Atelier
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Urbanistica e mobilitĂ : sostenibilitĂ e integrazione Coordinatore Maurizio Tira Discussant Paolo La Greca e Giulio Maternini
Abstract L’integrazione tra urbanistica e mobilità, ampiamente nota come esigenza, risolta in diversi modi nella storia e teoricamente in evidenza nell’agenda politica, richiede ulteriori sforzi di ricerca ed esperienze applicative da parte degli urbanisti. Alla scala urbana e di area vasta l’urgenza è la sostenibilità degli spostamenti per far fronte alle sfide ambientali. Alla scala territoriale si aggiungono i problemi posti dal nuovo scenario di sviluppo che impone una riflessione sulla programmazione delle grandi infrastrutture di trasporto. Da qui l’urgenza di recuperare o definire un nuovo approccio alla gestione del tema, nel ridisegno delle città esistenti e nel governo del territorio. L’Atelier si propone di approfondire i numerosi approcci teorici e di presentare casi di studio, sia alla scala urbana che alla scala territoriale. Maurizio Tira
Urbanistica e mobilità: sostenibilità e integrazione
Coordinatore Maurizio Tira Discussant Paolo La Greca e Giulio Maternini
08 Stefano Aragona Dalla “crisi” all’occasione della città ecologica Alberto Budoni Approcci integrati per la pianificazione delle reti regionali di trasporto collettivo su ferro Natalina Carrà Forme di mobilità sostenibile nella città storica Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone Il Piano Paesaggistico Regionale e la mobilità sostenibile Laura Cipriani Aeroporti e cambiamento climatico. Floating versus Flooded airport urbanism
Christian Novak Il progetto di fruizione del territorio: nuove strategie fra contrazione della spesa pubblica e frammentazione delle competenze Andrea Palmioli Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina Enrica Papa, Francesco Domenico Moccia, Gennaro Angiello, Pasquale Inglese An accessibility planning tool for Network Transit Oriented Development: SNAP Silvia Pericu Mobilità e infrastrutture intelligenti per il cambiamento demografico
Giuseppe Critelli Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane”
Martina Pertoldi Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità
Concetta Fallanca De Blasio La messa in valore del patrimonio urbano attraverso modelli innovativi di mobilità. CityMob in Calabria
Fulvia Pinto Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
Mauro Francini, Antonio Scarpino Integrazione, connettività e mobilità sostenibile tra parco e città: il piano del verde e della Biodiversità della città di Barcellona e il progetto delle 16 porte del parco di Collserola
Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic Una Smart Region tra Torino e Milano per EXPO 2015. ICTs e riequilibrio territoriale
Valentina Gallo Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
Christian Scintu La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari
Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro Integrazione urbanistica e mobilità: nuovi approcci ed esperienze Ozan Hovardaoglu, Seda Calisir Hovardaoglu Sustainability, Land-Use and Towards Re-Imagining the Rural-Urban Fringes: Places for New Economic Identities of Towns – A Case Study in Ankara, Turkey
Andrea Spinosa, Michele Vianello Dispersione e contesto: una prospettiva per la metropolitana di Roma Michela Tiboni, Silvia Rossetti Integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità: un caso studio
Massimo Lanzi Indifferenza e consapevolezza. Territori del consumo e tattiche di riciclo
Bruna Vendemmia, Guido Minucci Attraversare la regione urbana Milanese: percorsi individuali e luoghi di scambio
Danilo Marcuzzo Il Servizio Ferroviario Metropolitano torinese: dispositivo progettuale per scenari e narrazioni e la trasformazione delle armature territoriali
Michele Zazzi Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone Le Università come attori della promozione di nuovi modelli di mobilità sostenibile
Dalla “crisi” all’occasione della città ecologica
Dalla “crisi” all’occasione della città ecologica Stefano Aragona Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento Patrimonio Architettonico ed Urbanistico Email: saragona@unirc.it, stefano.aragona@gmail.com Tel: 0965.809521
Abstract Issues related to the social and physical sustainability - energy, waste, etc.. - are showing more and more evident the need for an integrated approach to issues related to the construction of space, of which the dwelling is certainly one of the main components. As it is written in the Leipzig Charter (2007) need “... policy strategies for integrated urban development ... coordinated at the local level, and the wider city - region ... a partnership between cities and rural areas and among small – medium - and large cities within city - regions and metropolitan areas." They have to be based on the principles of Smart Cities (EU, 2012) to create Smart Communities where proposals must provide solutions to problems of urban and metropolitan scale through the set of technologies, applications, models of integration and inclusion. All this means identifying areas of research and original development trajectories, never possible before, in the processes of anthropization. So while social, political, economic awareness is confirming the various alarm launched in 1973 in the famous The Limits of Growth (Meadows et al., Club of Rome), the philosophy of operational responses to them - also the result of seeds such Soleri Arcology, the design philosophy guided by nature (McHarg, 1969) - is structured so as to transform what appears to be a crisis at new ways of organizing physical and social space. The paper intends to perform the critical reflections on existing experiences highlighting the need for a multicriteria reading that is capable of bringing out the various components and the direct and indirect, actual and assumed for the short, medium and long term, on a local scale and wide area. Territories and cities so as ecological space shared between technology, nature and politics that is the place where you can practice urban planning, the art of governing the polis and where they form the cives (Cacciari, 1991). The final considerations are not intended to be definitive conclusions but be hypothesis of scenarios. But that does not seem to be followed by countries with growing importance as China with cities that are spreading with tens of millions of inhabitants: this calls for a rethink of the phenomena of human and terms such as relevant examples: cities, citizens, urban planning. Parole chiave Città, Comunità locale, Sostenibilità
Introduzione La cosiddetta crisi è un’occasione per ripensare radicalmente sia il modello implicito di città che si è affermato dal secondo dopoguerra in poi, se non addirittura dalla rivoluzione industriale, e sia anche il modo di fare urbanistica. Questo non per astratte ideologiche posizioni ma per spiegare e dare concretezza ai principi, questi sì certamente ideali, dell’Urbanistica moderna che si rifanno alla Carta di Atene del 1932. Ciò significa costruire una città, dei territori più equi, cioè almeno sostenibili, socialmente e spazialmente e necessariamente sostenibili relativamente alle componenti naturali. Se l’urbanistica non si dedica a tale scopo è una disciplina inutile poiché per le trasformazioni urbane è più che sufficiente il mercato. D’altronde Peter Hall parlando della situazione degli US da decadi sottolinea che la città è oggetto del “real estate development” e non di scelte politiche (1988) e denuncia la distanza tra pianificazione teorica e quella “practice” (1989), quindi l’assenza della pianificazione. Essenzialmente le stesse considerazioni, “messa in guardia” del pericolo del seguire l’esempio statunitense che faceva Form nel 1984 scrivendo il suo saggio nel testo curato da P.L. Crosta La produzione sociale del piano quando ancora nel nostro Paese non erano Stefano Aragona
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avvenute gran parte delle grandi operazioni immobiliari ed ancora, inoltre, il piano non era stato sopraffatto dal progetto. Ricordare tali considerazioni serve a capire perché oggi gran parte delle città sono invivibili sia sotto il profilo ambientale che sociale. Dopo questo lungo periodo di sperimentazione di, più o meno, mano libera al mercato si può affermare che quella proposta - che era basata sul ritrarsi della politica per dare la priorità all’economia, poi divenuta finanza, che tratta la città ed i suoi abitanti come merci - è fallita, sempre tenendo conto degli iniziali motivi dell’urbanistica.
Il quadro attuale della città mercanteggiata In Italia la perequazione, la negoziazione a scala locale solo raramente sono riuscite a garantire alla collettività il surplus prodotto1 con le nuove edificazioni o con le operazioni di riqualificazione, poi divenute, rigenerazione urbana. Nonostante la presenza di impegni ed obblighi scritti sulla carta come ad es. nei PRINT o nella Centralità a Roma2. Tanto meno si è riusciti a realizzare città o parti di esse qualitativamente migliori sia per la vita degli abitanti che per le condizioni delle componenti naturali. Uno dei prodotti principali di questa modalità di “fare” città nuova sono i centri commerciali, soprattutto quelli fuori le parti esistenti. Sono devastanti per il commercio locale, quello quotidiano, quello del quartiere. Sono uno dei principali motivi della spersonalizzazione dei luoghi che appunto loro, assieme a quelli che li hanno costretti in tale condizione, divengono tra i non luoghi “scoperti” da Augè (1993). Spazi di frenetico consumo e di desolazione quando il Centro commerciale chiude i suoi negozi. Sono un vantaggio per l’acquirente - il consumer - solo se non si considerano le esternalità negative che essi creano. Non solo il trasporto ma anche la serializzazione e perdita di rapporto personale tra commerciante ed acquirente. Rispetto al primo elemento, il trasporto, va evidenziato che esso è privato, individuale, per motivi logistici. Ma questo implica aumento di congestione veicolare, inquinamento, consumo di benzina o Gpl, grandi superfici per parcheggio. Relativamente al secondo aspetto le economie di scala spingono a prodotti il più possibile uniformi, poco individualizzati. Cosa che è vera anche per il terzo aspetto, cioè la relazione sociale che implica l’acquisto. L’insieme di questi elementi partecipano alla definizione della qualità urbana, in questo caso che risulta scarsa poiché unicamente finalizzata alla vendita. E’ ipocrita che come urbanisti ignoriamo questa situazione. Ancor più grave se si pensa che ormai, grazie all’allungamento dell’aspettativa di vita, la popolazione è composta per un buon terzo da persone sopra i 65 anni (secondo la classica definizione quindi “anziana”). Innanzitutto questa gravità consiste nel centrare gran parte delle attività - e quindi degli spazi, della loro organizzazione, della loro pianificazione - non sulle relazioni umane ma su quelle economiche. In secondo luogo, pur “accettando” parzialmente tale aspetto, sono difficilmente raggiungibili per questo rilevante segmento di popolazione a causa della lontananza e delle modalità di accesso. Se questo avviene con il mezzo privato, solitamente quello privilegiato, è di difficoltoso uso dalla persona anziana. Mentre quando c’è il trasporto pubblico, in genere metropolitana o mezzi similari, vi sono ancor più grandi difficoltà sia di spostamento che di trasporto della merce acquistata. Vi sono concomitanti responsabilità in tutto questo. Interessi economici oligopolistici che sfruttano il ricatto dell’offerta di lavoro nell’edilizia, “qualsiasi sia”, sia nei confronti del mondo politico sia nei riguardi dei lavoratori stessi. Ma concorre a supportare tale interesse anche la componente culturale che, dovrebbe essere definita a-culturale, comune, diffusa in gran parte della popolazione. Peculiarità questa italiana per cui il costruire comunque, senza qualità, è un fatto di per se positivo, costruire come fatto individualistico, poco curante della collettività3. Attenzione però perché questa assenza di qualità spesso è vista solo da un osservatore particolare, si starebbe per scrivere “acculturato”. Ciò implicherebbe un giudizio di valore, infatti significherebbe affermare il valore della città come bene pubblico. Il dato comune di quello che si sta scrivendo è la esaltazione della individualità. Poiché più questa è forte più si è buoni compratori, di tutto: dalle saponette agli appartamenti, indifferentemente dominando l’economia. Occorre sottolineare che i fenomeni di cui si sta parlando sono molto più marcati nelle grandi realtà urbane rispetto i piccoli e medi centri. Per questi però si sta manifestando un altro rischio costituito dai cosiddetti “Out Let”, città commerciali che letteralmente aprono la mattina e chiudono la sera e, diversamente dai centri commerciali, non sono abbinati ad insediamenti residenziali. Ancora va notato che le situazioni sopra descritte più si scende verso il Sud d’Italia più sono presenti. Probabilmente perché si ha una minor condivisione dell’idea 1
Camagni in più occasioni, come all’apertura dell’AA 2009-2010 del CdL in Urbanistica dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria od alla Sessione Plenaria della Conferenza AISRe 2010, ha sottolineato che la rendita urbana non restituita alla collettività prodotta dalle nuove costruzioni nel nostro Paese è fino 5 volte superiore a quella di altre Nazioni: si veda l’esempio rilevante della Germania. 2 In linea teorica, cioè sotto il profilo giuridico, circa 2/3 della rendita generata dovrebbe essere destinata alla collettività. 3 La “Legge sulla casa” confusa mistura di interventi di riqualificazione edilizia con l’etichetta formale del risparmio energetico e con improbabili ed astratti riferimenti al sociale (senza una Politica sulla casa, è il caso di quella redatta dalla Regione Lazio) esordiva dicendo che essa era finalizzata al rilancio dell’economia: come se costruire i luoghi di vita sia soprattutto un fatto economico e non molto più rilevante per l’esistenza delle persone. Stefano Aragona
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di città come luogo comune. Probabilmente perché le necessità economiche fanno passare in secondo piano gli altri aspetti. Probabilmente perché la capacità di difesa, gli strumenti culturali per costruirsi percorsi e scelte personali è minore. Tale differenza si evidenzia dall’inizio del secolo XIX°. Forse prima dello Stato Unitario le cose erano diverse come riportano molte fonti e che anche alcuni famosi protagonisti del Grand Tour, come Stendhal, notavano confrontando il solare meridione con le tristi e povere condizioni di molte cittadine del centro nord. Ma, indipendentemente dalle diversità regionali, come cambiare tale situazione?
Ipotesi/necessità di un pensiero/azione ecologico per città e territori Per fare ciò si propone un approccio che si rifà all’ecologia umana e capace di integrare le necessità del “ritorno di capitale”, così come già anni addietro (1990) ipotizzarono Appold e Kasarda. Un approccio che utilizza anche un altro tentativo, elaborato da Camagni (1990), di integrazione: far convivere la visione reticolare di Dematteis (1990, 2005) con l’altra, canonica, della gerarchica urbana per spiegare e dare indicazioni di piano e progetto di sviluppo. Per entrambi le fondamenta sono costituite da una visione olistica dei processi di antropizzazione, fenomeno (phenomenon) da studiare e capire nella sua complessità.
Figura 1. Dal risparmio energetico della unità edilizia alla Smart City ovvero Costruzione della città ecologica: Trend ideogrammatico della nuova cultura4
La Carta di Lipsia (2007) e Smart Cities (2012) sono frutto di queste ricerche e studi e soprattutto ne hanno raccolto la filosofia ispirata e basata sulla parola integrazione: integrazione che è territoriale e sociale. Questo ha portato ad indicazioni che sono divenute proposte e linee di indirizzo (fig.1). Nella Carta di Lipsia viene espressamente richiesta una politica di sviluppo urbano integrato di città, città-regione, od aree metropolitane, con le aree rurali. Quindi una logica che si inserisce nella logica della coerenza tra piani e trasformazioni di territori e città che sia sostenibile con le condizioni delle risorse naturali e sociali, ovvero ecologiche. Come già scritto in altre sedi (Aragona, 2010) si tratta di pensare a bio-pianificazione, bio-architettura per piani e progetti capaci di proporre bio-territori, bio-città. 4
Rielaborazione dello schema di Aragona (2012a) “Città ecologiche: lezioni ed indicazioni di piano e progetto”, relazione presentata al Convegno Nazionale Città Energia, Università Federico II, Napoli, 20-21 gennaio 2012.
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Laddove è possibile si deve chiudere questo processo teorico ed operativo con l’introduzione delle bio-edilizia ovvero l’uso di materiali non solo ecologici, ma bio-ecologici, quindi che si caratterizzino il più possibile per essere a km0 e la cui produzione sia il più possibile legata a tradizioni produttive e sapienze locali. Esemplare è il caso di AbitarECOstruire, Concorso di idee promosso da Legambiente, dall’Associazione Nazionale degli Abitanti (A.N.Ab.) assieme alla Legacoop ed ai tre Comuni di Pesaro (PU), Foligno (Pg) e Tricase (Le) nel 2009. In quest’ultimo caso tra i vari requisiti vi era dell’utilizzo di materiali locali quale il tufo (nell’area di tipo “radon free”) ed il riproporre manovalanza abile alla sua lavorazione. Tabella 1. Requisiti prestazionali e gestionali (Rielaborazione da: ANCAB, 2007, La tua casa naturalmente)
Lo strumento urbanistico proposto è un Programma Integrato di Riqualificazione delle Periferie (Regione Puglia, 2006). Importante sottolineare che sono anche richiesti requisiti legati alla gestione dell’organismo edilizio richiamandosi al Protocollo ITACA (Tab.1) e per agevolare ciò viene anche fornito un “Manuale d’uso” (ANCAB, 2007). Quindi un’attenzione più vasta ed organica delle pure avanzate esperienze esistenti come Ecolonia nei Paesi Bassi (Aragona, 2012a). Questa filosofia appartiene al citato approccio integrato di cui prima accennato. Approccio che in territori inaspettati era presente nel passato come nel caso di Mongiana e Ferdinandea, polo di produzione creato dai Borboni nell’area delle Serre calabresi dal ‘700 in funzione fino al 1861, l’anno in cui vi fu la conquista del Regno delle Due Sicilie e l’unificazione allo Stato Piemontese. Veniva utilizzato la risorsa locale, il ferro, già usato nell’antica Kroton per il conio delle monete, ricorrendo all’abbondante legno presente: entrambi, ferro e legno, di particolare buona qualità. Apposite leggi vengono emesse per proteggere, mantenere ed utilizzare oggi diremmo in modo sostenibile - la risorsa boschiva e per impiegare essa anche come strumento utile ad innalzare le condizioni di sicurezza idrogeologica, cioè in termini attuali agendo secondo criteri di ingegneria naturalistica. Ancora va ricordata la realizzazione di un’infrastruttura viaria “ad hoc” per collegare le aree di estrazione e lavorazione al porto di Pizzo (fig.2). Stefano Aragona
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Assieme a questi elementi sono da sottolineare anche quelli di sostenibilità sociale poiché gli operai avevano già (siamo tra il XVIII° e XIX° sec.) un orario di sole 8 ore giornaliere, mentre in Piemonte, Inghilterra, Francia, etc. era di ca.11. Non vi era lavoro femminile in fabbrica e ragazzi impiegati in mansioni non pesanti, si pensi invece alle coeve pesanti condizioni lavorative nelle Nazioni prima citate. Erano presenti abitazioni, istruzione ed assistenza sanitaria5.
Figura 2. Gli alti forni a Mongiana e la localizzazione regionale
L’utilità di questa citazione storica, al di là di una rivendicazione morale di un’antica efficienza ed efficacia territoriale di aree oggi considerate “in ritardo di sviluppo”, serve a mostrare come questioni quali povertà, marginalità, polarizzazione di degrado dipendano spesso da scelte politiche. Quindi come la cosiddetta vocazione di un territorio e sua crisi siano strettamente connesse alle politiche che si praticano. Ciò è ancor più rilevante quando esso sia oggetto privilegiato dalle politiche di coesione e sviluppo prodotte dalla UE. Politiche che recentemente si stanno ripensando proprio in relazione a come “abitare la crisi” puntando l’attenzione al contesto locale, ad un’economia placed based, economia del luogo6. Ovvero la volontà di superare l’approccio del supporto indifferenziato ai territori, cioè l’economia “a spaziale” che ha guidato le scelte fino ad un recente passato. Scelte che indirizzano, come sopra mostrato, le traiettorie di sviluppo. Scelte che stanno evidenziato la necessità di riportare al centro delle decisioni la politica. Politica che deve guidare, tenere sotto controllo, l’economia pure in un libero mercato. Ma ciò con regole ed avendo la finalità, comunque, dell’innalzamento del benessere collettivo e quindi dello spazio vissuto, città o meno che sia, costruito e non. Questo rappresenta la finalità essenziale dell’urbanista moderno, altrimenti tale figura è inutile. Smart Cities offre ed indica opportunità ancora più vaste per migliorare il livello del welfare degli abitanti. Viene chiesto di coniugare la gestione dei flussi di comunicazione ed energia allo scopo di creare Comunità locali più coese ed inclusive. L’ambito potenziale di applicazione è amplissimo. La questione centrale, come già evidenziato (Aragona, 2012b), è che affinché vi sia un uso efficace ed efficiente socialmente e relativamente all’uso delle risorse naturali, è indispensabile: a) una visione della città e del territorio come bene collettivo, se non come bene comune; b) un livello di formazione ed informazione per abitanti, tecnici, amministratori e politici capace di far comprendere le opportunità possibili; c) la presenza di infrastrutture e di servizi e che entrambi siano ‘friendly’. Se queste condizioni non sono presenti si ha solo un nuovo prodotto da vendere e non un beneficio per la collettività. Occorre sottolineare che comunque tutto ciò deve essere in un contesto- in cui vi siano gli elementi essenziali di una urbanizzazione. Quindi tutte le urbanizzazioni primarie ma anche tutte le strutture necessarie per consentire un percorso di formazione di urbs, richiamando Cacciari, ed una proposizione di un’identità locale ricordando il citato Dematteis7. E’ infatti ricorrendo all’impostazione “reticolare” di quest’ultimo che si possono ipotizzare processi di antropizzazione locali ma con lo sguardo globale, originali e sostenibili socialmente ed ambientalmente. Con tale filosofia è possibile “inserire” anche innovazioni quali le “Smart Grid” in cui ciascuno 5
Si veda la ricca citazione di documenti originari delle epoche citate da Mariolina Spadaro, ricercatrice di Storia del Diritto Medievale e Moderno, Dip. Diritto romano e storia della scienza romanistica, Università Federìco, Napoli, in Spadaro M., “Le Ferriere del Regno: il polo siderurgico delle Calabrie”, in http://www.salpan.org/GRANDI%20TEMI/GRANDEZZA%20DE L%20SUD/Polo%20siderurgico%20borbonico.htm. 6 Come proposto dall’attuale Ministro Barca fin dal 2009 quando produsse il Rapporto “An Agenda for a Reformed Cohesion Policy” su richiesta del Commissario europeo alla politica regionale. 7 Ovvero, assieme alle urbanizzazioni primarie, serve la presenza di una capacità tecnico amministrativa in grado di rispondere in tempi accettabili, un sistema finanziario che supporti e non crei barriere, una sapienza locale esistente da riscoprire o creare, l’assenza delle tre C cioè corruzione, clientelismo, criminalità organizzata. Stefano Aragona
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può essere “prosumer”, ovvero produttore e consumatore al tempo stesso di energia. Ma ciò richiede “reti intelligenti” che leggano “in tempo reale” sia la produzione che il consumo di energia: quindi è richiesto un significativo impegno di pianificazione. Poiché occorre realizzare networks che connettano i vari punti ed installare i contatori. Solo così è possibile realizzare questa sorta di Internet dell’energia, energia che si produce e consuma “democraticamente”8.
Alcuni spunti in chiusura: arricchire il lessico e la grammatica urbanistica ma con giudizio Purtroppo sembra che uno dei principali paesi 9 della crescita tumultuosa, la Cina, invece stia seguendo tutt’altra strada. Ponendo l’economia sopra ogni altro valore, si sta distruggendo in modo indifferenziato memoria, luoghi e testimonianze del passato. E’ da porre in evidenza comunque che dimensioni quali quelle del continente asiatico impongono un ripensamento complessivo dei consolidati riferimenti dell’urbanistica moderna. Quando una città, come Pechino, conta oltre 21 milioni di abitanti occorre una ricostruzione, una modificazione, un’aggiunta al termine città (vedi fig.3). Non sono sufficienti termini quali la Megalopoli di Gottman od anche l’Ecumenopolis di Dioxiadis poiché sono diversi molti degli elementi che compongono queste nuove realtà.
Figura 3. Pechino, Bolulevard che conduce all’area dello Stadio Nazionale costruito per i Giochi Olimpici (foto: S. Aragona).
Seguendo l’approccio fenomenologico che ha sempre caratterizzato il lavoro di ricerca chi scrive, è necessario che a questi nuovi “fatti”, a questi nuovi processi di antropizzazione, siano dati nuovi nomi: così come gli eschimesi quando parlano della neve hanno ed usano molte più parole poiché il fenomeno nevoso per essi ha modalità, forme, durata, caratteristiche specifiche, diverse, da quelle del resto del mondo. Mentre l’obiettivo dell’urbanistica, o di una disciplina che tratta degli agglomerati umani, rimane lo stesso10 - se comunque si vuole avere più equità economica e spaziale - gli strumenti probabilmente devono essere rivisti anche in modo radicale. Al recente Forum Pechino 2012 sono emerse in modo evidente queste diversità. Diversità che sono presenti anche nelle differenti Nazioni dei citati (in nota) Paesi BRIC: così mentre la Cina sta trascurando l’enorme patrimonio, il suo “heritage”, millenario invece in India vi è una grande attenzione ad esso ed anche in Russia non solo si sta risvegliando una sensibilità in tal senso ma anche la tutela e la risorsa delle risorse naturali sembra 8
Per approfondimenti si veda Aragona (2012b) “Qualità urbana e flussi materiali ed immateriali” presentato alla XVa Conferenza SIU L’urbanistica che cambia. Rischi e valori, Atelier 1 “Bio--logic city: infrastrutture ecologiche e digitali; tema 3. La costruzione della bio-logic city. Tra tecnologia e cultura” e pubblicato in Planum 2012. 9 Assieme a Brasile, Russia, India costituisce il cosiddetto BRIC, che sta divenendo uno dei motori principali della crescita del PIL mondiale. Interessante notare che fino al ‘700 il PIL di Cina ed India era pari a quello dell’intera Europa. 10 Si ricorda che urbanistica deriva da urbs, concetto legato non solo al mondo latino, a sua volta “traduzione” della polis greca (si veda il saggio Aut Civitas Aut Polis del già citato Cacciari). Stefano Aragona
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trovare grande spazio se è vero che, ad es., un terzo del territorio di Mosca è protetto come area verde come ha illustrato la Klimanova della Università Statale Lomonosov di Mosca al Forum cinese (vedi fig.4).
Figura 4. Mosca da “Città industriale” a “Città in un parco”11 (foto: S. Aragona)
Come si diceva, tutto ciò richiede un approfondito ripensamento dei “fatti” di cui si parla. Innanzitutto vanno evidenziate a) le “condizioni al contorno” di ciascuna realtà. Quindi, seguendo la filosofia olistica e le indicazioni della Carta di Lipsia inizialmente citate, avere b) un approccio integrato tra urbano e non urbano, ovvero tra città ed aree rurali. Evidenziare gli obiettivi, che per gli urbanisti deve essere comunque c) innalzare il benessere degli abitanti12. Vanno poi articolate d) analisi multicriteria in cui quantità e qualità siano presenti e che considerino l’efficacia e l’efficienza sociale e riferita alle componenti naturali13. Prestando grande attenzione alla gestione della città, elemento fondamentale del “vivere la città”, e considerando che comunque lo spazio è una risorsa limitata e non riproducibile, quindi minimizzando il suo consumo: una magnifica sfida per un mondo migliore per tutti e non solo per pochi privilegiati. Con una postilla finale che consiste nel ricordare che gli esiti delle trasformazioni urbanistiche in atto – da quelle prima accennate citando il caso di Roma alle grandi modificazioni ora dette a Pechino – hanno tempi di realizzazione medio – lunghi in ragione delle notevoli dimensioni e quantità coinvolte e quindi gli effetti sia spaziali che sociali descritti sono dilazionati e continuamente “apparenti” con il trascorrere del tempo. Questo significa costruire osservatori che siano “dinamici” e che siano capaci di valutazioni nel breve, medio e lungo periodo, cioè essere strumento di ausilio ed indirizzo per le politiche di trasformazione dello spazio. Soprattutto è importante seguire l’evoluzione delle realizzazioni del piano, cioè della sua gestione 14 affinché le opere pubbliche e che la rendita generata, ad es .quei 2/3 del caso di Roma, siano effettivamente ricevuti ed utilizzati per la città. Affinché essa sia ripensata in modo sostenibile fisicamente e socialmente. Infine è sempre più urgente trovare applicazione diffusa per una reale partecipazione alle scelte così come già in molti casi avviene in Regioni all’avanguardia quali la Toscana o l’Emilia e Romagna. Ma perché ciò sia possibile passaggio indispensabile è l’informazione unico strumento di formazione degli abitanti per divenire cum-cives, cioè per condividere una civitas ecologica.
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Dall’esposizione della relazione “Moscow as a World City – Heritage and Development” di Vladimir Klimanov dell’Istituto per la Riforma delle Finanze Pubbliche al Forum Pechino 2012 The 5th International Workshop of RSAI in China, Sez. Inheritance of the World Cities Spirit: Experience and Innovation, Pechino, Cina, 2-4 novembre. 12 Più volte si è usato il termine abitante invece che cittadino poiché quest’ultimo è molto più impegnativo, per approfondimenti vedi Aragona, (2011) “Città politica o città economica?” in Moccia F. D.(a cura di), Urbanistica e Politica, Va Giornata di Studi INU, Napoli, 23 ottobre 2009, ESI, Napoli (ITA). 13 In tal senso possono essere d’aiuto strumenti quali la VAS, Agenda 21 Locale o La Carta della Rigenerazione Urbana (2010) prodotta dall’Associazione per le Aree Urbane Dismesse. 14 Come evidenziato nel recente incontro del 3 aprile Dal Piano alla Gestione. Costruire la città pubblica con l’intervento dell’ex Assessore all’Urbanistica R. Morassut, ed i contributi di A. Battaglia, L. Bellicini, G. Manacorda, L. Ricci, C. Signorini, P. Urbani, “Centro di Iniziative per Roma”. Stefano Aragona
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Dalla “crisi” all’occasione della città ecologica
Bibliografia
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Approcci integrati per la pianificazione delle reti regionali di trasporto collettivo su ferro
Approcci integrati per la pianificazione delle reti regionali di trasporto collettivo su ferro Alberto Budoni Università La Sapienza di Roma Dipartimento Ingegneria Civile, Edile e Ambientale Email: alberto.budoni@uniroma1.it Tel: 3495206405
Abstract Nel nostro paese si osserva una notevole difficoltà nell’incrementare e rendere più efficienti le reti su ferro in particolare quelle urbane e regionali. Sono pertanto necessari nuovi approcci integrati. Il primo è legato alle esperienze Transit Oriented Development statunitensi e agli strumenti di cattura del valore che ne sono parte. Imposta di scopo e sviluppo del tram treno possono essere i punti di riferimento per la sua applicazione nel contesto italiano. Il secondo approccio riguarda la definizione di nuovi strumenti di piano. Insieme all’applicazione dei nuovi Piani per la Mobilità Urbana Sostenibile previsti dalla Ue occorre assumere come modello di processo i contratti di fiume, capaci di funzionare come connettori di diverse strumentazioni settoriali e soprattutto di costruire accordi condivisi tra i soggetti che verranno coinvolti nelle trasformazioni. Infine, una funzione propedeutica per i due approcci è costituita da ricerche sul campo, anche alla scala micro, sulle dinamiche della rendita fondiaria e immobiliare e le relazioni tra attori e regole di uso del suolo. Parole chiave Partenariato Pubblico Privato, cattura del valore, contratti di fiume.
Introduzione La pianificazione territoriale e urbanistica e quella dei trasporti da oltre due decenni hanno individuato nel potenziamento e nell’integrazione del trasporto collettivo su ferro due azioni necessarie per una mobilità davvero sostenibile nei centri urbani e nel territorio in genere. Tuttavia, nel nostro paese i risultati di politiche e piani nonché la concreta attuazione dei progetti sono molto insoddisfacenti. La relazione del maggio 2010 della Corte dei Conti (Corte dei Conti, 2010) sullo stato di realizzazione dei sistemi di trasporto rapido di massa a guida vincolata e di tranvie veloci nelle aree urbane in attuazione della l. 211/1992 sintetizza chiaramente la situazione1. Nell’ultimo decennio con la legge obiettivo le politiche governative hanno privilegiato le grandi opere mettendo di fatto il trasporto collettivo locale in secondo piano, soprattutto quando le tipologie di intervento non rientravano in questa categoria di opere. Al di la delle critiche a tale impostazione e all’utilità di alcune grandi opere, il bilancio attuativo, come noto, è deficitario anche in questo caso. Per individuare nodi 1
Nella relazione si legge: «la mancanza di strumenti adeguati di definizione strategica e di programmazione degli interventi a livello urbano ha finito per alimentare politiche discontinue e spesso incoerenti nella regolazione e nella gestione dell’offerta, che si sono concretizzate, spesso, in ripensamenti da parte delle amministrazioni locali sui vari progetti. Il numero modesto degli interventi e la lentezza nella progressione degli stessi risultano dovuti anche ad altre cause: carenza di finanziamenti e di somme certe a disposizione, blocco dei rifinanziamenti della legge, farraginosità delle procedure legislative e amministrative, mancato coordinamento dei diversi centri decisionali, difficoltà economiche di finanziamento da parte degli enti locali –anche per l’assenza del coinvolgimento dei privati nella promozione, finanziamento e gestione-, problemi legati agli affidamenti, nuovi approcci alla realizzazione dei lavori pubblici, passaggio –per talune opere- dalla logica della legge n. 211/1992 a quella della legge obiettivo, carenze progettuali, mal funzionamento delle strutture di scopo incaricate della realizzazione delle opere, assenza di tempi certi di presentazione, approvazione e cantierizzazione delle opere. A quasi vent’anni dall’entrata in vigore della legge, gli interventi conclusi sono risultati solo 22» (Corte dei Conti, 2010: 3-39).
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critici e proposte per migliorare la situazione il Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti ha promosso un tavolo tecnico che nel maggio 2011 ha prodotto 89 proposte (Astrid et al. 2011a) poi sintetizzate nel luglio 2011 in 33 priorità (Astrid et al. 2011b). Nell’insieme tali proposte non costituiscono una strategia convincente tuttavia alcuni spunti sono utili per la nostra riflessione. I due documenti propongono di riformare le procedure di decisione e localizzazione garantendo tempi certi e brevi attribuendo alla competenza esclusiva della legge statale le infrastrutture strategiche e alla competenza esclusiva delle Regioni le infrastrutture di interesse locale con una miniriforma costituzionale. Se la necessità di un assetto chiaro e trasparente di indirizzi, regole e soggetti deputati alla realizzazione delle infrastrutture appare auspicabile, tuttavia la proposta sembra eludere i meccanismi della governance europea basati su un processo di continua negoziazione non solo tra stati ma anche tra gli enti locali che ne costituiscono l’ossatura. La partecipazione di questi ultimi alle scelte strategiche non può essere aggirato come del resto il rapporto con le popolazioni locali. Per quanto riguarda il coinvolgimento di queste ultime, i due documenti propongono di istituire nuove procedure di consultazione che diano certezze circa i tempi delle procedure stesse e l’adeguatezza delle informazioni fornite ai partecipanti anche utilizzando esperienze straniere, in particolare il débat public francese2. Se l’aumento degli spazi di partecipazione può essere visto positivamente, il rapporto con le popolazioni locali per le scelte riguardanti le infrastrutture deve estendersi anche alle questioni che riguardano più strettamente la loro fattibilità economica e i loro legami con le attività economiche locali. In questo senso altre proposte dei due documenti del tavolo ministeriale sono da prendere in considerazione a partire dalla necessità di sviluppare contratti di Partenariato Pubblico Privato (PPP) per ridurre la contribuzione pubblica. Ma importanti ai nostri fini sono anche la richiesta di introdurre strumenti per tassare le esternalità negative e per beneficiare delle esternalità positive delle infrastrutture attraverso la cattura del valore, così come l’applicazione dell’imposta di scopo, soprattutto per le iniziative a valenza locale. Approfondire la discussione su questi aspetti può contribuire a rinnovare metodi e strumenti per nuovi approcci integrati alla pianificazione delle infrastrutture di trasporto su ferro ed in particolare per quelle in ambito locale e regionale che più di altre sono necessarie e nello stesso tempo difficili da realizzare.
TOD e tram treno La cattura del valore rappresenta un ambito di studio ed intervento ampiamente diffuso che assume forme diversificate nelle varie nazioni in relazione ai loro ordinamenti e alle loro tradizioni giuridiche (Ingram, Hong 2012). Per quanto riguarda la possibilità di finanziare il trasporto collettivo attraverso questo approccio, occorre ricordare che storicamente le imprese di trasporto, prima di diventare entità controllate e sostenute dai diversi organismi statali, cercavano di catturare l’incremento di valore dei suoli che le loro linee creavano per poterne finanziare lo sviluppo (HiTrans, 2005). In letteratura, soprattutto negli ultimi due decenni, secondo un crescendo che parte dalla fine degli anni settanta (Cervero et al., 2002; Smith, 2010) si osserva un proliferare di studi che riguardano i modi con cui poter finanziare i sistemi di trasporto attraverso la cattura del valore. I principali contesti di elaborazione sono quello nordeuropeo e quello statunitense-canadese. Le Istituzioni Europee hanno promosso e finanziato studi sulle relazioni tra reti di trasporto, uso del suolo e qualità urbana che hanno messo a fuoco nell’ultimo decennio i principali nodi problematici (LiRa, 2000; HiTrans, 2005; ReUrbA2, 2006). In modo trasversale, dalle diverse aree di studio emerge che le le strategie di cattura del valore tendono a limitarsi al recupero dei costi sostenuti dalla mano pubblica piuttosto che a estendersi sui futuri incrementi di valore del suolo e delle proprietà (ReUrbA2, 2006). In queste strategie un ruolo preponderante nel contesto europeo è svolto dalla tipologia Capture from within che comprende il project finance (finanza di progetto). Quest’ultimo, sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni ’50, alla fine degli anni ’80 è introdotto nel Regno Unito (Vecchi, 2010), diventando nel 1992 una politica strutturata, private finance iniziative (PFI), proseguita dai successivi governi laburisti. In questo modo le esperienze britanniche sono diventate un punto di riferimento europeo ed internazionale per il PPP. Diversa e per molti aspetti più stimolante per le metodiche di pianificazione del territorio è l’esperienza degli USA. Dopo il rilancio negli anni settanta della realizzazione delle reti di trasporto su ferro nelle aree metropolitane in crescita che non ne erano fornite come Washington DC, San Francisco e Atlanta, si afferma l’approccio Transit-Oriented-Development (TOD). Secondo una recente definizione del Center for Transit Oriented Development (CTOD)3 «is an approach to development that leverages the unique opportunities
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Il governo Monti il 30/10/2012 ha approvato in Consiglio dei Ministri un disegno di legge che attraverso modifiche al codice dei contratti introduce per le opere di rilevante impatto procedure obbligatorie di consultazione pubblica anche su iniziativa di istituzioni locali o di un congruo numero di residenti ed è probabile che tale disegno non rimanga lettera morta. CTOD è un’organizzazione non profit nazionale che nasce nel 2004 da una collaborazione organica tra Center for Neighborhood Technology (CNT), Reconnecting America e Strategic Economics, finalizzata a valutare la prima generazione dei progetti TOD e più in generale valorizzare e diffondere le pratiche di investimento e sviluppo territoriale
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provided by access to high-quality public transportation. Transit-oriented development contributes to attractive, walkable, sustainable communities providing residents housing and transportation choices that support an affordable lifestyle. TOD is typically defined as more compact development within easy walking or biking distance of a transit station, typically a half mile» (CTOD, 2010: 5-33). Significative nella prima fase di affermazione del TOD le esperienze orientate su questo approccio di alcune agenzie di trasporto come BART (Bay Area Rapid Transit District) e WMATA (Washington Metropolitana Area Transportation Authority), ma è a partire dal 2003 che una nuova generazione di sistemi di trasporto viene pianificata e in alcuni casi finanziata su più grande scala; mentre prima le esperienze si limitavano a singoli segmenti di corridoio, a Denver, Houston, Salt Lake City, nella pianificazione e nell’implementazione si è lavorato a livello di sistema (Fogarty et al., 2008). In relazione a questi sviluppi nelle applicazioni del TOD, seguendo le indicazioni dello specifico rapporto preparato dal CTOD per The Federal Transit Administration – U.S. Department of Transport (Fogarty et al. 2008), è possibile individuare un elemento emergente che caratterizza le esperienze: la migliore prospettiva per la cattura del valore implica uno sviluppo ex novo o uno sviluppo per riqualificazione delle aree interessate poiché i loro proprietari senza l’implementazione di piani orientati in questo senso sono raramente motivati a partecipare a strategie di cattura del valore. Tra i diversi strumenti individuati dal CTOD (Fogarty et al., 2008) due appaiono più interessanti per il contesto italiano. Il primo è costituito dall’Assessment district, definito anche Special Assessment District (SAD), Benefit Assessment District (BAD) o Local Improvement District (LID); è un’area in cui è applicata una speciale tassa alle proprietà che beneficeranno dell’investimento pubblico. La tassa può essere graduata in relazione ai benefici ottenuti dalla vicinanza o lontananza dell’infrastruttura. Richiede per esssere implementata un voto di adesione della maggioranza (in alcuni casi dei due terzi) dei proprietari e, al fine di raggiungere i requisiti di consenso, i proprietari residenti sono frequentemente esentati dal pagamento della tassa. Di conseguenza i distretti sono più difficili da implementare in grandi aree, specialmente se di giurisdizione diversa, e di converso sono più facili da realizzare se i proprietari sono pochi e desiderosi di sviluppare il proprio suolo, diventando in questo caso più degli accordi negoziali che una tassa. Il secondo è l’accordo di Joint development che può essere definito come: «any formal, legally binding arrangement between a public entity and a private individual or organization that involves either private-sector payments to the public entity or private-sector sharing of capital or operating costs, in mutual recognition of the enhanced real estate development potential or higher land values created by the siting of a public transit facility» (Cervero, 1994: 83-94)4. Recentemente si è cercato di superare la tendenza dello strumento di limitare la cattura del valore solo a piccole porzioni delle aree che beneficiano di un’infrastruttura di trasporto attraverso il coordinamento tra agenzie di trasporto e amministrazioni cittadine. Tale coordinamento mira a formare dei Master Development Agreement che consentono l’attivazione di molteplici siti di sviluppo lungo un corridoio o un sistema di trasporto. L’uso di questi strumenti di cattura del valore nel TOD si lega alla localizzazione lungo le linee di maggior forza del trasporto collettivo (i corridoi territoriali) degli urban TOD (nodi con maggiore concentrazione di servizi commerciali, aree residenziali e posti di lavoro) e lungo le linee di forza minori (corridoi secondari) dei Neighborhood TOD (nodi con minore densità insediativa e commerciale) (Facchinetti, 2007). Tra le diverse difficoltà di applicazione al contesto italiano dell’approccio TOD due emergono con più evidenza. La prima è legata alla preferenza dei metodi Capture from within e nello stesso tempo alla bassa capacità di cattura del valore nel contesto italiano a confronto di altri paesi europei anche nel caso di strumenti negoziali (Camagni, 2007). Strumenti come i contributi di miglioria specifica degli anni ’60 o la stessa INVIM degli anni ’70 – nonostante i suoi limiti –sono stati soppressi, mentre gli oneri di urbanizzazione (di fatto una tassa di scopo per i developers finalizzata ai servizi con la sola esclusione del trasporto) non hanno mai intercettato adeguatamente il valore generato dalle trasformazioni urbane e tale inadeguatezza dagli anni novanta in poi è andata crescendo con l’innalzamento dei valori immobiliari. L’imposta di scopo (ISCOP), introdotta dalla legge finanziaria 2007 (L. 27-12-2006, n. 296 art.1 commi 145-151), deve la sua nascita al tentativo di rendere riconoscibile per i cittadini il rapporto tra costo e beneficio unitamente al maggior controllo sulle scelte dei politici locali in quanto ne limita la discrezionalità legata ad un gettito fiscale non finalizzato. Ha avuto finora scarsa applicazione5 ma con il D.lgs. 23/2011 sul federalismo fiscale municipale l’imposta può riguardare
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alternative allo sprawl urbano. Nel corso degli anni ha aiutato a definire il quadro della discussione sul TOD indirizzandolo verso un approccio olistico orientato dal mercato. Questo strumento gode ora del supporto di una legge Federale (Federal Register Vol. 72, No. 25, Wednesday, February 7, 2007) che stabilisce i criteri di eleggibilità dei progetti per ottenere finanziamenti federali. Sono solo 21 i comuni che hanno adottato l’Iscop, la quasi totalità subito dopo la sua istituzione; di conseguenza, in applicazione della prima versione della legge che ne prevedeva la durata per 5 anni, la gran parte di esse è scaduta. Attualmente l’imposta sopravvive solo in due comuni Nocera Terinese (CZ) e Caserta (Il Sole 24ORE, 24 aprile 2012). È evidente che l’ISCOP nella versione ora vigente non è stata applicata non tanto per le sue caratteristiche ma in relazione all’aumento delle altre forme di carico fiscale imposto dal governo nazionale.
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ulteriori opere pubbliche, estendere la durata massima a dieci anni, finanziare l'intero ammontare della spesa per l'opera pubblica da realizzare. Questo strumento fiscale è diventato dunque più flessibile e costituisce una potenzialità da esplorare. La seconda difficoltà è legata all’insieme delle norme e della cultura che caratterizza il trasporto ferroviario italiano. In questo senso appare significativo il dibattitto suscitato negli ultimi anni sulla possibilità di introduzione nel nostro paese del sistema tram-treno. Nel luglio 2012 il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha elaborato insieme ai principali attori interessati una prima bozza di linee guida per il tram-treno6. L’azione ministeriale sembra incoraggiante per la costruzione di sistemi che laddove realizzati7 hanno avuto successo, in alcuni casi notevolissimo. Tuttavia «Nei sistemi realizzati, anche della stessa categoria, si notano molte diversità. Non esiste dunque un modello di tram-treno applicabile indiscriminatamente» (Mantovani, 2012: 3-38).
Piani per la Mobilità Urbana Sostenibile e Contratti di Fiume Dalle esperienze e dagli strumenti prima considerati è evidente come la possibilità di avere successo nella realizzazione delle reti regionali su ferro si leghi al contesto. In questo senso non sarà sufficiente solo la rimozione degli attuali ostacoli normativi legati, come nel caso del tram treno, principalmente agli aspetti della sicurezza8. Si dovrà anche operare nella direzione del coinvolgimento di tutti gli attori implicati, a partire dal soggetto titolare dell’infrastruttura ferroviaria, per arrivare agli stakeholders del territorio e agli abitanti di quest’ultimo9. Obiettivo prioritario sarà quello di uscire dalla logica della grande opera e dei soggetti forti che ad essi inevitabilmente si legano per favorire l’implicazione di tutti quegli attori economici e sociali che normalmente ne subiscono le conseguenze in modo passivo o al massimo ne colgono opportunisticamente qualche effetto secondario più o meno previsto. È evidente che tale obiettivo, strettamente integrato ad opportune metodiche di cattura del valore, dovrà essere al centro di nuove strategie di pianificazione ben diverse da quelle settoriali che caratterizzano la mobilità in Italia. Il nostro paese è dotato di un insieme di piani settoriali a livello urbano e di area vasta dedicati espressamente alla mobilità. In particolare «per le politiche di mobilità alla scala urbana, emerge in tutta evidenza un quadro eterogeneo, ridondante e soprattutto inadeguato, che si è venuto formando nel tempo, senza un disegno organico e che richiederebbe un radicale ripensamento riformatore» (Socco, 2010: 2-40). Si può inoltre convenire con Socco (Socco, 2010) che un sistema di pianificazione per la mobilità dovrebbe avere come punto di riferimento il Piano Regionale dei Trasporti con la sua suddivisione del territorio in bacini di traffico e la sua articolazione in piani direttori sovra comunali, fondati a loro volta sulla stretta integrazione con i Piani per la Mobilità Urbana Sostenibile (PUMS). Questo tipo di piano che, a partire dal 2004 è stato definito da gruppi di esperti dell’Ue fino ad arrivare alle attuali Linee Guida (Rupprecht Consult, 2011), è un piano strategico che viene promosso come una delle azioni fondamentali del 'Piano d’azione sulla mobilità urbana' (COM, 2009). In particolare l’azione 1 di quest’ultimo prevede che nell’ambito del tema 'Promuovere le politiche integrate' si accelerino la sottoscrizione di piani di mobilità urbana sostenibili; in coerenza con la Strategia tematica sull’ambiente urbano (COM, 2005) la Commissione supporterà le autorità locali nello sviluppo di tali piani. È perciò lecito attendersi una nuova stagione della pianificazione della mobilità di cui però è altrettanto lecito individuare alcuni limiti derivanti dall’impostazione stessa delle politiche della Ue. Infatti, sebbene la metodologia delle Linee Guida (Rupprecht Consult, 2011) sia condivisibile, il nuovo strumento troverà due principali ostacoli che ne possono compromettere l’efficacia. Il primo riguarda la difficoltà a definire concreti approcci integrati tra politiche urbanistiche e dei trasporti e quindi la capacità di gestire la domanda, in particolare le distanze residenza e lavoro attraverso la pianificazione territoriale; già dal Libro bianco 2001 (COM, 2001) l’integrazione ricorre come strategia fondamentale ma questa non viene declinata in alcun modo. Il secondo ostacolo si lega alle nuove forme di partenariato pubblico privato che, in relazione alla crisi sempre più profonda della capacità di 6
Nella bozza delle linee guida ministeriali il tram treno è definito come «sistema di trasporto che integra fra loro linee ferroviarie e tranvie o tranvie veloci utilizzando veicoli progettati per circolare principalmente nelle reti tranviarie e in grado di circolare, senza rotture di carico, su entrambi i tipi di infrastruttura (veicoli tram-treno), normalmente con il fine di connettere il territorio extraurbano con la città» (Molinaro, 2013: 1-16). 7 A partire dal primo e più noto caso di Karlsruhe dei primi anni 90, hanno seguito questo esempio altre città in Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, generando anche un’ampia offerta di materiale rotabile dedicato da parte dei maggiori produttori del settore. In Italia l’unico caso recente di tram-treno, peraltro molto limitato per estensione, è quello di Sassari. 8 Sulle questioni relative alla sicurezza è opportuno notare quanto il disastroso stato dell’amministrazione della giustizia italiana, cioè l’impossibilità di affrontare i contenziosi, concorra a determinare un’impostazione 'chiusa' della linea ferroviaria. 9 «Gli Enti appaltanti tendono tuttora spesso ad agire secondo una logica da 'addetti ai lavori' nel proporre le innovazioni alla città. Calare i progetti dall’alto rappresenta un limite e un 'modo di fare molto italiano', quando al contrario l’attenzione strategica per gli aspetti di pianificazione e governance partecipata, in Usa come nelle migliori esperienze europee, sembra fare realmente la differenza nella riuscita degli interventi e nella loro accoglienza» (ISFORT 2011: 1-57). Alberto Budoni
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investimento con denaro pubblico, sono indicate come necessarie per consentire di realizzare infrastrutture di trasporto collettivo; al di la della citazione di buone pratiche e dell’impegno ad aiutare le amministrazioni locali, nei documenti della Ue non ci sono indicazioni chiare, nemmeno di carattere concettuale (ad es. le parole 'cattura del valore' sono del tutto assenti dai documenti della Commissione). Dunque il PUMS deve affrontare i problemi dei centri urbani e delle loro aree periurbane, ma la mancanza di un approccio chiaro ai nodi precedenti dell’integrazione con la pianificazione territoriale urbanistica e del partenariato pubblico privato possono deprimerlo a piano settoriale scarsamente incisivo. Inoltre, al di la dell’efficacia di questo nuovo strumento, le aree regionali esterne ai grandi e medi comuni rischiano di avere benefici ancora più marginali. Infatti, pur tralasciando la geografia delle loro differenti capacità di pianificazione, non è pensabile che nelle nostre regioni gli strumenti d’area vasta prima auspicati possano compensare queste carenze. Come noto, il quadro degli strumenti urbanistici italiani dovrebbe essere riconfigurato dalla nuova legge urbanistica o di governo del territorio ma le emergenze della crisi economica e l’instabilità politica ad essa in parte legata inducono a pensare a tempi non brevi che si rifletteranno sicuramente in un quadro normativo ancora scarsamente integrato e di fatto incentivante la settorializzazione. Di conseguenza, soprattutto al di fuori dei grandi e medi comuni, occorrono altri strumenti che aiutino ad estendere la pianificazione della mobilità all’intero territorio e a favorire processi di integrazione tra le diverse strumentazioni sia per la mobilità che per la pianificazione urbanistica. In questo senso può essere utile fare riferimento all’ambito della pianificazione del territorio legato agli aspetti della tutela del suolo che da tempo ha individuato un’importante innovazione nel Contratto di Fiume. Quest’ultimo (Burgin, Bastiani, 2012) costituisce uno strumento di programmazione negoziata per la pianificazione e gestione dei territori fluviali italiani che contribuisce a mettere insieme gli attori dei processi di piano10. Le analogie con le questioni di realizzazione, potenziamento e sviluppo congiunto di un corridoio infrastrutturale su ferro sono molteplici ma al centro dell’attenzione è la sua funzione strategica di connessione dei diversi piani e attori, consentendo l’integrazione delle problematiche da affrontare e delle soluzioni che da esse derivano.
Conclusioni Dalla considerazione che: «I Contratti di fiume non hanno un termine temporale prefissato, ma restano in essere fino a che rimane viva la volontà di aderire all’accordo da parte degli attori.» (Regione Lombardia et al., 2010: 1-5), emerge la centralità della costruzione del rapporto con gli attori. Nel caso delle reti su ferro, propedeutiche a tale costruzione saranno ricerche sul campo, anche alla scala micro, sulle dinamiche della rendita fondiaria e immobiliare per capirne la distribuzione dei valori. Si dovranno studiare, nello stesso tempo, le relazioni che gli attori intrattengono con risorse e parti del territorio di cui dispongono attraverso titoli proprietari o di gestione, ovvero i modi dei diversi attori di concretizzare in comportamenti il rapporto con le regole di uso del suolo dello specifico contesto locale. In questo senso, le analisi si dovranno estendere alle possibili applicazioni di meccanismi perequativi11 in un’ottica di piena integrazione tra pianificazione urbanistica e dei trasporti.
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Il Contratto di fiume è «un patto per la rinascita dei bacini idrografici; richiamando le istituzioni (con i loro diversi livelli di pianificazione e programmazione) ad una visione non settoriale, ma integrata di chi percepisce il fiume come ambiente di vita…dunque come un bene comune da gestire in forme collettive… I Contratti di Fiume non intendono sostituirsi alle intese istituzionali, agli accordi di programma o ad altri istituti di programmazione negoziata. Possono invece essere i motori della loro implementazione ed efficaci strumenti facilitatori della loro attuazione» (Burgin, Bastiani, 2012: 1-4). 11 La perequazione rappresenta oggi uno strumento indispensabile per la costruzione di un piano urbanistico ma a differenza di alcuni autori che ne esaltano le virtù non solo strumentali ma anche di principio (Fusco Girard 2012) chi scrive la ritiene essenzialmente una tecnica che come tale può essere declinata in modo più o meno favorevole alla rendita in relazione agli obiettivi etico-politici dei decisori. Alberto Budoni
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Approcci integrati per la pianificazione delle reti regionali di trasporto collettivo su ferro
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Alberto Budoni
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Forme di mobilità sostenibile nella città storica
Forme di mobilità sostenibile nella città storica Natalina Carrà Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento PAU, Patrimonio Architettura e Urbanistica Email: ncarra@unirc.it
Abstract Nel complesso processo di salvaguardia, riqualificazione e valorizzazione della città storica uno degli obiettivi primari risulta essere la ricostituzione dell’effetto città, inteso come la capacità di questo specifico luogo identitario significativo di assicurare un elevato livello di accesso/accessibilità al sistema di funzioni e servizi che lo compongono. Tra le componenti di forte ausilio, al raggiungimento di questi obiettivi, vi sono quelli relativi alla mobilità urbana. Numerosi sono, oggi, le prassi volte a sperimentare nuove forme di mobilità definite sostenibili o soft, in tali contesti di pregio, particolarmente sensibili, dove le componenti spaziali di un processo destinato a riconfigurare in modo radicale gli assetti territoriali ereditati è in netta contrapposizione tra la staticità della forma e la dinamicità della funzione. Ma la crescente attenzione verso queste nuove forme di mobilità, denota la volontà di perseguire alti livelli di qualità e accessibilità attraverso l’attivazione di meccanismi virtuosi. Parole chiave Città storica, Mobilità, Qualità urbana
Componenti spaziali e dinamiche relazionali complesse tra città storica e mobilità Nel complesso processo di salvaguardia, riqualificazione e valorizzazione della città storica uno degli obiettivi primari risulta essere la ricostituzione dell’effetto città, inteso come la capacità di questa specifica porzione urbana di assicurare un elevato livello d’accesso al sistema di funzioni e servizi che la compongono. Oltre agli aspetti strettamente connessi alla tutela e alla conservazione, tali ambiti necessitano di politiche e azioni che passano necessariamente attraverso opportuni interventi tesi al raggiungimento di buone forme di vivibilità e qualità degli spazi. Tra le componenti di forte ausilio, al raggiungimento di elevati livelli di qualità, vi sono quelli relativi alla mobilità urbana. Il traffico conseguente dai mezzi di trasporto, soprattutto privati, e la città storica spesso risultano essere inconciliabili. Le problematiche derivanti: inquinamento atmosferico e acustico, congestione del traffico, incidentalità e sicurezza non sono le uniche riflessioni risultanti, difatti è soprattutto la forma e la morfologia dei tessuti urbani storici, che si è sviluppata avendo come riferimento non l’automobile ma i pedoni o, al massimo, i carri e le carrozze (De Lucia, 2007), che oltre ad essere strutturalmente inadeguate a sostenere notevoli flussi di traffico veicolare, rappresentano le componenti della città storica a maggiore rischio nei processi di trasformazione inappropriati. Queste alterazioni possono facilmente compromettere la fisicità, quindi l’identità di tali contesti e ciò risulta essere pericoloso per l’organismo urbano nel suo complesso, che rappresenta una particolare risorsa culturale e identitaria non riproducibile. Dell’intero organismo insediativo, che definiamo città storica, le parti di esso che riteniamo di pregio, sono quelle che subiscono maggiori alterazioni nei processi di riconfigurazione spaziale e sociale; la complessità fisica, i caratteri identitari e sociali, la ricchezza culturale e patrimoniale che caratterizza questi luoghi, comportano notevoli problematicità, alle quali va aggiunto il dinamismo che in queste porzioni di città si è registrato negli ultimi decenni. Abbiamo salvato gli edifici, ma li abbiamo sommersi con un traffico automobilistico che ne compromette perfino l’aspetto estetico e che è esiziale per gli antichi tessuti. Una volta il tessuto dei centri storici era articolato per funzioni: l’abitazione e il commercio di prossimità, l’assistenza agli anziani e l’istruzione ai bambini, l’artigiano di servizio e la produzione dei beni più popolari. Permettendo che il centro storico –il luogo di massimo valore immobiliare– si riempisse di uffici e si svuotasse di residenze, lo abbiamo compromesso irreparabilmente, azzerando la funzione articolata del complesso sistema urbano. Così il Natalina Carrà
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Forme di mobilità sostenibile nella città storica
centro della città si riempie di giorno e si svuota di notte, salvo le poche zone dedicate allo svago, che però disturba i residenti rimasti1. (Campos Venuti, 2010). Una descrizione concreta degli aspetti strutturali, fisici e sociali che oggi possono essere rintracciati nelle modificazioni avvenute in parecchie città e ambiti urbani di pregio. Tuttavia, tali contesti costituiscono ancora oggi, per ruolo, funzioni e servizi, il baricentro della realtà urbana. Poiché in esse si localizzano le attività e le iniziative commerciali e culturali più importanti; e per la funzione sociale che svolgono possono considerarsi il polo di attrazione e il motore di sviluppo dell’intero contesto urbano. Ne consegue che l’integrazione spaziale nella struttura complessiva della città, anche attraverso connessioni fisiche, interdipendenze funzionali e relazioni sociali assume fondamentale importanza per il miglioramento e lo sviluppo dell’intero ambito cittadino. Le problematiche della mobilità e dell’assetto urbanistico sono, quindi, strettamente correlati tra loro. L’assetto urbanistico determina i flussi di traffico e la mobilità richiesta, ma se strade e sistemi di mobilità non sono adeguati e non si sviluppano di conseguenza, i luoghi ne soffrono e questo ragionamento vale ancor di più nella parti storiche della città, caratterizzate, appunto, da impianti e tessuti urbani particolarmente complessi. L’incompatibilità tra le necessità di mobilità di un’area urbana e le caratteristiche fisiche della sua parte storica è una delle più importanti conseguenze causate dai cambiamenti storici delle funzioni urbane, derivati dai mutamenti economici e sociali, rispetto ad una struttura fisica rimasta praticamente invariata nel tempo. Questa incompatibilità, nasce quando la città si ingrandisce verso l’esterno, fuori dai limiti del nucleo originario -un tempo definiti dalla cinta muraria, struttura di difesa e di contenimento- provocando la necessità di spostamento, con mezzi di trasporto, che soddisfino la richiesta di mobilità. Il progresso e la diffusione dei mezzi di trasporto privati rafforza la tendenza dell’espansione urbana indiscriminata e tutto ciò porta alla necessità di pensare/ripensare forme di controllo per salvaguardare le città storiche dall’aggressione del traffico veicolare quotidiano. La delimitazione delle aree storiche e la diffusione dei provvedimenti di limitazione all’accesso e al transito come ZTL, aree pedonali, aree a sosta tariffata, ecc., sono tra gli esempi più noti. Le motivazioni della sperimentazione di politiche restrittive in tali ambiti supportata e giustificata dalle problematiche esposte ha, però, prodotto ulteriori e nuovi inconvenienti, la delimitazione fisica delle aree storiche, sul cui limite si è andata incrementando l’intensità dei flussi veicolari, porta a pesanti ripercussioni anche sull’accessibilità pedonale alle zone centrali e provoca una sorta di interruzione tra l’interno e l’esterno, creando una separazione anche di natura funzionale oltre che strutturale tra le parti. In queste dinamiche si inserisce l’evoluzione dei processi di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale localizzato nelle aree storiche. Dagli orientamenti basati su politiche e prassi vincolistiche degli anni Cinquanta del secolo scorso, si passa a politiche di valorizzazione della città e del territorio. Nuovi dettami che portano a considerare il patrimonio non più come esclusivo oggetto di conservazione museale, da proteggere da ogni tipo di incuria, ma, seppur in un’ottica di tutela, esso è valorizzato ed esibito/ostentato perché tutti ne possano godere e apprezzare. Da qui la pratica, secondo cui le aree in prossimità del patrimonio monumentale di valore, devono essere precluse al traffico veicolare con le conseguenti restrizioni. Le misure di regolamentazione della mobilità sono così destinate a modificare sensibilmente l’accessibilità e per certi versi il pregio dei diversi contesti urbani. Emerge, così, la complessità di un quadro in cui si intrecciano problematiche molteplici e in cui si combinano esigenze di tipo storico/culturale con altre fondamentalmente più pragmatiche.
Mobilità vs. accessibilità In ogni caso, l’accessibilità diviene un prerequisito irrinunciabile in modo particolare nelle aree storiche che sono, appunto, baricentriche all’interno dell’intero organismo urbano sia dal punto di vista spaziale che da quello funzionale. In queste aree protette dalle ZTL (zone a traffico limitato) i flussi di traffico e di automobili arrestati, cambiano la loro destinazione, nel senso che la protezione di questi contesti è la causa dei principali problemi di congestione di altre parti urbane. Questo significa che per risolvere i problemi di accessibilità è necessario configurare gli spazi urbani non solo dal punto di vista funzionale, ma strutturando organicamente l’intera città. Così delimitata e protetta dal traffico e dai suoi effetti negativi, la città storica, rappresenta una sorta di oasi, poco competitiva dal punto di vista dell’accessibilità e della possibilità del riuso funzionale in relazione agli altri contesti consolidati o periferici. Mentre, il valore aggiunto fornito da una buona accessibilità potrebbe portare questi luoghi ad essere concorrenziali rispetto ad alcuni ben organizzati contesti periferici. Il tema della mobilità in queste particolari parti urbane va, quindi, affrontato tenendo conto di un sistema particolarmente multiforme che deve comprendere, da un lato, l’accessibilità intesa come possibilità di raggiungere i luoghi e i servizi in maniera agevole e funzionale dalle diverse direttrici di traffico urbane ed extraurbane. Ma, soprattutto affrontare le questioni in termini di mobilità interna a tali contesti, la quale deve soddisfare diversi requisiti nella sua organizzazione. Deve essere, cioè, una istanza di mobilità che veicola una domanda sociale più ampia, che riguarda l’accesso ai servizi pubblici urbani, la qualità dell’ambiente, 1
Oliva F. (a cura di), Giuseppe Campos Venuti, Città senza cultura. Intervista sull’urbanistica, ed. Laterza, Roma-Bari, 2010
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l’efficienza e la competitività delle aree urbane, la qualità della vita dei cittadini, dei lavoratori, delle fasce più deboli e non ultima l’accessibilità verso una idonea fruizione del patrimonio culturale. Intercettando e regolando una pluralità di aspetti, relativi al funzionamento della società urbana, al modo con cui gli individui percepiscono l’ambiente in cui vivono, nel quale prendono decisioni, in cui lavorano, in cui si relazionano. Nuovi obiettivi devono essere messi in campo, per il raggiungimento di traguardi che risolvano gli effetti perversi del moderno concetto di mobilità, il quale con il solo intento di migliorare l’offerta di trasporto solo in termini di servizi e infrastrutture ha prodotto scarsi risultati. Il tutto è comprovabile da almeno due motivazioni: da un lato nuove infrastrutture di trasporto stimolano nuova e maggiorata domanda portando ad una sorta di circolo vizioso; dall’altro la presenza di contesti e manufatti tutelati e vincolati, propri delle città storiche non permettono stravolgimenti fisico-strutturali tali da fronteggiare in modo determinante le problematiche. Ne consegue che la futura mobilità delle città storiche debba evolversi verso forme di progettualità e processi che si basano su criteri differenziati e sostenibili, programmati a monte con un approccio integrato fra pianificazione degli insediamenti urbani e dei sistemi di mobilità e/o di trasporto.
Mobilità sostenibile elemento di connessione tra luoghi, funzioni e significati La riduzione del traffico urbano, senza compromettere l’efficienza della mobilità rappresenta una vera e propria sfida, quando si vogliano perseguire alti livelli di sostenibilità ambientale: a una domanda di mobilità sempre in crescita, si può replicare con differenti modalità di trasporto tutte corrispondenti a politiche di mobilità sostenibile che rispettano i requisiti di compatibilità ambientale. Il libro verde europeo per la mobilità sostenibile2 introducendo la necessità di un nuovo approccio alla mobilità in ambito urbano cita: Ripensare la mobilità urbana significa ottimizzare l’uso di tutte le modalità di trasporto e organizzare la “comodalità” tra i diversi modi di trasporto collettivo (treno, tram, metropolitana, autobus, taxi) e individuale (automobile, motocicletta, bicicletta, a piedi). Significa anche realizzare gli obiettivi comuni di prosperità economica, rispetto del diritto alla mobilità mediante un’oculata gestione della domanda di trasporto, qualità di vita e tutela dell’ambiente. Significa, infine, conciliare gli interessi del trasporto di merci e del trasporto di persone, qualunque sia il modo di trasporto utilizzato. Questa esplicitazione focalizza tre punti: • la necessità di comodalità di trasporto intesa come intermodalità collaborativa, integrazione fra i diversi modi di trasporto (collettivo e privato) in un sistema efficace ed efficiente; • la necessità di perseguire obiettivi di qualità ed equità nell’offerta di mobilità, di prosperità economica e rispetto dell’ambiente; • la necessità di conciliare gli interessi del trasporto merci e del trasporto di persone, a prescindere dalla modalità di trasporto utilizzata. Ovvero un servizio di trasporti pubblici realmente all’altezza delle esigenze di spostamento di cittadini e cose, che vada oltre le restrizioni adottate fin ora in molte città, e, soprattutto nelle parti storiche quelle centrali. L’assenza di un adeguamento e/o miglioramento di nuove forme di mobilità, dei servizi di trasporto pubblico (TPL), ha condizionato notevolmente l’intera rete della mobilità urbana, creando forti alterazioni dei flussi verso percorsi alternativi, spostando, ma senza risolvere i problemi/disagi, con conseguenti esiti di esclusione sociale e fisica delle categorie più deboli non in grado di utilizzare queste modalità di trasporto. Da ciò la necessità di organizzare forme di trasporto intermodale urbano che permettano ai cittadini di raggiungere con il mezzo privato aree di interscambio nelle quali possano servirsi del trasporto collettivo: l’intermodalità urbana/comodalità, oggi poco diffusa. Tutto ciò passa, oltre che per riforme strutturali e infrastrutturali, anche per un indispensabile mutamento del modo di pensare e nell’approccio alla cultura della mobilità. Quindi, per dare a questi luoghi un’elevata qualità urbana e ambientale che li porti ad essere a misura d’uomo ed inclusivi sia dal punto di vista fisico che sociale, il cambiamento deve coinvolgere le basi stesse della mobilità, per esempio, l’incentivazione degli spostamenti pedonali e ciclabili (soft mobility)3 rappresenta un’azione prioritaria per ridurre gli elevati costi ambientali del trasporto motorizzato, cui è, in maggior parte, oggi, affidata la domanda di spostamento in ambito urbano. Le logiche che attengono a quella che definiamo soft mobility/mobilità dolce sono: andare a piedi per percorrere distanze fino a 1 km; utilizzare la bicicletta per coprire distanze fino a 5 km; preferire i mezzi pubblici o l’automobile privata per distanze superiori ai 5 km. Tali azioni costituiscono un segmento, abbastanza rilevante, di più ampie strategie volte a incentivare la mobilità sostenibile. Altre soluzioni in rapida diffusione sono il car sharing ed il car pooling. Il primo servizio fornisce un’alternativa all’utilizzo dell’auto privata, grazie alla possibilità di noleggiare, per il tempo necessario, veicoli messi a disposizione da apposite società di gestione in stazioni sparse in città. Il secondo, invece, consiste nella 2 3
Verso una nuova cultura della mobilità urbana, (Bruxelles, 2007) La definizione di soft mobility comprende “tutte le forme di spostamento che non comportano l’utilizzo di mezzi automatizzati ma che fanno ricorso esclusivamente alla “energia umana” (human powered mobility)”. Dipartimento Federale dell’Ambiente, dei Trasporti, dell’Energia e delle Comunicazioni (DATEC) della Confederazione Svizzera
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condivisione di automobili private tra persone che devono compiere il medesimo percorso alla stessa ora. I vantaggi del car pooling sono sia economici, dato che i costi di viaggio L’incentivazione della mobilità soft in ambito urbano richiede, quindi, non soltanto il riconoscimento dello spostamento soft quale modo di trasporto prioritario all’interno della città storica ma, soprattutto, il ripensamento e la riorganizzazione dei luoghi urbani che, nella città storica, sono destinati alla fruizione esclusivamente o prevalentemente pedonale: in particolare, strade e piazze. Le strade e le piazze, infatti, pur non caratterizzandosi quasi più come spazi destinati esclusivamente alla fruizione pedonale, costituiscono il luogo per eccellenza degli spostamenti anche brevi: gli spazi aperti pubblici, anche quando nati come nel caso delle città storiche per un uso pedonale e caratterizzati dalla presenza di attività fortemente connesse a tale uso (attività commerciali, fruizione turistica, ecc.), sono oggi prevalentemente caratterizzati da un uso misto, pedone/veicolo o, più in generale, dalla compresenza di diversi modi di trasporto, che genera spesso condizioni di conflittualità non sempre compatibili tra loro. Questi spazi sono quindi certamente destinati alla mobilità ma sono, anzitutto, luoghi urbani che si prestano ad usi molteplici, dallo spostamento all’incontro, al commercio e che possono utilmente concorrere a favorire i legami sociali ma anche, al contrario, contribuire ad accrescere il senso di insicurezza, di esclusione all’interno delle aree urbane. Per ovviare a questi effetti negativi si dovrebbe arrivare a forme di permeabilità filtrata4, la quale comporta la separazione delle modalità di trasporto sostenibili dal traffico veicolare privato, allo scopo di dare loro un vantaggio in termini di velocità, distanza e convenienza. Ci sono molti modi per perseguire questo scopo: vie pedonali e ciclabili separate, corsie preferenziali, cancelli per bus, ponti o gallerie riservate alle modalità sostenibili. Ad oggi, però, i numerosi interventi e sperimentazioni volti a queste forme di mobilità soft hanno dato esiti eterogenei, in funzione delle diverse condizioni di partenza. In molti casi, la loro realizzazione non è riuscita a innescare processi di reale incentivazione dello spostamento soft nel contesto urbano o, ancora, gli spazi destinati a tali utilizzi sono stati spesso oggetto di pratiche d’uso scarsamente rispondenti alle intenzioni iniziali, cioè l’alternativa al traffico veicolare urbano e l’opportunità per migliorare la qualità dell’ambiente stesso. Pur tuttavia, in contesti come le aree urbane storiche di pregio particolarmente sensibili, la crescente attenzione verso queste forme di mobilità, denota la volontà di perseguire alti livelli di qualità e accessibilità attraverso l’attivazione di meccanismi virtuosi.
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Il concetto di permeabilità filtrata è stato utilizzato per la prima volta da Steve Melia nel 2008 e quindi utilizzato nelle linee guida preparate per il Dipartimento delle Comunità e dei Governi Locali britannico.
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Il Piano Paesaggistico Regionale e la mobilità sostenibile
Il Piano Paesaggistico Regionale e la mobilità sostenibile Donatella Cialdea Università degli Studi del Molise BiT - Dipartimento di Bioscienze e Territorio Email: cialdea@unimol.it Tel: 0874.404970 Alessandra Maccarone Università degli Studi del Molise BiT - Dipartimento di Bioscienze e Territorio Email: alessandra.maccarone@unimol.it Tel: 0874.404970
Abstract Una rete di mobilità sostenibile, capace di mettere a sistema tutte le risorse presenti sul territorio, può diventare un nuovo motore di sviluppo. Il lavoro vuole illustrare la metodologia che il laboratorio L.a.co.s.t.a. dell’Università degli Studi del Molise sta mettendo a punto per la redazione del Nuovo Piano Paesaggistico, affidatogli dalla Regione Molise attraverso una Convenzione in atto. In essa si tende ad individuare una rete di collegamenti che vada ad inserirsi su tracciati antichi (percorsi tratturali), naturali (corsi dei fiumi), stradali e ferroviari già esistenti, capace di connettere, in maniera tematica, una serie di risorse paesaggistiche, storiche e culturali presenti sul territorio regionale in modo da ottimizzarne la fruizione e dare un nuovo slancio turistico. Questa rete di accessibilità dovrà essere certamente connessa al più vasto sistema infrastrutturale regionale, già di per sé carente, andando ad individuare nuovi punti di interconnessione e di scambio. Parole chiave Paesaggio, pianificazione, mobilità sostenibile.
Il sistema infrastrutturale nella pianificazione paesaggistica regionale Il tema delle infrastrutture e del loro inserimento paesaggistico è di grande attualità, soprattutto nella redazione dei Piani Paesaggistici ai sensi del Codice Urbani del 2004. Lo studio in corso presso il laboratorio L.a.co.s.t.a. dell’Università degli Studi del Molise 1 per la redazione del Nuovo Piano Paesaggistico Regionale vuole individuare una matrice di analisi e di lettura territoriale attraverso la lettura del territorio per sistemi che individuino i singoli elementi e li ricompongano nel quadro complessivo delle componenti paesaggistiche e territoriali. La finalità della metodologia di analisi è quella di individuare le zone territorialmente e paesaggisticamente più caratteristiche per le quali poi poter definire degli obiettivi di qualità paesaggistica. Nel contempo, però, lo studio vuole essere anche propositivo ed innovativo individuando una rete di collegamenti che vada a porsi come connettore delle risorse ambientali, paesaggistiche, storiche e culturali presenti sul territorio. La regione Molise è una regione principalmente caratterizzata da un’economia agraria e silvo-pastorale con un territorio dai connotati prettamente rurali. La storia si è inserita in questo contesto modificandolo nel tempo e lasciando segni delle diverse culture e civiltà che si sono succedute sul territorio.
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Nel corso del 2011 è stata affidata all’Università degli Studi del Molise l’Attività di redazione del nuovo Piano Paesaggistico Regionale del Molise, attraverso una Convenzione tra la Regione Molise e il Laboratorio L.a.co.s.t.a., Direttore prof. D. Cialdea.
Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Il Piano Paesaggistico Regionale e la mobilità sostenibile
L’analisi dell’insieme complesso delle diverse risorse ha portato quindi ad individuare alcune aree regionali con una maggior concentrazione di valenze. Questi paesaggi sono pertanto stati analizzati nell’ottica della loro connettività con il resto del territorio regionale ed extra-regionale2.
Una rete per la mobilità sostenibile L’analisi territoriale ha permesso di individuare gli elementi infrastrutturali che possono caratterizzarsi come generatori di una rete di mobilità sostenibile. Si sono pertanto distinte tre tipologie di percorsi da recuperare, valorizzare e riqualificare nell’ottica di una ottimizzazione della fruizione del territorio: i percorsi storici; i percorsi naturali; i percorsi ferroviari. Il recupero di queste tre tipologie di percorso dovrebbe nascere dall’esigenza di tornare al “viaggiare lento”, tema che può essere ampliamente sviluppato in un contesto rurale come il Molise soprattutto dal punto di vista della sua fruizione turistica. Mai come oggi gli abitanti delle grandi città, congestionate dal traffico e dalla difficoltà dei trasporti, sentono la necessità di raggiungere luoghi di villeggiatura in cui è possibile un movimento alternativo al traffico veicolare. È sui connotati prettamente rurali, lenti e caratterizzati dalla mancanza di grandi poli urbani che la Regione Molise dovrebbe puntare per il suo rilancio economico e sociale. Si tratta quindi di ‘creare’ una nuova rete infrastrutturale esclusivamente dedicata al ‘viaggiare lento’ e a quegli utenti che non sono o non vogliono essere motorizzati. Una nuova rete costituita dal recupero delle infrastrutture già esistenti che, in nome della velocità e dell’efficienza dei trasporti, sono state abbandonate e dismesse e che oggi risultano sconosciute persino ai locali. Una nuova rete dunque composta da una serie di infrastrutture che si possano adattare alle diverse esigenze sia delle popolazioni locali (per favorire spostamenti quotidiani per lavoro, scuola, consumi con mezzi ecologici su una rete protetta e delle popolazioni locali per incrementare l’uso ecologico del tempo libero), sia dei turisti (per favorire la fruizione del territorio con mezzi e modalità ecologiche). Questo si può realizzare attraverso la creazione di infrastrutture per la ‘mobilità dolce’ e attraverso il recupero di infrastrutture esistenti da convertire in greenways3. I ‘nuovi percorsi’ dovranno rimanere connessi alla viabilità ordinaria regionale – avendo cura di inserire nodi di collegamento ed interscambio in modo da rendere i percorsi fruibili dal maggior numero di utenti – ma dovranno anche ricoprire il ruolo di ‘connettori’ delle diverse risorse che si inseriscono lungo il loro percorso, comprese le strutture architettoniche esistenti a corredo dell’infrastruttura stessa che fruiranno di nuove utilizzazioni.
