repubblicana dei Marrucini e dei Peligni, in età imperiale divenne il porto più importante della regione. Aternum venne però distrutta dai longobardi (600 d.C.), e da allora i tentativi per ricostruirla furono vani, e solo il porto manteneva una certa importanza. Nel 1927 vennero ridisegnati i confini delle vecchie circoscrizioni amministrative dell'area, e la vecchia Pescara (già provincia di Chieti) si fuse con Castellammare Adriatico (agglomerato di più contrade sorte sulla pianura lungo la vecchia strada ferrata), divenendo presto un importante centro balneare. La Seconda Guerra Mondiale inferse durissimi colpi alla giovane città, che venne quasi rasa al suolo dai bombardamenti alleati. Nel dopoguerra tuttavia iniziò una portentosa crescita, che continua ancora oggi inarrestabile (figura2).
Daria De Petris
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Il Ruolo dell’Housing Sociale nella Rigenerazione Urbana: il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara
Figura 2. Fasi evolutive storiche della città dai tempi dell’antichità romana.
Già in epoca classica il mare favorì la formazione di insediamenti stabili sulla costa presso la foce del Pescara, scalo importantissimo per gli scambi con la Dalmazia e rimasto attivo fino al tempo dei Bizantini e delle crociate, quando la località assunse il nome di Piscaria , che la connotava come zona pescosa . Ma interrotti i rapporti con la costa dalmata per effetto delle invasioni barbariche in Occidente, lungo le nostre coste indifese si verificò un fenomeno di desertificazione, da cui conseguì l’arresto anche dell’attività marinara in seguito all’arroccamento degli abitanti sulle alture, mentre sulla sponda destra del fiume scomparvero i resti dell’antica Aternum con la costruzione della fortezza fatta erigere nella seconda metà del 1500 da Carlo V a difesa del suo regno nell’Italia meridionale. La pesca, in seguito a queste vicende, divenne poco redditizia per i gravami feudali, e resa ancor più difficoltosa dalla presenza di plaghe paludose: la “Palata” sulla destra del fiume e la “Vallicella” sulla sinistra. Inutili risultarono i lavori fatti eseguire da Ferdinando I di Borbone. D’Annunzio, nei primi anni del 1900, descrive nei suoi poemi l’incatramazione dello scafo e il rientro delle barche che attraccavano alla foce del fiume; il che fa capire che esisteva non un borgo vero e proprio ma almeno una “ stazione di barche” alla foce del fiume al lato sud. Forse già da allora esisteva qualche abitazione, non di più che poveri ripari. Ma se abbiamo la voce del poeta sulla preistoria della marineria sud non altrettanto avviene per quella nord. Per gli abitanti di Castellammare infatti, tutti dediti all’agricoltura e distribuiti in abitazioni sparse sui colli, la pesca era un’attività accessoria praticata saltuariamente. primi pescatori di Castellammare Adriatico infatti non abitavano a Borgo Marina, bensì nella Contrada Vallicella. Intorno agli anni ’80-90 si comincia a formare l’insediamento “marinaro” a carattere spontaneo senza un piano che lo collegasse ai progetti di urbanizzazione che i due comuni di Castellammare e Pescara andavano elaborando. Le zone lungo il fiume non furono mai oggetto di pianificazione, e abbandonate allo spontaneismo della marineria, con costruzione di baracche. Tutto il quartiere di conseguenza assunse all’inizio una fisionomia povera. Quando giunse l’agiatezza furono costruite le prime abitazioni in muratura nei primi anni del 1900, anni in cui dall’Abruzzo partirono molte richieste al governo per far decollare il porto canale. Anticamente infatti, il lavoro dei pescatori si svolgeva in condizioni precarie a causa della mancanza del porto.
1.3 | Morfologia del territorio L’ambito geografico pescarese è un’area caratterizzata dal suo far parte di un sistema lineare continuo che si sviluppa senza interruzioni lungo il mare Adriatico, da Nord a Sud, costituito da città costiere medie, piccole e piccolissime dimensioni, tutte di fatto fuse l’una nell’altra. Uno stretto corridoio urbanizzato, schiacciato fra le montagne e il mare, che sembra ospitare a fatica aree residenziali e commerciali, industriali e turistiche. La spiaggia e il fiume, con i rilievi collinari e le montagne sullo sfondo, organizzano la lettura paesaggistica della città, imponendo dei limiti all’occupazione dello spazio urbano e disegnandone al contempo la sua identità. Il litorale occupa una posizione centrale rispetto a tutta la fascia costiera abruzzese; la sua natura morfologica è uniforme: lungo, sabbioso, rettilineo e basso. Il fiume divide la marina in tre sistemi riconoscibili: il litorale nord, litorale sud e il bacino centrale con le rive sull’estuario, sul porto e sugli spazi urbani dismessi. L’urbanizzazione è per lo più di ambito novecentesco e la gran parte del patrimonio costruito è successivo al secondo dopoguerra. Nel corso degli anni i limiti geografici del costruito hanno perduto sempre più consistenza e al tempo stesso è andato crescendo il livello di specializzazione dei tessuti edilizi già stabilizzati, in un processo continue stratificazioni e adattamenti dell’esistente a nuove necessità. Il tutto è avvenuto in modo disordinato, senza una pianificazione unitaria. Può perciò dirsi che l’imprevisto sia stato la vera matrice morfogenica dell’urbanizzazione. Da ciò scaturisce una città nuova, una ‘megalopoli valliva’ che non ha un vero e proprio Daria De Petris
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Il Ruolo dell’Housing Sociale nella Rigenerazione Urbana: il caso del quartiere Borgo Marino Sud a Pescara
centro, o ne ha più di uno. Si tratta di un sistema che esprime la crisi della nozione storica di città. Quest’ultima, che distingue gli europei e gli italiani in particolare dal resto del mondo, è ormai limitata a porzioni di tessuto urbano molto piccole. Proprio per questi caratteri, però, Pescara manifesta disponibilità a un continuo rinnovamento di tessuti, ad un rapido cambiamento di destinazioni d’uso ò innesto di funzionalità nuove. L’area oggetto di studio, conformemente a quanto descritto, è caratterizzata infatti da un mosaico di edilizia residenziale pubblica e privata e di insediamenti produttivi e industriali. Tre dei quattro assi viari che la perimetrano sono strade urbane di quartiere, mentre il lungomare, strada interquartiere, ne rappresenta l’interfaccia verso il mare. Interfaccia, questa, che costituisce oggi una vera e propria linea di separazione, e che andrebbe peraltro trasformata in un’opportunità, in un sistema integrato permeabile, in grado di far interagire le due parti. Dalle analisi effettuate sulla morfologia del costruito, emerge inoltre come siano individuabili all’interno del lotto due tipologie edilizie prevalenti: quella delle ‘case singole’ (prevalentemente concentrate sull’asse del lungomare, ex abitazioni dei marinai risalenti agli anni del dopoguerra) a due piani e monofamiliari, e quella della ‘linea’, occupante il resto della porzione e costituita da palazzine risalenti agli anni ’60’70 di tre, quattro o cinque piani. Per via della presenza di aree dismesse ed edifici industriali abbandonati a seguito della delocalizzazione delle attività presenti connesse al porto e alla produzione e vendita al dettaglio, l’area è interessata da un forte stato di degrado e di abbandono edilizio. Numerosi sono infine i degradi propri della piccola scala, quella del dettaglio, dell’arredo urbano, degli spazi pubblici, degli edifici temporanei, degradi fatti di elementi meno stabili, ma non meno influenti, sull’immagine complessiva dell’architettura e della città. Per quanto riguarda poi l’interazione visuale tra settore urbano e mare, notiamo come anche sotto questo punto di vista ci sia una notevole frattura, costituita pricipalmente dalle costruzioni provvisorie che occupano l’arenile, i cosiddetti stabilimenti balneari, che col tempo si sono estesi sempre di più arricchendosi di casupole, cabine, bar, siepi, muretti, e vegetazioni varie che non hanno fatto altro che aumentare e rendere più problematica la separazione tra natura e costruito.
1.4 | Il sistema infrastrutturale Le reti viarie, ferroviarie, portuali e aeroportuali hanno esercitato un ruolo decisivo nella strutturazione delle città, orientandone direttrici di crescita e modi di funzionamento interno. Attualmente tre sono i piani che si occupano della mobilità pescarese: il Piano Generale del Traffico Urbano, il Piano Urbano della Mobilità e il Piano Urbano della Mobilità di Area Vasta. La mobilità si caratterizza per un flusso di accesso giornaliero alla città pari a circa 15.000 automobili in entrata e 8.000 in uscita secondo le stime dell’ISTAT. Questa popolazione di automobilisti, che si muove principalmente per lavoro, utilizza tra le varie di infrastrutture di accesso, l’asse di penetrazione ovest alla città, cosiddetto ‘asse attrezzato’, che presenta le principali criticità in corrispondenza degli svincoli terminali all’interno del nucleo urbanizzato; tra questi quello conclusivo di piazza della Marina che permette l’accesso al porto attraverso un percorso di viabilità urbana di circa 600 metri. I flussi di traffico che oggi caratterizzano questo ambito –uscita dell’asse attrezzato- hanno caratteristiche di pesante carico. La forte criticità è costituita proprio dalla sconnessione tra l’uscita dello stesso su via Andrea Doria, e l’ingresso portuale localizzato poche centinaia di metri più avanti, dove avviene anche l’innesto con la Riviera Sud. La mobilità territoriale dunque si sovrappone, a partire dall’innesto dell’asse attrezzato, a quella urbana (fig.3)
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Figura 3. Sistema della mobilità. L’area interessata dal progetto, inoltre, risulta particolarmente svantaggiata dal punto di vista del percorsi pedonali e ciclabili, per cui si deve necessariamente migliorare l’attraversamento lento di tale area. Il ponte del mare, di recentissima costruzione (2009), consente l’attraversamento pedonale del fiume riconnettendo il lungomare nord con quello sud, e lungo le sponde del fiume sono state realizzate alcune piste ciclabili. Per quanto riguarda i trasporti pubblici, inoltre, indagini svolte ci permettono di osservare come scarsissime siano le linee di autobus che servano le zone oggetto di studio. Esse si concentrano prevalentemente sugli assi che interfacciano la porzione del ‘borgo’ al resto della città, ovvero Via Bardet e Via Vespucci, e interessando per un breve tratto il Lungomare Colombo, per poi proseguire verso i poli di maggiore attrattività costituiti dallo stadio e dall’Università (situati più a sud della città). Altra forte criticità è rappresentata dalla quasi totale assenza di parcheggi dedicati, fatta eccezione a quello riservato all’area del porto turistico, situata ‘oltre’ la barriera dell’area dismessa ex Co.Fa. nei pressi del porto commerciale. Si sottolinea poi come il sistema ambientale della zona sia costituito da episodi puntuali e disconnessi: si riscontra infatti una evidentissima ‘frattura ambientale’ fra la golena sud del fiume e la Pineta Dannunziana situata più a Sud-Est, tra lo Stadio Adriatico e il waterfront. Tra queste due grandi polarità, oggi poco sfruttate per la trascuratezza in cui versano e per la mancata fruibilità da parte dei cittadini, piccole chiazze di ‘verde urbano’ puntellano l’edificato, costituendo delle ‘stanze’ di suolo pubblico ma isolato e non facente parte di un vero e proprio sistema servente. 1.5 | Analisi
insediativa del quartiere
La proposta elaborata si basa su un monitoraggio e una campionatura di quelle aree del territorio pescarese maggiormente aggredite da un’edilizia pubblica troppo spesso invasiva e scadente, e con l’obiettivo di produrre un modello conoscitivo finalizzato alla rigenerazione di tali aree e alla funzionalità delle strutture in risposta ai bisogni percepiti dalla comunità. Individuate infatti le potenzialità di tali quartieri, possiamo andare a rafforzare le loro connessioni con i contesti limitrofi, innescando delle vere e proprie reazioni a catena (fig. 4). Tale è l’obiettivo che si propone in particolare nel quartiere marinaro Sud, in vista proprio dei suoi punti forza quali la vicinanza al porto e al mare, nonché alle aree oggi dismesse ma in via di riqualificazione, che potrebbero rappresentare dei sistemi connettivi e non più dei tappi per il nostro settore di studio.
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Figura4. Campionatura dei quartieri ATER, Fasi di crescita e analisi delle morfologie insediative. Sulla base di tale campionatura, condotta attraverso studi sulle tipologie edilizie dei vari quartieri ‘ater’ presenti, nonché sul loro processo di crescita insediativa, si è potuta operare una suddivisione del lotto di studio in due sub-ambiti: il sub-ambito A e il sub-ambito B. Nel primo sono presenti per lo più le residenze di dominio ‘ater’ monofamiliari, a ridosso del lungomare, anticamente occupate dai pescatori che abitavano il borgo e identificabili nella tipologia delle ‘case singole’; il secondo invece comprende il costruito residenziale plurifamiliare, identificabili prevalentemente nella tipologia della ‘linea’. Tramite l’elaborazione dei dati Istat, e altre indagini condotte sulla base delle sezioni censuarie fornite dal comune e delle volumetrie di ogni singola particella catastale, si è potuto stabilire che, per un totale di abitanti di 1295, e per una superficie territoriale pari a 107.000 metri quadri, il lotto di studio presenta una densità territoriale pari a 120 ab, suddivisa per sotto-ambiti come segue in tabella. Tabella 1: Suddivisione del settore urbano in due sub-ambiti
Sub-ambito a Sub-ambito b Totale (a+b)
Numero abitanti 277 1018 1295
Superficie territoriale 25.140 mq 82.360 mq 107.500 mq
Volume edificato 36826 mc 199541 mc 236267 mc
Densita' territoriale effettiva 110 Ab./ha 123 Ab./ha 120 Ab./ha
Densita' territoriale potenziale 146 ab/ha 242 ab/ha 220 ab/ha
In cui la densità territoriale effettiva si è ricavata applicando la formula: Dt= n°abitanti/ Sup. Territoriale, mentre la densità potenziale si è ricavata dividendo il numero di abitanti massimi da insediare nel sotto ambito per la superficie territoriale del sotto ambito stesso (dopo aver ottenuto il numero massimo di abitanti dividendo il volume edificabile effettivo per lo standard minimo di 100 metri cubi per abitante). Si sono inoltre svolte delle verifiche sugli standard presenti nel settore di studio e nell’immediato, sulla base del D.M. 1444 e del PRG vigente di Pescara, ottenendo i seguenti risultati poi messi a confronto.
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Tabella 2: Verifica degli standard urbanistici secondo il D.M. 1444/68 Verifica D.M. 1444/68
1295
Minimo DM 1444 (mq) 11655
Quantita' presente (mq) 5204
2,5
1295
3237,5
1348
2
1295
2590
2170
Istruzione
4,5
1295
5827,5
-
Totale
18
Servizi Verde Parcheggi pubblici Interesse comune
Standard minimo (mq/ab) 9
N°abitanti settore (ab)
Tabella 3: Verifica degli standard urbanistici secondo il P.R.G. vigente di Pescara Verifica P.R.G. vigente Standard minimo (mq/ab)
N°abitanti settore (ab)
Minimo Prg(mq)
Quantita' presente (mq)
Verde Parcheggi pubblici Attrezzature di interesse comune Istruzione
15,47
1295
20033,65
5204
3,41
1295
4415,95
1348
1,89
1295
2447,55
2170
4,19
1295
5426,05
-
Totale
24,96
Servizi
Dalle tabelle segue che gli standard del verde attrezzato e dei parcheggi sono i meno soddisfatti; seguono poi gli standard delle attrezzature di interesse comune le quali sembrano essere quasi sufficienti. Per quanto riguarda l’istruzione, grazie a calcoli basati sui raggi di influenza caratteristici di ogni servizio presente nelle vicinanze, si è potuto constatare che è soddisfatto ‘per prossimità’. Emerge da tali analisi, e soprattutto dalle quantità minime previste dal Piano Regolatore Generale, come la necessità primaria della città sia quella di liberare i suoli per poter avere più verde pubblico fruibile e una maggiore qualità di vita, in modo tale da dedicare più spazio ad attività ricreative e ludiche, ma anche ad aree di sosta permanente e provvisoria. Andando avanti nell’indagine all’interno della nostra area, e analizzando in particolare il numero di alloggi pieni e vuoti presenti nei singoli sotto-ambiti, si è messo in evidenza in particolare il dato riguardante lo scarto tra unità piene e numero di famiglie insediate. Ciò che ne è emerso è stato che nel sub-ambito A tale scarto, che rappresenta il numero di unità occupate da non residenti, è pari a ventidue, mentre nel sub-ambito B esso è pari a centoventuno; cosa plausibile vista la relativa vicinanza della porzione residenziale dell’intero settore al complesso universitario di Viale Pindaro. Da queste considerazioni emerge come l’offerta di alloggi sia maggiore della domanda.
2 | Fase ‘metaprogettuale’ 2.1 | Politiche di intervento L’obiettivo della tesi verte a reintegrare l’area di Borgo Marino Sud, trasformando gli attuali ‘non luoghi’ in spazi di elevata centralità urbana dal punto di vista infrastrutturale, urbanistico-ambientale, sociale e occupazionale. Il concetto di rigenerazione urbana si esplicherà dunque sotto diversi aspetti, che andranno, in ordine d’importanza, ad affrontare e cercare di risolvere tutte le problematiche e le tematiche studiate in fase di analisi. Primo fra tutti il tema della porosità: come stato di fatto e condizione di partenza per il progetto da attuare nel nostro settore di studio, si accetterà il Piano Particolareggiato 2, riguardante la riqualificazione delle due aree dismesse, e il Piano Regolatore Portuale. Quest’ultimo riqualifica l’ambito portuale e in particolar modo prevede il prolungamento dell’asse attrezzato fino al porto, tramite due carreggiate che corrono lungo la banchina portuale sud, lasciando dunque intatta la via ad esse parallela (Via Andrea Doria) e liberandola dai sovraflussi presenti. All’incrocio dell’asse attrezzato con il lungomare ci sarà una rotatoria di raccordo con la viabilità urbana. Le stesse carreggiate saranno distanti dal bordo della banchina fluviale a sufficienza da poter permettere dei percorsi pedonali sul lungo fiume, che si andranno poi a raccordare con il lungomare e con il ponte pedonale di recente realizzazione. Il miglioramento della mobilità lenta sarà attuato mediante l’inserimento di chicanes e Daria De Petris
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rallentamenti del traffico, soprattutto lungo il tratto del lungomare che funge da interfaccia tra la porzione urbana e il mare; strada concepita come spazio condiviso, dunque, dove pedoni e ciclisti avranno la precedenza e dove, grazie a una serie di misure di ‘traffic calming’, gli automobilisti saranno costretti a ridurre le velocità. Come secondo aspetto si cercherà di raggiungere un livello adeguato di standard urbanistici, intervenendo soprattutto nel sistema ambientale e attuando interventi di demolizione-conservazione del costruito tali da liberare più suolo possibile e al contempo evitare altezze eccessive e chiusure prospettiche verso il mare. A tal proposito, si possono prendere in considerazione le tecniche compensative e perequative, oggi non ancora normate, ma attuate con buoni risultati in molte città italiane. Terzo l’aspetto da prendere in considerazione sarà quello della ‘mixitè’ tipologica e funzionale del costruito residenziale, tesa soprattutto ad evitare i cosiddetti ‘enclave’ residenziali, veri e propri ghetti che tendono ad isolare determinati ceti sociali rispetto ad altri, favorendo dunque la delimitazione di porzioni di territori, e aumentando così le barriere sociali e fisiche. A tal proposito si intende sfruttare il tema del ‘Social Housing’ e della riqualificazione dello spazio pubblico come occasione di rigenerazione urbana e sociale. L’idea è quella di realizzare un quartiere-comunità con un diverso modo di abitare che dia anche un volto al nostro vicino, e che al contempo rifletta quel modo di vivere che anticamente era proprio di quei pescatori che popolavano l’antico quartiere Borgo Marino. Co-abitare vuol dire combinare l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di risorse e servizi condivisi (sale polifunzionali, biblioteche, ludoteche), ma anche di spazi scoperti a uso comune (giardini, orti, cortili, parcheggi, terrazzi comuni, solarium). Gli spazi comuni sono luogo di socialità e risorsa per le attività dei singoli nuclei familiari e del gruppo nel suo complesso, ma allo stesso tempo consentono di razionalizzare gli spazi degli alloggi, e quindi il suolo occupato. Il risultato di tale operazione consentirà la formazione di nuovi paesaggi comuni, intesi anche come luoghi d’interazione sociale e funzionale, con continuità tra reti e stanze urbane.
Bibliografia Bianchetti C. (2011), Le città nella storia d’Italia, Pescara, Editori Laterza, Milano. Clementi A. (a cura di Orazio Carpenzano, 1997), Lo spazio delle infrastrutture, 5 progetti per Pescara, Umberto Sala, Milano. Sacchi L. (a cura di L. Sacchi, G. Caffio, A. Luigino, 2007), La rappresentazione della città, Pescara e il sistema territoriale, Officina, Roma. Virano M. (1989), Progetto Protagora 90, Gangemi, Roma.
Sitografia Sito ufficiale del comune di Pescara, sezione Urbanistica e Territorio http://www.comune.pescara.it/internet/index.php?codice=535
Riconoscimenti Si ringraziano il prof. arch. Fabio Andreassi e l’Ing. Federico D’Ascanio.
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Spazi pubblici e dispersione insediativa
Spazi pubblici e dispersione insediativa Giulio Giovannoni Università di Firenze Dipartimento di Architettura Email: giulio.giovannoni@unifi.it Tel.: 055.275.6474
Abstract In Italia le prime ricerche che hanno avuto per oggetto la dispersione insediativa non sono di stampo urbanistico, bensì socio-economico. È necessario inquadrare, come già avvenuto nelle ricerche di matrice socio-economica, gli insediamenti dispersi nei loro processi storici di formazione, se si vuole mettere in atto una programmazione che faccia leva sulle potenzialità già esistenti. Ciò serve anche a rendere più concreta la riformulazione, comunque necessaria, di alcuni temi fondamentali, tra cui quello del ruolo e delle caratteristiche degli spazi pubblici in questo tipo di realtà. E' evidente come gli insediamenti dispersi in Italia siano in gran parte l'esito di complesse stratificazioni storiche e poco abbiano a che vedere con lo sprawl di tipo nord-americano. Nei territori caratterizzati da dipersione insediativa il concetto di spazio pubblico deve essere riadattato alla specificità delle situazioni, facendo leva tra l'altro sulla riprogettazione degli spazi aggregativi esistenti di matrice storica, su una diversa formulazione di alcuni servizi pubblici comunque essenziali, su un più ampio ruolo dell'agricoltura, e su un maggiore controllo progettuale delle c.d. 'cattedrali del consumo'. Parole chiave spazi pubblici, dispersione insediativa, progettazione territoriale
1 | Dispersione insediativa e cultura urbanistica In Italia le prime ricerche che hanno avuto per oggetto la dispersione insediativa non sono di stampo urbanistico, bensì economico e sociologico. Esse hanno indagato le dinamiche sociali che hanno portato alla formazione dei sistemi di piccola e media impresa in alcune regioni (p. es Becattini 1975, Bagnasco 1977, Bagnasco 1988), ponendo in risalto il ruolo dei sistemi insediativi storici di tipo diffuso sui quali i successivi processi di sviluppo si sono innestati. Ciò ha permesso di inquadrare detto sviluppo in un lungo e ininterrotto percorso storico (De Rita 2000). Gli urbanisti si sono interessati solo successivamente a questi fenomeni (p.es. AA.VV. 1990) e hanno considerato per lo più gli insediamenti dispersi come un problema da risolvere, anziché come una realtà da gestire e migliorare. Rispetto al fenomeno della dispersione insediativa vi è stato un atteggiamento di chiusura. Per esempio in Toscana le ricerche dell'Irpet (1975) sulla 'campagna urbanizzata' e sull'industrializzazione leggera furono accolte con grande scetticismo, per non dire con ostracismo, dagli studiosi sia in campo economico che territoriale, come ricordava alcuni anni dopo Giacomo Becattini: «II lavoro esce, purtroppo, in un momento culturale esasperatamente ideologizzato, per cui non se ne apprezzano né gli spunti di critica dell'esistente, inezie rispetto alle bordate di moda, né se ne colgono le anticipazioni di diagnosi che successivamente diverranno pacifiche; si reagisce invece piuttosto 'visceralmente', mi pare, a quegli aspetti di esso che più scopertamente intaccano i luoghi comuni del discorso corrente sulla societa italiana. Prendiamo il caso del nuovo termine 'campagna urbanizzata'. II potente (purtroppo solo nelle discussioni) 'partito degli urbanisti' vi vede una insidiosa apologia della 'bidonville extraurbana' e altri un attacco all'idea cardine che il progresso sociale e politico procede unidirezionalmente dalla citta alla
Giulio Giovannoni
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Spazi pubblici e dispersione insediativa
campagna. Ci vorranno molti anni perché al termine, affermatosi frattanto nel dibattito nazionale, venga consentito il 'rientro in patria'» (Becattini 1987, p. 14). Tuttavia, nel campo degli studi sociali ed economici, si affermarono proprio in questi anni interpretazioni alternative a quelle consentite dal paradigma fordista allora dominante. Interpretazioni che permisero di «vincere la resistenza dell'economista (e del sociologo) standard, [e di affermare] l'idea di una Italia 'terza' diversa, per condizioni strutturali e storiche, dalla prima (il Triangolo) e dalla seconda (il Sud-Isole)» (ivi p. 10). E ciò come è noto ha avuto ripercussioni di tutto riguardo nel campo delle politiche per lo sviluppo. Invece a quasi trent'anni di distanza dalle ricerche sopra citate l'atteggiamento culturale nei confronti della dispersione insediativa non era affatto cambiato tra gli urbanisti, nonostante i progressi nella conoscenza del fenomeno: «Che la netta dicotomia citta/campagna fosse saltata, era chiaro da un bel po' di anni; che il fenomeno dell'urbanizzazione della campagna procedesse, era evidente, ma solo negli ultimi dieci anni, più o meno, si è messo mano a tentativi di valutazione ed interpretazione del fenomeno, ma, estremizzo, gli strumenti adoperati appartenevano alla precedente realtà per cui la città era quella che conoscevamo, o per meglio dire che si idealizzava, mentre ogni trasformazione della campagna rappresentava un 'attentato' alla conservazione del paesaggio. La conseguenza di questa situazione era un moltiplicarsi di 'metafore' e di interpretazioni non 'specifiche'. La terminologia usata, infatti, è varia e numerosa: urbanizzazione della campagna, urbanizzazione diffusa, sprawl urbano, villettopoli, fino a ... citta diffusa, quest'ultima poi classificata come 'negazione della citta'». (Indovina 2002, in Indovina 2009 p. 113) Tutto ciò ha impedito che si sviluppasse fino a poco una progettualità specifica per questi sistemi insediativi, finalizzata sia a mitigare certe problematiche ambientali comunque presenti, sia a cogliere le opportunità di creazione di spazi socialmente significativi che queste aree certamente possono offrire.
