XVI Conferenza SIU | Full Papers Atelier 4 | by Planum n.27 vol.2/2013

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Atelier

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Per un diverso progetto urbano: pratiche, progetti e strategie per la trasformazione e la manutenzione del capitale territoriale Coordinatore Elena Marchigiani con Sara Basso Discussant Arturo Lanzani


Introduzione La crisi della finanza pubblica e privata oggi impone un ripensamento radicale dei modi di fare urbanistica. Sollecita una revisione critica non solo di linguaggi, strumenti, soggetti chiamati a intervenire nei processi di trasformazione territoriale, ma anche dei rapporti che tra questi intercorrono. Sprona a immaginare nuove forme di sviluppo, attraverso progettualità in grado di promuovere il riutilizzo degli spazi urbani e di interpretare i cambiamenti intervenuti nelle relazioni tra crescita economica, sostenibilità ambientale ed equità sociale. È su queste considerazioni che si innestano i temi proposti dall’Atelier. Il primo attiene a una riflessione sulle nuove frontiere del rapporto tra pubblico e privato nei progetti di rigenerazione della città esistente. Per decenni i grandi progetti urbani hanno visto le risorse private assistite da un rilevante dispiego di fondi pubblici; spesso i loro esiti hanno evidenziato distorsioni, se non addirittura il blocco delle singole operazioni. All’idea di ‘mega-progetto’ oggi sembra perciò opportuno sostituire e/o affiancare quella di un progetto capace di tenere insieme trasformazioni di portata più ridotta, che possano garantire una migliore abitabilità agli spazi delle nostre città. Il secondo tema [di fatto corollario del primo] riguarda la necessità di rivalutare l’importanza di un’azione pubblica ordinaria che, anche attraverso interventi contenuti nel tempo e nello spazio, rilanci economie e risorse legate alla manutenzione delle città. Un’azione che affronti, in maniera concreta ed efficace, la drastica riduzione della capacità di spesa pubblica, lavorando su progetti di riqualificazione di spazi pubblici e stradali, attrezzature e spazi verdi, sul recupero e sulla riconversione a edilizia sociale del patrimonio edilizio esistente. Sollecitate da questi temi, le riflessioni e le esperienze riportate nei paper raccontano un processo di revisione del campo disciplinare, ma anche e soprattutto la complessità di ricondurre tale processo a una nuova propositività, coerente con un sistema di valori e condizioni che negli ultimi anni ha subito trasformazioni profonde e strutturali. Tre, in particolare, sono i campi di riflessione che i contribuiti contribuiscono ad aprire e rilanciare: I. la necessità di riconfigurare i processi di rigenerazione urbana a partire dall’interpretazione, dall’attivazione e dal coinvolgimento di pratiche, sempre più articolate e numerose, di mobilitazione diretta del capitale sociale e territoriale; II. l’istanza di ricalibrare il progetto urbano in funzione di percorsi di riqualificazione incrementale e diffusa dell’esistente, che spronano a sottoporre a revisione critica tecniche e strumenti ormai inattuali perché costruiti su un’idea di crescita della città per espansione e diffusione; III. l’urgenza di tornare a ragionare sui principi di legittimità del progetto urbano e urbanistico, anche a partire da un ripensamento degli strumenti di negoziazione che per decenni hanno orientato il rapporto tra interessi pubblici e privati. Elena Marchigiani, Sara Basso


Per un diverso progetto urbano: pratiche, progetti e strategie per la trasformazione e la manutenzione del capitale territoriale Coordinatore Elena Marchigiani con Sara Basso Discussant Arturo Lanzani

04 Rigenerazione urbana: trasformazione come attivazione/ mobilitazione di capitale sociale e territoriale (pratiche, processi, linguaggi del progetto urbano)_Lavorare su risorse e mosse volontaristiche di condivisione Cristina Bianchetti La condivisione fa a meno della mixité? Paolo Bozzuto Depotenziare il mito dei mega-projects La necessità di una ‘bonifica’ preliminare Valentina Cattivelli Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo Laura Falcone, Bruna Vendemmia NoStraNa, sono cose che succedono… Giuseppe Las Casas, Antonio Nicoletti, Piergiuseppe Pontrandolfi La valutazione delle politiche culturali e creative per la città contemporanea. Un caso di studio Antonio Longo Progetti minimi. L’orientamento degli investimenti territoriali nel territorio del medio fiume Olona Mirko Pellegrini Rigenerare gli spazi di frangia. Il progetto di un ‘supporto pubblico’ nello spazio periurbano Angelo Sampieri Fare case disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana Dal progetto urbano misurato sulla crescita per espansione/ diffusione dell’urbano, alla riqualificazione incrementale e diffusa e alla manutenzione dell’esistente_Lavorare su regole e strategie di densificazione e riconnessione Marco Baccarelli Manutenzione. Un progetto della città Elisa Conticelli, Stefania Proli, Simona Tondelli Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

Michele Pezzagno, Anna Richiedei La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città Marco Voltini Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi? Riletture critiche di ‘vecchi’ e ‘nuovi’ strumenti del progetto urbano_Ripensare il rapporto tra pubblico e privato e le questioni di legittimità del progetto urbano/urbanistico Valentina Antoniucci, Ezio Micelli Il segno meno. La ristrutturazione di progetti di trasformazione urbana e accordi pubblico – privato al tempo della crisi Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani E’ ancora possibile un progetto pubblico per Milano? Governare le trasformazioni urbane in fase di crisi Giuseppe Bertrando Bonfantini Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi Elena Borghetti Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale Alessandro Bove Rigenerare per competere: il caso delle aree produttive consolidate Sergio Brenna Nuove regole negoziali non arbitrarie nelle grandi Aree di Trasformazione Urbana Stefania Cascella, Anna Floriello, Giovanna Netti Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio Anna Maria Colavitti, Sergio Serra La difficile attuazione del piano urbanistico tra regolazione multisettoriale e politiche tradizionali Donato Di Ludovico, Stefano Mariotti La riqualificazione della città post-industriale Strategie per un progetto urbanistico Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino, Gabriella Graziuso Nuovi servizi insediativi in contesti policentrici di medie dimensioni


Federica Isola, Corrado Zoppi L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali: discussione di casi di studio concernenti processi in atto nella Regione Sardegna Annalisa Lodigiani Perequazione urbanistica e crisi. Quali alternative per la tutela degli spazi aperti periurbani? Gianluigi Mondaini, Roberto Panariello Fabriano, le sfide di una città in transizione Cheti Pira, Corrado Zoppi Pianificazione strategica e fondi strutturali: i piani integrati di sviluppo urbano della Sardegna Mariarosaria Villani Un nuovo porto per Salerno. Dal porto storico a Marina d’Arechi. Dinamiche progettuali e prospettive di sviluppo


La condivisione fa a meno della mixité?

La condivisione fa a meno della mixité? Cristina Bianchetti Politecnico di Torino Dist - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio Email: cristina:bianchetti@polito.it

Abstract Assieme ai molti richiami alle virtù della mixité, vi è chi suggerisce di riconsiderare da capo ciò che ritiene un vero e proprio mito: combinazione di misticismo, fatalità e mistificazione. Il paper cerca di decostruire per qualche aspetto questo mito discutendo la naturalizzazione dell’urbanità che la mixité porta con sé e il tema della misura come composizione dei rapporti sociali che la caratterizza. Gli episodi di condivisione che abbiamo osservato entro una ricerca condotta a Torino da due anni (www.territoridellacondivisione.wordpress.com) costituiscono il campo entro il quale saranno sviluppare le considerazioni. A Mill’O, Berlino, Lione, Torino, Breda la condivisione fa a meno della mixité. E’ indifferente e, in un certo senso, si muove contro di essa. L’ipotesi che si vuole sostenere è che condivisione e mixité, sebbene entrambe orientate alla costruzione di «nuovi urbanesimi», tendano a raggiungerli percorrendo direzioni contrapposte. Parole chiave condivisione, mixité, città Assieme ai molti richiami alle virtù della mixité, vi è chi suggerisce di riconsiderare da capo ciò che ritiene un vero e proprio mito1: combinazione di misticismo, fatalità e mistificazione. Riferendosi a quella stessa mixité che dai più è invocata come via d’uscita a molti problemi di carattere funzionale, spaziale e di convivenza sociale. Individuata contemporaneamente come simbolo, soluzione e condizione di un migliore abitare. Scena unica e ultima per uscire dall’appiattimento di una città di individui e introdurre varietà, urbanità, coesione in parti di città che ne sono prive o perché hanno i caratteri di enclave omogenee o perché si presentano come parti indistinte entro uno sfondo individualista. La mixité porta con sé un preciso significato tecnico e un altrettanto preciso (ma più ampio) significato simbolico. La sua efficacia è retta da quella che Sennett ha definito una «falsa convinzione»: l’idea che «mescolando diverse funzioni o mettendo le persone nello stesso luogo, queste cominceranno ad interagire»2. Ciò nondimeno permane nella cultura del progetto architettonico ed urbanistico con la forza di un assunto indiscutibile. Nelle pagine seguenti, si cerca di decostruire per qualche aspetto questo assunto discutendo la naturalizzazione dell’urbanità che la mixité porta con sé e il tema della misura come composizione dei rapporti sociali che la caratterizza. La condivisione che abbiamo osservato a Mill’O, Berlino, Lione, Torino, Breda fa a meno della mixité. E’ indifferente e, in un certo senso, si muove contro questa potente mitografia. L’ipotesi di questo scritto è che condivisione e mixité, sebbene entrambe orientate alla costruzione di «nuovi urbanesimi», tendano a raggiungerli percorrendo direzioni contrapposte3.

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H. Belmessous, Mixité sociale, une imposture: retour sur un mythe français, Éditions l’Atalante, Nantes, 2006. R. Sennett, senza titolo, in Città. Architettura e società, X Mostra Internazionale di Architettura. la Biennale di Venezia, Marsilio editori, Venezia, 2006, p.86. 3 Queste riflessioni nascono entro l’ambito di una ricerca collettiva condotta sui temi della condivisione nella città contemporanea, dal titolo Shared territories/Territori della condivisione. I materiali di questa ricerca, le ipotesi, le esplorazioni e i loro risultati sono sul blog: www.territoridellacondivisione.wordpress.com 2

Cristina Bianchetti

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La condivisione fa a meno della mixité?

Mixité sociale Lungo il corso del 900 l’urbanistica europea ha fronteggiato il movimento oscillante tra dimensione individuale e dimensione collettiva attraverso numerosi dispositivi materiali e spaziali, attraverso il richiamo ad un’idea ben levigata e compatta dello spazio pubblico e affidandosi alla mescolanza tra spazi aperti e spazi costruiti di diversa natura e uso. Dove pittoresco e qualità estetica contano molto. Ma la mixité ha ben altro dominio. Con l’attributo “sociale” ha preteso di orientare il rinnovamento di quartieri in crisi (e di intere città) attraverso l’inserimento di ceti medi in aree abitate da ceti popolari e il suo contrario. Laddove molti riconoscono che il contrario si è rivelato assai più arduo rispetto alle premesse. Tanto che su questo punto le politiche orientate dalla mixité hanno mancato il loro bersaglio. In Francia dove il problema è fortemente sentito, analisi come quella di Donzelot partono da «un punto elementare ma importante»4: ovvero dalla convinzione che è più facile imporre mescolanza sociale dove vivono i poveri (attraverso meccanismi di rivalutazione del mercato) che facilitare un trasmigrare di questi ultimi «dove stanno i ricchi». Come mostrano con chiarezza le indagini sul modo in cui è abitato il parco HLM. Nonostante le sofisticate ipotesi di rivisitazione delle torri e delle barre HLM che hanno impegnato la cultura architettonica5 e che si sono realizzate solo in alcuni casi, migliorando l’attrattività di questi edifici e aiutando l’inserimento di ceti più agiati, il reddito degli abitanti HLM nel suo complesso, diminuisce progressivamente. La città dei ricchi e la città dei poveri (per utilizzare il titolo dell’ultimo libro di Bernardo Secchi6) resistono ai tentativi di mixité. Il ripiegamento su se stessi, non il melange, è l’esito delle politiche orientate a diminuire i contrasti. Ed è un ripiegamento che riguarda entrambe le parti. Poiché i differenziali di reddito e di capitale sociale provocano tensioni negative. Vicinanza, densità e complessità di comunicazione tra vicini richiede capacità di gestire codici. Capacità che è difficile da acquisire7. Così che la mixité abitativa realizzata da migliori livelli di comfort di edifici popolari o da politiche di gentrificazione più o meno «dolce» non si traduce affatto in mixité sociale. Da qui le cautele di urbanisti e sociologi. Se François Ascher parla di «intensité urbaines» comunque circoscritta, ponendo il problema della scala geografica pertinente alla mixité8, François Bernard sottolinea le pretese eccessive di una «notion éponge par exellence», ritenuta erroneamente capace di assorbire assenza di discriminazioni, intensità di relazioni sociali, uguaglianza di chance e di accesso alla vita urbana9. Certo che i due parlano di cose diverse, poiché il termine ha connotazioni spaziali, sociali, economiche, ambientali che non possono essere confuse. Ma nella vasta letteratura che ne tratta, vi è spesso uno scivolare da una dimensione all’altra. Entro un comune elogio della diversità: nella sovrapposizione di queste differenti dimensioni, il termine evoca un «brassage social» che allude ad un orientamento umanista e progressista. Ma alla fine sembra ancora riproporre il vecchio determinismo criticato da Bourdieu, un determinismo che considera gli uomini «particelle all’interno di un campo magnetico, sottoposte al dominio delle forze di attrazione e repulsione»10. Poiché in fondo è questo che postula la mixité: data la presenza ben equilibrata di differenti funzioni, si genera un’attrazione e un’interazione urbana.

Désir d’urbanité La mixité è dunque ricercata nella cultura del progetto (e non solo), simbolo, soluzione e condizione di un buon abitare. Espressione di una condizione urbana per definizione che, trattando di funzioni, allude a coesione sociale e a un migliore ambiente fisico. Contro le separazioni, le barriere simboliche, le fratture che hanno frantumato l’urbano alla fine del XX secolo. Ritenuta fonte di animazione urbana e attività economica, risponde a quello che un po’ pomposamente è definito il nuovo «désir d’urbanité». Due o tre aspetti meritano di essere brevemente sottolineati. Il valore tecnico. Codificata dalle istituzioni11, la mixité ha mostrato una sua forza e utilità entro programmi di trasformazione urbana di un certo peso. Le indagini condotte su alcune delle maggiori operazioni di trasformazione urbana nelle città europee, mostrano con chiarezza come la mixité funzionale e tipologica sia condizione della realizzazione di interventi rilevanti. Per rimanere in ambito francese, i casi del complesso Le

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J. Donzelot, “Mixité sociale”, La Rivista delle Politiche Sociali, n. 3, 2006, pp. 177-201 (cit. p.181), l’articolo è la traduzione italiana del saggio pubblicato su Esprit “L’architecture e l’esprit de l’urbanisme européen” (ottobre 2005). Si veda anche “Paradoxes de la mixité sociale”, Espaces et sociétés, n. 140-141, 2010. 5 F. Druot, A. Lacaton & J.Ph. Vassal, Plus, Gili, Barcelona, 2007. 6 B. Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari-Roma, 2013 (in stampa). 7 Donzelot, “Mixité sociale”, … cit., p. 183. 8 F. Ascher, Métapolis ou l’avenir des villes, Éditions Odile Jacob, Paris, 2006. 9 F. Bernard, “Critique de la mixité sociale”, in Politique, revue de débats, http://politique.eu.org/spip.php?article1271. 10 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 75. 11 Il riferimento è all’art.1 de la loi SRU del 2000 divenuta poi l’Article L121-1 del Code de l’urbanisme Cristina Bianchetti

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La condivisione fa a meno della mixité?

Vérose a Lille, del Monolithe a Lyon e dell’Ȋlot B3-C3 a Metz illustrano bene questo aspetto12. Si tratta di operazioni rilevanti, che si sono scontrate con la crisi del 2008 e hanno messo in gioco importantissime risorse economiche, simboliche e progettuali. Queste operazioni hanno dovuto inventarsi processi gestionali complessi e hanno dovuto misurarsi con una mixité funzionale imposta a livello del singolo edificio o dell’intero complesso. Entro processi di questo tipo, la mixité è un carattere molto apprezzato, che legittima e crea consenso, anche se produce qualche maggiore rigidità costruttiva e di rifunzionalizzazione degli spazi. In altri termini, è un requisito ineludibile quando le dimensioni in gioco sono importanti e il montaggio dell’operazione è faccenda complessa, con la moltiplicazione di soggetti, la stratificazione di programmi e la presenza di più cantieri entro un unico processo. La tenuta della coerenza complessiva non è affare scontato e la mixité diventa dispositivo che catalizza la riorganizzazione (tecnica, economica e giuridica): cerca di costruire mutualizzazioni e aggiustamenti, produce convergenza di tempi, accompagna la specializzazione degli attori. La sua versione “romantica” (come risposta al «désir d’urbanité») mistifica una funzionalità specifica ai processi di trasformazione della città e alle loro logiche finanziarie accentrate. Resta da capire quanto, nell’attuale crisi finanziaria, operazioni di questa portata siano ancora riproducibili. Il valore ideologico. La mixité è rivendicata in opposizione al funzionalismo modernista degli anni 40-60, quello che costruisce la sua ricerca sull’autorità di architetti, ingegneri, manager, biologi e scienziati sociali. La cui cronologia dà luogo a infiniti «battibecchi», come scrive Anthony Vidler13, fin dal crinale degli anni 50. Ma che funziona, evidentemente, come bersaglio assai più a lungo (anche perché la sua influenza è stata più duratura dei battibecchi). La mixité si legittima come contrasto a quella città funzionalista che separa e distingue funzioni, riorganizzandone lo spazio. In altri termini, la pratica dello zoning è il bersaglio: criticato in nome della povertà degli spazi cui dà luogo. Di contro, la mixité ha la pretesa di tenere assieme la diversità. Ma a ben guardare non agisce in modo diverso dai paradigmi che combatte: le funzioni (e i loro spazi) sono poste una accanto all’altra, una sopra l’altra. Invece di separarle, distinguerle come nello zoning tradizionale, le avvicina e le riposiziona in un solo edificio, in un solo isolato. Ma è ancora una questione di disposizione e distanza: è, in questo, espressione di un programma ancora profondamente funzionalista. Oltre ad essere inefficace rispetto ai suoi ambiziosi obiettivi (la prossimità spaziale, come si è detto, non significa affatto spessore sociale, urbanità). Per quanto possa dar luogo a spazi infinitamente più belli di quelli progettati attraverso le tradizionali zonizzazioni, il che è sicuramente apprezzabile. Credere però che questo permetta anche di raggiungere densità sociale significa sottovalutare il fatto che scelte e vincoli legati all’uso dello spazio sono socialmente costruiti. Basta osservare le strategie di distinzione messe in atto dai diversi gruppi sociali attraverso l’uso dello spazio e dei servizi (innanzitutto di quelli scolastici). Strategie che rendono inoperativa (o più semplicemente un simulacro) l’idea di urbanità per contiguità. E la nostalgia che la pervade, di cui Jane Jacobs è l’involontaria, onnipresente testimone. Il problema della misura. Nel progetto contemporaneo, la mixitè è una composizione di funzioni, di usi, di pratiche che agisce a mezzo di disposizione e distanza. Torna in essa il tema (classico) della misura: dispositivo spaziale che ha la pretesa di divenire composizione di rapporti sociali. Lo spazio urbano è presentato come condizione che necessita di essere «remis aux normes», per tornare ad essere spazio garantito in virtù di misure, parametri, indici; per reintrodurre prossimità e mescolanza di funzioni. La pretesa, direbbe Supiot14 è di ridurre l’urbanità a misure e quantità definite (oltre che ben mescolate). In altri termini, un insieme bene equilibrato di parametri e funzioni si sostituisce progressivamente alla realtà di cui si ritiene sia rappresentazione: la mixité è scambiata per urbanità. E’ la trasformazione di una condizione statistica in una desiderata (in sostanza la sua trasformazione in un giudizio di valore). O, per meglio dire, la sovrapposizione di misurazione e valutazione, che alla fine, condanna alla perdita del senso della misura15. E tutto questo ha valore normativo: i presunti indicatori di urbanità orientano l’azione pubblica verso la soddisfazione di soglie (piuttosto che verso risultati), sono tesi a costruire condizioni ritenute garantite. Una condizione garantita è una condizione che esclude il rischio. Nella città i rischi sono ovunque. A volte li corre chi abita. A volte chi amministra. Altre volte chi progetta. L’idea bizzarra è che, assolte alcune condizioni di ordine quantitativo, questi evaporino. Se il determinismo che permea le retoriche della mixité è fortemente criticato, nondimeno il tema può contare su un consenso robusto e vitale. E’ ancora oggi per molti, il modo corretto per parlare di città. Ma come la mixité parla della città esattamente? Fondamentalmente si ispira alla complessità del passato operando una naturalizzazione del concetto di urbanità, considerata ciò che «constitue “l’état naturel” de la ville»16. Qualcosa di metafisico, o se si vuole, innato: condizione alla quale si tenderebbe naturalmente, valida per tutti. La naturalizzazione della nozione di urbanità coincide con il suo addomesticamento: non tiene conto delle

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F. Mialet, Mixité fonctionelle et flexibilité programmatique. Zoom sur trois opérations, programma BATEX (Bâtiments exemplaires) Plan Urbanisme Construction Architecture, Ministère de L’Ecologie, du Développement Durable, des Transports et du Logement, Paris, October 2011. 13 Il termine è di A. Vidler, Storie dell’immediato presente, Zandonai, Rovereto, 2012, p. 124. 14 A. Supiot, Lo spirito di Filadelfia, et/al, Milano, 2009. 15 Ivi, p. 62. 16 Plan Urbanisme Construction Architecture, Mixité fonctionnelle versus zoning : de nouveaux enjeux ?, Ministère de L’Ecologie, du Développement Durable, des Transports et du Logement, Paris,s.d., p. 1. Cristina Bianchetti

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ineguaglianze sociali, dei conflitti; tanto meno dei diritti che non concernono (solamente) la distribuzione spaziale, ma un insieme più ampio di accesso alle risorse, come Lefebvre ci ha abituati a ritenere17.

Entre nous Condivisione e mixité sono due linee contrapposte che mirano entrambe alla costruzione di quelli che abbiamo chiamato «nuovi urbanesimi»18. Da un lato un irrobustimento del legame sociale. Dall’altro il presupposto che stare vicini, essendo diversi, sia una buona condizione, segni uno stare meglio. Sarebbe liquidatorio (e probabilmente sbagliato) sostenere che la diversità dei due approcci derivi semplicemente dal fatto che il primo (quello delle condivisioni, ancorché varie) sia orientato ai soggetti; il secondo (quello della mixité) sia compreso entro la dimensione del progetto o delle politiche. C’è qualcosa di più interessante della logora contrapposizione “dal basso e dall’alto”. Che ha sempre voluto dire poco, poiché non ha mai tenuto conto di come le posizioni “dal basso e dall’alto” siano costruite entro una forte influenza reciproca: il progetto condiziona e forma le idee e le domande degli abitanti, così come, all’inverso queste ultime condizionano e formano il progetto. Se non si vuole prendere la facile uscita della contrapposizione, c’è la possibilità di portare un po’ avanti il discorso. A partire da ciò che i casi studio ci dicono della condivisione. Comunanza e familiarità sono esiti dell’irrobustirsi di un legame sociale che ha molte ragioni e che cambia in profondità, con la sua stessa presenza, il territorio contemporaneo. I “territories partagés” si situano entro uno sfondo individualizzato entro il quale i legami sociali diventano per un gran numero di persone più deboli, più specializzati, temporanei, a lunga distanza, più numerosi e più diversificati. In rapporto a questo sfondo di individualismo difficile, abbiamo osservato nicchie che si muovono altrimenti. Utilizziamo il termine condivisione per alludere a queste nicchie e alle loro implicazioni spaziali: forme di colonizzazione di territori difficili; corrosione di spazi pubblici; sovrascritture e contrasti; finte permeabilità; costruzione di bordi e nuove centralità; forme di riuso temporaneo. Esiti di un modo di abitare mosso quasi sempre da segmenti culturalmente bene attrezzati di classe media e quasi sempre teso ad aprire un fronte vivace, rivendicando nuove forme di liberazione della città: liberazione artistica, di modi di vivere, di diritti. La logica che sembra presiedere queste esperienze è simile a quella indicata con i termini «entre nous». Dove il ritorno «entre nous» è il «symptôme, excesssif ou excédé d’une nouvelle forme de solidarité qui se cherche dans l’attention aux aspiration spécifiques, multiples et variables des individus, au-delà donc des formes étatiques d’organisation de la dette mutuelle dans la societé»19. Al di là, appunto, di forme di mutua organizzazione, questo modo selettivo della prossimità è guidato, in diversa misura, dal disagio identitario di una società individualizzata, dal tentativo di ricostruire fiducia, dalla volontà di gestire alcuni rischi comuni. Quasi sempre, in queste condivisioni, la dimensione collettiva è un mezzo, non un fine (anche se ben mescolata con espressione di valori ecologici, ambientali, sociali). Per quello che abbiamo osservato, dal lato dello spazio, è a questa logica dell’«entre nous» che possiamo poggiare l’interpretazione di nuove solidarietà definite a partire da aspirazioni molto specifiche. Le interviste agli abitanti di Mill’O20 ripetono quasi alla lettera la convinzione (paradossale) di poter «faire société tout seul»21. Rimane naturalmente una fondamentale distinzione con «l’entre-soi des riches». Piuttosto che «des pauvres». Osserviamo qualcosa di diverso. Il riprodursi dell’«entre nous» per così dire oltre le tradizionali enclaves: in situazioni puntuali, minute, che hanno la pretesa di tenere assieme ricchi e poveri22. Ma che analogamente si separano dalla città. Sono profondamente «antiurbane»23. Permeate dalla convinzione di non avvantaggiarsi, ma al contrario di essere incrinate dalla diversità. In altri termini, la condivisione, quando guarda al suo intorno, non dice affatto che stare assieme, essendo diversi, significhi stare meglio. Le barriere simboliche che costruisce attorno a sé, sono permeabili, ma molto resistenti. Come accade con la vegetazione spontanea a Mill’O o la facciata paravento al Mitte a Berlino. Ciò che queste barriere segnano è la distanza con quanto si ha vicino. La distanza come critica ad un ugualitarismo solo formale. E rivendicazione di un «habiter autrement» a mezzo di logiche di distinzione24 riscritte chiaramente nello spazio. L’altro da sé (il sobborgo borghese di ricche case individuali di Mill’O, i quartieri industriali di Breda, i tessuti centrali di Berlino, le frange urbane di Torino, il quartiere storico di Bologna o di Lione) sta bene nella misura in cui ce ne si può distanziare, standoci in mezzo. La tolleranza nei confronti di situazioni differenti si traduce nel non avvicinarsi troppo, seppure essendone immersi. Nel non doversi necessariamente ricollocare entro lo spazio nel quale si è localizzati. In altri termini,

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H. Lefebvre, Le droit à la ville, Antrhropos, Paris, 2009 (III°, ed. or. 1967). Il riferimento è alla ricerca richiamata nella nota 3. 19 J. Donzelot , O. Mongin “Quand la ville se défait. De la question sociale à la questione urbaine” in Esprit, n. 258, 1999, (cit. III pagina). 20 Il riferimento è alla ricerca richiamata nella nota 3. 21 J. Donzelot, La ville à trois vitesse, La Villette, Paris, 2009, p. 42. 22 M. Lietaert, Le cohabit. Recostruisons des villages en ville, éditions Couleur Livres, 2012. 23 Il riferimento è alla ricerca richiamata nella nota 3. 24 P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 2001 (ed. or. 1979). 18

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La condivisione fa a meno della mixité?

nell’evitare eccessive prossimità. Quel che esprimono queste situazioni è un diritto25. Un diritto ad «habiter autrement» e a tenere (e ad essere tenuti) a distanza di sicurezza. L’urbanità per contiguità qui è un mito svuotato di senso.

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C. Bianchetti, “La différence et ses droits”, in E. Cogato Lanza et L. Pattaroni (sous la direction), De la différence urbaine, Mētis presses, Genève, 2013 (in stampa).

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Depotenziare il mito dei mega-projects

Depotenziare il mito dei mega-projects La necessità di una ‘bonifica’ preliminare Paolo Bozzuto Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: paolo.bozzuto@polimi.it

Abstract Un ‘nuovo’ e diverso approccio al progetto urbano, legato a forme di azione ‘ordinaria’ mirate a rilanciare le economie connesse alle attività di riqualificazione e di manutenzione della città, comporta una necessaria revisione delle retoriche decisioniste ed emergenziali che hanno caratterizzato le modalità di governo e di trasformazione del territorio italiano, sia a livello nazionale, sia a livello locale, nel corso degli ultimi due decenni. Tali retoriche hanno costruito il proprio primato nel campo dei ‘mega-projects’ (grandi progetti infrastrutturali o grandi progetti unitari di trasformazione urbana) divenuti, nel corso del tempo, veri e propri ‘miti’ della contemporaneità. Roland Barthes ci ha insegnato che il mito è (anche) una ‘parola’. Depotenziare il mito dei ‘mega-projects’ e condividere una revisione critica delle ‘parole’ dell’urbanistica italiana appaiono, oggi, azioni necessarie per operare una ‘bonifica’ preliminare del metaforico ‘terreno’ sul quale si intendono costruire e sostenere, anche attraverso il progetto urbano, nuovi modelli di sviluppo territoriale. Parole chiave Mega-projects, mito, parola «It is, of course, always difficult to discern the extent to which rhetoric corresponds with reality» (Susan S. Fainstein, Mega-projects in New York, London and Amsterdam, 2009) «I have heard many years of telling, And many years should see some change The ball I threw while playing in the park Has not yet reached the ground » (Dylan Thomas, Should lanterns shine, 1936)

1 | Nuovi approcci e vecchi miti Nel quadro globale della perdurante crisi economica, il contesto italiano vive una stagione peculiare in cui carenze di lungo periodo, nella costruzione di politiche per lo sviluppo, sembrano convergere verso la necessità di sostenere forme di gestione e trasformazione della città e del territorio orientate verso una fertile integrazione tra crescita economica, sostenibilità ambientale ed equità sociale. Tale approccio, in modo implicito ma sostanziale, sembra richiedere anche un mutamento di paradigma sociale, inteso come un insieme di idee, valori, percezioni e pratiche, condivisi da una comunità, che formano una visione della realtà in relazione alla quale la comunità stessa si organizza (Capra, 1982). Codici di comportamento, convenzioni, valori e rappresentazioni sono infatti fattori costitutivi di quel ‘capitale sociale’ (Putnam, 1993) che, anche nella sua accezione macro (civicness, institutions), è ritenuto una fonte importante per la costruzione di ‘capitale territoriale’ (Camagni, 2009), inteso come capitale specifico di una determinata area, capace di generare un più elevato ritorno per particolari tipologie di investimento efficaci nell’utilizzare i suoi asset e le sue potenzialità (European Commission, 2005). Affinché ciò possa davvero concretizzarsi, mentre si valutano best-practices e si formulano ipotesi e proposte, occorre avere consapevolezza della necessità di condurre una metaforica azione di ‘bonifica del terreno’ in cui si opera, attraverso una revisione critica e una disarticolazione delle retoriche decisioniste ed emergenziali che hanno dominato le forme di governo e di trasformazione del territorio, sia a livello nazionale, sia a livello locale, Paolo Bozzuto

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Depotenziare il mito dei mega-projects

nel corso degli ultimi due decenni (Lanzani, Pasqui, 2011). Tali retoriche hanno costruito il proprio primato nel campo dei mega-projects (grandi progetti infrastrutturali o grandi progetti unitari di trasformazione urbana) grazie all’intreccio, alla sovrapposizione e all’interazione di forme plurali di ‘racconto’ messe in atto da soggetti eterogenei coinvolti, a vario titolo, nei processi di programmazione e realizzazione di specifici grandi progetti 1. Proprio la compresenza e l’intreccio di queste forme di racconto hanno contribuito a costruire un carattere ‘mitico’ per i mega-projects2. Ed è proprio con questo lascito mitico che, necessariamente, dovrà confrontarsi un nuovo approccio al progetto urbano, perché la funzione principale del mito è quella di fornire «il modello retrospettivo di valori morali, dell’ordine sociologico» (Malinowsky, 1926: 58) ovvero di operare come «strumento di controllo sociale» (Abbagnano, 1961: 570) attraverso la conferma e la giustificazione degli usi e delle istituzioni di una comunità. Ma non si tratta solo di un’azione retrospettiva: i miti producono realtà sociale (Godelier, 2009) nel senso che essi contribuiscono a costruire la conoscenza che i soggetti hanno dei contesti e delle relazioni in cui sono inseriti; il mito è «una rappresentazione collettiva che ha la sua origine nella società ed è utilizzato in vista di un’azione sociale» (Ries, 2005: 16). Soprattutto, occorre confrontarsi con questa dimensione perché «il fine vero dei miti è di immobilizzare il mondo: bisogna che i miti suggeriscano e mimino un’economia universale che ha fissato una volta per tutte la gerarchia dei suoi possedimenti» (Barthes, 1957: 234-235). Nel momento in cui si postula o si argomenta la giusta necessità di praticare un diverso approccio al progetto urbano, occorre chiedersi come tale orientamento possa affermarsi nelle pratiche disciplinari e professionali, ma anche entro le arene decisionali (composte da attori che detengono saperi esperti e background culturali non omogenei), entro i diversi immaginari sociali locali e, più in generale, entro l’immaginario collettivo. Preliminarmente, ciò implica domandarsi perché, al di là di eventuali fenomeni di hidden agendas presenti nei processi sottesi alla loro programmazione (Ponti, 2007), al di là dei casi pur rilevanti di ‘opposizione dal basso’ ad alcune specifiche realizzazioni, i mega-projects abbiano potuto esercitare una presa così rilevante sull’immaginario collettivo italiano negli ultimi due decenni. L’ipotesi che intendo argomentare sinteticamente, avvalendomi di un approccio caratterizzato da «ironia complessa» (Vlastos,1991), è che la ‘prepotenza’ (in senso lato) dei grandi progetti3 sia derivata anche dall’esistenza di una forma di pre-potenza mitica (cioè di potenza a priori) a loro connaturata.

2 | Pre-potenza dei mega-projects Uno dei miti escatologici più potenti nella storia dell’umanità, come noto, è il ‘diluvio universale’ presente non solo nella tradizione ebraico-cristiana, ma, in forme diverse, in molte religioni e mitologie delle civiltà antiche 4. Nel ‘Libro della Genesi’ dell’Antico Testamento, la salvezza dell'uomo passa attraverso la realizzazione di un manufatto peculiare: l’Arca5. Essa si configura come un grande involucro deputato a racchiudere, proteggere e trasportare i pochi ‘eletti’; in questo senso l’Arca è interpretabile come una delle possibili reificazioni dell’archetipo del ‘contenente’ e, pertanto, va ricondotta alla dimensione fondamentale delle ‘strutture antropologiche dell’immaginario’ (Durand, 1963). Poiché archetipica, la figura dell’Arca può essere associata, più o meno latamente, a una moltitudine eterogenea di realizzazioni nella storia della città e del territorio: dalle città sumere del III millennio a.C., circondate da un muro e da un fossato che «escludono, per la prima volta, l’ambiente aperto naturale dall’ambiente chiuso della città» (Benevolo, 1975: 21), alle gated community contemporanee in cui si realizza la «secessione dell’uomo affermato» (Bauman, 2000: 53). Esiste tuttavia una peculiare referenza che emerge rileggendo il passo della Genesi: la salvezza dell'umanità e la sua ‘elezione’ dipendono dalla realizzazione di un opera eccezionale per caratteristiche e dimensioni: un mega-project ante litteram, la costruzione del quale viene suggerita a Noè, con 1

In particolare, gli attori pubblici e privati direttamente interessati alla realizzazione dell’opera, i ‘decisori’ politici, gli attori pubblici e privati portatori di istanze contrarie alla realizzazione dell’opera, i media televisivi, della ‘carta stampata’ e del web impeganti a raccontare le dinamiche urbane, politiche ed economiche del contesto di riferimento. 2 Per una sintesi efficace degli studi e delle riflessioni sul rapporto fondamentale tra la dimensione del mito, la sua costruzione e la pratica del racconto si rimanda il lettore al capitolo antologico ‘Dal mito al logos o dal logos al mito?’ in (Lotito, 2003). 3 Con il termine ‘prepotenza’ voglio riferirmi al fatto che molti di questi progetti «troppo spesso non intendono convincere, ma solo affermarsi [...] troppo frequentemente […] non ci parlano tanto del futuro e del modo di raggiungerlo, quanto dei loro estensori e dello scambio fra attori di cui sono l’oggetto» (Infussi, 2007: 63). 4 Per una semplice ma utile sintesi della ricorrenza del racconto del diluvio universale, nelle culture antiche e nelle tradizioni religiose, si rimanda il lettore al primo capitolo del volume (Buonfiglio, 2004). 5 «Allora Dio disse a Noè: E` venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un'arca di legno di cipresso; dividerai l'arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l'arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell'arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell'arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza» (La Sacra Bibbia, Genesi, 13-18). Paolo Bozzuto

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dovizia di dati quantitativi e qualitativi, dalla divinità stessa. Perché l’Arca non deve solo fungere da contenitore, mezzo e spazio per la sopravvivenza, ma anche come simbolo della rinnovata alleanza della divinità con l’uomo; per questo essa deve configurarsi necessariamente «come una nuova creazione, una nuova situazione, una novità ontologica o metastorica, come qualcosa che fino ad allora semplicemente non era lì né in alcun altro luogo» (Panikkar, 2008: 224). Attraverso la realizzazione di un progetto di natura eccezionale, in definitiva, l’uomo esprime un desiderio di redenzione (Parotto, 2000) funzionale alla riconquista di una condizione perduta: la possibilità di avere ancora un avvenire, un futuro. In questo consiste la profonda dimensione ‘mitica’ connaturata a ogni mega-project, in questo risiede il connotato di pre-potenza antropologica che alimenta ogni proposta di grande realizzazione, indipendentemente dai suoi contenuti tecnici o strategici. Ciò garantisce un implicito vantaggio, dal punto di vista del riscontro nell’immaginario collettivo, a ogni ipotesi di trasformazione della città e del territorio che venga posta al centro del discorso pubblico e delle arene decisionali attraverso dinamiche comunicative mirate a enfatizzare precisi caratteri dell’opera propugnata: unitarietà ed extra-ordinarietà dimensionale, qualitativa e processuale. Per citare un’ultima volta Durand (1963: 258), si potrebbe dire che «la qualità profonda, il tesoro sostanziale, non è ciò che racchiude […] non è la fiala che conta, ma l’ebbrezza». La pre-potenza dei mega-projects, come detto, ha assunto un’evidenza particolare nell’ultimo ventennio italiano, soprattutto quando la comunicazione dei leader politici nazionali, ampiamente supportata dal medium televisivo, ha imposto al discorso pubblico la locuzione ‘grandi opere’, circoscrivendola in modo implicito, ma non sostanziale ed esclusivo, al campo delle grandi infrastrutture. I mega-projects infrastrutturali (dal Ponte sullo Stretto di Messina al tunnel di base della linea ferroviaria AV/AC Torino-Lione) hanno cosi svolto, in modo non dichiarato, ma comunque evidente, un ruolo di supplenza entro l’immaginario collettivo nella società postindustriale italiana, prendendo il posto di un più ampio ‘mito del futuro’ tramontato insieme alla stagione della grande industrializzazione. Questo mito, nella pubblicistica di divulgazione scientifica, nella fiction e, più in generale, nella cultura popolare era sostanzialmente coincidente con il mito dell’anno 2000 6: il nuovo millennio (Battifoglia, 2008). Vi è assai poco di ‘prometeico’ nei progetti di ‘grandi opere’ (come talvolta, invece, è capitato di leggere o ascoltare nei dibattiti sui temi infrastrutturali); piuttosto, in ogni mega-project si nasconde una piccola Arca utile a navigare nel mare, turbolento e piatto allo stesso tempo, dell’assenza di una visione collettiva e condivisa del futuro7; perché l’escatologia del mito del diluvio, proprio come quella dell’apocalisse, oggi più che mai ‘di moda’, «non può fare a meno di essere una proiezione del presente, la risposta a una crisi storica» (Coupe, 1997: 70). Perché una delle principali ragioni per cui abbiamo bisogno del senso escatologico è quella di resistere a una vita che è divenuta opprimente (Ricoeur, 1965). Ecco perché, ora, ci appare più argomentabile l’assunto corretto secondo cui i grandi progetti «prima ancora che risposte a bisogni economici, infrastrutturali o territoriali, sembrano giocare un ruolo decisivo sul piano simbolico [e la loro natura] è giustificazione sufficiente per la [loro] realizzazione» (Zeppetella, 2009: 334-351).

3 | Verso una retorica dei mega-projects Se si accetta l’esistenza di un carattere mitico dei mega-projects, quale esito della stratificazione di una forma generale di pre-potenza e dei ‘racconti’ plurali operati in merito a ogni specifico progetto, allora, seguendo la riflessione barthesiana sui ‘miti d’oggi’, dovrebbe essere possibile identificare anche una specifica retorica dei mega-projects, cioè un insieme di strutture e di figure «fisse, regolate, ritornanti, nelle quali vengono a ordinarsi le forme svariate del significante mitico» (Barthes, 1957: 230). Non è materialmente possibile produrre, in questa sede, un repertorio antologico di testi utile a rendere evidente la mia ipotesi e ad argomentarla attraverso 6

«Negli anni Cinquanta e Sessanta la scienza significava futuro e l’anno 2000 ne era il simbolo […] monorotaie sospese per far correre velocissimi treni, spazioporti, energia pulita e città perfettamente organizzate: così mezzo secolo fa si immaginava il 2000 […] Il mito del 2000 pervadeva la cultura di quegli anni […] tracce ben conservate del mito del 2000 si trovano oggi nelle riviste scientifiche divulgative pubblicate in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta […] Ad alimentare il mito della scienza e della tecnologia erano in primo luogo i grandi progetti industriali […] Il mito del 2000 era alimentato, in ultima analisi, da una grande fiducia nel futuro che pervadeva ogni categoria sociale e culturale e che si traduceva nell’attesa di un profondo cambiamento che sarebbe arrivato nell’arco di soli cinquanta anni.[…] Oggi del mito del 2000 è sopravvissuto ben poco […] Nell’arco di pochi decenni il mito del futuro è andato in frantumi» (Battifoglia, 2008: 41-45). 7 L’esistenza di una ‘crisi del futuro’, nel contesto italiano, è da tempo segnalata da una molteplicità di autori e fonti. L’urgenza di ri-costruire una ‘visione’ è stata evidenziata, tra gli altri, da Giuseppe De Rita e dal Censis (2010), ma anche dal ‘Rapporto Italia’ rilasciato dall’Eurispes nell’anno 2011: «Il nostro non è un Paese ‘senza qualità’ […], ma un coagulo di idee, di intelligenze, di capacità, di iniziative che non riescono a fare sistema perché per fare sistema, per mettere insieme tutte le energie che l’Italia è in grado di esprimere, occorrerebbero un disegno, una strategia, un progetto complessivo al quale affidare il futuro […] L’Italia ha urgente bisogno di ritornare alla politica, ha bisogno di tornare a discutere del proprio futuro e di riscoprire, perché no, anche il fascino dell’utopia per tentare di uscire dalla crisi» (Eurispes, 2011: 4-10). Paolo Bozzuto

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una puntuale analisi testuale e narratologica. Affido al lettore, se lo vorrà, l’onere e il piacere di operare una verifica o una confutazione di quanto propongo a partire dai ‘casi studio’ che gli sono familiari 8. Proverò a mettere in evidenza e a definire solo alcune delle figure che mi appaiono rilevanti, a titolo esemplificativo9. ‘Primato’_La figura del primato si fonda sui ‘luoghi’ 10 della quantità11 e della qualità, Dimensioni fisiche o estensioni eccezionali, costi economici esorbitanti, complessità elevata dei processi, ecc., attivano il luogo della quantità e, contestualmente, istituiscono le premesse per una rapida attivazione anche del luogo della qualità (che, sostanzialmente, riguarda il ‘non comune’) e una sua particolare declinazione: il luogo dell’unico, che risponde all’assunto per cui «è ciò che ci sembra unico che diviene per noi prezioso […] la qualità unica diviene un mezzo per ottenere il suffragio dei più» (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958: 95-96). La compresenza di questi due luoghi agevola, attraverso la loro mescolanza, l’eventuale messa in atto di attività comunicative mirate alla seduzione: si tratta di quella particolare forma di «suasione» (Eco, 1987: 20) che può facilmente essere identificata nella «quantificazione delle qualità» che Roland Barthes (1957: 233) rileva come una delle forme retoriche tipiche dei miti della contemporaneità; attraverso di essa «il mito fa economia di intelligenza»12. ‘Catastrofe’_La figura della catastrofe si fonda sul ‘luogo’ dell’irreparabile 13 che, spesso, viene attivato per paventare il fatto che la mancata realizzazione di uno specifico grande progetto potrebbe causare conseguenze negative per una molteplicità di soggetti e di settori. Il luogo dell’irreparabile introduce il concetto di ‘catastrofe’ secondo una duplice valenza: da un lato, essa è identificata con l’accezione comune del termine, sinonimo di ‘disastro’, ecc.; dall’altro, secondo la sua accezione etimologica, cioè «un fenomeno che imprime un cambiamento definitivo in un sistema» (Morgia, 2007: 12). La catastrofe è qui intesa come rottura con le condizioni date nel presente; se esse sono ritenute o rappresentate come negative (deficit occupazionale, deficit dei trasporti, ecc.) allora essa si configura come un’ineludibile opportunità, da cogliere subito perché non più ripetibile. ‘Spreco’ | L’argomento dello spreco14 risulta spesso centrale nei processi decisionali sui grandi progetti, in particolare quelli infrastrutturali: gli studi e i progetti preliminari comportano sempre tempi e costi rilevanti; attraverso la figura dello spreco essi divengono argomento per postulare la necessità di proseguire, in ogni caso, lungo la strada dell’effettiva realizzazione dell’opera, inficiando de facto la funzione euristica del processo decisionale. L’argomento dello spreco può essere impiegato anche per propugnare un progetto presentandolo come «ciò che con la sua presenza verrebbe a completare felicemente un insieme, che si può quindi considerare come implicito nella natura stessa delle cose» (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958: 295). ‘Cerniera’ | Un’espressione metaforica abusata nei linguaggi della quotidianità, per criticare un mega-project, è la locuzione ‘cattedrale nel deserto’. Essa è utilizzata anche dai soggetti propugnatori di queste opere per costruire retoricamente, attraverso la ‘prolessi’ (che consta nel prevenire un’obiezione), asserzioni rassicuranti di segno opposto. Sostenere che un certo progetto «non sarà una cattedrale nel deserto»15 significa sostenere che esso riuscirà a costruire relazioni rilevanti e forme di integrazione con il contesto territoriale di riferimento. Ma 8

Per un esercizio rapido e facilmente praticabile, consiglio la lettura dei documenti e dei testi di carattere ‘promozionale’ (ivi comprese le interviste rilasciate alla stampa da soggetti coinvolti, a vario titolo, nella realizzazione dell’opera) prodotti in relazione al progetto del quartiere ‘Santa Giulia’ a Milano, oggi disponibili per frammenti in (Savoldi, 2010: 51, 56, 57), in relazione ai grandi progetti milanesi di trasformazione urbana CityLife (http://www.city-life.it) e Porta Nuova (http://www.porta-nuova.com), in relazione all’EXPO 2015 (http://www.expo2015.org) oltre che l’ampia pubblicistica che, nell’ultimo quindicennio, ha accompagnato le alterne vicende dei processi di progettazione di due ‘grandi opere’ infrastrutturali: il ponte sullo Stretto di Messina e il collegamento ferroviario AV/AC Torino-Lione. 9 Per farlo mi avvarrò, in particolare, del supporto di un testo fondamentale per gli studi retorici contemporanei: il Traité de l’argumentation di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts–Tyteca (1958). 10 Con il termine ‘luoghi’ si intendono premesse implicitie di ordine generale cui si fa ricorso per aumentare l’intensità di adesione di un uditorio a una tesi proposta; in sostanza, i ‘luoghi’ costituiscono una risorsa per trovare gli argomenti utili al discorso persuasivo (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958). 11 «Intendiamo per luoghi della quantità i luoghi comuni che affermano che una cosa vale più di un’altra per ragioni quantitative. Il luogo della quantità, la superiorità di quanto è ammesso dalla maggioranza, costituisce il fondamento di alcune concezioni della democrazia, ed anche di quelle che assimilano la ragione al senso comune» (Perelman, OlbrechtsTyteca, 1958: 91-92). 12 Fondamentale, nei meccanismi suasivi inerenti i grandi progetti, è una precisa figura retorica: la ‘conglobazione’, basata sull’enumerazione e sull’accumulo (Reboul, 1991). Essa entra in gioco ogni volta che un progetto è raccontato attraverso una sequenza di dati inerenti le sue dimensioni, i sui costi, le sue prestazioni tecniche, ecc. 13 Il luogo dell’irreparabile «si presenta come un limite che viene ad accentuare il luogo del precario: la forza argomentativa legata alla sua evocazione può avere un valore folgorante […] determina timore nell’uomo» (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958: 97). 14 Tale ‘argomento’ consiste nel sostenere che «dal momento che si è incominciata un’opera e accettato sacrifici che andrebbero persi in caso di rinuncia all’impresa, bisogna continuare nella stessa direzione […] si esorta a non ostacolare queste forze naturali, sociali, che si sono già manifestate» (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958: 294). 15 A titolo esemplificativo si rimanda il lettore al documento: Osservatorio collegamento ferroviario Torino-Lione, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Nuova Linea Torino-Lione. Conferenza stampa di presentazione del progetto e dell’analisi costi benefici, Roma 26.04.2012 (http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/TAV/index.html). Paolo Bozzuto

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tale integrazione, se fosse pienamente conseguita, determinerebbe una parziale dissolvenza di ciò che, in precedenza, abbiamo definito come ‘luogo dell’unico’. Ecco allora emergere, in modo implicito o esplicito, la figura della ‘cerniera’, laddove un progetto sia proposto quale opportunità per ‘collegare’, ‘integrare’, ‘ricucire’ e, in definitiva, unire realtà differenti o separate, mantenendo però una riconoscibilità propria, unitaria 16. La sequenza in cui ho presentato queste figure costituisce solo una semplice forma del testo. Non è rilevante il loro ordine, nè lo sono le loro connessioni. È la loro compresenza nel ‘discorso pubblico’, invece, a svolgere un ruolo decisivo nell’edificare e nel perpetuare il mito dei mega-projects. Forse, siamo davvero destinati a rimanere comunque «prigionieri del mito» (Vattimo, 2002) dei grandi progetti di trasformazione urbana e delle grandi opere infrastrutturali 17. Proprio per questo, però, è necessario riflettere sulla possibilità di agire in modo tattico nella direzione di un suo depotenziamento.

4 | Depotenziare il mito, ‘bonificare’ il discorso Annientare un mito, liberarsene del tutto, ci ricorda Barthes (1957: 216), è alquanto difficile, ma l’arma migliore per tentare di opporvisi «è forse mitificarlo a sua volta, è produrre un mito artificiale: e questo mito ricostruito sarà una vera e propria mitologia». L’individuazione del carattere di pre-potenza dei mega-projects e l’esplicitazione di una loro peculiare retorica (per quanto svolta in modo necessariamente sintetico e non esaustivo), attuate nei paragrafi precedenti, altro non sono che un tentativo, totalmente consapevole dei propri limiti, di costruire «quello che si potrebbe chiamare un mito sperimentale o un mito al secondo grado» (Ibid.). Concentrare la propria attenzione su una modalità critica, ma dominante, di trasformazione della città e del territorio (i mega-projects), in un momento storico in cui si auspica e si propugna il suo superamento (almeno parziale) e il radicamento di un nuovo approccio al progetto urbano, potrà forse apparire singolare o non particolarmente propositivo. Proprio la storia recente e ingloriosa di alcuni grandi progetti di trasformazione urbana18, però, suggerisce la metaforica necessità di ‘bonificare il terreno’ sul quale si intende praticare nuovi modelli di sviluppo territoriale (Marchigiani, Prestamburgo, 2011) dalle ‘scorie’ del recente passato. A questo auspica di poter servire la trattazione svolta in queste pagine: costruire deliberatamente un mito del mito dei mega-projects. Un mito ‘secondo’che abbia il potere «di istituire il primo come ingenuità guardata» (Barthes, 1957: 217). Occorre infine tornare al provocatorio incipit 19 di Le mythe, aujourd'hui, in cui Barthes enuncia il proprio peculiare approccio fondato sul rapporto tra mito e linguaggio, per abusarne in modo consapevole (ma moderato) al fine di introdurre un’ultima, necessaria, azione di ‘bonifica’. L’abuso, che dichiaro subito, sta nel prendere volutamente ‘alla lettera’ le affermazioni del semiologo francese: il mito è una ‘parola’, ma si tratta di «una parola rubata e restituita. Solo che la parola riportataci non è più interamente quella sottratta: nel riportarla, non la si è esattamente rimessa al suo posto» (Ibid.: 207). Il mito dei mega-projects ci ha rubato qualche ‘parola’, re-immettendola poi nei linguaggi della contemporaneità e nel lessico dell’urbanistica, senza che ci accorgessimo del suo ‘slittamento’? La questione è rilevante, a mio avviso, perché interseca necessariamente il tema della revisione delle forme comunicative della nostra disciplina e, allo stesso tempo, il sempre attuale ‘dibattito’ culturale sulla «manomissione delle parole» (Carofiglio, 2010) operata nella «lingua del tempo presente» (Zagrebelsky, 2010). 16

Molti grandi progetti di trasformazione/riqualificazione urbana sembrano dover assolvere, nelle volontà dei proponenti, analoghe funzioni: basta inserire la locuzione ‘cerniera urbana’, o l’equivalente inglese ‘urban hinge’, in qualunque motore di ricerca su internet, per cogliere in modo immediato la diffusione e la rilevanza di questa figura. Per esemplificare: nel PGT del Comune di Milano, il nuovo grande parco previsto nella parte occidentale del territorio, denominato West Park dell’Intrattenimento, è descritto come «una grande cerniera tra la città del tessuto consolidato e la città diffusa che si distende verso il Ticino» (Comune di Milano, 2010: ch.4, 223). L’ipotesi progettuale di una nuova stazione intermodale a Modena contempla il fatto che ad essa sia possibile «attribuire il ruolo di nuova centralità e di autentica cerniera urbana» (Comune di Modena, 2009: 36). 17 Riflettendo proprio sui ‘miti d’oggi’di Barthes (1957), il filosofo torinese concludeva che è «difficile dire se anche questi miti siano prodotti ingannevoli di una casta di moines avidi di potere: un po’ certo lo sono, anche se i monaci astuti sono oggi i manipolatori pubblicitari, o politici, della coscienza collettiva. Ma dietro questo ritorno continuo del mito si cela probabilmente quel suo legame con la finitezza e la mortalità, il fatto che esistiamo solo essendo “gettati” in una cultura che ci condiziona e che possiamo criticare e modificare, come la lingua che parliamo, solo a patto di assimilarla e condividerla» (Vattimo, 2002: 25). 18 Il caso milanese del quartiere ‘Santa Giulia’, nella sua eccezionalità, può essere assunto come simbolo di un’intera famiglia di progetti incompiuti o incapaci di corrispondere alle aspettative create dal punto di vista del contributo all’abitabilità complessiva del contesto urbano in cui sono stati realizzati. Per un’ampia ed efficace trattazione del caso, si rimanda il lettore a (Savoldi, 2010). 19 «Che cos’è un mito, oggi? Darò subito una risposta molto semplice, che si accorda perfettamente con l’etimologia: il mito è una parola» (Barthes, 1957: 191). È bene precisare che Barthes intende la mitologia come parte della più ampia semiologia, pertanto usa il termine ‘parola’ come rappresentativo del concetto di ‘messaggio’, che può avere forma orale, scritta o rappresentata/raffigurata. Paolo Bozzuto

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Italo Calvino (1988: 57), nella sua terza lezione americana (‘Esattezza’), richiamava la necessità di «un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione» per opporsi alla deriva dell’approssimazione che gli appariva come una ‘pestilenza’ 20. La malattia del linguaggio ci riguarda direttamente, come urbanisti. O, almeno, ci riguarda la possibile diagnosi formulata, nello stesso anno di pubblicazione delle ‘Lezioni americane’, da Uwe Pörksen. Introducendo la locuzione «parole di plastica»21 (o «parole ameba», nella formulazione adottata dal suo ‘maestro’ Ivan Illich22) lo studioso tedesco, anche a partire dalla rilettura di alcuni testi contenuti nei documenti di pianificazione urbana della città di Friburgo, evidenzia il ‘pericolo’ rappresentato da vocaboli che andavano configurandosi come «idoli, magici e vuoti, strettamente imparentati con i miti d’oggi di Roland Barthes» (Pörksen, 1988: 64). Dotate di una sorta di ‘aura’ che ne riduce la forza denotativa, amplificandone oltremodo le valenze connotative, le ‘parole di plastica’ sembrano essere ormai «dappertutto: nei discorsi dei politici e sul tecnigrafo degli urbanisti, nei convegni accademici e nel mondo[...] dei mezzi di comunicazione di massa» (Ibid.: 34). Se si scorre l’elenco23 redatto, pur in via non definitiva, da Pörksen è inevitabile restare colpiti dalla frequenza con la quale ricorrono termini connaturati alla nostra disciplina, costitutivi delle sue attività. Naturalmente, essendo l’urbanistica una disciplina fondata su pratiche che vedono l’interazione tra soggetti di natura differente, portatori di saperi di matrice diversa, si può capire come essa, paradossalmente, ‘erediti’ da tale convivenza una particolare esposizione al rischio rappresentato dalle ‘parole di plastica’. È bene quindi dire che lo stesso Pörksen (1988: 68) avverte l’esigenza di precisare che «qui non si tratta di stigmatizzare le parole; intendo piuttosto svelare un modo di utilizzare determinati vocaboli tipico degli ultimi decenni». Non si può delegare in via esclusiva a un professore emerito di ‘Lingua e letteratura tedesca antica’, appassionato di questioni urbane, ma eccessivamente severo con gli ‘esperti’, un giudizio critico sul sapere, sui linguaggi e sul lessico disciplinare degli urbanisti; tuttavia, l’indizio di un potenziale problema esiste. Un problema che forse merita di essere preso in esame nel momento in cui si propugna la necessità di un diverso approccio al progetto urbano, mirato alla valorizzazione del capitale territoriale attraverso interventi ‘ordinari’. Esiste una lingua nostrae aetatis (Zagrebelsky, 2010: 10) nell’urbanistica italiana contemporanea, che si è costruita anche a ridosso e attraverso il ‘discorso pubblico’ sui grandi progetti di trasformazione urbana e sulle grandi opere infrastrutturali? Potrebbe configurarsi come un ostacolo al concreto radicamento di questo nuovo approccio al progetto urbano? Sarebbe possibile operare una sua ‘bonifica’ all’interno del discorso urbanistico? Questo, forse, può essere uno spunto di riflessione nel contesto della XVI Conferenza SIU. Il mio piccolo contributo, preliminare al confronto, può solo consistere nell’avanzare qualche ipotesi in merito a vocaboli che, pur assenti dall’originario elenco di Uwe Pörksen, rischiano oggi di entrarvi, in seguito a un processo di ‘plastificazione’ operato dal mito dei mega-projects. Una nebulosa di parole che, solo per necessità espositiva, affido al lettore in ordine alfabetico, volutamente senza ulteriori commenti: ‘abitabilità’ (‘vivibilità’), ‘centralità’, ‘corridoio’, ‘eccellenza’, ‘integrazione’, ‘infrastruttura’, ‘rete’, ‘retorica’, ‘riqualificazione’, ‘scenario’, ‘sostenibilità’, ‘snodo’. Mi limito solo a constatare, in conclusione, che ad alcune delle parole elencate è stata e ancora oggi è legata una parte significativa della mia attività di ricercatore. In fondo, non si sbagliava Platone nel sostenere «non sarà il demone a scegliere voi, ma sceglierete voi il vostro demone» (Repubblica, X, 617e).

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«Una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conosictiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati» (Calvino, 1988: 58) 21 Secondo Pörksen (1988: 39) si tratta di parole che originano da «concetti popolari appartenenti al linguaggio colloquiale [che] trasmigrano nella scienza o in altre sfere superiori, dove assumono l’aspetto di verità assolute che, una volta autorizzate e canonizzate, tornano al linguaggio colloquiale dove diventano miti dominanti». Termini che mettono in relazione «l’idea di una plasmabilità infinita con quella di una stereotipia consolidata» (Ibid.: 43). Nel scegliere il sostantivo ‘plastica’ per qualificare questo tipo di entità linguistiche, Pörksen fa esplicito riferimento proprio, e non a caso, a una delle voci delle mythologies di Roland Barthes (1957: 169). 22 Nel libro-intervista realizzato con David Cayley, Ivan Illich dice: «Ho preso questo termine dal lavoro di Uwe Pörksen [...] Una parola ameba è come un sasso lanciato in una coversazione: produce delle onde, ma non colpisce niente [...] In genere si tratta di una parola che è sempre esistita nella lingua, ma che è passata attraverso un candeggio ed è stata quindi riportata nel linguaggio corrente con una nuova connotazione, cioè rimanda a cose che altre persone conoscono ma che tu non puoi capire fino in fondo» (Cayley, 1992: 192) 23 A partire dalla rilettura di alcuni discorsi di personalità politiche tedesche e di una selezione dei testi contenuti nei documenti di pianificazione urbana della città di Friburgo, risalenti all’anno 1978, Pörksen (1988: 118) redige questo elenco: ‘assistenza’, ‘bisogno fondamentale’, ‘capitalizzazione’(sfruttamento), ‘centro’, ‘comunicazione’, ‘consumo’, ‘contatto’, ‘crescita’, ‘decisione’, ‘educazione’, ‘energia’, ‘fattore’, ‘formazione’, ‘forza lavoro’, ‘funzione’, ‘futuro’, ‘identità’, ‘informazione’, ‘lavoro’, ‘management’, ‘modello’, ‘modernizzazione’, ‘partner’, ‘pianificazione’, ‘posto di lavoro’, ‘prestazione’, ‘problema’, ‘processo’, ‘produzione’, ‘progresso’, ‘progetto’, ‘qualità’, ‘rapporto’, ‘risorsa’ (materia prima), ‘ruolo’, ‘salute’, ‘scambio’, ‘servizi’, ‘sessualità’, ‘sistema’, ‘soluzione’, ‘sostanza’, (‘materia’, ‘materiale’), ‘strategia’, ‘struttura’, ‘sviluppo’, ‘tenore di vita’, ‘valore’. Paolo Bozzuto

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Depotenziare il mito dei mega-projects

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Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo

Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo. Valentina Cattivelli Università di Parma Dipartimento di Scienze Politiche Email: Valentina.cattivelli@unipr.it; valentina.cattivelli13@gmail.com Tel: 02.123.4567

Abstract I territori periurbani coniugano disordinatamente le principali caratteristiche delle aree rurali ed urbane. La necessità di regolare i rapporti tra tali contesti non è certo esigenza recente, né solo italiana; tuttavia, assume oggi una nuova importanza e, in certi casi, un’evidente urgenza a causa degli elevati costi dell’inefficienza delle politiche pianificatorie. Il punto di partenza rimane la corretta interpretazione dei cambiamenti territoriali a cui si deve aggiungere una valutazione oggettiva delle politiche assunte. Il presente paper offre un supporto a tale esercizio comprendendo una sintesi delle letture delle peculiarità del periurbano date dagli economisti regionali ed urbani, nonché del loro contributo alla risoluzione dei tipici problemi di governance. Parole chiave Periurbano, scienze regionali, urbanistica.

Il territorio nuovo: il Periurbano La città contemporanea è indeterminata in molti dei suoi elementi fondamentali (Treu, 2009 a, b). Non è la città storica e nemmeno la città moderna tipica d’inizio Novecento che si priva di un ordine prestabilito o del desiderio di ordine e di armonia, ma è una città “nuova” che cerca elementi di innovatività nella replica delle proprie strutture in contesti territoriali nuovi1. La sua forma è porosa ed incontrollata perché vede venire meno la chiarezza della distinzione dei suoi elementi costitutivi e dei suoi confini che, in passato, costituivano separazione dall’ambiente esterno, ragione del rafforzamento del senso di protezione e d’appartenenza alla comunità in essa insediata (Treu, 2006a). Dalla sua periferia parte una fitta ramificazione di relazioni materiali ed immateriali che si estendono in un paesaggio nuovo che non è più città e nemmeno campagna, ma è un continuum insediativo interconnesso ed esploso (Camagni, 2008), per formare una megalopoli policentrica con momenti di concentrazione o di diffusione lavorativa (pendolarismo) ed insediativa (città dormitorio, congestione). Quest’area periferica perde la sua tradizionale connotazione di sito dipendente, si priva di differenze e di identità, nonché di qualità architettonica e di relazioni originali con il contesto di riferimento. Acquista la qualifica di area di transizione, di luogo tangibile e fragile, dotato di attitudine al cambiamento che, talvolta, non si esprime. Perde gli aspetti rurali (per effetto della riduzione di suolo fertile, terra da destinare ad usi agricoli, ecc.) o è priva di attributi urbani (bassa densità, ridotta accessibilità, scarsa disponibilità di servizi e di infrastrutture). La biodiversità è minacciata (EAA, 2006) e quella rimasta soffre per la frammentazione dell’agroecotessuto e l’insularizzazione dei suoi frammenti nelle maglie del costruito. La sua tutela passa per la 1

La città contemporanea è “infinita” (Bonomi, Abbruzzese, 2004), “shirinked” (Schwartz et al., 2005), “frangiata”, “ricercatrice”, “coalescente”, “smussata” e “dalla socialità leggera” (Cattivelli, 2012a) e “resilente” (resilience.org, 2012).

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realizzazione di reti ecologiche che aiutano a contemperare le esigenze di protezione ambientale ed a definire i confini (spesso labili) con le aree rurali limitrofe oppure di orti urbani ed altre forme di agricoltura. Il periurbano è però matrice di sviluppo nonché luogo ideale per lo svolgimento di attività economiche in passato delocalizzate (Cattivelli, 2012b). Dapprima, si è “svuotato” di alcune attività (prevalentemente quelle a maggiore dotazione di capitale fisico), delocalizzate dove maggiori erano le economie di urbanizzazione; ora si ritrova a doverle assorbire nuovamente al proprio interno, in un contesto territoriale fortemente diverso, a causa della contrazione degli incentivi alla localizzazione nelle aree più periferiche, delle difficoltà di reperimento di materie prime o di capitale umano o di accesso alla rete infrastrutturale. È quindi alla ricerca di una propria (e particolare) vocazione economica. Cambia ed è cambiato da ritmi, tempi e spostamenti, orari e scelte della società civile. Parte della popolazione attiva lo lascia alla ricerca di abitazioni meno care o di condizioni di vita più salubri; i pensionati ritornano nelle loro località di origine alla riscoperta delle tradizioni e del viver più sano. Tutti questi cambiamenti sono interpretati diversamente da tutte le discipline. Tra le tante, le scienze regionali e l’urbanistica offrono le soluzioni più visibili ed immediate per il loro governo.

Il pensiero delle scienze regionali Attualmente, le riflessioni economiche partono dalla analisi dei flussi, materiali ed immateriali, di persone e di capitali, per spiegare le ragioni che possono giustificare le diversità nei criteri di organizzazione spaziale delle aree periurbane. In particolare, recuperano le teorie di Von Thunen2 per spiegare le dinamiche di localizzazione in funzione del mercato dei suoli o quelle di Christaller3 per rileggere la composizione e la dinamica della domanda di fattori produttivi. Gli studi sulla cumulative causation4 o sulle economie esterne di scala o sulla land rent5 sono anch’essi ripresi e riconsiderati e, talvolta, fanno ampio uso della modellistica propria della New Economic Geography6 che trova quindi ampia e diversificata applicazione. Parimenti, non studiano solo i cambiamenti 2

Von Thunen (1826) preferisce spiegare le scelte di localizzazione delle colture agricole, in funzione delle decisioni assunte dalle imprese di trasformazione. Partendo dalle assunzioni di concorrenzialità perfetta, di isotropia e di incidenza della distanza dal centro delle città, lo studioso sostiene che le colture si localizzino intorno alla città in ragione del prezzo di ciascun prodotto agricolo, al netto dei costi di produzione e dei costi di trasporto. 3 Christaller (1933) studia le ragioni della distribuzione spaziale delle città partendo da una analisi economico-geografica delle funzioni offerte. Egli vuole meglio comprendere il numero, la dimensione e la distribuzione spaziale delle città. Quest’ultimo le assume a luogo privilegiato di produzione dei servizi ed il costo di trasporto quale fattore importante nella determinazione delle dinamiche di domanda e di offerta. Spiega la gerarchia urbana ed il ruolo dei diversi centri urbani, nonché la distanza tra loro esistente nonostante la carenza di motivazioni o l’eccessiva semplicità delle ipotesi semplificatrici. 4 E’ un approccio multicausale dove le variabili “core” e le loro relazioni sono studiate. L’idea sottostante è che un cambiamento in una istituzione porti a successivi cambiamenti nelle altre. Myrdal la adottò e si concentrò sugli aspetti sociali e previsionali del sviluppo, ritenendo che tali condizioni siano determinate dalla disponibilità di risorse naturali, da tradizioni storiche nelle attività produttive, coesione nazionale, religioni e ideologie e leadership sociale e politica. Scrisse infatti: “‘the argument moves on a general and methodological plane in the sense that the theory is discussed as a complex of broad structures of thought’ (His aim was to submit ‘broad generalisations, as a ‘theory’ is permitted to be, (in order to) grasp the social facts as they organize themselves into a pattern when viewed under a bird’s-eye perspective Into this general vision, the specific characteristic. Fonte: (Myrdal, G. 1957, Economic Theory and Underdeveloped Regions, London: University Paperbacks, Methuen). 5 Ossia, gli studi sulla rendita urbana. 6 Il suo principale esponente, Krugman, più volte sottolinea come fino alla fine degli anni ’80 gli economisti ritengano che l’‹‹economies are dimensionless point in space›› e che la dimensione spaziale dell’economia non possa dire nulla circa la natura delle forze economiche. Egli nota che tutte le teorie economiche formulate fino a questo periodo poggiano sui modelli di analisi neokeynesiani che, seppur validi, presentano un modello di economia privo di storicità o di ambientazione territoriale. La NEG cerca di superare tale criticità. Scrive Martin (2010): «Economic geography proper involves a firm commitment to studying real places (the recognition that local specificity matters) and the role of historical – institutional factors in the development of those places […] and it involves a rekection of abstract models in favor of discursive persuasion». Tale orientamento cerca di evidenziare la precarietà dei tentativi delle teorie economiche precedenti nella spiegazione della localizzazione delle imprese, inserendo, nell’analisi, prospettive nuove, di matrice geografica. Nella versione più semplice del modello, il settore manifatturiero (urbano) produce un insieme di produzioni orizzontalmente differenziate. L’accertamento di un elevato numero di costi, non riducibile ai soli costi delle materie prime o del lavoro, la misurazione della distanza tra i vari mercati, di produzione e di consumo, la valutazione delle tecniche produttive, la verifica della segmentazione del mercato sono elevate a ragioni che possono spiegare la concentrazione piuttosto che la dispersione imprenditoriale. L’introduzione della mobilità interregionale del lavoro, in particolare, implica che le agglomerazioni ed, in genere, la distribuzione delle attività economiche sia endogeno. I costi di trasporto, le economie di scala e la mobilità dei fattori produttivi sono considerati elementi chiave nella localizzazione di impresa. Le scelte di localizzazione non producono esclusivamente effetti sulla redditività delle imprese che le compiono, ma anche sulle economie locali. Valentina Cattivelli

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delle geografie delle attività economiche, del lavoro e del welfare (Sunley, 2008), ma come le strutture spaziali così prodotte possono a loro volta influenzare le driving forces (Rosser, 2009), adottando un approccio di matrice darwiniana7 (Generalised Darwinism: Metcalfe, 2005) basato sulla Complexity theory8 e sulla Path Dependence Theory9 (Cattivelli, 2012a). Tutto questo per avere una base teorica che aiuti a studiare lo spazio economico, l’organizzazione spaziale della produzione, lo scambio, la distribuzione, il consumo nella loro dimensione spaziale (Boschma, Frenken, 2006) e la loro capacità di reagire ai cambiamenti seguendo processi di auto-regolazione, autorganizzazione ed adattamento (Boschma, 2009). In forza a tali assunzioni, il periurbano è fattore di produzione regolato da un sistema di rendita (Boscacci, 2010), oppure è perimetro, a delimitazione di variabili economiche e dei loro effetti (Chincarini, Asherie, 2008), accumulazione di capitale fisico e relazionale (Camagni, 2008), risultato della dinamicità di un’economia non stazionaria (Calafati, 2009). È poi memoria e spazio bianco della pluralità di modi della sua gestione perché si estende oltre un ambito normativo ed amministrativo ben definito (Cittalia, 2010). In aggiunta, è spazio competitivo (JRC, 2010) perché in esso convergono tensioni per la distribuzione delle funzioni e l’uso delle risorse naturali che sfociano in squilibri nella distribuzione del reddito, dell’occupazione, della popolazione, nella mobilità e crescita dei fattori di produzione (Martin, Sunley, 2003), nel trasferimento della conoscenza (Phelps, 2007). Rimane però destinazione della localizzazione di individui e di attività economiche (Wheeler, 2006), realizzando, talvolta in maniera imperfetta, poli di sviluppo o nuclei di imprese a presidio di intere filiere tipiche delle grandi manifatture. Tutto ciò porta però a congestione, inquinamento, scarsa infrastrutturazione o problemi sociali tanto che qui i costi tipici della “città dispersa” sono più alti (Calafati, 2003; Camagni e Capello, 2004; Gibelli, 2002, per esempio). La loro misura suggerisce l’ipotesi che tali territori non siano che la proiezione spaziale di un sistema di prezzi e di norme che inducono gli individui ad effettuare decisioni di territorializzazione sub-ottimale dal punto di vista sociale. Questo esercizio passa per la costruzione di modelli spaziali per la valutazione del suolo e del processo di formazione dei valori fondiari (Dekkers, 2010). La speculazione terriera è infatti funzione del grado di urbanizzazione (Espon, 2006), mentre l’evoluzione dei vantaggi comparati delle aree centrali rispetto a quelle periferiche si basa su un modello dualista (Pompili, 1986) fondato su domanda ed offerta di fattori differenziate a causa delle diverse dotazioni infrastrutturali. I differenziali di rendita tra centro e periferia sono considerati misure sintetiche dei vantaggi di localizzazione (per primo, Camagni, 1994) anche perché la rendita che riguarda gli usi rurali è di tipo ricardiano, mentre la rendita degli usi urbani è tipo paretiano10. Nelle frange periurbane, il prezzo di edificazione è maggiore della rendita agricola e minore di quello delle aree non edificate (Treu, 2004). La massima speculazione può essere effettuata proprio in queste aree poiché le differenze tra valutazioni e prezzi dei diversi mercati qui sono massime. Questi calcoli abituano gli economisti a ragionare sull’uso degli spazi e sull’equilibrio tra riuso e conservazione delle infrastrutture piuttosto che tra riqualificazione o recupero degli insediamenti urbani o riempimento verde o residenziale di aree lasciate libere. Parimenti, stimolano il censimento del patrimonio immobiliare pubblico e la riflessione sulle condizioni di povertà legate alle abitazioni ed alla loro dotazione di servizi (Perchinunno et al., 2010). E’ poi vivo l’interesse per la Green Economy (Teeb, 2010). Ricercatori, reti di attori ed istituzioni si impegnano per comprendere la capacità degli ecosistemi periurbani di rispondere alle sollecitazioni antropiche nonché di rigenerare le risorse impiegate e sviluppare modelli che offrano un giusto bilanciamento tra le esigenze di sviluppo sostenibile ed uso razionale delle risorse naturali. L’autopoiesi e la resilienza, il management delle risorse naturali, lo sviluppo economico sostenibile, oltre che alla sicurezza umana (food security, in primis) diventano obiettivo di governance tanto che Sonnino e Marsden (2009) parlano di “rural eco-economy”11. Parimenti, nelle aree periurbane, studiano i costi sociali. La rurbanizzazione pone problemi di distribuzione spaziale della popolazione. La migrazione interna e la misurazione degli effetti sul capitale umano nelle aree remote e nella espansione della città, nonché la distribuzione dei migranti internazionali sul territorio nazionale e la misurazione degli effetti sul mercato del lavoro locale sono temi di interesse (Henderson e Wang, 2005; Duranton, 2006). Gli economisti interpretano il problema del conflitto tra città e periferia nei termini della divisione funzionale del lavoro, Johnson (2006) studia la dimensione spaziale della ricerca del lavoro ed analizza gli effetti della accessibilità stesso sviluppando modelli in cui però non è proposta una distinzione tra regioni urbane e/o rurali, ma tra regioni vicine o lontane 7

Darwiniana perché di crescita e di selezione tra le ipotesi preferite. Questa teoria può applicarsi anche ai contesti territoriali e non solo alle organizzazioni. 9 I territori, anche quelli periurbani, ereditano le scelte del passato, non le cancellano ed inevitabilmente si confrontano con esse periodicamente. 10 Solo in un contesto statico, il prezzo dei suoli è proporzionale alla rendita fondiaria e, al margine urbano, uguale alla rendita agricola. È invece pari al valore degli aumenti attesi della rendita futura. 11 “Rural eco-economy” ossia ‹‹consist of complex networks of webs of new viable businesses and economic activities that utilise the vaired and differentiated forms of environmental resources in more sustainable ways. These do not result in a net depletion of resources but provide cumulative benefits that add value to the environment›› (p.275). 8

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dai collettori di impiego (Pierrard, 2008). Fahr e Sunde (2006) preferiscono studiare la competizione per il lavoro tra occupati e non occupati e tra residenti e non residenti. Gli altri costi sono dati dalla costruzione di relazioni sociali che esulano dalle vite lavorative e famigliari o dei costi di pendolarismo tra i luoghi di lavoro (nelle aree centrali) e quelli di vita (nelle periferie periurbane) imputabili direttamente a chi si reca in un luogo diverso dalla residenza o alla sua cerchia di relazioni perché consistono in riduzioni del tempo libero e delle relazioni sociali, nonché dei tempi di vita e di riposo, oltre di aumento di stress e di irritabilità (Cattivelli, 2013). La loro riduzione passa per soluzioni adottate dalla governance locale; tuttavia, è difficile implementare nuove forme di costruzione dello sviluppo, grazie a strategie condivise, partecipative e concertative. Le aree periurbane hanno alti costi di transazione e lenti processi di apprendimento e di innovazione (Cattivelli, 2012c) ed in esse operano più soggetti istituzionali che si trovano investiti di molteplici responsabilità e costretti ad operare in un contesto in cui i meccanismi di decisione collettiva hanno perso di efficacia per effetto della asimmetria tra i processi di territorializzazione o di espansione territoriale (Aalbers, Eckeberg, 2010).