I percorsi storici: la rete tratturale Importanti segni inscritti nel territorio molisano sono i tratturi con i loro bracci e tratturelli minori che insieme alla transumanza hanno costituito per secoli la rete di collegamenti che organizzava la società e il territorio. Tutti i popoli che hanno abitato il territorio molisano si sono inseriti in questa civiltà della transumanza: dagli insediamenti sannitici alle città romane, dai castelli medievali ai centri di origine albanese e croata, tutti gli insediamenti si sono sviluppati lungo queste grandi direttrici socio-economiche. I tratturi risultano pertanto delle persistenze che caratterizzano la viabilità storica regionale 4. 2
L’individuazione di una rete di mobilità sostenibile, attraverso la valorizzazione di elementi già esistenti e la loro messa in rete, è tema affrontato anche all’interno del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale della Puglia, regione confinante con il Molise e caratterizzata dalla presenza di antiche infrastrutture di collegamento, prosecuzione di quelle che attraversano il Molise. Il Laboratorio L.a.co.s.t.a. ha recentemente attivato un Protocollo d’Intesa con l’Assessorato Regionale alla Qualità del Territorio della Puglia. Analogamente l’interconnessione può essere sviluppato con l’altra regione limitrofa, l’Abruzzo, che ha redatto ed approvato un Piano Regionale per la mobilità ciclistica. 3 In Europa, con questo termine vengono indicati «percorsi dedicati ad una circolazione dolce e non motorizzata, in grado di connettere le popolazioni con le risorse del territorio (naturali, agricole, paesaggistiche, storico-culturali) e con i centri di vita degli insediamenti urbanistici, sia nelle città che nelle aree rurali» (Jiménez Joaquín, 1999). Con il termine mobilità dolce, invece, si vogliono intendere «le forme di mobilità caratterizzate da elevata sostenibilità ambientale e finalizzate principalmente alla fruizione dell’ambiente e del paesaggio» (Co.Mo.Do., 2007). 4 Il fenomeno della transumanza ha caratterizzato tutto il bacino del Mediterraneo ed in particolare i territori dell’Italia meridionale: le regioni coinvolte in questo fenomeno sono l’Abruzzo, il Molise, la Puglia ed in parte anche la Basilicata e la Calabria. Il Molise, per la sua connotazione geografica a cavallo tra le regioni di origine e destinazione del fenomeno (l’Abruzzo e la Puglia), risultava essere una terra di passaggio presentando proprie «specificità territoriali anche rispetto alle altre regioni della transumanza […]. Emergono il segno e la forza della rete sul territorio, tali pertanto da far definire il Molise ‘terra di transito’ e tali da aver creato una condizione particolare del rapporto tra sistema insediativo e territorio» (Cialdea, 2007a: 9). La transumanza ha avuto una grande importanza anche nella formazione e collocazione dei centri abitati ed infatti «un elemento che costituisce un legame tra ambiti morfologici diversi è proprio il sistema dei tratturi. Tale sistema è stato la base sulla quale nel tempo si sono sovrapposte differenti realtà su un tessuto fatto di piccoli centri, assurti Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Oggi questi percorsi non sono molto riconoscibili specialmente nella zona costiera molisana perché nel corso dei secoli i suoli tratturali sono stati utilizzati per scopi differenti rispetto a quello colturale-armentizio iniziale. In molti casi sono nati edifici abusivi ed addirittura intere borgate, oppure sono stati adibiti a colture che li hanno snaturati. Insomma sono stati effettuati negli anni numerosi interventi che hanno portato a perdere le tracce di lunghi tratti del percorso tratturale che, invece, avrebbe dovuto essere preservato e valorizzato. Il nuovo Piano Paesaggistico Regionale propone l’integrazione di questi percorsi storici, che rappresentano la viabilità longitudinale storica della Regione, in una rete più ampia di mobilità sostenibile. I tratturi divengono pertanto la spina dorsale dei collegamenti dolci della regione, la via privilegiata attraverso la quale scoprire i diversi volti di una Regione che, seppure di limitate dimensioni, presenta una significativa ricchezza di beni: proprio la evidenziazione delle greenways può incrementare la fruizione delle risorse e garantire una conservazione anche delle principali architetture della transumanza, quali le taverne, le chiese, le fontane, gli stazzi, gli stessi ricoveri per animali. Le operazione di recupero vanno, naturalmente, previste nell’ottica di un rispetto delle caratteristiche del territorio attraversato, rispettandone le tipicità, la morfologia, la storia e la cultura al fine di garantire una integrazione della fruizione con un uso compatibile del territorio.
I percorsi naturali: tra valli e crinali L’ossatura principale della Regione è costituita da una serie di valli e crinali che dalle montagne del Matese conduce al Mar Adriatico. Le infrastrutture “naturali” regionali pertanto possono essere considerate i corsi dei fiumi che tagliano trasversalmente il territorio regionale. Il corso d’acqua principale che percorre interamente il territorio regionale è il fiume Biferno, il cui corso è quasi totalmente caratterizzato dalla presenza di zone SIC e ZPS. Il nuovo Piano Paesaggistico vuole inserire anche questi percorsi naturali, caratterizzati da un notevole interesse paesaggistico, nella rete di mobilità sostenibile che mira anche al recupero delle valenze storicoculturali rappresentate dalle centrali idroelettriche o dai manufatti dell’archeologia industriale che utilizzavano come vettore principale l’acqua, come per esempio alcune vecchie fornaci di laterizi. Inoltre, lungo i corsi d’acqua del Biferno e del Fortore sono state nel tempo realizzate due grossi invasi artificiali che hanno trasformato in maniera inequivocabile il territorio e il paesaggio molisano. Particolarmente importante è l’invaso realizzato sul fiume Biferno, il lago di Guardialfiera, sul quale si è inserita successivamente una nuova viabilità che ha portato alla realizzazione di lunghi tratti di strada (S.S. 87) in viadotto e che, nel progetto di ANAS S.p.A. per la realizzazione della nuova autostrada che taglierà il Molise in due, collegando San Vittore nel Lazio (A1) con Termoli (A14), saranno dimessi e, quindi, potenzialmente riutilizzabili per la fruizione panoramica e paesaggistica del lago attraverso la realizzazione di percorsi di mobilità dolce.
I percorsi ferroviari Sui percorsi storici, che principalmente tagliavano la Regione longitudinalmente da nord a sud in epoca più recente si sono andate ad inserire le nuove infrastrutture, tra le quali quelle ferroviarie. In Italia oltre 5.600 chilometri di ferrovie sono abbandonati 5. In Molise esistono due linee ferroviarie di particolare rilievo, oggi dismesse: la Pescolanciano-Agnone e la Sulmona-Castel di Sangro-Carpinone. La linea Agnone-Pescolanciano fu attivata nel 1915 «per trarsi fuori da un atavica condizione di isolamento e incrementare le tante attività artigianali, talune di gran pregio, presenti in città (Agnone, n.d.a.)» (Trivellino, 2001: 61). Questa fu realizzata dopo che si intese che Agnone sarebbe rimasta fuori dalla linea ferroviaria Sulmona-Isernia in modo da allacciare Agnone a Pescolanciano, stazione di coincidenza con la suddetta linea Sulmona-Isernia. Fu aperta al traffico nel maggio 1914 dalla Società per la Ferrovia Agnone-Pescolanciano (SFAP) che ne era la concessionaria. La linea aveva caratteristiche spiccate di ferrovia di montagna raggiungendo in qualche punto anche i 1.000 m s.l.m.; si estendeva per circa 37 km con raggi minimi di curvatura pari a 30 m e una pendenza massima (livellette) del 60-70‰ tra le più ripide d’Italia e forse d’Europa. La velocità massima consentita fu calcolata a 25 km/h, il tempo di percorrenza dell’intera tratta AgnonePescolanciano era poco più di due ore alla velocità media di circa 10 km/h. Chiusa nel 1944 a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che l’avevano resa impraticabile, l’antica linea ferroviaria, che si presentava con un percorso ben inserito nel paesaggio di cui ne rimangono solo tracce e alcuni caselli a margine della viabilità, non deve essere dimenticata, ma conservata come documento storico e come potenziale mezzo di sviluppo per l’Alto Molise (Cialdea, 2007b). Il nuovo Piano Paesaggistico vuole evidenziare come il suo tracciato, ancora oggi parzialmente leggibile, attraversava un territorio con ambienti estremamente vari che presentano notevoli valori naturali: la valenza naturale ed ambientale del territorio è riconosciuta dalla presenza di diverse zone SIC e dalla Riserva MaB di a comuni nonostante la limitata dimensione geografica e demografica […]. I centri che si venivano a creare lungo la rete erano luoghi di scambio e relazioni» (Cialdea, 2007a: 23). 5 www.ferroviedimenticate.it, 2013 Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Collemeluccio. Il tracciato scorre in una matrice territoriale nella quale prevale una utilizzazione agricola, che conserva in buona parte i caratteri originari quali muretti a secco, siepi, filari di alberi e fossi di drenaggio (Minichetti, 2010). La conversione della dimessa linea ferroviaria in greenway vuole prendere spunto da numerose iniziative della stessa tipologia già intraprese nel resto d’Europa. Il primo progetto di riutilizzo delle ferrovie dismesse è Las Vias Verdes che ha preso piede in Spagna già dal 19936. Un intervento previsto nell’area urbana di Campobasso è quello della realizzazione di un sistema di mobilità leggera urbana ed extra urbana che utilizza il tracciato ferroviario esistente della linea Matrice-Campobasso. Tale intervento si inserisce nell’ambito dei “Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio” P.R.U.S.S.T. Lo studio intende aumentare l’area servita dalla linea ferroviaria, nell’ottica di un sistema di mobilità leggera con nuove fermate, favorendo la connessione a rete del sistema mediante parcheggi d’interscambio, o adattando la frequenza del servizio alle esigenze della collettività e puntando sull’affidabilità. Il sistema è rivolto essenzialmente alle persone ed è finalizzato a mettere in connessione i diversi poli di servizio e di produzione con un percorso complessivo che di circa 42 km. Il tracciato raccorda la zona industriale di Matrice-Ripalimosani, la città universitaria di Campobasso, i servizi generali del capoluogo, gli Insediamenti produttivi di Baranello e Vinchiaturo ed il polo industriale di Bojano-Campochiaro. Le stazioni e le fermate previste lungo il percorso sono dodici. Contestualmente alla realizzazione delle fermate, sono previsti nodi di interscambio intermodali, per il trasporto passeggeri, al fine di favorire l’integrazione tra i diversi modi di trasporto esistenti nel bacino interessato dall’intervento 7. Un altro percorso individuato dallo studio per il nuovo Piano Paesaggistico, inoltre, è la tratta ferroviaria Termoli-Campobasso. È una tratta che in termini di efficienza e velocità non rispecchia gli attuali canoni perché nata alla fine dell’800 con l’intento di mettere in comunicazione non solo i poli principali della Regione (Campobasso e Termoli) ma anche i paesi arroccati sul crinale destro del fiume Biferno nella speranza di farli uscire dall’isolamento. La tratta oggi è poco utilizzata per gli spostamenti giornalieri dei pendolari ma potrebbe essere rivalorizzata da un punto di vista della fruizione turistica e paesaggistica del suo percorso.
Il GIS a sostegno della pianificazione paesaggistica La metodologia utilizzata in ambiente GIS prevede in prima istanza la individuazione dei percorsi sopra citati. A titolo esemplificativo viene individuato il caso della tratta ferroviaria dismessa Agnone-Pescolanciano. All’interno della metodologia utilizzata per la redazione del nuovo piano paesaggistico regionale, che suddivide le risorse e le criticità del territorio in cinque sistemi – fisico-ambientale, paesaggistico-percettivo, storicoculturale, agricolo-produttivo e demografico-turistico – si inseriscono le analisi effettuate lungo la tratta di questa ferrovia dimessa. Per tutto il territorio regionale sono stati individuati tali sistemi di risorse che hanno consentito di individuare le principali vocazioni delle differenti unità di paesaggio all’interno del territorio regionale. Questa porzione dell’area dell’Alto Molise risulta caratterizzata da elevate valenze sia del sistema fisicoambientale che di quello storico-culturale, Le analisi territoriali effettuate su un buffer individuato della dimensione di 5 chilometri attorno alla linea ferroviari dismessa, infatti, hanno evidenziato la presenza di aree di: notevole interesse ambientale per lo più concentrate nella parte centrale dell’area dove insiste il sito SIC IT7212134 Bosco di Collemeluccio-Selvapiana-Castiglione-La Cocozza al cui interno si trova anche la Riserva MAB di Collemeluccio. L’area è interessata da una copertura prevalentemente a bosco di latifoglie (classe 311 del CLC al III livello) (figura 1); concentrazione di elementi di interesse storico-culturale, individuate attraverso l’analisi di densità effettuata tramite il comando Kernel del tool Spatial Analisys di ArcGIS 9.1 (figura 2).
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Un esempio di ferrovia dimessa e recuperata a fini turistici è la ferrovia Volos-Milies, meglio conosciuta coma ferrovia del Pelion, in Grecia, lunga solo 28 km anch’essa a scartamento ridotto. La ferrovia, realizzata tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, doveva collegare il porto industriale di Volos con l’entroterra fertile e contadino poiché i collegamenti stradali allora erano davvero difficili. Il tracciato ferroviario, da decenni non più percorso, costituiva un inestimabile patrimonio che meritava di essere valorizzato. Pertanto negli anni ’90, il treno è stato dichiarato patrimonio artistico e le Ferrovie Elleniche hanno effettuato i necessari lavori di ristrutturazione della rete, per riportarlo al suo vecchio splendore (si veda il progetto SteamRail.net culture 2000 The Little train of Pelio, Volos-Milies Heritage Railway) Un'altra tipologia di rivalorizzazione delle tratte ferroviarie dimesse è quella della loro riconversione in percorsi pedonali e ciclistici così come si è impegnato a fare il vicino Abruzzo, nel già citato Piano regionale per la mobilità ciclistica. 7 La vicina Regione Puglia nel suo Scenario Strategico di Mobilità Sostenibile inserito nel Piano Paesaggistico individua tracciati carrabili, ferroviari, ciclabili e marittimi che collegano nodi di interconnessione di interesse naturale, culturale e paesaggistico che attraversano e connettono i paesaggi pugliesi. Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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La combinazione di questi due sistemi di risorse presenti sul territorio attraverso il tool Raster Calculation di ArcGIS 9.1 secondo la matrice dei valori attribuiti alle differenti tipologie di emergenze presenti sul territorio ha portato alla generazione di un GRID8 delle valenze (figura 3). Successivamente è stata effettuata anche un’analisi di accessibilità della zona attraverso lo studio delle principali infrastrutture presenti ed un’analisi della fruibilità turistica della stessa zona attraverso l’analisi della densità delle strutture ricettive quali hotel, alberghi, B&B, agriturismi, ristoranti (effettuata mediante il Kernel del tool Spatial Analisys di ArcGIS 9.1). La combinazione finale dei grid delle valenze con quello della fruibilità turistica ha portato ad evidenziare principalmente due aree in cui sono presenti emergenze storico-culturali legate da una grande area centrale di interesse naturalistico. Inserendo sui risultati di queste analisi il tracciato della ferrovia dismessa AgnonePescolanciano si nota come questa greenway si inserisca appieno nel contesto e tenda a collegare territori dal punto di vista ambientale e storico-culturale significativi. Quest’analisi territoriale avvalora pertanto la proposta di riqualificare la linea ferroviaria come elemento di fruibilità del territorio in esame senza farle perdere l’originaria funzione di collegamento per cui era stata progettata (figura 3).
Figura 1. GRID delle emergenze ambientali presenti all’interno dell’area di buffer attorno alla linea ferroviaria dimessa Agnone-Pescolanciano (dati: Regione Molise, nostra elaborazione su Ortofoto CIGR 2000).
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Il modello GRID è stato scelto come formato di analisi dei dati in tutta la metodologia del Piano Paesaggistico. ESRI GRID è un formato raster generato in ambiente GIS (usando ArcGIS 9.1 software di E.S.R.I. Inc.). Per una descrizione dettagliata si veda Maccarone A., Cialdea D. (2012).
Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Figura 2. GRID delle emergenze storico-culturali presenti all’interno dell’area di buffer attorno alla linea ferroviaria dimessa Agnone-Pescolanciano (dati: Regione Molise e nostri sopralluoghi, nostra elaborazione su Ortofoto CIGR 2000).
Figura 3. GRID di combinazione delle analisi territoriali delle emergenze ambientali e delle emergenze strocio-culturali presenti all’interno dell’area di buffer attorno alla linea ferroviaria dimessa Agnone-Pescolanciano (nostra elaborazione su Ortofoto CIGR 2000).
Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Conclusioni Il caso della riproposizione di una ‘infrastruttura artificiale’ viene dunque individuato come occasione di sviluppo soprattutto se legata ad una fruizione turistica, pur ricordando che, nella originaria destinazione, ad ogni fermata vi era la possibilità che i passeggeri potessero partire ed arrivare, ma nello stesso tempo si poteva procedere al carico ed allo scarico dei vagoni merci, che contenevano mercanzie di ogni genere destinate all’intera popolazione dell’Alto Molise ed a quelle insediate nella parte iniziale della zona del Trigno. Oggi l’elettroferrotranvia dell’Alto Molise potrebbe ripercorrere la parte più interna dell’area dell’Alto Molise ed attraversare luoghi che il turista non ha normalmente occasione di visitare. Tali considerazioni sono emerse dal sistema di correlazioni e di interrogazioni del sistema informativo territoriale creato, attraverso l’utilizzo di diverse fonti cartografiche presenti in Molise 9 Poiché il tema del paesaggio è oggetto, come detto in apertura, della ridefinizione del piano paesaggistico il lavoro è stato impostato sulla ricerca degli ‘obiettivi di qualità paesaggistica’. La metodologia, dunque, è a servizio delle Autorità locali perché i criteri che si sono messi a punto costituiscano delle linee-guida per suggerire interventi di conservazione, sviluppo sostenibile o riqualificazione, così come il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio detta10. Tali obiettivi sono stati distinti in ‘obiettivi generali’ e ‘obietti specifici’. I primi mirano al controllo delle dinamiche di trasformazione attraverso indicatori distinti per i singoli sistemi di risorse. Essi hanno messo in luce il rapporto tra la condizione del paesaggio dell’ambito individuato e il suo contesto territoriale, l’impatto che alcune componenti hanno sull’ambiente e la definizione di un quadro di potenziali obiettivi di qualità. Gli obiettivi specifici sono stati definiti attraverso analisi qualitative e quantitative degli elementi individuati precedentemente in ciascun ambito territoriale e costituiscono il presupposto per definire gli interventi di conservazione, di sviluppo compatibile o di riqualificazione che si ritiene di prevedere per ciascuna realtà territoriale. I casi esaminati sono stati riassunti nelle allegate schede di valutazione per ciascun ambito individuato (figura 4). Le valutazioni sono state guidate dal riconoscimento dei parameri di qualità e criticità paesaggistiche, ovvero della diversità (quale riconoscimento di caratteri peculiari del paesaggio), della integrità (quale permanenza di tali valori), della qualità visiva (riconoscibile nella presenza di particolari qualità sceniche e panoramiche.), della rarità (quale presenza di elementi caratteristici) e del degrado (quale perdita di risorse naturali e di caratteri culturali, storici, visivi, morfologici, testimoniali) 11. Dal caso dell’elettroferrotranvia esaminato, quindi, emerge la necessità del supporto della pianificazione generale anche nella previsione degli interventi che mirino alla valorizzazione del paesaggio; l’analisi dello sviluppo del territorio, l’analisi dei principali sistemi di risorse che lo compongono e il riconoscimento delle matrici identificative delle unità di paesaggio, possono contribuire alla definizione della pianificazione a livello sovracomunale la cui assenza in Molise ha comportato le situazioni maggiormente compromesse che oggi insistono sul territorio molisano (Cialdea, 2007b).
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In Regione si dispone di una Carta Tecnica Regionale realizzata agli inizi degli anni ’90: Si tratta di una carta numerica, alla scala 1:5.000 che copre l’intero territorio regionale. Inoltre si dispone di riprese fotogrammetriche effettuate con una certa costanza (dal 1957 al 2002) che sono state utilizzate per una lettura delle trasformazioni del territorio nel tempo. Nel repertorio cartografico della Regione sono anche reperibili alcune realizzazioni di carte tematiche quali quella della vegetazione, quella della geomorfologia, quella dell’uso del suolo, esaminate anche in una evoluzione temporale, in particolare con il confronto tra il 1954 e il 1992. Sono state utilizzate anche riprese satellitari (Landsat TM e Quickbird) in diversi periodi ed anche riprese effettuate con il MIVIS opportunamente corrette radiometricamente, ortorettificate e georeferenziate. 10 Si veda il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 recante il ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (in Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 2004). 11 Si elencano a titolo esemplificativo, alcuni parametri per la lettura delle caratteristiche paesaggistiche, utili per l'attività di verifica della compatibilità del progetto: a) diversità: riconoscimento di caratteri/elementi peculiari e distintivi, naturali e antropici, storici, culturali, simbolici, ecc.; b) integrità: permanenza dei caratteri distintivi di sistemi naturali e di sistemi antropici storici (relazioni funzionali, visive, spaziali simboliche, ecc. tra gli elementi costitutivi); c) qualità visiva: presenza di particolari qualità sceniche, panoramiche, ecc,; d) rarità: presenza di elementi caratteristici, esistenti in numero ridotto e/o concentrati in alcuni siti o aree particolari. Ulteriori risultati sul tema sono contenuti in: Cialdea D. (2005); Cialdea D. (2006); Cialdea D. De Montis A. Vitiello M. Saio G. (2006). Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Figura 4. Scheda di valutazione del caso dell’elettroferrotranvia nell’Alto Molise. Analisi dell’uso del suolo. Individuazione delle unità di paesaggio. Individuazione del percorso ferroviario su Ortofoto CIGR 2000. Donatella Cialdea, Alessandra Maccarone
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Bibliografia
Cialdea D. (2005), Studio e definizione delle matrici identificative delle diverse forme di paesaggio nella regione Molise, in Atti Convegno A.I.I.A. L’Ingegenria agraria per lo sviluppo sostenibile dell’area mediterranea, Tema 8 Patrimonio architettonico rurale e paesaggio, Catania 27-30 giugno 2005, Tip. Elle Due, Ragusa. Cialdea D. (2006) Valorisation Strategies For Adriatic Coastal Area: Archaeological Sites And Settings Of Environmental Value in Fusco Girard L. Nijkamp P. (edited by) Cultural heritage, local resources and sustainable tourism, Ashgate editor Cialdea D. De Montis A. Vitiello M. Saio G. (2006), The GIS Architecture Elements for the Coastal Areas along the Adriatic Sea in Proceeding 46th Congress of the European Regional Science Association (ERSA), August 30th-Semptember 3rd, Volos, Greece. Cialdea D. (2007a), Il Molise terra di transito. I tratturi come modello di sviluppo del territorio, Arti Grafiche La Regione, Ripalimosani. Cialdea D. (2007b), Disegno del territorio. Aspetti urbanistici, paesaggistici e produttivi, Università degli Studi del Molise, Campobasso. Jiménez J. (1999), Greenways: the European scale in Associazione Italiana Greenways in Atti del II Convegno Europeo sulle Greenways, Milano, 22 ottobre 1999 Maccarone A., Cialdea D. (2012). Territory diachronic maps for the Regional Landscape Plan in Campagna M. et al. Planning support tools Policy Analysis, Implementation and Evaluation. p. 386-398, FrancoAngeli, Milano Minichetti F. (2010), Una ferrovia di montagna. La Società Ferroviaria Agnone-Pescolanciano 1909-1943, Cosmo Iannone Editore, Isernia. Regione Abruzzo (2010), Direzione Affari Della Presidenza, Politiche Legislative e Comunitarie, Programmazione, Parchi, Territorio, Valutazioni Ambientali, Energia, Piano Paesaggistico DLgs n. 42 del 22 gennaio 2004 e ssmm Artt. 142 e 143 Aggiornamento e Redazione del Piano Paesaggistico Regionale, Rapporto Preliminare Regione Lombardia (2010), Piano Territoriale Regionale, Piano Paesaggistico Regionale, Piani di Sistema – Tracciati base paesistici, Linee guida per la progettazione paesaggistica delle infrastrutture della mobilità Vol. 7. Regione Puglia (2007), Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia (PPTR). Documento Programmatico in Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 168 del 27-11-2007 Trivellino G. (2001), Le ferrovie nel Molise. Dalle prime rotaie alla Vairano Rocca D’Evandro, Cosmo Iannone Editore, Isernia.
Sitografia
Co.Mo.Do., Confederazione Mobilità Dolce (2007), Proposta di Norme per la tutela e valorizzazione del patrimonio ferroviario in abbandono, disponibile su Ferrovie dimenticate, Il recupero delle Ferrovie Dismesse http://www.ferroviedimenticate.it/ferrovie_dismesse.htm
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating vs Flooded Airport Urbanism Laura Cipriani Università degli Studi di Trento DICA - Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale Email: lauracipriani@post.harvard.edu
Abstract Recenti episodi hanno mostrato la fragilità dei nodi aeroportuali in occorrenza di eventi estremi ed inaspettati. Gli studiosi in materia concordano come il mutamento del clima stia avvenendo con dinamiche ormai irreversibili. Molti sono gli effetti che avranno conseguenze sul territorio, sulle città e sulle infrastrutture stesse, tra le quali non da ultimi sono da considerare gli aeroporti e il fondamentale ruolo che il trasporto aereo oggi ricopre. Gli aeroporti sono, infatti, infrastrutture ad alta vulnerabilità che richiedono precise strategie di adattamento e mitigazione nelle diverse scale territoriali di intervento. Questo contributo intende leggere alla luce del cambiamento climatico una serie di infrastrutture aeroportuali in relazione a città e territorio. Particolare attenzione verrà rivolta alla tematica 'aeroporti ed acqua' in quanto ad oggi molti scali, in Italia, in Europa e nel mondo, sono localizzati lungo le coste o in pianure ad elevato rischio idraulico. L’innalzamento del livello marino è solo uno dei principali effetti del cambiamento climatico e delle sue ripercussioni nel trasporto aereo e nelle reti aeroportuali che dovranno essere considerati nel prossimo futuro.
Infrastrutture e cambiamento climatico: una questione aperta Alluvioni ricorrenti, innalzamento dei mari, processi di desertificazione, impoverimento dei suoli e più in genere eventi metereologici estremi possono compromettere temporaneamente o permanentemente reti e spazi della mobilità. Per il crescente impatto dei fenomeni in diverse aree del pianeta e per il risalto mediatico dei danni economici, sociali ed ambientali, la relazione tra infrastrutture e cambiamento climatico è da qualche anno ormai preminente nel dibattito scientifico internazionale (Hallegatte, 2007, 2009; IPCC, 2007, 2012; Neumann, 2009; Giordano, 2012). All’interno di questo vasto tema, tre principali questioni devono essere puntualizzate. La prima riguarda l’incertezza e la variabilità delle previsioni scientifiche sui futuri mutamenti del clima. Sappiamo, infatti, che nei prossimi anni e decenni, il livello del mare subirà un innalzamento, gli eventi estremi diverranno più frequenti ed intensi, i cambiamenti di temperature, l’aumento di precipitazioni e dei cicli di siccità interesseranno diverse porzioni del pianeta. Nonostante sussista una coscienza condivisa relativamente al mutamento del clima in atto, non sappiamo, però, quando e con quale intensità si manifesterà nei prossimi anni. Inoltre, i dati al momento disponibili indicano come le dinamiche di trasformazione climatica stiano avvenendo molto più rapidamente di quanto inizialmente previsto (Hallegatte, 2009). La seconda questione pone l’accento su come gli effetti del cambiamento climatico siano particolarmente insidiosi per le infrastrutture di trasporto, in quanto caratterizzate da un lungo ciclo di vita. Porti, ponti, strade, ferrovie ed aeroporti sono contraddistinti da una temporalità estesa che può genericamente variare da un minimo di 30 ad un massimo di circa 200 anni (Hallegatte, 2009; Giordano, 2012). Molte infrastrutture ancora ad oggi esistenti o in fase di progettazione saranno ancora in uso entro il 2030 o il 2050, quando il cambiamento climatico potrebbe avere effetti ben più consistenti dello stato odierno (IPCC, 2007). Le infrastrutture aeroportuali, ad esempio, con un periodo minimo di progettazione di 20-30 anni e un ciclo di vita di 40-50 anni, potrebbero teoricamente essere ancora operative nel 2070-2080. La terza questione riguarda quindi il grado di incertezza che le infrastrutture in genere dovranno affrontare prima, durante e dopo il loro ciclo di vita in modo da limitare danni economici, sociali ed ambientali. È stato Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
calcolato come le perdite finanziarie derivanti da fenomeni metereologici estremi siano aumentate sensibilmente, da qualche miliardo di dollari nel 1980 a circa 200 miliardi nel 2010 (IPCC, 2012). La progettazione o riprogettazione del territorio e degli elementi infrastrutturali dovrà essere quindi ridefinita in modo da includere interventi necessari per far fronte ad un possibile cambiamento del clima. L’intento non è semplice da attuare ma necessario: in primo luogo, perché le nuove infrastrutture dovranno essere capaci di affrontare una vasta gamma di variabilità con ripercussioni economiche molto forti in fase di progettazione e costruzione; in secondo luogo, perché l’incertezza riguardante il clima futuro rende impossibile utilizzare un modello climatico definito per progettare infrastrutture e territorio. Come afferma Hallegatte «ci sono buone ragioni per pensare che le informazioni necessarie sul clima non saranno disponibili a breve» («there are good reasons to think that the needed climate information will not be available soon») (Hallegatte, 2009: 240). Ecco perché la ri-progettazione di territorio ed elementi infrastrutturali secondo criteri ecologici, resilienti ed adattabili diviene oggi ancor più necessaria.
Aeroporti e acqua nell’era del cambiamento climatico L’evidenza empirica e i dati scientifici al momento disponibili inducono a pensare che il mutamento del clima stia avvenendo con dinamiche ormai irreversibili. Molti sono gli impatti sul territorio, sulle città e sulle infrastrutture stesse, tra le quali non da ultimi sono da considerare gli aeroscali e il fondamentale ruolo che il trasporto aereo oggi ricopre. Gli aeroporti sono, infatti, infrastrutture ad alta vulnerabilità che richiedono precise strategie di adattamento e mitigazione nelle diverse scale territoriali di intervento. Nonostante molti scali, soprattutto nel contesto europeo ma anche mondiale, si trovino localizzati all’interno di un’urbanizzazione diffusa e spesso insistano in prossimità di sistemi ambientali delicati (Cipriani, 2012b, 2012c), nella disciplina urbanistica il rapporto che lega aeroporto e paesaggio è ancora un tema poco studiato (Cipriani, 2007, 2012a, 2012b, 2012c). Le infrastrutture aeroportuali in relazione al territorio sono prevalentemente rimaste appannaggio della scienza ingegneristica-ambientale da un lato, e di quella di matrice economico-territoriale dall’altro, trascurando però gli aspetti urbanistici e paesaggistici della tematica. Se gli aeroporti sono raramente oggetto di studio in ambito urbanistico, tantomeno gli aspetti legati al cambiamento climatico vengono affrontati fatta eccezione per qualche recente indagine di settore (Eurocontrol, 2010, 2013). Eppure, le infrastrutture aeroportuali hanno un sempre più importante ruolo nello sviluppo delle città e dei contesti metropolitani, sono punti nodali per altre modalità di trasporto nel contesto regionale, e spesso proprio in occasione di eventi estremi, la mobilità aerea può rivelarsi fondamentale per eventuali operazioni di soccorso. Molti sono gli effetti del cambiamento climatico che possono aver conseguenze sull’aviazione, sulla domanda dei trasporti aerei, sugli aeroporti e sulle città stesse. Nel lungo periodo, ad esempio, l’aumento dei livelli del mare potrebbe interessare molte aerostazioni localizzate lungo le coste. Un incremento di eventi climatici estremi potrebbe avere ripercussioni nella capacità, nella puntualità e nella flessibilità delle reti aeroportuali nel brevemedio periodo. L’estremo innalzamento delle temperature in alcune località turistiche potrebbe raggiungere livelli elevati modificando la domanda stagionale e conseguentemente la configurazione dello spazio aeroportuale e la relativa richiesta infrastrutturale. L’aumento di temperatura potrebbe ripercuotersi anche nella diversa operatività degli aeromobili, determinando, ad esempio, una richiesta di allungamento delle piste per il decollo e atterraggio od in alternativa una riduzione della dimensione degli aeromobili che possono operare da una pista di una data lunghezza. Eventi meteorologici estremi come tempeste invernali, turbolenza, vento-nebbia, ceneri dei vulcani potrebbero persino causare un cambiamento nella distribuzione reticolare degli scali a favore, ad esempio, di una rete capillare diffusa piuttosto di una rete concentrata in grandi nodi di traffico. L’incertezza e la complessità delle questioni sollevate dal mutamento del clima in relazione alle infrastrutture aeroportuali richiede pertanto di operare una scelta di indagine maggiormente definita e precisa. Questo contributo intende riflettere sulla tematica 'aeroporti ed acqua', ponendo attenzione al rapporto tra elementi infrastrutturali ed impatti sul ciclo idrogeologico, sulla risorsa idrica in generale, sugli ecosistemi marini e sulle zone costiere. Ad oggi, infatti, molti scali in Italia, in Europa e nel mondo, sono localizzati lungo le coste o in pianure ad elevato rischio idraulico. Eurocontrol stima come almeno 34 aerostazioni europee (Eurocontrol, 2010) possano essere rese inagibili dall’acqua in quanto posizionate in ambito costiero o in pianure alluvionali sotto la quota del livello del mare. Altre infrastrutture aeroportuali sono dotate di una pista costruita su terreno artificiale o su imbonimenti protesi lungo il mare. L’innalzamento del livello marino potrebbe determinare pertanto in futuro una riconfigurazione delle reti: possono urbanistica e paesaggio pensare strategie di adattamento per aeroporti e città?
Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
Flooded Airport Urbanism Recenti episodi hanno mostrato la fragilità dei nodi aeroportuali in occorrenza di eventi estremi ed inaspettati. Gli aeroporti di J.F.K. a New York, Don Muang a Bangkok, Sendai in Giappone, Brisbane in Australia sono solo alcuni scali resi inagibili dall’acqua negli ultimi anni a causa di diversificati fenomeni metereologici estremi. A questa lunga lista vanno aggiunti numerosi altri aeroporti internazionali localizzati lungo le coste o in pianure ad elevato rischio idraulico: Amsterdam Schiphol, London Heathrow, Venezia Marco Polo solo per menzionarne alcuni. A partire quindi da una serie di casi-studio, il lavoro ha inteso approfondire la complessa relazione tra aeroporti, paesaggi e cambiamento climatico grazie ad un approccio metodologico progettuale di tipo integrato e transcalare basato sulla ricerca e conoscenza del territorio ('design by research'-'research by design'). L’indagine di rappresentazione cartografica ha quindi svolto un ruolo cruciale nel progetto di ricerca. L’intento finale del lavoro è stata l’individuazione di strumenti teorici ma al tempo stesso pratico-creativi per esplorare la possibilità di se e come si possano immaginare strutture aeroportuali ad alta capacità di adattamento.
Figura 1. Principali aeroporti mondiali dichiarati temporaneamente non operativi per la presenza d’acqua da parte dei media internazionali. Fonte dati: giornali e siti internazionali vari, 2002-2012. Elaborazione di L. Cipriani.
Da una breve indagine empirica effettuata sui media internazionali degli ultimi 10 anni emerge come una serie di aeroporti siano stati dichiarati temporaneamente non operativi per la presenza d’acqua. Precipitazioni eccezionali, piene e inondazioni ma anche tornado, uragani, tsunami sono le diverse cause che hanno determinato l’inagibilità parziale o totale delle infrastrutture (Fig. 1).
Figura 2. Quote altimetriche degli aeroporti mondiali. Fonte dati: DAFIF, 2012. Elaborazione di L. Cipriani.
Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
Una successiva ricognizione su scala mondiale delle quote altimetriche degli aeroporti (Fig. 2) ha teso ad evidenziare possibili scali che potrebbero essere interessati in via provvisoria o definitiva dal prospettato innalzamento dei livelli del mare: in nero vengono rappresentate le piste localizzate a meno di 5 metri sopra il livello del mare e in blu quelle collocate tra 5 e 10 metri. Più esposte al fenomeno sono le infrastrutture e le popolazioni del Sud-Est Asiatico, degli arcipelaghi composti da atolli, degli stati che si affacciano sul golfo del Messico ma anche di paesi come Olanda, Italia, Grecia, Portogallo, Egitto o della costa ovest statunitense. Sebbene collocate ad una quota superiore ai 5 metri sul livello del mare possono essere a rischio inondazione per eventuali tsunami, uragani e fenomeni metereologici estremi anche Stati Uniti del nord, Tailandia, Singapore, Malesia, Papa Nuova Guinea e la costa est australiana. L’immagine presenta previsioni peggiorative, in quanto intende evidenziare anche gli aeroporti che potrebbero essere resi inaccessibili da parte del territorio circostante collocato invece a quote più basse. Come è stato inoltre osservato da più fonti (Hallegatte, 2009), le previsioni IPCC del 2007 che indicavano un minimo ed un massimo innalzamento del livello marino al 2100, devono essere aggiornate in quanto non tengono in considerazione come lo scioglimento dei ghiacciai si stia verificando in tempi più rapidi di quanto prospettato inizialmente. Per ogni caso studio, gli aeroporti sono stati analizzati in relazione al proprio territorio senza far riferimento a limiti amministrativi od assetti proprietari. Durante un evento climatico, quando uno o più aeroporti di servizio ad una città sono resi inagibili, molti altri scali a livello regionale e talvolta nazionale sono interessati dal medesimo fenomeno.
Figura 3. L’aeroporto di Don Muang a Bangkok in Tailandia allagato nell’ottobre 2011. Foto di T. Claytor.
Sebbene vari, complessi e localizzati in ambienti paesaggistici ed urbani diversi tra loro, gli aeroporti e le città prese in considerazione – New York, San Francisco, Bangkok (Fig. 3), Melbourne, Brisbane, Sendai, Venezia, Amsterdam, Londra, Lisbona, Atene – spesso possiedono alcuni denominatori comuni. Gli scali, tutti di notevoli dimensioni, occupano ampie porzioni di territorio, spesso attraversano molteplici bacini idrografici ed emerge con chiarezza da ogni caso studio che gli eventi estremi siano in prevalenza episodi prevedibili e talvolta caratterizzati da una periodicità ciclica. L’uragano Sandy che ha sconvolto New York (ottobre 2012), le singolari precipitazioni monsoniche tailandesi (giugno-novembre 2011), il terremoto e il successivo tsunami che hanno devastato Sendai in Giappone (marzo 2011), gli allagamenti di Brisbane in Australia (gennaio 2011) sono eventi presenti nel passato dei luoghi sebbene si siano in precedenza manifestati con minore intensità. Dalla catalogazione storica degli eventi newyorkesi, per esempio, emerge come gli uragani si siano abbattuti ciclicamente nello Stato di New York ed abbiano già in passato causato l’inagibilità degli aeroporti di La Guardia e J.F.K., due delle principali porte d’accesso alla città (Fig. 4).
Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
Figura 4. I principali aeroporti di New York: La Guardia, J.F.K., Newark Liberty. Elaborazione degli studenti: A. Benso, A. Bettiol, L. Garbo, K. Moro, C. Zanuso (docente: L. Cipriani).
Le autorità amministrative delle regioni prese in considerazione sono quasi sempre consapevoli di quali e quanti siano i rischi potenziali per le regioni urbanizzate ma spesso in presenza dei fenomeni metereologici estremi l’evidenza mostra una mancanza di coordinamento tra gli enti coinvolti. In molti casi, i danni si estendono alla rete di mobilità nel suo complesso: aeroporti ma anche metropolitane, ferrovie, strade sono invasi dall’acqua con diversi gradi di inefficienza. Se però una infrastruttura stradale, ad esempio, permette di optare per un percorso alternativo dotando il sistema di una qualche flessibilità, gli aeroscali in quanto “nodi” si rivelano punti deboli della rete causando una ulteriore paralisi per la città durante il periodo emergenziale. Come afferma l’ultimo rapporto IPCC (IPCC, 2012), la gravità degli impatti degli eventi climatici estremi dipende fortemente dall’esposizione e dalla vulnerabilità. Il rischio sia antropico che naturale, infatti, viene interpretato come risultante della sollecitazione che interessa un dato ambito territoriale (pericolosità), della quantità e del tipo degli elementi (presenza di persone, servizi, risorse ambientali, infrastrutture, elementi economici, sociali o culturali) potenzialmente investiti (esposizione) e della propensione al danno di tali elementi (vulnerabilità). A parità di evento, sistemi paesaggistici diversi potranno subire danni differenti, in ragione della quantità e delle caratteristiche degli elementi territoriali esposti. Tutto ciò che in apparenza sembra inaspettato, in realtà spesso può essere in parte pianificato.
Floating Airport Urbanism Se da un lato l’acqua in determinate condizioni climatiche può rappresentare una minaccia per il funzionamento delle infrastrutture, dall’altra una serie di aeroporti nel mondo sono stati definiti tecnicamente, a torto o a ragione, come 'aeroporti galleggianti', ossia come floating airports. Sebbene in realtà insistano su isole artificiali, gli esempi di Kansai International Airport ad Osaka in Giappone e Hong Kong International Airport ad Hong Kong divengono il simbolo di un adattamento tecnologico alla natura. Ad oggi, vere e proprie strutture galleggianti aeroportuali non sono mai state costruite, solo studiate dalla scienza ingegneristica. Inizialmente progettate come basi di rifornimento per le traversate transoceaniche negli anni ‘20 ed in seguito per allontanare la movimentazione aerea dalla terraferma riducendo così gli impatti acustici ed ambientali, oggi esse divengono il simbolo di un nuovo connubio tra architettura, paesaggio ed acqua. Sia ben chiaro che i floating airports non devono essere interpretati in senso letterale come banale soluzione tecnica-tecnologica ma devono essere percepiti in senso traslato per adottare vecchie e nuove strategie di interazione con il territorio. Le opere di difesa non possono costituire una soluzione univoca per contrastare l’acqua perché prima o poi la natura avrà la meglio. Radicale è, infatti, il cambiamento di paradigma nell’affrontare il tema: l’acqua non costituisce più una minaccia da cui difendersi ma invece è lo stimolo per potersi adattare a vivere con l’acqua e sull’acqua (living with water and on the water), 'galleggiando'.
Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
Figura 5. Aeroporti galleggianti del mondo. Elaborazione degli studenti: E. Isidoro, P. Marangoni, F. Marcato, A. Marinelli, N. Mascotto (docente: L. Cipriani).
Da sempre alcune città hanno cercato di adattarsi e convivere con la risorsa idrica dando vita ad un vero e proprio floating urbanism, un urbanismo fluttuante. Basti pensare ad una città anfibia come Venezia, agli insediamenti olandesi, ai giardini galleggianti in Myanmar o ai moltissimi esempi di case su palafitte, dalle Alpi e dalla pianura padana in Italia alla città di Ozamiz nelle Filippine, dall’isola di Galang in Indonesia a Castro in Cile, da Tai O ad Hong Kong alla Papua Nuova Guinea, dalla Ayutthaya in Tailandia ad Hanoi in Vietnam. Anche gli esempi di aeroporti galleggianti costruiti a partire dalla metà degli anni ’70 sono molti e prevalentemente realizzati nel Sud-Est Asiatico (Fig. 5): in Giappone sono presenti gli scali di Nagasaki Airport, Kansai International, Chubu Centrair International, Kobe Airport, Kitakyushu Airport, Tokyo Haneda International; nella Repubblica delle Maldive di Ibrahim Nasir International; in Cina di Macau International e di Hong Kong International. Queste strutture sembrano incarnare idealmente il concetto di resilienza. Una nozione, questa, che nel contesto urbano, è stata presa in prestito dagli studi sui modi in cui i sistemi ecologici affrontano stress e disturbi causati da fattori esterni. Dal punto di vista ecologico, Holling, il primo a parlarne nel 1973 (Carpenter, Walker, Andries, & Abel, 2001), suggerisce che la resilienza è «la persistenza di relazioni all’interno di un sistema» («the persistence of relationships within a system») e «la capacità di questi sistemi di assorbire variazioni delle variabili di stato, variabili guida e parametri» («the ability of these systems to absorb changes of state variables, driving variables, and parameters, and still persist») (Holling, 1973: 17). In altre parole, resilienza è la capacità di un sistema di sottoporsi a disturbo e mantenere le proprie funzioni e il controllo (Gunderson & Holling, 2001). Sebbene il quadro dei fenomeni meteo climatici in ambito urbano sia complesso e debba essere studiato negli elementi e nelle scale regionali appropriate, anche i sistemi e le strutture aeroportuali possono essere ricondotti all’interno di un quadro di strategie complessive e di precisi interventi di adattamento nelle diverse scale. Adattarsi, secondo la definizione dell’ICCP, è nei sistemi umani e naturali «un processo di aggiustamento in risposta agli stimoli climatici effettivi o previsti in modo da moderare i danni o sfruttare le opportunità benefiche dei loro effetti» («In human systems, the process of adjustment to actual or expected climate and its effects, in order to moderate harm or exploit beneficial opportunities») (ICCP, 2012: 5). L’adattamento, che solitamente coinvolge in termini di scala realtà regionali e locali, non può prescindere dalla mitigazione. Insieme, si possono ridurre in modo significativo i rischi prospettati dal cambiamento climatico. Preparare i territori e realizzare infrastrutture e città resilienti significa in gran parte individuare misure idonee di prevenzione nelle diverse scale di intervento che aiutino a mitigare gli effetti amplificati dovuti alla rigidità dei sistemi urbani e infrastrutturali. Piste, coperture dei terminali, strade ed ampie distese pavimentate impediscono ad esempio nelle strutture aeroportuali la percolazione dell’acqua piovana nel sottosuolo, contribuendo inoltre all’inquinamento idrico vista la forte concentrazione di metalli pesanti, olii, grassi, liquidi antigiaccio. Fine ultimo della ricerca è stata quindi l’individuazione di possibili interventi di integrazione tra strutture aeroportuali, paesaggio, acqua e tecnologia proponendo una serie di dispositivi, scenari e visioni a breve, medio,
Laura Cipriani
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Aeroporti e cambiamenti climatici. Floating versus Flooded Airport Urbanism
lungo periodo che orientassero la progettazione di un sistema aeroportuale flessibile, a ridotto impatto ambientale e con un’alta capacità di adattamento. In un’epoca dominata dall’incertezza verso il domani e dalla corsa ad una sostenibilità – reale o presunta che sia – le infrastrutture devono essere ripensate non solo per accomodare funzioni tecnologiche odierne o necessità contingenti, ma devono essere concepite per un eventuale ri-uso futuro, dando vita ad una vera e propria modalità di re-invenzione del paesaggio e divenendo così il terreno fertile dell’inaspettato.
Bibliografia Carpenter S., Walker B., Anderies J. M., Abel N. (2001), “From metaphor to measurement: Resilience of what to what? “, in Ecosystems, no. 4, pp. 765-781. Cipriani L. (2007), “Airport Urbanism. Low cost Airports and New Landscapes”, in The European tradition in urbanism – and its future, International Forum on Urbanism, IFoU-Papiroz, Delft, pp. 143-153. Cipriani L. (2012a), Airport Urbanism. Aeroporti low cost e nuovi paesaggi, Aracne, Roma. Cipriani L. (2012b), Ecological Airport Urbanism. Airports and landscapes in the Italian Northeast, Università degli Studi di Trento, Trento. Cipriani L. (2012c), Towards an "Ecological Airport Urbanism". Indagini e scenari per l'aeroporto di Venezia, in Planum. The Journal of Urbanism, no. 25, vol. 2, Milano, pp. 1-7. Eurocontrol, Omega, Manchester Metropolitan University, MetOffice (2010), “Challenges of Growth” Environmental Update Study. January 2009, Eurocontrol, Bruxelles. Eurocontrol (2013), Challenges of Growth 2013. Task 8: Climate Change Risk and Resilience, Eurocontrol, Bruxelles. Giordano T. (2012), “Adaptive planning for climate resilient long-lived infrastructures”, in Utilities Policy, no. 23, pp. 80-89. Gunderson L., Holling C. S. (eds., 2001), Panarchy: Understanding Transformations in Human and Natural Systems, Island Press, Washington (DC). Hallegatte S. (2007), “Do current assessments underestimate future damages from climate change?”, in World Economics, no. 8 (3), pp. 131-146. Hallegatte S. (2009), “Strategies to adapt to uncertain climate change”, in Global Environmental Change, no. 19, pp. 240-247. Hallegatte S., Corfee-Morlot J. (2011), “Understanding climate change impacts, vulnerability and adaptation at city scale: an introduction”, in Climatic Change, no. 104, pp. 1-12. Hallegatte S., Przyluski V., Vogt-Schlib A. (2011), “Building world narrative for climate change impact, adaptation and vulnerability analyses”, in Nature Climate Change, no. 1, pp. 151-155. Holling C. (1973), “Resilience and stability of ecological systems”, in Annual review of ecology and systematics, no. 4, pp. 1-23. IPCC (2007), Climate Change 2007: Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, MA. IPCC (2012), Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation. Special Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, MA. Neumann J. (2009), Adaptation to Climate Change: Revisiting Infrastructure Norms, Resources for the Future, Washington (DC). Newman P., Beatley T., Boyer H. (2009), Resilient cities: Responding to peak oil and climate change, Island Press, Washington (DC).
Copyright Il ricercatore beneficia del sostegno della Comunità Europea e della Provincia Autonoma di Trento nell'ambito di un’azione Marie Curie (co-funded by Marie Curie Actions). Il lavoro che ha portato a questa pubblicazione ha beneficiato di un finanziamento del Settimo programma quadro della Comunità Europea 7 PQ/2007-2013 e della Provincia Autonoma di Trento nell'ambito della convenzione di sovvenzione n. 226070 (bando “researcher postdoc 2010 Incoming CALL 1” - progetto “Trentino - PCOFUND-GA-2008-226070”).
Laura Cipriani
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Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane”
Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane” Giuseppe Critelli Università degli Studi di Reggio Calabria PAU - Dipartimento Patrimonio, Architettura e Urbanistica Email: Giuseppe.critelli@unirc.it Tel: 02.123.4567 (facoltativo)
Abstract È oramai consolidato in letteratura che per perseguire una mobilità sostenibile bisogna agire sul trasporto collettivo per sostituire l’utilizzo del mezzo individuale, prima vera causa di insostenibilità del sistema di mobilità. Molte sono le azioni sui sistemi di trasporto pubblico in atto nel mondo ed a queste azioni sempre più spesso sono legati grandi progetti di riqualificazione urbana che puntano a creare “nuove città” e “urban amenities” ad alto richiamo e valore ambientale. Questi, autentici progetti di “metamorfosi urbana”, sono legati a decise modificazioni dei sistemi di trasporto pubblico e chiamano in causa processi di trasformazione a tutti i livelli, ma soprattutto trasformazioni urbane che mirano quanto più possibile ad eliminare l’auto dalle modalità di mobilità. Nel paper proposto saranno esaminati i vari processi che stanno portando a vere “metamorfosi urbane” legate ai vari modi innovativi di trasporto pubblico, soffermandosi in particolare sull’approccio del sistema BRT e, in particolare, alla sua applicazione in Francia, come sistema BHNS. Parole chiave Trasporto Pubblico, Metamorfosi Urbane, BHNS
Introduzione Il trasporto privato è, in tutta evidenza, la causa principale di inquinamento atmosferico legato al trasporto ed è il settore che più preoccupa da un punto di vista ambientale e su cui di più si è intervenuto da un punto di vista legislativo e regolamentare. Nelle aree urbane, l’efficienza energetica del trasporto pubblico è di gran lunga superiore a quella del trasporto privato e lo spazio urbano è una risorsa limitata che incide sulla qualità della vita di chi vive e lavora in città: il trasporto pubblico utilizza gli spazi in modo più efficiente, consentendo a tutti gli abitanti di godersi la propria città soprattutto per il fatto che le emissioni di monossido di carbonio del trasporto pubblico per passeggero trasportato sono notevolmente inferiori a quelle provenienti dalle automobili. Il trasporto pubblico, infatti, anche quando non opera al massimo delle capacità, a livello locale emette meno agenti inquinanti delle automobili: più è elevata la quota modale di trasporto pubblico, migliore è il tasso di efficienza raggiunto, basti pensare che il consumo energetico di autobus e ferrovie è da 3 a 5 volte più efficiente rispetto alle automobili o al trasporto aereo per persona/km, se a pieno carico. Se si considerano i dati che confrontano i due sistemi (UITP 2005), si possono trarre degli elementi utili per confrontare le prestazioni dell’automobile e del trasporto pubblico: per pax/Km, il trasporto pubblico è più economico dell’auto non appena la densità è superiore ai venti abitanti per ettaro; il trasporto pubblico consuma quattro volte meno energia per persona trasportata; il trasporto pubblico di superficie utilizza lo spazio con maggior efficienza rispetto all’automobile. Le considerazioni sopraesposte evidenziano come un elevato tasso di “automobilità” determini una crescita del problema ambientale e fanno sostenere con certezza che l’unica vera alternativa all’uso dell’auto, al momento, può essere il trasporto pubblico. Il rilancio e la crescita del trasporto collettivo risultano per questi motivi indispensabili per la competitività delle aree urbane, per migliorare la qualità della vita dei cittadini, per combattere efficacemente il degrado ambientale, per la tutela dei centri storici e lo sviluppo del turismo. In questo senso, e come argomentato da una ormai vasta letteratura (Campos Venuti 1999, Farinella 2004, Raichen 2000), è in atto oramai da anni un’ondata di grandi Giuseppe Critelli
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Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane”
progetti di riqualificazione urbana, che puntano a creare nuove città e urban amenities ad alto richiamo e valore ambientale. Questi progetti, autentici progetti di “metamorfosi urbane”, sono legati a vere e decise modificazioni dei sistemi di trasporto pubblico e, chiamano in causa importanti processi di trasformazione a livello economico, sociale e politico, ma soprattutto trasformazioni urbane che eliminano l’auto dalle modalità di mobilità considerate che, in questo senso, nelle nuove realtà urbane l’auto viene sempre più considerata superflua. Nel prosieguo saranno esaminati i vari processi che stanno portando a vere “metamorfosi urbane” legate ai vari modi innovativi di trasporto pubblico, partendo dall’approccio alla mobilità nelle Smart citis, vera innovazione degli ultimi anni.
I sistemi innovativi su gomma e “metamorfosi urbane” Un sistema che si è rivelato particolarmente efficace nel tempo e che ben si è legato a vere e proprie “metamorfosi urbane”, è il sistema BRT (Bus Rapid Transit), una soluzione nata negli anni ’70 a Curitiba, che oggi ispira i sistemi di trasporto di 50 città nel mondo più altri 44 in fase di sviluppo, di cui il caso più famoso è il “TransMilenio” colombiano di Bogotà (Sheinbaum 2008) . Il principio ispiratore del sistema è l’adeguamento del tessuto stradale alle persone non alle automobili. Il sistema BRT non è altro che un sistema di autobus funzionante come una metropolitana, ma trenta volte più economico. Lunghi autobus in grado di portare un elevato numero di passeggeri, che corrono su una doppia corsia esclusiva, inaccessibile alle auto, al centro delle arterie principali, con “stazioni” simili alla metropolitana per ridurre i tempi di salita, e una copertura capillare di tutto il territorio urbano. Il sistema è molto semplice ma è anche in grado di dettare il funzionamento della mobilità sull’intero territorio urbano interessato. A differenza di altri sistemi di trasporto pubblico di massa, come ad esempio l’LRT/tram e Metro, ad avviare un sistema BRT si guadagna sia sulle fasi di progettazione che di implementazione, pareggiando, negli anni, i vantaggi derivanti dalla maggiore capacità di trasporto degli altri sistemi, ma con un indiscutibile vantaggio per le fasi di riqualificazione urbana associabili al sistema. Tra i risultati “urbani e sociali” più rilevanti c’è da sottolineare, in tutte le città che adottano il BRT, l’aumento della vivibilità urbana e una serie di conseguenze positive sulla città consolidata come la rivalutazione del centro storico, reso in molte parti pedonale e l’abbattimento dell’inquinamento atmosferico. Ma soprattutto elevate sono le ricadute “sociali” e “culturali” sulla popolazione che si è riscoperta in un certo qual modo “padrona” delle loro città. La culla del concetto BRT è Curitiba, città di 1,8 milioni di abitanti che occupano una superficie totale di 435 km con una densità di circa 4.200 ab./kmq, settima città più popolata del Brasile e la città più grande del sud del paese con una vasta area metropolitana che raggiunge una popolazione di 3,17 milioni di abitanti, popolazione in crescita negli ultimi 50 anni di 9,3 volte (IBGE 2010). Tre sono stati i periodi chiave dello sviluppo del BRT a Curitiba (Lindau Hidalgo Facchini 2010): Periodo 1943-1970, essenzialmente un lungo periodo di preparazione della visione urbana che ha portato alla redazione ed approvazione del Curitiba Urbano Master Plan, (approvato nel 1966) che aveva già immaginato un sofisticato sistema metropolitano; Periodo 1972-1988, con la redazione del piano di esecuzione che ha portato al consolidamento in città di un sistema di transito bus integrato, denominato RIT (Integrated Transit Network); periodo 1988-oggi, con l’espansione dell’intera area metropolitana ed il miglioramento complessivo del sistema integrato di transito degli autobus. L’intero sistema è fondato sulla RIT, rete in grado di integrare trasporto ed uso del suolo originariamente solo per la città di Curitiba ed oggi, invece, per 14 delle 26 città dell’area metropolitana, concepita ad assi strutturali che sono la spina dorsale di un TOD (Transit Oriented Development) (URBS 2010). A Curitiba si è affrontata una pianificazione urbana complessiva in cui è stata data priorità al trasporto pubblico, riservando le strade principali esclusivamente ai mezzi pubblici e le strade laterali ai mezzi privati1. Il sistema della mobilità pubblica sposta a Curitiba, ogni giorno, 1,9 milioni di passeggeri, più della città di New York, garantendo il rapido trasporto ad una altissima percentuale di chi va a lavorare: quasi l’80% dei lavoratori, di ogni classe sociale, utilizza il sistema pubblico di trasporto (Lerner 2003). Il sistema TransMilenio, a Bogotà, è considerato al momento un esempio su scala mondiale di sistemi innovativi di trasporto pubblico: dall’avvio infatti, più di 60 missioni tecniche di 30 paesi hanno visitato Bogotá per vedere il TransMilenio e ha vinto più volte il riconoscimento come migliore progetto di sviluppo urbano (Vinck 2004). Nell’ambito dei progetti di riqualificazione dello spazio pubblico nella capitale colombiana, collegati al progetto TransMilenio, volti a rilanciare l’immagine della città ed a migliorare rapidamente e profondamente la qualità della vita dei cittadini di Bogotà, un ruolo molto importante lo ha giocato il completamento della rete ciclabile, 1
Ci sono 1.100 km di strade destinate ai 2.000 autobus in servizio con capienza di 270 passeggeri, 240 linee, 25 terminal di scambio, 225 fermate di superficie tipo metropolitana cui si accede con pagamento, con personale di controllo a terra. Il tempo di fermata è mediamente di 20”, la velocità degli autobus è compresa tra i 20 e i 30 km/h.
Giuseppe Critelli
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Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane”
denominata Ciclo Ruta, la più grande dell’America Latina per cui è previsto un ulteriore ampliamento. Attraverso il completamento della rete di piste ciclabili gli spostamenti in bicicletta sono cresciuti in dieci anni dallo 0,5% al 4,4% . Il sistema è efficiente in quanto è stato creata un’entrata riservata ai ciclisti in una delle principali fermate di TransMilenio. Il costo dei parcheggi per biciclette alle fermate del bus è coperto dal biglietto di viaggio e si pensa di stimolare l’utilizzo della bicicletta come mezzo per fare affluire più persone alle fermate di TransMilenio. Ma il fatto fondamentale, di cui poco si parla, che influenza tutta la viabilità cittadina e che dà un contributo fondamentale anche per il funzionamento del TransMilenio, è che è stato trovato il metodo di non parcheggiare sulle strade. L’effetto principale è stato quello di liberare la parte bassa della città, ad altezza dello sguardo, in modo da poterla ammirare senza che le auto ne occludano la vista. Questi interventi fanno parte integrante del recupero dello spazio pubblico, significano sicurezza e velocità per l’attraversamento dei pedoni e consentono di non interporre semafori allo scorrimento veicolare lungo le arterie. A tal fine sono stati costruiti appositi recinti/parcheggi, i Parquederos pubblicos, realizzati in quegli spazi di risulta normalmente abbandonati nella vecchia città o nei piani terra degli edifici o seminterrati nei nuovi quartieri.
Fig. 1. Curitiba, schema di funzionamento del BRT e struttura del TOD (Fonte http://www. worldstreets.wordpress.com)
Fig. 2. Bogotá, la Ciclo Ruta si connette alle vie principali, al BRT, ai parchi e ai centri comunitari (Fonte http://urbanismosostenible.blogspot.it)
Giuseppe Critelli
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Innovazioni nel trasporto pubblico e nuove “metamorfosi urbane”
In Europa interessanti risultano le applicazioni simili al BRT soprattutto in Francia, dove la particolare innovazione nel servizio di mobilità urbana pubblica viene definita BHNS (Bus Haute Niveau de Service)2. Questo sistema si adatta particolarmente al contesto francese e, soprattutto, non si oppone al tram, anzi lo integra mirabilmente. I principi fondamentali per cui avviene la conversione da un sistema di autobus tradizionale al sistema ad elevato livello di servizio sono: - miglioramento dei bus per renderli più confortevoli e trasmettere un'immagine moderna ai cittadini; - infrastruttura, con la previsione di linee di bus ad hoc, al fine di aumentare la sua velocità e frequenza, soprattutto nelle zone ad alto traffico e in questo senso, non è sempre necessario dedicare il 100% delle corsie ai bus, ma bisogna concentrarsi solo nei punti nevralgici;Stazioni o fermate efficienti, il cui scopo principale è quello di essere il più accessibile possibile; - sistemi di trasporto intelligenti (ITS), mettendo tutte le tecnologie disponibili al servizio di autobus, come accade con i tram, che fornisce distributori automatici di biglietti nelle stazioni o sul bus; - condizioni di funzionamento elevati con la previsione di semafori prioritari ed interconnessione con gli altri modi di trasporto che si trovano in quella città. Il concetto BHNS non è chiaramente definito, non vi è alcun limite, tanto che le autorità locali possono scegliere uno dei cinque elementi individuati, a seconda dell’obiettivo che si vuole perseguire su quella linea. Tra i numerosi esempi di applicazione, molto interessanti perché modificano molto in profondità la struttura urbana risultano il caso di Nantes, ormai letteratura, già in servizio ed ultimato, ed il caso di Nîmes, in via di ultimazione. Altro caso interessante lo si trova a Nantes, in quanto la città non si propone solo per l’uso del bus, ma soprattutto perché attraverso una sola linea di BHLS completa l’intero sistema della mobilità urbana. Il territorio di Nantes Metropole è in continua crescita per via della forza di attrazione che esprime: il tasso di occupazione è aumentato significativamente negli ultimi anni, l’aumento più rilevante dell’intera Francia. Il sistema BHNS, è rappresentato da una sola linea (ligne 4, indicata con il logo BusWay), istituita nel 2006 che unisce place du Maréchal- Foch (comunemente chiamata place Louis XVI) con i pressi della cattedrale dei SS. Pietro e Paolo nel comune di Vertou: 7 km con 15 fermate, di cui 8 sono stazioni di interscambio con le linee tranviarie e le altre linee della rete di autobus. Poca cosa se confrontata con i numeri del tram nantese: 3 linee, 44 km, 82 stazioni: con 266.300 pp giorno la terza rete più frequentata di Francia (dopo Parigi e Strasburgo). Esiste anche su questa linea 4 un sistema Park and ride (con 830 posti) e una stazione ferroviaria, costruiti per la riorganizzazione della rete di autobus con il lancio della linea 4. Un esempio notevole in campo urbano e non solo trasportistico è rappresentato dalle sperimentazioni e trasformazioni urbane che stanno avvenendo nella città di Nîmes, città impegnata, dal 2003, nell’organizzazione del trasporto sul suo territorio e dal conseguente riordino urbano. Il PDU (2007), frutto di un lavoro di concertazione3, è il testo di riferimento, costruito a partire da studi scientifici e tecnici molto profondi, e permette di coordinare le politiche in materia di trasporto, e dunque, di facilitare la mobilità di ogni cittadino dell’agglomerazione di Nîmes. L’obiettivo del PDU, è stato quello di rinforzare soprattutto l’intermodalità, integrando il sistema Trambus con modi di trasporto alternativi e dolci, siano essi pedonali o ciclabili, sempre però continuando a sviluppare ed ottimizzare il tessuto delle strade di Nîmes con la costruzione di grandi vie urbane a Nord ed ad ovest del territorio, al fine di consolidare l’equilibrio della mobilità urbana. L’obiettivo è quello di ridare tutto il loro spazio ai pedoni ed ai ciclisti, ma anche ai numerosi users della rete Tango. La prima azione messa in atto, ancora prima del PDU, è stata quella di mettere in funzione una efficiente rete di bus periurbani, con l’obiettivo di tessere una rete fatta di linee e luoghi/nodi coerenti con le necessità di spostamento abitazione/lavoro ed al fine di organizzare al meglio i diversi punti di raccolta ed attrazione tradizionali di Nîmes ed del suo centro città. A Nîmes il progetto di un sistema di TCSP4 (Trasporto Collettivo in Sede Propria), è partito con la presentazione dello studio di fattibilità dell’Asse Nord-Sud e l’avvio con la prima fase di attività che è consistita nella concertazione che aveva l’obiettivo prioritario di informare tutti gli attori interessati al progetto, considerato che la partecipazione è stata considerata una componente determinante per l’elaborazione del progetto. La concezione del TCSP di Nîmes s’integra nella riflessione su una rete globale di trasporti in comune dove l’insieme delle misure si articola in maniera coerente intorno a due assi strutturanti di una lunghezza totale di circa 22 chilometri, di cui 6 Km sono dell’asse Nord-Sud e 16 dell’asse Est-Ovest. L’insieme della rete viaria di tutta l’agglomerazione urbana è connessa a questi due assi forti attraverso dei punti corrispondenti con modi adattati alla frequenza proprio di ogni linea. Più possibilità permettono di rafforzare l’offerta di trasporto, da una parte migliorando i servizi di mobilità agli orari di punta, ma anche creando parchi e aree verdi legate al servizio trasportistico La creazione ed il miglioramento di questi servizi non necessitano di forti investimenti supplementari ma sicuramente raggiungono l’obiettivo di riorganizzare l’offerta di mobilità.
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Si veda www.bhns.fr. adottato all’unanimità dal Consiglio Comunale il 6 dicembre 2007. 4 partito il 30 settembre 2004. 3
Giuseppe Critelli
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Fig. 3. Nîmes, riqualificazioni urbane lungo il percorso dell’asse Nord-Sud (Fonte: www.nimes-metropole.fr e foto dell'autore)
Oggi, dopo quasi un decennio, gli utlizzatori del sistema di trasporto pubblico, denominato TANGO, sono più di 16 milioni ogni anno, incentivati anche dalla tariffa, sicuramente attrattiva, di 1 euro, stabilita e mai aumentata sin dal primo giorno di funzionamento. La performance degli spostamenti sono una delle condizioni che si sono rivelate indispensabili al fine di fare diventare Nîmes uno spazio condiviso, un’area appetibile ad alti contenuti di socialità ed al servizio di tutti i cittadini, consentendo il costante adattamento urbano alle forti fluttuazioni derivanti dalle continue evoluzioni demografiche generate dalla sua capacità di attrarre. Interessanti sono le operazioni urbane legate a questa operazione di nuova operatività del sistema di mobilità pubblica urbana, tendenti ad integrare le funzionalità e le pianificazioni relative al suo inserimento nel tessuto urbano esistente. Il sistema funziona, per quasi tutta la sua totalità, all’interno dei confini amministrativi comunali ma è pensato anche, o soprattutto, per apportare miglioramenti nel sistema di mobilità complessiva anche ai centri urbani della corona urbana di Nîmes. Particolarmente interessanti risultano i progetti urbani legati alla messa in esercizio della linea 1, che negli obiettivi progettuali contava di offrire alla città un percorso di mobilità pubblica al 100% in sede propria e la riqualificazione urbana sull’insieme del tracciato.
Conclusioni I processi di “Metamorfosi” di interi segmenti urbani strettamente legati alla progettazione/ottimizzazione di nuovi sistemi di trasporto pubblico urbano, orientati alla mobilità sostenibile si stanno, dunque, affermando come campo sperimentale dell’innovazione, della trasformazione della città e della rigenerazione di parti marginali urbane. Ciò avviene sempre più attraverso azioni pubbliche di incremento della vivibilità urbana che mirano ad una migliore accessibilità, al rafforzamento delle centralità e delle polarità urbane, alla riqualificazione dello spazio pubblico, all’uso degli spazi interstiziali, tutti elementi di un campo sperimentale che incide profondamente su una città esistente abitabile. Lo sviluppo urbano, la vivibilità delle città, la loro sostenibilità ambientale e sociale dipende sempre più, in misura decisiva dalla quantità e dalla qualità della mobilità. La riqualificazione urbana, promossa in questi anni, rappresenta da un lato l’esito delle dinamiche di cambiamento della società e della città e l’effetto più manifesto delle modifiche profonde che hanno pervaso le politiche di sviluppo urbano. Rappresenta, altresì, il punto di partenza dei processi di cambiamento strutturale del governo della città e del territorio ed uno dei principali motori del processo di rinnovamento delle politiche di intervento urbano. Gli interventi orientati alla sostenibilità della mobilità a scala urbana sono stati oggetto di numerosi studi e realizzazioni sia nelle città giganti sia in città di medie dimensioni, con particolari innovazioni sperimentate soprattutto nei paesi del Sudamerica. Questi modelli sono stati spesso riadattati alle necessità di città consolidate, anche con elevate caratteristiche storiche, e replicati nei paesi europei, soprattutto del Nord Europa. Giuseppe Critelli
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Le strategie, soprattutto dei paesi sudamericani, orientate alla sostenibilità dell’intervento urbanistico legato al miglioramento della mobilità, hanno condotto a risultati davvero incoraggianti: sono state recepite e replicate, con i dovuti accorgimenti, in altri paesi, che hanno sfruttato le differenti situazioni di partenza in maniera più facile e razionale, per meglio ottimizzare gli interventi soprattutto a scala urbana: come visto gli esempi più stilizzato sono riferibili al sistema BHNS sviluppatosi in Francia, ma che ha repliche ed applicazioni anche in altri paese europei. I modelli utilizzati in questi paesi hanno dimostrato che è possibile raggiungere uno sviluppo urbano sostenibile legandolo alla necessarietà di rifondare e/o mettere solide basi ad una mobilità urbana che risultava obsoleta, asfittica ed inadeguata ai processi urbani che si susseguono in maniera rapida ed inarrestabile. In tutti questi modelli gli aspetti fondamentali di base sono generalmente sempre tre e riguardano i tre livelli di riflessione della progettazione urbanistica sostenibile: aspetti urbanistico/ambientali, economici e sociali. I progetti urbani che hanno come scopo prioritario l’ottimizzazione della mobilità urbana sono quasi sempre, come vedremo nella parti successive di questa parte, connesse sia ad incisivi processi di riqualificazione della città esistente-consolidata sia alla costruzione di interi segmenti urbani ex-novo.
Bibliografia Campos Venuti G. (1999), Il trasporto su ferro per trasformare le città: Roma a confronto con le metropoli europee, in Urbanistica, anno LI, n.112, giugno 1999, pp.37/46; Farinella R (2004) Riqualificare la città ritrovare il fiume , in Paesaggio urbano, n. 6/2004; IBGE - Brazilian Institute of Geography and Statistics (2010). Demographic Census (in Portoghese). Consultabile su www.ibge.gov.br/home. International Association of Public Transport (UITP) (2005): Mobility in Cities Database. Better Mobility for People Worldwide Analysis and Recommendations. Lerner, J., (2003): Acupuntura Urbana, Editora Record, Rio de Janeiro Lindau, L.A., Hidalgo, D. and Facchini, D. (2010), Curitiba, Brazil: Inauguration of a Sixth BRT Corridor after 35 Years of Continuous Bus Oriented Development. In TRB 89th Annual Meeting Compendium of Papers. CD-ROM. Transportation Research Board, Washington, D.C., Paper # 10-2531. PDU - Plan de Déplacements Urbains (2007), Nîmes Métropole Reichen B. (2000), Des villes nommeé desir in Dynamic city, Bruxelles, Fondation pour l’Architecture Sheinbaum C. (2008): “Metrobús: A Bus Rapid Transportation Alternative for Mexico City”. Cities, Science and Susteinability. TWAS, UNDP URBS (2010), Urbanization Company of Curitiba, URBS Official Website (in Portoghese). Consultabile su www.urbs.curitiba.pr.gov.br Vinck, D. (2004): La construcción de un actor que innova colectivo y distribuido. El caso de TransMilenio de Bogotá, Universidad Pierre Mendès-France, CRISTO (Centro di ricerca: Innovazione Socio-Tecnica e Organizzazione Industriale)
Giuseppe Critelli
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La messa in valore del patrimonio urbano attraverso modelli innovativi di mobilità. CityMob in Calabria
La messa in valore del patrimonio urbano attraverso modelli innovativi di mobilità. CityMob in Calabria Concetta Fallanca De Blasio Università Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento Patrimonio, Architettura, Urbanistica Email: cfallanca@unirc.it Tel: 0965.32.22.201
Abstract Le città che presentano una sofferta mobilità pubblica perché nel tempo hanno scarsamente investito in infrastrutture e logistica, possono oggi divenire laboratori sperimentali per la messa a punto di modelli innovativi di mobilità urbana sostenibile volti alla progettazione di interventi di rapida realizzazione, a costi contenuti, idonei a favorire l’uso del trasporto pubblico rispetto a quello privato. Per queste realtà la scelta dei modelli di riferimento dovrebbe saper traguardare gli esempi delle città note come “virtuose” che hanno conseguito un’efficiente mobilità pubblica con logica incrementale di lungo termine e quindi difficilmente riproducibile in tempi rapidi e con costi contenuti, per rivolgersi più utilmente alle sperimentazioni creative che hanno saputo porre rimedio alle inefficienze con slanci inventivi tali da determinare una discontinuità dei corsi urbani, occasione per raggiungere nuovi obiettivi di qualità. Parole chiave Paesaggi della mobilità, sicurezza, attrattività.