2 | Dispersione insediativa e progetto: verso un nuovo paradigma A partire dall'inizio degli anni 2000 cominciano ad affermarsi, ancorché in misura minoritaria, nuovi modi di guardare alla dispersione insediativa. Paola Viganò (2001, pp. 127-150) ripercorre «un filone e una tradizione di riflessione sulla città che la concettualizzano nei termini di inversione dei rapporti tra pieno e vuoto, nei termini cioè di Reverse City». A questa tradizione di ricerca appartengono tra l'altro il disurbanismo sovietico degli anni '20, la Broadacre City di Wright, i concetti di città-territorio di Wells e di città-regione di Quaroni. Nel panorama consolidato della letteratura urbanistica italiana, ripercorrere questi modi alternativi di considerare il rapporto tra città e campagna, tra pieni e vuoti, ha a mio avviso un significato dirompente ed apre ad una possibile revisione delle interpretazioni dei processi di urbanizzazione in Italia, nonché a una considerazione progettuale del tutto nuova dei territori della dispersione. Nelle esplorazioni progettuali di Secchi e Viganò per la regione metropolitana di Venezia, ciò si traduce in un «progetto di isotropia[che] è al tempo stesso il riconoscimento di una specifità territoriale, uno scenario da indagare nelle sue diverse conseguenze, e un'ipotesi progettuale che può essere concretamente concepita in termini di intervento sul sistema dell'acqua, sulla viabilità e il trasporto pubblico, la mobilità alternativa, forme diffuse di welfare, un'agricoltura innovativa e la produzione decentralizzata dell'energia» (Viganò 2008, p. 37). Indovina (2007, in Indovina 2009 pp. 209-230), evidenziando i limiti delle ricerche sulla diffusione insediativa fino ad allora condotte, si chiede: «C'è qualcosa di diverso e di nuovo oltre la diffusione? Come provare a realizzare obiettivi di migliore vivibilita nell'ambito delle tendenze in atto?». Per rispondere a queste domande propone di aggiornare la metafora della città diffusa, utilizzata per descrivere i fenomeni di dispersione urbana nel Veneto, con quella dell'arcipelago metropolitano. La nuova metafora serve sia a prendere atto delle nuove tendenze in atto che a proporre un diverso atteggiamento progettuale. Le nuove tendenze in atto consistono nella metropolizzazione del territorio, cioè nella delocalizzazione in contesto extraurbano di funzioni che fino a pochi anni prima continuavano ad essere esclusivo appannaggio della città compatta tradizionale: servizi di 'governo' (politico, amministrativo, economico, comunicazione, ecc.), poli di eccellenza (della ricerca, della formazione, della cultura, ecc.) e simili. Ciò determina una organizzazione del territorio che va «nel senso di un policentrismo integrato, modifica il flussi di mobilità, arricchisce il territorio di sempre maggiori funzioni metropolitane»: «Emerge una tendenza che è possibile definire come specializzazione territorialmente articolata: il territorio si organizza attraverso 'micro' poli specializzati (per esempio per il commercio, per il tempo libero, per la sanità, per l'istruzione superiore, per il teatro, ecc.), la cui fruizione non è 'locale' (della popolazione che vive nello spazio circostante stretto), ma territoriale, cioè di 'area vasta'; ciascuno dei 'micro' poli serve la popolazione di tutto il territorio considerato». (ivi p. 221)
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Il diverso atteggiamento progettuale consiste nell'andare oltre il semplice rifiuto della città diffusa, riconoscerne gli aspetti positivi e cercare di contenerne i costi ambientali ed economici. Ciò si traduce in una rivalutazione della pianificazione di area vasta che diventa, in conseguenza delle trasformazioni sopra accennate, «la frontiera più avanzata di governo della città e del territorio». Constatando che la pianificazione territoriale non ha mai avuto per oggetto l'arcipelago metropolitano precedentemente descritto, Indovina ne ipotizza alcuni requisiti: «il suo contenuto non potrà non essere strategico per la costruzione di un contesto urbano allargato; deve aiutare a definire le polarità articolate dell'intero territorio; deve 'contenere' tutte le politiche pubbliche (in termini di definizione e di attivazione) necessarie a realizzare gli obiettivi» (p. 225). Essa deve aspirare tra l'altro all'equità e alla densificazione, allo sviluppo locale e alla diffusione dell'innovazione, all'avanzamento culturale e al recupero del patrimonio, alla soluzione dei conflitti e all'infrastrutturazione. Gli studi di Viganò e di Indovina prefigurano un mutamento di paradigma nei confronti della dispersione insediativa, in quanto superano ed in un certo senso 'ribaltano' i modi consolidati con cui essa è stata compresa e interpretata. In essi il centro tematico è spostato dalla città al territorio dell'urbanizzazione dispersa. Nella metafora dello spazio isotropico la città compatta quasi non trova collocazione. Nella metafora dell'arcipelago metropolitano essa diventa scoglio, o al più isola, importante ma non più centrale. Nell'arcipelago metropolitano, così come nello spazio isotropico, viene meno la distinzione tra centro e periferia: tutto è centro, o ciò che è lo stesso tutto è periferia. Ritengo che siamo di fronte a un mutamento di paradigma in fieri. Come in ogni rivoluzione scientifica (Kuhn 2009 [1962]) esso ha i suoi strenui oppositori, tra cui certamente Gibelli e Salzano (2007), con la loro «critica perentoria e argomentata all'indifferenza manifestata da molta cultura urbanistica italiana recente nei confronti dei costi pubblici e collettivi associati alla dispersione insediativa, e la consapevolezza della necessità di una nuova stagione di riforme in materia di pianificazione urbanistica e territoriale». Una critica che trova consenso tra gli altri nei promotori della controversa proposta di riforma della Lr Toscana 1/2001. Che tuttavia di mutamento di paradigma si tratti è a mio avviso del tutto chiaro, alla luce della totale inadeguatezza dei paradigmi tradizionali a spiegare le trasformazioni contemporanee e quindi a proporre metodi di gestione delle stesse che vadano al di là di un più o meno mascherato ritorno al passato. Non è qui la sede per dilungarsi su ciò, per cui mi limito a rinviare all'ottima critica di Sieverts (2003, pp. 19-45) dei principali concetti tradizionalmente associati all'idea di città: urbanità, centralità, densità, commistione di usi, periferia. Invece, mi interessa portare avanti il ragionamento sulle implicazioni progettuali che questo cambiamento di paradigma comporta.
3 | Pianificazione territoriale e spazi pubblici nella dispersione insediativa L'analisi fin qui condotta fa emergere alcuni punti condivisi dai quali è possibile partire. Il primo è che occorre gestire la nuova realtà a una dimensione territoriale. Ciò emerge nelle proposte progettuali di Viganò, nell'analisi di Indovina, e anche nell'analisi di Sieverts, il quale propone «una nuova forma di pianificazione regionale» (ivi pp. 121-148). Questo è un punto fondamentale che dovrebbe interessare agli urbanisti: accettando il cambiamento e lavorando sul nuovo paradigma, la pianificazione, di fatto marginalizzata dagli eventi negli ultimi decenni, può tornare ad avere un nuovo ruolo importante. Nel condividere la tesi della centralità della pianificazione territoriale intendo tuttavia puntualizzarne un aspetto a mio avviso fondamentale: alla luce dei cambiamenti in atto nella città contemporanea si può ipotizzare la sostanziale coincidenza tra pianificazione territoriale e progettazione degli spazi pubblici. Proverò a illustrarne le due principali ragioni. La prima è che uno degli aspetti fondamentali della dispersione insediativa è l'abbondanza di spazi aperti. Pressoché ogni edificio è contiguo, o quantomeno vicino, a un qualche appezzamento di terreno verde che può essere usato per l'agricoltura urbana, per i parchi, o semplicemente inutilizzato. Ciò permette di progettare gli spazi aperti come un sistema integrato di elementi interconnessi. Tale sistema può essere immaginato come una centralità dispersa, o se preferiamo come un centro isotropo, al quale sia possibile accedere indifferentemente da ogni parte del territorio. La seconda ragione è che nei processi di urbanizzazione contemporanea lo spazio pubblico è stato espropriato di una sua fondamentale funzione originaria: quella di connettere. Questo aspetto non trova a mio avviso sufficiente considerazione nella letteratura sulle trasformazioni contemporanee della città. Ogni via centrale delle città storiche europee era anche un percorso di collegamento territoriale. La via dei Banchi a Siena era il tratto urbano della Cassia. Piazza della Repubblica a Firenze sta sull'antico Foro Romano, che si trovava sull'intersezione tra il cardo e il decumano, tratti urbani di due percorsi di collegamento territoriale. Nella città storica centralità e infrastruttura di trasporto si sovrapponevano e in buona parte coincidevano. La velocità degli attuali mezzi di comunicazione rende tutto ciò complicato. Nel territorio contemporaneo la mobilità lenta e quella veloce sono divise. Il 'centro' – inteso come spazio di collegamento – è per così dire 'spacchettato' in almeno tre parti: le vie di comunicazione veloce, esclusivamente Giulio Giovannoni
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Spazi pubblici e dispersione insediativa
dedicate alla mobilità; le strade lente carrabili, dove sono invece possibili alcune funzioni centrali; la rete della mobilità alternativa, per lo più pedonale e ciclabile. Chiamerò per semplicità queste tre parti rispettivamente la 'rete veloce', la 'rete lenta' e la 'rete alternativa'. Al meta-centro costituito da queste tre reti, che è al tempo stesso isotropo, reticolare e multilivello, si legano una serie di nodi funzionali anch'essi centrali, tra cui le enclave pedonali dei centri storici, i centri commerciali dei nodi infrastrutturali, i luoghi per il culto, le scuole, gli spazi per lo svago e il divertimento. Il progetto dello spazio pubblico della città/territorio contemporanei è il progetto di queste reti e di questi nodi. Negli insediamenti contemporanei alla separazione traffico/spazi centrali si aggiunge la ben nota separazione tra luoghi di residenza e luoghi di consumo. Il processo investe ugualmente i vecchi centri storici, che spesso diventano enclave turistiche o centri commerciali all'aperto, e le nuove 'cattedrali del consumo' (Ritzer 2000). Questi spazi hanno caratteristiche diverse nei diversi momenti della settimana. Nei fine settimana e nelle festività essi sono in genere luoghi ad alta intensità d'uso. Negli altri momenti essi possono essere appropriati e vissuti dalla popolazione come spazi di svago e di ricreazione. Per questa loro doppia valenza è importante che il progetto cerchi di connettere anche alla rete lenta e alla rete alternativa queste nuove centralità, ormai intimamente legate alla rete veloce. Tali complessi dovrebbero essere delle specie di Giano Bifronte o di 'edifici ambigui e compositi' (Rowe e Koetter 1981), in grado di interfacciare la dimensione territoriale con quella locale. Tuttavia gli spazi del consumo, siano essi i centri storici 'trasformati' o i nuovi centri commerciali, possono sopperire solo in parte al bisogno di socialità. In assenza di una forma urbana compatta la vita sociale si trasferisce dalle strade e dalle piazze a luoghi che non sono specificamente pensati come spazi pubblici. Essa si manifesta dove i bisogni materiali e sociali di tutti i giorni trovano soddisfazione: di fronte alle scuole e negli spazi di gioco dei bambini, nelle parrocchie disperse di campagna, nelle stazioni di servizio, nei parcheggi, lungo le rive dei fiumi e in altri spazi aperti che sono usati per lo sport e per le attività ricreative. Situazioni di questo tipo offrono altrettante occasioni per la creazione di nuove piccole centralità di livello locale, nelle quali sia ancora possibile una socialità disgiunta dal consumo. La rete delle chiese di campagna, un'infrastruttura storica isotropa che ricopre l'intero territorio italiano, continua ad essere in più di un caso centro simbolico e funzionale nelle situazioni di dispersione insediativa. Attorno ad esse si possono creare piccoli cluster di servizi quali scuole, parchi giochi e campi sportivi, spazi agricoli con funzione di socialità.
Bibliografia AA.VV. (1990), La città diffusa, Daest, Venezia. Bagnasco A. (1977), Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, Il Mulino, Bologna. Bagnasco A. (1988), La costruzione sociale del mercato: studi sullo sviluppo di piccola impresa in Italia, Il Mulino, Bologna. Becattini G. (1975), Lo sviluppo economico della Toscana, Irpet, Firenze. Becattini G. (a cura di, 1987), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Il Mulino, Bologna. De Rita G. (2000), La traccia interrotta dello sviluppo: dal 'sistema-Paese' alla 'poliarchia', Bollati Boringhieri, Torino. Gibelli M. e Salzano G. (2007), No sprawl, Alinea, Firenze. Indovina F. e al. (1990), La città diffusa, Daest, Venezia. Kuhn T.S. (2009 [1962]), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino. Ritzer G. (2005), Enchanting a Disenchanted World, Pine Forge Press, Thousand Oaks (CA). Rowe C. e Koetter F. (1981 [1978]), Collage City, il Saggiatore, Milano. Sieverts T. (2003), Cities Without Cities. An Interpretation of the Zwischenstadt, Spon Press, Londra. Viganò P. (2001), La città elementare, Skirà, Milano. Viganò P. (2008), “Water and Asphalt: the project of isotropy in the metropolitan region of Venice”, in Architectural Design, Vol. 78, pp. 34-39.
Giulio Giovannoni
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Riconvertire linee costiere
Riconvertire linee costiere Camillo Orfeo Università di Napoli Federico II DiARCH Dipartimento di Architettura Email: camillo.orfeo@tin.it Tel: 347.0065971
Abstract Le nuove reti ferroviarie AC/AV costruite o previste in Italia liberano molte aree occupate dalle vecchie linee risalenti alla metà dell’ottocento, che spesso occupano aree di notevole pregio paesaggistico, in alcuni casi a ridosso della linea di costa. La riconversione di queste aree dismesse, o in attesa di dismissione, rappresenta un’occasione unica per la ricostruzione di un equilibrio territoriale manomesso dalla presenza della linea infrastrutturale che negli anni ha provocato una segmentazione anomala del territorio. Un confronto tra due casi studi: il primo in Abruzzo in provincia di Chieti, per la presenza di una linea ferroviaria costiera dismessa dopo la costruzione di un nuovo tracciato che corre prevalentemente in galleria; il secondo sulla costa vesuviana tra Napoli e Castellammare, dove la linea ferroviaria è in attesa di essere declassata e riconvertita in metropolitana. Queste aree anche se profondamente diverse rappresentano due casi indicativi delle trasformazioni possibili in aree sensibili di particolare pregio paesaggistico e ambientale. Parole chiave Infrastrutture, riconversione, spazio pubblico; L’ammodernamento delle obsolete linee ferroviarie italiane, in seguito alla realizzazione delle nuove reti ferroviarie AC/AV (alta velocità/alta capacità) consente di liberare molte aree occupate dalle vecchie linee spesso localizzate in zone di notevole pregio paesaggistico, in alcuni casi a ridosso della linea di costa. La riconversione di queste aree dismesse, o in attesa di dismissione, rappresenta un’occasione unica per la ricostruzione di un equilibrio territoriale manomesso dalla presenza di linee infrastrutturali che negli anni hanno provocato una segmentazione anomala del territorio. Le rigidità delle infrastrutture su ferro legate agli ampi raggi di curvatura e alle scarse pendenze superabili, insieme a economie e tempi veloci di realizzazione, hanno portato all’occupazione di aree sensibili, creando nel tempo squilibri territoriali enormi. Le prime linee ferrate erano state costruite con ingenua semplicità, la loro leggerezza consentiva di attraversare il territorio senza provocare grandi alterazioni al suo disegno complessivo stratificato nella storia. I binari si sovrapponevano al disegno territoriale che conservava la propria autonomia. Nel tempo, con l’aumento del traffico ferroviario, queste percorrenze si sono trasformate in corridoi che hanno generato delle vere e proprie barriere interrompendo le complesse trame territoriali, provocando dei tagli tra i territori attraversati. Queste interruzioni sono più evidenti e marcate proprio sulle linee litoranee perché è negato quel rapporto complesso e continuo che esiste tra il disegno del territorio e il mare. Si sono così generati territori marginali fatti di pezzi di complesse costruzioni topografiche, e frammenti interrotti dei paesaggi della modernità, cioè sistemi incompiuti, spesso chiusi in se stessi, in alcuni casi marginalizzati e degradati. Questi territori ibridi composti dalla sovrapposizione di trame antiche e resistenti del passato e costruzioni dilaganti della città generica, incontrano l’occasione per essere ripensati all’interno di un disegno complessivo della città e del territorio, proprio partendo dalle dismissioni delle antiche linee ferroviarie. In Italia esistono oltre 6500 km di linee ferroviarie dismesse, cui bisogna aggiungere tutte le linee che possono essere declassate perché sostituite da tracciati previsti o in costruzione, che stanno ridisegnando la mobilità su ferro in Italia. Le ferrovie abbandonate sono costituite da circa 3100 km di linee FS, e da 3500 km di linee in concessione. La loro distribuzione è abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale e possono essere classificate in linee chiuse al traffico, linee incompiute, e linee dismesse in seguito a varianti di tracciato.
Camillo Orfeo
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Riconvertire linee costiere
La trasformazione o riconversione dei vecchi tracciati ferroviari può rappresentare un’enorme opportunità per il nostro paese, quella di costruire una rete capillare di infrastrutture per mobilità alternativa o turistica a basso impatto ambientale, e di ricostruire quegli antichi rapporti territoriali recisi con proprio con la costruzione delle reti ferroviarie.
Figura 1. Carta delle ferrovie e delle linee di navigazione, Edizione Fotolitografica, 1876, scala 1:1.500.000, collezione Claudio Vianini, www.miol.it/stagniweb
Alcuni tratti di questo enorme patrimonio sono stati già trasformati in greenways, parchi lineari dotati di percorsi pedonali e piste ciclabili, invito a intravedere le potenzialità di recupero paesaggistico e ambientale. Tra i più interessanti, il parco lineare costruito sull’antico tracciato a scartamento ridotto che collegava Caltagirone con Piazza Armerina in Sicilia trasformato con un progetto di Marco Navarra, esteso per circa 14 km, o la trasformazione sulla linea costiera nel ponente ligure, in particolare il recupero della sede della ex ferrovia di Albisola Superiore curato dagli architetti Voarino - Cairo. Piccole ed esemplari trasformazioni che possono scoprirsi replicabili.
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Figura 1. Trasformazioni di ex tracciati ferroviari: Voarino – Cairo nei pressi di Albisola nel ponente ligure; Marco Navarra tratta Caltagirone – Piazza Armerina in Sicilia.
Prospettive di lavoro Questi luoghi possono essere ripensati come nuove centralità urbane, spazi pubblici per una mobilità sostenibile alternativa a quella pesante delle grandi infrastrutture territoriali. Lo smantellamento delle barriere consente inoltre la riapertura e la ricostruzione di antichi manufatti esistenti sul territorio, costituiti da strade, canali, divisioni fondiarie, ecc., frammenti isolati ma appartenenti a un unico e originario disegno, indispensabili all’assetto territoriale complessivo e al suo riequilibrio. I vecchi tracciati riconvertiti possono consentire l’attraversamento di questi territori, spesso marginalizzati, e farne conoscere e scoprire le potenzialità nascoste attraverso un sistema di mobilità lenta, o alternativa a quella pensata unicamente in funzione della velocità e dei tempi di percorrenza. In alcuni casi queste strade rappresentano l’unico elemento in grado di restituire una struttura fondativa a quei luoghi, un tracciato in grado di ricostruire uno spazio di relazioni continuo e capillare. Un confronto tra due casi studio: il primo in Abruzzo in provincia di Chieti tra le città di Ortona e Vasto, per la presenza di una linea ferroviaria costiera dismessa dopo la costruzione di un nuovo tracciato che corre prevalentemente in galleria; il secondo sulla costa vesuviana tra Napoli e Castellammare, dove la linea ferroviaria è in attesa di essere declassata e riconvertita in seguito alla costruzione della nuova linea AV/AC a ovest del Vesuvio. Queste aree anche se profondamente diverse nei caratteri, nella natura e nei modi di costruzione, rappresentano due casi indicativi delle trasformazioni possibili in aree sensibili di particolare pregio. Gli scenari sono profondamente diversi, ma possono rappresentare due validi esempi di tipi di trasformazioni possibili. Nel primo caso è stata immaginata e costruita un’ipotesi dall’amministrazione provinciale di Chieti: l’acquisizione e la trasformazione dell'area in una pista ciclo pedonale. Nel secondo è stata prevista dalla regione Campania la riconversione dell’attuale tracciato ferroviario in linea metropolitana regionale. Entrambe le ipotesi, che prevedono una trasformazione e un radicale ripensamento dell’infrastruttura dismessa o da dismettere, sono state formulate in assenza di una visione strategica complessiva, e sono entrambe carenti proprio per l’assenza di uno studio sistematico dell’architettura dei luoghi. Queste trasformazioni, anche se importanti e profonde rischiano di non risolvere il problema perché non mirano alla ricostruzione degli equilibri territoriali costruiti e sedimentati negli elementi d’ordine delle strutture territoriali. Trasformando solo il tipo di mezzo da utilizzare sulla linea sicuramente non si procedere al riassetto complessivo dell’area, perché si agisce sull’effetto ma non sulla causa del problema. La rottura degli equilibri territoriali non è dovuta al tipo di mezzo che utilizziamo in se, ma dalla presenza di quel complesso di manufatti necessari per la protezione della sede. Utilizzando mezzi che non hanno necessità di protezione, viene meno la necessità di costruire barriere invalicabili che sono la causa della rottura dei delicati equilibri territoriali.
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La costa teatina Il caso della linea ferroviaria costiera abruzzese è costituito da una infrastruttura dismessa nel 2005, il tratto della lunghezza complessiva di 45 km si estende tra le città di Ortona e San Salvo. Questo tratto ferroviario
Figura 2. Veduta della ferrovia Adriatica dismessa nei pressi della città di Ortona.
apparteneva alla linea ferroviaria Adriatica entrata in esercizio nel 18641, e realizzata per permettere il collegamento tra il nord della penisola e i porti di Brindisi e Otranto, considerati le porte per l’oriente grazie al canale di Suez all’epoca in avanzata fase di costruzione. Questo tratto ferroviario è stato costruito in brevissimo tempo, con poche opere complesse come ponti e gallerie, a pochi metri dal mare. Le caratteristiche particolarmente accidentate del territorio hanno condizionato la realizzazione dell’infrastruttura che ha richiesto, in molti punti la presenza di scogliere artificiali e sostruzioni che la proteggessero dal mare. Il nuovo tracciato a doppio binario è stato realizzato prevalentemente in galleria proprio per risolvere il forte condizionamento orografico che impediva di realizzare raggi di curvatura adeguati ai nuovi treni veloci. La linea dismessa è un importante patrimonio infrastrutturale fatto da aree di scambio, stazioni, ponti, gallerie, e un insperato patrimonio naturale conservato proprio grazie alla linea ferrata che lo ha risparmiato alle violente trasformazioni che hanno coinvolto le coste italiane soprattutto dal secondo dopoguerra. Questo territorio, al contrario della costa del Vesuvio, ha avuto con il mare sempre un rapporto difficile, in alcuni casi conflittuale. Il mare era considerato un luogo da cui proteggersi o ripararsi, piuttosto che luogo di opportunità e di scambi. L’assenza di baie e insenature non ha permesso la realizzazione di porti, e tutti i centri costieri sono localizzati su piccoli altopiani, o sui bordi delle colline che guardano il mare. Solo a partire dal dopoguerra, nei tratti dove la ferrovia si distanzia dal mare, sono sorti dei piccoli insediamenti costieri, fatti generalmente di case per vacanze estive. La dismissione della linea s’inserisce all’interno di una programmazione più vasta che ha trovato non pochi ostacoli in fase di attuazione. Risale al 2001 la L.N. 93 che istituisce un parco nazionale sulla fascia della costa teatina proprio in previsione della dismissione della linea ferroviaria, demandandone l’attuazione alla regione Abruzzo. Sulle aree più sensibili sono state contemporaneamente istituite una serie di riserve naturali, con l’obiettivo di avviare una protezione integrata del territorio. A distanza di dodici anni dalla sua istituzione il parco nazionale è rimasto sulla carta, in attesa di perimetrazione, e i conflitti esistenti riducono alla paralisi la concreta trasformazione e bonifica delle aree. La provincia di Chieti ha avviato un processo di acquisizione e di riprogettazione dell’area dell’ex tracciato ferroviario, un progetto speciale territoriale che prevede la trasformazione in pista ciclabile e pedonale delle aree dismesse. Purtroppo la mancata visione strategica complessiva paralizza non solo la riconversione dell’ex tracciato ma anche l’attuazione di quelle semplici politiche di costruzione della città e del territorio. Un nuovo progetto per l’arretramento della statale adriatica e i singoli progetti dei comuni costieri che prevedono mega-resort, porti turistici, e nuove urbanizzazioni, rischiano di trasformare questo limbo della “Regione Verde d’Europa”, in un sogno mancato. 1
De Castro G. (1865): “Sull'attuale ordinamento delle Ferrovie italiane”. In Il Politecnico Vol XXVI, Milano;
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Il previsto parco nazionale, concepito per evitare la cementificazione della costa, è un parco che nasce con grandi contraddizioni, anche se manca la sua perimetrazione definitiva, dalle bozze è il parco più piccolo e più antropizzato d’Italia. Molto diverso dagli altri parchi abruzzesi il cui territorio è per oltre il 30% protetto. Il previsto parco nazionale potrebbe tuttavia rappresentare l’occasione per l’estensione della rete naturalistica esistente attraverso corridoi vallivi e fluviali che collegherebbero i parchi delle aree interne con quello costiero. Questo progetto di territorio è realizzabile attraverso una trasformazione leggera, con la rinaturalizzazione delle aree compromesse e il riutilizzo dei manufatti esistenti, in modo da far coesistere sviluppo e tutela ambientale.
Figura 3. Planimetria della ricostruzione delle gallerie danneggiate tra il 1950 e il 1954.
La costa vesuviana
Figura 5, ROT, Reale Officio Topografico, particolare nell’area di Portici con la linea ferroviaria 1840 ca., collezione Vladimero Valerio.
Sulla linea costiera tra Napoli e Torre Annunziata corre quella che è sta la prima linea ferroviaria italiana2, quel tratto tra Napoli e Portici che collegava la capitale del mezzogiorno d’Italia con una delle residenze reali. Un tratto ferroviario costruito a ridosso della spiaggia tra i giardini delle ville che affacciavano sul Miglio d’Oro e il mare. Questo territorio ha una struttura ordinata fatta dall’antica strada che conduceva alle Calabrie, parallela alla costa, e dalle sue ortogonali che scendevano dalle pendici del Vesuvio verso il mare. Una struttura riconducibile a pochi elementi derivati dall’orografia, che nel tempo ha generato un complesso e articolato 2
Gamboni A. e Neri P. (1987), Napoli Portici, La prima ferrovia d’Italia 1839, Fausto Fiorentino Editrice, Napoli.
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disegno del suolo, e straordinarie architetture come le ville attestate lungo il Miglio d’Oro, che si estendono verso il mare a o verso il Vesuvio. L’antica strada che corre tra il Vesuvio e il mare si dirama in prossimità dei centri urbani di Portici, Ercolano, Torre del Greco e Torre Annunziata. Le sue ortogonali sono fatte da strade, canali, divisioni fondiarie, percorrono la naturale pendenza del terreno e derivano dal sistema idrografico superficiale con un disegno regolare, cresciuto e consolidato nel tempo. L’intero sistema è stato messo in crisi dalla costruzione della linea ferroviaria, che negli anni si è trasformata in una barriera invalicabile, una cesura netta tra il mare e la città cresciuta occupando soprattutto gli spazi interstiziali. La linea ferroviaria che in origine si appoggiava con dei semplici binari tra i giardini delle ville e il mare, nel tempo ha provocato una vera e propria separazione fisica e una segmentazione del territorio attraversato. L’aumento delle dimensioni e del numero dei convogli, l’elettrificazione della linea, la costruzione di pali e catenarie, ha separato questo territorio straordinario dal suo mare, innescando un processo di degrado e di marginalizzazione. Il sistema territoriale si è trasformato da una spina aperta, a un sistema a fasce intercluse, con la generazione di spazi interstiziali chiusi che hanno innescato un processo di degrado e occupazione casuale del suolo. La spiaggia è rimasta inaccessibile e senza la necessaria manutenzione in molti tratti è sparita. In pochi anni uno dei territori più straordinari e ricchi si è trasformato in un banale spazio della contemporaneità, dove coesistono frammenti di città, spesso inaccessibili e abbandonati a se stessi. In questo scenario è stata formulata l’ipotesi del declassamento dell’attuale ferrovia in una linea metropolitana regionale. La costruzione della linea ad AC/AV a est del Vesuvio che collega Napoli con Salerno, permette di liberare dai treni a lunga percorrenza l’antica linea. Paradossalmente l’ipotesi di riconversione in linea metropolitana che garantirebbe spostamenti più efficienti verso la città di Napoli, provocherebbe un rafforzamento delle barriere esistenti per la frequenza aumentata dei convogli e per l’adeguamento agli standard di sicurezza internazionali. Uno dei fattori decisivi per il riequilibrio di questo territorio è rappresentato proprio dalla presenza delle devastanti barriere che hanno separato questo territorio dal suo mare, dal complesso di quelle strutture che impediscono fisicamente e visivamente di raggiungere la costa e il mare. Il riequilibrio e l’eliminazione delle barriere può avvenire in due soli modi: attraverso la completa eliminazione della infrastruttura di trasporto, o attraverso la sua riconversione in un sistema in grado di garantire la permeabilità della linea. L’occasione della riconversione potrebbe aprire degli scenari del tutto diversi con l’introduzione di una linea tranviaria o tramtreno, che preveda una flessibilità interna, che sia capace cioè di adeguare la velocità alle caratteristiche dei territori attraversati. In Europa, Karlsruhe, Grenoble, Strasburgo, hanno sperimentato negli anni efficienti sistemi di spostamento metropolitano tranviario in grado di viaggiare con velocità differenti in funzione del territorio attraversato.
Figura 6, Immagini di tram per mobilità leggera: Gerusalemme e Sassari.