Alcune posizioni degli urbanisti Il tema del disegno della città esiste da sempre, quello della perdita del controllo della sua forma urbana da meno tempo. Il nuovo (o ritrovato) interesse culturale, politico, architetturale per la città, per le sue funzioni, per la sua strutturazione, per i modi di governare la sua crescente complessità non è infatti solo sintomo di una ritrovata nostalgia per un modello organizzativo, sociale ed economico, messo in crisi dalla esplosione delle sue frange, piuttosto, per una crescente preoccupazione per la salvaguardia di valori di solidarietà e di sostenibilità e per l’integrazione delle diversità che vi permangono (Cattivelli, 2012a). Partendo dall’analisi della spazialità del capitale, dalla valutazione delle relazioni simboliche, spaziali ed estetiche esistenti tra gli elementi infrastrutturali, gli urbanisti cercano di replicare gli stessi stili architetturali presenti nel nucleo insediativo principale ed adottano strumenti di contenimento diversi ed originali. Sostengono contemporaneamente processi di cristallizzazione e di rinnovamento tanto da far prevalere i non luoghi: agglomerati d’abitazioni e d’attività economiche uguali, senza alcuna personalizzazione storica, artistica, culturale dove gli elementi della ruralità e della urbanità non scompaiono (come invece accade, talvolta, nei casi di diffusione urbana), ma vengono sovrascritti ed integrati con i nuovi caratteri ambientali (Cattivelli, 2012a). A suo governo, sostengono il dinamismo stabilizzato, ossia, l’importanza della valutazione del cambiamento, il rifiuto di ogni forma di contemporaneismo e l’accettazione della continuità dei processi di trasformazione, senza però regole od ordine. Tale condizione porta con sé la considerazione che il processo di costruzione e di destabilizzazione urbano inneschi, a sua volta, altri processi di disordine e di riorganizzazione e si sviluppi su di un territorio strutturato su più reti. La coalescenza territoriale è quindi considerato processo non ancora giunto al termine, mentre la disorganizzazione territoriale è assunta a condizione temporanea destinata a consolidarsi. Data la sua irreversibilità, non attendono una ristrutturazione radicale degli insediamenti, quanto piuttosto la riprogettazione della preesistente dispersione edilizia e la limitazione della nuova tensione dispersiva. La loro preferenza va a progetti che prevedono la creazione nel territorio periurbano di una struttura di subcentri, ossia di centri di più piccole dimensioni all’interno di un ambiente di contorno di facile accesso. Oltre a questa forma, preferiscono (forse in misura maggiore) forme urbane lineari od estese. Il modello della città lineare (Soria y Mata, 1968, Fusero 2008) torna d’attualità12.

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Questo modello di città si afferma all’inizio del XXesimo secolo come modello urbano che intende risolvere i problemi di mobilità divenuti pressanti a causa dello sviluppo industriale. La forma della città è funzione della sua infrastrutturazione e la sua regolarità è caratteristica essenziale. La sua estensione è imperniata su di un sistema di vertebre secondo una lottizzazione regolare e pianificata, nel rispetto dei requisiti spaziali, di allineamento, di indipendenza e di triangolazione.

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Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo

Nell’attività di progettazione, gli urbanisti riservano poi particolare attenzione alla qualità dei margini, non distinguono più facilmente tra “costruito” e “non costruito” perché il limite esterno spesso diventa fascia, perde i tratti della linea ed assume quelli di luogo abitabile o altrimenti destinabile a movimenti di passaggio. Preferiscono quindi garantire una sorta di continuità tra limiti artificiali e limiti naturali in un nuovo disegno articolato ed integrato con le aree circostanti e costituire una fascia di transizione piuttosto che una linea per una nuova delimitazione dei confini tra aree urbane e rurali. Le cinture verdi, i cunei verdi e le greenways sono utili in tal senso perché non contengono solo l’espansione urbana, ma valorizzano le risorse esistenti e rigenerano il margine urbano (Treu, 2009a). Se il limite esterno è discontinuo, quello interno è ben definito da spazi vuoti, errori progettuali ai quali gli urbanisti cercano di rimediare soprattutto mediante interventi di rivitalizzazione i cui principi ispiratori sono “non demolire”, “non rifare”, “non rimuovere”, “non escludere” e “non sprecare”. I temi sono quelli della flessibilità, della trasformabilità, della diversità degli usi e delle forme di materiali già diversamente impiegati, secondo tensioni rigenerative ed assorbenti, nel senso della contaminazione, controllata ed incontrollata. Gli obiettivi rimangono quelli della ristrutturazione, oltre a quelli dell’accertamento della convenienza economica, della promozione della coesione sociale e del miglioramento della qualità abitativa. Le stesse tensioni sono avvertite anche per il “rilancio degli spazi pubblici”, come luogo di aggregazione e di inclusione sociale. Ritorna il desiderio di riqualificare, in senso polifunzionale, i parchi, le piazze, per superare l’omologazione e la privazione d’identità dei moderni centri d’aggregazione sociale. Parimenti, torna il tema dell’housing sociale come orientamento delle scelte progettuali di riqualificazione di vaste aree periferiche. La rigenerazione urbana a fini sociali è spesso orientata alla risoluzione di situazioni di disagio, date dall’assenza d’opportunità economiche e d’aggregazione sociale, ma anche per porre rimedio a situazioni d’emergenza ambientale e d’assenza infrastrutturale. La qualità di tale attività non è questione di secondaria importanza: spesso, la qualità edilizia di talune aggregazioni insediative periurbane è carente tanto da sollecitarne una riqualificazione; altrimenti, è molto elevata perché data da nuovi costruzioni bioecosostenibili. Gli urbanisti devono poi ridisegnare gli spazi urbani e periurbani entro i quali praticare l’agricoltura. Gli urbanisti poi calcolano per i propri progetti un’impronta ecologica e mostrano interesse per le misure di compensazione ecologica, anche preventiva. Al contempo, propongono l’affermazione dei principi di “no unless” (nulla a meno che) “not net loss” (nessuna perdita secca). Il bilancio ecologico è misura presa in considerazione così come è promossa la tenuta del registro dei suoli (Atlante della provincia di Milano, 2008, 2012). Seppur importanti, questi temi non sono ugualmente trattati rispetto alla determinazione dei costi collettivi dei modelli insediativi od allo sviluppo di modelli alternativi. Non sono adeguatamente misurati i costi dell’ammortamento accelerato della città centrale per effetto dei nuovi modelli insediativi (quali la riduzione dei valori fondiari nella città densa o delle relazioni sociali per effetto della prossimità) o i costi sociali per la costruzione di infrastrutture e per la minore efficienza di quelle realizzate in precedenza rispetto ai nuovi sviluppi insediativi. Le correzioni mediante tassazioni o sovvenzioni sono rimesse ad autorità governative. Per contemperare tutte queste esigenze, la progettazione urbana elabora strategie di intervento non più basate sulla programmazione (sbagliando), ma su progetti flessibili, capaci di definire i rapporti fisico-relazionali e di integrare matrici culturali ed esigenze funzionali. Forse, la causa sta nella frattura tra struttura (della città e del territorio) e cultura (della comunità e della società). Non è semplice inserire il periurbano nelle previsioni pianificatorie basate sulla multisettorialità, sull’integrazione tra progetto urbano e rurale, su scenari strategici in grado di coinvolgere la comunità locale ed, al contempo, in grado di mettere a sistema il capitale territoriale; tuttavia, la redazione di un piano strutturale di frangia periurbana, con valenza di piano territoriale e paesaggistico e di un piano di mobilità sostenibile è esigenza pressante.

La distribuzione nello spazio delle attività economiche dipende dalla possibilità di collegarle efficientemente in modo da minimizzare la somma dei tempi di percorrenza da ciascuna abitazione a tutte le altre. Valentina Cattivelli

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Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo

Conclusioni Gli economisti regionali e gli urbanisti concordano nel recuperare il territorio periurbano e nel considerarlo non più come un errore progettuale, ma come un fattore produttivo autonomo, generatore di vantaggi e svantaggi dinamici, da controllare e da valorizzare entro schemi di ampio respiro, sostenibili e verdi. Parimenti, non escludono la partecipazione della collettività in tale disegno, seppur siano ancora alla ricerca di un metodo di lettura che sappia coniugare l’esigenza della macro-scala (la dimensione del paesaggio) e l’importanza della micro-scala (il sistema amministrativo), al fine di produrre qualità territoriale e non solo correggere gli errori progettuali del passato.

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Capire il territorio periurbano per saper leggerne i cambiamenti. Il contributo delle scienze regionali e dell’urbanistica all’analisi delle scelte per il suo governo

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Valentina Cattivelli

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NoStraNa, sono cose che succedono…

NoStraNa, sono cose che succedono… Bruna Vendemmia Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: duediquattro@gmail.com Tel/fax: +39 08119242430 Laura Falcone Università degli Studi di Napoli Federico II Email: duediquattro@gmail.com Tel/fax: +39 08119242430

Abstract NoStraNa2 is an urban regeneration experiment applied to the city of Naples. Its core concept is that a top-down approach is not always the most suitable one for public space matters: in fact, in order for urban regeneration to be achieved, degraded space should, first of all, recover its function. This demands the citizens’ involvement. NoStraNa then explores new ways of sharing common spaces, in order to suggest good practices for using them. Its strategy is concretely implemented through periodically and temporarily occupying some squares of the ancient city centre to organise free-for-all leisure and sport activities. The project is realized thanks to the local community: sport federations and associations, supported by volunteers, organise the activities, while the costs are financed through local firms donations and crowd-funding campaigns. NoStraNa proposes a rather unusual way of using the squares, in order to show that by simply exploiting Naples existing urban heritage, and at no great expenses, it is still possible to build a sense of place and to produce relevant social benefits.

Introduction Project description “NoStraNa” is an urban regeneration experiment applied to the city of Naples (Italy), which consists in periodically and temporarily occupying some squares of the ancient city centre to organise free-for-all leisure and sport activities.

Actors It has been created by Duediquattro, an urbanism and architecture firm and cultural association started in 2009 by this paper authors: Bruna Vendemmia and Laura Falcone. NoStraNa is patronized by Comune di Napoli (Assessorato allo Sport, Assessorato alla Cultura e Turismo), Provincia di Napoli, Fondazione di Comunità per il centro storico di Napoli, Lions Club Napoli. Two pilot events were realized in 2011 and 2012, in cooperation with volunteers, local sport federations and cultural associations; the costs were financed trough local firm donations and also, in 2012, through crowdfunding campaigns. In 2011, NoStraNa pilot event was included in the “Maggio dei monumenti” program; in 2012, it was a special event of the “Estate a Napoli” program. (Figure 2, 3, 4)

Bruna Vendemmia, Laura Falcone

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NoStraNa, sono cose che succedono…

Methodology Preliminary analysis methods NoStraNa is part of a general reflection about new possibilities of realizing urban regeneration projects in highdensity contexts. Its approach is put into practice in the city of Naples, through a deepen analysis of the ancient centre major problems; these latter have been pointed out through periodic surveys, photo reports, interviews with residents, shopkeepers and “frequent users” of the neighbourhood.

Operative methods NoStraNa can be defined as an inductive research project, because it didn’t spring from the practical application of theoretical principles; to the contrary, it originated from the authors’ decision to re-propose in Naples some good urban practices that they had directly observed and experienced in various European contexts. Subsequently, reflecting on the two pilot events experiences, it has been clear to the authors that the project can be included in one of the nowadays most popular trend of contemporary urbanism, which can be defined “bottom up” or “tactical” urbanism and consists in pursuing urban changes by acting locally, through small but concrete steps and actively involving the citizens.

Cultural context Also urban institutional culture is more and more receptive and interested in bottom-up approaches, whose rising importance is also due to the public resources scarcity - worsen by the global financial crisis - and to people’s increasing demand of direct democracy. As a matter of fact, the Leone d’oro of the 13th Biennale di Venezia was awarded to Urban-Think Thank and Justin McGuirk for the informal architecture project Gran Horizonte, while the USA pavillon staged an exhibition entitled “Spontaneous Interventions”, dedicated to bottom-up projects. All these works share the wish to reveal the unexpressed potentialities of some urban spaces, in order to improve the social capital and ameliorate the quality of urban life. Particular attention is given to abandoned spaces, which have lost their function over time and nonetheless represent a big potentiality for urban development. All the projects exhibited, whether micro-interventions or urban strategies, assume a critical position regarding public space and try to transform, in a creative way, the weaknesses in opportunities. Lydon, Bartman, Woustra and Khawarzad gave the ensuing interesting definition of “Tactical Urbanism”: “Improving the livability of our towns and cities commonly starts at the street, block, or building scale. While larger scale efforts do have their place, incremental, small- scale improvements are increasingly seen as a way to stage more substantial investments. This approach allows a host of local actors to test new concepts before making substantial political and financial commitments. Sometimes sanctioned, sometimes not, these actions are commonly referred to as “guerilla urbanism,” “pop- up urbanism,” “city repair,” or “D.I.Y. urbanism.” For the moment, we like “Tactical Urbanism,” which is an approach that features the following five characteristics: • a deliberate, phased approach to instigating change; • the offering of local solutions for local planning challenges; • short-term commitment and realistic expectations; • low-risks, with a possibly a high reward; • and
the developm ent of social capital betw een citizens and the building of organizational capacity betw een public-private institutions, non-profits, and their constituents. While the term is not our own, we do believe it best describes the various initiatives surveyed herein”.

Preliminary context analysis The area affected by the project is located in the Seconda Municipalità, which includes six quarters: Mercato, Pendino, Porto, Avvocata, Montecalvario and San Giuseppe. The area is 4,56 square km large and very populated: its density index is 20 073 inh/Km2. (www.comune.napoli.it) The ancient city centre urban structure is quite peculiar, as it dates back to Roman times: the streets are narrow and set up in an orthogonal grid. The vehicles circulation is rather difficult. This area can be defined a “tough neighbourhood”; its numerous problems have been classified by the authors in three cathegories: • structural lack of public facilities and services; • material degradation of common spaces; • functional degradation of common spaces. Concerning the first point, it has to be remarked that the ancient city centre suffers from an acute lack of public Bruna Vendemmia, Laura Falcone

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furniture, green and pedestrian areas, playgrounds for children, etc. . This is partially due to the neighbourhood structure, but mostly to urban policies that, over the years, turned out to be inadequate, ineffective or even missing. Furthermore, public spaces are in dreadful state because of material (negligence, dirt, uneven pavement, public furniture vandalized or not maintained…) and functional (savage parking, public areas squatting, deserted public places) degradation. All these elements are the symptoms of a real “urban public space crisis”, which involves several Italian cities and is particularly alarming in Naples: as a result, public space is no more considered as “the house of citizenship”, the place where the collective identity is formed, but just as what is outside one’s house and that nobody cares about. This phenomenon obviously contribute to increase the social degradation of the ancient centre: the lack of civil pride, the social disintegration, the petty crime increase, the immigrants difficult integration are surely due to a plurality of causes, but are particularly serious in contexts with few places and opportunities for citizens interaction.

Project objectives This analysis leads to the setting of the project objectives. They are both medium and long-term objectives and are specifically referred to the city of Naples, but could surely suit other problematic urban contexts too. In the medium term, NoStraNa aims to increase the quality of the city’s urban life by revealing the latent potentialities of under or mis-used urban spaces and by recuperating degraded public spaces for collective use. In the long-term, NoStraNa could induce a significant improvement of social capital, by increasing civic pride and by strengthening the inhabitants sense of belonging to a community.

Project strategy To achieve its objectives, NoStraNa proposes a bottom-up planning process, which encourages new social and cooperative models of urban organizations and promotes citizens commitment to urban regeneration. NoStraNa strategy consists in periodically setting up, in cooperation with the local community, free-for-all temporary leisure and sport facilities in mis-used public spaces.

Figure 1. Ancient city centre map and NoStraNa logo

The heart of this project approach is to pursue urban regeneration through the re-discovery of the unexploited functional potential of degraded urban spaces. Before addressing the issue of material recovery or routine maintenance of a public space, NoStraNa promotes the citizens’ virtuous re-appropriation of it. Bruna Vendemmia, Laura Falcone

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For this reason, NoStraNa is concretely implemented through the happening of events instead of the designing of physical transformations. The latter, in fact, are seen as the consequences rather than the origins of a regeneration process. NoStraNa “tactical” way of operating can generate at least two positive consequences. First of all, thanks to the residents’ collective supervision, the chronic negligence phenomena and the vandalism episodes could considerably decrease, so that the management and maintenance costs beard by the local administration would lower. Besides, some of the temporary facilities set up during the events could become permanent: e.g., outdoor game facilities for children could be given to a neighborood parents association in charge of keeping and maintaing them in situ. Secondly, as NoStrana is an example of bottom-up engagement, it could be a precious tool for the local administration to investigate the citizens’ needs and operate on public space in a targeted way, conveniently dosing the outflow of resources. Concerning how this could concretely happen, it has to be considered, first of all, that the project foresees twodays events to be repeated periodically throughout, at least, two years. In this lapse of time, recurring meetings with citizens could be organized, in order to present the project, to show the videos and the pictures taken during the events and to collect people’s feedback and suggestions about the activities and the neighbourhood needs. In the second instance, one other purpose of these meetings would be to promote the establishment of the NoStraNa Permanent Committee, which would be open to citizens, associations, stakeholdres, etc. and would take charge of organizing activities in the neighbourhood common spaces even after NoStraNa end. Basically, NoStraNa can be seen as an “urban activator”, which can help citizens rediscover urban space in order to get responsibly and actively involved in its management, together with the local administration.

Conclusions The authors were part of the organization committees of both pilot events; that’s why NoStraNa can also be considered as an “action research” project: “Action research means that the persons conducting the research are actively engaged in the development effort. This enables them to look at the process from the inside.” (Guller and Schenkel, 2002; pag. 234). So, being part of the events, the authors could collect precious people’s feedback and data on location. For instance, it has been observed that some of the activities that had been organized were more popular than others: evidently, they fulfilled more urgent needs; some of the spaces in the project area are “contended” among different kind of users (young people, elderly people, families…); some places are almost ignored by the nearby area residents while they are frequently walked through by visitors and tourists, etc. This kind of observation provided the authors with useful information, which can be productively used for the next events organisation, and, more generally, for the pursuing of the project objectives.

Figure 2. Piazza Banchi Nuovi, Street basket

Bruna Vendemmia, Laura Falcone

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Figure 3. Via Bellini, Swing class

Figure 4. Piazza Banchi Nuovi, Neighbourood aperitif

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Bruna Vendemmia, Laura Falcone

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La valutazione delle politiche culturali e creative per la città contemporanea. Un caso di studio

La valutazione delle politiche culturali e creative per la città contemporanea. Un caso di studio Giuseppe Las Casas Università degli Studi di Basilicata Scuola di Ingegneria Email: giuseppe.lascasas@unibas.it Antonio Nicoletti Università degli Studi di Basilicata Scuola di Ingegneria Email: anto.nicoletti@gmail.com Piergiuseppe Pontrandolfi Università degli Studi di Basilicata Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo Email: piergiuseppe.pontrandolfi@unibas.it

Abstract Per affrontare la crisi sociale ed economica, molte città contemporanee si sono dotate di politiche integrate a supporto dello sviluppo urbano e delle attività dell’ingegno, della creatività e dell’arte. La crescente riduzione della disponibilità a investire da parte sia del settore pubblico che di quello privato, ha fatto sorgere più che in passato la necessità di verificare e migliorare la loro capacità di raggiungere i risultati e gli esiti prefissati. Tale esigenza è codificata anche dalle regole che governano l’erogazione di finanziamenti, in particolare nella Politica di Coesione. A partire da un caso di studio – il processo di candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura nel 2019 – si propone una riflessione di contenuti e di metodo per la valutazione del relativo programma di investimento. Le considerazioni cui si giunge, pur in un momento intermedio rispetto a un processo ancora in corso, sollevano spunti per lo sviluppo di politiche che uniscano città e territorio, patrimonio e risorse culturali, sviluppo economico e urbano. Parole chiave Città creative, valutazione, sviluppo urbano.

1 | Introduzione: l’affacciarsi di nuovi paradigmi di sviluppo urbano Nel 2019, a quindici anni dall’esperienza di Genova 2004, una città italiana tornerà ad essere Capitale Europea della Cultura. Nel momento in cui viene redatto questo testo sono circa quindici i capoluoghi italiani che hanno dichiarato in maniera più o meno convincente l’intenzione di partecipare alla selezione: rappresentano circa il 15% delle città capoluogo di provincia (almeno fino all’attesa riforma dell’assetto amministrativo dello Stato). Questa corsa verso un titolo che secondo alcuni denigratori porterebbe più visibilità che risorse finanziarie (in termini di investimenti aggiuntivi da parte dell’Europa)1 è significativa dell’appeal che negli anni ha assunto il tema della creatività e della cultura nella gestione delle politiche per lo sviluppo urbano. Landry (2000) arriva a parlare di un ‘cambiamento del paradigma della pianificazione’, radicalmente modificatasi nel passaggio dall’economia della produzione industriale di massa a quella incentrata sulla tecnologia e sulla conoscenza. Non 1

La Decisione 1622/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio che “istituisce un’azione comunitaria a favore della manifestazione «Capitale europea della cultura» per gli anni dal 2007 al 2019” stabilisce il conferimento di un premio pecuniario alla città Capitale. Tale premio nel periodo 2007-2013 è stato fissato in 1,5 milioni di euro per ogni Capitale.

Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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La valutazione delle politiche culturali e creative per la città contemporanea. Un caso di studio

sono pochi gli esempi di città2 che hanno risposto a momenti di profonda crisi economica e sociale mediante la definizione e l’attuazione di strategie di medio periodo, caratterizzate da interventi materiali e immateriali destinati da un lato a ridefinire l’immagine e la percezione della città stessa, dall’altro a costituire elementi di attrazione e di facilitazione per l’insediamento e lo sviluppo di una nuova tipologia di attori. Su tali attori sociali, economici, politici, Florida ha sviluppato un’ampia riflessione (Florida 2003a, 2003b), coniando l’espressione “classe creativa” e sviluppando teorie di successo sul ruolo che tali risorse, naturalmente portatrici di innovazione e sviluppo, avrebbero nella rinascita di una città. A prescindere dal contesto economico contemporaneo, la conferma del rapporto positivo tra creatività e città viene proprio dalla storia dell’uomo: è nelle città, infatti, che l’innovazione ha sempre trovato il suo ambiente più familiare e fecondo (Benevolo, 1993). L’investimento nei settori della cultura e della creatività3 non riguarda la sola realizzazione di opere infrastrutturali, di grandi contenitori culturali e di poli di attrazione turistica. Gli interventi di quest’ultima categoria, spesso‘market-oriented’, sono stati accompagnati da critiche sia nel settore scientifico della gestione e dell’economia urbana (cfr. Carmon, 1999), sia nel settore della gestione del patrimonio culturale e dell’economia della cultura. In parte è quello che Caliandro e Sacco (2011) chiamano la visione ‘petrolifera’ della cultura, che genera processi in grado di trasformare i luoghi storici, densi di simboli e di significati, in ciò che i turisti si aspettano e desiderano trovare. La città in questo modo si trasforma in un «fondale per foto ricordo, che vende a caro prezzo finto colore locale tagliato su misura sui pregiudizi dei turisti» (Caliandro & Sacco, 2011, p. 101) come un parco tematico. I recenti orientamenti, non solo nel contesto europeo, sembrano favorire la realizzazione di interventi di impegno e dimensione ridotta, più ‘realistici’ per attuabilità e ritorno economico, per la creazione di città nuove e diverse, ma radicate, con uno sforzo di identificazione a fronte dell’omologazione globalizzante. Le città sono l’espressione di un progetto sociale, d’innovazione competitiva, da realizzare attingendo a tradizioni e specializzazioni legate al contesto. Gli interventi di riqualificazione danno spazio e concretezza alle aspirazioni per una nuova qualità dell’ambiente urbano, in cui classi sociali e gruppi etnici entrano in contatto creando innovazione4. Le esperienze italiane hanno inglobato l’ampio tema per lo più nelle riflessioni e nelle azioni scaturite dalle esperienze di pianificazione strategica. Sempre più è riscontrata, nella pratica disciplinare, un’intersezione tra i temi dello sviluppo urbano e della gestione della cultura. È indicativo, a tal proposito, che anche istituzioni di riferimento del settore ‘culturale’ propriamente detto dedichino al tema della città sempre maggiori spazi di confronto e di discussione. L’edizione 2011 di ‘Ravello Lab’, ad esempio, è stata intitolata in modo significativo ‘Trasformazioni urbane, ecosistemi creativi e coesione sociale. Le politiche europee tra crisi e sviluppo’, e uno dei tre laboratori organizzati in quel contesto ha specificatamente approfondito l’argomento ‘Cultura e città – pianificazione strategica a base culturale nelle aree urbane’ (sui contenuti, cfr. Bocci, 2012). Se è vero che le infrastrutture materiali devono supportare il benessere delle persone, in una realtà in cui la maggiore fonte di competitività non sono più le sole risorse naturali o l’accesso al lavoro e al mercato, ma le risorse umane come talento, abilità, creatività (Landry, 2000), se costruire bene la città riguarda massimizzare l’uso delle risorse, in un momento in cui il concetto di risorsa urbana si è ampliato andando ad includere elementi materiali e tangibili o immateriali e intangibili, reali e visibili o simbolici e invisibili, numerabili, quantificabili e calcolabili o che hanno a che fare con percezioni e immagini (Landry, 2000), allora è lecito chiedersi come valutare gli esiti degli interventi integrati sulla città, avendo definito obiettivi e impiegato mezzi che risultano in parte nuovi rispetto ai modelli classici di pianificazione dello sviluppo urbano.

2 | Il Quadro di Sviluppo Comune e il ruolo delle città europee: nuove esigenze valutative È dal rapporto tra la città e le politiche europee, in particolare la Politica di Coesione, che derivano nuovi indirizzi per le strategie urbane. Questo è ancor più vero nei contesti d’Italia dove la principale fonte di investimento pubblico deriva dalle risorse comunitarie o dai fondi complementari nazionali. Il Rapporto Barca (2009) è il documento che traccia le linee della riforma nella gestione dei Fondi Strutturali e che anticipa i 2

Si pensi, tra i numerosi esempi possibili, alla trasformazione di Bilbao da città industriale a città della cultura e dei servizi, con un processo che l’ha portata a diventare un punto di riferimento di livello mondiale. 3 Sono numerosi i documenti istituzionali o scientifici che cercano di definire una tassonomia di ciò che s’intende per settore (o industria) culturale e creativa. In Italia cfr. in particolare la ricerca coordinata da Walter Santagata per il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (Santagata, 2008). Per la stesura del presente testo, si fa principalmente riferimento ai contenuti del Libro Verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”, della Commissione Europea (COM/2010/183). 4 Citiamo ad esempio il progetto “Mulhouse Grand Centre” e le politiche in atto nella città francese di Mulhouse, sede di un importante insediamento industriale storico, caratterizzata dalla presenza di famiglie provenienti da oltre cento nazionalità diverse, che sta affrontando il tema della ristrutturazione dell’economia locale con politiche di rinnovamento urbano che favoriscono il confronto interculturale, l’integrazione sociale, l’inserimento lavorativo (cfr. www.mulhouse.fr). Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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contenuti dell’attuale dibattito sulla Programmazione 2014-2020. Nel documento si introduce la necessità di definire politiche di sviluppo ‘place-based’, ridando centralità al ‘luogo’ inteso come «concetto sociale ed endogeno al processo politico, un’area contigua in cui esistono condizioni favorevoli allo sviluppo […]», in cui «le caratteristiche naturali e culturali e le preferenze degli individui sono più omogenee o complementari, le conoscenze degli individui sono più sinergiche, ed è più probabile che si realizzino esternalità positive e si affermino istituzioni formali e informali innovative» (Barca, 2009, pag. 5). Questo concetto di luogo, nell’impianto concettuale e programmatico del Rapporto, non ha confini definiti e sempre uguali, e certo non coincide necessariamente con quelli amministrativi. Il documento di Barca indica chiaramente il legame tra efficacia degli interventi e fattori che hanno natura territoriale, in particolare per la dimensione legata al benessere dell’individuo. Guardando al tema dell’efficacia, le politiche place-based non trovano quindi giustificazione solo nella specificità delle risorse di un territorio, ma anche nella specificità delle preferenze e della conoscenza. Queste stesse preferenze e questa conoscenza non solo orientano le decisioni pubbliche, ma costituiscono la base su cui misurarne gli effetti. Il documento di Barca, con il forte orientamento alla dimensione locale delle politiche di sviluppo, definisce anch’esso un nuovo paradigma, da cui è possibile estrapolare alcune caratteristiche/condizioni utili per una riflessione sulle politiche urbane: • Approccio integrato degli interventi; • Orientamento ai risultati; • Focalizzazione su poche priorità; • Definizione di condizioni ex-ante per poter perseguire un particolare tipo di priorità; • Identificazione di sistemi d’indicatori e target, e di un sistema di valutazione dei progressi nel raggiungimento degli obiettivi; • Promuovere la valutazione (preferibilmente controfattuale) degli impatti; • Favorire lo sperimentalismo e il coinvolgimento degli attori locali. Nelle politiche di sviluppo place-based, le città sono un elemento centrale e infatti rientrano tra le tre opzioni strategiche descritte nelle proposte di metodo per la programmazione 2014-2020 dal Ministero per la Coesione (Ministero per la Coesione, 2012). In questa prospettiva, le politiche urbane devono promuovere innovazione produttiva e sociale, in un disegno organico che a livello nazionale potrà essere descritto e attuato con una vera e propria ‘Agenda Urbana’, le cui linee di metodo e di contenuto sono state tracciate nel recente documento redatto dal Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane (CIPU, 2013). In un contesto di ridotta disponibilità ad investire da parte di soggetti pubblici e privati, l’esigenza di predisporre adeguati sistemi di valutazione dell’efficacia delle politiche di rigenerazione e sviluppo urbano è resa evidente sia dalla necessità di verificare e migliorare le performance dei programmi di intervento, che da fattori più stringenti che condizionano in partenza la disponibilità e quindi la programmazione dell’uso di risorse. Coerentemente con gli orientamenti dettati dal Rapporto Barca nel 2009, infatti, la proposta di Regolamento (COM/2012/496) recante disposizioni comuni e generali sui fondi del Quadro Strategico Comune (QSC) per il 2014-2020 richiama l’obbligo, per le Autorità di Gestione, di definire programmi di valutazione riguardanti l’efficacia e gli impatti di un programma. Tale obbligo è da leggersi in maniera più rigida rispetto al precedente periodo di programmazione, sia considerando l’introduzione del vincolo legato alle condizionalità sia per il ripetuto richiamo all’adozione di metodi di valutazione rigorosi. Ne deriva, nella prospettiva delle amministrazioni comunali italiane, una importante indicazione di metodo per quel che riguarda le iniziative di sviluppo urbano strategico. In altri termini, adeguati strumenti di valutazione sono da ritenersi quanto mai utili anche nelle politiche e nelle strategie urbane. Per di più, la scelta di rispondere ai requisiti del QSC può sorgere da considerazioni di mera opportunità (favorire l’accesso a risorse economiche), oltre che dalla volontà di condividere metodi e linguaggi propri di un contesto metodologico esperto e consolidato. Nel campo specifico degli interventi immateriali per la cultura e la creatività, sebbene vi siano stati approfondimenti scientifici sugli impatti economici dei finanziamenti per eventi culturali (Bracalente, Ferrucci, 2009), in Italia si tende a sottovalutare l’importanza dell’analisi d’impatto come strumento di progettazione e pianificazione strategica ed economica (Salvemini, 1999). Ancor meno esplorato è il tema della valutazione degli impatti delle politiche integrate per la città culturale e creativa, ovvero politiche che prevedano interventi materiali e immateriali, il cui pubblico interesse è sia economico – la creazione di un ambiente favorevole all’insediamento di imprese e all’occupazione nei settori dell’ingegno e dell’arte – sia sociale e culturale – per esempio generare effetti educativi, capacità di attrarre nuovo pubblico, di creare rete e fare sistema, fornire nuova reputazione internazionale alle città , ecc. Parlare di valutazioni di impatto implica la ricerca di rapporti causali tra le azioni, i risultati e gli esiti. In questa ricerca si annida forse la parte più difficile del compito del valutatore, considerando che la misura dei risultati (in genere tangibili e numerabili) non sempre fornisce informazioni nette sugli impatti sociali ed economici, nè sul miglioramento del livello di benessere dei cittadini. Gli impatti sociali e culturali sono più difficili da tradurre in misure quantificabili o monetarie e i nessi e le interconnessioni tra azioni, fenomeni, risultati e impatti sono assai articolati e complessi. I wicked problems della pianificazione (cfr. Rittel e Webber, 1973) conservano e amplificano la loro dimensione di incertezza anche nella città contemporanea, piegata dagli effetti di fenomeni economici, ambientali, sociali di dimensioni e portata sovralocale (Landry, 2012). Per costruire una strategia di Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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valutazione è necessario, quindi, comprendere il processo di costruzione dell’‘interesse collettivo’ che sottende le politiche, e la capacità delle politiche stesse di attuare con efficacia le azioni individuate, generando i risultati e gli effetti attesi o discostandosene. Le condizioni di ‘stato’ di una città creativa sono state approfondite fino a definire una metodologia di analisi omogenea, che consenta il confronto tra diverse esperienze nei diversi continenti. Definita da Landry e Hyams nel 2012, essa introduce il concetto di ‘creative index’ di una città: un indicatore che misura la ‘pulsazione creativa’ dei luoghi esplorando le loro dinamiche urbane, i loro processi e progetti, considerando la città come un complesso integrato, approfondendo sia il punto di vista dei residenti che degli esterni. Vengono presi in considerazione dieci indicatori per la creatività, misurati mediante complessi sistemi di analisi che integrano aspetti qualitativi e quantitativi. Gli indicatori sono: • Quadro di riferimento politico e pubblico; • Distinzione, diversità, vitalità ed espressione; • Apertura, fiducia, accessibilità e partecipazione; • Imprenditorialità, esplorazione e innovazione; • Leadership strategica, agilità e visione; • Sviluppo del talento e paesaggio di apprendimento; • Comunicazione, connettività, networking e media; • Luogo e produzione del luogo; • Vivibilità e benessere; • Professionalità ed efficacia. Ognuno di questi domini copre settori ampi e interconnessi (Landry e Hyams, 2012), dentro quattro macrogruppi di elementi: infrastrutture materiali, attività intangibili, attitudini, aspetti organizzativi e gestionali (Landry, 2000). Questa metodologia è stata applicata in alcune città medie e medio piccole in diversi continenti e offre diversi spunti di riflessione sulle dimensioni da affrontare.

3 | Una proposta metodologica a partire da un caso di studio: la candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura 3.1 | Il contesto La proposta di metodo che qui s’intende avanzare viene redatta dall’osservazione diretta di un caso: la candidatura della Città di Matera a Capitale Europea della Cultura. Parliamo di una città simbolo, nella storia del meridione d’Italia, del riscatto da un Novecento di miseria e arretratezza. La parabola di Matera, dal secondo dopoguerra a oggi, ha visto la trasformazione della città nell’immaginario comune da capitale del mondo contadino a ‘vergogna nazionale’, come fu etichettata dalla demagogia politica dagli anni Cinquanta in poi, a ‘città laboratorio’ dell’urbanistica neorealista, a città e territorio riconosciuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco dal 1993. Dopo una felice esperienza di dinamismo economico legata all’affermazione, nel mondo, del locale distretto del mobile imbottito, oggi che la crisi globale sta mordendo ferocemente anche questo settore, l’economia e l’occupazione locale sono messi pesantemente in difficoltà. Le opportunità dello sviluppo del turismo e dell’industria creativa secondo molti rappresentano la principale prospettiva di crescita per i prossimi anni. L’iniziativa della candidatura nasce dal basso, con le proposte avanzate da un’associazione di cittadini costituitasi nel 2008 proprio per promuovere la candidatura presso l’opinione pubblica e le istituzioni. Mentre queste ultime hanno fatto proprio il processo (nelle elezioni comunali la candidatura era parte del programma di tutti gli schieramenti politici) e oggi supportano compatte il progetto, la prima ne ha compreso più lentamente il senso e l’opportunità: alcuni attori e opinion leader locali sono ancora scettici e diffidenti nei confronti del processo guidato dall’amministrazione comunale. Rispetto all’istituzione dell’evento Capitale Europea della Cultura, che ha le radici nell’iniziativa “Città europea della cultura” del 1985, la necessità della valutazione dei risultati raggiunti ogni anno è stata introdotta relativamente di recente. Infatti, è con la Decisione 1622/2006/EC che, all’articolo 12, viene richiesto che la Commissione debba «assicurare una valutazione esterna e indipendente dei risultati dell’evento dell’anno precedente», rispetto agli obiettivi della Decisione stessa. Negli anni seguenti, i documenti che sono stati acquisiti dalla Commissione hanno approfondito gli eventi in merito a rilevanza, efficienza, efficacia e sostenibilità rispetto agli obiettivi dell’Azione europea e rispetto agli obiettivi individuati dalle città di volta in volta Capitali. Sul piano istituzionale, la candidatura di Matera che, secondo la procedura, verrà formalizzata con la consegna del dossier di candidatura al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali nel settembre 2013, non ha ancora dei documenti ufficiali che descrivano approfonditamente obiettivi, step progettuali e programmatici, target fino al 2019. Secondo il documento d’indirizzo, presentato dal Sindaco e approvato dal Consiglio Comunale il 16 giugno 2011, gli obiettivi della candidatura sarebbero così riassumibili: Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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• ‘Matera come luogo in cui vivere e produrre cultura, innovazione, buone pratiche; • Consolidare Matera quale destinazione turistica; • Attestare il ruolo della Basilicata come regione innovatrice per eccellenza; • Aumentare il peso del Sud quale baricentro socio economico culturale italiano; • Incrociare al meglio cultura e tecnologia; • Attirare nuovi investimenti privati; • Aumentare il numero dei residenti nei Sassi’. L’insediamento del Comitato Promotore e del Comitato Scientifico ha aperto la strada a un percorso di condivisione civica e interistituzionale, approfondimento concettuale, sviluppo progettuale che nelle prossime settimane produrrà un documento di candidatura in cui saranno meglio chiariti obiettivi e contenuti del programma. Intanto, già nel Documento di Indirizzo, si evidenzia in modo chiaro l’intenzione di mettere in collegamento, per mezzo della Candidatura, una serie di argomenti legati alla gestione strategica della città: politiche urbanistiche, mobilità sostenibile, politiche educative, politiche economiche e miglioramento della governance. Questo ambizioso programma trova alcuni paralleli nella redazione contestuale, da parte dell’Amministrazione, di vari strumenti di governo della città, tra cui in particolare il Piano Strutturale e il Piano Strategico che, sotto la dicitura programmatica ‘riduci, riusa, ricicla’, potrà costituire l’opportunità perché Matera definisca un modello di sviluppo urbano per il Meridione d’Italia, da applicare in concreto nel medio periodo con il programma di candidatura a Capitale Europea della Cultura. Con riferimento particolare agli strumenti della pianificazione fisica della città e del territorio di Matera, è urgente accelerare le procedure di approvazione dei principali piani da parte dell’Amministrazione Comunale e della comunità cittadina5. Infatti, nei recenti documenti in discussione circa i termini dell’Accordo di Partenariato per l’impegno dei prossimi fondi comunitari, si rileva la necessità di assegnare i fondi ricorrendo soprattutto alle scelte operate in sede di pianificazione territoriale ordinaria, prima di ricorrere alle procedure di bando per la selezione degli interventi. Una pianificazione il più possibile unitaria evitando la eccessiva ridondanza di pianificazioni settoriali. A fronte dell’attuale dinamismo amministrativo e istituzionale (sono circa dieci gli strumenti strategici e di governo del territorio in corso di redazione-adozione), il contesto sociale è particolarmente attivo in vari settori della cultura, con la presenza di varie associazioni, alcune tanto longeve e importanti nella storia di questa città, da esser citate da Settis (2012) come esempio di azione popolare per il bene comune. Una via di comunicazione ‘trasversale’ e meno ‘segmentabile’ è rappresentata dalle piattaforme web, molto seguite sia da sostenitori che da denigratori della candidatura. Lo strumento del web, però, fino ad oggi molto praticato dai promotori, alcune volte è apparso un po’ sopravvalutato come strumento di raggiungimento degli obiettivi di comunicazione interna ed esterna del processo6.

3.2 | Una proposta di metodo L’impostazione di una strategia di valutazione deve nascere dal contesto ed essere radicata nel concetto di luogo. La proposta di metodo qui avanzata individua la necessità di attivare percorsi partecipati (non solo via web) per la definizione delle grandezze da valutare, a misura degli effetti percepiti dai beneficiari finali delle politiche territoriali. L’attivazione di processi partecipati consiste nell’aprire spazi di dialogo strutturato tra società civile e amministrazione pubblica, con alcune importanti condizioni e in cambio di vantaggi diretti e indiretti. Nell’interazione, secondo il paradigma della pianificazione collaborativa (Healey, 1997; Innes, 2004), sarà necessario creare condizioni di comprensibilità, sincerità, legittimazione, favorendo il sorgere di apertura, inclusività, riflessività e creatività nel dialogo tra attori (Healey, 2003). I vantaggi che ne derivano, secondo molti autori, non sono semplicemente dipendenti dai risultati diretti dei processi. Pur nella consapevolezza dell’impossibilità di riprodurre, nella realtà, condizioni di comunicazione puramente ‘habermasiane’ (cfr. Hillier, 5

Piano Strutturale, Regolamento Urbanistico e soprattutto Piano Operativo; in particolare quest’ultimo sarebbe ancora da predisporre e potrebbe collegarsi direttamente alle iniziative per la candidatura a città della Cultura per gli effetti di brevemedio periodo che lo caratterizzano. 6 Ad esempio, recentemente il sito web www.artribune.com ha lanciato un sondaggio per capire le preferenze dei suoi lettori su quale debba essere la capitale europea della cultura 2019. Le impostazioni del sondaggio tecnicamente costituiscono un gioco senza regole d’arresto: non c’è una data di chiusura, non c’è un limite massimo di preferenze da raggiungere. Questo vuol dire che si potrebbe votare all’infinito in quanto, sebbene il numero delle persone interessate all’argomento è un numero finito, in realtà ognuno può votare un numero infinito di volte: non servono grandi competenze informatiche, ma basta avere una postazione di accesso a internet, un browser da cui cancellare i cookie dopo ogni votazione e una buona dose di tempo a disposizione da parte di un gruppo di convinti supporter. Privo di ogni valore oggettivo o scientifico, tuttavia il sondaggio ha mobilitato molti sostenitori delle due candidature ritenute ad oggi più serie, Ravenna e Matera, sostenitori che per giorni hanno fatto suonare la carica nei social network per aumentare il numero di votanti. Sono, queste, operazioni dal dubbio risultato comunicativo e dagli effetti nebbiosi anche in merito alla conoscenza dell’evento da parte di terzi. Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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2003), progettare e percorrere canali di dialogo tra istituzioni e cittadini può favorire trasformazioni nei riferimenti profondi e nelle pratiche culturali che strutturano i modi di costruzione di senso dei cittadini, le loro routine quotidiane, la formazione dei loro mondi cognitivi (Healey, 2004). È possibile individuare tre aggregazioni di residenti cui indirizzare la comunicazione per la costruzione partecipata del sistema delle priorità di programma e, di conseguenza, degli impatti da valutare. Il primo gruppo è rappresentato da istituzioni, stockholders e opinion leaders; il secondo dalle associazioni culturali cittadine, attori intermedi tra il settore pubblico e la realtà sociale7; il terzo dai ragazzi delle scuole dell’obbligo e dell’università, i principali beneficiari degli esiti che sarà possibile riscontrare nel 2019. Nella definizione dei termini di riferimento della valutazione, gli obiettivi e i progetti del programma di candidatura andranno verificati con quegli obiettivi di medio-lungo periodo posti dagli altri strumenti di pianificazione attualmente in fase di redazione. Gli obiettivi, però, non saranno semplicemente derivanti dal contesto, ma si coordineranno con quanto stabilito dalla strategia Europa 2020 in termini di occupazione e benessere. Gli indicatori dovranno essere valutati sulla base di target specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e legati a precisi intervalli temporali di riferimento. Gli stessi indicatori dovranno essere rilevanti e pertinenti, legati al contesto, contesto che quindi torna ad essere centrale nel processo di programmazione, implementazione e valutazione. Il programma di candidatura è da considerarsi un processo (e come tale si sta sviluppando): in esso andrebbe strettamente integrata l’attività valutativa, che necessita di informazioni sia di tipo sostantivo che procedurale, ambiti che vanno, però, tenuti distinti sia sul piano metodologico che su quello della costruzione dei necessari strumenti tecnici (Las Casas, 1992). Date le finalità anche di monitoraggio del percorso che tale strumento può avere, si propone che l’approccio valutativo sia in parte di tipo ‘sensibile’ – del tipo ‘osserva e reagisci’ (Stake, 2007) – e basato sul concetto di situational responsiveness: adeguatezza rispetto alla situazione della singola valutazione, definita dalla domanda valutativa, dalla natura dell’intervento pubblico, dalla conoscenza esistente sul fenomeno e sull’intervento, dalla minore o maggiore conflittualità sul significato dell’intervento e, di conseguenza, sui criteri di giudizio da utilizzare (Patton, 2010). In questo caso, anche definire il concetto di successo può essere un tema fondamentale e può essere supportato utilmente da un processo partecipativo: definire quali sono gli obiettivi della politica, quali sono le attese dei diversi gruppi di beneficiari, quali sono gli obiettivi dichiarati e gli obiettivi condivisi dai singoli. È opportuno, nella costruzione del modello valutativo, adottare approcci multipli senza trascurare quello controfattuale, magari lavorando con quest’approccio (meno indicato per situazioni particolarmente complesse) solo su uno specifico caso, circoscritto e ben identificabile nelle sue caratteristiche e nelle conseguenze che ci si aspetta produca, con la consapevolezza della difficoltà di isolare gli effetti ‘netti’ di un singolo intervento, ovvero identificare un nesso causale univoco tra azione ed effetti specifici su beneficiari identificabili. L’indeterminazione causale è alla base della complessità della definizione degli indicatori in tali processi. «Nella situazione ex ante, cioè quella in cui si fissano dei traguardi relativi ai fenomeni (espressi con indicatore) l’indeterminazione si può fronteggiare con una più precisa ‘ingegnerizzazione’ dei programmi, che studi e renda conto della consecutiva relazione plurima di ‘causa-effetto’ nella sequenza concatenata obiettivi/strumenti della strutturazione di programma. Il passaggio dall’indeterminazione a una sempre maggiore determinazione è perciò incluso nello stesso processo di programmazione, se correttamente inteso e applicato […]. Nella situazione ex post le cose cambiano completamente. Se gli indicatori non sono stati elaborati con gli stessi metodi appropriati della situazione ex ante, essi non sono affidabili né per indicare il successo né per indicare l’insuccesso». (Archibugi, 2006, p. 3). Nel caso di Matera, la redazione del progetto di candidatura consente di porre questioni legate a indicatori ex ante ed ex post nei termini del rapporto tra obiettivi e mezzi8: i primi contano in fase di programmazione, i secondi in fase di monitoraggio. Il metodo scelto, in ogni caso, deve garantire rapidità e flessibilità di valutazione, con la possibilità di introdurre sistemi di feedback e retroazione che, a partire da percorsi di monitoraggio, possano consentire interventi e modifiche sul programma di intervento. È anche per questo che sono necessarie politiche place-based, basate cioè sulle preferenze dei beneficiari finali, sulle risorse tangibili e intangibili che entrano in gioco, sui rapporti mezzi-fini. Inclusività dei processi, pertinenza delle dimensioni approfondite, rilevanza degli indicatori, comunicabilità e credibilità dei risultati da parte dei sostenitori di tutti i punti di vista, sono altri aspetti da considerare nel costruire il percorso valutativo per poter giungere a positivi risultati. Una città medio-piccola come Matera, dotata di una rete organizzata e storica di infrastrutturazione sociale – le associazioni culturali – può rappresentare un valido contesto per la sperimentazione di un processo valutativo continuo, a partire dalla formazione del programma di intervento fino 7 8

Sul ruolo delle associazioni nel miglioramento dei processi di dialogo tra istituzioni e cittadini e sulla capacità degli attori intermedi di condizionare gli esiti dei processi di sviluppo territoriale, cfr. Nicoletti (2005). «L’elemento cardine di ogni programmazione strategica (e con essa di ogni progettazione di programma) non è solo la esplicitazione degli “obiettivi” che si intendono perseguire e conseguire (che è comunque la base indispensabile ma non sufficiente di ogni politica pubblica) ma anche quella dei “mezzi” atti a raggiungere quegli obiettivi, che rappresenta il cuore della programmazione» (Archibugi 2006, p. 4).

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alla valutazione degli impatti. Il coinvolgimento diretto degli stakeholders (locali e non) può fare della valutazione uno strumento di policy, uno strumento di ‘governance deliberativa’ (Healey, de Magalhaes et al. 2003; Innes & Booher, 2003) in una nuova logica che dal ‘pianificare ciò che si conosce’ possa muovere l’attenzione verso il ‘preparare a gestire il cambiamento’, per esser pronti ad affrontare l’inaspettato (Landry, 2012).

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La valutazione delle politiche culturali e creative per la città contemporanea. Un caso di studio

Stake R. (2007), La valutazione di programmi, con particolare riferimento alla valutazione sensibile, in Classici della valutazione, a cura di N. Stame, Franco Angeli, Milano

Sitografia Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane (2013), Metodi e contenuti sulle priorità in tema di Agenda Urbana http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2013/04/Politica-nazionale-per-le-città1.pdf Ministero per la Coesione Territoriale (2012), Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 20142020 http://www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2012/12/Metodi-e-obiettivi-per-un-uso-efficace-deifondi-comunitari-2014-20.pdf Ravello Lab, Report di sessione Ravello Lab 2011: Laboratorio ‘Cultura e città – pianificazione strategica a base culturale nelle aree urbane’ http://www.ravellolab.org/upload/files/Documento%20introduttivo_%20Sessione%201.pdf

Las Casas, Nicoletti, Pontrandolfi

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Progetti minimi. L’orientamento degli investimenti territoriali nel territorio del medio fiume Olona

Progetti minimi. L’orientamento degli investimenti territoriali nel territorio del medio fiume Olona Antonio Longo Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: antonio.longo@polimi.it

Abstract - La scarsità delle risorse pubbliche rende necessario ampliare e precisare gli spazi di responsabilità del progetto urbanistico. Le difficoltà delle amministrazioni locali, l’aggravarsi di problemi ambientali ereditati dal passato e la cui soluzione è estremamente onerosa riducono lo spazio di visione e impediscono di cogliere le possibilità di movimento necessarie al cambiamento. Come risposta a questi limiti l’impegno progettuale sempre più spesso consiste in attività di orientamento, di supporto nella ricostruzione del senso dell’azione amministrativa, nell’organizzazione e utilizzo delle conoscenze e delle risorse disponibili. Si tratta di aspetti funzionali e propedeutici al progetto inteso nelle sue forme più consuete, che comportano grande realismo e capacità di ascolto e adattamento. L’attività di progettazione e consulenza si svolge, non di rado, entro spazi minimi di responsabilità, in relazione a progetti di dimensioni ed economia molto contenute, di scarsa visibilità, che tuttavia possono innescare e facilitare processi virtuosi di valorizzazione delle risorse locali: risorse materiali come il capitale fisso territoriale, ma soprattutto progetti, conoscenze, professionalità e consuetudini alla collaborazione in grado di aggiungere a queste valore e di farne buon uso. E’ questo il caso di alcune pratiche sperimentali a confine tra la ricerca autonoma e azioni di supporto alle amministrazioni, tra ricognizione di possibilità e loro effettivo sviluppo, tra descrizione di processi spontanei e immaginazione e proposta di alternative possibili. - La riflessione proposta nel contributo trae spunto, per il secondo anno consecutivo, da un insieme di progetti di ricognizione e tutela degli spazi aperti metropolitani e di fattibilità per interventi pilota sviluppati dall’autore insieme a IRS (Istituto per la ricerca sociale di Milano) su finanziamento della Fondazione Cariplo di Milano, in collaborazione con insiemi di comuni, associazioni e soggetti privati. L’ambito interessato dal progetto è il medio corso del fiume Olona (nella parte che coinvolge il PLIS dei Mulini), in passato già interessato da importanti iniziative di ricerca per riconversione ecologica basate su visioni di ampia scala e ampie implicazioni istituzionali. La disponibilità effettiva di aree limitate per interventi concreti di cui valutare la fattibilità (condizione posta dal bando) e lo sfondo di un rilievo dettagliato, costituiscono il cuore e l’avvio del lavoro sviluppato e perfezionato progressivamente in stretta collaborazione con i tecnici e i volontari locali, le associazioni e i singoli cittadini - Il contributo ricostruisce l’esperienza del progetto per gli spazi aperti del Parco dei Mulini come processo di apprendimento locale, individua i temi e gli oggetti trattati da progetto, i limiti e le possibilità innescate. Con una stretta relazione con gli esiti di processo e muovendo dall’ipotesi di fondo che, oltre la constatazione dei processi di innovazione urbana la sperimentazione tecnica sul campo e la teorizzazione siano strettamente connesse, i temi più rilevanti della vicenda vengono riletti mettendo a fuoco le questioni innovative ed eventualmente replicabili rispetto alla pratica, ai modi e alle forme del progetto. Parole chiave forme del progetto, apprendimento/conoscenza, risorse scarse

Antonio E. Longo

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1 | Condizioni del sapere pratico La riduzione delle possibilità di investimento pubblico e la scarsità delle risorse economiche a disposizione delle amministrazioni locali, ampliano e precisano gli spazi di responsabilità del progetto. Ciò vale soprattutto se il progetto è inteso soprattutto come un’attività di selezione, organizzazione e composizione nello spazio e nel tempo di risorse esistenti, sia materiali che immateriali, che si sviluppa attraverso successivi passaggi di formalizzazione tecnica entro processi continui e reiterati di dialogo. Questa concezione del progetto, che non è evidentemente l’unica possibile ma forse la più adatta al momento, contrasta con le condizioni in cui so trovano prevalentemente le pubbliche amministrazioni. L’attività amministrativa e politica è schiacciata dalle urgenze, dalle priorità contrastanti, dal peso delle responsabilità amministrative affidate ai dirigenti, dalla scarsa consuetudine al progetto e alla collaborazione tra settori. Queste condizioni riducono lo spazio di visione, impediscono di cogliere le possibilità di movimento necessarie al cambiamento, provocano arroccamenti nelle posizioni ammnistrative e politiche. Come risposta a queste condizioni diffuse il progetto sempre più spesso consiste nell’orientare, nel dare supporto alla ricostruzione del senso dell’azione amministrativa, nell’organizzare e utilizzare le conoscenze e le risorse disponibili. E’ un’attività propedeutica e funzionale al progetto inteso nelle sue forme più consuete, che comporta grande realismo e doti di ascolto e adattamento, la rinuncia – non facile - ad atteggiamenti tipicamente pedagogici e illuministici della pratica urbanistica. Questo tipo di attività si svolgono spesso entro spazi minimi di responsabilità, in relazione a progetti di dimensioni ridotte, di scarsa visibilità, che tuttavia possono innescare processi virtuosi di valorizzazione delle risorse locali. E’ il caso dei progetti sviluppati tra il 2012 e il 2013 (ed ora in via di conclusione) nel Parco locale dei Mulini lungo la valle dell’Olona da chi scrive insieme allo staff tecnico del Parco dei Mulini e al gruppo di lavoro dell’IRS. Si tratta di un insieme di progetti sperimentali a confine tra la ricerca progettuale, assistenza organizzativa e strategica, orientamento politico amministrativo. Si tratta di esperienze di progetto talvolta “minime” e leggere, che, pur nella loro semplicità delineano nuove e innovative accezioni degli strumenti e dei modi di formalizzazione del progetto.

2 | Il fiume Olona Negli anni dello sviluppo era un fatto normale che onde di schiuma bianca improvvisamente coprissero l’acqua dei fiumi milanesi, crescendo in corrispondenza dei salti d’acqua e invadendo le sponde: gli alvei trattati come discariche, i fondali e le rive privi di vita. L’inquinamento intenso e drammatico del passato oggi è una condizione cronica. La schiuma copre i sedimenti del fondale, e crea l’illusione che una volta passata il problema sia risolto. Lungo il corso del medio Olona l’ultimo episodio di aggressione al fiume è recente, nell’Ottobre del 2012. La moria improvvisa di pesci ha portato attenzione mediatica su ciò che i dati rilevati da ARPA Lombardia avevano confermato pochi mesi prima: 10 depuratori sui 20 del bacino fluviale presenta anomalie o malfunzionamenti. Il 70% dei carichi organici inquinanti a Nord di Milano deriva da scarichi non depurati, ogni precipitazione oltre la media non è commisurata ai depuratori che deviano la piena nel fiume 1. La rete delle fogne, capillare e mal progettata inseguendo l’urbanizzazione diffusa, ad ogni temporale si ripulisce trascinando nel fiume ogni sedimento e rifiuto. Così nell’ultimo decennio nulla è cambiato se non il continuo deposito di sedimenti inquinati nel fondale e nelle aree di esondazione. Il letto del fiume oggi equiparabile per livello di contaminazione ad un sito di antica industria. Il bacino idrico dell’Olona è da sempre legato all’economia e al lavoro del territorio del Nord Ovest Milanese, il consorzio di gestione delle acque per i mulini e l’agricoltura del 1610 è tra i più antichi e l’industria tessile tra le prime in Italia 2. L’inquinamento dell’acqua e dei suoli è la conseguenza storica della presenza lungo il fiume di un sistema insediativo produttivo che con l’industrializzazione e l’urbanizzazione diffusa del periodo dello sviluppo ha trasformato la prima fonte di energia e la materia prima dell’agricoltura e del lavoro in infrastruttura urbana di scarico. Il baricentro ambientale e paesaggistico del territorio è diventato retro e periferia interna alla nuova città. l’Olona oggi è un fiume negato, che attraversa le provincie di Varese e Milano, il sottosuolo della città di Milano connettendosi con la Darsena e con le aree del Parco Sud, un bacino fluviale abitato da più di 1 milione di persone. Dalle sorgenti, lungo l’alto e medio corso, il secolare rapporto di simbiosi tra fiume e territorio è mutato a scapito dell’ambiente e dell’ecosistema fluviale, della funzionalità idraulica, dell’agricoltura compromessa dalla pessima qualità delle acque e del paesaggio. Oggi dal fiume occorre prima di tutto difendersi, la qualità delle acque è incompatibile con l’agricoltura, la valle è una sequenza di spazi aperti residuali sottoposti ad una forte pressioni edificatoria, con un’economica agricola 1

Per la documentazione dello stato dei fiumi lombardi si vedano le ricerche e le documentazioni raccolte da Legambiente Lombardia http://lombardia.legambiente.it/contenuti/campagne/olona; e le indagini di ARPA Lombardia rapporto sullo stato dell’ambiente - http://ita.arpalombardia.it/ita/servizi/rsa/index_rsa.asp 2 Per una descrizione delle caratteristiche geografiche e istituzionali del Nord Ovest Milanese, in particolare delle forme insediative originali e delle forme di collaborazione istituzionale locali si veda Botti S., Bolocan Goldstein M. , Pasqui G. (2011), Nord Ovest Milano, uno studio geografico operativo, Electa, Milano Antonio E. Longo

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residua compromessa anche dalle trasformazioni idrauliche richieste dai piani di bacino per proteggere gli abitati più vicini al fiume e il territorio milanese. La portata del fiume può variare in poche ore da 10 a 120 mc d’acqua al secondo invadendo le poche aree di esondazione rimaste e minacciando gli abitati. E nonostante la presenza di regole europee per la salubrità delle acque e dell’ambiente, nonostante la percezione dei rischi da parte delle comunità locali sia diffusa il desiderio di riscatto muova molte energie, iniziative, a volte sembra prevalere la rassegnazione e la convinzione che nulla in futuro possa essere cambiato.

3 | Una stagione di piani e programmi Eppure non sono mancate le occasioni in cui si è tentato di migliorare il territorio del fiume. Nella prima metà degli anni’90 una serie di iniziative della Giunta Regionale Lombarda e dall’allora assessore all’ambiente Fiorello Cortiana promuovevano un’importante stagione di studi e ricerche progettuali guidate da Giorgio Ferraresi e Alberto Magnaghi rivolte alla riconversione e valorizzazione ambientale dei bacini dei fiumi Lambro Seveso e Olona 3. I progetti proponevano la riqualificazione insediativa e ambientale degli ambienti della città Nord Milanese integrando temi geografici, tecnico-ecologici e urbanistici entro un’unica visione territoriale di riconversione ecologica ambientale e propriamente culturale. La ricostruzione del rapporto equilibrato tra società e territorio, il recupero dei valori sociali, storici e culturali, delle economie locali erano i temi di un progetto di ricerca molto coraggioso. Il progetto è stato presto interrotto, ha avuto più successo nelle scuole di urbanistica che lungo il fiume ma ha tuttavia lasciato tracce in molti studi e ricerche successivi. Nessuno di questi progetti ha potuto confrontarsi con l’intera estensione del territorio Nord Milanese pur permanendo sia nell’impostazione dei quadri descrittivi, sia negli indirizzi culturali e strategici generali. L’esperienza dei primi ani’90, pur non producendo effetti diretti, è utile nel fornire indirizzi operativi e basi di ricerca per i nuovi strumenti di governo e le nuove politiche regionali che hanno preso forma negli anni successivi. Con la Direttiva Europea quadro sulle acque del 2000, accolta con una serie di provvedimenti legislativi dalla Regione Lombardia tra il 2003 e nel 2006, la questione della salubrità dei fiumi e delle acque e il rapporto con gli insediamenti ha ripreso importanza in sede istituzionale con la formazione dei cosiddetti “contratti di fiume” 4 . Si tratta di Accordi Quadro di Sviluppo Territoriale (AQUST), ovvero strumenti di programmazione negoziata che intendono tutelare e riqualificare il paesaggio, l’ambiente e l’ecosistema del bacino e che si sono concretizzati nell’istituzione di tavoli di concertazione molto affollati di attori sia pubblici che privati e nella distribuzione di importanti risorse. L’approccio partecipativo, disgiunto da una chiara responsabilizzazione degli attori coinvolti, la mancanza di un vero processo gestito di progettazione ha depotenziato lo strumento, a dispetto delle attese e delle risorse distribuite e delle opportunità create.

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I principali testi che documentano la stagione di studi e ricerche sul risanamento ecologico dei bacini fluviali Milanesi sono: G. Ferraresi, A. Magnaghi, “La valle del Lambro, Seveso e Olona: da area ad alto rischio a progetto integrato di valorizzazione territoriale”, in A.Magnaghi, R.Paloscia (a cura di), Per una trasformazione ecologica degli insediamenti, Franco Angeli, Milano, 1992, pp. 57-78; A. Magnaghi, Lambro , Seveso, Olona: disinquinare tre fiumi lombardi con un piano, in “Urbanistica Informazioni”,n. 137, Roma, 1994; A. Magnaghi (a cura di), Bonifica riconversione e valorizzazione ambientale del bacino dei fiumi Lambro, Seveso Olona; linee orientative per un progetto integrato, “Urbanistica Quaderni” 2, Roma,1995. 4 La Regione Lombardia, con l'approvazione della Legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (modificata dalla Legge regionale 18/2006) - come previsto dalla Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE - ha indicato il "Piano di gestione del bacino idrografico" come strumento per la pianificazione della tutela e dell'uso delle acque. www.ors.regione.lombardia.it. Il Contratto di Fiume si inserisce in un contesto normativo rappresentato dalla Direttiva 2000/60, dal Decreto Legislativo 152/06, dalla Legge 183/89, dalla Legge 14/06 che ratifica i principi della Convenzione europea sul paesaggio, da norme e regolamenti regionali: la LR 12/2005 sul governo del territorio, la LR 6/73 sulle opere idrauliche, la LR 2/2003 sulla Programmazione negoziata, il PSR 2007/2013 e le relative strategia per la conservazione della biodiversità e Sistema delle reti ecologiche; le Linee guida “10.000 ettari di nuovi sistemi verdi” ed il Programma attuativo previsto dalla DGR 20 dicembre 2006 n. 3839. Antonio E. Longo

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Figura 1. Uso del suolo e forma dell’urbanizzato nel territorio del medio Olona: il corso del fiume attraversa l’ambito del parco dei Mulini mentre le aree boscate a Est e Ovest individuano il corridoio ecologico di collegamento tra Groane e parco del Ticino. Il Canale Villoresi attraversa l’ambito meridionale del parco e costituisce il principale elemento di appoggio della rete ecologica e della mobilità ciclabile alto milanese.

A distanza di 10 anni dall’avvio i Contratti di Fiume sono oggi in una fase di necessario rilancio progettuale che si lega all’attuazione dei piani di sottobacino. Se questa nuova necessità ha preso consistenza è sia per la difficoltà a selezionare e indirizzare risorse sempre più ridotte, sia per la definitiva constatazione delle diseconomie portate da una condizione ambientale insostenibile per le comunità locali, ma soprattutto per la pressione convincente delle sanzioni europee e i termini pur lunghissimi che rispetto a queste la Regione ha deciso di darsi. Nel frattempo le condizioni del fiume non sono cambiate e gli interventi effettuati non hanno prodotto economie di sistema, le forti attese create da un progetto suggestivo e che agiva su un tema così importante di governo sovralocale hanno scoraggiato gli enti pubblici a fronte degli scarsi risultati. Più spesso per rispondere alle emergenze di sicurezza, anche in presenza di risorse economiche i progetti hanno prodotto risultati limitati e settoriali. Gli alvei dell’Olona, del Lura, del Seveso, del Lambro, del Molgora e dei loro affluenti a Nord di Milano sono stati rettificati e artificializzati in lunghi tratti, i comuni hanno continuato a sigillare il territorio e sottrarre spazio agli ambiti fluviali senza politiche di bacino che agissero in modo coordinato sulle acque di scarico, sulla gestione delle acque piovane. l’Autorità di Bacino del Po da parte propria programma le opere di tutela dalle inondazioni con criteri di massima efficienza idraulica, trascurando gli aspetti ecologici e paesaggistici dei progetti mentre il miglioramento della qualità delle acque è affidato alle economie e ai bilanci difficili dei consorzi locali di gestione delle acque.

4 | Lungo il fiume, il Parco dei Mulini Ma a fianco di questa lunga storia di buoni progetti, di occasioni mancate e di acque inquinate ve n’è un’altra, più recente, contenuta in un piccolo tratto del fiume, tra Legnano e Nerviano, poco a nord del territorio dove nel 2015 sarà ospitato l’Expo milanese. E’ una storia accesa della volontà delle comunità locali di migliorare l’ambiente e il paesaggio del fiume, ma soprattutto dalla ricerca delle tracce dell’importante passato medioevale come fattore identitario locale. Lungo il medio Olona nei secoli passati c’erano decine di mulini che ancora ricorrono nella toponomastica, nelle molte rogge derivate, che spesso hanno sostituito il corso principale del fiume, e che persistono in edifici che hanno cambiato forma e senso. Il nome resta e la memoria dei mulini resta soprattutto legato alla corsa campestre invernale, la Cinque Mulini, uno degli appuntamenti di riferimento mondiale della specialità promosso dal comune di San Vittore Olona insieme alla IAFF. Nel marzo 2008 i comuni di Legnano, San Vittore Olona, Canegrate, Nerviano e Parabiago, hanno istituito il parco locale di interesse sovracomunale (PLIS) dei Mulini. L’iniziativa interessa un insieme continuo di spazi aperti tra il parco del Castello di Legano e gli ambiti irrigui a sud del canale Villoresi è stata sviluppata parallelamente ad un percorso quinquennale di Agenda 21 locale che ha dato vita all’Ecomuseo dell’Olona e ha costruito un diffuso sapere ed interesse nei confronti dell’ambiente tanto nelle comunità locali (con un intensa attività associativa e civile) che nelle amministrazioni. A queste condizioni ha contribuito anche Antonio E. Longo

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una forte attività decentrata della Provincia di Milano nella promozione della coesione territoriale, che ha prodotto interessanti risultati su diversi fronti politici e ammnistrativi tra i quali l’istituzione di un distretto agricolo dell’Olona 5. Il comune di Parabiago è ente capofila del Parco e responsabile dell’Ecomuseo. Il responsabile del settore ambiente ed ecologia, Raul Dal Santo, biologo, dirige il Parco e l’Ecomuseo in relazione stretta con gli uffici dei comuni convenzionati. Il percorso di Agenda 21 ha contribuito a produrre un interessante capitale di conoscenze, capacità amministrative e tecniche, oltre che di passione. Parco ed Ecomuseo insieme a numerose associazioni locali e volontari promuove e gestisce eventi, iniziative, progetti ed è in grado di sviluppare progetti e intercettare finanziamenti attraverso un’intensa attività di networking. La costruzione partecipata di una mappa turistica eclettica del Parco dei Mulini ha raccolto l’attenzione di Fondazione Cariplo che ne ha finanziato il processo di redazione costruendo la base per un percorso attivo di progettazione, costantemente aperto e tenuto vivo dalle attività dell’ecomuseo 6. In questo contesto durante la primavera del 2011, a margine di un insieme di attività legate ad un ulteriore finanziamento di Fondazione Cariplo per il coordinamento delle reti di mobilità ciclistica sovracomunale a cui l’Ecomuseo partecipava, è stato presentata una domanda di finanziamento alla Fondazione nell’ambito del bando “Spazi Aperti”. Si tratta di un programma per studi di fattibilità e interventi con due finalità complementari: mappare gli spazi aperti residuali soggetti a rischio di edificazione, promuovere la realizzazione d‘interventi anche minimi, ma connessi da una visione strategica di ampia scala 7 rispondendo ad un principio di massima valorizzazione delle risorse disponibili. Il ruolo di chi scrive, come consulente scientifico nella scrittura del bando insieme a IRS, Istituto per la Ricerca Sociale, è stato quello di predisporre la visione d’insieme di riferimento per un insieme di cinque interventi collocati in terreni di proprietà comunale, di consorzi di depurazione e di privati, a prima vista difficilmente riconducibili ad una logica d’insieme e successivamente, una volta finanziato il progetto, di accompagnarne lo sviluppo e la gestione, di curare il monitoraggio del progetto. La base della mappa del parco, la ricerca di connessioni con progettualità provinciali (reti ecologiche e mobilità ciclistica) oltre alla prossimità con importanti infrastrutture di connessione ambientale (il canale Villoresi, il PLIS del Roccolo e il Parco Regionale della Valle del Ticino) hanno costituito il supporto di riferimento per una prima ipotesi di ricomposizione del senso degli interventi il cui significato è stato fin dall’inizio orientato al potenziamento delle caratteristiche di naturalità e al miglioramento dell’accessibilità e della relazione tra fiume e abitati.

Figura 2. Prospettiva d’insieme del Parco dei Mulini: una visione progettuale per comporre i progetti finanziati e finanziabili nel territorio dei comuni del medio Olona

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www.consorziofiumeolona.org http://ecomuseo.comune.parabiago.mi.it; http://pianobicialtomilanese.wordpress.com 7 Per le caratteristiche del bando spazi aperti di Fondazione Cariplo si veda http://www.spaziaperti.fondazionecariplo.it/public/spaziaperti/introduzione sulle caratteristiche dei bandi Cariplo per Spazi aperti e sull’esperienza condotta nei comuni della Martesana, si veda il mio contributo alla Conferenza SIU del 2012 . Pescara – Consumo di suolo ridisegno dell’esistente: rischi e limiti del progetto Atti della XV conferenza nazionale SIU, Pescara, 10-11 Maggio 2012, in Planum the Journal of Urbanism, Vol.2 - 2012 Antonio E. Longo

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5 | Consapevolezza e orientamento all’azione, economia Ottenuto il finanziamento il progetto ha avuto uno sviluppo per noi progettisti e consulenti inatteso, soprattutto se confrontato con precedenti esperienze condotte in contesti analoghi e finanziate nell’ambito del medesimo programma. Se in altri territori e situazioni la costruzione del contesto progettuale, delle partnership, la definizione di possibili relazioni virtuose tra soggetti e progetti comuni ha costituito la parte più impegnativa del lavoro, nel Parco dei Mulini l’esperienza di progetti sviluppati in network, la presenza fondamentale del fiume Olona come centro di tutte le visioni e problematiche territoriali hanno focalizzato l’attenzione e il tema del lavoro su aspetti immediatamente operativi: usando parole di un piano strategico comune lo scenario strategico – se pur negativo – dell’Olona come fiume degradato da restituire alla città domina l’immaginario e ordina le azioni, l’ecomuseo il PLIS e le esperienze locali di coprogettazione a partire da Agenda 21 definiscono le azioni e eventualmente obiettivi parziali, Parco ed Ecomuseo sono istituzioni leggere in grado di svolgere la funzione di infrastruttura di supporto gestionale delle iniziative. I network collaudati e – fatto non usuale – le competenze originali e complementari presenti all’interno degli uffici pubblici (la maggior parte biologi e laureati in scienze ambientali) e tra i partner privati (agricoltori, dipendenti del consorzio fiume Olona, dipendenti del consorzi di depurazione) sono apparsi come la principale risorsa di un territorio altrimenti depauperato. Il lavoro, presa consapevolezza dello stato delle cose, dopo una prima serie di incontri, sopralluoghi e colloqui con i tecnici locali, eventi pubblici che hanno coinvolto la popolazione (in occasione di iniziative promosse dalle associazioni locali) è materialmente consistito nel confezionare immediatamente una bozza completa del progetto, che ponesse in evidenza tutte le risorse dichiarate al momento della partecipazione al bando e responsabilizzasse i soggetti istituzionali rispetto ad un’effettiva presa in carico delle scelte progettuali, alla loro verifica, alla valutazione della futura gestione e alla disponibilità di risorse. Verificate le condizioni iniziali è stata data la massima priorità alla reale fattibilità dei progetti raccogliendo le progettualità esistenti, sollecitando la possibilità dei tecnici locali di svilupparne l’esecutività, di gestirne gli esiti. La produzione anticipata di una bozza di progetto, la verifica e la discussione reiterata hanno permesso di innescare un processo di progressiva correzione e adattamento: le cinque aree individuate inizialmente per sviluppare gli studi di fattibilità, tutte accomunate dalla prossimità al fiume e dalla centralità degli interventi di rafforzamento della naturalità sono state così rimodellate, adattate. Alcune aree e progetti sono stati aggiunti nel corso del lavoro fino alle attuali 8 e molti progetti, che per varie ragioni non è stato possibile includere o per incongruenza rispetto agli obiettivi del bando (che finanza strettamente interventi di rinaturazione, rafforzamento della naturalità esistente e, eccezionalmente, percorsi e sentieristica) o perché pervenuti tardivamente, sono stati inclusi come elementi del disegno complessivo costruendo una composizione d’insieme rivolta alla riqualificazione paesaggistica del contesto fluviale. La progressiva correzione è stata gestita sia attraverso riunioni tecniche dedicate, che attraverso le riunioni dell’Assemblea dei Sindaci del parco, attraverso l’attività consueta dello staff dell’ecomuseo – estremamente attivo nell’organizzare incontri tematici – ma soprattutto attraverso riunioni tecniche ed eventi sul campo, sopralluoghi esperti organizzati in funzione di specifici luoghi e temi. Da parte nostra, nel ruolo di chi ha ricomposto attraverso il dialogo gli elementi in un provvisorio racconto d’insieme continuamente aggiornato questo processo ha comportato ovviamente modifiche, adattamenti, traduzioni, alcuni necessari tradimenti che hanno permesso di includere e reindirizzare i progetti entro un processo di allineamento delle possibilità, di costituzione temporanea di una forma dotata di senso.