1 | Logiche incrementali e creative discontinuità Il tema della sostenibilità urbana richiede notoriamente un approccio sistemico idoneo a restituire una visione olistica del funzionamento delle cose così come le reti infrastrutturali, logistiche, ecologiche della città sono destinate ad un futuro comune, che solo se condiviso e concertato, può valere ad innalzare progressivamente la qualità della città consolidata e della cultura dell'abitare quei luoghi. I temi dell’itegrazione tra urbanistica e mobilità, rappresentano la nuova visione che coniuga ricerca e innovazione nel programma Horizon 2020. L'urbanistica che non si occupa della mobilità è una urbanistica statica, che si rivolge ai luoghi come se fossero spazi inanimati e non è quindi in grado di cogliere le spinte vettoriali che i principali luoghi urbani, i magneti della città, innescano con alterne fortune. Il successo di spazi pubblici, luoghi di incontro, strade commerciali, quartieri urbani non sempre è spiegabile con i parametri dell'urbanistica, spesso si innescano dinamiche difficili da indirizzare e a volte difficili anche da interpretare, quello che è certo è che in una certa misura tale successo dipende dalla facilità di accesso dei luoghi e dalla fluidità, frequenza, gradevolezza dei sistemi di mobilità di raccordo. Inoltre il carattere a rete dei sistemi della mobilità rende estremamente opportuna l'integrazione concettuale al tema della progettazione e realizzazione delle reti ecologiche urbane che sta conoscendo sperimentazioni di cospicuo interesse in talune città ma che stenta a trovare un suo statuto in ampie aree geografiche. Queste poche considerazioni possono essere sufficienti al porsi di una questione chiave rispetto al ripensamento di quelle città che presentano un assetto strutturale e un governo dei servizi pubblici insoddisfacenti in termini di mobilità, naturalità, sicurezza urbana, consentendo una complessiva deludente qualità della vita. Come affrontare un ridisegno complessivo di tali città in tempi accettabili e con risorse inevitabilmente limitate rispetto all'ampiezza e la correlazione dei problemi? Si tratta di un aspetto diffuso e che riguarda molte aree urbane del Mediterraneo, anche metropoli di milioni di abitanti come Il Cairo, Istanbul, Amman, che si misurano oggi con condizioni sofferte di mobilità urbana, per la congestione e paralisi per l’elevatissimo numero di autoveicoli privati ad alto livello di inquinamento che rendono irrespirabile l’aria non solo nelle ore di punta. Spesso in Concetta Fallanca De Blasio
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queste città non esiste un sistema di mobilità pubblica, si mal convive con tratte insufficienti per estensione, raccordi e frequenze. In alcuni casi la carenza degli scambi di intermodalità rende scarsamente efficienti anche l’insieme di tratte di per sé funzionali. Condizioni che si ritrovano in numerose città italiane e che qualche volta dipendono anche da questioni culturali perché anche nel caso in cui fossero impegnate in azioni intese come migliorative, inseguono principi che vanno nella direzione contraria, aumentando a dismisura corsie viarie e aree di parcheggio come se, dice Mumford, allentare la cintura valesse a curare l’obesità. Si ritrovano quindi nei PUM e nei documenti programmatici interventi volti alla realizzazione di nuovi parcheggi in aree centrali già congestionate dal traffico cittadino e ancora nuova viabilità e immense superfici di sosta a servizio di centri commerciali predestinati a cedere il passo in un breve futuro ad altri più attraenti villaggi dello shopping. Se Torino, Brescia, Parma si distinguono come sensibili città “eco-mobile”, Reggio Calabria e Catanzaro, con L’Aquila -che forse non andava valutata per l’anno 2012- sono in fondo alla classifica riportata nel sesto rapporto “Mobilità sostenibile in Italia: indagine sulle principali 50 città” elaborato da Euromobility. Emerge un quadro che richiede una netta inversione di tendenza mediante un energico piano di azione in favore di città che non possiedono parcheggi di scambio, né sistemi di car sharing e bike sharing, piste ciclabili, zone a traffico limitato e pedonali, e che presentano scarsa offerta di trasporto pubblico, un insostenibile numero di autovetture per Kmq, elevato numero di incidenti e alto indice di mortalità. Per queste realtà urbane i modelli esemplari dal punto di vista della mobilità non possono limitarsi a fare riferimento alle città del nord Europa, Oslo, Stoccolma, Zurigo, Helsinki, Vienna, che hanno affrontato con esiti apprezzabili le tematiche della sostenibilità urbana a partire da un’efficiente mobilità pubblica corredata da infrastrutture verdi e che con logica incrementale hanno saputo orientare il loro progetto di città e mobilità con rara sistematicità, coerenza, lungimiranza e capacità di monitoraggio degli effetti e retroazioni. Si tratta di felici condizioni urbane conseguite con stringenti logiche incrementali di lungo termine, che hanno saputo indirizzare le risorse con continuità e costanza che nell’insieme riproducono quantità incalcolabili, certo processi impossibili da riprodurre, in particolare con le congiunture attuali, in quelle città che vivono condizioni parossistiche o comunque acute di congestione urbana. Possono essere colte le occasioni di intervento indicate dal Comitato Interministeriale per le politiche urbane nel documento Metodi e Contenuti sulle Priorità in tema di Agenda Urbana, presentato dal Ministro per la Coesione territoriale il 20 marzo 2013, per superare il governo frammentario e settoriale –sicurezza, mobilità, valorizzazione del patrimonio urbano- per le strategie di sviluppo delle aree urbane. Per queste realtà che richiedono originali strategie di sviluppo può essere utile rivolgersi al ventaglio delle sperimentazioni più avanzate e creative, quelle che hanno saputo integrare le varie forme di mobilità conseguendo straordinari risultati con risorse contenute e quelle che hanno saputo porre rimedio alle carenze strutturali e logistiche con slanci creativi in una provvidenziale discontinuità vissuta quale occasione per il conseguimento di nuovi obiettivi di qualità urbana. Si pensi al sistema Metrobus- Rapid Bus Transit ideato a Curitiba, in Brasile che ha agito da apripista e ha favorito in seguito il trasferimento tecnologico dell’esperienza in particolare in America Latina, ripreso dal Transmilenio di Bogotà, in Colombia, fino alle realizzazioni del Metrobus di Città del Messico che integra la già estesa rete metropolitana. Discontinuità creative che favoriscono stili di vita sostenibili, basti pensare che dopo Amsterdam e Copenaghen sono proprio Bogotà e Curitiba le città che più efficacemente usano la bicicletta come mezzo di trasporto.
2 | City Mob- Per la messa in valore dei magneti del patrimonio urbano Si coglie l'occasione per anticipare i presupposti e i percorsi in corso d’opera e in via di conclusione messi a punto per lo sviluppo della ricerca CityMob, biennio 2011-2013: La valorizzazione del patrimonio urbanistico attraverso modelli innovativi di mobilità urbana sostenibile, selezionato, approvato e finanziato dal Dipartimento Cultura, Istruzione, Alta Formazione, Ricerca della Regione Calabria. Le specifiche tematiche che la ricerca affronta sono relative all’individuazione di modelli innovativi di mobilità sostenibile, identificabili nella più ampia definizione di soft mobility, coerenti con i sistemi insediativi e urbani con cui si confrontano, idonei a favorire e incentivare l’uso del trasporto pubblico locale. Un modello sostenibile di mobilità, oltre a rappresentare un fattore di qualificazione sociale, innesca contemporaneamente più processi relativi alla migliore efficienza dei costi economici e sociali del trasporto che si manifestano innanzitutto con la riduzione della congestione dei flussi di traffico e dell’occupazione del suolo da parte degli autoveicoli privati. Per l’ottimizzazione dell’efficienza e dell’efficacia economica si mira, in termini di sicurezza stradale e per innalzare le condizioni di salubrità urbana, alla riduzione della sinistrosità e delle emissioni inquinanti e acustiche. Dalla concomitanza e sinergia di questi processi, pur se apparentemente riferiti al solo segmento della mobilità e dei trasporti, ne derivano ampie ricadute nei contesti urbani in termini di maggiore qualità ambientale e degli spazi (fruizione, accessibilità, sicurezza, qualità dell’aria). La volontà di valorizzare il patrimonio urbanistico attuando i principi dello sviluppo sostenibile ha favorito la diffusione, nella gestione del governo del territorio, di pratiche e strumenti finalizzati all’implementazione di interventi che risultino compatibili con l’ambiente e tra Concetta Fallanca De Blasio
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questi, particolarmente interessanti, sono quelli che riguardano il settore dei trasporti. Questi ultimi, infatti, in termini di accessibilità e mobilità urbana sono strettamente connessi alla valorizzazione del patrimonio urbanistico, ma si inseriscono in più ampie riflessioni sul progetto della città (sia come progetto di nuovi insediamenti che come riqualificazione di quelli esistenti), ed in particolare alle tematiche relative alla qualità urbana e allo sviluppo urbano sostenibile. In effetti, l’uso dei mezzi di trasporto privato individuale, gli altissimi costi esterni generati dal traffico privato (impatto ambientale e salute dei cittadini), la mancanza di risorse per contrastare il trasporto individuale con un’offerta di servizi pubblici quantitativamente e qualitativamente adeguata, sono problematiche che interessano oramai in maniera più o meno consistente la gran parte dei contesti urbani in ambito mediterraneo e interferiscono negativamente sulla fruizione dei servizi e più in generale sulla qualità della vita. Inoltre, la commistione veicoli-pedoni genera condizioni di conflittualità nell’uso delle strade e delle piazze, rendendo sempre più difficile non solo la coesistenza tra flussi pedonali e veicolari ma anche lo svolgimento delle numerose attività legate al tempo libero e all’aggregazione sociale (dal fare acquisti, all’incontrarsi, al godere della bellezza di un manufatto o di un paesaggio). Strade e piazze sono quindi certamente destinati alla mobilità ma sono, anzitutto, luoghi urbani che si prestano ad usi molteplici, e che possono utilmente concorrere a favorire i legami sociali o viceversa, se non adeguatamente resi fruibili, contribuire ad accrescere il senso di insicurezza e di esclusione all’interno del contesto urbano. In ragione della complessità delle valenze e dei ruoli che tali spazi possono assumere nei contesti urbani, appare evidente che, al fine di promuovere sistemi di mobilità sostenibile, sia prioritario guardare a strade e piazze sia come elementi di supporto alla mobilità, ma, soprattutto, come luoghi urbani che, o già rappresentano di per sé luoghi centrali, o sono gli spazi su cui si attestano centralità morfologiche e funzionali, e pertanto necessitano di essere valorizzati in termini di attrattività e fruibilità.
Figura 1. L’anima pedonale della città di Reggio Calabria, con il ridisegno della rete dei connettivi, la nuova vita delle piazze e i poli della mobilità pubblica
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È sulla base di tali considerazioni che la ricerca CityMob, con il ricorso alla definizione di un sistema di soft mobility da sperimentare in precisi contesti urbani, le città capoluogo di provincia: Reggio Calabria, Catanzaro, Vibo Valentia, Crotone, Cosenza-Rende, e i sistemi urbani della Locride, della Piana di Gioia Tauro, del Rossanese, mira a delineare linee guida ed elementi di metodo per la messa a punto di un progetto d’uso degli spazi urbani, volto non soltanto a garantire una migliore coesistenza tra le diverse attività e tra i diversi utenti (automobilisti - pedoni), ma anche ad accrescere la rispondenza tra usi previsti e caratteristiche spaziali dei luoghi. Solo a titolo indicativo si rimanda alla Figura 1. e alla Figura 2. per la proposta di gestione delle aree pedonali e dei connettivi in funzione dei principali attrattori urbani della città di Reggio Calabria e alla Figura 3. per le relazioni tra rete della mobilità e rete ecologica urbana della città di Cosenza. Nello specifico la ricerca mira a definire un modello di gestione urbana che individui il sistema delle connessioni ovvero il complesso degli interventi sulla mobilità, (intesa come insieme dei percorsi, carrabili, pedonali, ciclabili, a valenza naturalistica\paesaggistica, delle aree di sosta e dei nodi di scambio plurimodale) volti a favorire l’accessibilità ai siti e alle polarità urbane, al sistema dei servizi e delle attrezzature (musei, teatri, biblioteche, scuole, servizi) e più in generale ai luoghi cospicui che caratterizzano i contesti urbani. L’individuazione di questi sistemi sta consentendo la realizzazione di veri e propri corridoi di connessione idonei a costituire l’armatura connettiva sulla quale la valorizzazione del patrimonio urbanistico, attraverso la fruizione, si struttura. Essi sono appoggiati sia alla viabilità esistente, sia al reticolo ambientale inteso come parchi, fiumi, fossi, aree verdi di pregio, rete ecologica urbana (concetto molto diffuso nelle politiche di programmazione europea, nazionale e regionale) assumendo, come si è detto, le polarità come punti di centralità e di diffusione principale.
3 | Conclusioni: Processi di ottimizzazione per la piena accessibilità Le prospettive della ricerca, in termini di risultati attesi e contributi scientifici e metodologici che si intendono fornire, consistono nella definizione di criteri e linee guida utili per la costruzione di modelli di gestione urbana rispondenti alle istanze della qualità della mobilità urbana. La messa a punto di modelli innovativi di mobilità urbana richiede un approccio multiscalare e multidisciplinare tale da consentire l’elaborazione di linee progettuali di ampio spettro, attente alle reti ecologiche urbane, ai principi di sicurezza urbana, al design urbano di dettaglio (arredo e corredo urbano: pensiline, sedute, spazi di attesa accoglienti) che disegna il carattere della città mediante materiali urbani di alto valore in grado di offrire confort, benessere e attrattività, ai tempi e ai paesaggi della mobilità. La messa in valore di interi segmenti urbani si può ottenere attraverso azioni pubbliche di incremento della mobilità urbana che mirano ad una migliore accessibilità, al rafforzamento delle centralità e delle polarità urbane, alla riqualificazione dello spazio pubblico aperto, all’uso degli spazi interstiziali, al coerente raccordo tra gli elementi della rete, percorso e luogo sicuro, preziosi dal punto di vista della riduzione della vulnerabilità urbana. Infine alcune considerazioni sui metodi e sui criteri, ispirati all’integrazione innovativa delle diverse modalità e all’ottimizzazione delle condizioni strutturali e logistiche esistenti, per la creazione di una mobilità pubblica concepita per la messa in valore del patrimonio culturale, storico, naturalistico, e garante così della piena accessibilità ai principali magneti urbani. Le città che presentano una ridotta mobilità pubblica perché in passato hanno scarsamente investito in infrastrutture e logistica, richiedono oggi interventi di rapida realizzazione, a costi contenuti, idonei a favorire l’uso del trasporto pubblico rispetto a quello privato. I processi di ottimizzazione per la piena accessibilità puntano su azioni progettuali in grado di innescare proficui processi di valorizzazione in una logica di eco-efficienza nelle trasformazioni urbane per una città intelligente, sostenibile, inclusiva in grado di vivere nel pieno rispetto delle risorse e degli equilibri eco-sistemici, della valorizzazione dei rapporti artificio/natura, delle relazioni luoghi/legami identitari e del corretto rapporto pubblico/privato. L’obiettivo generale della ricerca CityMob, come già spiegato, è quello di elaborare un quadro metodologico e analitico per una prima applicazione di possibili dinamiche di trasformazione dello spazio urbano a seguito di specifiche ipotesi di politiche innovative nel campo della mobilità urbana. Un aspetto specifico riguarda la possibilità di ottenere con l’integrazione dell’offerta (linee tranviarie, sistemi etto metrici, autobus con corsie dedicate, navette urbane) che una percentuale sempre più alta (per tendere come per la città di Amburgo al 100%) di residenti vivano a meno di trecento metri di distanza da una fermata di servizio pubblico. In particolare, la ricerca vuole definire ed applicare a scala urbana un modello di progettazione e gestione finalizzato ad una più efficace fruizione ed utilizzazione di luoghi urbani centrali (polarità, servizi, ecc.), partendo dalla situazione attuale ed ipotizzando i possibili diversi usi futuri delle aree di connessione e degli
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spazi di relazione, attraverso una progettualità leggera e sostenibile nella logica dell’ottimizzazione delle reti già esistenti.
Figura 2. La rete connettiva dei principali magneti del patrimonio urbano della città di Reggio Calabria
Figura 3. Relazione tra le connessioni strutturali e la rete ecologica urbana rispetto ai luoghi attrattori del patrimonio della città di Cosenza Concetta Fallanca De Blasio
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Pertanto si può concludere che, attraverso un sistema di soft mobility che consente il ripensamento e la riorganizzazione di alcuni luoghi urbani sia della città storica che delle aree periferiche, sono stati fissati alcuni obiettivi specifici che hanno consentito il ridisegno delle città oggetto di studio della Regione Calabria : la riappropriazione di spazi pubblici urbani (strade, piazza) da parte degli abitanti con la formazione di spazi pubblici multifunzionali (caso esemplificativo in tal senso è una strada di Monaco, lunga oltre 1 km, trasformata in strada-gioco); una pacifica convivenza fra i vari utenti della strada (bassa velocità delle auto) e isole pedonali; la garanzia di percorsi pedonali e continui e sicuri per tutte le categorie di utenti con particolare riguardo ai fruitori deboli e ai percorsi per il raggiungimento di servizi scolastici e sociali; la creazione di reti ciclabili sicure per offrire alternative per gli spostamenti quotidiani e a fini di turismo urbano slow; il recupero delle reti tranviarie dismesse o sottoutilizzate con l’estensione e il raccordo con sistemi ettometrici –ascensori urbani, scale mobili, nastri trasportatori- delle tratte in circuiti cittadini; la trasformazione di stazioni dismesse in poli di scambio intermodale nelle porte strategiche della città; una migliore qualità del servizio offerto e delle prestazioni (velocità media dei viaggi, efficacia della rete delle corsie preferenziali); una maggiore flessibilità dei servizi offerti (in modo da riuscire a competere con il più crescente trasporto individuale, car sharing, car pooling, metodo Jungo); la formazione di un linguaggio interdisciplinare tra settori che si occupano del tema con metodi e approcci diversi ma uniti dal metodo scientifico (economia urbana, economia della mobilità urbana, urbanistica, sociologia urbana, ecologia urbana, discipline demo-etno-antropologiche). I risultati del lavoro mettono in conto preliminarmente ogni forma di disincentivo alla motorizzazione privata (pedonalizzazione di ampie aree urbane, creazione e/o estensione delle zone a velocità controllata, diminuzione delle aree di sosta all’interno delle aree urbane, creazione di quartieri car free parallelamente alla promozione di nuove consapevolezze dalle forme partecipative previste dal progetto, relative in primo luogo allo sviluppo di strumenti tecnici di supporto all’elaborazione, attuazione e valutazione delle politiche urbane inerenti al settore della mobilità e l’introduzione del concetto di “qualità dei trasporti”; alla definizione di criteri e linee guida utili per la costruzione di modelli di gestione urbana che possano dirsi rispondenti alle istanze della qualità della mobilità urbana; all’individuazione di “buone pratiche” utili per dare impulso a politiche di rafforzamento della mobilità sostenibile, attraverso l’ampliamento di infrastrutture dedicate (aree pedonali, marciapiedi, piste ciclabili), ed il miglioramento delle condizioni di protezione e sicurezza per chi si muove a piedi o in bicicletta. Si può infine concludere con la considerazione che una mobilità efficiente e integrata può essere il principale punto di forza delle politiche di riqualificazione urbana per investire verso gli spazi urbani degradati, occupati da componenti sociali svantaggiate. La messa in valore di interi segmenti urbani si può ottenere attraverso azioni pubbliche di incremento della mobilità tese a conseguire una migliore accessibilità, al rafforzamento delle centralità e delle polarità urbane, alla riqualificazione dello spazio pubblico aperto, all’uso degli spazi interstiziali, tutti elementi di una sperimentazione in grado di contribuire alla vitalità di una città disposta a misurarsi con serietà rispetto agli obiettivi di qualità e sostenibilità dello sviluppo.
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Integrazione, connettività e mobilità sostenibile tra parco e città: il piano del verde e della Biodiversità della città di Barcellona e il progetto delle 16 porte del parco di Collserola.
Integrazione, connettività e mobilità sostenibile tra parco e città: il piano del verde e della Biodiversità della città di Barcellona e il progetto delle 16 porte del parco di Collserola Mauro Francini Università della Calabria Dipartimento di ingegneria Civile Email: francini@unical.it Tel: 0984.496766 Antonio Scarpino Università della Calabria Dipartimento di ingegneria Civile Email: antonioscarpino@yahoo.it Tel: 0984.496777
Abstract La mobilità sostenibile, elemento onnipresente del dibattito sul futuro delle città, può essere ripensata non solo in relazione all’infrastruttura verde in sé, ma soprattutto come parte di un sistema ambientale integrato che prevede ricuciture e connessioni di spazi urbani degradati, ma al contempo interessi la rimodulazione della frontiera tra le metropoli e le aree naturali. Nella ridefinizione tra le categorie classiche di città e campagna di qualità, le infrastrutture dolci diventano momenti di ripensamento dell’ordinaria prassi pianificatoria raggruppando le diverse scale del progetto urbano e territoriale. Nell’ottica di una omogeneizzazione sostenibile dei territori intermedi, il sistema connettivo rappresenta una sfida per aumentare la dotazione di verde urbano ma al contempo, per qualificare integrandole, le relazioni tra la città e il suo immediato intorno. Il recentissimo piano del verde e della biodiversità della città di Barcellona e ancor di più il progetto delle 16 porte di Collserola, sembrano muoversi innovativamente nella direzione di allacciare e connettere, insistendo su una matrice verde allargata, la città e il suo parco. Parole chiave Aree e parchi metropolitani, connessioni verdi, mobilità sostenibile. La mobilità sostenibile, elemento onnipresente del dibattito sul futuro delle città, può essere ripensata non solo in relazione all’infrastruttura verde in se, ma soprattutto come parte di un sistema ambientale integrato che preveda ricuciture e connessioni di spazi urbani degradati, e al contempo interessi la rimodulazione della frontiera tra le metropoli e le aree naturali. I flussi di utenze tra la città e la campagna, nonostante il saldo in negativo verso queste ultime, sempre più abbandonate a favore della stanzialità cittadina, pone però l’accento sul fatto che l’urbanizzato va qualificandosi sempre più con connotazioni ambientali, in base alla percentuale di territorio a verde o alla distanza minima dei parchi extra-urbani dalla città. Esistono casi eclatanti come l’anello verde di Vittoria nei paesi Baschi oppure il progetto di Roma Natura, ma in generale di tutta la Rete Fedenatur1, che pongono l’accento sulle relazioni tra città e campagna e sull’interfaccia tra queste, come l’elemento caratterizzante di questa ennesima pulsione verde nella pianificazione territoriale. A ben vedere non è il ciclico rifarsi a quell’ecologia del paesaggio che pur tanta parte del dibattito in materia ha influenzato, ma se ne intravede una visione nuova e allargata che unisce assieme nuova accessibilità, integrazione e recupero sostenibile degli spazi a cavallo tra la città consolidata e le periferie degradate, coesione e rifunzionalizzazione tra cimiteri industriali e il verde suburbano. Nella ridefinizione tra le categorie classiche di città e campagna di qualità, le infrastrutture dolci diventano momenti di ripensamento dell’ordinaria prassi pianificatoria, sostanziali 1
Fedenatur: Federazione europea degli spazi naturali e rurali metropolitani e periurbani
Mauro Francini, Antonio Scarpino
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e partecipati processi di innovazione ad alto valore sociale e ambientale, che trovano attuazione raggruppando le diverse scale del piano urbano e territoriale. Il tema fondante si basa nel ridisegnare porzioni intere di città, allacciando porzioni di territorio contigue, ma sconnesse per ragioni storiche, di latente degrado o semplicemente di appartenenze municipali diversificate. L’infrastruttura assomma in sé quindi una miriade di funzioni che vanno aldilà dal mero allaccio veicolare o ciclo-pedonale, e si allarga a contenere le pratiche di un microurbanismo che qualifica e connette spazialità non solo nell’accezione di collegamenti longitudinali verso l’esterno della città, ma anche come snodi puntuali in cui si rende necessario ripensare il limite, il confine o la fascia di transizione tra ambiti urbanizzati e territori verdi vincolati. Intermedialità ed emergenze urbane palesano quindi come non possano essere solo le infrastrutture verdi strettamente intese, l’unico strumento congeniale di questo percorso concettuale, ma come le stesse debbano contribuire ad un'idea di progettualità integrata, che contempli la mobilità come una delle componenti costituenti quel novero di azioni in grado di innescare fruizioni e frequentazioni di spazi e percorsi. È evidente quindi che ciò non può essere rivolto solo agli interventi sui collegamenti, ma deve coinvolgere la qualificazione delle destinazioni, degli attraversamenti, e di tutte quelle situazioni intermedie che le azioni sulla mobilità sostenibile, come caratterizzanti di ampi ambiti territoriali, non possono più trascurare, né demandare ai convenzionali strumenti di governo del territorio. In tal senso la casistica della città di Barcellona, che ha nella sua storia passata e recente di urbe compatta, una fortissima impronta di poderosi sistemi infrastrutturali, pone in risalto i cambiamenti che si apprestano ad avvenire in merito alla rifunzionalizzazione del suo patrimonio verde interno, anche e soprattutto in riferimento alle azioni sulla mobilità relativamente ad aree libere non urbanizzabili e in particolare con il suo parco metropolitano nel massiccio di Collserola. Per capire il perché di tali recentissime e talvolta avanguardiste prese di posizione, è utile ripercorrere per grandi linee l’evoluzione urbanistica della città, che evidenzia in maniera netta le fasi cicliche nella morfologia urbana, che hanno portato alle maturate e condivise esigenze attuali dell’area metropolitana di Barcellona. La città ha dovuto nei secoli adattarsi alle vicende politico sociali cui le popolazioni e il nucleo urbano erano oggetto, con risultati che la letteratura in materia, specialmente dall’ottocento in poi ha classificato come positivi. Ma Barcellona, ha nella sua intima forma urbana, una impostazione concettuale ricorrente a cui diverse generazioni, su diversa scala, si sono via via conformate nell’idea di una direttrice obbligata, un orientamento di genesi dell’impronta urbana, che assorbito e replicato più volte ha marcato il disegno della città nelle varie epoche. Come asseriva Manuel de sola Morales è la sua matrice Romana che ha definito l’assialità primordiale della città Catalana e tale e tanta è stata l’influenza di questo impianto originario, che nelle addizioni successive la città è sempre ricorsa a trasversalismi di cardi e decumani, talvolta ruotati o disassati, riproponendo un orientamento che nella sua storia millenaria è sempre stato rispettato. Anche il Gotico che caratterizzerà fortemente la ciutad vella con la fitta maglia di vicoli sfocianti al porto, nella sua viabilità principale rispetterà tale disegno. Il salto di scala si ha evidentemente nell’Ottocento: stretta tra il mare, il Montjuic e la Sierra litorale, la città a quel tempo, era molto diversa dall’odierna; costipata nelle mura, con una altissima densità abitativa2, guardata con sospetto dal governo centrale che ne contrastava da sempre le sue spinte autonomiste, il nucleo urbano sorto dalle macerie della Barcinò, era nei fatti una polveriera sociale pronta a deflagrare. Anche quando la città si riverserà fuori dalle mura e nuove arterie e spazi come, Carrer Nou de la Rambla o il Poble Nou prenderanno vita, saranno esatta riproposizione del citato schema regolatore. Dopo questa prima fase, tra 18° e il 19° secolo, i quartieri fuori le mura si dotano di tre nuovi agglomerati tutti costruiti attorno al modello barocco della piazza rettangolare sul quale generalmente affacciava una chiesa, il primo la Barceloneta a margine del porto vecchio, fu generato a partire da una griglia urbanistica molto rigida, che imponeva rigorosamente le sue linee sull’arenile. Poi arrivò la volta del Poble Nou d’Icaria, liberamente ispirato al socialismo utopico e libertario di Etienne Cabet, e infine il quartiere di Gracia, che frontalmente alla Barceloneta si disponeva a monte del costruito in alto lambendo Collserola. Il passo successivo e più eminentemente illustre dell’evoluzione urbana di Barcellona è la sua eixample Cerdà, disegno urbano tra i più estesi del mondo di allora, congiuntura di rigidità e flessibilità urbanistica, che aveva negli intenti una maglia fortemente strutturata che poco spazio lasciava all’estro dei costruttori di strade. Un disegno rigido e illuminato caratterizzato dal fatto che in ogni blocco dell’Eixample potesse ospitare al suo interno una svariata gamma di funzioni e attività. Le successive modifiche al piano in merito alle altezze e profondità massime consentite nel caratteristico blocco con gli angoli smussati, ha nel tempo snaturato le eccellenze dei concetti di Cerdà ma non la potenza del disegno che rimane come un punto intangibile e caratterizzante dell’abitato, che molto seguito ebbe nella pianificazione “moderna” delle città Spagnole e non solo, un segno potente e caratterizzante paragonabile per incidenza nel disegno della capitale catalana al solo sistema assiale Romano. E’ proprio lì in quella ortogonalità della distribuzione dei vuoti più che dei pieni, a definire maglia urbana3per come la conosciamo oggi. La creazione della Gran Via delle corti 2
D. Calabi, Storia dell'Urbanistica Europea, Torino, Paravia, 2000 La città di Barcellona, aveva una altissima densità abitativa 864ab/ha (contro i 714 ab/ha di Parigi ed i 348 ab/ha di Madrid) stretta e racchiusa come un fortino militare affacciato sul mare in cui insistevano 150.000 abitanti, circondata da una piana non urbanizzata. 3. Una maglia urbana a ben vedere poderosa ottenuta. “sottoponendo più di 20.000 abitazioni al ritmo di 133 x 133 metri tracciando 200 km di strade, con lo stesso angolo e sezione e trasformando una pianura nuda in centro urbano di 1500 Ettari non è tanto uno sforzo quantitativo di rigidezza o controllo, ma la genialità di una idea, che come hanno dimostrato Mauro Francini, Antonio Scarpino
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Catalane, più che la Diagonal, elemento unico e dissonante nella rigidità assiale, va a marcare ancora una volta quell’orientamento urbano che non può non tenere conto della linea del litorale e riproporre un importante decumano moderno nella nuova urbanizzazione.
Figura 1. Mappa di Barcellona al 1944, si intravede il sistema assiale della città antica nonché quello dell’espansione. Nella parte superiore della mappa è visibile il progressivo espandersi dell’urbanizzato alle falde del massiccio di Collserola.
Per le stesse ragioni sono da annoverare gli interventi di adeguamento infrastrutturale nel tessuto antico come Carrer de Ferren, o la riforma di via Laietana, che ancora una volta tagliano longitudinalmente e trasversalmente il costruito storico, dandole un respiro europeo. In particolare la prima che collega Plaça S. Juan alla Rambla, arrivando dall’altra parte a connettersi con la Via Laietana è il segno manifesto delle nuove, ricorrenti ma coerenti esigenze urbane. In questo nuovo modello strategico, nonostante la creazione alla fine del diciannovesimo secolo, dei due parchi cittadini, la Ciutaudella e il Montjuic, rimaneva evidente come anche nell’impianto di Cerdà il verde in città fosse carente, e che quindi nel merito si sarebbero rese necessarie nel tempo operazioni di compensazione. I due parchi furono evidentemente uno di questi, ai quali seguiranno ulteriori tentativi di bilanciare la sproporzione tra edificato e aree libere, ma solo dopo la dittatura tuttavia tale esigenza si tramuterà in impellenza, se non altro per porre un freno alla pervicace erezione di costruzioni abusive che caratterizzavo per esempio le estreme pendici di Collserola prossime alla città4. Le colline di Collserola quindi assumevano per posizione e orografia, una importanza strategica nello skyline Barcellonese negli anni in cui quest’ultima consumava il suo particolare passaggio dalla città moderna a quella contemporanea. Il massiccio naturale è stato per anni il limite fisico oltre il quale la città non si è potuta espandere al suo interno, limite anche sociale che dava il segno del passaggio tra l’urbano della principale città Catalana e il suo entro-terra naturale. Una quinta naturalistica alternativamente boscata o brulla a seconda dell’intensivo uso che si faceva delle foreste nonché un orizzonte occlusivo verso l’interno e pertanto, comunemente definita come el telon de fondo de la ciutad. Lo stesso storicizzato piano Cerdà (1856), di impostazione metropolitana, aveva il fine manifesto di creare la grande Barcellona inglobando quartieri e agglomerati urbani che non incidevano direttamente sul mare e che si stagliavano più o meno coerentemente alle pendici del massiccio del Tibi Dabo. La collina diveniva in questo modo la cornice fisica di una prospettiva metropolitana, nella sua espansione percepita al tempo come
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tutti gli interventi successivi, giustificata ed efficace.” Manuel de sola Morales, Ten Lesson on Barcelona. Ed Coac, 2a Ediciò, 2008, Barcelona Cat. E’il caso per esempio del Barrio Les Roquetes, che ubicato nella zona all’estremo nord-est di Barcellona, sull’omonima collina (304 m.), appartenente alle pendici della Sierra di Collserola, si è contraddistinto negli anni per l’estrema aggressività delle sue costruzioni spesso abusive, tanto che negli anni 70 il dibattito si incentrò nella scelta antitetica del mantenimento o dell’abbattimento del quartiere. Quest’ultimo infatti, totalmente auto-costruito dagli abitanti si estende dagli 80 a 190 m s.l.m, in un terreno molto irregolare e irto, con pendenze medie superiori al 20%.
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definitiva e terminale della maglia urbana, che, ergendosi con le sue alture boscate, doveva rimanere convenzionalmente il punto terminale della maglia urbana5.
Figura 2. La sierra de Collserola e la sua collocazione rispetto alla città, storicamente sfondo e limite dell’urbanizzato
Il principio del secolo appena concluso pose la foresta di Collserola in una ottica diversa. Le opere infrastrutturali che la città eresse sia al livello di approvvigionamento idrico (mai bastevoli in verità alle smodate esigenze di una città in fortissima espansione), sia a livello di infrastrutture di trasporto, aprirono a nuove visioni e ambiti territoriali. Con la rete ferrata che metteva in comunicazione Barcellona con il Vallès6, cambia il rapporto relazionale tra l’urbano e l’area metropolitana. Le riconversioni industriali infatti porranno le industrie, ai margini vicino ai fiumi che la delimitano, e in un secondo tempo incideranno nei territori oltre i confini del parco, aiutate dal valico di Valvidrera7, fino a disporsi in tempi recenti, sul corso interno ad ovest del Besòs verso Martorelles fino al Montmelò, e dall’altra parte sopra l’attuale zona Franca nel Prat de Llobregat. Infrastrutturato il Vallès quindi, Collserola rimarca il suo ruolo naturalistico in contiguità alla città. Nacque in quegli anni l’idea di concepire il bosco come un grande parco centrale, secondo le linee e le tendenze prevalentemente prossime alla città giardino8 del quale la città stessa di Barcellona aveva in passato con insuccesso provato a dotarsi. Con il poderoso incremento urbanistico degli anni 50 e 60 Collserola rimane uno spazio senza urbanizzazione, circondato da una ristretta schiera di paesi e città vicine, non ancora relazionate connettivamente, e sulla comune matrice di un retroterra rurale. Alla fine degli anni 70 va a consolidarsi il processo di conurbazione e integrazione viaria dei principali nuclei urbani del Vallès, di Barcellona e del Baix Llobregat, che prima non contempla la baricentrica foresta esistente, mentre in seguito arriva a circondarla, facendo in modo che la stessa venga stretta in una morsa infrastrutturale che la stringe alla città ma, al contempo, visto l’unicum ambientale che rappresenta, ineluttabilmente la delimita. L’obiettivo di preservare la qualità ambientale e allo stesso tempo facilitare i flussi e le connessioni tra il parco e la nascente metropoli viene 5
Un limite fortemente caratterizzante se si pensa che ha vincolato fisicamente il disegno urbano anche di fronte a un piano tanto rigidamente strutturato. La celeberrima Diagonal infatti, l’arteria viaria che taglia diagonalmente la città altro non era che una spazio viario di grandi dimensioni che passasse a metà tra il Montjuic e la stessa Collserola. 6 la zona pianeggiante interna oltre il massiccio montuoso, da cui poi la città dipenderà in larga parte per le sue fortune industriali, vista la densa presenza industriale e residenziale che caratterizzerà nel tempo quelle aree. 7 Tale delocalizzazione di funzioni rende ancora più evidente l’importanza di Collserola all’attualità che è ancora più marcata dal fatto che essa stessa non è baricentrica alla Città convenzionale, della quale rimane una appendice a latere, ma è baricentrica rispetto al sistema metropolitano, BCN-Vallès, e del duo-polis Terrassa-Sabadell. Un parco urbano che è sopravvissuto miracolosamente all’aggressione speculativa, e che cerca di reggere alle pressioni antropiche, cui è ancora soggetto dal fronte mare e dal suo retro a valle. 8 Con tutti i fallimenti in tal senso; il celeberrimo Parc Guell, almeno dal punto di vista della prevista residenzialità interna scarsamente realizzata, ne rappresenta uno clamoroso. Mauro Francini, Antonio Scarpino
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espressa nel Piano commerciale nel 1953, negli schemi dell’obiettivo per la Barcellona degli anni 2000, nel Piano direttore dell’area metropolitana, ma soprattutto nel Piano generale metropolitano (Pla General Metropolità) del 1976. E’ pur vero che un ruolo attivo di Collserola nella formazione della città avrebbe voluto dire ampliare il disegno del paesaggio regionale, orientarlo meglio e qualificare la crescita urbana, definendo una struttura più razionale dell’abitato, ma non erano maturi i tempi per l’attribuzione di un ruolo specifico al parco; ciò avverrà, e non senza conflitti, più in là negli anni. Quello che è oggi il maggiore parco periurbano cittadino, polmone verde della città, contiguo e marginale ad essa ma baricentro rispetto all’area metropolitana, è diventato tale quando l’infrastrutturazione spinta ha lambito le sue pendici. La costruzione della ronda de Dalt, infatti, in concomitanza dei fin troppo celebrati giochi Olimpici del 92, assieme alle aree delegate alle strutture per l’importante manifestazione sportiva quali in quell’area il velodromo, hanno rappresentato il segno di una politica della mobilità massiva, quantunque negli intenti rispettosa degli ambiti su cui andava a incidere. La frenesia edilizia e infrastrutturale9 di quegli anni, presenterà in seguito il conto all’amministrazione comunale e da li a breve, la stessa arteria tangenziale cittadina, pur semi nascosta o completamente interrata a sostenere sui suoi tunnel ricuciture di quartieri, sembrerà tagliare in due bruscamente la parti di città che si trovava ad attraversare, invalidando i mille accorgimenti messi in atto da urbanisti e costruttori per evitare tali fenomeni. La sempre maggiore richiesta di aree verdi e la concomitante e continua aggressione alle falde di Collserola fecero il resto, tanto che si rese necessaria prima la creazione del parco naturale, e in seguito la messa in rete dei parchi della provincia Barcellonese. Ancora oggi la stessa linea di demarcazione tra le due entità è quanto di più variegato e complesso si possa ritrovare, perché a seconda delle zone che su questa si affacciano, in dipendenza della caratterizzazione dei residenti e della qualità del costruito, lungo la frontiera del parco si dispongono una serie ininterrotta e disomogenea di quartieri e assembramenti, che danno vita ad un serpentone di ambiti e morfologie urbane differenti. In tempi recenti, constatato il permanere di quel gap ambientale ormai storicizzato, associato a bassi livelli di mutua penetrabilità tra parco e città, ciò ha portato nell’anno appena trascorso all’istituzione del concorso di idee per la progettazione delle 16 porte del parco di Collserola.
Figura 3. Gli ambiti di intervento del progetto delle 16 porte del parco di Collserola,
Quasi a voler ristabilire infatti, una compensazione degli interventi che hanno generato il celeberrimo litorale Barcellonese, il municipio della città dopo essere per anni intervenuto sulle problematiche dei waterfront10, ha posto l’attenzione sulla linea di contatto tra l’urbanizzato e il parco naturale più importante della città. Un progetto di rimodulazione delle aree di contatto tra la città e il parco con la realizzazione di 16 porte; 16 ambiti scelti in cui distribuire il novero degli interventi per realizzare la connessione verde tra questi due enti territoriali contermini. Con questa iniziativa, il comune metteva mano al riordino urbanistico intorno al parco, con l’obiettivo manifesto di rimodulare i collegamenti sostenibili con la città e valorizzare le risorse naturali e paesaggistiche delle colline. Il novero degli interventi però non aveva il solo fine di omogeneizzare e connettere gli spazi forse più urbanisticamente problematici, ma anche quello di realizzare opere di ingegneria naturalistica 9
Della quale in riferimento alla supposta frenesia senza costrutto in merito al concorso per quella che sarebbe dovuta essere la futura Diagonal Mar, Vittorio Gregotti fece cenno in un suo intervento su Casabella. In cui parlava non senza enfasi di sbrigative astrattezze per definire la smania di palesare avanguardismo e innovatività senza in realtà proporli nei fatti. Sbrigative Astrattezze, Vittorio Gregotti in Casabella a.53 n:558, Giu. 1989, p.64 10 La linea del litorale, dalla Barceloneta al fiume Besòs può definirsi conclusa con il forum delle culture nel 2004 e con la realizzazione del noto edificio del Forum di Herzog e De Meron, con tutti i sottoservizi di depurazione connessi, che hanno dato un po’di respiro ai secolari problemi di smaltimento delle acque nere della città! Mauro Francini, Antonio Scarpino
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su tutti i corsi d’acqua e bacini che penetrano la maglia urbana, il tutto integrato in una rete di corridoi verdi di oltre venti chilometri di lunghezza. Collserola è evidentemente quindi un settore chiave di questa nuova sensibilità all’interventismo verde nonostante sulla sua frontiera incidano, non senza problemi, infrastrutture urbane, quartieri degradati, dimore storiche, edifici abusivi, case di pregio, aree naturali di grande valore paesaggistico, cappelle, aree per il tempo libero e lo svago, cave abbandonate e piccoli frutteti. Scorrendo la linea di contatto con la città, il ventaglio delle problematiche incontrate è quanto più vario ed eterogeneo si posa rintracciare, e la scomposizione in 16 ambiti d’accesso mirava evidentemente a specializzare nel dettaglio le future progettazioni senza cadere nell’errore di una omogeneità forzata. Ciò d’altra parte ha parso incentivare la problematica opposta, cioè la mancanza d’unitarietà nell’impostazione dei progetti che avrebbe potuto portare poi in seguito a problemi gestionali collaterali; proprio per questo, da concorso, le porte dovevano giacere su aree e proporre soluzioni con caratteristiche comuni ineludibili11. La centralità quindi del verde nell’urbano viene ribadita con una rivisitazione delle connessioni tra questi e il parco, pur nella essenzialità di infrastrutture verdi connettive ma puntuali e nonostante, come fatto notare dagli operatori del settore, il fronte degli accessi sia rivolto solo alla città e non all’area metropolitana ed al Vallès come invece ci si aspettava vista la centralità del parco rispetto a quest’ultima. Un caso emblematico delle 16 porte può essere rappresentato dalla porta Canyelles della proposta RE+ che aveva l’onere di intervenire su un nodo viario importante, lambendo quartieri dal contesto storicamente vulnerabile, penetrando nella città fino all’area verde del parco urbano Turò de la Peira. Oltre ad uno studio sul nodo infrastrutturale verde, su un sito assai delicato, gli obiettivi manifesti risultavano quelli di riallacciare gli spazi urbani al contesto reale, intendendo la porta sia come un filtro ma allo stesso modo come una piazza-territoriale. La rinaturalizzazione delle porzioni di città interessate assieme alle azioni per permeabilizzare le infrastrutture, intendendo con questo garantire i flussi in sicurezza tra parco e città, sono le principali azioni esposte cui viene accostata l’incentivazione del verde inserendo specie floro-vegetali non conflittive con quelle del parco. Il progetto si propone inoltre di organizzare un uso pubblico in grado di sostenere i nuovi spazi come aree tampone in grado anche di contenere reti di siti naturali a diversa caratterizzazione, migliorare l’accessibilità, e applicare le prerogative del Think pedestrian dissuadendo all’uso del mezzo privato a favore dell’intermodalità nella mobilità.
Figura 4. Schema delle aree interessate dal progetto dalle 16 porte del parco di Collserola,
Il bagaglio di novità nella pianificazione urbana barcellonese però non si esaurisce all’aspetto dei nodi a cavallo della frontiera protetta, ma rientrano in un ambito più allargato e innovativo espresso nel recentissimo “Piano del verde e della biodiversità di Barcellona 2020". Negli intenti dell’equipe di Urbanisti12 che hanno redatto le linee del piano, c’era evidentemente la rinaturalizzazione del centro città, con enfasi sulla connettività tra gli spazi verdi esistenti, ma soprattutto l’omogeneizzazione meditata di questi, andando a intervenire sulle diversità intrinseche, integrandole a formare un sistema connettivo su tutto il costruito. Le ambizioni del piano tuttavia, non rendono intuitiva la sua portata né la sua applicabilità appare di immediato approccio; agire a posteriori su un tessuto urbano fortemente caratterizzato e naturalisticamente parcellizzato, non è quasi mai operazione agevole13. Il piano però è uno strumento strategico che definisce le sfide, gli obiettivi e gli impegni del governo 11
L’area urbana vincolata al parco o allo spazio libero al di sotto la Ronda de Dalt, l’area urbana al di sopra e intorno la ronda, uno spazio per il parcheggio normalmente vicino la ronda, un connettore naturale esistente, Aree ad alto valore ambientale da proteggere, l’accesso alle vie e ai percorsi d’acqua. 12 Nel dettaglio lo studio degli architetti Jornet-Llop-Pastor. Carrer de Bruc 123, Barcelona. 13 E’ indubbio che gli interventi verranno realizzati e anche in tempi brevi; già nella costruzione della sua rete ciclabile cittadina l’Ajuntament de Barcelona, ha provveduto ad individuare, ed allargare, coattivamente e tempestivamente il cospicuo patrimonio di piste ciclabili, con gli effetti di promiscuità delle sedi deputate e la non adeguata regimazione dei Mauro Francini, Antonio Scarpino
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locale in relazione alla conservazione substrato naturale e della biodiversità, ed è improntato all’incentivazione degli usi compatibili, con l’ambizione di arrivare per step al progetto unitario delle aree verdi.
Figura 5. Piano del verde e della Biodiversità: esempi di integrazione ambientale enunciati nello strumento urbanistico
Questo strumento che pianifica a lungo termine, prevede al contempo la realizzazione di infrastrutture ecologiche che producano benefici per le persone, ma anche le forniture di servizi ambientali e siti di socializzazione urbana, l’inserimento della natura in città e di collegarla fisicamente alla regione ambientale di appartenenza. Il documento ha in prospettiva la visione metropolitana come un sistema ecologico complesso, sottolineando come la creazione di corridoi verdi, possano mettere in connessione le aree naturali periferiche a quelle urbane, aree di naturalizzazione a invasi di riempimento, tetti verdi o pareti arborate a boschi e spazi fluviali. Un passo avanti quindi rispetto all’impostazione delle 16 porte, che amplia il discorso a tutto il costruito Altre evidenti innovatività vanno dalle diagnosi alle proposte del piano e riguardano la categorie stesse di aree verdi naturali presenti o collocabili in città. Si va dai boschi, agli spazi naturali aperti, dalle mura o tetti verdi ai giardini pubblici, dalle vie alberate alle piazze e al verde urbano, agli orti, ai parchi agli spazi fluviali fino al litorale. Una complessità di conformazioni che corrisponde ad altrettanta eterogeneità anche nella provenienza non autoctona delle flora stanziata. Caratteristiche ecologiche racchiuse nella complessità di un sistema artificializzato da rinaturalizzare e, in tale ottica, in ognuno degli ambiti ambientali individuati sono stati enumerati una serie di attributi sui quali intervenire per conseguire gli obiettivi alla base del piano14. Sugli stessi si è andata a definire in maniera puntuale, per ogni ambito individuato in relazione agli attributi enunciati, uno studio diagnostico su come mantenere e incrementare la qualità urbana non prima di aver decretato con apposita consultazione pubblica, che tipo di qualità urbana nella biodiversità la popolazione richiedesse. A tal proposito è stato imbastito un processo partecipativo con oltre 300 partecipanti, tra esperti, organizzazioni ambientali e sociali, le imprese, i sindacati, le associazioni professionali oltre alle componenti politiche, con l’obiettivo di definire in maniera chiara le necessità che, dal basso, la cittadinanza manifestava. Tra queste spiccavano l’urgenza di avere uno spazio verde a meno di 300 metri da ogni abitazione, mobilità in continuità dal litorale fino in collina senza lasciare il verde, integrare le attività agricole in una nuova concezione di uso del suolo relazionati. Per questo il piano ha previsto, ancora una volta sul sistema assiale cittadino, una serie di corridoi verdi che potessero fornire, per gli ambiti descritti e con gli attributi enunciati, quella trama ambientale che dovrebbe abbracciare la città. I corridoi si sviluppano secondo due direttive, evidentemente da Collserola al litorale e fino alle grandi aree verdi della città15, il Montjuic e il parco de la Ciutadella; sia perimetrali lungo i
flussi su due ruote che i fruitori abituali dei marciapiedi Barcellonesi ben conoscono e talvolta con rassegnazione malsopportano 14 Nel caso degli spazi naturali aperti per esempio gli attributi prendevano in considerazione l’interesse educativo, la permeabilità, la qualità acustica, la diversità topografica e la qualità visiva, la variabilià stagionale, la ricchezza di specie e d’habitat, la densità e la stratificazione, la singolarità, la qualità del suolo. Il confort climatico, la qualità dell’aria e quella olfattiva, la salute della vegetazione e della fauna, la qualità cromatica. 15 Collserola-Montjuic, Collserola-parco della Ciutadella passando per via Laietana, Collserola-forum passando per il limite convenzionale della municipalità barcellonese sulla Rambla de Prim. Mauro Francini, Antonio Scarpino
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Integrazione, connettività e mobilità sostenibile tra parco e città: il piano del verde e della Biodiversità della città di Barcellona e il progetto delle 16 porte del parco di Collserola.
due fiumi della città16, sia di raccordo anulare. In aggiunta infatti, per integrare e connettere questi corridoi verdi, si propone di creare un anello interno che ripercorrendo la frontiera del parco di Collserola si connetta con il Montjuic, tagliando la città vecchia attraverso Carrer de Ferrain fino all’arco di trionfo del parco della Ciutadella, arrivando fino all’asta fluviale del Besòs per poi risalire dal quartiere di S. Andreu fino a Collserola. Alla fine del percorso concettuale è palese rilevare quanto il disegno antico della città incida nelle nuove politiche in atto per la stessa, e di come sia complicato provare a prescindere da queste, quando si vuole innestare, su una conformazione urbana così fortemente caratterizzata, un sistema innovativo di riordino ambientale. Il tema dei transiti e delle connessioni, siano puntuali o longitudinali, sono gli elementi che spiccano nelle nuove strategie di rimodulazione dell’impianto ambientale metropolitano, ma a ben vedere, questi diventano l’elemento aggregante di una frammentazione disorganica del verde cittadino. Le ricuciture non potranno evidentemente tener conto e rettificare tutte le incertezze sistemiche, ma sicuramente, le azioni intraprese spiccano per una innovatività di impianto che ripensa al Medi ambient Barcellonese integrando, ampliando e ristrutturando il novero delle aree libere non urbanizzabili, ad elevata qualità ambientale presenti nella capitale Catalana.
Bibliografia Enric Batlle y Durany, 2008, “La renovació del paisatgisme en els nous parcs metropolitans Institut D’estudis Regionals i metropolitans de Barcelona” Papers: Regió Metropolitana de Barcelona: Territori, estratègies, planejament, : Núm.: 47 El repte del paisatge en àmbits metropolitans. 2012: Barcellona Diputaciò De Barcelona 2001 La Politica de Proteciò d’espais naturales de la Diputaciò de Barcelona, Ed. diputaciò de Barcelona, Barcelona 2001 D. Calabi, Storia dell'Urbanistica Europea, Torino, Paravia, 2000 Manuel de sola Morales, “Ten Lesson on Barcelona”. Ed Coac., 2a Ediciò, 2008, Barcelona Cat. Joan Busquets, “Barcelona La Construcciòn urbanistica de una ciutad compacta”, Ed Las Esrella Polar, Barcellona 2007. Llop Carles, “Paisatges metropolitans: policentrisme, dilatacions, multiperifèries i microperifèries Del paisatge clixé al paisatge caleidoscopi”Revista n:47 El repte del paitsage en àmbits metropolitans Pag 8-14 Marià Martí “La creació y gestió d'un sistema de parcs metropolitans”, Institut D’estudis Regionals y metropolitans de Barcelona Núm. 20 Papers Els espais oberts: parcs, rius i costes Pàgs.:63-70 Barcellona, Ottobre 1994. Memòria de gestió 1991 “Patronat Metropolità del Parc de Collserola”.Ed Patronat Metropolità del Parc de Collserola, 1992 Parc de Collserola: “Plan Especial de Ordenación y de Protección del Medio Natural, realizaciones 1983-1989“ Patronat Metropolità del Parc de Collserola. Ed. Mancomunitat de Municipis de l'Àrea Metropolitana de Barcelona. Barcellona 1990. Departament de politica territorial i obres publiques de la generalidad de catalunya, “Pla General Metropolitano De Barcelona.”ED generalidad de Catalunya, Barcelona 2005
Sitografia Portale della città di Barcellona www.bcn.cat Portale della rete dei parchi della provincia Barcelonese http://www.diba.cat/iep/default.asp Portale della federazione dei parchi periurbani www.fedenatur.org Portale del parco di Collserola www.parcnaturalcollserola.cat Portale dell’amministrazione provinciale di Barcellona www.diba.cat/parcsn/parcs/home Portale dell’assessorato all’ Habitat urbano http://w110.bcn.cat/portal/site/HabitatUrba Portale illustrativo del piano del verde e della biodiversità di Barcellona. http://w3.bcn.cat/V01/Serveis/Noticies/V01NoticiesLlistatNoticiesCtl/0,2138,1653_1802_2_1908356386,00.htm l?bcnAccessible=true
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corridoi fluviali del Llobregat dove esiste un parco agricolo di rinomata qualità e del Besòs, dove nel Barrio della Mina sono stati effettuati tutta una serie di interventi di riqualificazione del quartiere, tra cui la creazione di una Rambla, e allocazione di trasporto pubblico di superficie caratterizzati dall’avere una cospicua presenza di verde al loro interno
Mauro Francini, Antonio Scarpino
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma Valentina Gallo Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Architettura Email: valentina.gallo.urbanistica@gmail.com
Abstract A livello europeo è possibile rilevare l'emergere di un insieme di studi e ricerche che si pongono l'obiettivo del superamento degli studi trasportistici tradizionali sulla mobilità - intesi come valutazione dell'efficienza del sistema di mobilità considerato in sé, in relazione alle caratteristiche funzionali proprie – a favore dell'elaborazione di modelli analitici - che possono essere raggruppati sotto la denominazione di Accessibility planning - che si pongono l'obiettivo di analizzare le interrelazioni tra il sistema di mobilità e la configurazione spaziale e funzionale del territorio. L'articolo, attraverso un'introduzione all' Accessibility planning e la ricostruzione del ruolo della mobilità nel supportare il passaggio da criteri di pianificazione della ‘prossimità’ a criteri di pianificazione dell' ‘accessibilità’, propone una riflessione sulle possibili interazioni tra la pianificazione dell’ accessibilità e la pianificazione dei servizi e sulle prospettive di ricerca e di riforma degli strumenti di governo del territorio che ne possono derivare. L'articolo si inserisce entro il dibattito sulle ipotesi di riforma degli standard urbanistici e nell'ambito delle esperienze di sperimentazione della pianificazione dei servizi. Parole chiave Accessibilità, pianificazione della mobilità, pianificazione dei servizi
L’accessibility planning In letteratura si sta affermando un filone dedicato alla ‘pianificazione dell’accessibilità’1 che si pone a cavallo tra le aree disciplinari della pianificazione dei trasporti, della geografia, della pianificazione urbanistica e della sociologia urbana. L’ Accessibility planning si caratterizza per l’elaborazione di modelli di analisi urbana e territoriale che si basano sulla costruzione di ‘indici di accessibilità’ che, accanto a variabili connesse alle misurazioni tradizionali della performance dei sistemi di mobilità – quali, ad es., la misurazione del Livello di Servizio delle infrastrutture e dei costi dello spostamento in termini di distanza percorsa o tempi di spostamento – incorporano variabili territoriali – inerenti, ad es., la distribuzione e caratterizzazione delle funzioni, della popolazione o di gruppi sociali specifici nel territorio. Nella loro applicazione entro processi di analisi e pianificazione urbana e territoriale, la costruzione di indici di accessibilità si accompagna spesso all’impiego di strumenti GIS per l’elaborazione dei dati e delle rappresentazioni cartografiche. 2 La caratterizzazione del filone di studi e pratiche della pianificazione dell’accessibilità si basa sulla distinzione terminologica tra la nozione di ‘mobilità’ e quella di ‘accessibilità’. Il termine ‘mobilità’ identifica la proprietà di un soggetto o di un oggetto dell’essere in movimento e descrive la facilità di spostamento da un luogo ad un 1
Il termine ‘accessibilità’, nel contesto progettuale e normativo italiano, è utilizzato all’interno di differenti campi specialistici indicando declinazioni specifiche del concetto e nel campo della progettazione urbana ed architettonica è usato prevalentemente per identificare l’area di progettazione per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Nel contesto internazionale dell’Accessibility planning, invece, la nozione di ‘accessibilità’, viene definita come la capacità dei soggetti di raggiungere i beni, i servizi o le attività desiderati (Litman, 2011, p. 1), utilizzata per misurare il grado di raggiungibilità e fruibilità dei luoghi e dei servizi (ISFORT, 2009. P. 22). Di conseguenza il termine Accessibility planning in linea con questi studi, viene tradotto con il termine ‘pianificazione dell’accessibilità’, specificando che tale termine è assunto nella sua accezione più ampia, riferita alla possibilità di accedere in maniera generalizzata alle opportunità offerte dalla città, e allo studio delle sue ricadute urbane e sociali. 2 Per una panoramica sull’ Accessibility planning è possibile consultare Hull, Silva, Bertolini (2012) Valentina Gallo
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
altro; nella pianificazione dei trasporti, normalmente, la mobilità è espressa in termini di Livello di Servizio (LOS) delle singole infrastrutture o del sistema modale considerato, di numero spostamenti effettuati o di chilometri percorsi, e riguarda la performance del sistema modale. Il termine ‘accessibilità’, diversamente, assume un connotato relazionale rispetto ai soggetti coinvolti, ad un determinato fine o luogo e alle condizioni che rendono possibile o meno l’accesso. L’attenzione, in questo caso, non è esclusivamente sulla facilità dello spostamento, intesa in termini di percorrimento della rete di mobilità, ma sul raggiungimento effettivo di un determinato luogo o attività, tenendo in considerazione tutte le condizioni che lo rendono possibile (Hull, Silva, Bertolini, 2012; Scheurer, Curtis, 2007; Colleoni, 2012; Handy, 2005). In questo modo la mobilità è una componente necessaria ma non sufficiente dell’accessibilità che incorpora una valutazione degli aspetti prestazionali e di capacitazione o limitazione relativi ad uno spettro più ampio di variabili, che possono comprendere aspetti economici, sociali, cognitivi, comportamentali, inerenti gli utenti, le opzioni modali a disposizione, la caratterizzazione dello spazio urbano e l’interazione tra queste variabili. I modelli di analisi e valutazione dell’accessibilità afferiscono alle diverse aree disciplinari in relazione alle teorie e metodiche di riferimento nella loro formulazione e alle finalità del loro impiego. Il filone degli studi sull’accessibility planning, in particolare, si occupa di investigare come i diversi modelli basati sulla costruzione di indici di accessibilità possano essere utilizzati entro processi effettivi di analisi e pianificazione urbana e territoriale (Hull et all., 2012). Infatti, mentre da una lato sono in aumento le formulazioni sperimentali in ambito scientifico, dall’altro le applicazioni effettive sono più limitate. A tal proposito Hull et al. (2012) e Bertolini, le Clercq, Kapoen (2005) evidenziano la difficoltà e la necessità di coniugare complessità e accuratezza dei modelli, rispondente ad un maggiore fondamento teorico ed empirico, con la facilità di maneggiamento e comunicazione da parte degli operatori tecnici e politici delle amministrazioni che tendono, invece, a divergere limitando l’uscita di questi modelli dall’accademia. Hull et all. (2012: 207- 237), all’interno del progetto di ricerca COST Action TU1002 – Accessibility Instruments for Planning Practice, hanno svolto un’ampia indagine sugli strumenti di pianificazione dell’accessibilità a cui è seguito un lavoro accurato di confronto e categorizzazione. Dal lavoro svolto è possibile tracciare alcune caratteristiche generali dell’applicazione degli strumenti di pianificazione dell’accessibilità entro processi di analisi e pianificazione urbana e territoriale: in relazione alla scala geografica di riferimento, gli strumenti di pianificazione dell’accessibilità tendono ad essere impiegati prevalentemente ad una scala territoriale sovra-municipale e, in maniera più circoscritta, ad una scala infra-municipale; in relazione agli obiettivi di pianificazione supportati, molti strumenti di pianificazione dell’accessibilità combinano una pluralità di obiettivi che possono essere relativi alla valutazione di scelte e criteri localizzativi, all’identificazione di modalità per gestire, incoraggiare o ridurre l’uso di particolare modalità di trasporto, alla garanzia di principi di equità e coesione economica o sociale, allo stimolo dello sviluppo economico e altro; accanto a strumenti multi obiettivo emergono due categorie generali di strumenti mono obiettivo orientate prevalentemente alla pianificazione urbanistica, finalizzati alla valutazione delle opzioni localizzative, oppure alla pianificazione dei trasporti, finalizzati a gestire, incoraggiare o ridurre l’uso di particolare modalità di trasporto; in relazione al ruolo di supporto alla decisione entro i processi decisionali emerge che questi strumenti sono impiegati in tutte le cinque modalità identificate – supporto passivo, contribuisce alla formazione delle scelte senza introdurre suggerimenti di orientamento o soluzioni esplicite; supporto attivo, contribuisce alla formazione delle scelte introducendo suggerimenti di orientamento o soluzioni esplicite; supporto cooperativo, consente al decisore di intervenire (modificare, completare, rifinire) sugli orientamenti o soluzioni fornite dal sistema prima di reintrodurle nel sistema per la validazione; supporto nella valutazione ex-post degli impatti delle decisioni; supporto nella pianificazione strategica per la definizione degli obiettivi. In particolare emerge una prevalenza per l’impiego nella pianificazione strategica; in relazione al ruolo che questi strumenti assumono entro il processo di pianificazione urbanistica emerge che in genere il loro impiego è correlato ad una pluralità di obiettivi tra quelli identificati – creare nuove conoscenze e prospettive; argomentare e giustificare l’assunzione di decisioni o posizioni già assunte, supportare la generazione di opzioni o strategie, supportare la selezione di opzioni o strategie, supportare l’integrazione di prospettive di pianificazione urbanistica. I ruoli più ricorrenti sono la creazione di nuove conoscenze e prospettive ed il supporto alla generazione di opzioni o strategie e all’integrazione di prospettive di pianificazione urbanistica; in relazione al modo in cui le opzioni modali sono considerate al loro interno, nella maggior parte dei casi vengono assunte combinazioni di più opzioni tra quelle identificate – tutte le opzioni modali, automobile, trasporto pubblico, camminare, bicicletta, altro. Gli strumenti che stringono il fuoco su un’ unica opzione modale tendono ad essere incentrati sull’accessibilità automobilistica o con il trasporto pubblico; in relazione alle opportunità o agli obiettivi del viaggio considerati la maggior parte degli strumenti analizzati tende a considerare tutti gli obiettivi possibili, in forma disaggregata, che generalmente comprendono lavoro, tempo libero, salute, educazione e acquisti. In alcuni casi, invece, vengono impiegate misure aggregate Valentina Gallo
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
rispetto alle quali non è possibile specificare le considerazioni sull’accessibilità di attività particolari oppure stringono il fuoco su singole attività.
‘Prossimità’ e ‘accessibilità’ nella progettazione urbanistica Lo sviluppo dei sistemi di mobilità, che consentono di coprire distanze maggiori in tempi contenuti, ha avviato un processo di superamento relativo dei parametri tradizionali di progettazione della città, fondati su un principio di prossimità fisica, a sua volta basato sul canone antropologico della percorribilità a piedi; in questo modo è stato avviato un processo di articolazione e complessificazione delle logiche localizzative, della struttura urbana e della nozione di accessibilità. La prossimità spaziale, che è stata tradizionalmente una caratteristica fisica relativamente univoca, è stata sostituita con una pluralità di fattori barriera differenziati in relazione alle opzioni modali, che a loro volta agiscono diversamente in relazione alla loro distribuzione territoriale, alle caratteristiche fisiche e funzionali del territorio in cui sono inserite e alle caratteristiche personali, economiche e sociali degli utenti, creando una maglia sempre più complessa di possibili combinazioni di fattori di agevolazione o deterrenza dell’accessibilità 3. Di conseguenza, con lo sviluppo del trasporto pubblico e, in particolar modo, della mobilità veicolare individuale di massa, si è attivata una tendenza alla sostituzione della prossimità fisica con la possibilità di ricorrere alle diverse forme di mobilità che, per la loro complessità, necessitano forme nuove di pianificazione dell’ accessibilità che siano in grado di ricostruire con maggiore fedeltà le dinamiche reali e il contributo dei diversi fattori di influenza e siano in grado di aprire nuove prospettive di intervento.
‘Accessibilità’ e disuguaglianze sociali Molti studiosi focalizzano l’attenzione sul fatto che ‘mobilità’ e ‘accessibilità’ non sono tra loro speculari e direttamente proporzionali per cui ad elevati livelli di mobilità non corrispondono necessariamente elevati livelli di accessibilità e viceversa (Handy, 2005; Borlini, Memo, 2011). E la scissione di questa relazione di corrispondenza e proporzionalità è particolarmente rilevante nella città contemporanea nella quale la dilatazione territoriale, il diradamento degli insediamenti, la crescente articolazione delle attività quotidiane degli abitanti e la crescente selettività e specializzazione delle localizzazioni delle funzioni e dei servizi hanno dato origine ad un sistema che accresce le distanze e moltiplica gli spostamenti. In questo modo si genera una dipendenza dalla mobilità, che diventa una risorsa essenziale per rispondere ai bisogni personali, ma, in parallelo, si generano due livelli sovrapposti e interrelati di disuguaglianze connesse alla effettiva accessibilità: delle opportunità urbane, in termini di prossimità relativa, in relazione alla loro presenza e distribuzione nel territorio; delle risorse di mobilità che ne potrebbero consentire il raggiungimento, in relazione alle opzioni modali disponibili e alle barriere di accesso, di diversa natura, che le caratterizzano. Molte ricerche, in maniera diretta o indiretta (Colleoni, 2012; Dieleman, Dijst, Burghouwt, 2002; Cervero, Cockelman, 1997) infatti dimostrano l’esistenza di importanti differenze in termini di potenziale di accessibilità tra le aree centrali consolidate, dove la concentrazione e articolazione delle attività e delle opportunità tende ad essere associata a forme di multi modalità grazie ad una maggiore presenza ed efficienza dei servizi di trasporto pubblico, e le aree periferiche e periurbane a bassa densità dove si riscontra una maggiore rarefazione delle attività e dei centri erogatori di servizi o la loro specializzazione funzionale, che porta ad un restringimento dei bisogni rispetto ai quali possono offrire una risposta, associata ad una limitata presenza e dei servizi di trasporto pubblico. Accanto a questi studi che focalizzano l’attenzione sulle proprietà dei luoghi e dei sistemi di mobilità, emergono nuovi di studi che focalizzano l’attenzione sugli attori sociali e le risorse individuali di diversa natura che ne influenzano le capacità di accessibilità (Colleoni, 2012). L’attenzione è rivolta ai fattori tradizionali di differenziazione socioeconomica, quali quelli di genere, professione, classe, reddito e alle competenze e alle risorse conoscitive che agiscono ulteriormente sul modo in cui le risorse personali vengono impiegate (Borlini, Memo, 2011). Questi orientamenti fanno riferimento ad un gruppo di ricerche tra le quali quella di Dijst e Vidakovic (1997), che distinguono tre diverse nozioni di spazio: ‘spazio d’azione potenziale’, ‘spazio d’azione percepito’ e ‘spazio d’ azione effettivo’ che corrispondono rispettivamente alle opportunità (beni, servizi, attività, relazioni) che sono oggettivamente accessibili in relazione alla loro localizzazione, alle opportunità che risultano accessibili da un punto di vista soggettivo, in relazione alle conoscenze alle possibilità individuali e, 3
Per una ricostruzione sintetica ed esaustiva delle definizioni di accessibilità urbana, con attenzione alle diverse variabili rispetto alle quali è possibile analizzarla e alle teorie di riferimento, si veda Colleoni (2012)
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
infine, alle opportunità di cui un soggetto fruisce effettivamente che emergono dall’interazione tra le prime e le seconde; e quella di Kaufmann, Bergman, Joye (2004) sui concetti di ‘motilità’ e ‘capitale di mobilità’ che, similmente, distingue tre fattori alla base dell’accessibilità individuale: le opzioni disponibili in termini di opportunità e le condizioni a cui sono soggette, le competenze per usare le opzioni disponibili e il modo in cui gli attori interpretano l’interazione tra le due e fanno uso effettivo delle opportunità cui possono accedere. A partire da queste teorie, in letteratura, in particolar modo nell’ambito della sociologia urbana, si sta affermando un filone di studi sulle relazioni che intercorrono tra mobilità, accessibilità ed equità sociale ed un filone di pianificazione dell’accessibilità rivolto a ridurre le disuguaglianze sociali nell’accesso ai servizi e alle opportunità ritenute fondamentali, nel quale l’esperienza principale di riferimento è il sistema di Accessibility planning inglese (SEU, 2003, DfT 2004a, 2004b). Questi studi, ampliando lo spettro delle variabili da tenere in considerazione nella valutazione dell’accessibilità, consentono di introdurre, da un punto di vista operativo, le differenze che emergono nel passaggio da approcci tradizionali alla pianificazione del territorio e della mobilità che agiscono a monte del processo di trasformazione e infrastrutturazione, imprimendo una determinata configurazione formale e funzionale alla città in linea con le proprie logiche settoriali, oppure attraverso interventi di innesto o di ridefinizione di tali assetti, alla pianificazione dell’accessibilità che ragiona sulle interazioni reciproche tra le variabili coinvolte e sui meccanismi di bilanciamento e compensazione che si instaurano tra soluzioni complementari o alternative, ampliando il ventaglio delle soluzioni possibili. Nell’ambito della pianificazione dell’accessibilità, infatti, si costituisce la possibilità di scambiare non solo soluzioni di riconfigurazione dello spazio con opzioni di riconfigurazione dei trasporti, ma anche la possibilità di scambiare queste soluzioni con forme di ripensamento dei servizi o di capacitazione degli individui. Una prospettiva che risulta maggiormente pertinente con la fase attuale nella quale la stagione dell’ ‘espansione urbana continua’ sta mostrando l’insostenibilità economica, ambientale e sociale della prosecuzione di questo modello, diminuiscono le risorse pubbliche a disposizione degli interventi di trasformazione urbana, per la fornitura dei servizi pubblici e per gli investimenti nei sistemi di mobilità, che non possono essere garantiti in maniera diffusa e generalizzata su tutto il territorio, e si pone la necessità di pensare a forme nuove di intervento sulla città esistente.
Pianificazione dell’accessibilità, standard urbanistici e pianificazione dei servizi Alla luce di queste considerazioni, la pianificazione dell’accessibilità può rappresentare un filone disciplinare interessante all’interno del quale collocare il dibattito sulla necessità di superare la formulazione quantitativa degli standard urbanistici (Contardi, 1999a, Karrer, Ricci, 2003), introdotta nella pianificazione urbanistica italiana con il Di 1444/684, e le esperienze recenti di pianificazione dei servizi che si pongono l’obiettivo di innovare la pianificazione delle attrezzature collettive e instaurare nuove forme di coordinamento tra la pianificazione dei servizi e la pianificazione urbana. I limiti maggiori dell’esperienza dello standard urbanistico risiedono nel fatto che mentre è stato possibile creare le condizioni per il reperimento delle aree, nella pratica non è stato possibile evitare la banalizzazione della loro applicazione, che può essere ricondotta ad un generale appiattimento della cultura progettuale, a cui era attribuito il compito di tradurre le quantità prescritte in fattori di qualità insediativa, e nella rigidità insita nella definizione degli standard che ne ha limitato l’adattabilità alle evoluzioni sociali e di contesto (Contardi, 1999a). Sinteticamente Lucio Contardi (1999b) riassume così le cinque questioni attorno alle quali riflettere sulle possibili evoluzioni della normativa e delle pratiche di applicazione degli standard urbanistici: l’identificazione di «criteri e modalità per articolare la dotazione di aree pubbliche in rapporto ai differenti contesti e all’interazione tra i diversi sistemi urbani, come per esempio l’offerta di trasporto pubblico e la dotazione di parcheggi o i caratteri del sistema ambientale»; l’identificazione delle «nuove domande cui deve rispondere la gestione dei sistemi urbani e che possono essere tradotte in nuovi parametri quantitativi» e prestazionali; una riflessione sulle «ricadute dell’innovazione urbanistica sugli strumenti tecnici della pianificazione, quali sono gli standard, soprattutto in ragione dei diversi tempi e della diversa operatività dei piani»; una riflessione sulle «modificazioni indotte dal rallentamento della crescita urbana nel ‘sistema di finanziamento’ del governo del territorio e le conseguenze sulla stima del ‘contributo alla città’ dovuto dai soggetti delle trasformazioni urbanistiche». 4
Il Di 144/68, con riferimento alla definizione di zone territoriali omogenee, stabilisce gli standard minimi inderogabili di aree da destinare alle attrezzature collettive in maniera proporzionale al numero di abitanti insediati o insediabili ed in relazione alle categorie principali di dotazioni identificate che completano le indicazioni orientative di riferimento definite per tipologia specifica di attrezzatura collettiva – in termini di numero minimo di abitanti servito, raggio di influenza massimo e area media per abitante – con la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 20 gennaio 1967, n. 425 (IASM, 1983). L’obiettivo perseguito dalla normativa sugli standard urbanistici è assicurare le dotazioni minime di spazio e di attrezzature e definire criteri di omogeneità e comparazione.
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
A fronte di uno stallo normativo a livello nazionale, a livello regionale stanno emergendo alcune innovazioni in termini sia di normativa che di pratiche e strumenti di pianificazione dei servizi, entro le quali le cinque questioni ricostruite da Lucio Contardi possono essere rielaborate. Gli elementi di innovazione principali dei piani dei servizi risiedono nell’orientamento alla ricognizione dello stato di fatto all’identificazione e quantificazione dei bisogni effettivi e delle domande emergenti come base per: introdurre criteri valutativi nuovi che consentano di rendere più flessibile e adattativa la pianificazione delle attrezzature collettive; costruire la cornice di riferimento per le procedure di perequazione urbanistica e la costruzione di protocolli e procedure per il passaggio a forme innovative di pianificazione della ‘qualità urbana’, introducendo forme di coordinamento con la pianificazione urbanistica. Entro questa cornice la ‘pianificazione dell’accessibilità’, collocando le questioni inerenti la pianificazione dei servizi nell’ambito della riflessione sulle condizioni di accessibilità e attraverso la costruzione di indici di accessibilità che incorporano diverse variabili, può apportare un interessante contributo: nella definizione di nuove metodiche di analisi urbana che possano andare oltre i parametri connessi alla dotazione in termini assoluti di infrastrutture e servizi mettendo in relazione le caratteristiche spaziali, funzionali e sociali del territorio con le prestazioni effettive; nella definizione di soluzioni e forme di intervento innovative che, come avviene nell’ambito della pianificazione dell’accessibilità, possono portare anche al superamento di logiche basate esclusivamente sulla pianificazione urbanistica a favore della costruzione di uno scenario di riferimento entro il quale collocare anche interventi innovativi di capacitazione degli individui, nella gestione della mobilità urbana e nella ridefinizione delle forme di gestione dei servizi, ampliando lo spettro degli ambiti di intervento. L’impiego degli strumenti della pianificazione dell’accessibilità, infine, come richiamato nella prima sezione del testo, può collocarsi in modi differenti entro i diversi livelli di progettazione e con ruoli differenti all’interno dei processi decisionali e di pianificazione, contribuendo all’integrazione tra la pianificazione dei servizi e quella urbanistica e al passaggio da una nozione quantitativa ad una qualitativa e prestazionale dello standard urbanistico.
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Mobilità e welfare urbano: interazioni e prospettive di riforma
Kauffman V., Bergman M.M, Joye D. (2004), “Motility: Mobility as Capital”, in International Journal of Urban and Regional Research, no. 28, pp. 745-756. Scheurer J., Curtis C. (eds., 2007), Accessibility measures: overview and practical applications, Impacts of transit led developments in a new rail corridor, Working paper n. 4. SEO - Social Exclusion Unit (2003), Making the connection. Final report. DfT - Departement for Transport (2004a), Accessibility planning guidance: full guidance. DfT -Departement for Transport (2004b), Technical guidance on accessibility planning in Local Transport Plans.
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Integrazione urbanistica e mobilità: nuovi approcci ed esperienze
Integrazione urbanistica e mobilità: nuovi approcci ed esperienze Carmela Gargiulo* Università degli Studi di Napoli Federico II D.I.C.E.A.- Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale gargiulo@unina.it 081/7682308 Valentina Pinto* Università degli Studi di Napoli Federico II D.I.C.E.A.- Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale valentina.pinto@unina.it 081/7682147 Floriana Zucaro* Università degli Studi di Napoli Federico II D.I.C.E.A.- Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale floriana.zucaro@unina.it 081/7682147
Abstract La risoluzione del difficile rapporto tra città e mobilità per il superamento delle sfide ambientali ha assunto nell’ultimo decennio un ruolo centrale nelle strategie nazionali e dell’UE. Sebbene le interrelazioni tra usi del suolo ed trasporti siano consolidate a livello teorico, nelle pratiche di pianificazione l’integrazione tra i piani urbanistici e di governo della mobilità spesso è solo auspicata. Partendo da tali presupposti il lavoro contenuto in queste pagine propone una lettura delle attuali politiche e delle più recenti iniziative di mobilità sostenibile attuate a livello nazionale, con l’obiettivo di contribuire alla definizione di un nuovo approccio che nasca dall’integrazione tra città e mobilità nel rispetto del principio di sostenibilità. Il contributo proposto è stato articolato in tre paragrafi. Il primo è orientato alla definizione di un nuovo approccio conoscitivo/interpretativo per il governo integrato città-mobilità; il secondo descrive le politiche innovative e le relative soluzioni tecniche promosse in alcune città italiane in materia di mobilità sostenibile; il terzo infine propone una lettura dei casi studio analizzati nell’ottica dell’integrazione territorio-trasporti. Parole chiave Nuovi approcci conoscitivo/interpretativi, governo dei sistemi urbani, mobilità sostenibile
La necessità di un approccio integrato città-mobilità La crescita della popolazione nelle aree urbane del pianeta tocca ormai il 50% del totale e le città si configurano sempre più come luogo privilegiato di scambi e spostamenti. Le forme dell’insediamento hanno abbandonato la tradizionale partizione fra città e campagna ed i processi insediativi hanno investito gli ampi margini territoriali delle infrastrutture del trasporto su gomma, con l’inevitabile crescita della domanda di mobilità privata, aggiungendo così insostenibilità territoriale e ambientale. Negli ultimi decenni la necessità di ridurre le esternalità negative prodotte da tali processi e di migliorare la qualità dell’ambiente urbano, ha determinato la diffusione di strategie ed iniziative orientate alla promozione di *
All’interno della generale condivisione del lavoro, la redazione del primo paragrafo è stata affidata a Carmela Gargiulo, la redazione del secondo paragrafo a Floriana Zucaro, la redazione del terzo paragrafo a Valentina Pinto.
Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro
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Integrazione urbanistica e mobilità: nuovi approcci ed esperienze
una mobilità sostenibile al fine di «…maintaining the capability to provide non-decliningaccessibility in time, whichdepends on ourability to maintain net capital (natural, human-made, social) stocks, or, atleast, the capability of thesestocks to providecurrentlevels of accessibility to future generations» (Zegras, 2005). Assicurare elevati livelli di accessibilità e garantire una mobilità sostenibile hanno rappresentato, quindi, gli obiettivi chiave delle politiche di governo della città al fine di minimizzare gli impatti negativi sull’ambiente. Il raggiungimento di tali obiettivi va perseguito insieme alla riconfigurazione e alla riqualificazione degli spazi che hanno bisogno di adeguarsi alle necessità di bisogni diversi e alla riconfigurazione di molte attività urbane. Ciò, come ormai ribadito e condiviso da chi studia e si occupa di governo delle trasformazioni urbane, pone la necessità di rielaborare approcci conoscitivi, metodologici e operativi del governo delle trasformazioni urbane in primo luogo attraverso l’integrazione tra settori scientifici che finora sono sembrati distanti, quali il governo delle trasformazioni urbane e quello della mobilità. Nel corso degli ultimi vent’anni si è passati dal considerare la città come spazio la cui conformazione e organizzazione era il risultato della trasformazione dei suoi luoghi, al concepirla come spazio dedicato prevalentemente a supportare i flussi di mobilità derivanti dalle attività in essa localizzate. Entrambe le concezioni si basano sulla separazione concettuale tra spazi urbani e flussi di spostamento, anche quando, più di recente, si è lavorato su un modello basato sulla loro integrazione. Un’attenta osservazione del fenomeno urbano fa emergere che il suo processo evolutivo e l’organizzazione degli spazi dipendono sia dalla domanda di nuove attività che dalla domanda di mobilità, generata, a sua volta, da molti e diversi fattori sociali. Come alcuni autori rilevano, ciò che prima era il “carico di progetto” del piano, ovvero la domanda di abitazioni e di attività antropiche in generale, ora sembra essere in buona parte sostituito dalla domanda di mobilità di persone (Tira 2011). La città, quindi, non è più solo spazio dei luoghi né tantomeno lo spazio dei flussi che vive, si trasforma e si alimenta indipendentemente dalla città degli spazi. La città che si va configurando è il luogo che, sulla base delle sue caratteristiche storiche, si configura anche in ragione dei flussi di spostamento (Gargiulo 2007). Questa nuova visione della modalità di evoluzione della città rende necessario l’utilizzo di un nuovo approccio integrato che superi gli steccati tra il governo delle trasformazioni degli spazi urbani e della mobilità tanto nella fase conoscitiva dei problemi allo studio, che nella fase metodologico -operativa di risoluzione. Se in letteratura è ormai condiviso che, per garantire maggiori possibilità di successo nelle sfide ambientali, sia necessario adottare un approccio integrato, nelle pratiche di pianificazione l’integrazione tra i piani urbanistici e di governo della mobilità spesso è solo auspicata. Tale circostanza è, in parte, dovuta al fatto che la messa a punto di una sinergia tra piani, programmi, strumenti urbanistici e di governo della mobilità e il ricorso ad indicatori ambientali ed energetici con cui monitorare le azioni intraprese o da intraprendere richiede un grande sforzo di cooperazione e di risorse, umane ed economiche. I risultati in termini di qualità dell’aria e degli ambienti urbani, di maggiore accessibilità ai luoghi e di sostenibilità dei sistemi di trasporto non possono essere affidati alla sensibilità di tecnici e amministratori verso le tematiche ambientali; sarebbe opportuno codificare iniziative di pianificazione sulla base della completa integrazione tra sistema urbano e dei trasporti. Queste iniziative dovrebbero, inoltre, porre particolare attenzione alla condivisione dei processi decisionali con gli stakeholders e l’intera collettività: la creazione del consenso e l’estesa partecipazione sono, infatti, elementi da cui non è più possibile prescindere per il raggiungimento di qualsiasi obiettivo trasformativo che inizia prima di tutto con un radicale diffusione della cultura della partecipazione. Come si può leggere nei paragrafi che seguono, alcuni passi anche importanti nella direzione dell’integrazione tra scelte di trasformazione urbana e governo della mobilità sono stati intrapresi nella fase attuativa, soprattutto quando è necessario trasformare gli spazi per consentire il miglioramento della mobilità. Resta, tuttavia, molto ancora da fare per l’effettiva integrazione soprattutto nella direzione della predisposizione di strumenti che adottino, non solo teoricamente, un approccio olistico al governo della città e del territorio. L’integrazione tra il governo delle trasformazioni urbane ed il governo della mobilità è, quindi, solo il primo salto di qualità su cui basare la predisposizione degli strumenti di pianificazione aperti all’integrazione di tutte le componenti che costituiscono il sistema urbano nella sua complessità. Da quanto finora detto, risulta evidente che non sono messi in discussione obiettivi trasformativi e politiche urbane perseguiti nelle diverse realtà, bensì il processo da seguire, il ruolo degli attori coinvolti e da coinvolgere e gli strumenti con cui operare.
Esperienze italiane di mobilità sostenibile Al fine di testimoniare quanto, nelle nostre città, si sta pianificando in termini di integrazione tra trasformazioni urbane e mobilità, si riporta una sintesi di alcuni casi emblematici. La lettura di ciascun caso è stata effettuata mettendo in luce la politica urbana adottata, gli obiettivi in cui quest’ultima si estrinseca e le principali soluzioni tecniche implementate. Il recente Piano di Governo del Territorio di Milano mira a rendere la città multicentrica attraverso processi di trasformazione che si basano sui valori imprescindibili di sostenibilità e sensibilità ambientale. Milano è la città Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro
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del sud Europa che con più determinazione ed efficacia ha introdotto nei propri schemi di governo della mobilità il pricing urbano, dapprima per dare seguito ad una politica ambientale di riduzione dell’inquinamento atmosferico (Ecopass) e successivamente ricalibrando la misura sulla moderazione del traffico. Tale provvedimento sta incentivando lo shift modale per il trasporto pubblico che è stato potenziato sia per quanto riguarda la rete su ferro che quella su gomma. L’Amministrazione milanese ha,inoltre, puntato sullo sviluppo della mobilità soft, realizzando una rete di percorsi pedonali e ciclabili che partendo dal centro della città arrivano alle aree verdi localizzate lungo la cintura urbana. Torino si è di recente dotata del PUMS che definisce in modo coerente le scelte sul sistema dei trasporti e le integra con quelle relative al sistema urbano. Il riequilibrio della domanda di trasporto a favore di quello collettivo è finalizzato a migliorare l'accessibilità urbana e la qualità dell’ambiente. Per conseguire lo split modale dal trasporto privato a quello pubblico Torino ha agito parallelamente sul sistema della sosta, sull’ampliamento dell’area interdetta alla circolazione veicolare, sul potenziamento del servizio di trasporto pubblico e sulla diffusione di modalità di spostamento sostenibili. La dimensione della sostenibilità della città piemontese è perseguita anche attraverso l’utilizzo di veicoli ecologici pubblici. Bologna, come le altre città, persegue una politica finalizzata all’abbattimento dei livelli di inquinamento e alla riduzione della congestione veicolare. Le azioni messe in campo hanno come principale obiettivo quello di assicurare un’accessibilità sostenibile e diffusa nell’intera area urbana attraverso: l’incremento dei punti di interscambio tra linee di bus, l’istituzione di percorsi di attraversamento della città per i collegamenti diretti con i poli terziari, l’incentivazione all’uso dei parcheggi di attestamento situati nei pressi di poli attrattori, il completamento di una rete di itinerari ciclabili e la progressiva diffusione dei veicoli ecologici. Napoli, da circa 20 anni, cerca di sviluppare congiuntamente pianificazione urbanistica e dei trasporti al fine di perseguire gli stessi obiettivi già descritti per altre città. Il perseguimento di tali scopi può essere ricondotta a tre tipologie principali di interventi: completamento e potenziamento delle linee di trasporto su ferro, riqualificazione delle aree di stazione e istituzione di ztl. Le misure inerenti la rete su ferro hanno rappresentato l’occasione per operare sui tessuti urbani con interventi di riqualificazione delle piazze e dei percorsi. Nell’ultimo anno, l’A.C. ha inteso implementare il processo di integrazione tra trasformazione urbana e mobilità sostenibile in occasione dell’evento America’s cup World Series (2012).A tal fine è stato adottato il PGTU (novembre 2012) che oltre ad ampliare la ztl del mare, ne ha istituito di nuove nell’area centrale e ha riconfigurato le aree pedonali dei quartieri spagnoli, in previsione anche dell’apertura di una nuova stazione della metropolitana (la stazione di Toledo aperta a dicembre 2012). Nonostante l’Amministrazione abbia dichiarato di aver svolto attività consultive e partecipative con numerosi stakeholders, soprattutto negli ultimi giorni si stanno svolgendo numerose manifestazioni che esprimono il completo dissenso per queste iniziative. A Bari, negli ultimi anni, si sta tentando di colmare la carenza di strumenti pianificatori con l’obiettivo di intraprendere un percorso di rivitalizzazione e di rigenerazione dell’intera area metropolitana, attraverso l’integrazione tra PUM, Piano Strategico e PAES con cui sviluppare in modo sinergico sistema urbano e sistema della mobilità. Nel caso di Bari l’obiettivo di ridurre la congestione veicolare, specialmente nel centro storico, è stato raggiunto attuando una serie di interventi che incidono esclusivamente sul sistema della circolazione e della sosta. La realizzazione di aree di sosta regolamentata unitamente ad un sistema integrato di parcheggi di interscambio periferici ha consentito di dissuadere progressivamente la penetrazione dell’auto in città, trasferendo quote di viaggiatori dal mezzo privato a quello pubblico. Lo split modale privato-pubblico è stato anche supportato dall’attivazione del sistema di bike sharing usufruibile da cittadini e pendolari che necessitano di effettuare brevi spostamenti in città.
L’integrazione territorio-trasporti nei casi studio La lettura dei casi studio è stata effettuata con lo scopo di stabilire se c’è stata integrazione tra gli strumenti di governo del territorio e della mobilità, se tale integrazione si riscontra solo nella fase di pianificazione degli interventi o anche nella successiva fase di attuazione o se gli interventi attuati sono stati implementati al di fuori di un contesto pianificatorio. Nel caso studio di Milano il successo di iniziative quali Ecopass e bikeMi hanno rappresentato il volano per la messa a punto dei recenti piani di governo della mobilità e del territorio; tale successo è dovuto sia all’integrazione tra le diverse misure adottate che ad una costante fase di monitoraggio gestita da un’apposita agenzia (Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio). Le misure adottate sono nate per rispettare la volontà dei cittadini espressa durante un referendum popolare svoltosi nel giugno 2011in merito all’implementazione di misure di mobilità sostenibile. A Torino si deve il merito di portare avanti un intenso processo di pianificazione integrata trasporti-territorio, iniziato negli anni 2000 in occasione delle Olimpiadi invernali, a cui è corrisposta una concreta fase attuativa. Anche in questo caso grande enfasi viene data, nell’ambito della predisposizione degli strumenti di governo delle trasformazioni urbane e della mobilità, ai processi di partecipazione e comunicazione e alla fase del monitoraggio. Tali aspetti rappresentano le azioni propedeutiche alla messa a punto di un vero e proprio “sistema di governo di piano”, così come definito all’interno del PUMS. Lo stesso PUMS prevede la misurazione degli effetti delle Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro
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azioni di piano attraverso appositi indicatori che consentono di verificare la rispondenza dei risultati conseguiti con quelli di progetto. Nel caso di Bologna,come si legge all’interno del Piano Strutturale Comunale (2008),«la sostenibilità permea l’azione dell’amministrazione locale ed esige l’integrazione di interventi e strategie tra urbanistiche e trasportistiche». Fattore d’innesco del processo di pianificazione territoriale e della mobilità nell’ottica della sostenibilità è stato in questo caso la partecipazione del comune di Bologna al progetto CIVITAS-MIMOSA, partito nel 2008 e conclusosi l’anno scorso, mirato a divulgare la mobilità sostenibile ed a coinvolgere attivamente i cittadini. L’ATC, l’operatore dei trasporti pubblici di Bologna ha effettuato una campagna informativa e di sensibilizzazione sul trasporto pubblico distribuendo degli opuscoli con la descrizione delle linee degli autobus, le connessioni con i comuni limitrofi e le informazioni sul nuovo sistema tariffario. Fondamentale per il successo della misura di limitazione del traffico all’interno del centro cittadino è stato poi il monitoraggio degli ingressi veicolari. Tabella I: Matrice di sintesi dei casi studio.
Città
Piani di Governo del Territorio
Piani di Governo della Mobilità
Interventi attuati
Milano
2009-Piano di Governo del Territorio 2011/2016-Piano Generale di Sviluppo 2006-Variante al P.R.G; 2006-Secondo Piano Strategico “Torino Internazionale”.
2001-PUM 2012-PGTU 2012-Linee di Indirizzo del PUMS
-road e park pricing; -car e bike sharing
2010-PUMS
Bologna
2008-Piano Strutturale Comunale; 2009-Piano Operativo Comunale
2006-PGTU; 2006-Piano per la Distribuzione e la Raccolta delle Merci in Ambito Urbano
Napoli
2004-Variante al PRG
1997-PCT; 1999- PUP 2003-Piano delle 100 Stazioni 2004-PGTU
Bari
1976- PRG 2008-Piano Strategico “Metropoli Terra di Bari”
2009-PGTU 2009-PUM “Metropoli terra di Bari”
Torino
Spin-off degli interventi
Strumenti di partecipazione
Livello di integrazione territoriotrasporti
Iniziative sperimentali (Ecopass e bikeMI)
Referendum popolare per l’attivazione di misure di mobilità sostenibile
Attuativo
-ztl centro storico; -potenziamento e prolungamento tpl; -pedonalizzazione strade e piazze del centro; realizzazione parcheggi interrati; -incentivi auto e scooter ecologici; -sviluppo piste ciclabili; -car sharing -ztl centro storico; -car sharing; -park and ride; -ampliamento piste ciclabili; -incentivi acquisto ciclomotori ecologici; -sistema tariffario integrato; -veicoli ecologici per il tpl -completamento e potenziamento delle linee di trasporto su ferro; -riqualificazione aree di stazione; -pedonalizzazione lungomare Caracciolo; -istituzione ztl in diverse aree della città
Grande evento: Olimpiadi Invernali del 2006
Incontri pubblici per la predisposizione del Piano Strategico
Pianificatorio e attuativo
Progetto Europeo CIVITAS MIMOSA partito nel 2008 e conclusosi nel 2012
Campagna informativa e di sensibilizzazione all’uso del TPL
Pianificatorio e attuativo
Predisposizione dei piani di governo del territorio e della mobilità prima e grande evento (American’s Cup del 2012) poi.
Incontri pubblici per la stesura del Piano Particolareggiato del Traffico Urbano
Pianificatorio
-parcheggi di interscambio periferici; -park pricing; -ztl centro storico; -Bike sharing
Piano Strategico
Progetto MUSAMobilità Urbana Sostenibile e Attrattori Culturali
Pianificatorio e attuativo
Napoli rappresenta un caso emblematico in quanto il processo di predisposizione degli strumenti di pianificazione della mobilità è proceduto parallelamente a quello della pianificazione urbanistica. Al dinamismo e alla lungimiranza degli strumenti decisionali fa tuttavia da contrappunto una difficoltà nell’attuazione delle Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro
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scelte di piano. In occasione di alcune nuove iniziative quali l’American’s Cup, l’A.C. ha tentato una nuova strada verso la riorganizzazione dei flussi di traffico. L’efficacia dell’istituzione delle ZTL predisposte nel novembre 2012 dal punto di vista della riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti non può essere però concretamente misurata in quanto delle nove centraline monitorate dall’Arpa Campania, solo quattro continuano a fornire dati in merito al Pm10. In questo contesto, in assenza di centraline attive in luoghi chiave del traffico di Napoli, non è possibile comprendere se l’istituzione dei dispositivi di limitazione al traffico abbiano effettivamente ridotto l’inquinamento o se abbiano più probabilmente spostato il problema da un’area all’altra. Il caso di Bari, infine,dimostra come la predisposizione del Piano Strategico Metropoli Terra di Bari (2008) abbia rappresentato l’avvio di una serie di interventi sia di tipo infrastrutturale che sulla gestione e organizzazione dei sistemi di trasporto tutt’ora in corso. Il caso di Bari è inoltre emblematico per ciò che riguarda il tema della partecipazione. Oltre ai forum tenutisi per la predisposizione del Piano strategico, Bari è infatti una delle otto città pilota su cui è intervenuto il progetto MUSA (Mobilità Urbana Sostenibile e Attrattori Culturali). Nell’ambito di tale progetto è stata testata una procedura partecipata in merito alla riorganizzazione della circolazione e della sosta nel quartiere centrale Murattiano. La procedura partecipatasi è basa su un’analisi multicriteria e un’indagine demoscopica per raccogliere le opinioni dei cittadini. La decisione finale è stata poi presa da una “giuria dei cittadini” che ha validato il risultato finale della procedura partecipata. Dalla lettura dei casi studio e dal loro confronto è possibile desumere che i principali aspetti su cui le diverse città analizzate puntano per attuare con successo gli interventi di mobilità sostenibile riguardano, da un lato, il coinvolgimento attivo dei diversi attori economici, politici e sociali nell’elaborazione e nella definizione delle strategie e delle iniziative e dall’altro un’attenta fase di monitoraggio degli interventi. Risultano pertanto avvantaggiate le città in cui già da alcuni anni è stato intrapreso un processo di pianificazione strategica (Torino, Bari, Milano) che molta importanza affida agli aspetti chiave evidenziati. Un altro fattore importante è legato non solo l’integrazione tra i diversi piani di governo ma anche tra piani di breve e lungo periodo. Le amministrazioni comunali sono chiamate pertanto a governare l’evoluzione dei sistemi urbani sulla base di una conoscenza e di un monitoraggio costantemente aggiornati della reale evoluzione del sistema in modo tale da poter evidenziare eventuali scostamenti dalla traiettoria di evoluzione prefigurata ed intervenire con eventuali correttivi (Papa, 2008). L’esito positivo delle misure attuate, quindi, non solo non può prescindere dalla loro armonizzazione ed integrazione nell’ottica della sostenibilità (Gargiulo, Pinto, Zucaro, 2012), ma non può nemmeno prescindere dal loro inserimento in una visione strategica unitaria che soltanto un processo di governo integrato delle trasformazioni urbane e territoriali può assicurare.
Bibliografia Gargiulo C. (2007), “La città come luogo dei flussi: un approccio di metodo”, in Tema. Journal of Land Use, Mobility and Environment, vol.1. Gargiulo C., Pinto V., Zucaro F. (2012), “Interventi di mobilità sostenibile nei centri urbani: lettura e misura degli effetti in 6 casi studio”, VII Giornata di Studi INU, La Città Sobria, Napoli (in fase di pubblicazione). Papa R., (2008). Il governo delle trasformazioni urbane e territoriali, Milano, Franco Angeli. Tira M. (2011), “L’indispensabile integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità: l’esempio del Transit Oriented Development”, in M Territorio n. 2. Zegras (2005), “Sustainable urban mobility: exploring the role of the built environment”, Thesis (Ph. D.)Massachusetts Institute of Technology, Dept. of Urban Studies and Planning.
Carmela Gargiulo, Valentina Pinto, Floriana Zucaro
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Sustainability, Land-Use and Towards Re-Imagining the Rural-Urban Fringes: Places for New Economic Identities of Towns – A Case Study in Ankara, Turkey
Sustainability, land-use and towards re-imagining the rural-urban fringes: places for new economic identities of towns A case study in Ankara, Turkey Ozan Hovardaoglu Erciyes University Faculty of Architecture, Department of City & Regional Planning Email: ozanhovardaoglu@erciyes.edu.tr, ozanhovardaoglu@gmail.com Tel: + (90) 352 207 6666 / 35404, + (90) 532 673 7465 Seda Calisir Hovardaoglu Erciyes University Faculty of Architecture, Department of City & Regional Planning Email: sedac@erciyes.edu.tr, sedahovardaoglu@gmail.com Tel: + (90) 352 207 6666 / 35402
Abstract The recent economic crises especially after the 1990s seem to have structural influences both on national and local level economics. It is possible to distinguish between several ways of dealing with the economic crises but the most apparent ones seem to be those strategies which seek to increase the variety of local economic capabilities by locating a multiplicity of new uses within towns. We distinguish between two ways of locating new land uses in cities during these attempts: (a) locating new uses by urban renewal projects and (b) locating new uses on the rural-urban fringes of cities. We suggest that the rural-urban fringes can (and perhaps should) be considered as opportunities for locating the new economic identities of towns, but these areas have to be planned, controlled and managed without giving up the necessary principles of sustainability. This study, therefore, aims at contributing to the rural-urban fringe studies by seeking certain design principles by researching the education center identity of the town of Ankara, Turkey. Keywords Rural-Urban Fringes, sustainability, Ankara.
1 | Introduction The 1990s represent a period in which the ideas of the city and urban development have become to be at the top of both social science and policy agenda again but within a radically changing context. Amin and Graham (1997), for instance, identify the period as ‘...a remarkable renaissance (...) fueled by the replacement of tight, positivistic approaches with structuralist and, more recently, post-structuralist theories’ (p.411). This growing interest of both social science and policy agenda in the mid1990s was neither surprising owing mostly to the drastic impacts of economic restructuring having influenced national and local economies all over the globe, nor simple in nature. The meta-narrative level discussions in the literature focused on challenging attempts to re-understand, reconceptualize and even re-define what the ‘city’ was and what its peculiar assets could be both in terms of place, identity and culture in a period of heavy arguments about globalization and its local influences. The practical definitions of the city and urban in terms of land-uses, main economic activities and functions, and the amount of population which depended on rather positivistic approaches as Amin and Graham (1997) put were on the focal point of these re-conceptualization arguments. On the other hand, there were certain efforts which attempted to understand the unevenly emerged local development experiences during the economic restructuring period. The failure of the central positivistic Ozan Hovardaoglu, Seda Calisir Hovardaoglu
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approaches in explaining the uneven nature of these experiences also necessitated establishing alternative ways of understanding the city. The traditional approaches, therefore, were not only challenged by the meta-narrative level theoretical works but also by the practical researches focused on real experiences. However, it is extremely difficult to say that all these challenges to the traditional definitions of the city and the new approaches and reconceptualization efforts have resulted a more smooth way of understanding what the city is. On the contrary, it is possible to put that there is much confusion and ambivalence about what city is. Within this context of confusion and ambiguity, Amin and Thrift (2002) suggest an influential way of reimagining the urban. According to them, the city is constituted of mixed spatialities and it is open to different kinds of mobilities ranging from the flow of people to flows of commodities and information (Amin and Thrift, 2002). Besides, the city also is a place wherein these mobilities are produced and centralized. Their reconceptualization is likely to be a guide to re-understand the city which sheds light on current components and dynamics of the urban and which provides the literature with the opportunity to widen and deepen the understanding. However, representing the city seems to be much more complex and challenging in nature. Amin and Graham (1997) distinguish between three different tendencies in the contemporary literature: re-understanding or reconceptualizing the cities as (a) nodes of global networks, (b) as national economic motors and (c) as creative cities. Actually, especially from the planning and policy agendas of local or regional governmental structures, it is possible to observe these strategies which seek to make the city a node of various global networks, as well as one of the main economic pioneers of region or nation with highly equipped creative capabilities together at the same time. These three tendencies in the literature, therefore, do not serve to classify the city but clarify its visions, strategies and efforts. Having regard to these three tendencies and re-imagination of the urban in terms of mobilities and mixed spatialities, this study aims first at drawing attention to the spatial consequences of these most recent efforts of many towns seeking to increase the variety of their economic abilities; and second at suggesting a sustainability oriented framework for planning the rural-urban fringes wherein the above mentioned spatial consequences have become much more apparent. The efforts of many towns seeking to increase the variety of their economic abilities represent locating new uses within the physical geography of towns. We distinguish between two ways of locating new land uses in cities during these attempts: (a) locating new uses by urban renewal projects and (b) locating new uses on the rural-urban fringes of cities. Urban renewal or urban transformation projects are widely discussed. However, a limited intention seems to be attracted toward rural-urban fringes. These areas are seen to be the cheapest, the most convenient and the most conflict-free etc. lands for locating new land uses. Rural-urban fringes represent considerable opportunities for creating new economic identities of towns, but these areas are also places of rural-urban settlements with peculiar socio-spatial characters. Sometimes rural-urban fringes represent ecologically vulnerable areas as well. We suggest that the rural-urban fringes can (and perhaps should) be considered as opportunities for locating the new economic identities of towns, but these areas have to be planned and controlled without giving up the necessary principles of sustainability. This study, therefore, aims also at contributing to the rural-urban fringe studies by researching the changing nature of urbanization in Turkey and education center identity of the town of Ankara, Turkey.
2 | Changing nature of urbanization in Turkey: a brief look Any attempt to summarize the urbanization process in Turkey in a very brief manner faces the threat of being too narrow. But it is vital to emphasize the main breaking points of urbanization in Turkey in order to understand the current strategies of development and their certain spatial consequences in many Turkish cities. Turkish town planning history was familiar with the contemporary debates of 1930s concerning the separation of certain landuses from each other (Tekeli, 2001; 2008b). The land-uses based planning had been decided to be at the core of urban planning in Turkey in tune with the contemporary national level development efforts in the period after the declaration of the Republic in 1923. The period which begins in the 1920s and end at the second half of 1940s, especially after the World War II, seems to be characterized by national development efforts in which the state was the main investor of especially big and capital-intense investments with the notion of modernization (Tekeli, 2001; 2008b). But the period between 1950s and 1970s represents a dramatic change in the urbanization process of Turkey. In this period, industrialization was seen to be the main dynamic of development, on the one hand, and urbanization was seen to be the prerequisite of industrialization, on the other (Boratav, 1984b; 2003; Kepenek, 1983; Tekeli, 2001). Moreover, this period also represents a high rate of national population increase; and much higher rate of urban population increase as well. Urban population increase rates in some major cities like Istanbul, Ankara, IzmÄąr, Adana, Bursa, Kayseri, and Gaziantep doubled the rate of national population increase. Growth, therefore, had been the major consequence of both the development strategies and urbanization in this period.
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Sustainability, Land-Use and Towards Re-Imagining the Rural-Urban Fringes: Places for New Economic Identities of Towns – A Case Study in Ankara, Turkey
But economic growth was strictly related to and depended on urbanization, urban growth and population growth in this period. Growth has overwhelmingly been on the focal point of development strategies influencing both economic and spatial interventions in a wider range from national and regional level policies to land use planning in Turkey in this period. It is possible to put that the most successful towns in local development in this period were also the towns which were able to successfully manage the urban growth and the ones which have lost population by migration have mostly failed in establishing successful development paths. Urbanization in Turkey has been under the dominance of the growth based theories and practices in the 1980s but the consequences of growth based urbanization, along with the devastating influences of global economic crisis of the 1970s have had much more dramatic results. By the liberalization of the national economy, and the increasing number of privately invested big industrial enterprises, many towns have experienced radical and unmanageable rates of urban growth. However, this period also represents the beginning of the decrease in Total Fertility Rates (TFRs) in national level which has led a gradually dwindling increase rates in the total population (Hovardaoglu, 2010a; 2010b). Figure 1 shows the contemporary consequences of gradual decrease in the TFRs in Turkey.
Figure 1. Influences of TFR decline on the Population Pyramids of Turkey: 1985-2010 (Source: US Census Bureau, International Database, 2010).
The most apparent consequence of this decline in the TFRs being followed by the national level population stability scenarios seems to be the necessity to direct the development efforts in finding alternative solutions which pave the way for establish an economic growth without the externalities of rapid population increases or rapid urbanization. The main industrial structures in many towns have truly enjoyed the externalities of rapid urbanization and fast population increases. But in a period of a rather stable population, these industrial structures seem to be open to ‘structural’ crisis. Quantities, having characterized by urban growth, population increase and so on, have once had dominating influences of Turkish urbanization, but this kind of urbanization is now suffering from the challenges of quality based problems. The influences of these problems have begun to be much more apparent in the period after the 2000s. Especially in the 2001 crisis, many small and medium size enterprises suffered from such structural weaknesses and were not be able to survive the crisis. The possible consequences of decline in the population increase rates and the stability in the population have begun to be mentioned more recently, but the evidences have already been there especially in the 2001 crisis. Many of the local administrators now who were either able to successfully manage the outcomes of the 2001 crisis or creative enough to reconstruct the local economies after the crisis now openly address the need of a multiplicity in the economic identities of towns. Industrialization, once seemed to be unyielding and indomitable for decades in Turkey, is now suffering from the dwindling rates of profitability, and many of the towns whose local administrators seek to make the city a node of global networks, a locomotive of the national economy now seem to be in search of solid alternatives of industrialization without giving up efforts of providing the industrial sectors with manageable solutions. One of the most obvious examples of these efforts is the urban transformation projects in Turkey. By these projects, many of the towns seem to find a ‘local economy mobilizing opportunity’. It is possible to emphasize two major local economy mobilizing effects of these projects. Since they impose a demolition and re-construction process, they serve to mobilize the construction sector which pervasively influences its sub-sectors continuously. Secondly they give local administrators the opportunity to re-organize the land-uses in towns. Ozan Hovardaoglu, Seda Calisir Hovardaoglu
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Sustainability, Land-Use and Towards Re-Imagining the Rural-Urban Fringes: Places for New Economic Identities of Towns – A Case Study in Ankara, Turkey
These projects and their consequences are widely discussed. But on the other hand, a brand new opportunity comes on the scene which can be characterized by the changing relation of the town with its rural-urban fringes. These areas are seen to be the cheapest, the most convenient and the most conflict-free etc. lands for locating new land uses. Rural-urban fringes represent considerable opportunities for creating new economic identities of towns. But most importantly, establishing a sustainable relation between the towns and their rural-urban fringes is a very new context and problem for almost all urban areas of Turkey. In the following section, we attempt to shed light on the changing nature of rural-urban fringes in Turkey.
3 | Changing nature of rural-urban fringes: theoretical and practical consequences As pointed out in the foregoing section, the fifty-year-long period until the 2000s in Turkey represents the influences of rapid urban growth. In this period, the relation between the urban areas and their rural-urban fringes in Turkey has had a similar nature with the traditional conceptions of planning, but it is possible to detect certain special practical usages as well. Before proceeding, it will be useful to understand the fundamentals of the relation between the city and the rural-urban fringes in traditional conceptions of planning. The fringe has not been discovered recently, it has always been there in theoretical foundations of planning. It is possible to identify the first theoretical footprints of the fringe in von Thünen’s influential work ‘The Isolated State in Relation to Agriculture and Political Economy’ (von Thünen, 2009 [1863]in Fujita, 2012) in a form of a dialectic between the core and periphery especially in ‘Thünen’s Rings’ (Hovardaoglu, 2012). Another influential study sharing a similar approach to the fringe with von Thünen’s work is Walter Christaller’s ‘Central Places in Southern Germany’ (Christaller, 1966 [1933]). He identified the hierarchical relationship between the central places and ‘hinterlands’ wherein a dialectic between core and periphery results a hexagonal pattern of urban and regional services. In addition, McLoughlin (1969) draws attention to the ‘centrifugal’ and ‘centripetal’ forces in urban geography in order to address the relation between the core and the periphery (Hovardaoglu, 2012). Besides, both in Burgess’ (1968, [1925]) studies on concentric rings and later, Harris and Ullman’s (1957, [1945]) influential conception on multiple-nuclei, it is possible to identify the core-periphery type of relations between the urban and fringe. The common point of all these fundamental theoretical studies of planning is that they all focused on center and central; and explain the peripheral within a context of core-periphery relations (Hovardaoglu, 2012). Table 1 shows a brief look toward the conceptions and uses of the rural-urban fringes both in theoretical and practical terms. Table 1. A Brief Look towards the Conceptions and Uses of the Rural-Urban Fringes (Hovardaoglu, 2012). Rural-urban fringes
Traditional Conceptions of Planning
- Thresholds which block alternative growth directions
Conventional practical uses
-
Slum house areas
cannot be located within urban areas
Waste-lands waiting desperately to transform into urban
should not be located within urban areas
Farmlands also waiting desperately to transform into urban
- Areas for specific land-uses which - Areas for specific land-uses which - Low-priced peripheral areas - A tangent for certain uses which need to touch but do not cut into urban areas like heavy transportation
-
Contemporary practical uses
-
Freight villages
Prestigious housing areas
-
Great malls & out-oftown retails
-
Areas for decentralized office space
-
Green energy production
Conservation areas like green belts
- Reserve areas for future expansion - Conservation areas like green belts - A hinterland piece connected to urban with dependency bonds
- Areas for ‘other’ or ‘excluded’ less than neighborly uses
- Areas for locating leisure facilities To put it briefly, it is possible to observe similar notions of the rural-urban fringes of the towns in Turkey. But in addition to them, the urbanization process of Turkey entails identifying two important and, to a degree, peculiar characteristics of the rural-urban fringes which are, in turn, the slum house (gecekondu) areas and economically influential amounts of speculative investment on urban land (Hovardaoglu, 2012). Slum house areas and urban land speculations have been two of the main agendas of both urbanization and planning profession in Turkey. And the basic spatial component of these two agendas was – and to a degree still is – the rural-urban fringes. Any attempt to consider the rural-urban fringe in Turkey in those times, therefore, Ozan Hovardaoglu, Seda Calisir Hovardaoglu
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seemed to be sentenced to become useless owing to the growth rates of towns. In some cases like Ankara, İstanbul and İzmir, and so also like Adana, Bursa, Gaziantep, Kayseri etc., urban expansion rates would have defied all attempts even to define a rural-urban fringe in a period when one year’s rural has become the urban of another (Hovardaoglu, 2012). Certain new usages seem to appear in the rural-urban fringes. Gated community type low density and high priced housing areas and big malls are the most popular ones located in the fringes. However, in many towns, the fringe has already occupied by slum house areas, industrial zones, certain public services and institutions which need big areas etc. In these towns, those popular uses need to jump over the ‘traditional’ land-uses of the fringe and they create new circles sprawling beyond the existing edges of the towns which of course results the existence of the speculative expectations. However, owing on the one hand to the jam within the urban area and on the other to the old habitual attitude toward the fringes, these areas have not been considered sufficiently enough to be components of neither the total quality of life nor the local development efforts especially in terms of professional and urban agriculture (Hovardaoglu, 2012). The following section identifies the roles of rural-urban fringes in Turkey in recent times by the case study of Ankara, the capitol city of Turkey.
4 | The town of Ankara The urban development of the capitol city of Turkey, the town of Ankara represents the first example of urbanism of modern Turkey (Tankut, 2000). In the 1920s, the city, with its 20 – 25 thousand population, was settled around the Ankara castle in a very limited area. After the declaration of the Republic, the town had become the modern urban face of the nation. The first development plan was prepared by the German planner Carl Christoph Lörcher in the mid-1920s which preliminarily predicts a population amount of 200.000. However just in few years the population reached 75.000 and surpassed the predictions. Since the town was declared to be the capitol city, Ankara has begun to experience the consequences of rapid population growth rates owing mostly to the migration in 1920s. The Lörcher Plan predicted an urban growth to the south, but a considerable amount of population jumped beyond the borders of predicted growth directions. Figure 2 shows the Lörcher Plan of the town of Ankara.
Figure 2. The Lörcher Plan of the Town of Ankara (Source: Cengizkan, 2004).
Prof. Hermann Jansen prepared the second development plan of the town which preliminarily sought to implement the ‘Siedlung’ system that connected the new development areas with the traditional ones by paying attention to establish a harmony in the city’s with nature. However, the city had experienced a faster growth rate than predicted in the plan again which necessitated preparing a new plan that fitted the newly emerging needs.
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Figure 3. The Jansen Plan of the town of Ankara (Source: Conservation and development plan of the Ankara Castle)
In the second half of the 1950s, a new development plan was prepared for the town by Nihat Yücel and Raşit Uybadin (Yücel-Uybadin Plan of the town). According to this plan, the urban development was directed toward north and south parts of the town and big new industrial and residential areas were located. The population was predicted to be increased both in terms of spreading and intensifying. But the town has experienced a far more rapid growth than predicted once again ad reached the size of a metropolitan city at the end of 1960s. The town of Ankara in the period between 1950s and 1980s has represented one of the major examples of rapidly growing urban areas of Turkey. In 1990, therefore, a new plan was prepared by the Greater Municipality of Ankara following and establishing the spatial needs of a metropolitan area. Figure 4 shows the 1990 plan of the town.
Figure 4. The 1990 Metropolitan Plan of the Town of Ankara (Source: The archives of the Greater Municipality of Ankara).
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After 1980s, both the number of industrial facilities and many other urban facilities including educational ones such as universities and the population have rapidly increased. During this rapid urbanization period, the growth of the town was generally directed towards growth corridors mainly north and south directions but the western growth corridor has become the major growth direction of the town especially after the 1990s with two main uses: universities and residential areas. The 1990s represent a shift in the economic identity of the town. The capitol city identity and its related uses have always been on the scene. But the industrial development of the town especially after the 1950s has changed the ‘bureaucratic look’ of the town to one of the main industrial centers of Turkey. Beginning from the mid-1980s, 1990s and gradually the 2000s represent a significant change in the economic identity of the town. While on the one hand, the town has become to be one of the important nodes of global economy in Turkey, it has also begun to be the heart of education both in terms of national and international levels. The town has always known by the modern intellectual qualities of its inhabitants, and this identity of the town gave birth to a much more apparent identity of ‘the heart of education’. This identity is not just underpinned by the higher education like universities. In addition to the higher education like universities, two important characteristics of the education town identity have begun to be apparent especially after the 2000s. The first one is the big private education facilities constituted of the integration of primary and secondary schools with high schools. These facilities also located in the rural-urban fringes of the town especially on the southern growth corridor. The second one is the research institutes and technology development areas which are mainly located on the south-western growth corridor along with the universities. Figure 5 shows the central business district and the main growth corridors with the recently emerging rural-urban fringe uses.
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Figure 5. The Macro form of the town of Ankara showing the central business district and the main growth corridors with the recently emerging rural-urban fringe uses (arranged by this study, the raster map source: www.maps.google.com).
Thanks to these newly emerging uses, the town of Ankara has become one of the significant education centers not only in terms of national levels but also in international levels as well. The in-migration levels of the town are still high in comparison with the other major cities of Turkey. And the residential growth is generally directed toward the north-western and south-western growth corridors. Besides, the urban renewal and urban transformation projects with their population density increases create a growth without spreading. It is possible to emphasize a second residential growth which is located on the far rural-urban fringes and characterized by prestigious residential areas. These residential areas are more likely to be located on the far side of the southwestern growth corridor and approximately 30 to 50 kilometers far from the central business district. But the changing relations between the town and the rural-urban fringes of the town pave the way for establishing a new significant identity characterized by big and sophisticated education facilities located on the rural-urban fringes. Therefore the town currently represents one of the most significant ‘creative cities’ of Turkey with its highly equipped and sophisticated educational facilities located on the rural-urban fringes. Ozan Hovardaoglu, Seda Calisir Hovardaoglu
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5 | Conclusion It is clearly possible to put that not considering the rural-urban fringes in conventional ways which tend to identify these areas in peripheral and rather passive terms can be much more helpful for those strategies attempting to improve the total quality of life with problem solving-based approaches on the one hand, and to find alternative ways of development in an era of deindustrialization on the other. The fringe, today, represents greater amount of opportunities than anticipated in the traditional conceptions of planning. Not only do prevalent contemporary discussions in the planning suggest, but also the current demographic dynamics entail reconsidering a change in goals and tools of planning implementations. In fact, after an era dominated by the frantic increases in urban population and thus by advocacy of urban growth and growth management comes a time when these goals and tools once seemed solid and unshakable foundations of planning implementations turn into inefficient repetitiveness of routine blocking the way for seeking problem solving-based and quality-based approaches (Hovardaoglu, 2012). In this new era, if planning theoretically tends to reconsider or reimagine the urban in terms of mixed spatialities which are open and cross-cut by many different kinds of mobilities, from flows of people to commodities and information as, for instance, Massey, Allen and Pile (1999), Urry (2000), and Amin and Thrift (2002) put, then there will be an obvious need of reconsidering and reimagining the rural-urban fringes as certain spatialities which convey much more than just being the opposite of urban (Hovardaoglu, 2012). The rural-urban fringes are seen to be the cheapest, the most convenient and the most conflict-free etc. lands for locating new land uses. These areas represent considerable opportunities for creating new economic identities of towns, but these areas are also places of rural-urban settlements with peculiar socio-spatial characters. Sometimes rural-urban fringes represent ecologically vulnerable areas as well. In the case study, we found that several rural settlements with peculiar socio-spatial characteristics have strictly transformed to urban areas. Although locating educational facilities on the rural-urban fringes of the town provided the town with the opportunities of creating new economic identities, the loss of ‘place’s during this process cannot be legitimized just by the economic needs. Moreover, in a period of deindustrialization, or at least the recession in the industrial production, the rural-urban fringes also represent the unique opportunity for urban agriculture and urban agricultural facilities and enterprises. It is possible to put that there is an obvious need to re-establish or reorganize the rules for planning on the edge as Gallent, Andersson and Bianconi (2006) put. The rural-urban fringes not only do stand for new opportunities but also they represent unique ‘places’.
Bibliografia
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Hovardaoğlu, O., 2010b. Türkiye’nin Yeni Sanayi Odaklarında Kentsel Yenileme Projelerinin Sosyo-Mekansal Açmazları ve Bir Çözüm Stratejisi Olarak Kentsel Sağlıklaştırma, International Sustainable Building Symposium, 26-28 May 2010, s. 470-475, Ankara. Kepenek, Y., Gelişimi, Üretim Yapısı ve Sorunlarıyla Türkiye Ekonomisi, Middle East Technical University Publications, Ankara, 1983. Kıray, M., Kentleşme Yazıları, Bağlam Publishing, İstanbul, 1998. Kozlowski, J., Hughes, J.T., Brown, R., 1972, Threshold Analysis: A Quantitative Planning Method, The Architectural Press, London. Krueckeberg, D. A., Silvers, A.L., 1974, Urban Planning Analysis: Methods and Models, John Wiley & Sons Inc., NY. Massey, D., Allen, J., Pile, S., (Eds), 1999, City Worlds, Routledge, London. McLoughlin, L.B., 1969. Urban and Regional Planning: A Systems Approach, Faber and Faber, London Tankut, G., 2000. Jansen Planı:Uygulama Sorunları ve Cumhuriyet Bürokrasisinin Kent Planına Yaklaşımı, Tarih İçinde Ankara, (der: Ayşıl Tükel Yavuz), TBMM Basımevi, Ankara. Tekeli, İ., Anadolu’daki Kentsel Yaşantının Örgütlenmesinde Değişik Aşamalar, Türkiye’de Kentleşme Yazıları, Turhan Kitabevi, Ankara, 1982. Tekeli, İ., Bağımlı Kentleşme: Kırda ve Kentte Dönüşüm Süreci, Chamber of Architectures Publishing, No:18, Ankara, 1977. Tekeli, İ., Göç ve Ötesi, History Foundation of Turkey Publications, İstanbul, 2008a. Tekeli, İ., Modernite Aşılırken Kent Planlaması, İmge Publications, Ankara, 2001. Tekeli, İ., Türkiye’de Bölgesel Eşitsizlik ve Bölge Planlama Yazıları, History Foundation of Turkey Publications, İstanbul, 2008b. Urry, J., Sociology beyond Societies, Routledge, London, 2000. US Census Bureau International Database, Turkey http://www.census.gov/ipc/www/idb/informationGateway.php (Accessed 24 January 2010).
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Indifferenza e consapevolezza. Territori del consumo e tattiche di riciclo
Indifferenza e consapevolezza. Territori del consumo e tattiche di riciclo Massimo Lanzi Università degli Studi di Napoli “FedericoII” Architetto, Dottore di ricerca in pianificazione urbana e territoriale presso la Facoltà di Architettura Email: massimo.lanzi@gmail.com
Abstract Di fronte all’insufficienza dei tradizionali strumenti urbanistici normodipendenti e della costruzione di repertori meramente descrittivi, il paper intende proporre l’individuazione di alcune categorie interpretative (temi dello sguardo) in grado di restituire un doppio livello di contenuti parametrici e di indirizzo e di interpretare la complessità dei territori del consumo. Attraverso tali categorie saranno avanzati specifici quesiti al progetto di riciclo e di riuso di questi territori nei termini di un’inversione del rapporto tra pieni e vuoti -a causa della povertà e della serialità dei materiali con cui sono stati costruiti questi territori ma soprattutto della scarsa qualità degli spazi verdi e grigi che li connotano- e di una riflessione sulla costruzione di una misura urbana che non appartiene ad uno scenario di crescita e di espansione ma alla reinvenzione del presente. Parole chiave Dismissione commerciale, demalling, sostenibilità
Consumosfera e territori del consumo Il consumo è, tra le attività umane, quella con la quale ci confrontiamo quotidianamente e che, sin dalla sua comparsa, si è imposta come il continuum semantico all’interno del quale si è costruita l’esperienza urbana come la conosciamo oggi. L’agire consumistico, nel suo intreccio di seduzione e di identità sociale, è divenuto il principio organizzatore delle relazioni tra individui, merci e pratiche: uno stato di necessità che ha disegnato i modi di fruire il territorio. Le azioni dei consumatori non sono più entità a sé stanti, ma si configurano come eventi significativi, con una tale forza pervasiva da invadere e assoggettare tutti gli spazi con cui vengono a contatto: l’economia, la politica, i mass-media, la scuola, la famiglia devono oggi, tutti, relazionarsi con il potere del consumo. Imponendosi come unico tramite di connessione con il reale, lo spazio del consumo si è identificato e confuso con lo spazio della vita urbana sino a definire un’esperienza totale, ricca, discontinua e indefinitamente transitoria, all’interno della quale si consumano spazio fisico, merci, relazioni personali ed emozioni. Questa 'consumosfera', che stravolge i tradizionali rapporti pubblico-privato ed esterno-interno, non appartiene a nessun territorio, ma si fa carico di descriverne la qualità e la riconoscibilità estendendo la sua logica di messa in scena spettacolare all’intera città, trasformandola in una gigantesca 'supermerce'. Spazio di superfici e non di profondità, la consumosfera utilizza vetrine e schermi, insegne e manifesti e tutti i dispositivi visuali del nostro tempo per dare luogo ad un progetto esperenziale all’interno del quale la cultura del consumo genera immagini e identità per una forma della città del tutto nuova. Un 'territorio del consumo' fluido e incantato, fatto di luoghi reali e luoghi virtuali, di corpi e di immagini, di ordine e di eccesso, attraversato dalle reti infrastrutturali e da quelle immateriali della comunicazione. Qualunque tentativo di restituire una cartografia della consumosfera dovrà quindi soffermarsi, non tanto sulla sua dimensione reale e sensibile, quanto su quella simbolica e rappresentabile che la avvolge e ne costituisce lo spazio di confronto. Questa interpretazione della consumosfera come un luogo semiotico aperto e vitale, in gradi creare logiche e pratiche spaziali e di assumere significati, se da un lato afferma e rende comune un’interpretazione esperenziale della città dall’altro espone drammaticamente al rischio del suo opposto: uno scenario diverso da quello della Massimo Lanzi
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crescita incondizionata che ci farebbe ereditare un territorio martoriato e costellato di cadaveri edilizi isolati in un mare d’asfalto. Il fenomeno dei greyfields statunitensi ha già dimostrato, sul finire degli anni Novanta del XX secolo, come l’introduzione di nuovi format commerciali e il venir meno di diffuse condizioni di profittabilità economica abbiano determinato il declino delle due icone pop della cultura del consumo, lo shopping mall e la strip. Ma è con la congiuntura depressiva determinata dalle crisi economico-finanziarie del 2008-2011 che si impongono radicali cambiamenti nelle priorità e nelle pratiche d’uso del territorio, in particolare per quanto riguarda le tendenze riguardanti la mobilità privata e gli stili di consumo. Si pone, in termini ancora più drammatici che in passato -con esiti che, per la prima volta, possiamo riconoscere anche nel nostro paese- la questione del declino e del necessario ripensamento del modello di sviluppo dei territori del consumo, dando voce e forza ai temi della sostenibilità dei modelli di sviluppo territoriale, della riduzione del consumo di suolo, del riuso e del riciclo urbano. Emerge, quindi, la necessità di interrogarsi sul ruolo che tali contesti hanno assunto, e possono assumere in futuro, nel definire pratiche d’uso del territorio, sul rapporto tra consumo e spazio pubblico ed elaborare un contributo alla lettura di questi territori nel rapporto tra consumo e materiali urbani e territoriali. In questo senso, il presente contributo intende concentrarsi nell’individuazione di categorie interpretative utili a descrive le trasformazioni che hanno investito i territori del consumo e a definire indirizzi operativi con specifico riferimento all’ambito, poco indagato e spesso frainteso, dei centri commerciali integrati. Questa scelta, che risponde ad una evidente necessità di sintesi nell’eterogeneità e nella complessità dei contesti della consumosfera, da un lato si giustifica perché riconosce a queste macchine territoriali, per la ricchezza di funzioni che accolgono al loro interno e per il loro livello di organizzazione spaziale, un ruolo fondamentale nella costruzione dell’esperienza del territorio metropolitano. Dall’altro perché, per propria natura, esse definiscono un ampio repertorio di soluzioni spaziali di recinti e di oggetti contenuti al loro interno; e proprio la capacità di questi oggetti di relazionarsi con lo spazio interno al proprio recinto e con lo spazio esterno diventa fondamentale, non solo in un’ipotesi di riuso e di definizione di un nuovo ruolo territoriale, ma soprattutto per immaginare nuove prospettive progettuali. Ovviamente le categorie individuate, così come gli indirizzi operativi, non hanno alcuna volontà o pretesa di esaurire la complessità della scena metropolitana o di definire una teoria o un modello. Piuttosto intendono suggerire uno sguardo nuovo grazie al quale sia possibile superare una lettura per oggetti isolati e autonomi, indifferenti a regole più generali di funzionamento, e riconoscere, invece, elementi che prendono forma dall’interpretazione della specificità dei contesti insediativi e alla cui strutturazione, fisica, formale e funzionale, concorrono. Parti attive di un disegno di scala più vasta che superata un’idea di organizzazione territoriale per recinti, più o meno, monofunzionali diano il via ad una revisione dei modi di costruzione del processo conoscitivo e progettuale definendo nuovi valori attraverso i quali restituire visibilità complessità e consapevolezza al territorio urbanizzato e alle sue forme d’uso.
Categorie dello sguardo La crisi che stiamo attraversando ha messo in discussione il consumo e la mobilità privata come elementi di ordinamento territoriale, facendo emergere rielaborazioni delle pratiche e suggestioni che, sebbene occasionali e riferite a situazioni contingenti, intendono favorire una nuova idea di città. Le due categorie interpretative che vengono proposte, per quanto eterogenee, intendono confrontarsi con un presente ancora impreparato a progettualità inattese e cogliere, anche se in maniera parziale, tendenze di trasformazione dalle quali imparare l’attitudine alla adattattività e alla flessibilità e direzioni progettuali da intercettare. La prima categoria è quella del demalling, inteso non solo come approccio operativo per il recupero dei contenitori commerciali ma come vero e proprio concept da applicare a monte della progettazione e del disegno del territorio. La seconda è quella della 'sostenibilità', intesa non solo nei termini ambientali ma in quelli sociali della somministrazione di servizi e spazi di uso pubblico e del ribaltamento dell’introversione dei recinti. Si tratta di categorie flessibili che, delimitando un tema più che una forma spaziale, ci permettono di superare i pregiudizi della riflessione disciplinare nei confronti dei grandi contenitori commerciali e, allo stesso tempo, consentono di fornire una dimensione descrittiva ed una progettuale, indirizzando la costruzione di un approccio legato all’accettazione della complessità e della dinamicità del territorio e che vede nell’urbanistica una scienza leggera.
Demalling Demalling e greyfield sono termini che ricorrono ormai frequentemente, non solo nella letteratura scientifica, ma anche nella pubblicistica politica e di marketing.
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Letteralmente, il termine demalling identifica il processo di dismissione e riuso degli shopping mall che si è avuto negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta del Novecento come conseguenza di un diffuso processo di abbandono immobiliare. Tale processo, in parte giustificato da un mercato pressoché saturo e caratterizzato da un rapidissima obsolescenza, è stato accentuato dalla grave recessione economica dei primi anni Duemila e ha trasformato numerose aree commerciali in zone abbandonate e presidiate da grigi scatoloni fatiscenti: i greyfields. I mall abbandonati, sono diventati, in breve tempo il simbolo del declino della formula tradizionale del centro commerciale e hanno generato un intenso dibattito disciplinare sul ripensamento della città diffusa e sulla necessità di confrontarsi con la crisi. All’interno di questo dibattito, che si confronta con la rinnovata disponibilità di risorse territoriali e con la necessità di trovare per esse nuovi usi e nuove modalità di lettura, il demalling diventa lo strumento per affrontare la dismissione come una significativa opportunità per ridisegnare il territorio urbano, ipotizzando indirizzi strategici e progettuali per la riqualificazione degli edifici e delle aree in cui ricadono. Infatti, se molti operatori si sono limitati a intervenire con tecniche di rigenerazione (refurbishment) della vitalità economica dei loro immobili (maggiore caratterizzazione architettonica e riorganizzazione del mix e dell’offerta commerciale al fine di attirare nuovi acquirenti) le dismissioni sono diventate anche l’occasione la realizzazione di insediamenti mixed-use, incentrati su centri commerciali open-air o per interventi infill development di riuso del suolo per fini non immobiliari ( serbatoi di naturalità, aree agricole, arede verdi suburbane…). In questo modo si riponde al bisogno di un modello di città alternativo allo scatolone extraurbano diffondendo quartieri urbani e aree attrezzate fra sobborghi sparpagliati e città sdentate.
Sostenibilità I centri commerciali sono nati e cresciuti alimentandosi dello sviluppo incessante della mobilità privata e contribuendo in maniera rilevante ad un uso dissipativo delle risorse naturali con ricadute molteplici dirette e indirette: dall'impermeabilizzazione dei suoli ai costi energetici di gestione e di climatizzazione (un centro commerciale consuma un quarto del suo budget per l’illuminazione, mentre gran parte del restante budget viene speso per la climatizzazione degli ambienti e per la refrigerazione e la conservazione degli alimenti), dalla congestione veicolare alla produzione di rifiuti e al loro smaltimento, passando per il consumo delle risorse idriche. Negli ultimi anni, a seguito della sempre maggiore sensibilità dei consumatori rispetto ai temi dell’ecologia e del consumo sostenibile, e di una maggiore propensione al risparmio per effetto della crisi, i temi della consapevolezza ambientale e del costo aggiuntivo indotto dai modelli di consumo sono diventati temi centrali nella definizione dell’attrattività di un centro commerciale e della sua redditività. Ne è scaturita una nebulosa di azioni progettuali verdi, spesso promozionali e non sistematiche, che prendendo atto della necessità di superare il modello della scatola chiusa ad alto spreco energetico si sono indirizzate verso la strategia dell’eco-planning: contenimento del consumo di suolo, massimizzazione delle superfici permeabili, contenimento dei consumi energetici e promozione dell’utilizzo di fonti energetiche alternative/rinnovabili. Strategie che provano a coniugare l’efficienza energetica del centro commerciale con la qualità ambientale delle aree entro cui ricade. La ricerca (che ha punti di contatto con gli interventi infill development accennati in precedenza) non si riduce alla sola componente impiantistico-tecnologica, ma si allarga alla definizione di forme di organizzazione spaziale più calibrate che superano la tradizionale dicotomia esterno-interno e caratterizzano il centro commerciale come luogo rappresentativo di una cultura della sostenibilità creatrice di senso e di spazio.
Categorie di intervento In uno scenario di ripensamento dei territori del consumo la presenza di alcuni addensamenti funzionali, in alternanza a significative dismissioni/rarefazioni, potrebbe essere la chiave per il superamento del nesso dismissione/riuso e l’inizio di una interpretazione originale dei territori del consumo. Quelli che oggi sono contenitori indifferenziati, con scarse relazioni con il contesto, possono diventare elementi di ordinamento territoriale delle opportunità, dei cambiamenti e delle tendenze in atto innescate dalla crisi: punti di riferimento, luoghi di espressione alta che costruiscono la propria identità con l’inserimento di nuove funzioni e nuovi paesaggi in continuità con quelli che appartengono alla città esistente e alle permanenze del territorio agricolo. Le chiavi di lettura del demalling e della sostenibilità se da in lato individuano le azioni possibili per il recupero dei centri commerciali in declino, dall’altro arricchiscono il dibattito sulla promozione e realizzazione di nuovi luoghi della città contemporanea integrandolo con una nuova consapevolezza maturata sulla valutazione degli esiti di progetti precedenti e sulle possibilità di intervento. E’ così possibile sperimentare progetti, strategie e azioni che vadano oltre l’intervento circoscritto al contenitore commerciale e siano orientate verso temi innovativi e questioni emergenti incentrati sul contesto e sulla costruzione del paesaggio, sulla processualità e sul ciclo di vita, sulla sostenibilità economica e ambientale.
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Indifferenza e consapevolezza. Territori del consumo e tattiche di riciclo
Da queste sperimentazioni è possibile partire per rintracciare, attraverso l’indagine di studi e progetti nazionali e internazionali, categorie di intervento in grado di definire 'annodamenti territoriali' capaci di restituire una città futura flessibile e disponibile ad adattarsi alle trasformazioni e alle domande delle società contemporanee. Dimensionamento. La sfida futura per pianificatori e amministratori locali sarà quella di costruire un confronto paritario con gli investitori, guardando agli effetti lungo periodo, contrattando con gli investitori il livello di urbanità del loro progetti e le convenienze a beneficio della città. Questo non vuol dire assecondare nuove colonizzazioni, ma, piuttosto, sottrarsi ad un ambito specialistico monotematico e costruire una complessità multidisciplinare in grado di gestire la condensazione locale di attività del consumo e la sua trasformabilità multifunzionale nel tempo. La valenza urbana/territoriale di questi nuovi luoghi del consumo, infatti, richiede nuove categorie nella pratica della pianificazione che superino la monodimennsionalità dell’attuale parametro della superficie di vendita e si indirizzino verso un parametro più duttile di capacità territoriale (non necessariamente espresso in metri quadri) che possa riunire e confrontare più input (di superficie, di quantità di merce, di impatto ambientale, di modalità di offerta,…) e più funzioni (non solo commerciali, ma anche culturali e di servizio). Accessibilità. Al fine di contenere il consumo e l’impermeabilizzazione di suolo occorre ripensare l’accessibilità dei centri commerciali, rafforzando il ruolo del trasporto pubblico urbano (adattato all’esigenza del trasporto delle merci) e ripensando le modalità dell’accesso automobilistico. I punti di arrivo carrabili possono essere concentrati in parcheggi multipiano -eventualmente con strutture a silos che svolgano anche il ruolo di elementi totemici nel paesaggio- superando la logica separatista della buffer zone d’asfalto e liberando suolo che potrà essere convertito in micro-unità di paesaggio (urbano, di vendita, di aggregazione, di rinaturalizzazione…) collegate tra loro e alle varie strutture di vendita con percorsi pedonali. La pedonalità sarà il nuovo parametro su cui costruire il dimensionamento del centro commerciale, assecondando al tendenza al frazionamento delle strutture e ad impianti di grana più fine, gestiti come centri commerciali ma organizzate come main street, dove edifici di dimensione contenuta si alternano a spazi aperti al pubblico. Mixitè. La maggiore complessità funzionale dei nuovi centri commerciali dovrà riguardare sia l’integrazione di funzioni non commerciali all’interno del centro, sull’esempio di numerose esperienze internazionali, sia la combinazione di attrattori commerciali con strutture pubbliche e/o direzionali. Il superamento della specializzazione concentrata in favore di una più ampia gamma di offerte appare, infatti, la migliore strategia possibile per vitalizzare i centri e fornire strumenti per la loro trasformazione ed evoluzione come l’ alternanza proprietaria e gestionale e la partnership pubblico-privato. La strategia è quella di riorganizzare gli scopi intrecciando il commercio con le nuove esigenze delle comunità e delle amministrazioni, capovolgendo quello che è accaduto nell’industria culturale dove i bookshop e i ristoranti dei grandi teatri e musei sono spesso più vissuti e frequentati delle gallerie medesime. Energia. La contrappopìsizione economia/ecologia è ormai un relitto del passato, le questioni ambientali sono ormai anche questioni economiche e l’efficienza energetica costituisce un elemento fondamentale ingrediente per la ridefinizione dei centri commerciali. Il centro stesso dovrà essere interpretato come una centrale che, oltre a ridurre i costi energetici (attraverso la massimizzazione delle superfici permeabili e la densificazione delle parti edificate, il progetto di involucri edilizi intelligenti e l’utilizzo di strategie energetiche passive e di tecnologie leggere) promuove l’utilizzo di fonti energetiche alternative/rinnovabili per sopperire ai fabbisogni quotidiani ed inserisce in rete la produzione in eccesso costituendo la premessa per un principio di 'perequazione energetica'.
Prospettive Le categorie interpretative richiamate al paragrafo precedente hanno reso evidente come i territori del consumo pongano nuovi e specifici quesiti al progetto, costituendo l’occasione per nuove immagini in grado non solo di proporre nuove soluzioni spaziali, ma di chiarire i modi e le pratiche d’uso del territorio e sostenere il ruolo dei diversi attori. Confermiamo quindi l’assunto che i territori del consumo sono una parte importante della scena urbana contemporanea degna di una specifica attenzione disciplinare che non sembra, peraltro, aver sollecitato l’attenzione della ricerca per quanto non manchino espliciti richiami ad una messa in discussione del paradigma della crescita e al rilancio di una nuova questione urbana a fronte degli effetti depressivi della crisi. E’ tuttavia evidente che l’individuazione di nuove categorie ha un’utilità difficilmente praticabile o prevedibile nel breve periodo, se non attraverso interventi correttivi sull’esistente, ma si tratta pur sempre di un primo tentativo di riassumere idee e tendenze che si stanno avvertendo nel campo della pianificazione e del progetto delle grandi strutture commerciali. La prospettiva che si apre è quella di un progressivo arricchimento, in termini di contenuto e di complessità, degli attuali strumenti di governo del territorio. Essi dovrebbero funzionare come una matrice all’interno della quale le diverse tendenze e sfumature dei territori del consumo interagiscono e vanno a sistema, portando ad una riflessione sul proporzionamento del territorio urbano, in termini di vuoti e di pieni, che non appartiene più ad uno scenario di crescita e di espansione in un futuro incerto ma a quello della reinvenzione del presente. Massimo Lanzi
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Non è possibile, infatti, risolvere il problema esclusivamente in chiave urbanistica o architettonica, ma è necessario operare con nuovi strumenti di consapevolezza per aiutare i soggetti decisori a costruire una visione condivisa e per identificare e selezionare obiettivi strategici che consentono di tornare a riflettere su questioni di scala globale, di capacità di futuro e di sostenibilità urbana nel medio e nel lungo periodo.
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Massimo Lanzi
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Il Servizio Ferroviario Metropolitano torinese: dispositivo progettuale per scenari e narrazioni e la trasformazione delle armature territoriali
Il Servizio Ferroviario Metropolitano torinese: dispositivo progettuale per scenari e narrazioni e la trasformazione delle armature territoriali Danilo Marcuzzo Politecnico di Torino Dipartimento di Architettura e Design Email: danilo.marcuzzo@polito.it Tel: 345.979.0993
Abstract Il ripensamento delle 'armature territoriali' presenta ampie potenzialità progettuali a cui potrebbe condurre la messa in discussione dell'approccio strategico al progetto infrastrutturale. In questo quadro, il Sistema Ferroviario Metropolitano, contestuale ai progetti in atto su Torino, offre un dispositivo progettuale per agire su un vasto quadro di trasformazioni territoriali e insediative. Da parte della comunità scientifica è chiara l'esigenza di adottare differenti strategie progettuali alla Grande Scala, abbandonare l' isolamento e rivolgere la ricerca progettuale verso le realtà esterne, dalle istanze sociali al mondo dei processi decisionali; sottrarre la progettazione dei sistemi a rete a logiche quantitative legate a specifici ambiti disciplinari - spostando il punto di vista dal manufatto all'intero contesto. Le infrastrutture potrebbero rivelarsi portatrici di identità, in una dimensione narrativa come 'strumento' ; un 'archivio' per raffigurare i valori in campo sul territorio, registrare gli sviluppi dell'area metropolitana e verificare i possibili scenari di progetto a lungo termine. Parole chiave armature territoriali, riuso, narrazioni
Crisi economica e disciplinare; il ripensamento delle armature territoriali Gli attuali scenari di crisi economica fanno emergere in modo sempre più chiaro la necessità di una riflessione sostanziale sui modelli di sviluppo, che hanno determinato processi di crescita squilibrata difficilmente controllabili. Dal punto di vista delle discipline progettuali, sebbene sia chiara da tempo la consapevolezza dei limiti di tale situazione, e spesso si sia agito per stigmatizzarla, non è stato possibile uscire dal paradigma di 'logica incrementale', in cui le trasformazioni territoriali si innestano su crescita, consumo e colonizzazione di spazi vuoti. Architetti e urbanisti, cioè, sembrano non possedere gli strumenti per uscire da questa impasse, quasi congelati nella regola per cui non esista la possibilità di trasformazione senza un’aggiunta di parti, una prosperità senza crescita. Volgendo la questione in positivo, la crisi (economica e disciplinare) rappresenta l’opportunità per una nuova consapevolezza, per il superamento del paradigma di perenne incrementalismo – ormai anacronistico – a favore della ridefinizione dei modelli di sviluppo. L’occasione è quella di rivolgere lo sguardo verso alcuni elementi che spesso sono respinti o lasciati all’abbandono, esclusi dai processi di trasformazione: 'capitali fissi territoriali' che sono in grado di mostrare nuove opportunità se recuperati dalla situazione di marginalità, la cui condizione ontologica di 'permanenza' consente possibili strategie di riciclo. Sono oggetti che si caratterizzano per il loro ciclo di vita continuo e possiedono la capacità intrinseca di fungere da 'telaio': elementi geografici e strutture ambientali (rilievi, corsi d’acqua, ecc.) e 'armature territoriali' (infrastrutture), che contribuiscono alla riscrittura dei palinsesti dei paesaggi, andando a sedimentare frammenti e 'depositi' in un processo metamorfico continuo (Corboz, 1985). I sistemi infrastrutturali, in particolare, non si pongono come dati di fatto pregressi e immutabili, ma sono a tutti gli effetti elementi di progetto. Un ripensamento rappresenta un’opportunità come «infrastrutturazione Danilo Marcuzzo
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morfologica» dei sistemi insediativi (De Rossi, Robiglio, 2000) e «predisposizione figurativa» dei luoghi (Samonà 1968), con ampie potenzialità progettuali e valori aggiunti a cui potrebbe condurre la messa in discussione della prassi del progetto infrastrutturale in chiave sostenibile. Le nuove sfide postulano un ripensamento in toto dell’approccio strategico, in uno scenario a lungo termine in cui le reti integrate di trasporto andranno inevitabilmente a surrogare gli spazi della mobilità individuale. Agire con un approccio di riciclo «cradle to cradle» (McDonough W., Braungart M., 2009) dei capitali fissi territoriali si pone come caposaldo per un’azione che implichi una riduzione dei costi, ma anche degli impatti ambientali delle trasformazioni (produzione di CO2, consumo di suoli agricoli, ecc.). Un orientamento che possa avvicinare gli obiettivi di Horizon 2020, convergendo su alcune macrotematiche significative – dal miglioramento delle condizioni di vita e di salute, alla sostenibilità del sistema energetico, alla sostenibilità economica in rapporto ai limiti nell’approvvigionamento delle risorse, allo sviluppo di una società inclusiva. Tornando a monte della questione, non si può prescindere da un ripensamento disciplinare, che tenti una ricomposizione tra due mondi – le discipline progettuali e i processi decisionali – che spesso appaiono separati da limiti concettuali e operativi, che vanno a relegare i progetti e le politiche in ambiti settoriali specifici, confini politici o amministrativi. Un'autoreferenzialità che necessariamente va superata per sperimentare in pieno gli ampi margini su cui sarebbe possibile lavorare, a partire dalla mutazione dello statuto del progetto e del mandato sociale del progettista (Armando, Durbiano, 2009). Il progetto inteso come 'tavolo' che agisca a cavallo tra la dimensione fisica e politica ed economica, attorno al quale mettere in atto gli strumenti delle discipline, alla ricerca di soluzioni condivise: un'interpretazione, radicata nella cultura architettonica torinese, che riporta al centro il 'progetto', inteso come luogo e scenario in cui i diversi attori siano in grado di costruire immagini comuni in una dimensione dialogica, che non può non rimandare alla figura di «tecnico intellettuale» e «operatore tra altri operatori» teorizzata da Roberto Gabetti (Gabetti, 1983). Ridurne la dimensione autoleggittimante di prefigurazione formale, a favore della valenza strategica e relazionale, in cui prevalga il dato interpretativo su quello costruttivo (De Rossi, 2009). Rispetto alla questione delle infrastrutture, da parte della comunità scientifica è chiara l'esigenza di adottare differenti strategie alla Grande Scala sui contesti differenziati e le relazioni spaziali complesse su cui si agisce; abbandonare l'isolamento e rivolgere la ricerca progettuale verso le realtà esterne, dalle istanze sociali al mondo dei processi decisionali preposti alle trasformazioni territoriali; sottrarre la progettazione dei sistemi a rete a logiche esclusivamente funzionaliste – che applicano alle infrastrutture un approccio meramente tecnico espresso in termini quantitativo (o di mitigazione degli impatti a posteriori) – spostando il punto di vista all'intero contesto, con una simultaneità di sguardo in grado di ricomporre i singoli eventi all'interno di un quadro di insieme.
La pianificazione strategica in atto su Torino; strategie progettuali alla Grande Scala La mostra «Venti progetti per il futuro del Lingotto» del 1984, le cui immagini tendono a sfatare il simulacro del Lingotto, sembra rappresentare il primo atto formale di una nuova fase di apertura alla ricerca di nuovi ruoli e vocazioni, alternativi al modello di 'one-company town' che aveva caratterizzato la città di Torino nel corso del XX secolo (De Rossi, Durbiano, 2007). Un prologo del processo che ha visto protagonista la città negli ultimi tre decenni, nel tentativo di mutare la propria figurazione di città industriale in una visione di città dell'innovazione, della ricerca, della cultura, capace di attrarre persone e capitali in una prospettiva di integrazione. Un'immagine che oggi va a condensarsi sempre più attorno all'idea di 'sistema metropolitano torinese', «città di città» (Torino Internazionale, 2006), nelle sue geometrie variabili che definiscono i confini amministrativi delle varie aggregazioni (PTCP, Conferenza metropolitana, Tavolo metropolitano, Agenzia per la mobilità metropolitana, Corona verde, Piani territoriali integrati, ecc.). La questione della definizione di una figura comune e univoca dei confini e delle competenze della città metropolitana è un dibattito tuttora aperto, ancora più con il recente riordino amministrativo del Decreto 'Spending Review'. E' indubbio, comunque, che dal punto di vista fisico l'area torinese possieda già una 'dimensione' metropolitana: la configurazione dei sistemi alpini e collinari, il sistema fluviale del Po, la struttura delle residenze sabaude e delle assialità barocche, le aperture verso le piane agricole e gli imbocchi vallivi conferiscono alla morfologia urbana un telaio che non permette la definizione di un territorio «torinocentrico» (Antonelli, Armando, Camorali, 2009). Un insieme di strutture territoriali ed elementi geografici che hanno influenzato lo sviluppo urbano fungendo da elementi di strutturazione alla Grande Scala, contribuendo la stratificazione di una 'cultura metropolitana' storicamente consolidata - dal «nastro produttivo padano» del piano Astengo (1947), alla «grande mano» del piano Rigotti (1956), fino alle esperienze recenti del Piano regolatore Gregotti-Cagnardi (1995) e del Piano Strategico di Torino (2000-2006). Il progetto infrastrutturale è stato per l'area metropolitana torinese il vettore che ha convogliato le trasformazioni fino a oggi, nel complesso di progettualità in parte attuate e che in parte devono ancora vedere la luce. Il Piano Gregotti-Cagnardi prevede la creazione di tre centralità lineari - l'asse fluviale del Po, il Passante ferroviario sotto la Spina centrale, l'asse di Corso Marche - che si costituiscono non solo come assi fisici della mobilità, ma si caricano di significati insediativi e ambientali (e simbolici). Attorno ad esse si determina un paesaggio urbano Danilo Marcuzzo
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completamente trasformato, grazie alla disponibilità di spazi e contenitori vuoti – reminescenza del passato industriale – la cui messa in forma rappresenta una sfida strategica: qui torna il tema della necessità di implementare strumenti progettuali in grado di sostenere un processo dialogico con attori e decisori per creare scenari urbani e azioni strategicamente condivisi.
Figura 1 - L'area metropolitana di Torino
Passante ferroviario e Servizio Ferroviario Metropolitano Il Passante ferroviario si sviluppa per oltre 12 km – di cui 8 in galleria – all'interno della città tra le stazioni di Lingotto e Stura, rappresentando il più grande intervento infrastrutturale realizzato a Torino dal dopoguerra. L'opera di potenziamento infrastrutturale ha permesso la ricucitura delle due parti di città da sempre separate della ferrovia, con la realizzazione della Spina Centrale, nuovo sistema di spazi pubblici e centralità urbane. Il boulevard, che progetta ex-novo il sistema della viabilità, rappresenta la 'spina dorsale' per gli sviluppi e la metamorfosi della città, attraversando Torino da nord a sud e connettendo le Spine 1, 2, 3 e 4 – che corrispondono a una serie di trasformazioni di ex comparti industriali riconvertiti in residenze, attività commerciali, spazi pubblici, attività culturali (la Cittadella Politecnica, il complesso delle Officine Grandi Riparazioni e le ex Carceri Nuove , il centro direzionale Intesa San Paolo, la nuova Stazione Porta Susa, il Parco Dora, fino all'ex scalo ferroviario Vanchiglia). La potenzialità del progetto sta proprio nel travalicare la sua natura infrastrutturale, coniugando i temi della mobilità con quelli di matrice insediativa e ambientale. Ma le trasformazioni non vogliono essere limitate al nodo urbano di Torino: il sistema infrastrutturale vuole configurarsi in modo da strutturare l'area metropolitana nel suo complesso. In questo quadro, il Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM) offre un potenziale dispositivo progettuale per agire su un vasto quadro di trasformazioni territoriali e insediative. SFM è il progetto di riorganizzazione dei servizi ferroviari di interesse locale dell'area metropolitana torinese (realizzato in collaborazione tra Regione Piemonte, Agenzia Mobilità Metropolitana Torino, Trenitalia e GTT) ), introdotto a partire da dicembre 2012 in una prima fase sperimentale Danilo Marcuzzo
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con alcune variazioni rispetto al progetto originario, per consentire l'operatività del sistema in attesa del completamento di alcune opere infrastrutturali. Il progetto implica una 'messa a sistema' dei servizi ferroviari locali esistenti, con l'obiettivo di favorire la mobilità a medio-corto raggio e agevolare l'interscambio tra le diverse linee e con altre modalità di trasporto, andando a ottimizzare i collegamenti da e per Torino, con l'aeroporto e con i vari centri dell'area metropolitana torinese. Inoltre assume la funzione di ferrovia metropolitana, affiancando la linea 1 del Metro, per gli spostamenti rapidi all'interno della città (avvicinando il nodo di Torino al livello di altre metropoli europee come Parigi, Berlino, Zurigo e Vienna ), con un treno ogni 10 minuti nelle ore di punta e la possibilità di percorrere i 12 chilometri tra le stazioni Lingotto e Stura in 15 minuti. Il SFM è diventato operativo con l'apertura del Passante ferroviario, permettendo l'implementazione di un sistema di riorganizzazione della rete infrastrutturale su ferro, agendo cioè su linee e stazioni esistenti (prima in disuso o sottoutilizzate) per valorizzare e rendere operativo il patrimonio delle armature territoriali presente nell'area metropolitana. I principi fondamentali che caratterizzano il progetto sono le linee passanti e coordinate, il cadenzamento del servizio e la maggiore frequenza dei treni nel Passante ferroviario (nel quale transitano tutte le linee). Con l'attivazione del SFM, entra in funzione anche la nuova stazione di Rebaudengo Fossata, nodo fondamentale in cui avverrà l'interconnessione con la linea per l'aeroporto di Caselle, Lanzo e Ceres (dopo la realizzazione del tunnel sotto Corso Grosseto) e su cui dovrebbe attestarsi la futura linea 2 della Metropolitana.