L’ipotesi formulata è quella dell’introduzione di un mezzo con caratteristiche flessibili che possa ridurre la velocità nelle aree densamente urbanizzate, riducendo di conseguenza anche l’inquinamento acustico e l’impatto visivo; mezzi che siano in grado di comportarsi come tram nelle aree urbane, ed aumentare la velocità di marcia nelle aree periferiche riducendo i tempi di percorrenza. Una flessibilità e versatilità che consentirebbero in un solo colpo l’eliminazione delle barriere esistenti e di quelle probabili con la nuova metropolitana. Si potrebbe introdurre un sistema capace non solo di garantire un servizio di trasporto efficiente e capillare, ma anche la riapertura e la ricostruzione degli antichi rapporti tra il sistema costruttivo del territorio e il suo mare. Il sistema di protezione trasportistica è direttamente dipendente dalla velocità del mezzo e dal grado di protezione della rete, infatti, nelle linee metropolitane il livello di protezione è totale proprio per raggiungere alte velocità di trasporto. Nel caso della costa vesuviana bisogna però considerare che la realizzazione di una rete metropolitana classica costituirebbe un vero e proprio duplicato di una linea esistente, la Circumvesuviana, che viaggia a una distanza dalla linea costiera compresa tra i 600 e i 1800 metri, costruita sulle pendici del Vesuvio. L’integrazione tra le linee esistenti andrebbe riconsiderata in un quadro complessivo in cui la Circumvesuviana
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ha una capacità di trasporto e frequenze tipiche delle linee regionali, mentre la nuova linea costiera costituirebbe una linea metropolitana leggera con alta frequenza di fermate, utilizzabile anche a fini turistici. Questi interventi possono inserirsi perfettamente negli scenari della trasformazione della città e dei territori in smart cities, cioè in ambienti urbani in cui si agisce direttamente per il miglioramento della qualità della vita, attraverso il miglioramento delle comunicazioni, dell’ambiente, dell’efficienza energetica e della mobilità.
Bibliografia Farinelli F. (2004), i Caratteri Originali del Paesaggio Pescarese, Edizioni Menabò, Ortona. Matvejević P. (1991), Mediterraneo, Un nuovo breviario, Garzanti, Milano. Navarra M. (2003), “Parco lineare tra Caltagirone e Piazza Armerina, Sicilia, in Navigator – Velocità controllate, n. 8, Editoriale Domus, Milano. Pezza V. (2003), Riconversione della linea FS costiera e riqualificazione della costa vesuviana, Clean Edizioni, Napoli. Pezza V. (2005), Città e metropolitana – Vesuvio, Infrastrutture, Territorio, Clean edizioni, Napoli. Renna A. (1980), L’illusione e i cristalli, Clear, Roma.
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Spazio pubblico e forma della città
Spazio pubblico e forma della città Martina Orsini Politecnico di Milano DAStU Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: martina.orsini@gmail.com
Abstract Il conflitto tra obiettivi e scopi all’origine delle molte realtà economiche e di politiche urbane che partecipano al rinnovamento e all’evoluzione della città contemporanea porta a un’erosione progressiva dei valori connaturati allo spazio pubblico. Negli ultimi decenni ciò che emergere in molta della produzione progettuale è un’insufficiente presa di distanza critica a dinamiche di privatizzazione dello spazio pubblico sempre più pervasive e in grado di deformare, se non annullare - a tutte le scale -, il suo indiscutibile valore strutturante. Una rinuncia che si materializza nell’immediatezza destrutturata tipica degli spazi globali astratti di cui ci troviamo a fare esperienza quotidiana nelle nostre città e territori contemporanei, nella crescente incapacità di esprimere e rappresentare la complessità e la variabilità della società e, più criticamente, nella dissoluzione della forma stessa della città. Parole chiave spazio pubblico, città contemporanea, progetto.
Introduzione Le riflessioni che propongo sono state oggetto dell’esperienza didattica svolta nel Laboratorio di Progettazione Urbana e Territoriale di cui sono docente1. Durante gli ultimi due anni accademici si sono sperimentate forme e sistemi di spazio pubblico attraverso la progettazione in alcuni tessuti urbani milanesi compatti o di transizione con densità più rarefatte (fig. 1; 2; 3; 4). Si è voluto in particolare riflettere sulle potenzialità strutturanti dello spazio pubblico nella città e nel territorio contemporanei partendo dal delicato e dinamico rapporto con altri materiali che compongono lo spazio urbano e in un momento nel quale il tema del “collettivo” appare nuovamente al centro delle domande dei cittadini dopo un lungo periodo storico di esasperato privatismo. Fatti concomitanti all’esperienza didattica come le proteste dei movimenti della “Primavera Araba” o di “Occupy Wall Street”, per citare i più famosi, e dove la ricerca di nuove identità politico-sociali o economiche da opporre allo status quo ha nuovamente spinto milioni di persone in luoghi collettivi fisici, hanno riportato l’attenzione su requisiti dello spazio pubblico nella città contemporanea che pensavamo quasi dissolti: la relazione e la mescolanza. Una significativa testimonianza di inaspettata vitalità che conferma la persistenza del valore archetipico dello spazio pubblico, insufficiente però a sottrarlo alle quotidiane e incessanti dinamiche di privatizzazione di cui è oggetto.
“The Fall of the Public (Man)” 2 Le realtà economiche e i molti attori che partecipano al rinnovamento della città o alla costituzione di nuovi insediamenti propongono obiettivi e scopi che appaiono sempre più in contrapposizione ai valori connaturati dello spazio pubblico. Tale sovrapposizione, quando non predominio, ci sottopone l’erosione progressiva di un 1 2
Laboratorio di Progettazione Urbana e Territoriale, Corso di Laurea Specialistica della Facoltà di Architettura delle Costruzioni, Politecnico di Milano. Il titolo del presente paragrafo riprende letteralmente quello del famoso saggio di R. Sennett di cui si rimanda alla bibliografia.
Spazio pubblico e forma della città
materiale urbano che, forse più di ogni altro, si trova oggi a sacrificare le sue valenze di tramite tra pluralità spaziali, culturali e sociali. E’ entro la storica dicotomia tra spazio pubblico e privato o, per meglio dire, a partire dalla sua presunta fine, che larga parte della letteratura sul tema ha sviluppato le riflessioni più significative. Nel confronto tra forme di spazio pubblico passate e attuali si sono individuati i tratti di quella che, comunemente, viene considerata come una vera e propria crisi del concetto stesso di “collettivo”. Anche se, riferendosi alle forme del privato e del pubblico – e alla natura degli spazi in cui si sono espresse – ne emerge in molti casi la consuetudine a considerarle come condizioni immobili nella loro epoca di appartenenza, compresa quella di cui stiamo facendo esperienza. L’intreccio tra pubblico e privato si è invece sempre definito attraverso catene evolutive complesse e, come tali, andrebbero sempre tenute sullo sfondo di ogni racconto, descrizione, interpretazione e progetto (Sennet, 1982). Il riferirsi ad esempio alla crisi, se non alla definitiva scomparsa, delle rigorose opposizioni sulle quali si fondava la città tradizionale quale causa che spiegherebbe le crescenti forme di privatizzazione dello spazio pubblico significa rimanere fissati a una visione del passato urbano caratterizzato da eccessiva linearità. E’ innegabile che la contemporaneità abbia sgretolato i termini entro i quali si sono mosse le tradizionali antinomie pubblico/privato, interno/esterno, aperto/chiuso; ma è altrettanto vero che sui conflitti mai risolti, e sulla tensione costante generata da tali antinomie, si è sempre giocata l’articolazione dello spazio pubblico a tutte le scale e in tutte le forme di città nella storia (Arendt, 1964). La stessa promiscuità di usi presente negli spazi pubblici delle forme di città precedenti a quella contemporanea testimonia di dinamiche di sovrapposizione per certi versi anche più intense di quanto oggi non avvenga (Secchi, 2000). Più che il ricorso all’individuazione di punti di rottura nel rapporto tra forma e significato dello spazio pubblico parrebbe invece appropriato intenderne le caratteristiche contemporanee come l’esito di un lento e progressivo processo di mancata modellazione nel tempo. E’ la sfera pubblica in generale che a partire dalla caduta dell’ancién regime è apparsa sempre più deprivata di quei valori etici (e relativi conflitti) che troveranno successivamente nell’istituto della famiglia – quindi nella dimensione privata – il nuovo terreno di identificazione e successivo radicamento (Freud, 1930). La geografia pubblica, troppo spesso illusoriamente intesa come un corpus giunto intatto fino all’epoca contemporanea – per poi collassare all’improvviso in virtù di chissà quale evento, invenzione tecnologica o mano avida del mercato – si è lentamente smaterializzata dal suo interno offrendoci infine un guscio vuoto entro cui collocarci. La morte dello spazio pubblico è un fenomeno complesso. Quando inteso in modo semplicistico, i tentativi di risvegliarlo portano immancabilmente a soluzioni riduttive e inadeguate: il proliferare di spezzoni pedonalizzati nei nostri tessuti urbani come iniezioni di socialità a contrastarne l’autismo, o l’affermarsi di un’estetica della visibilità e della beautification nell’idea che ciò garantisca, di per sé, nuove forme di coagulazione fisica e sociale, sono alcuni tra i molti esempi di cui facciamo esperienza quotidianamente e che testimoniano dei vaghi e retorici tentativi di rianimazione in atto (Amendola, 2010; Koolhaas, 2006; Zoja, 2009). E’ nella mancata evoluzione dello spazio pubblico rispetto ad altri materiali della città, nell’abbandono più o meno consapevole di una sua necessaria e continua riconcettualizzazione progettuale che si è insinuata l’invasione di usi e forme autoreferenziali. I progetti e le realizzazioni che pure hanno cercato di esplorare nuove declinazioni di spazio collettivo in grado di interpretare i profondi cambiamenti che intercorrevano nella sfera pubblica sono spesso caduti nel dimenticatoio o, peggio, sono stati oggetto di fraintendimenti faziosi (Corboz, 1993; Secchi, 2000). Ripercorrendo gli schemi messi a punto da Chermayeff e Alexander circa le molte e sottili gradazioni che intercorrono tra pubblico e privato, le riflessioni sul potenziale del collettivo urbano minuto di Jan Gehl, il concetto di “soglia” magistralmente esplorato da Van Eyck o i molti progetti degli appartenenti al Team10, che a partire da complesse configurazioni ramificate di spazio collettivo modellavano interi masterplan - ma anche le molte empasse del Movimento Moderno, e che hanno avuto il grande merito di evidenziare i punti critici sui quali poter avviare nuove riflessioni - prevale il senso della sconfitta, dell’occasione progressivamente sfumata malgrado le fondamenta solide che si andavano creando. Lo spazio pubblico non costituisce una realtà data, eppure larga parte della progettazione contemporanea pare adagiarsi entro questa ingenuità. L’arresto nella costruzione di una solida e innovativa cultura contemporanea dello spazio pubblico è rintracciabile nei molti progetti che si arenano in un’estetica dietro alla quale si apre il vuoto intellettuale su come oggi possa definirsi uno spazio della relazione. Come in certi render prospettici, dove nugoli di figurine umane doviziosamente selezionate a comporre quadri sociali rassicuranti illudono la committenza – e, forse, anche lo stesso progettista – di ravvivare attraverso il collage luoghi della cui anima non ci si è preoccupati di intendere. Lo spazio pubblico, materiale urbano che, più di ogni altro, è in grado di dare forma alla città contemporanea, richiede un costante lavoro di sperimentazione che coinvolge a ogni scala, in ogni contesto – e per mano di tutti i suoi protagonisti e promotori – un difficile percorso di argomentazione, rappresentazione e riconcettualizzazione senza il quale le incessanti e nuove domande della società non trovano ascolto (Innerarity, 2008). E’ raro fare esperienza di progetti di spazio pubblico che provino a farsi elemento strutturante di un “pieno”, di una porzione della città esistente o anche di un grande vuoto che a sua volta lo contiene; o delle diversità sociali, fisiche, economiche e urbane di cui si trova a condensare per sua natura. Più sovente, accade di vederne declinate le potenzialità alla scala dell’intera città o del territorio in quel prevalere di “grandi” operazioni urbane di conversione o insediamento di funzioni “forti” e sulle quali si ripongono non sufficientemente disincantate speranze di trasformazioni urbane significativamente positive.
Spazio pubblico e forma della città
Figura 1. e 2. Circuito di potenziali spazi pubblici lungo la circonvallazione di Milano come sperimentazione di un dispositivo collettivo diffuso. Negli schemi: relazioni con le infrastrutture, con i punti emergenti della città esistente, con i tessuti urbani che li ospitano e le caratteristiche sociali e funzionali; scenari di diffusione nel tempo. Dal Laboratorio di Progettazione Urbana e Territoriale “AgorUP”, a.a. 2011-2012. Studenti: V. De Palo, S. Di Giuliano, M. Gatto Ronchero.
Forme di privatizzazione dello spazio pubblico Lo spazio pubblico contemporaneo è soggetto a una serie di dinamiche legate soprattutto alla sua privatizzazione. Appare profondamente mediato dal mercato e da logiche di consumo che ne definiscono forma, funzionamento e, nella maggior parte dei casi, la stessa ragione d’esistere e d’essere concepito in un determinato contesto urbano o territoriale. La coesistenza forzata di elementi incoerenti, la coincidenza tra la figura del cittadino e quella del consumatore, la replica globalizzata di dispositivi spaziali che definiscono lo spazio pubblico ovunque allo stesso modo, la banalizzazione dei rituali che vi si svolgono costituiscono il terreno fertile nel quale prende forma la rinuncia a impegnarsi in configurazioni spaziali in grado di inserirsi, reinterpretandoli, entro i caratteri e le potenzialità della città contemporanea. Un’astensione che sfocia nell’immediatezza destrutturata tipica degli spazi globali astratti di cui ci troviamo a fare esperienza quotidiana nelle nostre città (Baumann, 2010; Sassen, 2008). Una rinuncia, anche etica, di parte del campo della progettazione e dei suoi protagonisti dove la ripetitività garantisce riconoscibilità spacciabile magari per stile. Vantaggi che si estendono, rimodellandosi secondo esigenza, anche ad altri attori abitualmente coinvolti nella definizione e nella promozione di spazio collettivo nelle nostre città, contribuendo a regalare la falsa illusione di una moltitudine di dialettiche coinvolte e attive nel dibattito su scelte urbane da intraprendersi. Ciò che appare certo, è che la competizione tra economia, estetica e interessi locali trova sempre più facilmente un accordo per uno spazio destrutturato e astratto. Ci sono alcuni requisiti di base ai quali lo spazio pubblico così concepito deve rispondere. Il depotenziamento dei gradi di conflittualità insiti in ogni ambito collettivo è fra questi: un vero e proprio regime di sicurezza che deve essere garantito da forme di controllo di ciò che avviene in quegli spazi. Al di là delle modalità di sorveglianza fisica dello spazio pubblico, e che pure giocano un ruolo cruciale, mi pare qui più interessante citarne la bulimia funzionale, intendendo con ciò il non lasciare possibilità di usi improvvisabili e autodeterminati. Il disegno dettagliato, quasi ossessivo, di ogni metro del collettivo a definire comportamenti prevedibili (sedersi, camminare, sostare, mangiare, comprare, divertirsi, ecc.) e possibilmente “attivi”. La socializzazione con gli estranei o l’individualità inattiva – come stare seduti a leggere o a pensare – sono comportamenti che distolgono dal consumo, tanto da radicare nell’immaginario collettivo un’idea di qualità dello spazio pubblico commisurata alla quantità di attività che è in grado di offrire. In questo riaffermarsi continuo di dominanti, “ripetizione” e “omologazione” giocano un ruolo fondamentale in termini di meccanismi identitari sui quali modellare gli ambiti urbani dedicati alla collettività (Bollas, 2009). Ma privatizzazione dello spazio pubblico è anche il rovesciamento della dimensione privata in quella pubblica e il suo opposto, dinamica che interagisce con il commercio e le sue regole. L’individualismo che connota l’uso degli spazi collettivi contemporanei e la corrispettiva condivisione pubblica, seppur virtuale, del privato finiscono per alimentare un corto circuito perenne che porta a continui e reciproci impoverimenti tra i due ambiti. Se la progettazione dello spazio pubblico nella città contemporanea presuppone forme di cui
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usufruiscono una moltitudine di persone che non ambiscono a entrare in contatto tra loro, quello dell’abitazione privata domanda l’annullamento di separazioni con l’esterno tramite la connessione continuata – e virtualissima – con il mondo e la più ampia delle collettività possibili e immaginabili. Non è un caso che la stessa domanda di abitazione oggi prediliga lo spazio interno senza confini, dove le attività dell’abitare, ma anche del lavorare, si possano fondere tra loro fino a rendersi indistinguibili. In questo nuovo ambito spaziale, dove il privato è pubblico e il pubblico è privato, ha luogo una delle espressioni più evidenti dell’antisocialità e del narcisismo propri della società contemporanea (Giddens, 1999; Zoja, 2009). Ristabilire lo spazio pubblico entro una nuova dimensione di reciprocità fisica e sociale comporta la ripresa di un attento e paziente lavoro di riconcettualizzazione che spinga verso l’esplorazione di dispositivi progettuali in grado di stabilire legami pertinenti all’eterogeneità e alla frammistione proprie della città e del territorio contemporanei. Compito non semplice dato che il frammento, figura che, a ogni scala, caratterizza non solo i tessuti urbani ma l’assetto stesso dell’intera società, è animato da una forte componente di omogeneità. I meccanismi di coagulazione dello spazio pubblico non possono dunque limitarsi a un’ipotetica operazione di ricucitura tra pluralità differenti ma devono estendersi all’approfondimento anche di forme della discontinuità connotate, però, da forti capacità d’interazione e dialogo in grado di emanciparci da una privatizzazione che, prima che commerciale o economica, è divenuta di natura soprattutto culturale.
Figura 3. e 4. Progetto di riuso a scopi pubblici delle coperture piane di edifici commerciali nel tessuto di transizione tra Milano compatta e il Parco sud lungo la cinta ferroviaria: tassonomia di rapporti con la maglia infrastrutturale; declinazioni del valore in termini di nodo; potenzialità. Nell’approfondimento progettuale a destra, il tema della rampa d’accesso come forma per la modellazione dello spazio al suolo sopraelevato e del volume. Studenti: M. Bramanti, B. Galimberti, A. Rossi.
Spazi pubblici destrutturanti nella città compatta e diffusa: alcune immagini La destrutturazione di cui sono portatori gli spazi pubblici oggetto di dinamiche di privatizzazione agisce non solo all’interno del singolo intervento ma, più criticamente, contribuisce alla dissoluzione della forma stessa della città: l’omologante concezione che ne è all’origine determina bruschi arresti nel dialogo con gli altri materiali urbani, i suoi molteplici tipi di abitanti, le caratteristiche e le potenzialità latenti di uno specifico luogo. E’ soprattutto l’evoluzione di questa dinamica a destare preoccupazione: se prima si trattava di peculiarità proprie dei soli contenitori atopici nei quali progressivamente si sono andate spostando, risignificandosi, pratiche della sfera collettiva, la concezione omologante che ne è alla base si è successivamente diffusa, estesa e ramificata nei tessuti urbani compatti attraverso nuove formule spaziali. Ne è parte il processo di svuotamento in serie degli edifici storici lungo le vie centrali delle città occidentali, con il rovesciamento degli interni sventrati su strada nella nota sequenza di marchi globalizzati che portano a una vera e propria smaterializzazione dei fronti nel solco del medesimo tipo di boulevard urbano replicato ovunque nel mondo. La stesse regole di prossimità dei marchi, comuni a ogni città, si sono costituite come vere e proprie mappa mentali dello shopping.
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Alla stessa dinamica appartiene la concezione e composizione di spazio pubblico proprio di molti degli interventi di recupero e rilancio urbani di cui il regime di competizione vigente spinge all’adozione città di grandi e medie dimensioni. Docklands, ex-aree industriali, scali ferroviari dismessi o aree fieristiche cadute in disuso sembrano pescare in un immenso catalogo mondiale di oggetti architettonici, tipi di suolo, materiali e funzioni con il solo obiettivo di comporre immagini di spazio collettivo contemporaneo da vendersi sul mercato dell’attrattività urbana e attenti a ricalcare fedelmente un’iconografia riconoscibile per chi acquista. I non-lieux a scala urbana che in tal modo calano nei tessuti della città consolidata – e nell’immaginario collettivo – rendono le parti di città preesistente che si trovano a contenerli come retri, spazi parassitari, specchi di un dialogo interrotto. Nell’habitat contemporaneo a bassa densità da più di due decenni la progettazione ha prodotto significative sperimentazioni sullo spazio pubblico come punto di partenza per declinare nuovi paesaggi urbani. Materiali come l’infrastruttura o lo spazio aperto residuo hanno raccolto alcune istanze del collettivo interagendo in modo fertile con la scala vasta. Lo spazio pubblico è diventato uno straordinario strumento per cercare di disegnare e definire conurbazioni complesse e frammentarie, inserendo linee di forza capaci di romperne la ripetitività. La sfida qui appare maggiore, perché è in questo tipo di città che si trovano le più profonde resistenze a uscire dalla mixofobia, a staccarsi dalle politiche sull’identità nelle quali una società ha creduto di riconoscersi e che hanno reso questi territori – in contrasto con l’eterogeneità di cui sono portatori – campo della privatizzazione minuta, dell’indifferenza alla costruzione di una qualsiasi forma di urbanità condivisibile, della discontinuità come pericolo da cui guardarsi e mai come potenzialità. Alla scala ravvicinata, quella dei confini tra gli oggetti, dei camminamenti pedonali inesistenti, delle aree di parcheggio come isole nel nulla, delle strisce di spazio indefinito tra un recinto e l’altro, delle gated communities, alla scala cioè di quel paesaggio autistico costruitosi lentamente e ostinatamente aggrappato al proprio giardino come spazio “collettivo”, eventuali meccanismi di coagulazione fisica e sociale proponibili dal progetto toccano aspetti sociali rigidissimi che ci restituiscono, in modo ancora più evidente a rispetto alla città compatta, la portata dell’impegno culturale necessario a mettere in discussione la privatizzazione dello spazio pubblico contemporaneo.
Bibliografia Arendt H. (1964), Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano. Amendola G. (2010), Tra Dedalo e Icaro. La nuova domanda di città, Laterza, Roma-Bari. Bauman Z. (2010), L’etica in un mondo di consumatori, Laterza, Roma-Bari. Bollas C. (2009), Il mondo dell’oggetto evocativo, Astrolabio, Roma. Corboz A. (1993), “Avete detto “spazio”?”, in Casabella, n. 597-598, pp 20-23. Freud S. (1930), Das Unbehagen in der Kultur; ultima ed. italiana (2010), Il disagio della civiltà, Einaudi, Torino. Giddens A. (1999), Identità e società moderna, Ipermedium Libri, Napoli. Harvey D. (2006), “The Political Economy of Public Space”, in Low S., Smith N., The politics of Public Space, Routledge, New York, NY. Innerarity D. (2008), Il nuovo spazio pubblico, Meltemi Editore, Roma. Koolhaas R. (2006), Junkspace, Quodlibet, Macerata. Sassen S. (2008), Territory, Authority, Rights: form Medieval to Global Assemblages, Princeton University Press, Princeton. Secchi B. (2000), Prima lezione di urbanistica, Laterza, Roma-Bari. Sennett R., (1974) The Fall of the Public Man, by Richard Sennett; ed. italiana (1982), Il declino dell’uomo pubblico, Bompiani, Milano. Weber S. (2001), “Replacing the Body: an Approach to the Question of Digital Democracy”, in Henaff M., Strong T.B., Public Space and Democracy, University of Minnesota, Minnesota. Zoja L. (2009), La morte del prossimo, Einaudi, Torino.
La realizzazione degli spazi pubblici in un asse colpito da un evento sismico: un caso di rigenerazione incompiut
La realizzazione degli spazi pubblici in un asse emblematico colpito da un evento sismico: un caso di rigenerazione incompiuta Marichela Sepe CNR-Irat Università di Napoli Federico II, Dipartimento di Architettura DiARC Email: marisepe@unina.it Tel. 081.2538818/fax 081.3606885
Abstract Il contributo intende illustrare un caso studio di ricostruzione post-sisma relativo all'asse Market Street di San Francisco (CA), che, a causa di effettive problematiche urbane dovute alla notevole estensione dell'asse (5km), al suo orientamento planimetrico e ai diversi tempi in cui la ricostruzione è avvenuta, non si è pervenuti ad un'idea forte e caratterizzante per tutta la strada, in grado di riportarla ad essere un asse emblematico di San Francisco. Ciò si evidenzia in particolare in merito agli spazi pubblici, realizzati solo per valorizzare uffici di rappresentanza di società e banche del Financial District, ma spesso privi di panchine, usati solo da senzatetto, o, in diversi tratti, del tutto assenti. Si proporranno a riguardo gli interventi per una rigenerazione di questo luogo individuati utilizzando il metodo PlaceMaker in cui sono emersi i molteplici caratteri di Market Street e l'idea di una strada che, pur rafforzando il suo valore di asse unico, è adatta alla specializzazione di diversi settori (area finanziaria, arte e cultura, etc...) e alla realizzazione di spazi pubblici di qualità. Parole chiave Rigenerazione, spazi pubblici, identità dei luoghi
Ricostruire lo spazio pubblico dopo un sisma Il terremoto, così come in generale le catastrofi naturali, costituisce un evento sismico che provoca in tempi molto brevi un elevato numero di vittime e danni spesso irreparabili non solo a singoli manufatti, ma ai luoghi e alla vite delle persone. Gli spazi pubblici, in particolare, dove si esprime con evidenza la vita sociale di una comunità, vengono improvvisamente distrutti e quindi sottratti alla cittadinanza creando vuoti e spazi in attesa. Le ricostruzioni, nonostante la possibilità di avvalersi di esperienze precedenti, spesso si focalizzano soprattutto sugli aspetti di prima necessità della popolazione colpita non affrontando il problema degli effetti sul lungo termine che determinate decisioni possono provocare su chi tornerà a vivere quei luoghi. Temi quali identità dei luoghi, spazi pubblici, luoghi di socializzazione possono essere messi in secondo piano rispetto alle esigenze economiche e abitative, che se, senza dubbio, importanti, tuttavia non sono in grado di riportare in vita memorie, percorsi, consuetudini (Pantelic, undated). Al fine di realizzare luoghi per le persone (Cabe, Detr, 2000), gli spazi pubblici vanno progettati nell'ambito di un disegno complessivo, ponendo attenzione all'uso che se ne avrà in quello specifico territorio. Ciò si rende ancora più necessario dopo un evento quale il sisma dove la ricomposizione dei luoghi per la socializzazione (Appleyard, 1981; Bain, et al., 2012; Carmona, et al., 2010; Evans, et al., 2011; Friedmann, 2010; Gehl, 2010) diventa momento importante del processo di ricostruzione e rigenerazione del territorio e della sua comunità. Alla questione ci aggiungono ulteriori problematicità quando ad essere interessato dall’evento sismico è un luogo emblematico per la città, come nel caso di Market Street a San Francisco, che costituisce l’unico vero asse della città che congiunge la collina con il mare e con il quale quasi tutte le strade, per il particolare orientamento planimetrico, entrano in relazione. Partendo da queste premesse, il contributo intende presentare il caso studio di Market Street a San Francisco che verrà analizzato con le diverse modalità di lettura, interpretazione, progettazione dei luoghi previsti dal metodo PlaceMaker, particolarmente attento all'identità dei luoghi (Sepe, 2009-2013). PlaceMaker è un metodo di analisi Marichela Sepe
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e progettazione del territorio che ha lo scopo di consentire l’individuazione degli elementi che non sono riconoscibili attraverso cartografie di tipo tradizionale e che costituiscono l’identità contemporanea dei luoghi, e l’individuazione di opportuni interventi progettuali per la sua tutela e valorizzazione sostenibile. Il metodo, attraverso un protocollo rigido e flessibile (vedi schema in Fig. 1) ad un tempo, raccoglie, elabora e ricostruisce i dati derivanti da un'analisi anticipatoria, diversi tipi di rilievi, un'analisi di tipo tradizionale, e due questionari posti agli utenti dei luoghi. Il risultato è costituito da due mappe complesse, una di analisi e una di progetto che rappresentano rispettivamente l'identità dei luoghi e gli interventi per la sua valorizzazione. Il contributo presenta a riguardo le tre fasi di progetto, l'individuazione delle risorse identitarie, il questionario di progetto e gli interventi di progetto e le osservazioni conclusive sul caso studio, dove emergeranno gli argomenti messi in campo dallo studio: il tema degli spazi pubblici, intesi quale elemento di qualità di un progetto di rigenerazione urbana; il rapporto tra ricostruzioni post-terremoto ed identità dei luoghi; le questioni legate agli assi stradali emblematici e all’idea di strada-luogo (Friedmann, 2010; Fyfe, 1998; Lynch, 1960;Madanipour, 2003; Oc, et al.,1997; Zukin, 1991).