6 | Progetti minimi La presenza di un contesto solido e consapevole, che ben rappresenta gli esiti – di fatto - di un percorso di progettazione strategica locale ancorché non di autore e non documentato da cronache accademiche, ha sbilanciato il fronte del progetto dalla previsione e orientamento delle azioni alla loro progettazione e gestione concreta, attraverso la collaborazione stretta con le strutture tecniche e i partner del progetto. La scala delle questioni si è così precisata e ridotta, permettendo di perfezionare i dettagli minimi e di adattare la presentazione del progetto a specifiche occasioni di finanziamento che si sono presentate durante il periodo di sviluppo programmato (gennaio 2012 – aprile 2013). Nel mese di Novembre 2012 si è improvvisamente aperta l’opportunità di accedere a finanziamenti importanti da parte della Regione come compensazione ambientale delle opere di Expo 2013. Si è trattato di un fatto inatteso che ha potuto essere intercettato con lievi modifiche e attraverso l’anticipazione di massima della valutazione dei costi. La circostanza dell’interlocuzione con Expo, che auspicabilmente dovrebbe portare notevoli risorse al parco, più di quante erano attese grazie ai finanziamenti di Fondazione Cariplo per l’attuazione, ha rappresentato un’ulteriore opportunità di consolidamento della partnership locale e soprattutto ha mobilitato l’interesse politico locale, altrimenti solo parzialmente coinvolto dai temi ambientali e dal Parco. Nella sequenza di eventi ravvicinata, come si è detto, il prodotto tecnico è stata una bozza del censimento degli spazi aperti e degli studi di fattibilità in continuo stato di aggiornamento e riscrittura. La modalità di scrittura del testo non è indifferente alle modalità di interazione. Il titolo attribuito al progetto dalla direzione del Parco nella Antonio E. Longo

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fase iniziale – dalla mappa del Parco alla realizzazione delle reti - rende abbastanza bene il senso che gli elaborati hanno assunto e il rapporto con i risultati del percorso di progettazione: la mappa del parco e lo studio delle reti sono infatti i due precedenti progetti finanziati dalla Fondazione Cariplo, rispetto ai quali si è cercata la continuità operativa, ma soprattutto la mappa del parco, ha funzionato in modo interessante come strumento di orientamento strategico benché avesse la forma e le finalità di una mappa turistica per utenti cittadini. Con questa stessa intenzione si è cercata un buona formalizzazione del progetto, curato nella produzione delle mappe e nella qualità dell’impaginazione, in modo che ogni azione parziale promossa da soggetti differenti trovasse identificazione e riconoscimento all’interno di uno spazio tecnico e simbolico comune.

Figura 3. La ricomposizione dei progetti come unità di intervento nella fase conclusiva del percorso d’interazione

7 | Nota tecnica: il racconto nell’interazione come strumento di gestione del cambiamento e composizione urbanistica In questo scritto che precede la conclusione formale del lavoro prevista per fine aprile 2013, ho toccato in modo necessariamente sintetico alcune premesse e passaggi della vicenda perché il lettore potesse avere un’idea sufficientemente chiara del contesto e delle caratteristiche del progetto. Lo sviluppo in tempo reale del progetto, a distanza ravvicinata, in forte rapporto con le condizioni effettive di fattibilità, si prestano meglio ad una rappresentazione sintetica a consuntivo, come racconto critico e riflessivo di quanto avvenuto. Ma il racconto conclusivo del progetto – per i colleghi e per se stessi - è solo l’ultimo e forse il più deformato di un lungo ciclo di racconti che in momenti diversi hanno accompagnato (e accompagnano) il percorso di progetto, racconti complessi, con specifiche retoriche ed etiche, nutriti da argomenti e linguaggi essenzialmente tecnici, racconti contestualizzati, che nascono in relazione a luoghi e circostanze di contesto, che da queste traggono elementi e che spesso esauriscono il proprio senso non appena conclusi. Come si è accennato, il progetto è stato redatto dall’inizio come racconto compiuto, ancorché frammentario e incompleto, composto da una descrizione problematica del contesto, da una visione d’insieme delle relazioni territoriali, da proposte di miglioramento delle connessioni ecologiche e naturalistiche lungo il fiume accolte dagli spazi disponibili e consistenti in interventi elementari di costruzione di siepi, filari, prati umidi, fasce ripariali. La descrizione di un possibile assetto del Parco dei Mulini e dei suoi possibili effetti è stata impostata fin dall’inizio come canovaccio, in modo approssimato, funzionale a convincere i partner pubblici e privati a partecipare al bando e la Fondazione Cariplo a disporre il finanziamento del progetto. Successivamente il progetto, i suoi sviluppi e possibilità sono stati raccontati in molti modi, con linguaggi di volta in volta tecnici o divulgativi, con enfasi sui costi o sui risultati, con cautela rispetto ad aspettative e timori. Ogni racconto ha Antonio E. Longo

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generato una fase di discussione che ha incluso nuovi elementi, indizi, suggerimenti. Il racconto è stato poi in alcuni casi fatto proprio dai partner più attrezzati ed esperti, sviluppato indipendentemente dalla nostra presenza diretta, restituito negli esiti in forma di resoconto e quindi nuovamente rielaborato e condiviso. La pratica del racconto come strumento di progetto, attraverso la contestualizzazione di valori e risorse, di orientamento del cambiamento nel dialogo, evidentemente ha relazione con temi rilevantissimi ed assai esplorati della teoria urbanistica e non solo e che meriterebbero da soli uno specifico approfondimento: dalle forme testuali, alle forme discorsive, alle pratiche dialogiche e ai loro supporti tecnici 8. La reiterazione del racconto supportato da immagini, numeri, mappe e descrizioni verbali, distanziandosi e avvicinandosi all’oggetto e al tema del progetto crea lo spazio per l’immaginazione innovativa da parte di chi partecipa, in un gioco aperto che permette di superare l’eccesso di descrizione dello stato delle cose, di constatazione dei limiti che vengono superati ipotizzando possibilità, verificandole in tempo reale. A partire da questa esperienza sembra utile sottolineare due aspetti necessari all’efficacia del racconto come strumento di gestione del cambiamento. Il primo aspetto riguarda il linguaggio che è stato, come si è detto, in larga parte tecnico, linguaggio multidisciplinare del progetto, anche – e soprattutto – inteso nelle sue forme più tradizionali, che ha incluso considerazioni di carattere agronomico e naturalistico, quando possibile idraulico, che ha utilizzato la valutazione tecnica-economica come argomento fondante per la sostenibilità delle previsioni, espresso attraverso mappe, disegni prospettici, sezioni, transetti. La dimensione tecnica è un dato irrinunciabile sia per la necessaria credibilità del discorso (altrimenti affidato a ipotesi forse visionarie ma destinate all’insuccesso che caratterizzano molte arene di coprogettazione…), sia perché permette di inquadrare il tema, di definire i ruoli e le responsabilità all’interno di un contesto di decisione altrimenti caotico. Il secondo aspetto concerne la contestualizzazione del racconto, alimentato da argomenti propri dei luoghi, a contatto con la materialità del sito, nel paesaggio, e spesso sviluppato nel luogo attraverso una pratica comune di conoscenza e immaginazione comune dei luoghi. Il racconto precedere, accompagna o segue il sopralluogo, ne riutilizza gli esiti negli incontri successivi, depositandosi in un filmato o in un resoconto. E’ la forma di rappresentazione attiva che permette di sviluppare il progetto in modo completo, multidimensionale. Solo alla fine del percorso, allo scadere del tempo programmato per il progetto, il punto di arrivo parziale del lavoro, la redazione di un “patto” per l’attuazione degli interventi, recupera attraverso una forma classica della pianificazione strategica locale la ritualità necessaria alla sua conclusione, ancorché provvisoria. Un secondo aspetto da sottolineare è la sua funzionalità rispetto all’ inclusione delle risorse disponibili: risorse progettuali, competenze, conoscenze ed ovviamente risorse economiche e territoriali. L’inclusione è avvenuta, se necessario, attraverso processi di adattamento, modificazione degli obiettivi dei prodotti progettuali, se possibile di cooptazione di persone e relative competenze, di ricognizione e comprensione delle risorse territoriali. Ad esempio, è parso singolare che alla prima riunione di verifica dei progetti, che nulla avevano in rapporto con le opere pubbliche programmate dai comuni, sia stata chiesta a tutti i partner la disponibilità a portare i piani triennali delle opere pubbliche e le più recenti delibere di investimento in opere ambientali. La possibilità di cercare tra le voci di programmazione e di bilancio possibili azioni traducibili in quote di contributo per richieste di finanziamento dei risultati degli studi di fattibilità, oltre a chiarire il rapporto potenziale tra previsioni altrimenti distanti e separate ha portato a riflettere e in alcuni casi a ridefinire le priorità stesse di bilancio, facendo emergere priorità e opportunità, scoprire nuovi luoghi e temi di progetto, unire e valorizzare investimenti. I progetti inclusi negli studi di fattibilità sono così passati da cinque a otto e la loro capacità di definire un disegno esteso e coerente non solo è migliorata ma è stata contemporaneamente e anticipatamente connnessa a condizioni di reale fattibilità. Analogamente la chiusura anticipata di sei mesi nel novembre 2012 (e l’immediata riapertura e rimessa in circolo) della fase di redazione degli studi di fattibilità dovuta alla necessità di intercettare i finanziamenti delle compensazioni ambientali di Expo 2015, oltre a rendere molto probabile il reperimento di importanti risorse per l’attuazione del progetto (sulla base di una richiesta di circa 350.000 euro) ha avuto come esito indiretto una forte accelerazione nella emersione di progetti e idee che hanno alimentato e integrato la struttura iniziale portando in evidenza risorse potenziali aggiuntive che potranno costituire una base di cofinanziamento per successivi bandi attuativi. Un simile processo di inclusione e valorizzazione ha riguardato risorse immateriali non meno importanti come le competenze e la capacità di operare in collaborazione come nel coinvolgimento di professionalità inespresse all’interno della gestione ordinaria degli uffici e invece utilissime nella progettazione di dettaglio degli interventi soprattutto perché combinate con una straordinaria conoscenza del contesto.

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relazione alle implicazioni tecniche ed etiche del rapporto tra forme del discorso urbanistico e progetto mi limito a segnalare il testo di Ugo Ischia che oltre a sviluppare una riflessione originale riflette le ricerche entro cui il percorso di ricerca dell’autore è maturato, Ischia, U. (2012) La città giusta. Idee di piano e atteggiamenti etici. Donzelli, Roma.

Antonio E. Longo

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Progetti minimi. L’orientamento degli investimenti territoriali nel territorio del medio fiume Olona

Tavola 4. Integrazione e variazione delle aree coinvolte dagli studi di fattibilità nel periodo giugno 2012 marzo 2013

Figura 5. Studi di fattibiltà. Riqualificazione paesaggistica dell’Isolino di Parabiago. Antonio E. Longo

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Rigenerare gli spazi di frangia. Il progetto di un “supporto pubblico” nello spazio periurbano

Rigenerare gli spazi di frangia. Il progetto di un 'supporto pubblico' nello spazio periurbano Mirko Pellegrini Units – Università degli Studi di Trieste DIA (Dipartimento di Ingegneria e Architettura) Email: mirko.pellegrini@phd.units.it Tel: 339 6040244

Abstract I cambiamenti che hanno investito i territori contemporanei riportano l'attenzione alle aree del periurbano, viste oggi come ambito strategico di riqualificazione. L'ipotesi sostenuta è che il periurbano possa divenire paesaggio autonomo, spazio di mediazione tra caratteri urbani e rurali in primo luogo, ma anche come ambito dove sperimentare nuove forme di convergenza tra azione pubblica e iniziativa privata. Un paesaggio, il periurbano, che si costruisce attraverso l'intreccio tra progettualità private (appropriazioni minimali e pratiche di rigenerazione dello spazio agricolo) e forme di gestione pubblica. Due modalità di intervento nelle quali si possono riconoscere potenzialità basate sulla frammistione tra spazialità diverse e in grado di proporre progetti innovativi per abitare i territori contemporanei, garantendone al tempo stesso la manutenzione. Parole chiave Frange urbane, paesaggi periurbani, progettualità minimali Obiettivo del contributo è quello di indagare lo spazio periurbano di frangia. Si assume questo contesto come possibile laboratorio dove politiche di gestione pubblica, progettualità minimali e forme di gestione privata possono efficacemente convergere nella costruzione di un “supporto pubblico” stabile e diffuso. Si ritiene che attraverso tale supporto sia possibile accogliere possibili pratiche di attivazione degli spazi, e con esse forme di gestione legate all'azione privata e pubblica, innescando processi di rigenerazione dei territori contemporanei.

Periurbano come ambito strategico di riqualificazione L'attenzione verso le aree periurbane si colloca entro il riconoscimento di fenomeni legati alla crescita urbana, ma non solo. Lo spazio periurbano è stato assunto in tempi recenti come luogo in grado di offrire uno sguardo alternativo sui territori contemporanei ma anche come spazio autonomo (Mininni, Guastamacchia 2012): una nuova 'forma' di città, indagata tanto nelle forme del costruito quanto in quelle del paesaggio, degli stili di vita, delle relazioni sociali, dell'economia (Secchi 2008). Il ‘periurbano’ viene così accolto entro una visione dove lo spazio urbano non sembra far riferimento alla sola 'città compatta', ma piuttosto a un'idea più complessa di territorio metropolitano. Investito oggi da processi di rinnovamento, questo spazio liminare e di confine tra universi legati all’urbano e al rurale, dimostra come non sia più possibile ragionare per contrapposizioni: ‘città’ e ‘campagna’ sono categorie concettuali inadatte a descrivere ‘zone di frangia’ sempre più frequentemente oggetto di fenomeni di trasformazione e mutamento basati sullo scambio e la reciproca contaminazione tra dimensioni fisiche e pratiche dell’abitare. Questi spazi si prestano così ad essere indagati come luoghi di pratiche, flussi, economie e modi di abitare i territori contemporanei inediti e non ancora del tutto esplorati. Luoghi dinamici, costituiti da geografie diversificate, legate alle condizioni fisiche ma anche alla velocità delle trasformazioni e agli stili di vita in continuo mutamento -fattori che più di altri sembrano condizionare lo spazio dei nostri territori- (Ingersoll 2004) il periurbano viene assunto come spazio progettuale, alla ricerca di nuove condizioni di comfort e benessere per la città contemporanea e i suoi abitanti (Mininni 2012). Mirko Pellegrini

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Frange periurbane come campo di azioni pubbliche Lo spazio periurbano attuale è il risultato, oltre che della crescita urbana, anche dell'urbanistica come esito di azioni e strumenti regolativi che nel tempo anno concorso alla sua configurazione. Seppur indirettamente, l'operatore pubblico ha utilizzato il 'paradigma del dividere e separare' (Mininni 2012) riconoscendo, attraverso lo strumento dello zoning, bordi netti tra funzioni, materiali e persone, senza attribuire e riconoscere tuttavia un ruolo 'pubblico' ai limiti dell’urbanizzato. Nella città contemporanea - dove le frange periurbane, spazi di bordo e marginali, sono difficilmente individuabili in quanto elementi di un'area vasta e diffusa nella quale 'tutto è bordo'- riconoscere il limite come materiale di progetto può portare a interpretazioni fertili e offrire l’opportunità di lavorare su possibili relazioni tra spazialità diverse. Non si tratta tuttavia di ridefinire o individuare nuovi perimetri di separazione tra città e campagna, ma di riconoscere per le frange periurbane il ruolo di spazio di mediazione e in alcuni casi di conflitto dove vengono definite nuove regole per l'abitare contemporaneo e nuovi 'paesaggi metropolitani' (Valentini 2006). Numerose esperienze francesi di pianificazione, a differenza del caso italiano, lavorano da tempo sul tema dei bordi, riconoscendo loro un ruolo 'pubblico' ed elaborando strategie e linee guida per la loro gestione. Enti preposti alla gestione urbana, come ad esempio l’Institute d’Amenagement e d’Urbanism (IAU)1, si occupano di elaborare linee guida dove l’intento principale è quello di suggerire modalità di trattamento diversificate per gestire ‘transizioni’ tra spazialità diverse. Nei ‘Carnets2’ elaborati dall’IAU, ad esempio, si forniscono indicazioni pratiche su come ‘trattare i fronti urbani’ a partire dal riconoscimento di differenti 'tipologie'3. In questo modo riconoscere il ruolo del bordo diviene contestualmente azione progettuale che stabilisce relazioni stabili sul territorio in grado di raggiungere obiettivi molteplici: ambientali con il miglioramento degli ecosistemi naturali e il mantenimento della biodiversità, di sostenibilità urbana stabilizzando i bordi attraverso lo spazio agricolo di produzione, socioculturali acquisendo il paesaggio come elemento strutturante. La concezione 'pubblica' del fronte urbano del caso francese permette di tener in considerazione le specificità dei tipi di spazio a confronto (agricolo, urbano, boschivo, di risulta, ecc...), nel quale possono trovar luogo attività diversificate: dall'orticultura, alla coltivazione produttiva, dalla valorizzazione del paesaggio agricolo, alle pratiche per il loisir. Il progetto nelle diverse situazioni di contatto permette di innescare processi di reciproca influenza basati sulla valorizzazione delle potenzialità riconosciute e sulla valutazione delle criticità presenti, ad esempio attraverso la costruzione di nuove relazioni visive, di permeabilità, di porosità, ridefinendo il limite attraverso i materiali urbani, in alcuni casi marcando le differenze in altri mediando tra le differenti situazioni. Il riconoscimento del limite, seppur “invisibile” perché non riconducibile né al limite funzionale della città né a quello rurale, è dunque portatore di progettualità, il progetto del bordo tra l'altro è anche strumento utile a stabilire una relazione di equilibrio duraturo per la gestione e la trasformazione di questi luoghi. Il progetto delle frange periurbane e la ridefinizione dei bordi nel caso francese non si pone l'obiettivo quindi di ricostituire i limiti della città o di ristabilire una sorta di gerarchia tra città e campagna, ma si configura come 'strumento di rigenerazione urbana' per le aree di frangia, intercettando istanze territoriali e identitarie, assumendo come prioritaria anche l'azione sui 'sistemi di paesaggio' (Fleury, Branduini, 2007).

Frange periurbane: visioni private Entro una diversa prospettiva di indagine, maggiormente legata alla dimensione del ‘privato’, il periurbano può essere interpretato come ‘spazio di pratiche quotidiane', nel quale si intrecciano storie di progettualità minimali e di appropriazioni legate alla necessità di soddisfare fabbisogni legati ai nuovi stili di vita (per il tempo libero, per la casa, per la socialità). I luoghi del periurbano possono infatti essere letti come esito di un processo di riattualizzazione derivato dal 'dialogo tra i nuovi stili di vita ed un sistema di valori condivisi e tramandati nel tempo’(Bianchetti 2003), attraverso le pratiche gli abitanti reinventano gli spazi quotidiani a seconda delle loro esigenze, dando vita ad una trama di elementi fisici, di luoghi e materiali che contribuiscono a creare gli spazi della città contemporanea. Le pratiche mettono in luce il carattere multiscalare dello spazio periurbano, che assume geografie diverse a seconda dello sguardo adottato. Da un lato, osservare il periurbano come spazio di pratiche significa prestare attenzione agli spazi e alle trame minute in cui si consuma il vivere ordinario e quotidiano nella città contemporanea, comportando quindi, la necessità di sperimentare letture alternative, capaci 1

L’Institute d’Amenagement e d’Urbanism (IAU) Île-de-France è un ente a gestione pubblica, che si occupa di pianificazione a scala vasta, svolge ricerche di sviluppo urbano sull'area metropolitana parigina e su progetti internazionali. 2 Si fa qui riferimento ai quaderni (carnets) che hanno l'intento di tracciare 'linee guida' per la gestione del territorio, dell'ambiente, del paesaggio, della mobilità, rivolte soprattutto alle amministrazioni pubbliche. Il progetto dell'IAU si colloca all'interno dello Schema Directeur de la Region Île-de-France (SDRIF) e pur non avendo forma giuridica si occupa di mediare tra le esigenze locali e la pianificazione d'area vasta. 3 Nel testo vengono riconosciuti diversi tipi di bordi urbani fondamentalmente basati su due strategie: una a carattere territoriale di 'controllo del fronte' atta a limitare l'espansione urbana, l'altra mirata invece alla 'gestione del fronte' che si occupa di lavorare sulla stabilizzazione dello stesso attraverso l'azione sul paesaggio. Mirko Pellegrini

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di addentrarsi nell’intreccio di forme molteplici dell’abitare, spesso sfuggenti, per cercare di interpretare i comportamenti e il funzionamento di questi nuovi territori. Dall’altro lato, se invertiamo il punto di osservazione, il periurbano ci spinge a riconsiderare lo spazio agricolo che spesso delimita gli spazi urbanizzati come elemento chiave per la valorizzazione e la rigenerazione delle aree di frangia, in quanto elemento strutturante del paesaggio. Sono, infatti, le dinamiche che coinvolgono il suolo agricolo le principali responsabili delle trasformazioni spaziali di questo ambito, ma anche le depositarie dei suoi segni identitari. Nelle frange periurbane si possono riconoscere processi di mutamento che si muovono su due differenti scale: trasformazioni minute legate alle progettualità minimali, funzionali allo sfruttamento di spazi residuali da parte degli abitanti, alle quali si affiancano quelle connesse alla funzione agricola produttiva residua, e legate alla riconfigurazione delle aziende agricole (convertite alla multifunzionalità), in grado oggi di mantenere una certa 'sostenibilità' economica nell’uso del territorio e al tempo stesso di garantirne il presidio. Le prime hanno sfruttato gli spazi interclusi generati dalle trasformazioni del suolo agricolo, quando esaurita la necessità produttiva alcune aree sono state urbanizzate formando spazi ad uso agricolo interclusi dall'edificato, si tratta in genere di aree di piccola dimensione, residui di suolo agricolo di natura ibrida, né città né campagna, che hanno resistito alle trasformazioni grazie al loro scarso potenziale edificatorio. La 'dissoluzione dello spazio pubblico' e la mancanza di centralità hanno poi invitato gli abitanti del periurbano a sfruttare gli spazi residuali per pratiche una volta demandate ai luoghi collettivi, a uscire dal recinto della casa privata per appropriarsi degli spazi di prossimità inutilizzati. In queste 'frange di naturalità' ai bordi dell’edificato, gli abitanti ricavano orti urbani, giardini accessori all’abitazione, aree per il gioco, sulle quali si possono di volta in volta inventare pratiche diverse per il tempo libero, la coltivazione, le necessità quotidiane. Le aree agricole, invece, ripropongono temi progettuali legati al ruolo dell'agricoltura nelle aree periurbane, che oggi sembrano offrirsi come ambito per nuove attività legate al turismo, al loisir, ma anche alla riscoperta dei valori ecologici e ambientali, funzioni che possono ben coesistere con il potenziamento del ruolo di spazio economico per la produzione di beni alimentari di elevata qualità o la valorizzazione delle produzioni locali, destinati alla vendita e al consumo. Lo spazio agricolo periurbano diventa cioè luogo dove convergono istanze portatrici di nuove economie che combinano la cultura urbana e quella agricola, ma anche del paesaggio e dell'ambiente, favorendo la conversione delle aziende da agricole a multifunzionali. La multifunzionalità consente loro il mantenimento del suolo agricolo, la sua preservazione e la possibilità di combinare alla funzione produttiva altre fonti di reddito derivanti dalle attività agrituristiche, didattiche, dell'orticultura, della vendita delle produzioni locali tipiche e di alta qualità, contribuendo allo sviluppo di filiere corte, divenendo 'potente strumento di riqualificazione ambientale (Pallottini 2012). In questa logica lo spazio agricolo periurbano viene pensato come spazio da 'vivere e abitare', spazio della produzione e del loisir, secondo l'idea di 'campagna urbana' (Donadieu 2006), non semplice paesaggio di sfondo, ma elemento attivo e strutturante in grado di definire nuove spazialità e modalità per abitare le frange periurbane.

Costruire un 'supporto pubblico' Le politiche di gestione pubblica demandate alla pianificazione e le progettualità minimali della gestione privata possono convergere nella costruzione di un supporto pubblico per il periurbano. Un supporto stabile che possa offrire presidio e sicurezza e al tempo stesso capace di accogliere pratiche di attivazione degli spazi e, con esse, forme di gestione legate prevalentemente all'azione privata, attivando processi di rigenerazione dei territori contemporanei. Pensare al supporto pubblico non significa pensare unicamente alla costruzione materiale dello spazio: non si tratta cioè di elaborare il solo progetto di uno spazio fisico come ‘supporto’, quanto piuttosto di ragionare su una serie di progetti e azioni politiche pubbliche in grado di innescare l'azione privata. Un supporto esito di forme di gestione combinata quindi, dove urbanità e ruralità interagiscono reciprocamente producendo forme spaziali innovative, capaci di accogliere modi di vita e forme dello ‘stare insieme’ condividendo spazi e pratiche. Si tratta cioè, di intervenire sulla governance di progetti capaci di produrre forme agro-urbane (Donadieu, Staiti, 2012): orti urbani, coltivazioni di spazi inusuali (come le coperture di capannoni produttivi) hanno già dimostrato come sia possibile reinventare l'uso di spazi che riaggregano pratiche collettive a gestione privata. Lo spazio agricolo può assumere quindi un significato collettivo nelle frange periurbane come possibile sostituto dello spazio pubblico (Caravaggi 2012), attraverso l'azione pubblica (di pianificazione) con il riconoscimento e il progetto dei bordi periurbani, con l'istituzione di vere e proprie centralità non edificate a servizio del territorio metropolitano (Pallottini 2012) (ad esempio i parchi agrari) e la gestione privata del quotidiano che garantisca il presidio e la sicurezza. L'espansione della città e la perdita dell'immaginario del confine urbano hanno infatti indebolito il 'senso di appartenenza e sicurezza connesso a un intorno abitato e ben delimitato' (Valentini 2006); per poter divenire supporto pubblico e quindi spazio collettivo, il periurbano deve rispondere a requisiti di sicurezza necessari per uno spazio che aspiri ad essere luogo di aggregazione. Le frange periurbane sono attualmente investite da progetti isolati, per lo più di natura privata, di appropriazione Mirko Pellegrini

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e riuso, dove le recinzioni contribuiscono alla frammentazione dello spazio e segnano delle soglie, che «stabiliscono, più che i limiti di una proprietà, confini tra domini diversi, misurano l'estendibilità dell'idea di abitare tra dimensione domestica e dimensione geografica» (Mininni 2012). Il presidio e la sicurezza di questi spazi diventano quindi essenziali, attraverso il mantenimento della produzione agricola e il sostegno alla multifunzionalità, assicurando la fruizione collettiva degli spazi e la porosità degli ambienti attraverso percorsi accessibili nel paesaggio, eliminando la frammentazione degli spazi dovuto alle recinzioni e il carattere episodico degli interventi, attraverso la ricomposizione degli spazi residuali in una figura strutturante (ad esempio ad uso agricolo).

Supporti pubblici: alcuni esempi Diversi progetti in Europa hanno posto le basi per il progetto e la realizzazione di un 'supporto pubblico' attraverso la riqualificazione e il riuso degli spazi periurbani di frangia e degli spazi agricoli residuali. Si prenderanno qui in considerazione tre casi che hanno lavorato alla costruzione di un 'supporto pubblico' in contesti diversi. Un primo caso riguarda il progetto Agropolis München4 che lavora sulla costruzione di un nuovo bordo urbano pensato come 'supporto dinamico' in grado modificarsi nel tempo integrando l'attività agricola con le future esigenze residenziali per la città di Monaco di Baviera. La proposta prende atto della crescente domanda da parte degli abitanti di spazi per la realizzazione di orti urbani, della presenza di una collaudata rete di scambi tra cittadini e agricoltori e da una serie di iniziative pubbliche volte alla diffusione di nuove strategie di sviluppo urbano. La strategia si attua a livello metropolitano cercando di innescare dei meccanismi in grado di ridefinire il ruolo dell'agricoltura di prossimità, contribuire al fabbisogno alimentare della città (attraverso la creazione di filiere alimentari corte), garantire la sicurezza e il presidio degli spazi tramite la raccolta giornaliera dei prodotti da parte degli abitanti o degli affittuari direttamente in loco. Il progetto tenta quindi di definire un “supporto agricolo” per la coltivazione in grado di ridefinire i bordi urbani, ripristinare le relazioni tra la città e il suo territorio proponendo l'integrazione tra la produzione agricola e le nuove espansioni residenziali. Un secondo caso costituito dalla proposta per il 'Continuos Productive Urban Landascape' (CPUL)5nel quale il supporto pubblico viene pensato come 'infrastruttura urbana'. In questo caso la strategia cerca di costruire un'infrastruttura a supporto della funzione agricola produttiva e per il tempo libero, un corridoio produttivo agricolo che relaziona il tessuto urbano e il paesaggio periurbano. Pensato come un nuovo tipo di 'spazio pubblico' prevede aree per la coltivazione, spazi dedicati al mercato per la vendita dei prodotti coltivati in loco, spazi di sosta, percorsi ciclabili e urbani. Il progetto nasce dall'identificazione di spazi aperti residuali non utilizzati e dal riconoscimento di pratiche per l'agricoltura urbana già in atto da parte delle comunità presenti. Il progetto agisce quindi sul fronte della produzione alimentare, su quello socioculturale promuovendo nuovi stili di vita, sul fronte ambientale rinforzando la mobilità ecologica. Un terzo caso nel quale il supporto pubblico viene definito da una 'trama verde' definita dal 'Plan Local d’Urbanisme' (PLU) per il comune francese di Nangis (Seine et Marne, Île de France).La 'trama verde' prevede una rete di spazi aperti continui e percorribili che ridefiniscono i bordi urbani ponendosi come spazio di mediazione tra paesaggio urbano e agricolo. I bordi, costituiti da orti familiari e spazi comuni, sono disposti a formare una protezione visiva di mitigazione del tessuto seriale a pavillionaires dell'edificato circostante mentre gli spazi residuali vengono messi in rete al fine di realizzare un supporto percorribile dalla viabilità lenta e destinato alla realizzazione di aree per il tempo libero, giardini accessibili, orti per la coltivazione familiare sia privati (recintati) che pubblici. I tre progetti, sebbene alle diverse scale e promossi da attori differenti, sono accomunati dal fatto di affidare alla gestione privata la cura degli spazi da riqualificare, dal preliminare riconoscimento di pratiche e usi esistenti, dal riuso di spazi residuali o in attesa di destinazione. Tutti i progetti utilizzano l'agricoltura urbana di prossimità e il paesaggio come elementi strutturanti in grado di agire sullo spazio, sugli stili di vita degli abitanti, sulle politiche pubbliche e private di gestione.

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Jörg Schröder e Kerstin Hartig in collaborazione con 'bauchplan', il progetto 'Agropolis' ha vinto nel 2009 il primo premio 'Open Scale' indetto dal Comune di Monaco di Baviera. 5 Katrin Bohn, André Viljoen, in collaborazione con il gruppo di ricerca 'Urban Performance' dell'University of Brigthon, Faculty of Arts. La proposta per il 'Continuos Productive Urban Landascape' (CPUL) è stata studiata su diversi contesti urbani tra i quali quelli di Londra, Middlesbrough e Cuba. Mirko Pellegrini

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Bibliografia

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Riconoscimenti

Il presente lavoro è frutto di riflessioni sviluppate nella ricerca di dottorato attualmente in corso, condotta nell’ambito della Scuola di Dottorato in Ingegneria e Architettura - indirizzo Progettazione Integrata dell'Architettura e dell'Ingegneria Civile dell'Università degli Studi di Trieste, XXVII Ciclo, coordinato dalla prof.ssa Paola Di Biagi.

Mirko Pellegrini

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Fare case, disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana

Fare case disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana Angelo Sampieri Politecnico di Torino DIST Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio Email: a_sampieri@libero.it, angelo.sampieri@polito.it Tel: +39 348 2844406

Abstract I movimenti cooperativistici della casa e del lavoro, i mutualismi emergenti nelle forme dell’associazionismo, dei circoli e dei comitati, ridisegnano i territori contemporanei attraverso la domanda di progetti e politiche adeguate. Il fenomeno in atto ha più forza che nel recente passato, tanto da essere ritenuto capace, con qualche esagerazione, di fronteggiare flessione economica e crescita delle disuguaglianze nel solco di tradizioni mutualistiche europee del secolo scorso. Il testo che segue prova a cogliere alcuni caratteri di questo fenomeno in relazione alle nuove forme dell’abitare condiviso che osserviamo diffondersi nella città europea: modelli insediativi realizzati attraverso un’azione regolata da relazioni orizzontali, orientate a mantenere implicito il rapporto giuridico che le lega alle istituzioni, e ad esibire invece con più forza una densità di legami solidali, non gerarchici e poco formalizzati. Entro i luoghi che queste forme di cooperazione producono, si costruisce assieme lo spazio che si abiterà assieme, e si fa della condivisione un principio per abitarlo. Si condivide impegno e investimento economico, scelte funzionali ed estetiche, alcuni usi, alcune prestazioni e lo stile di vita, che solitamente già prima era condiviso. Per il resto, ognuno è a casa propria, non è a rischio intimità, privacy, tutto è ben regolato entro un’inclinazione talvolta comunitaria, come altrove strumentale al solo raggiungimento di una presunta buona qualità dell’abitare. Le due cose non sono peraltro in contraddizione. L’ipotesi che qui si propone di discutere, legge alcuni caratteri del fenomeno nel solco di una tradizione antiurbana. Una forza che gioca contro di città. La corrode, ne allenta legami e ne allaccia di nuovi. Ne modifica assetti e modi di abitarla. Oggi, come in passato, questa forza permea coscienze, stili di vita, logiche istituzionali, produzione culturale, ed immagina per la città configurazioni e funzionamenti nuovi e diversi. Con alcune costanti rispetto al passato, che in prima istanza alludono alla ricerca di una scala adeguata a garanzia di relazioni e scambi ripetuti e stabili, e di una distanza breve da un conforto che possa dirsi naturale. Per il resto tutto è diverso, fino alla possibilità di ripresentare entro una cornice antiurbana forme della cooperazione che nel novecento erano baluardo dell’urbanità. Queste riflessioni nascono entro l’ambito di una ricerca collettiva condotta sui temi della condivisione nella città contemporanea. I materiali di questa ricerca, le ipotesi, le esplorazioni e i loro risultati sono sul blog: www.territoridellacondivisione.wordpress.com Parole chiave antiurbanesimo, condivisione, coabitazione

1 | Una disseminazione In molti luoghi della città europea si stanno sperimentando soluzioni tese a trasformare radicalmente il modo in cui la città si costruisce. Il nuovo protagonismo degli abitanti è oggetto di un’osservazione estesa ed in affanno. Perché le forme del nuovo abitare sono numerose, perchè si propagano mettendo a punto elementi di novità ad ogni nuova prova: domande sempre più articolate e complesse, procedure più semplici e più efficaci, progetti più Angelo Sampieri

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Fare case, disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana

innovativi nel segno della sostenibilità e del risparmio 1. La varietà ed il fermento sono tali che la stessa nozione di cohousing, matrice delle molte vicende, pare irrigidire l’estensione entro formati e storie collaudate che non comprendono per intero le nuove declinazioni community-oriented e self managed. Questi i due poli che segnano la diffusione. Da un lato la condivisione dell’esperienza abitativa, dall’altro la sua autogestione. Due inclinazioni non contraddittorie, seppure non coincidenti. Da un lato il desiderio ritrovato di stare assieme nella spartizione dei rischi legati all’acquisizione di una proprietà o al raggiungimento di una residenza sicura, dall’altro la necessità di stringere alleanze coese per poter abitare ciascuno a proprio modo fuori da regole ed imposizioni di mercato: accanto alla ricerca di un legame sociale solido e partecipato, la strumentalità e l’opportunismo della sua protezione. Gli elenchi ormai numerosi dei formati entro cui le esperienze ricorrono non bastano a ricostruire un campo che va dalla cooperativa abitativa allo squat, istituzionalizzato o illegale. Senza contare che denominazioni e procedure cambiano nei diversi contesti europei, e che nelle differenti situazioni trovano supporti associativi differenti, diverse attenzioni da parte delle istituzioni, diverse forme di sostegno pubblico. Ciò che però è qui più interessante osservare è la varietà dei contesti urbani entro i quali le diverse esperienze si collocano. I luoghi nella città. Si può stare nel suo cuore come ai suoi margini. Si può abitare in modo quasi invisibile entro nicchie protette che trasformano palazzine in fortilizi (o che si aprono saltuariamente per offrire servizi ed attività di quartiere), allo stesso modo in cui si occupano frange incolte, fabbriche dismesse e terreni da bonificare, mantenendo una distanza decisa da infrastrutture e servizi pubblici. Si acquistano altrove aree di espansione periferiche, lotti liberi tra i tessuti rarefatti dello sprawl suburbano, cascine e fattorie ai bordi della città, e si riprogettano attraverso le formule collaudate del cohousing così come entro i processi guidati del cooperative planning. Purchè fuori da intermediazioni e investitori. A Berlino, negli ultimi anni, sono stati realizzati oltre 165 progetti ad opera di baugruppen, 140 dei quali in luoghi centrali della città 2. La formula, ormai consolidata e strumentale all’acquisizione di un alloggio di qualità in città ad un costo che non comprenda la mediazione di operatori immobiliari, prevede l’acquisto di terreni non edificati da parte di comunità di proprietari che assieme ai tecnici progettano i propri alloggi. Bigyard nel quartiere di Prenzlauer Berg è il salto di scala e di qualità rispetto alle esperienze precedenti: 45 appartamenti, una terrazza ed una sauna comune, un hotel per le visite dei familiari ed una corte interna di 1300 m2 che i proprietari hanno preferito non frazionare in singoli giardini privati, nell’obiettivo di realizzare nel cuore di Berlino «un paese in città» 3. Ancora a Berlino, nel quartiere Mitte, al numero 53 di Strelitzer Strasse, un edificio di sei piani per appartamenti nasconde un villaggio 4. Un passaggio coperto conduce ad una via stretta e sinuosa su cui si affacciano sedici case a schiera realizzate, in regime di locazione, da un gruppo di abitanti sul terreno di un privato 5. Un altro mondo, protetto da auto, rumore e vita urbana. Prima una galleria, poi un passaggio stretto tra due giardini laterali, quindi uno slargo per il gioco e il parcheggio delle biciclette, infine le sedici casette colorate articolate lungo una via ricurva che si apre sul parco del Memoriale del Muro e Barnauer Strasse. Siamo sulla striscia della morte. Qui, un gruppo di artisti, architetti e designer, ha costruito un piccolo borgo molto espressivo e ben protetto. Una nicchia, che raccoglie tra le abitazioni, pezzi della casa di tutti, legna da ardere, sedie da giardino, barbecue, biciclette e giochi per bambini. Un nido dove si vive e si lavora assieme, dove ci si conosce a fondo, si conoscono le case degli altri, se ne vedono gli arredi, le suppellettili che cambiano ed i nuovi quadri che si acquistano. Si spartiscono servizi e manutenzione. Ogni casa ha la faccia del proprio abitante ma nell’insieme si è una cosa sola. In Olanda, il fenomeno dell’associazionismo è tanto radicato e capillare da essere considerato parte della cultura nazionale: “se esiste un problema, esiste un’associazione per risolverlo” 6. Le implicazioni sui nuovi formati coabitativi sono importanti, fuori e dentro una tradizione che in Olanda conta mezzo secolo di esperienze che vanno dal cohousing ad altri formati del collaborative housing, fino allo squat, che in Olanda è regolato da leggi che ne monitorano e consentono la diffusione. Le reti, in forma di comunità più o meno coesa e organizzata, si 1

id22: Institute for Creative Sustainability: Experimentcity, CoHousing Cultures. Handbook for self-organized, communityoriented and sustainable housing, Jovis Verlag, Berlin 2012. 2 J. Kunsmann, Committenti di nuova generazione, in «Domus», n. 962, 2012, pp. 62-71 3 Ibid., p. 65. 4 A. Sampieri, 53 Strelitzer Strasse. Berlin (www.territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/09/22/strelitzer-strasse-53berlin). Si veda anche: M. Kasiske, Die perfekte Nische. Wohnhäuser in Berlin, in «DB. Deutsche Bauzeitung», 08/2011 (www.nextroom.at/periodical.php?id=17647&inc=artikel&_list=bild&sid=34626); N. Ballhausen, Strelitzer Straße 53. Vom Schussfeld zum Bauland, in «Bauwelt» n. 30/40, 2008 (http://www.bauwelt.de/cms/artikel.html?id=1302773#.UE278xjWZIk); J. Niendorf, Wohnen in der zweiten Reihe Bauboom im Hinterhof, in «Frankfurter Allgemeine. Wirtschaft», 21-01-2012, (http://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/immobilien/planen/wohnen-in-der-zweiten-reihe-bauboom-im-hinterhof11617712.html) 5 La formula fa riferimento ad una legge tedesca del 1919 sul “diritto di superficie” ed il “regolamento dei beni terzi” (Erbbaurecht) e consente ad un locatario di costruire sul suolo del proprietario con cui ha pattuito il contratto. L’obiettivo è quello di ridurre la speculazione (in quanto è il locatario ad avere l’obbligo di costruire) e facilitare l’accesso alla casa alle fasce più deboli della popolazione. 6 A. Conticini, B/5. Breda, Belcrum (http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/07/12/breda-belcrum). Angelo Sampieri

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addensano entro edifici da recuperare in città, ne costruiscono di nuovi, si allentano nell’immediata campagna in cerca di spazi incolti e terreni inospitali dove insediare orti e fattorie. A Helmond, lungo i tratti in cui il Willemsvaart Kanaal si allontana dal centro cittadino ed attraversa residui di campagna tra magazzini, vecchie industrie e piazzali logistici, si impiantano fattorie didattiche dove vivere e lavorare assieme, spartirsi beni e frutti della terra, prendere decisioni ed assumersi responsabilità comuni in nome dell’autosussitenza e della pedagogia 7. A Tilburg, entro formati non dissimili, si abitano houseboats lungo l’Hoevense Kanaaldijkeche e si coltivano i suoli attigui abbandonati 8. A Eindhoven, l’ecologismo anarchico che segna il carattere delle nuove occupazioni, riscrive una tradizione fitta di esperienze e bene strutturata. Mappe e social network disegnano la disponibilità di spazi e la varietà dell’offerta abitativa per i nuovi squatter 9. Non più i punk degli anni ottanta e novanta, ma famiglie e piccole comunità che tengono alla promozione dei propri principi morali quanto alla loro protezione entro rifugi stabili e ben protetti da barriere fisiche e simboliche. In Svizzera, le cooperative impegnate nella messa in comune di risorse finanziarie per la realizzazione di alloggi che possano essere prodotto di una partecipazione attiva degli abitanti, sono ormai soggetti istituzionali che pesano sugli equilibri del mercato immobiliare. A Ginevra, la cooperativa CoDHA, dal 1994, promuove «un autre type d’habitat, une autre qualité de vie, un autre rapport au logement, basé sur la participation, la convivialité et la solidarité» 10. A Basilea, dal 1990, la Fondazione Edith Maryon è impegnata a sottrarre proprietà alla speculazione immobiliare ed a riprogettarle ed abitarle secondo modalità partecipate ed autogestite 11. Obiettivo comune è sottrarre al mercato (ed a procedure tradizionali di acquisizione dell’alloggio) spazi che possano rappresentare questa sottrazione attraverso forme abitative esemplari. Non basta una maggiore equità, occorre metterla in scena. A Ginevra, la scena è occupata da un edificio per dieci famiglie in periferia. A Basilea, da 250 metri di strada di un quartiere centrale. A Ginevra, la cooperativa CoDHA, rispondendo alla domanda di alcuni suoi soci, raggruppati a loro volta nell’associazione Mill’O, trova un lotto libero di quasi 3.000 m2 nel comune di Plan-les-Ouates, nell’immediata cintura della città 12. Qui, tra il 2002 e il 2006, viene progettato e realizzato un edificio di dieci appartamenti. Esemplare per molti motivi: costi, procedure progettuali e tecniche costruttive, requisiti energetici ed ecologici, modi della coabitazione e della condivisione di spazi e prestazioni. Ma ancor più esemplare per la posizione nella città: un sobborgo ricco, di servizi, di spazi ben curati, di famiglie benestanti che abitano per lo più lotti privati, ad espressione di una domanda abitativa uniforme e di un ordine spaziale ben parametrizzato. Che l’edificio su l’Avenue du Millénaire rovescia, celebrando valori d’uso e coabitazione in un quartiere di case di proprietà e spazi individuali protetti e delimitati 13. A Basilea è il contrario. Lungo Bärenfelserstrasse, non c’è più spazio per star da soli. Qui, al numero 21, nel 1974 è stata fondata la cooperativa Cohabitat con l’obiettivo di restaurare e coabitare gli edifici da recuperare lungo la strada. Nel 1978, Bärenfelserstrasse è stata la prima wohnstrasse della Svizzera. Su modello degli shared spaces olandesi, uno spazio ridisegnato per accogliere usi e transiti molteplici, nel rispetto prioritario degli abitanti che vi sostano e dei bambini che giocano. Dal 2009, la Fondazione Edith Maryon è proprietaria dell’edificio al numero 34 14. Sei piani per appartamenti in locazione a famiglie, studenti e anziani, per un totale di ventiquattro adulti e dieci bambini. Nel rispetto delle disposizioni della vecchia proprietaria, si autogestiscono, dal 1984, spazi interni comuni, giardini e si condividono attività. Oggi, ben ventiquattro dei trentatrè edifici lungo Bärenfelserstrasse sono stati recuperati e sono abitati in modo analogo. Incrementalmente, si sono emulate tecniche per il recupero degli appartamenti, assetto dei giardini, si sono arricchite le facciate con una vegetazione fitta ed apparentemente spontanea, si sono riprodotti modelli gestionali ed amministrativi delle singole unità. Incrementalmente si è occupata la strada con attrezzature per la sosta e per il gioco, si sono promossi eventi ed iniziative gestite dagli abitanti, si sono distribuite responsabilità e ruoli sulla base delle inclinazioni individuali. Nel cuore di Basilea, un modello abitativo si è replicato fino a circoscrivere uno spazio che è più connotato, regolato e coeso di un quartiere. Ha velocità proprie, suoni, rumori, caratteri fisici e simbolici che scandiscono tempi, relazioni e movimenti di un’altra città 15.

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Id., B/5. Helmond/Willemsvaart Kanaal (http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/06/29/helmond-willemsvaartkanal). 8 Id., B5. Tilburg/Puishaven (http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/07/13/1649). 9 Id., B5.Eindhoven/Willemsvaart Kanaal (http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/07/01/b5 eindhovenwillemsvaart-kanaal) 10 http://www.codha.ch/presentation.html 11 http://www.maryon.ch/foundation/en/about 12 C. Bianchetti, Mill’O, Plan-les-Ouates, Geneva (http://territoridellacondivisione.wordpress.com/2012/09/16/millo-plan-lesouates). 13 Ibid. 14 Regine Bossert, proprietaria dell’edificio dal 1984, lo cede alla Fondazione nel 2010 affinchè questa possa garantirne la gestione nella forma fino da allora condotta dalla stessa proprietaria: regime di locazione con affitti bloccati dal 1990, preservazione degli spazi interni comuni, dei giardini, delle attività collettive. Id22, Institute for Creative Sustainability, experimentcity, CoHousing Cultures. Handbook for self-organized, community-oriented and sustainable housing, jovis Verlag GmbH, Berlin 2012. 15 http://www.baerenfelserstrasse.ch/index.html Angelo Sampieri

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A Berlino, in Olanda, in Svizzera, ed in modo simile altrove, ricorrono sperimentazioni ogni volta attente ad essere al contempo modello ed eccezione. Da un lato il prototipo ripetibile, dall’altro la sua forte personalizzazione a garanzia di un’imitazione mai del tutto fedele, sempre eccentrica ed originale. Che si radica nelle città riscrivendo in forma autografa l’eterogeneità dei luoghi in cui cade. Non ovunque. Dove c’è spazio, dove lo spazio costa poco, dove può assumere forme compatibili con il progetto, dove ci sono le condizioni per la sua evoluzione. La città conta di meno. Nella città si può stare in molti luoghi diversi. In pieno centro, fino a farsi monumento tra i monumenti della memoria storica, tra le fabbriche dismesse ed i campi abbandonati lontano da infrastrutture e servizi, tra le abitazioni ricche della dispersione suburbana ed accanto a quelle povere degli intensivi periferici, lungo i margini della città e nella prima in campagna. E’ una disseminazione, molto sensibile al punto di germinazione, meno attenta all’insieme. Ciò che conta è il luogo in cui, nella città, si può fondare una città nuova, più piccola e diversa. Fino a ridiscutere, se non ribaltare, principi e valori immobiliari consolidati entro una sorta di nuovo “ordine spaziale spontaneo” simile a quello celebrato da Colin Ward negli anni settanta 16. Per il resto, l’oggetto vale più del suo posizionamento. Ovunque cada, ogni volta si è pionieri. Si introducono spazialità nuove e si stabiliscono regole che organizzano modi di abitare difformi dall’intorno. Perchè la differenza è importante e su una logica di distinzione si costruisce esemplarità e modello. Cercar casa e lavoro, servizi e tempo libero fuori da circuiti regolati da mercato e piano è atto dimostrativo e costitutivo al contempo. Su questo si regge quasi tutto, fondazione, organizzazione e funzionamento. La prossimità ed il contesto contano nella misura in cui possono essere anche ignorati. Ovvero non contano, se non da un punto di vista normativo che consenta disponibilità ed appropriazione giuridica degli spazi. Il replicarsi di modalità abitative a Basilea termina alla fine della strada, altrove è circoscritto all’isolato, più frequentemente la disseminazione copre un’area il più possible vasta ed eterogenea, così che, come in natura, possa aumentare la probabilità del successo riproduttivo. Comunicazione web e social netwok orientano mete e nuove sfide.

2 | Storie antiurbane C’è la città e l’anticittà. Così funziona l’antiurbanesimo. Iscrive la storia della città in una prospettiva dialettica ove momenti di crisi aprono a direzioni diverse, urbane e antiurbane. E’ una riduzione, strumentale a raccontare storie. In questo gioco di negazioni e affermazioni alcune storie si protraggono fino ad oggi 17. Altre ricostruiscono geografie e genealogie, radici addirittura bibliche 18, matrici greco-romane 19, declinazioni non occidentali 20. Quelle più evocate restano le storie della città americana, dove «la nostalgia per la natura ispira una violenta corrente antiurbana» 21, dove «l’ideologia antiurbana è sinonimo di quella suburbana» 22, dove attraverso Jefferson, Emerson, Thoreau, Adam, James, Park, Dewey, fino a Wright, la storia antiurbana assume caratteri sempre meno culturalisti e romantici in ragione di un pragmatismo che Morton White radica proprio nell’anticittà 23. In America, «l’attacco è senza pietà, ma non sfocia nella proposta di alcun modello sostitutivo» 24, per lo meno fino a Broadacre City che nelle storie antiurbane è al contempo città e anticittà. Le storie europee sono diverse. Attingono in misura e modi differenti alle teorie di Fourier, Owen, Saint-Simon, al cooperativismo agricolo di Kropotkin, per esemplificarsi in modelli di minore o maggiore successo. I milieux libres anarchici, la comune di Owen, il Falansterio di Fourier. La città giardino di Howard, La dissoluzione della città di Taut. Come nelle storie americane, l’antiurbanesimo sostiene la piccola scala, la cooperazione, la vita di famiglia e il contatto con la natura 25. Storie recenti tornano a centrare genealogie antiurbane proprio qui, sul binomio urbano-rurale, per scoprire contaminazioni inedite nonché svelare una certa facilità dell’esercizio ricostruttivo 26. Altrove, 16

C. Ward, Anarchy in action, Freedom Press, London, 1982. S. Boeri, L’anticittà, Laterza, Roma-Bari, 2011, C. García Vásquez, Antípolis. El desvanecimiento de lo urbano en el Cinturón del Sol, GG, Barcelona 2011. 18 J. K. Hadden, J.J. Barton, An image that will not die: thoughts on the history of anti-urban ideology, in I.L.Allen (edited by), New Towns and the Suburban Dream. Ideology and Utopia in Planning and Development, Kennikat Press, Port Washington N.Y. and London 1977, pp. 23-60. 19 J. A. Clapp, The origins of Antiurbanism, in M. J. Thompson (edited by), Fleeing the City. Studies in the Culture and Politics of Antiurbanism, Palgrave Macmillan, New York 2009, pp. 53-67. 20 R. A. Beauregard, Antiurbanism in the United States, England and China, in M. J. Thompson (edited by), Fleeing the City, cit., pp. 35-52. 21 F. Choay, La città. Utopie e realtà, Einaudi, Torino 1973, p. 25. 22 I. L. Allen (edited by), New Towns and the Suburban Dream, in id., New Towns and the Suburban Dream, cit., p.6. 23 M. White, L. White, The intellectual versus the city. From Thomas Jefferson to Frank Lloyd Wright, Mentor Books, New York 1964 (1a ed. 1962). 24 F. Choay, La città. Utopie e realtà, cit., p. 25. 25 R. Fishman, Urban Utopias in the Twentieth Century: Ebenezer Howard, Frank Lloyd Wright and Le Corbusier, the MIT Press, Cambridge Massachsetts, London 1982. 26 A. Ballantyne (edited by), Rural and Urban. Architecture between Two Cultures, Routledge, Abingdon UK, New York NY 2010. 17

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l’antiurbanesimo ha più specificatamente a che fare con il modo in cui gli individui si relazionano gli uni agli altri, con le forme della condivisione, la densità e la complessità dei rapporti 27. In una stessa città possono così convivere parti più o meno urbane, allo stesso modo in cui si torna a celebrare assieme urbanità e vita di campagna. Storie di questo tipo raccontano la città dell’ottocento e del novecento semplificandola entro un dibattito che ha il merito di illuminare passaggi attraverso ragioni e argomentazioni di una contesa spesso aspra. Al centro vi è un gioco contro la città ed una sua difesa. Qualcosa per cui vale la pena spendersi, evocare immagini forti: Howard e Wright all’attacco di un organismo malato 28, Jane Jacobs in difesa della sua eutanasia 29. La contesa non riguarda le sole culture del progetto e le posizioni di intellettuali contro la città. Entro la medesima dialettica possiamo ripercorrere storie diverse, ove spinte antiurbane orientano politiche ed economie, riscrivono luoghi, riconfigurano città in villaggi, abbattono Pruitt-Igoe e ne fanno un parco, occupano giardini e parchi con mucche al pascolo, piazze con frutteti ed orti. Ognuna di queste vicende può essere ricondotta all’antiurbanesimo per il modo in cui allenta scambi e relazioni mettendo al centro della città il quartiere e la comunità, sullo sfondo, e nel conforto, di un ambiente naturale, meglio se coltivato, meglio se in cooperativa. Attraverso questa storia, che per lo più segna di toni nostalgici l’antiurbanesimo novecentesco, ragioni e argomentazioni della contesa perdono nel tempo forza, fino ad assumere il carattere della preferenza, e la città declinarsi, alla fine del XX secolo, in immagini poco capaci di ricostruire un contrasto se non nei termini in cui l’anticittà è disgregazione sociale, prodotto dell’isolamento, dell’omologazione, come di un antagonismo capace di riprodursi solo in forme segregative: “un fiume che raccoglie in rivoli le energie vitali della vita quotidiana e le spinge verso l’individualismo e la frammentazione” 30. Entro un’angolazione di questo tipo, non è difficile osservare alcune forme del nuovo mondo cooperativo: comunità intenzionali, ecovillaggi, condomini solidali così come altre declinazioni coabitative in cui la ricerca di una nicchia sicura e protetta produce modi di abitare altrove, ancor prima che altrimenti 31. L’antiurbanesimo è esclusione, dall’intensità e dalla complessità di relazioni proprie della vita urbana, dai diritti che la città garantisce, dall’impegno e dalla partecipazione alla vita pubblica 32. Accanto a queste interpretazioni, nuove controstorie tornano a leggere le medesime esperienze nel solco di tradizioni socialiste utopiche ottocentesche, riconoscendovi, oggi come un tempo, forme di microsocietà ove è possibile realizzare la rivoluzione qui e ora: “il capitalismo esiste, certo, ma anche dentro il quadro di una società organizzata secondo il principio liberale, caratteri ben temprati di donne e uomini agguerriti possono creare delle enclave, delle geografie che fuoriescono da questo quadro, per mettere in pratica idee rivoluzionarie alle quali credono.” 33

3 | Fare case, disfare città Tra esclusione e rivoluzione, quella dell’anticittà è un’immagine radicale. Radicali sono le sue forme e le forze che le modellano, siano esse coese nell’espressione di un dissenso o disperse nella dimostrazione di un’autonomia e di un’intraprendenza che frammenta e lacera. Richiamarle in relazione alle nuove colonizzazioni cooperative apre più di un equivoco. Perché il nuovo comunitarismo raramente costruisce stati d’eccezione, strappi, riserve o enclaves. E’ più sfuggente e subdolo. Ha un carattere pratico, strumentale al raggiungimento di obiettivi circoscritti, seppure implicanti acquisizione di proprietà e progetti di vita. Ad osservare bene, c’è poca utopia e poca radicalità al loro interno. L’autonomia, la convivialità e la frugalità di scelte abitative che vagamente alludono ai modelli radicali dell’antiurbanesimo comunitario sono sostenute da valori e convinzioni che ricollocano i quadri morali entro sensibilità ecologiste e prospettive correnti. Partecipazione, sostenibilità, altro consumo, riciclo. E come tali edulcorate rispetto alla pretesa di esemplarità e rottura. Dove vi è dissenso, è contenuto. Dove vi sono reti associative ben tessute, del lavoro, del commercio micro, equo, solidale, dell’assistenza e dell’istruzione autogestita, sono reti compensatorie, non strutturali. Del resto la città resta più che un supporto. La si usa entro modalità parassitarie così come si ricambiano prestazioni di cui si coglie la

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M. J. Thompson, What is Antiurbanism? A Theoretical Perspective, in id. (edited by), Fleeing the City, cit. pp. 9-33. Per Howard è un ulcera, per Wright è un cancro. 29 Così nella critica che le è rivolta, tra gli altri, da Fishman: “To go from Howard to Jacobs is to go from a world that can still be radically re-formed to one whose physical and social foundations cannot be moved. For Jacobs, the cities are already built. They can be renovated but never transformed.” R. Fishman, Urban Utopias in the Twentieth Century, cit. p. 271. 30 S. Boeri, L’anticittà, cit., p.XIII. 31 Tra i numerosi contributi: M. Olivares, Comuni, comunità, ecovillaggi, Vivere altrimenti, London 2010. 32 Si considerino gli argomenti di Tom Angotti contro le posizioni di Mike Davis. T. Angotti, Apocalyptic anti-urbanism: Mike Davis and his planet of slums, in “International Journal of Urban and Regional Research”, Volume 30.4, December 2006, pp. 961–967. 33 M. Onfray, Politiche della felicità. Controstorie della filosofia V, Ponte alle Grazie, Adriano Salani Editore, Milano 2012, p. 271-272. 28

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mancanza. I nuovi abitanti sono peraltro ben consapevoli dei diritti e dei servizi che città e cittadinanza garantiscono. Osservatori attenti, intraprendenti 34, impegnati a rilevare difetti e determinati nel riempire lacune. In questi spazi, spesso interstiziali, della città marcare una distanza è però importante. Dirsi altrimenti, porsi per lo meno in parte al di fuori, in alternativa. Entro una condizione che è il contrario dello stato di esclusione dalla cittadinanza che l’affermazione spesso richiamata 35 di Louis de Bonald disegna, “alcune persone sono nella società senza essere della società”. Qui si è della società per ribadire continuamente che non si possono accogliere per intero i suoi meccanismi. Far fuori il mercato, cambiarne le regole, sostituire servizi, dare dimostrazione dell’efficacia di procedure diverse e comportamenti altri e, per quel che più ci interessa, dare forma a spazi che nella città stridono, sono dissonanti. Poco innovativi per molti aspetti: un orto al posto di un giardino o di una piazza, l’esuberanza espressiva di materiali semplici, naturali, l’esibizione di nuove tecnologie come di antiche tecniche costruttive, artigianali. Dal punto di vista delle forme che introducono l’innovazione è esigua. Non maggiore di quella del falansterio con cui se la prendeva Walter Benjamin per il modo in cui distorceva la natura urbana e commerciale dei passages parigini, riproponendoli quali sedi di abitazione 36. Dal punto di vista dei processi che questi spazi innescano e del modo in cui il loro ripetersi cambia l’assetto complessivo della città ed i suoi modi di trasformarsi, vi sono invece elementi di novità attorno ai quali merita riflettere. L’utilità del riferimento all’antiurbanesimo è da collocarsi qui. Al di là degli equivoci che una categoria tanto connotata e problematica solleva. I caratteri antiurbani delle trasformazioni in corso, ambigui, deboli, spesso contraddittori, consentono di riportare il discorso alla città e misurare nella città la loro forza nell’orientare modi e forme del cambiamento. Un cambiamento pilotato dal basso, ma segnato da una forte progettualità, che occupa spazi residuali e muove da qui azioni incrementali che, per esemplarità o per ripetizione, sembrano voler ridiscutere questioni strutturali. Dapprima in modo quasi sotterraneo, opaco nelle forme della propria evidenza. Nel tempo, di consistenza crescente. Un sommovimento insistito, pulviscolare, disseminato e sommerso, che ricorda, entro un rovesciamento di prospettiva, quello dei piccoli uomini di Pietroburgo che, ne L’esperienza della modernità di Marshall Berman, tenevano le proprie radici nella città per affermarla “simbolo di modernità nel cuore di una società arretrata” 37. Se questa era la città, e la sua “meravigliosa serie di esperimenti di modernizzazione dal basso”, non è difficile cogliere nel ribaltamento, la distanza.

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G. Brunetta, S. Moroni, Contractual Communities in the Self-Organising City: Freedom, Creativity, Subsidiarity, Springer, Dordrecht 2012. 35 J. Rancière, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007; E. Balibar, Cittadinanza, Bollati Boringhieri, Torino 2012. 36 W. Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1962, pp. 145-148. 37 M. Berman, L’esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 342. Angelo Sampieri

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Fare case, disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana

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Angelo Sampieri

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Manutenzione. Un progetto della città

Manutenzione. Un progetto della città Marco Baccarelli Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: marcobaccarelli@gmail.com

Abstract Nel proporre la “manutenzione” come un’immagine strategica alternativa al paradigma della crescita per la città oltre la crisi, si intente suggerire un progetto strategico e di lungo periodo che abbia cura delle qualità dei territori urbani e che a partire dall’esistente sappia anche proporre un processo di progressiva trasformazione e evoluzione. L’orizzonte della crisi 1 è un limite che, nell’idea di manutenzione, viene superato anzitutto da una visione lungimirante e di lungo periodo. Ciò può essere possibile in virtù di uno sguardo attento a cogliere ragioni strutturali e non contingenti dei fenomeni e delle problematiche proprie della città, prescindendo le retoriche comuni sulla crisi, quale “fenomeno a sé”, che invece tendono a sopraffare le i motivi e le intenzioni. L’oggetto della manutenzione è la citta intesa come luogo pubblico. In particolare l’interesse è per la qualità urbana dei territori della città diffusa e per il potenziale ruolo strutturale di un sistema fondato sui suoi spazi vuoti. Parole chiave Ricomposizione, progetto, incrementale.

L’idea della manutenzione Pensare a un progetto di manutenzione per i “territori urbani” 2 contemporanei significa anzitutto riconoscere la città stessa come progetto. 3 In particolare all’interno di questo lavoro, tale affermazione si declina considerando gran parte dell’urbanizzazione diffusa come il prodotto di un progetto, spesso implicito, 4 frutto di una razionalità minimale. 5 A partire, dunque, dalla necessità di assumere una dimensione culturale, la “manutenzione della città”, prima di esprimersi come pratica operativa, muove dal riconoscimento di quel progetto. Essa considera la città nella sua formazione continua nel tempo e nella società e riconosce nei territori urbani i caratteri propri della condizione contemporanea. In questa condizione emergono, tra gli altri attributi, la frammentarietà e l’apparente omogeneità che si danno nel segno di una compresenza spesso indifferente e talvolta forzata di elementi, dove parti del territorio sembrano essere caratterizzate da un’alternanza di usi regolati da opportunità a breve termine, altre parti sono consolidate e altre ancora risultano residuali, alla termine di un ciclo o in attesa di uno nuovo. La manutenzione è intesa al confronto con queste condizioni che sono proprie di gran parte dei palinsesti urbani, in particolar modo europei. Si tratta territori nei quali, la diffusione urbana delle grandi città, così come l’espansione dei piccoli centri che si uniscono in agglomerazioni, insieme alla crescita incrementale e puntuale

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“crisi” (ant. crise) s. f. [dal lat. crisis, gr. Krisis «scelta, decisione», der. di krino «distinguere, separare»]. Lemma elaborato dalla redazione di “Lingua italiana” del Portale Treccani. 2 Per ricostruire i significati dell’espressione “territori urbani” si veda Macchi Cassia C. (2008), pp. 248-251 3 Aureli P. V., http://thecityasaproject.org ; “The City as a Project” PhD program, Berlaghe institute 4 si veda Dematteis G. (2002). 5 Si fa riferimento a Secchi B. (1989) Marco Baccarelli

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che si genera dall’interno del territorio stesso, 6 stanno portando verso una progressiva saturazione degli spazi aperti.

Figura 1. Progetto di manutenzione della Brianza Strategie. (tavola dell’autore)

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La lettura dei caratteri della città contemporanea è il più delle volte ricondotta all’ipotesi della crescita “concentrica” o a quella a “macchia d’olio” dei nuclei urbani: Aymonino C. (1977). In realtà alcuni territori europei come, la Brianza, sono divenuti territori urbani attraverso un processo differente: Le campagne sono diventate urbane grazie alla loro prossimità alle infrastrutture e alla disponibilità di suoli per usi differenti da quello agricolo.

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Ciò comporta una nuova condizione urbana “intermedia” 7 che può essere letta sia come diffusione della città sia, al negativo, come interclusione della campagna o degli spazi semi-naturali dentro i tessuti edificati. Ricerche recenti hanno definito con diversi nomi questa condizione: entreville, 8 campagna urbana, 9 semi urban landscape. 10 All’interno di questa condizione la crescita incrementale, spesso per addizioni individuali, logora il capitale territoriale a scapito della qualità di singole parti e in generale a danno dell’integrità del sistema urbano complessivo. Da una parte, infatti, vi è un consumo del capitale territoriale precedentemente costituito nella forma di infrastrutture e paesaggio, agricolo o naturale, per realizzare l’urbanizzazione. Dall’altra vi è il dispendio di risorse per la realizzazione, prima, e il mantenimento, poi, delle reti infrastrutturali capillarmente diffuse allo scopo di inseguire la dispersione insediativa. Questo è particolarmente significativo se si considerano, ad esempio, le infrastrutture della mobilità e le reti di distribuzione in capo alla gestione delle amministrazioni locali ma vale in generale per tutti gli spazi pubblici e per la rete ecologico-ambientale. 11 Di recente, a fronte di una sovrapproduzione edilizia, del consumo dei suoli e della concomitanza con l’attuale crisi economica, un’osservazione attenta delle dinamiche in atto in particolari ambiti del Paese ha fatto emerge la presenza pervasiva di edifici e capannoni vuoti, sfitti, invenduti, sottoutilizzati o in alcuni casi mai utilizzati. Con l’aprirsi di quella che sembra una nuova stagione dopo la crescita 12 che ha caratterizzato i territori della diffusione urbana, la disciplina urbanistica ha così ripreso a interrogarsi 13 su queste nuove forme dei fenomeni di dismissione, abbandono e sottoutilizzo. Tornano dunque utili i temi che sono stati oggetto di una serie di riflessioni dell’urbanistica moderna, che aveva ragionato sugli spazi aperti e aveva concettualizzato la città nei termini di un’inversione tra pieni e vuoti. Tali temi sono tuttavia in parte da rivisitare. Anzitutto di fronte al rinnovarsi ed acuirsi della difficoltà nell’associare spazio pubblico a spazio aperto. Secondariamente per le problematicità nell’identificare il ruolo di spazi residuali, che sempre più diffusamente si vengono a determinare nei territori contemporanei di cui ci si occupa. Infine perché non sempre ai “vuoti” è possibile far corrispondere degli spazi aperti e in modo simmetrico ai “pieni” ricondurre dei volumi di spazi costruiti, e che non sono sempre riconducibili a dei volumi 14 (una volta che i primi siano intesi anche nel senso di spazi artificiali, costruiti, più o meno saturi di usi e funzioni e tra i secondi siano annoverati anche le edificazioni vuote o dismesse). Le parti del territorio, che possiamo associare ai “vuoti” siano essi, spazi residuali ai processi di urbanizzazione, oppure spazi aperti, oppure parti costruite ma svuotate nell’uso, stanno divenendo un materiale ordinario dei paesaggi urbani. In assenza di una struttura complessiva questi brani del territorio saranno sempre più caratterizzati da processi trasformativi isolati o dissociati dal contesto contribuendo in modo significativo all’ulteriore frammentazione dello spazio. In molti casi, dunque, si delinea per il prossimo futuro una situazione in cui sarà sempre più probabile una difficile convivenza tra queste parti e il resto della città. Si tratta di nuovi attributi che si aggiungono alle condizioni dei territori contemporanei. Questo “equilibrio disordinato” 15dello spazio, caratteristico in genere della città omogenea o città generica 16 così come dei territori della crescita incrementale, 17 in accordo con le tesi di Pope, non sembra causato solo dall'emergere di forze eccedenti, fuori controllo, ma più che altro dal proliferare di forze cui manca qualsiasi forma di organizzazione strutturale. E’ però possibile intravedere una via di uscita nelle differenze potenziali che la riorganizzazione del “residuum", cioè il sistema dei “vuoti”, potrebbe generare all'interno della "massa urbana". Sarà la logica del progetto a dover indicare la direzione verso cui la città, attraverso il trattamento del residuo, può tendere. 18 Il progetto di manutenzione si configura dunque come tentativo di leggere e ri-comporre delle strutture formali scritte nel palinsesto dei territori. Forme che costituiscano i dispositivi che distinguono il territorio dallo sfondo geografico ma anche che distinguano e significhino, tra le altre, alcune parti del territorio per il loro potenziale valore strutturale. La manutenzione si configura, dunque, come immagine concettuale che intende perseguire, nella ri-scrittura dei territori urbani, una forma di continuità all’interno dello sviluppo della città considerando l’uso dell’esistente in una prospettiva progettuale, vale a dire di trasformazione e di evoluzione.

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Infussi F. (coord.) et al. (2006). Sieverts T. (1999). 9 Donadieu P. (1999). 10 Fonseca J. W. (1977). 11 In particolare si chiarice il caso della conurbazione milanese nella seconda parte del lavoro di ricerca: Baccarelli M. (2013). 12 Lanzani A., Zanfi F. (2010), “Dopo la crescita: per una diversa agenda di ricerca”, In Territorio, n. 53, pp. 110-116. 13 Si fa riferimento alla precedente stagione di riflessioni disciplinari sulla “dismissione” delle aree industriali. Sulla necessità di vedere in modi nuovi rispetto ai paradigmi della modernità le aree dismesse si veda tra gli altri: Olmo C. (1990). 14 Per una interessante immagine-sfondo sulla porosità che mostra come la dismissione nella periferia nord di Milano costruisse uno scenario analogo alla densità del territorio brianzolo. Si veda: Mantia G. (2005) 15 Pope A. (1996). 16 Koolhaas R. (1995). 17 Come saranno di seguito definiti i territori urbani dell’area milanese, specie la Brianza. 18 Pope A. (1996) cit. 8

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In sintonia con gli ideali espressi da Rogers si crede, dunque che essa possa essere intesa come fondamentale atteggiamento progettuale. 19 In questo senso l’attributo di “persistenze”, sviluppato successivamente nelle riflessioni di Coboz 20 degli anni ’80 fornisce un concetto operativo ancor più aderente alle trasformazioni contemporanee e contribuisce ad allargare il campo problematico all’intero territorio. 21 La manutenzione della città, intesa come luogo pubblico e del paesaggio, può dunque essere considerata come un lavoro che incrementalmente e nel lungo periodo, ridefinisce la struttura del territorio e dei suoi spazi. Quella della cura e del rinnovamento dello spazio collettivo della città, inteso come un sistema spaziale coerente e strutturante, pervasivo e riconoscibile alla grande scala, è una questione fondamentale per perseguire uno sviluppo sostenibile dei territori. Ed è importante che tale paradigma possa esprimersi in una rinnovata idea di benessere pubblico inclusivo anche della dimensione ambientale e garantire l’estensione del concetto di cittadinanza evitando in tutto questo un atteggiamento che Macchi Cassia definisce l’antimodernità, cioè «una paralizzante sovrapposizione tra valore e storia sconosciuta ad ogni altra cultura europea, rifugio senza progettualità nella conservazione dell’esistente». 22 (Macchi Cassia C., 2011) Al centro del progetto di manutenzione è il funzionamento del territorio come tema specifico del progetto urbanistico e con esso, ancora una volta, il principio di responsabilità, principio unificante del progetto moderno. 23 Responsabilità di fronte ai temi ambientali, sociali ed economici che sempre più emergono nel rinnovarsi della questione urbana sui territori contemporanei. Queste devono maturare in una consapevolezza per costruire dimensioni al tempo stesso retrospettive e prospettive. Rivolgersi al passato considerando ciò che è successo indagandone le ragioni, interrogarsi sul modo in cui queste condizionano il presente e spingersi all’anticipazione di scenari futuri. 24 Nel corso del lavoro di ricerca 25 si è cercato di dare seguito alla volontà di ricomposizione di cui l’immagine della manutenzione è stata investita: ricomposizione, all’interno dei discorsi, tra spazio (e discorsi su di esso) e luoghi; ma anche ricomposizione, nei luoghi, tra frammenti che compongono i territori urbani. I ragionamenti sviluppati attraverso la scomposizione nei diversi piani che compongono il paradigma della sostenibilità hanno consentito di mettere in luce temi specifici riconducibili ad ogni piano. In una personale interpretazione all’interno della questione urbana una svolta che perseguisse il paradigma dello sviluppo sostenibile è consistita nel concepire modelli di territorializzazione 26 e politiche urbane fondate non più esclusivamente sull’idea di crescita, sull’espansione urbana, ma piuttosto sulla manutenzione della città e delle sue qualità urbane. Nel corso della ricerca le questioni trattate sono quindi state declinante in un “progetto di manutenzione” per i territori urbani della dispersione insediativa nelle condizioni “dopo la crescita”. Definiti i termini generali che caratterizzano tale progetto, si è individuato nel sistema di spazi che compongono il capitale territoriale l’oggetto privilegiato d’intervento. Si tratta della configurazione di un sistema spaziale composto da infrastrutture e spazi “vuoti”, attraverso il quale influire sulle trasformazioni dell’intero patrimonio costruito.