Figura 2 - Le 5 linee del Servizio Ferroviario Metropolitano
L'orario cadenzato consente una 'standardizzazione' dei servizi e una loro ripetizione a intervalli regolari; i treni di ogni linea hanno origini/destinazione, itinerario e fermate sempre uguali, con partenze e arrivi a minuti fissi. L'orario, quindi, risulta più semplice per gli utenti e le coincidenze risultano più efficienti, permettendo l'interscambio con gli altri sistemi di trasporto pubblico. Il tema dell'integrazione, infatti, è centrale nel progetto di un'infrastruttura che voglia essere efficiente e competitiva, e coinvolge diversi aspetti: dalla questione dell'interscambio (tra mobilità pubblica e privata; tra diverse modalità di trasporto su ferro e su gomma) e dell'intersezione tra diverse velocità (dalla mobilità lenta, all'alta velocità, al trasporto aereo), all'integrazione tariffaria (BIP, Biglietto Integrato Piemonte), all'integrazione di funzioni multiple (nodi di interscambio; permeabilità ai territori attraversati; rapporto con la città; ecc.).
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La dimensione narrativa dell'infrastruttura: "archivio" per l'interpretazione, il controllo e la prefigurazione delle trasformazioni Incrociando il tema della metamorfosi dell'area metropolitana torinese con quello delle possibili opportunità generate dal ripensamento delle armature territoriali, è chiaro come le infrastrutture - contestualmente alle strutture ambientali - possano rivelarsi una possibile 'lente' per la narrazione di fenomeni, scenari e progettualità, oltre che delle realtà fisiche dei paesaggi; non è un caso, probabilmente, che si caratterizzino come elementi strutturanti e unificanti del paesaggio, contribuendo in modo sostanziale alla formazione dei palinsesti e alla costruzione della forma urbana. Costituisce un presupposto fondamentale la questione della specificità delle infrastrutture, spesso ammesse alla categoria dei «non luoghi» (Augé, 1993), che potrebbero rivelarsi portatrici di identità, anche nel concepire la rappresentazione di nodi e sequenze in una dimensione narrativa. Un ruolo inedito per la ferrovia, da cesura fisica e percettiva a 'strumento' per leggere e interpretare – come una grande sezione territoriale (Rolfo, 2011) – le mutazioni e le potenzialità dei paesaggi attraversati: vista privilegiata, in cui l'esclusività del tracciato (un 'taglio netto', con un percorso obbligato con pendenze costanti) è in grado di offrire uno sguardo di per sé oggettivo e permette di cogliere la struttura delle matrici territoriali e insediative (Giordano, Marcuzzo, Mellano, Rovera, 2011). Un 'archivio' per raffigurare i valori in campo sul territorio, registrare gli sviluppi dell'area metropolitana e verificare i possibili scenari di progetto a lungo termine. Il tema della rappresentazione non è nuovo, ma appare oggi carico di potenziali sviluppi e ricadute operative in un'ottica in cui il progetto di architettura veda cedere parte del proprio valore prefigurativo nei confronti della dimensione dialogica e interpretativa. Non è possibile, dati i limiti del testo, condurre qui un’analisi esaustiva della questione; si può però brevemente tentare di ricomporre il fil rouge che lega diversi tentativi e le riflessioni – estremamente eterogenei dal punto di vista cronologico e tecnico – sul tema degli sguardi orizzontali dei 'paesaggi della tecnica'. Il paesaggio legato a una forma di trasporto – che si tratti della strada dell'Illuminismo o della ferrovia dell'Ottocento o dell'autostrada – contiene approcci da identificare e studiare, per poter comprendere il ruolo delle tecniche nella formazione dei paesaggi e dello spazio contemporaneo (Desportes, 2005). La visione ferroviaria fa sì che lo sguardo del viaggiatore si svolga come una registrazione, secondo una proiezione geometrica e rigorosamente scientifica, su un nastro di carta. Come, nell'Ottocento, il Diorama di Daguerre o le fotografie di Charles Marville per documentare i Grands Travaux di Haussman . E questo rimanda all'affinità tra la 'genealogia tecnica' della fotografia e della ferrovia: da un lato la camera oscura e i prodotti chimici fotosensibili, dall'altro la macchina a vapore e il binario; ma anche tra le modalità di visione: ha una direzione fissa vincolata dalla cornice, vede il mondo “dal treno in poi”, è vincolato dalla tratta. Nel corso dell'800 la dimensione descrittiva della ferrovia in relazione con il paesaggio attraversato, travalica la dimensione tecnica, collocandosi a cavallo tra la rappresentazione artistica - come le vedute ferroviarie di Carlo Bossoli sulla tratta Torino-Genova commissionate dal Ministero dei Lavori Pubblici (1852-1855) - e le opere di divulgazione del Touring Club Italiano, dalle Guide ferroviarie di Ottone Brentari (dal 1905), la serie delle Monografie regionali illustrate (1907-1921), la Guida d'Italia (1914-1928), fino alla Carta d'Italia (1907-1914), in cui la ferrovia è lo strumento privilegiato per la scoperta degli itinerari di visita, nonché per un quadro delle trasformazioni territoriali subite negli anni dal Paese. In ambito progettuale, le stesse rappresentazioni tecniche per la progettazione dei percorsi ferroviari dell'800 si caratterizzano come 'sezioni trasversali' del territorio, coniugando sullo stesso dispositivo - in pianta e sezione la rappresentazione degli elementi geografici (tracciati, strade, corsi d'acqua, caseggiati, ecc.) e delle componenti tecniche proprie della ferrovia (elementi architettonici, opere d'arte, livellamenti del terreno, gallerie, ecc.), concepiti in un sistema di assonanze e differenze, regole e variazioni sul tema (Fadda, 1887). Nel corso del '900 altri studi, da The view from the road (Lynch, Appleyard, Meyer, 1963), con le schematizzazioni sullo spazio-movimento e dell'orientamento del paesaggio delle autostrade; al progetto della percezione dal treno sulle linee TGV in Francia a partire dagli anni '80 (Claverie 2000; Derouineau 2000); alla Biennale di Rotterdam del 2003 Mobility, A room with a view (Houben, Calabrese, 2003), costituiscono delle esperienze significative sulla rappresentazione di nodi e sequenze di paesaggio; un tema che potrebbe consegnare all'infrastruttura, nella sua natura di elemento di strutturazione, quel carattere di "lente" sulle trasformazioni insediative e territoriali e di strumento operativo. Per concludere, una breve notazione sul recente progetto del film Torino-Milano e ritorno, il treno come belvedere mobile (Giriodi, 2011), che ripropone il tema della visione orizzontale dal treno tramite un film continuo con camera fissa per ottenere una visione sintetica, sincronica, del territorio. Uno strumento per la conoscenza del paesaggio, dell'infrastruttura e dei rapporti reciproci che tra essi si vanno a determinare, da decifrare "scientificamente" da parte di saperi diversi, utilizzando le possibilità offerte della tecnologia per operazioni di ritaglio-ingrandimento-disegno-cancellazione, per valutare l'impatto di nuovi interventi e costruire un'archivio' di base per la lettura dei valori in campo e la registrazione degli sviluppi e dei possibili scenari a lungo termine, per una conoscenza analitica e diacronica.
Danilo Marcuzzo
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Il Servizio Ferroviario Metropolitano torinese: dispositivo progettuale per scenari e narrazioni e la trasformazione delle armature territoriali
Figura 3 - Fotogrammi tratti da «Torino-Milano e ritorno» di Sisto Giriodi
Bibliografia
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Sitografia
http://www.sfmtorino.it/ http://www.mtm.torino.it/it/sfm
Riconoscimenti
I temi di Infrastrutture e progetto del territorio alla Grande Scala e della relazione tra morfologia insediativa e processi decisionali relativi alle trasformazioni territoriali sono oggetto da anni del filone di ricerca del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino (DAD/ DiPrADI), cui si rimanda in bibliografia. Un particolare ringraziamento a Sisto Giriodi per aver messo a disposizione le immagini del film Torino-Milano e ritorno.
Danilo Marcuzzo
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Le Università come attori della promozione di nuovi modelli di mobilità sostenibile
Le Università come attori della promozione di nuovi modelli di mobilità sostenibile Nicola Martinelli* Politecnico di Bari DICAR – Dipartimento di Scienze dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura Email: n.martinelli@poliba.it Luigi Guastamacchia* Politecnico di Bari DICAR – Dipartimento di Scienze dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura Email: lugu@tiscali.it Marianna Simone* CETMA – Centro di progettazione, design & tecnologie dei materiali Email: marianna.simone78@gmail.com
Abstract A partire dalla definizione dei concetti di Smart City e Smart Mobility e dal riconoscimento della vocazione all’innovazione e alla sperimentazione peculiare dell’istituzione universitaria, attraverso una sintetica overview sulle iniziative intraprese dagli Atenei italiani impegnati su questo fronte, con un particolare focus sul caso di Bari, il presente lavoro intende indagare il ruolo chiave che possono ricoprire, nella costruzione di una ‘città intelligente’, in una congiuntura economico-finaziaria delicata come quella attuale, politiche e iniziative a sostegno della mobilità alternativa, che coinvolgano la comunità universitaria in qualità di promotrice e di destinataria. Parole chiave città universitaria, smart-mobility, crescita intelligente
1 | Il concetto di Smart Mobility e il ruolo dell’Università come attori dell’innovazione (user e researcher) La mobilità del XXI secolo dovrà essere sostenibile, digitale, integrata anche grazie ad un massiccio ricorso a tecnologie per la mobilità di persone e merci nelle città e territori contemporanei. La necessità di rafforzare l’efficienza energetica fa parte dei cosiddetti obiettivi «20-20-20» per il 2020: gli Stati membri si sono impegnati a una riduzione del 20% del consumo di energia primaria dell’UE e delle emissioni di gas serra, e introduzione nel consumo energetico di una quota del 20% di energie rinnovabili. Peraltro, se il consumo di energia nell’edilizia residenziale e terziaria unitamente ai trasporti è all’origine di circa il 40% per settore del consumo totale di energia finale e del 36% delle emissioni totali di CO2 nell’UE, si comprende come nuove politiche per la mobilità urbana siano tra i passaggi necessari per la sfida contemporanea di una città energeticamente efficiente. Inoltre, una città smart è una città in cui gli spostamenti risultano agevoli, che garantisce una buona disponibilità di trasporto pubblico innovativo e sostenibile, che promuove l’uso dei mezzi a basso impatto ambientale, che regolamenta l’accesso ai centri storici privilegiandone la vivibilità (aree pedonalizzate); una città smart adotta soluzioni avanzate di mobility management e di infomobilità per gestire gli spostamenti quotidiani dei cittadini e Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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gli scambi con le aree limitrofe. Si tratta di un nuovo approccio al tema dell’accessibilità, che, nella nostra disciplina, da Chapin in poi,costituisce un elemento chiave per conoscere le relazioni che esistono tra usi del suolo e sistemi di trasporto, spesso utilizzato indistintamente per intendere la prossimità o la facilità di interazione, enfatizzando alternativamente le due componenti della struttura spaziale (Occelli,1999). Non è facile tracciare uno scenario completo dello sviluppo dei veicoli e dei sistemi di trazione a basse emissioni per le smartcities perché complessi e variegati appaiono gli scenari internazionali sulla innovazione tecnologica sostenuta dalla ricerca applicata. Si pensi alla sperimentazione nel settore dell’automotive: autoveicoli, veicoli commerciali leggeri e pesanti, bus, tram, filobus e mezzi agricoli, sono oggi interessati all’impiego di tecnologie e a rilevanti processi di innovazione di prodotto e di processo i cui milieu sono le aree del mondo “automotive intensive” (dall’Europa, agli USA al Far East), nelle quali l’industria offre una straordinaria concentrazione di competenze per il raggiungimento dell’obiettivo globale della cosiddetta Green Car. Affinché ciò si realizzi la Commissione Europea ha presentato a novembre 2012 il Piano d'Azione CARS 20201, volto a rafforzare la competitività e la sostenibilità dell'industria nella prospettiva del 2020; si propone una forte spinta innovativa consistente nello snellimento delle attività di ricerca e innovazione nell'ambito dell'iniziativa europea per i veicoli verdi. Verrà rafforzata la cooperazione con la BCE per gli investimenti al fine di finanziare in forma rilevante l'innovazione e agevolare l'accesso delle PMI al credito. Un'interfaccia di ricarica standardizzata per autovetture elettriche a livello di UE assicurerà, invece, la certezza normativa necessaria per incoraggiare una svolta decisiva nella produzione su grande scala di tali tipi di veicoli. La Green Car, è oggi il dominio delle realizzazioni di veicoli elettrici, ibridi, ad alimentazione con gas naturale e GPL, a idrogeno e ancora con nuovi caratteri prestazionali nel settore della sicurezza grazie alla Telematic on board(sensoristica, guida automatica…). Peraltro, alcune di queste tipologie di veicoli smart pongono alla città contemporanea precise risposte in termini di tecnologie e di filiere di distribuzione sicure e integrate alla spazialità urbana.2. Ma come oggi la Smart City non è il frutto della sola innovazione tecnologica nel settore energetico e delle ICT, così la Smart Mobility3 non può ridursi ai soli progressi, pur fondamentali, del settore dell’automotive, centrali rimangono infatti le implementazioni di politiche orientate ad una mobilità urbana sostenibile, attraverso il potenziamento del trasporto pubblico, tanto su gomma quanto su rotaia, in un’ottica di integrazione e interoperabilità, la disincentivazione dell’uso del mezzo privato su gomma attraverso politiche tariffarie su accessi e parcheggi alle aree urbane centrali, la predisposizione di nodi di interscambio come (park & ride, parcheggi di porta urbana…) dove le tradizionali forme di mobilità urbana (su ferro e su rotaia) possano internalizzare forme di mobilità lenta (ciclovie, vie d’acqua…). Politiche, in definitiva, che possano concretamente costruire “una intelligenza collettiva sull’uso dei sistemi di trasporto”, dalla quale generare nuovi stili di vita delle comunità urbane, che si appoggino anche a tecnologie e sistemi di interconnessione delle reti di trasporto pubblico; si pensi a tal proposito quanto questo settore si stia evolvendo con le application su smartphone degli utenti per: acquisto ticket, infomobility sulle reti del trasporto urbano. Se la Mobilità del XXI secolo è quindi una questione alla quale approcciarsi in un ottica di innovazione tecnologica saldamente ancorati però ad una Smart Community risulta essere questo uno dei settori vocati in tutta Europa per lo sviluppo delle liaison tra università, centri di ricerca e imprese, impegnati nello sviluppo sia di nuove soluzioni per le infrastrutture digitali delle Smart City, sia di tecnologie e soluzioni per la Smart Mobility e le green car. Se consultiamo sullo scenario internazionale delle smartcities il principale strumento di pianificazione strategica che è il PAES4, emerge che queste città si propongono come luoghi di apprendimento continuo dove promuove *§ 1 a cura di Nicola Martinelli, § 2 di Marianna Simone, § 3 di Luigi Guastamacchia.
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Il Piano d'Azione rappresenta la prima realizzazione concreta delle nuove priorità strategiche proposte nella recente comunicazione sulla politica industriale. Esso si basa sui risultati del gruppo di alto livello CARS21 in cui erano rappresentati sette commissari nonché gli Stati membri e gli attori chiave (tra cui rappresentanti dell'industria e delle ONG). Rilanciato nel 2010 il gruppo CARS21 ha adottato la sua relazione finale nel giugno 2012. 2 Veicoli: veicoli elettrici e ibridi, veicoli con trazione a gas naturale e GPL, veicoli a idrogeno. Tecnologie: auto in rete, auto a guida automatica. Carburanti: Biocarburanti (GPL, gas naturale, Biodiesel…). 3 Per un’analisi comparatafra diverse realtà di città di medie dimensioni, i ricercatori del Politecnico di Vienna, in collaborazione con Università di Lubiana e Politecnico di Delft, hanno sviluppato uno strumento di ranking, European Smart Cities (CRS 2007) con 6 aree di intervento (Smart Economy, Smart People, Smart Governance, Smart Mobility, Smart Environment, Smart Living) sulla base di 74 indicatori corrispondenti ad alcuni precisi fattori di valutazione per ogni determinata area. La Smart Mobility presenta 9 indicatori su 4 fattori: Accessibilità locale e Sostenibile, Sistemi di trasporto innovativo e sicuro, Disponibilità di strumenti e di infrastrutture, accessibilità Inter-nazionale. 4 Il PAES è così definito: “(…) è un documento chiave che indica come i firmatari del Patto tra i Sindaci rispetteranno gli obiettivi che si sono prefissati per il 2020. Tenendo in considerazione i dati dell’Inventario di Base delle Emissioni, il documento identifica i settori di intervento più idonei e leopportunità più appropriate per raggiungere l’obiettivo di riduzione di CO2. Definisce misure concrete di riduzione, insieme a tempi e responsabilità, in modo da tradurre la strategia di lungo termine in azione. (…)Le finalità invece sono così spiegate: “Gli obiettivi principali riguardano gli edifici, le attrezzature, gli impianti e il trasporto pubblico. Il PAES include anche degli interventi relativi alla produzione locale di elettricità (energia fotovoltaica, eolica, cogenerazione, miglioramento della produzione locale di energia), generazione locale di riscaldamento/raffreddamento. Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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percorsi formativi profilati sulle necessità di ciascuno, offrendo un ambiente adeguato alla creatività che promuove, incentivando le innovazioni e le sperimentazioni nella tecnologia, nella cultura, nell’arte; pertanto tali città si percepiscono e si rappresentano come un laboratorio di nuove idee che privilegiano la costruzione di una rete inclusiva, in cui i vari stakeholders e le loro communities possano avere cittadinanza e voce. Le città smart si dichiarano, inoltre, interessate a sviluppare alleanze con le università, ma anche con le agenzie formative informali dando spazio alla libera conoscenza e privilegiando tutte le forme in cui il sapere è libero e diffuso. «Al tempo stesso l’obiettivo di costruire una smart city non può che mostrare attenzione alle peculiarità delle identità locali e ai saperi contestuali di un città, non è un caso che Carlo Ratti indichi le città europee, con il peso della loro tradizione e la loro struttura architettonica definita come i luoghi di sperimentazione dell’innovazione e dove è più facile raggiungere un vero mutamento di abitudini di vita. Non è un caso che i vecchi centri di Copenhagen,Amsterdam, Friburgo, siano tra i luoghi di questa nuova stagione della città intelligente e sostenibile…» (Martinelli et al. 2012). Si deduce da quanto detto che una città «non può dirsi programmaticamente smart», poiché essa è più o meno intelligente - aldilà della tecnologia alla quale si affida per innovarsi - se vi è una intelligenza collettiva tale che aiuti pezzi attivi della sua società a coordinarsi per condividere progetti (De Biase, 2012). Alla luce di questo nuovo paradigma culturale, il presente contributo intende dimostrare quanto la comunità scientifica rappresenti un segmento rilevante di quella intelligenza collettiva e diffusa che può fare di una città una città intelligente. Quando si parla di potenziale funzione smart del mondo della ricerca e della formazione universitaria si deve pensare al valore ambivalente di questa funzione riconosciuta dai più; università che ad un tempo, sono sede di sperimentazioni di nuove tecnologie che, nel caso specifico di studio sono quelle di supporto alla smartmobility, come si richiamava nella prima parte dell’introduzione (settore automotive, ICT applicate all’infomobility, biocarburanti sostenibili…), e ancora come luoghi intensamente attraversati da city users capaci di sperimentazioni all’interno dei campus universitari e/o dei nuovi poli scientifici (Martinelli, 2012), da intendersi come veri e propri laboratori per la sperimentazione e lo sviluppo e propagazione per la smartmobility, intesa come forma intelligente di uso della rete dei mezzi pubblici, che sia capace di diventare un uso consuetudinario. Rimane poi la terza missione dell’Università, quella di servizio alla comunità e al territorio, nella quale – come si racconta in alcuni casi studio che seguono nel contributo – l’attore universitario può farsi parte attiva per sviluppare domanda di smartmobility o intercettare politiche di innovazione e potenziamento di nuove forme di mobilità implementate dalle amministrazioni pubbliche all’interno di una non sempre scontata sinergia università-città.
2 | Le Università italiane e i nuovi modelli di mobilità alternativa In Italia ogni anno la congestione urbana costa 2,6 miliardi di euro in termini di lavoro straordinario, di incidenti, di tempo sprecato in code e rallentamenti, di spese sanitarie, di costi assicurativi, ecc. Se a questo si aggiungono gli impatti degliinquinamenti atmosferico e acustico e le loro ricadute sulla salute pubblica, si può prefigurare il quadro della portata rivoluzionaria che, la dotazione di infrastrutture e servizi per la mobilità alternative, può avere finanche nella capacità di influire sull'immagine delle città e sulla loro attrattività, dato non trascurabile in un contesto in cui le grandi città sono chiamate a competere nello scenario internazionale, per catalizzare flussi di persone e di denaro. Il modello auto-centrico ha comprovato inequivocabilmente la propria insostenibilità: il traffico veicolare privato è un costo sociale e velocità non sempre è sinonimo di efficienza. Se la sostenibilità (e l’accessibilità) ambientale, sociale, economica sono principi cardine nella costruzione di una città Smart, tanto più importanti diventano in una congiuntura economica come quella attuale, in cui il congestionamento del traffico urbano, l’inquinamento da essi prodotto e la crescita vertiginosa del prezzo dei carburanti obbligano tanto a una svolta nel sistema di gestione della circolazione urbana, quanto a un ripensamento degli stili di vita dei cittadini verso modelli improntati al buon vivere. In quest’ottica, le iniziative che coinvolgono le Istituzioni universitarie e gli Enti locali e sono indirizzate verso un target sensibile alla tutela dell’ambiente, alla salvaguardia della salute, al contenimento della spesa, aggiornato,padrone dei linguaggi e degli strumenti della comunicazione e dell’informazione tecnologica più avanzata, dinamico, attivo di users della città - gli studenti - non possono non configurarsi come strumenti privilegiatiper il ripensamento della città orientato ad obiettivi Smart. Le Università fungono tanto da supporto agli Enti locali nella ricerca in materia di studio della circolazione e dei flussi urbani e nella sperimentazione di nuove tecnologie sostenibili a servizio dei trasporti, quanto da promotori di modelli di mobilità alternativa5, e il Mobility Management6 è ormai parte integrante dell’agenda degli atenei.
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Anche istituendo partnership europee come quella voluta dalla Fondazione europea della scienza, con il sostegno della EFC EuropeanCyclists’ Federation, e della FIAB Federazione Italiana Amici della Bicicletta, attraverso il VI programma
Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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La "gestione della domanda di mobilità" delle città, di cui lo sviluppo e la diffusione della mobilità sostenibile è il cardine, che presuppone la strutturazione di una serie di misure volte a ottimzzare la mobilità di persone, veicoli e merci nelle aree urbane che, a un tempo, salvaguardino e valorizzino l'ambiente attraverso soluzioni innovative e a basso impatto ambientale, è riconosciuta come competenza anche delle istituzioni universitarie. Le misure proprie del Mobility Management si definiscono soft, poiché generalmente non si traducono tanto nella realizzazione di infrastrutture, quanto piuttosto nell’ideazione, nell’implementazione e nell’utilizzo di una serie di strumenti di supporto e sensibilizzazione. Tre lel inee di intervento principali: • concessione (incentivi per l'adozione di mezzi ecologici, convenzioni, offerta di servizi e tariffe agevolate); • persuasione (attività di comunicazione e sensibilizzazione); • restrizione (sanzioni, limitazioni alla sosta e alla circolazione dei veicoli). La città universitaria, dunque, dispone degli strumenti necessari a proporre sperimentazioni di nuovi modelli di mobilità e di fruizione degli spazi urbani, nella promozione della cultura della mobilità sostenibile a partire dalle giovani generazioni. Negli ultimi anni, in Italia, attenzione alle politiche smart in materia di mobilità è stata mostrata tanto dai grandi poli universitari, quanto dai piccoli atenei. L’università degli Studi Roma Tre, per esempio, ha rivelato negli anni una spiccata attitudine green. Per il coordinamento degli interventi volti a migliorare la mobilità del personale e degli studenti e l'impatto della presenza dell'Università sulla città in termini di traffico, Roma Tre ha nominato il proprio Mobility Manager e si è dotata di un ufficio di Mobility Management7 promotore di numerose iniziative. Di concerto con il Comune di Roma, l’Ateneo ha realizzato il Piano degli Spostamenti Casa-Lavoro, uno studio dei percorsi giornalieri di dipendenti e studenti. L’analisi che ne è risultata ha permesso di delineare interventi volti all’ottimizzazione dei flussi, mediante la riorganizzazione dei mezzi pubblici e la stipula di convenzioni fra Comune e Ateneo. Le iniziative di studio e gli interventi conseguiti hanno ricevuto il sostegno economico del Ministero dell’Ambiente8. ECRP 2010 nel campo delle scienze sociali, per un progetto di cooperazione in materia di mobilità ciclistica nelle città europee finalizzato allo studio dello sviluppo delle infrastrutture ciclabili in relazione all'attrattività delle città. 6 Il Decreto interministeriale Mobilità sostenibile nelle aree urbane del 27/03/1998, meglio conosciuto come Decreto Ronchi, introduce la figura professionale del responsabile della mobilità: il Mobility Manager. Tutte le imprese e gli enti pubblici con più di 300 dipendenti, operanti in una medesima unità produttiva o con più di 800 addetti operanti in più sedi locali di uno stesso comune con almeno 150.000 abitanti, devono nominare un responsabile della mobilità del personale. Il Mobility Manager ha l'incarico di ottimizzare gli spostamenti sistematici dei dipendenti, con l'obiettivo di ridurre l'uso dell'auto privata adottando strumenti come il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL), con cui si favoriscono soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto ambientale (car pooling, car sharing, bike sharing, trasporto a chiamata, navette, ecc.). La figura del Mobility Manager è particolarmente importante perché consente di dare risposte di breve periodo ai problemi della congestione del traffico e delle sue conseguenze sulla salute. Il Mobility Manager, infatti, opera sul governo della domanda di trasporto, lavorando in particolare sugli spostamenti sistematici e sui comportamenti delle persone, svolge un ruolo di pianificazione all'interno dell'azienda/ente e permette di ottimizzare i costi per gli spostamenti, in armonia con le politiche di mobilità sostenibile del territorio in cui opera, migliorandone l'immagine complessiva. Dal 2000 la normativa nazionale ha introdotto, inoltre, il Mobility Manager di area, figura di supporto e coordinamento dei responsabili della mobilità delle aziende e degli enti, istituita presso l'Ufficio Tecnico del Traffico di ogni Comune di estensione medio/grande. Il Mobility Manager di area ha il compito di mantenere i collegamenti fra la struttura comunale e le aziende/enti nella redazione dei piani spostamento casa-lavoro, collaborando alla loro realizzazione, nonché di promuovere iniziative di mobilità nel territorio comunale. 7 http://host.uniroma3.it/uffici/mobilitymanager/index.php 8 Fra questi, si segnalano: - Roma Tre in bici, un servizio che mette a disposizione degli studenti e dei dipendenti, a titolo gratuito, una flotta di biciclette a prelievo automatizzato; - Ciclomotori elettrici a Roma Tre, l'Università ha assegnato al proprio personale dipendente un certo numero di ciclomotori elettrici; - Abbonamento annuale Metrebus, Roma Tre ha stipulato una convenzione con l’ATAC (Azienda Tramvie ed Autobus del Comune di Roma) che prevede agevolazioni tariffarie per dipendenti e studenti attraverso l'acquisto di abbonamenti annuali Metrebus per Roma e per il Lazio con incentivi Mobility Manager; - Percorso ciclabile, Roma Tre, il Municipio XI e l'Assessorato alle Politiche dell'Ambiente del Comune di Roma hanno istituito un tavolo di lavoro per la progettazione e la realizzazione di un percorso ciclabile che colleghi le varie sedi dell'Ateneo di tutta l'area Marconi-Ostiense; - Carpooling a Roma Tre, a partire dal marzo 2011, Roma Tre ha attivato la sperimentazione di un servizio online di carpooling per mettere in contatto tra loro gli studenti che utilizzano un mezzo privato e provengono dalla stessa zona della città. Tutti gli studenti che abbiano sia domicilio che destinazione universitaria in zone contigue possono interagire per mezzo di questo sistema e creare equipaggi di due o più persone. A tale scopo l'Ateneo ha messo a disposizione il relativo applicativo, che è possibile trovare anche sulla home page istituzionale e al quale si accede solo tramite l’indirizzo email che l’Ateneo attribuisce ad ogni studente iscritto. A cura degli studenti la definizione delle modalità degli accordi. Nei primi mesi di attività del servizio si sono registrate circa 550 richieste di accordi e si sono formati una ventina di equipaggi; - Car sharing, l’Università organizza un servizio di mobilità flessibile che consente l'uso in comune di veicoli da parte di un "club di utenti“ con numerose agevolazioni: stazionamento gratuito nei parcheggi a sosta tariffata e nei parcheggi di Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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Le Università come attori della promozione di nuovi modelli di mobilità sostenibile
Tra i grandi poli universitari attivi in materia di Smart Mobility, emerge anche l’Università degli Studi di Milanoche si è dotata di un Mobility Manager di Ateneo9 e ha messo in campo una serie di iniziative di concerto con gli altri poli universitari urbani, con il Comune e con le aziende di traporto pubblico10. Analoghe iniziative, proliferate negli ultimi anni soprattutto grazie alla diffusione di tecnologie di grande accessibilità e ormai di uso quotidiano, in particolare per le giovani generazioni (webwi-fi, smartphone, tablet..), sono state intraprese anche da Atenei più piccoli: Udine, Siena, Verona, Bologna, Catania, Pisa, Bari. Da segnalare, a titolo di esempio, il successo di Take a lift – il passaggio organizzato, iniziativa promossa dall’Università degli Studi di Pisa11 e attiva da aprile 2010, un servizio di car pooling destinato a studenti e dipendenti dell’Università. Gli spostamenti casa-università vengono organizzati online, attraverso un sito web12, che mette in contatto chi cerca un passaggio con chi lo offre e viceversa, una forma di trasporto di gruppo che consiste nella condivisione di automobili private, cui si ha accesso iscrivendosi alla community e inserendo i propri annunci. Il servizio è fruibile in modalità gratuita per sei mesi dai nuovi utenti, successivamente dipendenti e studenti continuano ad usufruirne a condizioni promozionali. I vantaggi più apprezzati, a breve e lungo termine sono: • l’abbattimento dei consumi; • la velocizzazione dei percorsi; • le occasioni di socializzazione; • il contributo alla salvaguardia dell’ambiente • e alla diminuzione del traffico veicolare urbano. Sebbene le Università più attive siano quelle del centro-nord, la divaricazione di carattere qualitativo e quantitativo fra l’offerta di servizi e le iniziative di sperimentazione dei sistemi universitari centro-settentrionali e del Mezzogiorno si va progressivamente riducendo, lo dimostrano i casi di Napoli13, del MOMACT dell’Università di Catania14 e di Bari che si illustrerà nel §3 del presente studio. Gli atenei italiani sono, dunque, impegnati in prima linea nello sforzo di avvicinare l’Italia alle più riuscite esperienze delle città virtuose del Nord Europa, dove la mobilità sostenibile soddisfa gran parte delle necessità di spostamento urbano ed extraurbano dei cittadini e rientra in un contesto culturareconsolidato. Dai recenti Stati generali della bicicletta15, tenutisi a Reggio Emilia nel 2012, è emersa l’esigenza di provare acolmare il gap che ancora allontana le nostre città dalle eccellenze olandese, danese, tedesca, con un movimento scambio, accesso e circolazione gratuite nelle ZTL della città, accesso e circolazione nelle corsie preferenziali e in alcune aree normalmente interdetta al traffico; - ProgettoELEbici @ Roma3, nato da un accordo tra Enel Green Power e Università Roma Tre, si propone di dare impulso alla mobilità elettrica, nel settore delle biciclette a pedalata assistita, attraverso una sperimentazione nella città di Roma. Il progetto prevede la partecipazione di Enel GP per quanto riguarda la fornitura di 30 veicoli, mentre l'Università Roma Tre è coinvolta nella scelta dei 30 studenti che guidano le biciclette e raccolgono dati sui loro viaggi durante la sperimentazione, nel Travel Diary. Il progetto è rivolto a studenti iscritti a tre facoltà: Architettura urbana, Economia e Ingegneria dei trasporti; - Lezioni di manutenzione bici, l’Ufficio Iniziative Sportive organizza periodicamente lezioni di manutenzione delle biciclette rivolte agli studenti. 9 Si veda: http://www.unimi.it/personale/mobility/1237.htm 10 PoliUniPool, servizio di car pooling lanciato congiuntamente da Università degli Studi e Politecnico di Milano per offrire a studenti e personale una modalità di trasporto alternativa ed ecosostenibile per il raggiungimento delle sedi di studio e di lavoro. Il servizio è gestito attraverso il portale http://www.carpooling.polimi.it/, dove è possibile registrarsi come guidatore (che mette a disposizione il proprio veicolo) o come semplice passeggero, e indicare di giorno in giorno le proprie esigenze di viaggio. Gli equipaggi sono creati da un software che aggrega automaticamente le richieste in base ai luoghi di partenza e agli orari, con la possibilità per l’utente di includere propri conoscenti nell’equipaggio; - GuidaMi, il servizio di car sharing dell’ATM (Azienda Trasporti Milanese) che permette di noleggiare un’automobile risparmiando sui costi di gestione dell’auto e contribuendo alla riduzione di traffico e inquinamento. Grazie all’accordo tra Ateneo e ATM, studenti e personale hanno uno sconto sulla quota di iscrizione annuale al servizio del 25% (personale, dottorandi, assegnisti, borsisti, specializzandi e studenti con più di 26 anni) o del 50% (personale, dottorandi, assegnisti, borsisti, specializzandi e studenti con meno di 26 anni e titolari di abbonamento annuale ATM); - Abbonamenti ATM – SITAM, Trenitalia, LeNORD, l’Università, con il Comune di Milano, ha sottoscritto una convenzione per abbonamenti ATM a tariffa agevolata, nonché specifici accordi con Trenitalia S.p.A. e LeNORD S.r.l che consentono di acquistare abbonamenti ferroviari annuali a tariffa promozionale, e con le autolinee per rimborsi parziali degli abbonamenti. Tali iniziative sono riservate agli studenti e ai dipendenti dell’Università. 11 Si veda: http://www.unipi.it/ateneo/personale/mobility/index.htm 12 Si veda: http://www.take-a-lift.com 13 Si veda: http://mobilitymanager.uniparthenope.it/mobility 14 Si veda: http://www.unict.it/content/la-mobilit%C3%A0-sostenibile 15 Il 5 e 6 ottobre 2012 Reggio Emilia hanno avuto luogo gli Stati Generali della Bicicletta e della mobilità nuova, un evento organizzato da Salvaiciclisti, FIAB, Legambiente e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani. Lo scopo dell’evento era il rafforzamento delle posizioni di tutti i portatori di interessi che si occupano di mobilità urbana leggera e alternativa all’automobile, per la realizzazione di un vademecum ad uso e consumo di amministratori nazionali e locali per rendere l’Italia un paese ‘a misura di bicicletta’. Fra i partecipanti agliStatiGenerali:associazioni, soggetti pubblici e privati che si occupano di tematiche correlate alla mobilità urbana, Comuni, Università. Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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culturale e con politiche partecipative pubbliche. In questa prospettiva, ancor più prezioso appare il ruolo di mediazione e di sperimentazione delle istituzioni universitarie.
3 | Le iniziative delle Università baresi Bari è una città con un grande sistema universitario diffuso nel territorio urbano e metropolitano16(fig.1) con una popolazione, composta sia dagli studenti che dal personale impiegato al 201117 superiore alle 80.000 unità, dei 71.000 studenti circa 58.000 sono iscritti all’Università degli Studi, 11.800 al Politecnico e circa 1.300 alla LUM. L’attuale articolazione policentrica del sistema universitario rende i tre Atenei del Polo barese direttamente o indirettamente responsabili degli spostamenti giornalieri della sua utenza, parte delle circa 500.000 persone, tra residenti censiti (al 2011 oltre 310.000) e pendolari per lavoro o per studio, che gravitano giornalmente nel capoluogo pugliese.
Figura 1. Il sistema universitario diffuso nel territorio urbano e metropolitano di Bari: il polo umanistico nella griglia del borgo murattiano, il polo scientifico del Campus a sud, il polo sanitario del Policlinico a ovest, il polo di Economia a sud-ovest.(fonte:L. Guastamacchia)
Le Università nel duplice ruolo di grandi aziende e di enti deputati alla formazione di eccellenza e alla ricerca, hanno acquisito la consapevolezza di attivare sinergie con le amministrazioni locali in materia di mobilità sostenibile e alternativa rispondendo così al potenziamento dell’accessibilità urbana, considerato uno degli aspetti centrali del welfare studentesco, e ottimizzando quindi le risorse finanziarie necessarie ad attuare gli interventi. Nel recente passato il mancato coinvolgimento e interessamento delle Università nell’avvio delle politiche di mobilità sostenibile, attivate dal Comune di Bari attraverso azioni di tipo organizzativo sul sistema della circolazione e della sosta con lo slogan lanciato nel 2004: «come lasciare l’auto ed essere felici», ha mostrato scarsa attenzione verso gli studenti in quanto city-users.
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Nell’area urbana, oltre al polo umanistico dell’Università degli Studi 'Aldo Moro' nel borgo ottocentesco (Borgo Murattiano), si contrappongonoil 'polo medico' del Policlinico, il 'polo scientifico' del Campus 'Ernesto Quagliarello', e il giovane 'polo di economia'; (ii) nell’area metropolitana dalla Libera Università Mediterranea (LUM) e da una sorta di distretto scientifico localizzato 15-20 km a sud est del capoluogo, lungo la direttrice per Taranto nei comuni di prima e seconda corona (Valenzano e Casamassima) dell’hinterland barese. 17 Fonte: Ministero dell'Università e della Ricerca - Ufficio di Statistica. Indagine sull'Istruzione Universitaria. ultimo aggiornamento:15 Febbraio 2012 (oltre ai 71.000 studenti si contano oltre 6.000impiegati tra docenti, personale tecnicoamministrativoe collaboratori di ricerca e circa 3.000 unità impegnate nella formazione post-universitaria. Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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Se la 'cittadella umanistica' diffusa nel quartiere centrale del Borgo Murattiano ha potuto contare sulla sua prossimità con il nodo ferroviario e con le strutture culturali, amministrative e terziarie direzionali, gli altri poli universitari diffusi nel contesto urbano e extraurbano sono stati penalizzati da un sistema di trasporti che non ha risposto alle esigenze della utenza universitaria18. Diverse quindi le iniziative avviate dagli Atenei baresi per comprendere il loro ruolo nella gestione della mobilità e delineare modalità di interazione con le pubbliche amministrazioni e le aziende di trasporto urbano, mettendo in agenda le attività del Mobility Manager. Tra queste, l’Università di Bari nel 2006 ha costituito uno gruppo di studio sulla mobilità sostenibile con il compito di collaborare ed interagire con il Mobility Manager d’Area del Comune di Bari, e promuovendo nel 2008 due campagne d’indagine19 sugli spostamenti casauniversità degli studenti e casa-lavoro del personale.20 Sul fronte degli studenti, l’indagine (seppur non conclusa) ha mostrato gli esiti di azioni concrete avviate dal Comune di Bari anche per migliorare l'accessibilità alle sedi universitarie attraverso forme di incentivazione della mobilità alternativa cittadina tra cui il bike sharing gratuito, e le tariffe agevolate per il trasporto pubblico. Il servizio bike sharing denominato 'Bici in città' ha incontrato, dalla sua attivazione nel 2007, il gradimento della popolazione dell’area metropolitana e in particolare di quella studentesca, poiché parte delle 23 stazioni attivate sono site nei pressi dei principali poli universitari21 e nei nodi intermodali principali tra cui la stazione ferroviaria e le aree del Park & Ride22 (fig.2). Oltre al servizio di bike sharing il Comune di Bari ha anche attivato sulla scorta dell’elaborato 'Bici Plan' progetti per il potenziamento di piste ciclabile, per connettere i luoghi delle centralità e dei servizi urbani con i poli e le attrezzature universitarie23. Gli Atenei baresi hanno quindi inizialmente intercettato questa inedita mission del Comune di Bari, avviata dalla metà degli anni 2000, per la mobilità sostenibile, come dimostrato dal premio consegnato nel 2008 all’Amministrazione da Legambiente per aver ridotto le emissioni inquinanti, dal IV Rapporto sulla Mobilità Sostenibile in 50 città italiane tra capoluoghi di Regione e comuni con più di 100.000 abitanti24, e dal premio del 2012 'Comuni Bicicloni' di Legambiente Puglia25. A partire dal 2010 gli Atenei baresi, in concertazione con le rappresentanze studentesche e con l’ADiSu26 Puglia, con l’obiettivo di promuovere gli spostamenti alternativi della popolazione universitaria considerata generatore di grandi flussi di spostamenti, sono stati coinvolti direttamente e attivamente dall’Assessorato regionale alle 18
Si pensi a tal proposito al Centro Universitario Sportivo (CUS) e la Cittadella della Cultura (Biblioteca Nazionale e Archivio di Stato) sul lungomare occidentale della città. 19 Le domande proposte comprendevano informazioni su frequenze, orari e mezzi di trasporto utilizzati per raggiungere l'università, oltre ad una serie di indicazioni inerenti al giudizio sulla qualità dei propri spostamenti, le criticità riscontrate nell'utilizzo dei vari mezzi di trasporto e l'interesse ad aderire a nuove iniziative quali ad esempio servizi di car pooling o bike sharing. I risultati dell'indagine condotta tra gennaio e marzodel 2008 sono stati presentati prof. Ernesto Toma, venerdì 19 settembre 2008 in occasione dell'incontro-dibattito "L'Università degli Studi di Bari verso una mobilità sostenibile" nell'ambito della "EuropeanMobility Week" 16-22 settembre 2008. 20 In particolare l’indagine casa-lavoro del personale ha mostrato risultati sbilanciati verso l’uso del mezzo privato (50%), a seguire la mobilità pedonale (13%), ciclabile (5,8%) e car pooling (3,3%), seppur il 69% del personale intervistato ha mostrato interesse verso forme alternative di mobilità sostenibile 21 Il palazzo Ateneo, l’ingresso in via Orabona del Campus, la segreteria del Politecnico in via Amendola, il Policlinico, la Facoltà di Economia e Commercio in via Rosalba. La mappa delle stazioni di BikeSharing è consultabile al sito:http://www.bicincitta.com/citta_v3.asp?id=9&pag=2 22 Le aree a parcheggio scambiatore periferiche sono ubicate sulle maggiori direttrici di traffico veicolare in entrata nella città e raggiungibili con bus-navetta gratuiti. Il servizio di Park & Ride, proposto in forma sperimentale nel dicembre del 2004 dagli Assessorati al Traffico e mobilità e alle Aziende Partecipate, ha riscontrato il gradimento della popolazione tanto da essere confermato ed ampliatonegli anni successivi. 23 Come la pistalungo lo spartitraffico della dorsale Viale Unità d’Italia – Viale della Repubblica, inaugurata nel 2009 che collega l’estramurale e la stazione23 con l'Università, il Politecnico e il Parco Urbano – Largo 2 Giugno, Questa pista ciclabile è uno stralcio di un Piano programma di itinerari ciclabili urbani commissionato dal Comune nel 1991, su proposta di Ruotalibera Bari, con finanziamenti statali previsti da un'apposita legge (L. 208/91). Mai realizzato, originariamente il tracciato doveva continuare su Corso Cavour, prolungamento di Viale Unità D’Italia sino al centro storico di Bari. Tra gli altri progetti vi è il percorso ciclabile sul lungomare che conduce al Centro Sportivo UniversitarioOltre agli interventigià compiuti nel territorio comunale di Bari si stanno realizzando 15 nuove piste ciclabili, per un’estensione totale di 12.942 metri. Alcuni percorsi sono in via di realizzazione, altri in fase di aggiudicazione.Le piste ciclabili, dalla più corta (i 55m di via Mola), alla più lunga (i quasi 3km dell’Asse nord-sud), per i cui lavori si prevederebbe l’avvio entro la fine dell'anno, sono finanziate con fondi privati, attraverso gli accordi di programma sottoscritti per riqualificare il tessuto urbano, dei ministeri dell'Ambiente e dei Lavori pubblici, dell'Assessorato regionale all'Urbanistica e del Comune di Bari. 24 Pubblicato da Euromobility nel 2010,Bari occupa il 14° posto nel ranking generale ed è prima fra le città del sud (seppur Bari slitta nel report del 2011 al 35° posto, mantenendo tuttavia buone performance legate soprattutto alla partecipazione ad eventi e al bike sharing). 25 L’iniziativa di Legambiente Puglia, realizzata con il contributo dell’Assessorato alle Infrastrutture e alla Mobilità della Regione Puglia e con la collaborazione dell’Anci Puglia, ha selezionato il capoluogo per aver un Piano della Mobilità, un Mobility Manager nell’organigramma, un ufficio biciclette, il servizio di bike sharing e i relativi ciclo parcheggi. 26 L’ADISU Puglia,è l'Agenzia regionale per il diritto allo studio universitario, istituita con la LR 18/2007. Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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Infrastrutture Strategiche ed alla Mobilità, nel progetto 'Cicloattivi& Università' in seno al programma regionale 'Crea-Attiva-Mente', di indirizzi delle politiche in materia di mobilità sostenibile ed in particolare ciclistica, considerata strategica per lo sviluppo ecocompatibile della Puglia27. In particolare gli Atenei e l’ ADiSu, ciascuna per la struttura di competenza, oltre ad individuare spazi utili da cedere all’Assessorato nelle proprie sedi per i servizi a supporto dei mezzi ciclabili (noleggio, parcheggio, manutenzione), assumono la gestione del progetto attraverso la collaborazione nelle indagini sulla domanda di mobilità degli studenti, e l’ assegnazione delle biciclette agli studenti (destinando eventualmente in parte anche al personale), secondo criteri definiti dagli stessi Atenei28.
Figura 2. Il sistema universitario diffuso nel territorio urbano di Bari e il sistema della mobilità sostenibile.(fonte: Ing.Maurizio Difronzo www.elaborazioni.org)
Un ulteriore occasione in cui viene dimostrato l’interesse a delineare modalità di interazione da parte dell’Università29 portatori dei bisogni della propria utenza, con il Comune e l’Azienda per il servizio di trasporto urbano collettivo (AMTAB), è la convenzione firmata nel 2010 che permette agli studenti30 di accedere a tariffe 27
Con la LR 1/2013 'Interventi per favorire lo sviluppo della mobilità ciclistica' la Regione Puglia individua il sostegno agli spostamenti in bicicletta, attraverso la realizzazione di interventi infrastrutturali per la mobilità quotidiana (es. casa luoghi di studio/lavoro/servizi) e per il tempo libero e azioni di comunicazione, educazione e formazione, tra le strategie per combattere il traffico stradale, ridurre le emissioni di CO2, valorizzare il territorio e le economie locali dal punto di vista turistico. 28 In particolare la Regione assegna complessivamente agli Atenei pugliesi n. 1600 biciclette: n. 868 biciclette all’Università degli Studi di Bari (di cui il 2% agli studenti della sede di Brindisi, il 10% a quelli della sede di Taranto, il 20% agli studenti residenti a Bari, il 30% per cento ai pendolari, il 50% ai fuori sede con regolare contratto d’affitto e infine il 20% per cento agli immatricolati); n. 185 biciclette al Politecnico di Bari (divise tra gli studenti del Campus, quelli che frequentano sedi fuori dal Campus, chi frequenta il CUS e gli studenti Erasmus); n. 369 biciclette all’Università degli Studi del Salento (per il 72% agli studenti, 13% al personale interno, per 10% alle associazioni studentesche e per il 5% alla ciclofficina); n. 168 biciclette all’Università degli Studi di Foggia (di cui il 15% assegnato al personale interno e 85% agli studenti in sede e fuori sede); n.150 biciclette all’Adisu. In particolare Le biciclette date in comodato d’uso gratuito per un anno agli studenti sono pieghevoli in modo da favorire il trasporto intermodale non solo in treno ma anche sui bus interurbani e urbani. 29 La convenzione vede la sottoscrizione oltre che dell’Università di Bari e del Politecnico anche quella del Conservatorio 'Nino Rota', dell’Accademia di Belle Arti e dell’ADISU Puglia. 30 L’utenza studentesca universitaria, nel corso degli anni, ha mostrato interesse al servizio urbano di trasporto collettivo reso dall’AMTAB, così come dimostrato dai dati statistici forniti dalla stessa Azienda che espongono una vendita di oltre 26.000 abbonamenti mensili nel corso degli anni. Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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agevolate, con l’obiettivo di migliorare gli standard nazionali di qualità dei servizi per gli studenti e nel contempo lo sviluppo di una mobilità urbana sostenibile. In definitiva, il caso dell’Università barese mostra oggi una vicenda, ancora non troppo diffusa nel nostro paese, nella quale le Università cittadine hanno intercettato una politica comunale31 orientata alla mobilità sostenibile, che è diventato uno dei tratti distintivi dell’azione amministrativa della giunta di centrosinistra tanto nel primo, quanto nel secondo mandato. Infatti, dopo una fase iniziale caratterizzata dall’assenza di un confronto con gli altri attori territoriali-pubblici, l’Università ha dimostrato di condividere ma anche di essere portatrice di modelli di mobilità intelligente, a partire da un insieme di interventi e strumenti messi in atto dall’Amministrazione comunale di Bari (seppur la città è stretta nei problemi della gestione del traffico urbano), parte di un processo integrato tra scelte territoriali e scelte per il governo della mobilità, urbana e di area vasta32 che dimostrano gli esiti di una stagione politica in cui il contesto locale (Capoluogo, Provincia e Regione) è coinvolto positivamente in una collaborazione proattiva (Martinelli &Lamacchia, 2008). Si riconferma, quindi, che senza una intelligenza collettiva, tanto delle istituzioni, quanto delle comunità, il concetto di smart city rischia di rimanere uno slogan senza ricadute concrete sui livelli di qualità della vita.
Bibliografia De Biase, L. (2012), “Smart Cities”, Lezione Magistrale agli Esami di Dottorato Tecnologie e Informazione Territorio e Ambiente, Parco Vega, Venezia 05.04.12 Martinelli, N. et al., (2012), “Smart City. Da una definizione alla costruzione di un’agenda pubblica condivisa: comparazione tra P.A.E.S. di città mediterranee” in Atti XV Conferenza Nazionale SIU – Pescara Atelier Biologic city maggio 2012 Martinelli, N. (2012), “Spazi della conoscenza università, città e territori”, Adda Ed., Bari Martinelli N., Guastamacchia L., Simone M. (2012), “Università e città gateway. Il caso studio di Bari”, in Atti della IX Biennale delle città e degli urbanisti europei – Smart Planning per le Città Gateway in Europa. Connettere popoli, economie e luoghi, Genova, 14-7 Settembre 2011, Edizioni INU RuR (a cura di) (2012), ”Città slow: dall'Italia al mondo. La rete internazionaledellecittà del buonvivere”, Franco Angeli, Milano Martinelli N., Lamacchia M.R., (2008), “Bari: due governi urbani. Elementi di persistenza e discontinuità”, in Archivi di studi urbani e regionali, Franco Angeli, anno XXXIX, n. 93, Milano Martinelli N., Bisciglia S., Lamacchia M.R. (2005), “Bari. Il sistema universitario barese, poloregionale?”, in Martinelli N. Rovigatti P. Università città e territorio nel Mezzogiorno, FrancoAngeli, Milano Martinelli N., Rovigatti P., (a cura di) (2005), “Università, città e territorio nel mezzogiorno”, Franco Angeli, Milano Occelli, S. (1999),“Accessibilità e Uso Del Tempo Nella Città Postfordista. Un’analisi empirica dell’accessibilitàin alcuni comuni dell’area metropolitana di Torino” , W.P. 126, IRES Piemonte.
Sitografia Informazioni sul Piano d'Azione CARS 2020 disponibili su: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-12-1187_it.htm http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/automotive/competitiveness-cars21/cars21/index_en.htm I risultati dell'indagine condotta “Spostamenti casa e lavoro” sono disponibili su Uniba, Organizzazione,sezione Macro-Area https://oc.ict.uniba.it/home/organizzazione/macro-area/spostamenti%20casa lavoro/indagine%20spostamenti%20casa-lavoro https://oc.ict.uniba.it/home/organizzazione/macro-area/spostamenti%20casa-lavoro/Contributo-Universitadegli-Studi-di-Foggia.pptx/view
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A tal proposito in virtù dell’art. 15 della L. 241/90 che prevede per le amministrazioni pubbliche la possibilità di concludere accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, è stato firmato un protocollo d’intesa il 17.09.2012 tra ell’Amministrazione Comunale, Politecnico e Università di Bari con l’obiettivo di intraprendere un’azione comune tesa a migliorare il rapporto tra città, sistema universitario e studenti, con riferimento particolare agli interventi nel campo dei servizi agli studenti. 32 Dagli strumenti di pianificazione elaborati (Piano Strategico Ba2015, il Piano Urbano Generale - PUG, il Piano Generale del Traffico Urbano -PGTU, il Piano Urbano della Mobilità PUM, ilPiano di Azione per l’Energia Sostenibile PAES) le linee di azioni principali riguardano principalmente gli interventi infrastrutturali (completamento e/o potenziamento dei sistemi di offerta di trasporto) e gli interventi sulla gestione e organizzazione dei servizi di trasporto (per ottenere un riequilibrio modale della domanda). Nicola Martinelli, Luigi Guastamacchia, Marianna Simone
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Atti del workshop “Piani Urbani della Mobilità Sostenibile” Bari, 23.04.2012 disponibili su Ricercatrasporti, Test,wp-content: http://www.ricerchetrasporti.it/test/wp-content/uploads/2012/04/SUMP-Workshop-Bari-April2012Decaro_A.pdf http://www.ricerchetrasporti.it/test/wp-content/uploads/2012/04/SUMP-Workshop-Bari-April2012Ferrante_V.pdf http://www.ricerchetrasporti.it/test/wp-content/uploads/2012/04/SUMP-Workshop-Bari-April2012Mentelocale.pdf http://www.ricerchetrasporti.it/test/wp-content/uploads/2012/04/SUMP-Workshop-Bari-April2012Sforza_R.pdf Atti del forum internazionale “Lo sviluppo della smart city nell’area mediterranea:tendenze emergenti, opportunità di finanziamento e sistemi di governance” Bari, 12.11.2012 disponibili su Greencityenergy, Bari, sezione convegni 2012: http://greencityenergy.it/attibari2012/LUNEDI12NOVEMBRE/Smart_Mobility_PrimaSessione/Nunzio_Lo zito.pdf http://greencityenergy.it/attibari2012/LUNEDI12NOVEMBRE/LOSVILUPPODELLASMARTCITY/Smart _CityIISessione/Anna_Maria_Curcuruto.pdf http://greencityenergy.it/attibari2012/LUNEDI12NOVEMBRE/Smart_Mobility_PrimaSessione/Maurizio_ Difronzo.pdf ProgrammaCicloattivi @ Università disponibile su Mobilità Regione Puglia,Mobilità Sostenibile, sezione Cicloattivi @ Università http://mobilita.regione.puglia.it/index.php?option=com_k2&view=itemlist&layout=category&task=category &id=18&Itemid=27 Delibera di Giunta Regionale n. 1251/2012, disponibile su Regione Puglia, URP Comunica , Mobilità sostenibile: ridefinizione del programma "Crea-attiva-mente" http://www.regione.puglia.it/web/files/trasporti/revisone_creaattivamente.pdf Legge Regionale n. 1/2013, “Interventi per favorire la mobilità ciclistica, disponibile su Regione Puglia, Web, files http://www.regione.puglia.it/web/files/N14_25_01_13.pdf Convenzione Comune di Bari, Amtab, Università, Politecnico, Adisu, disponibile su Comune di Bari http://www.comune.bari.it/pls/news/docs/F1660435151/22-1210%20convenzione%20comune_amtab_uni_poli_cons_acc_adisu.pdf Trimestrale del Laboratorio Territorio Mobilità e Ambiente – TeMALab http://www.tema.unina.itISSN 19709870, Vol 2 - No 1 - marzo 2009 - pagg. 49-56 Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio Università degli Studi di Napoli Federico II, Sistema della sosta e mobilità sostenibile nella città di Bari, Enrica Papa e Antonio Decaro. Rapporto sulla mobilità sostenibile in 50 città italiane tra capoluoghi di Regione e comuni con più di 100.000 abitanti, pubblicato da Euromobility, Osservatorio sulla mabilità sostenibile edizioni 2010, 2011, 2012 http://www.euromobility.org/Osservatorio50citta/2012_50_città/presentazione%2050%20citta%202012.pdf http://www.euromobility.org/Osservatorio50citta/2011_50_città/presentazione%202011.pdf http://www.euromobility.org/Osservatorio50citta/2010_50_città/Presentazione50città2010.pdf Iniziative degli uffici di Mobility Management delle Università citateconsultabili su http://host.uniroma3.it/uffici/mobilitymanager/index.php https://carpooling.uniroma3.it/ http://www.unimi.it/personale/mobility/1237.htm http://www.carpooling.polimi.it/, http://www.unipi.it/ateneo/personale/mobility/index.htm http://www.take-a-lift.com http://www.unict.it/content/la-mobilit%C3%A0-sostenibile http://www3.unisi.it/v0/minisito.html?fld=4085 1 http://mobilitymanager.uniparthenope.it/mobility Programma e manifesto degli Stati Generali della Bicicletta e della mobilità nuovadisponibili su Stati Generali della Bicicletta http://statigeneralibici.it/
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Il progetto di fruizione del territorio: nuove strategie fra contrazione della spesa pubblica e frammentazione delle competenze
Il progetto di fruizione del territorio: nuove strategie fra contrazione della spesa pubblica e frammentazione delle competenze Christian Novak Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: christian.novak@polimi.it
Abstract Un progetto territoriale di mobilità lenta, opera di per se stessa semplice, economica, di buon senso, largamente sviluppata in molti paesi europei ed occidentali, trova in Italia, più in alcune regioni che altre, una difficoltà di attuazione, talvolta una difficoltà ad entrare anche solamente nell’agenda politica, che non sembra avere una chiara spiegazione logica. Gli ostacoli culturali, gestionali, la frammentazione delle competenze, la discontinuità e irrilevanza dei finanziamenti, le diverse priorità nel campo infrastrutturale, la normativa stringente e poco incline alla sperimentazioni di forme intermedie ed incrementali di mobilità lenta, orientano a costruire nuove strategie di pianificazione e progettazione, che assumano come elementi strategici il basso costo delle opere, l’introduzione di un approccio progettuale a km 0, l’utilizzo e il riuso dell’esistente, una strategia incrementale e dilazionata nel tempo, una pianificazione capace di costruire una strategia condivisa, un rinnovato potere pubblico nel rapporto con la proprietà privata e un diverso modello di politica demaniale. Parole chiave 1 mobilità lenta, 2 strategie, 3 territorio
L'altra infrastruttura possibile Si propongono qui alcune riflessioni a partire da tre casi di pianificazione e progettazione di infrastrutture di mobilità lenta a scala territoriale, che mi hanno coinvolto direttamente nell’arco degli ultimi cinque anni. Dalle tre esperienze emergono temi rilevanti rispetto ai caratteri di integrazione di un particolare tipo di infrastruttura, agli aspetti di innovazione gestionale, che si sono sperimentati, non sempre con esiti verificabili, ad una serie di nodi, ancora non sciolti, sia di tipo politico amministrativo, sia di carattere normativo progettuale. In particolare la questione principale, dalla quale dipendono poi una serie di problematiche può essere individuata nella definizione di ‘infrastruttura’ per la mobilità lenta, che vincola ad una serie di standard e normative, un’azione progettuale che potrebbe essere più snella, funzionale e fattiva, se fosse in alcuni casi inquadrata in un’opera di carattere ambientale e paesaggistica. Nei tre progetti si è tentato di forzare questa rigidità di impostazione e si sono esplorate nuove strade con alcuni risultati ed alcune sconfitte.
'Le vie del Parco': il progetto di fruizione del Parco Regionale della Valle Lambro Il progetto delle “vie del parco”1 si configura come una ossatura territoriale di mobilità lenta ciclabile e pedonale che si articola a partire dal percorso ciclabile principale del Lambro e si irraggia per raggiungere parti di territorio del parco più distanti dal fiume, connettendo emergenze architettoniche, paesaggistiche e abitati, attraversando aree agricole e boschive. 1
Il progetto è stato sviluppato a partire da un masterplan dei percorsi e delle aree di fruizione realizzato nel 2009, poi un progetto preliminare dei percorsi da realizzare nel 2010 (14 percorsi su 17), nei tre anni successivi sono stati realizzati il progetto di comunicazione (www.leviedelparco.it), la cartellonistica orientativa, sette progetti esecutivi (di cui cinque finanziati attraverso bandi regionali), quattro ciclostazioni (punti noleggio bici, ciclofficine e punti informazione parco in corrispondenza delle stazioni ferroviarie).
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Complessivamente si prevedono circa 250 km di percorsi suddivisi in 17 percorsi organizzati su aste e anelli. Il progetto nel suo complesso si pone l’obbiettivo di far emergere la complessità ed il valore paesistico e storico dei territori del Parco non direttamente adiacenti al fiume Lambro, cuore del sistema territoriale e paesaggistico, e di connettere una serie di aree, già fruite dagli abitanti in una logica del tutto locale, a piedi o in bicicletta, o itinerari utilizzati dalle mountain bike o percorsi equestri, in una rete di percorsi connessi fra loro e con il tracciato principale del fiume. Rispetto ad una rete ciclabile di carattere urbano, i percorsi del Parco privilegiano l’attraversamento di contesti naturali lungo percorsi campestri con un limitato affiancamento alle viabilità automobilistiche esistenti. Ai percorsi sono connesse una serie di aree, prati, boschi, parchi, cave riqualificate e da riqualificare, aree in parte già pubbliche ed in parte da valorizzare ai fini fruitivi o di tutela ambientale, dei potenziali parchi nel parco. I tre elementi di innovazione del progetto sono: l’integrazione del sistema dei percorsi con il sistema ferroviario, con la pianificazione della ciclabilità delle tre Provincie coinvolte, della Regione, dei singoli comuni, l’utilizzo massimo della rete esistente di vicinali, percorsi forestali, ciclabili esistenti, sentieri o strade a basso traffico, e l’introduzione di un progetto per fasi, che permette di modulare gli interventi nel tempo, di avviare più velocemente la fruizione dei percorsi, di accedere, con maggiore flessibilità ai finanziamenti.
Figura 1. Rete delle “vie del Parco” nella porzione centrale del Parco Regionale della Valle del Lambro
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Figura 2. Sezione paesaggistica di uno dei percorso progettati sulla riva del Lambro a Canonca al Lambro (Triuggio MB), elaborazione arch. Daniela Gambino
Compensazioni ambientali di Pedemontana Il progetto di compensazione ambientale2 di autostrada Pedemontana Lombarda è un progetto ambientale esteso a livello regionale, dal Ticino ad oltre l’Adda e che interessa una fascia ampia del territorio della Brianza, del Varesotto e della Bergamasca. Il processo è stato fortemente orientato dall’essere parte di un processo progettuale di una infrastruttura autostradale, connotata da un approccio ingegneristico e da una sovrastruttura, politica, gestionale, economica, entro la quale gli spazi di movimento del progetto di compensazioni erano relativamente vincolati. Tre principi hanno guidato la progettazione: la volontà di limitare le opere a sole opere ambientali (cinque materiali, boschi, prati, filari, siepi, percorsi ciclabili), l’obiettivo di costruire un progetto integrato di paesaggio, la finalità di realizzare un progetto che puntasse all’estensione delle opere e delle acquisizioni ed ad un basso costo unitario per metro quadro. Il progetto nel suo insieme prevede oltre 200 km di piste ciclabili, una pista, la greenway che segue a distanza l’autostrada, e che funge da ossatura territoriale, e 45 interventi locali che costruiscono le connessioni fra il percorso principale e i parchi attraversati, i centri urbani, i luoghi di interesse. Se da un punto di vista procedurale e della progettazione il processo non registra, per i molti vincoli esterni, elementi di innovazione rilevanti, questi sono invece più marcati nel tentativo di costruire, a posteriori e come misura rimediale, un progetto di ricucitura territoriale estesa, pensato come un primo lotto funzionale di un più esteso progetto di riqualificazione del paesaggio aperto. Ogni progetto è accompagnato da più ampi scenari di riqualificazione del territorio, di estensione della rete di mobilità lenta, di progettualità in corso e auspicate dal gruppo di progettazione in rapporto con i comuni, gli enti parco, le associazioni ambientaliste. Il progetto diviene così un innesco di un processo che va al di là di esso, e contribuisce a sviluppare altre progettualità.
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Il progetto delle compensazioni ambientali di Autostrada Pedemontana Lombarda è stato sviluppato a partire da un masterplan delle compensazioni nel 2008, da due progetti preliminari (greenway e progetti locali) fra il 2008 e il 2009, il progetto definitivo della greenway e di parte dei progetti locali nel 2009. Il gruppo di lavoro fa capo al Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, coordinato da Arturo Lanzani (masterplan e preliminare) e da Ubistudio srl per la progettazione definitiva.
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Figura 3. Progetto Locale di connessione ciclabile e riqualificazione paesistica realizzato per il Parco dei Colli Briantei, elaborazione arch. Giovanni Nardin per UBISTUDIO srl.
La rete dei percorsi nella campagna agricola del nord est Il progetto sugli spazi aperti del Vimercatese, porzione della Brianza orientale a nord est di Milano, fa parte di un più ampio progetto di ripensamento degli spazi aperti3 all’interno del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) della Provincia di Monza e Brianza. Il progetto oltre a dare una serie di indicazioni, comprese poi nel PTCP, ha costruito una immagine progettuale per l’intero spazio aperto della Provincia, individuando ambito per ambito interventi possibili, priorità, sistemi verdi, interventi di forestazione, strategie per l’agricoltura ed un sistema di mobilità lenta di carattere territoriale. In particolare nella porzione nord est il progetto si è incentrato sul riconoscimento e sulla riconfigurazione di una rete di mobilità lenta che utilizzi in gran parte il patrimonio di vicinali storiche che organizzavano il territorio agricolo e che possa divenire, in prospettiva l’ossatura di fruizione di un nuovo Parco regionale, in fase di ideazione, che riunisca e ampi tre parchi locali (PLIS) esistenti. Gli elementi di innovazione del processo sono sostanzialmente due: da un lato la costruzione di una immagine progettuale nella forma di masterplan, che ha avuto la forza di innescare e porsi come base di un ragionamento condiviso da parchi, enti locali e associazioni rispetto alla costruzione di un nuovo parco, dall’altra la definizione all’interno del progetto di punti di innesco, di azioni prioritarie, connesse spesso a progetti in corso o a finanziamenti previsti, per poter costruire una strategia temporale ed economica per la realizzazione nei tempi medio lunghi della rete.
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Il progetto “Dopo la crescita. La riforma degli spazi aperti e delle aree produttive nella Provincia di Monza e Brianza”, fa parte dell’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) del sistema Pedemontano Lombardo in capo alla Provincia di Monza e Brianza, l’unità di ricerca del DIAP del Politecnico di Milano è stata coordinata da Arturo Lanzani.
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Figura 4. La rete dei percorsi del Vimercatese con evidenziati i sistemi ambientali e i principali sistemi di servizi ai margini dei nuclei urbani. In rosso i percorsi, più spessi quelli principali prioritari, in tratteggio il sistema delle vicinali storiche.
Nuovi percorsi possibili per un progetto low cost Dalle tre esperienze di progetto e dalle diverse procedure di attuazione derivano una serie di riflessioni e di spunti critici che possono iniziare a delineare delle direzioni verso cui muoversi per poter radicare e rendere praticabile un progetto sostenibile di mobilità lenta, che non abbia il carattere dell'occasionalità. I temi, che propongo ad un ragionamento comune, alla politica e alla gestione del territorio, investono ambiti amministrativi e progettuali: sull'azione delle amministrazioni pubbliche in tema di esproprio o di relazione con la proprietà privata, sul modello gestionale dei progetti e sulle sovrapposizioni di competenze, su nuovi modelli di progetto che introducono fasi temporali e forniture e manodopera nel bacino (progetto a km 0). Le diverse note hanno come obiettivo comune quello di riflettere sulla possibilità, non scontata nel quadro normativo attuale, di produrre dei progetti di mobilità lenta più economici e più estesi. In sostanza di porre le basi per una pianificazione e progettazione low cost, che permetta di "fare di più con meno", di non bloccare, come è avvenuto in alcune regioni, come la Lombardia, il finanziamento delle opere, per carenza di fondi, ma incentivare forme sperimentali di realizzazioni a costi limitati, o in situazioni di maggiore disponibilità economica permettere una estensione delle realizzazioni.
Un ragionamento sulla proprietà privata e sul bene comune La frammentazione delle proprietà, la tutela della proprietà privata rispetto al bene pubblico dell'ordinamento italiano, la cultura sempre più radicata, più spesso a torto, che all'interno della proprietà privata il pubblico non possa interferire, rendono difficilmente praticabili i progetti di carattere lineare, che proprio in relazione alla loro forma, tendono a coinvolgere un numero elevato di proprietà per superfici spesso modeste. Anche quando il nodo della capacità gestionale dell'ente è risolto, rimane sempre da sciogliere un problema di consenso e di condivisione che si può costruire solo attraverso un coinvolgimento ed una comunicazione attenta nei confronti dei proprietari. La tendenza diffusa fra Amministrazioni e Parchi è quella di non andare, se non in situazioni particolari ad uno scontro diretto con le proprietà private, che costituiscono la quasi totalità dei terreni. Un privato che vede arrivare un decreto di esproprio, anche quando per un'opera a basso impatto ambientale, ha tendenzialmente un atteggiamento ostativo, che si traduce in un allungamento dei tempi, quando non in ricorsi, che bloccano l'efficacia di un progetto. Per assurdo viene più facilmente accettato l'esproprio per un'opera infrastrutturale pesante, contro la quale il privato si sente debole ed indifeso, rispetto ad un piccolo esproprio per un'opera semplice, come una pista ciclabile, nei confronti della quale il singolo proprietario pensa di potersi più proficuamente opporsi. A questa difficoltà viene poi aggiunta la complicazione delle procedure di esproprio, che Christian Novak
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prevedono oneri, soprattutto indiretti, rilevanti, come gli atti notarili, che drenano risorse rilevanti verso soggetti privati e monopolistici, come i notai, che spesso sono più onerosi dello stesso esproprio per piccole superfici. Il nodo da sciogliere è quindi quello del rapporto fra pubblico e privato per le piccole opere di interesse pubblico, che dovrebbero trovare procedure semplificate e meno onerose per il pubblico, fatti salvi i diritti privati. Questo può avvenire con la costruzione di un progetto condiviso e con diverse formule di diritto di passaggio a fronte di assunzione di oneri di miglioria o manutenzione (si pensi ai percorsi ciclabili su vicinali esistenti private, aperte al passaggio, ma non normate nella pianificazione locale e sovralocale). Il secondo nodo è quello dei costi degli atti notarili, che potrebbero essere ovviati da un utilizzo dei Segretari Comunali, che il più delle volte non si assumono l'onere degli atti ma che potrebbero farli. Più complessivamente è necessario costruire una nuova base di relazioni fra pubblico e privato, ma anche fra pubblico e pubblico, attorno ad un progetto condiviso d’infrastruttura di interesse collettivo.
Una riflessione sulla semplificazione delle procedure Un progetto d’infrastruttura di mobilità lenta è soggetta alla medesima procedura approvativa di una infrastruttura stradale. Quando questa si realizza in una zona tutelata, è soggetta ad approvazione della Sovrintendenza al Paesaggio, della Provincia, in alcuni casi della Regione, dei Comuni coinvolti, enti Parco, consorzi di gestione, ecc... arrivando ad aspetti quasi surreali di ottenimento dell'autorizzazione paesaggistica per la posa di un cartello direzionale su una vicinale esistente. Il secondo elemento di rigidità è costituito dalla normativa, in particolare dal Codice della strada e dalla normativa regionale relativa alle piste ciclopedonali, che impongono prestazioni e standard di realizzazione spesso in contraddizione con la tutela del paesaggio (pendenze massime che comportano imponenti riporti di terra, spesso non ammessi dalle stesse norme dei Parchi e mal viste dalla Sovrintendenze, raggi di curvatura, segnaletica, attraversamenti, ecc...). Due situazioni sono emblematiche: l'impossibilità normativa, salvo assunzione di responsabilità diretta da parte dell'ente appaltatore, di poter accompagnare una ciclabile extraurbana da un filare che non sia posto alla distanza di ribaltamento a pieno sviluppo dell'albero (che può tradursi a porre un filare di platani o pioppi cipressini ad oltre trenta metri dalla pista, non facendo ombra a nessuno e obbligando ad ampie fasce di esproprio, senza ottenere l'effetto paesaggistico ricercato); oppure la necessità di introdurre un numero di cartelli stradali, che talvolta può essere in netta contraddizione con l'azione stessa di produrre un paesaggio fruibile di qualità (figura 5).
Figura 5. Pista ciclabile realizzata come compensazione ambientale della TAV Milano Torino, con una sequenza di cartelli di stop posti ad ogni accesso di parcella catastale di un campo di mais posto al margine
È, quindi, necessaria una profonda revisione della normativa, che oggi risponde a criteri prestazionali, ingegneristici e tutela degli enti rispetto a eventuali controversie, ed invece non introduce alcun criterio o deroga di natura paesaggistica, ambientale o ecologica. Christian Novak
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D'altra parte è opportuno sollevare alcune opere minori da una serie di adempimenti urbanistici ed edilizi, promuovendo corsie preferenziali e semplificate, che vadano oltre al meccanismo della conferenza di servizi, dove gli enti tendono a non pronunciarsi e a rimandare assunzioni di responsabilità.
Note sul progetto sostenibile: il progetto a km 0 Concepire il progetto di mobilità dolce come un’infrastruttura porta spesso a produrre progetti onerosi, uno spreco di risorse pubbliche rispetto ad un obiettivo raggiungibile anche con un approccio diverso e con minori spese. In una fase, non breve, in cui le risorse pubbliche sono scarse e orientate verso opere dal maggior impatto mediatico, ma non necessariamente di maggiore utilità (autostrade, alta velocità). Un progetto d’infrastruttura per la mobilità sostenibile deve avere come obiettivo di essere tale anche per quanto attiene la gestione stessa del progetto nel suo complesso. In primo luogo l'intervento deve essere misurato rispetto agli specifici obiettivi prestazionali (un percorso di fruizione naturalistica nei boschi non può essere concepito come una pista ciclabile urbana). Deve prevedere un limitato impatto paesaggistico, l'utilizzo e il riciclo del patrimonio di viabilità minore e di percorsi ciclabili esistenti, un basso consumo di suolo, una alta permeabilità dei terreni. Deve avere un costo di realizzazione che preveda un controllo economico e prestazionale sui materiali impiegati (si pensi all'incidenza di cordoli, illuminazione, materiali di pavimentazione), deve pensare alla durabilità dell'opera ed ai costi di manutenzione (che incidono fortemente sulle spese di gestione e sulla possibilità di trovare un equilibrio economico fra realizzazione dell'opera e suo costo fisso di gestione), economicità dell'opera, limitazione delle opere di ingegneria, limitazione dell'impatto dei trasporti delle forniture e per le lavorazioni. Uno degli aspetti meno indagati sulla sostenibilità delle opere è l'applicazione dell'approccio Km 0 alla progettazione. Tale criterio è stato adottato per la realizzazione di tre ciclostazioni nel Parco Regionale del Lambro e per la progettazione di tre percorsi ciclabili. L'obiettivo di riduzione dell'impatto del progetto ha orientato alla ricerca di potenziali fornitori nell'ambito del territorio del Parco stesso, nei comuni facenti parte del Parco o, in seconda istanza, in aziende entro un raggio di cinquanta km del sito del progetto. Questo tipo di approccio ha permesso di innescare un processo di conoscenza delle risorse disponibili sul territorio e una collaborazione fra aziende che operano nei territori del Parco e Parco stesso. Oltre ad una riduzione delle emissioni per i trasporti, si registrano almeno altri due effetti molto interessanti: un processo di avvicinamento fra il mondo dell'impresa e il principale ente di tutela del territorio e di conoscenza reciproca, che possono in questa ottica non essere più due mondi contrapposti, ma maggiormente integrati e collaboranti in un momento di risorse scarse e cresciuta sensibilità ambientale; ed effetti positivi rispetto a possibili collaborazioni o assunzioni di responsabilità d'impresa nei confronti del Parco stesso, attraverso sponsorizzazioni, compensazioni ambientali (carbon foot), progetti o forniture pensate ad hoc per il Parco, attivazione di filiere produttive sostenibili, filiere locali del legno. Aspetti che vanno ben oltre il progetto di infrastruttura sostenibile, ma che innescano ragionamenti e possibilità di relazioni fertili e virtuose fra istituzioni di tutela e mondo del lavoro.