Figura 1. Schema del metodo PlaceMaker
La rigenerazione di Market Street Il caso studio di ricostruzione post-sisma (del 1906 e in parte del 1989) relativo all'asse Market Street, riguarda una strada che, anche a causa di effettive problematiche urbane dovute alla notevole estensione (5km), all'orientamento dell'asse nella città e ai diversi tempi in cui la ricostruzione è avvenuta, non si è pervenuti ad un'idea forte e caratterizzante, in grado di riportarla ad essere un asse emblematico di San Francisco. La realizzazione di un disegno dell'intera Market Street, che non avesse tenuto solo in conto gli aspetti economici (la costruzione del Financial District), ma la vivibilità e la bellezza di questo luogo avrebbe determinato un processo di rigenerazione compiuto e di successo e ottenuto un radicamento della sua identità sul territorio. Ciò si evidenzia in particolare in merito agli spazi pubblici, realizzati solo per valorizzare uffici di rappresentanza di società e banche, ma spesso privi di panchine o usati solo da senzatetto, o, in diversi tratti, del tutto assenti. Nello studio dell'intero asse emergono diversi "caratteri" che hanno portato all'idea di una strada adatta ad una "specializzazione" di diversi settori (area finanziaria, arte e cultura, etc...) e alla creazione di spazi pubblici di qualità. La specializzazione è vista all'interno di un progetto che tende a rafforzare, pur preservandone i molteplici tratti identitari, Market Street come asse unico e fortemente rappresentativo della città e completare il processo di rigenerazione mai del tutto concluso (Sepe, 2013). Marichela Sepe
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L'individuazione delle risorse identitarie La mappa complessa della fase 5 (Fig. 2) rivela un luogo con diverse disomogeneità. L'individuazione delle risorse identitarie che si effettua nella fase 6 del metodo PlaceMaker è effettuata attraverso l'interpretazione di questa mappa con particolare attenzione alle criticità, problematicità, potenzialità identitarie che si evincono.
Figura 2. Market Street, San Francisco, mappa complessa di analisi
Le criticità di Market Street riguardano innanzitutto l'osservazione che l’asse appare diviso in due parti. Il tratto da Powell ad Embarcadero, che confina con il mare, è molto diverso da quello da Powell a Castro, che confina sulla collina. Marichela Sepe
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Figure 3 e 4. Market Street, San Francisco, dettagli dei due tratti dell'asse
La ricostruzione avvenuta dopo il terremoto del 1906 ha privilegiato il tratto Powell-Embarcadero dove gli edifici storici sono stati recuperati o ricostruiti, sono stati realizzati nuovi edifici e grattacieli e sono stati creati diversi spazi pubblici. Nel tratto Powell-Castro, invece, diversi edifici sono in stato di non sufficiente manutenzione, alcuni con graffiti non decorativi. La discontinuità tra le due parti di Market street è accentuata anche dai lunghi attraversamenti che caratterizzano il tratto Powell-Castro, che fanno perdere la percezione di Marichela Sepe
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asse. Un’altra criticità è costituita dalla poca presenza di spazi pubblici nel tratto Powell-Castro che non consente di utilizzare più attivamente la strada. La presenza di molti negozi chiusi, in alcune parti di questo tratto – oltre a diversi vuoti con verde incolto o sterrati - conferise un aspetto di disuso che attira diversi senzatetto. Non ultimo il problema del traffico veicolare in alcuni tratti molto sostenuto, tanto da rendere fastidiosa la percezione acustica. Inoltre, la vera criticità è l'anonimità e la mancanza di una forte identità che caratterizzi questa strada, in grado di renderla luogo di particolare interesse per locali e turisti, così come altri luoghi di San Francisco. In relazione alle potenzialità, diversi sono gli aspetti che sono stati evidenziati dall’analisi. Market street è una strada con ampia sezione e larghi marciapiedi, tranne nella parte finale verso il Castro dove si restringe. E’ una strada che nel tratto Powell-Embarcadero è molto utilizzata per il suo quartiere finanziario, per la presenza del Ferry Building e dell’Embarcadero e per la presenza di alcuni grandi magazzini. La piazza davanti al Ferry Building è un'ampia piazza ma in diversi tratti non è usata o usata da stand per venditori ambulanti posti in maniera caotica. La Embarcadero Plaza e la Hallidie Plaza, costituiscono in effetti due “porte di ingresso” a Market street. La prima ha un ruolo primario di accesso dal mare verso la montagna, che, seppur ampio, risulta non ben organizzato, nonostante la presenza di belle sculture e fontane, sedute e alberi, tanto da essere un luogo soprattutto di passaggio e occupato da venditori ambulanti con i loro stand che continuano anche nella parte di Market tra Drumm e Davis street. La Hallidie Plaza è utilizzata soprattutto nell’incrocio con Powell street dove si concentrano artisti di strada e venditori ambulanti. Oltre a quelli appena citati, il tratto Powell-Embarcadero presenta molti spazi pubblici, di cui però la maggior parte sono poco utilizzati o per la mancanza di panchine o per la prevalente presenza di ombra o perché di fatto non sono rivolti verso punti di interesse della strada. Vi sono diversi monumenti che sembrano passare inosservati e che potrebbero essere più adeguatamente valorizzati. Questi includono: la Latta's fountain, la Plaque to Rrobert Fost, la Liberty bell slot machine. Inoltre, nel tratto Powell-Castro, incroci e spazi vuoti costituiscono da una parte delle criticità ma dall’altra potrebbero rappresentare il luogo dove realizzare gli spazi pubblici che mancano. Diverse ed alcune di grande effetto sono le percezioni visive che potrebbero essere valorizzate. Le percezioni dei grattacieli insieme ai Flatiron e agli edifici storici sono sicuramente di interesse per la scena urbana. La vista del Ferry Building da un lato e della collina dall'altra costituiscono un ulteriore gradevole percezione. Allo stesso modo anche nel tratto Powell-Castro vi sono percezioni visive tra cui quella della Hibernia Bank gradevoli e poco valorizzate. Infine, la vicinanza di Market street con diversi luoghi quali il City Hall è una notevole risorsa che, se ben utilizzata, aumenterebbe l’attrattività e l’utilizzo di questa strada. Sempre nel tratto Powell-Castro vi sono diversi edifici storici di interesse, tra cui il Furniture and Carpets Building, ma poco utilizzati o in disuso e in scarso stato di manutenzione. Molte infine sono le qualità rilevate con il PlaceMaker. Innanzitutto la posizione dell’asse che fa incrociare Market street con molti altri assi della scacchiera di San Francisco, rendendo la strada un asse privilegiato. Poi il fatto di essere l’unica strada che connette il mare alla collina. Molti sono inoltre i mezzi di trasporto che consentono di accedere e percorrere agevolmente questa strada. In Market street, in entrambi i lati, vi sono edifici storici in buono stato di manutenzione che sono inseriti nell’elenco dei siti storici e dei landmarks di San Francisco. Questi elenchi includono anche monumenti e fontane. Ci sono inoltre diversi edifici storici e case vittoriane (queste ultime nel tratto Powell-Castro) non inclusi negli elenchi ma che sono comunque di interesse storico. L’edificio del Ferry Building è stato ben recuperato e ben utilizzato con ristoranti e negozi tipici e lo spazio verso il mare consente una bella prospettiva dell’ambiente circostante. Riguardo agli aspetti costruttivi della strada, in particolare il tratto Powell-Embarcadero presenta buone qualità di materiali e generalmente un buon disegno degli spazi pubblici. Market street è totalmente alberata e ci sono anche altri punti verdi. Vi sono inoltre due fermate dello storico Cable car: in Powell - dove c’è anche il cable car turntable- e in California street, le quali oltre a consentire l’utilizzo del tipico mezzo di trasporto, attirano la visita di molte persone. Alcuni tratti di Market street presentano una corsia per le biciclette. Le altre peculiarità includono i tipici lustra scarpe nel tratto Powell-Embarcadero che, con i loro originali stand, danno colore alla strada. Si osserva inoltre in Powell-Castro la presenza di negozi con prodotti particolari e novità di vario genere e ristoranti internazionali. Questi, se inseriti in un contesto complessivo più vivibile per i pedoni, potrebbero aumentare l’attrattività della strada. Infine, vi è la presenza di alcuni musei e teatri.
Il questionario di progetto Il questionario di progetto, relativo alla fase 7 del metodo, è stato organizzato basandosi sulla idee emerse nel corso dell'individuazione delle risorse identitarie. Esso è composto di 10 domande, di seguito indicate insieme ad una sintesi delle risposte, relative a possibili interventi per completare il processo di ricostruzione e ridare a Market street il suo ruolo di asse forte ed emblematico della città. Gli intervistati - circa 30 - sono stati gli utenti della strada di età compresa tra i trenta e i sessanta anni. Le nazioni di origine sono state gli USA e il Mexico e la lingua utilizzata l'inglese. 0. Età, nazionalità 1. Perchè viene in questa strada? 2. Cosa ne pensa della qualità di questo luogo? Marichela Sepe
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3. Cosa ne pensa della percezione di Market Street come un asse unico? 4. Cosa ne pensa circa il recupero degli edifici storici nell'area di Powell-Castro? 5. Ha notato gli edifici storici, le fontane, le placche storiche e le case vittoriane? 6. Cosa ne pensa di valorizzare i differenti caratteri della strada? 7. Si è mai sentito in pericolo in qualche punto? 8. Cosa ne pensa di creare nuovi spazi pubblici, valorizzare quelli già presenti e inserire più spazi verdi? 9. Cosa ne pensa di realizzare un unico disegno di arredo urbano in entrambi i tratti Powell-Castro e PowellEmbarcadero? 10. Cosa ne pensa di migliorare la circolazione pedonale e ciclabile, nonchè quella carrabile? Riguardo alla prima domanda, perchè viene in questa strada?, la risposta prevalente è stata "per lavoro". Questa risposta l'ha fornita oltre la metà degli intervistati indipendentemente dall'età e dalla nazionalità. La restante parte ha risposto per shopping o semplicemente per camminare. Una residua parte ha risposto per visitare la città. Rispetto alla domanda sulla qualità di Market street (seconda domanda), la risposta è stata univoca. Gli intervistati hanno risposto che la qualità del tratto Powell-Embarcadero è buona, mentre quel del tratto PowellCastro è generalmente non buona. Molti degli intervistati hanno però aggiunto che nel tratto Powell-Castro ci sono molti edifici, negozi e ristoranti di interesse. In merito alla domanda sulla percezione di Market street come asse, quasi tutti hanno dato risposta positiva, in particolare per quello che concerne gli intervistati che lavorano in questa strada o sono venuti per shopping. Alcuni hanno anche mostrato nell'intervista di percepire il valore storico di questo asse. Una minore percentuale non era consapevole della lunghezza dell'asse, ma pensava che Market street riguardasse solo il tratto di strada che stava percorrendo. Alla domanda ha notato gli edifici storici, le fontane e le placche (quali ad esempio la Robert Lee Frost plaque) e le case vittoriane?, gli intervistati hanno dato risposte piuttosto diverse tra loro. Se una buona percentuale ha risposto che in generale aveva notato la presenza di edifici storici, solo una parte molto esigua aveva fatto caso alle fontane, alle sculture e alle case vittoriane del tratto Powell-Castro. In relazione alla domanda sul valorizzare i differenti caratteri della strada, le persone intervistate hanno dato generalmente una risposta positiva. Alcuni, in particolare quelli che meno avevano fatto caso alla presenza di monumenti, hanno risposto che non sapevano dare una risposta. Riguardo alla domanda se si sentono in pericolo in qualche punto, la maggior parte delle persone hanno risposto di sentirsi in pericolo solo nel tratto Powell-Castro. Una residua parte ha risposto di sentirsi in pericolo anche nell'altro tratto, soprattutto nei giorni festivi, perchè poco frequentato. Riguardo alla richiesta di creare nuovi spazi pubblici e introdurre più verde le persone sono state tutte d'accordo. La maggior parte degli intervistati ha però aggiunto che avrebbe voluto in particolare più sedili pubblici. Riguardo alla domanda concernente realizzare un unico disegno di arredo urbano in entrambi i tratti PowellCastro e Powell-Embarcadero, le persone intervistate hanno generalmente risposto di essere d'accordo. E, infine, riguardo ad inserire una corsia per ciclisti e migliorare la circolazione dei pedoni, tutti sono stati d'accordo. Molti hanno aggiunto che bisognerebbe ridurre il traffico veicolare.
Ricostruire l'identità di Market Street L'ultima fase riguarda la sovrapposizione dei dati delle precedenti tre fasi e l'individuazione delle proposte progettuali. Gli interventi di progetto che sono stati individuati con PlaceMaker sono tesi a rendere questa strada un luogo per le persone invece che una strada, come accade in diversi punti, solo di collegamento (Kent, 2008). Essi riguardano: Rafforzare la continuità dell'asse, Disegnare "i caratteri", Valorizzare gli elementi identitari, Creare connessioni, Realizzare e valorizzare spazi pubblici, Migliorare la mobilità. Il primo intervento è Rafforzare la continuità dell'asse. Market street è uno degli assi che segna in maniera forte il tessuto urbano di San Francisco. Camminando oggi per Market street, mentre nel tratto Powell-Embarcadero si osserva la continuità dell’asse, nel tratto Powell-Castro non si percepisce, rendendo molto difficile in alcuni punti capire che è un'unica strada. La prima azione a riguardo è realizzare un disegno unico con elementi urbani, sculture etc. che interessa tutta Market street; la seconda azione è realizzare un disegno dell’illuminazione che faccia leggere l’asse da diverse angolature e prospettive; la terza azione è realizzare un disegno teso a diminuire le distanze di attraversamento in prossimità degli incroci sul tratto Powell-Castro e, dove possibile, uniformare con il tratto Powell-Embarcadero l’ampiezza della sezione dedicata ai pedoni.
Marichela Sepe
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Figura 4. Market Street, San Francisco, mappa complessa di progetto
Il secondo intervento è Disegnare "i caratteri". Anche se la continuità dell'asse va pensata dal punto di vista della strada, allo stesso modo vanno evidenziati i caratteri che possono meglio definire alcuni tratti di Market – in particolare tra "Mid" Market e Castro – che appaiano come in “attesa”. Questi includono caratteri culturali come ad esempio gallerie d’arte e negozi di mobili d’epoca. La prima azione è quindi realizzare aggregazioni di funzioni e disegnare nuovi caratteri di Market in modo da consentire anche ad utenti e visitatori di poter utilizzare più frequentemente e motivatamente questo thoroughfare. I caratteri individuati con il PlaceMaker e da poter trasformare in distretti iniziando da Embarcadero includono: Sea and Piers, Business and museums- young Marichela Sepe
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shopping - art and antiques - civic and cultural centre - victorian centre. La seconda azione è completare le funzioni esistenti sia con nuovi elementi tesi a valorizzarle sia attraverso un'adeguata integrazione con le nuove funzioni prima menzionate. Il terzo intervento è Valorizzare gli elementi identitari. Gli elementi identitari di Market street sono diversi e solo alcuni hanno adeguata attenzione come nel caso dei Flatiron, del Phelan building, del Food Building o del Ferry Building, che allo stato non costituiscono ancora motivo – tranne nel caso del Ferry Building - per una lunga permanenza in Market. La prima azione è quindi valorizzare monumenti, edifici storici, mestieri storici. Questi includono: the Latta's fountain, the Plaque to Robert Fost, the Liberty bell slot machine, le case vittoriane, i lustra scarpe nel tratto Powell-Embarcadero. Ci sono inoltre molti edifici storici nel tratto Powell-Castro in scarso stato di manutenzione o poco valorizzati, tra cui il Furniture and Carpets Building. Il mare e la collina costituiscono due elementi fortemente identitari di Market street, ma che si percepiscono realmente solo nei pressi dell'Embarcadero e di Castro. Oltre alla valorizzazione delle percezioni visive - di cui alla seconda azione - anche la percezione della vicina presenza del mare e della collina, attraverso una tematizzazione di alcuni spazi pubblici e arredi urbani, va esaltata. La seconda azione è valorizzare le diverse percezioni visive. Queste costituiscono parte del paesaggio urbano di Market e vanno recuperate e valorizzate al pari di edifici e monumenti. Tali prospettive includono: la vista del Transamerican building, del Ferry Building e della collina dall’incrocio con Powell street e da diversi altri punti, la vista del Main Bridge e del mare, la vista del City Hall, la vista dei grattacieli. Altre da ricreare riguardano in particolare il tratto Powell-Castro le cui discontinuità e presenza di vuoti ne detraggono le potenzialità identitarie. Il quarto intervento è Creare connessioni. I diversi orientamenti delle strade che si incrociano con Market street costituiscono elemento di forte potenzialità per questo asse. La prima azione è utilizzare i molti incroci con le altre strade per creare connessioni con monumenti e siti di interesse che sono vicini ma non si percepiscono come tali, come nel caso del City Hall. La seconda azione è realizzare una connessione tra monumenti, edifici, funzioni, spazi del tratto Powell-Castro e Powell-Embarcadero. Il quinto intervento è Realizzare e valorizzare spazi pubblici. La prima azione è realizzare nuovi spazi pubblici in particolare nel tratto Powell-Castro dove contribuirebbero a migliorare la walkability dell’asse. La seconda azione è rendere gli spazi pubblici esistenti più vivibili inserendo panchine e elementi per la sosta e il godimento delle risorse naturali - quali la luce naturale - o delle risorse culturali - monumenti o prospettive di monumenti ed edifici storici, ma anche dello storico cable car. La terza azione è inserire più verde all’interno degli spazi pubblici in modo da equilibrare la forte presenza di costruito dell’area oltre che contribuire alla sua migliore vivibilità. Il sesto intervento è Migliorare la mobilità. L’ampiezza della strada e dei marciapiedi consente un adeguato progetto di mobilità. La prima azione è migliorare gli attraversamenti pedonali in prossimità di fermate bus alle quali attualmente non è dedicata sufficiente attenzione. La seconda azione è Inserire una corsia continua per le biciclette per evitare ai ciclisti percorsi difficili attraverso automobili e altri mezzi di trasporto. La terza azione è infine inserire limiti di velocità in modo da ridurre l’inquinamento acustico della strada.
Conclusioni Market street è uno degli assi principali e probabilmente il più emblematico di San Francisco, rappresentando questo un fattore di interesse notevole insieme al fatto che l'asse è in relazione con diverse parti della città. Costituendo inoltre l'unica strada che mette in collegamento diretto la collina con il mare questo costituisce sicuramente una enorme potenzialità da tenere in considerazione nelle diverse operazioni di rigenerazione. Gli interventi che sono stati individuati con questo studio riguardano: Rafforzare la continuità dell'asse, Disegnare i "caratteri", Valorizzare gli elementi identitari, Creare connessioni, Realizzare e valorizzare spazi pubblici, Migliorare la mobilità. Tali interventi sono stati rivolti alla realizzazione di un asse continuo con forte attenzione agli spazi pubblici, intesi quali elementi in grado di dare qualità al progetto, ma allo stesso tempo come loro parte integrante ed inscindibile. La questione principale che è stata tenuta in conto va riferita al terremoto del 1906 che investì fortemente la città di San Francisco e Market street e le diverse operazioni di ricostruzione e sviluppo successive. Queste non hanno mirato ad una ricostruzione dell'asse con un disegno ed un'idea forte e caratterizzante, e privilegiando soprattutto il Financial district. Uno dei punti nodali infatti è proprio la questione dell'unitarietà che se nel tratto Embarcadero-Powell è più chiara e percepibile, continuando verso Powell-Castro si viene quasi completamente a perdere. Ciò avviene anche per una motivazione strettamente legata al tessuto urbano che presenta diversi e ampi incroci con altre strade che fanno perdere la continuità dell'asse. Questo si evince dai rilievi effettuati sulla strada oltre che dai questionari posti agli utenti del luogo. Essi usano Market street soprattutto per motivi legati al lavoro e al business e in minore percentuale come luogo per camminare, per shopping, per visitare edifici di interesse. Nel tratto Powell-Embarcadero, nonostante la presenza di spazi pubblici, si osserva una certa monotonia pur se interrotta da alcune percezioni visive date da edifici e grattacieli storici e più recenti. Nel tratto Powell-Castro si Marichela Sepe
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La realizzazione degli spazi pubblici in un asse colpito da un evento sismico: un caso di rigenerazione incompiut
rileva una sorta di stato di "attesa" dei luoghi dovuta alla presenza di diversi vuoti, di locali commerciali e palazzi non utilizzati, di una certa discontinuità di stato di manutenzione, stili architettonici, altezze degli edifici, funzioni. Discontinuità che diluisce solo nell'ultimo tratto in prossimità di Castro dove la presenza delle case vittoriane e di negozi, bar e altri locali commerciali di qualità rende il luogo in prevalenza gradevole e a misura d'uomo. Nello studio dell'intero asse sono emersi diversi caratteri che rendono Market street una strada adatta ad una specializzazione di diversi settori. Iniziando da Embarcadero, si sono individuati Sea and Piers, Business and museums- young shopping - art and antiques - civic and cultural centre - victorian centre, che riflettono delle specializzazioni già presenti in Market street o nelle strade vicine ma non in collegamento o non definite chiaramente. Nel caso ad esempio di Business and museums si tratta del Financial district che attraverso la third e la fourth street è in stretta connessione con diversi musei, tra cui il Moma, oltre che con i giardini Yerba Buena. La specializzazione è in ogni caso vista all'interno di un progetto che tenda a rafforzare Market street come un unico asse. Gli interventi individuati si vanno di fatto ad incrociare con un tema trasversale che è quello della ricucitura di un tessuto interessato da un importante evento sismico in cui la ricostruzione, pur non stravolgendola ha comunque tenuto poco in conto l'identità dei luoghi. Tali interventi sono strettamente collegati l'uno all'altro proprio dall'intenzione di rendere l'identità dei luoghi - in continuità con le diverse operazioni di sviluppo in corso su Market street - quali BetterMarketStreet - elemento portante di valorizzazione e rinnovata attrazione per questo asse.
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Marichela Sepe
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Il progetto di paesaggio come narrazione collettiva
Il progetto di paesaggio come narrazione collettiva Nausicaa Pezzoni Provincia di Milano Area Programmazione territoriale Email: nausica.pezzoni@gmail.com Tel: 349.8549119
Abstract Il paper presenta due casi studio in cui il progetto di paesaggio costituisce l’esito di un processo collettivo di riconoscimento e di costruzione di significati che rispondano e diano voce alla complessità della società contemporanea. Attraverso due approcci inversi relativamente all’attribuzione di senso, da parte degli abitanti, a un determinato luogo, viene mostrata la ricerca di differenti modalità con cui la comunità locale si prende cura del proprio paesaggio abitato. I due approcci esplorati generano una riflessione sul carattere di un progetto per la rigenerazione urbana che, se aperto alla partecipazione creativa dei soggetti che vi si relazionano, deve contemplare necessariamente un processo trasformativo aperto, in cui lasciar prendere forma a un’idea generale di bene collettivo che non può essere predeterminata. Parole chiave Paesaggi abitati, senso dei luoghi, pratiche dello spazio. Il paesaggio non è una narrazione, ma contiene molteplici narrazioni
(A. Bellini)
Introduzione Secondo la Convenzione Europea del Paesaggio, il paesaggio è espressione e al tempo stesso fondamento dell’identità di chi lo abita, “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”. 1 In base a questo assunto, possiamo dire che il paesaggio non esiste come entità a sé stante, ma prende forma nel momento in cui qualcuno lo osserva, lo abita, lo costruisce e lo decostruisce in un processo continuo di relazione con esso. Il paesaggio diventa tale se riusciamo a dare un senso, un significato culturale alle sue componenti, trasformandole in segni attraverso i quali comunichiamo con gli altri: è paesaggio comune, generato dai processi di esplorazione e di continua ridescrizione creativa messi in atto nel corso delle relazioni stabilite dagli abitanti con i diversi contesti territoriali. L’articolo presenta due casi studio in cui il progetto di paesaggio – e in particolare dello spazio pubblico in cui il paesaggio si dispiega - costituisce l’esito di un processo collettivo di riconoscimento e di costruzione di significati e significanti che rispondono e danno voce alla complessità della società contemporanea. Il primo è il progetto di rigenerazione di un villaggio medievale nella campagna toscana, venduto a una multinazionale del turismo, dove l’introduzione di una legge sulla partecipazione degli abitanti nei progetti di grandi interventi di trasformazione territoriale (L.R. 69/2007) ha permesso di coinvolgere i cittadini nelle decisioni sul futuro del proprio territorio. Il secondo riguarda il processo di appropriazione, da parte della comunità immigrata, di alcuni spazi pubblici all’interno di una grande città: un parcheggio ai margini di Milano, in corrispondenza di un capolinea della metropolitana, trasformato in un mercato di prodotti locali delle popolazioni dell’est europeo e in un punto di 1
Convenzione Europea del Paesaggio, art. 5.
Nausicaa Pezzoni
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Il progetto di paesaggio come narrazione collettiva
riferimento per la comunità migrante milanese; una piazza davanti a un teatro che, abitata dalla popolazione musulmana durante la festa di fine Ramadan, diventa per un giorno una moschea all’aperto nel cuore della città. In ciascuno di questi casi si manifesta la ricerca di un’idea di paesaggio – e la disposizione a costruire un paesaggio - che possa includere diverse visioni al futuro del territorio, mettendo in gioco questioni come l’inclusività dei processi decisionali – e, in generale, il diritto di cittadinanza che vi viene esercitato - e il carattere di un progetto che, se aperto alla partecipazione creativa dei soggetti che vi si relazionano, deve contemplare necessariamente un processo trasformativo aperto: un processo in cui possa prendere forma un’idea di bene collettivo come esito non prefigurabile di un intreccio fra le popolazioni che abitano e attraversano la città contemporanea e il paesaggio che ne riflette l’identità cangiante.
Un percorso partecipativo per progettare il futuro dei territori: il caso di Castelfalfi Il primo caso studio interessa un rilevante progetto di investimento, ad opera di una multinazionale tedesca del settore turistico, sull’antico borgo medievale e sulla tenuta di Castelfalfi, nel comune di Montaione, un piccolo comune di circa 3.700 abitanti nel cuore della Valdelsa. Il borgo fu costruito intorno a un castello fortificato e comprende una serie di abitazioni nate a supporto delle attività agricole: si tratta di circa 30 edifici rurali sparsi nell’area, abbandonati a partire dagli anni ’60 e oggi in rovina. La tenuta intorno al borgo (circa 1.100 ettari) ha rappresentato, nel corso dei secoli, un vasto e unitario possedimento, destinato alle tradizionali colture agricole della zona, gestito attraverso l’appoderamento e la conduzione mezzadrile fino all’inizio del secondo dopoguerra. Dagli anni Cinquanta l’area ha subìto un radicale spopolamento e abbandono; da quel momento, nonostante alcuni tentativi di rivitalizzarne la vocazione agricola e turistica (un ristorante nel vecchio castello, un albergo, un campo da golf), il borgo e la tenuta hanno vissuto una condizione di progressivo degrado e di sotto-utilizzazione. La tenuta giunse ad avere, nel 1839, circa 600 abitanti; oggi risultano appena 15 residenti. Nel marzo del 2007 la tenuta e il borgo vengono acquistati da TUI (Touristik Union International), una delle principali società nel campo dei tour operators e della gestione di hotel e resort turistici. La TUI acquista l’intera area di Castelfalfi e presenta al Comune di Montaione un progetto che prevede il recupero dell’esistente ma anche un piano molto consistente di nuova edificazione; in particolare, la costruzione di un villaggio vacanze da 430 posti letto, la realizzazione di un nuovo albergo da 240 posti, la realizzazione di quattro ulteriori borghi attorno ad alcuni casali abbandonati e l’ampliamento e ammodernamento del vecchio campo da golf.
Figura 1. Il progetto ‘Toscana Resort Castelfalfi’.
Il piano di fattibilità presentato da TUI viene approvato dalla Giunta Comunale nelle sue linee strategiche generali, in quanto coerente con le finalità del Piano Strutturale del Comune di Montaione e conforme al dimensionamento previsto dallo stesso Piano; tuttavia, la Giunta constata anche “la complessità e la consistenza del progetto e della sua messa in opera”, ritenendo che questo richieda “adeguate modalità di coinvolgimento informativo e partecipativo alla formazione degli atti suddetti”.2 2
Deliberazione della Giunta Comunale di Montaione n. 98, del 2 luglio 2007.