Ricomposizione del progetto di manutenzione La “manutenzione”, dunque, oltre a posizionarsi sul piano dei discorsi, si ritiene debba recuperare la dimensione di un progetto per il territorio, un agire concreto. Deve poter contare su progetti per la città, per la costruzione di spazi del welfare rispetto ai quali ricalibrare il proprio intervento nel quadro complessivo delle trasformazioni. L’identificazione e la realizzazione di obiettivi concreti, anche attraverso un maggiore coinvolgimento degli attori delle singole trasformazioni, può responsabilizzare maggiormente l’agire individuale, a differenza di quanto avviene con la monetizzazione di diritti e doveri come prassi tutta economica di sostentamento delle amministrazioni. 27 Oltretutto ciò potrebbe rappresentare una forma di investimento sul territorio e sul benessere dei suoi abitanti più efficiente e più contenuta rispetto a quelle attuali del welfare state tradizionale. Si ritiene inoltre che solo un progetto per la città possa contenere al suo interno tanto “la dimensione quantitativa” quanto quella “qualitativa” necessarie entrambe alla formazione di un rinnovato capitale urbano e

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Rogers E.N., (1954), pp. 92-95. Corboz A.,(1985). 21 Vedi: Secchi M. (2012). 22 Macchi Cassia C.,(2011), p33 23 Non solo nel campo dell’urbanistica e dell’architettura: Bachtin M. (1979), p 230 24 Bozzuto P. et al.(2008). 25 Baccarelli M G. (2013). 26 I processi economici si alimentano e si basano sulla materia che viene organizzata dall’azione umana sia in senso tecnologico che culturale e che si cristallizzano in “elementi fondo”. La territorializzazione, vale a dire la collocazione nello spazio (geografico) degli elementi fondo, è un atto fondante di ogni società. 27 Come sostenuto Da Baiocco,“…è come se il welfare progressivamente, spostandosi sul mero piano regolativo delle modalità di accesso ai servizi e benefits, si sia sganciato tanto dalle biografie di luoghi e persone, quanto dalle dinamiche sistemiche che coinvolgono i differenti contesti urbani.” Baiocco R., (2011), pp.124-133 20

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che solo un progetto, il più possibile condiviso, possa interpretare le condizioni attuali per poi configurare scenari di lungo periodo sui quali le scelte per l’accumulazione di tale capitale potrebbero essere misurate. 28 Il “progetto di manutenzione” passa dunque attraverso l’individuazione di una configurazione concreta e strutturale, d’infrastrutture e spazi aperti, riconducibile alla porzione più collettiva della dimensione fisica del capitale territoriale. Attraverso questo sistema, definito come un’invariante per lo sviluppo del territorio, il progetto si fa poi carico di mettere a sistema anche quei luoghi più o meno residuali che possono essere assimilati a dei vuoti all’interno del tessuto edificato. Attualmente all’interno dei territori contemporanei dominati nella diffusione urbana e dalla frammentazione, gli spazi del capitale fisso sociale, complice la mentalità degli standard urbanistici, sono visiti anch’essi come frammenti, come innesti puntuali più o meno opportuni. Le stesse infrastrutture dei servizi e della distribuzione, che sottintendono per definizione una propria articolazione, sono percepite come reti senza una forma o come risultato di addizioni per parti successive. Si pensi alle connessioni delle utenze telematiche, ai sotto-servizi come luce, gas e acqua, ma anche allo stesso reticolo stradale. Forme che, invece, esistono e sono rilevanti nel determinare le caratteristiche e la qualità dei servizi erogati. 29 A differenza dei singoli frammenti che compongono i “pieni” del pattern urbano, per cui è sempre più difficile se non addirittura poco sensato prevedere e controllare le trasformazioni, per il sistema d’infrastrutture e di spazi vuoti di cui si sta parlando è invece possibile pensare ad una regia, ad una visione d’insieme (anche perché i primi corrispondono sostanzialmente alla città “privata” e i secondi, pur non essendo esclusivamente spazi pubblici, come si è visto nei paragrafi precedenti hanno comunque una valenza collettiva). Ciò significa concepire una struttura di spazi d’interesse collettivo non necessariamente definita in modo rigido e immutabile nel suo assetto formale, ma definita in modo strutturale nel suo ruolo e nella sua configurazione spaziale. Come le figure disegnate dai pattern dei “campi relazionali” 30, i cluster del pattern, possono riorganizzarsi nella loro specifica e individuale composizione in modo indipendente rispetto al quadro complessivo, perché le proprietà e la configurazione generale permane adattandosi alle trasformazioni interne. Anche per quanto riguarda questa parte del sistema (il pattern) il valore strutturante è quello di configurare una visione d’insieme e di contrapporsi all’autonomia e all’individualità dei singoli frammenti. Questo non implica la necessità di gerarchizzazione e quindi la rinuncia all’isotropia quale principio fondativo dei territori contemporanei (la città generica ed omogena, appunto). La convinzione è piuttosto che sia oggi possibile, attraverso il progetto, superare le retoriche della frammentazione e insieme della “fine dello spazio pubblico” come sistema spaziale riconoscibile, operando piuttosto nella direzione di una sua diversa configurazione anche all'interno di territori debolmente strutturati. Si tratta, poi, di inserire qualità spaziali minime, attraverso un disegno strategico e il progetto di infrastrutture e spazi pubblici articolati e capillari, all'interno di territori interpretati come palinsesti complessi della trasformazione. Cercando di evitare allo stesso tempo inconsistenza e iper-determinazione. Il progetto di manutenzione rappresenta dunque uno sforzo di riconoscere e dare forma e struttura, all’interno del capitale territoriale, a un tale sistema di possibili spazi del welfare. Un sistema composito e integrato d’infrastrutture, spazi pubblici di più chiara connotazione e di spazi di “risulta”, caratterizzati dalle differenze. Proprio questi spazi “vaghi”, indefiniti, in attesa, possono essere visti come spazi delle eterogeneità e dell’eterotopia così come intesa da Hetherington 31, e non come ulteriori elementi di diversità-separazione. Rispetto, invece, agli spazi del welfare già riconoscibili e che giocano un ruolo fondamentale nel definire la qualità all’interno dei territori urbani è importante ricordare che «questa caratteristica non è solo qualcosa che ereditiamo dal passato, ma è qualcosa che abbiamo fatto e dobbiamo continuare a fare noi» 32 (Munarin S. 2009). Il progetto di manutenzione, infatti, intende essere inclusivo di entrambe le condizioni, e prestare attenzione e cura al processo di costante accumulazione per questo genere di spazi. A partire dall’intervento diretto su un sistema articolato ed eterogeneo di spazi, riconosciuti sostanzialmente come “vuoti” e definibili come centralità piuttosto che come residualità, il progetto è dunque pensato, per esercitare un’influenza indiretta sul resto dei tessuti che compongono il territorio. Ciò sta a intendere che il progetto di alcune parti di territorio, nel caso specifico dell’armatura strutturale degli spazi che concorrono alla formazione del capitale territoriale, può essere concepito per avere effetti sulla qualità e sul carattere delle trasformazione di altre parti del territorio non direttamente coinvolte dall’intervento della manutenzione, ma in connessione o in prossimità al sistema strutturale. E’ anche in questo senso che si può intendere il valore conformativo del sistema di spazi individuato 28

«Il progetto è strettamente necessario come conseguenza delle caratteristiche del capitale urbano- un insieme di elementifondo altamente eterogeneo, non malleabile, con un elevato grado di specificità e il cui valore si alimenta in modo inscindibile alla forma e alla funzionalità dei singoli elementi che lo compongono»; Calafati A. (2009), p. 16 29 Come è possibile comprendere meglio nel corso dei un’esplorazione progettuale condotta per il caso studio della Brianza Centrale 30 Si vedano i tanti esempi di immagini dei “field condition”, come quelle prodotte dalle ricerche di Stan Allen, Allen S. (2000); e Allen S. (1999). 31 Hetherington K.(1997). 32 Munarin S. (2009), pp 110 Marco Baccarelli

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Nello sforzo di perseguire processi di territorializzazione maggiormente sostenibili, la questione del disincentivo al consumo di suolo, così come il tema della costruzione di spazi del welfare materiale, dovrebbero quindi accompagnarsi a una politica di riqualificazione dell’esistente, anche nello spazio tra gli edifici. In questo senso l’intervento di sviluppo urbano dovrebbe legarsi a politiche che favoriscano un ridisegno dello spazio aperto più prossimo dove la “manutenzione” possa essere intesa come un progetto di modificazione che, basandosi sull’idea di fare il miglior uso delle trasformazioni individuali, implichi l’adozione di uno scenario comune condiviso. Ciò può essere definito come una forma d’intervento che, a partire dallo spazio agricolo periurbano, dai parchi, dai giardini, passando per le strade, i canali, fino ai piccoli spazi aperti interclusi nei tessuti che s’intrecciano con essi, investa non solo lo spazio pubblico ma eserciti anche un’influenza sull’autonomia del singolo lotto. Ecco dunque come la volontà di operare una ricomposizione attraverso il progetto di manutenzione cerca di realizzarsi sul piano fisico del territorio. Si tratta del tentativo di proporre un quadro concettuale e operativo capace di declinare il paradigma della sostenibilità rispetto ad un sistema collettivo di spazi che sia a sua volta elemento strutturante per le trasformazioni future. Ciò sottende un‘immagine della citta articolata e complessa che non rinnega le differenze e tenta di superare diversità e distanze. Ed anche una concezione del progetto come strumento capace di sviluppare nuove capacità interpretative e dispositive. Per usare le parole di Corboz, la convinzione è che «se vogliamo percepire l'ipercittà, dobbiamo modificare la nostra sensibilità, rivedere radicalmente la nostra mentalità. Fortunatamente, gli strumenti di tale cambiamento sono a nostra disposizione. E da più di un secolo! L'arte moderna, dovrebbe averci preparati a non recepire più in termini di armonia, ma in termini di contrasti, di tensioni, di discontinuità, di frammentazione, di assemblaggio, ecc., cioè di sistema dinamico non discendente da estetismi precedenti» (Corboz A., 1998). 33 Il progetto della manutenzione è dunque da intendersi come un processo di trasformazione a lungo termine e da attuarsi incrementalmente, come incrementale e di lungo periodo è stata la formazione dei territori cui si riferisce. Questo processo muove a partire dall’accettazione delle condizioni attuali e delle dinamiche a esse legate, ma è aperto al rinnovamento e persegue con lungimiranza la realizzazione di un rinnovamento strutturale attraverso un’immagine strategica.

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Corboz A., (1998), pg 236

Marco Baccarelli

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Figura 2. Progetto di manutenzione della Brianza Il pattern degli spazi vuoti di “prossimità” in relazione con i grandi spazi aperti (le stanze) e i nuclei delle centralità (rappresentazione dell’autore)

Marco Baccarelli

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Figura 3. Il sistema strutturale. Rappresentazione topologica del progetto di manutenzione nella “foglia” della Brianza (elaborazione dell’autore). Progetto: il pattern isotropo del sistema degli spazi vuoti in relazione con le centralità: stanze e nuclei consolidati.

Marco Baccarelli

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Manutenzione. Un progetto della città

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Sitografia Aureli P. V., “The City as a Project” PhD program, Berlaghe institute http://www.thecityasaproject.org

Marco Baccarelli

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Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea Elisa Conticelli Università di Bologna DA - Dipartimento di Architettura Email: elisa.conticelli@unibo.it Tel: 051.2093166 Stefania Proli Università di Bologna DA - Dipartimento di Architettura Email: stefania.proli@unibo.it Tel: 051.2093166 Simona Tondelli Università di Bologna DA - Dipartimento di Architettura Email: simona.tondelli@unibo.it Tel: 051.2093166

Abstract Tra le strategie di intervento rigenerativo proposte per la città contemporanea, la densificazione si sta affermando come la tecnica più idonea per promuovere lo sviluppo della “città nella città” senza nuovo consumo di suolo. La possibilità di proporre interventi che, dalla scala di ambito urbano a quella edilizia, permettono di elevare le prestazioni fisiche e sociali del sistema insediativo già esistente, sta favorendo l’inserimento di questa tecnica all’interno degli strumenti di governo della città. Tale strategia consente infatti di rispondere in maniera più flessibile e capillare ad istanze di trasformazione spesso contenute a causa di una domanda contratta e frammentaria dovuta agli effetti della crisi economica, contribuendo perciò a portare avanti con continuità le esigenze di miglioramento della qualità urbana. Parole chiave Densificazione, Rigenerazione urbana, Piano urbanistico

La promozione della città compatta attraverso strategie di densificazione Ormai da tempo i processi di sviluppo urbano che maggiormente stanno acquisendo importanza nei paesi più industrializzati sono quelli che consentono di perseguire importanti obiettivi di sostenibilità, come la riduzione del consumo di risorse naturali o delle emissioni climalteranti e il miglioramento della qualità della vita della popolazione. I modelli di riferimento si rifanno alla cosiddetta città compatta, in antitesi con il fenomeno della dispersione urbana (Neuman, 2005; Indovina, 2009) che ha caratterizzato lo sviluppo insediativo durante il secolo scorso e che oggi è ritenuto un modello di sviluppo non più sostenibile, in quanto causa di un eccessivo consumo di suolo, di fenomeni di congestione urbana, dell’aumento dei costi di infrastrutturazione o del peggioramento delle condizioni di salute della popolazione (EEA, 2006). La città compatta è caratterizzata innanzitutto da elevate densità, che consentono di implementare sistemi di trasporto e di mobilità altamente efficienti limitando l’uso del mezzo motorizzato privato, e di supportare servizi ed attrezzature adeguati; in secondo luogo, essa prevede mix funzionali fortemente diversificati, in cui le attività sociali si mescolano ad attività commerciali (Rogers, 2005), mentre un’elevata qualità degli spazi pubblici e del Elisa Conticelli, Stefania Proli, Simona Tondelli

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Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

patrimonio edificato garantisce alte prestazioni in termini di risparmi energetici, di emissioni e di sicurezza. Ciò significa che la città compatta basa il suo modello di sviluppo non solamente su aspetti quantitativi, legati al parametro della densità urbana, ma anche e soprattutto su aspetti di tipo qualitativo, che richiamano variabili ed implicazioni di tipo spaziale, ecologico e sociale, in cui l’aumento volumetrico costituisce occasione per avviare processi capillari di riqualificazione e di rigenerazione. Si può quindi affermare che, in accordo con le politiche urbane promosse dall’Unione Europea, il modello della città compatta debba essere implementato attraverso una ‘ragionevole densificazione’, non con lo scopo di individuare misure preordinate ad un aumento della densità urbana – che peraltro non può essere illimitato a priori – ma con l’obiettivo di tendere, attraverso adeguate strategie, metodologie e strumenti di implementazione, verso processi di crescita volti ad innalzare il livello di qualità del costruito generando ambienti urbani maggiormente vivibili (perché dotati di mix funzionali adeguati, di idonei livelli di dotazioni ecologiche ed ambientali) che risultino sufficientemente appetibili rispetto ad aree suburbane a densità minore, secondo un modello di sviluppo urbano sostenibile. Una ‘ragionevole densificazione’ può pertanto significare un oggettivo aumento delle densità edilizie ed urbane in quei contesti fortemente dispersi in cui è necessario ripristinare un ambiente tipicamente urbano e parametri insediativi sufficientemente elevati per supportare servizi ed attrezzature collettivi; oppure può significare la sostituzione di funzioni per creare una maggiore varietà di usi, o un aumento ridotto dei volumi esistenti a fronte della riqualificazione o della sostituzione di edifici obsoleti e fatiscenti con edifici di elevata qualità architettonica, elevate prestazioni e impatti ambientali minimi. Si possono così individuare differenti strategie di densificazione, che possiamo sintetizzare in tre principali casistiche (Reale, 2008): l’inserimento di grandi attrattori urbani all’interno di comparti prevalentemente monofunzionali a bassa densità, cioè di edifici o complessi maggiormente ‘densi’ rispetto al contesto in cui si collocano che, oltre ad elevare la densità complessiva del contesto stesso, creano mix funzionali e luoghi fortemente attrattivi che caratterizzano l’ambito urbano di riferimento; la realizzazione di interventi di infilling, cioè azioni minute di ricucitura, completamenti, innesti urbani su cui impostare strategie di riqualificazione dell’esistente; l’aumento delle unità abitative a parità di volumi esistenti attraverso interventi legati quasi sempre ad azioni di rinnovo e di adeguamento energetico di edifici esistenti. La promozione della città compatta rappresenta una sfida impegnativa, perché densificare secondo i criteri appena richiamati è un’operazione difficile e molto più complessa che non urbanizzare nuove aree periferiche o riqualificare i tradizionali vuoti urbani, non solo dal punto di vista tecnico e procedurale, ma anche e soprattutto dal punto di vista del consenso sociale. Se la trasformazione di un territorio agricolo o di una grande area dismessa non deve fare i conti con una proprietà frammentata o con la presenza di abitanti preesistenti, un intervento di densificazione in un edificio o in un quartiere abitato deve risolvere innanzitutto il problema della presenza degli abitanti durante il processo di trasformazione, oltre che misurarsi con le loro aspettative, legate al mantenimento di determinati equilibri ed all’eliminazione di criticità e di carenze pregresse (Vallance et al., 2005).

Dalla riqualificazione alla rigenerazione Da oltre trent’anni la pianificazione sta promuovendo la riqualificazione urbana, ormai divenuta prassi consolidata e ordinaria per garantire uno sviluppo urbano sostenibile. Le politiche e le tecniche di riqualificazione si sono susseguite animate da motivazioni che nel tempo si sono evolute, così come sono mutati i luoghi interessati dagli interventi. Inizialmente questo approccio è nato principalmente per riconvertire e riutilizzare grandi aree industriali o demaniali (aree annonarie, scali ferroviari, aree militari, ecc.) ormai dismesse da tempo, che avevano generato gravi forme di degrado ambientale ed urbano. Si trattava prevalentemente di aree di consistenti dimensioni, in genere di proprietà uniche o poco frazionate, nelle quali occorreva ridisegnare completamente le funzioni, l’assetto urbano, l’infrastrutturazione, secondo un approccio progettuale in gran parte simile a quello adottato nelle tradizionali espansioni urbane in territorio agricolo e in cui gli interventi da prevedersi erano in prevalenza sostitutivi, mediante tessuti urbani e tipologie edilizie completamente differenti dalle preesistenze. A fianco di tutto ciò, spiccava il ruolo prevalente di grandi operatori immobiliari che finanziavano gli interventi a fianco di importanti investimenti pubblici. Un altro tema presente fin dalle prime esperienze di riqualificazione urbana è quello delle periferie, in particolare quelle generate dagli interventi pubblici degli anni ’50 e ’60, caratterizzate da forti carenze urbanistiche ed edilizie ed in cui i patrimoni immobiliari erano in mano a soggetti unici e caratterizzati da finanziamenti specifici. In questi contesti, la riqualificazione urbana si è progressivamente incentrata su temi sociali, passando così da un rinnovo prevalentemente fisico della città esistente ad una rigenerazione del tessuto sociale degli ambiti di intervento. Anche il tema delle infrastrutture è stato oggetto di riqualificazione urbana sia alla scala territoriale che alla scala urbana, dove gli interventi sui sistemi di trasporto sono stati in grado di rigenerare interi contesti, intervenendo su ambiti privilegiati di trasformazione per la creazione di nuovi pezzi di città.

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Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

Negli anni più recenti, il quadro di riferimento degli interventi e delle politiche di riqualificazione urbana si è arricchito di nuove motivazioni che si sono affiancate a quelle precedenti, spostando però l’attenzione dalla scala urbana alla scala edilizia; si fa riferimento ai temi dell’efficienza energetica del patrimonio edilizio e del miglioramento statico ed impiantistico degli edifici. Parallelamente, la progressiva e incessante riduzione dei finanziamenti pubblici, l’acuirsi della crisi economica e la conseguente stagnazione del mercato immobiliare hanno reso sempre più difficile e rischioso attivare i tradizionali interventi di riqualificazione urbana, operanti su lotti molto estesi, o anche solo completare gli interventi già in corso di attuazione. In questo scenario, le più recenti politiche di sviluppo urbano stanno formulando nuove strategie di intervento sulla città esistente, individuate con il termine di rigenerazione urbana, che estendono il tema della riqualificazione a tutto il patrimonio edilizio di vecchia data, ossia al patrimonio in uso. Rispetto agli interventi rivolti a specifiche situazioni urbane, oggi si prediligono azioni mirate a episodi più circoscritti e puntiformi. Alla luce dell’attuale situazione del mercato immobiliare, che prefigura l’impossibilità di raggiungere nuovamente i livelli di dinamicità raggiunti nel primo decennio degli anni duemila, da un punto di vista prettamente economico si può anche affermare che la rigenerazione urbana rappresenta la politica per sostenere il settore delle costruzioni e riconvertirlo per lavorare a favore della sostenibilità ambientale e territoriale (Tecnicoop, 2012). L’ambito degli interventi di rigenerazione è dunque il tessuto urbano consolidato; un contesto in cui si distinguono edifici prevalentemente occupati, dove l’intervento deve attuarsi o in presenza dell’utenza o, in alternativa, prevedendo lo spostamento degli abitanti in alloggi temporanei. Si tratta principalmente di proprietà piccole, frazionate ed eterogenee, caratterizzate da committenti con ridotta capacità imprenditoriale e ridotta disponibilità di investimento. Per garantire la fattibilità economica, la rigenerazione in questo caso non può quindi basarsi esclusivamente sul plusvalore ottenuto dalla modifica della destinazione d’uso delle aree e dall’aumento degli indici di edificabilità, come invece accadeva nella riconversione delle grandi aree dismesse. L’intervento in tali ambiti non richiede una riqualificazione ‘pesante’, ma pone di fronte a nuove problematiche, come l’efficienza energetica, l’adeguatezza strutturale, la varietà di usi, l’adeguato livello di dotazioni territoriali; interventi che richiedono metodologie e strumenti urbanistici specifici, secondo un approccio progettuale. Molti di questi obiettivi possono essere raggiunti con interventi leggeri, riconducibili alla manutenzione straordinaria, associati a sgravi fiscali già disponibili da tempo (come le detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia e di risparmio energetico), anche se risultati più incisivi dal punto di vista del miglioramento della qualità si ottengono mettendo in campo interventi più complessi, come ad esempio la ristrutturazione globale di edifici o la loro sostituzione, che necessitano però di agevolazioni fiscali e di incentivi di natura urbanistica in forma di incrementi volumetrici che necessariamente devono essere ricondotti all’interno degli strumenti di governo del territorio, al fine di garantire il raggiungimento dell’obiettivo della qualità urbana ed ambientale e di evitare la creazione di tessuti incoerenti e carenti di dotazioni pubbliche. È proprio in linea con queste strategie che in Europa si stanno attuando diversi interventi diffusi di demolizioni selettive e di sostituzioni edilizie che, grazie alla previsione di incentivi volumetrici necessari a garantire la fattibilità dell’intervento, permettono di aumentare le dotazioni tecnologiche e le prestazioni complessive degli edifici, stimolando al contempo l’innovazione delle tecnologie costruttive (rispondenti ai vincoli statici, di fattibilità e di appropriatezza che la costruzione sull’esistente comporta), e suggerendo nuovi modelli abitativi e di crescita delle città (Califano, 2010). Anche in Italia tali interventi stanno iniziando a prendere corpo, spinti da misure normative e fiscali contenute negli strumenti urbanistici comunali. Rispetto a questo scenario, le politiche di densificazione giocano quindi un ruolo determinante perché permettono, da un lato, di impostare processi di crescita basati sulla trasformazione della città esistente e, dall’altro, di innalzare il livello di qualità del costruito attraverso l’integrazione di nuove prestazioni (energetiche, strutturali, impiantistiche, ecc.), l’introduzione di mix funzionali adeguati e la previsione di adeguati livelli di dotazioni ecologiche ed ambientali.

Densificare, ovvero: misurare e valutare A differenza delle tradizionali politiche urbanistiche incentrate sulla riqualificazione e dunque nate per riconvertire le aree urbane mediante strumenti del tutto assimilabili a quelli del progetto urbano, nel nostro paese le strategie di densificazione vengono prevalentemente promosse tramite strumenti che ne garantiscano l’attuazione immediata, con azioni dirette. L’obiettivo della città compatta viene perciò perseguito prevalentemente incrementando gli indici edilizi e promuovendo la perequazione urbanistica per acquisire aree che le amministrazioni possono così destinare a verde o servizi collettivi, sfruttando la possibilità di trasferire la capacità edificatoria nelle aree da densificare. Si tratta di una strategia che meglio rispecchia le caratteristiche del nostro territorio urbanizzato, il quale si denota per edifici plurifamiliari di media-piccola dimensione di due o tre piani prevalentemente su lotto privato e dunque una conformazione che difficilmente si presta a strategie di densificazione di diverso tipo.

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Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

Anche se tale approccio privilegia trasformazioni basate su interventi diretti e procedure semplici mirati ad addensare e riqualificare in modo diffuso il patrimonio edilizio esistente, ai fini di intervenire sulla densità urbana, è necessario ricondurre gli interventi all’interno degli strumenti urbanistici, prima di tutto andando a misurare lo spazio. Si ritiene infatti che il parametro densità aiuti a stabilire le connessioni fra scale diverse, dal vicinato, al quartiere, alla città e dunque dalla scala architettonica a quella urbana e anche territoriale. In particolare, per capire dove densificare, oltre ad andare a misurare i rapporti tra aree libere e spazi costruiti e tra abitanti e aree, occorre concentrarsi sullo studio attento della viabilità urbana, per verificare la densità di superficie lungo i maggiori assi di scorrimento. Concentrare la densificazione lungo gli assi pubblici è ad esempio buona prassi per mitigare rumore e inquinamento dell’aria; così come appare ragionevole incentrare gli interventi nei nodi e nei punti di maggiore interesse e attrattività. Tuttavia, se da un lato si ritiene che non si possa prescindere, in architettura come in urbanistica, dalla misura per operare delle scelte e per trovare spiegazioni a fenomeni, dall’altro un utilizzo acritico di mappe, indici, indicatori, standard e modelli significa accettare l’unidimensionalità dei problemi ed ignorare quel sistema complesso di relazioni e rapporti che legano individuo e città, ovvero i suoi ‘funzionamenti urbani’ (Cecchini e Talu, 2012). Anche nel caso della rigenerazione, quindi, il perseguimento di una ‘qualità diffusa’ non è soddisfatto solo con la comprensione generata da processi di apprendimento tramite misurazioni e dunque nelle sue implicazioni quantitative (gli standard, la qualità dei servizi, le dotazioni territoriali e ambientali ecc.); intervengono altri fattori quali la continuità, le relazioni, la sintonia d’insieme, la consonanza con un territorio che è esito di una felice combinazione di più componenti rilevanti nei diversi contesti (Secondini, 2010). Misurare, dunque, si presenta solo come un primo passaggio per successivamente valutare dove e come densificare, cioè per operare, come si diceva precedentemente, una ‘ragionevole densificazione’. Ad esempio, la densificazione, se non adeguatamente controllata, potrebbe avere esiti negativi sul fabbisogno del verde, in quanto si va ad aumentare il patrimonio costruito proprio laddove tradizionalmente è più scarso, poiché si tratta delle parti di città realizzate in assenza di regole urbanistiche che hanno imposto la realizzazione delle aree a standard. Per questo motivo è indispensabile una valutazione della sostenibilità delle trasformazioni previste che consideri anche gli effetti sul patrimonio verde, oltre che su tutte le altre componenti ambientali, e la trasformazione urbanistica diventa occasione di valorizzazione dell’intero territorio comunale attraverso la creazione o il potenziamento di reti ecologiche urbane. La densificazione del verde si propone infatti come una delle misure di compensazione per evitare gli effetti locali sull’ambiente connessi al processo di densificazione del costruito: riduzione delle aree verdi, aumento dell’impermeabilizzazione del suolo e dell’effetto dell’isola di calore urbana, concentrazione del volume di traffico (Næss 2011).

Controllare la qualità della densificazione con il progetto delle reti ecologiche in ambito urbano Diversi cominciano ad essere i casi di strumenti urbanistici incentrati prevalentemente sulla riqualificazione architettonica, paesaggistica e ambientale del territorio comunale mediante recupero e riuso di zone già urbanizzate da attuare mediante strategie diffuse di densificazione. Si tratta di strumenti flessibili, che lasciano al progetto la responsabilità di governare la trasformazione e di conseguire la qualità edilizia ed urbana attraverso la ricerca di prestazioni piuttosto che l’imposizione di soluzioni conformi, fornendo una possibile risposta per raggiungere, attraverso maggiori densità edilizie, un miglioramento ulteriore dei livelli di qualità urbana. Affinché ciò possa avvenire, l’accesso alle possibilità edilizie deve essere subordinato al rispetto di alcune prestazioni minime (sicurezza, sostenibilità, identità, ecc.) e di condizioni all’attività di trasformazione. Per perseguire al meglio e con continuità le strategie di sostenibilità del piano, considerato che si va ad operare in un contesto costruito e quindi carente di spazi liberi, è necessario prevedere che la compensazione delle criticità di carattere prevalentemente ambientale possa anche essere soddisfatta a distanza, secondo una logica perequativa. Una possibile soluzione prevede quindi di accompagnare la densificazione con la ridefinizione del sistema delle reti ecologiche in ambito urbano, intese come quel sistema complesso di tutti quegli elementi lineari e puntuali che consentono la realizzazione di una maglia attraverso cui ampliare ed implementare la dotazione di verde e realizzare una rete complessa di connessioni che includa anche le aree verdi private. Appare infatti necessario introdurre nuovi ‘temi di integrazione’ capaci accompagnare le strategie diffuse di densificazione e avviare un ragionamento più ampio sui temi delle dotazioni, delle infrastrutture e, più in generale, dei servizi, includendo nelle politiche di trasformazione urbana i nuovi ‘luoghi della rigenerazione’, quali, ad esempio, lo spazio di soglia dei singoli interventi di manutenzione straordinaria dei manufatti. In ambito urbano, infatti, concorrono alla struttura della rete ecologica – oltre ai parametri ecologici ed agli elementi di carattere naturalistico come aree a verde, piantumazioni a filari e siepi – il sistema di servizi e di collegamenti ciclo-pedonali che ne garantiscono da una parte adeguate fruibilità, funzionalità e corretta manutenzione e, dall’altro, un alto livello di polifunzionalità importante per accompagnare il processo di densificazione con l’implementazione di accessibilità e fruibilità a poli e servizi. Elisa Conticelli, Stefania Proli, Simona Tondelli

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Densificazione e rigenerazione urbana: nuovi modi per governare la città contemporanea

Le politiche di densificazione generano inoltre nuovi fabbisogni derivanti dalle rinnovate capacità insediative, residenziali e terziarie che si sviluppano in queste zone, quali ad esempio: • accessibilità (mobilità ciclopedonale, trasporto collettivo, parcheggi) • attrezzature ricreative e per lo sport • servizi di interesse generale • funzioni culturali (musei, cinema, teatri) • giardini, parchi • disponibilità a ospitare eventi e manifestazioni all’aperto, nonché orti e giardini urbani, anche temporanei. La connessione e valorizzazione di questi diversi elementi, che concorrono alla formazione della rete ecologica in ambito urbano, permette di rafforzare e completare il progetto di qualificazione diffusa attorno ad una grande e articolata “infrastruttura verde” che organizza e raccoglie le principali tematiche urbane di rilievo, favorendo la fruizione sostenibile del territorio e garantendo che gli interventi realizzati alla scala edilizia non rimangano singoli episodi tra di loro indipendenti e frammentari, ma che siano ricondotti all’interno della strategia complessiva del piano urbanistico, quali tessere del mosaico che compongono la qualità urbana ed ambientale della città contemporanea.

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Elisa Conticelli, Stefania Proli, Simona Tondelli

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La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città

La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città Michéle Pezzagno ∗ Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e Matematica (DICATAM) Email: michele.pezzagno@ing.unibs.it Anna Richiedei ∗ Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e Matematica (DICATAM) Email: anna.richiedei@ing.unibs.it

Abstract Il paper presenta un progetto di rivalorizzazione di un tessuto urbano con un forte ruolo identitario, quale quello dei villaggi di edilizia economica popolare di Padre Marcolini, già buon esempio di pianificazione e di rispondenza alle esigenze della comunità. Il progetto approfondirà in particolare il caso studio del villaggio Prealpino di Brescia: verrà proposta una riqualificazione con un approccio fortemente interdisciplinare al fine di proporre una visione integrata tra le reti ed i tessuti urbani consolidati. Saranno individuati potenziali interventi nell’ambito delle manutenzioni straordinarie sotto il profilo urbanistico (come il ridisegno di isole ambientali) ed idrologico (reindirizzo dei deflussi urbani) per rendere il Villaggio più efficiente sotto il profilo della sostenibilità ed inoltre si considererà l’aspetto energetico come elemento di superamento dell’obsolescenza dei tipi edilizi caratterizzanti. Il progetto apre a numerosi spunti sui possibili sistemi di incentivazione che l’amministrazione comunale potrebbe proporre ai residenti al fine di attivare le riqualificazioni proposte soprattutto per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e per ridurre l’impermeabilizzazione dei suoli. Parole chiave Riqualificazione urbana, risparmio energetico, drenaggio urbano

1 | Introduzione Certamente il tema del riutilizzo e della riqualificazione degli ambienti urbani è un a tema di evidente attualità, sia per quanto riguarda la necessità di ridurre il consumo di suolo, sia nei confronti dell’attuale crisi del settore edilizio. Quest’ultimo infatti potrà trovare nuove spinte puntando alla ristrutturazione degli edifici e alla riconversione dei volumi inutilizzati. Tali interventi sono un’occasione da non perdere per fare dei passi avanti, cercando di allinearsi agli altri paesi europei, nell’ambito dell’efficientamento energetico degli edifici esistenti e per la riduzione del rischio idrogeologico. Gli eventi calamitosi, spesso potrebbero essere meglio assorbiti dalle aree urbanizzate, attraverso piccoli interventi estesi a tutto il territorio, che permettano al sistema di resistere al momento critico. Ciò si configurerebbe inoltre come un bagaglio che renda le aree urbane più resilienti di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici. Per questi motivi la proposta di riqualificare in modo integrato un tessuto chiaramente riconoscibile, che aveva − al momento della sua realizzazione − forti connotazioni innovative sotto il profilo della tipologia edilizia, della struttura urbana, dell’attenzione agli spazi per la socialità, che oggi risultano soltanto obsoleti nella forma, ma ∗

La redazione dei § 1, 2 e 3 è di Anna Richiedei, mentre la redazione dei paragrafi § 4, 5 e 6 è di Michéle Pezzagno.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città

non nel contenuto, è di estremo interesse. L’approccio integrato alla riqualificazione consente di avere un impatto complessivo più significativo, rispetto alla somma dei singoli interventi proposti in maniera non coordinata, e garantisce una ruolo vincente alla pianificazione urbana in termini di progettazione, di coordinamento e di prospettiva per il capitale territoriale di cui si occupa. Sono numerosi gli esempi di quartieri che possono essere confrontati con i Villaggio Marcolini, oggetto della proposta di riqualificazione: • Per quanto riguarda i modelli antecedenti e contemporanei che affrontassero il problema di organizzare un quartiere cercando di unire la dimensione lavorativa e quella relazionale si può fare riferimento alla Fuggerei di Augsburg tedesca (Ronzoni & Ventura, 2000), ai villaggi operai inglesi come ad esempio quello di Saltaire (Dewhirst, 1960) o al villaggio operaio di Crespi d'Adda in provincia di Bergamo (Cortesi, 1995); • Riferendosi al tema dell’edilizia economico-popolare si potrebbe instaurare un parallelo con i Le Castor francesi (Busi, 2000), la città giardino Hellerau (Campbell,1987) o la Gropiusstadt (Bandel & Machule, 1974) tedeschi. Inoltre in Italia i Villaggi Marcolini, realizzati tramite la cooperativa “La Famiglia” 1, sono diffusi in varie provincie (come mostra la Figura 1), ma con una preponderante incidenza in quella bresciana.

Figura 1. Alloggi realizzati dalla cooperativa “La Famiglia” in Italia per provincia (Elaborazione dei dati Centro Studi “La Famiglia” - 2012)

Tale panoramica è solo un accenno a quello che potrebbe essere lo stato dell’arte sul tema dei nuclei consolidati che mantengono il proprio ruolo identitario all’interno della città. La proposta presentata nel paper verterà sul caso studio del Villaggio Prealpino di Brescia, un quartiere di circa 4.000 abitanti realizzato nella seconda metà degli anni ‘50. Accanto ad analisi mirate su ognuna delle tre componenti del progetto di riqualificazione saranno espresse le motivazioni alla base della riqualificazione ed infine gli interventi stessi, con particolare attenzione agli strumenti di simulazione e stima degli effetti ambientali. Gli interventi di riqualificazione alla scala di quartiere proposti sono: una risistemazione degli spazi pubblici e una più decisa demarcazione delle isole ambientali presenti nel villaggio Marcolini in studio, una proposta per la riqualificazione idrologica dell’area per compensare gli alti livelli di impermeabilizzazione del suolo ed la stima degli effetti portati da interventi di ristrutturazione degli edifici dal punto di vista energetico. Nell’affrontare la riqualificazione si propone come centrale nell’interdisciplinarità il binomio reti e tessuto urbano, dove per reti si può far riferimento sia alla mobilità che al drenaggio urbano, mentre per il tessuto urbano, nel caso specifico, si può far riferimento al complesso dei tipi edilizi ed alla problematiche di obsolescenza ad esso connesse.

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Il primo Villaggio “La Famiglia” è dovuto alla figura di Padre Ottorino Marcolini, prete, ingegnere, matematico di innegabile carisma che promosse l’idea di “Villaggio” come luogo di aggregazione sociale in risposta al problema della casa per i nuovi cittadini che si spostavano dalla campagna alla città per motivi di lavoro.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città

2 | Il caso studio del Villaggio Prealpino di Brescia Il caso studio scelto riguarda un Villaggio Marcolini che racchiude al suo interno tutte le caratteristiche maggiori, e che per dimensione, età, e sviluppo, possa risultare un caso emblematico a sintesi di molti altri. La collocazione geografica dei più significativi Villaggi Marcolini a Brescia è nelle immediate vicinanze della città o ai suoi margini. In particolare, il Prealpino risulta essere per struttura e complessità (come pure il Villaggio Sereno) il più adatto a un'analisi di studio: esso, infatti, è dotato di tutti i servizi fondamentali che l'opera marcoliniana aveva previsto, ad iniziare dai negozi di vicinato, ai servizi alla persona e alle scuole e, non ultime, la parrocchia e l'oratorio. Il Villaggio Prealpino sorse in tre tappe successive dal 1958 al 1972. L'area destinata al futuro Villaggio, a nord di Brescia, era agricola, come spesso in quell'epoca di grande espansione dell'area urbana, racchiusa a tenaglia tra due strade di collegamento con la provincia e tagliata a metà dai tralicci dell'alta tensione lungo la direzione nordovest-sudest. Questi vincoli territoriali costrinsero padre Marcolini ad adattare il progetto, di norma sviluppato a maglie ortogonali, alla forma del lotto, con il risultato mostrato in Figura 2. La popolazione residente al Villaggio nel 1971 era di 4.927 abitanti e composta soprattutto da giovani famiglie con una presenza di bambini tra gli 0 e i 10 anni ben al di sopra della media cittadina. Nell’arco di 40 anni i caratteri demografici sono significativamente cambiati. Alla fine del 2011 la popolazione residente al Villaggio Prealpino si attesta di poco sopra le quattromila unità con due fasce prevalenti: la fascia dei 40-50enni e degli over 65 (con il massimo assoluto rappresentato dalla fascia dei 70-74enni) (Paccanelli, 2012). Appare chiaro che nei prossimi 10-20 anni si assisterà a un notevole ricambio generazionale all'interno del Villaggio. Ciò comporterà prospettive nuove, in termini di stile di vita, di identità, di fruizione e di vita nel Villaggio. Come noto i Villaggi Marcolini si contraddistinguono per delle tipologie edilizie di tipo plurifamiliare generalmente identificate da alcune lettere dell’alfabeto (si veda ad esempio Busi, 2000): nel Villaggio Prealpino le tipologie più diffuse sono la R, U, e la H ed in generale circa l’80% delle abitazioni è di tipo bifamigliare. Pur mantenendo una leggibilità d'insieme, grazie alla quale ancor oggi il Villaggio appare come tale, il linguaggio espresso nei diversi lavori di risistemazione, adeguamento, ristrutturazione, ampliamento, è molto vario. L'abitazione bifamigliare risponde a fatica al ricambio generazionale, quindi molti proprietari hanno pensato, nel corso degli anni, ad interventi di allargamento, di riuso di spazi precedentemente destinati ad altre funzioni. Ciò scaturisce dalla necessità di avere spazio per l'abitazione autonoma di un figlio, di creare l'appartamento per la badante o per cedere l'abitazione ai due figli sdoppiando l'alloggio. A ciò si aggiunga la problematica del parcheggio di pertinenza dell’abitazione che spesso ha determinato l’estensione della pavimentazione nel giardino aumentando fortemente l’impermeabilizzazione dei suoli.

Figura 2. Il Villaggio Prealpino: a sinistra come si presenta oggi ed a destra in suggestive viste aeree del 1959 (Fonte: Google Maps e Archivio Centro Studi La Famiglia di Brescia)

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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Il Villaggio Prealpino presenta inoltre un’interessante anomalia: esso si sviluppa infatti in due Comuni diversi, dotati di Piani di Governo del Territorio (PGT) 2 differenti e dunque capace di subire scelte urbanistiche potenzialmente contrastanti. Della totalità delle case realizzate, circa un quarto si sviluppa su territorio comunale di Bovezzo e i restanti tre quarti nel Comune di Brescia. Entrambi i piani urbanistici, tra le regole morfologiche riconoscono i Villaggi Marcolini come 'Città di recente formazione e tessuti urbani a impianto aperto con allineamento altimetrico'. Inoltre all’interno del documento strategico sono identificati quali 'Ambito di tessuto urbano consolidato'. Operata tale classificazione, gli interventi sotto riportati sono estendibili a tutti i Villaggi Marcolini. Dal confronto tra i due piani urbanistici comunali si ha conferma della consapevolezza che entrambi riconoscono regole speciali per i Villaggi Marcolini trattandosi di una tipologia di tessuto consolidato specifica e chiaramente riconoscibile dove deroghe alle regole urbanistiche classiche sono assolutamente necessarie (ad esempio per il mancato rispetto della distanza minima di 10 m tra edifici contigui; oppure per la possibilità di demolizione e ricostruzione in sagoma e nella superficie occupata). Lo stesso tessuto inoltre è soggetto alla vetustà dei tempi e alle caratteristiche tecnologiche di realizzazione di tutti i tessuti dell’epoca, pertanto necessita di poter eseguire lavori per il miglioramento energetico, vincolati ad un eventuale incentivo economico, della possibilità di collocare, a ridosso della casa l'autorimessa per l'automobile. In sintesi, la realtà dei Villaggi viene affrontata in maniera simile dai due PGT. Inevitabilmente vi sono alcune differenze: un Piano è più severo e rigoroso su alcuni aspetti, mentre può essere più permissivo su altri. Tuttavia viene riscontrata più concretezza nel PGT di Bovezzo, con concessioni che mirano alla fruibilità del servizio (ad esempio il parcheggio), abbinati a politiche di mobilità sostenibile.

3 | Riqualificazione Urbanistica La dotazione di servizi pubblici, nei Villaggi Marcolini, è ancora oggi soddisfacente. Sono presenti tutti i servizi necessari, dai complessi scolastici ai negozi di vicinato, dai servizi pubblici agli impianti sportivi. Pur essendo entrato in crisi il sistema dei negozi di vicinato, a causa delle mutate condizioni di vita che portano ad aver sempre meno tempo e quindi sempre maggior necessità di acquistare prodotti di svariate categorie in un unico grande negozio, la vitalità dei negozi di vicinato nei Villaggi permane. Ciò è dovuto anche a considerazioni di carattere demografico, in particolare la consistente presenza di anziani, ben più abituati al negozio di vicinato che non al centro commerciale. Se il senso di radicamento nei Villaggi è ancora forte e la percezione dell'appartenenza ad esso ingenera nei suoi abitanti un senso identitario che non si riscontra in altre pur positive realtà della città, il cambiamento di alcuni elementi fondativi del Villaggio è già in atto, si pensi alla presenza della fermata della stazione Nord della metropolitana leggera di Brescia proprio nel Villaggio prealpino, che ne determina nuove accessibilità, potenzialità e mercati immobiliari. Osservando la realtà del Villaggio per la sua composizione sociale e per la forma urbanistica si evidenzia come gran parte dello spazio pubblico sia rappresentato dalle strade, mentre il verde pubblico ha ceduto gran parte della sua superficie al verde privato di competenza delle singole abitazioni. Eccenzion fatta per l’area centrale su cui si addensano i negozi di vicinato e i servizi − quali l’impianto sportivo, l’oratorio, il circolo ACLI, e la scuola media – mentre nella restante porzione del Villaggio Prealpino lo spazio pubblico per eccellenza è la strada e su di essa gravitano i rapporti sociali. La proposta di riqualificazione pertanto prevede l’identificazione di 11 isole ambientali 3, suddividendo il Villaggio in porzioni più o meno omogenee, separate tra loro dalle strade con maggiore scorrimento di traffico relativo, al fine di restituire proprio la strada alla socialità originaria che caratterizzava il Villaggio. Si tratta di isole ambientali tra strade locali. 'Sono dette isole in quanto interne alla maglia di viabilità principale; ambientali, in quanto finalizzate al recupero della vivibilità degli spazi urbani'. Sono aree caratterizzate da ridotti movimenti veicolari, poiché il traffico viene il più possibile dirottato sulla viabilità principale (eliminazione del cosiddetto “traffico di attraversamento” o “traffico di transito”). All'interno delle isole ambientali non è prevista la circolazione di auto, se non limitatamente all'accesso alle case, vige il limite dei 30 km/h, e − quel che è più innovativo − le strade sono caratterizzate non più da una netta suddivisione dello spazio, tra la porzione pedonale e quella automobilistica, tra la porzione ciclopedonale e quella carrabile, tra il parcheggio e la zona di attraversamento, ma tutto lo spazio stradale è promiscuo. Non è certo un'invenzione, si tratta di proporre al Villaggio ciò che in altre parti d'Europa è già realtà nelle zone residenziali a bassa densità di traffico (ad esempio i Woonerf). Con l'introduzione delle isole ambientali viene superato il concetto classico di segregazione del pedone che aveva reso necessaria l'introduzione del marciapiede per separare e mettere in protezione l'utente debole della strada. La velocità tenuta dall'automobilista al di sotto dei 30 km/h riduce sensibilmente il rischio di incidentalità e favorisce il sistema di relazioni attraverso la promiscuità. 2

Il PGT di Brescia (Karrer, 2012) approvato con delibera n. 57/19378 del 19.03.2012 e il PGT di Bovezzo (Ventura e Rubagotti, 2011) approvato con delibera n. 44 del 23.09.2011 3 Art. 13 del Codice della Strada e D.M. n 67/S del 22 aprile 2004 Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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Per individuare le possibili isole ambientali, si è proceduto alla classificazione funzionale e geometrica delle strade di accesso al Villaggio. Nell'area compresa all'interno del reticolato di tali strade, sono state individuate le 11 isole ambientali di progetto all’interno del Villaggio Prealpino (cfr Figura 3).

Figura 3. Riqualificazione Urbanistica: Individuazione delle isole ambientali (in alto), fotografia dell’esistente (a sinistra) e veduta del progetto (a destra).

Per la mobilità le soluzioni progettuali proposte sono le seguenti: • Istituzione di un portale di ingresso da ambo i lati della strada residenziale. Esso sarà caratterizzato da elementi verdi che fungono da protezione alla zona ambientale e da abbellimento; • Segnaletica verticale e orizzontale, posta all'ingresso dell'isola ambientale, per avvisare l'utente della strada della presenza di uno spazio caratterizzato dalla presenza promiscua di automobilisti, ciclisti e pedoni; • Creazione di un sedime unico stradale, privo di barriere architettoniche e costituito da un manto uniforme di asfalto, caratterizzato da una colorazione diversa dal classico colore grigio. Tale elemento si integra con lo stato attuale in prossimità delle rampe d'accesso ai parcheggi interni alle case. Il piano strada è infatti più basso di circa 15 cm rispetto al livello di accesso alle case. In prossimità di essi si mantiene il dislivello, mitigandolo con il medesimo strumento; • Disassamento della carreggiata con realizzazione di poso auto alternato e protetto da aiuola alberata; • Concentrazione di elementi di arredo urbano quali panchine, cestini, fontane e lampioni in un'unica zona, centrale, che funga da luogo d'incontro sociale. La pavimentazione, in corrispondenza di tali zone, viene modulata con elementi discontinui e diversi rispetto al piano strada, per rimarcare l'esclusività dello spazio per i pedoni; • Piantumazione stradale con la scelta di una tipologia autoctona, in grado di garantire un buon ombreggiamento, la crescita su un unico fusto che si sviluppi in rami ad almeno due metri da terra, le cui Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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radici si sviluppino prevalentemente in verticale, evitando il danneggiamento dei sottoservizi, collocati sotto il piano strada. Il risultato della riqualificazione urbanistica è presentato in Figura 3 ed in costo dell’intervento è stimabile in circa 100 €/mq (base d’asta compreso l’arredo), che equivalgono per l’intera traversa XXX a circa 160˙000 €.

4 | Riqualificazione Idrologica Il tema del drenaggio e della gestione della rete fognaria sono stati al centro di un ampio dibattito, nella comunità scientifica e politica, purtroppo a causa dei sempre più frequenti eventi calamitosi, quali frane e smottamenti, che si verificano sempre più spesso in Italia (ad esempio si veda: Tira & Zazzi, 2012; Garuti, 2008; La Loggia, 2010; Pensa, 2009). Espressioni come 'invarianza idraulica', o Low Impact Development (LID), o Best Management Practices (BMP), o più semplicemente il recupero delle acque meteoriche, sono ormai ampiamente conosciute, benché scarsamente applicata attraverso esempi concreti. Studiando la realtà del Villaggio Prealpino, uno degli aspetti di sostenibilità sul tema delle acque a scala urbana sui quali è possibile puntare è la possibilità di migliorare il comportamento idrologico del Villaggio. Le case Marcolini sono dotate ognuna di una discreta porzione di terreno, circostante il lotto costruito, che va a costituire un giardino privato della superficie di circa 70 m2 per ogni alloggio. In origine la presenza del giardino privato incoraggiava le famiglie alla pratica dell'auto-sostentamento. I giardini sono tuttora, in molti casi, adibiti a orto, o contengono per lo meno alberi da frutto. A fronte del progetto iniziale, però, il Villaggio si è via via modificato, per rispondere progressivamente alle nuove esigenze della famiglia. Il terreno circostante alla casa è stato parzialmente pavimentato, prevalentemente per realizzare parcheggi per l’auto, oppure per costruire uno spazio coperto a veranda o un piccolo deposito degli attrezzi. Il coefficiente di impermeabilizzazione dei lotti del Villaggio Prealpino è dunque cresciuto con il tempo, riducendo di conseguenza la percentuale di acqua che si infiltra e percola naturalmente nel terreno, arrivando alla falda, e aumentando contestualmente il volume d'acqua avviato alla rete fognaria. Per avere un ordine di grandezza si pensi che nel 1959, anno di costruzione del Villaggio, la percentuale di impermeabilizzazione era del 63%, mentre nel 2012 si raggiunge il 78% d’impermeabilità. Il Villaggio Prealpino è allacciato alla rete acquedottistica del Comune di Brescia che, nella sua parte più settentrionale, è servita dalla vicina fonte carsica di Mompiano. Per la rete di drenaggio, il Villaggio è a tutt'oggi dotato di una rete unitaria, risalente agli anni '60. La rete di drenaggio prosegue in direzione sud, incontrando uno sfioratore (all’incrocio tra via Zola e la statale del Caffaro) e poi prosegue immettendosi nella rete cittadina. L'acqua sfiorata dal dispositivo sfioratore viene scaricata nel torrente Garza (Figura 4).

Figura 4. Schema di funzionamento della rete fognaria del Villaggio Prealpino (a destra) ed immagine della cisterna di raccolta delle acque piovane

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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L'idea per la riqualificazione idrologica del Villaggio Prealpino è quella di ridurre il volume complessivo di acqua indirizzata al collettore fognario, adottando misure che, a parità di impermeabilità media del suolo preso in esame, riducano, o al limite distribuiscano nel tempo, la quantità di acqua piovana collettata. La riduzione delle superfici impermeabili che potenzialmente potrebbe essere una soluzione tecnica alternativa, in particolare, se affiancata a tecniche di drenaggio a cielo aperto, non è stata considerata idonea. Gli spazi aperti di pertinenza delle abitazioni sono di dimensioni modeste, pertanto gli interventi dovrebbero essere estesi anche alla strada e agli spazi pubblici con costi di manutenzione aggiuntivi per la Pubblica Amministrazione. Inoltre la fattibilità di tali interventi è fortemente limitata da problemi altimetrici dovuti alla impostazione del piano stradale rispetto alle soglie delle abitazioni. Trascurando l'effetto positivo portato dall'aumento della superficie permeabile presente nel Villaggio, grazie all'introduzione all'interno delle isole ambientali di un maggior numero di aiuole o spazi verdi permeabili (i quali producono certamente un vantaggio anche sotto questo profilo, ma di ordine di grandezza minore rispetto al progetto di riqualificazione idraulica), la raccolta delle acque meteoriche è possibile tramite la semplice introduzione di dispositivi di raccolta e invaso temporaneo quali, ad esempio, semplici cisterne. Il vantaggio di un'ipotesi di riqualificazione idrologica comporta, in questo caso, un'iniziale investimento economico, il cui ritorno in termini di vantaggio monetario può essere quantificato su lungo periodo. A questo va però aggiunto un vantaggio ambientale considerevole sotto almeno due aspetti. Il volume consumato di acqua potabile distribuito dalla rete idrica sarebbe considerevolmente ridotto, poiché il recupero di parte dell'acqua piovana potrebbe essere riutilizzato per alcuni generi di utenza dall'impatto non trascurabile, quali, in ordine di importanza: • L'irrigazione del terreno permeabile tenuto a verde all'interno dei lotti di proprietà delle singole case; • L'utilizzo dell'acqua meteorica per i sanitari (es. ritirata WC), con l'ulteriore vantaggio, che essa è priva o comunque molto povera di calcare, con minor danno agli impianti; • Il dilavamento degli spazi aperti pavimentati, esterni alla casa. In secondo luogo, verrebbe notevolmente ridotto il numero di casi in cui la rete fognaria unitaria scarica parte del proprio volume di acque miste all'interno di ricettori naturali. La rete fognaria, infatti, è dotata di una serie di dispositivi in grado di garantire l'efficiente funzionamento della rete in tempo asciutto, con la conseguenza negativa, però, che la parte che viene allontanata dalla rete non viene sempre avviata verso vasche di laminazione, capaci poi di ricondurla alla rete urbana (e dunque al trattamento delle acque) in un secondo momento, in condizioni di ristabilita normalità. Nel caso del Villaggio Prealpino operare una riqualificazione idrologica come proposto ha anche come obiettivo il miglioramento della qualità delle acque del Garza, riducendo l'immissione di agenti inquinanti avviati verso il corpo ricettore naturale che non è fornito di dispositivi di trattamento sanitario-ambiantale. Per stimare i vantaggi di una simile ipotesi, il primo passo è stato quello di simulare e verificare il comportamento attuale della rete fognaria del Villaggio Prealpino, stanti le attuali condizioni della rete e dell'assetto idrologico dell'abitato, in relazione, in particolare alla percentuale di superficie permeabile e impermeabile 4. Osservando la forma del Villaggio e la sua modulare suddivisione in blocchi omogenei e ortogonali, si può individuare, nell'intersezione tra i lotti di competenza delle singole case, uno spazio in cui stivare in apposite cisterne l'acqua piovana convogliata dalla gronda dei tetti. In questo modo, ipotizzando una cisterna di dimensioni medie (9 m3 di volume di capienza) alimentata dalle grondaie delle quattro case che ad essa afferiscono, si può ridurre sensibilmente l'apporto in fognatura nel caso di eventi meteorici intensi e di breve durata (per l'appunto, gli eventi critici che maggiormente mettono in crisi il sistema fognario). Grazie alla presenza delle cisterne, è possibile annullare l'apporto di acqua dai tetti delle case alla rete, o per lo meno ritardarne l'effetto, nel caso in cui l'evento sia così intenso da riempire la cisterna e solo successivamente avviare alla rete il rimanente apporto di acqua. Per operare il dimensionamento di massima del dispositivo di raccolta si è fatto riferimento alla recente Norma UNI/TS 11445:2012. Tramite questo intervento il numero di volte all’anno in cui si attiverà lo sfioratore che sverserà nel Garza verrebbe ridotto da 37 a 26 ed il volume di acqua sarebbe ridotto del 30%. Oltre a questo vantaggio i cittadini che installeranno questo tipo di cisterne potranno sfruttare l’acqua accumulata per usi non potabili con un conseguente risparmio di una risorsa non rinnovabile, oltre che economico.

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Si è reperita la serie di osservazioni pluviometriche delle piogge registrate all'Istituto Pastori di Brescia nell'intervallo temporale 1949-1993, con la scansione dei dati a 30 minuti. Si è simulata la struttura della rete fognaria del Villaggio ricostruendone fedelmente lo schema in un programma di calcolo gratuito, SWMM 5.0, inserendo i particolari della rete realmente presente (sottobacini di raccolta, condotti, nodi, dispositivi di controllo e sbocco), secondo le informazioni fornite dal gestore della rete del ciclo idrico integrato A2A (riguardo a sezione, materiale, scabrezza e diametro dei condotti, e le quote geodetiche dei singoli punti della rete). Inserendo le serie pluviometriche registrate presso l'Istituto Pastori, si è operata una simulazione del comportamento della rete. Verificata l’efficacia della rete attuale si è valutato l'impatto che avrebbe la realizzazione del progetto di riqualificazione introducendo opportuni dispositivi di stoccaggio dell'acqua piovana convogliata dalle gronde dei tetti, verificando e quantificando la diminuzione delle portate avviate a valle.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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5 | Riqualificazione Energetica Ad oggi sono state molte le modifiche, apportate negli anni, che hanno mutato la realtà dei Villaggi rispetto al progetto originario, ma gli standard urbanistici di vivibilità, applicazione alla lettera delle Unità di vicinato teorizzate dall'urbanista Vincenzo Columbo (1966), sicurezza stradale e servizi accessibili sono una costante dei Villaggi Marcolini. Dato che l’efficientamento energetico delle abitazioni non era un problema all’epoca di costruzione, ma lo è oggi, la valutazione del profilo energetico e del livello tecnologico delle abitazioni è stato un valido motivo di approfondimento e una delle chiavi di volta per la riqualificazione attraverso le più moderne tecnologie. La proposta cerca di rimediare all’obsolescenza delle case Marcolini − per quanto possibile restando nel campo delle manutenzioni straordinarie − ormai inadeguate da un punto di vista energetico, e apportare le dovute modifiche alle singole abitazioni − ed estendendo il ragionamento al Villaggio nella sua interezza − per conciliare l'idea, sempre valida, dei Villaggi, e la nuova necessità dell'efficienza energetica e tecnologica delle case che li compongono. Per procedere con l'ipotesi di riqualificazione, si è reso necessario un lavoro di analisi dell'esistente. Tale presupposto è estremamente importante a livello metodologico, ma anche come bagaglio per le amministrazioni comunali che avendo il polso sullo stato del patrimonio edilizio esistente, potrebbero meglio indirizzare le politiche legate alle ristrutturazioni e sull’offerta abitativa 5. È stato eseguito un sopralluogo, casa per casa, per stimare la quantità di edifici che hanno già adottato singolarmente delle contromisure di ristrutturazione, per esempio attraverso il rivestimento con cappotto isolante, la sostituzione degli infissi, l’isolamento del tetto (con o senza il relativo strato di ventilazione), l’installazione di eventuali impianti solari termici o fotovoltaici, l’allacciamento alla rete urbana del teleriscaldamento (abbandonando la caldaia privata o ancor più vetuste stufe a gas o a legna, peraltro ancora presenti in qualche isolato e minoritario caso). Un primo sopralluogo su un campione di 463 abitazioni del Villaggio (circa il 30%), è stato eseguito con lo scopo di verificare la qualità dell'involucro esterno dell'edificio e delle eventuali modifiche apportate negli anni al progetto originale. Il secondo sopralluogo è stato effettuato su un campione di 100 abitazioni del Villaggio, con lo scopo di indagare la qualità e la tipologia degli impianti atti al riscaldamento invernale. Un terzo sopralluogo è stato eseguito in tre abitazioni con differenti tipologie edilizie (U, M e Condominio), prevalenti all’interno del Villaggio, per valutarne la struttura e proporre degli interventi su misura, ma estensibili a casi analoghi e con l’obiettivo di stimarne i vantaggi. Tali interventi, relativi essenzialmente a manutenzioni straordinarie, riguardano: • coibentazione dell'involucro esterno (pannelli rigidi in lana di roccia con resine termoindurenti), • la sostituzione dei serramenti (tipologia base di serramento in PVC con doppio vetro rivestito esternamente di pellicola selettiva), • l'isolamento del sottotetto (lana di roccia ad alta densità a fibre orientate, rivestito sui due lati da pannelli in lana di legno mineralizzata ad alta temperatura con magnesite). La scelta dei materiali di rivestimento è stata operata all'interno della gamma dei materiali proposti dal software CENED+ 6 - utilizzato anche per la valutazione della classe energetica degli edifici, prima e dopo gli interventi e la valutazione dei costi si è basata sulla consultazione del 'Listino dei prezzi per le esecuzioni di opere pubbliche e manutenzioni' del Comune di Milano, aggiornato al 2012. Questi interventi che come impegno finanziario richiederebbero rispettivamente circa 7.500 € per la tipologia U, 4.000 € per la tipologia M e 6.300 € per la tipologia Condominio (considerando un rimborso delle spese previsto grazie agli incentivi del 55%) permetterebbero: • l’efficientamento energetico dell’edificio stimato in un passaggio di classe energetica da G a D (stima effettuata tramite il programma CENED+) • un risparmio in bolletta compreso tra i 600 ed i 1.200 € • un tempo di ritorno per ammortizzare l’intervento di meno di 5 anni. L'intervento proposto rappresenta una possibilità praticabile che ben risponde a criteri di cura dell’ambientale, in termini di contenimento del consumo di suolo attraverso la valorizzando dell'esistente, di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di CO2. Non si tratta unicamente di un vantaggio economico, quanto soprattutto di una risposta tecnica a una questione etica di tutela del patrimonio ambientale che rappresenta un bene comune di importanza primaria per questa e le prossime generazioni. 5

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Ad esempio le linee guida del governo centrale inglese hanno puntato sul riuso delle aree già urbanizzate tramite un documento dedicato all’edilizia abitativa (Pps 3: housing - Department for Communities and Local Government of United Kingdom, 2006), secondo il quale, a seguito di uno studio locale sul patrimonio edilizio potenzialmente trasformabile, si stabiliva che entro il 2008 la domanda di edilizia residenziale dovesse essere soddisfatta per il 60% attraverso il riuso di aree già urbanizzate e il recupero di edifici esistenti. Tale attività ha avuto significativi effetti sulla riduzione del consumo di suolo (Hart, 2009). Il software CENED+ è un open source utilizzato per il calcolo energetico e per la certificazione energetica in Regione Lombardia e non solo.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città

6 | Conclusioni I Villaggi di edilizia economico-popolare di padre Marcolini rappresentano una realtà interessante e fortemente presente nel tessuto urbano della città e provincia di Brescia. Essi si presentano oggi come realtà vitali, dotate di un buon numero di servizi, pur manifestando un progressivo invecchiamento delle strutture, fisiche e umane, che li compongono. Attraverso una proposta di riqualificazione integrata è stato possibile proporre interventi puntuali e realizzabili, capaci di conservare la struttura del Villaggio in maniera il più possibile fedele, attualizzando il progetto originario in modo completo e trasversale. Il progetto riguarda un villaggio di edilizia economico-popolare, che grazie alle sue attuali caratteristiche si configura come una soluzione rispondente a parametri di vivibilità più significativi di altri, e apportando miglioramenti e innovazioni di natura tecnologica, potrà permettere di inquadrarlo tra le migliori pratiche italiane e forse anche europee. Sulla base di queste premesse, è stata formulata un’ipotesi di riqualificazione integrata per il Villaggio Prealpino di Brescia: un ridisegno dell'arredo urbano e, conseguentemente, della funzione sociale di luogo pubblico della strada (con particolare attenzione alle strade minori, interessate da una minor densità di traffico); un progetto di installazione di cisterne per la raccolta di acqua piovana all'interno di lotti residenziali delle case per ottenere un risparmio di acqua potabile e un alleggerimento del lavoro della rete fognaria e dello scarico di inquinanti nel torrente Garza; uno studio sulla fattibilità di alcuni interventi di coibentazione ed efficientamento energetico delle case Marcolini. La formulazione di queste ipotesi di riqualificazione parte dal presupposto che reti e tessuto urbano siano le componenti strutturanti della città consolidata che i processi di rinnovo possano essere portati avanti solo attraverso azioni integrata pubbliche – private con ricadute sua sul suolo pubblico che su quello privato da cui possono derivate benefici generalizzati per il territorio. L'attenzione agli impianti e la piantumazione lungo le strade, la cura per l'impatto paesistico e le scelte di efficienza energetica, la pianificazione urbanistica e la necessità di operare dovranno essere necessariamente scelte concertate con gli abitanti. Inoltre la consapevolezza della popolazione che un singolo intervento può contribuire in maniera più significativa se inteso come parte di un tutto, dove il “tutto” è il quartiere, non può prescindere dalla politiche urbane, dalla volontà politiche della città e quindi dalla pianificazione del territorio. La consapevolezza delle mutate condizioni di vita delle persone, rispetto alla struttura famigliare e sociale degli anni '50, può portare/dovrebbe portare gli amministratori locali a occuparsi del tema dell'adeguamento urbanistico dei tessuti consolidati. La tenuta di forme di incentivazione basate sul risparmio nelle spese di gestione possono essere quantificate in un risparmio in bolletta (circa 190€ per l’acqua e tra i 650-1250€ per il riscaldamento) che per il caso della cisterna di raccolta dell’acqua piovana viene ammortizzato in 13 anni, mentre per gli interventi efficientamento energetico in 5 anni. La riqualificazione delle strade residenziali potrebbe avvenire tramite un contratto di quartiere ed il costo dell’intervento è stimabile approssimativamente in 100 €/mq. La manutenzione del patrimonio esistente sia per il privato che per la pubblica amministrazione è un importante tema di ricerca e motivo d’innovazione. Il recupero, d’altra parte, potrebbe rappresentare la principale leva per riavviare il settore edilizio al momento in crisi. Il tema del recupero andrebbe ulteriormente approfondito sotto il profilo economico attraverso una proposta di incentivazione da parte della pubblica amministrazione per favorire il privato nella ristrutturazione degli edifici ai fini della riduzione del fabbisogno di energie e risorse primarie. Sarebbe utile inoltre stimare il costo dell’intervento di riqualificazione idrologica e urbanistica in modo da confrontarli con gli oneri eventualmente incassati per la riqualificazione edilizia di tutto o parte del villaggio stesso. È di estremo interesse trovare un equilibrio tra le necessità del pubblico di realizzare delle opere per la comunità, soprattutto all’interno dei tessuti consolidati, e il privato che da un lato ottiene dei vantaggi per la propria abitazione e contemporaneamente anche per l’area che abita nel suo insieme.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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La riqualificazione dei tessuti consolidati: una proposta per i villaggi Marcolini a riconferma del loro ruolo identitario nella città

Bibliografia Busi R. (2000), Padre Marcolini. Dalla casa per la famiglia alla costruzione della città, Gangemi Editore, Roma. Paccanelli I. (a cura di, 2012), La città e la circoscrizione nord al 2011: un quadro demografico, Unità di Staff Statistica del Comune di Brescia. Columbo V. (1966), La ricerca urbanistica - Organica urbanistica, Giuffrè Editore, Milano. Tira M. & Zazzi M. (a cura, 2012), Pianificazione territoriale e difesa del suolo. Quarant’anni dopo la relazione “De Marchi”, Gangemi Editore, Roma. Campbell J. (1987). Il Werkbund tedesco, Una politica di riforma nelle arti applicate e nell'architettura, Marsilio Editori, Venezia. Cortesi L. (1995), Crespi d’Adda villaggio ideale del lavoro, Comune di capriate San Gervasio, Capriate. Bandel H & Machule D. (1974), Die gropiusstadt : der städtebauliche Planungsund Entscheidungsvorgang, Kiepert, Berlino Garuti G. (2008), Il ciclo dell’acqua nella pianificazione del territorio: sistemi naturali sostenibili per la riduzione dell’inquinamento diffuso delle acque in aree urbane, ENEA, Bologna Hart K. (2009), “Politiche e monitoraggio sull’uso e consumo del suolo in Inghilterra”, in Pileri P. (a cura di), “Consumo di suolo, consumo di futuro”, Urbanistica, n. 138/2009, INU Edizioni, Roma, pp. 101-103 Dewhirst R. K. (1960), “Saltaire”, in: Town Planning Review, vol 31/n° 2, Liverpool University Press, pp. 135144 Pensa E. (2009), “L’acqua nei nuovi paesaggi urbani”, in Acqua e città ‘09. EXPO 2015: Idraulica e paesaggio nelle aree urbane. III Convegno nazionale di Idraulica Urbana, Milano 6-9 ottobre 2009, CSDU, Milano. La Loggia G. (2010), “Interventi strutturali e non strutturali per la mitigazione dei rischi di allagamento nelle aree fortemente urbanizzate”, in La riduzione del rischio idraulico nei territori urbanizzati, IV corso di aggiornamento Studio 2010, 21-23 aprile 2010, Milano. Ronzoni M. R. & Ventura V. (2000), “Casi storici ed analisi comparativa con altri significativi interventi di edilizia abitativa”, in Busi R. (a cura di) Padre Marcolini. Dalla casa per la famiglia alla costruzione della città, Gangemi Editore, Roma, pp.237-312

Sitografia Archivio Centro Studi La Famiglia, disponibile su: www.centrostudilafamiglia.it Karrer F. (2012) . Piano di Governo del Territorio del Comune di Brescia, disponibile su Comune di Brescia, Aree e Settori, area gestione del territorio, settore urbanistica, PGT approvato www.comune.brescia.it Ventura & Rubagotti (2011) Piano di Governo del Territorio del Comune di Bovezzo, disponibile su Comune di Bovezzo, Piano di Governo del Territorio www.comune.bovezzo.bs.it

Riconoscimenti Si ringraziano Giovanna Grossi, Alberto Manzoni e Andrea Re per la preziosa collaborazione nella ricerca su questo tema.

Michéle Pezzagno, Anna Richiedei

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi?

Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi? Marco Voltini Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: marco_voltini@hotmail.com Tel: 3383619376

Abstract Stiamo gettando oggi le basi per un nuovo corso della città europea. Per sostenere questa tesi, il paper concentra l'attenzione sulla dismissione delle piccole superfici industriali e sul loro possibile riuso. I media usano il termine “crisi” per indicare un riassetto dei cicli economici e produttivi. Uno dei settori più colpiti è il manifatturiero di piccole dimensioni, la cosiddetta Terza Italia. Molte sono le ragioni del fenomeno: il rallentamento della crescita delle economie occidentali; una crescente concorrenza da parte dei paesi emergenti; un calo della domanda interna, particolarmente forte nel contesto italiano. Data la vastità del fenomeno, il riutilizzo parziale di tali spazi può determinare un significativo riassetto della città, una riscrittura del capitale sociale fisso e una rinegoziazione dei confini tra pubblico e privato. Parole chiave dismissione, Brianza, mixité Il paper riprende e sintetizza alcune delle argomentazioni espresse all'interno della ricerca di dottorato che ho svolto presso il Politecnico di Milano dal titolo ‘il progetto della modificazione’. Viene qui analizzato il Nord Milano e in particolare l'area della Brianza centrale, ovvero quella porzione di territorio comprendente i comuni di Monza, Lissone, Desio, Cesano Maderno, Seregno, Seveso e Meda. Questo ambito spaziale viene studiato alla luce di uno dei materiali urbani più caratteristici: le micro-superfici produttive. La tesi che si cerca di sostenere è che si stiano gettando oggi le basi per un nuovo corso della città europea e che, in questo frangente, il riutilizzo parziale di tali spazi possa determinare un significativo riassetto della città. Simili questioni rappresentano un punto importante per discutere del progetto territoriale in relazione ai modi di vivere lo spazio da parte dei suoi abitanti. La rilevanza del paper dipende dal suo modo di proseguire lungo una tradizione di studi legata ad un'interpretazione morfologica dei fenomeni urbani.

Logica incrementale e capitale territoriale Il Nord Milano e la Brianza in particolare, rappresentano un caso emblematico perché ci mostrano le potenzialità e le problematiche della cosiddetta ‘logica incrementale’. Per logica incrementale si intende un processo di crescita svolto attraverso tante piccole addizioni e incrementi. Tale forma di sviluppo non è esclusiva del Nord Milano, né è un prodotto delle recenti urbanizzazioni. È piuttosto una peculiarità della città europea in generale, qualcosa che ha da sempre caratterizzato i nostri territori. Possiamo ritrovare infatti una ragione incrementale dietro la forma delle città medievali o di alcune città rinascimentali. È però nell'orizzonte del diffuso che possiamo apprezzare meglio le questioni inerenti a questo processo di crescita, perché è qui che emerge una delle rappresentazioni più vivide della città contemporanea. In altre parole è mettendo in relazione la dispersione con la logica incrementale che possiamo ricavare degli utili spunti per il progetto del territorio contemporaneo. Nel caso del Nord Milano, parlare di città diffusa e di logica incrementale significa fare riferimento ad un tempo lungo. Tanto la forma di questo territorio, quanto i processi che l'hanno generata, quanto le immagini e le metafore usate per descriverli hanno radici lontane. Per esempio, già nel 1936, nel Congresso lombardo per la Marco Voltini

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casa popolare, Carlo Alberto Ragazzi segnalava l'emergere di un nuovo tipo di città, una città «dispersa» (Ragazzi 1936: XXIII); mentre Edoardo Flumiani, nella stessa occasione, individuava la città dispersa nella struttura territoriale dell'alta Lombardia (Flumiani 1936: XXX). Possiamo allora riprendere le soglie storiche della Brianza (fig. 1) per osservare come sul finire del XIX secolo – nel passaggio dal 1888 al 1936 – la regione metropolitana milanese abbia iniziato ad assumere la configurazione odierna. A Nord, nel territorio della pianura asciutta, l'emergere di un'economia di tipo industriale favorisce lo sviluppo di una densa urbanizzazione. A Sud di Milano, nel territorio della pianura irrigua, l'urbanizzazione rimane più puntuale e diradata perché l'economia resta legata ad un'agricoltura intensiva.