Sulla flessibilità del progetto Infine in una condizione strutturale di risorse scarse è necessario che ogni progetto preveda al suo interno un alto grado di flessibilità attraverso fasi di realizzazione diversificate ed economicamente crescenti, in modo tale da poter operare due possibili scelte, accedere a finanziamenti ristretti avendo a disposizione progetti preliminari diversamente ponderati e avere un obiettivo a lungo termine e fasi di realizzazioni intermedie ed incrementali a costi diversi. Il progetto preliminare delle Vie del Parco del Parco Regionale della Valle del Lambro, basandosi essenzialmente sull’esistente, è un progetto che si presta più facilmente ad un’attuazione per parti, nel tempo, in base ai fondi disponibili, ponendo come prioritarie le connessioni mancanti fra i percorsi vicinali esistenti, la realizzazione di una cartellonistica e le connessioni con gli abitati, e permettendo un utilizzo anche di percorsi vicinali non riqualificati in una prima fase di avvio. Un percorso può essere reso fruibile anche con pochi primi interventi, ad esempio la realizzazione di un tratto mancante, di un ponte (fase 1), e poi completato nel tempo, per successivi adattamenti e miglioramenti, tornanti per diminuire la pendenza, tratti in affiancamento alla viabilità esistente piuttosto che in promiscuo, rifacimento della pavimentazione di tratti di vicinali (fase 2), ed essere completato con opere a carico di soggetti terzi, piani attuativi, recuperi ambientali, ad esempio di cave, attivabili solo in un secondo momento e non governabili dal soggetto gestore (fase 3). Le tre fasi sono orientate anche a modulare l’accesso alle risorse necessarie alla loro realizzazione, mediante forme diverse di attuazione, per la partecipazione a bandi di finanziamento, per la realizzazione incrementale da parte dei Comuni o delle associazioni. La fase 1, pensata in massima economia, può più facilmente essere attuata da singole amministrazioni, da associazioni, mediante convenzioni, con limitati espropri. La fase 2 richiede uno sforzo economico e progettuale maggiore che può essere oggetto di un bando o di un finanziamento provinciale, regionale o europeo. La fase 3 è più direttamente legata ad altri progetti di carattere ambientale o urbanistico,
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Piani Integrati di Intervento, recuperi ambientali di aree degradate, o ad opere soggette ad autorizzazioni terze o a progettualità terze, in particolare relative alle infrastrutture. Le tre fasi sono state concepite come incrementali, successive nel tempo, con l’obbiettivo di reperire prioritariamente i fondi per attivare tutti i percorsi in fase 1, poi in fase 2 e successivamente in fase 3, per permettere una fruizione organizzata dei territori del parco in tempi relativamente brevi ed innescare processi virtuosi di stimolo della domanda (di miglioramento dei percorsi stessi, di una più ampia frequentazione dei territori), ma anche una migliore conoscenza del territorio e una loro più consapevole protezione. Se la frequentazione può portare ad una usura del bene (soprattutto se questo è ambientale), è anche vero che si protegge ciò che si conosce.
Bibliografia Lanzani A., Granata E., Novak C., Cologna D., Inti I. (2006), Esperienze e paesaggi dell'abitare, Abitare Segesta, Milano. Giacomel A., Lanzani A., Novak C. (2010), “Infrastrutture e spazi aperti attraversati”, in Territorio, no 54, pp.47-52. Moro A., Novak C. (2012), “Forme e strategie per la campagna urbana: spunti a partire dal Vimercatese”, in Territorio, no. 60, pp. 97-102. Novak C. (2008), “Osservare i luoghi del movimento”, in Balducci A., Fedeli V., Pasqui G. (a cura di), In movimento. Confini, popolazioni e politiche nel territorio milanese, , Franco Angeli, Milano, pp. 46 - 63. Novak C. (2010), “Dove il treno rallenta: riflessioni a partire dalle stazioni”, in Territorio, no 54, pp.35-41. Pileri P. (a cura di, 2011), Spazi aperti. Un paesaggio per expo, Electa, Milano.
Sitografia Progetto di fruizione del Parco Regionale della Valle del Lambro http://www.leviedelparco.it Progetto di compensazione ambientale di Autostrada Pedemontana Lombarda http://www.pedemontana.com/compensazioni_ambientali.php
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Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina
Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina Andrea Palmioli* Aménagement de l’espace et urbanisme Université Paris-Est, ED Ville, Transports et Territoires Laboratoire: IPRAUS - Institut Parisien de Recherche: Architecture, Urbanistique, Sociétés IUAV Scuola di Dottorato In Urbanistica, Istituto Universitario di Architettura di Venezia Email: ap@andreapalmioli.com Tel: +33 0699 3081 47
Abstract Il processo di urbanizzazione delle popolazioni rurali rappresenta un fenomeno in aumento in tutto il mondo. La correlazione tra aree urbane e rurali è emersa negli ultimi anni in contrasto con la persistente dicotomia tra territorio urbano e rurale ormai da lungo tempo disinteressata ai rapporti di correlazione e interdipendenza cui oggi è invece orientata l’urbanistica cinese. In seguito alle riforme economiche promosse dal 1978, la Cina ha subito una transizione da economia pianificata ad economia di mercato. Il successivo alleggerimento delle restrizioni statali sulla migrazione rurale, al fine di collocare l’eccedenza di forza lavoro, è scaturito l’aumento progressivo dei contadini migranti nelle città registrando un enorme incremento. L’aumento della popolazione flottante è tuttavia responsabile del ridursi del dualismo città-campagna diventando la forma principale di migrazione sociale e rappresentando un forte fattore dello sviluppo economico metropolitano. Oggi sta emergendo una nuova generazione di contadini-lavoratori, sia in termini di caratteristiche socio-economiche ma anche sottoposta ai problemi di tolleranza, di adeguamento strutturale dell’assetto urbano, ora inadatto ad ospitare i fenomeni di isolamento e ghettizzazione. Il ruolo delle politiche governative in materia di sviluppo urbano e integrazione sociale esercita un peso considerevole a tal punto da favorire nelle campagne metropolitane l’imborghesimento della classe contadina congiuntamente a fenomeni quali il subappalto dei terreni agricoli. L’inclusione e la conservazione nelle politiche della pianificazione dei territori e dei villaggi agricoli attorno alle periferie metropolitane sembrano più che mai una scelta invitabile. Parole chiave Shanghai, conflitti sociali, confisca terreni agricoli
Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina In seguito alle riforme economiche promosse dal leader del Partito Comunista Cinese Deng Xiaoping, la Cina ha conosciuto una crescita urbana esponenziale. Dalla fine degli anni ’90 le città cinesi hanno registrato un tasso d’estensione di circa 50%. Confrontandosi con una rapida evoluzione, la metropoli di Shanghai conferma un’espansione urbana senza precedenti arrivando nel 1985, a quadruplicare superficie urbanizzata. Il rinnovamento dei quartieri centrali e lo sviluppo delle nuove zone sub-urbane, dei poli industriali e tecnologici delocalizzati in periferia, sono stati resi possibili grazie alla requisizione dei terreni coltivabili con la conseguente demolizione nel 2000, del 40% dei villaggi rurali. Le implicazioni sociali, economiche e morfologiche di questa trasformazione si fondano sulla distinzione tra rurale et urbano, chiaramente correlata all’organizzazione giuridica cinese, alle riforme precedenti e infine, alla pianificazione urbana spesso sottomessa ai fini dell’economia di mercato. Tra le caratteristiche che contraddistinguono l’urbanizzazione cinese, è il coesistere dell’economia pianificata e dell’economia di mercato.
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Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina
Durante il regime Maoista (1949-1977) lo Stato era il principale investitore in ambito urbano, operante secondo una strategia strettamente “top-down”. Tuttavia, secondo alcuni ricercatori, alla base dell’urbanizzazione nel periodo successivo alla riforma economica, resta il ruolo esercitato dalla pianificazione centrale cui consegue l’industrializzazione delle zone rurali, lo sviluppo economico e la migrazione flottante. La separazione tra rurale e urbano è altresì evidenziata dal sistema di permesso di residenza o “permesso di classe”, conosciuto come Hokou. Corrispondendo al dossier di registrazione familiare, l’Hokou identifica ufficialmente le specifiche geografiche di residenza e include informazioni riguardanti il proprio cognome, quello dei familiari, data di nascita classificando alternativamente gli abitanti come rurali o urbani. Secondo il “Contratto di sistema di responsabilità familiare” entrato in vigore nel 1980, ogni famiglia rurale è autorizzata all’acquisizione di lotti agricoli. Le tipologie dei terreni rurali in concessione si dividono in terreni destinati alla produzione agricola (Chenbaodi) in prevalenza espropriati per l’edificazione urbana, parcelle per la costruzione della fattoria familiare (Zhaijidi) e terreni coltivabili per il sostegno familiare concessi dai comitati collettivi. Secondo la legge del 2006, concernente il “Regolamento temporaneo e divisioni statistiche delle popolazioni rurali delle zone urbane” il comitato di quartiere e il comitato di villaggio, poiché unità amministrative basilari, sono rappresentano la divisione giuridica dei terreni agricoli e urbani. Con la pianificazione dei nuovi quartieri urbani, sia per lo sviluppo immobiliare sia per il trasferimento dei contadini sfrattati, sussegue la designazione di un comitato di quartiere. Passando da rurale a semi-urbanizzato o a urbano, il comitato di villaggio e i propri membri sono rinominati in comitato di quartiere. Se nel primo caso il collettivo è responsabile della produzione agricola, delle concessioni fondiarie, dell’assistenza in caso di terreni confiscati, il comitato di quartiere, al contrario, si occupa della gestione dei servizi di assistenza pubblica ai contadini sfrattati. La Municipalità di Shanghai ha pubblicato nel 2003, una legge sulle “Misure amministrative per l’impiego e l’assistenza sociale per i contadini proprietari di terreni confiscati” che obbliga al cambiamento giuridico dello statuto sociale rurale in quello urbano ai contadini che abbiano perduto i propri terreni. Allo stesso tempo, la correlazione tra l’aumento dei comitati di quartiere e la perdita progressiva dei comitati di villaggio illustra chiaramente gli effetti dell’urbanizzazione in atto e le implicazioni governative sottese. Nonostante il governo assegni ai contadini sfrattati nuovi appartamenti differenti in base al numero dei familiari, una pensione mensile e si prenda carico dell’assistenza sanitaria, la disparità tra ambiente rurale e urbano persiste. In effetti, i nuovi cittadini mantengono la tipologia di assistenza medica del villaggio (Zhenbao) e si considerano essi stessi dei cittadini marginali e socialmente emarginati. La prossimità dei villaggi semi-urbanizzati ai nuovi poli periurbani, favorisce l’insediamento dei lavoratori migranti che beneficiano di affitti più agevoli rispetto al centro città. Questo fenomeno è responsabile dell’aumentato status economico della popolazione locale. Circa il 25% dei terreni coltivabili a Shanghai sono stati affittati ai migranti che continuano lo stesso lavoro agricolo dei propri villaggi di provenienza, preferendolo all’impiego nel settore primario e terziario. Nel villaggio di Yanbei, nel distretto di Nanhui, il 75% delle famiglie affitta ai lavoratori migranti. Abitualmente, ogni famiglia può affittare fino a due o quattro camere per una resa mensile di circa 300RMB (38 euro) ogni camera arrivando così a un guadagno di circa 900-1200 RMB (115-150 euro) che corrisponde al salario agricolo dispensato dal Governo Centrale. La coabitazione tra migranti e popolazione locale ha sollevato molte contraddizioni. La popolazione locale stima i migranti ignoranti, maleducati e igienicamente negligenti. Sono anche considerati la causa del degrado dell’ambiente locale e dell’aumentare della criminalità preferendo evitarne ogni occasione di incontro. Spesso i migranti subaffittano le proprie stanze o addirittura costruiscono degli altri locali aggiuntivi riducendo la ventilazione e l’illuminazione naturale e più in generale, le condizioni di salubrità. Convinti che la segregazione nelle proprie abitazioni rappresenti l’unica soluzione possibile, la popolazione locale arriva spesso a spendere gli stessi proventi della locazione per costruire barriere e muri divisori, accessi separati e inferriate protettive. Talvolta si arriva anche a vietare i servizi in comune nella stessa abitazione e in rivalsa, il comitato del villaggio o la municipalità ha istallato bagni pubblici per i lavoratori migranti. Una delle più importanti conseguenze è dovuta alla perdita delle relazioni sociali di prossimità, alla base della società rurale cinese. Al contrario, i migranti percepiscono un sentimento di ostilità che causa l’intensificarsi delle intolleranze sociali. Alcuni tra loro preferiscono fare acquisti nei villaggi limitrofi e a causa delle restrizioni governative, gli stessi figli non possono frequentare le stesse scuole. Ancora una volta, la pianificazione cinese, alimenta delle problematiche in molti ambiti destinati a ricoprire un ruolo fondamentale per le generazioni future. I contadini dovrebbero dunque affittare le proprie stanze? La questione è legata alla necessità di una riforma dell’Agricoltura che ne permetta il rinnovamento e una maggiore efficienza. Un’inchiesta shanghainese sui diritti d’uso della proprietà agricola e sulla disposizione al trasferimento delle concessioni d’uso, ha mostrato che la maggior parte degli agricoltori preferisce conservare i propri terreni. La Andrea Palmioli
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Strategie urbane e sviluppo rurale: contingenze per una nuova urbanistica in Cina
maggioranza è rappresentata da giovani che reputano difficile trovare un bon impiego nel centro urbano. Tuttavia la maggior parte non auspica l’aumento della superficie. Gli abitanti con un più alto livello d’istruzione, si dichiarano favorevoli ad aumentare le dimensioni del lotto fino a un massimo di 50μu (circa 3 Ha). Coloro che preferiscono superare i 50μu, sono generalmente orientati verso metodi di coltura intensiva. In alcuni villaggi, in particolare in quello di FengXian, a Sud di Shanghai, i comitati locali hanno formato delle associazioni di gestione intensiva dei terreni coltivati. Quasi tutti gli intervistati stimano che una riforma delle tecnologie di produzione agricola sia necessaria e rilevano il basso rendimento delle tecniche di coltivazione ora impiegate. Anche a causa dello scarso rendimento dei terreni, molti contadini sono costretti ad affittare le proprie terre e contemporaneamente ad essere assunti dai loro stessi locatari migranti. La pratica diffusa della confisca dei terreni coltivabili obbliga i contadini a cercare impiego sia nelle varie fabbriche sia lavorando giornalmente per altri contadini, come ausiliari alla circolazione automobilistica oppure nei servizi di pulizia. Ne consegue l’aumento del tempo libero dei membri del villaggio non più soltanto concentrati sulle problematiche agricole ma ora inserite in attività culturali. La Municipalità incoraggia l’educazione urbana e le attività collettive nel tempo libero edificando palestre per gli anziani, servizi pubblici per i migranti ed anche attraverso campagne pubblicitarie che penalizzano lo scaracchiare e altre abitudini che degradano lo spazio pubblico. Quando tuttavia, un intero villaggio deve essere demolito, con la perdita di ogni forma di concessione fondiaria, le autorità locali devono fornire residenze agli sfrattati. Gli alloggi costruiti per accogliere questi ex-contadini, differiscono dalle altre tipologie di edilizia sociale per la diminuzione degli spazi verdi e di servizi pubblici. Una volta traferiti, i nuovi residenti mantengono le proprie abitudini precedenti, come nel caso particolare delle cerimonie funebri e dei matrimoni che sono celebrati all’aperto. A volte, alcuni chiedono di poter alloggiare nelle cantine dell’immobile con lo scopo di mantenere un contatto continuo con il suolo. A causa delle restrizioni municipali, i paesani non sono proprietari delle loro fattorie e sono altresì impossibilitati alla vendita immobiliare. Questa restrizione deriva dall’economia di pianificata quando serviva al controllo della mobilità dei paesani, all’integrità e all’isolamento dei villaggi rurali. I nuovi cittadini invece, sono proprietari degli appartamenti e dopo un divieto quinquennale obbligato dalla legge, un piccolo numero di ex-contadini vende la proprietà nonostante la rilevante differenza di prezzo rispetto a un immobile commerciale. Ne consegue che il processo di urbanizzazione non deve essere ridotto al solo trasferimento degli abitanti rurali e alla confisca dei terreni agricoli. Le anomalie della pianificazione programmatica, l’indifferenza alle correlazioni tra spazi urbani e spazi rurali sono attualmente tra le cause fondamentali della delle crescenti disparità sociali, della perdita di specificità dei luoghi e di aver dato origine a condizioni socio-economiche le cui conseguenze si estenderanno soprattutto alle prossime generazioni.
Bibliografia
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Copyright
Andrea Palmioli ©, PhD Candidate
Andrea Palmioli
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An accessibility planning tool for Network Transit Oriented Development: SNAP
An accessibility planning tool for Network Transit Oriented Development: SNAP Enrica Papa* Università degli Studi di Roma Tor Vergata Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa Email: enpapa@unina.it Francesco Domenico Moccia* Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Urbanistica Email: fdmoccia@unina.it Gennaro Angiello* Università degli Studi di Napoli Federico II Laboratorio Territorio Mobilità e Ambiente TeMALab Email: gennaroangiello@yahoo.it Pasquale Inglese* Università degli Studi di Napoli Federico II Laboratorio Territorio Mobilità e Ambiente TeMALab Email: pasqualeinglese@gmail.com
Abstract In the academic debate regarding the influences between urban form, built environment and travel patterns, a specific idea that has taken hold is that more compact urban development around railway stations, often referred to as Transit Oriented Development (TOD), contributes to the control of vehicle travel and to more sustainable metropolitan systems. According to this general principle this work proposes a GIS accessibility tool for the design of polycentric transit oriented scenario: SNAP - Station Network Accessibility Planning tool. In the first part the state of the art on Transit Oriented Development policies in Europe is presented with a focus on three study cases. In the second part the SNAP tool is described, with remarks to the approach, the methodology and the used indicators. Furthermore the paper discusses an application to the metropolitan area of Naples. Key words Transit Oriented Development, accessibility planning, network analysis
1 | TOD: a network approach This work starts from the hypothesis that the integration between transport, land use and environmental policies is an effective strategy for the sustainable and balanced development of metropolitan areas and can be a tool to mitigate the negative externalities of car dependence, urban sprawl and the dispersion of mobility trips in space and time (Banister, 2002, 2008; Cervero, 1998; Meyer & Miller, 2001; TRB, 2004; European Commission, 2007). In particular, the used approach focuses on major concept in transport and land use planning in the last decades and on what is considered one of the most promising strategies for advancing environmental sustainability, economic competitiveness and socially inclusive development in cities, known as TOD - Transit *
The paragraphs § 1, 1.1, 2, 2.1, 2.2. 2.3 have to attributed to Enrica Papa; the paragraph § 3 to Federico Domenico Moccia.
Enrica Papa, Francesco Domenico Moccia, Gennaro Angiello, Pasquale Inglese
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An accessibility planning tool for Network Transit Oriented Development: SNAP
Oriented Development. According to TOD, transit and land-use developments are tightly integrated and more compact urban developments around transit stations can contribute to the reduction of vehicle trips and the creation of more livable communities. Transit Oriented Development has dual-purpose strategy: the creation of a high-frequency public transport system and regionally coordinated urban development program based around the stations on the rail network. Since 1990, TOD has become the dominant urban growth planning paradigm in the United States, where the concept of Transit Oriented Development is closely connected with the Smart Growth (SG) and New Urbanism (NU) approaches (Cervero, 2004; Dittmar & Ohland, 2004). Gradually, the notion has been transferred to other parts of the world and in particular to Europe, where it is often extended to a regional or network approach (Knowles 2012; Bertolini et al. 2012; Papa, 2006; Papa et al., 2008). In other word, the “European TOD” or “Network TOD” is viewed, under the right conditions, as offering the potential not only to create attractive places in station catchment areas, but in a broader geographical scale, also to shape polycentric cities and regions, mitigate urban sprawl and boost public transport ridership, (Newman & Jennings, 2008; Curtis et al., 2009; Geurs et al. 2012). While the North American TOD born in an “urban design” context and started from the single station area development, in the Europe this principle has been drawn-out at the regional scale. The remaining of the paper is organized as follows. A brief review of network TOD in Europe is presented in in the following paragraph. Section 2 present the planning tool SNAP through the application to the realistic casestudy of Naples (Italy), whose objective, at current research stage, is limited to exploring the potentiality of the tool. Section 3 sums up some conclusions.
1.1 | Network TOD: experiences in Europe In Europe, TOD is not just a recent phenomenon. In the late 19th and early 20th centuries a close association can be recognized between the development of streetcar (electric tram), underground and commuter railway routes and star-shaped urban forms. After the Second World War, and until at least the 1970s, in the northern Europe capitals planners were able to orient suburban development into satellite conurbations along transit served corridors. In recent years a “second generation” of European TOD is spreading in many European metropolitan areas (Crawford, 2000; Givoni & Banister, 2010). In order to give an overview of the regional cities development in Europe, we report a synthesis of three study cases where TOD policies have been implemented in the last 20 years: Munich, the South Wing of the Randstad area and Copenhagen. Within the “Perspective Munich” plans (City of Munich, 1995, 2005, 2007) the City of Munich started an urban planning process which is based on the principles of Network TOD. In particular, in response to an increasing demand for land, the city recognizes to be functioning only within wider city region delimitation: the megacity region of Munich. In this perspective Munich assumes the responsibility to sustainably deal with its resources in order not to foster unwanted urban sprawl and not to increase mobility with private cars. The main tasks are to prevent the increasing CO2 emissions, to face the accelerated climate change and even the increasing costs of commuting mobility and infrastructure. In light of this, both regional and city level adopted a targeted, forwardlooking approach to the use land resource: to give priority to inner city developments on brownfields, to increase housing density and adding new variety in city districts that are already well developed, and increase density of urban development in the immediate catchment areas of public mass transport, promoting polycentric development. Another paradigmatic example is the South Wing of the Randstad area, where local and regional governments, Dutch Railways (NS) and the national rail network manager voluntarily work together since 2006 to implement an ambitious regional Transit Oriented Development program called StedenbaanPlus (Balz & Schrijnen, 2011; Geurs et al., 2012). The Randstad South Wing is one of the most densely populated areas in Europe with 3 million inhabitants located in the Western part of the Netherlands. The spatial structure is polycentric and population densities are spread out over many cities and towns such as The Hague and Rotterdam and many smaller centers. StedenbaanPlus aims to densify urbanization around more than 30 railway stations and improve access of station areas for bus and slow modes. The aim is to increase rail ridership to a level which allows NS to increase the local train frequency from 4 to 6 trains per hour. The StedenbaanPlus approach is aligned to the Draft National Policy Strategy for Infrastructure and Spatial Planning, in which spatial and infrastructure developments are to be better coordinated and integrated (Ministry of Infrastructure and Environment, 2011; I&M, 2012).
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Figure 1. The Network TOD strategies in the Stedenbaanplus plan for the South Wing of the Randstad area- The Netherlands.
The third study case which is based on NTOD principles has been defined for the Copenhagen city region in the FingerPlan 2007 (Danish Ministry of Environment, 2007), a national planning directive for Greater Copenhagen, entered into force in August 2007. The plan is based on the “revitalising station proximity principle� formulated in a dialogue with the famous Finger Plan of Copenhagen, a well-known reference for planning of cities worldwide (Knowles, 2012). The Finger Plan has been the principal planning tool for the development of the capital region since its formulation in 1947. The FingerPlan 2007 establishes a framework for development in Greater Copenhagen and promotes urban development in close connection with the development of transport infrastructure and transport services. Since the first finger plan was adopted in 1947, the aim has been to concentrate urban development in the fingers created by the suburban railway network and the radial road network and to keep the green wedges between the fingers undeveloped. The new plan is built on the finger city structure created through the first finger plan in 1947 and concentrates settlement along transport corridors leading to the towns outside the City of Copenhagen with special consideration for providing public transport services. A new feature of the Finger Plan 2007 is promoting environmentally sound location by requiring location near stations. Large office workplaces exceeding 1.500 sqm of floor space will generally have to be located within 600 metres by foot from the closest station. The principle of requiring location near stations is expected to reduce car transport and reduce the environmental burden by considerably reducing carbon dioxide emissions.
Figure 3. The vision for the Greater Copenhagen defined in the FingerPlan2007 (to the left) and in the previous 2005 Regional Plan (to the right).
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2 | SNAP: an accessibility tool for Network TOD scenarios definition The study cases presented in the previous paragraph are just some examples of most diffuse development strategy in European cities and city regions. We can say that in the majority of development plans of European city regions it is commonly asserted that polycentric compact developments around transit nodes is the urban development strategy most able to sustainably accommodate growth by reducing car use, travel distances and conserving land. The Network Transit Oriented Approach is used and applied in many different contests, but with the same policy measures. In order to support the decision making processes based on NTOD and polycentricism principles we have developed a GIS accessibility tool which is based on the node-place model (Bertolini, 1999) and which is able to support the design of urban development according to network accessibility and activity density standards. The tool, called SNAP tool (Station Network Accessibility Planning tool – www.snaptool.it) helps planners in developing transport rail system in combination with spatial development strategies. In other words, it helps defining densification scenario in line with sustainable transport infrastructures and services perspective and polycentric regional planning strategy. The basic elements of SNAP tool are: rail network: metro and regional rail lines and stations; rail station catchment areas: cluster of census tracks whose centroid is within the 500m buffer areas from the station exits; socio-economic data linked to the census tracks. These basic elements are required for the definition of the station areas (SA) network which the tool is based on. Station areas are the station catchment areas defined by a 500 meters buffer from the rail station exit. This distance corresponds to the maximum time that transit users are willing to spend from the station to their final destination (Calthorpe, 1993). The tool defines different clusters of station area, according to the equilibrium between land use intensity and the network accessibility levels. To each cluster of equilibrium between these two characteristics corresponds different development opportunities. In particular the tool allows the delineation of the most suitable station areas for the settlements of new activities in function of the following criteria: to increase density of urban development in the immediate catchment areas of rail transport, giving priority to inner-city developments on brownfields; to increase housing density in city districts that have high rail network accessibility; to promote polycentric development along rail network. The tool implementation can be divided into three main steps, as described in the following paragraphs.
2.1 | The density and the network accessibility indexes The first step of the tool implementation is the estimation of a density index and a network accessibility index. The Accessibility Index of a station area is measures using the Closeness Centrality index, which as the name implies, measures how centrally each graph element is located with respect to its position and centrality in the graph (Sabidussi, 1966). The Accessibility Index can be calculated with the use of different software or GIS tools, as the Urban Network Analysis (City Form Lab, 2012) or yED (yWorks GmbH, 2012). The network accessibility of the station i with respect to the Search Radius r it is estimated by the following formula:
Cir
1 W j d i, j
(1)
jV i;d i ; j r
where: d i , j is the shortest path distance between the node i and j on the rail network;
Wj
is the weight of the destination node j (i.e. the total number of jobs of the station catchment area);
The density index of a station area is the mean value of the census tracks density that belongs to the station exit buffer of 500m. The station area density index is strictly related to the definition of the station area. The density index of each station i, made by the census tracks k, and it is calculated by the following formula:
inh Sup
k
Densi
k
(2) k
k
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where: inh k is the population of the census track k that compose the station area i; Sup k is the total surface of the census track k.
2.2 | The station areas clusters and the development potential The second step of the SNAP implementation consist in the comparison of the value of the two indexes for each station area, according to the Node-Place XY chart (Bertolini, 1999) which display station area as data points in the chart space according to the X and Y values for the value series. In the XY (scatter) chart the x value series corresponds to the “place index” of station areas (the density index) and the y value series corresponds to the “node index” of station areas (the network accessibility index). In particular the indexes values have been classified into a three folded scale according to the 33rd and 66th percentile in high, medium and low values. Based on these classifications, the XY chart has been divided into nine regions that correspond to seven station area series group or clusters (see Figure 4) that are described as follow. Two main categories can be identified: the balanced and unbalanced station area. The balanced areas belong to the central part of the chart and can be articulated into: Balanced: these areas show equilibrium between the land use intensity and the transit accessibility and both indexes assume values close to the study area average value. In these areas urban renewal policies are suggested without increase of activities density. Balanced - stressed: in these station areas density and the accessibility indexes are very high. These areas are characterized by congestion and very intensive use. In these areas interventions of urban requalification are proposed. Balanced - dependent: in these station density and the accessibility indexes are very low. In these station areas actions to sustain increase both the node and the place aspect are suggested. The unbalanced station areas belong to the side parts of the chart and can be divided into unbalanced node (where the transit accessibility index is higher that the land use index) and unbalanced place, where the contrary is true. They can be articulated into: High unbalanced node: these station areas are characterized by low activity density and very high value of network accessibility. These station areas have an extraordinary development opportunity, as they have a central position in the rail transit network and vacant land to be transformed within the catchment area. Unbalanced node: these station areas have a low activity density and a high value of network centrality; for this reason have a great potential to be transformed and to increase the land use in their catchment area. High unbalanced place: these station areas are characterized by very high activity density and low network accessibility index. In these area interventions to increase network centrality are suggested (increase the transit level of service). Unbalanced place: these station areas have a high activity density and a low value of network centrality. In these area interventions to increase network centrality are suggested (increase the transit level of service). In any case the development potential and the suggested intervention have to be verified for each station in a second step project design, taking into account the real availability of vacant land and the presence of natural and environmental hazard constrains.
Figure 4. The seven station area series group
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2.3 | An application of SNAP tool to the Naples metropolitan area We choose to test the SNAP tool at the Naples metropolitan area for several reasons. The first is related to the structural urban contest: the high density of rail infrastructures and inhabitants, with its relevant commuting problems makes this area a fertile region for TOD strategy implementation and success. In the area indeed emerge the need to define polycentric development scenarios, to densify urbanization around railway stations and improve access of station areas for bus and slow modes. Another peculiar characteristic is that inside the area is defined the "red zone", that, being close to mount Vesuvius, is considered at high risk in case of a volcanic eruption. In this area the population needs to be dislocated and so in the all Naples metropolitan areas there is a need to define new location for residential settlements. Another reason is that we can compare the result of the SNAP tool with the proposal of the ongoing regional and province plans that propose several policies oriented to a better integration of land-use and transport planning. In this way it was possible to verify or not the correct output of the tool. In the following figures the study area, the network accessibility indicators and the density accessibility indicators are represented for each station area. In particular the "Closeness centrality to jobs� is referred to a search radius of 15 km. Furthermore, in table 1 the area series group and aggregated values of density and accessibility indexes are showed. Table I: Station area series group and aggregated values of density and accessibility indexes Inhabitants within 500 m station exit
Station area series group
Balanced Balanced - dependence Balanced - stress Unbalanced node Unbalanced place High unbalanced node High unbalanced place total
Workplace within 500 m station exit
Inhabitants density within 500 m station exit
Station
n.
n.
inh/ha
n.
121.774 163.669 271.628 233.954 154.291 29.616 33.122 1.008.054
18.190 35.029 81.549 71.905 30.368 32.438 8.511 277.990
145,49 52,38 282,66 126,84 138,41 55,19 230,61 106,69
17 91 17 36 24 24 3 212
Density index
Accessibility index
0,33 0,12 0,63 0,28 0,31 0,12 0,52 0,24
0,49 0,17 0,83 0,54 0,22 0,72 0,19 0,36
Figure 5. The study area and the urbanized areas within the station catchment areas
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Figure 6. Accessibility Index (Closeness Centrality to jobs with Search Radius r=15 km)
Figure 7. Density Index (population density for station area)
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Figure 8. The Network TOD scenario
3 | Conclusions The application of the instrument allowed the individuation in the areas of the lower Caserta Province and in the oriental zone of Naples (areas in green in Figure 8) as the most suitable areas for the localization of new activities in accordance to other studies developed with other methods (Moccia & Coppola, 2005). These results are furthermore mostly coherent with the strategies and interventions expected from the Province plans (Moccia, 2009), confirming the validity of the results obtained. At a closer exam of the catchment station areas, densification suggestion of the SNAP model cannot ever be achieved. Some other factors have to be considered regarding the prescriptions of the land use plans, the land regulations, vegetated land cover, urban morphology, public space and facilities. This means that a more complex analysis is required at a smaller scale. Combining this city knowledge with the SNAP results effective urban development or redevelopment may come out. Nevertheless, on the regional scale, the great help given by SNAP is the broad view of the metropolitan network. Its usefulness consist in the systemic approach and the linkages of each localized action to the wider picture, letting the planner and decision makers to understand change both at the local as well as at the metropolitan level. On a more pragmatic level, SNAP results select a limited number of target station areas where a deeper study can be carried on, ad decisions suggested. This simplification of the complex knowledge of large metropolitan areas is the more appreciable help in the regional planning tool set.
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Acknowledgments: We wish to thank Gennaro Angiello, Pasquale Inglese, Gaetana del Giudice and Floriana Zucaro, in participating at the SNAP implementation and all the students of the Transport Planning course at the Architecture Faculty of Naples, academic year 2012-2013.
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Mobilità e infrastrutture intelligenti per il cambiamento demografico.
Mobilità e infrastrutture intelligenti per il cambiamento demografico. Silvia Pericu Scuola Politecnica di Architettura di Genova DSA - Dipartimento di Scienze per l'Architettura Email: pericu@arch.unige.it
Abstract L'Europa ripensa le proprie politiche per la crescita attraverso Horizon 2020, programma quadro di ricerca, che individua, la necessità di avviare azioni integrate a favore dell'invecchiamento attivo della popolazione anziana. La necessità di garantire una buona mobilità per gli elderly significa aumentare la qualità di vita, e al contempo limitare i costi sociali ed economici di assistenza; il sistema e i prodotti della mobilità non si stanno, però, evolvendo in modo adeguato nei confronti di queste esigenze. L'analisi di alcune sperimentazioni a livello europeo, che sono risultate capaci di integrare approcci multidisciplinari, dalle scienze comportamentali e sociali all'urbanistica e al design, con un approccio sempre più centrato sull'utente, è in grado di indicare modalità operative, che partendo dall'analisi delle pratiche d'uso e dalle reali esigenze degli utenti, possano realmente costruire il diritto alla mobilità dei cittadini più anziani. Parole chiave Mobilità, active ageing, strategie urbane.
Active ageing La parabola crescente dell’invecchiamento in Europa si è mostrata lineare negli ultimi 150 anni e l'aumento della speranza di vita media, attualmente valutata di 12 mesi ogni 5 anni, non presenta alcun segno di decrescita (Oeppen, Vaupel, 2002); la somma di questi due fattori ci porta alla previsione che in Europa il numero di persone over 65 anni aumenterà del 45% tra il 2008 e il 2030, e che questo numero rappresenterà oltre il 30% della popolazione entro il 2060. Il nostro continente, per quanto alcune regioni stiano vivendo un decremento della popolazione, ha una crescita costante di abitanti, e all'interno di questa tendenza il dato più significativo è portato dalla percentuale di persone over 80, che rappresenterà il gruppo di età in più rapida crescita, passando dal 5% al 12% nello stesso periodo, in forma più evidente rispetto alle tendenza parallela di incremento delle persone in età molto avanzata, i cosiddetti grandi vecchi (Robine, Saito, 2009). Questa rivoluzione demografica non è uniformemente distribuita in tutti i paesi: in Italia la piramide delle età relativa allo sviluppo demografico 2001-2051, mostra una forte erosione alla base, conformemente d altri paesi più progrediti, con una dato significativo in più che è legato alla diminuzione del tasso di natalità e al contemporaneo aumento della capacità di sopravvivenza delle persone e delle aspettative di vita. Il censimento ISTAT del 2011 fotografa un paese con una quota del 20,8% di popolazione over 65, dato impressionante se si considera il prossimo imminente ingresso dei baby boomers nelle fasce di età più avanzata. Oggi la complessità di questo cambiamento demografico non è ancora sufficientemente affrontata: in breve tempo essa interesserà un gran numero di settori e contesti sociali, toccando la nostra consapevolezza, la nostra comprensione del benessere e dell'inclusione sociale, la partecipazione e l'uguaglianza o, in altre parole, l'identità stessa delle nostre società (Spadolini, 2013). Una nuova visione dell'invecchiamento è necessaria, perché l'attuale paradigma è ormai un'eredità di una precedente era, in cui il pensionamento in età relativamente giovane, unitamente all'aumento dell’aspettativa di vita, ha rappresentato la tendenza dominante. I cambiamenti economici globali e il progressivo incremento della longevità, rendono impossibile continuare le politiche del passato, che oggi devono rispondere alle esigenze di una nuova classe di popolazione anziana.
Silvia Pericu
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Mobilità e infrastrutture intelligenti per il cambiamento demografico.
La longevità assume contorni innovativi, sia a livello individuale che collettivo: gli anziani over 65 di oggi sono i cinquantenni della generazione che li precedeva, con mezzi, capacità ed interessi che li portano ad impegnare quel tempo liberato, che l’attività lavorativa occupava precedentemente, in modo creativo (Cesabianchi, Cristini, 2002). Nelle nostre città vivono sempre più cittadini elderly, il cui grado di autonomia e di mobilità, pone nuove sfide alla pianificazione e alla progettazione degli spazi urbani. La speranza di vita in buona salute1, indicatore che misura gli anni senza limitazioni delle funzionalità, stimola, infatti, una nuova percezione dell’anzianità, condizione che va ripensata in base all’autonomia e alla capacità di soddisfare i propri bisogni. Purtroppo, però, continua a permanere un ritardo strutturale tra questa trasformazione socio-demografico e gli atteggiamenti delle istituzioni sociali, ritardo da colmare attraverso l'affermarsi di una nuova visione positiva, in cui tutte le persone anziane, a prescindere dalle proprie competenze e capacità, sono partecipi ed incluse a pieno titolo nella società. L'attuale concetto di invecchiamento attivo, nuovo paradigma che non esclude le persone anziane inattive o deboli, deve sostituire il modello obsoleto di declino inevitabile e disabilità, al fine di definire nuovi strumenti comuni e condividere risultati, buone pratiche, standard e terminologia tra i diversi paesi interessati dalla trasformazione per adottare strategie adeguate, da modulare sulle diversità culturali e politiche, e per mettere in comune le ricerche in corso.
Horizon 2020 Il 2013 ormai iniziato costituisce l’ultimo anno di sviluppo del Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea, a cui seguirà il nuovo programma, denominato Horizon 2020, che si svolgerà nel periodo compreso fra il 2014 e il 2020, e che supporterà economicamente la realizzazioni degli stati membri, in un momento in cui l’Europa ha subito una forte inversione di tendenza, raggiungendo livelli di debito eccessivi, indebolendo la crescita strutturale e incrementando il fenomeno della disoccupazione. La programmazione si trova ad affrontare sfide complesse per tracciare le linee del proprio sviluppo, tra cui spicca quella demografica, ritenuta ambito di interesse prioritario, a causa di una popolazione sempre più longeva, con sempre meno figli, e di una società caratterizzata da cambiamenti economici e culturali, quali il fenomeno dell'immigrazione. In quest'ottica la definizione di nuove linee strategiche deve passare necessariamente attraverso un processo interdisciplinare, in cui diventa prioritario lo scambio di conoscenze tra ricercatori afferenti a campi diversi, la trasparenza delle attività di ricerca e la collaborazione dei ricercatori all'interno delle varie fasi della catena di creazione del valore, che apre la strada a nuove iniziative economiche di crescita.
Macro & micro Alla scala urbana il tema della mobilità è uno dei parametri fondamentali di un territorio competitivo, capace di alimentare sviluppo economico e alta qualità della vita. La coscienza ambientale in crescita e le sempre più forti esigenze di connettività fisica di tutte le fasce di popolazione, sono le condizioni per ripensare una mobilità intelligente basata su di un progetto per il territorio, che faccia ricorso a idee, strumenti e pratiche capaci di comunicare in maniera aperta con la società, e, quindi, di produrre innovazione. Per offrire alternative all’uso delle autovetture private, concrete e realmente in grado di offrire tempi di percorrenza analoghi, qualità, capillarità ed estensione temporale dell’offerta, occorre individuare una nuova concezione del muoversi, dello spostarsi. Solo così sarà possibile mutare radicalmente le condizioni della mobilità urbana nelle città esistenti e nelle loro estensioni metropolitane (Casiroli, 2012). Le tematiche dell'active ageing dipendono fortemente dalle necessità di mobilità di questa fascia di popolazione nei diversi habitat: dalle campagne, alle grandi metropoli, per arrivare ai centri storici delle nostre città le sfide che ci attendono ci pongono di fronte al diritto alla mobilità, che deve essere garantito per chi vuole invecchiare, continuando ad avere una qualità di vita soddisfacente e risiedendo nella propria abitazione, requisito oggi ritenuto a livello europeo come priorità per l'invecchiamento attivo. Come si evince da diversi studi sui trasporti, la spesa che gli anziani destinano agli spostamenti è in aumento: oggi i cittadini anziani viaggiano di più rispetto a 10 anni fa e tale tendenza è destinata a proseguire tra i cittadini anziani di domani2. Il sistema e i prodotti della mobilità non si stanno, però, evolvendo in modo adeguato nei confronti delle esigenze di una società che invecchia, soprattutto perché il gruppo degli anziani non è omogeneo e uniforme per esigenze e domande: infatti la pluralizzazione e l’individualizzazione diffusa delle domande hanno un riscontro 1 Questo indicatore figura tra i principali indicatori strutturali europei e la sua importanza è stata riconosciuta nella Strategia di Lisbona, programma di riforme economiche approvato dai Capi di Stato e di Governo dell’U.E. nel 2000. 2 BMVBS/BBSR (Hg.) (2009): Chancen und Risiken steigender Verkehrskosten für die. Stadt- und Siedlungsentwicklung unter Beachtung der Aspekte der postfossilen Mobilität. BBSR-Online-Publikation 06/2009. Bearbeitung: Gertz, Carsten/Altenburg, Sven (TU HH). Silvia Pericu
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nella diversità degli stili di vita propri della vecchiaia, ripercuotendosi quindi direttamente sull'impossibilità di individuare strategie univoche di mobilità. Vi è quindi la necessità di nuova concezione, che si sviluppi a partire da alcuni assunti di fondo: da una parte la necessità di ripensare il sistema a livello territoriale, la macro mobilità, con una pianificazione dei trasporti integrata, multimodale, accessibile e sostenibile, carattere di un territorio, dove la convergenza di soggetti e risorse possa diventare il motore per un nuovo sviluppo. Dall'altra quella di innovare la micro mobilità, in risposta all'urgenza di adeguare l’habitat alle mutate esigenze e alle nuove attività sociali che si interfacciano con il patrimonio edilizio e di artefatti d’uso già esistenti, da ripensare ad una scala più minuta in funzione degli utenti e delle loro necessita di spostamento, o da ampliare con nuovi servizi più competitivi che permettano di far fronte alle sfide ambientali. Le due differenti scale di intervento impongono l'integrazione della disciplina urbanistica, che deve tornare ad acquisire centralità e autorevolezza nei processi di decisione pubblica nel campo delle trasformazioni, e di quella del design industriale, in quanto disciplina che, centrandosi sulle esigenze dell'utente, costruisce scenari e concept che, partendo dall'analisi delle pratiche d'uso, possano aiutare a costruire il diritto alla mobilità anche dei cittadini più anziani (Pericu, Rosa, 2006). Questa collaborazione, basandosi su di una nuova percezione dell’età anziana, ripensata in base all’autonomia e alla capacità di soddisfare i propri bisogni, deve rispondere alla sfida della pianificazione di spazi urbani e della progettazione di una mobilità age-friendly (WHO, 2002), e deve affrontare sperimentazioni, in cui a prevere sia un approccio centrato sull'utente e sulle reali esigenze della società. I fenomeni delle città in contrazione (Oswalt, 2006) ci spingono a riconsiderare il futuro della condizione urbana, mettendo in dubbio tutte le idee invalse sulle città e lo sviluppo urbano, incentrato quasi esclusivamente sul processo della crescita. Tra le molte sfide la gestione delle infrastrutture è tra le più importanti, in quanto le città, non perdendo superficie globale, devono garantire servizi ai cittadini, che sono in diminuzione, su una distanza geografica a volte anche più estesa, andando così verso un aumento dei costi del servizio. Le tematiche dell'active ageing, unitamente ai processi di contrazione urbana, generano nuove possibilità per la ricostruzione dello spazio urbano, similmente alla modalità per cui lo shrinkage, dando luogo ad un processo di perforazione urbana (Glock, Häussermann, 2004), in cui si praticano delle aperture nei territori situati all’interno delle aree urbane, genera vere e proprie occasioni per ripensare la città del nuovo millennio.
Design per la mobilità Se il tema della mobilità appartiene certamente alla disciplina urbanistica, il design può, però, dalla sua parte mettere in campo il proprio carattere attivo, che si manifesta e si evolve in stretta connessione con il contesto, e si attua attraverso il dialogo, attingendo ad altri saperi al fine di coordinare il tutto nella dimensione concreta di un artefatto, prodotto o servizio, materiale o immateriale (Mari, 2003). Nella possibilità di introdurre nuove pratiche e stili di vita sostenibili, vi è la necessità di intervenire in maniera concreta all’interno della realtà urbana e di offrire stimoli capaci di coinvolgere il pubblico e di indirizzarlo verso modelli virtuosi di mobilità urbana. Vengono in aiuto la profonda modificazione del campo disciplinare del design e il cambiamento dell'oggetto di progetto, avvenuti negli ultimi anni: dal prodotto si è passati ad un sistema che nel tempo si è esteso, è diventato più complesso, trasformandosi in un sistema di interazioni, fisiche e sociali, che veicolano esperienze, sistema che comprende anche il contesto in cui il prodotto da progettare si va a collocare (Manzini, 2009). Contemporaneamente è cambiato anche il designer: «trovandosi ad operare in gruppi sempre più ampi e variegati, il loro ruolo progressivamente si evolve verso quello di facilitatori di processo la cui creatività e le cui specifiche competenze vanno a stimolare e orientare la creatività e le capacità progettuali degli altri attori del processo» (Manzini, 2009). Occorre quindi analizzare le esperienze realizzate o in corso, in cui il connubio delle due discipline è stato in grado di offrire risposte concrete a i problemi legati alla mobilità degli elderly all'interno dei contesti urbani, perché la possibilità di una effettiva condivisione di strumenti, metodi e risultati possa costituire il punto di partenza, grazie a cui Horizon 2020 possa definire nuove linee strategiche per lo sviluppo dei nostri contesti urbani.
Trasporto pubblico La disponibilità a utilizzare in forma più estensiva il trasporto pubblico costituisce il punto di partenza per una mobilità sostenibile, che copra segmenti alternativi all'uso dell'automobile. I gruppi più anziani della popolazione, vulnerabili sotto il profilo finanziario, hanno e avranno sempre più una necessità di beneficiare di trasporti accessibili e adeguati a un reddito presumibilmente in decrescita. E' prevedibile che si dovrà provvedere all’adattamento dei sistemi di trasporto pubblico ai bisogni degli anziani con oneri ancora da definire.
Silvia Pericu
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Alcuni recenti studi sui sistemi di trasporto pubblico hanno messo l'accento sulla necessità di questo adeguamento in risposta alla domanda che proviene dalla fascia di popolazione anziana: tra questi un innovativo progetto avviato dall’Università di Goteborg, volto a ridisegnare i servizi di una città più age-friendly, prevede il coinvolgimento di anziani per l'individuazione delle difficoltà d'uso del trasporto pubblico nella città. Gli anziani coinvolti nel progetto sono stati chiamati a dire la loro sui disagi relativi all’uso dei mezzi pubblici e allo svolgimento di attività apparentemente semplici, come il trasporto della spesa. La ricerca ha previsto, quindi, una prima fase di monitoraggio, in cui il gruppo di over 60 ha annotato commenti e foto relative alle difficoltà rilevate, a cui è seguito un affiancamento dei ricercatori nelle stesse attività, per una presa in esame delle difficoltà dal vivo. La sinergia tra progettisti e fruitori finali, ha portato alla pubblicazione nel 2004 dei risultati dell'indagine e nel 2005 all'avvio del progetto Kolla, con cui la città di Göteborg ha ridisegnato un sistema di trasporti pubblici più accessibile. L’obiettivo fissato è quello di permettere al 98% dei cittadini di utilizzare il trasporto pubblico, con un aumento del 2,5% sulle cifre del 2005. Sempre per incentivare l'utilizzo del trasporto pubblico per gli elderly, la città di Parigi ha messo a disposizione delle persone più anziane un accompagnamento personale durante i viaggi sui trasporti pubblici. Les Compagnons du Voyage, servizio di grande successo e attivo dal 1993, aiuta persone singole o intere comunità nei viaggi sui mezzi del trasporto pubblico, mostrando come viaggiare in sicurezza, e permettendo spesso di riguadagnare autonomia in relazione alla possibilità di utilizzare questa tipologia di trasporto.
Mobility marketing Politiche di formazione e di sensibilizzazione a favore del trasporto pubblico per gli utenti anziani iniziano ad essere attuate in Germania: nel 2010 nelle città di Monaco e di Offenbach am Main le aziende hanno offerto corsi di formazione sul trasporto pubblico per i passeggeri anziani. Gli obiettivi della formazione sono quelli di permettere agli anziani di usare il trasporto pubblico in modo comodo e sicuro, e di rispondere alle loro molteplici esigenze di un gruppo target principale formato dagli anziani tra le età di 60 e 90 anni, che necessitano di informazioni sulla sicurezza. Per attrarre nuovi utenti del trasporto pubblico, sono state attuate anche strategie di definibile marketing peer-topeer, nella città di Colonia nel 2008. Gli elderly, possessori di biglietti stagionali del trasporto pubblico, hanno ricevuto un biglietto gratuito di 3 mesi da dare a un amico o parente, che non era un utente frequente del trasporto pubblico. Una fase di formazione, condotta da educatori per 3 mesi, ha mostrato i benefici del trasporto pubblico ai nuovi utenti e ha fornito supporto con informazioni e consigli durante i viaggi, così da generare nuove abitudini di trasporto.
Spostarsi a piedi Mantenere a casa a chi ha bisogno di cure ed assistenza, garantendogli al contempo una buona qualità di vita a livello di contesto urbano, significa anche e soprattutto permettere la fruizione di spazi pubblici, di percorsi e di luoghi di sosta nell'immediato contesto dell'abitazione, e la possibilità di esercitare una pratica salutare quale il camminare. UrbAging, è una ricerca sulla condizione anziana in ambito urbano condotta nelle città di Lugano e Uster nel 2008, che ha cercato di rispondere a questa esigenza, mettendo in luce il punto di vista degli anziani rispetto all’uso degli spazi pubblici e la relazione che intercorre tra l’ambiente costruito e la qualità percepita degli spazi, sulla base del grado di soddisfazione espresso nei confronti di bisogni funzionali, ricreativi e di socializzazione (Acebillo, 2009). Sono stati definiti come fondamentali, la qualità dei collegamenti tra gli spazi, la loro connettività e la loro accessibilità, motivo per cui l'inserimento di elementi progettuali in grado di dare risposte ai bisogni espressi, è risultata essere la modalità concreta d’intervento per ripensare gli spazi pubblici di alcune aree, da raggiungere a piedi tramite percorsi sicuri, in cui poter camminare, grazie all'ausilio e la partecipazione attiva dei cittadini più anziani.
Sistemi a chiamata Proprio in funzione dei diversi stili di vita degli utenti e della pluralità delle domande in materia di mobilità diventa obbligatorio, nell'ottica di precorrere gli scenari futuri, implementare l'offerta di sistemi di mobilità flessibili e capaci di venire incontro alle più diverse esigenze. In questo senso si muovono alcune ricerche in corso relative a sistemi di trasporto a chiamata, nelle forme di dial-a-ride, ovvero di servizio porta a porta in aree a debole domanda, e di taxi collettivo, servizi capaci di migliorare l’immagine del servizio pubblico anche dal punto di vista sociale e ambientale, e di riempire le lacune del trasporto pubblico.
Silvia Pericu
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Mobilità e infrastrutture intelligenti per il cambiamento demografico.
Tra queste l'Accademia di Design di Eindhoven ha partecipato ad un team di diversi soggetti per la sperimentazione di Aevus Pilot3, un servizio in cui cittadini anziani hanno potuto usufruire di un taxi a chiamata innovativo. Quattro macchine elettriche sono state messe a disposizione dei cittadini più anziani nella settimana del Design Olandese nell'ottobre 2012 per girare nel centro di Eindhoven. Gli autisti sono stati autorizzati all'interno del servizio ad accompagnare gli anziani alla porta, a trasportare la spesa o semplicemente a fare conversazione con gli utenti del servizio, senza l'applicazione di tariffe orarie. La sperimentazione, che è stata mappata e condivisa sul web, appartiene ad un programma più complesso, dal nome Grey But Mobile, sull'assistenza agli anziani in relazione ai servizi di mobilità che siano in grado di migliorare l'indipendenza e la connettività sociale degli utenti. Il fine specifico del progetto è quello di mettere a punto veicoli adeguati a queste necessità, attraverso la collaborazione con partner industriali, ed un processo che a partire dal 2011, vuole arrivare a definire nel 2015 alcune soluzioni testate sul campo e valutate in relazione ai risultati raggiunti.
Bibliografia AA.VV. (2002), Active ageing: a policy framework, World Health Organization Report, Ginevra. Acebillo J. (2009), Urbaging: Designing urban space for an ageing society, Final Scientific Report to the Swiss national science Foundation, Mendrisio. Casiroli F. (2012),“Da macro a micro. La nuova mobilità” in Bertello A., Bianchetti E. (a cura di), City 2.0 Il futuro delle città. La sfida delle smart cities tra opportunità e necessità, http://www.festivaldellenergia.it/ebook/smart_city.pdf Cesabianchi M., Cristini C. (2002), L’invecchiamento fra corporeità e creatività, Oasi Editrice, Enna. Glock B., Häussermann H.(2004), “New trends in urban development and public policy in Eastern Germany dealing with the vacant housing problem at the local level”, in International Journal of Urban and Regional Research, vol. 29/4. Mari E. (2003), Progetto e passione, Bollati Boringhieri, Torino Manzini E.(2009), “Introduzione” in Strategie di co-design. Teorie, metodi e strumenti per progettare con gli utenti, Franco Angeli, Milano. Oeppen J., Vaupel J. (2002) “Broken Limits to Life expectancy”, in Science, vol. 296, pp. 1029-1031. Oswalt P. (2006), Shrinking Cities, International Research. Vol.1, Hatje Cantz Publishing, Ostfildern. Pericu S., Rosa E.(2006), “Mobilità. Città fisica e pratiche d’uso” in Pericu S. (a cura di), Urban mobility: strategie, concept e comunicazione, Alinea, Firenze. Robine J.M., Saito Y. (2009) “The number of Centenarians in Europe”, in European Papers on the new Welfare, vol. 13, Ottobre 2009, pp. 47-62. Spadolini M.B. (2013), Design for better life. Longevità: scenari e strategie, Franco Angeli, Milano.
3 Aevus pilot è una sperimentazione sul campo che appartiene al Programma CRISP (Creative Industry Scientific Programme) dal nome Grey but Mobile, di cui fanno parte tre enti universitari, l’Università di Twente, l’Accademia di Design e l’Università di Tecnologia di Eindhoven e svariati partner industriali dei Paesi Bassi. Silvia Pericu
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Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità
Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità Martina Pertoldi Università di Aveiro Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Territorio Email: martina.pertoldi@ua.pt, m.pertoldi@gmail.com
Abstract Negli scorsi decenni la logistica, ovvero l’insieme di attività che presidiano la movimentazione di merci, persone e informazioni all’interno del flusso produttivo, ha assunto il ruolo strategico di infrastruttura operativa che ridisegna le connessioni tra una pluralità di imprese, sistemi produttivi e territori. Le trasformazioni in atto nei territori dell’industrializzazione diffusa e in particolare le questioni poste da decentramento produttivo, traiettorie di neo-produzione e ristrutturazione del tessuto industriale, anche alla luce della crisi in atto, richiedono un approccio alla logistica attento alle strutture insediative e agli attori economici coinvolti. Il contributo, esito di un recente progetto di ricerca1 dell’Università IUAV di Venezia condotto in collaborazione con un’impresa di spedizioni e logistica di Montebelluna (Tv), contribuisce a mettere in luce come la domanda di infrastrutture che il tessuto d’impresa veneto esprime oggi risulti essere assai più articolata di quanto usualmente sostenuto. Un’articolazione che riguarda non solamente i tipi di infrastruttura, ma anche i modelli di sviluppo che ciascuna di esse è in grado di sostenere. Parole chiave logistica, industrializzazione diffusa, neo-produzione.
Introduzione Negli scorsi decenni la logistica, ovvero l’insieme di attività che presidiano la movimentazione di merci, persone e informazioni all’interno di una rete produttiva estesa (Marcucci, Corò, 2001) ha assunto un ruolo strategico per l’intero sistema produttivo. Le prestazioni del sistema dei trasporti influenzano in maniera determinante gli aspetti organizzativi delle filiere logistico-produttive. La questione acquista maggiore rilevanza se si considera l’ipotesi che entro il 2050 l’attività di trasporto merci possa aumentare dell’80% rispetto al 2005 (EU, 2011). Di conseguenza, se in passato la logistica veniva intesa come funzione interna all’azienda (logistica industriale), negli ultimi decenni la sua definizione è diventata via via più estesa, in particolar modo nell’ampia accezione della logistica territoriale (Boscacci, 2003). La logistica è qui intesa nei suoi aspetti spaziali, di singoli oggetti e di sistema di relazioni tra gli oggetti quali insediamenti produttivi, magazzini, transit-point, hub, strade, aeroporti, porti, ecc.: un vasto insieme di manufatti di cui ancora manca una mappatura estensiva non solo per le difficoltà oggettive dell’operazione, ma perchè si tarda a comprendere la rilevanza delle nuove forme organizzative della produzione contemporanea. Se gli spazi della produzione risultano infatti poco indagati e sovente fraintesi (Armondi 2012), maggiori interrogativi e incertezze riguardano gli spazi della logistica. Le stesse pratiche dell’urbanistica, nei piani, nelle progettazioni puntuali, nei programmi di trasformazione urbana, sembrano interessarsene solo in termini allocativi e quantitativi, banalizzando i caratteri spaziali della questione, generalizzando e semplificando il rapporto tra forme dell’economia, forme della società e forme dello spazio (Bianchetti, 2008). 1
La ricerca (responsabile scientifico: prof. Maria Chiara Tosi) è stata condotta dall’autrice in collaborazione con l’impresa di spedizioni e logistica D.B.Group di Montebelluna (Tv) nell’ambito di una borsa di ricerca svolta presso l’Università Iuav di Venezia nel periodo aprile 2011/aprile 2012 e finanziata dalla Regione Veneto attraverso il Fondo Sociale Europeo. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Pertoldi, 2012.
Martina Pertoldi
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Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità
Le forme di industrializzazione diffusa che hanno costruito l’immagine del nordest hanno trovato nel territorio uno straordinario supporto, fornendo cittadinanza economica a strati molto ampi di popolazione e a regioni in precedenza marginali rispetto alla grande industria, inglobando nel sistema produttivo le infrastrutture collettive e il territorio interposto (Indovina, 2000). Oggi sembra palesarsi una nuova concezione di territorio. Utilizzato in ogni sua parte, esso appare investito da nuove domande, a cui oppone resistenze e inerzie, dimostrando un diverso grado di disponibilità alla trasformazione.
Logistica e trasformazioni territoriali L’attività logistica ha mostrato negli ultimi anni un rilevante sviluppo, anche edilizio, e ha determinato la moltiplicazione di magazzini all’interno degli edifici produttivi e/o di piattaforme dedicate, connotando con evidenza fisica le trasformazioni legate alla smaterializzazione dell’economia. La frammentazione e specializzazione della produzione, il decentramento produttivo, l’aumento del livello generale dei consumi hanno determinato un incremento del numero di spedizioni, delle quantità trasportate e lo sviluppo dell’integrazione di più modalità di trasporto. Di conseguenza, il mercato immobiliare logistico risulta in costante crescita, nonostante l’elevata incertezza generata dalla crisi economica, sia per l’aumento della terziarizzazione delle funzioni logistiche che dell’ottimizzazione della rete logistica (Fonte: Jones Lang LaSalle, 2012). Con riferimento al contesto del nordest, si registra l’emergere di grandi poli della logistica quali interporti, porti, terminal intermodali, grandi aree attrezzate (Verona, Padova, Venezia, Trieste) 2 e al contempo una significativa dispersione di strutture logistiche che va fatta risalire sia alla distribuzione della popolazione che alla diffusione dei sistemi produttivi con rilevanti flussi interni a ciascuna regione e di interscambio tra le regioni dell’area padana (Cappelli, Libardo, Nocera, 2010). Una ricognizione qualitativa condotta nell’area veneta permette di osservare, accanto a un progetto di ristrutturazione del sistema industriale intorno al tracciato infrastrutturale del Corridoio V messo a rete con la nuova Superstrada Pedemontana Veneta, la piattaforma logistica di Marghera, il porto di Venezia, gli interporti di Padova e Verona, alcune evidenze empiriche di movimenti centrifughi definiti “fuga dagli interporti”, ovvero la tendenza di un crescente numero di operatori logistici di grandi dimensioni a insediare la propria attività in aree non infrastrutturate rispetto agli interporti, e “inseguimento della domanda industriale”, ovvero l’adattamento degli operatori logistici ai comportamenti delle imprese (Marcucci, D’Agostino, 2003). L’indagine ha individuato infatti diverse modalita’ spaziali in cui si sta rispondendo alle nuove domande del settore produttivo: 1. realizzazione di nuovi magazzini tramite il riuso di manufatti industriali dismessi; 2. costruzione di nuovi magazzini per addizione (ampliamento in aderenza agli edifici esistenti) o per gemmazione, all’interno di zone industriali limitrofe; 3a. costruzione di piattaforme logistiche all’interno delle aree della diffusione industriale, privilegiando la vicinanza tra operatore logistico e imprese produttive; 3b. costruzione di piattaforme logistiche di singoli operatori lungo i tracciati o presso gli snodi autostradali, La tecnologia ha in questo settore un ruolo molto importante e pone nuove questioni alla pratica architettonica, basti pensare al recente polo logistico Geox a Trevignano (Tv) o al magazzino Benetton a Castrette (Tv), un caso emblematico di tecnologia logistica ad altissimo livello. L’elevata dotazione tecnologica fa sì che difficilmente in questo caso si intervenga mediante operazioni di riuso dell’esistente. In questo caso le scelte di localizzazione dipendono principalmente dal network aziendale sviluppato dagli operatori e da scelte di radicamento; 4. costruzione di isole logistico-produttive di grandi dimensioni ad opera di investitori immobiliari specializzati, come nel caso del centro produttivo e logistico “Eastgate Park”in costruzione a Fossalta di Portogruaro (Ve) in prossimità dell’autostrada A4 Torino-Trieste (Corridoio V) o del recente Magna Park (Gazeley) a San Bellino (Ro) lungo la strada Transpolesana, in prossimità dell’asse A13 Padova-Bologna e del futuro incrocio con la A31 Valdastico Sud. In questo caso l’accessibilità stradale, insieme alla disponibilità di ampie superfici urbanizzabili, costituisce il principale fattore localizzativo. Quest’ultima famiglia di strutture logistiche, seppure dotata di una forte evidenza fisica, risulta meno significativo, per frequenza e densità, rispetto alle prime modalità individuate. La ricognizione conferma che, in un contesto altamente urbanizzato come quello veneto, affrontare la riorganizzazione della produzione e della logistica da un punto di vista spaziale richieda di riconcettualizzare il 2
Le polarità individuate dal Masterplan per una piattaforma logistica nord-adriatica (Coses, 2006) sono: l’interporto di Verona, il porto di Trieste, il porto e l’interporto di Venezia, la piattaforma logistica nella zona industriale di Marghera, l’interporto di Padova e Magazzini Generali, l’interporto di Rovigo, lo scalo di Cervignano del Friuli, il sistema aeroportuale triveneto (aeroporti di Venezia, Treviso, Verona, Ronchi dei Legionari).
Martina Pertoldi
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Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità
tema in aderenza alla questione urbana, non in modo settoriale, come una funzione interna al processo produttivo, bensì come variabile dell’organizzazione territoriale nel suo complesso. A partire dalla considerazione che le carenze in cui ci imbattiamo nello spazio físico hanno gravi conseguenze sull’efficienza dell’intero sistema economico e sociale del Paese (Calafati, 2010; Secchi 2010), la principale tesi che qui si sostiene e’ che un approccio alla logistica maggiormente attento alle strutture insediative e agli attori economici coinvolti possa strutturare un diverso progetto del territorio contemporaneo.
Innovazioni e criticità attraverso lo sguardo di un operatore logistico Per affrontare tali questioni la ricerca ha potuto beneficiare della collaborazione attiva dell’impresa D.B.Group, spedizioniere e operatore logistico globale la cui sede principale si trova a Montebelluna (Tv). Fondata nel 1980, l’azienda è nata e cresciuta come spedizioniere internazionale nella stessa area geografica, a Montebelluna, e negli stessi anni che hanno visto lo sviluppo delle grandi aziende del calzaturiero. Oggi D.B.Group è un’azienda internazionale che offre soluzioni di trasporto e logistica integrata impiegando oltre 400 dipendenti in 34 uffici dislocati in tutto il mondo 3. Osservando i manufatti che costituiscono le piattaforme logistiche di D.B.Group e i dispositivi spaziali che vengono messi in atto si osserva come le trasformazioni terziarie (in questo caso legate a servizi di trasporto e logistica) e produttive, definite da Enzo Rullani come “neo-industria, neo-servizi e servizi connettivi, ossia i servizi che consentono ai neo-servizi e alla neo-industria di svilupparsi” (Rullani, 2010) si stiano realizzando mediante reti a «bassa densità» e ad “alta intensità”. L’impresa effettua infatti la propria attività su nodi diversi dai tradizionali hub della rete logistica nazionale ed europea sviluppando: - la funzione di transit-point per la distribuzione locale e translocale; - la disponibilità di magazzini per la gestione logistica, sia in ingresso (inbound) che in uscita (outbound); - l’informatizzazione del sistema logistico e una forte integrazione con gli operatori addetti al trasporto attraverso modalità IT. A partire dalla considerazione che “il vero protagonista della razionalizzazione logistica di un distretto concorrenziale come Montebelluna è il logistics service provider locale” (CCIAA Treviso, 2001) ovvero D.B.Group stesso in quanto unico operatore altamente specializzato, la ricerca ha mostrato come l’integrazione tra operatore logistico, impresa e filiera produttiva, oggi scarsamente perseguita in quanto anche imprese di modeste dimensioni ripartiscono su una pluralità di fornitori funzioni logistiche contigue, permette di ottimizzare i flussi di merce con evidenti ripercussioni positive, oltre che per le singole aziende, anche sul contesto sociale ed ambientale in cui sono collocate, generando importanti benefici pubblici. 4 In particolare, l’introduzione di modalità di geolocalizzazione sulla flotta utilizzata (D.B.Group si avvale di circa un centinaio di mezzi dotati di tali dispositivi, forniti da un’azienda veneta), la capacità di ascolto che si traduce in soluzioni ad hoc costruite sulle esigenze dei clienti e l’ottimizzazione dei flussi consentono di contenere gli impatti trasportistici, riducendo il numero di veicoli merci in circolazione, e di evitare viaggi a vuoto con l’allungamento dei tempi di consegna e ritiro. Queste scelte di organizzazione logistica hanno permesso di sopperire alle criticità delle infrastrutture di trasporto, che riguardano principalmente l’integrazione tra reti stradali, gate portuali e nodi ferroviari. Appare evidente quanto le scelte autonome d’impresa dipendano dalle possibilità date dal contesto. Un contesto che, malleabile e pronto ad accogliere modifiche incrementali isolate, perseguite da soggetti singoli, si distingue per alcune occasioni mancate, che molte volte sono state “occasioni mancate di costruzione di beni comuni” (Donolo, 2011), come mostrano la non attuazione del P.I.P. di Montebelluna e la perdita di importanza della rete ferroviaria per il trasporto delle merci. Si osserva infatti «la mancanza di infrastrutture logistiche per la prosecuzione delle merci che arrivano via nave: mentre i porti del nord Europa sono ben collegati con le ferrovie e gli interporti, in Italia le merci proseguono per lo più via camion. Le nostre infrastrutture sono oggi poco competitive. Un esempio è la ferrovia, che dovrebbe essere un mezzo da incentivare. Negli anni Ottanta veniva utilizzata e si facevano parecchie spedizioni verso la Germania dallo scalo di Montebelluna. Oggi non esiste più nulla. Abbiamo costruito due magazzini da 12.000 mq, nel 1990-91, che si trovavano a 15 metri dalla linea ferroviaria Treviso-Montebelluna. Quando negli anni Ottanta si usava ancora la ferrovia una diramazione ferroviaria sarebbe potuta essere una buona opportunità, che poi non si è concretizzata. Forse, se ci fosse stata la possibilità di implementare il trasporto merci, anche la stessa 3 4
D.B.Group ha sedi, oltre che in Italia (Montebelluna, Sedico, Longarone, Milano, Prato, Trieste) in Europa (Romania, Germania, Spagna, Francia), Stati Uniti, India, Cina, Giappone, Australia, Sud America ed Emirati Arabi. L’Istituto sui Trasporti e la Logistica fondato dalla Regione Emilia Romagna (www.fondazioneitl.org) stima che sviluppando meccanismi di cooperazione tra imprese di produzione nella gestione dei trasporti si potrebbero ottenere risparmi fino al 20% dei costi di trasporto, con riduzioni medie del 30% dei chilometri percorsi dai mezzi di trasporto e del 37% del numero dei viaggi.
Martina Pertoldi
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ferrovia si sarebbe sviluppata. Lo sviluppo della ferrovia sarebbe auspicabile, ma non credo che il nordest sia prioritario per le FFSS: si stanno concentrando sull’intermodale e il primo polo ferroviario importante per il nordest è il Quadrante Europa a Verona. All’oggi, di conseguenza, l’infrastruttura prioritaria per noi è sicuramente la Pedemontana» (dall’intervista al vicepresidente D.B.Group).
Scenari La riorganizzazione della produzione a scala globale produce, sul piano della riconfigurazione del territorio, un fenomeno di “gerarchizzazione selettiva”. Un primo strato in cui si organizza il mutamento è costituito dalle trasformazioni interne che complessificano e diversificano porzioni di territorio tramite l’inserimento di nuovi edifici, terziari, commerciali e industriali: un processo interstiziale ed esteso corrispondente a significativi cambiamenti degli usi abitativi e lavorativi. Un secondo strato, concentrato in pochi luoghi notevoli capaci di catalizzare attività, flussi e modalità di fruizione, attiene alle grandi infrastrutture (autostrade, svincoli, fiere, etc.): realizzate o sulla carta, ridisegnano accessibilità e orientano le scelte dei principali operatori, segmentando e gerarchizzando (Lanzani, 2003). All’interno di questo processo il territorio sembra essere più un vincolo che una risorsa. Ciò è particolarmente evidente in alcune tavole del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (2009) e del Piano Strategico per lo sviluppo della logistica (2007) della Regione Veneto, dove il territorio appare nuova gerarchia di punti ultra selezionati, concentrazione di grandi elementi infrastrutturali in alcune parti e il resto dell’ambito regionale a parco: quale ruolo svolge il territorio nel modello economico-produttivo attuale? Quanto il progetto di razionalizzazione è rispondente alle modalità insediative esistenti e alle traiettorie evolutive della produzione? Nel caso studiato è interessante osservare come la Superstrada Pedemontana Veneta diventi oggetto di domanda esplicita da parte dell’impresa nel momento in cui il disegno dell’offerta progettuale infrastrutturale da parte del decisore pubblico abbandona in modo palese l’ipotesi della rete diffusa. Ma lo scenario di sviluppo polarizzato presente in alcune immagini progettuali della programmazione regionale, nazionale ed europea, ancorché per molti versi desiderabile, è stato considerato dall’impresa uno shock per un territorio costruitosi in modo incrementale, un passo dopo l’altro. Si tratta di un modello che non appartiene al territorio delle fabbriche diffuse, molto più vincolante nel modo di gestire le attività e molto difficile da immaginare come realizzabile poiché legato a una pianificazione rigorosa negli obiettivi e nei metodi. Inoltre, produrrebbe una dicotomia tra ambiente di lavoro e “leisure” che non sembra tenere abbastanza in considerazione il fatto che oggi si trascorra gran parte del proprio tempo nei luoghi di lavoro. Inoltre, è stato evidenziato il rischio di investire ingenti risorse su un’area molto efficiente e a basso impatto ambientale che però non risolverebbe la questione della distribuzione delle merci in un ambiente denso e diffuso come quello veneto. Anche gli obiettivi del progetto del porto off-shore di Venezia potrebbero rischiare di essere vanificati se la sua realizzazione non venisse accompagnata dalla realizzazione di adeguate infrastrutture per la successiva distribuzione delle merci. Al contrario, lo scenario che è emerso con maggiore forza dal confronto con l’impresa si basa su un progetto di mobilità integrata capace di promuovere una maggiore e diversa accessibilità grazie alla riattivazione del trasporto ferroviario di collegamento a porti e interporti di rango superiore. I limiti, nel disegno di piena valorizzazione delle potenzialità delle infrastrutture puntuali e a rete, sono apparsi solo in parte legati a deficit infrastrutturali, mentre risultano cruciali le problematiche di natura gestionale. Per questi motivi, lo scenario di ristrutturazione dell’esistente attraverso un progetto di mobilità integrata e l’addensamento di alcuni nodi è sembrato più congeniale al dna del territorio. Richiede però ragionamenti di orizzonte più lungo, la condivisione da parte di un numero molto elevato di attori, con maggiori possibilità per ognuno di intervenire nel processo decisionale e perciò piuttosto difficile da realizzare. Nonostante ciò è stato giudicato il più rispondente alle esigenze del territorio e a quelle dei suoi operatori. È stato ribadito che un tale progetto necessita di un massivo intervento di nuova infrastrutturazione, diffuso e simultaneo: per non spostare semplicemente un po’ più in là la frontiera del vuoto risulta fondamentale poter agire in più punti contemporaneamente. In questo scenario acquisisce perciò molto più senso la partecipazione dei privati e la costituzione di partnership pubblico-private, facendo intervenire diversi operatori nei singoli tratti, in ambiti territoriali circoscritti, più rispondenti alle esigenze di possibili investitori locali anziché di gruppi multinazionali privi di legami con il territorio. Infine, considerando che il movimento delle persone, rispetto a quello delle merci, risulta più facile da organizzare, questo scenario propone di agire su due fronti: da una parte implementando il trasporto pubblico locale per le persone (metropolitana di superficie, trasporto a chiamata, punti di interscambio) e dall’altro favorendo l’introduzione (anche mediante incentivi e/o disincentivi) di sistemi ITC, automezzi elettrici o alimentati a gpl per determinate attività di trasporto merci a corto raggio, sfruttando in particolare la possibilità di installare stazioni di rifornimento fotovoltaico diffuse sul territorio grazie all’utilizzo dei tetti dei capannoni per la produzione di energia.
Martina Pertoldi
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Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densità e ad alta intensità
Un aspetto che è stato indicato come fondamentale per ogni progetto di riorganizzazione territoriale si riferisce alla necessità di chiudere il primo anello della catena distributiva e costruire reti continue e ben collegate tra loro, investendo sulle infrastrutture ferroviarie minori attraverso una rete diffusa sul territorio, in grado di raggiungere tutte le principali aree industriali. Anche l’ipotesi del cargo-tram, utilizzata per esempio dalle fabbriche Volkswagen a Dresda, è apparsa percorribile.
Conclusioni L’esercizio di costruzione di scenari con l’impresa partner ha permesso di sperimentare un’azione pilota innovativa nella comunicazione a soggetti privati di questioni legate allo sviluppo territoriale, favorendo il dialogo tra l’approccio economico dei soggetti imprenditoriali, spesso dipendente dalle concrete possibilità di azione nel breve periodo, e una prospettiva territoriale di scala vasta che si confronta con la sostenibilità nella lunga durata. Il confronto ravvicinato con l’impresa ha reso palese come la domanda di infrastrutture che il tessuto d’impresa veneto esprime oggi richieda risposte assai più articolate di quanto una politica delle grandi opere abbia fin’ora fatto. Un’articolazione che riguarda non solamente i tipi di infrastruttura, ma anche i modelli di sviluppo che ciascuna di queste è in grado di sostenere (Lanzani e Pasqui 2011; Tosi, 2011). Se la carenza di “tubi” risulta infatti critica in un modello caratterizzato da un’elevata polarizzazione (Secchi, 2010), lo e’ assai meno in un modello di localizzazione diffusa in cui risulta possibile innalzare la competitività dei sistemi produttivi locali attraverso la predisposizione di un presidio logistico capillare basato su una pluralità di infrastrutture, materiali e immateriali, in cui assume importanza non tanto la costruzione di nuove strade, quanto l’attenta pianificazione dei processi organizzativi, minimizzando il consumo di risorse (economiche, territoriali, ambientali).
Bibliografia
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Martina Pertoldi
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Spazi della logistica: la costruzione di una rete a bassa densitĂ e ad alta intensitĂ
Sitografia
Jones Lang LaSalle (2012), Il mercato logistico Italiano Q3 2012 http://www.joneslanglasalle.it/Italy/ITIT/Pages/ResearchDetails.aspx?TopicName=National%20Research&ItemID=10195&ResearchTitle=Il%20me rcato%20logistico%20Italiano%20Q3%202012.