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L’Amministrazione Comunale ritiene dunque che un intervento di tale rilevanza richieda un processo di approvazione più complesso, e decide di promuovere un’ampia consultazione per consentire a tutti i cittadini di esprimere la propria opinione. Sulla base del dibattito in corso per l’istituzione della legge regionale n.69/2007, 3 che prefigura l’introduzione dello strumento del Dibattito Pubblico sui grandi interventi, 4 l’Amministrazione apre la consultazione nella forma di un Dibattito Pubblico, ovvero secondo modalità strutturate e articolate, con una durata predefinita, al termine delle quali un rapporto conclusivo avrebbe dovuto mettere in luce il livello di conflittualità dell’intervento e le proposte di modifica eventualmente emerse. Il dibattito Pubblico si svolge fra il 2007 e il 2008, e include cinque assemblee pubbliche, la redazione e la diffusione della “Guida sintetica al progetto” (2500 copie); un sito web, con tutti i documenti relativi al progetto, la rassegna stampa nazionale ed estera, un web forum in cui accogliere e pubblicare tutte le opinioni, una visita guidata alla tenuta, per illustrare direttamente in loco il progetto, e tre incontri specifici: uno con commercianti e artigiani, uno con operatori turistici e agricoltori, un terzo con le associazioni ambientaliste. Il Rapporto conclusivo si chiude con la formulazione di alcune raccomandazioni, di cui il tour operator, ai sensi della l.r. 69/2007, deve tener conto nella redazione finale del progetto. Rispetto alle previsioni iniziali dell’investitore privato, il progetto risulta modificato in alcuni aspetti essenziali: il dimensionamento complessivo dell’intervento: l’incremento delle volumetrie non deve superare il 10% dell’esistente, come previsto dal Piano Strutturale; il disegno del paesaggio: si raccomanda l’adozione di sistemi “a terrazzamento” per le colture di viti e olivi; l’abbandono della zootecnia, lo sviluppo delle produzioni olearie e viti-vinicole e una lieve riduzione delle aree a seminativo; tutti i casali sparsi nella tenuta devono mantenere le volumetrie attuali, e non essere né demoliti né ampliati; vengono accolti solo due dei quattro nuovi villaggi previsti intorno ad alcuni nuclei di casali esistenti, e vengono imposte particolari prescrizioni, stabilendo ad esempio che “le nuove edificazioni debbano rispettare la struttura insediativa e il sistema agrario tipico della collina toscana” e che essi possano sorgere unicamente “lungo i crinali”; per il campo da golf da ampliare, si impone – ai fini del risparmio idrico – la scelta di “una specie erbacea a basso consumo di acqua”; infine, un mutamento significativo nella toponomastica: la TUI, per dare unità alla catena dei suoi Resort sparsi nel mondo, aveva proposto di denominare il nuovo villaggio “Robinson Club”. L’idea aveva suscitato un’ampia e unanime reazione negativa, ed era stata vista come la riprova di una logica “estranea” alla specificità dei luoghi che rischiava di caratterizzare l’intervento; così il nuovo nome sarà “Hotel Arte & Cultura”. Il caso studio di Castelfalfi rappresenta un modello applicativo della legge regionale toscana n. 69/2007, la prima legge sulla partecipazione degli abitanti introdotta in Italia. Il dibattito che ne è seguito ha aperto alcuni interrogativi in merito alla valenza dei processi partecipativi istituzionalizzati, alla possibilità di esprimere attraverso di essi una reale capacità di autogoverno del proprio territorio, alla stessa prospettiva di partecipazione entro cui viene esplicato il diritto di cittadinanza. Un limite del Dibattito Pubblico su Castelfalfi è stato visto nel “fatto che al centro dell’agenda vi fosse uno specifico progetto, e non la ricerca di soluzioni alternative ad un problema collettivo. D’altra parte, era un limite difficilmente evitabile, perché non si trattava di una scelta pubblica ma di un bene privato per il quale la proprietà proponeva un determinato progetto di riuso e valorizzazione”. 5 Trattandosi tuttavia di un territorio che, seppur privato, costituisce un indiscusso patrimonio collettivo, il Comune di Montaione aveva approvato un Piano Strutturale che dettava precisi vincoli e orientamenti per le possibili destinazioni dell’area. Il Dibattito Pubblico rappresenterebbe, da questo punto di vista, una scelta di tipo inclusivo da parte di un decisore pubblico che non era tenuto a intraprendere la strada del coinvolgimento degli attori locali. Il fatto che il territorio in oggetto costituisca un rilevante patrimonio collettivo apre la questione di quali siano gli attori che hanno diritto a partecipare alle scelte di governo di un territorio. Questo tema è stato posto da Edoardo Salzano: “Ogni livello di governo, ogni comunità (quella locale e comunale, e via via fino a quella nazionale) esprimono interessi meritevoli di rappresentazione e di considerazione: quelli più vicini e diretti, come quelli più lontani e generali. (…) è giusto che a decidere sul destino di un tassello del meraviglioso mosaico del paesaggio italiano sia la sola comunità di Castelfalfi? (…) I cittadini della Toscana, dell’Italia (e dell’Europa) avrebbero 3
Il percorso di approvazione della l.r. 69/2007 si svolge nello stesso arco di tempo delle vicende di Castelfalfi: maggio 2007 apertura dei tavoli di concertazione; 30 luglio 2007 approvazione in Giunta del progetto di legge; 19 dicembre 2007 dibattito in Consiglio Regionale e approvazione della legge; 3 gennaio 2008 pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana. 4 I grandi interventi sono definiti come quegli interventi “con possibili rilevanti impatti di natura ambientale, territoriale, sociale ed economica” [art.7 L.R.69/2007]. 5 Così è stato definito da Floridia, che pur ha ampiamente delineato e sostenuto la portata innovativa dell’esperienza di Castelfalfi (Floridia, 2008). Nausicaa Pezzoni
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anch’essi il diritto di essere coinvolti con pienezza di rappresentanza in un processo partecipativo compiuto”. (Salzano, 2007). La questione dell’inclusività nel passaggio dalle forme spontanee di partecipazione all’istituzionalizzazione del dialogo con gli attori, sembra rappresentare il punto cruciale intorno a cui ruota il dibattito sull’innovazione delle procedure di consultazione per i grandi interventi (infrastrutturali e/o di forte impatto socio-ambientale) sul territorio. La possibilità del processo partecipativo di comprendere “tutti coloro che sono, in varia misura, direttamente o indirettamente, nello spazio e nel tempo, coinvolti o colpiti, o toccati, da una possibile decisione” (Floridia, 2008) mette in gioco innanzi tutto la scelta di delimitare o meno l’arena partecipativa, e di conseguenza di poter concepire i processi istituzionalizzati come aperti, con lo stesso grado di libertà dei Comitati ovvero dei gruppi solidali nati spontaneamente intorno a un interesse comune. La decisione su quali siano gli attori che dovrebbero essere coinvolti in un processo partecipativo è dettata sia dal calcolo della distribuzione dei costi e benefici derivanti dalla realizzazione di un intervento che, quanto più il processo è allargato, tanto più dovrebbe essere equa, sia dalla tensione per la realizzabilità dell’intervento stesso, in quanto è proprio dagli esclusi che possono arrivare le maggiori minacce per l’efficacia e la stabilità degli accordi presi. Il tema dell’inclusività dei processi partecipativi potrebbe però anche essere svincolato da valutazioni finalizzate al consenso e alla stabilità, e incentrarsi sulla ricerca della forma collettiva più idonea a rappresentare e costruire ciò che viene inteso come bene collettivo. Quando si tratti, in particolare, della trasformazione di un territorio dotato di una forte identità, come è quello di Castelfalfi, la collettività disposta a farsi carico dell’azione trasformativa di quel territorio potrebbe non coincidere con la comunità locale, ma comprendere la pluralità dei soggetti che si identificano, al di là dell’appartenenza geografica, con quel contesto, e che, attraverso la partecipazione alle scelte di progetto, vogliano esprimere e attuare la propria idea di abitabilità. A questa ‘apertura’ relativa agli attori coinvolti nel dialogo corrisponderebbe - o dovrebbe corrispondere -, sul piano degli interventi, un’apertura circa la possibilità dello scenario trasformativo di essere verificato, confermato, modificato oppure negato, non escludendo alcun tipo di esito progettuale che emerga dal confronto pubblico.
Una re-interpretazione di spazi pubblici per rigenerare la forma urbana: Cascina Gobba e lo spazio aperto davanti al teatro Ciak, Milano Il tema dell’apertura dello scenario trasformativo di spazi abitati da una pluralità di soggetti, viene declinato, in un contesto urbano, nel processo di appropriazione di alcuni luoghi trasformati dalla comunità immigrata al fine di poter svolgere attività pubbliche che non sono contemplate nel progetto della città. Il caso di Cascina Gobba e dello spazio aperto davanti al teatro Ciak, a Milano, rappresentano forme non codificate dell’abitare gli spazi pubblici da parte di popolazioni che, non riconoscendo il contesto territoriale in cui si trovano come “fondamento della propria identità”, sono maggiormente libere di interpretarne il significato attraverso usi inediti tali da dar vita anche a nuove forme della città. Ovvero sono predisposte a mettere in atto pratiche di ri-significazione di quegli spazi, tali da modificarne il senso anche per la popolazione che li ha sempre abitati.
Il parcheggio di Cascina Gobba Il parcheggio di Cascina Gobba insiste su un’area di proprietà dell’ATM (Azienda Trasporti Milanesi) posta fra la tangenziale est e una stazione della metropolitana che costituisce un nodo di interscambio e una porta d’accesso alla città. Si tratta di uno spazio marginale e poco frequentato, semi deserto durante i giorni feriali, che nel weekend si anima della presenza e delle attività delle popolazioni dell'est europeo, diventando il teatro di uno dei più vivaci mercati etnici della città. Ogni settimana viene messa in scena una forma di fruizione dello spazio auto-organizzata che, a seguito dell’occupazione spontanea del parcheggio da parte della comunità immigrata, è stata ufficializzata dal Comune attraverso l'affitto dell'area a un'associazione che dal venerdì pomeriggio alla domenica occupa il piazzale con pullman e furgoni per il trasporto di persone e merci da e verso i Paesi dell’Est. 6
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Sul cancello del parcheggio compare un’insegna della West Work Security con l’indicazione Parcheggio-sosta-UcrainaMoldova-Romania.
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Figura 2. Il parcheggio di Cascina Gobba (Milano) durante il weekend.
Uno spazio anonimo ai confini della città, dunque, che viene ridisegnato dalle file di furgoni carichi di prodotti alimentari e artigianato che, aperti sul retro, diventano bancarelle. Uno spazio che viene, soprattutto, rigenerato dalle pratiche di vita che vi vengono dispiegate da parte della popolazione urbana che, una volta alla settimana, occupa il luogo. Oltre alle bancarelle e ai pullman, al limitare dell’area verso l’autostrada sono ‘insediate’, in fila, parrucchiere di strada con piccoli specchi, pettini e forbici appesi alla rete di delimitazione del parcheggio, e un lavandino posto dietro ai bagni ecologici. Il piazzale è suddiviso in corsie differenziate per nazionalità: rumeni (quasi tutti con prodotti alimentari, insaccati affumicati e verdure, formaggi) nella prima corsia, moldavi nella seconda corsia, ucraini dalla terza corsia fino alla fine del piazzale. Moldavi e ucraini vendono soprattutto oggetti di artigianato locale, matrioske, riviste e dvd in lingua russa, oltre a pesce essiccato, sospeso sopra le riviste. Molti sono i furgoni in partenza per l’Est. Al piazzale si accede attraversando il parcheggio coperto limitrofo alla stazione della metropolitana, e lungo il percorso, una specie di sentiero che immette nel piazzale, alcune donne in fila attendono contatti di lavoro, altre vendono piccoli oggetti, varie persone si soffermano davanti a un pannello su cui sono affissi annunci per l’offerta di case e camere in affitto. Ciò che colpisce arrivando è l’assenza della lingua – e della presenza – italiana: le scritte sui pullman in partenza, sui cartelli informativi, sulle bancarelle, sono per lo più in caratteri cirillici, oppure in rumeno; i suoni della lingua parlata sono estranei, molti venditori a cui ci rivolgiamo non capiscono l’italiano. 7 Qualche venditore in Italia da più tempo ci chiede di avvicinarci alla sua bancarella, ci fa assaggiare salumi affumicati, verdure sotto aceto, sapori per noi dal gusto forte e a volte difficile. Improvvisamente ci si trova immessi in un mondo che non sembra essere la città da sempre conosciuta; un mondo di relazioni e di attività estranee all’abitante autoctono, che potrebbe essere collocato qui come in qualunque altro ambito della città, purché abbastanza anonimo e ignorato dai suoi cittadini - da poter essere ripensato, occupato, attraversato da nuove dinamiche e ridisegnato con nuovi significati. Uno spazio che non esisteva come luogo abitato, viene fatto esistere tramite l’essere pensato e incluso in un sistema di relazioni, di rapporti commerciali, di scambi di informazioni, di attività, di gesti che, in un modo originale e inedito per la città, si prendono in cura quello spazio indifferenziato; lo significano, e nel significarlo se ne appropriano, lo rendono accogliente per le popolazioni che lo frequentano, facendo sì che quel luogo divenga a sua volta ‘incline’ alla cura – all’inclusione in un sistema di riferimenti e stimoli dapprima inesistente di chi si disponga ad abitarlo. 7
Il riferimento è al sopralluogo effettuato il giorno 11/11/2010 insieme a un regista, al fine di realizzare il documentario “La città sradicata” (cfr. Pezzoni N., 2013).
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Lo spazio aperto davanti al teatro Ciak Lo spazio aperto davanti al Ciak fa parte di un insediamento produttivo dismesso e recentemente riqualificato e destinato ad attività culturali, che prende il nome - “Fabbrica del Vapore” – dalle originarie produzioni di materiale per le ferrovie. Da qualche anno, le aree libere davanti ai capannoni sono occupate in parte da un teatro tenda, il Ciak, mentre nello spiazzo lasciato libero si svolgono, in occasione di particolari manifestazioni cittadine, eventi di tipo ricreativo e culturale. Uno spazio aperto, dunque, abitato in modo intermittente quando l’amministrazione organizza eventi per la città, o altrimenti vuoto – luogo di passaggio fra una strada trafficata, percorsa da diversi tram, e il quartiere retrostante al complesso industriale dismesso e rigenerato. Alla fine del Ramadan, lo spazio aperto davanti al teatro Ciak si trasforma in luogo di preghiera e di festa per le popolazioni islamiche.
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Figura 3. Il piazzale davanti al teatro Ciak, alla ‘Fabbrica del Vapore’ (Milano).
Arrivo poco dopo le 9.00, la cancellata che delimita il piazzale verso la strada è addobbata di palloncini colorati e festoni di carta crespa, gruppi di musulmani vestiti da festa si avvicinano alla piazza, attraversano la strada giungendo da diverse direzioni.8 I rumori della strada non lasciano presagire quello che all’improvviso, affacciandomi nel piazzale, appare come un grande variopinto silenzio: centinaia di persone chinate a terra in preghiera, una distesa di teste e schiene disegna una moltitudine assorta in un silenzioso raccoglimento. Quando, dopo qualche istante, i fedeli si alzano in piedi, la voce dell’imam risuona agli altoparlanti e la piazza accoglie la folla in ascolto; la lettura coranica e il coro delle risposte animano lo spazio antistante il teatro di suoni nati in altri spazi, echi di differenti contrade. La moltitudine in festa si scioglie alla fine della preghiera con parole quasi urlate dall’altoparlante, invocazioni ad Allah e messaggi di auguri che si disperdono insieme alla folla; piano piano si dipana lo spazio e iniziano a intravvedersi i tappeti, rossi e orientali, un pavimento di moschea delimitato da capannoni industriali primo Novecento e dal tendone del teatro, contaminazione di segni e significati di luoghi che si sovrappongono e che per una mattina sono un tutt’uno, moschea all’aperto tra i capannoni. Botti e fumo di petardi, urla di bambini, richiami del gonfiatore di palloncini e dei venditori di olio e olive che compaiono ai margini della piazza su tavoli ricoperti da tovaglie bianche.
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Anche in questa descrizione, il riferimento è al sopralluogo effettuato il giorno 10/11/2010 insieme a un mediatore linguistico-culturale del Centro Aiuto del Comune di Milano, al fine di realizzare il documentario di cui alla nota precedente.
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Il progetto di paesaggio come narrazione collettiva
Le donne, rimaste sul lato più interno del piazzale, dove questo si stringe in una via di collegamento con il quartiere retrostante, iniziano a scorrere verso l’esterno, o si fermano intorno alla bancarella dei giocattoli insieme ai bambini. La folla si dilegua, rimangono alcune paia di scarpe al limitare dei tappeti e gli ultimi fedeli si attardano in saluti e abbracci di auguri; un signore molto elegante (forse un imam) si avvicina per regalarmi un cd del Corano tradotto in italiano, e dopo qualche minuto torna con un secondo cd, spiegandomi che in particolare questo altro dono racconta la storia di Maria vista dai musulmani. Nel ringraziarlo scorgo sul marciapiede, all’esterno della cancellata, uomini delle forze dell’ordine, comparsi alla fine della festa quasi a riportare sulla strada, nella piazza abitata per qualche ora da un gesto ‘estraniante’, il segno normalizzante della divisa, il ritorno a un’immagine della città riconoscibile e rassicurante.
Conclusioni I casi studio descritti mostrano alcuni processi attraverso cui la società contemporanea sta cercando di assumere e riconoscere il paesaggio come componente essenziale del proprio contesto di vita e – come dice la Convenzione Europea del Paesaggio - come fondamento della propria identità. Tale assunzione avviene, in un caso, mediante un sistema normativo che permetta agli abitanti di ‘ri-appropriarsi’ di un territorio destinato a villaggio turistico; l’applicazione di una nuova legge sulla partecipazione degli abitanti nei processi decisionali, rappresenta il dispositivo attraverso cui proporre idee e progetti per un disegno delle trasformazioni che possa esprimere la rappresentazione del territorio da parte della società che lo abita. Nel secondo caso, l’assunzione del paesaggio come componente essenziale del contesto di vita e come fondamento della propria identità, avviene direttamente con l’appropriazione di alcuni spazi pubblici della città da parte di nuove popolazioni urbane che, con la loro presenza e le loro attività, si dispongano ad abitarli trasformandone il senso e ridisegnandone la forma. I due contesti esplorati rappresentano due approcci inversi relativamente al riconoscimento e all’attribuzione di senso, da parte degli abitanti, di un determinato luogo e rivelano due percorsi opposti attraverso cui la comunità locale si prende cura del proprio paesaggio abitato. Mentre il caso di Castelfalfi mostra come il progetto di rigenerazione di un territorio possa entrare in conflitto con l’idea e il senso che il paesaggio assume per la comunità locale, il caso di Cascina Gobba e dello spazio aperto davanti al Ciak a Milano mostra come spazi anonimi e indifferenziati possano essere caricati di senso da una comunità (nuova) che cerca i suoi luoghi. In entrambi i contesti, la percezione e l’attribuzione di significato costituiscono il gesto preliminare che già contiene il disegno al futuro di un paesaggio, e rappresentano la premessa alla cura di quel luogo.
Bibliografia
Bobbio L. (a cura di, 2004), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni scientifiche italiane, Roma. Consiglio d’Europa (2000), Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze. Floridia A. (2008), Democrazia deliberativa, strategie negoziali, strategie argomentative: un’analisi del Dibattito Pubblico sul “caso Castelfalfi”, paper presentato al XXII Convegno Società Italiana di Scienza Politica, 4-6 settembre 2008, Pavia. Morisi M. (a cura di, 2007), Guida al Progetto Toscana Resort Castelfalfi. Sintesi del Piano di Fattibilità presentato da TUI, Comune di Montaione. Morisi M. (a cura di, 2009), DP Castelfalfi. Rapporto sul processo di partecipazione, Comune di Montaione. Pezzoni N. (2013), La città sradicata. I migranti mappano lo spazio urbano, ObarraO, Milano. Salzano E. (2007), intervento su eddyburg.it riportato in Floridia (2008).
Nausicaa Pezzoni
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Urban Reload_Rovereto
Urban Reload_Rovereto Chiara Rizzi TALL, Trentino Alto Adige Advanced Landscape Laboratory DICAM, Università degli Studi di Trento chiara.rizzi-1@unitn.it chirizzi@gmail.com 0461282691 3939977314
Abstract Urban Reload_Rovereto è un laboratorio avviato nel luglio 2012 con un workshop di progettazione promosso dall’università di Trento, patrocinato dal comune di Rovereto ed organizzato da GreenTrenDesign factory. Rovereto è stata una città moderna, cioè che ha saputo trasformare la crisi di un modello di società – quello rurale- in valore; che ha tradotto il paradigma dell’industrializzazione in una struttura urbana resa efficiente dalle infrastrutture e funzionale dalla netta distinzione tra le sue parti. Efficienza e funzionalità che nel passato più recente, al mutare cioè del contesto socio-culturale, hanno generato residui. La Rovereto di oggi è una città che prova a reinventarsi come città d’arte (MART), come centro universitario (UniTn) e culturale (Notte verde, Festival dell’economia) e come riferimento nel campo dell’innovazione e della sostenibilità (Progetto Manifattura). Il reload urbano scommette sul paradigma dell’ecosistema urbano come strumento per attivare processi di rigenerazione urbana. Parole chiave Rovereto, ecosistema, laboratorio
Rovereto
Il tratto della valle dell’Adige che si allunga fra la Stretta di Calliano e la Chiusa di Verona (o Ceraino), è conosciuto con la denominazione di val Lagarina. Nella parte centrale della val Lagarina, alla sinistra dell’Adige e alla destra del torrente Leno – suo affluente – si stende Rovereto. Una parte del centro urbano si allunga anche sulla sinistra del Leno, fino a formare ormai un tutto unico col vicino sobborgo di Lizzanella. Qui la valle forma un’ampia conca, parte pianeggiante e parte in lieve pendio, sulla conoide alluvionale del Leno (…). (Piamarta L., 1986). Per conoscere le dinamiche evolutive della città di Rovereto non si può che partire da Rovereto: ricerche di geografia urbana, testo scritto da Lino Piamarta e edito da Manfrini nel 1986, già pubblicato in “Annali di ricerche e studi di geografia” nel 1953. La sintesi diventa qui strumento d’indagine e chiave di lettura per restituire il processo diacronico con cui la città di Rovereto ha assunto la configurazione attuale, per mettere a fuoco le peculiarità – morfologiche e culturali – e per sottolineare i temi emergenti. Leggere in maniera diacronica la città vuol dire considerare i fenomeni urbani secondo il loro divenire nel tempo, cioè secondo una prospettiva dinamica ed evolutiva. Essa diventa quindi una premessa indispensabile per indagare il passato, capire il presente ed immaginare il futuro della città. Una premessa che ha guidato anche il Piano Particolareggiato del Centro Storico, le cui ricognizioni preliminari sono state raccontate alla cittadinanza in una mostra dal titolo “Proposte per una storia urbana”, svoltasi proprio pochi anni prima della ripubblicazione del testo di Piamata prima citato. Il concentrarsi delle attività legate al centro storico e all’indagine sulle vicende urbane di Rovereto dimostrano, fin dagli anni ’80 dello scorso secolo, una particolare attenzione ai temi urbani che non si esaurisce in un anacronistico e nostalgico sguardo al passato, ma tenta, attraverso l’apporto di diverse discipline, di rispondere all’esigenza sempre più attuale, di utilizzare le risorse territoriali ed ambientali con la massima attenzione e parsimonia (cfr. Introduzione alla mostra). In particolare, la mostra, che analizza i processi di mutazione della città attraverso una scansione temporale costruita a partire dall’individuazione di “nodi problematici”, sembra anticipare quell’approccio multidisciplinare ed integrato che ancora oggi le varie discipline che si occupano dei fenomeni urbani provano a Chiara Rizzi
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Urban Reload_Rovereto
far diventare strumento e metodo di lavoro. Per ognuna delle fasi individuate vengono riconosciuti e messi in relazione le trasformazioni fisiche della citta (matrici) e le dinamiche ad esse legate (processi di trasformazione urbana). Il Leno e la via Claudia Augusta costituiscono la matrice insediativa del vicus romano che si sviluppa sul territorio di Rovereto tra il I e il IV secolo. Questi due elementi sono anche le invarianti a partire dalle quali la maglia urbana si inspessisce, cresce, si stratifica, diventa cioè complessa. La terra e l’acqua, di cui ritroviamo tracce evidenti anche nella toponomastica, costituiscono gli elementi fondativi si questa matrice urbana. La terra intesa come morfologia, suolo, risorsa, ma, in epoca medioevale, anche come espressione di un preciso progetto politico feudale di controllo del territorio. È infatti nei secoli XIII e XIV che la “Terra” di Rovereto, grazie alle opere di fortificazione, si trasforma in un nucleo urbano vero e proprio, organizzato secondo una tipologia a “lotto gotico” di cui ancora oggi possiamo leggere la struttura lungo via della Terra. L’acqua come elemento essenziale per il sostentamento della vita stessa della città, come connessione ecologica trasversale alla valle dell’Adige, ma anche come via di comunicazione e, dal XV secolo in poi, come generatore del sistema produttivo su cui si svilupperà la città. Risale, infatti, ai secoli della dominazione veneziana (XVXVI sec.) l’implementazione del sistema di rogge che determinerà nell’Ottocento lo sviluppo manifatturiero di Rovereto. Non a caso, l’epoca successiva a quella veneziana - secoli XVII e XVIII – è definita come “età delle rogge”, ad indicare il ruolo di primo piano che l’acqua ha avuto in quella che da più parti viene indicata come la rivoluzione pre-industriale di Rovereto. A questo processo di trasformazione profonda dell’economia della città è legata la crescita urbana che, superati i limiti fisici della città medioevale, si attesta sulle rogge, creando una morfologia urbana e una tipologia edilizia del tutto nuova, profondamente e strutturalmente diversa da quella precedente. Il XIX secolo è per Rovereto il secolo di una grave crisi economico-strutturale, dovuta soprattutto all’inerzia del sistema economico manifatturiero, poco flessibile rispetto ai cambiamenti dell’organizzazione della produzione e della società che hanno segnato l’Ottocento. Se a livello di crescita urbana questo significò l’arresto di quella progressiva espansione che aveva contraddistinto i due secoli precedenti, nel XIX secolo il processo di trasformazione della città si svincola dal paradigma della crescita per concentrarsi essenzialmente sulla città esistente. In questo paesaggio, inteso qui come un grande contenitore di processi biologici, ecologici sensu strictu, cognitivi, culturali ed economici (cfr. Farina, 2004) si sviluppano le riflessioni e prendono forma le sperimentazioni del progetto Urban Reload. (Fig.1)
Urban Reload
Figura 1. Il Leno, uno dei tratti urbani, 20 febbraio 2013
Urban Reload è una ricerca sulla città contemporanea che utilizza il paradigma dell’ecosistema come strumento di lettura dei fenomeni urbani e l’ecological urbanism come campo disciplinare di riferimento. Come sostiene Edgar Morin, «la parola “ecologia” rimanda a quanto già contenuto nelle parole luogo, ambiente circostante, natura: ma essa aggiunge complessità alla prima, precisione alla seconda e sottrae alla terza la mistica, anzi l’euforia. (…) Questi tre concetti trascurano il carattere più interessante del luogo, dell’ambiente
Chiara Rizzi
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circostante e della natura, ovvero il loro carattere auto-organizzato e organizzativo. È per questo che occorre sostituire un termine più ricco ed esatto, quello di ecosistema.» (Morin, 2007). Il concetto di “ecosistema” fu coniato dall’ecologo inglese Arthur Tansley nel 1935 per identificare una porzione di biosfera in cui vivono determinate specie che interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante. L’ecosistema include quindi l’ambiente fisico (biotopo), l’insieme delle specie viventi (biocenosi) e le relazioni che tra essi si verificano. L’affermazione di tale concetto è stato fondamentale per passare da una scienza ecologica ad una coscienza ecologica. Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta dello scorso secolo, infatti, l’ecologia ha smesso di essere semplicemente una disciplina scientifica per diventare un fatto culturale. L’aggettivo ecologico - oggi fin troppo abusato - per effetto della presa di coscienza del degrado ambientale, è entrato nella quotidianità delle nostre scelte individuali e collettive; esso fa ormai parte della nostra sensibilità reale o presunta. In questo profondo mutamento culturale sono state coinvolte anche discipline un tempo ritenute distanti, se non addirittura in contrapposizione, rispetto all’ecologia. Nell’ambito delle discipline urbane la cosiddetta “Scuola di Chicago” ha svolto un ruolo pionieristico per quel che riguarda l’uso delle teorie e dei concetti propri dell’ecologia per descrivere le funzioni e la struttura della città (Hawley 1944; Park &Burgess 1967). Il primo vero tentativo di integrare le scienze urbane attraverso un approccio ecologico risale al programma MAB (Man and the Biosphere Program) avviato dall’UNESCO negli anni ’70. Ad oltre quarant’anni di distanza, una reale integrazione tra le scienze naturali, quelle sociali e l’urbanistica è ancora una tutta da costruire: «Each of these sciences utilizes different terminology, paradigms, and methodologies and encompass different goals and objectives, thus resulting in an assortment of definitions and meanings for the term urban ecology.» (Niemelä, 2011). L’ecologia, così come sostenuto da M. Mostafavi nella sua introduzione all’Ecological Urbanism Conference, rappresenta sia una condizione sia un’opportunità per costruire nuove strutture organizzative in ambito urbano. La questione è cruciale. «Nel 1950 meno di un terzo della popolazione (il 29%) era urbano. Oggi, a distanza di poco più di mezzo secolo, metà della popolazione mondiale vive in città. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, nel 2030 il tasso di urbanizzazione dovrebbe superare il 60%.» (Véron, 2008) Declinare, e non semplicemente trasporre, il paradigma dell’ecosistema nei contesti urbanizzati vuol dire strutturare un nuovo paradigma, quello cioè dell’ecosistema urbano, inserendolo in un nuovo framework concettuale che implementi, ridefinisca e includa differenti strumenti, approcci e concetti, tra cui: human ecosystem model (Pickett et al. 2001, 2008), urban avoiders and adaptors model (McKinney 2002, 2008), ecosystem services (Bolund & Hunhammar 1999; Jim & Chen 2009), sustainability (Newman & Jennings 2008) and resilience (Berkes & Folke 1998, Alberti&Marzluff 2004, Pickett et al. 2004). Già nel 1978 Nicoletti, pur riconoscendo l’ambiguità della citta in termini ecologici, scriveva che «l’organizzazione delle comunità umane nel territorio è tout court un problema di organizzazione urbana (…) Pertanto, in una visione ecologica della realtà si può soltanto dire che la città è un “maggiore significativo addensamento umano” entro una struttura più vasta, continua, evolutiva: uno spazio-tempo antropizzato, il cui solo possibile campo strutturato di riferimento è l’ecosistema globale (…) Solo in funzione di una visione globale la città diviene, potenzialmente, un ecosistema. » (Nicoletti, 1978) La differenza fondamentale tra l’ecosistema-città e un qualsiasi altro ecosistema naturale è che il suo bilancio tra le risorse e le energie in entrata e quelle in uscita risulta essere sempre squilibrato. Tale squilibrio è connaturato al modello con cui le città si sono sviluppate nel XX secolo, caratterizzato da un metabolismo ad alto consumo di energia e risorse e ad elevata produzione di scarti. Nell’ecosistema urbano il termine scarto va inteso nel suo senso più ampio, e cioè come il sottoprodotto, il residuo di tutte le attività umane. In questa logica sono scarti della città non solo gli avanzi dei cicli produttivi e delle risorse che servono al suo sostentamento, ma anche qualsiasi “materiale” di cui essa si compone e che ha perso valore e/o significato. Gli scarti della città moderna (quella cioè che la contemporaneità eredita dal secolo appena trascorso) sono ad esempio gli edifici e le aree industriali dismesse, l’immenso patrimonio immobiliare inutilizzato, gli spazi residuali, le infrastrutture abbandonate o sottoutilizzate. Ristabilire un equilibrio nell’ecosistema urbano vuol dire, quindi, non solo ridurre i flussi di materia ed energia in entrata, ma anche reimmettere gli scarti della modernità in un nuovo ciclo di vita della città.