Figura 1. Soglie storiche della regione metropolitana milanese (elaborazione grafica, centro studi PIM)

La crescita dei nuclei abitati segue per lo più uno shema radiale. Vi sono però due elementi che meritano una particolare attenzione. Il primo è il grande recinto industriale di Sesto San Giovanni che getta le basi per un continuum urbanizzato tra Milano e Monza. Il secondo è la sequenza di paesi disposti lungo la direttrice per Como che inizano a costituire una sorta di città lineare. In entrambi i casi si può vedere come l'urbanizzazione segua le principali linee infrastrutturali. Per questo motivo possiamo pensare che la logica incrementale sia un processo di natura parassitaria, cioè una crescita che dipende – e a sua volta condiziona – dalla struttura del territorio. Marco Voltini

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L'attributo ‘parassitario’ non ha per forza un'accezione negativa. In presenza infatti di un solido supporto le intersezioni tra struttura territoriale e logica incrementale possono dar vita ad un interessante spazio urbano. I problemi attuali della Brianza nascono invece da uno squilibrio tra i due termini. A partire dagli anni sessanta infatti il processo incrementale ha vissuto una violenta accelerazione a cui non ha fatto seguito un adeguato sviluppo del capitale sociale fisso. In uno stretto nesso tra economia e geografia, gli abitanti hanno attivato una serie di trasformazioni puntuali e incrementali a ridosso di un vasto patrimonio ambientale. Oggi tale capitale territoriale non riesce più a sostenere lo sviluppo urbano. La conformazione naturale del territorio – fiumi, colline, vegetazioni spontanee –, l’assetto infrastrutturale ereditato, le tracce di importanti progetti di riordino territoriale come il canale Villoresi1 rischiano di essere compromessi dai nuovi processi di produzione così come da un patrimonio edilizio lontano dall’ottimizzazione delle risorse energetiche (fig.2). Corboz afferma che il territorio europeo è una sorta di palinsesto che reca le tracce delle epoche precedenti (Corboz, 1983). Il nostro è però un palinsesto scompaginato che necessita di un ridisegno globale al fine di mantenere una vivibilità durevole dello spazio.

Figura 2. Il capitale territoriale della Brianza è dato da alcuni importanti sistemi ecologici quali il parco delle Groane, il sistema del Lambro, il parco di Monza e il parco Nord; dalle linee di trasporto pubblico; dal sistema dei vuoti agricoli interclusi

Grandi e piccoli incrementi Da una prospettiva a volo d'uccello, il territorio brianteo può apparire contraddittorio perché mostra il brusco accostamento di oggetti difformi per natura, scala e dimensione: la casa unifamiliare e il grande centro commerciale, l'orto e l'importante asse viario, il giardino privato e il grande contenitore produttivo. È dunque una realtà eterogenea fatta di frammenti giustapposti. Tuttavia, il riconoscere l'eterogeneità della Brianza di per sé non consente una piena comprensione del problema e quindi non è in grado di stimolare un'azione progettuale. Per fare ciò è necessario scomporre la forma del territorio, ossia capire quali sono gli elementi che la costituiscono e analizzarne gli aspetti più sensibili. È necessario andare oltre le differenze linguistiche per osservare le differenze strutturali del territorio, studiando le similitudini, le analogie e le ricorrenze di alcune regole dispositive. 1 Il Canale Villoresi è un importante canale d’irrigazione ideato nel XIX secolo dall’ingegnere lombardo Eugenio Villoresi da cui prese il nome. Ha origine dal fiume Ticino, dalla diga del Pan Perduto in località Maddalena, frazione di Somma Lombardo e si getta nel fiume Adda al termine di un percorso lungo 60 km. Il canale si sviluppa orizzontalmente da ovest verso est, nell’alta pianura di Milano.

Marco Voltini

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi?

Riprendendo le parole di Bernardo Secchi, si può dire che è importante descrivere quali sono i ‘materiali’ che compongono la Brianza. È cioè fondamentale distinguere i materiali semplici da quelli complessi (Secchi e StudioPratoPrg, 1996). I primi sono oggetti elementari il cui significato rimane pressochè invariato nel passare del tempo: un filare d'alberi, una recinzione, un canale. Gli altri sono una composizione di materiali semplici: il parco, la villa, la strada. Costituiscono lo schermo su cui vengono proiettati i valori e gli stili di vita di una precisa società. Per questo motivo il loro significato è deciso volta per volta dai vari gruppi sociali che abitano un determinato spazio. All'interno di un discorso sul progetto contemporaneo, i materiali urbani complessi rivestono un ruolo di primo piano, perché, a partire da un'osservazione delle forme costruite, permettono di cogliere i tratti essenziali legati ai modi e agli stili di vita contemporanei. I materiali urbani della Brianza possono essere suddivisi in due grandi gruppi: quelli che costituiscono il capitale sociale fisso e quelli che determinano l'universo dell'incrementalità. I primi sono portatori di valori collettivi come per esempio l'insieme degli spazi naturali – i vuoti agricoli interclusi, i parchi urbani, le riserve ecologiche –, delle infrastrutture, dei servizi e delle attrezzature. I secondi sono invece dei tasselli afferenti per lo più alla sfera del privato. I due gruppi non si escludono a vicenda, ma vanno intesi come complementari. Una buona parte della riflessione progettuale degli ultimi anni ha concentrato l'attenzione sul primo gruppo di materiali (Macchi Cassia 1998; 2010; Macchi Cassia, Orsini, Privileggio, Secchi, 2004). A mio parere, è però altrettanto importante indagare in chiave progettuale la dimensione incrementale della Brianza, cercando di capire come la modificazione di tali oggetti può concorrere a definire un progetto compiuto del territorio. Per questo motivo il presente studio si concentra sui materiali del secondo gruppo. A tal proposito uno dei testi più interessanti è il ‘Regolamento edilizio della città di Seregno’ redatto da un gruppo di lavoro guidato da Francesco Infussi (Infussi, Gfeller, Longo, 2003). Il testo fissa le principali linee guida per la trasformazione di manufatti esistenti o la realizzazione di nuovi operazioni. Il capitolo sulle direttive è anticipato da una sezione in cui vengono descritti i materiali urbani di Seregno. Questa parte è uno strumento utile ai fini del nostro discorso perché racconta implicitamente anche quali sono i materiali che più ricorrono nel contesto brianteo: la casa unifamiliare su lotto, la casa capannone, la casa negozio, i sistemi aggregati composti da blocchi di abitazione, i grandi recinti produttivi (fig. 3). Nel testo, i vari materiali sono classificati in base a famiglie di recinti e aggregazioni: recinti di edifici bassi unifamiliari, recinti di edifici alti pluripiani, aggregazioni in isolati, recinti e aggregazioni dei grandi contenitori, recinti di spazio aperto. Se però mettiamo in disparte questa sofisticata classificazione e poniamo sullo stesso piano i materiali descritti, possiamo introdurre due scarti rispetto al testo di Infussi, l'uno di ordine dimensionale, l'altro di ordine funzionale. Dal punto di vista dimensionale, i materiali della Brianza possono essere suddivisi in due macro-famiglie, distinguendo cioè i grandi incrementi dai piccoli incrementi. Sono grandi incrementi le macchine della produzione, del commercio, del tempo libero. Nell'immaginario collettivo, le macchine della produzione sono in genere associate ad un'epoca urbana ormai chiusa, quella della città industriale. Molte di loro sono abbandonate o sottoposte a bonifiche e monitoraggi2. Si notano però anche alcuni esempi di riutilizzo, attraverso nuove parcellizzazioni o mediante imprese straniere in cerca di spazi per attività terziarie o produttive (Orsini, 2002)3. Le macchine del tempo libero e del commercio sono invece nuove centralità aggregate attorno a dei nodi o lungo strip commerciali. Entrano in concorrenza con pezzi di città più vecchi, sorti in modo spontaneo e meno organizzato. È una competizione giocata sul comfort e sull'apparente accessibilità ai prodotti. Da una parte stanno i centri commerciali, gli ipermercati, i cinema multisala. Dall'altra sta la sequenza di case-negozio della vecchia comasina, un affastellamento di costruzioni e spazi di risulta. Sono però grandi incrementi anche le placche monofunzionali, ovvero aree pianificate come ambienti univoci – residenziali o logistici –, di media dimensione, promosse da soggetti singoli o aggregati in forme consortili. Gli elementi di permanenza sono dati dai recinti, dal loro carattere introverso e autonomo, dalla banale e parziale articolazione di accessi, strade e percorsi interni. La loro dislocazione dipende da vari fattori, che solo tangenzialmente riguardano il disegno della città: i tempi brevi di costruzione, la posizione strategica, la possibilità di costruire una negoziazione con la pubblica amministrazione, una procedura burocratica snella e senza impedimenti. Nel caso di placche residenziali, il materiale prediletto è il blocco di abitazioni. Il mercato ha visto, negli ultimi anni, l'imposizione di piccole palazzine, isolate o disposte a cluster, volte alla disperata rievocazione del modello culturale della città giardino suburbana. I piccoli incrementi sono invece sedimenti molto più piccoli, ma comunque percepibili a livello urbano. Di questi materiali, i più interessanti sono quelli ibridi, come le case-capannone o le case-laboratorio. La loro ripetizione ha prodotto una fitta mixité funzionale, ossia una stretta compresenza di residenze e luoghi di lavoro. 2

Sono aree monitorate l’ex Acna di Ceriano Laghetto, Cesano, Bovisio e Limbiate,l’ex raffineria e deposito Lombarda Petroli di Villasanta, l’ex Snia di Varedo, l’ex Snia di Cesano, l’ex Alcatel di Vimercate e la Cava Manara di Limbiate. Sono aree già bonificate, l’area dismessa ex Icsam di Bovisio, l’ex galvanica Valtorta di Biassono, le aree dismesse ex Antibioticos (Correzzana) ed ex Nobel Chemicals (Lesmo), oltre a tre aree industriali: Cosmalver-Garto di viale Sicilia (Monza), Philips (Monza) ed ex Chromium Plating Italiana-Cpi di Brugherio – fonte Arpa Lombardia 3 si vedano ad esempio la Pirelli a Seregno, l'Autobianchi a Desio, la Brollo a Desio Marco Voltini

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi?

È una distribuzione omogenea, ma non pianificata. La casa-fabbrica è il frutto di razionalità minimali e individualistiche, basate sull’ottimizzazione delle risorse del nucleo familiare. Tanto sono semplici e ordinate le regole all’interno del singolo lotto, quanto caotico è il pulviscolo a livello urbano. Il percorso del prodotto industriale è una rete scompaginata più che una assembly line fordista.

Figura 3. I principali materiali urbani presenti in Brianza (schemi estratti dal Regolamento edilizio di Seregno)

Rispetto al Regolamento di Seregno, si può poi avanzare un ulteriore scarto, concentrando l'attenzione solo sui materiali produttivi e commerciali. Questa scelta dipende da varie ragioni. In primo luogo, l'emergere di un'economia di tipo industriale ha fondato storicamente il benessere diffuso di questo territorio. Non si tratta solo di grandi poli, ma di un fitto tessuto fatto di grandi e piccole superfici. Sono perciò materiali che hanno giocato un ruolo chiave nel caratterizzare e strutturare l'intera compagine urbana. In secondo luogo, bisogna segnalare la crisi che il settore manifatturiero brianzolo sta attraversando. La recente recessione ha comportato l’uscita dal mercato di molte imprese medio-piccole. Sebbene il sistema economico brianteo nel complesso abbia mostrato una certa tenuta, il manifatturiero ha risentito della crisi. Il declino è lento, ma piuttosto costante. Questo problema che sembra irrilevante a una piccola scala, è una questione critica se proiettato a una grande dimensione. Le cause di questa crisi sono note a tutti: un rallentamento della crescita delle economie occidentali – soprattutto quella europea e soprattutto quella italiana –; una crescente concorrenza da parte di economie emergenti, come quella cinese; un calo della domanda interna dettato, sia da una riduzione dei consumi delle famiglie, sia da un calo degli investimenti (Ausano, Del Tredici, Gandolfi, Mirra, Stucchi, Zanoli, 2012). Questo si ricollega ad un ulteriore questione che è la valenza di questa scelta rispetto ad un discorso più generale circa la dismissione industriale. A partire dagli anni ottanta, la ricerca architettonica e urbanistica ha visto nelle grandi aree industriali dismesse un'occasione molto importante per il ridisegno della città. Aree come la Bicocca, il Lingotto, il Portello erano parse come i luoghi ideali per un'immediata verifica delle riflessioni teoriche. Tuttavia in breve tempo le speranze iniziali sono state disilluse o da una bieca logica speculativa o da una resistenza intrinseca di queste grandi superfici alla trasformazione. Affrontare il problema della dismissione industriale nel contesto brianteo è allora un modo per riprendere quel discorso e verificare se alcune delle premesse da cui era partito possano ancora essere utili al giorno d'oggi. In altre parole, si tratta di riconsiderare la riflessione sulla dismissione e il riutilizzo delle aree dismesse, non più come un fatto localizzato in poche grandi aree, ma come un fenomeno territoriale riferito ad una miriade di spazi discreti. La dismissione briantea non è solo un problema architettonico. Essa dimostra come i confini scalari delle trasformazioni – sociali, politiche ed economiche – si siano ampliati: tanto più globali, quanto più pervasivi.

Marco Voltini

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi?

Mappare il produttivo Alcune utili considerazioni possono essere sviluppate mettendo a confronto le mappe dei piccoli e dei grandi incrementi produttivi. Nel primo caso (fig. 4) si può notare una stretta relazione tra il reticolo infrastrutturale locale e i luoghi del produttivo micro-diffuso. I grandi assi infrastrutturali, non determinano la forma della loro dispersione. Al massimo ne fissano un limite. La distribuzione sul territorio segue logiche locali. Alcune vie, lunghe poco più di un chilometro diventano gli assi lungo cui disporre queste superfici. Se queste vie corrono parallele, allora le superfici industriali tendono a saldarsi, come nel caso di Seregno e Meda. Al contrario, come avviene a Lissone, l’alternanza di direttrici est-ovest e nord-sud dà luogo a un grande reticolo, uniformemente distribuito. La seconda immagine (fig. 5) restituisce al contrario il nesso tra grandi incrementi e le principali direttrici viabilistiche. Le aree commerciali e produttive rappresentano i poli e i nodi di una grande rete regionale. Sono legate ad un utilizzo univoco e settorializzato del territorio. Usano l'infrastruttura per esporre non tanto un prodotto quanto un'immagine, un logo, un simbolo. Allo stesso tempo, costituiscono una zona cuscinetto che tiene separato lo spazio dei flussi dai contesti urbani. Bisogna poi considerare il diverso orizzonte temporale che sta alla base dei grandi e dei picoli incrementi. Come già hanno notato molti studiosi (Consonni e Tonon, 2001; Lanzani, 2003; Orsini 2002), il produttivo diffuso della Brianza è connaturato ad un processo di sedimentazione storica. L’elevata densità edilizia e la dispersione di servizi e luoghi di lavoro sono le peculiarità di questo territorio già dal diciannovesimo secolo, prima dell’avvento della mobilità individuale. È una forma territoriale disegnata da un tempo lungo, che nel secondo dopoguerra e in particolare a partire dagli anni ottanta ha assistito ad un’improvvisa accelerazione. I grandi incrementi sono invece il prodotto dell’ondata edilizia degli ultimi vent’anni. I tempi di concretizzazione sono molto più corti rispetto a quelli del micro-diffuso produttivo. Ne derivano due diverse idee di città. I piccoli incrementi sostanziano la valenza metropolitana del contesto brianteo, perché danno luogo ad una densa mixité e quindi ad una diffusa accessibilità a servizi e attrezzature. Il paesaggio dei grandi incrementi è standardizzato, lo ritroviamo anche in altre realtà italiane (tra Brescia e Bergamo, il basso lago di Garda, la periferia torinese). Esula dalle specificità del luogo e si avvicina di più all’immagine del suburbio americano. I tessuti diventano sempre più settorializzati e la loro mixité cambia: da una grana fine legata a contesti locali, si passa a una grana sempre più grossa legata ad un più ampio bacino di fruitori. I grandi incrementi introducono una riscrittura della dispersione. Dal diffuso si passa allo spazio polarizzato. Impongono razionalità di settore confliggenti, al posto di quelle minimali delle tipologie ibride. Il supporto urbano si fa più rigido e meno articolato (Lanzani e Pasqui, 2011). Infine bisogna sottolineare la modificazione della società che ha accompagnato i grandi incrementi. Si tratta di una trasformazione culturale che ha spostato il centro dal lavoro al consumo. È la promozione dei consumi a scapito del risparmio e dell’investimento. Assistiamo cioè a format predefiniti di consumo, legati a paesaggi e oggetti dal forte contenuto simbolico, che hanno ridimensionato il ruolo di processi spontanei. Tra le principali ragioni vi è sicuramente l’impatto dei mezzi di comunicazione di massa sui comportamenti degli individui. Un passaggio questo che non si è fermato solo alla sfera sociale, ma ha investito anche la forma della città (Lanzani e Pasqui, 2011). Il Nord Milano è scelto come campo di sperimentazione, perché la sua complessità costringe ad adottare nuove strategie progettuali. È un territorio pianificato, ma le numerose politiche locali vengono attuate al di fuori di un indirizzo generale; si può notare una grande eterogeneità dell’urbanizzazione diffusa, eppure, ad altezza uomo tutto il territorio ci sembra uguale; offre l’immagine di una realtà immersa nella natura nonostante l’esteso consumo di suolo. Per questi motivi nel Nord Milano, ancor più che in altri territori europei, la soluzione non è da ritrovare in un gesto architettonico a sé stante, né in una grande operazione slegata dal contesto. Non è nemmeno un problema di aumento delle densità edilizie. Si tratta piuttosto di mettere a punto una strategia globale che investa gli spazi della vita quotidiana, senza inficiare le qualità che abbiamo notato. In altre parole si tratta di progettare la mixité. Nella mixité delle funzioni il territorio brianteo esprime il suo essere città. È grazie ad essa che si possono esplicare ancora relazioni simultanee tra punti diversi. Si tratta di una specie di “rete di reti” che tiene insieme i singoli spazi e favorisce la coesistenza di modi d’uso e stili di vita differenti. Il progetto della mixité deve in particolare fronteggiare due questioni. Da un lato bisogna riconoscere che lavorare sulla mixité comporta un’azione per punti discreti. Si procede cioè per salti, differenze e discontinuità. Ne risulta una forma difficile da controllare. La domanda dunque è: come si può dare un senso a un insieme di interventi puntuali? Qual’è la logica che permette una modificazione complessiva pur procedendo per piccoli cambiamenti? Dall’altro parlare di mixité significa guardare al modo in cui le persone usano il proprio spazio. Possiamo quindi dire che si tratta del progetto di un processo. La sfida posta dalla mixité induce il progetto ad accettare un certo livello di incertezza. Come si può allora definire una mixité diversa da quella odierna, basata sulla prossimità di spazi di lavoro e spazi di abitazione? Come si può introdurre nello spazio urbano un’altra mixité, in cui entrano in gioco anche altri termini come servizi, attrezzature, spazi del loisir? Marco Voltini

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialitĂ di una crisi?

Queste sono le domande da cui dovrebbero partire i futuri progetti territoriali.

Figura 4. La mappa dei piccoli incrementi produttivi presso Meda

Figura 5. La mappa dei grandi incrementi produttivi Marco Voltini

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Produttivo micro-diffuso. Le potenzialità di una crisi?

Bibliografia Ausano C., Del Tredici A., Gandolfi E., Mirra P., Stucchi M., Zanoli E. (2012), Brianza economia: rapporto 2012, Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura Monza e Brianza Consonni G., Tonon G., (2001) La terra degli ossimori. Caratteri del territorio e del paesaggio della Lombardia contemporanea. In Bigazzi D., Meriggi M., (a cura di) Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Lombardia, Einaudi, Torino Corboz A. (1983), ‘Le territoire comme palimpseste’ in Diogene, n. 121, pp. 14 – 35 Flumiani E. (1936), Intervento al Congresso lombardo per la casa popolare, I seduta, 11 gennaio, in Atti del Congresso lombardo per la casa popolare, p. XXX Infussi F., Gfeller C., Longo A. (2003), Città di Seregno: regolamento edilizio: guida agli interventi e alla valutazione del progetto, Comune di Seregno Lanzani A. (2003) I paesaggi italiani, Meltemi, Roma Lanzani A., Pasqui G. (2011) L’Italia al futuro: città e paesaggi, economie e società, FrancoAngeli, Milano Macchi Cassia C. (a cura di, 1998) Il Progetto del territorio urbano, Franco Angeli, Milano Macchi Cassia C., Orsini M., Privileggio N., Secchi M. (2004), XMilano, Hoepli, Milano Macchi Cassia C. (2010) ‘Milano, nuove centralità’. in Storchi S., Armanni O. (a cura di), Centri storici e nuove centralità urbane. Progetto di ricerca dell’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici, Alinea Editrice, Firenze. Orsini M. (2002), Edifici e superfici produttive nel territorio milanese contemporaneo, tesi di dottorato - relatore Cesare Macchi Cassia; coordinatore Bernardo Secchi, IUAV, Venezia Ragazzi C. A. (1936), Intervento al Congresso lombardo per la casa popolare, I seduta, 11 gennaio, in Atti del Congresso lombardo per la casa popolare, p. XXIII Secchi B. & StudioPratoPrg, (1996), Un progetto per Prato, Alinea Editrice, Firenze

Sitografia Evoluzione della struttura insediativa dell'area metropolitana milanese disponibile al sito del centro studi Pim http://www.pim.mi.it/SIT/Archivio_cartografico/archivio_5.html

Marco Voltini

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Il segno meno. La ristrutturazione di progetti di trasformazione urbana e accordi pubblico - privato al tempo della crisi

Il segno meno. La ristrutturazione di progetti di trasformazione urbana e accordi pubblico – privato al tempo della crisi Valentina Antoniucci * Dottoranda in Ingegneria Gestionale ed Estimo Università degli Studi di Padova Dipartimento di Ingegneria Edile Civile e Ambientale (DICEA) Email: vale.antoniucci@gmail.com 1

Ezio Micelli* Università IUAV di Venezia Dipartimento di Architettura Costruzione Conservazione (DACC) Email: ezio.micelli@iuav.it

Abstract Lo sviluppo di progetti urbani promossi mediante forme di parternariato si è basato su alcuni fondamenti non più verificabili nell’attuale congiuntura economica. In particolare, l’accordo pubblico - privato si fonda, sotto il profilo economico, sulla ripartizione del plusvalore esito delle scelte amministrative circa la quantità e la qualità delle potenzialità edificatorie degli immobili a fronte del co - finanziamento delle parti pubbliche della città. Tali modelli di promozione dello sviluppo urbano mostrano la loro inefficacia nell’attuale contesto economico, nell’ambito del quale assistiamo alla difficile, quando non impossibile, attuazione delle trasformazioni urbane alle condizioni alla base dell’accordo stesso. In numerosi recenti casi di sviluppo urbanistico infatti, la severa riduzione dei valori di commercializzazione dei beni determina una contrazione tale della redditività da minare la convenienza dell’investimento immobiliare stesso. Pertanto, il soggetto pubblico vede venire meno le condizioni alla base della promozione della partnership pubblico - privata, poiché non ottiene le aree e le opere di cui si aspettava la realizzazione per l’impossibilità della parte privata di promuovere l’intervento. Amministrazione e privati devono confrontarsi con la necessità di gestire minusvalenze che mettono a rischio la sostenibilità economica delle operazioni immobiliari sia per le parti pubbliche che per quelle private. Sotto il profilo teorico ed empirico, la ricerca evidenzia come il recupero di redditività necessita di una profonda revisione delle operazioni di sviluppo, tesa a incidere su tutti i determinanti del costo delle operazioni. La fattibilità di piani e progetti passa per un diverso rapporto con la domanda, adottando non più la tradizionale push strategy degli anni del boom, quanto la ricognizione attenta delle istanze dell’utente finale allo scopo di ridurre rischio dell’investimento. Ancora, la diminuzione del potenziale di edificazione può concorrere alla sostenibilità dei progetti per effetto di una riduzione dei costi medi attesi, soprattutto ove le densità fondiarie determinano oneri non compatibili con i valori di mercato attuali. Parole chiave partnership pubblico/privato, valutazione di piani e progetti.

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Il paper è frutto del lavoro congiunto tra gli autori. Tuttavia Valentina Antoniucci ha curato la stesura di Affrontare il nuovo contesto, Il ritorno alla domanda immobiliare e Conclusioni mentre Ezio Micelli ha curato Introduzione e Il Paradosso della densità.

Valentina Antoniucci, Ezio Micelli

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Il segno meno. La ristrutturazione di progetti di trasformazione urbana e accordi pubblico - privato al tempo della crisi

Introduzione La crisi economica avviata nel 2008 dispiega i suoi effetti con particolare durezza nella costruzione della città, sia pubblica che privata. I dati economici mostrano la profonda difficoltà in cui versa il settore delle costruzioni. Se in una prima fase, nel biennio 2008 - 2010, tale contrazione del mercato immobiliare è apparsa congiunturale, i segnali della recessione dell’industria edilizia sono ormai a tal punto consolidati da lasciar ipotizzare un mutamento strutturale. La crisi del settore immobiliare, così come la crisi occupazionale e l’impoverimento delle famiglie sotto il profilo reddituale, incide sulla forma della città e sulle modalità della sua trasformazione. Un contesto così mutato nelle sue caratteristiche strutturali impone una revisione delle premesse e dei fondamentali tradizionalmente considerati alla base della trasformazione urbana. Le politiche di gestione dello sviluppo urbanistico nel decennio 1998 - 08 sono state rivolte principalmente alla regolamentazione della pressione insediativa e della trasformazione urbana. Gli strumenti attuativi di piani e progetti hanno conosciuto una fase di significativa innovazione, orientata alla ripartizione della rendita urbana frutto delle previsioni urbanistiche (Camagni, 1993). In termini economici, le modalità di ripartizione del plusvalore fondiario esito delle scelte amministrative sono state il fulcro dello sviluppo del partenariato pubblico - privato in Italia. Gli accordi di programma, i programmi complessi, la perequazione urbanistica da un lato e la finanza di progetto dall’altro, con particolare riferimento al project financing anche nelle sue forme più evolute, hanno rappresentato strumenti tesi ad una più equa ed efficiente allocazione della rendita tra soggetto pubblico e operatori privati (Micelli, 2011). Il prelievo di quote del plusvalore fondiario per la costruzione condivisa della città pubblica ha rappresentato il fondamento dello sviluppo di tali dispositivi attuativi. L’attuale stallo della promozione dei progetti pone radicalmente in crisi simili assunti. Cosa accade quando oggetto dello scambio tra developer e Amministrazione è, alla luce della progressiva erosione dei valori immobiliari, la ripartizione delle minusvalenze esito della crisi immobiliare? Si assiste al moltiplicarsi di progetti di trasformazione urbana in difficoltà che condizionano lo sviluppo della città: costruzioni che non vengono portate a compimento o cantieri avviati e mai conclusi. Lo stallo dei progetti urbani è determinato dalla distanza tra le condizioni di fattibilità assunte alla base dei programmi di sviluppo e le attuali condizioni del mercato immobiliare. Il presente contributo affronta dunque la necessità di rileggere attraverso nuove strategie le tradizionali componenti della fattibilità economico finanziaria dei progetti di sviluppo urbano, con particolare riferimento alle condizioni di ristrutturazione economica dei progetti privi dei requisiti di fattibilità. Il paper è articolato in tre parti. La prima analizza i principali fattori di crisi delle operazioni di sviluppo a scala urbana in riferimento alle componenti economiche e alle ricadute sugli strumenti attuativi delle stesse; la seconda delinea un nuovo orientamento per il recupero degli investimenti immobiliari in relazione al rapporto tra densità e sviluppo urbano mentre l’ultima parte descrive il rapporto tra progetto e nuove strategie di approccio alla domanda immobiliare quale fattore di successo degli investimenti.

Affrontare il nuovo contesto La fattibilità del progetto a scala urbana negli anni del boom ha beneficiato di una spinta espansiva centrata su tre elementi prevalenti: il costante incremento dei valori di mercato, la facilità di accesso al credito a tassi contenuti e la finanziarizzazione del mercato immobiliare, che ha concentrato nel mercato nazionale capitali ingenti per l’investimento immobiliare. Parallelamente al consolidarsi di tale spinta espansiva, gli strumenti di gestione dei piani e progetti hanno subito profonde innovazioni, orientandosi verso l’attuazione della trasformazione urbana congiunta tra pubblico e privato. In tutte le forme di parternariato, adottate alla scala del progetto, il soggetto pubblico beneficia di opere o servizi aggiuntivi rispetto ai minimi di legge, a fronte di condizioni di sfruttamento delle potenzialità edificatorie più vantaggiose per gli operatori privati, sia in termini di variazione delle destinazioni d’uso ammesse che rispetto ad incrementi volumetrici. Il fondamento dell’accordo tra soggetto pubblico e operatore privato risiede, sotto il profilo economico, nella ripartizione del plusvalore esito delle scelte urbanistiche amministrative (Urbani, 2000). Gli operatori individuano dunque nell’incremento volumetrico il mezzo per la remunerazione degli investimenti nella definizione congiunta dei contenuti dello sviluppo immobiliare. Si ricorda infatti che in Italia nel decennio tra il 1998 e il 2008, pur in misura inferiore che nel resto d’Europa, il prezzo medio degli immobili in tutti i segmenti di mercato è aumentato del 60% (Morelli, 2009). Pertanto i developer hanno valutato conveniente sostenere costi significativi e crescenti in termini di acquisizione delle aree e cessioni extra – standard, ritenendo l’incremento volumetrico consentito dall’Amministrazione funzionale alla remunerazione dell’investimento. Molte delle strategie di densificazione volte al contenimento dello sprawl e al recupero urbano, promosse da diversi Comuni italiani, hanno tali condizioni economiche e attuative a loro fondamento (Gibelli, Salzano, 2008). Si pensi, a mero titolo esemplificativo, ai grandi e importanti programmi integrati di intervento nel cuore di Milano o al progetto ‘Grandi Stazioni’ a Roma – Tiburtina. Il contesto odierno appare radicalmente mutato e gli Valentina Antoniucci, Ezio Micelli

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accordi di natura pubblico – privato fondati su tali presupposti restano sempre più frequentemente inattuati, lasciando visibili cicatrici in molte realtà italiane. Nel quinquennio 2008 – 13 il prezzo medio degli immobili è sceso complessivamente del 14% e del 4% solo nell’ultimo anno, e in special modo nei grandi capoluoghi, mentre le transazioni immobiliari hanno segnato una diminuzione nel 2012 di 330.000 unità rispetto al 2011: una riduzione pari al 25% in un solo anno con una tendenza negativa confermata per il 20132. Il perdurare della diminuzione di valori e transazioni trova origine in due fattori principali: il primo è la significativa contrazione del credito per investimenti erogato dagli istituti bancari. Tale aspetto è noto e ha una rilevante componente macroeconomica relativa alla crisi dei debiti sovrani e alle scarse prospettive di crescita del Paese3. La seconda causa risiede nell’assenza di spinta demografica che si coniuga con il peculiare assetto patrimoniale delle famiglie, attualmente in larga parte già proprietarie di una prima abitazione. Simili condizioni del mercato immobiliare non consentono di sostenere i costi marginali crescenti che caratterizzano un progetto di densificazione urbana. A fronte delle mutate condizioni del mercato immobiliare, appare dunque sensato mettere in discussione uno dei presupposti fondativi della sostenibilità economicofinanziaria di molti accordi pubblico-privato: l’incremento delle volumetrie consentite non è più la risorsa funzionale alla promozione dello sviluppo immobiliare, ma diviene il limite alla sua concreta realizzazione.

Il paradosso della densità I contenuti dell’accordo devono dunque essere profondamente rivisti: l’obiettivo non è più l’equa ripartizione tra i soggetti compartecipi dello sviluppo del plusvalore, ma diviene di frequente la gestione delle minusvalenze in capo al developer, incapace di attuare sia i contenuti privati del progetto che le dotazioni territoriali alla base dell’accordo stesso. La contrazione della domanda e la conseguente riduzione dei valori di mercato impongono, per ripristinare condizioni di fattibilità, una revisione dei costi di produzione industriale e dei costi amministrativi del progetto. Ciò è possibile attraverso una diminuzione delle quantità di progetto tale da rendere nuovamente sostenibili i costi di produzione, ovvero attraverso una riduzione della densità rispetto a quella ammissibile, che consenta di ritrovare un margine per il promotore immobiliare, seppur più contenuto che nelle ipotesi iniziali alla base dello sviluppo. L’elevata densità infatti determina l’incremento dei costi di costruzione in funzione di tipologie particolarmente complesse – una su tutte la torre, sia essa a destinazione residenziale o direzionale – caratterizzate primariamente da un’importante componente impiantistica, la cui incidenza è particolarmente onerosa sul costo di costruzione complessivo. Quest’ultimo può inoltre essere reso più gravoso dal reperimento degli standard privati e degli standard urbanistici, oltre agli oneri aggiuntivi esito della negoziazione pubblico - privato. Merita poi sottolineare che progetti ad elevata densità sono caratterizzati da costi che eccedono largamente l’ordinarietà rispetto ad edifici in contesti di bassa e media densità. Nel caso dello standard pubblico poi, il costo amministrativo può essere trasferito in larga parte in capo al costo di costruzione, qualora l’impossibilità di reperire standard al suolo venga compensata dalla cessione dei cosiddetti ‘standard qualitativi’: immobili a destinazione sociale la cui realizzazione viene assunta dal developer o la destinazione di parte degli edifici a sviluppo privato per funzioni pubbliche. L’impossibilità di reperire gli standard caratterizza i contesti ad elevata densità e pertanto essi vengono usualmente monetizzati con un incremento significativo del costo amministrativo. L’incidenza di elevati costi marginali, in un contesto ordinario, veniva sostenuto dall’operatore privato poiché l’incremento di capacità edificatoria garantiva un conseguente aumento dei margini di profitto. Allo stato attuale, l’aumento dei costi marginali di produzione risulta insostenibile a fronte della contrazione dei ricavi. Va evidenziato infatti che la rischiosità degli investimenti connessi a tipologie tipiche dell’alta densità è significativamente superiore alle costruzioni che caratterizzano la media - bassa densità. Non è possibile ipotizzare sviluppi immobiliari per stralci, funzionali all’articolazione delle vendite nel tempo, nel caso di tipologie a torre o a blocco. Un simile rischio d’impresa necessita di remunerazioni superiori che oggi non trovano rispondenza nelle condizioni di mercato.

Il ritorno alla domanda immobiliare La revisione di progetti concepiti negli anni del boom gioca un ruolo centrale: la riduzione delle volumetrie permette di semplificare lo sviluppo e di realizzare tipologie meno onerose, ma soprattutto appare significativo 2 3

Fonte: Agenzia delle Entrate Per un approfondimento della crisi immobiliare negli Stati Uniti si veda Coppola (2012) mentre per il rapporto tra crisi finanziaria e mercato immobiliare si rimanda a Brondino et alii (2011)

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un approccio più attento all’effettiva domanda, sia in termini di selezione del segmento immobiliare che rispetto alla qualità del prodotto edilizio. Il boom edilizio ha consentito la diffusione di investimenti poco centrati in termini di prestazioni energetiche dell’edificio e di soluzioni tipologiche standardizzate, non al passo con l’effettiva evoluzione della domanda immobiliare, sia rispetto alle reali esigenze delle aziende che delle famiglie. Il Censis rileva come nel 2012 l’intenzione di acquistare un immobile è stata espressa da 907.000 famiglie per una domanda residuale non soddisfatta pari a 44 milioni di mq (Censis, 2012). L’analisi delle motivazioni all’acquisto fornisce indicazioni chiare rispetto a quali siano le caratteristiche degli immobili che hanno ancora un mercato attivo, sia in termini tipologici che qualitativi, almeno per quanto concerne il segmento residenziale. I nuclei monogenitoriali, formati dalle ‘scissioni’ familiari, sono 2,4 milioni e le coppie senza figli sono pari a 5 milioni sul totale: tale segmento della popolazione non trova nell’offerta di alloggio soluzioni congrue alle proprie esigenze in termini di articolazione e qualità degli spazi. Il taglio del mini-appartamento che tanta diffusione ha trovato nei contesti di espansione caratterizzati da una medio-bassa qualificazione architettonica e tecnologica non risponde alle esigenze di lavoratori, anche particolarmente qualificati, che necessitano di una nuova abitazione a causa del cambiamento della struttura familiare. Il 70% delle famiglie infatti cerca un’abitazione di medie dimensioni, tra i 51 e 110 mq (Censis, 2012). Nella selezione dei contenuti dello sviluppo immobiliare, il ritorno alla ricognizione della domanda effettiva, in tutti i segmenti di mercato, può essere sintetizzato nell’adozione di una strategia pull o market pull: innovazione, ricerca e produzione muovono dai bisogni ed esigenze espressi dal mercato, in opposizione ad una tradizionale push strategy che individua gli utenti potenziali a valle del processo di ricerca e sviluppo. Tale antinomia, mutuata dall’economia aziendale, rappresenta chiaramente la necessità di destinare le scarse risorse a disposizione a progetti e programmi di sviluppo mirati, che possano trovare un’effettiva collocazione sul mercato e siano frutto di una attenta ricognizione, anche a scala locale, della domanda immobiliare. Una stategia market pull può essere declinata attraverso la produzione di tipologie e alloggi sviluppati ex ante sulle istanze degli abitanti o utenti cui sono destinate, anche nella definizione dell’articolazione funzionale. Non si tratta di intraprendere percorsi di condivisione come nel caso di progetti ad alto contenuto sociale per la prevenzione dei conflitti, ma si tratta di mutuare una logica di definizione delle esigenze, alla scala del progetto, al fine di ridurre e contenere il rischio dell’impresa. Ulteriore precisazione di tale logica è la possibilità di incrementare la mixitè funzionale, anche alla scala dell’edificio, in concomitanza con la riduzione delle potenzialità edificatorie. Un caso esemplificativo di ristrutturazione di un progetto a scala urbana, fondato sulla riduzione della capacità edificatoria e sulla ridefinizione delle funzioni insediate, è il piano di recupero dell’ex deposito ACTV a Venezia Mestre, adottato ma non ancora concluso nell’iter di approvazione. Il primo progetto di recupero prevedeva la realizzazione di sette edifici, tra cui un parcheggio multipiano destinato ad accogliere gli standard, per una superficie lorda pari a poco meno di 30.000 mq di slp così articolati: oltre 15.500 mq di residenze, poco più di 9.000 mq a destinazione commerciale, meno di 2.000 mq per la funzione direzionale e infine 3.000 di edilizia convenzionata. Il promotore dello sviluppo immobiliare, a quasi due anni dall’approvazione del piano ne chiede la revisione all’Amministrazione Comunale con una riduzione del 50% della volumetria già concessa e, a causa dell’immobilità del mercato immobiliare locale, tutta relativa alla realizzazione di funzioni residenziali. Gli edifici si riducono al numero di tre: l’autosilos lascia spazio alla realizzazione di parcheggi a raso e, oltre alle piastre commerciali di cui è già stato individuato il gestore, viene realizzata un’unica torre di venti livelli a destinazione mista. Appare importante sottolineare come tali scelte siano richieste dall’operatore privato a fronte di un percorso di ricognizione del mercato locale che ha portato a ridefinire le funzioni maggiormente appetibili, pur in presenza di un progetto il cui iter amministrativo risultava concluso.

Conclusioni Ripristinare condizioni di fattibilità dei progetti a scala urbana implica un ripensamento del tema della densità, e in particolare della convenienza dell’incremento della capacità edificatoria, alla base di molti progetti promossi mediante parternariato pubblico-privato. Allo stesso modo, è opportuna un’analisi della domanda più raffinata al fine di ridurre il rischio imprenditoriale connesso all’investimento e al suo finanziamento. Il tema apre diversi possibili filoni di ricerca: centrale può essere la definizione di una soglia di concentrazione edificatoria oltre la quale non è possibile garantire la sostenibilità dell’operazione immobiliare. Un simile approfondimento necessita di un’ampia casistica empirica che consenta di verificare puntualmente l’incidenza delle singole voci di costo a parità di ricavi, ovvero di valori di mercato. Un particolare aspetto di interesse in questo senso è la sperimentazione di tipologie innovative volte a contenere il rischio dell’investimento immobiliare che trovano alcune prime applicazioni in Europa, in particolare in Olanda, ove interventi di rigenerazione urbana sono stati promossi, ad esempio, attraverso la riproposizione del

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lotto gotico, caratterizzato dalla sequenzialità della costruzione al passo con la commercializzazione degli immobili finiti. E ancora, sempre nel solco della ristrutturazione dei progetti mediante una riduzione delle potenzialità volumetriche, dovrà essere approfondito l’aspetto legato alla variazione, in termini di accordo pubblico - privato, anche dei contenuti pubblici del progetto, al fine di verificare il ripristino di condizioni di equilibrio nella determinazione dell’ammontare del beneficio per i soggetti coinvolti. Alla scala del piano infatti, previsioni ormai ampiamente sovradimensionate risultano un ostacolo alla promozione di nuovi interventi di trasformazione urbana poiché gravati da importanti quote di cessioni extra - standard non più coerenti con la fattibilità odierna dei progetti. Una simile riflessione impone dunque un ripensamento, anche teorico e disciplinare, dei contenuti della città pubblica al tempo della crisi.

Bibliografia Brondino G., Curto R., Fregonara E. (2011), “Mercato immobiliare e crisi finanziaria. Aspetti interpretativi e valutativi”, in Valori e valutazioni. Teorie ed esperienze, n.6, pp. 91 – 99. Camagni R. (1993), Principi di economia urbana e territoriale, Carrocci Editore, Roma. Censis (2012), Atlante della domanda immobiliare, Fondazione Censis, Roma. Coppola A. (2012), Apocalypse town, Laterza, Milano. Gibelli M.C., Salzano E., (a cura di, 2008) No sprawl, Alinea, Firenze. Lanzani A., Moroni S. (a cura di, 2007) Città e azione pubblica. Riformismo al plurale, Carrocci Editore, Roma. Micelli E. (2011), La gestione dei piani urbanistici. Perequazione, accordi, incentivi, Marsilio Editori, Venezia. Morelli G. (2009) “L’industria dell’immobiliare e la crisi. Una risposta strutturale dai servizi integrati per i patrimoni immobiliari e urbani” in Economie dei Servizi, n. 2, pp. 169 -176. Urbani P. (2000) Urbanistica consensuale. La disciplina degli usi del territorio tra liberalizzazione, programmazione negoziata e tutele differenziate, Bollati Boringhieri, Torino.

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E’ ancora possibile un progetto pubblico per Milano? Governare le trasformazioni urbane in fase di crisi

E’ ancora possibile un progetto pubblico per Milano? Governare le trasformazioni urbane in fase di crisi Andrea Arcidiacono Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: andrea.arcidiacono@polimi.it Laura Pogliani Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: andrea.arcidiacono@polimi.it

Abstract Il paper si propone di riflettere su due questioni. In primo luogo si guarda a quali condizioni possano garantire una maggiore efficacia alla regia pubblica, nelle componenti politiche e tecniche, nel governo negoziale delle trasformazioni urbane. Dall’altra si prova ad indagare quali possano essere, in una fase di scarse risorse economiche e fondiarie, i margini di operatività nel realizzare un miglioramento delle condizioni qualitative dell’ambiente urbano. Il campo di riferimento è costituito dalle recenti esperienze milanesi di attuazione dei PII, in particolare guardando alle ricadute spesso insoddisfacenti per la collettività, non solo in termini di dotazioni di servizi e aree d’uso pubblico, ma soprattutto nella capacità degli interventi di migliorare le condizioni di qualità urbana. A partire dalla recente approvazione del nuovo PGT di Milano, il paper indaga le nuove strategie e azioni introdotte nella regolazione delle trasformazioni urbane, in particolare verificando modalità di governo e valutazione dei progetti in relazione alla definizione di priorità nella dotazione della città pubblica. Parole chiave Trasformazioni urbane, Negoziazioni pubblico privato, Progetto della città pubblica

1 | Nodi e prospettive per una negoziazione leale Il rapporto pubblico/privato costituisce il nodo sostanziale delle politiche urbanistiche contemporanee. Forme di regolazione più flessibili rispetto alla strumentazione tradizionale sono state privilegiate nel quadro legislativo nazionale e regionale degli ultimi vent’anni per favorire una maggior efficacia alle politiche di rigenerazione urbana. La riforma lombarda del 2005 ha sancito il superamento della logica di pianificazione “a cascata”, in favore di un processo di concertazione tra i diversi soggetti pubblici e privati che agiscono sul territorio con l’intento di attribuire un ruolo decisionale determinante agli operatori privati nella riqualificazione urbana e nella predisposizione di attrezzature e servizi. E’ proprio la discrezionalità amministrativa nella sottoscrizione dell'accordo a rappresentare un fattore cruciale di interesse ma, al tempo stesso, un terreno ambiguo sotto diversi profili (giuridico, sociale, politico). In particolare, la “pianificazione per accordi” appare equa se offre un vantaggio pubblico comparabile ai vantaggi privati quantitativamente consistente e qualitativamente coerente con gli obiettivi perseguiti dalla pianificazione generale. Altrimenti lo scambio si rivela ineguale (Curti, 2006), a danno della collettività, come è spesso accaduto negli anni scorsi, pur in fasi di mercato particolarmente favorevoli, quando si sono percepite le difficoltà delle pubbliche amministrazioni nella gestione dei processi concertativi, probabilmente da imputare anche ad una carente programmazione delle priorità pubbliche, incapace di definire una diretta corrispondenza tra esazioni richieste nella concertazione e opere di interesse collettivo da realizzare (Urbani, 2010).

Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani

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Un potenziale sostegno alla formazione di un corretto rapporto p/p proviene dalla separazione fra la fase strutturale e quella operativa. Questa consente una netta distinzione tra il momento di prefigurazione di un disegno generale, ampiamente partecipato, e quello di assegnazione dei diritti edificatori, che va sottoposto all’effettiva negoziazione, anche con il ricorso di procedure concorsuali, per ottenere il migliore risultato in termini di vantaggio pubblico e qualità urbana. Nelle maggior parte delle pratiche correnti si assiste invece all’incapacità di operare una netta separazione tra il livello strutturale e quello operativo, con la conseguenza di far maturare una contestuale aspettativa edificatoria, e pertanto una rendita fondiaria dei suoli che è stata finora la causa principale di condizionamento sia per la qualità e l’attrattività della città che per l’efficacia di imprese e investitori (Campos Venuti, Oliva, 2010). La carenza di moderne figure di imprenditori immobiliari, capaci di gestire rischio di impresa e il concorso fra differenti opzioni, magari innovative, costituisce oggi un problema di rilievo. Non è un caso che il ricorso a bandi di confronto concorrenziale tra proposte differenti o tra localizzazioni alternative di ipotesi di trasformazione e sviluppo trovi rara applicazione, risolvendosi il più delle volte rispetto a semplici logiche finanziarie, in base cioè alla miglior offerta economica, senza entrare nel merito della qualità delle alternative progettuali e soprattutto della verifica degli impatti, singoli e cumulati, prodotti dalle trasformazioni. Da ultimo, l’innovazione forse più significativa della riforma lombarda concerne l’applicazione del meccanismo perequativo, il cui obiettivo primario dovrebbe consistere nell’acquisizione selettiva al pubblico di aree per servizi ritenuti prioritari in base ad una verifica preliminare dei bisogni locali. Al contrario, la legge regionale l’ha caratterizzato univocamente come libera commerciabilità dei diritti volumetrici al fine di compensare l’inedificabilità di alcune aree. Gli elementi distorcenti di tali indicazioni hanno avuto un particolare riflesso nel caso milanese, laddove il PGT, approvato dalla precedente giunta Moratti, distribuiva volumi virtuali e “mattoni di carta”, rendendo possibili vertiginose densificazioni dei tessuti consolidati e compatti, secondo una logica speculativa, che il nuovo PGT approvato nel 2012 ha inteso limitare.

2 | Processi di pianificazione e pratiche negoziali in trent’anni di sviluppo urbano Milano è un polo di servizi a scala nazionale e internazionale (Bassetti, 2005). E’ la città italiana ove maggiormente si concentrano ricchezza e produzione: vi si produce un decimo del Pil nazionale, un terzo se si considera l’intera regione urbana, ma in forma sempre più polarizzata: il 4% della popolazione genera il 30% del reddito ma il 17% della popolazione è al di sotto del reddito medio (Ranci, 2009). Negli ultimi 30 anni la città ha perso quasi un terzo della sua popolazione, oggi conta 1.3 milioni di abitanti, una dimensione modesta per una metropoli europea. Risulta differente il peso demografico di Milano se si considera la sua configurazione metropolitana, con una popolazione di quasi 3 milioni di abitanti che gravita, in gran parte, sul capoluogo come “city users” (Martinotti, 1993), ma che vive diffusa nella provincia milanese e in altre province confinanti. Un decentramento insediativo non pianificato che è stato determinato, da un lato, dal peggioramento delle condizioni insediative e della qualità ambientale del capoluogo, con un mercato urbano con valori immobiliari sempre più alti, e dall’altro dallo sviluppo della motorizzazione privata; concause di un intenso processo di urbanizzazione dei suoli agricoli continuato con ritmi eccezionali per oltre 50 anni (Arcidiacono et al. ed, 2012). Le condizioni insediative attuali sono difficili. Il territorio comunale, esteso su una superficie di 181 kmq, è urbanizzato all’80% e la densità abitativa, mediamente pari a 71 ab/ha, raggiunge densità fino a 200 ab/ha nella prima corona di sviluppo otto - novecentesco attorno al centro storico (Comune di Milano, 2003). Sebbene il livello di dotazione infrastrutturale sia probabilmente il migliore tra le città in Italia, esso non è comparabile con quelli di molte città europee di pari rango, così come la qualità dei servizi e dell’ambiente e le condizioni di inquinamento e congestione da traffico sono andate deteriorandosi negli ultimi decenni. Le ragioni stanno nel fatto che le politiche urbane degli ultimi 30 anni si sono concentrate solo sulle questioni di scala comunale, del tutto inadeguata a governare domanda ed offerta su base metropolitana (Pasqui, 2002). Inoltre, si sono dimostrate piuttosto riluttanti a perseguire una promozione selettiva dello sviluppo del mercato urbano che si è affermato in modo sempre più speculativo con le sue consistenti derive finanziarie, né si sono preoccupate della costruzione del consenso attraverso efficaci processi partecipativi. Nella fase massima di crescita demografica della città e di profonda riorganizzazione del sistema occupazionale l’ultimo PRG della città, approvato nel 1980, proponeva a scala territoriale un decentramento insediativo residenziale e soprattutto direzionale, e lo sosteneva con la rinuncia ad aggiungere nuove previsioni di sviluppo residenziale e terziario all’interno dei confini amministrativi, dove invece si prevedeva il mantenimento degli insediamenti industriali e il recupero intensivo del patrimonio edilizio esistente. Il trasporto pubblico su ferro rendeva possibile la ridistribuzione di case e uffici nell’area metropolitana dove erano già presenti poli urbani di formazione storica. Al tempo stesso il piano proponeva una robusta offerta capillare di attrezzature e di aree per servizi collettivi per migliorare la qualità urbana e compensare gli squilibri sociali, attraverso una distribuzione di aree a standard di grande consistenza ma di scarsa praticabilità. Già pochi anni dopo l’approvazione del PRG si registra il fallimento delle due principali strategie, cioè la politica dei servizi pubblici e la tutela degli usi Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani

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industriali all’interno della città, ma il piano di fatto stravolto, sopravvive a se stesso (Oliva 2002) per oltre trent’anni, con un ruolo sempre più marginale, relegato al parziale controllo delle modificazioni ordinarie della città consolidata. La fase della riconversione industriale degli anni ’80 viene affrontata al di fuori di un disegno urbanistico generale che dia coerenza ai diversi progetti di trasformazione. Si preferisce utilizzare due strumenti, i Documenti Direttori del Progetto Passante (1984) e delle Aree Dismesse (1988), che definiscono selettivamente le strategie urbanistiche da applicare in modo ristretto alle sole aree dismesse, industriali e ferroviarie; un patrimonio comunque consistente, pari a quasi 7 milioni di mq. Nel decennio successivo si avvia, a scala nazionale, una stagione di cambiamento dei meccanismi della pianificazione tradizionale che determina una ripresa del mercato urbano di rigenerazione delle grandi aree dismesse. A Milano vengono finanziati 5 Programmi di Riqualificazione Urbana (PRU) per 1,6 milioni di mq di aree dismesse, in cui si prevede un’integrazione di usi residenziali, sia a libero mercato che di tipo sociale, e usi produttivi, commerciali e terziari, per garantire un efficace mix funzionale. Le prescrizioni urbanistiche sono omogenee per tutti gli ambiti di trasformazione: indici di edificabilità contenuti tra 0,55 e 0,60 mq/mq e quote di cessione pari al 50% dell’area di intervento da destinare a verde e servizi. Regole che non hanno tenuto conto delle diverse caratteristiche localizzative delle aree e del loro potenziale differente ruolo strategico. L’esperienza dei PRU inaugura una nuova fase del governo urbano in cui un ruolo rilevante è assunto dalle pratiche negoziali pubblico/privato. Si tratta di un modello, che diventerà prevalente nei “Programmi Integrati di Intervento (PII)” e da subito guardato con particolare interesse (Palermo 2001) come possibile nuovo paradigma nel panorama italiano di governo del territorio, che si richiama alle riflessioni teoriche di Luigi Mazza (1997, 2004) sul sistema di pianificazione di matrice anglosassone. Un apposito “Nucleo di valutazione”, formato da tecnici degli uffici comunali e da consulenti esterni, viene istituito con il compito di affiancare l’amministrazione nella fase di negoziazione e di gestire le procedure di valutazione delle proposte private. Il termine di riferimento per l’edificabilità è stabilito in un indice territoriale omogeneo pari a 0,65 mq/mq, successivamente reso incrementabile fino ad 1 mq/mq. Abbiamo già avuto modo di osservare (Arcidiacono e Pogliani, 2011) che gli esiti di questi interventi (oltre 100 PII per due milioni di mq di nuova slp) sono stati per lo più privi di compensazioni proporzionate al carico urbanistico indotto e poveri di benefici collettivi misurabili. In termini economici non è disponibile alcuna stima sintetica che dimostri l’utilità per il comune di queste operazioni ad altissimo tasso di profitto e alcune voci critiche ne hanno sottolineato gli aspetti opachi (Camagni, 2001). Sotto il profilo realizzativo i grandi interventi di interesse pubblico sono stati di fatto cancellati: il Centro Congressi, la Beic (Biblioteca europea), il Museo d’arte contemporanea, il progetto “Città della moda”, mentre il disegno degli spazi pubblici di quartiere è risultato molto episodico. L’attuazione dei PII si è dimostrata deficitaria nel delineare uno sviluppo sostenibile per la città. Gli indirizzi del Documento di Inquadramento (DI) “Ricostruire la grande Milano”, approvato nel 2000 quale quadro di riferimento e di coerenza per la valutazione delle proposte di trasformazione, come richiesto dalla legge lombarda, non hanno fornito sufficienti riferimenti per la negoziazione, indebolendo la possibilità di selezionare preliminarmente le proposte di trasformazione potenzialmente più efficaci nel garantire adeguati benefici collettivi in termini di dotazioni infrastrutturali e di funzioni di interesse generale. La capacità valutativa della struttura tecnica comunale e la regia pubblica dell’amministrazione sono parse deboli nel sostenere l’impegno richiesto. La compartecipazione tra pubblico e privato al governo urbano chiede, infatti, all’amministrazione di attrezzarsi adeguatamente per affrontare il nuovo ruolo, in cui è necessario saper affrontare valutazioni urbanistiche, ambientali, infrastrutturali ed economiche. Se la vicenda milanese restituisce in modo esemplare il percorso di esacerbata inadeguatezza politica e amministrativa a gestire i processi negoziali (Palermo 2011), l’affermarsi di scenari differenti, a seguito dell’approvazione dell’ultimo piano, prospetta l’auspicabile messa in campo di politiche abitative e per i servizi più sostenibili.

3 | Una prospettiva diversa: regia pubblica e regole per la negoziazione nel nuovo PGT di Milano Milano sta vivendo un momento storico eccezionale di rinnovamento politico e civile. La recente svolta del PGT di Milano è il segnale di un modo diverso di intendere la crescita, meno dissipativo delle risorse ambientali e urbane. Il piano approvato nel 2011 (ma non entrato in vigore) dalla precedente amministrazione (sindaco Moratti) proponeva una prospettiva di crescita solo quantitativa, che non teneva conto della crisi immobiliare, metteva in crisi la “cintura verde” del Parco Sud, e rischiava di costipare in modo eccessivo una città già molto densa, senza risolvere il problema prioritario dell’accesso alla casa per le categorie più esposte e senza disporre delle risorse necessarie alla realizzazione e alla manutenzione dei servizi. La nuova amministrazione di centro – sinistra del sindaco Pisapia, ha inteso avviare da subito un percorso partecipato dalla società civile che ha condotto, sulla base delle oltre 5000 osservazioni dei cittadini, all’approvazione, nel 2012, di un piano parzialmente modificato nella struttura, ma con pesanti cambiamenti Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani

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nella sostanza. Un piano in cui la regia pubblica assume un ruolo centrale nel perseguire sostenibilità ed equità in ogni processo di trasformazione attraverso una regolazione dei diritti edificabili attenta alle variabili morfologiche, energetiche e ambientali e alla definizione preliminare di obiettivi e regole negoziali finalizzate a bilanciare interesse pubblico e privato con una redistribuzione di carichi insediativi, oneri, contribuzioni e cessioni di aree (Healey, 2007). Il PGT ridimensiona le previsioni quantitative precedenti di circa il 60%, cancellando l’impropria generazione di potenzialità edificatorie delle aree agricole del Parco Sud; riducendo i diritti volumetrici delle Aree di Trasformazione sugli scali ferroviari e caserme dismessi e su alcune aree strategiche; e introducendo un tetto alla possibile densificazione nella città esistente con lo scopo di disegnare una città inclusiva, integrata e sostenibile (Aa.Vv., 2012). Nelle Aree di Trasformazione il piano fissa un indice territoriale massimo a 0,7 mq/mq, composto in quote uguali di edilizia libera e di residenza sociale; nel caso di interventi non residenziali la componente di edilizia sociale è sostituita con una stessa quantità edificatoria maturata dall’acquisizione perequativa di aree destinate a funzioni di interesse collettivo. Analogamente la cessione minima di aree da destinare a verde e ad attrezzature di interesse pubblico è fissata nella quota del 50% della superficie territoriale (St), di cui una parte, fino al 30% della St, riservata alla localizzazione dell’edilizia residenziale sociale. Meccanismi analoghi sono già praticati in altri paesi europei e statunitensi, laddove l’attuazione dei programmi di edilizia sociale all’interno delle trasformazioni private è stata letta anche come strumento di recupero parziale della rendita urbana (Munoz Gielen, 2010). Nel testo di N. Calavita e A. Mallach, ‘Inclusionary Housing in International Perspective (2010)’, si dà conto di come in California e in particolare a San Francisco, da anni la riqualificazione urbana si attua correlando densità e destinazioni più appetibili per il mercato a corrispondenti aumenti di benefici pubblici (tra cui case sociali): queste condizioni sono fissate direttamente in fase di approvazione del piano e pertanto incidono sulla rendita immobiliare. Il PGT affronta la valorizzazione e la riqualificazione della città esistente con tre interventi prioritari. Il primo riguarda l’introduzione di semplici regole morfologiche per la realizzazione degli interventi in cortina nei tessuti storici, che non potranno superare l’altezza minima dei fronti esistenti, e subordinando il recupero degli edifici esistenti all’interno dei cortili al mantenimento delle altezze preesistenti. Questo per evitare quegli interventi che negli anni recenti hanno snaturato diversi isolati della città consolidata, creando al contempo problemi di sostenibilità insediativa e ambientale. Il secondo attraverso l’introduzione di incentivi per il miglioramento delle prestazioni ecologiche ed energetiche soprattutto negli edifici esistenti (prevedendo premialità volumetriche fino al 15% della slp recuperata). Il terzo introduce misure per incentivare il mantenimento delle attività produttive in città e limitarne l’eccessiva trasformazione verso usi del suolo più redditizi come quelli residenziale o terziario o commerciale, pur in una politica generale di flessibilità funzionale. Infine per incrementare l’offerta diffusa di edilizia residenziale sociale in tutti gli interventi significativi di trasformazione privata il PGT richiede che una quota significativa (almeno il 35%) dell’uso residenziale totale sia a carattere sociale. Le condizioni sono le seguenti: la previsione è obbligatoria per le aree di intervento di media dimensione (superiori a 10.000 mq) e facoltativa per quelle di dimensione inferiore, dove comunque, nel caso di lotti superiori a 5.000 mq, il piano richiede il concorso obbligatorio alla realizzazione di obiettivi di interesse generale, tra cui l’acquisizione di aree destinate a servizio pubblico. Anche la politica dei servizi assume un ruolo importante, perché richiede innovazioni significative ed efficaci per contrastare la crescita delle disuguaglianze anche all’interno della stessa città. Il Piano riconosce un ruolo centrale alla città pubblica e rafforza la costruzione di strategie spaziali tese a raggiungere un equilibrio dinamico fra la giusta profittabilità dell’iniziativa imprenditoriale e il miglioramento complessivo delle dotazioni urbane. Il progetto dei servizi ha coinvolto le Associazioni civili e le Zone del decentramento amministrativo in una fase di ascolto e riprogettazione collettiva che pone le premesse per disegnare la struttura della città pubblica. Obiettivo è rispondere ai bisogni emersi, salvaguardare e potenziare i servizi esistenti e produrne di innovativi, oltre a generare le condizioni favorevoli per attrarre produzioni e lavoratori qualificati, studenti e docenti. Dare respiro alla città e valorizzare le risorse esistenti sono i contributi principali per garantire una strategia di città metropolitana efficiente e solidale e per rafforzare il profilo internazionale. Insieme offrono un’idea spaziale, di organizzazione della struttura urbana e territoriale, ma anche un’idea di relazioni sociali ed economiche, basata sulla creazione di un consenso tra una pluralità di soggetti istituzionali e non. Gli anni recenti dell’urbanistica milanese hanno mostrato una debolezza strutturale nella regia pubblica, incapace di recuperare alla città le grandi valorizzazioni prodotte dai processi di trasformazione privata (Palermo, Ponzini, 2010). Al contrario, l’efficacia operativa del nuovo PGT si misurerà in gran parte nella capacità di valutare e selezionare le proposte di trasformazione in base alla qualità dei progetti e alla portata dei benefici collettivi per la città, partendo dall’idea centrale di “città come bene comune”.

Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani

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Bibliografia Aa.Vv. (2012), “Una nuova politica urbanistica a Milano”, Urbanistica Informazioni (Sezione monografica), n. 242, pp. 63 - 68 Arcidiacono A., et al. (2012), Centro di ricerca sui Consumi di Suolo CRCS, Rapporto 2012, Inu Edizioni, Roma. Arcidiacono A., Pogliani L. (2011), Milano al futuro: crisi o riforma del governo urbano, Ed. et/al, Milano Bassetti P., (2005), Milano, nodo della rete globale, Bruno Mondadori, Milano. Calavita N., Mallach A. (2010), Inclusionary housing in International perspective, Lincoln Institute of Land Policy, Cambridge Massachusetts. Camagni R. (2011), “Rendita e qualità urbana: conflitto o sinergie?”, in Arcidiacono A., Pogliani L. (2011), Milano al futuro: crisi o riforma del governo urbano, Ed. et/al, Milano, pp. 105-124. Campos Venuti G, Oliva F. (2010), Intervista sull’urbanistica, Laterza, Bari Comune di Milano (2003 e aggiornamento 2006), Relazione sullo stato dell’ambiente Curti F. (a cura di, 2006), Lo scambio leale, Officina edizioni, Roma Healey P. (2007), “The struggle for strategic flexibility in urban planning in Milan”, in Healey P., Urban Complexity and Spatial Strategies, Routledge, NY, pp.77-118 Munoz Gielen D. (2010), Capturing value increase in urban redevelopment, Sidestone Press, Leiden Mazza L. (1997), Trasformazioni del piano, Franco Angeli, Milano Mazza L. (2004), Prove parziali di riforma urbanistica, Franco Angeli, Milano Oliva F. (2002), L’urbanistica di Milano, Hoepli, Milano Palermo P.C (2001), “L’ultimo paradigma. Tendenze della pianificazione urbanistica in Italia”, in Urbanistica, n. 116, pp. 207 – 210 Palermo P.C. (2011), Milano Bigness: quando la crescita non è sviluppo, in Arcidiacono A., Pogliani L. (2011), Milano al futuro: crisi o riforma del governo urbano, Ed. et/al, Milano, pp. 127-156. Palermo P., Ponzini D. (2010), Spatial Planning and Urban Development. A Critical Perspective, Springer, NY. Pasqui G. (2002), Confini milanesi. Politiche territoriali e processi di governo nella regione urbana milanese, Franco Angeli, Milano Ranci C. (a cura di, 2009), Milano e le città d’Europa tra competitività e disuguaglianze, Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna Urbani P. (2010), Urbanistica solidale, Bollati Boringhieri, Torino

Andrea Arcidiacono, Laura Pogliani

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Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi G. Bertrando Bonfantini Politecnico di Milano DAStU – Dipartimento di Architettura e Studi Urbani E-mail: bertrando.bonfantini@polimi.it Tel.: 02.23999410

Abstract Lo scenario di crisi acuisce, per il progetto urbano, il carattere stringente del principio di legittimità. Descritto da Bernardo Secchi come requisito alla base di ogni politica di renovatio urbis (Secchi 2006: 243; Secchi, Viganò 2009: 6), questo principio, che la scarsità di risorse impone, si fonda, più che sulla costruzione di un generale consenso, precondizione talvolta impossibile da conseguirsi, sull’accurata verifica e argomentazione della necessità del progetto, della sua essenzialità, della sua giustezza, e sulla capacità e determinazione di saperne promuovere e perseguire con coerenza l’attuazione. Il paper sostiene questa tesi, illustrando il processo di progettazione entro cui prende forma e si consolida la proposta di un centro intermodale passeggeri a Jesi (Ancona), da realizzarsi sul nodo infrastrutturale costituito dalla stazione ferroviaria, nel quadro di un decennio di sperimentazione urbanistica in quella città e nel nuovo tipo di territorio urbano di cui essa è parte. Parole chiave Progetto urbano, progetto di territorio, città contemporanea.

1 | Il Centro intermodale passeggeri di Jesi come progetto territoriale strategico Il centro intermodale passeggeri di Jesi è uno dei progetti pilota del progetto di territorio per la nuova città dell’Esino tra Jesi e Ancona, definitosi incrementalmente, per affinamenti successivi, a conclusione di un percorso di ‘programmi innovativi’ del Ministero delle infrastrutture, finalizzati a promuovere la progettazione integrata di contesti strategici del territorio italiano. Si tratta dei progetti Sistema, Territori snodo 1 e 2: il Comune di Jesi è stato uno dei pochissimi soggetti capaci di partecipare a tutti e tre questi programmi (Fabbro, Mesolella 2010), di volta in volta selezionato secondo criteri di premialità per lo sviluppo della successiva fase. Al termine di questo processo, Jesi ha avanzato la candidatura del centro intermodale per una sua realizzazione con i finanziamenti straordinari messi a disposizione dall’inaspettato Piano nazionale per le città (Comune di Jesi-Mit 2012: 40-41; Comune di Jesi 2012a). Il Piano per le città non ha selezionato Jesi tra i 28 progetti finanziati. Questa vicenda, da un lato, reclama un approfondimento sulla coerenza effettiva tra l’attività programmatoria ‘innovativa’, fondata su principi premiali, promossa e finanziata dal Ministero delle infrastrutture e la selezione – che avrebbe forse dovuto essere conseguente – da parte del Mit stesso dei progetti strategici da beneficiarsi, nella disponibilità straordinaria di fondi speciali per l’implementazione di progetti maturi e ‘cantierabili’. Dall’altro, sollecita la riflessione sul senso e sulla forma di progetti di territorio (v. Palermo 2004: 275 sg.) in grado di affrontare fenomeni urbani inediti – nuove forme di città (v. Gabellini 2010: parte I) – che invocano un trattamento al di fuori della tradizionale strumentazione urbanistica. Questo contributo ripercorre il processo di progettazione territoriale entro cui l’idea di un Centro intermodale passeggeri a Jesi ha trovato la sua incubazione, evidenziando le ragioni di una sua transcalare necessità e ‘legittimità’.

G. Bertrando Bonfantini

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Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

2 | Dieci anni di sperimentazione urbanistica a Jesi: per una nuova vision territoriale L’esperienza jesina ha costituito un laboratorio di sperimentazione urbanistica per un decennio, che ha avuto inizio con il programma di mandato dell’amministrazione insediatasi nel giugno 2002 (Belcecchi, Olivi 2005) e con l’avvio della redazione del nuovo piano urbanistico comunale (il relativo atto d’indirizzo porta la data del 12 settembre 2003).

Figura 1. Comune di Jesi, Piano idea, tavola 4: Jesi città dell’Esino. G. Bertrando Bonfantini

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Presentata come «operazione urbanistica che costruisce politiche» (Di Giovanni, La Palombara 2005), quella jesina si contraddistingue fin da subito per l’intreccio tra le dimensioni ‘strutturale’ e ‘strategica’, rifiutandone la schematica contrapposizione1 e fa delle 18 tavole-manifesto che compongono il corredo grafico del Piano idea, ossia della componente programmatica e argomentativa del nuovo piano, «costrutti comunicativi» (Gabellini 2004: 73) della nuova visione perseguita, che traducono «sul territorio le politiche, ‘spazializzandole’, ricomponendo le scelte in un ‘disegno’» (Gabellini 2004: 75). Alla tappe che scandiscono la formazione del nuovo piano urbanistico (la definitiva approvazione avviene nel 2009) si accompagna un processo di programmazione per progetti (l’amministrazione, a tal proposito, si dota di un apposito Ufficio progetti speciali, e i ‘progetti speciali’ diverranno una specifica delega assessorile) che, per affrontare questioni e temi strategici, cerca di creare e cogliere tutte le opportunità, tra cui quelle offerte dalle forme innovative di programmazione integrata urbana e territoriale promosse dall’iniziativa ministeriale. È entro questo quadro articolato che prende corpo un nuovo immaginario al futuro per il contesto territoriale jesino. Già il Piano idea (Comune di Jesi 2007c) e il Piano strategico (Comune di Jesi 2007a), la cui elaborazione inizia contestualmente e si intreccia nella costruzione di un’interpretazione territoriale, promuovono l’idea che Jesi possa rappresentarsi non più «piccola città composta» ma «capoluogo» di un territorio urbano [fig. 1] che va strutturandosi nella bassa Vallesina come città in nuce (Calafati, Mazzoni 2008), nella quale la città storica di Jesi va riconosciuta come suo «centro allargato», che travalica il centro storico di crinale, per estendersi fino al suo potenziale fulcro di valle, innestato sulla stazione ferroviaria. I progetti Sistema e Territori snodo 1 e 2 sviluppano questa diversa rappresentazione del campo territoriale entro cui coltivare la nuova visione, elaborando le immagini progettuali del «parco di attività» (Comune di Jesi 2008b), della «piattaforma logistica verde dell’Italia centrale» (Comune di Jesi 2011a, 2012b), della «città dello snodo esino tra Jesi e Ancona» (Bonfantini 2012). Laddove la costruzione di un nuovo immaginario è al contempo riconoscimento e interpretazione di quanto appare implicito nel modo effettivo di darsi di un territorio insediato e delle sue dinamiche (sul concetto di «città effettiva», v. Gabellini et al. 2012: 11), e congettura e tensione al futuro di come indirizzare e piegare quei fenomeni secondo una prospettiva ritenuta auspicabile.

3 | Il Corridoio Esino come ‘territorio di progetti’ Nell’ambito del Progetto Sistema (Sviluppo integrato sistemi territoriali multi-azione), il Corridoio Esino (direttrice Marche-Umbria) è uno dei «contesti bersaglio» del centro-nord, individuati al fine di «infondere nuovo impulso allo sviluppo policentrico e reticolare tramite il rafforzamento delle connessioni tra grandi reti infrastrutturali e sistemi di città». Il corridoio tematizzato dal progetto è un campo territoriale che, lungo la valle del fiume Esino, si dispiega tra Fabriano e il mare. Si tratta di un territorio prossimo al Corridoio infrastrutturale 1, snodo di reti e flussi nazionali e sovranazionali; costellato di imprese, piccole e medie, ma anche grandi e comunque inserite in reti lunghe, che esprimono una domanda di migliori connessioni; fragile dal punto di vista ambientale, ma socialmente vario e con un’armatura insediativa storica di riconosciuto valore in un contesto agricolo e paesistico altrettanto pregiato, con potenzialità sul versante del turismo naturalistico e dell’agriturismo, dell’enogastronomia. Progetto Sistema Corridoio Esino distingue per questo ambito 5 campi territoriali specificamente caratterizzati e vocati2 e 5 temi strategici3. Ma è significativo che la chiave attraverso cui tentare una interpretazione prospettica di questo territorio sia stata quella di riconoscerlo come territorio di progetti: il territorio di una progettualità ricca, ma dissonante. Il Progetto Corridoio Esino ha censito in uno specifico Atlante e ha proposto di ricomporre in un ‘parco di attività’ questo insieme affollato e tuttavia confuso di progetti e iniziative (insistenti soprattutto sulla parte più prossima al mare), che rischiano di dissipare qualità e risorse territoriali in una frammentazione per placche insediative – produttive, logistiche, terziarie – autoriferite. Nel ‘parco di attività’ si esprime un’idea di trasformazione territoriale in cui strutture logistiche e attività produttive e terziarie mature possano convivere con imprese di nuova generazione, centri di ricerca e servizi alle attività economiche e alle persone, agricoltura e turismo grazie alla ‘giusta distanza’ garantita dalla persistenza di elementi naturali, paesaggi e grandi spazi aperti diversamente attrezzati. È emersa soprattutto la consapevolezza di come progetti ‘sbagliati’ – in questo contesto 1

«Il piano strutturale, per non ridursi a mappa dei vincoli sovraordinati o a descrizione minuziosa dei valori e delle memorie, ha bisogno di costruirsi come parte integrante di una strategia territoriale e di ‘immaginare’ luoghi e modi delle politiche urbane e territoriali. Il piano regolamentare, d’altro canto, ha bisogno di costruire le condizioni del suo inverarsi attraverso strategie, programmi, progetti e politiche urbane»; Gabellini (2005: 52). 2 A. La foce dell’Esino e la costa da Falconara ad Ancona; B. La valle del sole e dell’ombra di Jesi; C. La valle stretta di Castelplanio e Monte Roberto; D. Le incisioni e il versante appenninico; E. La sinclinale di Fabriano. 3 1. Il fiume Esino: la cura dell’assetto idrogeologico, il valore ambientale e l’uso pubblico; 2. La produzione: prestazioni ambientali delle aree produttive; 3. Il paesaggio: la produzione agricola e i valori storici e ambientali; 4. La mobilità: integrazione dei modi di trasporto e sicurezza stradale, 5. La logistica e i flussi: uno snodo territoriale efficiente e sostenibile, integrazione fra porto, interporto e aeroporto. G. Bertrando Bonfantini

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di grande qualità, ma delicato e investito da dinamiche trasformative così pressanti – si penalizzino vicendevolmente e impoveriscano inesorabilmente il potenziale territoriale. Tra i progetti mappati dall’Atlante spicca quello per l’espansione dell’area industriale Zipa a Jesi (ulteriori 47 ettari a destinazione produttiva), ratificato dalla nuova Variante generale del Prg con la denominazione, che ne costituisce anche indirizzo inderogabile, di Zipa Verde. Nella strategia elaborata nell’ambito del Progetto Sistema, Zipa Verde si configura come uno dei progetti pilota simbolicamente più rappresentativi per guidare e far decollare la costruzione del Parco di attività dell’Esino. In un contesto – l’area di Ancona, Falconara e della Bassa valle dell’Esino, comprendente la zona industriale di Jesi – che la Regione Marche ha dichiarato ad elevato rischio di crisi ambientale (Aerca) e su uno specifico sedime che il piano territoriale provinciale individua come essenziale corridoio di continuità ecologica, il progetto Zipa Verde nasce dall’aggiudicazione da parte del Comune di Jesi di risorse bandite dalla Regione per sostenere esperienze innovative nella realizzazione di aree produttive ecologicamente attrezzate (Apea) e culmina con l’elaborazione di un master plan (Comune di Jesi 2008a) contestuale alle fasi finali di redazione del nuovo piano comunale. La sfida, per il progetto Zipa Verde, è consistita nel fare qualcosa di radicalmente diverso di quest’ultimo grande tassello di territorio, altrimenti candidato ad estendere incrementalmente l’area industriale di Jesi, in una saldatura insediativa destinata ad interrompere la continuità ambientale tra i due versanti della valle in uno dei suoi pochi ‘ponti’. Il futuro di Zipa Verde, se e quando la trasformazione di quest’area avrà luogo, diviene cartina di tornasole dei processi in atto. Come si attuerà il nuovo insediamento, il suo grado di discontinuità effettiva dalla banalità delle dinamiche inerziali, costituirà un concreto indicatore della ‘legittimità’ di questa trasformazione.