Martina Pertoldi
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Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana Fulvia Pinto Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: fulvia.pinto@polimi.it
Abstract La tesi sostenuta in questa ricerca riguarda la possibilità di considerare il recupero delle aree ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione del contesto urbano. Vengono analizzate, in particolare, le opportunità che la dismissione degli scali determina per la città, trasformando un problema in risorsa. Il lavoro si propone come obiettivo la definizione di strategie integrate per il governo delle trasformazioni nelle aree delle stazioni ferroviarie in ambito urbano. Viene proposto un possibile progetto di riqualificazione per l’area dello scalo ferroviario di Porta Romana a Milano, che si pone come vera e propria barriera tra due parti di città contrapposte e disuniformemente servite. Le prospettive di lavoro vanno nella direzione di sperimentare le strategie utilizzate in questo caso studio in altre realtà per verificare se il processo di “ricucitura” può rendere, effettivamente, l’intera area ferroviaria più sostenibile e, se ciò risulta possibile, in che maniera tale riqualificazione influisce sull’intera città. Parole chiave Governo del territorio, Riqualificazione urbana, Aree ferroviarie dismesse
Riqualificazione degli scali ferroviari e sviluppo sostenibile Fin dalle origini, le linee ferrate hanno influenzato, modellato e trasformato la forma delle città, con evidenti ricadute sugli spazi edificati e non. Inoltre, gli scali ferroviari hanno inglobato vaste aree limitrofe necessarie alla logistica, al funzionamento e al mantenimento del sistema stesso appropriandosi di considerevoli spazi e suolo urbano. Attualmente si cerca di passare da questa “modalità appropriativa” a una nuova modalità che prevede la restituzione di aree alla città, fornendo così una grande opportunità di sviluppo, riorganizzazione e riqualificazione. Recenti esperienze europee dimostrano che la diversificazione e il potenziamento dei servizi ferroviari sono connessi ad una riorganizzazione della mobilità che modifica sensibilmente le condizioni di accessibilità alle aree urbane centrali e alle diverse parti del territorio che vengono servite, interessando le stazioni, gli spazi destinati agli impianti ferroviari e il tessuto insediativo circostante. Le dinamiche economiche e insediative indotte da tali interventi impongono, quindi, un rapporto diretto tra le scelte di carattere infrastrutturale, connesse al rafforzamento e alla diversificazione dei servizi di trasporto, e le scelte di governo del territorio, che coinvolgono settori urbani strategici, con prospettive di ampio respiro destinate ad incidere fortemente sull’intera struttura urbana. Attualmente la stazione è un luogo in corso di trasformazione: da sito destinato esclusivamente alla clientela ferroviaria diventa un’area urbana centrale, che collega il sistema della mobilità con il sistema urbano attraverso servizi, percorsi e spazi funzionali. La stazione non viene più vista come una barriera fisica tra centro e periferia, ma può diventare un luogo di connessione e di interesse, capace di attirare e sostenere diverse funzioni commerciali, direzionali e di servizio. Recenti esperienze di riqualificazione di aree ferroviarie dimostrano che l’obiettivo non riguarda solamente la riorganizzazione della infrastruttura, ma anche una più generale riorganizzazione della mobilità urbana, che può diventare più “sostenibile”. Inoltre tali aree, spesso inutilizzate, possono rappresentare una risorsa per l’insediamento di nuove funzioni urbane, divenendo area di scambio intermodale per i viaggiatori, ma anche centro attrattore di servizi per l’utenza urbana. Questa nuova filosofia di intervento connette strategicamente i progetti di riqualificazione con politiche urbanistiche, sviluppo immobiliare e commerciale, mobilità dei cittadini e trasporto ferroviario. Fulvia Pinto
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Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
L’obiettivo è quello di trasformare le stazioni in vere e proprie “piazze urbane” o comunque dei luoghi di riferimento significativi della città.
Esperienze di riqualificazione Molte città europee hanno visto, negli ultimi anni, la trasformazione di stazioni e scali dismessi in aree polifunzionali, con importanti ricadute a livello urbano e territoriale. È il caso di città di Paesi come Francia, Germania, Austria, Inghilterra, Olanda e Spagna, ma anche in Italia ormai ci si sta avviando verso questo tipo di riqualificazione. In aree metropolitane come quella di Parigi, Londra, Barcellona, Lione, Rotterdam, la riorganizzazione dei servizi ferroviari è accompagnata ad una riconversione di vaste aree destinate a scali merci e a impianti tecnologici in aree urbane con funzioni di livello nazionale o internazionale. Queste funzioni variano con il mercato immobiliare, le esigenze della città stessa e rispondono alle logiche di una strategia urbana attenta alla competizione tra città, prodotta dall’internazionalizzazione dell’economia e della società. Tale situazione si sta verificando anche a Milano e l’Accordo di Programma per la riqualificazione e il potenziamento degli scali dismessi della città ne è un esempio concreto. Negli ultimi anni, inoltre, sono state potenziate e trasformate alcune stazioni come quella di Porta Garibaldi, che ha integrato al suo interno il sistema di trasporto ferroviario e suburbano con servizi di livello urbano e territoriale. Il caso italiano è molto lontano dal tipo di approccio statunitense dei TOD e dai modelli olandesi e inglesi, in quanto le pratiche di trasformazione delle aree di stazione sono ancora legate alla progettazione urbana piuttosto che ad una programmazione integrata tra interventi per la costruzione delle infrastrutture di trasporto e per la trasformazione degli ambiti urbani. In Italia, solitamente, i diversi operatori che intervengono sul territorio programmano e realizzano separatamente le trasformazioni, all’interno e all’esterno dell’area ferroviaria, ciascuno in base alle proprie logiche settoriali e gestionali. Nella maggior parte dei casi, in Italia, a differenza di altri Paesi Europei, mancano politiche integrate che definiscano una visione strategica di insieme per la trasformazione degli scali ferroviari e delle aree limitrofe. La mancanza di una procedura condivisa ai diversi livelli amministrativi determina un abbassamento della qualità degli interventi alle diverse scale, costituendo un grande rischio per il successo delle iniziative, che possono guidare le trasformazioni urbane in deroga ai piani di governo del territorio. In Italia, spesso, le aree ferroviarie si trovano in una posizione baricentrica rispetto al resto del territorio, ma questa prossimità al centro urbano non impedisce alla stazione di essere un luogo marginale e degradato. Il motivo principale di questa situazione è la “cesura” che tali aree creano all’interno del tessuto urbano, sia dal punto di vista fisico, che morfologico e funzionale. La parte antistante la stazione si fonde con il centro urbano e le prime periferie residenziali, mentre la parte retrostante si configura come una zona caratterizzata da un diffuso degrado. Come nel resto d’Europa anche in Italia negli ultimi anni incominciano a delinearsi nuovi scenari di sviluppo e di riqualificazione dell’offerta di mobilità, connessi alla riorganizzazione delle stazioni e al potenziamento del sistema ferroviario, sia per l’Alta velocità che per i collegamenti locali. In molte città, come Milano, Roma, Torino, le stazioni e le aree limitrofe vengono completamente trasformate. Le direttive seguite nei progetti di recupero riguardano il miglioramento dei collegamenti sia ferroviari che dei mezzi pubblici, l’ottimizzazione del rapporto città - stazione, maggiore sicurezza, comfort e il rispetto delle politiche sostenibili. Un esempio emblematico riguarda il rinnovamento e la valorizzazione commerciale e di servizio della Stazione Termini a Roma. Non meno significativi appaiono gli interventi della stazione di Porta Susa a Torino e di Porta Garibaldi a Milano. Sono esemplari, inoltre, le iniziative societarie attivate da FF.SS., quali, ad esempio, il progetto “Centostazioni” che ha l’obiettivo di valorizzare e gestire gli spazi commerciali di 103 stazioni ferroviarie di medie dimensioni. Vengono effettuati interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare, attività di building e facility management e vengono forniti una serie di servizi accessori specifici per i viaggiatori. Le stazioni si trasformano in qualificati luoghi di aggregazione, capaci di garantire sicurezza, facilità di accesso, pulizia, la possibilità di impiegare il tempo libero in modo gradevole tramite shopping e ristorazione, garantendo anche orari di apertura più estesi rispetto ad altri esercizi della città. Le circa 2500 stazioni italiane sono classificate secondo la “Carta dei Servizi per le Stazioni ferroviarie 2001” delle FF.SS., in: “Grandi stazioni” che movimentano il 30% del traffico di frequentatori totale a livello nazionale; “Medie stazioni” per le quali si prevede una dotazione minima di servizi commerciali e di ristorazione, oltre che di servizi ai passeggeri, e “Piccole stazioni” che registrano un traffico giornaliero medio di 100 persone. La suddivisione operata da FF.SS. si basa sull’importanza dell’impianto in base al ruolo trasportistico da esso svolto. In base alla classificazione degli impianti si sviluppano le strategie per il recupero di tali aree: alle grandi stazioni sono interessate le società “Grandi Stazioni Spa” e “TAV Spa”, che godono di un’ampia autonomia decisionale; per le piccole stazioni, le azioni finora svolte hanno spesso prodotto solo l’affidamento totale o parziale dei fabbricati viaggiatori a enti pubblici o ad associazioni no profit.
Fulvia Pinto
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Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
Lo scalo ferroviario di Porta Romana a Milano L’idea di aprire una nuova stazione ferroviaria nella zona Sud Est di Milano venne elaborata nel 1884 da una commissione di studio indetta per trovare una soluzione alla situazione critica che coinvolgeva la città; infatti, a quell’epoca, Milano rivestiva un ruolo cruciale nel traffico ferroviario e nella relativa industria di materiale rotabile. Tale commissione sottolineava che gli impianti ferroviari esistenti erano concentrati a Nord e ad Ovest della città, mentre non esisteva nulla a Sud e ad Est, nonostante di là provenissero linee di grande importanza (da Venezia, da Bologna, da Genova). Si evidenziava, pertanto, la necessità di aprire una nuova stazione nella zona di Porta Romana. Lo scalo ferroviario fu inaugurato inizialmente solo per il traffico merci nel 1891. L’area si sviluppa in direzione est - ovest per circa un chilometro tra le grosse arterie di corso Lodi e via Ripamonti - via Brembo con una larghezza di circa 200 metri; separa la compatta Milano ottocentesca del Piano Beruto dalle aree più esterne edificate dopo l’inizio del secolo, a ridosso della campagna. La realtà attuale è che tra via Ripamonti e corso Lodi è presente un enorme “vuoto urbano” rappresentato dallo scalo ferroviario di Porta Romana: uno spazio aperto molto ampio e utilizzato in minima parte. L’utilizzo parziale di queste aree comporta l’evidente separazione tra due parti della città e la conseguente differenza di distribuzione di servizi nel suo intorno: da una parte la residenziale e servita arteria di corso Lodi, dall’altra la poco illuminata e “quasi abbandonata” area compresa tra via Brembo e via Ripamonti. La stazione è priva di una biglietteria e di altri servizi utilizzabili dai passeggeri in attesa; il vecchio casello, costruito nel 1918, in stile liberty, è ora adibito a club notturno. L’area nei pressi della stazione presenta delle potenzialità non trascurabili. Sono presenti estese aree verdi, quali il Parco Ravizza e il Parco Marinai d’Italia. Oltre all’aspetto del verde pubblico, che valorizza in maniera considerevole il quartiere, sono presenti numerosi ristoranti, che attraggono ogni sera flussi di persone anche non residenti.
Figura 1: Scalo ferroviario di Porta Romana. Fonte: http://maps.google.it
Altro punto di forza del quartiere sono le Terme di Porta Romana, situate tra le mura romane all’interno della palazzina liberty, ex sede dell’ATM. Sono presenti, inoltre, alcuni teatri quali il “Franco Parenti”, il “Carcano” e il Teatro Oscar. Da non trascurare la vicinanza con l’università Bocconi e con l’Istituto Europeo di Design; lo scalo ferroviario risulta essere, inoltre, la stazione passeggeri più vicina all’università Statale, raggiungibile in meno di 10 minuti con la linea metropolitana n. 3. A pochi metri dalla stazione vi è un Centro Commerciale, con numerosi negozi, ristoranti e un grande supermercato. Ad est della stazione si trova il più grande mercato ortofrutticolo d’Italia. Dal punto di vista sociale, a sud della stazione sorgono un grande centro di accoglienza notturno, il dormitorio di viale Ortles, e il centro di accoglienza diurno, Opera Cardinal Ferrari. Il ponte di San Luigi evidenzia la diversità di servizi presenti nell’intorno della stazione. La parte verso il centro storico è ben collegata con i maggiori punti d’interesse cittadino. La zona compresa tra via Brembo e viale Ripamonti risulta invece priva di collegamenti pubblici; la stazione, allo stato attuale, si pone come una vera e propria barriera tra la zona servita ed un’altra quasi totalmente abbandonata. L’insufficiente illuminazione stradale e la carenza di mezzi pubblici, ma anche di negozi e servizi di vario genere, creano, al di là del ponte, una zona poco frequentata. Per raggiungere via Brembo dalle fermate dei mezzi pubblici bisogna obbligatoriamente “circumnavigare” lo scalo ferroviario poiché non sono presenti attraversamenti o percorsi pedonali che oltrepassano l’area verso viale Isonzo e corso Lodi. Risulta scontata la straordinaria opportunità di ridisegno urbano che coinvolgerebbe l’intera area e che avrebbe ricadute sull’intera zona sud di Milano.
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Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
Una proposta di riqualificazione Il progetto di riqualificazione proposto si articola su tre obiettivi principali: la diffusione del verde, pensata come connessione tra la nuova stazione e il suo intorno, la promozione della mobilità dolce, incentivata dalla realizzazione di percorsi ciclo - pedonali e dalla creazione di postazioni di bike e car sharing ed il recupero della stazione. Le proposte sono state studiate per garantire la corretta coerenza tra gli aspetti logistico - funzionali e quelli relativi agli spazi architettonici ed urbanistici. Il nuovo disegno urbano, che coinvolgerà l’area dello scalo ferroviario e che avrà ripercussioni sul quartiere e sulla città, ha il compito fondamentale di ricucire le parti di città oggi separate. L’area dello scalo diviene un parco tecnologico verde, attraversato da percorsi ciclopedonali pensati per unire le diverse parti della città e collegarsi ai percorsi già presenti nel quartiere o previsti dai progetti di riqualificazione urbana. Da ciò consegue un’immediata connessione con il vicino Parco Agricolo Sud di Milano ed il sistema territoriale meridionale, quindi tra la città appena fuori dalle mura ed il centro storico. La linea ferroviaria attraverserà questo grande spazio, affiancata da specchi d’acqua, per la gestione dell’acqua piovana, e da barriere acustiche e visive studiate secondo criteri architettonici tali da risultare parte integrante del paesaggio urbano. Le barriere vengono mimetizzate con protezioni vegetali, per ridurre l’impatto estetico e migliorare l’efficienza acustica. Durante la fase di analisi per la scelta degli spazi verdi è stata posta particolare attenzione alla struttura generale della città, cercando di conservare l’identità del paesaggio urbano e creando una cucitura tra il territorio oggetto di riqualificazione e le aree limitrofe. Le aree verdi hanno l’obiettivo di valorizzare tutte le potenzialità individuate in fase di analisi. Sono state previste aree relax provviste di panchine e aree giochi per i bambini; ma anche aree destinate ai cani e aree adibite a “percorsi vita” per il tempo libero dei residenti. Si è cercato di sottolineare il concetto di “piazza” come luogo d’incontro, inserendo anche una grande fontana, attorniata da panchine e aree attrezzate. Il verde che circonda la stazione avrà quindi il compito di indurre le persone di passaggio nella stazione a trascorrere i momenti di attesa all’aperto, ma anche quello di consentire ai residenti di utilizzare tale spazio per il tempo libero. Il grande spazio aperto proposto, alterna in diverse proporzioni verde urbano e orti coltivabili, che hanno un riscontro sociale apprezzato e richiamano la forte connessione con il vicino Parco Agricolo Sud. In fase di studio non è stato sottovalutato l’aspetto della sicurezza. Infatti, questi grandi spazi pubblici, sono da una parte un luogo di attrazione per il tempo libero, dall’altra potrebbero diventare luoghi insicuri e degradati soprattutto nelle ore notturne. Per tale motivo, è stato previsto un sistema di sorveglianza con telecamere, la recinzione di alcune zone verdi, con relativi orari di servizio stagionali ed appositi contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti. L’area è stata pensata per accogliere nuovi edifici residenziali, ma anche uffici e un nuovo polo ricreativo - culturale e di servizio, rivolto in particolare alle fasce più giovani, che attualmente soffrono la carenza nel quartiere di strutture adeguate. Riqualificare l’area di uno scalo ferroviario e mantenerne la sua funzionalità è sicuramente un modo per avvicinarsi alla “mobilità dolce”, ma non risulta sufficiente. L’area in cui è collocata la stazione è a ridosso della circumvallazione esterna, un’arteria spesso congestionata durante le ore di punta. Investire sul trasporto pubblico di merci e persone, utilizzando i sistemi meno inquinanti è stato quindi uno degli obiettivi principali del progetto. Innanzitutto sono stati incrementati i sistemi di mobilità intermodale, aumentando la disponibilità di parcheggi di scambio nei quali è possibile lasciare l’automobile per proseguire il tragitto con mezzi pubblici. Sono state previste alcune postazioni di car sharing e verrà, inoltre, incentivato il car pooling, gestito e garantito in un’apposita centrale operativa collocata nella nuova stazione in cui saranno organizzati i tragitti compiuti dai “vari equipaggi” e dai relativi mezzi privati messi a disposizione. Tali strategie dovrebbero favorire la riduzione dell’inquinamento atmosferico e soprattutto ridurre la congestione stradale che spesso interessa la zona, riducendo i costi e i tempi di trasporto e, conseguentemente, aumentando l’efficienza del trasporto pubblico. Gli spazi verdi saranno attraversati da piste e percorsi ciclopedonali che favoriranno la mobilità lenta, garantendo un sistema di vita più sano e migliorando il sistema complessivo del traffico viaggiatori, offrendo un servizio di bike sharing, con postazioni collocate in punti strategici dell’area. I binari della linea ferroviaria saranno facilmente attraversabili mediante appositi ponti ciclo - pedonali, mettendo in comunicazione le aree attualmente separate dalla strada ferrata. La nuova stazione avrà un volto nuovo, anche grazie alla presenza di attività artigianali e commerciali scelte sulla base di uno studio dei servizi presenti nel quartiere. La struttura è stata pensata per un servizio ferroviario più ampio e importante: è destinata a diventare una centralità metropolitana; sarà il punto nevralgico di una rete di trasporti urbani e regionali e ne aumenterà conseguentemente il movimento giornaliero di treni e passeggeri. La stazione è organizzata su più livelli, accessibili da un sistema di scale mobili, nei quali è stata prevista la creazione di aree al pubblico per i servizi e l’istallazione di nuove tecnologie, anche a supporto della sicurezza degli ambienti. I flussi saranno garantiti attraverso un sistema di sottopassi che porterà i due fronti ad essere fortemente connessi. Ogni locale e livello è stato pensato per garantire l’accessibilità anche a persone diversamente abili; sono previsti, inoltre ascensori e rampe di accesso alla stazione. La stazione, in cui l’illuminazione gioca un ruolo chiave, sarà completamente attrezzata con tecnologie ad alta efficienza energetica.
Fulvia Pinto
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Mobilità sostenibile e governo del territorio: le stazioni ferroviarie dismesse come occasione di riqualificazione urbana
La copertura, come nel caso della stazione di Porta Susa, sarà integrata con pannelli fotovoltaici, che forniranno, almeno in parte, l’energia elettrica necessaria per i servizi della stazione.
Bibliografia AA.VV. (2003), Trasporti e Qualità urbana. Il rinnovo delle stazioni come occasione di riqualificazione urbana, Centro Studi OIKOS, Regione Emilia Romagna, Bologna. AA.VV. (2004), Stazioni ferroviarie e riqualificazione urbana, Regione Emilia Romagna, Compositori, Bologna. AA.VV. (2005), Project Bahn.Ville: développement urbain orienté vers le rail et intermodalité dans le region urbaines allemandes et françaises, Imprimerie Girold, Gresswiller. Belgiojoso A., Marescotti L. (1985), Il passante ferroviario e la trasformazione di Milano, Clup, Milano. Bertolini L. (2008), “Station areas as nodes and places in urban networks: An analytical tool and alternative development strategies”, in Bruinsma F. et al. (eds.), Railway Development: Impacts on Urban Dynamics, Physica - Verlag, Heidelberg. Martinelli C., Piva R. (2012), La riqualificazione sostenibile degli scali ferroviari: il caso dell’area “Porta Romana” a Milano, tesi di Laurea Magistrale, Facoltà di Ingegneria Edile - Architettura, Politecnico di Milano. Relatore: prof. Fulvia Pinto. Morandi C. (2005), Milano: la grande trasformazione urbana, Marsilio, Milano. Natalicchio S., Tamini L. (2003), Grandi aree e stazioni ferroviarie. Attori, strategie, pratiche di trasformazione urbana, EGEA, Milano Natalicchio S., Pinto F. (2005), Il ruolo dell’accessibilità ciclabile ai centri di interscambio: un’occasione di riconnessione urbana per la mobilità ecologica” in Pezzagno M.; Sandrini K. (a cura di), Living and walking in cities. The place of bicycle, volume IX, Camuna, Brescia. Pellegrino B. (2011), Così era Milano - Porta Romana, Edizioni Meneghine, Milano. Pinto F. (2011), “Riqualificazione delle ferrovie dismesse per una mobilità sostenibile: la green way della Val Brembana”, in TC Trasporti & Cultura, anno XI, n. 29/30 “Alta velocità e contesti regionali”, pp. 110 - 115, Campanotto, Udine.
Fulvia Pinto
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La smart region tra Torino e Milano per EXPO 2015 – ICTs e riequilibrio territoriale
Una Smart Region tra Torino e Milano per EXPO 2015 ICTs e riequilibrio territoriale Andrea Rolando Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: andrea.rolando@polimi.it Tel: +39 3484105746 Giovanni Castaldo Politecnico di Milano - Politecnico di Torino ASP - Alta Scuola Politecnica Email: castaldo.giova@gmail.com Tel: +39 3474240335 Davide Mezzino Politecnico di Milano- Politecnico di Torino ASP - Alta Scuola Politecnica Email: davide.mezzino@gmail.com Tel: +39 3382974236 Cristiana Oggero Politecnico di Milano- Politecnico di Torino ASP - Alta Scuola Politecnica Email: cristiana.oggero@gmail.com Tel: +39 3343011384 Bogdan Stojanovic Politecnico di Milano - Politecnico di Torino ASP - Alta Scuola Politecnica Email: orange.bogdan@hotmail.com Tel: +39 3481723265 Abstract Riflettendo sulle tematiche dell’integrazione tra urbanistica, sviluppo e mobilità, è stato sviluppato il progetto E-SCAPE il cui titolo sta per ‘Electronic- landSCAPE’, indicando le possibili integrazioni tra il contesto paesaggistico e territoriale con le nuove tecnologie di comunicazione e informazione. L’idea si esplicita in due elementi chiave: da una parte, l'utilizzo delle tecnologie informatiche avanzate per l’elaborazione di un servizio volto a migliorare le pratiche di fruizione del territorio da parte di diversi utenti (abitanti e visitatori) e dall’altra, la promozione e la valorizzazione territoriale. L’ambito d’interesse è stato individuato nel territorio compreso tra Torino e Milano, caratterizzato da un forte squilibrio sia materiale (concentrazione infrastrutturale, effetto ‘tunnel’ creato dalle reti veloci), che immateriale (accesso ai flussi di dati e d'informazioni concentrati attorno ai due principali poli urbani), provocando un isolamento ed una emarginazione dei territori intermedi. Il progetto proposto consiste pertanto in un'applicazione per terminali mobili di comunicazione (smartphone, tablet, ecc.) che utilizza le tecnologie di prossimità per il ribilanciamento territoriale, attivando e incentivando la fruizione dei luoghi attraverso la promozione delle potenzialità del territorio. L’idea gravita attorno all’evento catalizzatore dell’ EXPO 2015, per il quale sono attesi milioni di visitatori, conferendo visibilità a scala internazionale alla Mi-To smart-region. Parole chiave smart-region, riequilibrio territoriale, web-App, EXPO 2015 Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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La smart region tra Torino e Milano per EXPO 2015 – ICTs e riequilibrio territoriale
Introduzione Partendo da considerazioni relative a possibili nuovi approcci per azioni di riequilibrio e valorizzazione territoriale, sono state indagate le potenzialità delle nuove tecnologie digitali. L’ambito considerato è stato il territorio compreso tra Torino e Milano, caratterizzato da condizioni fisiche e buone pratiche che si evidenziano in una progressiva emarginazione ed isolamento di ampie porzioni di territorio, comprendenti realtà urbane e rurali. Queste problematiche sono considerate alla luce dell’analisi della mobilità e del sistema connettivo attuale. In particolare con la recente realizzazione delle reti ad Alta Velocità, in sovrapposizione con la rete autostradale, si è acuito il cosiddetto effetto tunnel che, se da un lato ha permesso una sempre più intensa connessione tra il capoluogo piemontese e quello lombardo, dall’altro sembra aver allontanato ancor più le polarità del territorio intermedio. Nonostante un’evoluzione a livello di mobilità e accessibilità dei due maggiori poli urbani, Milano e Torino, si manifesta al tempo stesso una condizione di squilibrio tra le varie realtà territoriali, che potrebbero essere mitigati ricorrendo a pratiche di progetto innovative, volte alla creazione di una smart region, contesto territoriale di scala ottimale per la sperimentazione di tali pratiche (A. Rolando, 2011). L’impossibilità di definire questo territorio ‘smart’1 (P. Lombardi, 2011), ovvero intelligentemente pianificato, connesso e accessibile, è dovuto soprattutto all’assenza di una sistema di gestione razionale del sistema infrastrutturale già esistente, che connetta e renda accessibile in modo ottimale anche gli ambienti compresi tra i due poli urbani, contraddistinti da un patrimonio naturale, paesaggistico, culturale e produttivo di grande importanza. In particolare, il sistema produttivo legato all’economia agricola che caratterizza gran parte delle componenti paesaggistiche degli ambiti in esame, rappresenta un unicum nel contesto italiano ed internazionale, in particolare per quanto riguarda la produzione risicola, una delle maggiori a livello europeo, la presenza di un sistema diffuso e capillare di centri agricoli-produttivi, storicamente consolidati e contraddistinti da un’infrastrutturazione idraulica diffusa, esempio pregevole di opera ingegneristica su vasta scala. Elemento fondamentale e strutturante il territorio è il Canale Cavour, costruito a supporto dell’agricoltura tra il 1863 e il 1866, con origine dal Po a Chivasso (Torino) e sbocco a Galliate, sul fiume Ticino, al confine con la Lombardia dopo un percorso di 85 km. Questo elemento rappresenta quindi un asse di collegamento a scala infra regionale sia fisico che simbolico, suggerendo una tipologia di mobilità dolce e lenta, integrata al sistema delle reti lunghe e veloci che attraversano lo stesso territorio, ma capaci di cogliere l’insieme di valori ambientali e socio culturali, nonché le componenti naturali mutevoli di un paesaggio unico. L’insieme di queste interessanti tematiche sono state affrontate all’interno di un progetto multidisciplinare dell’Alta Scuola Politecnica (ASP)2 denominato E-SCAPE, il cui obiettivo è legato alla creazione di un servizio3 che coniughi le istanze di interazione sociale e marketing territoriale, attraverso l’incentivo ad una mobilità lenta e una esplorazione dei territori e dell’ambiente naturale e costruito, rurale e urbano. Il progetto sviluppato consiste, inoltre, nell’ideazione di un'applicazione per terminali mobili di comunicazione (smartphone o tablet) utilizzante tecnologie di prossimità4 per la valorizzazione del territorio, che incentivino e promuovano una partecipazione diretta degli utenti nel processo di individuazione e di promozione dei luoghi, attraverso una logica inclusiva di tipo bottom up5. L’intento dello studio è quello di dimostrare che le tecnologie d’informazione e comunicazione, possono generare e stimolare le trasformazioni del territorio a livello di mobilità, accessibilità e quindi fruizione, contrastando le dinamiche finora sviluppatesi, determinate da una sola
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Il termine “smart” (che si usa tradurre dall’inglese con l’aggettivo “intelligente”, ma con un significato forse più vicino a “furbo” in quanto capace di sfruttare in modo efficiente le risorse del contesto e le tecnologie a disposizione) è ormai comunemente applicato nella definizione di ambiti urbani e territoriali indicando come la grande capacità teorica di connessione ed elaborazione di informazione offerta dalle tecnologie ICT possa contribuire a costruire un modello di collettività molto più cooperativa che in passato, e per questo più “intelligente”, cioè in grado di perseguire soluzioni maggiormente efficienti, competitive e inclusive. Questa concezione evidenzia come lo scambio e il processo di elaborazione dell’informazione possa condurre a miglioramenti materiali diretti nelle comunità coinvolte: non solo più tempo disponibile e più conoscenza diffusa, ma anche risparmi di consumi di risorse, miglior servizi reali e qualità della vita, migliore mobilità spaziale effettiva e non solo virtuale. 2 Si veda il sito www. asp-poli.it e il progetto “E-Scape - New tools and new opportunities for the localization of Expo 2015 general interest services along the Canale Cavour, a backbone of the Milano–Torino urban region", Progetto n. 11 del settimo ciclo, anni 2011-2013, tutor principali Andrea Rolando e Corinna Morandi, partner esterno Telecom Italia. 3 Consistente in una web-App per terminali mobili di comunicazione (es. smartphone, tablet, ecc.,) . 4 Sono un insieme altamente eterogeneo di soluzioni tecnologiche e devices per lo scambio di informazioni e dati tra sorgenti, accomunate dal fatto che tale scambio possa avvenire solo attraverso una prossimità fisica-spaziale. Tra le diverse tipologie di tecnologie di prossimità si ricordano ad esempio: Radio Frequency Identification (RFID), Near Field Communication (NFC), QR code, ecc,. 5 Letteralmente dall’inglese “dal basso all’alto”, il termine indica generalmente approcci partecipativi che prevedono il coinvolgimento delle diverse fasce della popolazione. Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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infrastrutturazione fisica caratterizzata da un approccio top down6, che non prevedono un coinvolgimento effettivo di tutti gli attori interessati.
L’analisi Per far fronte a nuovi scenari di sviluppo a scala territoriale, molti ritengono opportuno un orientamento verso scelte concrete di tipo strategico, urbanistico e territoriale, che possano innescare nuove dinamiche di integrazione tra aree urbane e rurali. Il progetto mira dunque ad incentivare le relazioni tra persone, luoghi e informazioni, in costante movimento, tra differenti aree territoriali (M. Deakin, 2010). In questa ottica risulta necessario parlare di regione metropolitana e territorio policentrico, soprattutto nel caso specifico dell’area compresa tra Milano e Torino, dove l’innovazione delle relazioni tra persone e luoghi fisici, è in grado di favorire dinamiche di promozione delle realtà urbane e rurali, preservando al contempo gli elementi d’identità locale e contribuendo al processo di progressiva costruzione di una ‘smart region’. Nella fase di analisi e conoscenza si sono evidenziate le caratteristiche del territorio oggetto di studio, che oltre notevoli elementi d’interesse e potenzialità latenti, presenta, come prima accennato, condizioni di squilibrio sia a livello materiale che immateriale.
Figura 1. Schematizzazione della rete infrastrutturale dell’area compresa tra Torino e Milano.
Il progetto vuole affrontare queste tematiche con un approccio software in una prospettiva differente, comprendendo e indirizzando le trasformazioni a scala territoriale partendo dalla convinzione che anche sistemi informativi, di comunicazione e informatici sono in grado di influire, anche profondamente, sui comportamenti e sulle dinamiche tra città e campagna e quindi, in ultima istanza, sul disegno del territorio. Lo sviluppo più recente dei terminali mobili di comunicazione sta generando nuove potenzialità, consentendo lo sviluppo di pratiche partecipative, utili alla conoscenza e alla gestione delle infrastrutture, della mobilità e degli spazi collettivi e più in generale al governo e alla gestione del territorio. Il tradizionale concetto di mobilità viene trasferito nel quadro digitae, a partire dalle possibilità offerte dalle applicazioni per telefoni cellulari e tablet, di agevolare lo scambio e il confronto tra gli utenti, i quali, interagendo con lo spazio in cui si muovono e in cui vivono, possono condividere informazioni ed esperienze in tempo reale utili per l’incremento della sostenibilità degli spostamenti oltre che per incentivare la partecipazione attiva nelle trasformazioni e nella gestione di spazi alle diverse scale (A. Rolando 2011). L'idea sottesa è pertanto che la realizzazione di una smart region, soprattutto nel caso specifico del territorio tra Milano e Torino, possa avvenire attraverso un accostamento dei sistemi di infrastrutturazione fisica (già presenti), a sistemi di comunicazione e di scambio di informazione innovativi e di ultima generazione. Il problema del forte sbilanciamento territoriale può essere affrontato attraverso la realizzazione di nuovi servizi immateriali, in grado di sovrapporsi ai sistemi fisici cercando di sopperire le lacune e permettere una valorizzazione dei territori intermedi. Se il problema principale è proprio la mancata visibilità dei territori rurali
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Letteralmente dall’inglese “dall'alto verso il basso”, il termine utilizzato principalmente in campo informatico, indica in questa sede un tipo di decisioni (riguardanti diversi soggetti pubblici e privati) attuate per l’appunto dall’alto, da un gruppo ristretto di persone.
Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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(e le infrastrutture fisiche che finora hanno accentuato tali problematiche), un sistema smart di scambio di informazioni e dati potrebbe costituire una risposta adeguata.
Il progetto Le tecnologie digitali stanno acquisendo sempre maggiore importanza, influenzando gli ambiti scientifici economici politici e sociali. In generale diventa quindi interessante come riflettere su come questi strumenti possano essere impiegati nella pianificazione urbana e territoriale. La creazione di un servizio come quello di un’applicazione per dispositivi mobili, permetterebbe di coniugare le istanze di interazione sociale con quelle di promozione e marketing territoriale, incentivando l’esplorazione dei luoghi condividendo emozioni e commenti derivati dalla fruizione degli stessi. In particolare alla luce di queste considerazioni è scaturito E-SCAPE, progetto sviluppato in collaborazione con Telecom Italia, che mira ad estendere l’utilizzo delle nuove tecnologie applicate alle reti infrastrutturali sia veloci (alta velocità, rete autostradale) che lente (piste ciclabili, percorsi pedonali e reti di mobilità dolce in generale) e agli spazi pubblici urbani alla scala vasta del territorio compreso tra Torino e Milano. Quest’area che può essere definita come regione metropolitana, è dotata di un articolato sistema di relazioni territoriali (la linea ferroviaria ad alta velocità; i grandi eventi, dalle Olimpiadi 2006 all’Expo 2015; l’ASP; la joint venture tra le Camere di Commercio di Torino e Milano; il Festival MiTo), ma caratterizzata dai frequenti squilibri, precedentemente accennati, tra i poli urbani principali e le aree intermedie. Integrando istanze di interazione sociale e promozione territoriale, è stato sviluppato il prototipo di un’applicazione per smartphone e tablet con l’obiettivo di migliorare la fruibilità degli spazi pubblici7 della regione metropolitana tra Torino e Milano, dotata di un elevato valore paesaggistico e integrato da nodi (gli spazi pubblici) e reti (le connessioni fisiche e immateriali), che potrebbe contribuire al riequilibrio di territori penalizzati dai corridoi infrastrutturali e porsi come palcoscenico territoriale per un’esperienza reale e diffusa dei temi dell’Expo 2015. Un ulteriore questione affrontati nell’applicativo è l’interazione fra gli utenti, creando un’interfaccia in grado di minimizzare la concentrazione dell’utente verso il dispositivo mobile e incentivando invece una più proficua relazione esperienziale diretta con i luoghi. Per realizzare ciò si è fatto ricorso alla tecnologia NFC (Near Field Communication)8, basata su una rete iniziale di punti di interesse selezionati con un approccio “top-down” grazie alle informazioni provenienti dagli open data o dal territorio. Si tratta di punti strategici: luoghi di particolare interesse paesaggistico e culturale, dislocati lungo il Canale Cavour, o principali punti di snodo per l’accesso al servizio, comprese le stazioni ferroviarie e le aree di servizio poste lungo le reti autostradali che innervano in modo intensivo l’intero territorio considerato. La rete di punti che verrà così a delinearsi, potrà essere implementata dagli NFC iniziali e da quelli di seconda generazione, attivabili attraverso commenti, immagini e video caricati dagli utenti che hanno esplorato il territorio utilizzato E-SCAPE. Questo tipo di approccio dal basso (bottom up) permetterà di elaborare mappe ‘real-time’ con dati e informazioni sempre aggiornate.
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Tematica affrontata e presentata nella Call for ideas Spazio pubblico | networks | social innovation - “Un Central Park tra Torino e Milano? Uno spazio pubblico per Expo 2015” – vincitore del premio Biennale Spazio Pubblico 2013. 8 Tecnologia a radiofrequenza che consente di far dialogare due dispositivi a breve distanza consentendo lo scambio di informazioni. Nata dall’evoluzione della tecnologia Radio Frequency Identification (RFID) al contrario della quale i chip NFC permettono una comunicazione bidirezionale, ponendo realmente in contatto emittente e ricevitore. Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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Figura 2 Esemplificazione del processo di incremento dei punti di interesse e dei relativi NCF nel territorio.
Il servizio utilizza le tecnologie di prossimità per la promozione e la valorizzazione del territorio attraverso: • un sistema di rappresentazione del territorio per terminali mobili di comunicazione personalizzato per ogni utente, interattivo ed efficace; • una forma innovativa di mappatura del territorio all’interno dell’applicazione che presenta selezionati Punti d’interesse, individuati in base alle preferenze e agli interessi dell’utente integrati a variabili esterne;
Figura 3. Esemplificazione dell’utilizzo dell’applicazione [e]-scape all’interno della MI-TO smart region.
• l’utilizzo della tecnologia Near Field Communication (NFC) nel territorio per l’accesso all’app, capace di conferirvi nuovi significati costruendo relazioni tra spazi fisici e utenti attraverso la garanzia della presenza sul luogo e della sua effettiva fruizione e conoscenza;
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Figura 4. Interazione tra utenti e luoghi attraverso l’utilizzo delle tecnologie di prossimità ed in particolare dei tag NFC Near Field Communication.
• la creazione di una virtual social instant community capace di favorire l’interazione tra utenti, sia visitatori che abitanti locali; • l’incremento del senso di appartenenza ai luoghi attraverso l’esperienza e l’esplorazione degli stessi tramite una nuova interpretazione dell’EXPO non solo più come esposizione (EXPOsition), ma come esplorazione (EXPloring).
Figura 5. Diagramma di funzionamento dell’applicazione E-SCAPE e della sua componente di interazione tra utente luoghi.
Queste proposte gravitano attorno all’evento catalizzatore EXPO 2015, con un considerevole numero di visitatori attesi, che permetterebbe di raggiungere la soglia critica di utenti interessati al servizio proposto, da cui si ricaverebbero dati relativi a esigenze, preferenze, spostamenti in termini di origine e destinazione, indice di gradimento dei luoghi. Questi dati verrebbero poi riutilizzati per collaborare al processo di formazione di una smart region e di ricadute positive derivanti da un possibile uso, anche commerciale, dei dati stessi. Il servizio il cui prototipo è stato testato su Cascina San Maiolo (Novara) nella prospettiva di essere in futuro replicato in altri luoghi, ha voluto dare una dimostrazione di come tramite le tecnologie di informazione e comunicazione si possano definire approcci partecipativi per un migliore governo del territorio sia a scala urbana (smart city) che a quella territoriale (smart region). E-SCAPE offre pertanto una soluzione alle problematiche poste inizialmente, incentivando l’esplorazione e la fruizione dei territori intermedi compresi tra Torino e Milano, generando contemporaneamente flussi di informazioni e dati, partecipando alla formazione di un territorio intelligente capace di auto-promuoversi e valorizzarsi, sfruttando le sue potenzialità in una logica partecipativa. Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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Bibliografia A.Arcidiacono e L. Pogliani, Le politiche urbane di Milano (Guardando Torino), in A&RT, LXV-3-4, anno 144, “TTorino – Milano: prospettive territoriali per una cooperazione competitiva”, 69–75, 2012 C.A. Barbieri, Le politiche urbanistiche di Torino e lo sguardo verso Milano, in A&RT, LXV 3-4, anno 144, “Torino – Milano: prospettive territoriali per una cooperazione competitiva”, 76-81, 2012 A.Rolando, Torino e Milano: territori intermedi e spazi aperti come opportunità di sviluppo per una Smart Region, in A. De Magistris e A. Rolando (a cura di), Torino Milano, prospettive territoriali per una cooperazione competitiva, numero monografico di Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e Architetti in Torino, LXV-3-4 nuova serie, Dicembre 2011 JJ. King, The Node Knows, in Else/Where: Mapping - New Cartographies of Networks and Territories, edited by Janet Abrams and Peter Hall, University of Minnesota Design Institute, 2006. M. Castells, La città delle reti, I libri di Reset, 2004 M. Deakin, SCRAN: the Smart Cities (inter) Regional Academic Network Supporting the Development of a Trans-National Comparator for the Standardisation of eGovernment Services in Reddick, C. (ed.), Comparative E-government: An Examination of E-Government Across Countries (Springer Press: Berlin), 425-447, 2010. M. Kuniavsky, Smart Things: Ubiquitous Computing User Experience Design, Morgan Kaufmann Editor, San Francisco, 2010. P. Fusero, E-city. Digital networks and future cities. I-Care.Italy contemp. advanced researches, Barcelona, 2008 P. Lombardi, New challenges in the evaluation of Smart Cities, Intelligent governance of large urban systems, Vol. 13 n. 3, 2011. P. Perulli, Northern Italy as a global-city region, in Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, A&RT, Turin – Milan: territorial perspectives for a competitive cooperation, Anno 144, LXV 3-4, Torino, 2011.
Sitografia Telecom Italia http://www.telecomitalia.it/ CoMoDo http://www.fiab-onlus.it/comodo.htm Consortium Est Sesia http://www.estsesia.it Cascina San Maiolo www.cascinasanmaiolo.it EXPO 2015 http://www.expo2015.org Novara Province www.provincia.novara.it Vercelli Province www.provincia.vercelli.it Ruhr Regional Administration http://www.ruhr.de/home Metropole Ruhr http://www.metropoleruhr.de http://business.metropoleruhr.de/en.html LEI Den Haag www.lei.wur.nl/NL www.confindustriaixi.it/documenti/Presentazione_VARRIALE.ppt [10:24:09 PM] Giovanni Castaldo: Telecom Italia - www.telecomitalia.it/ CoMoDo www.fiab-onlus.it/comodo.htm Consortium Est Sesia www.estsesia.it Cascina San Maiolo www.cascinasanmaiolo.it EXPO 2015 www.expo2015.org Novara Province www.provincia.novara.it Vercelli Province www.provincia.vercelli.it Ruhr Regional Administration www.ruhr.de/home Metropole Ruhr www.metropoleruhr.de www.business.metropoleruhr.de/en.html LEI Den Haag www.lei.wur.nl/NL
Riconoscimenti Si ringraziano per l’attiva collaborazione e il supporto nello sviluppo del progetto: Prof. Andrea Rolando, Prof. Corinna Morandi, Ing. Andrea Bragagnini di Telecom Italia, Prof. Chiara Occelli, Prof. Riccardo Palma, Prof. Andrea De Marco e tutto il board e lo staff dell’Alta Scuola Politecnica.
Copyright Gruppo [e]-scape: Federica Bonavero, Giovanni Castaldo, Lucia D’amato, Tijana Dijorgevic, Benedetta Giudice, Michele Giusto, Davide Mezzino Crisitiana Oggero, Federica Remondi, Bogdan Stojanovic, Doaa Salah Eldin, Simona Valenti.
Andrea Rolando, Giovanni Castaldo, Davide Mezzino, Cristiana Oggero, Bogdan Stojanovic
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari Christian Scintu Email: ing.christianscintu@gmail.com
Abstract Il complesso processo di riqualificazione e rivitalizzazione delle zone di waterfront che ha caratterizzato molte città del mondo passa attraverso la riorganizzazione più o meno strutturale del loro sistema dei trasporti. Uno degli obiettivi di questo processo è quello di creare una cerniera fondamentale tra i traffici che si muovono tra acqua, terra e aria con importanti ricadute sulle attività sociali ed economiche di un territorio. I progetti di mobilità sostenibile, oltre a permettere di riconfigurare l’intero sistema di spazi pubblici, consentono di ridefinire assetti e gerarchie urbane e di riportare alla fruizione collettiva luoghi abbandonati o nascosti, di elevata qualità ambientale e paesaggistica. L’ambito territoriale di studio è quello del lungomare di Cagliari, capoluogo della Regione Sardegna. L’apertura a nuove forme di mobilità, alternative rispetto a quelle tradizionalmente utilizzate, assume un ruolo cardine nella definizione di processi sostenibili di riqualificazione del waterfront cagliaritano. Parole chiave Mobility, sustainable, waterfront.
Premessa In un’epoca di crisi generalizzata le strategie di riqualificazione urbana rappresentano un potenziale strumento per definire nuovi scenari di propulsione per la crescita economica, compatibili con la salvaguardia dell’ambiente e orientati allo sfruttamento delle risorse rinnovabili e al risparmio di quelle non rinnovabili. La presente ricerca, originata da una tesi finale di Master, presenta un progetto di riqualificazione del lungomare di Cagliari, orientato allo sfruttamento delle potenzialità di un territorio caratterizzato da pregevoli valori paesaggistici e ambientali, che ne qualificano le virtù unitamente all’esclusivo rapporto con il mare. Nell’ambito dell’articolato processo di riqualificazione di una porzione rilevante della città contemporanea, il progetto intende far riflettere sul ruolo fondamentale del sistema della mobilità urbana, che deve confrontarsi con i paradigmi della sostenibilità ambientale e con le nuove esigenze sociali e culturali degli abitanti.
Mobilità e rigenerazione dei waterfront urbani Con il termine di “water renaissance” si intende «quel complesso processo di riqualificazione e rivitalizzazione delle zone di waterfront, che ha caratterizzato molte operazioni di rinnovo, in numerose città del mondo» (Bruttomesso, 2007). Il tema della rigenerazione delle “città d'acqua” incentra interessanti opportunità di trasformazione urbana, attraverso l’introduzione di azioni strategiche su opere in grado di innescare modificazioni del territorio, come ad esempio le infrastrutture. La presenza dell’acqua rappresenta una risorsa per il miglioramento della qualità dell’ambiente urbano attraverso la riqualificazione delle aree portuali, che da sempre costituiscono le aree più vitali e dinamiche delle città, e il contestuale recupero delle “aree di interfaccia”, cioè quelle aree a diretto contatto con l’acqua, al confine con i mari, i fiumi o i laghi, che spesso si collocano vicine ai poli attrattivi della città e che si configurano quali alimentatori della qualità urbana. Il waterfront rappresenta un nodo di intersezioni infrastrutturali sia marine che terrestri, un ambiente dinamico, che racchiude contemporaneamente passato e futuro.
Christian Scintu
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
Nell’ambito del progetto della città contemporanea, il tema della rigenerazione dei waterfront assume un ruolo di primaria importanza ed esige un approccio multidisciplinare al fine di valorizzare le risorse culturali, ambientali, produttive e turistiche di un territorio. Al centro di detto approccio multidisciplinare si colloca il tema della mobilità che in tali processi esercita indubbiamente un peso rilevante. Infatti, dallo studio delle dinamiche di trasformazione che hanno interessato le aree di waterfront urbano delle principali città mediterranee e nordeuropee, identificabili quali “best practices” della riqualificazione, emerge l’importanza che l’analisi ed il progetto del sistema mobilità ricopre all'interno dei nuovi ambiti urbani, e pone in rilievo quali azioni di valorizzazione influiscano maggiormente su questi processi. «La mobilità risulta essere una premessa significativa per le dinamiche e i processi sociali ed economici; le vie di comunicazione costituiscono altresì fattori determinanti per l’organizzazione territoriale e l’uso del suolo» (de Castro, 2009). La mobilità rappresenta quindi uno degli elementi chiave di questi processi, potendo intervenire in maniera consistente nella regolazione dei sistemi di relazione della città con l’elemento acqua, definendo un profondo legame tra la città compatta e il waterfront. Le azioni strategiche sulla mobilità, oltre a permettere di riconfigurare l’intero sistema di spazi pubblici, consentono di ridefinire assetti e gerarchie e di riportare alla fruizione collettiva luoghi abbandonati o nascosti di elevata qualità ambientale. Allo stato attuale risulta imprescindibile un’inversione del modo di pianificare la mobilità, orientandola al concetto, ormai ampiamente diffuso, della sostenibilità, in termini di riduzione degli agenti inquinanti e dei consumi energetici, congiuntamente al perseguimento degli obiettivi di efficienza, accessibilità e sicurezza. I progetti di mobilità sostenibile hanno quindi l’obiettivo di ridurre gli impatti negativi del trasporto urbano sull’ambiente e di soddisfare le esigenze dei cittadini, riducendo al contempo i costi sociali e ambientali. Le città d’acqua, a tal proposito, offrono la possibilità di sviluppare un tipo di trasporto complementare a quello classico che, oltre a decongestionare le strade delle città, offre importanti ricadute economiche in ambito turistico. Migliorare il sistema della mobilità in chiave sostenibile, attraverso l’introduzione di forme di trasporto alternative a quelle più diffuse, l’offerta di soluzioni innovative per il contesto di riferimento (quali ad esempio il trasporto intermodale, il car-pooling, il car-sharing, ed il bike sharing), l’ottimizzazione di tutte le modalità di trasporto, l’integrazione dei diversi sistemi di trasporto collettivo e individuale, nonché l’introduzione e/o potenziamento di percorsi pedonali e ciclabili, unitamente alla razionalizzazione dei flussi di traffico, costituiscono un primo passo indispensabile per migliorare la qualità dell’ambiente e la vita degli abitanti.
Contesto di riferimento: il lungomare di Cagliari L’area oggetto di studio è ubicata nella costa sud-orientale della Sardegna, nel territorio del Comune di Cagliari, e si estende dal polo portuale al quartiere di edilizia economica e popolare considerato a più elevato rischio sociale della città, denominato “S. Elia” (figura 1).
Figura 1. Inquadramento territoriale della città di Cagliari e della conurbazione cagliaritana.
Il porto ed il suo indotto rappresentano per Cagliari un settore strategico per lo sviluppo economico dell’area vasta del capoluogo sardo, che però presenta ancora diverse criticità che inibiscono la completa espressione delle potenzialità connesse con il sito. Christian Scintu
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
«Il porto ha sempre avuto una sua dimensione urbana, sia perché è sempre stato fortemente integrato nella struttura della città, sia perché ha rappresentato per la città una risorsa – non soltanto economica – di primaria importanza» (Bruttomesso, 1993). Il polo Portuale di Cagliari è costituito dal porto commerciale, da quello industriale (Porto Canale) e dal terminale petrolifero di porto Foxi. Il Porto, classificato come porto di II categoria, 1ª classe, sorge nella zona più interna dell’omonimo golfo che si estende da Capo Carbonara ad Est a Capo Pula ad Ovest. Rientra a pieno titolo nella ricerca il porto commerciale (figura 2), delimitato da due opere foranee esterne, chiamate Nuovo Molo di Ponente e Nuovo Molo di Levante, e da un’opera interna, ormai demolita, denominata “Vecchio Molo di Levante”. Oltre a garantire l’attracco delle navi traghetto, passeggeri e merci, il porto commerciale ospita anche le navi da crociera (banchina “Garau” e “Ichnusa”, sede del Terminal crociere di recente costruzione), e le imbarcazioni da diporto e pescherecci. In particolare la zona di “Su Siccu”, costituita dal banchinamento del Pennello di Bonaria e dalla Calata Trinitari, è sede di un porticciolo turistico.
Figura 2. Porto di Cagliari e veduta dei quartieri storici.
Il quartiere “S.Elia” (figura 3) si affaccia sul mare e si sviluppa a ridosso di aree di notevole pregio ambientale e paesaggistico. Detto quartiere, che conta circa 6.000 abitanti, è caratterizzato da un profondo disagio urbano e sociale, che trae origine dall’isolamento dalla città, dalla concentrazione di ceti sociali a basso reddito, dalla mancata qualificazione degli spazi a diretto contatto con la residenza e dalla carenza di servizi e di spazi pubblici. Tutto ciò ha favorito la nascita di un “ghetto” sociale, noto a tutti i cagliaritani per i frequenti episodi di microcriminalità. Nel quartiere si possono distinguere il “Borgo Vecchio” e il “S.Elia nuovo”. La parte del quartiere denominata “Borgo S.Elia” o “Borgo Vecchio” è stata costruita tra il 1951 ed il 1956 ed è costituita da 85 palazzine localizzate alle pendici del colle, di fronte al vecchio “Lazzaretto”; tali alloggi furono costruiti per dare una “immediata” risposta ad una domanda abitativa, che si tradusse in un confinamento e isolamento degli abitanti dal resto della città. Il quartiere “nuovo” è costituito quasi esclusivamente da insediamenti di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata (circa 1500 alloggi) costruiti tra il 1976 e il 2000; esso è articolato in quattro settori, caratterizzati dalle differenti tipologie costruttive degli edifici (complesso Del Favero, complesso delle Lame, complesso delle Torri e complesso degli Anelli)1.
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Il Piano di Zona “Su Siccu – S. Elia” è stato approvato definitivamente con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 43 del 25 giugno 2002
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
Nel 2006 la Regione Sardegna, in accordo con il Comune, ha messo in gioco ingenti risorse finanziarie per la riqualificazione del quartiere e per l’attivazione di importanti iniziative quali la realizzazione del porticciolo pescatori e del museo “Betile”. Gli esiti del Concept Masterplan Study2 e dello Studio di fattibilità3, nonché il recente Masterplan4 hanno rappresentato per A.R.E.A.5 il fondamento dal quale proporre e avviare un importante processo di riqualificazione dell’intero quartiere.
Figura 3. Quartiere S.Elia – vista dall’alto
Criticità e punti di forza del lungomare La proposta progettuale è stata preceduta da una fase cosiddetta di diagnosi, basata su un’attenta analisi dei luoghi, dal punto di vista ambientale, paesaggistico, dell’uso del suolo e della mobilità, allo scopo di definire un quadro delle conoscenze indispensabile per poter procedere alla stesura di una proposta di riqualificazione (figura 4). Dalle analisi condotte sono emerse fin da subito le profonde criticità espresse ed inespresse del sistema della mobilità che caratterizza il waterfront cagliaritano, che sono comuni anche ad altre realtà della penisola (figura 5). A titolo esemplificativo, si elencano alcuni degli elementi di debolezza e criticità che sono stati affrontati per poter costruire un processo sostenibile di sviluppo del contesto di riferimento: • sovraccarico del traffico su gomma • disorganica connessione della città, sia compatta che periferica, con il waterfront • carenza di valide e organiche connessioni di mobilità tra i quartieri storici • carenza di collegamenti veloci nel lungomare • assenza o comunque grave carenza di sistemi di trasporto alternativi all’autobus e al trasporto privato • inadeguatezza del sistema dei parcheggi • utilizzo molto limitato di sistemi di trasporto alternativi cosiddetti "leggeri" • assenza di una connessione pedonale “privilegiata” tra il porto ed i quartieri storici • carenza di spazi pubblici e di verde attrezzato • impossibilità di fruire del lungomare in maniera organica. La “passeggiata” sul lungomare e gli spazi circostanti sono attualmente spazi frammentari e privi di adeguate connessioni 2 Il
Concept Masterplan Study è stato redatto dallo studio OMA (Office for Metropolitan Architecture) Lo Studio di Fattibilità della prima fase è stato redatto dall’Università di Cagliari e dal Politecnico di Milano 4 Il Masterplan è stato redatto dal Servizio Edilizia di A.R.E.A. 5 Azienda regionale per l’edilizia abitativa 3
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
impianto portuale superato rispetto alle esigenze e alle attività attualmente presenti carenza di servizi adeguati legati alla nautica da diporto presenza diffusa di aree inutilizzate caratterizzate da vegetazione spontanea e da degrado urbano il quartiere S.Elia risulta essere ancora carente di spazi e strutture pubbliche deputate a svolgere funzioni di aggregazione e raduno sociale • il quartiere S.Elia presenta una concentrazione di cospicue volumetrie destinate ai ceti sociali più “deboli” in un’area che, nel tempo, è diventata un “ghetto” • qualità ambientali e paesaggistiche del contesto di studio non adeguatamente valorizzate • • • •
Figura 4. Analisi delle funzioni urbane esistenti.
Figura 5. Analisi del sistema di mobilità urbana.
Dalla lettura del suddetto elenco si evince che la maggior parte delle criticità riscontrate riguardano aspetti ascrivibili al sistema della mobilità urbana, che si erge quale elemento strutturale nel processo di “water renaissance” con evidenti consistenti riverberi nella rigenerazione della città contemporanea, in quanto configurabile quale elemento catalizzatore dello sviluppo economico del territorio. Ma lo stesso territorio si qualifica anche per la presenza di diversi fattori interpretabili quali punti di forza, che costituiscono le basi da cui partire per la definizione di strategie orientate alla riqualificazione in chiave sostenibile. I quartieri storici di Cagliari, infatti, hanno conservato in gran parte le originarie connotazioni architettoniche ed urbanistiche, divenendo in tal modo ambiti “vocati” a svolgere funzioni di valorizzazione e di identificazione culturale del territorio. La disponibilità di patrimonio storico e archeologico, l’esistenza di percorsi e itinerari storico-culturali, unito alla presenza di un rilevante patrimonio naturalistico e alla buona rete infrastrutturale esistente, rappresentano fattori strategici sfruttabili nell’ottica di un processo sostenibile di sviluppo del territorio. L’utilizzo di tecniche di pianificazione strategica, quali l’analisi S.W.O.T., ha consentito la valutazione dei punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce del progetto di riqualificazione proposto.
Le strategie progettuali per la riqualificazione del lungomare La prima azione incisiva è rappresentata dal miglioramento e dalla implementazione della mobilità esistente. In conformità e coerenza con le previsioni urbanistiche comunali, il progetto di riqualificazione prevede la ricostituzione del rapporto tra il porto ed quartieri storici, nello specifico il quartiere “Marina”, con la Christian Scintu
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
realizzazione di una galleria sotterranea alternativa alla viabilità di superficie; azione indispensabile per la definizione di un ampio spazio pedonale o “piazza sul mare”, che assolverebbe alla funzione di cerniera di riconnessione tra l’edificato storico ed il mare. Sulla scorta delle evidenti esigenze di connessione di mobilità tra la zona portuale ed il quartiere di “Castello” e degli effettivi sistemi (semplici o complessi) di collegamento attualmente esistenti (es. ascensori), il progetto definisce percorsi di connessione, mediante tapis-roulant e/o scale mobili, di punti strategici dei suddetti quartieri e collegamenti diretti e frequenti con mezzi elettrici tra porto, stazione marittima e stazione ferroviaria (figura 6).
Figura 6. Concept progettuale.
Nel caso specifico del trasporto su gomma, considerato il ruolo monopolista che l’auto svolge nell’ambito del trasporto urbano, un mero potenziamento del sistema dei trasporti non sarebbe sufficiente. In alternativa a questo ormai consolidato tipo di trasporto, il progetto propone anche la realizzazione di percorsi di mobilità pedonale e ciclabile, nonché un collegamento ad alta frequenza tra il porto ed il quartiere di S. Elia, attraverso la realizzazione di un percorso adatto ad un mezzo ecologico (es. people-mover) (figura 6-7).
Figura 7. Il Progetto di riqualificazione. Christian Scintu
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Si crea l’occasione per definire un centro di integrazione dei flussi di traffico a livello del porto commerciale dove, la vicinanza della stazione marittima, di quella ferroviaria e degli altri sistemi di trasporto, permettono un intimo collegamento con la città compatta, con il quartiere S.Elia e di riflesso con il resto della città (figura 8). Ed è proprio in quest’area che il progetto prevede di localizzare un sistema articolato di parcheggi di scambio orientati all’incentivazione dell’utilizzo di mezzi alternativi all’automobile. Sempre nell’ambito della ricerca di possibili interventi strategici sulla mobilità, è risultato indispensabile riflettere su una “rete dei porti” dell’area cagliaritana, definendo collegamenti via mare tra il porto commerciale e gli altri porti, compreso anche il nuovo porticciolo di S. Elia in progetto (figura 9-10), ritenuto occasione di sviluppo economico e di contemporanea ridefinizione e miglioramento dell’assetto urbano del quartiere. In questa logica è apparso doveroso anche un potenziamento ed una riorganizzazione funzionale del porto commerciale e una nuova configurazione del porticciolo di “Su Siccu”, al fine di renderlo meno rigido e meglio attrezzato per il turismo diportistico, contestualmente all’insediamento di nuove attività a servizio della nautica, attività commerciali, culturali, sportive e ludiche, compresa la realizzazione di un parco e di caratteristiche “isole d’acqua”. Nel porto commerciale si prevede la localizzazione delle funzioni commerciali e traffico passeggeri rispettivamente nei moli “Rinascita” (terminal RO-RO) e “Sabaudo” (passeggeri). Il molo “Ichnusa” sarà utilizzato per l’attracco delle navi da crociera e ivi verrà realizzata la nuova sede dell’Autorità Portuale, mentre il molo “Sanità” e quello “Dogana” saranno utilizzati, unitamente a tutta la porzione del porto antistante la via Roma, ad attività diportistiche. Le funzioni “industriali” del Porto continueranno ad essere assolte dal Porto canale.
Figura 8. Progetto della mobilità.
Figura 9. Simulazione del porticciolo in progetto nel quartiere S.Elia. Christian Scintu
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La mobilità sostenibile come principio cardine del “water renaissance”. Il caso del lungomare di Cagliari.
Considerato l’elevato pregio naturalistico delle aree interessate, nell’ambito della ricerca ha assunto un peso notevole la valorizzazione del turismo ecosostenibile, attraverso l’inserimento del lungomare all’interno di percorsi ed itinerari turistici di area vasta, con conseguente sviluppo di nuove attività economiche legate alla ricettività turistica, orientata verso la scoperta e la valorizzazione delle risorse naturali ivi presenti. Le suddette azioni, portate a regime, favorirebbero la sinergia tra settori economici diversi (cultura, turismo, servizi, etc), anche attraverso l’organizzazione di manifestazioni e/o eventi in grado di dare una maggiore visibilità al territorio ed alle sue attività economiche, nonché alla creazione di nuove opportunità lavorative con potenziale coinvolgimento di forza lavoro residente nei quartieri degradati: nella programmazione, organizzazione e nella realizzazione (mano d’opera) delle trasformazioni previste (es. progettazione partecipata e condivisa).
Figura 10. Simulazione del porticciolo in progetto nel quartiere S.Elia.
Altro aspetto importante del progetto è stata la ricerca dell’integrazione del costruito con un progetto del verde, con la riconfigurazione di spazi per la fauna terrestre e avicola e con la costituzione di nuove connessioni ecologiche ed il miglioramento della qualità ambientale (miglioramento della qualità dell'aria - CO2, vento e polveri). In questo contesto si capovolgerebbe la visione di quartiere periferico che ha S.Elia, che si vedrebbe inserito in una nuova rete dinamica di sviluppo economico, diventando sede di nuove attività commerciali e artigianali, anche legate alla piccola pesca e al turismo diportistico, attraverso la realizzazione del nuovo porticciolo.
Bibliografia AA.VV. a cura di Alessandra Badami e Daniele Ronsivalle (2008), Città d’acqua. Risorse culturali e sviluppo urbano nel waterfront, Aracne editrice, Roma. AA.VV., IUAV a cura di Monica Bosio, Mauro Frate (2010), Strategie per il progetto della città sostenibile, Marsilio Editore, Venezia. AA.VV. a cura di Massimiliano Giberti (2008), Masterplan, la trasformazione di una parte di città, Alinea Editrice, Firenze. AA.VV. a cura di Pier Francesco Cherchi, Giovanni Battista Cocco (2009), Architettura città e paesaggio. Il progetto urbano per il quartiere Sant'Elia a Cagliari, Gangemi, Roma. Bruttomesso R.(1993), Waterfront una nuova frontiera urbana - Città d’acqua, Venezia. Comune di Cagliari Assessorato alla Cultura (1996), Via Roma tra memoria e progetto, Cagliari. De Castro M. (2009), Mobilità sostenibile. Approcci, metodi e strumenti di governance, Edizioni Altravista, Pavia. Gabrielli B. (1992), La città nel porto, Nuova Eri, Torino. Bruttomesso R. (1993), “Waterfront e trasporto urbano d'acqua", in Kineo 2, pp. 8 - 10
Sitografia Nuovi scenari urbani per le città d’acqua Lezione dell’arch. Rinio Bruttomesso, Milano, 7 marzo 2007 http://www.italianostra-milano.org/cms/files/bruttomesso.pdf Autorità portuale di Cagliari http://www.porto.cagliari.it Christian Scintu
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
Dispersione e contesto: una prospettiva per la metropolitana di Roma Andrea Spinosa Email: andrea.spinosa@libero.it Michele Vianello Università IUAV di Venezia Dipartimento di Culture del Progetto Email: vianello.michele@gmail.com
Abstract Il paper inquadra nella letteratura critica la questione della dispersione urbana con un fuoco sui problemi dei flussi e delle esternalità che questi provocano. In particolare l'accento è posto sulla necessità di includere le aree urbane tradizionalmente intese nelle analisi dei fenomeni di dispersione per poter avviare una ristrutturazione globale ed efficace dei sistemi di trasporto. Questa prospettiva viene applicata in modo operativo con una proposta di indirizzo strategico per la riprogettazione del sistema di trasporto pubblico di massa in un caso particolarmente rilevante: Roma. La modellazione della nuova rete, tracciata con l'obiettivo di conseguire un sistema isotropo e resiliente, viene testata attraverso la teoria dei grafi, misurandone il grado di resilienza locale. Infine si propone una traccia metodologica per valutare l'efficienza dell'investimento infrastrutturale attraverso una quantificazione dell'impatto dei flussi sulla spesa sanitaria pre e post-operam, gettando le basi per una valutazione della sostenibilità finanziaria del progetto. Parole chiave: dispersione, reti, resilienza
La Rivoluzione Urbana Il filosofo Henri Lefebvre, nel libro La Rivoluzione Urbana (Lefebvre 2003: 1-21), anticipava con geniale intuizione, caratteristiche e criticità della condizione urbana contemporanea. Partendo da una lettura marxiana dei modi di produzione, e mettendo l'accento sul ruolo della terra, Lefebvre preconizzava un'urbanizzazione generale della società e apriva la strada a un filone di ricerca che, in diverse interpretazioni, è ancora oggi uno dei più fertili nel rinnovamento dell'approccio agli studi urbani. Uno dei più famosi interpreti delle idee lefebvriane è Edward W. Soja. La sua ricerca sulla “giustizia” di piani e progetti urbanistici, contenuta in Seeking Spatial Justice, si apre con il resoconto di un famoso processo civile: nel 1996 la Los Angeles Metropolitan Transit Authority veniva costretta a rinunciare per 10 anni al suo piano di costruzione di un sistema di metropolitane (che doveva connettere la downtown con i sobborghi in modo diretto), e optare per un sistema capillare di autobus con l'obiettivo di favorire l'accessibilità ai trasporti di un'utenza economicamente svantaggiata e di evitare il favorire in modo sensibile di alcune zone della città rispetto ad altre (Soja 2010: vii – xviii). Sebbene la decisione della corte di Los Angeles sollevi ancora oggi molti interrogativi e dubbi, specie tra i fautori del taglio delle emissioni, da allora le considerazioni preliminari nella progettazione dei sistemi di trasporto sono costrette a porsi problemi di natura più ampia, sia nella definizione del concetto di sostenibilità (inclusa quella sociale), sia in termini di adeguatezza a lungo termine delle scelte strategiche. Le tesi contenute in La Rivoluzione Urbana, da cui le riflessioni di Soja direttamente scaturiscono, sono straordinariamente attuali ed evidenziano un cambiamento epocale: in questa fase del capitalismo ci troviamo di fronte a un'evoluzione della società, in cui le differenze sociali, economiche, di consumo, nelle diverse aree abitate (zone urbane centrali, periferia, sprawl, territorio) si affievoliscono fino a scomparire. Questo processo naturalmente è avvenuto in parallelo a profondi mutamenti spaziali di natura enormemente variegata. Questo Andrea Spinosa, Michele Vianello
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
paper propone che il carattere generale di questi mutamenti, pur assumendo forme molteplici, può essere definito come “dispersione”. L'obiettivo è usare la categoria della dispersione, e alcune prospettive di ricerca ad essa connesse, per testare una diversa strategia per la progettazione di una rete di trasporto pubblico su ferro (per semplicità definita metropolitana) a Roma.
Roma, quale dispersione? Quella che oggi appare come la “questione urbana”, originalmente formulata in questa locuzione da Manuel Castells (Castells 1974), si è palesata inizialmente in Italia con l’esplosione demografica degli anni Settanta; dagli anni Novanta essa ha aperto la strada a una fase di urbanizzazione dal carattere disperso. Se nella prima fase il centro della città di riferimento è stato solo indebolito dall'emergere delle “reti” (Castells 2003), nella seconda lo spazio esterno alla città si è isotropizzato stravolgendo l'idea stessa di città1: le nuove tecnologie di comunicazione e trasporto hanno reso infatti le persone sempre meno dipendenti dalle funzioni assolte dai nuclei storici. Questo fenomeno ha due effetti destrutturanti: produce nuovi modelli insediativi a densità rarefatta e indebolisce le funzioni e i caratteri urbani. Il fattore che più di ogni altro ha avuto un ruolo prioritario in questa evoluzione è stata la maggiore competitività della mobilità privata, e in molti casi la deliberata scelta strategica di favorirla2. A Roma questi processi, con un'evoluzione molto specifica, hanno lentamente destabilizzato l'organizzazione della città facendo emergere nuovi paesaggi abitati, ma questi non hanno apparentemente messo in discussione la centralità del area urbana centrale per lungo tempo. La dispersione è il prodotto di contingenze che da un lato hanno permesso uno sviluppo generalizzato, dall'altro hanno mantenuto le grandi mutazioni territoriali (e quindi le esternalità) nascoste: ma il loro sommarsi nel tempo e il consumo di territorio che così si è provocato, stanno ora svelando l'insostenibilità di questo modello a lungo termine; qui come altrove (Camagni, Gibelli, Rigamonti 2002). L'ipotesi che qui si avanza e che se tutti i processi vengono analizzati e ottimizzati in quest’ottica – nel caso specifico ciò viene fatto per i flussi degli spostamenti urbani – la città, nelle sue vecchie e nuove definizioni, può diventare di nuovo il vero luogo della sostenibilità, perché razionalizza usi e risorse. La ricerca italiana si è recentemente concentrata con entusiasmo sui nuovi paesaggi emersi da questi processi, mentre – tralasciando l'avvertimento di Lefebvre sul perpetuarsi di modelli di dominazione dei “centri” anche nella fase attuale3 – minore attenzione è stata prestata a mettere in relazione l'emergere delle nuove forme di urbanizzazione con la necessità di ripensare i mutamenti avvenuti nelle città dagli anni Settanta. Gli studi sulla dispersione si sono concentrati sui fenomeni di sprawl, con un'attenzione particolare alla commistione tra tessuto residenziale e produttivo, proponendo diverse definizioni per descrivere (e riprogettare) i recenti risultati spaziali della dispersione: città diffusa, città infinita, “territorio che cambia” ecc. (Indovina 1990; Bonomi, Abbruzzese, 2004; Boeri, Lanzani, Marini 1993; Macchi Cassia, Orsini, Privileggio, Secchi, 2004). Questo paper intende proporre il caso di Roma come rilevante per un diverso approccio: prendere in esame alcuni delle conclusioni raggiunte in questi studi per rimettere in prospettiva, con un obiettivo operativo, i mutamenti avvenuti dentro la città costruita fino agli anni Settanta. L'ipotesi muove dall'idea che l'urbanizzazione generale della società, debba aprire a orizzonti operativi per la riconfigurazione di tutti gli usi e flussi, costringendo a guardare tutte le parti del territorio abitato come parti di un unico sistema interconnesso, proprio nella prospettiva rivoluzionaria indicata da Lefebvre (Merrifield 2012). Per questo motivo le vicende urbanistiche di Roma degli ultimi 40 anni vengono qui rilette nella prospettiva della dispersione, nella sua peculiare versione locale, attraverso l'apparato concettuale fornito da due indirizzi di ricerca: l'idea di “metropoli spontanea” (Clementi, Perego 1983) e quella di “diffusione delle funzioni rare” (Cassetti 2006: 309-319). La prima mette l'accento sui caratteri di spontaneismo, abusivismo e inefficienza della pianificazione che hanno caratterizzato la crescita di Roma dal Dopoguerra agli anni Settanta, la seconda si concentra sulla variazione nella allocazione delle funzioni direzionali e dei servizi a partire dagli anni Ottanta, mettendo l'accento sulla loro dispersione come adattamento alle dinamiche economiche globali. Sebbene questa distinzione sia considerata a volte una fuorviante descrizione dicotomica di un fenomeno unico (a.e. Harvey 2010), essa non è banale e risponde all'emergere di diverse posizioni nella critica dei fenomeni di dispersione. Si tratta di una distinzione che è diventata lampante nel dibattito italiano degli anni 2000: i fautori 1
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L'applicazione della metafora dell'isotropia alla conformazione spaziale ha un caso interessante in B. Secchi, P. Viganò, The Project of Isotropy, in V. Ferrario, A. Sampieri, P. Viganò (a cura di), Landscapes of Urbanism, Q5 – Quinto Quaderno del Dottorato in Urbanistica, Università IUAV di Venezia, Officina, Roma, 2011. L'idea viene qui però accolta nel quadro più astratto delle argomentazioni lefebvriane sull'urbanizzazione generale della società. Nel caso di Roma, il piano del 1962-1965. R. Cassetti, Roma e Lazio, L'Urbanistica, Idee e Piani dall'Unità a Oggi, Gangemi Editore, Roma, 2006, p. 140-148. L'accezione con cui Lefebvre usa la parola “centri” ha un significato complesso e va inteso in connessione all'analisi sociale e economica dei mutamenti urbani. Lefebvre H. (1996), Right to the City, in H. Lefebvre, Writings on Cities, Blackwell, London, 1996, p. 73-74
Andrea Spinosa, Michele Vianello
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della dispersione interpretano il fenomeno come meccanismo autoregolativo dei processi economici urbani (a. e. Calafati 2003; 2008), i detrattori evidenziano le gravi esternalità come suo prodotto principale (Camagni, Gibelli, Rigamonti 2002; Gibelli, Salzano 2006). Seppure esiste discordia sul bilancio di costi e benefici della dispersione come macrofenomeno, le critiche concordano sul fatto che essa, nella sua manifestazione italiana, abbia l'urgente necessità di essere riconsiderata profondamente, anche attraverso il progetto. Questa convergenza di giudizi deriva da oggettive specificità della situazione italiana: la stratificazione storica che compone il paesaggio e l'oggettivo disordine dei risultati spaziali della dispersione – molto diverso dai risultati alterni dei casi americani (Bruegmann 2005). Adottando le prospettive proposte di recente per la progettazione dei sistemi di trasporti della dispersione (Mees, 2012; Newman, Beatley e Boyer 2009), il paper presenta una proposta di scenario per il caso di Roma adattando alle condizioni locali alcuni approcci e strumenti.
Una sistema di trasporti per Roma come città dispersa
Figura 1. Schema riassuntivo della rete di progetto.
Avendo inquadrato criticamente lo studio del caso di Roma, questo paper affronta un aspetto specifico del tema dei trasporti per la città dispersa, parte di una ricerca in corso più vasta: il ripensamento dei flussi dentro la città affinché essa venga riconfigurata e possa collaborare in modo efficiente e coeso con la struttura latente (economica, sociale, fisica) della sua regione urbana. Infatti, sia che si voglia considerare la dispersione come un fenomeno deleterio da fermare, sia che la si accetti come una processo dell'attuale fase del capitalismo da guidare, i risultati spaziali di quaranta anni di dispersione sono ormai irreversibili (Calafati 2008: 107). Si propone qui uno scenario per un sistema di trasporti (figura 1) che mitighi le inefficienze e le diseconomicità del costruire reti complesse, senza negare la specifica conformazione dilatata della dispersione; che riorganizzi ciò che esiste ma sia capace di evolvere nel tempo (Bertolini 2007). Questo impone di rivedere la filosofia con cui si concepiscono le reti di trasporto, introducendo nell'approccio progettuale tattiche che tengano conto della della dispersione in ogni dimensione di analisi, che rendano il sistema resiliente rispetto alle criticità e che consentano di adattarlo al palinsesto di tracce antropiche che caratterizza la città di Roma. Questo approccio, sotto un profilo urbanistico più ampio, rappresenta nel caso specifico l'occasione di aprire un effettivo scenario di strategie di sostenibilità per la regione urbana nel suo complesso, una visione del futuro che questo paper rileva essere stata manchevole nelle esperienze di pianificazione più recente (Archibugi 2005: 120132; Quilici 2007: 154-161). L'obiettivo di far collaborare le componenti dell'intero sistema (città consolidata, Andrea Spinosa, Michele Vianello
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
periferia, sprawl, territorio), viene qui perseguito da un punto di partenza classico (la definizione di una rete metropolitana), ma attraverso strumenti concettuali critici volti a imprimere un indirizzo strategico ai problemi di congestione e gentrificazione delle aree centrali, di sostenibilità ambientale e crescita evolutiva: attribuendo peso paritetico alle diverse parti del sistema e fornendo una base per riorganizzare il disordine della loro crescita.
Le Tattiche Dalle considerazioni esposte emergono necessità e prospettive per una nuova progettazione del trasporto pubblico di massa imposte dal cambiamento della natura del fenomeno urbano: 1. la necessità di fornire un sistema di trasporto che tenga in conto della dispersione fornendo opportunità simili a un'area quanto più vasta possibile. 2. la necessità di preservare e valorizzare il carattere unico della stratificazione geografica e antropica del sito di Roma, adattando la rete di trasporti alle specificità dell'area, con l'obiettivo di mitigare l'impatto dei nuovi flussi. Queste necessità sono state sintetizzate nell'individuazione di tattiche progettuali per la definizione della rete.