Urban Reload_Rovereto Urban Reload_Rovereto è un laboratorio sperimentale attraverso il quale s’intende declinare la ricerca sull’ecosistema urbano nel contesto specifico di Rovereto. Come anticipato nella prima parte di questo contributo, la Rovereto di fine Ottocento è una città moderna, non tanto in termini cronologici, quanto in termini ideologici. Essa è infatti in quegli anni una città moderna nel senso che J. Baudrillard attribuisce la termine di modernità, è cioè una città che fa della crisi un valore, che trasforma se stessa interpretando le aspettative e le aspirazioni dei suoi abitanti. Una città che traduce il paradigma dell’industrializzazione in una struttura urbana resa efficiente dalle infrastrutture e funzionale dalla Chiara Rizzi
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netta distinzione tra le sue parti. Un modello che, pur adeguandosi ed adattandosi al mutare dei tempi e delle esigenze, non poteva che rivelare tutta la sua inadeguatezza nel momento in cui ad andare in crisi è stato lo stesso paradigma che lo aveva generato. È così che le infrastrutture hanno prodotto residui e le architetture e gli spazi della città moderna, svuotati delle loro funzioni, sono diventati degli scarti, degli “ex”. La Rovereto di oggi è dunque una città di “ex”. Una città, cioè che deve fare i conti con gli scarti del suo passato più o meno recente. Ex-Manifattura Tabacchi, ex-Meccatronica, ex-Peterlini, Ex-ANMIL, ex- Alpe, ex-Cofler, sono soltanto alcuni dei capisaldi che un tempo definivano l’assetto strutturale di una città il cui sviluppo è stato determinato dalla sua vocazione produttiva. La città s’interroga da diverso tempo sul destino di questi edifici, nella consapevolezza, diffusa tanto tra gli amministratori quanto tra i cittadini, che il futuro della città non può prescindere da una seria riflessione su questo tema. Nel corso degli anni sono stati banditi diversi concorsi di progettazione ed elaborati numerosi progetti per queste aree, tra questi quello della ex-Manifattura Tabacchi a Borgo Sacco e quello della Meccatronica a ridosso della stazione sono forse gli esempi emblematici. Entrambi, infatti, pongono questioni che vanno ben oltre la semplice rifunzionalizzazione e/o riqualificazione. Se la qualità degli interventi è un elemento imprescindibile per restituire queste aree alla città, altrettanto fondamentale è il rapporto che questi stesse aree sono in grado di stabilire con essa. Non della semplice sommatoria di singoli interventi può trattarsi. È infatti necessario che Rovereto ridefinisca le sue relazioni interne ed esterne a partire dalle nuove condizioni venutesi a creare con la perdita della sua identità di città della produzione. Accanto ai grandi progetti di nuovi dispositivi urbani che si innestano sulle preesistenze reinventandole – un esempio per tutti è il progetto della Manifattura Tabacchi di Kuma e Ratti – la città, insieme all’Università di Trento e ad altri partners pubblici e privati, ha avviato un secondo livello di riflessione, complementare al primo, che potremmo definire più situazionista e sperimentale. Si tratta di una riflessione che procede per fasi di progressivo avvicinamento alle questioni emergenti. Su queste premesse nasce la proposta di un laboratorio permanente nella città e per la città. Un luogo in cui, attraverso il progetto, si possano smontare e rimontare pezzi di un ecosistema urbano in profonda trasformazione. La prima edizione di Urban Reload_Rovereto, svoltasi lo scorso anno, ha trasformato uno degli spazi della Manifattura Tabacchi in un laboratorio urbano in cui a studenti, ricercatori e professionisti è stato chiesto di elaborare proposte per alcuni “ex” di Rovereto: ex ANMIL, ex ALPE, ex Peterlini. Si è trattato di una vera e propria officina creativa in cui è stato avviato un importante confronto tra amministratori, cittadini e addetti ai lavori. In particolare, la proposta per l’ex Peterlini – un complesso industriale abbandonato da anni e che ha mostrato tutte le sue potenzialità e versatilità durante Manifesta 7, la Biennale di Arte Contemporanea – è basata sull’idea che creare nuove ecologie urbane vuol dire innescare un processo piuttosto che definire forme o tipologie. È per questo che il progetto ha preferito suggerire azioni e tattiche – intese come «risposta immediata a situazioni contingenti, modalità operative che sovvertono un ordine prestabilito» (Ippolito, 2008) – piuttosto che fornire soluzioni certe e cristallizzate. I dispositivi proposti (pedane, diaframmi mobili, percorsi luminosi, strutture leggere e modulari) reinterpretano l’esistente e creano le condizioni per usi e funzioni possibili. Il processo diventa progetto e il programma funzionale diventa strumento di partecipazione attraverso il quale il cittadino si trasforma da semplice fruitore in soggetto attivo della trasformazione dell’ecosistema in cui vive. Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma che sposta l’attenzione dal contenitore al contenuto e alle sue relazioni. (Fig.2)
Figura 2. Ex Peterlini, tattiche e programma. Proposta elaborata durante il workshop di progettazione Urban Reload 01. Gruppo di lavoro: C. Rizzi , A. Ulisse (tutors), M. Cumer, E. Martorelli, T. Sciullo, F.Rinaldi, G. Surdi, S. Tonelli (allievi)
Chiara Rizzi
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Un approccio che la seconda edizione di Urban Reload_Rovereto, che si svolgerà nella prossima estate, eredita e trasferisce ad uno sguardo più ampio sulla città coinvolgendo lo spazio pubblico, ed in particolare il Leno. In virtù del suo sviluppo industriale il rapporto tra la città di Rovereto e il Leno ha subito delle profonde modificazioni. Il processo d’industrializzazione della città non ha prodotto soltanto una trasformazione fisica della stessa, ma ha coinvolto anche il corso d’acqua. I recenti studi condotti dall’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente (APPA) sull’Indice di Funzionalità Fluviale (IFF) dimostrano come il tratto urbano del Leno abbia perso qualsiasi carattere di naturalità. Al di là dello sbarramento di S. Colombano a monte, il corso d’acqua è stato infatti irreggimentato, imbrigliato, derivato, arginato, tanto da trasformarlo in una vera e propria infrastruttura per la produzione ed annullando di fatto la capacità del Leno di fornire alla città qualsiasi altra forma di servizio ecosistemico. La scansione delle infrastrutture che si susseguono in direzione trasversale ha inoltre ulteriormente indebolito il rapporto tra il corso d’acqua e la città. Assi viari e ferrovia hanno segmentato il Leno, un tempo vero e proprio “cordone ombelicale” della città, snaturandone le sue caratteristiche ecologiche e annullando di fatto la sua valenza simbolica e sociale. Ora che le manifatture hanno esaurito la loro funzione e gli edifici produttivi si trasformano in dispositivi urbani, il rapporto tra queste parti di città e il corso d’acqua torna ad essere una questione centrale. Fasce ecotonali, spazi di transizione, bordi, frammenti e residui, questi i materiali su cui lavorare. Recuperare un legame fatto non di subalternità ma d’interrelazione tra la città e l’acqua per c trasformare l’ambito urbano del Leno in un ecosistema, questa la sfida che dovrà affrontare la prossima edizione di Urban Reload_ Rovereto. (Fig.3)
Figura 3. Il Leno, sono particolarmente evidenti le opere di artificializzazione del corso d’acqua e la completa mancanza di vegetazione ripariale. 20 febbraio 2013
Bibliografia
Alberti M., Marzluff j., (2004). “Ecological resilience in urban ecosystems: linking patterns to human and ecological functions” in Urban Ecosystems 7:241-65 Berkes K., Folke C. (a cura di, 1998). Linking social and ecological systems: management practices and social mechanism for building resilience. Cambridge University Press, Cambridge. Bolund P., Hunhammar S., (1999). “Ecosystem services in urban areas” in Ecological Economics 29:293-301 Farina A., (2004). Verso una scienza del paesaggio, Perdisa editore, Bologna Hawley A.H., (1944). Ecology and Human ecology. Social Forces 2: 398-405 Ippolito F., (2008). “Urban Tactics beneath the Volcano” in Guidi E. (a cura di), Urban Makers. Parallel Narratives of Grassroots Practices and Tensions, B_books, Berlino Jim C.Y., Chen W.Y., (2009). “Ecosystem services and valuation of urban forest in China” in Cities, 26: 187-94 McKinney M.L., (2002). “Urbanization, biodiversity and conservation” in BioScience, 52: 883-90 McKinney M.L., (2008). “Effects of urbanization on species richness: a review of plant and animals” in Urban Ecosystems 11: 161-76 Morin E., (2007). L’anno I dell’era Ecologica, Armando editore, Roma Newman P., Jennings I., (2008). Cities as sustainable ecosystems Principle and practices. Island Press, USA Chiara Rizzi
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Nicoletti M., (1978). L’ecosistema urbano, Dedalo, Bari Niemelä J. (2011). Urban Ecology. Patterns, processes, and applications, Oxford University press, New York Park R.E., & Burgess, E.W. (1967). The city, Chicago Press, Chicago Piamarta L., (1986). Rovereto: ricerche di geografia urbana, Editori Manfrini, Calliano. Pickett S.T.A, Cadenasso M.L., (2008). “Linking ecological and built components of urban mosaics: an open cycle of ecological design” in Journal of Ecology 96: 8-12 Pickett S.T.A, Cadenasso M.L., Grove J.M., Nilon C.H., Pouyat V., Zipperer W.C., Costanza R. (2001), “Urban ecological systems: linking terrestrial ecology, physical and socioeconomic components of metropolitan areas” in Annual Review of Ecology and Systematics 32: 127-57 Pickett S.T.A., Cadenasso M.L., Grove J.M., (2004). “Resilient cities: meaning, models and metaphor for integrating the ecological, socio economic and planning realms” in Landscape and Urban Planning 69: 369-84 Vèron J., (2008). L’urbanizzazione del mondo. Il Mulino, Bologna
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Spazi degradati, società diverse e nuovi occhi.
Spazi degradati, società diverse e nuovi occhi Analisi e metodo per un nuovo approccio alla progettazione urbana Valentina Simula Università degli studi di Sassari DADU - Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica Email:simulava@gmail.com
Abstract La tesi che si sostiene è che né la riproduzione di spazi pubblici del passato, né un'attenzione esclusiva alla morfologia, paiano soddisfare le esigenze attuali. Si vuole sostenere come, in una fase storica nella quale è possibile evidenziare repentini cambiamenti sia nelle configurazioni della città sia nelle modalità di appropriazione di essa, un valore invariato e in parte non sufficientemente valorizzato è contenuto in forme nuove di spazio pubblico. Nella fase attuale, dove la globalizzazione, la speculazione internazionale finanziaria e la crisi economica spingono sulla necessità di un rinnovo urbano, non tutti gli attori coinvolti nei processi di trasformazione e gestione della città sono consapevoli della potenzialità che può svolgere un approccio differente alla progettazione e gestione degli spazi pubblici. Ci si concentrerà infine sulla definizione di una possibile metodologia attraverso cui confrontarsi con alcune nuove peculiarità dello spazio pubblico. Parole chiave Spazio pubblico, Città Contemporanea, Capitale Sociale.
Uno spazio pubblico per la città contemporanea? Gli urbanisti, quelli che questo mestiere lo fanno nelle amministrazioni pubbliche e quelli che lo fanno di professione guardando, riflettendo e scrivendo, cercano continuamente di leggere la città e individuare le sue trasformazioni per governarle e qualche volta per anticiparle o indurle. È proprio questa trasformazione della città, questo suo continuo dinamismo che costringe ad aggiornare studi, modificare punti di vista e proporre nuove soluzioni che possano soddisfare i cittadini. È tutto molto semplice, non si può dire. Il moltiplicarsi degli studi, le continue aggettivazioni che accompagnano il sostantivo città, la ricerca di confini fisici variabili, la dimensione che è legata alla qualità, costituiscono un campo esteso che testimonia da una parte la variazione dell’oggetto (la ‘città’) e dall’altro l’attenzione degli studiosi sul fenomeno urbano. Ma gli studiosi non sono ‘neutri’, le loro letture non sono naïve, ma piuttosto carichi di storia, impastati di ideologie, suggeriscono visioni diverse, e proprio perché incidono sul governo della città, costituiscono uno dei motori del cambiamento e anche quando prospettano elementi di conservazione producono innovazione. La città proprio per la sua ‘consistenza sociale’ non si lascia intrappolare, ma propone questioni sempre nuove. Una delle questioni più importanti è proprio quella dello spazio pubblico al quale sono dedicate queste note. Si può affermare che la città ‘è’ il suo spazio pubblico, sia sotto l’aspetto fisico-morfologico, sia sotto quello funzionale-sociale. La ‘tradizione per così dire ci consegna un’immagine consolidata dello spazio pubblico, ma poi si può osservare che questa immagine è “manomessa” dal suo uso sociale e funzionale. La domanda alla quale si vorrebbe contribuire a dare una risposta è: quale spazio pubblico per la città contemporanea?
Uno spazio pubblico ancora da risolvere Già dall’inizio degli anni ’90 è stata dai teorici evidenziata la tendenza allo svuotamento di significato dello spazio pubblico, che può essere interpretata come un processo crescente di distruzione di senso dello stesso. Tale crisi è connessa con quella che viene chiamata da Sennet (2006) la ‘fine dell’uomo pubblico’, teoria in pieno Valentina Simula
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contrasto con l’assioma che l’uomo della polis fosse per sua definizione uomo pubblico dotato di senso civico, capace cioè di propria espressione piena solo nella condivisione all’interno di uno spazio che assume caratteristiche peculiari solo in quanto spazio del cittadino. Lo spazio pubblico non è più il manifestarsi del civis, non più la peculiarità imprescindibile, che scatenando una serie di processi di progressiva appropriazione si caratterizza grazie, non solo alla sua morfologia, ma soprattutto grazie all’uso di chi lo attraversa o vi sosta. Per questa ragione gli spazi urbani appaiono sempre più al centro di una serie pressoché infinta di conflitti, controversie, discussioni, ripensamenti e riletture che tendono in vari modi a farsene carico. Si tratta di un enorme investimento di energie intorno all’articolazione, progettazione, formazione, uso rivendicazione e trasformazione degli spazi pubblici, un lavoro che viene condotto sia in ambiti professionali e tecnici sia in ambiti mediatici, politici e nel dibattito pubblico. Lo spazio pubblico urbano può declinarsi su differenti piani ma sempre possiamo riconoscergli alcune caratteristiche: è delimitato, spazio di riconoscimento collettivo (storico o di manifestazione) ed è indifferente alla tipologia di popolazione che lo occupa. È cioè connotato sia da caratteristiche fisiche (descrivibile morfologicamente, mappabile) sia da caratteristiche normative (è definito da standard e da relazioni statistiche con la popolazione) ma anche (soprattutto?) da caratteristiche d’uso. Quest’ultima categoria fa si che sia necessario confrontarsi con una nuova tipologia di spazio pubblico, non quello normativamente stabilito e di cui, con processi di progettazione urbana spesso automatici, si deve preoccupare la pubblica amministrazione ma anche quegli spazi che sebbene privati hanno la caratteristica di uso pubblico. Nell’attuale stato dell’evoluzione urbana questi non sono spazi marginali, ma piuttosto, in taluni casi, gli unici o i più frequentati. Potremo scegliere di definire lo spazio pubblico come qualunque spazio dove gli utenti sono inattesi, utilizzano un “diritto d’accesso” che è insito nell’essere li, hanno rapporti casuali e sono fra loro estranei. È lo spazio dei percorsi e delle interazioni accidentali ma questo non limita (anzi) la sua capacità di essere portatore e costruttore di contenuti (culturali, sociali e politici)che rendono sapido e non banale il senso stesso della città. Raccogliendo in una le caratteristiche sopra accennate possiamo definirlo come uno «spazio di rappresentazione simbolica» (Torricelli: 2009, p.16). È, storicamente rappresentazione della capacità di influire sul governo della città, attraverso ‘l’assemblea’, e quindi di rappresentare simbolicamente la città. Se la piazza1 è stata scena delle celebrazioni collettive attraverso cui una moltitudine di singoli si trovava a costruire attraverso queste celebrazioni differenti forme di comunità da rappresentare di volta in volta alle istituzioni, e attraverso questo sempre più in molte occasioni si ritrovava a rappresentare gli interessi e le rimostranze di tale società e a confrontarsi2 con il potere. Proprio in quanto luogo del confronto e della rappresentazione lo spazio pubblico diventa lo «specchio del potere» (Torricelli: 2009, p.17) dove la città dovrebbe essere rappresentata fisicamente dalla pubblica amministrazione ma ‘spiritualmente’ da una popolazione che può essere dissenziente, (ma sempre senziente?) ma che trova in questo spazio la possibilità di esprimersi.
Spazi ereditati e nuovi L’urbanistica del secolo XIX introduce la distinzione giuridica fra spazio privato e spazio pubblico, regolarizzando gli usi edificatori, pubblici e privati, al fine di garantire gli spazi pubblici e la diversità di funzioni e uso collettivo che in tali spazi possa svilupparsi. Alla fine del secolo, la necessità di intervenire sopra la città industriale, sia per rinnovarla che per estenderla, darà luogo a politiche urbane attive per costruire spazio pubblico. Le esperienze di metà secolo possono essere lette come la necessità di ordinare la città intorno agli spazi pubblici, elementi principali tanto del sistema delle strade, piazze o monumenti (cfr Hausmann) o come l’organizzazione di una trama (reticolare) che distingua in pieni e vuoti, in cui si alternano spazio pubblico e spazi privati residenziali (cfr Cerdà). L’eredità del modo di fare urbanistica di questo periodo ci dota di uno spazio pubblico che in alcuni casi è un elemento specializzato3 ma che spesso è talmente dotato di riconoscibilità da arrivare ad identificarsi con la stessa forma della città e essere rappresentativo della sua totalità. Nelle città non solo sono avvenute variazioni della componente normativa, ma sono cambiate le pratiche di appropriazione, in molti casi i soggetti si sono modificati, sia nelle loro richieste sia nelle loro composizioni e, di conseguenza, la ‘cultura’ della città ha subito delle variazioni significative. Queste si sono però inserite, già dagli anni ’80, in un sistema di interessi economici4 che ha spesso fatto perdere di vista il cambiamento profondo, non 1
Spazio pubblico per eccellenza, preso qui solo a titolo esemplificativo. Spesso con azioni violente, e in molti casi assumendo nel colloquio dimensioni sovralocali, si pensi alla ben nota immagine di piazza Tienanmen del 4 Giugno del 1989, censurata dal governo Cinese ma nota in tutto il mondo. 3 L’Eixample è Barcellona, per capire la sua capacità rappresentativa sufficiente osservare le cartoline che vengono proposte ai turisti, insieme ai beni posizionali della città è ‘l’oggetto urbano’ più fotografato. 4 Non si intende qui sostenere che le logiche speculative compaiano negli anni ‘80, quanto piuttosto che a questi e alla volontà privata e particolare si siano cedute porzioni di progettualità pubblica, quasi si fosse attuata una cessione del potere di governare le trasformazioni del territorio a imprenditori e progettisti. 2
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solo morfologico, che gli spazi pubblici urbani stavano subendo. Tale cambiamento è frutto di un nuovo orientamento della trasformazione urbana, considerata nei suoi processi strutturali ma influenzata da un recente approccio alla politica e alla socialità, che ha sempre più tenuto in considerazione la città fisica a discapito di chi vive la città. Si è costruito un divario sempre più grande fra governo pubblico e intenzionalità collettiva e le ragioni sono tante: in parte sono legate al non ruolo della pubblica amministrazione e dall’altra all’assenza di una funzione di controllo della collettività, legata anche alla perdita di senso del ruolo civico di ogni cittadino. Sempre più infatti l’uomo moderno e contemporaneo ha smesso di essere, e di vedersi, come componente di una collettività e sempre più ha rafforzato la sua singolarità. La spesso proclamata efficienza privata diventa un elemento che su due aspetti influisce sulla forma della città e sullo spazio pubblico (Indovina, 1993). La supposta incapacità (economica e di volontà) pubblica di gestire, promuovere e realizzare processi di trasformazione determina il consenso verso gli interventi privati, che spesso appaiono “generosi” nei confronti della città, in quanto sembrano fornire a questa: aree verdi, spazi con funzioni pubbliche (spazi privati ad uso pubblico) e consistenti oneri di urbanizzazione5 all’Amministrazione Comunale. Questa cessione al privato del ridisegno degli spazi pubblici ha fatto perdere alla trasformazione della città e del territorio il suo ruolo collettivo, unito alla convinzione crescente che lo sviluppo della personalità individuale sia l’unico elemento di crescita personale. Si è a lungo ipotizzato che il trasferimento al privato di queste scelte fosse nell’interesse della collettività sebbene siano state manifestazione di una disarticolazione sociale; si è persino tentato di nobilitare queste ‘occasioni’ nonostante la loro tendenza a ignorare in larga misura gli interessi comuni (Indovina, Simula, 2013). È inoltre ipotizzabile Il declino della cultura pubblica strettamente legato alla percezione che sebbene ci sia singolarmente inaccettabile lo stato di alcune ‘situazioni urbane’ la possibilità, e l’opportunità, di affrontarle attivamente e collettivamente appare nel migliore dei casi inutile, e nel peggiore insopportabile, in quanto deleterio rispetto alle nostre aspettative di singoli. Si consuma all’interno della città una metamorfosi, che modifica ed esteriorizza ciò che le appartiene (o dovrebbe appartenerle), rimescolando le carte, ridefinendo e riqualificando spazi, finendo con modificarne gli usi (e gli utenti) connotandoli di significati “altri” rispetto a quelli abituali. Nel processo di utilizzo, interpretazione e significazione della città e dei suoi spazi, le popolazioni lasciano depositi e tracce che parlano del loro modo di essere, del loro rapporto con il tempo, dei loro eventuali legami identitari ed è così che rimangono delle tracce più o meno permanenti ed evidenti che possono tradursi in modificazioni di senso dello spazio. Restituendo alla contemporaneità qualcosa “altro” di ancora diverso rispetto al passato. La spazialità dello spazio pubblico in tal senso, non è semplicemente estensiva ma anche e soprattutto intensiva, è una spazialità vitale. Lo spazio pubblico è stato definito come lo spazio dell’appartenenza (Arendt, 2001) ed esso dovrebbe essere il luogo dove ci si incontra con se stessi e si incontra il proprio posto attraverso gli occhi degli altri, è uno spazio di corporalità totale, uno spazio di dialogo e di interscambio (Cicalò, 2009). Ma gli spazi che abbiamo sotto gli occhi non sono più totalmente riconducibili a queste caratteristiche. Il cambio di morfologie della città, da una parte fa si che sia difficile trovare degli spazi di rappresentazione di una comunità politica in tessuti urbani che spesso non sono frutto di scelte collettive e armonizzate da un governo del territorio e dall’altra la mancanza di vitalità dello spazio pubblico urbano è da collegare a quello che può essere chiamato un fenomeno crescente di individualizzazione, come esposto da Bauman (2006). La crisi dello spazio pubblico si origina quindi da alcuni fattori quali: il prevalere della proprietà immobiliare, connesso a una crescita non governata della città; la priorità assunta, sia per il pubblico che per il privato, alla costruzione di residenze; l’occupazione esclusiva da parte della mobilità meccanica di uno spazio, ormai definibile come mera area di circolazione; Una tendenza alla specializzazione spaziale di tipo funzionale con perdita della mixitè; il senso di insicurezza nella città, la perdita di valore della politica attiva; i cambiamenti negli stili di vita e nelle abitudine dei cittadini. Di conseguenza, per salvare o recuperare lo spazio pubblico si è tesi a convertirlo in elementi specializzati, una dotazione ulteriore della città (e non più un attributo narrante) che di volta in volta assume connotati differenti, caratterizzati da monovalenza e ‘segregazione’: uno spazio per i bambini, uno spazio per i cani, uno per parcheggiare, uno monumentale… Così lo spazio pubblico perde due delle sue funzioni fondamentali, funzioni che si situano su due scale differenti, dalle quali derivano alcune delle sue potenzialità: 1. Dare forma e senso alla città nella sua totalità6,; 2. Ordinare le relazioni fra le componenti fisiche dell’urbano7 in ogni area della città.