4 | Territori Snodo 1: cinque progetti prioritari per ripensare la bassa Vallesina A Progetto Sistema segue Progetto Territori snodo 1 (Comune di Jesi 2011a), che si applica alla bassa Vallesina, riconoscendo questa come territorio urbano nevralgico, che vede nello spazio di pochi chilometri la presenza di una piattaforma logistica complessa costituita dal porto di Ancona, dall’aeroporto di Falconara, dall’interporto e dal nuovo scalo merci di Jesi. È qui che una messa a sistema delle diverse iniziative di trasformazione è emersa come particolarmente necessaria. Componendoli entro lo scenario al futuro per il territorio tra Jesi ed Ancona sintetizzato con l’immagine di una Piattaforma logistica verde dell’Italia centrale, il Progetto Territori snodo 1 alla selezione dei progetti esistenti compatibili con la nuova visione (progetti di scenario) affianca nuove proposte (nuovi progetti) capaci di incrementare le perfomance di sistema, secondo una chiave di migliore integrazione e sostenibilità4. Territori snodo 1 si è concluso con la selezione e l’approfondimento di cinque progetti riconosciuti come prioritari: Riqualificazione Ss76, Infrastruttura verde, Territorial center, City logistics, Centro intermodale passeggeri [fig. 2-3]. Questi cinque progetti tratteggiano le linee di un embrionale programma strutturalstrategico per la ‘nuova città’ della bassa Vallesina, con la definizione di un campo urbano che trova riscontro e analogia anche nel ‘taglio’ territoriale scelto da supporto per rappresentare le «quattro visioni» delineate per Ancona dal Documento programmatico per il nuovo piano urbanistico (Comune di Ancona 2010: 7-16). Il mix d’azioni è significativo perché rivelatore del carattere multidimensionale dell’integrazione sollecitata dal programma ministeriale. Due sono progetti d’infrastruttura: per la riqualificazione di un’infrastruttura stradale esistente (Ss76) e per la costruzione di un’infrastruttura ambientale innovativa (Infrastruttura verde). Uno è un progetto di governance territoriale (Territorial center), a supporto dell’integrazione dei processi decisionali nella ‘città dello snodo’. Il quarto è un progetto di gestione territoriale (City logistics), per l’ottimizzazione delle prestazioni di una grande attrezzatura (l’interporto di Jesi) circa la gamma di servizi che questa può offrire. Il quinto, infine, è un progetto urbano (Centro intermodale passeggeri), portatore di contenuti multiscalari. Più in dettaglio, il Progetto di riqualificazione della Ss76 si concentra su un tratto di superstrada di circa 20 km che interessa la piattaforma logistica tra Jesi e il mare, ed opera sulla sezione viaria, sulle piazzole di sosta e sugli svincoli per accrescere le condizioni di sicurezza e favorire la gestione dei flussi di traffico merci, in previsione della messa a regime dell’Interporto di Jesi e della realizzazione di altre opere di rilievo (Cargocity all’aeroporto di Falconara, raddoppio della Ss16 adriatica nel tratto anconetano, raccordo autostradale A14-Porto di Ancona, sviluppo dell’Area Leader di Falconara-Chiaravalle). Invece, il Progetto infrastruttura verde, per la realizzazione di un sistema ecologico continuo e di una foresta di pianura tra Jesi e il mare, intende incrementare le dotazioni ambientali in un’area (Aerca, si è già ricordato sopra) che è al limite del carico insediativo. La ‘infrastruttura verde’ da Jesi al mare avrebbe effetti positivi anche sul sistema economico: la riqualificazione e valorizzazione di ambiti sempre più estesi del fiume contribuirebbero ad aumentare l’interesse turistico di un territorio già ricco di risorse storiche e culturali; l’attività di imboschimento potrebbe attivare una filiera produttiva legata a impianti di arboricoltura da legno e a impianti per biomasse; la promozione dell’ecodistretto rurale potrebbe recuperare alcune aree all’attività agricola e sviluppare le pratiche agronomiche di tipo integrato e biologico. In generale, una infrastruttura ecologico-paesaggistica di tale 4

Circa i modi della valutazione territoriale adottati si veda il capitolo «Valutazione» in Comune di Jesi (2011a: 43-46).

G. Bertrando Bonfantini

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estensione ed articolazione produrrebbe un generale positivo effetto sull’immagine del territorio e quindi sulla sua attrattività. L’idea di fondo del progetto è quella di dare ‘durezza infrastrutturale’ a quella componente ambientale, essenziale per la qualità del ‘parco di attività’ dello snodo esino, che rischia di consumarsi nella sua progressiva residualità. Da questo punto di vista, può rappresentare uno dei banchi di prova su cui testare quelle embrionali forme di governance territoriale che i progetti Sistema e Territori Snodo 1 e 2 hanno tentato di incubare.

5 | Da Territori Snodo 2 al Piano Nazionale per le Città Nel quadro definito da Territori Snodo 1, col successivo progetto Territori Snodo 2 Jesi scarta i due progetti di maggiore impegno economico (Riqualificazione della Ss76 e Infrastruttura verde) in funzione di un’immediata operatività delle proposte – progetti ‘di ultimo miglio’ vocati ad un’immediata implementazione – e sceglie di sviluppare (Comune di Jesi 2011b, 2012b) le linee d’azione Territorial center, City logistics e Centro intermodale passeggeri [fig. 4]. Se le Marche possono essere interpretate come insieme di sistemi locali fortemente interdipendenti (Calafati, Mazzoni 2008; Calafati 2009), i cui processi di ‘coalescenza territoriale’ vanno sostenuti da forme di coordinamento delle politiche, con percorsi cooperativi nella transcalarità del quadro decisionale, il progetto Territorial center si configura come ‘infrastruttura’ di sostegno alla governance territoriale: uno strumento utile a trasformare lo ‘snodo’ Jesi-Ancona in una nuova ‘città strategica’ capace di elaborare politiche condivise per questo territorio, sviluppandone interdipendenze e complementarità.

Figure 2. Progetto Territori Snodo 1: i cinque progetti per lo Snodo Esino nel quadro delle Piattaforme territoriali strategiche nazionali. G. Bertrando Bonfantini

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Figure 3. Progetto Territori Snodo 1: i cinque progetti per lo Snodo Esino nel quadro delle Piattaforme territoriali strategiche nazionali. G. Bertrando Bonfantini

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Sulla legittimitĂ del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

Figura 4. Progetto Territori Snodo 2: il progetto per il Centro intermodale passeggeri (architetti N. Privileggio, M. Secchi, F. Ponti, L. Santosuosso) presentato alla IX Biennale delle cittĂ e degli urbanisti europei (Genova, settembre 2011).

G. Bertrando Bonfantini

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Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

L’obiettivo del progetto Territorial center è quello di supportare la creazione di uno spazio di confronto e integrazione delle iniziative dei differenti attori della città dello snodo, per promuovere una strategia sovralocale di qualificazione delle infrastrutture e delle dotazioni esistenti, per l’incremento e cura della qualità ambientale e paesaggistica, per la formalizzazione di specifici accordi e intese. Esso coinvolge i comuni che insistono sul territorio che va da Jesi ad Ancona, la Provincia di Ancona e la Regione Marche, le diverse agenzie nazionali e territoriali, gli attori dell’economia locale. Nell’ambito del progetto Territori snodo 2, un passo si è compiuto con la sottoscrizione, il 19 aprile 2012, del Protocollo d’intenti per l’istituzione del Territorial center della Città Snodo Esino. Il progetto City logistics ambisce a fare della piattaforma logistica esina non solo un efficiente nodo proiettato nelle reti lunghe, ma anche un’attrezzatura che ottimizza le proprie prestazioni e potenzialità nel contesto della città dello snodo, divenendone opportunità di riprogettazione per migliori performance ambientali. Il progetto propone una serie di interventi per la logistica di distretto e la distribuzione delle merci a livello locale, secondo una prospettiva di green logistics e di valorizzazione delle potenzialità offerte dalla presenza dall’Interporto di Jesi. Si compone di tre sottoazioni. Il progetto esecutivo per il centro storico ha come obiettivo essenziale la definitiva qualificazione del sistema degli spazi pubblici centrali quale risultato atteso delle politiche di limitazione e regolazione degli accessi e della circolazione veicolare già da tempo intraprese dalla Amministrazione comunale. Il progetto definitivo per la city logistics urbana si integra a quello del centro storico – ne costituisce il necessario complemento per uno sviluppo a regime – e tuttavia si caratterizza per uno specifico profilo d’azione, che si indirizza ad un modello di mobilità sostenibile e di qualificazione ambientale. Il progetto di massima di distretto, infine, si configura come chance per l’ottimizzazione delle potenzialità performative della piattaforma logistica e come utile veicolo di sviluppo di intese partenariali tra comuni limitrofi nella direzione di una governance d’area vasta. Infine, la dimensione transcalare del progetto Centro intermodale passeggeri il suo carattere di progetto d’infrastruttura che genera progetto di territorio fanno di questa azione un progetto pilota emblematicamente rappresentativo del quadro di obiettivi perseguiti dal Ministero con i programmi Sistema e Territori Snodo, e hanno indotto a proporlo, in un’ulteriore, estrema selezione, come progetto candidato per il Piano nazionale per le Città (Comune di Jesi 2012a) [fig. 5-6-7].

Figura 5. Piano Nazionale per le Città. Jesi: ricucitura di una sezione urbana. Il progetto nel contesto della ‘Città dello Snodo’. G. Bertrando Bonfantini

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Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

Il progetto consiste nella rilocalizzazione dell’autostazione di Jesi sul nodo costituito dalla sua stazione ferroviaria come operazione con cui raggiungere una molteplicità di obiettivi sinergici. Ambisce, infatti, a supportare la migliore integrazione e il potenziamento dei servizi per il trasporto collettivo, promuovendo il crescente ruolo di hub territoriale della stazione di Jesi, all’intersezione di servizi di mobilità, tipi di spostamenti e ‘popolazioni in movimento’ differenti – che sta allo sviluppo dell’hub stesso riconoscere e sostenere sempre più efficacemente – e costituisce al contempo occasione di innesco per la riqualificazione di un settore urbano sensibile e cruciale di Jesi, da interpretarsi, tuttavia, non solo in chiave locale ma nel quadro di un più generale ridisegno delle centralità della Città dello snodo esino. Nello scenario territoriale va rilevato come il Piano regionale del trasporto locale 2009-2019 individui esplicitamente Jesi come nodo di interscambio di cui promuovere l’offerta di intermodalità, in particolare nell’interazione tra sistema costiero e assi vallivi e nel rafforzamento del ruolo del servizio ferroviario metropolitano, di recente sviluppo. A livello urbano, il master plan dell’hub intermodale definisce una ricucitura trasversale dal centro storico al fiume, integrando quartieri a sud e a nord della ferrovia, con la riprogettazione dello spazio pubblico, dei percorsi, delle connessioni come mossa essenziale di riscatto qualitativo per parti urbane sospese tra degrado, marginalizzazione e incompiutezza (v. Savoldi 2006: 150-155).

6 | Attualità della programmazione per progetti Dieci/quindici anni fa la ‘programmazione per progetti’ (Palermo 2000) era di grande attualità e costituiva una speranza. Colpisce come rapidamente ne sia tramontata la prospettiva, in una troppo affrettata disillusione o, più semplicemente, per ragioni che hanno a che fare con l’emergere e il bruciarsi di slogan e temi di mainstream che – esaurito il tempo fugace del loro essere alla moda – rapidamente si consumano ed escono di scena, surclassati da altri nuovi, più accattivanti. L’impazienza e un limite più profondo – l’incapacità di mettersi davvero alla prova, nell’implementazione tecnica di nuove prospettive e ‘conquiste’ solo velleitariamente enunciate e mai davvero praticate oltre l’abbozzo iniziale, con una qualche ambizione di cumulatività degli esiti – sono, a mio avviso, nell’urbanistica ma non solo, tra le ragioni di molti dei fallimenti di questa fase.

Figura 6. Piano Nazionale per le Città. Jesi: ricucitura di una sezione urbana. L’ambito d’intervento. G. Bertrando Bonfantini

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Sulla legittimità del progetto urbano: un centro intermodale passeggeri per Jesi

Eppure, l’idea di una programmazione che si costruisce sull’interpretazione dei fenomeni reali – territori di nuove forme d’urbanità – e non sulle geografie amministrative e sugli strumenti, continua ad apparire non disprezzabile, se fossimo capaci di fare un passo avanti rispetto a questa acquisizione. E l’idea che un programma – se c’è – possa pragmaticamente essere implementato da azioni selettive – progetti non solo e non tanto ‘urbani’, non necessariamente ‘prioritari’ e non esclusivamente ‘fisici’, e però radicati in un contesto concreto, realisticamente fattibili, praticabili, anche modesti ma convergenti – continua ad essere un’idea ragionevole al servizio di una visione sostantiva dei problemi e del farvi fronte, invece del vuoto proliferare delle procedure e dell’affanno nel loro adempimento, esclusivamente formale.

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Figura 7. Piano Nazionale per le Città. Jesi: ricucitura di una sezione urbana. Il progetto del centro intermodale passeggeri. G. Bertrando Bonfantini

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Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale

Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale Elena Borghetti Sapienza, Università di Roma Dipartimento DATA – Design, Tecnologia dell’Architettura, Territorio e Ambiente Email: elena.borghetti@uniroma1.it Tel: 06.49919087

Abstract Ancorché in via preliminare si discute, in questo breve testo, la possibilità che le risorse congelate nel Fondo immobiliare Investimenti per l’Abitare di livello nazionale, costituito per accrescere il patrimonio di edilizia sociale nell’ambito del Piano Casa del 2008, possano essere meglio utilizzate per avviare, sulla base di alcune leggi regionali che hanno recepito le disposizioni del Dl n. 70/11, programmi e progetti di recupero e rigenerazione urbana anche in favore dell’Housing Sociale. Le leggi delle regioni Lombardia (LR n. 4/12), Lazio (LR. n. 10/11) e Marche (LR. n. 22/09 e 22/11) prevedono, infatti, incentivi premiali volumetrici anche finalizzati alla demolizione e ricostruzione integrati alla realizzazione di edilizia abitativa sociale. Se queste disposizioni normative fossero sistematizzate contestualmente agli incentivi fiscali e alle risorse finanziarie nazionali e provenienti dai privati, potrebbero rendersi efficaci gli interventi di recupero e riqualificazione di aree urbane degradate, contestualmente alla riduzione dei fenomeni di disagio abitativo. Parole chiave Housing Sociale, incentivi, riqualificazione

Le Città. Il dibattito sulle politiche urbane ed abitative finalmente nell’agenda del Governo Il tema delle politiche urbane congiuntamente a quello delle politiche abitative sono tornati ad essere, in questi ultimi anni, oggetto di particolare attenzione nell’agenda politica di governo. Il primo mette al centro il dibattito sulle Città e sul governo delle trasformazioni urbane; il secondo, mosso da un’emergenza abitativa che colpisce principalmente le città grandi e medio-grandi, si focalizza sulla mission del sistema di Edilizia Residenziale Sociale (sempre più coincidente con il termine di Social Housing), inquadrata nella funzione di servizio (così anche a partire dal Dm 22 aprile del 2008 che inserisce l’Alloggio Sociale tra gli standard urbanistici), contestualmente ai meccanismi di finanziamento e di incentivo ai privati per attrarre, a livello locale, quelle risorse necessarie all’avvio dei progetti di edilizia abitativa sociale. La crisi economico-finanziaria internazionale e le conseguenze disastrose prodotte sull’economia reale, contestualmente alla strategia politica europea in tema di sviluppo e coesione economica, sociale e territoriale lanciata per il periodo 2014-20201, hanno condotto il governo a riportare al centro del discorso delle politiche pubbliche il tema delle Città, quale priorità strategica per rilanciare la crescita e la competitività del Paese. La costituzione del CIPU – Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane, affidato al Ministro Barca nel gennaio 2013, e l’attenzione da questo posta sul tema della riqualificazione urbana e della riduzione del consumo di suolo2, per cui è stato approvato, nel settembre 2012, un disegno di legge proposto dal Ministro Catania, fanno ben sperare sull’avvio di un concreto interesse verso queste questioni prioritarie, per troppi anni rimaste inevase. 1

Nel marzo 2010, la Commissione Europea ha proposto “Europa 2020”, una strategia decennale che prevede cinque obiettivi principali (occupazione, ricerca, sostenibilità ambientale, istruzione e lotta all’emarginazione e alla povertà) a cui è seguita, nel giugno 2011, una proposta di bilancio per il periodo 2014-2020, sull’utilizzo dei Fondi comunitari. 2 Nel documento di indirizzo per lo sviluppo di una politica nazionale per le città, “Metodi e Contenuti sulle Priorità in tema di Agenda Urbana”, predisposto nell’ambito del CIPU nel marzo 2013, e promosso dal Ministro Barca, la riqualificazione Elena Borghetti

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Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale

Alcune iniziative oggi avviate, promosse dal Governo a partire dal 2011 e fortemente richieste anche dal mercato immobiliare in grave fase recessiva, con cui si è anche prevista l’istituzione del CPIU (art. 12bis, D.l. n. 83/12), hanno contribuito a gettare le basi per lo sviluppo dell’Agenda Urbana. In particolare, si tratta dell’art. 5, comma 9 del Dl n. 70/11 (convertito in L. n. 106/11) mediante cui è stata introdotta una normativa nazionale quadro, i cui principi sono poi rimandati alla disciplina regionale, per la riqualificazione delle aree urbane degradate «con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare», accompagnata dalla previsione di volumetrie premiali minime in caso di demolizione e ricostruzione (20% se a destinazione residenziale e 10% per le altre funzioni) e da semplificazioni burocratiche per il tempestivo avvio di tali iniziative. In seguito a queste diposizioni normative, è stato poi lanciato, con D.l. n. 83/12, art. 12, il “Piano nazionale per le città” dedicato in particolare alla riqualificazione delle aree urbane degradate, in cui si indicano, tra i criteri di selezione delle proposte presentate dai comuni, oltreché la rapida cantierabilità, la riduzione dei fenomeni di tensione abitativa. Le scarse risorse statali dirette assegnate al Piano, per complessivi 318 milioni di euro (derivanti da precedenti programmi di edilizia residenziale sociale, e dal Piano Azione e Coesione per le Zone Franche Urbane) confluiti nel “Fondo per l’attuazione del piano nazionale per le città”, hanno permesso la selezione, da parte della Cabina di Regia appositamente costituita, di soli 28 progetti di riqualificazione urbana (Decreto Dipartimentale n. 1105 del febbraio 2013) dei circa 430 complessivamente presentati dai comuni (per un investimento stimato in 18 miliardi). Seppur non ingenti, il merito del piano è quello di aver mobilitato risorse chiamando in causa il ruolo delle città, contestualmente all’enfasi posta sul recupero e la riqualificazione delle aree urbane, oltre all’aver stimolato i comuni ad inviare più di 400 proposte sul tema che potranno costituire un parco progetti da cui partire per la rigenerazione urbanistica, soprattutto in seguito al reperimento di ulteriori nuove risorse. Alcune di queste, che si pensa di poter attrarre a partire dai fondi comunitari, dovrebbero anche essere messe a disposizione dal Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti Sgr, quest’ultima rappresentata, insieme ai diversi esponenti dei ministeri interessati, oltreché della Conferenza delle Regioni, dell’ANCI e dell’Agenzia del Demanio, all’interno della Cabina di Regia del piano città in veste di osservatore.

Le risorse del FIA per la rigenerazione urbana Il FIA, fondo di investimento immobiliare di livello nazionale, operativo dal settembre 2010 con una dote finanziaria di 2,28 miliardi di euro (dall’investimento di CDP SpA, Fondazioni Bancarie, gruppi bancari e assicurativi, Casse di Previdenza private e MIT), è stato istituito mediante il Piano Nazionale di Edilizia Abitativa del 2008 (Dl. n. 112/08, art. 11, comma 3, lettera a), in cui si prevedeva di costituire un Sistema Integrato di Fondi (SIF), articolato in diversificati fondi immobiliari di livello locale implementati nella misura del 40% dal FIA, per arginare il problema abitativo aumentando la quota di alloggi in locazione sociale. A distanza di circa 3 anni dalla piena operatività del “fondo dei fondi” nazionale, complice anche la crisi finanziaria, questa misura di intervento, pressoché unica alternativa strategica per incrementare il patrimonio di edilizia abitativa sociale a livello locale, considerando le esigue risorse statali destinate al piano casa (circa 727 milioni), non ha prodotto gli effetti sperati. La complessità operativa dello strumento, del tutto nuovo in tema di edilizia sociale, contestualmente alla crisi finanziaria che ha, da un lato, coinvolto anche le Fondazioni Bancarie che avrebbero dovuto rendere disponibili risorse locali a redditività calmierata, e, dall’altro, ha ridimensionato la mole degli investimenti attivabili (stimati in 10 miliardi con leva finanziaria) a causa del credit crunch prodotto, hanno condotto il Governo ad aumentare, nel 2012, il livello di partecipazione del FIA nei fondi locali passando dal 40% all’80%. Sebbene questa misura abbia tentato di stimolare le iniziative rimaste bloccate a livello locale per scarsa reperibilità di risorse (principalmente a debito), grazie ad una maggiore presenza del FIA nel capitale di equity dei fondi locali, ha nello stesso tempo ridotto ulteriormente l’effetto leva del “fondo dei fondi” e, di conseguenza, anche il patrimonio degli alloggi sociali realizzabili, la cui quota veniva precedentemente stimata in 50 mila (senza contare l’effetto della leva finanziaria oggi impraticabile). Attualmente risultano, infatti, attivi 17 fondi immobiliari locali e solo 362,5 milioni (pari a circa il 18% delle risorse del fondo nazionale) sono stati deliberati come sottoscrizioni definitive di investimento da parte di CDPI Sgr per la realizzazione di 6.850 alloggi sociali (e circa 3.000 posti letto in residenze temporanee), di cui quelli in locazione, come dimostrano le prime esperienze compiute (Fondo Federale Immobiliare Lombardia e Fondo Parma Social House), costituiscono una quota residuale difficilmente ottenibile, se non con importanti risorse messe a disposizione dalle amministrazioni locali, atte a garantire la remuneratività dei capitali privati investiti3.

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urbana e il contenimento del consumo di suolo (punto 3.3) sono individuate tra le priorità principali, contestualmente alla «gestione sociale delle politiche abitative, attraverso l’incentivazione dell’edilizia sociale» (CIPU, 2013: 23) Oltre agli investimenti privati, la redditività delle quote sottoscritte dal FIA, pari al 3% più inflazione, richiede ai fondi locali un rendimento nominale pari a circa il 6% (con un’inflazione media al 2012 del 3%) che non può essere garantito dalla sola quota di alloggi in locazione sociale. Per raggiungere l’equilibrio economico-finanziario, valutato nel Business Plan del fondo locale, è dunque necessario integrare quella quota con un mix di destinazioni e funzioni maggiormente

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Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale

Per non perdere le ingenti risorse rimaste congelate nel fondo nazionale, pari a circa 1,5 miliardi di euro, il lavoro della Cabina di Regia ha tentato, quindi, di sistematizzare alcuni programmi e finanziamenti tra loro non integrati, prevedendo, infatti, che il FIA, in veste di osservatore, potesse partecipare all’analisi dei progetti comunali presentati per il Piano Città. Nonostante l’edilizia sociale non abbia ottenuto grande rilevanza nell’ambito dei “contratti di valorizzazione urbana” giunti ad approvazione (solo alcuni dei progetti hanno previsto per lo più interventi di recupero qualitativo e funzionale dedicati al Social Housing, come ad esempio: il quartiere Bolognina a Bologna, il Parco Cascine a Firenze, il quartiere Librino a Catania, il quartiere Falchera a Torino e Pietralata a Roma), la CDPI Sgr ha registrato 13 manifestazioni di interesse da parte dei comuni, di cui circa 7 con interlocuzioni già avviate (MIT, 2013). Se, dunque, l’analisi delle proposte comunali ha rappresentato per la CDPI Sgr un’ottima possibilità per accrescere la mole degli investimenti attivabili, anche considerando i termini entro i quali l’intero ammontare del FIA dovrebbe essere speso (entro il 2015, con possibilità di proroga al 2017), apportando così risorse aggiuntive in grado di stimolare ulteriori interventi di edilizia sociale nell’ambito della riqualificazione e del recupero urbano, questi ultimi sono comunque vincolati alla tenuta dei piani economico-finanziari e alla redditività delle iniziative, essendo, di fatto, la CDPI Sgr un investitore che agisce come qualsiasi privato.

Le premialità volumetriche in alcune Regioni. Incentivi e risorse per il recupero urbano integrato alle politiche abitative Oltre all’analisi dei progetti presentati nell’ambito del Piano Città, il fondo nazionale, così come i fondi operativi a livello regionale oggi implementati, potrebbero veicolare le proprie risorse verso interventi di demolizione e ricostruzione che, a partire dal Dl n. 70/11, sono stati diversamente disciplinati a livello regionale prevedendo incrementi premiali volumetrici integrati alla realizzazione di edilizia sociale. Nonostante queste misure appaiano tendenzialmente limitate ai soli edifici, senza considerare il recupero dell’intero ambito urbano, e nonostante la legge statale abbia escluso da queste iniziative i centri storici che, qui penalizzati, sono anche quelli che più necessitano di interventi di rigenerazione urbana (si pensi ad esempio ai centri storici minori), l’intenzione di integrare le politiche urbane con quelle abitative sembra essere un elemento decisivo in questo quadro congiunturale emergenziale, in cui il mercato immobiliare è in forte crisi e la quota di invenduto, come un paradosso, si avvicina alla domanda inevasa delle famiglie che attendono un alloggio pubblico, pari a circa 600 mila. Inoltre, come dice Bellicini (2013), direttore del Cresme, se la nuova costruzione residenziale ha perso il 55% del mercato 2006, la ristrutturazione, la manutenzione, il recupero e la trasformazione del patrimonio edilizio esistente ha perso, nel 2012, solo l’1-2%, anche grazie alla detrazione IRPEF del 36%, innalzata al 50% con il dl. n. 83/12, per gli interventi di ristrutturazione edilizia. Solo nel 2012 sono stati investiti in Italia circa 80 miliardi per manutenzione e riqualificazione straordinaria del patrimonio edilizio esistente, e circa 36 miliardi per manutenzione ordinaria (Bellicini, 2013). Anche l’ANCE (2012) auspica, però, che queste detrazioni vengano estese agli interventi di demolizione e ricostruzione che determinano modifiche all’edificio in termini di sagoma e volumetria che, come gli interventi attuati da imprese su immobili diversi da quelli non residenziali e di proprietà, sono esclusi dall’agevolazione fiscale, nonostante costituiscano aspetti centrali per la rigenerazione urbana. Principalmente alle Regioni Lombardia, Lazio e Marche si devono i primi timidi segnali di integrazione tra interventi di sostituzione edilizia ed edilizia abitativa sociale, incentivati da incrementi volumetrici premiali. La legge regionale della Lombardia n. 4/12, al fine di favorire la realizzazione di alloggi sociali, prevede che (art. 6), nell’ambito degli interventi di sostituzione del patrimonio edilizio esistente, o di variazione della destinazione d’uso, possano essere previsti incrementi premiali volumetrici fino al 40% per gli edifici sociali di proprietà pubblica (che otterrebbero anche una riduzione del 50% degli oneri di urbanizzazione) e fino al 20% per gli altri edifici (nei comuni a fabbisogno acuto, critico o elevato quest’ultima può arrivare fino al 40%). Finalizzando questi incrementi volumetrici all’edilizia sociale, le volumetrie premiali possono anche essere cedute ad altri operatori o trasferite su altre aree (pubbliche o private). È, inoltre, previsto che (art. 4), nei comuni a fabbisogno acuto critico o elevato, possano essere trasformati gli edifici terziari e direzionali per il riuso a finalità residenziali, tramite denuncia di inizio attività, garantendo che almeno il 20% della superficie lorda di pavimento esistente sia destinata ad edilizia sociale. Anche la regione Lazio, con L. n. 10/11 (modificata con L. n. 12/12) all’art. 3ter, consente il cambio di destinazione d’uso a residenziale mediante interventi di demolizione e ricostruzione, di sostituzione edilizia e di ristrutturazione edilizia prevedendo un incremento volumetrico fino al 30%, contestualmente alla destinazione minima del 30% della superficie complessiva realizzata, alla locazione sociale per gli interventi con una superficie esistente inferiore ai 10 mila mq, e del 35% per gli interventi con una superficie maggiore ai 10 mila redditizie (edilizia in vendita convenzionata e libera, patto di futura vendita, commerciale) o con maggiori contributi pubblici. Questo livello di rendimento appare oggi, però, più vantaggioso rispetto a quelli che, se deliberati, potrebbero essere richiesti dalle banche, che hanno notevolmente aumentato gli spread bancari per la concessione dei finanziamenti (i tassi di interesse arrivano anche al 9% e oltre). Elena Borghetti

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Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale

mq (ma inferiore ai 15 mila). È previsto inoltre che (art. 4, comma 6), nei comuni destinatari del fondo regionale per il sostegno all’affitto, qualora l’intervento di demolizione e ricostruzione, incentivato con volumetrie premiali differentemente articolate (art. 4, lettere a), b), c) e d), sia anche rivolto alla realizzazione di ulteriori unità immobiliari rispetto a quelle preesistenti, è subordinato all’obbligo di destinare il 25% delle unità immobiliari aggiuntive alla locazione calmierata per un periodo di (soli) 8 anni. Infine, seppur limitando gli interventi di demolizione e ricostruzione ai soli alloggi di proprietà dell’ERAP (Ente Regionale per l’Abitazione Pubblica) per incrementare il patrimonio abitativo sociale, senza prevedere, dunque, ulteriori incentivi premiali ai privati, la legge della Regione Marche n. 22/09, prevede (art. 3) un incremento premiale volumetrico pari al 30% che, previo accordo di programma tra gli ERAP e i comuni interessati, può arrivare al 50%, per favorire interventi di demolizione e ricostruzione di immobili di edilizia residenziale pubblica. Con L. n. 22/11 la regione Marche ha, inoltre, introdotto il PORU – Programma Operativo per la Riqualificazione Urbana che, recependo quanto previsto nel Dl. n. 70/11, costituisce uno strumento attuativo mediante cui i comuni possono programmare e definire un disegno coerente di riqualificazione urbana, all’interno del quale possono anche essere sfruttati gli incrementi premiali volumetrici per demolizione e ricostruzione di edifici residenziali (sia pubblici che privati). In questo contesto, che appare ancora troppo frammentato, potrebbero invece essere sistematizzate le risorse del FIA, e dei fondi immobiliari locali, con i diversi incentivi rivolti al recupero urbano, da quelli premiali a quelli fiscali, mediante cui, all’interno di un quadro unitario di programmazione economico-finanziaria e tecnicooperativa dei progetti (come ad esempio il PORU), che andrebbe analizzato nel dettaglio per valutare la fattibilità di tali iniziative, si potrebbe dare un impulso positivo sia al settore edilizio sia agli interventi di riqualificazione urbana finalizzati anche ad accrescere lo stock abitativo sociale che, in questi casi, sarebbe definitivamente integrato all’interno della città. Il “fondo dei fondi” nazionale, infatti, oltre a poter intervenire direttamente nelle operazioni immobiliari finalizzate all’edilizia sociale, nella misura del 10% delle risorse disponibili (oggi pari a 150 milioni di euro), potrebbe, come i fondi locali di valenza regionale, anche investire nel capitale di equity delle società di progetto eventualmente costituite dalle imprese locali per gli interventi di rigenerazione urbana. Nonostante l’investimento del FIA stia privilegiando lo strumento del fondo immobiliare, anche l’ANCE (2011), che teme una «prospettata finanziarizzazione degli investimenti» (ivi: 39), auspica che quel rilevante patrimonio finanziario possa essere utilizzato per contribuire ad incrementare, in via complementare, le risorse messe a disposizione dalle imprese nelle società di progetto, laddove la disciplina esistente già consente ai fondi immobiliari questo tipo di investimento. Guardando con maggiore lungimiranza verso interventi di recupero urbano che consentano di limitare il consumo di nuovo territorio, gli incentivi premiali finalizzati alle operazioni di riqualificazione urbana, contestualmente alle plusvalenze immobiliari che i privati potrebbero ottenere mediante la localizzazione di funzioni redditizie anche consone alle aree urbane interstiziali da rigenerare, potrebbero, dunque, essere meglio integrati e veicolati in favore dell’edilizia sociale, sfruttando anche l’investimento del FIA che, mediante questo tipo di interventi, potrebbe raggiungere il livello di redditività richiesta dalle quote sottoscritte. Del resto, il governo pubblico delle trasformazioni urbane necessita che oggi le amministrazioni a vario titolo coinvolte sappiano definire la “misura dell’interesse pubblico” (Urbani, 2009) posto a tutela nello scambio con il privato, imparando a governare il partenariato pubblico-privato.

Bibliografia

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Un nuovo piano per le città e un vecchio piano per la casa. Risorse e incentivi per l’Housing Sociale

Bellicini L. (2013), I tempi, le risorse e gli ostacoli della trasformazione urbana, in CSS, Intergruppo Parlamentare per l’Agenda Urbana, Italiadecide (a cura di), Forum dell’Agenda Urbana italiana, Atti del seminario, Roma, 23 gennaio 2013, pp. 33-35 CIPU (2013), Metodi e contenuti sulle Priorità in tema di Agenda Urbana, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma Commissione Europea, Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010)20def, 3 marzo 2010, Bruxelles Commissione Europea, Un bilancio per la strategia Europa 2020, COM(2011)500def, 29 giugno 2011, Bruxelles Il Sole24Ore (2012), Intervista a Delrio: «Ora usiamo i fondi UE», 28 novembre 2011, pp. 43

Sitografia

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, presentazione del Piano Città, disponibile su Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sezione Ufficio Stampa http://www.mit.gov.it/mit/site.php?p=cm&o=vd&id=2404 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Piano Città, Schede di Presentazione dei progetti, disponibile su Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sezione Ufficio Stampa http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=13825

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Rigenerare per competere: il caso delle aree produttive consolidate

Rigenerare per competere: il caso delle aree produttive consolidate Alessandro Bove Università degli Studi di Padova Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale - ICEA Email: alessandro.bove@unipd.it

Abstract Il tema della rigenerazione dello spazio urbano è stato declinato privilegiando tutti quegli interventi che agiscono a fronte di fenomeni consistenti di degrado funzionale, ambientale e sociale. Esso si focalizza quindi prevalentemente su territori dismessi ed in via di dismissione con un chiaro richiamo a strategie di sviluppo sostenibile. Oggi, attraverso il cosiddetto ‘Decreto Sviluppo’, convertito con la Legge 134/2012, queste questioni vengono elevate a vere e proprie strategie di potenziamento economico. Questo paper, attraverso l’esemplificazione relativa alla Zona Industriale di Padova, cerca quindi di analizzare il tema della rigenerazione alla luce di innovate esigenze che si riferiscono non tanto allo spazio urbano dimenticato e/o dismesso, ma a tutto quell’insieme di inadeguatezze che dovrebbero stare alla base del processo di rilancio socio-economico. Parole chiave Competitività, rigenerazione, aree produttive consolidate.

Il divenire dello spazio urbano Assumiamo per un istante di immaginare il territorio urbano come un essere vivente. Esso si sviluppa, cresce, invecchia, decade e, forse, si sviluppa nuovamente, in funzione dell’intrinseca necessità di adattarsi all’ambiente 1, ovvero di riuscire a rispondere appieno agli input provenienti da quelle variabili (economiche, sociali, insediative ed ambientali 2) che partecipano alla definizione e modificazione della sua struttura. Si tratta di un processo che sottende una sorta di continuità tra passato, presente e futuro, sottolineando come esso sia direttamente influenzato dalla mutazione delle condizioni al contorno. La rigenerazione quindi potrebbe apparire proprio come un adattamento conseguente alle mutate condizioni al contorno, sottendendo perciò che il territorio urbano necessiti una sorta di aggiornamento che ne garantisca una propria coerenza sia interna (ovvero rispondente alla funzionalità interna al sistema in termini di rapporto tra le diverse parti componenti l’insediamento, in relazione all’uso del suolo, all’accessibilità locale, alla qualità della vita ed alla partecipazione nella sua gestione e trasformazione) che esterna (in termini di legami di area vasta, tra insediamenti differenti, ed in funzione a macrovariabili, come ad esempio quelle economiche e sociali, che influenzano dall’esterno proprio la funzionalità interna dell’insediamento). Tale necessità di aggiornamento avrà tempi e modi differenti a seconda della complessità dei temi specifici che debbono essere affrontati, della dimensione fisica della porzione di territorio che andrà ad interessare, del ruolo/funzione che lo specifico ambito oggetto di rigenerazione avrà in relazione alla realtà urbana locale o ai legami di area vasta (rigenerazione territoriale 3) che esso storicamente presupponeva, attualmente sottende e richiederà in futuro. Così la dimensione globalizzata dell’economia (soprattutto in relazione al passaggio da un’economia del produrre ad una di servizi), a cui consegue l’attuale e continua ricerca della competitività tra i centri urbani, la crescente attenzione alla struttura sociale locale (in relazione all’invecchiamento della popolazione, alla contrazione delle nascite ed alla multiculturalità), alla sua composizione, e la necessaria sensibilità verso la sostenibilità complessiva degli insediamenti, sono alcuni dei principali motori che hanno fatto 1

Cfr: Romani V. (1994), Il paesaggio: teoria e pianificazione, Franco Angeli, Milano. Intese come relative all’ambiente naturale. 3 La Regione Puglia ha previsto nella L.R. 21/2008 proprio la rigenerazione territoriale, ma altre forme di intervento possono essere annoverate nella rigenerazione territoriale come ad esempio i progetti strategici definiti nella L.R. Veneto 11/2004. 2

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sì che la rigenerazione dell’insediamento sia un tema che nel tempo è stato declinato in maniere differenti per rispondere alle esigenze specifiche di un preciso momento storico. Si tratta di esigenze di dettaglio 4 quali la necessità di sostituzione o revisione della struttura edilizia, così da poter garantire una migliore ‘prestazionalità’ igienico –sanitaria, energetica, ecc.; il riuso di brani di territorio o di insiemi di strutture edilizie dismesse; l’adattamento alle mutate esigenze della mobilità; la maggiore qualità insediativa da esprimersi in relazione a specifici standard di riferimento; il recupero della qualità ambientale e paesaggistica (come il caso ad esempio delle cave o di altri insediamenti ad elevato impatto paesaggistico). Un adattamento 5 che perciò è stato oggetto di specifiche norme di indirizzo e forme/strumenti di pianificazione/trasformazione in relazione alle specifiche condizioni al contorno ed alla capacità di rispondere tempestivamente alle mutate condizioni al contorno che man mano si vengono a presentare. Esso si è manifestato nel momento stesso in cui il declino della struttura urbana/edilizia è già avvenuto, trasformando così l’urgenza di rigenerazione in una vera e propria necessità di ricostruzione/riuso del luogo, alla quale si associano politiche di sostituzione delle attività e delle funzioni in esso svolte. Si tratta di veri e propri flagship projects (dal Lingotto di Torino alla Bicocca a Milano, fino ai docks di Londra e Liverpool ed a La Defense a Parigi, solo per citarne alcuni) tramite i quali, attraverso la rigenerazione del frammento, si è cercato di ottenere un risultato allargato all’intera realtà insediativa limitrofa. A questi sono succeduti diverse modalità di intervento (programmi di riqualificazione urbana, programmi complessi, accordi pubblico–privato, ecc.) tramite le quali, pur intervenendo laddove il declino è già avvenuto, si sono introdotte tutta una serie di innovazioni di processo (accorciamento dei tempi di approvazione, valutazione di parametri economici e temporali relativi all’intervento, partecipazione pubblico-privata alle iniziative di rigenerazione) che hanno decretato il successo di queste forme di rinnovamento del tessuto urbano in declino. Con il crescente riconoscimento del ruolo economico attribuibile alle città ed il conseguente rapporto tra città ed innovazione (interna, ovvero relativa alla propria organizzazione, ed esterna, in quanto capace di generare innovazione attraverso le attività in essa svolte), la rigenerazione sembra diventare la chiave per perseguire quei fattori (standard di vita, livelli occupazionali e di produttività, ambiente imprenditoriale, capacità di innovare e apprendere) che dovrebbero consentire di raggiungere un adeguato grado di competitività tra le diverse città, spostando quindi l’accento dalla dimensione locale al valore aggiunto che la città dovrebbe riuscire ad offrire all’economia presente sul territorio. L’attuale crisi economica da un lato e l’anelito verso la cosiddetta smart growth sono aspetti esogeni che influiscono direttamente su quei fattori materiali (come l’assetto morfologico dell’insediamento, le infrastrutture a supporto delle attività economiche e sociali, i fattori di produzione, le istituzioni pubbliche e l’apparato amministrativo, il tessuto produttivo ed il sistema finanziario, i centri di generazione della conoscenza, il capitale umano, la dimensione e la qualità del mercato, la qualità della vita) ed immateriali (come l’apertura all’innovazione, il livello di benessere e di coesione sociale) che sembrano essere il riferimento, implicito od esplicito, alle attuali politiche di rigenerazione urbana a cui fanno riferimento il ‘Decreto Sviluppo’ (D.L. 83/2012), il ‘Piano Città’ ed il ‘Contratto di Valorizzazione Urbana’.

Tematiche generali e realtà locale Partendo dunque da due capisaldi quali il ruolo della pratiche urbanistiche rivolte alla rigenerazione, soprattutto in relazione alla crisi tra le diverse zone che compongono lo spazio urbano, e le dinamiche che hanno investito l’economia italiana con il progressivo cambiamento dalla produzione alla fornitura di servizi (a cui conseguono la dismissione delle strutture edilizie produttive, la loro conversione e la necessità di revisione dell’impianto urbanistico di riferimento), la riflessione che si ritiene opportuno svolgere riguarda le modalità con cui la rigenerazione può intervenire per far fronte a quell’insieme di inadeguatezze (strumentali e pratiche) che dovrebbero essere alla base del processo di rilancio socio-economico di un ambito urbano specifico. Si tratta di comprendere dunque se le aree produttive consolidate (intendendo con questo termine il fatto che siano ormai mature rispetto ad un possibile radicale cambiamento, pur non rappresentando questo una vera e propria urgenza) abbiano quale proprio orizzonte di rigenerazione il fatto di essere mantenute come tali o dove sia più opportuno un cambiamento generale della funzione. Affrontare dunque il tema del rapporto esistente tra le diverse parti del territorio urbanizzato, con particolare riferimento alle aree produttive, ha per il territorio Veneto e per Padova nel riferimento specifico un significato particolare. Infatti, pur a fronte di un processo di industrializzazione che è sempre stato deficitario di aree industriali di estensione considerevole (fino agli Anni Trenta del Novecento si era sviluppata solo Marghera, che poteva vantare questa accezione), il territorio regionale ha visto la formazione di numerose aree produttive diffuse su tutto il territorio. Oggi il risultato di questo processo di strutturazione dei luoghi della produzione vede l’organizzazione territoriale produttiva veneta articolata su tre polarità principali (Verona, Padova e Venezia) soggette ad una comune e progressiva obsolescenza che richiede un ripensamento del loro impianto fisico (rigenerazione urbanistica ed edilizia) e funzionale (rigenerazione dei legami tra i poli produttivi principali e 4 5

Ovvero riferibili alla dimensione locale e fisica della rigenerazione. Nel senso di adeguamento alla realtà specifica fatta salva comunque la condivisione delle finalità generali.

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secondari in termini di accessibilità, funzioni e rapporti, nonché tra area produttiva e centro urbano in termini di funzioni ed attività). In particolare la Zona Industriale di Padova (ZIP), con particolare riferimento alla compagine nord, è stata pensata e progettata 6 con una specifica attenzione alla propria funzionalità di luogo del produrre, ma, allo stesso tempo, ha assorbito la rete commerciale (insediando centri commerciali ed ipermercati), ospita funzioni come l’abitare (generalmente quello temporaneo degli hotel o dei residence), il ricrearsi (palestre, discoteche e cinema sono solo alcune delle funzioni che la zona produttiva ha sottratto alla città), la ricerca e la fornitura di servizi, appannaggio principale della città vera e propria. Nello specifico, nel caso della ZIP, fin dai primi anni di attività come evidenziato dai documenti degli anni ’60, si è ravvisata la tendenza a preferire la destinazione d’uso commerciale rispetto a quella produttiva prevista dalla pianificazione. Tale tendenza poi è proseguita anche quando, in tempi recenti, liberalizzata la destinazione d’uso commerciale, nella ZIP Nord è cominciata una trasformazione surrettizia da produttivo/commerciale a servizi, con la costruzione di diversi edifici multipiano e la conseguente messa in crisi delle infrastrutture di servizio presenti (dai parcheggi alla fognatura) 7. È così possibile affermare che nella storia del rapporto tra la città di Padova e la ZIP non esiste più un limite fisico, perché esso non risponde alle dinamiche del reale, ma si manifesta una sorta di continuità spaziale e funzionale che in un certo modo ha reso obsolete (o addirittura non idonee in taluni casi) le scelte di programmazione urbana attuate. Oggi la città deve quindi affrontare importanti scelte strategiche che siano in grado di suggerire un processo di riqualificazione che, partendo dai substrati fondamentali di adattamento alle dinamiche vitali, ridisegni il territorio attraverso un gioco di scambi funzionali costruiti sulla reversibilità delle scelte e sulla creazione di relazioni osmotiche. Infatti la compagine nord della ZIP è ambito territoriale fagocitato all’interno di zone prevalentemente residenziali e tagliato dalle principali infrastrutture di collegamento metropolitano. In questo senso la ZIP si trova a doversi confrontare con due grandi sfide. La prima, interna, che, nel caso della Zona Nord, riguarda il suo rapporto con il centro di Padova, con i comuni confinanti (Noventa Padovana in particolare che spinge con i suoi insediamenti residenziali), con le aree produttive del PATI 8 metropolitano e con quei poli produttivi di interesse provinciale, dei quali si candida ad essere il punto di riferimento in termini sia dimensionali che funzionali. La seconda, esterna, con Marghera, che sta rivedendo il proprio assetto produttivo a favore di altre funzioni, e con l’oramai famoso Veneto City, che si candida ad essere il polo di riferimento 9 futuro dell’area centrale veneta 10. Ma la sfida potrebbe tranquillamente assumersi anche a livello più ampio, europeo in prima battuta, per il ruolo rappresentato dal questo insediamento all’interno delle dinamiche competitive continentali. Tale sfida non si gioca solamente in termini di metri cubi, di rapporto di copertura o di dotazione di infrastrutture, ma mette in gioco l’essenza stessa del rapporto tra le aree produttive, la città ed il territorio. Una sorta quindi di smaterializzazione dell’urbanistica in favore di approcci da un lato maggiormente strategici (processo di visioning) e dall’altro maggiormente concreti e diretti (masterplan e progetti). Diventa quindi fondamentale comprendere se sia più opportuno un approccio maggiormente rivolto alla permanenza o, piuttosto, alla trasformazione complessiva dell’area della ZIP nord. Dialetticamente la permanenza sarebbe in contrapposizione con il concetto di evoluzione (e quindi di trasformazione), ma nel caso del territorio in generale e della città in particolare è possibile osservare un’indubbia continuità: entrambi, in quanto elementi ‘vivi’, si evolvono continuamente alla ricerca di ulteriori equilibri. Tutt’al più è la pianificazione che genera trasformazioni solo se sollecitata da eventi esterni, cioè quando l’evoluzione della società civile (o meglio, oggigiorno, dell’economia) rende inadeguato l’assetto precedente. Le possibili scelte diventano quindi molteplici. È infatti possibile pensare di sviluppare e promuovere nicchie economiche molto forti all’interno della ZIP, dove può essere raggiunta una massa critica circoscritta e compatibile con le vocazioni locali, cercando così di riconquistare la competitività locale, soprattutto in considerazione del fatto che all’interno del mercato globalizzato non è importante tanto la dimensione dell’azienda, quanto la sua capacità a competere globalmente. Oppure agevolare politiche di riuso di ambiti dismessi, investendo capitali che potrebbero supportare lo sviluppo di nuove imprese tramite l’offerta di strutture in affitto a basso costo. O ancora associare nuove espansioni con zone di rinnovamento caratterizzate da un mix di funzioni residenziali, commerciali, industriali e strutture per lo svago. Tale strategia dovrebbe garantire la formazione di agglomerati di medio-alta densità con uno sviluppo di attività produttive miste e, di conseguenza, minimizzare l’uso della macchina per gli spostamenti. Quello che però risulta essere centrale nelle scelte e nelle strategie da attuare nella rigenerazione della ZIP è il passaggio dalla competizione basata sul valore economico 6

Si tratta di una zona produttiva pianificata ex novo negli anni ’50 ed istituita come Consorzio nel 1958. Le numerosi varianti impostate dall’Amministrazione Comunale hanno sempre ‘rincorso’ queste dinamiche, favorendole in un certo qual modo con ‘norme di piano a maglie larghe’. In tempi recenti poi l’Amministrazione ha cercato di razionalizzare la sommatoria di interventi recenti attraverso la promozione di una Società di Trasformazione Urbana. 8 Piano di Assetto del Territorio Intercomunale. 9 Si tratta di un progetto immobiliare di 1,8 milioni di metri cubi destinati a terziario, servizi, direzionale, commerciale, ricettivo e tempo libero posto all’intersezione tra l’autostrada A4 ed il Passante di Mestre. Attualmente proprio questo ‘gigantismo’ è causa implicita del fatto che l’intervento stenti a decollare. 10 Per area centrale veneta si intende quella porzione di territorio regionale, pianeggiante, compresa tra la fascia pedemontana ed il fascio infrastrutturale rappresentato dalla A4 e dalla A27 nelle province di Vicenza, Padova, Treviso e Venezia. 7

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dell’insediamento a quella che ha nella qualità il proprio riferimento. Di conseguenza la gestione territoriale dovrà passare da una funzione di controllo del territorio a quella di promozione dello sviluppo, dall’espansione insediativa al riuso, da un substrato produttivo basato quasi esclusivamente sull’industria ad una base economica complessa, articolata e differenziata. In particolare la partecipazione al processo di pianificazione non dovrà essere più indirizzata all’approvazione del piano, ma servire a costruire il consenso, a conoscere la domanda di mercato sociale ed economico, a definire i progetti strategici per il nuovo assetto territoriale. La strategia può trovare applicazione anche in maniera retroattiva 11, andando a ricucire, ad esempio, le lacerazioni causate dalla frammentazione edilizia. Ciò però implica una normativa legata alla pianificazione maggiormente flessibile. Il primo scoglio da superare, in effetti, è quello dello standard urbanistico e della destinazione urbanistica dell’area, che dovrebbero essere relazionati al disegno ed alla qualità della composizione urbanistica piuttosto che a quantità generalizzate ed uniformi all’interno dell’intero ambito regionale se non addirittura nazionale. Inoltre è necessario individuare un corretto livello di densità edilizia in relazione all’identità dei luoghi ed alle reali necessità di sviluppo, che limiti il consumo del suolo attraverso il raggiungimento di soglie limite al di sotto delle quali non è possibile intervenire con nuova edificazione. La progettazione dello spazio urbano, rispondendo prioritariamente alla larghezza delle strade, alla dotazione dei parcheggi, alla garanzia delle quantità minime di verde ha creato spesso brutte città ed impoverimento territoriale. Questo perché tutte le regole prima elencate sono state usate solo come parametri e, conseguentemente, il loro soddisfacimento metteva al sicuro il progetto e ne garantiva l’approvazione. In realtà la strada, i parcheggi, le aree verdi sono spazi pubblici, non corridoi, tubi di flusso, punti di sosta o di interscambio, porzioni territoriali residuali. La rigenerazione dello spazio dovrebbe perciò avvenire attraverso un processo in cui il ruolo del disegno è l’elemento centrale e in cui la creazione dello spazio possa essere l’elemento di riferimento per la qualità della trasformazione territoriale. Assumono poi sempre maggiore importanza le politiche volte alla creazione di una città compatta, collegando, ad esempio, la densità urbana ad una sorta di scala gerarchica nella città, valutata in relazione non solo alla dotazione di servizi, di spazi commerciali e di connessione alla rete infrastrutturale, ma anche ai suoi consumi energetici, alla sua produzione di rifiuti ecc. Tale lettura della struttura urbana potrebbe individuare le zone di densificazione. Qui la rigenerazione dovrebbe garantire da un lato la densificazione a fronte di interventi a garanzia del disegno degli spazi pubblici, che potrebbero diventare spazi di integrazione dell’edificato; dall’altro la presenza di un maggior numero di servizi e, allo stesso tempo, una maggiore dotazione di servizi di trasporto pubblico. E comunque densificare non vuol dire necessariamente crescita in altezza: non dobbiamo fare del Veneto una terra di grattacieli, piuttosto dobbiamo individuare quelle zone che della crescita in altezza potrebbero avere un giovamento, come, ad esempio, le nuove centralità produttive e di servizio. Ciò significa che attraverso la comprensione di caratteri quali il contesto, la densità ed i parametri di sostenibilità relativi ad un luogo sarà possibile realizzare, attraverso la promozione della mixité, un territorio responsabile ed aperto al cambiamento.

Competitività e sostenibilità Da quanto sopra descritto appare chiaro che nel caso in oggetto e con buona approssimazione anche in relazione generalmente alle aree produttive mature, il processo di rigenerazione di queste tipologie insediative necessita di essere affrontato tramite un approccio imprenditoriale, che sappia gestire, attraverso un approccio integrato, le diverse istanze di sostenibilità che questo tipo di interventi necessita di supportare. Infatti la ricerca di una rinnovata competitività attraverso la rigenerazione di aree produttive mature ha quale scopo principale lo sviluppo di un ambiente urbano innovativo, creativo e dinamico, nel quale sia redditizio investire (altrimenti non è credibile l’assunzione del rischio da parte del privato). Questo può avere importanti ricadute in altri settori (il turismo ad esempio) qualora riesca a tramutare l’area di intervento in un ‘ambito iconemico’ che supporti le azioni di marketing territoriale. Allo stesso tempo un approccio imprenditoriale non garantisce un ritorno dell’investimento se non è supportato da una visione strategica di lungo periodo e partecipata della trasformazione, oltre che da un monitoraggio nel tempo a garanzia della concreta attuazione degli obiettivi di sostenibilità, essi stessi oggigiorno elemento di qualificazione del progetto di rigenerazione.

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Il riferimento è allo standard qualitativo proposto in Lombardia.

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Rigenerare per competere: il caso delle aree produttive consolidate

Figura 1. Il territorio di Padova: in evidenza il centro storico e la zona industriale.

Figura 2. La costruzione della zona industriale (1967) vista da Sud.

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Rigenerare per competere: il caso delle aree produttive consolidate

. Figura 3. La zona industriale oggi vista da Sud. La città

Bibliografia AA.VV. (2013), P.I.R.U.E.A. nel Veneto. Programmi Integrati di Riqualificazione Urbanistica e Ambientale, Cierre Grafica, Verona. Amin A., Thrift N. (2005), Città. Ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna. Ave G. (2004), Città e strategie. Urbanistica e rigenerazione economica delle città, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna (RN). Calafati A. G. (2009), Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia, Donzelli Editore, Roma. Landry C. (2009), City making. L’arte di fare la città, Codice edizioni, Torino. Rykwert J. (2003), La seduzione del luogo. Storia e futuro della città, Einaudi editore, Torino. Romani V. (1994), Il paesaggio: teoria e pianificazione, Franco Angeli, Milano.

Copyright Copyright delle immagini: Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova.

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Regole negoziali non arbitrarie per le ATU milanesi

Nuove regole negoziali non arbitrarie nelle grandi Aree di Trasformazione Urbana Sergio Brenna Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: sergio.brenna@polimi.it Tel. 3332016023/ fax 0299984369

Abstract Molti Comuni, tra cui Milano, hanno da tempo utilizzato ampiamente tutte le possibilità consentite dall’introduzione di strumenti di pianificazione negoziata (PII e Accordi di Programma) per fissare arbitrariamente l’indice di capacità edificatoria e la quantità di spazi pubblici da realizzare negli interventi di rilevante trasformazione urbanistica .Occorre valutare attentamente l’opportunità e la ragionevolezza di queste scelte esaminandone le possibili conseguenze e rendendone esplicite e criticabili le illogicità in termini di spazi pubblici per abitante insediabile. L’attribuzione,di un tetto all’indice di edificabilità privata di 0,40÷0,50 mq/mq e di 0,25÷0,15 mq/mq di edilizia sociale, con un meccanismo di gara al ribasso sulla quota di edificabilità privata e di aumento di quella pubblica, consentirebbe di calmierare il livello della rendita fondiaria privata, disincentivare l’emulazione redditiera delle proprietà fondiarie istituzionali, accrescerne le contropartite socialmente utili Parole Chiave: Indici edificatori, dotazioni pubbliche, regole degli strumenti negoziali

1 | Gli strumenti di “urbanistica negoziale” come riedizione delle “convenzioni” ad indici arbitrariamente negoziati” e le loro gravi ed illogiche conseguenze Molti Comuni hanno ormai da tempo utilizzato ampiamente tutte le possibilità consentite dall’utilizzo degli Accordi di Programma con le Regioni ed altri enti pubblici e privati (L. n. 142/90, art. 27) e dei Programmi Integrati di Intervento (L. n. 179/92, art. 16) proposti da privati, per introdurre nelle grandi trasformazioni urbane derivanti dal riutilizzo di aree dismesse dall’uso produttivo o da servizi tecnologici ampie modifiche di destinazioni funzionali e quantità edificatorie arbitrariamente negoziate rispetto alle previsioni del proprio Piano Regolatore. Si tratta, nel complesso, di una tendenza – precocemente praticata dalla Lombardia (Leggi Verga e Adamoli), ma poi generalizzatasi a livello di legislazioni regionali e nazionale - che alimenta una sostanziale sfiducia negli esiti prodotti dall’applicazione delle norme sui rapporti tra densità edificatorie e spazi pubblici, faticosamente conquistate fra il 1967-’68 (Legge Ponte e DM sugli standard) e il 1977 (prime leggi regionali di Lombardia, Piemonte, Emilia, Liguria, Toscana e, infine, Legge Bucalossi sul regime dei suoli). L’urbanistica, infatti, dopo essere stata al centro di grandi aspettative e rivendicazioni sociali negli anni SessantaOttanta, in questi ultimi decenni non gode ormai più di buona fama e, in un periodo di difficoltà finanziarie e di rapidità di mutamenti economico-produttivi, il suo posto nell’immaginario sociale collettivo dell’aspettativa di un futuro migliore è stato preso dall’ambientamento ecologistico degli edifici (risparmio energetico, fonti rinnovabili, riciclabilità dei materiali, ecc.). Eppure il rischio è che ciò si riveli alla fine uno scambio ineguale tra virtù private degli edifici e permissivismo pubblico dell’assetto urbano, succubo del neoliberismo economico, oggi prevalente, che ritiene un lusso insostenibile mantenere le regole di un progetto di territorio e città, pubblicamente individuato e condiviso, che è stato il pensiero fondante dell’urbanistica pubblica.

Sergio Brenna

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Regole negoziali non arbitrarie per le ATU milanesi

2 | L’urbanistica negoziale milanese tra Documento di Inquadramento Urbanistico, Rinascimento Urbano e indice unico del PGT Anche il Comune di Milano ha ampiamente utilizzato tali strumenti, ma almeno inizialmente all’interno delle indicazioni di massima di un Documento di Inquadramento Urbanistico (DIU), prescritto dalla normativa regionale allora vigente (L.R. n. 9/99), e che dal 2000, sulla base di uno studio del prof. Luigi Mazza del Politecnico di Milano1, indicava le priorità localizzative di queste trasformazioni2 e fissava alcuni limiti quantitativi e funzionali di edificabilità (0,65 mq/mq, 44 mq/abitante di spazi pubblici e 40% di residenza convenzionata).

Figura 1. Modello di organizzazione spaziale del Documento di Inquadramento Urbanistico (D.I.U.) del Comune di Milano e rete ferroviaria di riferimento (a sinistra), da: Mazza (2000).

Si può molto discutere sia su quelle priorità localizzative, sia sul loro effettivo rispetto, sia – infine - sulla coerenza complessiva dei servizi generali che sono stati di volta in volta contrattati negli interventi in corso di attuazione (Museo e palazzo della Moda a Porta Nuova/Centro Direzionale; del Design o d’Arte Contemporanea ad ex-Fiera/Citylife; Centro Congressi prima a S. Giulia poi a ex-Fiera, ecc.), ma nel complesso, bisogna tuttavia riconoscere che quegli indici (0,65 mq/mq; 44 mq/ab. di spazi pubblici) hanno avuto almeno il pregio di garantire che i nuovi insediamenti consentiti si dotassero non solo di aree e servizi proporzionati al loro peso insediativo (26,5 mq/ab), ma anche attuassero le aree per servizi generali (17,5 mq/ab, tra cui i parchi territoriali), vincolate dal PRG, ma abitualmente non messe in carico ai Piani Attuativi ordinari, e che a causa della loro inattuazione e conseguente decadenza dei vincoli, sono spesso all’origine di fantasiose e problematicamente contraddittorie ipotesi di perequazione tra le aree (a destinazione pubblica e privata) interne ai Piani Attuativi e quelle vincolate dal PRG a uso pubblico ma non ricomprese in essi. In altri termini, con gli indici del DIU i PII hanno realizzato, di fatto, una condizione perequativa tra aree a servizi propri e aree a servizi generali. Sottolineo “di fatto”, perché in realtà non si attuano le aree a servizi generali indicate come tali nel PRG, ma quelle che “di fatto” si realizzano negli strumenti attuativi proposti dai privati. Ciò sconta una non indifferente rinuncia ad una strategia localizzativa programmata e pianificata, a favore di una “governabilità” senza progetto generale. Questa, tuttavia, è la filosofia dei PII e, conseguentemente, del D.I.U. e delle modifiche e integrazioni ai PRG consentite ora senza alcun limite dalla L.R. n. 12/05 sino alla formulazione ed approvazione dei futuri e fin troppo flessibili Piani di Governo del Territorio (PGT)3. Con l’indice di edificabilità territoriale di 1,15 mq/mq immotivatamente concesso all’area dell’ex Fiera di Milano (Fondazione Fiera, poi Citylife), con quello di 1+0,60 di funzioni para-pubbliche (Palazzo e Museo della Moda) del Progetto Porta Nuova (Hines-Catella-Ligresti), sull’area dell’ex Centro Direzionale a GaribaldiRepubblica, approvati durante l’assessorato di Maurizio Lupi nell’Amministrazione Albertini grazie agli effetti sinergicamente derogatori di strumenti negoziali accoppiati (AdP+PII in deroga al D.I.U.), e infine con l’indice generalizzato di 1 mq/mq successivamente proposto nella bozza di PGT della Giunta Moratti/Masseroli, non 1

Cfr. Mazza (2000). La cosiddetta T rovesciata, cioè la direttrice da NO (Malpensa-Sempione) a SE (Linate-Rogoredo) e la sua perpendicolare a NE (Sesto S.G.-Monza-Agrate-Bergamo-Orio al Serio). 3 Com’è possibile, ad esempio, adempiere non burocraticamente alla Valutazione Ambientale Strategica del PGT se essa ha come unico orizzonte temporale delle trasformazioni urbane il quinquennio previsto dal Documento di Prgogramma? 2

Sergio Brenna

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solo si rinunciava al disegno insediativo pubblico, ma persino al recupero quantitativo degli standard generali inattuati e alle quote di residenza sociale. Gli esiti morfo-tipologici di quei due casi, giustificati dall’Amministrazione comunale sia per l’eccezionalità simbolica loro attribuita (il Rinascimento Urbano), sia per sancire negli strumenti di programmazione negoziata l’insindacabilità degli esiti delle trattative “politiche”, anche in deroga alle norme del D.M. n. 1444/68 (limiti massimi di densità fondiaria, di distanza e di altezza, limiti minimi di aree pubbliche), sinora ritenute inderogabili anche da PII e Accordi di Programma4, sono stati fortemente contestati sia dalla cultura urbanisticoprogettuale sia dall’opinione pubblica5 per la forte disomogeneità con il tessuto urbano circostante e l’incongrua distribuzione dei pochi spazi pubblici racchiusi tra altissime edificazioni.

Figura 2. Veduta dall’alto del plastico delle edificazioni previste dal P.I.I. Citylife sull’area dell’ex Fiera di Milano, fonte Citylife.

Figura 3. Rendering dell’inserimento delle edificazioni previste dal P.I.I .nel contesto urbano, fonte Citylife. 4

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Risuscitando, di fatto, le “convenzioni” fuori PRG, antecedenti la Legge Ponte n. 765/67 e vietate dopo il clamoroso episodio della frana di Agrigento; c’è solo da augurarsi che non ne occorra un altro altrettanto clamoroso (forse non edilizio, ma socio-ambientale) per capire su che strada siamo tornati a metterci. I grattacieli sghembi o il “verde verticale” sono stati oggetto non solo dei lazzi dei comici e degli anchormen delle televisioni pubbliche e private, ma persino delle critiche dello stesso Berlusconi e della rivista del suo consigliere culturale Dell’Utri, sia pure in nome di uno spirito di preservazione della tradizione espressiva locale e nazionale, ambiguamente contraddittorio con l’altrove decantato liberismo economico nell’uso immobiliare della città; cfr. Crespi (2008), direttore de Il Domenicale e Salingaros (2008), p. 6.

Sergio Brenna

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Figura 4. Rendering delle edificazioni previste dal P.I.I. Porta Nuova e Palazzo del Governatore all’ex Centro Direzionale, fonte Skymino/Roberto Arsuffi- http://urbanfile.org.

Figura 5. Foto panoramica delle realizzazioni in corso nel P.I.I. Porta Nuova all’ex Centro Direzionale, fonte Stefano Gusmeroli-http://MilanoFoto.it.

Tuttavia, se non si vuole ridurre la discussione sulla morfologia urbana che si vuol ottenere a mero pettegolezzo sulle personali preferenze estetiche di questo o quel pubblico amministratore o uomo politico, di questo o di quell’architetto di grido, forse occorrerebbe rovesciare il ragionamento, partendo da un progetto insediativo con un ragionevole rapporto tra densità fondiarie e spazi inedificati6, anziché da una predefinita percentuale del 50% tra aree pubbliche e private, che è assolutamente immotivata e che vuole solo impressionare l’opinione pubblica con l’illusionismo di una sorta di equa spartizione mezzadrile, in realtà iniqua se non proporziona la cessione alla quantità edificatoria concessa sul residuo 50% privato. Occorre valutare attentamente l’opportunità e la ragionevolezza di queste scelte esaminandone le possibili conseguenze. 6

Cfr. Falco (1999), p. 111: ‹‹Può essere utile, a partire dall’Ief , e cioè da una definita immagine dell’insediamento residenziale e della sua morfologia (pur con quella approssimazione che è rappresentata dal definire l’immagine attraverso il solo Ief), arrivare all’Iet e alla quantità complessiva di aree pubbliche connesse a quell’Ief”››

Sergio Brenna

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3 | Critica all’assunzione arbitraria degli indici urbanistici negoziati Come si è detto, l’indice Iut = 0,65 mq/mq prescritto in precedenza dal D.I.U. del Comune di Milano consentiva di realizzare all’interno dei perimetri dei PII sia i 26,5 mq/ab di aree per servizi pubblici propri prescritti dal PRG allora vigente sia i 17,5 di servizi pubblici generali (prescritti dall’art. 4 comma 5 del D.M. n. 1444/68 per istruzione superiore, attrezzature sanitarie e ospedaliere e parchi pubblici urbani e territoriali, rispettivamente per 1,5-1-15 mq/abitante). Infatti, con 26,5+17,5=44 mq/ab 7 bisogna desumere che ogni mq di s.l.p. deve generare 1,46 mq di aree per attrezzature pubbliche8. Più specificamente, ogni mq di superficie lorda di pavimento (s.l.p.) edificabile deve generare 0,88 mq di aree per servizi propri dell’insediamento (26,5 mq/ab) e 0,58 mq per servizi generali (17,5 mq/ab). Con l’indice Iut = 0,65 mq/mq è possibile, quindi, soddisfare tale condizione interamente con aree all’interno del perimetro del PII. Infatti, 0,65·1,46 = 0,949, cioè si è al 95 % della possibilità di reperire aree pubbliche richieste, di zona e generali, all’interno del PII e, quindi, l’indice massimo che consente ciò è x·1,46 = 1 cioè x = 1/1,46 = 0,685 mq/mq. Viceversa con l’indice Iut = 1 mq/mq il fabbisogno di aree per servizi propri e generali è 1·1,46 = 1,46 o 1·1,24 = 1,24 (a seconda che si voglia considerare o no il soddisfacimento di una parte del fabbisogno di aree per servizi pubblici propri mediante parcheggi interrati o pluripiano) comunque superiore al 100% della possibilità di soddisfarlo con aree interne al comparto di PII. Ogni mq di s.l.p. così assentito genererà un fabbisogno di aree per servizi generali insoddisfatto (e di cui dovrà farsi carico la collettività o economicamente o accedendo all’ipotesi di nuovi carichi insediativi a scopo perequativo/compensativo) dal 24 al 46% in più di quello effettivamente realizzabile 9. Sulla base di analoghi calcoli è possibile allora costruire delle tavole degli “indici di saturazione” nella dotazione di aree pubbliche realizzabili da parte degli strumenti attuativi, in relazione agli indici di edificabilità territoriale consentiti (It), agli indici di spazi pubblici(Isp) (di zona e generali) prescritti per abitante teorico e alla stima di densità insediativa degli abitanti (30 o 50 mq di s.l.p./abitante): Tabella I: Indici di saturazione della realizzabilità di aree pubbliche negli strumenti attuativi in relazione agli indici di edificabilità territoriale e alla dotazione di 44 mq/30 mq s.l.p.≡(abitante teorico) It

ISp= Sp/ab≡30mq s.l.p.

0,65

44 (26,5+17,5) 44 44 44 44

0,685 1,00 1,15 1,65

ISp /slp * 44mq/ab :30 mq slp/ab=1,46 mq Sp /mq s.l.p. 1,46 (0,88+0,58) 1,46 1,46 1,46 1,46 *

Indice di saturazione Sp** ** . It ISp/s.l.p. 0,949 (95%) 1,00 (100%) 1,46 (146%) 1,68 (168%) 2,41(241%)

Tabella II: Indici di saturazione della realizzabilità di aree pubbliche negli strumenti attuativi in relazione agli indici di edificabilità territoriale e alla dotazione di 35,5 mq/30 mq s.l.p.≡(abitante teorico) It

ISp= Sp/ab≡30mq s.l.p.

0,65

35,5 (18+17,5) 35,5 35,5 35,5 35,5 35,5

0,685 0,85 1,00 1,15 1,65

ISp /slp * 35,5mq/ab :30 mq slp/ab=1,18 mq Sp /mq s.l.p. 1,18 (0,60+0,58) 1,18 1,18 1,18 1,18 1,18 *

Indice di saturazione Sp ** ** . It ISp/s.l.p. 0,767 (76,7%) 0,81 (81% ) 1,00 (100%) 1,18 (118%) 1,36 (136%) 1,95 (195%)

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Considerando 1 ab/30 mq s.l.p. ai sensi dell’art. 3, 3° comma del DM n. 1444/68, in assenza di diversa dimostrazione o disposizioni regionali non più previste nella L.R. 12/05 e successive modificazioni) 8 44 mq/ab:30 mq slp/ab = 1,46 mq/1 mq slp 9 Ciò sempre che rimanga alla fine qualche area non ancora urbanizzata e che il Comune riesca a trovare – non si sa come - le risorse economiche per indennizzare quegli espropri a prezzi di mercato. Altrimenti la città finirà per scoprire che dovrà fare a meno di quelle pur indispensabili dotazioni del moderno vivere civile che sono i parchi pubblici e le grandi attrezzature territoriali. Sergio Brenna

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Tabella III: Indici di saturazione della realizzabilità di aree pubbliche negli strumenti attuativi in relazione agli indici di edificabilità territoriale e alla dotazione di 44 mq/50 mq s.l.p. ≡(abitante teorico)

It

ISp= Sp/ab≡50mq s.l.p.

0,65

44 (26,5+17,5) 44 44 44 44

0,685 1,00 1,15 1,65

ISp /slp * 44mq/ab :50 mq slp/ab=0,88 mq Sp /mq s.l.p. 0,88 (0,53+0,35) 0,88 0,88 0,88 0,88 *

Indice di saturazione Sp ** ** . It ISp/s.l.p. 0,572 (57%) 0,60 (60%) 0,88 (88%) 1,00(100%) 1,45 (145%)

Tabella IV: Indici di saturazione della realizzabilità di aree pubbliche negli strumenti attuativi in relazione agli indici di edificabilità territoriale e alla dotazione di 35,5 mq/50 mq s.l.p. (abitante teorico)

It

ISp= Sp/ab≡50mq s.l.p.

0,65

35,5 (18+17,5) 35,5 35,5 35,5 35,5 35,5 35,5

0,685 0,85 1,00 1,15 1,41 1,65

ISp /slp * 35,5mq/ab :50 mq slp/ab=0,71 mq Sp/mq s.l.p. 0,71 (0,36+0,35) 0,71 0,71 0,71 0,71 0,71 0,71 *

Indice di saturazione Sp ** ** . It ISp/s.l.p. 0,46 (46,0%) 0,49 (49%) 0,60 (60%) 0,71 (71%) 0,82 (82%) 1,00 (100%) 1,17 (117%)

Se ne desume che l’ipotesi di una densità territoriale di 1 mq/mq sottende di fatto alcune premesse implicite che appaiono inaccettabili e che è bene rendere manifeste e criticabili. La prima è che con i PII e con gli AdP non s’intendesse più perseguire una strategia nemmeno quantitativamente perequativa, anche se non localizzativa, nei confronti delle aree vincolate a servizi generali, e alla cui acquisizione si dovrebbe quindi procedere o con risorse pubbliche oggi inimmaginabili o con nuovi carichi insediativi virtuali da trasferire su parte di esse o sulle aree già edificabili (c.d. perequazione “estesa”), con le prevedibili conseguenze in termini di qualità urbana ed ambientale. Ma così facendo, non si capirebbe, tuttavia, perché a quel punto si sia voluto accedere all’uso degli strumenti di pianificazione contrattata (PII, AdP) anziché a dei normali Piani Attuativi del PRG vigente o variato, o del futuro PGT, se non per puro servilismo verso la facoltà di concedere ai privati di mutare destinazioni d’uso e densità a loro piacere. La seconda è che, pur senza dichiararlo, si intendesse applicare quello standard di 18 mq/ab reintrodotto poi dalla L.R. 12/05, ma solo in ossequio al minimo inderogabile fissato dal D.M. n. 1444/68, e che allora (nel 1968!) era un avanzamento rispetto a Piani ben più sottodimensionati, mentre oggi è un netto arretramento rispetto alle legislazioni regionali susseguitesi dal 1975 al 1999 che si sono non irragionevolmente in gran parte attestate sui 24-28 mq/abitante10. Senza voler rinfocolare le polemiche ancora in corso su quelle due aree e sui motivi del trattamento di favore loro riservato, è tuttavia evidente che esso non potrebbe ragionevolmente essere riproposto sull’intera estensione delle Aree di Trasformazione Urbana previste dal PGT (ex scali ferroviari, ex caserme, altre grandi proprietà, per un totale di circa 5.400.000 mq), neppure nella versione “attenuata” di un indice edificatorio di 1 mq/mq come previsto dal PGT nella versione approntata dalla Giunta Moratti/Masseroli.

4 | Un’alternativa logica: calmierare il livello della rendita fondiaria privata, disincentivare l’emulazione redditiera delle proprietà fondiarie istituzionali, accrescerne le contropartite socialmente utili. Invertire questa tendenza sarebbe possibile proprio a partire dalla risorsa strategica rappresentata dalle grandi proprietà pubbliche istituzionali di aree destinate alle trasformazioni urbane (gli ex scali ferroviari, le ex 10

Per altro nei PGT è prevista una procedura di Valutazione Ambientale Strategica della sostenibilità di tale parametro minimo. Averlo fatto con i PII e gli AdP, in deroga ai PRG e in assenza di PGT, è un doppio obbrobrio: giuridico e metodologico.