Tattica 1: modellazione di una rete isotropa e resiliente La prima tattica si concretizza nella modellazione di una rete adattabile alle caratteristiche dei flussi ed economico-sociali della dispersione proponendo di definirne inizialmente alcune caratteristiche ottimali: l'isotropia e la resilienza. Mutuando il concetto dalle scienze naturali, per isotropia si intende la proprietà d'indipendenza dalla direzione ovvero, in questo caso una rete che abbia proprietà simili indipendentemente dalla direzione in cui viene percorsa. Come proprietà isotropa è stata posta in questo studio la presenza di nodi di scambio ogni 4 fermate. La modellazione della rete ha utilizzato questa tattica tenendo conto del concetto di isotropia in modo elastico e come metafora, ovvero mediando la definizione della proprietà con le esigenze e le opportunità reali della progettazione tecnica: il modello astratto, non formalizzato, ha fornito indirizzi per l'orientamento dello sviluppo del sistema. Per misurare la resilienza della rete invece, tentando di dare a questo termine un valore più stringente della semplice metafora, si è fatto riferimento a un concetto emerso recentemente nella teoria dei grafi: quello di resilienza locale di un grafo4. La resilienza locale di un grafo è così semplicemente espressa: data la proprietà di un grafo (in questo caso l'isotropia dei nodi scambio) quanti segmenti del grafo è possibile togliere prima che esso perda la sua proprietà? La rete che emerge da questo studio ha grado di resilienza 2 (figura 2). Essa ha così un grado di resilienza della proprietà di isotropia doppia rispetto al progetto di trasporto pubblico di massa attualmente in programma. Al netto della concettualizzazione astratta il significato di questa caratteristica ha due implicazioni: 1. un'alta adattabilità del processo di costruzione della rete. Rispettando localmente la regola dell'isotropia dei nodi di grado maggiore di 2 è possibile costruire la rete per parti mantenendo la proprietà ovvero fornendo in modo stabile, seppur evolutivo nel tempo, connettività simili a diverse parti di città. 2. un'adattabilità agli eventi critici. Una rete con grado di resilienza locale 2, ha la possibilità immediata di far muovere i flussi lungo percorsi del grafo diversi in caso di interruzioni localizzate del servizio. Simili proprietà sono di sempre maggiore rilevanza nella costruzione di scenari connessi a eventi climatici critici (Royal Academy of Engineering 2011).
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La definizione formale della resilienza di un grafo è “Given a property P. The local resilience of G with respect to P is the minimum number r so that there is a graph H on V(G) with maximum degree at most r such that the graph GΔH does not have P”. B, Sudakov, V. H. Vu, Local resilience of Graphs, in Random Structures and Algorithms, Wiley InterScience (www.interscience.wiley.com), DOI 10.1002/rsa.20235, p. 410.
Andrea Spinosa, Michele Vianello
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
Figura 2. Grafo sintetico della rete che evidenzia il confine di validità della proprietà di isotropia (GRA -linea nera-) e quello di validità della resilienza (tratteggiato rosa).
Tattica 2: adattamento al contesto La seconda tattica propone di adattare la modellazione delle rete isotropa alle specifiche condizioni storiche, antropiche, archeologiche, e geografiche della città con un duplice obiettivo: da un lato di riutilizzare, riconvertire e mettere a sistema l'esistente per limitare i costi, dall'altro di sovrascrivere le nuove infrastrutture sul palinsesto di tracciati e sedimi storici per limitare l'impatto dei nuovi flussi. Partendo dalla ricerca geologica sul sito di Roma I Sette Colli (Funiciello, Heiken, De Rita, Parotto 2006) la modellazione della rete ha adottato alcuni approcci nel delineare i tracciati, secondo una tattica di adattamento al contesto: 1. proporre un andamento parallelo o in corrispondenza delle infrastrutture storiche nell'area centrale al fine di evitare le aree a maggiore rischio di ritrovamenti archeologici. In particolare, per quanto possibile, sono stati usati per i tracciati: i sedimi dei lungoteveri (esclusi i tratti delle emergenze degli horrea di Testaccio e del porto storico di Ripetta) per la presumibile minor presenza di testimonianze storiche in seguito alle riorganizzazioni post-unitarie (Benevolo 1992: 22; Ascarelli 1984: 433). le mura aureliane, sulla base dell'ipotesi di una minore probabilità di ritrovamenti rilevanti dovuti all'inedificabilità del pomerium in epoca storica (Hendrik 2011). 2. proporre un andamento parallelo ai sedimi ferroviari principali, in particolare ai fusi ferroviari delle stazioni Ostiense e Tiburtina, con il duplice obiettivo di: interconnettere la rete con quella di treni alla scale regionale. usare i sedimi come tracciati ottimali che, pur avendo una buona accessibilità dalle aree abitate, consentono la costruzione di tracciati in superficie o con minori complicazioni negli scavi. 3. confrontare l'andamento della rete con l'orografia del sito e del sistema di affluenti locali dei fiumi Tevere ed Aniene, con l'obiettivo di porre le basi di uno sviluppo sostenibile in armonia con il funzionamento idrogeologico dell'area, optando per soluzioni di rete in superficie nelle aree di sovrapposizione. 4. riutilizzare le infrastrutture ferroviarie dismesse o in via di dismissione con l'obiettivo di riciclare i manufatti e abbattere i costi rispetto alla costruzione di nuovi tracciati.
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
Figura 3. Schema sintetico degli approcci di adattamento al contesto
Questi approcci si sono tradotti nella scelta di tecnologie appropriate per la progettazione delle caratteristiche tecniche delle linee. Due esempi rilevanti per la varietĂ di situazioni legate alle tattiche sono qui presentati schematicamente (figure 4 e 5) insieme a un'analisi sintetica dei costi di realizzazione (tabelle I e II).
Figura 4. Schema sintetico delle tecnologie di realizzazione nelle diverse sezioni per la linea di metropolitana leggera automatica D, con costi sintetici di realizzazione e stima di produttivitĂ .
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Figura 5. Schema sintetico delle tecnologie di realizzazione nelle diverse sezioni per la linea di metrotranvia H, con costi sintetici di realizzazione e stima di produttivitĂ . Tabelle I e II. Tabelle di sintesi dei costi di realizzazione delle linee D e H.
Tabelle III, IV e V. Tabelle di comparative di sintesi delle proiezioni di produttivitĂ delle reti esistenti (1), in programma (2) e di progetto (3).
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La valutazione dell'efficienza della rete Per valutare la sostenibilità finanziaria del progetto – assumendo come attore principale lo Stato, anche in regime di finanza di progetto – sono state incorporate alcune esternalità. Solitamente si tratta di un approccio che si adotta nell’analisi economica ma, le conoscenze scientifiche acquisite permettono di assumere con elevato grado di affidabilità il nesso causale tra esercizio di infrastrutture, insorgenza di patologie e spesa sanitaria indotta. Per mancanza di spazio lo studio viene qui presentato sinteticamente nell'approccio metodologico all'analisi delle esternalità, mentre nelle tabelle viene presentata una prima sintesi sulle proiezioni delle quantità e dei flussi finanziari (tabelle III, IV, V, VI, VII, VIII, IX). Per valutare l’impatto sulla popolazione si è utilizzato il metodo della valutazione del rischio sanitario (Kemn 2012), prescindendo da considerazioni sui valori di riferimento relativi ad altri effetti di tipo ecologico o ambientale. La valutazione dell’esposizione della popolazione ad inquinanti ambientali prevede prioritariamente la definizione (mediante misura e/o stima) delle concentrazioni degli inquinanti nelle matrici ambientali oggetto di studio, rappresentativi dell’effettiva concentrazione media dell’inquinante nel tempo e nello spazio. La valutazione – componente per componente – svolta nel worst case, ovvero secondo il criterio di prudenza e di massima tutela per la popolazione è effettuata prendendo in considerazione le peggiori condizioni possibili di esposizione tra quelle rilevate (Krei, Busby, Leonardi, Meara, Murray 2012; Baker, Nieuwenhuijsen, 2008), con riferimento alle misurazioni effettuate da ARPA Lazio per lo stato attuale (ARPA Lazio 2012) 5, e stimate dalle modellazioni per il post-operam6. In particolare sono state valutate le seguenti grandezze: MRLs - Minimal Risk Levels (Agency for Toxic and Disease Registry 2012)7: stima dell’esposizione giornaliera a sostanze pericolose che si ritiene essere priva di un rischio apprezzabile per effetti sulla salute di tipo non cancerogeno lungo un certo periodo di esposizione; RfC - Reference Concentration (Agency for Toxic and Disease Registry 2012)8: stima dell’esposizione della popolazione generale (inclusi i sottogruppi sensibili) che si ritiene essere priva di un rischio apprezzabile per effetti dannosi durante tutta la vita. Per fornire una base comune di confronto9 tra i coefficienti di patogenicità10, questi sono monetizzati in termini di prestazioni annue da fornire ad opera del Servizio Sanitario Regionale (SSR) (Ministero della Sanità 2008)11: 5
Le rilevazioni periodiche e i trend di variazione sono consultabili presso ARPA Lazio, Sezione Qualità dell’aria, http://www.arpalazio.net/main/aria/ 6 La stima è svolta con modelli di trasporti generati con software MatSim (Multi-Agent Transport Simulation, http://www.matsim.org/). La pressione ambientale è misurata nello scarto ante-post su modello emissivo sviluppato con Caline e PMTools (rilascio di inquinanti aerodispersi), http://www.dot.ca.gov/hq/env/air/pages/qualpm.htm; http://www.dot.ca.gov/hq/env/air/pages/cl_license.htm) e Soundplan (pressione acustica, http://www.soundplan.eu/english) 7 Indicatori della Agency for Toxic Substances and Disease registry, http://www.atsdr.cdc.gov/mrls/index.asp 8 Indicatore della U. S. Environmental Protection Agency http://www.epa.gov/iris/rfd.htm 9 La base di confronto è stata costruita a partire dai dati del European Pollutant Release and Transfer Register http://prtr.ec.europa.eu/MapSearch.aspx 10 Basi di dati epidemiologici estratti dalle banche dati dell'Istituto superiore sanità http://www.iss.it/basi/index.php?lang=1&tipo=39&anno=2011, centro nazionale epidemiologia Andrea Spinosa, Michele Vianello
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
Tabelle VI, VII e VIII. Quantificazione delle esternalità e basi di confronto dei costi di riferimento.
Tabella IX. Sintesi dell'analisi di sostenibilità finanziaria di del progetto.
http://www.epicentro.iss.it/temi/ambiente/ambiente.asp, i progetto “cuore” dell'istituto superiore della http://www.cuore.iss.it/, messi a confronto con i dati europei http://www.cuore.iss.it/eurociss/progetto/progetto.asp 11 Monetizzazione effetti da dati statistici del ministero della salute http://www.salute.gov.it/servizio/datisis.jsp Andrea Spinosa, Michele Vianello
sanità
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Dispersione e Contesto: Una Prospettiva per la Metropolitana di Roma
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Integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità: un caso studio
Integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità: un caso studio Michela Tiboni Università degli Studi di Brescia DICATAM – Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e di Matematica Email: michela.tiboni@ing.unibs.it Tel: 030 3711270 Silvia Rossetti Università degli Studi di Brescia DICATAM – Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e di Matematica Email: silvia.rossetti@ing.unibs.it Tel: 030 3711265
Abstract L’integrazione tra la pianificazione urbanistica e la pianificazione della mobilità, in particolare con riferimento alle reti di trasporto collettivo e di mobilità dolce, è un approccio la cui necessità è ormai largamente consolidata nella letteratura, e una cui più diffusa applicazione consentirebbe di far fronte alle diverse esternalità negative prodotte dai trasporti. La sua applicazione però, almeno in Italia, stenta a decollare. Il presente contributo mira a fornire un inquadramento della problematica presentando alcuni possibili approcci di integrazione, per poi soffermarsi sul caso studio del quartiere di Sanpolino, a Brescia, progettato e sviluppatosi contestualmente alla linea di forza del trasporto collettivo cittadino: la metropolitana leggera automatica. Parole chiave Urbanistica e mobilità, Transit Oriented Development, Sanpolino.
Perché integrare urbanistica e mobilità? In Italia, la necessità di approcci integrati tra la pianificazione urbanistica e la pianificazione dei trasporti è auspicata ormai da diverso tempo, se non addirittura dalla nascita della tecnica urbanistica come disciplina, se si pensa che già nel 1935 Cesare Chiodi affermava: «Una buona politica urbanistica fa precedere e non seguire lo sviluppo dei trasporti a quello della fabbricazione. I primi sono anzi il mezzo essenziale per mantenere il controllo di questa» (Chiodi, 1935: 79). E che Luigi Dodi, nel 1972, scriveva: «E’ comunque generalmente accettato il principio che il problema dei trasporti sia inscindibile da quello dell’assetto del territorio e della distribuzione della popolazione e debba formare oggetto di un piano unitario» (Dodi, 1972: 358). Purtroppo però il rapporto tra urbanistica e mobilità stenta ancora a trovare un equilibrio, specialmente guardando all’Italia in relazione ad altri contesti europei (Bresciani, 2007). Infatti, il tema dell’integrazione tra progettazione della mobilità e pianificazione urbanistica, seppur in tempi recenti sia sempre più ricorrente nella letteratura scientifica (si vedano, tra gli altri, Newman & Kenworthy, 1999; Banister, 2005; Busi, 2011), «non rappresenta ancora un momento determinante nelle politiche urbane e nei processi decisionali riguardanti la costruzione della città» (Tira, 2011: 77). Ma le continue crescite dei tassi di motorizzazione e dell'utilizzo del veicolo individuale motorizzato non sono più sostenibili per le nostre città. Ed è proprio per contrastare questa crescita che risulta essenziale operare attraverso approcci integrati tra la pianificazione territoriale e la pianificazione dei trasporti: l’uso del suolo, infatti, influenza fortemente le scelte modali, e di conseguenza gli impatti dei trasporti sull’ambiente (Rees, 2003; Williams, 2005). Agire attraverso approcci integrati significa quindi attuare strategie che, nel lungo Michela Tiboni, Silvia Rossetti
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termine, possono contribuire a calmierare le esternalità negative legate ai trasporti quali l’inquinamento, la congestione, l’incidentalità e il consumo di suolo stesso.
Possibili approcci integrati Ma come è possibile, nella pratica, attuare tale integrazione? Ci sono esempi di buone pratiche che è possibile seguire? Negli ultimi anni la tipologia di approccio integrato tra pianificazione urbanistica e pianificazione della mobilità che ha avuto risonanza maggiore è sicuramente il Transit Oriented Development (TOD). Il TOD si pone l’obiettivo di concentrare lo sviluppo urbano intorno ai nodi del trasporto collettivo in modo da incoraggiare l’utilizzo dello stesso, e di realizzare linee di trasporto, prevalentemente su ferro, che mettano in connessione tali concentrazioni di sviluppo, siano esse già esistenti oppure pianificate (Curtis, Renne & Bertolini, 2009). Un insediamento tranist-oriented può quindi essere definito come un insediamento caratterizzato da una densità medio-alta e posizionato entro un raggio di accesso ad una fermata o ad una stazione di TPL che sia facilmente percorribile a piedi o in bicicletta (Tira, 2011). I primi esempi di applicazione dello sviluppo transit-oriented si trovano nel Nord America e in Australia, ma si sono poi estesi anche all’Europa. In Italia, alcune città stanno iniziando a manifestare la volontà di ragionare in un’ottica transit-oriented: si vedano, a titolo di esempio, i casi di Catania (La Greca, Martinico & Barbarossa, 2011) e di Napoli (Cascetta & Pagliara, 2009). Parallelamente, alcune città, prevalentemente nord-europee, hanno iniziato a sperimentare e realizzare insediamenti residenziali compatti ispirati a principi car-free: è il caso, ormai noto, dei quartieri di Rieselfeld e Vauban a Friburgo, dove a partire dagli anni Novanta sono state intraprese politiche molto forti di incentivazione della mobilità sostenibile, ma anche dell’Autofrei Siedlung di Vienna, di GWL (Gemeente Waterleidingen) Terrein ad Amsterdam, e di Slateford Green a Edimburgo.
Il caso studio del quartiere di Sanpolino a Brescia Per quanto riguarda l’Italia, il quartiere di Sanpolino, a Brescia, è sicuramente un caso particolarmente interessante dal punto di vista dell’integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità. Il quartiere di Sanpolino è stato infatti implementato parallelamente ad un altro progetto cruciale per lo sviluppo della città di Brescia: quello della metropolitana leggera automatica (metrobus). I primi studi di fattibilità della linea di metropolitana bresciana risalgono al 1986, il progetto ha poi seguito il suo corso fino ad arrivare all’inaugurazione della prima tratta funzionale (Prealpino – S. Eufemia) nel marzo 2013. Oggi il metrobus conta 17 stazioni e si snoda lungo un tracciato di 13,7 km, prevalentemente in galleria profonda ma in parte anche in trincea e in viadotto, che collega i quartieri nord della città di Brescia con quelli della zona sud-est, toccando i principali poli attrattori della città, quali l’ospedale, le sedi universitarie, il centro storico e la stazione ferroviaria. La storia e le vicende urbanistiche del quartiere Sanpolino sono intrinsecamente legate all’avvento della metropolitana cittadina. Sanpolino è un quartiere periferico, di recentissima costruzione, che sorge a sud-est della città di Brescia, ai margini del quartiere di San Polo, un noto progetto di Leonardo Benevolo che risale agli anni Ottanta. Ad oggi del quartiere sono stati realizzati tre comparti, che si snodano a partire da Corso Bazoli, asse di vita del quartiere lungo il quale sono ubicate attività commerciali e servizi. Il presente contributo non vuole entrare nel merito della composizione e della qualità architettonica del quartiere, i cui aspetti sono peraltro dettagliatamente descritti e commentati in Tedeschi & Rocchi (2007), quanto piuttosto evidenziarne gli elementi di innovazione per quanto concerne la sfera della mobilità. Sanpolino è stato ideato sul finire degli anni Novanta, ed in particolare è stato introdotto per la prima volta da un Piano di Zona approvato dal consiglio comunale nel 1998 quale variante al piano regolatore del 1980 e anticipazione del PRG di Bernardo Secchi, il quale ha però ottenuto un parere vincolante negativo dalla Regione Lombardia in quanto prevedeva un’«eccessiva occupazione di aree agricole per l’insediamento di quartieri residenziali a bassa densità e ad alto consumo di suolo» (Regione Lombardia, 1999: 3). Il progetto del quartiere nella sua configurazione finale, modificata sulla base del parere regionale, risale al 2000, anno in cui è stato definitivamente approvato il nuovo piano di edilizia economico popolare1 per la città di Brescia (Comune di Brescia, 2000) e interessa una superficie di 57 ettari sulla quale vengono localizzati 1.873 alloggi per un totale di 206.030 m2 di s.l.p. residenziale, a cui si aggiungono 778 m2 di terziario e 9.305 m2 di artigianale. Nello stesso anno (2000), Brescia ha chiesto ed ottenuto un finanziamento dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) per l’estensione della linea di metrobus verso il futuro quartiere di Sanpolino.
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Tale piano, che ha validità 18 anni, ha previsto la realizzazione di due insediamenti residenziali, rispettivamente denominati Zona A/19 Violino e Zona A/21 Sanpolino.
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Visitando il quartiere, appare evidente come nella sua progettazione il tema della mobilità abbia avuto un ruolo cruciale: oltre che dalla linea di trasporto collettivo su ferro, il quartiere risulta servito anche da due linee di trasporto collettivo su gomma, a cui fanno capo sei fermate situate nel quartiere, a non più di 400 m di distanza l'una dall'altra. Inoltre, il quartiere si caratterizza per la presenza al suo interno di una rete di percorsi ciclabili e pedonali continui e sicuri, che offrono un collegamento all'adiacente quartiere di San Polo. Nelle strade di accesso alle abitazioni la pedonalità risulta privilegiata, essendo il limite di velocità per le automobili di soli 30 km/h, ed essendo le aree a parcheggio ubicate interamente a ridosso dell'accesso a tali strade (figura 1).
Figura 1. Il sistema della mobilità a Sanpolino
Sanpolino può essere considerato un esempio di insediamento Transit Oriented? Possiamo quindi parlare di Sanpolino come un esempio di applicazione dei principi di Transit Oriented Development in Italia? In parte forse sì. Facendo riferimento alla sola definizione di TOD, sicuramente Sanpolino può essere considerato un insediamento caratterizzato da una densità medio-alta, seppur non così alta da poter essere paragonata a quella delle applicazioni TOD presenti nelle grandi città statunitensi e canadesi, ed è inoltre interamente posizionato entro un raggio di accesso dalla stazione della metropolitana facilmente percorribile a piedi o in bicicletta. Passando ad una riflessione più articolata, basata sulle linee guida del Transit Oriented Development proposte dalla città di Ottawa (City of Ottawa, 2007), in Canada, che per prima ha posto le basi di uno sviluppo Transitoriented, è possibile evidenziare come alcuni degli aspetti prefigurati dalle linee guida trovino un riscontro nel quartiere di Sanpolino. Un'analisi di tipo puntuale circa l'applicazione di tali linee guida a Sanpolino, seppur limitata dal fatto che le dimensioni e il contesto della capitale canadese risultano essere molto diversi rispetto alla più contenuta realtà bresciana, può fornire interessanti spunti di riflessione. Le linee guida proposte dalla città di Ottawa si concentrano su sei macro-aspetti che concorrono a definire un insediamento avente caratteristiche transit-oriented: uso del suolo, organizzazione planimetrica, forma del costruito, pedoni e ciclisti, veicoli e parcheggi, contesto stradale e ambiente. Vediamo ora quali di questi aspetti trovano un'applicazione precisa a Sanpolino, quali un'applicazione solo parziale e quali, invece, non trovano applicazione. In particolare, si è deciso di fornire un'analisi di maggior dettaglio relativa alle linee guida legate all'uso del suolo e all'organizzazione planimetrica dell'insediamento, in quanto queste racchiudono dei principi di valenza ampia e Michela Tiboni, Silvia Rossetti
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propria della pianificazione urbanistica. I restanti aspetti sono stati comunque analizzati ma attraverso una procedura qualitativa e meno dettagliata, anche perché risultano articolati in un numero molto maggiore di linee guida, che spesso fanno riferimento ad interventi di tipo puntuale, più intrinsecamente legati alla progettazione architettonica. Per quanto concerne l'organizzazione spaziale e funzionale del quartiere (uso del suolo), l'aderenza della progettazione di Sanpolino alle linee guida canadesi è buona (tabella I). Sebbene il quartiere sia di natura prevalentemente residenziale, è possibile comunque individuare un certo mix funzionale, prevalentemente lungo l'asse di Corso Bazoli, dove oltre ai negozi di prima necessità e ad alcuni servizi di vicinato è possibile trovare uffici e servizi in grado di attrarre utenti dai quartieri limitrofi, come la sede della circoscrizione e dell'anagrafe decentrata del Comune di Brescia. Nel quartiere sono inoltre presenti una residenza sanitaria assistenziale per anziani, un centro sportivo, un distaccamento della polizia locale, una sala civica e la sede di un'associazione culturale e teatrale. Gli spazi e le funzioni presenti incoraggiano l’utilizzo del trasporto pubblico, la pedonalità e la ciclabilità, mentre non sono presenti funzioni che necessitano di essere raggiunte esclusivamente con il mezzo individuale motorizzato (come potrebbero essere, ad esempio parcheggi di superficie delle strutture commerciali, grandi supermercati, insediamenti residenziali a bassa densità su grandi lotti, autolavaggi...). Tabella I: Linee guida TOD inerenti l'uso del suolo e loro applicazione a Sanpolino.
Linee guida TOD
Applicazione a Sanpolino Sì - unità abitative e servizi sono collocati entro un raggio di 600 m dalla stazione della metropolitana leggera automatica.
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Contenere spazi e funzioni che non "sostengono" il trasporto pubblico e sono invece orientate principalmente all'uso dell'auto.
Sì - non sono presenti nel quartiere spazi e funzioni che generano alti livelli di attività dei veicoli, che utilizzano grandi superfici di suolo con basse densità edilizie e richiedono vaste superfici a parcheggio.
Creare poli di attrazione sia per gli utenti del trasporto pubblico che per i residenti, attraverso un mix funzionale che costituisca uno spazio vivace.
Parzialmente - nel quartiere è presente un unico polo attrattore che coincide l'asse di vita del quartiere, con le sue attività commerciali e a servizio. Tali servizi risultano però essere essenzialmente servizi di vicinato o di quartiere, e quindi solo in pochi casi (ad esempio per quanto riguarda la sede della circoscrizione) attraggono utenti che risiedono al di fuori del quartiere.
USO DEL SUOLO
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Collocare spazi e funzioni in grado di "sostenere" i trasporti pubblici entro un raggio di 600 m percorribile a piedi, da una stazione o una fermata.
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Anche per quanto concerne gli aspetti legati all'organizzazione planimetrica dell'insediamento, la realtà di Sanpolino risulta essere congruente alle linee guida per il Transit Oriented Development proposte dalla città di Ottawa (tabella II): le aree a maggiore intensità d'utilizzo risultano infatti essere quelle più prossime alla fermata della metropolitana.
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Integrazione tra pianificazione urbanistica e della mobilità: un caso studio Tabella II: Linee guida TOD inerenti l'organizzazione planimetrica e loro applicazione a Sanpolino.
Linee guida TOD
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ORGANIZZAZIONE PLANIMETRICA
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Organizzare le nuove strade, corsie, collegamenti pedonali e ciclabili secondo una rete continua che definisca isolati piccoli e offra varie possibilità di percorsi. Progettare isolati aventi una lunghezza massima di 150 m, con incroci adatti ai pedoni. Creare "scorciatoie" pedonali e ciclabili che conducano direttamente ai mezzi pubblici. Collocare gli edifici vicini l’uno all’altro e lungo il fronte stradale, facilitando la pedonalità fra di essi e verso i mezzi pubblici. Collocare le densità maggiori e il mix funzionale (appartamenti, uffici, ecc.) nelle immediate vicinanze e nei pressi della stazione.
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Creare una transizione tra le aree a più alta densità presenti nell'intorno della stazione e quelle adiacenti a più bassa densità.
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Orientare gli edifici verso le stazioni e fornire un accesso pedonale alla stessa che minimizzi i possibili conflitti con il traffico veicolare.
Applicazione a Sanpolino Sì - la rete stradale e di percorsi pedonali e ciclabili è continua e definisce isolati piccoli. Sì - gli isolati hanno tutti lunghezza minore di 150 m e gli incroci risultano essere adatti ai pedoni. Sì - presenza di "scorciatoie" pedonali e ciclabili.
Sì - gli edifici sono collocati vicini tra loro e rivolti lungo il fronte stradale. Sì - le densità maggiori e il mix funzionale si ritrovano prevalentemente lungo Corso Bazoli, nelle immediate vicinanze della stazione del metrobus. Parzialmente - è possibile distinguere, seppur con qualche piccola eccezione, aree a più alta densità (con edifici dai 4 ai 7 piani fuori terra) in prossimità della stazione da aree a densità minore (con 2 o 3 piani fuori terra) localizzate ai margini del quartiere.
Sì - gli edifici lungo corso Bazoli sono orientati verso la stazione e gi accessi pedonali alla stessa sono sufficientemente sicuri.
Per quanto concerne la forma del costruito, le linee guida proposte dalla città di Ottawa trovano invece soltanto una parziale applicazione a Sanpolino. Ad esempio, la linea guida 14 "Offrire varietà architettonica soprattutto ai piani inferiori degli edifici, per aumentare l’interesse visivo per i pedoni" non trova un particolare riscontro, essendo gli edifici caratterizzati da omogeneità architettonica. Ad oggi, inoltre, anche la linea guida 12 "Realizzare dei landmarks molto visibili, attraverso caratteri distinguibili, che possano essere facilmente identificati e localizzati" non trova applicazione concreta. Passando invece ad analizzare gli aspetti legati alla pedonalità e alla ciclabilità, risultano sicuramente attese le linee guida 16 "Progettare collegamenti pedonali dedicati, comodi, sicuri, dove è facile orientarsi, continui e privi di barriere, che conducano direttamente ai mezzi pubblici" e 18 "Ridurre o contenere i collegamenti pedonali su livelli sfalsati". L'insediamento risulta infatti essere ben attrezzato con percorsi pedonali, che non presentano sottopassi o sovrappassi. L'accesso alla stazione del metrobus, collocata in viadotto e sotto la quale è presente un'ampia zona ad uso interamente pedonale, avviene attraverso una scala mobile, due scale e due ascensori. Per quanto riguarda la linea 29 "Fornire parcheggi per le biciclette comodi e attrattivi, vicini agli Michela Tiboni, Silvia Rossetti
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ingressi e protetti dalle intemperie", in prossimità dell'accesso alla stazione del metrobus vi è un'abbondante presenza di posteggi per le biciclette, collocati al di sotto del viadotto su cui scorre la metropolitana, e quindi protetti dalle intemperie. Relativamente ai veicoli e ai parcheggi vi sono alcune linee guida che non trovano applicazione a Sanpolino, come ad esempio la numero 35 "Collocare i piazzali per i parcheggi sul retro degli edifici, e non fra il ciglio stradale e le facciate. Per i fabbricati in posizione d’angolo, evitare il parcheggio verso l’esterno": lungo corso Bazoli, infatti, i parcheggi sono collocati sul fronte degli edifici. Infine, per quanto concerne il contesto stradale e ambientale, sicuramente alcune linee guida trovano applicazione, come la numero 48 "Realizzare panchine, bordi delle aiuole, illuminazione, rastrelliere delle biciclette, cestini dell’immondizia di alta qualità", altre meno o solo parzialmente, come la numero 54 "Schermare i contenitori della spazzatura e raccolta differenziata o collocarli all’interno degli edifici". Gli aspetti inerenti la forma del costruito, la pedonalità e la ciclabilità, i veicoli e i parcheggi, il contesto stradale e l’ambiente risultano quindi soltanto parzialmente applicati alla realtà di Sanpolino. Potrebbe essere possibile un intervento a posteriori finalizzato a migliorare questi aspetti, rendendoli più aderenti a quanto proposto dai principi transit-oriented? Sicuramente qualche accorgimento può ancora essere preso. Forse non tanto per quanto riguarda veicoli e parcheggi, in quanto intervenire sugli assi viari e sulla struttura e localizzazione delle zone per la sosta risulterebbe troppo oneroso e difficilmente realizzabile, o per quanto riguarda la forma del costruito, essendo anch’essa ormai definita. Ma sulla pedonalità, ciclabilità, contesto stradale e ambientale può senz’altro esserci un margine di miglioramento. Tra le altre cose si potrebbe ad esempio provvedere a predisporre una segnaletica interna ed esterna, ed oggetti di orientamento che contribuiscano a dirigere gli utenti del trasporto pubblico verso la stazione (linea guida numero 21), oppure aumentare i servizi per i ciclisti quali zone di sosta, armadietti e docce per i dipendenti, in modo da incoraggiare l’integrazione di mezzi pubblici e spostamenti in bicicletta (linea guida numero 30). Inoltre, si potrebbe predisporre la schermatura dei contenitori della spazzatura (linea guida 54), o progettare un’illuminazione speciale in aree significative, per costruire un ambiente gradevole e favorire gli spostamenti a piedi da e verso i mezzi pubblici (linea guida numero 50).
Considerazioni conclusive In sintesi, il quartiere di Sanpolino si configura come un esempio interessante di integrazione tra la pianificazione urbanistica e quella dei trasporti. Per quanto concerne l’uso del suolo (organizzazione spaziale e funzionale) e l'organizzazione planimetrica del quartiere, Sanpolino e la sua stazione metrobus rappresentano un buon esempio di applicazione dei principi di Transit Oriented Development in Italia. Gli altri aspetti (forma del costruito; pedonalità e ciclabilità; veicoli e parcheggi; contesto stradale e ambiente) trovano invece un’applicazione solo parziale, anche se nel complesso comunque coerente con i principi generali. Inoltre, per quanto concerne gli aspetti funzionali, la metropolitana leggera potrebbe incentivare l’insediarsi a Sanpolino di determinate funzioni, ad oggi non ancora o solo in parte presenti (ad esempio ulteriori uffici e poli attrattori): l’incremento di accessibilità garantito dalla linea di trasporto su ferro, molto probabilmente aumenterà l’appetibilità e rappresenta un’occasione di crescita per Sanpolino. Per questo, tra i possibili sviluppi del presente lavoro, potrebbe risultare di particolare interesse la realizzazione di un monitoraggio dello sviluppo del quartiere, prevalentemente inerente alla collocazione delle funzioni urbane al suo interno e all’andamento del mercato immobiliare.
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Riconoscimenti
Le autrici desiderano ringraziare Giulia Filippini, per l’aiuto prestato nell’effettuazione dei rilievi al quartiere di Sanpolino.
Michela Tiboni, Silvia Rossetti
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Attraversare la regione urbana Milanese: percorsi individuali e luoghi di scambio
Attraversare la regione urbana Milanese: percorsi individuali e luoghi di scambio Bruna Vendemmia Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) Email: bruna.vendemmia@mail.polimi.it Tel. 0039.081.19242430 Guido Minucci Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) Email: guido.minucci@gmail.com
Abstract La ricerca ha come obiettivo l'analisi della mobilità nei Territori Intermedi1. Tali territori sono definiti come quelle «situazioni insediative che è possibile riconoscere nelle agglomerazioni attorno ai grandi nuclei urbani che attraversano una fase matura dei processi di urbanizzazione»2. In particolare il nostro studio si focalizza sui territori di prima cintura della città di Milano, sebbene la comprensione dei fenomeni di mobilità spinga la nostra indagine fino ai confini della Provincia. La ricerca inquadra una contraddizione in essere tra l’infrastruttura della mobilità, rigida e divisa in settori radiali, e le traiettorie reali di mobilità, trasversali e non sistematiche. Data la loro posizione mediana, i Territori Intermedi risultano un campo privilegiato per l’osservazione dei fenomeni di movimento. Da un punto di vista metodologico, la ricerca adotta gli strumenti delle microstorie e delle interviste quali chiavi di lettura del territorio in oggetto, allo scopo di ottenere una visione che sia al contempo ravvicinata e inter-scalare così da cogliere le relazioni tra i diversi livelli territoriali e quelli della pianificazione.
Introduzione Questa ricerca, tenta di evidenziare, attraverso lo studio della mobilità nei territori di prima cintura di Milano, il gap esistente tra la rete infrastrutturale fisica alla base degli spostamenti, ed i flussi di mobilità che quotidianamente attraversano i territori oggetto d’indagine. La mobilità viene qui intesa come un “analyseur” (Bourdin, 2005), che ci permette di indagare in modo olistico la città contemporanea, caratterizzata dall’individualismo e dalla frammentazione (Secchi, 2005; 6), interrogando al contempo ed in modo dinamico più dimensioni della società. La descrizione delle pratiche di spostamento domicilio-lavoro, o, ad esempio, della scelta di modi di trasporto diversi o molteplici ci permettono di far luce sui processi di costruzione delle scelte nella società contemporanea. Questo è dovuto al fatto che, a partire dagli anni ‘70 e ‘80 in Italia, ed in gran parte dell’occidente, le politiche di sviluppo hanno prodotto un’intensiva infrastrutturazione del territorio e favorito la proprietà e l’uso dell’autovettura individuale. Tali scelte hanno avuto come conseguenza la massiccia espansione del suolo urbanizzato, l’allontanamento delle funzioni precedentemente contigue e la definizione di percorsi multipli ed individualistici di spostamento casa-lavoro. Parallelamente esse hanno causato un aumento della mobilità e una diversificazione delle sue motivazioni, accentuati, recentemente, dall’evoluzione delle tecnologie di informazione e telecomunicazione e lo sviluppo del trasporto ad alta velocità (Urry, 2000; 49-76), hanno dato 1
Il testo è frutto del Territorio” (DAStU, Politecnico di Milano) durante il Workshop di Progettazione e Ricerca “Percorsi di ricerca per i territori intermedi”, diretto dal prof. Francesco Infussi, con la partecipazione dei proff. Paolo Bozzuto e Stefano Pendini. 2 La definizione è tratta dalla lezione di introduzione al corso, F. Infussi, 2012. Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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luogo a due processi fondamentali. Conseguentemente, da un lato, assistiamo ad un cambiamento del processo di urbanizzazione stesso, in cui alle dinamiche tipiche della città metropolitana si sostituiscono quelle di un’urbanizzazione regionale multi-scalare, che coinvolge effetti spaziali, economici e sociali (Soja, 2011; 679689), determinando così una trasformazione sostanziale del rapporto tra città centrale e periferie; dall’altro, considerato che le diverse traiettorie generate dagli interessi individuali insistono e si incontrano su uno stesso territorio, si verifica la “compresenza di popolazioni” molteplici (Crosta, 2010; 11-12), che condividono gli stessi spazi, manifestando, in alcuni casi, esigenze diverse e contrastanti. A questa realtà variabile e basata su “connessioni spazialmente estese e a distanza” (Amin e Thrift, 2005; 49) si contrappone, in particolare nella regione Milanese, un’infrastruttura del trasporto pubblico rigida e divisa in settori radiali (figura 1), che trovano il loro centro nella città capoluogo, basata sul dualismo centro/periferia e calibrata sul pendolarismo e sistematici. Un tipo di infrastruttura che favorisce spostamenti sincronici verso un centro geografico, a scapito di quelli tangenziali o diacronici, senza tenere conto dell’insorgere di centralità periferiche e della crescita di movimenti non sistematici. Al contrario, l’osservazione della mobilità nei Territori Intermedi (T.I.), intendendo la mobilità “come quell’insieme di pratiche eterogenee che modificano i luoghi e come gestione di risorse spazio temporali, piuttosto che come semplice spostamento” (Pucci, 2007; 233), ci permette di evidenziare l’esistenza di traiettorie diversificate e trasversali che non trovano risposta nella struttura del trasporto pubblico. I T.I., grazie alle loro caratteristiche strutturali ed alla loro posizione all’interno della città regione, si presentano come campo di indagine privilegiato di queste nuove dinamiche.
Figura 1 Struttura del trasporto pubblico
Profili di mobilità nei Territori Intermedi Le pratiche di mobilità nei T.I. si estendono su un territorio dai confini labili. Ciò è dovuto al fatto che, le dinamiche demografiche, lavorative e ricreative in questi territori variano molto ed in tempi molto rapidi, perciò l’offerta di mobilità, che rispetta quasi completamente i confini amministrativi fissati, risulta inadeguata a soddisfare i bisogni reali di chi li abita e li attraversa. In una situazione così complessa, utilizzare le traiettorie di mobilità per comprendere le modalità d’uso del territorio, seppur senza produrre una mappa omnicomprensiva degli spostamenti, aiuta a ricostruire i profili di movimento di coloro che lo percorrono e lo attraversano. Ricerche sul tema della mobilità effettuate nella Provincia di Milano hanno messo in evidenza che non si può parlare dei comuni di prima cintura della città di Milano come di territori omogenei, ed hanno permesso di riconoscere, considerando l’indice di autocontenimento, l’indice di dipendenza, l’indice di mobilità e quello di gravitazione, quattro profili di mobilità: a. ambiti di nuova attrattività o con attrattività in crescita; b. ambiti di polarizzazione e con polarità consolidate; Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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c. ambiti autocontenuti; d. ambiti dipendenti (Pucci, 2007; 237). Tale crescita conferma alcune tendenze principali, quali: la maggiore dipendenza dell’area Sud-Ovest dalla città capoluogo per gli spostamenti di lavoro, ed allo stesso tempo un’intensificazione delle relazioni intercomunali nell’area Nord-Est. Contestualmente, la mappa della mobilità non sistematica, realizzata dalla Regione Lombardia nel 2002, mostra come vi sia una crescente concatenazione di movimenti distribuiti su un territorio molto ampio, che seguono ritmi e tempi molto differenti tra loro, confermando l’ipotesi che, da un punto di vista della mobilità, la città di Milano non rispetta i confini amministrativi (Manfredini & Dilda, 2012; 361-368). Un ulteriore fattore di accelerazione di questi processi è rappresentato dalla crisi economica in atto.
Metodologia di ricerca Nel tentativo di ricostruire un profilo dei T.I. si sono utilizzati differenti strumenti, combinando dati di tipo quantitativo e qualitativo. Tali dati sono poi stati messi in relazione con alcune ricerche già effettuate sullo stesso territorio di indagine, con la struttura fisica del territorio e con la struttura del trasporto pubblico. Quest’ultima è stata esplicitata attraverso una ricerca delle politiche attivate sul territorio e la costruzione di cartografie tematiche. Inoltre, per valutare gli effetti della crisi, si sono presi in considerazione alcune tendenze rilevate a livello nazionale e delle esperienze personali raccolte attraverso delle interviste sul territorio. Questa metodologia ha permesso di costruire un quadro iniziale, aggiornato, delle dinamiche di mobilità. E’ tuttavia necessario sottolineare che dato il carattere fortemente esplorativo della ricerca, durante il processo di reperimento dei dati, si sono evidenziate alcune problematiche. In sintesi, le difficoltà sono state:reperire dati sulla mobilità, recenti, e che riuscissero a descrivere tutto il territorio coinvolto; registrare le traiettorie individuali e l’ampiezza del territorio percorso; ed infine l’impossibilità di poter considerare dati che riescano a mettere in evidenza le conseguenze che la crisi economica ha avuto sulle abitudini di spostamento dei cittadini. In seguito sono state prodotte delle cartografie tematiche per descrivere i sistemi di mobilità. Si è poi costruita una mappa di sintesi rappresentativa di tutti i mezzi di trasporto: quelli in uscita da Milano e quelli che permettono collegamenti trasversali (trasporto su ferro urbano, extra-urbano ed autobus), nonchè tutti quei punti in cui due o più mezzi si incontrano permettendo uno scambio tra sistemi di mobilità diversi: “i nodi di interscambio”. La mappa del tessuto viario secondario invece è stata costruita a partire dalla mappa delle strade principali e secondarie della Regione a cui sono stati aggiunti tutti quei percorsi, anche quelli di campagna, che permettono una connessione continua del territorio. Parallelamente alla costruzione della mappa sono state effettuate delle interviste agli abitanti. Le informazioni dedotte da questa modalità di indagine, dato il campione non rappresentativo, sono state raccolte come microstorie alimentando la descrizione di questa realtà territoriale. Esse risultano utili per comprendere le modalità in cui alcuni utenti usufruiscono nella realtà dei servizi offerti. Ed infatti le interviste hanno evidenziato lo sviluppo di tattiche decertiane (de Certeau, 1990; 60) che permettono agli abitanti di muoversi in questo territorio, nonostante un sistema di trasporto pubblico che, ad oggi, non riesce a rispondere più in maniera appropriata alle esigenze del territorio disservito.
Struttura della mobilità tra domanda e offerta Il rapporto dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD, 2006) nel definire la dimensione della regione metropolitana milanese attraverso i flussi di mobilità, indica due possibilità: un ambito ristretto con una popolazione di 4.000.000 di abitanti ed un ambito più esteso con una popolazione di 7.000.000 di abitanti. Considerando che il comune di Milano conta solo 1.338.436 abitanti, risulta chiaro che, a livello di spostamenti, la regione milanese non rispetta i suoi confini amministrativi (Bolocan Goldstein, 2011; 22-23). Da un lato, il miglioramento di numerosi tratti di autostrade e strade ferrate denota la volontà di collegare la regione a scala globale. Dall’altro, si evidenzia la scarsa attenzione, a livello amministrativo, allo sviluppo di collegamenti tra il capoluogo ed il territorio di area vasta, oggetto di questo studio. Proprio in considerazione di ciò, si è deciso si studiare un territorio più vasto, il che ha permesso di evidenziare: da un lato il ruolo di cerniera che i T.I. assumono da un punto di vista della mobilità; dall’altro le carenze di un sistema di trasporto pubblico che resta sempre molto legato ai confini amministrativi. Di conseguenza una gran parte della domanda di mobilità resta inevasa, favorendo in molti casi il ricorso al mezzo privato, soprattutto per gli spostamenti brevi intercomunali, possibili grazie alla struttura viaria secondaria pre-esistente.
Muoversi col trasporto pubblico Parlare di trasporto pubblico a Milano vuol dire parlare di un complesso sistema di mezzi di trasporto su ferro e su gomma che partono, prevalentemente, dal capoluogo ed arrivano, attraverso l’interscambio tra diversi sistemi, al di là dei confini provinciali. Il trasporto pubblico dei comuni che circondano Milano, è diviso per sei lotti funzionali, assegnati in gestione a ditte differenti. Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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Questo sistema favorisce il moltiplicarsi di traiettorie che si concentrano lungo gli assi storici di penetrazione alla città tralasciando la possibilità di connessioni tangenziali tra i comuni. Dall’analisi dei quattro profili di mobilità precedentemente descritti, risulta evidente la discrepanza tra domanda ed offerta di mobilità. Ed infatti se dal punto di vista della domanda si vede la crescita di ambiti di attrattività e nuove polarità nei comuni che circondano il capoluogo, dall’altro l’offerta non riesce ad offrire un servizio pubblico che permetta di percorrere questi territori in modo trasversale e continuo. Il rapporto tra domanda e offerta di mobilità può essere letto sia come la capacità dell’offerta di soddisfare la domanda sia come la compatibilità della domanda con i servizi offerti (Riganti, 2007; 97-106). Tuttavia, affrontare la questione della mobilità, intervenendo sulle caratteristiche dell’offerta piuttosto che sulla relazione tra i differenti componenti del sistema, vuol dire non interrogarsi sui fattori che determinano un cambiamento della domanda di mobilità. Ed infatti, la mappa del trasporto pubblico e le interviste effettuate sul campo ci suggeriscono un sistema che funziona per assi convergenti nel comune capoluogo, dove i percorsi trasversali vengono presi in carico da altri mezzi di trasporto. Per chi si sposta con il trasporto pubblico questo sistema favorisce uno schema a staffetta che conferma la vocazione dei T.I. ad essere luogo di interscambio tra i diversi sistemi di mobilità.
Muoversi col trasporto privato Emerge, dalle interviste, la necessità per chi si muove con il trasporto pubblico di sopperire alla carenza di traiettorie trasversali attraverso l’uso del mezzo individuale: auto, scooter o bicicletta. La comparazione tra sistema del trasporto pubblico e privato (figura 2), effettuata indagando l’aspetto economico e il tempo impiegato su quattro percorsi, due in direzione di Milano e due tra i comuni dei T.I.3, ha messo in evidenza il vantaggio di tempo e flessibilità degli spostamenti col trasporto privato. Il vantaggio economico si riduce se includiamo nel calcolo i prezzi di manutenzione di una vettura privata, tuttavia quello temporale resta. Un indizio interessante è che la maggior parte dei possessori di auto elettriche nel comune di Milano abita nei comuni di prima cintura ed utilizza la vettura non solo per gli spostamenti di lavoro ma anche per quelli legati alla gestione della famiglia, confermando, quindi, anche l’esistenza di un sistema di spostamenti di breve distanza4. Milano
Cinisello Balsam o
(Corso Buenos Aires)
(Via Garibaldi)
Distanza
9 Km
€ (m ese)
15
70
Rozzano
10 0 -120
(Via Rom a)
Distanza
€ (m ese)
(Benzina+Assicurazione +Manutenzione)
15
85
125-135
46
Milano
(Via A. Gram sci)
(Via Monte Rosa)
€ (m ese)
Distanza
12 Km
88
Cesano Boscone
(Via Gran San Bernardo)
11 Km
(Benzina+Assicurazione +Manutenzione )
Settim o Milanese
15
85
120 -140
88
Cinisello Balsam o
Novate Milanese (Via Cavour)
(Via Pelizza da Volpedo)
Distanza
9 Km
(Benzina+Assicurazione +Manutenzione)
€ (m ese)
(Benzina+Assicurazione +Manutenzione)
12
10 0 -120
75
46
Figura 2. Comparazione trasporto pubblico/privato
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I percorsi analizzati sono: Cinisello Balsamo-Milano, Settimo Milanese – Milano, Novate Milanese – Cinisello Balsamo, Rossano – Cesano Boscone. 4 Queste informazioni sono dedotte dall’intervista realizzata, nel marzo 2012, con Giorgio Minetto, responsabile distribuzione Milano auto elettrica Birò e Tazzari. Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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È chiaro dunque che se sugli spostamenti a lunga percorrenza il trasporto pubblico riesce ad essere competitivo rispetto al trasporto privato, ed a predisporre un’offerta di mobilità che risponde alla domanda, per gli spostamenti brevi quest’offerta viene a mancare, favorendo l’uso dell’auto privata. Del resto l’analisi delle politiche, in materia di trasporto, dimostra che mentre esistono numerose iniziative che incentivano l’uso del mezzo pubblico per gli spostamenti pendolari, mancano totalmente proposte per gli spostamenti non sistematici. È evidente, quindi, la necessità di nuove politiche che analizzino la domanda di mobilità prima di offrire delle risposte cercando di costruire una città di prossimità.
Attrattori di mobilità tra politiche e pratiche Pratiche
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Mobilità ibrida
Dalle analisi esposte fin qui, si denota una tendenza a spostarsi attraverso sistemi di mobilità ibrida e di cooperazione tra gli abitanti; queste tendenze sono accentuate in tempi recenti dal sopraggiungere della crisi economica. Si evidenziano in particolare: Mobilità ibrida. La rete stradale locale permette di raggiungere i punti di interscambio del trasporto pubblico che, a loro volta permettono di guadagnare il centro città. Gli abitanti dei T.I. si spostano per sequenze, utilizzando il modo più appropriato alla scala ed alla lunghezza dello spostamento, combinando l’uso di diversi mezzi di trasporto, di tipo pubblico o privato. Cooperazione spontanea/organizzata tra gli abitanti. Un’altra pratica è quella riguardante l’uso collettivo dell’auto per compiere percorsi comuni. Questa pratica consente la riduzione dei costi di gestione grazie alla condivisione delle spese. In parallelo a questo fenomeno di autorganizzazione, si riscontra una crescita generale dei passaggi in carpooling sebbene, dalle interviste, si deduca che questo sistema funziona più efficacemente su percorsi di lunga durata.
frie n d car po o lin g
Innovative and sustainable mobility
in d ivid u al car s h arin g
Cooperazione spontanea/ organizzata tra gli abitanti
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Figura 3. Politiche e pratiche di mobilità
Nuove tecnologie. Si sta diffondendo, benché lentamente, l’uso dell’auto elettrica dovuto a due motivi fondamentali5, innanzitutto il risparmio sul costo del carburante, in secondo luogo la possibilità di accedere alle zone chiuse al traffico; si sottolinea inoltre, la possibilità di spostarsi in modoflessibile e veloce su percorsi di media distanza. Questi indizi, evidenziati nel corso delle interviste, trovano conferma in studi e ricerche 6 effettuati dal Politecnico di Milano. 5 6
Cfr. nota 4. Si fa riferimento a numerose ricerche elaborate dal DIAP sulla mobilità in Provincia di Milano. In particolare: elaborazione dati ISTAT 2011 (spostamenti sistematici) ed elaborazione dei dati risultanti da un’indagine della Direzione Generale delle Infrastrutture Regione Lombardia riferita a tutte le modalità di trasporto (spostamenti non sistematici), 2002, a cura di Fabio Manfredini, analisi degli indici, ed individuazione dei profili di mobilità a cura di Paola Pucci.
Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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Politiche In parallelo alla diffusione di queste pratiche si individuano alcune politiche (figura 3) che tentano di rispondere ai nuovi profili di mobilità. L’analisi delle diverse strategie evidenzia tre specifici elementi come oggetto finale di tali politiche: l’auto; gli altri mezzi di trasporto esclusa l’automobile; la sosta. Le misure che si focalizzano sull’uso dell’autovettura sono in particolar modo quelle legate all’uso del car-sharing, anche nella sua formula elettrica, progetto “eVai” (regione Lomardia), il carpooling di enti pubblici (Politecnico e Statale di Milano) così come quello favorito dalla società Autostrade sui tracciati autostradali A8 e A9, nonché l’obbligo per le aziende con più di 800 dipendenti di istituire un mobility manger. Per quel che riguarda le politiche attuate per gli altri mezzi di trasporto, queste si concentrano sull’affitto di biciclette (il progetto BikeMI e MiBici, rispettivamente del Comune e della Provincia di Milano) e sul trasporto, in determinate fasce orarie, della stessa sulle linee metropolitane così da favorire un uso combinato di diversi mezzi di trasporto. Inoltre, è possibile, sempre per favorire l’uso combinato di mezzi pubblici, acquistare titoli di viaggio cumulativi che permettono spostamenti al di fuori del singolo municipio (sistema Itinero). Considerando, in fine, al settore della sosta, è necessario far riferimento a tre sottosistemi: i parcheggi d’interscambio, i quali rappresentano uno degli elementi chiave, alla base dell’intermodalità; le colonnine/stazioni energetiche per ricaricare le batterie delle vetture pubbliche elettriche ed infine, il circuito delle Ciclofficine, localizzate in prossimità delle stazioni della metropolitana milanese, o in alcuni sporadici casi presso le cascine, nelle quali è possibile anche parcheggiare la propria bicicletta.
Conclusioni La ricerca effettuata sui Territori Intermedi ci permette di confermare l’ipotesi iniziale, e cioè che ad un’evoluzione del sistema urbano, riscontrabile attraverso un’analisi della mobilità, non corrisponde una trasformazione dei sistemi di trasporto pubblico. Si delinea in modo netto una discrepanza tra infrastruttura del trasporto pubblico, politiche e pratiche di mobilità. Gli indizi rilevati attraverso le interviste agli abitanti dei territori intorno a Milano mostrano chiaramente lo sviluppo di una mobilità ibrida, che ha come caratteristica principale l’integrazione, la combinazione di mezzi di trasporto diversi, sulla base della distanza da percorrere. Tale dinamica, se confrontata con il passato, evidenzia un cambiamento nelle logiche sottese alla scelta della modalità di spostamento. La preferenza indiscriminata per l’automobile, viene sostituita da possibilità molteplici e più flessibili che interrogano fattori come la convenienza economica, la tempistica del viaggio, l’accessibilità della destinazione finale e la possibilità di parcheggio. Come evidenziato dalle pratiche la gamma di veicoli a disposizione, così come anche le modalità d’uso e di proprietà stanno aumentando. Vi sono sistemi di mobilità, come quello del car sharing o del car pooling che combinano i vantaggi legati all’uso del mezzo privato con una diminuzione del numero di macchine in circolazione, oppure l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto che permette di spostarsi in città, lungo percorsi brevi o medio lunghi, potendo accedere in tutte le zone della città, ivi comprese quelle pedonali, senza problemi di parcheggio. Elemento rilevante è, inoltre, la diffusione di mezzi di trasporto elettrici, soprattutto se si considera che essi possono sfruttare e infrastrutture esistenti. Si rende necessaria la promozione di una mobilità sostenibile e poco invasiva, che, consapevole delle pratiche di spostamento e dei mezzi a disposizione, possa sfruttare quello che è stato definito come il capitale sociale della regione milanese, al fine di favorire una maggiore corrispondenza tra domanda e offerta di mobilità.
Bibliografia Amin, A. & Thrift N. (2005), Città: ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna. Bolocan Goldstein, M. (a cura di, 2011), "Rapporti territoriali in evoluzione: assetti e scenari infrastrutturali", in Bolocan Goldstein M., Botti S., Pasqui G., Nord Ovest Milano. Uno studio geografico operativo, Electa, Milano, pp. 22-23. Bourdin, A. (2005) "Les mobilités et le programme de la sociologie", Cahiers internationaux de Sociologie vol. CXVIII, 5-21. Crosta, P. (2010), Pratiche. Il territorio e l'uso che se ne fa, Franco Angeli, Milano. de Certeau, M. (1990), L’invention du quotidien, 1. Arts de faire, Gallimard, Paris. Manfredini, F., Dilda, P. (2012), "Mapping different form of mobility in the Milan urban region", Journal of Maps, no.8, vol.4, pp. 361-368. Pucci, P. (2007), "La mobilità nei territori della città contemporanea", in Lanzani A., Moroni S., Riformismo al plurale, pp. 233-241, Carocci, Roma.
Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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Attraversare la regione urbana Milanese: percorsi individuali e luoghi di scambio
Riganti, P. (2007), "Mobilità senza rete. Usi del suolo e trasporti nella regione urbana", in Bolocan Goldstein M., Bonfantini B., Milano incompiuta. Interpretazioni urbanistiche del mutamento, pp.97-106, FrancoAngeli, Milano. Secchi, B. (2005), La città nel XX secolo, Editori Laterza, Bari. Soja, E. W. (2011), "Regional urbanization and the end of the metropolitan era", in: Gary Bridge S. W., The New Blackwell Companion to the City, pp. 679-689, Oxford, John Wiley and Sons. Urry J. (2000), Sociology beyond societies, Routledge, New York.
Riconoscimenti Il lavoro fa parte di un progetto più ampio che comprende la lettura e l’interpretazione del territorio compreso tra i comuni di prima cintura del capoluogo Lombardo attraverso le pratiche del movimento, dell’abitare e della risignificazione degli spazi. Il lavoro è stato svolto da un gruppo di sei dottorandi: Alice Buoli, Cristiana Mattioli, Guido Minucci, Matteo Romanato, Aldo Treville e Bruna Vendemmia.
Copyright Tutte le immagini contenute nel testo sono ad opera degli autori, eccetto nei casi in cui diversamente specificato.
Bruna Vendemmia, Guido Minucci
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Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni Michele Zazzi Università degli Studi di Parma DICATeA – Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’Ambiente, del Territorio e Architettura Email: michele.zazzi@unipr.it
Abstract In the aim of ensuring a better sustainability to the modes of transport and use of the territory, a significant role has long been attributed to cycling. As a result, more and more, there are numerous plans for dedicated infrastructure. Less frequent, albeit in a significant increase, are planning tools that seek to introduce a systematic knowledge of current conditions and a consequent proposal of integrated and coherent solutions. The essay aims to reflect on the contents of some recent plans for cycling promoted in some cities of EmiliaRomagna, with the purpose of highlighting the features of a tool that has the distinction of being promoted spontaneously by administrations. In particular, a brief survey of the criteria adopted in cycle plans in selected cities of Emilia, which have similar characteristics and a widespread use of bicycle, allows us to define some critical issues for these cities and an assessment of these experiences to establish the real contribution of the cycling planning tools to the more general sustainable modes of transport in the city. Parole chiave Pianificazione della mobilità ciclistica, biciplan comunali, città emiliane.
Cenni sulla pianificazione della mobilità ciclistica in Italia Nel più generale obiettivo di assicurare una migliore sostenibilità ai modi di spostamento e fruizione del territorio, un ruolo significativo è da tempo attribuito alla mobilità ciclistica. Di conseguenza, sempre più, numerosi sono i progetti e la realizzazione di infrastrutture dedicate. Meno frequenti, seppur in significativo aumento, sono gli strumenti di pianificazione che cercano di introdurre un’azione sistematica di conoscenza delle condizioni in essere e una conseguente proposta di soluzioni integrate e coerenti. Nel medesimo tempo, i piani che sono stati approntati costituiscono esempi spesso eterogenei, nei quali al momento della costruzione dei quadri di conoscenza sembra seguire immediatamente un’azione di programmazione degli interventi, con minore attenzione alla definizione di criteri di selezione, priorità degli stessi e aspetti regolativi delle attuazioni. Prerogative, queste, che sembrano proprie di uno strumento di pianificazione. Questo breve saggio intende riflettere sui contenuti di alcuni recenti piani per la mobilità ciclistica di alcune città emiliane, con l’intento di mettere in evidenza le caratteristiche di uno strumento che ha la particolarità di essere promosso spontaneamente dalle amministrazioni. In particolare, sembra interessante proporre questo piccolo bilancio sia al fine di verificare la ‘necessità’ dei contenuti di un ulteriore piano di settore che si confronta con la stratificazione della pianificazione esistente sia per cercare di stabilire il reale contributo degli strumenti di pianificazione della mobilità ciclistica alla più generale sostenibilità dei modi di spostamento nella città. In tema di mobilità ciclistica il panorama italiano presenta certamente sintomi di arretratezza rispetto alla situazione di molti stati europei. Se sono ormai molteplici le occasioni di riflessione e le iniziative promozionali riguardo ai benefici, individuali e collettivi, attribuibili all’uso della bicicletta, ancora limitate sono le azioni di pianificazione e programmazione della mobilità ciclistica. Da alcuni anni è sicuramente possibile riconoscere una certa effervescenza dedicata alla progettazione di singoli itinerari ciclabili di particolare rilievo territoriale o di tratti di piste ciclabili in territorio urbano. Quasi mai, però, troviamo realizzata una visione d’insieme delle potenzialità ascrivibili agli spostamenti in bicicletta. E tuttavia gli spostamenti funzionali di natura trasportistica svolti per scelta o necessità – dalla propria abitazione ai luoghi di lavoro, alle sedi scolastiche o, più in generale, alle sedi dei servizi di interesse collettivo – insieme al ciclo-escursionismo, giornaliero e di lunga percorrenza, e Michele Zazzi
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Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
all’attività sportiva e ricreativa, rappresentano fenomeni sociali che giustificano da tempo l’attenzione per le politiche e la pianificazione di infrastrutture e attrezzature per la mobilità ciclistica. Sono molteplici le ragioni che legittimano una attività di pianificazione per la mobilità ciclistica. Se le finalità generali che supportano ogni azione di pianificazione e promozione dell’uso della bicicletta generalmente non suscitano controversie, risulta più difficile evidenziare urgenze e azioni condivise per assicurare la rilevanza di tale componente per favorire la promozione della pluralità dei modi di trasporto. L’enunciazione delle finalità e degli obiettivi deve allora attribuire allo strumento di pianificazione la prerogativa di integrare i bisogni dei ciclisti in azioni capaci di portare benefici all’intera comunità e non solo agli utenti della bicicletta, secondo una visione più generale dei modi di trasporto che vede il loro riequilibrio in funzione di una maggiore qualità ambientale. Le ragioni generali a cui ricondurre le motivazioni espresse da una comunità per sostenere un piano della mobilità ciclistica rispecchiano alcune grandi aree di interesse: l’auspicato aumento del livello di utilizzazione della bicicletta; la riduzione del numero di incidenti che interessano la mobilità ciclistica e quindi del livello di rischio associato; il miglioramento del sistema di viabilità e trasporto esistente; la promozione di iniziative specifiche legate alla mobilità ciclistica, solitamente con scopi ricreativi, sportivi e turistici. Gli obiettivi da perseguire per raggiungere tali finalità non sono riferibili in maniera esclusiva alle attività di pianificazione, ma più in generale a programmi compositi che affrontano i temi politici, i cambiamenti dei dispositivi normativi esistenti, i percorsi formativi di lungo periodo, il reperimento e la programmazione dei finanziamenti disponibili (Tira e Zazzi, 2007). Volendo richiamare i principali passi che hanno accompagnato la non facile evoluzione degli strumenti di pianificazione della mobilità ciclistica nel nostro Paese, alcuni punti fermi sono riscontrabili in alcuni adempimenti previsti dai dispositivi legislativi (Zazzi, 2008). Innanzitutto, occorre rimarcare l’originaria attenzione del legislatore per la previsione di norme di finanziamento, attenzione che ha sempre prevalso sulla specificazione dei contenuti di una possibile pianificazione 1 e che persiste tuttora. La Legge 19 Ottobre 1998, n. 366, “Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica”, il successivo Decreto ministeriale del 30 Novembre 1999, n. 557, “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili”, nonché più recenti leggi regionali (Castagna, 2003), hanno modificato e aggiornato il quadro normativo di riferimento conferendo il definitivo riconoscimento legislativo alle politiche per la mobilità ciclistica. La L. 366/1999, seppure con i consueti limiti di carattere finanziario, ha costituito un sicuro incentivo per far sì che le amministrazioni locali fossero stimolate a presentare nuovi progetti con continuità. In particolare all’art. 2 si demanda alle regioni il compito di predisporre i piani regionali di riparto dei finanziamenti per la mobilità ciclistica e per la realizzazione di reti di percorsi ciclabili integrati. Tali finanziamenti si applicano a progetti predisposti da comuni e province nell’ambito di programmi pluriennali, per i quali la legge prevede di dare priorità ai collegamenti con: edifici scolastici; aree verdi; aree destinate a servizi; strutture socio-sanitarie; rete di trasporto pubblico; uffici pubblici; aree di diporto e turistiche. L’art. 6, inoltre, contiene l’elenco degli interventi finanziabili ai sensi di legge, con particolare attenzione nei confronti della realizzazione di una rete di piste ciclabili e ciclopedonali e di itinerari ciclabili turistici. Poiché l’approccio reticolare rimanda immediatamente alla necessità di uno strumento di pianificazione e programmazione della mobilità ciclistica, si può ritenere che i modi di finanziamento previsti nelle disposizioni legislative non abbiano accordato particolari priorità alle esigenze della programmazione o alla diretta esecuzione di infrastrutture. Osservazioni preliminari ma diffuse, pur con esiti differenziati per le varie regioni, permettono di riconoscere una prima stagione in cui si è vista una spiccata preferenza per la realizzazione diretta di infrastrutture per la mobilità ciclistica. Azioni spesso portate avanti con limitate conoscenze tecnicoscientifiche e nella carenza di finanziamenti di lungo periodo adeguati a completare reti di percorribilità sufficientemente interconnesse. Come paventato da molti addetti ai lavori, i singoli interventi finanziabili e finanziati non hanno contribuito a costruire scenari complessivi per la mobilità ciclistica. Si è, quindi, aperta una seconda stagione in cui le amministrazioni più attente hanno iniziato a riflettere sui modi più opportuni per dare una organizzazione efficiente a una serie a volte anche numerosa di realizzazioni però episodiche e prive di una visione d’insieme unitaria e coerente.
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La prima legge nazionale sul tema, L. 208/1991: “Interventi per la realizzazione di itinerari ciclabili e pedonali nelle aree urbane”, poneva particolare enfasi sulla realizzazione degli itinerari ciclabili e non sul più esteso concetto di programmazione della mobilità ciclistica.
Michele Zazzi
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Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
I piani per la mobilità ciclistica delle città emiliane Qui intendo approfondire alcuni contenuti degli strumenti per la pianificazione della mobilità ciclistica approntati dalle amministrazioni comunali delle città di Modena, Reggio Emilia e Parma. Città che costituiscono un sistema territoriale piuttosto omogeneo lungo la via Emilia occidentale e che da lungo tempo – e per tradizione d’uso – hanno rivolto particolare attenzione a favorire gli spostamenti in bicicletta. Appare, quindi, interessante indagare questi casi per verificare se, perlomeno nei contesti più sensibili, si possa ritenere che gli strumenti di pianificazione abbiano apportato un reale miglioramento all’attuazione delle politiche per la mobilità ciclistica. Tutti i tre Comuni hanno elaborato e approvato uno strumento dedicato alla mobilità ciclistica: Reggio Emilia e Parma hanno scelto di individuare, già nel 2008, un apposito piano denominato Biciplan2, Modena ha una corposa sezione sulla mobilità ciclistica all’interno del Piano urbano della mobilità del 2005. Le tre città sono, inoltre, caratterizzate da una simile morfologia urbana fortemente monocentrica, che ha visto strutturarsi l’insediamento urbano in appoggio al sistema radiale delle principali strade di collegamento territoriale. Le principali criticità evidenziate da tali strumenti possono essere ricondotte ai seguenti aspetti: discontinuità dei percorsi lungo alcune direttrici, soprattutto radiali; presenza di poli di attrazione di rilevanza urbana non collegati da percorsi ciclabili diretti o con collegamenti da migliorare o potenziare; esigenza di mettere in sicurezza i percorsi ciclabili esistenti mediante la risoluzione di attraversamenti, punti di discontinuità, tratti a sezione inadeguata; conflitti tra le diverse componenti di mobilità (pedoni, ciclisti, autoveicoli) sulla rete viaria locale a minore traffico e su quella a servizio delle zone residenziali; scarsa accessibilità alla rete ciclabile o a importanti attrattori di mobilità; carenza relative alla segnaletica e al supporto informativo lungo i percorsi ciclabili. I Biciplan si configurano come strumenti agili, che richiamano lo stato dell’arte delle conoscenze, selezionano approfondimenti mirati3 e producono strategie per le azioni ritenute più opportune. Pur utilizzando la denominazione di ‘piano’, si configurano come programmi di natura strategica che hanno l’ambizione – con maggiore o minore enfasi – di definire priorità, tempi di attuazione e canali di finanziamento per le soluzioni prospettate. La natura di piano appare più evidente nella scelta di configurare uno scenario complessivo di tutti gli itinerari previsti, indipendentemente dal valore gerarchico, in quanto assetto di riferimento per tutto i soggetti responsabili delle scelte future che si configureranno con inevitabile approccio parziale all’interno dei vari settori delle amministrazioni. Parma e Reggio Emilia, forse anche per la maggiore frammentazione delle infrastrutture esistenti, pongono molta attenzione all’esigenza di realizzare le principali infrastrutture in maniera completa e non secondo i consueti ‘stralci’ attuativi della faticosa programmazione comunale (Figure 1 e 2). Modena sembra più fiduciosa in una programmazione più integrata con le prassi consuete delle amministrazioni comunali, riportando di norma la previsione dei nuovi interventi nell’ambito della programmazione triennale delle opere pubbliche (Figura 3). Alcuni tratti ricorrenti sono comunque riconoscibili nei diversi casi considerati. La rete ciclabile è organizzata per livelli gerarchici, con un’armatura di itinerari di natura “strategica” che attraversano la città. Su di essi si appoggia una maglia di distribuzione secondaria che si integra, da ultimo, con le zone dove dovrebbe essere privilegiata la mobilità pedonale e ciclistica o comunque una forte integrazione tra i mezzi di spostamento (isole ambientali, zone 30, strade residenziali). Questa soluzione dovrebbe assicurare la migliore integrazione della rete territoriale con la rete urbana, poiché gli itinerari più importanti mantengono una continuità di percorso nelle due situazioni e, nel contempo, assicurano l’accessibilità alle principali destinazioni. In questo senso, agli itinerari primari è affidato il ruolo funzionale della rete ciclabile comunale, con particolare attenzione al ruolo “utilitaristico” delle infrastrutture che supportano la mobilità ciclistica. Nella maggior parte dei casi l’itinerario si conclude nelle frazioni comunali, mentre solo alcuni itinerari, mediante il collegamento (o l’intenzione di collegarsi) con una rete di livello “metropolitano” che deve unire i Comuni confinanti alla città capoluogo, assumono una valenza intercomunale. All’enfasi sugli spostamenti funzionali – finalità dichiarata di questo primo livello gerarchico della rete – gli strumenti di pianificazione della mobilità ciclistica affiancano la previsione di itinerari con funzione più specialistica. Le denominazioni variano leggermente ma due sono i ruoli individuati per gli itinerari: una valenza turistica e una ricreativa. Senza un richiamo esplicito – fatto perlomeno curioso – pare evidente il riferimento a quanto previsto dall’art. 3 del Regolamento tecnico prima citato. Il piano della rete degli itinerari ciclabili prevede, infatti, gli interventi da realizzare e comprende i dati sui flussi ciclistici, la lunghezza dei tracciati, la stima economica di spesa e una 2 3
Sul Biciplan vedi la scheda informativa a cura della Federazione italiana amici della bicicletta (FIAB) in http://www.fiab.info/download/FIAB_scheda_div_1.pdf . Ad esempio lo studio di benchmarking promosso nel Biciplan del Comune di Parma che si prefigura come strumento di analisi per orientare e migliorare le proprie scelte attraverso un’attività sistematica di confronto con le realizzazioni delle opere inerenti la ciclabilità.
Michele Zazzi
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motivata scala di priorità e di tempi di realizzazione. Ancora, lo stesso articolo precisa che il piano della rete ciclabile deve essere inserito in maniera organica, quale piano di settore, all’interno del piano urbano del traffico per i comuni che sono tenuti alla predisposizione di questo strumento. Tutti i comuni considerati hanno assunto il modello della rete e la suddivisione delle strutture a supporto degli spostamenti in bicicletta secondo un modello gerarchico come condizione per favorire e promuovere un elevato grado di mobilità ciclistica e pedonale, alternativa all’uso dei veicoli a motore nelle aree urbane e nei collegamenti con il territorio contermine, con preminente riferimento alla mobilità lavorativa, scolastica e turistica.
Figura 1. Biciplan del Comune di Parma: Itinerari strategici, quadro d’unione.
Parimenti sono dichiarati gli obiettivi di attrattività, continuità e riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più brevi, diretti e sicuri secondo i risultati di indagini sull’origine e la destinazione dell’utenza ciclistica. Infine, forse in maniera ottimistica, ci si propone di valutare la redditività dell’investimento con riferimento all’utenza reale e potenziale nonché all’obiettivo di ridurre il rischio di incidentalità e i livelli di inquinamento atmosferico e acustico. E questo misurando la fattibilità e la reale utilizzazione degli itinerari ciclabili secondo le diverse fasce d’età e le diverse esigenze dell'utenza.
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Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
Figura 2. Biciplan del Comune di Reggio Emilia: Rete portante di progetto.
Figura 3. Comune di Modena: Programmazione degli itinerari ciclabili in ambito urbano 2011.
Un approccio pragmatico per un obiettivo così generale di accessibilità urbana e territoriale sembra richiedere uno strumento di pianificazione capace, nel contempo, di definire uno scenario sufficientemente stabile del quadro degli itinerari ciclabili delineabili in un tempo lungo e una serie di atti di programmazione e intervento più flessibili e maggiormente calati nelle dinamiche amministrative di breve-medio periodo, spesso anno per anno. Data la natura del tutto sperimentale e volontaria degli strumenti, gli esiti di questa stagione di Michele Zazzi
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Riflessioni sulla pianificazione della mobilità ciclistica nella città di medie dimensioni
pianificazione sono ancora in divenire. Si possono comunque enunciare alcune osservazione a carattere conclusivo delle riflessioni proposte.
Riflessioni sull’efficacia delle esperienze e interazioni con la pianificazione urbanistica generale I casi presentati non rappresentano certo uno stato dell’arte della situazione italiana nel suo complesso. Le riflessioni svolte e i suggerimenti che è possibile formulare possono ritenersi plausibili considerando un contesto già sensibile all’uso della bicicletta in tutte le sue funzioni, sia di carattere utilitaristico sia per finalità ricreative. Inoltre il caso emiliano è sicuramente favorito dall’orografia del terreno che non costituisce particolare ostacolo all’uso di tale mezzo di trasporto e dalla dimensione limitata degli insediamenti urbani. Il principale dilemma che sorge analizzando le proposte contenute negli strumenti di programmazione della mobilità ciclistica delle tre città considerate è posto dall’istanza di separazione generalizzata della mobilità ciclistica dal traffico motorizzato assunta per gli itinerari principali, o strategici, che costituiscono l’ossatura della rete. L’assunzione di un modello siffatto trova ovviamente giustificazioni rilevanti nella necessità di assicurare adeguate condizioni di confort e sicurezza agli utenti potenziali. L’esigenza di esperire tutte le possibilità di integrazione tra le varie componenti della mobilità, sia mediante uno studio attento delle valutazioni di compatibilità sia selezionando le infrastrutture più opportune tra quelle che il Regolamento tecnico rende disponibili: piste ciclabili in sede propria, piste ciclabili su corsia riservata in sede stradale, percorsi promiscui pedonali e ciclabili, percorsi promiscui ciclabili e veicolari, è invece lasciata alla rete secondaria, per la quale tutti gli strumenti richiamano opportunamente la necessità di integrazione con le zone 30 o le strade residenziali previsti dal Codice della strada. Le risposte a questo tipo di problemi costituiscono probabilmente il tema privilegiato dei futuri piani delle reti di itinerari ciclabili, che sempre più dovranno spostare il loro campo di attenzione dai modi di selezione dell’armatura degli itinerari principali all’identificazione di criteri prestazionali e livelli di servizio per assicurare coerenza e coordinamento alle molteplici azioni progettuali che emergono nei contesti locali. In questa direzione, i possibili aggiornamenti degli strumenti approntati fino ad ora dovranno prevedere un equilibrato corredo di interventi per le nuove infrastrutture a supporto della mobilità ciclistica, per l’adeguamento delle infrastrutture stradali esistenti e per la dotazione di quelle in previsione. In altre parole, si può osservare che l’impianto di una rete di itinerari ciclabili dovrà sempre più confrontarsi con una accurata valutazione delle esigenze degli utenti potenziali e del ruolo funzionale accordato agli itinerari. Ancora difficile risulta invece la risposta a domande che attengono alle reali sinergie tra questi strumenti, che sostanzialmente si configurano come programmazioni di opere pubbliche a natura settoriale, e la più generale pianificazione delle città e dei loro territori di prossimità (Zazzi, 2012). Raccogliere questa sfida significa ritenere maturo un vero e proprio cambio di paradigma per le città future, dove uso o consumo del suolo, conservazione delle risorse degli ambiti agricoli peri-urbani e spostamenti di prossimità mediante i mezzi di spostamento della mobilità ‘dolce’ avranno la forza di imporsi come scelte obbligate e non come utili optional di poche amministrazioni virtuose, per le quali, inoltre, difficilmente si riesce a monitorare l’efficacia reale.
Bibliografia
Castagna V. A. (a cura di, 2003), Rapporto su: La legislazione regionale in materia di ciclabilità; I piani urbani del traffico contenenti l’apposito capitolo sulla mobilità ciclistica; I piani regionali di mobilità ciclistica; I piani provinciali di mobilità ciclistica, FIAB e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, disponibile su: http://www.fiab-onlus.it/downl2/04legisl.pdf Comune di Modena (2011), Bici in tasca. Le piste ciclabili e le informazioni per spostarsi in bicicletta, Modena. Comune di Parma (2008), Parmabiciplan 2008. Relazione, Parma. Comune di Reggio Emilia (2008), Biciplan 2008. Il piano ciclistico del Comune di Reggio Emilia, Reggio Emilia. Tira M., Zazzi M. (2007), Pianificare le reti ciclabili territoriali, Gangemi Editore, Roma. Zazzi M. (2008), “Il quadro legislativo della mobilità ciclistica”, in Urbanistica Informazioni, n. 218, pp. 34-35. Zazzi M. (2012), “Accessibilità ‘dolce’ ai paesaggi di prossimità urbana nelle città emiliane”, in Atti della XIX Conferenza Internazionale Vivere e camminare in città. Culture e tecniche per l’accessibilità, Brescia, (in corso di stampa).
Michele Zazzi
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by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723 - 0993 | no. 27, vol. II [2013] www.planum.net Proceedings published in October 2013