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Ma questo è un falso apporto economico alle casse esangui delle pubbliche amministrazioni, che devono comunque affrontare il costo di investimenti pubblici per rendere funzionali queste aree, nonché procedere alle necessarie varianti ai Piani. 6 Sia garantendo percorsi e elementi di continuità sia per far risaltare le peculiarità degli edifici, fra differenti isolati e le aree urbane. 7 Edifici, equipaggiamenti, monumenti, strade, aree di transizione e spazi aperti. Valentina Simula
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Se non nuovi spazi…nuovi approcci Come si è esposto, non solo i nuovi spazi pubblici8 non sono capaci di rappresentare le istanze della popolazione ma spesso non esiste la richiesta di questa rappresentazione, essendosi contratta la volontà di vita pubblica a favore di una vita più singola. Forse nel passato era necessario all’uomo trovare spazio per difendere la propria autonomia dalle possibili influenze dello Stato, ma attualmente si può registrare la necessità di trovare nuovi sistemi per confermare la valenza e la necessità dello spazio pubblico urbano. La nostra è un epoca in cui non solo si fugge dalle manifestazioni di interesse collettivo ma soprattutto si è estremamente centralizzato il ruolo del singolo, a discapito di una visione civica, di condivisione e scontro, ma di reale costruzione collettiva. Le reti si sono disintegrate, sfilacciandosi in reti virtuali e in realtà prive di manifestazione urbana, le relazioni fra uomini e donne si modificano con velocità e si adattano ‘liquidamente’ alle forme e ai modelli globali, ma la progettazione urbana non può essere fatta con queste modalità. Si sostiene che nella fase attuale, dove globalizzazione, speculazione finanziaria (anche di tipo internazionale) e crisi economica spingono alla necessità di un rinnovo urbano (Cecchini, in stampa) non si sia dato sufficiente valore al capitale sociale, o come si preferisce chiamarlo, alla «risorsa civica» (Simula, 2012). Tale metodologia di lettura consente di stabilire un nuovo approccio alla progettazione urbana, e potrebbe rivelarsi utile nel campo della scelta fra opzioni differenti, problema sempre presente nelle pubbliche amministrazioni. La ‘risorsa civica risulta da una parte disponibile a tutti e illimitata e dall’altra si confronta con una ‘democratica’9 possibilità effettiva di accesso, rivelando l’esistenza di vincoli culturali e sociali. Essa stessa contiene nella sua definizione la possibilità di assorbire e integrare i modi diversi di vivere la città e di dare a ogni cittadino la possibilità di esprimersi, attraverso le sue scelte e le sue differenze e mediante il contrasto con altri cittadini, produttivo di conoscenza, occasioni e opportunità. L’uso della ‘risorsa civica’ opera un traslato in cui non è né il mercato né lo status sociale a indirizzare le possibilità del soggetto (non più in quanto singolo ma in quanto legato a altri cittadini da relazioni e da scelte casuali) a possedere le capacità˗possibilità di accedere a quote di risorsa in quanto abitante di uno spazio urbano. La vita urbana costituisce infatti un habitat fecondo con capacità inclusive ma anche rispettose delle autonomie individuali, ma in questa autonomia la partecipazione alla vita urbana aumenta la stessa fecondità. La città è un organismo complesso, in cui le relazioni fra pubblico e privato sono delle componenti essenziali, e dal punto di vista che qui interessa è la combinazione fra questi elementi a rendere più ricca la ‘risorsa civica. Ma anche l’atteggiamento personale influisce nella determinazione di alcuni aspetti della ‘risorsa civica. L’atteggiamento positivo alla relazione è un grande fattore che accresce la risorsa; si può dire, che le esperienze personali, la cultura, l’educazione, la collocazione sociale, sono determinanti nel definire come ciascuno si pone di fronte alla relazione con gli altri.10 Esistono alcune componenti della città che alimentano questa risorsa e si ritiene che per un approccio differente alla gestione degli spazi urbani sia utile considerarle come possibili elementi di progettazione che aumentano la risorsa civica (e di conseguenza la qualità della vita urbana). A titolo esemplificativo possono essere: lo ‘spazio pubblico’ di relazione, che si declina in modo diverso nelle diverse situazioni; gli ‘spazi per accrescere la propria cultura e conoscenza’ in quanto costituiscono anche essi opportunità di relazione; la ‘pluralità’, come presenza normale e convivenza di culture, età, religioni diverse costituisce un potente strumento di trasmissione. la ‘possibilità di partecipazione politica e democrazia autogestita’, come elemento costitutivo e non eccezionale di una comunità, è una delle forme fondamentali di costruzione della cittadinanza; le ‘opportunità di lavoro’ intese come la possibilità attraverso l'attivazione di contatti diretti o indiretti (nuclei o legami della ‘rete’) di modalità di accordo per ottenere/gestire/produrre occasioni di occupazione11 La risorsa civica è fondata su un complesso e intricato sistema di relazioni che si sovrappone alla struttura fisica e sociale della città, ne utilizza le potenzialità e genera qualità12. Quello che, in sostanza, si intende dire è che un’attenzione di governo, un processo di educazione sociale, una capacità di integrare circoli chiusi e relazioni 8
Quelli delle nuove forme urbane, ma anche quelli privati a uso pubblico e persino quelli tecnologici (web). L’accesso non è legato a vincoli amministrativi o politici, ma solo alla sua natura civica. 10 Si ritiene utile un esempio: i ragazzi e le ragazze che vanno per strada e in piazza e con dei cartelli offrono “una abbraccio gratis” a chi volesse, accrescono la “risorsa civica» con una relazione casuale ma intensa che spinge verso la comprensione dell’altro. Un cartello appeso ad un negozio che dice “non si danno informazioni”, sebbene giustificato da un’alta intensità turistica, abbassa la “risorsa civica» e tende a monetizzare ogni rapporto. 11 Per una più completa trattazione si veda Simula 2012. 12 Non si è considerata la “rete” informatica, sia perché essa travalica la dimensione urbana, sia perché essa genera questioni di notevole portata tali da generare specifiche ricerche. Resta inteso, tuttavia, che essa debba essere considerata non come una estraneità, ma come un ulteriore occasione di relazione e in quanto tale non di poco influenza ma si sottolinea che per quanto venga denominata spesso come “piazza virtuale” non possiede molte delle caratteristiche necessarie dello spazio pubblico. 9
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aperte13, è possibile anche in una città media e grande purché questa risorsa non venga abbandonata a se stessa e non venga ignorata. E come se fosse una miniera dalla capacità infinita e dalla molteplicità dei prodotti nella quale ciascuno secondo propria capacità e attitudine prende quello che può e sa, ma che contemporaneamente cresce utilizzandole sempre al meglio, senza per questo ostacolare gli altri, ma al contrario, fornendo loro sempre nuovi strumenti e conoscenze. Non si tratta di un punto di vista banalmente ottimista sulla città, tutt’altro, ma di un punto di vista che coglie la grande potenzialità della condizione urbana (in tutte le sue forme e dimensioni), ma che richiama la responsabilità di governo urbano per esaltare queste possibilità.
Bibliografia Arendt H. (2001), Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano. Bauman Z. (trad. it. 2006), Modernità Liquida, Laterza, Bari. Cecchini A. (in stampa), “A great work: renovatio urbis in the age of globalisation”, in Maciocco G. Johansson M, Serreli S. (eds) City Project. Public Space, Springer. Cicalò E. (2009) Spazi pubblici. Progettare la dimensione pubblica della città contemporanea, Franco Angeli, Milano. Indovina F. (a cura di, 1993), La Città Occasionale. Firenze, Napoli, Torino, Venezia, Franco Angeli, Milano Indovina F., Simula V. (2013) “Sempre città occasionale”, in Inforum n. 40/41 Aprile-Settembre 2012 Informazioni sulla Riqualificazione urbana e territoriale, pp. 13 – 17. Sennet R. (trad it 2006), Il declino dell’uomo pubblico, Mondadori Bruno, Milano Simula, V. (2012), tesi dottorale dal titolo “Dal capitale sociale alla Risorsa civica: da un’analisi critica a una nuova proposta”. Torricelli G.P.(2009), Potere e spazio pubblico urbano. Dall’agorà alla baraccopoli, Academia Universa Press, Firenze.
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Tipiche di una piccola comunità, dove tutti fanno parte dell’unica o delle poche rete di relazioni, e per questo si sentono, integrati, se del caso difese, e trovano negli altri processi di solidarietà.
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Una strategia per la costa urbana calabrese
Una strategia per la costa urbana calabrese Antonio Taccone Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento Patrimonio, Architettura, Urbanistica Email: ataccone@unirc.it Tel 0965.32.22.205
Abstract Il paper proposto vuole porre l’accento su come una strategia per le coste, che coniughi bene sviluppo del territorio, risorse culturali e la tutela dell’ambiente, sia necessaria per mettere a punto un diverso modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità degli interventi e sulla salvaguardia del patrimonio puntando sulla crescita culturale. L’obiettivo da perseguire è quello di innescare processi strategici di trasformazione dei paesaggi di costa caratterizzati dalla più rigorosa salvaguardia delle risorse, da una accurata tutela degli ambienti costieri ancora integri e da una corretta riprogettazione dell’esistente, nella convinzione che la costa calabrese, per la sua assoluta peculiarità di paesaggio -caratterizzato da una commistione tra una fascia litoranea di notevolissima estensione e un patrimonio insediativo la cui sedimentazione storica e culturale testimonia una convivenza millenaria tra uomo e mare- e il suo portato di cultura, merita un progetto ambizioso. Parole chiave Coste, Risorse, Luoghi di relazione L’idea di base è quella di ricercare e mettere a punto un diverso modello di sviluppo, puntando sulla crescita culturale, fondato su una strategia per le coste basata sulla sostenibilità degli interventi e sulla salvaguardia del patrimonio che riesca a coniugare bene sviluppo del territorio, risorse culturali e tutela dell’ambiente. La costa calabrese, per la sua assoluta peculiarità di paesaggio -caratterizzato da una commistione tra una fascia litoranea di notevolissima estensione e un patrimonio insediativo la cui sedimentazione storica e culturale testimonia una convivenza millenaria tra uomo e mare- e il suo portato di cultura, merita un progetto ambizioso. Una strategia per la costa dovrebbe dunque prioritariamente perseguire l’obiettivo di innescare processi di trasformazione del paesaggio di costiero attraverso una rigorosa salvaguardia delle risorse primarie, una accurata tutela degli ambienti costieri ancora integri e una corretta riprogettazione dell’esistente, prima di tutto nelle parti gravemente compromesse. La fascia costiera mediterranea, accomunata da caratteristiche climatiche e da una storia di traffici commerciali marittimi, ci mostra un paesaggio costiero in cerca di equilibrio tra tutela della natura, evoluzione del turismo e sviluppo urbano delle città e questo ha fatto si che i processi di urbanizzazione si siano concentrati sempre più lungo le coste che, come anche quelle calabresi, oggi si presentano come un continuum urbano costituito da porti, insediamenti balneari e città di diverse dimensioni. Tutto ciò ha costituito un sistema urbano e territoriale unico dove gli spazi naturali e semi naturali ancora esistenti si pongono come cerniere, a volte di connessione e a volte di separazione, fra le aree urbane. Le politiche territoriali hanno finora prestato poca attenzione alle conseguenze degli sviluppi lineari lungo la costa, come gli effetti negativi sulla qualità delle acque del mare così come sulla qualità della vita nelle zone costiere e la frammentarietà di questa particolare fascia in diverse entità di governo, ognuna dotata di una diversa razionalità pianificatoria ha fatto si che la gestione e la protezione sia stata raramente indirizzata verso un sistema ampio considerando sia la fascia marina che la fascia terrestre. Bisogna ormai orientare gli sforzi in modo che ogni decisione di sviluppo prenda in conto gli effetti possibili sulle aree contermini così come sullo sviluppo sostenibile collettivo a lungo termine. Una strategia di gestione integrata della zona costiera è fondamentale per l’armonizzazione degli obiettivi di sviluppo della costa e strumenti come i piani d’area vasta possono in questo caso venire utilizzati per perseguire azioni coordinate fra i diversi livelli di governo.
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Una strategia per la costa urbana calabrese
Nel particolare, il territorio costiero calabrese è geograficamente ben definito e particolarmente denso di emergenze che singolarmente costituiscono degli elementi di valore ma che nel loro insieme, se pensate come sistema, possono esprimere, attraverso una progettazione integrata, potenzialità di eccellenza per lo sviluppo culturale, identitario ed economico. È costituito da un sistema insediativo che si incardina sui centri costieri e si sviluppa nelle relazioni con i centri pedemontani e che presenta un insieme articolato di luoghi cospicui quali: i luoghi della memoria, rappresentati dal sistema delle fortificazioni delle torri costiere e dei castelli nonché dalle aree archeologiche; i luoghi della produzione che costituiscono una rete unica nei rapporti col territorio ed hanno instaurato nel tempo con l’ambiente un sistema equilibrato nell’uso delle risorse che oggi non deve andare disperso, ma che ha bisogno di interventi mirati a conseguire forme di sviluppo sostenibile; i luoghi del turismo, che interessano l’intero ambito; il sistema delle risorse ambientali e paesaggistiche articolato in un insieme di luoghi cospicui quali il sistema costiero roccioso, l’ecosistema marino e il sistema delle spiagge. La Calabria ha vissuto negli anni ’70 un periodo di sviluppo dovuto ad una crescita economica che ha portato ad un utilizzo improprio delle risorse, soprattutto delle sue coste, dove la domanda pressante di edificazione ha trovato il suo campo di applicazione sia nelle zone urbane che in quelle fino allora non edificate. Ne viene fuori un quadro che alla piccola scala individua ambienti ormai compromessi e tratti di costa che conservano ancora peculiarità e paesaggi ben visibili e di pregio, mentre la grande scala ha comunque mantenuto la caratteristica di unicità di paesaggio anche se spesso interrotta da caratteri episodici. Oggi, grazie ad un differente approccio culturale e sotto la spinta di strumenti di governo del territorio innovativi, ci troviamo nelle condizioni in cui è possibile il recupero e il restauro del territorio attraverso l’individuazione di strategie e progetti che riescano ad introdurre una qualità dello spazio connettivo di costa e l’introduzione di servizi di tipo culturale. L’ Accordo di programma quadro Emergenze Urbane e Territoriali, Programma di intervento del Dipartimento Urbanistica e Governo del Territorio della Regione Calabria, che rappresenta un documento di indirizzo regionale, orienta lo sviluppo urbano costiero -dichiarando un abbandono dei modelli di intervento “insostenibili”- verso “misure idonee alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio di risorse e valori paesaggistici ancora integri lungo le coste calabresi, che necessitano di un piano articolato di interventi di ricomposizione e riqualificazione e di riordino della fisionomia del sistema costiero nel suo insieme, in grado di comprenderne la continuità della naturalità, il recupero ed il riordino degli insediamenti”. Si tratta di elaborare strategie a grande scala che possano innalzare la qualità delle componenti paesaggistiche presenti, come le coltivazioni di pregio e le particolari morfologie del territorio tese alla salvaguardia -si pensi ad esempio ai terrazzamenti della Costa Viola, al sistema dei calanchi e agli oliveti di Gioia Tauro-, ma anche interventi alla scala urbana quali la riqualificazione dei centri urbani storici presenti lungo la costa, interventi diretti alla mobilità principalmente pubblica con percorsi e itinerari per il tempo libero, passeggiate e percorsi ciclabili, piani del verde, del colore ecc. Abbiamo visto come alcuni interventi, già realizzati e considerati di successo come il lungomare del capoluogo reggino, hanno permesso la riqualificazione dello spazio pubblico e la costruzione di una identità oltre che centralità urbana. Dunque bisogna indirizzare il senso della progettazione verso interventi che riescano a ristabilire delle funzioni pubbliche sulla costa, principalmente funzioni come quelle dedicate ad un turismo consapevole, alla cultura e alla comunicazione, richieste dal progresso delle comunità.
Figura 1. Morfologia della fascia costiera dello Stretto, di Maria Rosaria Bellissimo, Le promenade come strategia di valorizzazione della fascia costiera del Mediterraneo, Tesi di dottorato in PPCM, 2012 Antonio Taccone
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Una strategia per la costa urbana calabrese
Alla scala urbana, un possibile elemento capace di connettere e far funzionare spazi altrimenti sconnessi può essere rappresentato dalla promenade urbana, basata sul modello storico delle promenade, il parco-passeggiata che si sviluppa lungo uno spazio lineare, dove risulta privilegiato ed enfatizzato il tema del percorso e dell’andare. La scelta della distribuzione delle sequenze spaziali e delle modalità di movimento del fruitore può costituire il principale indirizzo progettuale. Questo apre ad una assoluta libertà di tema, di scala e di soggetti: il ridisegno, con prefigurazioni di trasformazioni più o meno radicali operate attraverso la costruzione di nuovi spazi o collegamenti (percorsi e itinerari per il tempo libero, con passeggiate e percorsi ciclabili) che diventano elementi di connessione tra le parti urbane, tende ad attribuire o restituire condizioni più elevate di qualità urbana, nel rispetto dei principi della sostenibilità ambientale; incide profondamente oltre che sugli equilibri e sulla dislocazione spaziale delle funzioni, anche sui processi di creazione di nuovi luoghi, nuovi spazi pubblici che possano trasmettere significati di appartenenza e formare una identità collettiva. Questi nuovi spazi devono essere in linea con la nuova coscienza culturale espressa dal territorio e volti alla valorizzazione culturale attraverso la realizzazione di ecomusei, di percorsi naturali, di aree sperimentali didattiche, di cantieri scuola con possibilità di esperienze di ricostruzione dei muretti a secco, ecc…, che potrebbero consentire la realizzazione di strategie di promozione del “prodotto paesaggio costiero”, nell’ottica di un processo generale di sviluppo, in un equilibrio tra competitività economica e compatibilità ambientale, in cui il legame degli abitanti e dei fruitori con le loro coste ricopre un ruolo fondamentale. La promenade puó considerarsi una vera strategia unitaria del territorio sulla tematica dello sviluppo (culturale, servizio e turistico) finalizzato a garantire la connessione tra i centri urbani, il sistema delle spiagge e gli spazi pubblici, anche perché la promenade urbana così intesa collega fisicamente oltre che visivamente i segni territoriali preesistenti e mette in rete le presenze storiche culturali con tutte le altre attività umane presenti.
Figura 2. Progetto promenade, di Maria Rosaria Bellissimo, 2012.
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Una strategia per la costa urbana calabrese
Questo è perfettamente in linea con le numerose esperienze internazionali di integrazione tra il settore culturale e i settori ad esso connessi, soprattutto nei centri dell’Europa continentale (Rotterdam o Bilbao), perseguite attraverso una specializzazione territoriale dove parti del territorio diventano il luogo privilegiato per l’insediamento di strutture culturali come musei, spazi espositivi, teatri. Tutte queste esperienze hanno fatto si che nascesse una politica integrata basata sulle risorse culturali come strategia di sviluppo locale. Anche in Calabria si sta attuando una politica di intervento sul patrimonio culturale regionale realizzando una serie di “distretti culturali” come ambiti di promozione dello sviluppo integrato, politica che appare una delle possibili linee strategiche per la promozione dello sviluppo economico, con l’obiettivo di attuare una politica di intervento sul patrimonio culturale regionale. La ricerca di politiche innovative nel territorio calabrese deriva da un bisogno implicito, quale è quello di valorizzare e promuovere un uso culturale e sociale delle risorse presenti e scaturisce da due ordini di considerazioni che tengono conto delle tensioni progettuali che storicamente contraddistinguono questa area. La prima è fondata sulla ricchezza di valenze di eccellenza presenti nelle aree di costa, ad oggi poco valorizzate, nonché dalla prossimità con altri elementi di richiamo come i Parchi e le Riserve e con le quali ad oggi non esistono relazioni tali che possano far parlare di un vero e proprio sistema di servizi. La seconda nasce dalle difficoltà di attuare una progettazione unitaria che riesca a definire quest’ambito come sistema di unità, antropica e ambientale superando il clima di episodicità. Infatti, alle politiche di distrettualizzazione vengono riconosciute tra le funzioni più importanti quella della comunicazione dell’identità locale attraverso la capacità di mettere in rete nel territorio le sue valenze culturali e ambientali. Al tema della valorizzazione delle coste si aggiunge la dimensione strategica delle politiche di rete, attraverso l’individuazione, nel territorio regionale, di “sistemi culturali locali” e della loro capacità di costituire dei veri e propri distretti culturali. Per tali motivi, perseguire una strategia in grado di attivare un processo di valorizzazione del sistema costiero calabrese sembra un disegno vincente. La promozione della cultura attraverso la connessione di nuovi e antichi spazi pubblici dedicati appare di grande interesse per la crescita economica del territorio, sia per le sue caratteristiche socio-economiche che storicamente creano una bassa intensità di capitale ed un’alta componente di attività intellettuale, sia per i suoi forti contenuti simbolici e di identità regionale che connotano i suoi aspetti sociali. Da non sottovalutare anche le ricadute su tutti gli altri settori dell’economia a partire dalle varie forme di turismo (culturale, ricreativo, dei sapori, delle produzioni locali, ecc.), ma anche i positivi impatti della comunicazione museale e della produzione specializzata o dell’artigianato. Queste strategie progettuali per una visione integrata delle coste presuppongono una strategia di gestione, una capacità di incidere sul sistema turistico e una capacità di promuovere lo sviluppo. La prima deve tenere conto della presenza dei diversi attori del territorio come i rappresentanti del sistema istituzionale, le forze politiche, le forze sociali ed imprenditoriali in un iter dove, insieme al decisore tecnico, interviene il decisore politico che definisce gli obiettivi più generali di questo processo. Questo insieme di decisioni origina un sistema complesso che, nella costituzione di un intervento che sia in grado di sorreggere l'economia costiera, presuppone che vi sia un forte consenso e un coinvolgimento dei soggetti più attivi nelle fasi di progettazione e di gestione. L’attuazione di politiche integrate potrà incidere in maniera sostanziale sull’economia locale direttamente o indirettamente connessa ai paesaggi di costa, creando un attrattore culturale nel territorio come punto di riferimento per gli operatori turistici e culturali, anche attraverso la produzione di materiale di ricerca ed informativo che potrà costituire una fondamentale cassa di risonanza per le filiere produttive. La seconda è la capacità di incidere sul sistema turistico e sull’incremento dei flussi, attualmente concentrati nella stagione estiva e comunque di breve permanenza, rispetto alle effettive potenzialità dell’ambito. L’obiettivo è quello di poter prolungare la permanenza dei turisti, grazie alla promozione di nuove opportunità legate alle diverse forme di turismo e ai soggiorni legati alla fruizione integrata di specifiche categorie di beni.
Bibliografia Balzani M., (2008), I progetti nelle città della costa, Maggioli Editore, Dogana (Repubblica San Marino). Farnè E. (a cura di, 2008), Nuovi paesaggi costieri. Dal progetto del lungomare alla gestione integrata delle coste, strategie per le città balneari, Centro Stampa Regione Emilia Romagna, Bologna. Soriani S. (a cura di, 2002), Porti, città e territorio costiero: le dinamiche della sostenibilità, Arti Grafiche Editoriali, Urbino. Zagari F., (2003), Un disegno ambizioso per i paesaggi di costa, in Fallanca C. (a cura di) Progettazione del paesaggio costiero in ambiente mediterraneo, Iiriti Editore, Reggio Calabria.
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Il progetto urbano come strumento per la rigenerazione urbana
Il progetto urbano come strumento per la rigenerazione urbana Francesco Varone Università degli Studi di Napoli Federico II Email: varone@unina.it
Abstract Il progetto urbano rappresenta uno strumento per la ricomposizione dello spazio pubblico; è il momento progettuale di operazioni di riqualificazione urbana, d’integrazione fra più ambiti strutturali d’intervento. Il progetto urbano può rappresentare la cerniera e la verifica delle interazioni quantitative e qualitative tra vari livelli di pianificazione urbanistica considerando che deve contenere indicazioni complessive e puntuali che garantiscano la qualità della forma urbana. Il contributo tratterà le finalità ed in contenuti del progetto urbano contestualizzandolo nel panorama disciplinare attuale e delineerà la metodologia sperimentata in un caso studio concreto, ossia il “Progetto per la razionalizzazione e valorizzazione del Centro Commerciale Naturale di Soccavo in Napoli”. Parole chiave Progetto urbano, rigenerazione urbana, spazi pubblici
Introduzione Il passaggio dall’epoca dell’espansione a quello delle trasformazioni dell’esistente è, in generale, il punto centrale della pianificazione odierna; il lavoro di riqualificazione degli spazi urbani riguarda non solo quelli più centrali - il “cuore” della città – ma anche e soprattutto quello delle periferie o delle periferie oggi divenute zone semicentrali. In sintesi: trasformazioni puntuali della riqualificazione urbana e trasformazioni fisiche dello spazio pubblico intese come riqualificazione diffusa del tessuto urbano antico e/o recente. Occorre dunque dotarsi di strumenti idonei per valutare, con riferimento alle nuove condizioni, l’incidenza delle trasformazioni/riqualificazioni sulla qualità ed efficienza del sistema urbano e per porre in essere gli interventi necessari. Questi strumenti si basano sul presupposto che la qualità urbana è il prodotto di processi continui di adeguamento e il punto di equilibrio sempre rimesso in discussione fra le aspettative di vivibilità e di efficienza dei diversi soggetti sociali ed economici che la città è chiamata a soddisfare e le prestazioni che essa è realmente in grado di offrire. Negli anni ’90 si sono messi a fuoco una serie di strumenti e procedure innovative (i programmi complessi) per il recupero e la riqualificazione urbana che hanno contribuito allo sviluppo del progetto urbano in Italia. L’avvento di questi strumenti ha convogliato molte risorse non solo pubbliche, ma anche private verso interventi di riqualificazione degli insediamenti sorti disordinatamente e spesso abusivamente nelle moderne periferie urbane, favorendo in particolare l’adeguamento delle dotazioni di verde e servizi pubblici, il riordino e l’integrazione della viabilità locale, il recupero e la valorizzazione del patrimonio edilizio.
Il Progetto Urbano nel dibattito disciplinare “Progetto urbano” è un termine cui sono attributi molti differenti significati: è stato definito come sinonimo di “politica urbanistica”, di “strategia urbanistica” o di “grande progetto di architettura”. In realtà negli anni sessanta Quaroni e Samonà avviarono una prima riflessione sull’approccio urbanistico alla città proponendo che l’oggetto dell’intervento urbanistico consisteva nella forma materiale dell’insediamento umano. In tal senso Quaroni immaginava due forme di Piano ossia il ‘Piano idea’ e il ‘Piano norma’. Il primo dava le ipotesi strutturali, un’immagine chiave della città, mentre il secondo riguardava parti significative del Francesco Varone
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territorio. Se vogliamo Quaroni anticipava l’attuale forma piano (piano strutturale e piano operativo). Il dibattito è stato ripreso negli anni ’80 a partire dalle riflessioni promosse dalla rivista Casabella che vede protagonisti Secchi e Gregotti. La posizione espressa da Secchi tendeva a rafforzare e sviluppare le capacità del piano affrontando il tema della qualità formale dello spazio urbano. In tal senso propone un nuovo modo di ‘disegnare il piano’ partendo dagli spazi pubblici che l’urbanistica moderna aveva abbandonato. Nel ‘progetto di suolo’, Secchi, definisce i caratteri tecnici, funzionali e formali dello spazio aperto ma anche gli elementi che governano l’articolazione, l’organizzazione e la mediazione tra essi e lo spazio costruito. Il Piano di Siena rappresenta l’esempio della traduzione di questa ipotesi in prassi operativa. La posizione espressa da Gregotti tende ad esaltare il ruolo del ‘progetto’ all’interno del processo di pianificazione. Il piano in sostanza diventa quadro generale di riferimento per una serie di progetti urbani agendo su due livelli, quello delle regole e quello degli indirizzi. Le regole sono applicabili al tessuto urbano per il controllo del campo di azione di chi interverrà sulla città. Gli indirizzi suggeriscono il processo progettuale e illustrano il contenuto delle regole. Anche in Europa il ricorso al ‘progetto urbano’ per rinnovare/riqualificare la città si afferma a partire dagli anni ’80. Anche se negli anni ’90 il progetto urbano si arricchisce di nuovi contenuti che vanno oltre la definizione delle qualità morfologiche ed architettoniche della trasformazione urbana. In sostanza il ‘progetto urbano’ diventa sistema di attuazione del piano assumendo le caratteristiche di operatività ed efficacia. Si veda ad esempio l’esperienza di Urban 1 e 2; il programma “City Challenge” in Gran Bretagna; i ‘Projets de Quartier” in Francia; i Programmi complessi in Italia (PRU, PRIU, Contratti di Quartiere 1 e 2, PRUSST). Ma l’uso del ‘progetto urbano’ si è anche affermato nei Grandi Eventi (Olimpiadi, Expo) come elemento centrale per il governo ed il controllo dinamico ed operativo dei processi di trasformazione, riqualificazione e rivitalizzazione urbana. In sostanza il progetto urbano diventa un vero e proprio piano-programma di intervento sulla/per la città.