Sergio Brenna

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caserme, ecc.), se il Comune, anziché incentivare l’omologazione al comportamento degli speculatori immobiliari nella ricerca della massimizzazione delle rendite, subordinasse la sottoscrizione degli accordi di programma con queste proprietà all’impegno da parte loro ad attuare un meccanismo di alienazione dei propri patrimoni fondiari con il criterio del ribasso sulla quota di edificazione privata e conseguentemente con la crescita della quota di edilizia sociale, ferma restandone l’edificabilità totale ammessa e le dotazioni di spazi pubblici prescritti. In tal modo si potrebbe sia stabilizzarne il livello della rendita fondiaria attorno ai valori attuali sia massimizzarne l’utilità sociale. Purtroppo è esattamente il contrario di ciò che i Comuni amano fare quando sono condizionati dal dover far fronte a necessità immediate cui non sono più in grado di rispondere con le ordinarie risorse di bilancio: si accetta l’omologazione del comportamento di queste proprietà istituzionali a quello degli immobiliaristi, alla sola condizione che le rendite fondiarie vengano totalmente o parzialmente reinvestite in ambito locale, non importa se in un orizzonte di investimenti infrastrutturali di lungo periodo o, come per lo più accade, anche solo in modo congiunturale. In questo modo si finisce per incentivarne lo sviamento di comportamento persino quando si tratta di enti, quali FS, che per compito istituzionale e funzionalità aziendale dovrebbero indirizzare prioritariamente i propri investimenti a sostenere gli obiettivi di riequilibrio territoriale di area vasta e di lungo periodo. Occorre, invece, trarre lezione dalla pur negativa esperienza dell’Accordo di Programma sull’area dell’ex Fiera di Milano, in cui l’unico criterio di determinazione dei contenuti fu la quantità edificatoria necessaria al conseguimento da parte della proprietà fondiaria (Fondazione Fiera) di una rendita di 250 Milioni di € su un’area di 255.000 mq, (che in base a un’aspettativa di circa 900 €/mq di slp realizzabile, generava la richiesta di circa 300.000 mq di slp, da cui l’indice di edificabilità di 1,15 mq/mq, praticamente doppio di quello consentito dal DIU a tutti gli altri riusi di aree dismesse). Infatti, posta sul mercato l’area ha prodotto offerte mediamente dal 50% in più a più del doppio di quanto atteso11, attestandosi a oltre 1.800 €/mq slp realizzabile), con ciò assicurando un enorme plusvalore alla proprietà, ma lasciando in eredità alla città una quantità edificatoria spropositata e una dotazione di spazi pubblici (50% dell’area) che è meno della metà di quelli prescritti dalla stessa Variante (con un indice edificatorio così alto, per dare 44 mq/abitante sarebbero occorsi spazi pubblici superiori all’intera area disponibile e paradossalmente gli edifici si sarebbero dovuti sospendere in aria!). Negli Accordi di Programma sul riuso delle grandi aree di trasformazione urbana (ATU), per massimizzare l’utilità pubblica dell’operazione e non la rendita fondiaria della proprietà, si dovrebbe fissare preventivamente sia la quantità edificabile totale sostenibile in rapporto alla realizzabilità degli spazi pubblici richiesti (con 44 mq/abitante, da 0,80 a 0,65 mq/mq − a seconda che si prevedano o no parcheggi pubblici interrati − e una cessione ad uso pubblico dal 66% al 76% dell’area totale12), sia la rendita conseguibile (per FS: 700 Milioni di €; per le aree di Expo 2015: 200 milioni di €). Per far realizzare tale somma alle proprietà, ai prezzi attendibili della rendita fondiaria (dagli 800-900 €/mq slp correnti su operazioni usuali ai 1800 €/mq slp della vendita a Citylife dell’area dell’ex Fiera di Milano), occorrerebbe un indice di edificabilità privata tra 0,50 mq/mq e 0,30 mq/mq per gli ex scali FS., mentre gli indici virtuali di edificabilità territoriale da attribuire all’area Expò dovrebbero aggirarsi tra 0,16 mq/mq (900 €/mq slp) e 0,125 mq/mq (1200 €/mq slp), ciò che richiederebbe l’impegno di non più del 15-20% dell’area, consentendo così comunque che la maggior parte di essa mantenga definitivamente una destinazione di uso pubblico anche dopo lo svolgimento dell’evento Expò 2015. L’impegno negoziale dell’assegnazione agli attuatori immobiliari con un’asta al ribasso sulla quota di edificabilità privata (trasferendo a edilizia sociale quella scontata) e non al rialzo sulla rendita fondiaria percepita dalla proprietà, lascerebbe così al Comune e ai cittadini la libertà e la responsabilità di costruire l’assetto insediativo e l’immagine della propria città, fondamentale soprattutto lungo la direttrice Centro Direzionale-ex Scalo Farini-Nuova Bovisa-Expò 2015-Nuova Fiera su cui incombono così numerose ed eterogenee iniziative.

Bibliografia Brenna S. (2008), La strana disfatta dell’urbanistica pubblica, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN). Crespi A. (2008), Quelli che il museo sembra un WC, in Libero, 26.3.2008. Falco L. (1999), L’indice di edificabilità, Utet, Torino. Mazza L. (2000), Ricostruire la Grande Milano, relazione accompagnatoria al DIU, Edizioni Il Sole/24ore, giugno. Salingaros N. (2008), Il culto del nichilismo nell’architettura contemporanea, in Il Domenicale, n. 12, 22.3.2008, p. 6.

11 12

Cioè da 378 a 523 Milioni di €, pur partendo da una base d’asta di 250 Milioni di €. Per la dimostrazione del calcolo di tali valori cfr. S. Brenna (2008), cap. 6, pp. 86-97.

Sergio Brenna

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio Stefania Cascella* Università Tor Vergata - Roma Email: stefaniacascella@gmail.com Anna Floriello* Politecnico di Bari - DICATECh Email: a_floriello@hotmail.com Giovanna Netti* Università degli Studi di Torino - SAA Email: netti_gio@libero.it

Abstract In tempi di recessione economica in cui le risorse e la spesa pubblica si sono sensibilmente contratte e la distribuzione delle ricchezze private si concentra tra pochi soggetti, acuendo progressivamente le differenze tra ceti sociali, la perequazione urbanistica rappresenta uno strumento di intervento sul capitale territoriale finalizzato ad una più equa ridistribuzione dei diritti e degli oneri che maturano in funzione delle scelte di pianificazione attuate con strumenti urbanistici di trasformazione e uso del territorio. Oltre ad obiettivi di giustizia distributiva, la perequazione punta a superare anche i principali limiti delle procedure canoniche di attuazione degli interventi pubblici, basate principalmente sull’espropriazione per pubblica utilità, dando maggiori garanzie di attuazione in tempi certi e sostenibili delle previsioni di Piano e quindi di dotazione di servizi e risorse alla comunità. Parole chiave Perequazione, Trasformazione, Diritti

La perequazione come strumento di attuazione della città pubblica L’affermarsi nell’ultimo ventennio di politiche, pratiche e strumenti di programmazione maturati da riflessioni intorno ai temi della riqualificazione e rigenerazione, della sostenibilità ambientale e della partecipazione sociale alle trasformazioni urbane, ha manifestato la necessità di dotarsi di metodi e strumenti innovativi rispetto a quelli tradizionalmente previsti dalla legislazione urbanistica. Dapprima i programmi integrati complessi hanno rappresentato un’innovazione di processo nelle trasformazioni territoriali che hanno guidato introducendo forme concertative e di partenariato, assicurando snellezza ed agevolazioni amministrative e ricercando l’integrazione tra risorse pubbliche e private per facilitare l’attuazione delle previsioni di programma. La stagione dei programmi complessi ha dunque spinto molte Regioni a cercare con proprie leggi di innovare anche gli strumenti di pianificazione, in attesa di colmare il ritardo legislativo con una nuova legge urbanistica nazionale e avendo, peraltro, la necessità di riportare la gestione del territorio dalle procedure straordinarie Questo contributo è frutto di una riflessione comune degli autori. In particolare si deve a Stefania Cascella il § ‘La perequazione come strumento di attuazione della città pubblica’; a Giovanna Netti il § ‘Buone pratiche di attuazione dei modelli perequativi’; ad Anna Floriello il § ‘Il principio della perequazione nella legislazione pugliese’. Il § ‘Esperienze pugliesi di perequazione: il PUG di Ruvo di Puglia e la Variante Tematica dei Servizi del PRG di Taviano’ contributo delle tre autrici. Stefania Cascella, Anna Floriello, Giovanna Netti

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

previste dai programmi complessi – promotori di interventi puntuali e basati su fonti di finanziamento esogene e straordinarie – a quella ordinaria e sistemica dei piani urbanistici. Nel 1995 l’INU propone il principio della perequazione come uno dei capisaldi della riforma urbanistica mediante il quale superare le dicotomie generate dai piani conformati alla legge urbanistica nazionale del ’42, in particolare declinando tre importanti dimensioni della sostenibilità delle trasformazioni indotte dall’atto pianificatorio: la sostenibilità sociale, quella ambientale e quella istituzionale. (Fusco Girard, 1997). L’operatività del Piano urbanistico tradizionale è affidata a piani attuativi nei quali la componente privata e quella pubblica sono, in generale, scisse l’una dall’altra e affidate l’una al mercato immobiliare l’altra all’operato dell’Amministrazione Pubblica. Negli anni una molteplicità di piani regolatori comunali hanno dimostrato l’inefficacia di questo orientamento e le disuguaglianze che esso stesso genera. Mentre le previsioni di Piano vengono facilmente attuate per quanto riguarda la componente privata, che si avvantaggia anche del plusvalore fondiario generato dal Piano stesso, la componente dei servizi pubblici e collettivi rimane in gran parte inattuata, a causa tanto delle difficoltà di acquisizione delle aree ad essi destinate tramite procedura di esproprio da parte delle Amministrazioni locali, quanto della complessità dello stesso istituto. L’esproprio pone infatti non solo problemi finanziari di reperibilità delle risorse, ma si presta anche a lunghi contenziosi con i proprietari dei suoli vincolati a servizi pubblici, che si vedono doppiamente penalizzati dall’esclusione alla partecipazione al mercato fondiario urbano, senza che ci sia certezza alcuna dell’effettiva realizzazione del servizio, e dall’entità dell’indennizzo economico riconosciuto per l’esproprio. Introdotta come principio per conseguire obiettivi di equità nel trattamento delle proprietà ed efficacia nell’attuazione del disegno strategico dello strumento urbanistico generale, nei piani e programmi di nuova generazione la perequazione viene sperimentata non più solo come strumento efficace delle politiche urbanistiche ma come strumento per progettare e rigenerare la città, con una attenzione particolare alla città pubblica quale luogo e sistema di relazioni (infrastrutturali, insediative, ambientali) della città contemporanea.

Politiche di rigenerazione urbana: buone pratiche di attuazione dei modelli perequativi Nel corso degli ultimi dieci anni parti consistenti e significative di città, ma soprattutto di città pubblica (verde, servizi, infrastrutture, attrezzature, edilizia residenziale pubblica), sono state costruite attraverso piani e programmi che hanno utilizzato la perequazione quale modalità di attuazione delle scelte di pianificazione. Nei casi più virtuosi lo strumento perequativo consegue non solo le finalità più comunemente note - equità nella distribuzione dei benefici derivanti dalle scelte di piano, annullamento delle disparità di trattamento insite nello sviluppo della città1, maggiore efficienza allocativa – ma diviene anche strumento per la promozione di politiche di rigenerazione urbana, ambientali e sociali. Nel progetto di città che la perequazione concorre a definire non si tratta solo di recuperare il deficit qualitativo e quantitativo dei servizi, endemico delle città italiane, ma anche di disegnare la forma urbana determinando direttrici di sviluppo o riammagliamenti, di recuperare aree già urbanizzate dismesse o da ristrutturare, di individuare aree da rinaturalizzare e connettere alle reti ecologiche urbane attraverso la concentrazione o il trasferimento di diritti edificatori. La connessione che la perequazione crea tra costruzione della città pubblica e costruzione della città privata diviene pre-condizione per la realizzazione di progetti di trasformazione urbana altrimenti inattuabili. È quanto accade a Parma, ad esempio, dove la realizzazione del progetto del parco fluviale che attraversa da nord a sud la città è sembrata utopistica fino a quando l’A.C. ne ha fatto uno dei principali obiettivi da attuare con la Variante generale al Piano Strutturale Comunale (Psc) del 2007, grazie al rinnovamento della strumentazione urbanistica attraverso l’introduzione dell’istituto della perequazione in ottemperanza alla l.r. dell’Emilia Romagna n. 20/2000. La procedura perequativa introdotta dal Psc è basata sulla forte interconnessione tra città privata e città pubblica, poiché la realizzazione delle nuove aree di trasformazione è subordinata alla realizzazione del parco fluviale, della cintura verde e delle dotazioni territoriali, per un totale di circa 13 mln di m 2 di aree dedicate alla città pubblica. Le forme di premialità previste dal piano coinvolgono tanto i proprietari dei suoli della città pubblica (parco fluviale, cintura verde, dotazioni territoriali) quanto quelli della città privata (sub-ambiti). Il Psc assegna alle aree destinate alla città pubblica una capacità edificatoria trasferibile, un ‘credito edilizio’, in modo tale che ricevono capacità edificatoria sia i suoli destinati allo sviluppo immobiliare privato sia quelli destinati a importanti progetti ambientali. Il sistema premiale incentiva i proprietari delle aree destinate alla città pubblica a cederle all’A.C., in cambio del valore economico generato dai crediti edilizi o della possibilità della loro realizzazione nei sub-ambiti. In tal modo i proprietari delle aree interessate dal progetto di città pubblica posso ottenere indennizzi assolutamente superiori a quelli legati alle procedure espropriative, mentre l’A.C. acquisisce gratuitamente tali aree e i proprietari delle aree destinate alla città privata ottengono, mediante il finanziamento della città pubblica, un aumento della capacità edificatoria dei sub-ambiti. 1

La pianificazione è un’attività pubblica che assegna vantaggi e svantaggi sociali nella fruizione di risorse, beni, valori e opportunità spaziali e ambientali (Moroni, 1994).

Stefania Cascella, Anna Floriello, Giovanna Netti

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

Il successo del meccanismo perequativo non è tuttavia scontato, un altro importante progetto di valorizzazione ambientale come quello del Parco del Valentino a Torino ha dimostrato, ad esempio, che una errata valutazione dell’indice di edificabilità perequativo, tale da produrre un valore fondiario inadeguato, comporta che il Piano non venga realizzato tanto per la parte privata quanto per quella pubblica. Nella fase di progettazione del sistema perequativo è dunque fondamentale una corretta valutazione finanziaria degli indici, sorretta da una altrettanto decisiva attività di negoziazione/concertazione tra il soggetto pubblico e quello privato. Nella sperimentazione condotta sul comparto perequativo di Cozze (Mola di Bari) l’approccio negoziale scelto dall’Amministrazione, adesempio, ha sostenuto la fattibilità ed equità dell’intervento nei termini della riduzione dell’incertezza del processo decisionale per i privati in un’area di elevata valenza ambientale e della possibilità di migliorare la qualità dell’ambiente nell’interesse collettivo. Nel caso di Cozze il comparto perequativo non è introdotto tra le modalità attuative di un nuovo strumento urbanistico, ma viene utilizzato con finalità sociali per preservare un tratto roccioso di costa dalle previsioni di insediamento di residenze turistiche e strutture ricettive di un Piano attuativo di un vecchio PRG degli anni ’80. Obiettivo del comparto perequativo è la delocalizzazione di queste previsioni insediative migliorando la qualità dell’intervento per quanto attiene all’impatto ambientale dello stesso e alla fruizione sociale delle risorse ambientali, tutelando nel contempo diritti edificatori ormai acquisiti e facendo in modo che questi non pregiudichino ulteriormente le strategie di riqualificazione e valorizzazione territoriale adottate dall’Amministrazione attraverso piani e programmi più recenti (Urban, Leader, Contratti di Quartiere). Il comparto si propone, dunque, nell’ambito della negoziazione/concertazione fra comune e promotori privati, cercando un accordo tra l’esigenza della valorizzazione territoriale per fini di interesse pubblico e della trasformazione urbanistica per finalità di investimento privato, nell’ottica della trasparenza decisionale e della fattibilità economica dell’intervento.

Il principio della perequazione nella legislazione pugliese La perequazione è stata introdotta nella pianificazione urbanistica pugliese con la nuova l.r. Puglia n.20/2001 ‘Norme generali di governo e uso del territorio’ come principio applicato alla pianificazione per conseguire fondamentalmente due risultati, ossia la giustizia distributiva nei confronti dei proprietari di suoli interessati da trasformazioni insediative mediante attribuzione di diritti edificatori e la formazione, senza espropri e spese, di un patrimonio pubblico di aree a servizio della collettività mediante cessione al Comune dei suoli eccedenti la superficie fondiaria – su cui tali diritti vengono concentrati – e degli standard urbanistici. La legislazione pugliese prevede l’applicazione del meccanismo perequativo attraverso due principali modalità, l’una estesa a tutte le aree comunali oggetto di trasformazione (p. generalizzata), l’altra estesa solo ad alcuni ambiti del territorio comunale opportunamente selezionati (p. parziale) prevedendo il trasferimento di diritti edificatori tra suoli compresi all’interno di un unico comparto urbanistico, tra suoli appartenenti a progetti urbanistici concepiti in modo collegato o tra suoli a trasformazione originariamente non collegati. Il ricorso alle procedure di esproprio per pubblica utilità rimane riservato solo ad alcuni casi circoscritti; a tal proposito si ricorda l’art.21 della l.r. 3/2005 Permuta di terreni in esproprio con diritti volumetrici che prevede la possibilità per i Comuni, all’interno di piani attuativi, di potersi riservare una quota dei diritti volumetrici di edificazione da attribuire ai proprietari di terreni da espropriare, per la perequazione volumetrica territoriale con aree individuate fuori dal perimetro del piano. La principale metodologia applicativa della perequazione si realizza per fasi: Fase 1: Definizione dell’ambito di applicazione (generalizzato o parziale) Fase 2: Individuazione dei suoli omogenei per ‘stato di fatto e di diritto’: analisi delle caratteristiche urbanistiche e giuridiche dei suoli; classificazione dei suoli urbani attraverso dichiarati criteri di valutazione legati al particolare contesto territoriale di applicazione (localizzazione, accessibilità territoriale, dotazione di servizi, vincoli paesaggistico-ambientali, morfologia, ecc.). Fase 3: Attribuzione del plafond perequativo consistente nell’attribuzione di diritti edificatori ai suoli oggetto di trasformazione. Fase 4: Formazione del comparto attraverso: l’analisi della struttura proprietaria degli ambiti oggetto della perequazione, la progettazione urbanistica.

Stefania Cascella, Anna Floriello, Giovanna Netti

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

Esperienze pugliesi di perequazione: il PUG di Ruvo di Puglia e la Variante Tematica dei Servizi del PRG di Taviano I piani presentati di seguito rappresentano una sperimentazione della perequazione in due strumenti urbanistici pugliesi di nuova e vecchia generazione: il Piano Urbanistico Generale di Ruvo Puglia 2, redatto in attuazione della nuova legge urbanistica regionale pugliese e il Piano Regolatore Generale di Taviano approvato ai sensi della precedente legge urbanistica che non contemplava il ricorso allo strumento perequativo. Nel PUG di Ruvo di Puglia la perequazione è applicata in maniera parziale ed è implementata, su specifici ambiti di intervento – i comparti urbanistici – selezionati opportunamente per risolvere situazioni complesse quali: staticità del mercato immobiliare, crescente domanda di abitazioni da parte di giovani coppie, mancata realizzazione di standard urbanistici, di infrastrutture, di opere di interesse collettivo e dall’esigua disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche. In tale situazione l’A.C. decide di avviare la redazione del nuovo PUG, con l’intento di riattivare il mercato locale, risolvere le carenze infrastrutturali e di servizi, sanare le aree con vincolo per pubblica utilità ‘caducato’ e sollecitare l’attuazione dei comparti urbanistici, già previsti dal PRG vigente, che riconosceva il comparto come unità minima di intervento – costituita dall’insieme degli immobili da trasformare appartenenti ad uno o a più proprietari – sulla quale attuare una trasformazione organica e funzionale. I comparti nel PRG3 vigente (Figura 1) vengono suddivisi tra comparti edificatori nelle zone di completamento residenziale ‘B-speciali’ 4 e comparti edificatori nelle zone di espansione residenziale, questi seguono differenti meccanismi di sviluppo:

Figura 1. Centro urbano di Ruvo di Puglia ‘Comparti edificatori’.

nelle zone ‘B-speciali’5 (ex zone a standard con vincoli cadutati) il Comparto Edificatorio realizza la volumetria totale prevista in una porzione pari al 52% della superficie totale e destina a standard di quartiere il rimanente 48%, al fine di soddisfare i fabbisogni pregressi nelle zto A e B; 2

Con delibera di Giunta Comunale n. 298 del 27.10.2008 (Determinazione Dirigenziale n. 60/36 del 5.11.2008) il Comune di Ruvo di Puglia, nell’ambito della Convenzione sottoscritta il 28.11.2008, affida al DICAR del Politecnico di Bari l’incarico di ‘Supporto tecnico-scientifico all’Ufficio Tecnico Comunale, analisi e studio per la formazione del Piano Urbanistico Generale del Comune di Ruvo di Puglia’, Responsabile Scientifico prof. Arch. Nicola Martinelli. 3 Il PRG vigente nel Comune di Ruvo utilizza il Comparto Edificatorio introdotto dall'art. 23 della L. 1150/1942 per individuare e definire le zone entro cui l'intervento edilizio deve essere realizzato in modo unitario da più aventi titolo al fine di superare le difficoltà di attuazione del piano dovute alla eccessiva frammentazione della proprietà fondiaria. La l.r. 6/1979 riconosce il Comparto come ‘Unità di intervento o di ristrutturazione urbanistica ed edilizia’ che ‘può comprendere immobili da trasformare o aree libere da utilizzare secondo le previsioni e prescrizioni degli strumenti urbanistici generali ed attuativi’. 4 Per alcuni comparti delle zone residenziale l’A.C. ha localizzato programmi edificatori di edilizia residenziale pubblica attuati mediante P.P., distinguendo così, nell’ambito dello stesso comparto, due sub-comparti di cui uno di iniziativa pubblica e l’altro di iniziativa privata detti appunto Sub-Comparti ERP di edilizia residenziale pubblica e Sub-Comparti EP di edilizia privata. Per avviare il programma edilizio previsto nei comparti, l’A. C. con delibera n. 69/2000 dispone che tutti i proprietari dei suoli compresi nei diversi comparti presentino la proposta di P.di L. 5 L’istituzione del comparto “B-speciale” permette ai proprietari dei suoli di non perdere volumetria edificabile, poiché cedendo gratuitamente al Comune i terreni che ricadono nella superficie rivincolata a standard possono riversare la Stefania Cascella, Anna Floriello, Giovanna Netti

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

negli 11 Comparti Edificatori di Edilizia Residenziale, si distinguono comparti di edilizia residenziale ‘intensiva’ – costituiti da edilizia residenziale privata e aree per l’ERP6 tutti completi per la parte pubblica e in corso di realizzazione per le porzioni private – e comparti non ancora avviati di edilizia residenziale ‘estensiva’ al fine di conservare la visuale panoramica. Questi, indicati con ‘A’, a partire da ovest in affaccio alla strada provinciale Ruvo-Corato sino al comparto ‘M’ a est compreso tra la provinciale Ruvo-Terlizzi e la linea ferroviaria, sono localizzati nella zona di espansione residenziale individuata a nord dell’abitato seguendo una forma a semi-corona all’esterno dell’attuale extramurale S. Pertini nella zona che degrada verso il mare. I Comparti Edificatori ‘semintensivi’ ricadono nella aree tipizzate come zto C1 la cui edificazione è subordinata a PdiL7, mentre i Comparti Edificatori ‘estensivi’ fanno parte delle aree tipizzate a zto C2, data la particolare conformazione orografica di questa zona 8. In risposta, la proposta di PUG individua linee di azione mirate a riattivare il mercato immobiliare locale con l’immissione di ca. 300 nuovi alloggi di ERP, a costituire dei ‘serbatoi’ di diritti edificatori per compensare, in maniera non onerosa, gli operatori privati che attuano sul territorio iniziative di pubblica utilità mediante una logica di base per cui i dispositivi perequativi e compensativi devono ‘auto-sostenersi’, senza determinare oneri a carico della Pubblica Amministrazione e seguendo gli indirizzi della Regione Puglia. Tabella I: Modalità di intervento perequativo

Area minima di intervento Comparti intensivi destinati alla nuova ERP

Edilizia prevista

Risultati della perequazione

Tipi edilizi plurifamiliari

Le aree per gli standard generati dalle funzioni localizzate nel comparto e le aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria vanno reperite nel comparto stesso. Nel comparto le aree e le opere per le urbanizzazioni primarie e per gli standard sono a carico dei compartisti e vanno cedute al Comune a titolo non oneroso.

Tabella II: Modalità di intervento perequativo-compensativo

Area minima di intervento Comparti edificatori intensivi attuati in seguito all’approvazione di un PUE, destinati in parte all’edilizia residenziale privata e in parte all’atterraggio di diritti edificatori da riconoscere in compensazione per la cessione di aree con vincolo caducato interne al centro abitato.

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Edilizia prevista

Risultati della perequazione

Tipi edilizi plurifamiliari per edilizia privata. In caso di costituzione del consorzio dei proprietari e di cessione gratuita delle aree entro 3 anni dall’approvazione del PUG è prevista una premialità volumetrica (Figura 2) attraverso il raddoppio dell’indice.

In particolare, il 50% della St del comparto dovrà essere ceduta in maniera consensuale e non onerosa al Comune per ospitare l’atterraggio di diritti edificatori assegnati in compensazione, mentre il restante 50% sarà destinato alle funzioni private. La cubatura generata dall’applicazione dell’Ift alla St del comparto andrà localizzata sulla porzione privata del comparto. Nella stessa porzione dovranno essere reperite le aree per le opere di urbanizzazione e per gli standard generati dalle funzioni private. L’acquisizione di queste aree è a carico dei compartisti.

rispettiva volumetria sulla parte ritipizzata. Le aree con reitero del vincolo a standard nei comparti ‘B speciali’ sono state per ragioni urbanistiche ubicate nella posizione più centrale e cioè quella a contatto con la ZTO ‘A’. All’interno dei Comparti Edificatori l’A.C. stabilisce (del. C.C. n.17/1994), ai sensi dell’art. 51 della L. n. 865/1971 di riservare il 50% della superficie totale all’ERP, poiché con l’adozione della Variante Generale del PRG (del. C.C. n.37/1993) si è reso necessario determinare una nuova percentuale delle aree da dover destinare ad ERP, valore da ricomprendere necessariamente tra il 40% ed il 70% così come stabilito dall’art. 3 della L. n. 167/1962 e sostituito successivamente dall’art. 2 della L. 28.1.1977, n°10. Sono consentiti solo tipi edilizi plurifamiliari (case in linea, case a schiera, case a ballatoio esterno o interno con alloggi simplex o duplex, case isolate con non meno di due e non più di sei alloggi-piano, sia simplex che duplex). Al fine di conservare la visuale panoramica, è consentita la costruzione solo di tipi edilizi unifamiliari, isolati e non, quali ville semplici, binate, case patio, case a schiera ecc., articolati al massimo su due livelli fuori terra (h max di mt 8).

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio Tabella III: Modalità di intervento perequativo-compensativo

Area minima di intervento Comparti edificatori Estensivi che ospiteranno in parte l’edificazione privata già consentita dal vigente PRG e in parte i diritti edificatori da dare in compensazione. L’attuazione è legata all’approvazione di un PUE di iniziativa privata.

Edilizia prevista

Risultati della perequazione

Villa unifamiliare e/o bifamiliare. In caso di costituzione del consorzio dei proprietari e di cessione gratuita delle aree entro 3 anni dall’approvazione del PUG è prevista una premialità volumetrica (Figura 2) attraverso il raddoppio dell’indice.

In particolare, il 45% della Superficie territoriale del comparto dovrà essere ceduta in maniera consensuale e non onerosa al Comune per ospitare l’atterraggio di diritti edificatori assegnati in compensazione, mentre il restante 55% sarà destinato alle funzioni private.

H G R2 R1 Z Q N 0

20.000

40.000

60.000

80.000

Figura 2. Comparti edificatori. In azzurro la volumetria realizzabile nei comparti e in chiaro l’incremento volumetrico derivante dal godimento del criterio premiale.

Il Piano Urbanistico comunale di Taviano, a differenza di quello di Ruvo di Puglia, è un piano di vecchia generazione redatto in attuazione della precedente legge urbanistica regionale (l.r. Puglia n. 56/80) che non prevede la perequazione né come principio né come strumento. In coincidenza della redazione della Variante Tematica dei Servizi al PRG, tuttavia, è stato sperimentato il ricorso a procedure perequative per superare l’annoso problema dei vincoli di natura espropriativa e della loro quinquennale decadenza. Diverse motivazioni hanno spinto il pianificatore, di concerto con l’Amministrazione Locale, ad orientarsi in tal senso; considerazioni di carattere più generale di maggiore equità nella gestione dei regime dei suoli, innanzitutto, per tentare di risarcire in qualche misura le proprietà private lese per più di un decennio dall’apposizione del vincolo senza che questo venisse attuato, e condizioni di maggiore contingenza legate alla impossibilità di reiterare il vincolo sulle aree a servizi esterne ai comparti di attuazione previsti dal PRG, unitamente alla mancanza di risorse finanziarie del comune per affrontare in maniera generalizzata l’esproprio delle aree. L’obiettivo principale della Variante perequativa è dunque conservare alla disponibilità pubblica le aree a servizi necessarie al soddisfacimento dei bisogni della comunità locale, escludendo il ricorso a procedure espropriative e, contestualmente, evitare l’instaurarsi di una situazione di conflittualità tra pubblico e privato9 riconoscendo una certa suscettività edificatoria alle proprietà delle aree vincolate a servizi. L’individuazione della metodologia perequativa più corretta da utilizzare e la stima dei diritti edificatori da trasferire è stata preceduta dall’individuazione delle aree a servizi soggette a caducazione del vincolo. A ciascuna di queste aree è stato quindi attribuito un Volume unitario di perequazione (mc/mq) che in relazione alla superficie dell’area a servizi da cedere al Comune determina il volume edificabile dell’area da cedere. Il Vu-pereq è determinato in funzione dell’indice di edificabilità espresso dalle aree contermini a cui è applicato un 9

Due recenti sentenze del TAR Lecce che obbligano il comune di Taviano alla riqualificazione urbanistica di alcuni suoli destinati a servizi lasciano presagire che analoghe condizioni possano avere lo stesso epilogo ponendo la città nella condizione di una progressiva riduzione di aree a servizi in un contesto già deficitario, mentre l’Amministrazione è finanziariamente incapace di acquisire tali aree a mezzo di esproprio.

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Prime esperienze di perequazione nella pianificazione pugliese: due casi studio

coefficiente (moltiplicativo o riduttivo) riferito all’ubicazione dell’area da cedere in relazione a quella di atterraggio e all’appetibilità di destinazione d’uso della stessa. A dispetto di quanto avviene normalmente nei Piani perequativi, i comparti di atterraggio della suscettività edificatoria riconosciuta alle aree a servizi sono dati a priori, essendo già stati perimetrati dal PRG; alla Variante compete invece individuare quali e quanti tra questi comparti saranno destinatari delle volumetrie scaturite dalla suscettività edificatoria delle aree a servizi, nonché l’individuazione per ciascuna di queste del corrispondente comparto di atterraggio. Sulla base delle associazioni tra maglie da cedere e comparti di atterraggio si è provveduto a calcolare gli indici equivalenti di comparto con un limite superiore pari a 1,4 mc/mq, valore necessario a garantire che gli interventi nei comparti edificatori residenziali vengano attuati mediante la tipologia della casa a schiera, che è quella di riferimento nel tessuto edificato esistente, unitamente a quella delle case unifamiliari; altre tipologie edilizie produrrebbero infatti degli effetti discriminatori rispetto alle aspettative manifestate dalla comunità. Un approccio differente alla perequazione è stato invece adottato per far fronte alla caducazione dei vincoli preordinati all’esproprio per le aree a servizi che ricadono nella Marina di Taviano. Non essendo possibile prevedere comparti di atterraggio per l’attuazione della cessione perequativa ed il relativo trasferimento dei diritti edificatori, la Variante prevede la facoltà per i proprietari di realizzare degli insediamenti residenziali nella misura max del 30% della superficie proposta, cedendo il restante 70% al Comune e a condizione che l’intervento interessi almeno il 20% dell’intera maglia a servizi. I proprietari di tale porzione potranno proporre un piano di comparto di iniziativa privata per il quale l’AC potrà dichiarare la pubblica utilità delle opere pubbliche o private in esso comprese. Tanto per il PUG di Ruvo quanto per la Variante al PRG di Taviano la perequazione è stata una scelta obbligata; l’efficacia del meccanismo applicativo individuato, in un caso e nell’altro, rimane però un dato da verificare che viene rimandato alla definizione dei piani attuativi. Nel caso della Variante, in particolare, i piani attuativi diventeranno la sede in cui recuperare la dimensione concertativa e negoziale tra soggetto pubblico e privato che di fatto è mancata. Avendo agito nel solco di scelte urbanistiche date a priori, l’individuazione degli indici e dei comparti di atterraggio coinvolti nella perequazione sono stati individuati in maniera unilaterale dall’ AC ed imposti alla proprietà privata. Tuttavia, le esperienze più mature di perequazione hanno dimostrato come l’esito favorevole di un piano perequativo sia riconducibile anche alla concertazione fra Amministrazione pubblica e proprietà immobiliare sulle forme di socializzazione della rendita fondiaria.

Bibliografia

AA VV. (2009), Quaderni del governo del territorio n. 1, Orizzonti culturali e supporti operativi per la formazione dei PUG, Presidenza della Regione Puglia- Assessorato Assetto del Territorio. AA VV. (2009), Relazione Documento Programmatico Preliminare del Comune di Ruvo di Puglia. Carbonara S. e Torre C. M. (2008), Urbanistica e perequazione: dai principi all’attuazione. Pratiche di compensazione e di valutazione nei piani, Franco Angeli, Milano. Manfredi F., Ombellini S., Savi I., (2008). La perequazione urbanistica nel piano di Parma. in Urbanistica Informazioni n. 220, 27-30. Micelli E. (2004), Perequazione urbanistica. Pubblico e privato per la trasformazione della città, Marsilio, Venezia. Micelli E. (2011), La gestione dei piani urbanistici, Marsilio, Venezia. Trillo C. (a cura di, 2009). Perequazione e Qualità Urbana, Alinea editrice, Firenze.

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La difficile attuazione del piano urbanistico tra regolazione multisettoriale e politiche tradizionali

La difficile attuazione del piano urbanistico tra regolazione multisettoriale e politiche tradizionali Anna Maria Colavitti* Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: amcolavt@unica.it Tel: 070-6755393 Sergio Serra* Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: sergioserra@inwind.it

Abstract L’applicazione di meccanismi perequativi e compensativi pensati per intervenire nei tessuti urbani consolidati, ed in particolare nella città storica, dovrebbe essere anche finalizzata a coinvolgere il privato nella costruzione e nella manutenzione della città pubblica e ad attivare processi di recupero dal basso. Nel far fronte all’esigenza di miglioramento della qualità urbana e di sostenibilità ambientale in generale, occorre fare i conti con gli ingenti costi della riqualificazione e con la scarsa disponibilità di risorse da parte degli enti locali. Il partenariato pubblico privato costituisce ormai una soluzione “obbligata” per l’attuazione di piani e progetti urbani. Parallelamente alla necessità di definire una nuova forma per il piano urbanistico è necessario introdurre, nella pratica urbanistica, innovative modalità di attuazione che consentano di superare le difficoltà legate all’esproprio e di coinvolgere il privato nella costruzione della città pubblica. Parole chiave meccanismi perequativi, riqualificazione del patrimonio abitativo, recupero urbano

1 | Le innovative modalità di attuazione del piano urbanistico comunale Studi recenti hanno messo in evidenza come la competitività delle città europee tenda a localizzarsi su politiche di sviluppo e di riqualificazione incentrate sulla valorizzazione del capitale territoriale e sul contenimento del consumo di suolo. Tali politiche, in grado di coniugare sviluppo, innovazione e qualità ambientale, devono indirizzarsi verso la riqualificazione dei sistemi urbani esistenti da realizzarsi attraverso la valorizzazione delle dotazioni territoriali e superando la tradizionale concezione quantitativa dello standard urbanistico. La normativa tecnica di attuazione del piano “tradizionale”, attraverso lo strumento della zonizzazione, attribuisce ai suoli urbani diverse destinazioni d’uso che si distinguono essenzialmente in aree edificabili con relative volumetrie assegnate dal piano e aree da destinare a servizi collettivi, sulle quali vige un vincolo preordinato all’esproprio (Carbonara, Torre, 2008). La carenza di risorse da parte delle amministrazioni pubbliche e la necessità che l’indennizzo espropriativo sia commisurato al reale valore di mercato del bene ha reso sempre più difficile l’attuazione delle previsioni dei piani comunali imponendo di fatto, e suggerendo alla disciplina urbanistica la ricerca di nuovi strumenti per consentire di acquisire, senza ulteriori oneri e investimenti, le aree da destinare a servizi. Dopo molteplici confronti anche a livello di commissioni parlamentari, le varie proposte di riforma della legge urbanistica, a partire dalla proposta INU del 1995, hanno indicato nella perequazione un metodo per perseguire equità ed efficacia dello strumento di piano (Galluzzi, Vitillo, 2008). L’applicazione di meccanismi di tipo perequativo e compensativo si è limitata, nella maggior parte dei casi, ad ambiti di trasformazione (zone di espansione o aree industriali dismesse) nei quali la presenza di valori maggiormente negoziabili rispetto a quelli degli ambiti consolidati rappresenta una garanzia di successo. Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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La difficile attuazione del piano urbanistico tra regolazione multisettoriale e politiche tradizionali

Le sperimentazioni in campo perequativo sono dirette pertanto alla ricerca di strumenti più efficaci per poter attuare le scelte operate dal piano: la necessità di efficacia e flessibilità ha determinato in letteratura una vasta ed eterogenea casistica di modelli perequativi che, in assenza di un quadro normativo nazionale1, hanno trovato legittimazione nei quadri normativi regionali (Carbonara, Torre, 2008).

Emilia Romagna

L.R. n.20/2000 L.R.n.6/2009

Liguria

L.R. n.36/1997

Lazio

L.R. n.38/1999

Lombardia

L.R. n.12/2005

Sardegna

L.R. n.45/1989

Piano Strutturale Comunale (PSC) Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE) Piano Operativo Comunale (POC) Piani Urbanistici Attuativi (PUA) Piano urbanistico comunale (PUC) Progetti urbanistici operativi (PUO) Programmi attuativi (PA). Piano urbanistico comunale generale (PUCG) Piani urbanistici operativi comunali (PUOC) Piano di governo del territorio (PGT): composto da documento di piano; piano dei servizi; piano delle regole. Piani attuativi.

Incentivi

Strumenti previsti dalla normativa regionale per la pianificazione urbanistica comunale

Compensazione

Legge Urbanistica Regionale

Perequazione

Tabella I: Analisi della normativa urbanistica regionale

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Piano Urbanistico Comunale (PUC)

Nell’ultimo ventennio le Regioni hanno infatti innovato tale quadro introducendo diversi strumenti pianificatori di scala comunale, accogliendo i suggerimenti della riforma della legge urbanistica nazionale. Tali strumenti sono dotati di maggiore flessibilità ed operatività e dunque capaci di accogliere le proposte degli operatori privati che assumono un ruolo più complesso e diversamente attivo nella pianificazione del territorio. La Regione Lombardia, dopo una serie di provvedimenti in direzione di una più ampia negoziazione degli interessi tra pubblico e privato, approva nel 2005 una nuova legge urbanistica che introduce il Piano di Governo del Territorio come strumento di pianificazione alla scala comunale. Al modello lombardo, esemplificato nel PGT di Milano, vengono imputate un eccessiva apertura verso il privato, senza adeguati controlli e garanzie per la “città pubblica” e un’esplicita sfiducia verso la pianificazione pubblica del territorio con conseguente “deregolamentazione” dell’apparato legislativo (Bottini, Gibelli, 2008). La legge urbanistica lombarda è stata successivamente modificata con la L.12/2006 che introduce volumetrie premiali sino al 15% per la realizzazione di programmi integrati per l’edilizia residenziale pubblica o, alternativamente, la riduzione degli oneri concessori ai privati, strada da considerare difficilmente praticabile data la necessità di reperire tali risorse da parte delle amministrazioni comunali. La commercializzazione dei diritti edificatori prodotti dai piani attraverso le pratiche perequative e compensative viene avviata in maniera ufficiale nella Regione Lombardia con la l. 4/2008 che istituisce il registro delle cessioni dei diritti edificatori. Le novità introdotte, in tal senso, dal “Piano Casa” e dal recente “Piano Nazionale per le città” prevedono forme aggiuntive di incentivi per la riqualificazione, mediante il trasferimento di diritti edificatori in favore di promotori di interventi destinati all’incremento del patrimonio abitativo pubblico, alla dotazione di servizi e spazi pubblici, al miglioramento della qualità urbana e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. In particolare, il Decreto Sviluppo auspica che le Regioni, mediante apposite leggi, incentivino azioni di riqualificazione delle aree urbane degradate e dei tessuti edilizi disorganici e incompiuti, anche con demolizione e ricostruzione (art.5 comma 9 D.l.70/2011), prevedendo volumetrie premiali, eventualmente delocalizzabili in aree diverse ed ammettendo cambi di destinazioni d’uso. Al comma 10 dell’art.5 si precisa che sono esclusi dall’applicazione di tali interventi i centri storici e gli insediamenti abusivi non in possesso di titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Il Piano Casa, invece, nelle sue declinazioni regionali, prevede in alcuni casi, come la Sardegna, la possibilità di usufruire di incrementi di volumetria all’interno dei nuclei storici, seppure con alcuni limiti nell’intervento. * La redazione del paragrafo 1 è di Anna Maria Colavitti, la redazione del paragrafo 2 è di Sergio Serra, mentre le conclusioni del paragrafo 3 sono state discusse e scritte da entrambi gli autori. 1 Il modello perequativo parziale a posteriori trova legittimazione nell’articolo 23 della L.1150/1942 sulla perimetrazione di comparti edificatori in ambiti territoriali da trasformare o riqualificare. Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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2 | I livelli di sperimentazione in alcune recenti esperienze di pianificazione Preso atto della eterogeneità del quadro normativo regionale e dell’assenza di un quadro coerente di tali problemi in una legge nazionale di governo del territorio, si ritiene utile tracciare un prospetto sintetico delle modalità di attuazione previste nei piani urbanistici recentemente approvati in alcune città italiane (ad esempio, grandi città come Roma e Milano o centri di medie dimensioni come Bologna, Genova e Cagliari) ed individuare alcune criticità di carattere tecnico-estimativo e giuridico nell’utilizzo dei meccanismi compensativi che influiscono negativamente sull’efficacia degli strumenti. Si riporta di seguito, in maniera sintetica, il risultato dell’analisi dei documenti di piano dei casi presi in esame. Il Comune di Bologna ha approvato nel 2008 il Piano Strutturale Comunale che, come previsto dalla L.R.20/2000, deve essere accompagnato da un Piano Operativo Comunale e da un Regolamento Urbanistico Edilizio. L’utilizzo della perequazione urbanistica nel PSC è finalizzato all’attuazione di differenti obiettivi di piano: si favorisce una nuova “abitabilità” attraverso l’acquisizione perequativa di una consistente quota di suoli da destinare a programmi di “social housing”; si acquisiscono, a titolo gratuito, le aree necessarie all’integrazione del sistema del verde e dei servizi, attraverso la compensazione volumetrica che il privato potrà sfruttare nelle aree destinate a nuovi insediamenti. Nella riqualificazione urbana, la perequazione assume un ruolo centrale non solo per il recupero di aree dismesse o degradate ma soprattutto nella riqualificazione diffusa del tessuto urbano che, oltre all’acquisizione gratuita dei suoli, permette di coinvolgere il privato nel finanziamento delle attrezzature collettive e dell’edilizia sociale (Relazione PSC, 2008). La perequazione urbanistica viene utilizzata, nel caso di Bologna, esclusivamente nelle aree interessate da interventi di trasformazione urbana. L’acquisizione delle aree con il ricorso all’esproprio è comunque consentito dal PSC, limitatamente ai casi di piccole aree non preventivamente individuabili (art.33 NTA). Il Comune di Genova ha adottato nel 2012 un Piano Urbanistico Comunale, disciplinato dalla L.R.36/1997, che introduce la perequazione come strumento finalizzato all’equità per le trasformazioni urbanistiche e come meccanismo alternativo all’esproprio per l’acquisizione delle aree da destinare a dotazioni comunali di interesse pubblico (art.10 comma 1 Norme generali PUC). L’attribuzione di capacità edificatoria e la sua utilizzazione in aree adeguate avviene attraverso differenti modalità: trasferimento di “superficie agibile” derivante da interventi di demolizione e contestuale cessione al Comune delle aree liberate; attribuzione di S.A. finalizzata all’acquisizione di aree per la realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici; utilizzazione della S.A. già accantonata nella vigenza del precedente P.U.C. o dell’ulteriore capacità edificatoria acquisita con l’entrata in vigore del nuovo strumento, attuabile nei Distretti di Trasformazione (art.10 comma 2 Norme generali PUC). Il NPRG di Roma, definitivamente approvato nel 2008, ha seguito un percorso di redazione particolarmente lungo che, a partire dalla redazione del Poster plan nel 1995, non ha impedito l’attuazione di importanti progetti urbani coerenti con gli obiettivi di piano. Il modello perequativo messo a punto si discosta nettamente dai tradizionali e rigidi meccanismi perequativi, per aderire anche nella fase attuativa alla filosofia del planning by doing che, al contrario del piano di tipo regolativo, è ritenuta modalità capace di fornire soluzioni concrete alle esigenze di riqualificazione della città (Ricci, 2009). La complessità del modello perequativo e le numerose critiche e contestazioni, anche in sede giudiziaria, sono solo in parte imputabili alla mancata innovazione del quadro normativo regionale, basato sulla legge urbanistica L.R.38/1999, ancora aderente ai principi della LUN del 1942. L’attuazione del PRG di Roma avviene principalmente attraverso meccanismi perequativi e compensativi ai quali si aggiungono strumenti di supporto come gli incentivi volumetrici ed i prelievi finanziari. La compensazione è destinata, con il trasferimento dei diritti volumetrici in apposite aree, a risarcire i proprietari dei suoli che ne hanno visto diminuire la capacità edificatoria con l’entrata in vigore del nuovo piano, nella convinzione che le previsioni dello strumento previgente, in particolare il cosiddetto “residuo di piano non eliminabile”, rappresentino diritti già acquisiti. Il meccanismo compensativo è inoltre utilizzato per incamerare aree da destinare a verde e servizi pubblici: permane, in alcuni ambiti, l’uso dell’esproprio ma viene sostituito dalla cessione compensativa, nel caso in cui il vincolo preordinato all’esproprio decada e non venga reiterato (art.22 NTA). Per la realizzazione di alcuni progetti urbani, ad esempio il Parco delle Mura Aureliane, il PRG propone l'utilizzo della cessione compensativa, ossia la demolizione di edifici incongrui con il contesto e privi di valore storico architettonico e la cessione dell'area al comune in cambio della costruzione di una volumetria maggiorata in aree alternative (art.27 NTA). Per alcune tipologie di edifici è consentita la demolizione senza ricostruzione finalizzata alla riqualificazione ambientale, alla realizzazione di verde o di servizi pubblici, previa valutazione degli effetti di alterazione dei caratteri di peculiare continuità dei tessuti, con la concessione di incentivi urbanistici, ossia volumetrie premiali da realizzare in ambiti alternativi (art.31 NTA). I meccanismi premiali previsti dal piano consistono essenzialmente nell’attribuzione di incentivi volumetrici finalizzati al rinnovo edilizio, al miglioramento energetico degli edifici e al potenziamento dell’offerta di edilizia sociale. Inoltre si utilizzano tali premialità per superare la resistenza dei proprietari di suoli nei confronti dell’atterraggio dei diritti volumetrici che devono ricevere le quote aggiuntive di edificabilità (Ricci, 2009). Il livello di sperimentazione in campo perequativo si spinge, nel caso del Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano, sino all’estensione dell’indice perequativo all’intero territorio comunale. Al Tessuto Urbano Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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Consolidato viene attribuito un indice di utilizzazione territoriale esclusivo dal quale sono eliminate le aree già zonizzate a verde urbano e le infrastrutture per la mobilità. Nel caso di sostituzione edilizia mediante demolizione e ricostruzione sono comunque garantite le superfici lorde esistenti e le relative destinazioni d’uso (art.6 NTA PDR). Inoltre il PGT prevede l’utilizzo della perequazione per l’acquisizione da parte dell’amministrazione comunale di suoli da destinare a verde urbano e infrastrutture (art.2 NTA DDP). Il PGT di Milano non utilizza la compensazione, seppure sia prevista all’art.11 della L. R. n.12/2005, ma introduce incentivi volumetrici per la realizzazione di edilizia sociale, di servizi collocabili in edifici privati all’interno del tessuto consolidato, per il risparmio energetico, tutti strumenti che vanno in direzione della cooperazione pubblico-privato per il raggiungimento di obiettivi di pubblico interesse (De Carli, 2012). Il PUC di Cagliari, approvato nel 2002, non utilizza in maniera palese la perequazione come modalità di attuazione del piano ma prevede, all’art.8 delle NTA, la redazione di piani particolareggiati finalizzati ad accrescere la qualità di alcuni comparti edificatori individuati dal consiglio comunale. Il piano attuativo, di iniziativa pubblica o privata, ha il compito di distribuire in maniera equa gli oneri e i vantaggi sulla base delle previsioni di piano per ciascuna zona e si concretizza con la sottoscrizione di un accordo di programma. L’individuazione dei comparti edificatori nella cartografia di piano è estesa ad alcune aree della città consolidata, principalmente zone BS3*, nelle quali l’attuazione dell’intervento è subordinato alla realizzazione di servizi pubblici (in prevalenza parcheggi interrati). In alcuni casi la ridotta dimensione dell’area non rende conveniente da parte del privato la realizzazione dell’intervento a fronte di vantaggi volumetrici poco consistenti (Marchi, 2008). Particolarmente interessante è l’incentivo previsto dal piano per la demolizione o riduzione volumetrica di edificazioni improprie, con l’attribuzione di una volumetria pari o superiore a quella esistente, da realizzarsi in ambiti di trasformazione. L’identificazione di tali casi, come prescritto dall’art.9 delle NTA, dovrà avvenire, inoltre, con il concorso del parere del Ministero per i BBCC e degli Uffici di tutela del paesaggio.

Perequazione

Acquisizione delle aree da parte dell’amministrazione comunale in cambio di potenziali edificatori utilizzabili in aree alternative Sostituzione edilizia Edilizia sociale e/o servizi pubblici

Incentivi

Riqualificazione energetica degli edifici e/o utilizzo di fonti energetiche rinnovabili

Cagliari

Milano

Roma

Generalizzata: applicazione alle aree di trasformazione e agli ambiti consolidati Applicazione parziale circoscritta ad aree ritenute di importanza strategica Applicazione ad ambiti di trasformazione

Compensazione

Genova

Modalità applicative

Bologna

Tabella II: Quadro riassuntivo delle principali modalità di attuazione degli strumenti urbanistici analizzati

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3 | Conclusioni Dall’analisi svolta emerge la necessità da parte di tutte le amministrazioni comunali di ricorrere, seppure mediante modalità e misure differenti, all’utilizzo di modalità attuative che coinvolgano l’operatore privato attraverso un processo di negoziazione di diritti edificatori. Essi rappresentano un indennizzo cospicuo per il privato costretto a subire una perdita, con l’entrata in vigore dello strumento, oppure un incentivo ulteriore alla realizzazione degli obiettivi di piano. L’introduzione, nella legislazione nazionale, dell’accordo di programma, come strumento decisivo per la realizzazione di numerosi interventi tramite accordo pubblico-privato e al di fuori dello strumento di piano, ha innovato profondamente la cosiddetta urbanistica negoziale. Il Comune di Roma, seppure in assenza di una legge urbanistica regionale che potesse inquadrare tale innovazione nella pianificazione, studia e sperimenta le nuove modalità di attuazione nel lungo processo di costruzione del nuovo PRG. Partendo da una drastica riduzione degli indici di edificabilità dei suoli attribuiti ai proprietari dal precedente PRG, evidentemente sovradimensionato, il piano ridistribuisce tale volumetria con lo strumento della compensazione urbanistica che consente anche l’acquisizione gratuita delle aree necessarie per le dotazioni di servizi. La ridistribuzione della volumetria attribuita dallo strumento precedente presuppone, infatti, che la stessa venga considerata, di fatto, un diritto acquisito dai proprietari. Nella pratica urbanistica, seppure Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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nessuna normativa lo preveda, è uso ricorrente nella redazione di un nuovo strumento presupporre un mantenimento dell’indice di edificabilità esistente, probabilmente per evitare conflitto con l’attore privato che non vedrebbe positivamente la cancellazione di tale consuetudine. Tale “modus interpretandi” ha sicuramente condizionato i comportamenti dei vari portatori di interesse, come anche dei pianificatori, ma una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 6656 del 21/12/2012) stabilisce che non esiste nessun diritto edificatorio acquisito nelle aree non ancora edificate e pertanto il pianificatore ha la facoltà di modificare gli indici edificatori, in tali aree, senza necessità di indennizzare il proprietario (Salzano, 2013). L’applicazione di innovative modalità di attuazione non deve consentire all’amministrazione comunale di attribuire in maniera arbitraria la potenzialità edificatoria: il piano comunale rappresenta lo strumento con il quale si disegna lo sviluppo della città ed in virtù di questo dovranno essere valutate le vocazioni edificatorie attribuibili alle diverse aree (Corrado, 2010). Il trasferimento dei diritti edificatori è, di fatto, un processo “debole”. Esso non è stato bene inquadrato dal punto di vista giuridico. A seguito di un ricorso presentato contro il PRG di Roma la Corte Costituzionale, con la sentenza n.121/2010, si è pronunciata sostenendo che la definizione delle modalità di trasferimento di tali diritti è materia di competenza statale e pertanto non può essere oggetto di regolamentazione a livello regionale. La tecnica della perequazione di volumi rientra, secondo la giurisprudenza amministrativa, nel potere di conformazione dei suoli e del governo del territorio, mentre l’utilizzo della perequazione generalizzata incide, di fatto, sul diritto di proprietà, di esclusiva competenza statale (Urbani, 2011). Viene confermata dunque la necessità di una revisione dell’apparato normativo statale in materia di governo del territorio, con la finalità di delineare chiaramente la natura giuridica dei diritti volumetrici e dei relativi atti di transazione. A seguito degli appelli del Comune di Roma e della Regione Lazio, il Consiglio di Stato con la sentenza n.4545 del luglio 2010, ribaltava le precedenti sentenze del TAR e riconosceva piena legittimità ai meccanismi perequativi e compensativi messi in campo dal PRG di Roma. Il modello perequativo generalizzato, esemplificato, a livello normativo, nella legge urbanistica lombarda e a livello sperimentale nel PGT di Milano, presenta forti debolezze legate all’eccessivo potere discrezionale dei comuni e dei privati ed alla scarsa regolazione del modello di negoziazione privo delle necessarie condizioni di trasparenza. L’applicazione dello schema perequativo a tutto il territorio comunale, comprese le aree agricole, la città storica e le aree tutelate, rappresenta però una sostanziale novità (Bottini, Gibelli, 2008). Il processo di redazione del PGT di Milano, concluso nel 2011, ha messo in luce le difficoltà legate alla gestione dei diritti edificatori generati dall’applicazione della perequazione generalizzata. A tale proposito, parallelamente alla redazione del piano, è stato portato avanti lo studio di un organismo, chiamato “Borsa dei diritti edificatori”, che avrebbe dovuto garantire efficienza e trasparenza alle negoziazioni (De Carli, 2012). Riprendendo alcune caratteristiche di tale modello, nel 2011, il Comune di Milano propone l’istituzione dell’Agenzia per la perequazione con il compito di favorire l’incontro tra domanda e offerta sul mercato dei diritti edificatori, di svolgere attività di analisi, informazione e promozione delle pratiche di perequazione, di supportare la pubblica amministrazione e i soggetti privati nella vendita e nell’acquisizione dei diritti edificatori (De Carli, 2012). La libera circolazione dei diritti edificatori nel territorio comunale determina nuove criticità in relazione ai problemi di equità nella distribuzione dei valori: il valore delle volumetrie è strettamente legato alle rendite di posizione ed alla condizione dei suoli, fattori che incidono nel trasferimento dei diritti edificatori (Micelli, 2011). In conclusione, è opportuno sottolineare che i problemi insorgenti con l’applicazione generalizzata dei meccanismi perequativi e compensativi si evidenziano soprattutto negli interventi all’interno della città consolidata e in particolare nel tessuto storico. L’introduzione di premialità volumetriche per la riqualificazione e per il rinnovo edilizio è più facilmente praticabile attraverso la demolizione e ricostruzione di edifici di scarso valore storico architettonico, seppure complicate, in alcuni casi, dalla parcellizzazione della struttura proprietaria e si rivela più soggetta a dispute nel caso dell’edificato di pregio. In generale, gli strumenti risultano maggiormente efficaci se accompagnati da interventi pubblici diretti al sistema dell’accessibilità e delle dotazioni territoriali della città esistente in grado di generare esternalità positive e ricadute economiche maggiori (Micelli, 2011). Sarebbe auspicabile, in ultima analisi, un approfondimento delle possibilità offerte dall’utilizzo di nuove modalità attuative coordinate agli obiettivi di efficacia del piano e dirette alla trasparenza delle azioni e all’equità nell’utilizzo dei diritti volumetrici, da considerarsi importanti leve di sviluppo nell’attuale quadro complesso di incertezza diffusa.

Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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Bibliografia Bottini F., Gibelli M. C. (2008), “Ci pensa il privato: considerazioni sul modello di governo del territorio lombardo”, in: Contesti: città, territori, progetti., n.2, pp.16-26. Carbonara S. (2008), “Perequazione urbanistica:un progetto complesso”, in: Carbonara S., Torre C. M. (a cura di), Urbanistica e perequazione: dai principi all’attuazione. Pratiche di compensazione e di valutazione nei piani, Franco Angeli, Milano, pp.11-26. Corrado R. (a cura di, 2010), L’urbanistica italiana dopo le sentenze del TAR sul PRG di Roma., Gangemi Editore, Roma. De Carli M. (a cura di, 2012), La libera circolazione dei diritti edificatori nel comune di Milano e altrove. Urbanistica, diritto civile, diritto amministrativo, fiscalità, catasto, servizi al mercato, Franco Angeli, Milano. Galluzzi P., Vitillo P. (a cura di, 2008), Rigenerare le città. La perequazione urbanistica come progetto, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna. Marchi G. (2008), “Applicazioni perequative nel piano urbanistico di Cagliari”, in: Carbonara S., Torre C.M., (a cura di), Urbanistica e perequazione: dai principi all’attuazione. Pratiche di compensazione e di valutazione nei piani., Franco Angeli, Milano, pp.129-141. Micelli E. (2011), La gestione dei piani urbanistici. Perequazione, accordi, incentivi, Marsilio editore, Venezia. Ricci L. (a cura di, 2009), Piano locale e… Nuove regole, nuovi strumenti, nuovi meccanismi attuativi, Franco Angeli editore, Milano. Urbani P. (2011). Urbanistica solidale. Alla ricerca della giustizia perequativa tra proprietà e interessi pubblici, Bollati Boringhieri editore, Torino.

Sitografia Comune di Bologna, PSC+RUE+POC. http://urp.comune.bologna.it/ Comune di Cagliari, (2003), Piano Urbanistico Comunale, Norme tecniche di attuazione. http://www.comune.cagliari.it/ Comune di Genova, (2011), Progetto preliminare di Piano Urbanistico Comunale. http://puc.comune.genova.it/ Comune di Milano, (2012), Piano di Governo del Territorio. http://www.comune.milano.it/ Comune di Roma, (2008), Piano Regolatore Generale. http://www.urbanistica.comune.roma.it/ Salzano E. (2013), E’ confermato: non esistono “diritti edificatori” né “vocazioni edificatorie” di suoli non ancora edificati. http://www.eddyburg.it/2013/02/e-confermato-non-esistono-diritti.html

Anna Maria Colavitti, Sergio Serra

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La Riqualificazione della Città Post-Industriale. Strategie per un Progetto Urbanistico.

La riqualificazione della città post-industriale Strategie per un progetto urbanistico Donato Di Ludovico Università dell’Aquila DICEAA - Dipartimento di Ingegneria Civile Edile Architettura e Ambientale Email: donato.diludovico@univaq.it Stefano Mariotti Comune di Teramo 4° Settore- Urbanistica e pianificazione territoriale e ambientale Email: s.mariotti@comune.teramo.it

Abstract L’attuazione della progettualità espressa dal Piano Strategico di una Città di medio-piccole dimensioni come Teramo porta con sé alcune questioni nodali: l’inefficienza degli strumenti ordinari di governo delle trasformazioni urbane ad attuare le Strategie, la mancanza di raccordo tra Strategie locali e territoriali e l’inefficienza della governance. Per superare tali questioni è necessario fare un salto di scala e di approccio, e riferirsi non più a strumenti che mettono insieme più progetti urbani tra loro spesso sconnessi, ma a strumenti che proiettano progetti di parti di città nel proprio territorio, cioè Progetti Urbanistici condivisi ai diversi livelli istituzionali di governo del territorio – ad esempio all’interno di Urban Center o Piattaforme partecipative, dinamici e flessibili. Il paper presenta una sperimentazione in tal senso, condotta dal Comune di Teramo con l’assistenza dell’Università dell’Aquila, che riguarda il Quartiere Gammarana, una parte di Città Post-industriale, caratterizzata da aree produttive dismesse, e quindi da riqualificare. Parole chiave Pianificazione strategica, Progetto urbanistico, Conoscenza.

1 | Introduzione Le strategie di trasformazione e riqualificazione delle città di medie e piccole dimensioni in Italia si scontra da sempre con la difficoltà a strutturare progetti sostenibili e capaci di attrarre finanziamenti, di superare finalità endemiche per riferirsi invece al territorio ed alle relative reti, di contemperare la tutela dell’ambiente e del paesaggio con lo sviluppo economico ed insediativo. In poche parole, la difficoltà a riferirsi alle strategie nazionali ed ad inserirsi nelle logiche spaziali europee. E’ necessario allora, nella dimensione di riferimento delle città medio-piccole, fare un salto di scala e di approccio, e riferirsi non più a strumenti che mettono insieme più progetti urbani tra loro spesso sconnessi, ma a strumenti che proiettano progetti di parti di città nel proprio territorio, cioè Progetti Urbanistici. Un Progetto Urbanistico riguarda le trasformazioni urbane in un’ottica relazionale e di contesto, tiene cioè conto delle interazioni e delle identità locali e le proietta oltre i confini dell’intervento, ponendoli in riferimento con strategie ed obiettivi territoriali e di area vasta generalmente poco attenti alla dimensione locale. In tale contesto assumono ruolo rilevante anche le pratiche di partecipazione per la costruzione di un Progetto Urbanistico condiviso, comunicato e capace di sviluppare accordi pubblico-privato, anche con tecniche perequative, sollecitando portatori di interesse locali ed esterni. In tal senso converge una sperimentazione che l’Università dell’Aquila sta seguendo con il Comune di Teramo relativa alla predisposizione del Piano Integrato di Sviluppo Urbano della Città, della sua mancata evoluzione nel progetto Jessica della BEI, alla proposta del Piano Nazionale per le Città, ed infine alla nuova idea di assetto del quartiere post-industriale della “Gammarana” nel contesto urbano-territoriale. Questione centrale diventa il ruolo Donato Di Ludovico, Stefano Mariotti

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delle città di piccola e media dimensione, come quella di Teramo, nel contesto delle Macro-regioni e delle reti territoriali, ma anche al metodo ed alle tecniche per la costruzione di progetti urbanistici che possano avere il ruolo di Progetti di Territorio e Progetti di Paesaggio nell’ambito di un quadro di sviluppo generale oggi poco definito o addirittura indefinito.

2 | Dal Piano strategico al Progetto urbanistico Il progetto del Piano Strategico ‘Teramo 2020’, il cui percorso è iniziato nel 2005 e terminato nel 2009, è articolato secondo un percorso composto da quattro fasi distinte: • la fase interlocutoria, che ha previsto interviste agli interlocutori privilegiati per le prime ipotesi di lavoro; • la fase di diagnosi, con l’identificazione e studio delle principali variabili rilevanti per lo sviluppo socioeconomico della città; • la fase di progettazione, attraverso la quale sono stati individuati gli obiettivi generali e definiti le idee di Città, le linee strategiche, gli obiettivi e le misure da attuare per il loro raggiungimento attraverso la predisposizione dei progetti; • la fase di implementazione, attraverso il monitoraggio in itinere dell’intero processo. Il lungo lavoro di ascolto del Piano Strategico ha fatto emergere molte Criticità del territorio comunale. Sin dalle prime battute si è evidenziata una situazione di isolamento, contraddistinto dall’elemento dell’accessibilità e dalla capacità di attrazione (mettendo in evidenza il rango del territorio in sé con le sue specificazioni), dal necessario potenziamento dei servizi e dalle specificità del know-how professionale ed imprenditoriale, contraddistinto altresì dalla questione degli investimenti esterni che mettono in discussione la capacità di gestione tecnico-finanziaria, nonché dalle necessarie operazioni di riconversione e ristrutturazione nel settore delle attività produttive. Sono state individuate strategie nell’ambito della filiera della cultura, dell’agroalimentare e del turismo, come sono stati posti in evidenza i temi della qualità urbana, della mobilità, dell’ambiente, del sistema del welfare e delle attrezzature. Secondo la scansione temporale delle fasi, nel 2009 il Piano è giunto alla definizione dell’insieme delle azioni/interventi, complementari tra loro, che hanno tratteggiato gli Scenari di Sviluppo possibili e consentito una sintesi dalla quale è derivata la mappa dei Progetti, distinti in tre assi tematici generali, selezionati ed integrati nel senso della coerenza e dalla compatibilità ambientale. La fase successiva, relativa all’implementazione dei progetti, ha espresso i primi livelli di problematicità connessi all’attuazione. A quel punto si è verificato cioè uno stallo che non può essere semplicemente ricondotto alla situazione di crisi ed alla riduzione significativa dei fondi disponibili. Questi infatti non sono i motivi ai quali di può far ricondurre le criticità relative all’implementazione dei Progetti previsti dal Piano. I reali motivi sono efficacemente sintetizzati dalla ReCS (Rete delle Città Strategiche, di cui fa parte anche Teramo), per la quale «i diversi contesti urbani nei quali sono state sperimentate pratiche di pianificazione strategica sia nel contesto italiano sia in quello internazionale consegnano cluster di problemi tra loro riconducibili probabilmente ad almeno quattro categorie: • problemi di transizione urbana, ossia di passaggio di fase tra modelli diversi di sviluppo e coesione sociale in condizioni di crisi di un modello di sviluppo storicamente consolidato e dell’assetto culturale e sociale ad esso connesso. Il riferimento è ovviamente, ma non esclusivamente, alle criticità connesse a modelli di sviluppo urbano basati su assetti d’impresa tradizionali (sia fordisti che di piccola e media impresa); • problemi di riposizionamento strategico, ossia di ricostruzione, in un quadro di incertezza e ambiguità sulle forme possibili dello sviluppo a scala urbana e territoriale, di una missione/identità riconoscibile e condivisa in relazione a processi economici, sociali, istituzionali, etc. Il riferimento, in questo caso, è alle criticità emergenti in contesti urbani soggetti a dinamiche inedite (non necessariamente traumatiche) che richiedono nuove forme di problematizzazione e nuove agende condivise, anche nella chiave della definizione o ridefinizione (in termini comparativi rispetto ad altri contesti territoriali vicini o lontani) di rappresentazioni e identità; • problemi di complessità e frammentazione decisionale. Il riferimento in questo caso è alla famiglia di problemi e di criticità connessa all’esistenza di una pluralizzazione dei poteri locali e delle competenze, alla compresenza di diversi livelli di governo rilevanti sia a scala orizzontale (tra amministrazioni comunali) sia a scala verticale (rispetto a livelli di governo sovraordinati o a poteri e attori di natura sovralocale) e, più in generale, alla governabilità in relazione ai fenomeni di frammentazione decisionale; • problemi di inefficienza degli strumenti ordinari di governo delle trasformazioni urbane e, più in generale, delle politiche urbane. Il riferimento in questo caso è alla crisi di efficienza e di efficacia delle politiche ordinarie, siano esse di welfare o di governo del territorio (si pensi ai piani urbanistici e alle scelte di natura infrastrutturale, ma non solo), rispetto alle quali la pianificazione strategica sembra rappresentare una occasione di miglioramento delle performance delle politiche a fronte di una crisi profonda degli strumenti tradizionali.» (Pasqui G., Armondi S., Fedeli V. 2010) In particolare, nel presente contesto assumono rilevanza il terzo e quarto punto, cioè le problematiche connesse alla governance e l’inefficienza degli strumenti ordinari di governo delle trasformazioni urbane e di approccio Donato Di Ludovico, Stefano Mariotti

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La Riqualificazione della Città Post-Industriale. Strategie per un Progetto Urbanistico.

alla progettualità che sezionano la città in parti e che si riferiscono a strumenti attuativi quali i Progetti Urbani, tra loro spesso senza relazioni e distanti dalla logica di area vasta e territoriale relativa ad una buona governance. La fattibilità del Piano Strategico presuppone infatti l’integrazione dello stesso con un Progetto Urbanistico per la Città ed un sistema dinamico di governance, approccio che sembra essere coerente ad un auspicato modello di governo della città e del suo territorio capace di risolvere in sé tutte le criticità e le contrapposizioni insite nei rigidi e statici sistemi di pianificazione attuali, superando altresì lo strumento del Progetto Urbano che adotta le metodologie, le categorie, i linguaggi del progetto architettonico (Aldo Rossi, Carlo Aymonino) e si presenta come proposta chiusa, definita in tutti i suoi particolari ma comunque chiusa. Il Progetto Urbanistico, in questo senso diviene un fertile campo di indagine, proprio perché non esprime i propri contenuti e le strategie in un contesto limitato, entro margini volutamente insuperabili, ma può essere considerato «un progetto di forme e di intenti che può lasciare il limite spaziale indefinito e una dimensione temporale indeterminata», che «accoglie una vasta gamma di elementi da considerare nella fase di elaborazione progettuale. Il progetto urbanistico, pur affrontando l’aspetto spaziale e morfologico della città si deve confrontare con l’intera complessità urbana. E’ importante sottolineare che il portato dell’interdisciplinarità in questo processo viene sintetizzato nel nucleo portante della progettazione dello spazio fisico e della sua configurazione morfologica. In quest’ottica i riferimenti sono inevitabilmente molteplici ed appartengono a diversi ambiti disciplinari». (Morandi M. 2009) Il campo entro cui si muove il Progetto Urbanistico è quello che integra Vision, Strategie ed Attori con gli aspetti spaziali, morfologici e di governance , elementi che si confrontano con l’intera complessità urbana ma anche con il territorio ed il contesto paesaggistico di riferimento della città. In questo modo è possibile integrare Progetto e Strategie locali e territoriali, in una sorta di feedback nel quale il Piano Strategico è una occasione di miglioramento dell’assetto urbano e delle relative performance e politiche, ed il Progetto Urbanistico traghetta le scelte calandole a livello strutturale, con l’obiettivo di superare la crisi profonda dello strumento tradizionale del Piano Regolatore Generale. Il Progetto Urbanistico, declinato in termini di compatibilità ambientale e coerenza, diventa così elemento centrale tra Sviluppo territoriale, rappresentato dai Progetti di Territorio e di Paesaggio, come quelli delle Macroregioni, del Piano Nazionale per le Città o delle Piattaforme Strategiche, e Sviluppo locale, rappresentato dal Piano Strategico, dalla STU (che a Teramo si è arenata mostrando i limiti di una strumentazione che presenta alti costi di gestione ed una pesante fiscalità, inadatta per una città di medio-piccole dimensioni), e dal PRG.

2.1 | Il Piano Integrato di Sviluppo Urbano La definizione di un Progetto Urbanistico, che proietta il Piano Strategico nel campo della strumentazione urbanistica, si confronta con l’intera complessità urbana e si basa sul principio dell’interdisciplinarietà dell’approccio (nel senso di ricomposizione dei temi connessi allo sviluppo urbano, al territorio, all’ambiente, alla natura ed al paesaggio) e della transcalarità. L’esperienza dell’Università dell’Aquila nell’Ufficio di Piano muove proprio nel senso dell’integrazione tra Strategie e Progetto, tra territorio e spazio fisico della città riguardato nel proprio contesto. L’obiettivo dell’integrazione si relaziona così a quello della fattibilità, degli strumenti ordinari del governo del territorio e della governance, per i quali riveste un ruolo fondamentale la Valutazione e le Verifiche e quindi il sistema delle conoscenze predisposto nell’ambito delle attività per l’Ufficio di Piano. Per raggiungere gli obiettivi suddetti, la Conoscenza è stata declinata in termini di indagine dei Valori, dei Rischi, dell’Abbandono, del Degrado, delle Fratture della continuità ambientale, in termini di assetto attraverso l’analisi dell’Armatura Urbana e Territoriale (il Progetto Urbanistico), ma anche in termini relazionali rispetto alle strategie ed assetti territoriali. Questi tre termini della Conoscenza, posti a base dell’integrazione tra Strategie e Progetto, sono confluiti nel Piano Integrato di Sviluppo Urbano - PISU, uno strumento previsto dal Fondo Europeo di Sviluppo regionale FESR, che riguarda lo sviluppo urbano sostenibile, incluso tra gli strumenti del Piano Operativo Regionale del FESR 2007-2013. Il PISU si occupa di individuare interventi sul territorio comunale che risolvano questioni di disagio ambientale o riqualificazione urbanistica e del sistema della mobilità, interventi che abbiano come obiettivo lo sviluppo territoriale. Il PISU della Città Teramo nasce dall’interazione della comunità locale con l’amministrazione, cioè da un processo partecipativo al quale intervengono i singoli cittadini ma anche operatori privati, associazioni, organizzazioni, istituzioni interessate, etc., che deriva anche dalle attività partecipative del Piano Strategico Teramo 2020 con le quali è stato individuato il quadro delle aree sulle quale concentrare le azioni del PISU medesimo. Il Progetto Urbanistico che sta dietro al PISU ha disegnato Assetti possibili per la Città di Teramo, individuando una progettualità sulla scorta dell’esperienza del Piano Strategico, orientata a rimuovere le principali criticità osservabili nello spazio urbano ancora caratterizzato dalla presenza di aree con alcune problematiche di disagio ambientale e sociale, come ad esempio ambienti con problematiche di carattere urbanistico, modesta offerta di mezzi trasporto pubblico, presenza di problematiche di natura ambientale, isolamento delle aree degradate rispetto ai quartieri limitrofi. Si tratta sinteticamente di interventi che riprogettano l’Assetto urbano e che riguardano il recupero delle infrastrutture urbane, il restauro e l’ammodernamento dei centri storici, il recupero Donato Di Ludovico, Stefano Mariotti

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dell’ambiente fisico anche attraverso la riconversione dei siti industriali e delle strutture ad uso pubblico in abbandono, interventi urbanistico-edilizi afferenti tematiche culturali, che valorizzano cioè le risorse culturali disponibili. In questo modo, il PISU, declinato come Progetto Urbanistico, nel senso individuato nel paragrafo precedente, inquadrato nelle strategie locali e territoriali diventa lo strumento attuativo del Piano Strategico.