Il Progetto Urbano, finalità e contenuti Il progetto urbano, quindi, si configura come un metodo ed uno strumento urbanistico corrispondente alla fase attuale delle trasformazioni urbane che vedono, anche sotto il profilo delle norme legislative, spostare la politica urbanistica delle Amministrazioni comunali da un lato verso l’intervento edilizio diretto e con minor ricorso alla strumentazione urbanistica attuativa (per città che in generale non crescono più, non hanno più bisogno di aggiungere al tessuto esistente nuovi frammenti urbani) e dall’altro verso un crescente coinvolgimento dei privati nella formazione e nell’attuazione del piano urbanistico. Il progetto urbano rende anche possibile attuare una pianificazione di tipo “induttivo” (dal particolare al generale, dall’abitazione, all’isolato, dall’isolato al quartiere, dal quartiere alla città) contrapposta all’attuale pianificazione “deduttiva” (dal generale al particolare, dal Piano territoriale di coordinamento regionale e/o provinciale, allo strumento urbanistico generale comunale, da questo alla strumentazione urbanistica attuativa e da questa al progetto edilizio). Il progetto urbano rappresenta uno strumento per la ricomposizione dello spazio; non solo interessa aree o immobili dismesse, zone di margine o di barriera nelle periferie interne della città antica, ma è anche momento progettuale di operazioni di riqualificazione urbana, d’integrazione fra più ambiti strutturali d’intervento, come il sistema delle funzioni rare o di eccellenza, come le reti impiantistiche e tecnologiche, i sistemi della mobilità. E’ uno strumento previsionale-progettuale complesso; dovrebbe dettare da un lato regole insediative e di localizzabilità di varie funzioni flessibili nel tempo per adattarsi alla domanda del momento, e dall’altro strumenti di analisi e di progettazione architettonica per consentire a chi ha compiti di controllo di valutare la rispondenza tra domanda e proposte. Le finalità e i contenuti di un progetto urbano d’intervento dovrebbero essere: la realizzazione, il ripristino e la diversa localizzazione di opere o infrastrutture di servizio urbano, configurando il tutto come una “rete” con elevati contenuti qualitativi; la rifunzionalizzazione prevalentemente di nuclei del patrimonio di edilizia pubblica - ma non esclusivamente e laddove esistenti/e di aree dismesse nei casi di carenti condizioni urbanistiche e edilizie o di fatiscenza o insufficienza di spazi pubblici, arredo urbano, aree verdi con l’ausilio di piani del colore e della pubblica illuminazione; la risistemazione urbanistica dei centri di rappresentanza e promozione di attività della città anche ai fini del marketing urbano; lo sviluppo a fini urbanistici di luoghi particolari della morfologia urbana ivi compresi eventuali lotti interstiziali;
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il riordino anche qualitativo degli assetti insediativi ed organizzativi connessi agli interventi di cui ai precedenti punti, con particolare attenzione alla viabilità di collegamento, di fruizione e delle aree di sosta, sia pertinenziali che connesse agli spazi e alle funzioni pubbliche o private di grande richiamo.
I principi del Progetto Urbano In molti hanno scritto sui principi del “progetto urbano”; dalla letteratura disponibile sono stati estratti sinteticamente i più attuali e significativi, che di seguito si riportano:
Partecipazione e Concertazione Come si è già detto, nessun progetto è oggi fattibile se non è condiviso (partecipazione) e fondato sulla cooperazione tra soggetti pubblici e privati (concertazione). Le forme e le tecniche di partecipazione sono numerose e sperimentate, e richiedono una attenzione particolare così come per le forme di rappresentazione e di comunicazione indirizzate a rendere possibile la partecipazione. La concertazione tra i diversi soggetti pubblici e privati deve basarsi su regole certe e valide “erga omnes”, e incentivare soprattutto la qualità del prodotto urbano defininendo in maniera chiara ed esplicita gli obiettivi che si vogliono conseguire.
Integrazione Il progetto urbano si basa sul principio di integrazione funzionale e spaziale della città che è la sostanza dello strumento urbanistico generale. Supera i piani attuativi tradizionali, che operano secondo diverse e separate funzioni o tipologie (residenza, produzione, commercio) entro perimetri rigidi e sono ormai divenuti inefficaci ad ottenere un effettivo innalzamento della qualità urbana. Il progetto urbano parte da un’attenta analisi quantitativa e qualitativa e dall’apprezzamento anche economico delle risorse locali da valorizzare e integrare. Soprattutto nei casi di medi e grandi progetti urbani deve esistere un rapporto tra le risorse economiche e finanziarie realmente disponibili o attendibilmente tali anche tramite altri strumenti quali il marketing urbano ed il project financing, e le forze sovra-locali, spesso promotrici delle trasformazioni.
Fattibilità L’azione urbanistica non serve più a “controllare la crescita della città esistente” che non avviene per diversi motivi (dal calo demografico al fatto che la domanda edilizia interessa oggi soggetti nuovi e diversi da quelli del passato e con limitate capacità di spesa nel settore abitativo dalle coppie di anziani alle giovani coppie, dai lavoratori a tempo determinato agli immigrati da altre aree nazionali agli extracomunitari), ma a “favorire lo sviluppo” (cui sempre più spesso si aggiunge l’aggettivo “sostenibile”), cioè la trasformazione qualitativa del tessuto urbano esistente. In sostanza, il progetto urbano tiene quindi conto del principio di fattibilità, da applicarsi ai singoli interventi ed al loro insieme. Gli studi di fattibilità, e le relative valutazioni, riguardano gli aspetti tecnici, quelli economicofinanziari, quelli procedurali e quelli sociali.
Sostenibilità La dimensione ambientale e gli obiettivi di rigenerazione ecologica della città sono ormai parte rilevante dell’azione urbanistica. Il progetto urbano deve fare proprio il principio secondo cui ogni intervento di trasformazione deve contribuire al miglioramento delle componenti ecologiche fondamentali e alla riduzione dei livelli di inquinamento esistenti. Si fonda, quindi, anche sulla misurazione e valutazione preventiva degli effetti degli interventi previsti e definisce le azioni ambientali volte a garantire un bilancio ecologico positivo. Assumono quindi un ruolo rilevante quelle indirizzate al miglioramento della accessibilità e della permeabilità dello spazio urbano. Altrettanto rilevanti gli interventi tesi alla bonifica dei suoli.
Durata Le trasformazioni urbane qualitative definite dal progetto urbano sono sempre complesse, spesso estese e articolate e richiedono l’azione di soggetti diversi. Il tempo che intercorre tra la prima ideazione – a parte la lungaggine delle procedure amministrative quando si tratti di varianti parziali alla vigente strumentazione urbanistica generali e la legislazione urbanistica regionale non preveda casi e procedure che ne riducano i tempi - e la fine della completa realizzazione è sempre a lungo
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termine, di norma superiore a dieci anni, con un costo economico rilevante sia per gli operatori pubblici che privati. Va sottolineato che la realizzazione iniziale del progetto urbano può anche richiedere un tempo relativamente breve (2/3 anni), ma la sua gestione attuativa necessita di un monitoraggio protratto negli anni per garantire i risultati.
Il caso studio: il Progetto per la razionalizzazione e valorizzazione del Centro Commerciale Naturale di Soccavo in Napoli Il progetto di riqualificazione del Quartiere Soccavo in Napoli nasce come presupposto della riqualificazione della ‘Spina commerciale di via dell’Epomeo’ e mira a valorizzare l’ambiente urbano locale in coerenza con quanto auspicato dalla variante al PRG di Napoli. Gli interventi sono volti al rafforzamento del ruolo di “centro commerciale naturale” dell’asse principale del quartiere, delle traverse laterali e del previsto polo pubblico/privato dell’Ambito 4 del P.R.U (mercato rionale, supermercato e galleria commerciale). Il progetto si è articolato nelle seguenti fasi: 1. Analisi urbanistica e socio-economica 2. Rilevazione e mappatura delle attività commerciali esistenti 3. Indagine campionaria 4. Closing e reporting 5. Promozione risultati Le prime tre fasi hanno comportato una analisi approfondita del territorio e dei suoi principali stakeholders (operatori commerciali e popolazione residente) allo scopo di individuare opportunità e vincoli, punti di forza e debolezza del quartiere e del sistema economico locale, fabbisogni e attese dei principali target di riferimento, spunti e suggerimenti per l’elaborazione di una proposta di sviluppo. La fase di Closing e reporting è consistita nella sistematizzazione di tutti i dati e le informazioni raccolte e nella elaborazione di una proposta di sviluppo urbanistico e commerciale. Infine la fase di promozione è consistita nella condivisione ex ante ed ex post degli obiettivi e delle finalità del progetto con gli attori del territorio e con le Istituzioni preposte. In un’ottica di “ascolto” del territorio è stata realizzata una indagine conoscitiva sui target: cittadini residenti operatori commerciali L’indagine è consistita in interviste face to face per il segmento “operatori commerciali” ed interviste telefoniche per il segmento “cittadini residenti”. Attraverso l’indagine si è inteso rilevare dati ed informazioni utili per meglio comprendere: il contesto territoriale e commerciale di riferimento (via Epomeo e delle aree limitrofe); i fabbisogni e le attese espressi dai due principali target intervistati in merito allo scenario futuro del quartiere Soccavo; le proposte ed i suggerimenti dei due target intervistati per la valorizzazione del Centro Commerciale e del quartiere in generale. Sulla scorta dell’analisi urbanistica e le indicazioni venute dal territorio è stato possibile elaborare un progetto di riqualificazione urbana per il quartiere Soccavo, in grado di valorizzare l’ambiente urbano locale coerentemente con gli interventi di riqualificazione urbana previsti dal P.R.G. vigente e dal P.R.U. Il progetto urbano persegue i seguenti obiettivi: 1) Il miglioramento della qualità dell’ambiente urbano attraverso la riorganizzazione e la rivitalizzazione dell’asse portante con una serie di azioni di maquillage che coinvolgono anche il sistema dei percorsi secondari disposti a pettine lungo lo stesso asse; 2) L’incremento della dotazione di spazi pubblici a servizio dell’ambiente urbano locale tramite la realizzazione di una serie di aree nodali che costituiscono una sequenza di luoghi di socializzazione: due, a monte e a valle, destinate a parco urbano e parcheggi; tre piazze intermedie lungo l’asse.
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Figura 1. Il progetto urbano: Schema interpretativo
Figura 2. Il progetto urbano: il Masterplan
L’Asse commerciale e le Piazze Il progetto prevede la riorganizzazione della via dell’Epomeo esaltandone il carattere consolidatosi nel tempo di asse di “passeggio”. A tal fine si interviene sulla sede stradale riducendo lo spazio della carreggiata, conservando solo la parte destinata al traffico veicolare a doppio senso di marcia, eliminando lo spazio di sosta così da aumentare la dimensione dei marciapiedi. Inoltre, al fine di migliorare l’immagine urbana complessiva, l’intervento uniforma le pavimentazioni dell’asse principale e delle traverse e prevede la sostituzione dell’attuale sistema di illuminazione con uno più consono a servizio sia dei pedoni, sia dei flussi veicolari. Lungo l’asse si realizza un sistema di spazi di socializzazione grazie alla delocalizzazione di due distributori di benzina e di un autolavaggio dismesso, consentendo in tal modo, oltre al passeggio, la sosta dei fruitori, rispondendo così ad un’atavica carenza di luoghi di aggregazione.
I Parchi Urbani I nodi cardine del progetto sono gli spazi pubblici destinati a parchi urbani e parcheggi interrati che riqualificano aree attualmente in stato di abbandono. I parchi, previsti nell’aera ex Igenito a valle e nell’area Giustiniano a monte, rispondono alla necessità di dotare la zona di aree a verde, di spazi fruibili da cittadini di ogni classe di età. Essi, essendo accessibili dalla via dell’Epomeo, svolgono anche il ruolo di ulteriore correlazione pedonale tra il Rione Traiano e la via stessa, nella logica dell’integrazione delle parti urbane. In prossimità dei parchi è prevista la realizzazione di due parcheggi interrati plurilivello a servizio dei residenti, dei commercianti e dei fruitori del centro commerciale naturale. Tali parcheggi, con quelli in programmazione nell’area del P.R.U., costituiscono una rete di aree di sosta a servizio dell’intero quartiere e di interscambio tra le varie modalità di trasporto pubblico/privato (ferro/gomma). Grazie al ‘progetto urbano’ l’Unione Imprese Centro Commerciale Epomeo ha acquisito lo status di Centro Commerciale Naturale vincendo il Bando promosso dalla Regione Campania. Ad oggi le opere di maquillage urbano sono state fatte proprie dal Comune di Napoli ed inserite nel piano triennale. Mentre per le aree destinate a Parco pubblico, parcheggi ed attività sono in corso le concertazioni tra l’Unione delle Imprese, i proprietari dei suoli e l’Amministrazione per stabilire le procedure attuative.
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Figura 3. Il progetto urbano: il sistema degli spazi pubblici, le piazze ed i parchi urbani
Bibliografia C. Bagnasco (2005), Piano e qualità urbana, Roma, ARACNE editrice srl. A. Barresi (a cura di, 1997), Una nuova teoria del disegno urbano, Gangemi editore, Roma. L. Benevolo (1989), “I Progetti nel piano”, in Casabella n. 563. A. Clementi (2004), Quando si dice qualità, Atti del Convegno MIT-SIU- Urban Regeneration – La qualità nei progetti di trasformazione urbana. Esperienze europee a confronto, Genova. G. Cullen (1976), Il paesaggio urbano, Bologna, Calderoni, (ed. or. Townscape, London, The Architectural Press, 1961). G. De Carlo (1989), “L’interesse per la città fisica”, in Urbanistica n. 95. G. Fera (2002), Urbanistica teorie e storia, Gangemi Editore, Roma. C. Gasparrini (1994), L’attualità dell’urbanistica, Dal piano l progetto dal progetto al piano, Etas libri, Milano. K. Lynch (1974), L’immagine della città, Marsilio Editore (ed. or. The Image of the city, Cambridge, MIT, 1960). L. Quaroni (1996), Il progetto per la città, Edizioni Kappa, Roma. E. Piroddi (2009), “Progettazione urbana, forma e architettura”, in Urbanistica n. 140. M. Ricci (2009), “Oltre il progetto urbano?”, in Urbanistica n. 140. B. Secchi (1987), “Disegnare il piano”, in Urbanistica n. 89, pp.8-19. B. Secchi (1989), Un progetto per l’urbanistica, Torino, Einaudi Piccola Biblioteca. F. Varone (2005), “I programmi complessi: quadro legislativo e applicazione nella Provincia di Napoli”, in Monitoraggio sulla pianificazione urbanistica nell’area metropolitana, ACEN ricerche/4, Ed. Graffiti, Napoli.
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L’uso degli spazi pubblici a Napoli tra senso civico e regole
L’uso degli spazi pubblici a Napoli tra senso civico e regole Andrea Varriale Bauhaus-University of Weimar Institute for European Urban Studies Email: andreavarriale@hotmail.it
Abstract Questo progetto di ricerca, ancora in fase di definizione, propone un’analisi articolata (cioè né culturalista né materialista) della dimensione spaziale del senso civico a Napoli. Definito come predisposizione diffusa a cooperare per obbiettivi comuni, nella sua dimensione spaziale il senso civico è teorizzato come l’inclinazione ad utilizzare gli spazi pubblici in modo sostenibile e consentendone l’accesso ad una pluralità di utenze. La tesi sostenuta è che il senso civico (o la sua mancanza) non sia un aspetto immutabile di una determinata “cultura”, ma un elemento dinamico le cui “manifestazioni” sono fortemente influenzate da regole formali ed informali. Parole chiave spazi pubblici, Napoli, capitale sociale
1 | Introduzione Il titolo della conferenza, “Urbanistica per una diversa crescita”, invita a riflettere sui diversi modi in cui lo sviluppo economico si ponga in relazione col territorio. Processi diversi quali l’abuso edilizio, il formarsi di distretti industriali, o la costruzione di grandi infrastrutture sono solo alcuni esempi di come sviluppo e territorio si possano legare insieme. In verità, tale legame è molto spesso evidente, e limitarsi a riconoscere le ricadute spaziali dello sviluppo in astratto risulta un esercizio banale. «Potrebbe mai aversi sviluppo economico in un’area» si chiedeva retoricamente Franzini «senza il contributo di almeno qualche risorsa proveniente da quell’area?» (Franzini, 1999: 15). Evidentemente no. Piuttosto, ci si può proporre di valutare in quali modi il territorio (inteso come insieme più o meno coerente di risorse fisiche, economiche e sociali) sia (stato) una risorsa per lo sviluppo, e con quali conseguenze. Un elemento complementare riguarda le modalità in cui lo spazio (in questo caso lo spazio urbano) viene utilizzato e trasformato secondo logiche più o meno compatibili con lo sviluppo. Questo articolo presenta l’impianto teorico di una ricerca di dottorato, ancora in fase di definizione, sull’uso degli spazi pubblici a Napoli. La ricerca prende spunto da una lettura critica dell’approccio culturalista di alcuni studi sul Mezzogiorno italiano. Diversamente dai lavori sulla natura culturale del “capitale sociale”, questa ricerca parte dalla considerazione che la prevalenza o meno di relazioni cooperative e la minore o maggiore diffusione di comportamenti ritenuti “civici” (in questa ricerca riferiti agli spazi pubblici) non si possano intendere solamente come epifenomeni di una cultura più o meno intrisa di “capitale sociale”. Piuttosto, bisogna tracciare le condizioni specifiche in cui vengono praticati quei comportamenti che si ricollegano forse sbrigativamente ad una cultura avversa alle relazioni cooperative o allo scarso senso civico. Questo è ciò che ci si propone di fare studiando gli usi dello spazio pubblico a Napoli. Gli spazi pubblici sono intesi come il luogo dove le inclinazioni dei cittadini (verso altri cittadini ma anche verso lo spazio stesso) si confrontano, conformandosi o scontrandosi, con le regole formali ed informali che ne regolano l’uso. Questa impostazione riflette l’idea che a favorire un uso civico dello spazio pubblico non siano la densità del tessuto sociale o il grado di cultura civica dei cittadini in quanto tali (in altre parole, legami comunitari forti), quanto piuttosto un equilibrio alto tra regole formali (basate sul principio della responsabilità individuale) e regole informali o comunitarie (improntate al mantenimento della coesione del gruppo) (Rodriguez-Pose & Storper, 2006).
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2 | Cultura e sviluppo Come sostenuto da sociologi ed economisti, alcuni elementi chiave per comprendere gli squilibri economici territoriali sono proprio le dinamiche sociali che sottendono all’agire economico (cfr. ad es. Coleman, 1984; Hirschman, 1985; Granovetter, 1985). Nonostante sia tuttora ritenuta un aspetto eterodosso dell’analisi economica, l’attenzione al ruolo delle regole sociali nelle dinamiche dello sviluppo economico è un elemento fondante dei classici della sociologia (si pensi al lavoro di Weber sull’etica protestante o alla coppia concettuale comunità/società proposta da Tönnies). Per lungo tempo, però, ha prevalso l’idea che lo studio dell’economia dovesse essere tenuto distinto da quello delle dinamiche sociali. Ad oggi, in ogni caso, l’idea che le norme di una società abbiamo ripercussioni importanti per il funzionamento dell’economia non suscita più scandalo tra gli economisti (Franzini, 1999). L’inclusione di variabili culturali negli studi sullo sviluppo, però, non sempre ha generato risultati soddisfacenti, anche per quanto riguarda gli studi sul Mezzogiorno.
2.1 | Capitale sociale come eredità del passato In alcuni celebri studi sul sottosviluppo del Mezzogiorno (Banfield, 1958; Putnam, 1993; Fukuyama, 1995; Guiso, et al., 2004; De Blasio & Nuzzo, 2010), ad esempio, la presupposta mancanza di cultura civica e della cooperazione, ritenuta a vario titolo responsabile della sua arretratezza economica, non viene sostanzialmente teorizzata, preferendosi invece un riferimento tautologico alle tradizioni non-civiche della società meridionale (Levi, 1996; Portes, 1998; Rothstein & Stolle, 2008). Nonostante tale approssimazione, o forse proprio per questa, il peso analitico attribuito alla “cultura locale” finisce per mettere in ombra la relativa autonomia della politica nel fissare quelle che North chiama “le regole del gioco” (North, 1990). Quando non del tutto ignorata, la politica entra nell’analisi come variabile dipendente. Si sostiene, cioè, che la qualità delle istituzioni sia determinata dalla quantità del capitale sociale disponibile nel suo territorio (come nel celebre lavoro di Putnam). Altrimenti, la politica viene intesa come elemento di disturbo negli scambi tra privati tendenzialmente forieri di “fiducia sociale”, come nel lavoro di Fukuyama (Tarrow, 1996; Bagnasco, 1999). Si tratta di un cortocircuito analitico diffuso, che riecheggia la “cultura della povertà” con cui Lewis (1959) spiegava il perseverarsi delle ineguaglianze economiche nella società. Scrivendo di familismo nel meridione, Gribaudi racconta a proposito di un ospedale torinese: «Mogli, madri, figlie degli ammalati giungevano al loro capezzale la mattina prestissimo… Si sostituivano spontaneamente all'istituzione. La collusione fra inefficienza dell'ospedale e comportamento dei familiari era evidente. Se al mio posto si fosse trovato un sociologo o un antropologo e se l'ospedale fosse stato meridionale, tutto ciò avrebbe potuto dare luogo alle note considerazioni sul ruolo della famiglia e sui suoi effetti perversi sulle istituzioni pubbliche» (Gribaudi, 1993: 16). Quale può essere, dunque, un modo proficuo di includere variabili socio-culturali nell’analisi dei processi che concorrono a rendere un territorio più o meno sviluppato di altri? Un utile punto di partenza è quello di definire una teoria dell’agire cooperativo e dell’azione civica (o, per maggiore brevità, una teoria del capitale sociale), che vada oltre le spiegazioni “culturaliste” i cui limiti si è cercato di illustrare brevemente.
2.2 | Capitale sociale tra struttura e azione Il concetto di capitale sociale ha fatto la sua comparsa nel dibattito socio-economico alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, in particolare nei lavori di Bourdieu (1980 e 1983) e di Coleman (1988 e 1990). In questi due autori prevale una visione del capitale sociale come rete di relazioni che funge da risorsa per gli individui (Bagnasco, 1999). La popolarità di questo concetto è stata enormemente accresciuta dal già menzionato lavoro di Robert Putnam (1993), che spiega il divario economico tra le regioni italiane (anche in termini di qualità delle istituzioni) proprio in termini di diverse dotazioni di capitale sociale. Ma di cosa si tratta, esattamente? Coleman lo definisce come «gli aspetti della struttura sociale che facilitano alcune azioni degli attori sociali all’interno della stessa struttura sociale» (Coleman, 1990: 302). Si tratta di una definizione aperta e avalutativa, che lascia aperta la questione se tale cooperazione abbia finalità desiderabili o meno. In Putnam (1993, 1995), invece, la cooperazione tra attori sociali è vista in luce marcatamente positiva, ed è alla base del nesso causale che l’autore individua tra le “reti di impegno civico” e il rendimento economico delle regioni italiane. Ma secondo diversi autori, il suo ragionamento tende ad esagerare le virtù “sviluppiste” del senso civico (Tarrow, 1996; Trigilia, 1999; Portes, 1998). Eppure, i livelli di correlazione statistica individuati tra il senso civico (misurato attraverso alcuni indicatori quali l’associazionismo o la diffusione dei quotidiani) e qualità delle istituzioni regionali sono – a detta dell’autore stesso – sorprendentemente alti. E allora perché tante critiche sulle conclusioni che ne trae? Prima di tutto, come si è suggerito sopra, è problematico associare la “cooperazione” in quanto tale a pratiche sociali foriere di sviluppo (un contro-esempio tipico è quello della cooperazione tra membri di un clan camorristico, delle cui ricadute economiche raramente si legge nei manuali di economia dello sviluppo). Una
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L’uso degli spazi pubblici a Napoli tra senso civico e regole
volta ridimensionato (ma non negato) il valore della cooperazione nel funzionamento delle istituzioni, è ancora lecito e utile chiedersi perché in alcuni contesti prevalgano comportamenti cooperativi mentre in altri no. La maggiore carenza nel ragionamento di Putnam è la concezione delle istituzioni quali ricettacoli inerti della "cultura del sospetto” e del basso senso civico che pervaderebbero la società meridionale. Nella letteratura sul capitale sociale si è sviluppato, anche in risposta a tale concezione, un filone cosiddetto “istituzionalista”. In tale approccio, il cui fondamento teorico è molto simile a quello della cosiddetta nuova economia istituzionale, le istituzioni hanno un ruolo centrale: esse creano “le regole del gioco” (North, 1990). La prevalenza o meno di comportamenti ritenuti compatibili col concetto di capitale sociale (o con alcune sue categorie, quali quelle di fiducia sociale, senso civico e relazioni cooperative), vengono spiegate in funzione della qualità delle istituzioni. Il nesso logico è capovolto. Il concetto di istituzione è molto simile a quello di “struttura” nel dibattito sociologico (Hollingsworth, 2003; Searle, 2005; Hodgson, 2006). È innanzitutto dal punto di vista teorico, dunque, che si riafferma che l’azione sociale (in questo caso, comportamenti cooperativi e civici) non avvenga nel vuoto, ma piuttosto in un campo segnato da regole formali (leggi e regolamenti) ed informali (consuetudini). È importante precisare, in proposito, che la teoria istituzionalista, in generale, intende l’azione sociale come strutturata ma al contempo strutturante rispetto alle istituzioni. Cerca cioè di restituire teoreticamente una via di mezzo tra i due estremi del dibattito tra azione e struttura: l’autonomia dell’attore individuale da un lato e la sua sostanziale determinazione strutturale dall’altro. Si tratta di considerazioni in apparenza scontate, e che sono state già trattate ampiamente in sociologia (si pensi al concetto di habitus in Bourdieu (1990) o a quello di strutturazione per Giddens(1984)), ma che cionondimeno sono ignorate in parti importanti della ricerca sul capitale sociale.
3 | Il capitale sociale negli spazi pubblici di Napoli «Laddove linee di confine formali rimanevano senza effetto, queste venivano rimpiazzate da norme informali e codici che regolavano l’organizzazione sociale dello spazio urbano ridefinendo il luogo della trasgressione. È per questo che la diffusa equiparazione tra parcheggio illegale e disordine non ha senso. Chiunque abbia parcheggiato la propria auto nei quartieri [spagnoli] sa che ci sono regole complesse ed obblighi pecuniari che regolano l’occupazione temporanea delle sue strade» (Dines, 2012: 247, traduzione mia). L’individuazione degli spazi pubblici concreti per ricerca sul campo rispecchia l’idea dei diversi equilibri possibili tra regole formali ed informali (Rodriguez-Pose & Storper, 2006). La misurazione di tali equilibri richiede la costruzione e la giustificazione di indicatori affidabili, operazione che non è stata ancora conclusa. Ci si limita pertanto a proporre un prototipo, una simulazione delle possibili tipologie di spazi pubblici. È una matrice semplice, in cui l’incidenza delle regole informali (o comunitarie) può essere bassa o alta, e lo stesso viene considerato per le regole formali (o sociali). I quattro tipi ideali sono quindi: equilibrio basso (regole informali e formali ugualmente inapplicate); disequilibrio informale (regole informali prevalenti su quelle formali); disequilibrio formale (regole formali prevalenti su quelle informali); equilibrio alto (regole informali e formali incisive e complementari tra loro). Gli spazi che sembreranno approssimare meglio questi tipi ideali (si ripete, secondo indicatori ancora da individuare) saranno oggetto di uno studio prevalentemente qualitativo. Questo studio sarà inteso a tracciarne l’uso (da parte di individui e gruppi) in termini di maggiore o minore rispondenza al tipo ideale di “uso civico”: un uso sostenibile e che renda (o mantenga) questi spazi accessibili ad una pluralità di utenze. La prima parte della ricerca consisterà nell’individuare le singole regole dello spazio che costituiscono ognuno dei due sistemi di regolazione (istituzioni formali ed informali) e nello stimare il grado di penetrazione di ognuno di questi sistemi (Rodriguez-Pose e Storper 2006). Nella seconda parte si cercherà di stabilire le modalità di relazione tra questi due sistemi (e.g. complementarità, sostituzione o scontro). Tali modalità saranno già state illustrate come ipotesi nella parte teorica. Nella terza parte si analizzeranno gli usi dello spazio pubblico in relazione a tali regole. Si presterà attenzione a non confondere le regole (implementate con minacce credibili di sanzione) con l’habitus (Voigt, 2009). Lo scopo della ricerca, si ripete, è quello di presentare la cultura civica e le sue manifestazioni spaziali come un elemento storico, inserito cioè in specifici contesti istituzionali, piuttosto che come un portato monolitico della storia remota. Gli spazi pubblici, in conclusione, sono intesi come il luogo in cui idee alternative di città si accavallano, si scontrano o si integrano, e il cui uso è negoziato tra cittadini diversi oltre che tra (comunità di) cittadini ed istituzioni. Le destinazioni d’uso possono essere varie, così come vari possono essere i fini che esse esprimono: interessi personali, slanci di senso civico o a finalità politico-ideologiche rientrano tra le realtà che ci si aspetta di incontrare. In conclusione, ci si augura che un approccio attento alla eterogeneità e dinamicità dei fenomeni sociali possa sopperire alle carenze concettuali e metodologiche di molta letteratura sul capitale sociale.
Andrea Varriale
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Andrea Varriale
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by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723 - 0993 | no. 27, vol. II [2013] www.planum.net Proceedings published in October 2013