Figura 1. Assetto generale della Città di Teramo proposto dal PISU

3 | Il Quartiere Gammarana, un pezzo di Città Post-Industriale L’assetto generale proposto dal PISU (vedi figura 1) individua alcuni approfondimenti attinenti settori urbani da riqualificare a livello urbanistico, edilizio ed ambientale ma anche in termini relazionali, di connessioni con gli altri settori urbani ed il territorio di riferimento. Uno di questi approfondimenti riguarda il quartiere Gammarana. Il quartiere Gammarana è caratterizzato da un basso livello di naturalità in conseguenza dell’alto grado e del tipo di urbanizzazione presente (ex attività industriali); le formazioni riparali presenti ed il sistema agricolo periurbano risultano frammentati e quindi non sono in grado di formare reti di continuità ambientale con la fascia fluviale del Tordino. Il Sistema Insediativo-Relazionale è fortemente caratterizzato dalla presenza della ferrovia e dell’asse di attraversamento di Viale Crispi, entrambi limiti antropici alla connessione efficiente tra il quartiere e il resto della Città. Alla quota di residenziale non corrisponde una presenza adeguata di servizi, mentre si riconoscono diversi vuoti urbani che rappresentano situazioni di degrado, nonché l’annoso problema della riconversione dei siti industriali. Le problematiche principali del quartiere Gammarana riguardano la separazione tra il quartiere e il resto della città, il rapporto con la ferrovia e la stazione ferroviaria, il recupero dei vuoti urbani, il recupero edilizio ed urbanistico della ex area industriale ed in particolare del complesso ex Villeroy e Boch, la mancanza di connessione tra le aree verdi/sportive esistenti, il parco fluviale e l’area urbana.

3.1 | Le proposte dei privati come motore di riqualificazione Negli ultimi anni, diversi immobili a carattere produttivo del Quartiere Gammarana sono tornati disponibili a seguito di aste fallimentari. Sono stati quindi acquisiti da privati che hanno potuto sfruttare gli strumenti messi a disposizione dal nuovo PRG 2008, le Schede delle Zone di integrazione urbana, per recuperare parti degradate di città lasciate in abbandono e che rivestono un ruolo determinante per la città, questo sottolineato anche dal Piano Strategico e dal PISU. Le Schede riguardano infatti aree strategiche che richiedono interventi complessi, di tipo integrato, per le quali è necessaria una semplificazione delle procedure attuative, garantendo una ‘perequazione’ di comparto che mette a disposizione risorse finanziarie per l’attuazione della parte pubblica della Città. Tra queste aree c’è il recupero dell’ex complesso industriale dismesso Villeroy e Boch su cui è stato sperimentato un Donato Di Ludovico, Stefano Mariotti

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modello di edilizia sostenibile dall’Università di Chieti-Pescara (ricerca finanziata dalla Regione Abruzzo), il recupero dell’area dismessa ex Aquila d’Oro ed il Piano di recupero"Globo" dell’area dismessa ex Adone. A queste tre iniziative di recupero si devono aggiungere due importanti interventi infrastrutturali, il progetto PEGASUS, avviato assieme alle RFI, che riguarda la riqualificazione dell’area della stazione ferroviaria con la creazione di una piazza, e la realizzazione dello svincolo del Lotto zero. Attorno a questi progetti, il Comune ha attivato un processo partecipativo che, attraverso uno specifico approfondimento e lo studio di un nuovo assetto, ha ricondotto gli stessi agli obiettivi generali del Piano Strategico, al PISU ed al sotteso Progetto Urbanistico.

3.2 | Il nuovo assetto del quartiere I nuovi interventi di recupero delle aree produttive dismesse della Gammarana e quelli infrastrutturali, nonché le risorse messe a disposizione dai privati per la realizzazione della parte pubblica del quartiere, hanno fatto emergere nuovi possibili assetti. Le nuove attrezzature ed infrastrutture consentono di attuare a breve termine, nel contesto del PISU, un efficace Progetto Urbanistico che può essere riguardato come lo sviluppo degli obiettivi generali del Piano Strategico in una logica strutturale, quest’ultimi sostenuti dalla Valutazione ambientale e dalla Verifica di coerenza effettuati attraverso il sistema delle Conoscenze ambientali, paesaggistiche e territoriali predisposto dall’Università dell’Aquila per l’Ufficio di Piano. E’ stato così possibile integrare il sistema delle nuove attrezzature e di quelle esistenti ad una struttura di base formata dalla cosiddette ‘vie verdi’, che affiancano la viabilità esistente, dalle aree attuate e non attuate del verde attrezzato e sportivo, dal sistema connettivo formato dalle aree ripariali e dalle aree agricole periurbane, dai margini, da una nuova visione del sistema infrastrutturale in cui si riconoscono assi e centralità. L’obiettivo del Progetto Urbanistico, che si esprime attraverso un nuovo Assetto urbano, è duplice: quello di rendere efficiente il sistema insediativo-relazionale integrato nel sistema ambientale e quello di creare una nuova figura identitaria del quartiere Gammarana. La predisposizione di un siffatto Progetto ripropone efficacemente il tema della riconversione della città postindustriale caratterizzata da un tessuto degradato e da una scarsa relazionalità con le altri parti della Città e con il territorio circostante.

Figura 2.Assetto generale del Quartiere Gammarana proposto dal PISU

4 | Prospettive La questione che viene qui affrontata è connessa all’inefficienza degli strumenti ordinari di governo delle trasformazioni urbane ad attuare le Strategie, ma anche alla mancanza di raccordo tra Strategie locali e territoriali ed all’inefficienza della governance che non è capace di individuare il corretto livello di attuazione (transcalarità delle Strategie) delle stesse. Progetti Urbanistici condivisi e partecipati avrebbero, ad esempio, favorito l’accesso

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alle risorse del Piano Nazionale per le Città1, dal quale sono stati esclusi i progetti con bassi livelli di governance. Il Progetto Urbanistico può essere pensato come uno strumento dinamico e flessibile, in grado di adattare l’Assetto urbano e territoriale alle nuove conoscenze, uno strumento che si ritiene necessario per non disperdere le risorse finanziarie nazionali ed europee e per garantire, attraverso un corretto livello di progettazione, l’attuazione delle Strategie locali nel contesto di quelle territoriali. Si tratta di un Progetto urbano progressivo, praticabile nella sua strategicità per parti e nel rispetto delle coerenze strutturali e delle compatibilità ambientali che un Progetto Urbanistico può garantire (Properzi P. 2010). Si ritiene irrinunciabile attivare processi di condivisione (coerenza orizzontale e verticale) del Progetto Urbanistico, che possono effettuarsi nel tradizionale Urban Center o attraverso le nuove Piattaforme partecipative, strumenti questi indispensabili ma ancora poco sviluppati in Abruzzo.

Bibliografia Morandi M. (2009), Progetto urbano e progetto urbanistico: riferimenti e considerazioni, in Macramè n. 3/2009, Rivista on-line dell’Università degli studi di Firenze, pp. 85-88, ISSN 1971-6230. Pasqui G., Armondi S.,Fedeli V. (2010),“Prime ipotesi interpretative”, in Florio R. (a cura di), Pianificazione Strategica - Istruzioni per l’uso - 10 anni di Pianificazione Strategica in Italia, Ragioni, esiti, criticità, www.recs.it, pg. 22, 23. Properzi P. (2010), “La questione Urbanistica”, in Mantini P. (a cura di), Il diritto pubblico dell’emergenza e della ricostruzione in Abruzzo, pp. 57-77, CEDAM, ISBN 9788813299293, Padova.

Sitografia Presentazione del Piano Nazionale per le Città, Decolla il Piano Città, scelti 28 progetti per 4,4 mld di euro Passera: "Impegno rispettato, ora possono partire icantieri" http://www.mit.gov.it/mit/site.php?p=cm&o=vd&id=2404

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Il Piano Nazionale per le Città ha finanziato 28 progetti su 457, per i quali “i vari livelli istituzionali - nazionale, regionale, comunale - hanno saputo fare sistema, dando vita a una leale e proficua collaborazione” (http://www.mit.gov.it)

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Nuovi servizi insediativi in contesti policentrici di medie dimensioni

Nuovi servizi insediativi in contesti policentrici di medie dimensioni Roberto Gerundo Università degli Studi di Salerno DICIV - Dipartimento di Ingegneria Civile Email: r.gerundo@unisa.it Tel: 089 964123 Isidoro Fasolino Università degli Studi di Salerno DICIV - Dipartimento di Ingegneria Civile Email: i.fasolino@unisa.it Tel: 089 964124 Gabriella Graziuso Università degli Studi di Salerno DICIV - Dipartimento di Ingegneria Civile Email: gabriellagraziuso@gmail.it Tel: 089 964169

Abstract Dare soluzione ai bisogni di vita civile della società attraverso una risposta di tipo parametrico si basava sull’esigenza di trasferire sul territorio un modello politico-ideale fondato sull’eguaglianza, come possibilità di accesso alla stessa quantità di servizi. Oggi la società è cambiata e, con essa, le esigenze e la domanda di servizi, pur in un quadro di austerità economico-finanziaria, si è notevolmente frammentata. La nuova immagine della società urbana si fonda soprattutto sulla innovazione relazionale, sulla qualità dei luoghi identitari e sulla solidarietà sociale. Ma restano tutte le problematiche legate al soddisfacimento dei bisogni: modalità applicative, criteri di calcolo dell’utenza, procedure di acquisizione delle aree occorrenti, reperimento delle risorse finanziarie per l’attuazione e la gestione delle opere. La sussidiarietà orizzontale, cui sempre maggiormente si ricorre, è strumento che va gestito in modo da garantire, oltre ai margini economico/finanziari necessari alla qualità e all'innovazione, il necessario controllo del servizio a garanzia della collettività beneficiaria, perseguendo una forma compiuta di governance. Parole chiave Standard urbanistici, risorse scarse, sussidiarietà.

Nuovi standard Gli usi della città e delle attività da prendere in considerazione nell’immaginare una ridefinizione degli standard urbanistici è ben più ampio e articolato di quello che caratterizzava il periodo in cui essi sono stati introdotti nella legislazione urbanistica italiana. In molti casi, il riferimento quantitativo normativo non è più sufficiente, perché il modello di città è cambiato, e con esso anche i bisogni a cui gli standard dovrebbero dare una risposta. A una nuova e più spinta articolazione delle fasce sociali, corrisponde un cambiamento nel modo di vivere la città e, quindi, l’emergere di un quadro fortemente articolato della domanda di servizi. Alle esigenze di carattere tradizionale se ne aggiungono di nuove, riconducibili, in particolare, all’attenzione per l’ambiente e per gli

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aspetti sociali, all’emergere di nuove pratiche e tendenze di tipo volontaristico-negoziale, che modificano profondamente il tradizionale approccio urbanistico. Il campo che si apre alla definizione normativa degli standard è quello della individuazione, in termini qualitativi, dei requisiti delle attrezzature pubbliche e del loro inserimento nel contesto urbano. Occorre distinguere il contenitore dal contenuto, ovvero le attrezzature dai servizi, da immaginare in base a criteri prestazionali. Inoltre, emerge immediatamente l’impossibilità di definire parametri aprioristicamente dal contesto, ma solo in stretta relazione agli specifici ambiti urbani e territoriali a cui si applicano. Le dinamiche policentriche tendono a individuare e considerare la presenza di determinati settori specifici del territorio, dotati di vocazioni particolari, siano esse sociali, economiche, ambientali o culturali. Le connessioni, infatti, non sono basate soltanto su relazioni fisiche o materiali, ma anche, e/o soprattutto, da quelle immateriali. Diventano rilevanti, quindi, le infrastrutture in chiave di accessibilità alle reti, le competenze professionali nei settori innovativi e le interazioni tra le istituzioni pubbliche locali, soprattutto per gli interventi nel campo dei servizi. Sul fronte della domanda, questo significa modulare le categorie di servizio necessarie, in funzione delle reali esigenze espresse, mentre sul fronte dell’offerta acquistano rilevanza le risorse disponibili, in termini economici e immobiliari, ecc.), gli attori e le procedure. La società attuale è caratterizzata da una condizione di povertà, che costringe i singoli individui a ricalibrare l’ordine delle proprie necessità, eliminando il superfluo e concentrandosi sullo stretto indispensabile alla propria sopravvivenza. In condizioni di scarsità di risorse, si potrebbe parlare di standard di sopravvivenza 1, e all’utente non resta che illustrare le proprie esigenze e la propria idea, secondo un sistema di comunicazione condiviso e partecipato. Ci si orienta verso un’urbanistica di sopravvivenza, basata su principi che dovrebbero limitare le trasformazioni al minimo indispensabile per l’adattamento dell’uomo, con lo scopo di utilizzare diversamente, e nel modo più conveniente possibile, le risorse. Le pratiche si ispirano progressivamente a stili di vita più sobri, volti a recuperare e razionalizzare l’esistente, in un contesto politico-istituzionale che vede, anche nella evoluzione della prospettiva federalista, una sempre maggiore rivendicazione di responsabilizzazione e legittimazione all’autonomia delle scelte da parte degli enti locali. Da questa considerazione emergono nuovi bisogni e una domanda di servizi innovativi di diversa tipologia, alcuni dei quali si configurano come trait-d’union delle varie parti del territorio. Si ritiene, in particolare, di soffermarci su: abitazione sociale; mobilità lenta; verde ecologico e ambientale; prevenzione ed emergenza; servizi a-spaziali.

Abitazione sociale Si presentano oggi nuove componenti della domanda cui il sistema abitativo esistente e i modelli di intervento tradizionali non sono attrezzati a rispondere: esse sono costituite soprattutto dagli anziani, dalle giovani coppie, dagli immigrati, dalle famiglie in difficoltà e dagli studenti universitari/ lavoratori fuori sede. Il tema della residenza sociale e temporanea (residenza temporanea intesa come risposta sia al disagio abitativo immediato, sia per chi ha necessità di un alloggio temporaneo legato a motivi di studio e di lavoro) diventa un elemento imprescindibile delle politiche abitative. Si è, infatti, affermata, anche normativamente 2, la considerazione che l’edilizia residenziale sociale (Ers) costituisce servizio abitativo, ovvero un servizio di interesse generale finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di integrazione e coesione sociale, di qualità funzionale dei tessuti urbani e alla riduzione degli svantaggi di fasce di popolazione nell’accesso a una abitazione funzionale, salubre, sicura, dignitosa e dai ridotti consumi energetici. Una quota sempre maggiore di alloggi vengono programmati e realizzati in tale forma, spesso in aree di riconversione e rifunzionalizzazione della città.

Mobilità lenta La mobilità lenta è sempre più al centro delle attenzioni disciplinari, quale fattore che incide sulla qualità della vita, garantendo l’accessibilità dei territori, essendo caratterizzata da relazioni di prossimità, e la valorizzazione delle risorse ambientali. Essa deve essere garantita come standard attraverso la realizzazione di aree pedonali e piste ciclabili e/o ciclo-pedonali, ma anche percorsi ippici e altre tipologie di utilizzi sostenibili. Occorre definire una rete capillare e gerarchizzata di percorsi ciclo-pedonali che risponde a diverse modalità di spostamento che interessano un comune, dotata di collegamenti diretti con i nodi della mobilità pubblica. 1 2

Friedman Y. (2009), L'architettura di sopravvivenza, Bollati Boringhieri, Torino. Con la finanziaria 2008, legge 244/2007, art. 1, c. 258, l’edilizia residenziale sociale diventa standard urbanistico.

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Occorre definire quindi una rete di mobilità dolce che abbia come requisiti fondamentali: • il recupero delle infrastrutture territoriali dismesse (ferrovie, strade arginali di fiumi e canali, strade rurali o percorsi pedonali e mulattieri di rilevante interesse storico, sentieri di pianura e montagna, tronchi stradali carrozzabili dismessi o in abbandono, ecc.); • la compatibilità e l’integrazione fra diversi utenti; • la separazione dalla rete stradale ordinaria, o in certi casi, la protezione della mobilità dolce sulle strade promiscue con i mezzi motorizzati a bassa intensità di traffico; • l’integrazione con il sistema dei trasporti pubblici locali e con la rete dell’ospitalità diffusa. Per favorire la mobilità dolce servono interventi di varia natura: • di tipo infrastrutturali, per estendere la rete dei percorsi protetti e per favorire la sicurezza in corrispondenza degli attraversamenti; • di regolamentazione della circolazione, per agevolare il transito in promiscuo con i veicoli; • di equipaggiamento della città con servizi dedicati: stalli, in prossimità dei servizi pubblici e delle funzioni attrattrici di utenza, bici stazioni, ecc.

Verde ecologico e ambientale Da sempre l’urbanistica ha attribuito al verde urbano un ruolo fondamentale non solo per la salute dei cittadini, la promozione delle relazioni sociali e la qualità dell’abitare, bensì anche per la definizione della forma e dell’immagine dell’organismo urbano nel suo complesso. In anni più recenti, alle istanze del benessere, dell’igiene pubblica e dell’arredo urbano si sono associate quelle dell’ecologia, della lotta all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Le aree verdi, soprattutto se boscate, assorbono gli inquinamenti atmosferici e le emissioni climalteranti, riducono i livelli di rumore, forniscono l’habitat per molte specie animali e vegetali, stabilizzano il suolo, rallentano il deflusso delle acque piovane, mentre la copertura erbosa e l’evapotraspirazione prodotta dalle piante può contribuire ad una sensibile mitigazione delle temperature estive nella aree urbane. La creazione di un sistema del verde fruibile e di mobilità dolce permette di dare continuità e connessione alle parti di città costruita e in trasformazione. Le porzioni territoriali frapposte tra città e campagna, in cui il verde svolge il ruolo di connettore tra due realtà morfologicamente e funzionalmente diverse, assume un’importanza notevole. La definizione della rete ecologica e del sistema ambientale permette di far emergere il ruolo contemporaneo della naturalità, della ruralità e dell’agricoltura. Tale obiettivo è perseguibile attraverso le seguenti azioni: - realizzazione di parchi; - implementazione del verde fruibile (attrezzato e piantumato) e valorizzando quello a valenza ambientale; - creazione di continuità e connessioni tra i servizi esistenti e in progetto e la città costruita; - valorizzazione di parchi urbani e loro connessioni; - valorizzazione della rete ecologica, anche in termini fruitivi; - valorizzazione di orti urbani. L’orto urbano, in particolare, da un punto di vista ambientale, può costituire un’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, basata su ritmi di coltivazione innaturali, sull’ampio utilizzo di pesticidi, fertilizzanti, strumenti atti a conseguire il massimo rendimento per ettaro in termini di produzione. Completamente diversa la sensibilità con cui il coltivatore dell’orto svolge il suo lavoro: anzitutto è del tutto assente la ricerca del profitto e dell’ottimizzazione della produzione, concetti inconciliabili con un approccio sincero ai cicli di produzione naturali. La cura dell’orto avviene attraverso metodi tradizionali, frutto dell’antica sapienza contadina, rispondenti a un’esigenza di semplice sostentamento e autoproduzione. Gli orti urbani costituiscono un fondamentale polmone verde per le città e contribuiscono spesso al recupero di aree degradate, sporche e abbandonate. In sostanza si evidenzia l'importanza del ruolo che il sistema del verde e degli spazi aperti hanno nello strutturare la città e della necessità che questo ruolo venga consolidato e rafforzato.

Prevenzione ed emergenza Un nuovo tipo di standard, divenuto un elemento essenziale della pianificazione urbanistica, è rappresentato dai servizi o attività che richiedono superfici dedicate per la prevenzione e la gestione delle emergenze e il soccorso delle popolazioni colpite da eventi disastrosi. Nel caso di tali eventi, le esigenze sono molteplici: percorsi garantiti, aree di attesa, aree di ammassamento, aree di accoglienza, e relative attrezzature e strutture di protezione civile (Pc); centri per il rilevamento delle situazioni di rischio, per l’informazione e per la custodia e stoccaggio di materiali di prima necessità. Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino, Gabriella Graziuso

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È quindi fondamentale, sulla base di progressivi approfondimenti tecnico-normativi, progettare la polifunzionalità e la flessibilità delle aree, individuando funzioni ed esigenze, nell’ambito di un determinato territorio, da poter sviluppare parallelamente alle attività di Pc. Le ricadute, in termini di effetti positivi, sarebbero rappresentate dall’utilizzo degli investimenti per la realizzazione di spazi urbani specificatamente destinati a funzioni di sicurezza e protezione previsti all’interno dei piani per la gestione dell’emergenza da parte della Pc, anche per progettare e realizzare, in una concezione multifunzionale, veri e propri spazi pubblici collettivi, ordinariamente già previsti come attrezzature urbane dai piani urbanistici (piazza, parcheggi, mercati, stadi, ecc.), e che solo all’occorrenza assumano le funzioni di Pc, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse.

Servizi a-spaziali I servizi a-spaziali non consumano superficie fondiaria, e per le loro caratteristiche funzionali e localizzative, non occupano superfici utili delle realizzazioni residenziali o terziarie, o non insistono su parti della strada. Essi sono degli standard in relazione al loro livello di risposta ai bisogni sociali. (Tabella 1) Tabella 1 - Servizi aspaziali suddivisi per tipologia

tipologia

attività

assistenza domiciliare corsi di ginnastica per la terza età telesoccorso contributi ordinari e sussidi economici a persone anziani trasporti socio-assistenziale fornitura pasti a domicilio soggiorni climatici interventi economici per la fruizione dei servizi residenziali alunni/ studenti contributi e borse di studio contributi e patrocini per attività culturali associazioni contributi alle associazioni sportive disabili trasporti socio-assistenziali trasporti scolastici mensa scolastica assegno di maternità consulenza padagogica genitori e figli assegni per neonati pre-scuola aiuto educativo assegno per il nucleo familiare pedonale mobilità sostenibile e info- ciclabile (bike sharing) mobilità mezzi di trasporto pubblico mezzi di trasporto privato condivisi (car pooling e sharing) pulizia e manutenzione delle strade ambiente raccolta rifiuti manutenzione verde reti manutenzione servizi a rete

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Un caso studio Nell’ambito del processo di pianificazione comunale di Castel San Giorgio (Sa) 3, è stato posto in essere un percorso partecipativo, da cui è emerso una particolare attenzione al contenimento del consumo di suolo e la necessità, nella fase di austerità e l’attuale complessiva scarsità di risorse pubbliche, di un nuovo approccio, più sobrio, ai temi dell'organizzazione della città e del territorio, soprattutto partendo dal recupero e riciclo dell’esistente e dell’intero patrimonio dismesso e/o sottoutilizzato presente in ambito comunale. Non ulteriori espansioni, bensì impianti e attrezzature per un sistema insediativo, quello in oggetto, policentrico e articolato, facendo ricorso anche a innovative forme di fruizione di servizi, anche mediante recupero di strutture ed infrastrutture dismesse e/o in degrado, da rifunzionalizzare. In definitiva, il tema portate del nuovo piano urbanistico comunale concerne la necessità di integrare e implementare gli spazi pubblici con l’intero tessuto abitativo. La diffusa carenza di attrezzature e spazi per la collettività è stata caratteristica fondamentale degli interventi, animati da proposte di centri sportivi diffusi sul territorio, previsioni di playgrounds in aree libere o non utilizzate giornalmente, implementazione di opportune e diffuse aree attrezzate per bambini ed anziani, la promozione di un’ anima «verde» della città, prevedendo vere e proprie greenway, collegate a parcheggi in aree nodali e strategiche, così da favorire la pedonalizzazione delle zone centrali del territorio. La proposta di mobilità sostenibile si è sostanziata con il progetto Lungo Solofrana, ossia la previsione di percorsi ciclabili, pedonali e ippovie lungo gli argini del torrente Solofrana, integrando tale corridoio di mobilità sostenibile con percorsi ciclabili e dedicati. Particolare interesse ha suscitato, infine, la riscoperta degli orti urbani, non solo quale testimonianza culturale del passato, ma anche in funzione produttiva, da riservare a soggetti economicamente deboli, oltre che presidi in grado di assicurare decoro, igiene e sicurezza alle aree in cui ricadono.

Risorse La produzione dei servizi è stata sempre compito dei soli soggetti pubblici; ma non pochi servizi possono essere oggi forniti dai privati, attraverso accordi di collaborazione o di concessione. In quest’ottica, i soggetti pubblici continuerebbero a fornire taluni servizi essenzialmente intrasferibili (certificazione, sanità, istruzione, parchi, giardini, ecc.); mentre la maggior parte dei servizi che soddisfino bisogni quotidiani potrebbero essere forniti indifferentemente da soggetti pubblici e/o privati (scuola, sanità, poste, strutture cimiteriali e annonarie, ecc.) oppure solo da soggetti privati (commercio, svago, tempo libero: bar-ristoranti, cinema e teatri, palestre, piscine, maneggi, ecc.). Per la realizzazione e gestione è necessario confrontarsi con una nuova panoramica, che vede attori, sia pubblici che privati, direttamente coinvolti nell’attuazione di attrezzature collettive e nella erogazione di servizi, e parallelamente con la definizione di capacità organizzative e gestionali necessarie. Se l’espansione urbana si riduce, anche lo standard aggiuntivo realizzato, da o con l’apporto del privato, si riduce, e si riduce, al contempo, il gettito del contributo di costruzione; mentre nella città consolidata lo standard integrativo diventa talmente oneroso da poter essere finanziato dal solo processo di rinnovamento e trasformazione, per cui bisogna ricorrere alla fiscalità o ad altre forme di collaborazione pubblico/privata (project financing, compensazione urbanistica/edilizia, affido della gestione, ecc.), per sfruttare l’imprenditorialità e la capacità gestionale dei privati, i quali chiedono soprattutto previsioni flessibili di piano e disponibilità dell’ente pubblico a trovare l’intesa. Il soggetto erogatore del servizio diventa il fornitore del servizio nei confronti della collettività per un determinato periodo di tempo variabile in funzione della tipologia del servizio. La scelta da parte di un ente locale di esternalizzare uno o più servizi si basa su una decisone condivisa e finalizzata al soddisfacimento di un interesse collettivo, il perseguimento del quale può portare l'amministrazione locale a optare verso scelte strategiche finalizzate a un disegno di sviluppo del territorio, che, di volta in volta, può essere supportato da strumenti operativi e societari differenti. Vi sono anche dei servizi a rilevanza non economica, e un tipico esempio è quello della gestione delle attività sociali, che rappresenta spesso una priorità per gli enti locali, i quali, di frequente, si trovano ad affrontare gestioni carenti in economia, con una preponderanza dei costi di gestione sulla effettiva qualità dei servizi. I servizi dovranno, quindi, essere definiti progettualmente, cioè attraverso operazioni proprie della disciplina urbanistica, verificandoli, di volta in volta, con il livello delle prestazioni che i servizi devono assicurare e in relazione agli obiettivi e alle politiche generali di piano fissate dall’ente locale. Tutto ciò significa progettare per 3

Il comune di Castel San Giorgio si colloca nella media valle del Sarno, in posizione intermedia tra la pianura dell'Agro nocerino-sarnese ad ovest e dell'alta Valle dell'Irno ad est. Si estende su una superficie di 13 kmq e conta circa 13.411 abitanti (Istat 2011), per una densità di 1.056 abitanti/kmq ed è caratterizzato da una struttura insediativa policentrica articolata in 11 centri, oltre il capoluogo.

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Nuovi servizi insediativi in contesti policentrici di medie dimensioni

il luogo, e cioè riconsiderare nel luogo specifico, tenendo conto delle sue caratteristiche sociali, ambientali, funzionali, fisiche e simboliche, tutti i problemi che una progettazione spinta sulla via della tipizzazione considererebbe semplicisticamente risolti.

Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino, Gabriella Graziuso

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L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali

L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali: discussione di casi di studio concernenti processi in atto nella Regione Sardegna Federica Isola ∗ Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: federica.isola@unica.it Tel: 070.6755200 Corrado Zoppi ∗ Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: zoppi@unica.it Tel: 070.6755216

Abstract Il paper analizza il rapporto tra la strategie della tutela sviluppate nei piani strategici (PS) e nei piani urbanistici comunali (PUC) di alcuni Comuni della Sardegna, considerando come orizzonte concettuale la Valutazione ambientale strategica (VAS). I risultati del paper delineano il percorso di apprendimento, da parte delle pubbliche amministrazioni coinvolte, e delle comunità locali, della prassi della VAS come processo che si identifica con la formazione del piano, orientandone la definizione alla pianificazione strategica, come espressione importante dell’intenzionalità delle comunità locali. Parole chiave Valutazione ambientale strategica, Pianificazione strategica, Piani urbanistici comunali.

Introduzione I piani strategici sono stati redatti in Sardegna da singoli Comuni o, più raramente, da gruppi di Comuni o da amministrazioni provinciali, con finanziamenti definiti: 1. dal combinato disposto del punto 1.1 della Delibera CIPE n. 20/2004, recante 'Risorse addizionali, premialità, destinazioni straordinarie e riserve', e dai criteri e dalle procedure approvate dal Tavolo Inter-Istituzionale per la 'Riserva Aree Urbane' del FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate) nel Novembre 2004, che stabilisce che una parte delle risorse allocate per ciascuna Regione dovrà essere utilizzata per la redazione di piani strategici comunali, aree metropolitane o raggruppamenti di Comuni che totalizzino almeno 50.000 abitanti (punto B.11 recante 'Interventi per pianificazione/progettazione innovativa e investimenti immateriali destinati alle aree urbane'); 2. dall’Allegato 2 della Nota n. 125/GAB del 17 Marzo 2005, recante 'Modalità attivazione risorse', dove si definisce un ampliamento della disponibilità di finanziamenti per i piani strategici. Sono stati redatti, quindi, una quarantina di piani, in larghissima maggioranza comunali, che definiscono il quadro strategico della progettualità relativa al contesto locale nel medio e lungo termine. *

Il contributo è frutto della ricerca comune degli autori. Le sezioni 'Introduzione' e 'Conclusioni', e la sottosezione 'Alghero' sono state redatte congiuntamente. La redazione della sottosezione 'Oristano' è di Corrado Zoppi. La redazione della sezione 'Analisi comparativa delle strategie della tutela dell’ambiente nei PS e nelle VAS di alcuni PUC' e della sottosezione 'Capoterra' è di Federica Isola.

Federica Isola, Corrado Zoppi

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L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali

Come questi quadri strategici si interfaccino e si integrino nella pianificazione urbanistica è una questione aperta e tuttora fonte di dibattito, sia teorico che tecnico. La VAS rappresenta un processo di progressiva ed inclusiva integrazione, in termini, quindi, endoprocessuali, delle tematiche e degli obiettivi della pianificazione strategica per i suoi aspetti legati alla tutela ambientale ed allo sviluppo sostenibile, nella definizione e nell’attuazione di piani e programmi, quindi un’occasione importante per l’attuazione dei PS. L’orizzonte concettuale della VAS è assunto, in questo paper, per descrivere ed analizzare, in termini critici, il processo di adeguamento dei PUC della Sardegna al Piano paesaggistico regionale (PPR), analizzandone modalità e pratiche di integrazione dei PS comunali con riferimento ad alcuni casi di studio di particolare significatività. I risultati del paper delineano, con riferimento a molteplici casi di studio riguardanti l’adeguamento dei PUC al PPR, il percorso di apprendimento, da parte delle pubbliche amministrazioni coinvolte, e delle comunità locali, della prassi della VAS come processo che si identifica con la formazione del piano, orientandone la definizione alla pianificazione strategica, come espressione importante dell’intenzionalità delle comunità locali. Il paper si articola come segue. Nella seconda sezione si delineano, per alcuni processi di adeguamento dei PUC al PPR che si identificano come particolarmente significativi, i sistemi di obiettivi che definiscono la strategia della tutela dell’ambiente, attraverso l’analisi dei rapporti ambientali (RA) delle VAS. Si considerano, in questa sezione, i RA dei PUC e le strategie ambientali dei PS di tre Comuni che si caratterizzano, rispettivamente, per un elevato o medio grado di coerenza con la strategia della tutela ambientale definita nei PS comunali, oppure per una significativa incoerenza. La sezione conclusiva sviluppa un’analisi comparativa e critica del rapporto tra strategia della tutela sviluppata nei PS e nei corrispondenti PUC, allo scopo di definire possibili percorsi teorici e tecnico-applicativi per la definizione di un approccio strategico efficace alla pianificazione urbanistica comunale.

Analisi comparativa delle strategie della tutela dell’ambiente nei PS e nelle VAS di alcuni PUC In questa sezione si sviluppa un’analisi comparativa, con riferimento a tre Comuni della Sardegna, della strategia ambientale dei relativi PS e di quella che caratterizza i RA delle VAS. Nel primo caso, riguardante il Comune di Oristano, le due strategie sono sostanzialmente coerenti. Nel secondo caso, Alghero, queste si configurano come diverse, ma con punti di significativa omogeneità. Nel terzo caso, le strategie ambientali di PS e RA del PUC di Capoterra sono decisamente diverse. Va sottolineato che la VAS si configura come processo che si identifica con la formazione del piano, nel senso che ne orienta le azioni e le trasformazioni previste, alla tutela dell’ambiente ed allo sviluppo sostenibile, recependo e cercando di mettere in atto la lettera e lo spirito della Direttiva 2001/42/CE: «La presente direttiva ha l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che, ai sensi della presente direttiva, venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente» (art. 1). Il processo, attualmente avviato in Sardegna, di attuazione del D. Lgs. n. 152/2006 e s.m.i. che recepisce la Direttiva 2001/42/CE nella legislazione italiana, pone una grande attenzione, nel disegno della valutazione, alla definizione inclusiva ed incrementale degli obiettivi delle politiche che devono essere valutate, ed alla partecipazione reale di tutti gli attori-chiave al processo, che riguarda sia la valutazione ex ante che quella in itinere. Un momento molto importante della prassi connessa a questo processo è rappresentato dalle applicazioni della VAS che sono in atto per quanto riguarda l’adeguamento dei PUC al PPR 1. Ancorché, infatti, l’adeguamento dei PUC comporti un periodo di tempo decisamente più lungo rispetto a quello previsto nelle norme di attuazione del PPR, questo processo si caratterizza, vieppiù, in termini maieutici, come un autentico percorso di maturazione, per i Comuni ('Autorità procedenti' per il PUC secondo il D. Lgs. 152/2006), le Province ('Autorità competenti' per il PUC secondo il combinato disposto del D. Lgs. 152/2006 e della Legge Regionale n. 9/2006), e la Regione, che entra nel processo di VAS come soggetto avente competenza in materia ambientale, soprattutto in relazione alle competenze attribuite alle Regioni in materia di tutela del paesaggio dal D. Lgs. n. 42/2004. La Regione si pronuncia sulle istanze di autorizzazione paesaggistica una volta acquisito il parere vincolante del Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici, storici artistici ed etnoantropologici (art. 146). Questo percorso si individua nel fondamentale momento della produzione del RA. Il punto di riferimento principale, in termini normativi, è costituito dalla Delibera della Giunta Regionale n. 44/51 del 14 Dicembre 1

Le Norme tecniche di attuazione del PPR (art. 107) prevedono che i Comuni adeguino i PUC al PPR entro un anno dalla sua approvazione, già avvenuta da oltre cinque anni e mezzo. L’adeguamento comporta il pieno recepimento dei contenuti descrittivi, prescrittivi e propositivi relativi agli assetti ambientale, storico-culturale ed insediativo, e di quanto indicato nelle schede tecniche redatte per ogni ambito di paesaggio, per ora con riferimento ai soli ambiti di paesaggio costieri.

Federica Isola, Corrado Zoppi

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L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali

2010, cui sono allegate le 'Linee Guida per la Valutazione Ambientale Strategica dei Piani Urbanistici Comunali' (da qui in avanti indicate come 'LG'). Le LG non solo indicano, formalmente, le tappe della VAS come processo inclusivo ed incrementale di produzione del piano, ma, soprattutto, ne definiscono i contenuti, offrendo, quindi, un supporto fondamentale a Province, Comuni, pianificatori e valutatori. In altre parole, le LG scandiscono il processo di apprendimento collettivo, o di comunità, in cui il PUC nasce e si sviluppa all’interno del processo valutativo.

Oristano Nel caso del PS e del RA del PUC di Oristano, si può evidenziare come l’amministrazione comunale di Oristano abbia condotto i due processi, di pianificazione strategica e di valutazione-pianificazione territoriale, in maniera coerente, consequenziale e, per questa ragione, virtuosa (Comune di Oristano, 2007; 2009). Il PS e la VAS hanno proceduto insieme, in quanto la VAS, conclusasi alla fine del 2009, è partita quando era in corso lo studio del PS. Riferimenti diretti al PS si riscontrano nel RA (Comune di Oristano, 2009: 103; 156; 167; 169), ma, soprattutto, il RA recepisce ed integra all’interno del PUC gli obiettivi che definiscono la strategia ambientale del PS. La strategia ambientale del PS è definita nell’ 'Asse strategico 1: acque, cultura e turismo per migliorare l’attrattività', il cui quadro logico si articola nelle seguenti politiche (Comune di Oristano, 2007: 62 e ss.): • riqualificazione delle lagune e del sistema terra\mare come giardino territoriale (Politica 1); • sviluppo di un’offerta turistica diversificata (Politica 2); • qualità urbana e cultura del territorio (Politica 3). La strategia ambientale che il RA integra nel PUC si basa sulle tematiche prioritarie seguenti (Comune di Oristano, 2009: 231 e ss.): • energia, • qualità della vita; • Oristano meta di turismo di eccellenza. La Politica 1 del PS è assunta, nel RA, all’interno della tematica 'Qualità della vita', in cui si tiene ben presente e si indirizza la questione delle terre umide (Comune di Oristano, 2009: 239-240). Le sei azioni indicate nel PS per indirizzare la Politica 3 (Comune di Oristano, 2007: 70-71) sono assolutamente in linea con i punti della tematica prioritaria 'Qualità della vita' del RA, che li assumono e ne ampliano la portata, in quanto, essendo la VAS specificamente riferita al PUC, accentua, nella pianificazione del territorio della città, gli aspetti concernenti l’organizzazione dello spazio urbano. Ad esempio, il PS propone un’Azione 6 come 'Rafforzamento urbano (anche con incentivi per giovani) e delle borgate e accessi verdi alle aree urbane e centri commerciali naturali', nell’idea che il Comune debba cercare finanziamenti per l’attuazione di quest’azione (Comune di Oristano, 2007: 71), mentre il PUC propone una normativa sulle destinazioni d’uso delle zone urbanistiche del territorio urbano e delle frazioni che renda quanto più possibile agevole questo rafforzamento, anche con riferimento allo sviluppo di centri commerciali naturali (Comune di Oristano, 2009: 233-235). Sulla questione turistica vi è una pressoché totale identità di vedute tra strategie ambientali del PS e del PUC, mentre, a prima vista, potrebbe sembrare che la questione energetica, centrale per il RA della VAS del PUC (Comune di Oristano, 2009: 231-232), non sia adeguatamente indirizzata nel PS. Si tratta, tuttavia, di un’impressione errata, in quanto la questione energetica è assunta come problematica trasversale, da considerare come una delle condizioni necessarie per l’attuazione del PS. Le politiche per il risparmio e l’efficientamento energetico, e l’aumento dell’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, sono, infatti, richiamate, in termini di coerenza del PS con gli strumenti della programmazione internazionale, nazionale e regionale/provinciale, oltre che in una delle politiche, la Politica 8, dell’ 'Asse strategico 3: reti, nodi e sistemi territoriali' del PS, come segue: • nei momenti partecipativi per la definizione del quadro logico degli obiettivi del PS (Comune di Oristano, 2007: 29; 32): analisi di percezione degli attori, che evidenzia una forte attenzione per l’incoraggiamento all’utilizzo di fonti rinnovabili e promozione di misure di efficienza energetica); • nei risultati, su cui basare ulteriori sviluppi attuativi, dei programmi di 'Agenda 21 Locale' dei Comuni di Oristano ('Isola 21') e Cabras ('Pontis') (Comune di Oristano, 2007: 37); • nei programmi dell’Agenzia Provinciale dell’Energia, finanziata nel bando Europeo Save Project 2005, in partenariato con le agenzie di Barreiro (Portogallo), Vaslui (Romania) e Malta (Comune di Oristano, 2007: 38); • con riferimento al Piano energetico ambientale regionale del 2006, in fase di avanzato aggiornamento da parte di un gruppo di lavoro dell’Assessorato dell’Industria della Regione Sardegna, che prevede il rafforzamento delle infrastrutture energetiche, la realizzazione di un sistema energetico funzionale all’apparato produttivo locale, la tutela ambientale, la realizzazione di strutture di reti per l’energia, la diversificazione delle fonti energetiche; • nelle condizioni della fattibilità dell’Azione 15 e della Politica 8, che richiama una Linea d’azione del PORFESR Sardegna 2007-2013: 'Riqualificazione infrastrutturale a fini produttivi e ambientali delle aree Federica Isola, Corrado Zoppi

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produttive, attraverso la realizzazione di impianti, sistemi e infrastrutture puntuali e a rete funzionali all’uso efficiente dell’energia, compresa la cogenerazione ed il teleriscaldamento nonché l’uso efficiente delle risorse' (Comune di Oristano, 2007: 87). Quindi, la strategia ambientale del RA della VAS del PUC di Oristano si può considerare, secondo l’interpretazione qui proposta, una dimensione significativa e coerente del disegno programmatico del PS.

Alghero La strategia ambientale che si evidenzia nel PS di Alghero (Comune di Alghero, 2007) fa riferimento alla Linea Strategica n. 1 'Alghero Città ambientale: promuovere la qualità urbana e territoriale', e si articola attraverso due obiettivi operativi. Il primo, 'Progettare l’integrazione territoriale tra Alghero e il suo territorio, tra Alghero e l’area vasta, tra Alghero e i panorami internazionali', propone una visione dell’organizzazione del futuro del territorio algherese fondata sull’attribuzione di funzioni legate ad una possibile identificazione di ambiti territoriali di cui il PS riconosce la specificità per l’attuazione di uno sviluppo locale equilibrato ed efficace. Questa individuazione di ambiti territoriali in termini funzionali viene specificata tramite l’indirizzamento, in termini di azioni di piano, del secondo obiettivo che definisce la strategia ambientale: 'Riqualificare e salvaguardare la città e il territorio'. L’attuazione di questo obiettivo si basa su un sistema di azioni progettuali quali: gli interventi di risparmio ed efficientamento energetico riferiti alla riqualificazione degli edifici esistenti, in particolare di quelli del Centro Storico; il miglioramento della qualità del verde pubblico, anche in rapporto alla fruibilità da parte della comunità locale; il recupero ambientale delle aree dei litorali e dell’infrastruttura portuale; la riqualificazione funzionale delle borgate, quali Fertilia, Mamuntanas e Surigheddu, nell’ottica dello sviluppo rurale integrato; la messa in atto di operazioni di potenziamento della disponibilità di risorse ambientali intese non solo come sistema di spazi fisici del territorio comunale, ma, anche, e soprattutto, come figure 'socioterritoriali' (Comune di Alghero, 2007: 7), quali, ad esempio, l’Ente Parco nel caso del Parco naturale regionale di Porto Conte, oppure la Direzione dell’Area marina protetta nel caso di Capo Caccia-Isola Piana, nell’idea regolativa che la protezione dell’ambiente si attui necessariamente attraverso un progetto di governance. La strategia che si definisce nel RA del PUC di Alghero prevede:«di moderare il consumo spropositato del suolo e adotta una visione d’insieme in una prospettiva di medio e lungo termine che investe fortemente sullo sviluppo sostenibile e sulla valorizzazione delle preziose risorse ambientali e storico-culturali del territorio, per questo motivo il piano non si limita ad individuare nuove zone di espansione e di trasformazione, o nuovi parametri urbanistici, ma introduce una visione sistemica e complessiva delle risorse del territorio, cercando di suggerire tutte le possibili sinergie che possono scaturire da un uso equilibrato e sostenibile delle diverse componenti ambientali, produttive, residenziali, infrastrutturali e di servizio. Il concetto di città territoriale, valido in tutte le aree a forte caratterizzazione ambientale, a maggior ragione si esalta in Alghero, data la sua peculiarità di città che accomuna la funzione residenziale a quella turistica con una stretta correlazione tra fattori naturali e antropici» (Comune di Alghero, 2010: 4). Questa strategia è stata definita con riferimento alla contestualizzazione dei criteri di sostenibilità proposti dalla Commissione Europea (EC, 1998), attraverso i quali si pongono in evidenza le peculiarità del territorio in termini di obiettivi di sviluppo. Gli obiettivi di riferimento sono: il riconoscimento e la valorizzazione del contesto ambientale, inteso come sistema dei paesaggi, delle risorse naturali, dei parchi urbani e delle aree protette; il potenziamento degli elementi di sostenibilità del PUC. Il secondo obiettivo è inserito tra quelli del PUC a seguito del riconoscimento nella strategia definita nel RA, per tenere conto, in maniera sistemica, della contestualizzazioni dei criteri di sostenibilità proposti dalla Commissione Europea (EC, 1998). Si può, dunque, concludere, a proposito del caso algherese, che le linee di indirizzo della strategia ambientale del PS, ancorché non siano recepite nella strategia ambientale del RA come fondanti, costituiscono un riferimento concettuale regolativo di quest’ultima, che assume come base la contestualizzazione dei criteri di sostenibilità della Commissione Europea. Questa parziale coerenza strategica tra PS e RA si evidenzia anche per il fatto che nel RA si sottolinea che il PUC, nella sua attuazione, dovrà recepire la strategia ambientale del PS (Comune di Alghero, 2010: 31).

Capoterra Il processo di pianificazione strategica avviato dal Comune di Capoterra ha previsto una strategia ambientale che si inquadra nelle tematiche legate alla questione dell’'abitare' che, con la 'coesione sociale', il 'tessuto produttivo' e la 'capacità istituzionale', rappresenta una delle quattro questioni strategiche definite dal PS. Gli obiettivi di tutela proposti dal PS riguardano interventi di salvaguardia e valorizzazione delle risorse ambientali, formulati in funzione delle criticità rilevate durante il processo di ascolto delle comunità locali, nel quale si è manifestato il disagio relativo alle problematiche presenti sul territorio. Le minacce rilevate sono riconducibili alla presenza di numerosi impianti industriali ed alle numerose aree a rischio idrogeologico, comprese quelle soggette all’erosione delle spiagge. Dal punto di vista operativo, il PUC ha previsto il Federica Isola, Corrado Zoppi

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raggiungimento di tali obiettivi attraverso la selezione di una serie di progetti strategici, per mezzo dei quali perseguire una strategia di rinnovo ambientale. I progetti riguardano la 'riqualificazione integrata del sistema ambientale e produttivo della zona umida', intesa come processo di riqualificazione a fini turistici del sistema ambientale della zona umida dello Stagno di Capoterra - Saline Contivecchi, unita all’integrazione con le attività produttive esistenti legate al comparto della pesca e della lavorazione del sale (Comune di Capoterra, 2007: 61) e la 'riqualificazione ambientale e valorizzazione del sistema costiero quale centro ambientale di rigenerazione urbana dei quartieri litoranei', attraverso il riequilibrio delle dinamiche di relazione ecosistemica tra insediamento urbano e sistema ambientale e l’organizzazione delle modalità di accesso e fruizione delle risorse ambientali costiere (Comune di Capoterra, 2007: 110). La strategia ambientale prevista dal RA di Capoterra si fonda sulla definizione di obiettivi di sostenibilità ambientale basati su indicazioni stabilite da documenti e programmi internazionali quali 'Agenda 21 Locale' 2, la 'Nuova strategia dell’Unione Europea in materia di sviluppo sostenibile' 3, la 'Strategia Europa 2020' 4, e gli 'Aalborg Commitments' 5(Comune di Capoterra, 2012: 215). Questi obiettivi sono formulati in riferimento a ciascuna componente esaminata nell’analisi ambientale e rispetto alle previsioni originarie stabilite a livello generale (Comune di Capoterra, 2012: 215) quali il tentativo di limitare l’impermeabilizzazione del suolo in funzione delle problematiche che Capoterra ha dovuto affrontare negli ultimi anni, e la riduzione delle aree a rischio idrogeologico e la protezione delle aree a rischio di erosione e desertificazione. Gli indirizzi del PS non sono stati recepiti nel RA di Capoterra e, nonostante successivamente all’incontro di scoping fossero pervenute osservazioni in cui si richiedeva che le scelte di pianificazione urbanistica tenessero conto degli indirizzi contenuti nel PS, il PS non è stato comunque considerato utile ai fini della coerenza esterna del PUC (Comune di Capoterra, 2012: 21). È, quindi, evidente come la strategia ambientale proposta dal RA non sia riconducibile a quella prevista dal PS, nonostante alcune delle scelte siano relative alle medesime tematiche.

Conclusioni Un problema centrale e significativo della programmazione definita dai PS è che, spesso, le azioni individuate non sono recepite in maniera sistematica nelle linee di intervento dei piani territoriali delle pubbliche amministrazioni coinvolte, in particolare in quelle dei PUC. I PS, la cui definizione si basa su copiose erogazioni finanziarie statali e regionali, hanno costituito un serbatoio di analisi territoriali, economiche e sociali di grande valore, come, anche, quadri logici operativi per attuare importanti politiche orientate allo sviluppo locale. Questo patrimonio analitico e propositivo, allo stato attuale, è privo di sbocchi operativi immediati e, quindi, rischia di andare perduto. Quanto discusso in questo paper propone una strada, ovviamente non esaustiva, per metter in valore una parte cospicua di questo patrimonio, quale quella della strategia ambientale, che è presente in tutti i PS dei Comuni sardi. Si è posto in evidenza, tuttavia, come la strategia ambientale dei PS non sia sempre, ed adeguatamente, recepita nei PUC. Il contributo fondamentale della riflessione qui sviluppata si può riconoscere soprattutto nell’aver delineato come, in maniera efficace, la VAS, tramite i RA dei PUC, possa, e probabilmente debba, recuperare il quadro logico della strategia ambientale dei PS. Va, infatti, richiamato come la VAS, secondo il dettato dell’art. 1 citato nella seconda sezione, debba validare o, più frequentemente, strutturare la strategia ambientale dei PUC, strategia ambientale che le comunità locali, attraverso processi largamente condivisi e partecipati, hanno definito nel corso dell’elaborazione dei PS. Va, inoltre, sottolineato come, da un lato, la VAS, secondo la Direttiva 2001/42/CE ed il D. Lgs. 152/2006, debba essere fondata su processi partecipativi efficaci in cui l’apporto delle società locali sia riconoscibile e significativo, e, dall’altro, come i PS si configurino come processi in cui le analisi territoriali, economiche e sociali, e le conseguenti scelte di programmazione, siano fortemente legate agli esiti di un processo decisionale condiviso.

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Documenti disponibili su Internet all’indirizzo http://www.a21italy.it/IT/index.xhtml [ultimo accesso: Aprile 2013]. Documento disponibile su Internet all’indirizzo http:// register.consilium.europa.eu/ pdf/ it/06/ st10/ st10117.it06.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. 4 Documenti disponibili su Internet all’indirizzo http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm [ultimo accesso: Aprile 2013]. 5 Documenti disponibili su Internet all’indirizzo http://www.aalborgplus10.dk/default.aspx [ultimo accesso: Aprile 2013]. 3

Federica Isola, Corrado Zoppi

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L’attuazione della pianificazione strategica attraverso la Valutazione ambientale strategica di piani urbanistici comunali

Bibliografia Comune di Alghero (2010), Valutazione ambientale strategica del Piano urbanistico comunale: Rapporto ambientale, documento presentato pubblicamente dal Comune di Alghero durante l’incontro di presentazione del PUC e della VAS di Alghero in adeguamento al Piano paesaggistico regionale, tenutosi presso il Comune di Alghero il 15 luglio 2010, disponibile su Internet all’indirizzo: http: //88.58.112.249/ portale_puc/puc/ elaborati-del-piano/C%20-%20valutazione-ambientale-strategica-v.a.s./rapporto-ambientale [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Alghero (2007), Alghero 2020 la città amabile un isola della qualità, un arcipelago delle relazioni, una terra delle innovazioni – Piano strategico, disponibile su Internet all’indirizzo http: //www.sardegnaterritorio.it/documenti/ 6_288_ 20100525113214.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Capoterra (2012), Valutazione ambientale strategica del Piano urbanistico comunale: Rapporto ambientale, disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.comune.capoterra.ca.it/files/ files/Urbanistica/puc/ ambientale/geologo/rapporto%20ambientale.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Capoterra (2007), Piano strategico: Allegato A - I progetti e le azioni del Piano, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.comune.capoterra.ca.it/files/files/pianostrategico/2AllegatoA_Progetti-eAzioni-del-Piano.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Oristano (2009), Valutazione ambientale strategica: Rapporto ambientale, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.comune.oristano.it/PUC/E12-VAS/E12_Rapporto_Ambientale.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Oristano (2007), Il Piano Strategico del Comune di Oristano e dell’area vasta, disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.comune.oristano.it/ oristano/opencms/www/ Destra/Comunicazioni/ UfficioStampa/Destra/Argomenti/2008/Marzo/Il_Piano_strategico_di_Oristano_e_dellxarea_vasta.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. EC - European Commission (1998), A Handbook on Environmental Assessment of Regional Development Plans and EU Structural Funds programmes. DGXI, Environment, Nuclear Safety and Civil Protection. London: Environmental Resources Management, disponibile su Internet all’indirizzo http://ec.europa.eu/environment/eia/sea-guidelines/handbook-full-text-part1.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013].

Federica Isola, Corrado Zoppi

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Perequazione urbanistica e crisi. Quali alternative per la tutela degli spazi aperti periurbani ?

Perequazione urbanistica e crisi. Quali alternative per la tutela degli spazi aperti periurbani? Annalisa Lodigiani Politecnico di Milano DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: annalisa.lodigiani@gmail.com Tel: 373-8063445

Abstract Tra gli strumenti che danno operatività alle scelte di piano, la perequazione urbanistica ha assunto nell’ultimo ventennio una centralità quasi indiscutibile sia per la realizzazione dei servizi “minuti”, sia per dare attuazione alle politiche ambientali. Tuttavia, si trova oggi ad operare in un quadro macroeconomico profondamente diverso da quello espansivo che ha contraddistinto le prime sperimentazioni. Sostenendo che nel nuovo contesto il modello perequativo possa difficilmente rispondere alle esigenze dell’amministrazioni locali, si propone di aprire una riflessione sull’opportunità di perseguire la tutela degli spazi periurbani attraverso il ricorso sistematico al solo strumento della perequazione, aprendo piuttosto a modelli basati sugli accordi con proprietari, più che sulle acquisizioni, e sulla seria tutela sovracomunale delle aree agricole. Parole chiave Perequazione, crisi immobiliare, aree periurbane.

1 | Perequazione, politiche ambientali e mercato urbano Nella sfida ambientale che l’urbanistica è chiamata ad affrontare, la difesa dello spazio rurale periurbano costituisce un tema prioritario dell’agenda comunale e sovralocale. Dalla ridefinizione dei margini urbani, alla tutela delle attività agricole dalla pressione insediativa, i piani urbanistici si sono affidati con frequenza crescente, a partire dalle prime esperienze degli anni ’90, allo strumento della perequazione urbanistica, per realizzare con efficacia, e nel rispetto del principio di equità ed economicità, le politiche ambientali. Ritenendo che la proprietà pubblica dei suoli periurbani fosse la miglior garanzia per la loro tutela, i piani hanno attribuito alle aree da preservare, in cambio della cessione al Comune, diritti edificatori trasferibili in aree di densificazione, sperimentando anche diversi modelli di perequazione. In particolare, i modelli di ‘perequazione a distanza’ o ‘ad arcipelago’ – che vedono nella realizzazione della Cintura Verde di Ravenna il più celebre ed efficace caso di sperimentazione – costituiscono una trasposizione di una tecnica impiegata nel contesto statunitense, il Transfer of Development Rights. In una nazione in cui la proprietà privata è tutelata con assoluta fermezza (Jacobs, 1999), i programmi di TDR hanno costituito, a partire dalla metà degli anni ’70, un approccio orientato al mercato, non volto all’acquisizione di aree per servizi, quanto piuttosto alla tutela ambientale e storico-architettonica 1. Tuttavia, a dispetto delle aspettative e degli entusiasmi che ne avevano accompagnato l’introduzione, e a fronte di una tutela di soli 350.000 acri di territorio statunitense (ovvero una superficie equivalente a circa tre volte il Parco Sud Milano) in 40 anni di ‘sperimentazione’ (Pruetz & Standridge, 2008), è stato riconosciuto come l’implementazione dei TDR sia stata accompagnata da una serie di problemi di ordine concettuale e funzionale che ne hanno significativamente limitato gli esiti; in primo luogo, la dipendenza dall’esistenza di un vivace mercato immobiliare (Jacobs, 1999; Curti, 2006). 1

Inoltre, diversamente dal modello perequativo italiano, negli Stati Uniti la proprietà dei suoli, depurati mediante TDR dalla diritti di sviluppo edilizio, resta privata (Stanghellini, 2008) e viene sottoposta a permanent easement.

Annalisa Lodigiani

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Perequazione urbanistica e crisi. Quali alternative per la tutela degli spazi aperti periurbani ?

Per tale ragione, appare legittimo chiedersi se la perequazione possa continuare ad essere il principale strumento deputato alla tutela dello spazio aperto periurbano, dal momento che il quadro macroeconomico odierno è radicalmente mutato rispetto a quello che ha contraddistinto le prime sperimentazioni (Micelli, 2012). Infatti, al di là delle difficoltà ‘ordinarie’, si tratta di capire se la perequazione, in quanto strumento centrato «sulla ripartizione del valore che si definisce a partire da decisioni amministrative relative all’uso dei suoli», possa adattarsi ad operare in un contesto di crisi strutturale più che congiunturale (Micelli, 2012). Se nel quadro dell’urbanistica ‘consensuale’ o ‘contrattata’ degli ultimi quindici anni, la città pubblica è stata realizzata, seppur con risultati quantitativamente e qualitativamente non soddisfacenti, mediante il plusvalore generato dalla realizzazione della città privata, l’assottigliamento delle convenienze private e l’incertezza sul valore dei diritti edificatori, fanno propendere per uno scenario di stallo nell’implementazione delle politiche ambientali affidate a tale strumento, e spingono a riflettere, tanto sull’esigenza di individuare dei correttivi, quanto e soprattutto sulla necessità di trovare vie alternative.

2 | Non sempre funziona come a Ravenna. Le difficoltà della perequazione ai tempi della crisi Tale riflessione è stata sollecitata dall’analisi di alcuni casi studio che affrontano (o affrontavano) il problema della riconfigurazione delle frange urbane ricorrendo allo strumento della perequazione urbanistica. Si tratta, in particolare, delle esperienze di due comuni emiliano-romagnoli, Cesena e Parma, che ormai da diversi anni utilizzano tale strumento, ai quali si aggiunge un riferimento al meccanismo inizialmente proposto nel capoluogo lombardo, considerato una delle forme più ‘avanzate’ di perequazione (Mattia et al., 2011; Micelli, 2012). Tali esperienze sono state selezionate anche in ragione del diverso modello perequativo adottato per la realizzazione della politica ambientale: a Cesena, prevalentemente una classica ‘perequazione endoambito’; a Parma, un complesso ‘modello ad arcipelago’ in cui la matrice degli scambi viene costruita dall’amministrazione attraverso bandi; a Milano, un modello di ‘perequazione estesa’ al tessuto urbano consolidato (receiving areas) e alle aree per servizi e territori di Parco (sending areas), affidato ad un libero mercato dei diritti edificatori. Se la riflessione sull’esperienza milanese riguarda esclusivamente le premesse e la predisposizione delle strumento nel piano, quella su Parma e Cesena è stata formulata a fronte della verifica degli effetti dell’impiego degli strumenti in questi primi anni di sperimentazione.

2.1 | La Cintura verde nel PRG di Cesena Nel PRG di Cesena (adottato nel 2000 e approvato definitivamente nel 2005) la prima fase di operatività del piano perequativo ha incontrato diverse difficoltà e oggi si trova in una situazione di stallo, in parte imputabile all’attuale congiuntura del mercato immobiliare e del sistema economico in generale, in parte da altre cause connesse all’architettura del piano urbanistico (Bisulli, 2012). In un piano ‘concepito e redatto in un periodo di crescita economica’ (Bisulli, 2012), la realizzazione dell’housing sociale, dei servizi pubblici e della cintura verde veniva collegata, mediante un perequazione prevalentemente per comparti continui, a trasformazioni insediative volte a soddisfare le esigenze connesse all’incremento demografico e alla domanda di spazi espressa dal tessuto economico locale. Il piano tentava, infatti, di coniugare sviluppo e tutela attraverso tre principali scelte: la riqualificazione delle aree centrali dismesse, il blocco dell’edificabilità nella collina di valore ambientale e un’espansione a bassa densità sui margini per la creazione di una cintura verde. Nonostante una corretta ripartizione del territorio in classi omogenee, un’indagine dei valori immobiliari per la definizione degli indici e una costruzione dei comparti che minimizzasse i costi di transazione 2, nel 2012, dopo oltre dieci anni dall’adozione del piano e dopo i primi sei anni di operatività, le aree con strumento attuativo approvato corrispondevano al 20% della Sul totale, solo il 3% era stato completato e dei 58 ettari di aree pubbliche aggiuntive agli standard previsti nei Pua approvati, le aree già acquisite dall’amministrazione erano meno di 2 ettari (circa 2,5 campi da calcio). Gli esiti assai contenuti di questa esperienza sono stati ricondotti a diversi fattori (Bisulli, 2012): • la difficoltà da parte degli operatori e dei proprietari a capire il nuovo meccanismo perequativo che ha fatto si che non vi fosse una rapida accettazione dell’adeguamento della rendita ai nuovi indici e alle nuove modalità di cessione delle aree pubbliche in quantità superiore rispetto agli standard 3; 2

Ogni comparto rappresentava un’unità sotto il profilo progettuale, conteneva un numero quanto più limitato possibile di proprietari (generalmente due o tre) e comprendeva aree appartenenti alla stessa classe (per stato di fatto e di diritto), continue o discontinue, ma molto prossime. Inoltre, l’amministrazione svolgeva una funzione di raccordo e informazione fra i proprietari. 3 Gli indici attribuiti alle classi di suoli sono state molto contenute nel concedere capacità edificatoria, in particolare laddove si trattava di proprietà ricadenti in ambiti caratterizzati da elevata rilevanza ambientale: 0,04 mq/mq, rispetto ad altre Annalisa Lodigiani

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• l’aumento negli anni dell’incidenza dei costi delle aree, dei costi legati alla ricomposizione fondiaria e dei costi delle opere di urbanizzazione (primaria e secondaria) previsti dal piano, cha hanno condizionato fortemente lo sviluppo del piano già nel periodo antecedente alla crisi del mercato immobiliare; • il soddisfacimento dei bisogni dei tessuti produttivi medianti interventi puntuali, legati alla possibilità di espandere gli edifici; • il sovradimensionamento del piano, in parte legato anche all’offerta residua; • la crisi economica, che ha frenato lo sviluppo della città privata, e quindi anche dello sviluppo della città pubblica 4.

2.2 | Il Parco Fluviale e la Cintura verde nel PSC di Parma Se la scelta della città di Cesena era ‘sostanzialmente conservativa’ nella forma di perequazione adottata (Micelli, 2012), il caso del PSC 2007 di Parma ha visto, invece, l’introduzione di un modello assai più complesso di ‘perequazione tra comparti discontinui’ destinata a risolvere uno specifico problema, ovvero l’acquisizione delle aree interessate alla realizzazione del parco territoriale dei torrenti Parma e Baganza, che attraversano la città da nord a sud, e di un ampia Cintura Verde per un totale di 1.300 ettari: un disegno rimasto per oltre dieci anni un ‘futuro urbano’ difficile o quasi impossibile da attuare. Sulle aree del Parco, il piano precedente aveva apposto, infatti, vincoli preordinati all’esproprio che sarebbero decaduti nel 2007. Attraverso l’attribuzione a tutte quelle aree di un indice di edificabilità basso e omogeneo, veniva rimosso il problema della reiterazione e degli indennizzi, e allo stesso tempo si garantiva l’inedificabilità di quelle aree mediante il trasferimento dei diritti edificatori generati nei Sub-ambiti di trasformazione. Secondo un principio di ‘scambio leale’ (Curti, 2006), tale metodo creava un saldo legame tra formazione di nuovo valore immobiliare a concrete contropartite per la collettività, riducendo anche lo scarto temporale esistente tra ideazione e realizzazione del grande progetto paesistico-ambientale. Tuttavia, diversamente dal altri piani perequativi, il Piano Strutturale rinviava al Piano Operativo la definizione della matrice dello scambio perequativo sulla base di bandi di evidenza pubblica 5, attraverso i quali sondare la disponibilità delle proprietà. Inoltre, per assolvere i compiti di gestione finanziaria dell’istituto della perequazione, il Psc di Parma prevedeva l’istituzione di una Tesoreria perequativa, con il compito di incassare e accantonare le indennità perequative gradualmente versate dai progetti convenzionati nei Sub-Ambiti di trasformazione. Solo dopo il collaudo delle opere di urbanizzazione il Comune avrebbe terminato di incassare le indennità, potendo poi procedere all’acquisto dei crediti edilizi delle sending areas collegate. Un’architettura complessa, dunque, con una forte presenza dell’Amministrazione nella gestione del meccanismo, pernulla affidato al libero mercato, soprattutto in ragione della necessità di selezionare delle aree cedenti localizzate in continuità con il demanio pubblico esistente, oppure in abiti particolarmente sottodotati, evitando specialmente configurazioni a ‘macchia di leopardo’. Ogni modo, l’esperienza si è dimostrata complessa e fallimentare per il concomitante verificarsi di due condizioni sfavorevoli, la crisi economica e il commissariamento, tanto che, ad oggi, solo 3 Sub-ambiti sono stati convenzionati e nessun area del parco urbano è ancora stata acquisita dall’Amministrazione. La congiuntura economica ha, infatti, spinto a dilazionare ulteriormente le corresponsioni delle indennità perequative, mentre il mercato urbano risultava già saturo anche per l’effetto delle previsioni pregresse, peraltro non legate alla costruzione del sistema di tutele dello spazio fluviale e periurbano.

2.3 | Il Parco Sud nel PGT di Milano E’ una storia travagliata e notevolmente discussa quella della perequazione nel Piano di Governo del Territorio di Milano, che, opportunamente, non è giunta alla prova dei fatti, almeno nella sua impostazione iniziale. Sfruttando appieno le possibilità offerte dalla nuova legge regionale lombarda, il PGT prevedeva sia il sistema tradizionale di ‘perequazione per comparti’ negli Ambiti di trasformazione urbana (Documento di Piano), sia un modello di perequazione estesa al tessuto urbano consolidato (Piano delle Regole), non limitato a specifici ambiti soggetti a pianificazione attuativa. Questo secondo modello ‘generalizzato, indiretto o diffuso’ (Mattia et al., 2011), ‘esteso’ (Boscolo, 2008) o ‘sconfinato’ (De Carli, 2012), etc., ha scatenato un accesso dibattito, tanto nel mondo accademico quanto nella società locale, in relazione ai seguenti aspetti critici: esperienze compiute in Emilia-Romagna (es. Ravenna) dove la proprietà ha accettato indici intorno allo 0,1 mq/mq” (Micelli, 2009). 4 Le convenzioni sottoscritte prevedono infatti che le aree pubbliche siano cedute una volta terminate tutte le opere pubbliche e private. 5 A Parma sono stati deliberati due Bandi: uno nell’aprile 2007 da cui è nato il POC 2008, e uno nel settembre 2008 (legato alle sole aree ERP e produttive). Annalisa Lodigiani

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• l’iniquità del meccanismo, a causa della possibilità di trasferire diritti edificatori senza tener conto delle diverse caratteristiche di fatto e di diritto dei suoli urbani, ovvero con la possibilità di spostare diritti dalle aree periferiche a quelle centrali e viceversa, senza alcun coefficiente di correzione; • un indice di utilizzazione territoriale, riconosciuto sia alle sending che alle receiving areas, ritenuto eccessivamente favorevole alla proprietà fondiaria (0,5 mq/mq); • l’acquisizione dei terreni del Parco sud compresi nei Piani di Cintura (circa 4.200 ettari), mediante il riconoscimento di una potenzialità edificatoria di 0,20 mq/mq che avrebbe generato una insostenibile volumetria da trasferire nel tessuto urbano consolidato; • l’assenza di un indice massimo di utilizzazione territoriale, come pure di attenzione e governo degli effetti in termini di carichi insediativi (fabbisogno di servizi e di infrastrutture) e qualità morfologica negli ambiti di atterraggio dei diritti edificatori. D'altronde era intenzione dichiarata dal piano, quella di creare ‘una città per 2 milioni di abitanti’ al 2030, nonché di acquisire un vasto patrimonio di aree periurbane per trasformarlo in un bene comune senza ricorrere all’esproprio. Solo riconoscendo cospicue quantità di diritti edificatori nelle aree di Parco ed estendendo le possibilità di atterraggio a tutto il TUC, si sarebbe creata una condizione di competizione e convenienza nel mercato degli scambi, che avrebbe consentito di conseguire rapidamente ed efficacemente la densificazione delle aree centrali e l’alleggerimento delle aree di frangia urbana (Micelli, 2012). Anche grazie ad una congiuntura economico-finanziara che a ridimensionato le pressioni del mercato urbano, la nuova Giunta alla guida del capoluogo lombardo è riuscita, con la ri-approvazione del PGT, ad introdurre diversi correttivi al piano e, in particolare, ad escludere gli abiti del Parco Sud dalla perequazione. Tuttavia, non vi sono nuove certezze sul futuro di queste aree, il cui destino è legato alle decisioni che Provincia ed enti locali dovranno prendere congiuntamente in sede di Accordo di Programma.

3 | Uno strumento utile, ma non esclusivo La considerazione dei casi studio, ed in particolare dei due comuni emiliano-romagnoli, oltre ad evidenziare le difficoltà operative della perequazione dovute ad errori nell’architettura del piano o all’influenza di altre forme di fiscalità urbanistica, sembra confermare quella vulnerabilità al ciclo immobiliare che la letteratura già evidenziava in relazione alle esperienze statunitensi (Curti, 2006; Jacobs, 1999; Bisulli, 2012). I programmi di trasferimento dei diritti edificatori posso funzionare solo in contesti caratterizzati da una forte pressione insediativa, uno sviluppo immobiliare intenso e in presenza di piccole dimensioni delle aree cedenti diritti ed elevata estensione di quelle riceventi; una condizione essenziale per creare una scarsità relativa tale da offrire ai possessori delle aree tutelate maggiori garanzie di una congrua compensazione in tempi certi (Jacobs, 1999). Tuttavia, come mostra specificatamente il caso di Parma, la volontà di tutelare il territorio periurbano acquisendone la proprietà pubblica porta talvolta ad una condizione esattamente opposta, determinando un’eccedenza di offerta che rende difficile la cessione. Infatti, coerentemente con un orientamento comune ad altre città europee e nella consapevolezza di uno sviluppo assai meno sostenuto, le amministrazioni sono sempre più orientate verso il contenimento del consumo di suolo, che talvolta determina l’azzeramento di ulteriori sottrazioni di territorio rurale. Dunque, proprio nel momento in cui lo strumento perequativo ha le più basse possibilità di dispiegare la sua efficacia, poiché il mercato non è in grado di assorbire nuove volumetrie, le amministrazioni gli affidano le priorità della propria agenda: disinnescare le aspettative di trasformazione delle aree agricole di margine e, talvolta, trattare la questione dell’offerta residua. Se per un certo verso si può accettare che per diversi anni la perequazione non funzioni e che l’acquisizione delle aree periurbane sia ragionevolmente collocata in un processo di lungo periodo, non si dovrebbe, d’altro canto evitare di tornare a ragionare su modalità alternative, a fronte di alcuni effetti perversi connessi al suo impiego. La perequazione, infatti: • genera cospicue quantità diritti edificatori non sempre accoglibili nelle aree di ristrutturazione urbanistica, dal momento che il cuore urbano delle città italiane soventemente lamenta un’eccessiva densità edilizia tanto che i proprietari delle aree circostanti sollevano spesso preoccupazioni, temendo di subire impatti negativi (Jacobs, 1999); • può determinare il rischio di distorsioni monopolistiche nel mercato delle nuove abitazioni, qualora alcuni proprietari dei distretti di destinazione facciano incetta di diritti edificatori (Jacobs, 1999); • qualora i proprietari si rivelino indisponibile a costituire i comparti, rende assai più costose le procedure di esproprio delle aree di origine poiché queste verrebbero a godere anche di una riconosciuta edificabilità (Curti, 2006). Infine, affrontare il tema delle aree periurbane mediante la perequazione estesa a grandi ambiti territoriali, secondo quella che può definirsi una ‘visione immobiliare’ (Vigano, 2007), legittima la convinzione che quelle aree continuino a costituire una riserva per ulteriori sviluppi, a testimonianza di quanto la rendita tenga in scacco Annalisa Lodigiani

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la politica urbanistica italiana da più di settant’anni, generando segni indelebili nel paesaggio e nella cultura civile (Pileri, 2012). La perequazione applicata alle aree agricole periurbane rappresenterebbe «una nuova illusoria deregolamentazione […] della centralità che il piano, la pianificazione territoriale deve avere nel riconoscimento dei principi di sostenibilità. Senza cogliere che siamo ad una svolta economica, sociale e culturale in riferimento alle città, al territorio ed al consumo del suolo come risorsa finita» (Vigano, 2007). Come suggerisce Pileri (2012), un importante cambio di passo passerebbe dalla riorganizzazione delle competenze locali sull’uso del suolo 6, prevedendo un soggetto terzo, non coinvolto negli interessi locali, con il potere di veto e con la facoltà di incorporare gli interessi ambientali nelle strategie locali 7. La perequazione rimarrebbe uno strumento utile, da usare con parsimonia, così da «ridurre al minimo le acquisizioni, limitandole alle aree strategiche per il funzionamento del sistema (ad esempio, agli spazi destinati ai fini ricreativi e di integrazione infrastrutturale) intese come “presidi”, mantenendo la proprietà privata della quota maggioritaria, pur consentendo la fruizione pubblica» (Scopetta, 2010). L’orientamento sarebbe verso politiche di incentivazione e convenzionamento con i proprietari privati, in uno scenario di un’agricoltura periurbana che sfrutta gli aspetti positivi della prossimità alla città – con riguardo al tema delle filiere corte e della sicurezza alimentare – auspicando una calibrazione della PAC 2014-2020 maggiormente sensibile a questi territori sotto pressione. In questa prospettiva, le esperienze del ‘Passante Verde’ e del ‘Parco per la città infinita’ , costituiscono due significativi riferimenti poiché, secondo una logica rimediale, aperta e incrementale hanno proposto un immagine di riassetto del territorio – rispettivamente lungo il Passante di Mestre, il primo, e la Pedemontana lombarda, il secondo – mediante un progetto unitario delle opere compensative finalizzato alla valorizzazione ecologico-paesistica-fruitiva degli spazi aperti intercettati dall’opera viabilistica. Recuperano il contatto con il territorio e riconoscendo il contributo che le risorse locali possono dare al miglioramento del progetto, hanno costruito un nuovo sistema lineare di spazi pubblici sul modello della greenway, realizzato mediante espropri, nel suo scheletro essenziale, e concepito per essere implementato per tappe successive, attraverso il coinvolgimento degli enti locali, delle istituzioni e dei proprietari agricoli interessati e reperendo risorse mediante la partecipazione ai bandi dei programmi settoriali di livello europeo, nazionale e regionale 8.

Bibliografia Agnoletto M., Guerzoni M. (a cura di, 2012), La campagna necessaria. Un’agenda d’intervento dopo l’esplosione urbana, Quodlibet, Macerata. Arcidiacono A. (2012), “Il Governo delle trasformazioni urbane”, in Urbanistica Informazioni, n. 242, pp. 67 – 68. Boscolo E. (2008), “Le perequazioni e le compensazioni”, in Associazione Italiana di Diritto Urbanistico, Verona 10-11 ottobre 2008 (http://www.pausania.it/files/perequazioneverona%20boscolo.pdf). Camagni R. (2012), “La nuova perequazione urbanistica “sconfinata”: uno strumento pericoloso e iniquo (se non viene corretto)”, in Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2012. Curti F. (1999), “Fiscalità urbanistica e riforma del piano verso un federalismo operante”, in Curti F. (a cura di), Urbanistica e fiscalità locale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), pp. 13 – 68. Curti F. (1999), “Valutazione urbanistica operativa”, in Lombardi P., Micelli E. (a cura di), Le Misure del Piano, Franco Angeli, Milano, pp. 54 – 77. Curti F. (2004), “Patrimonio civico e qualità urbana”, in Pogliani L. (a cura di), “Il territorio sostenibile: la voce agli economisti” sezione monografica di Urbanistica Informazioni, n. 196, pp. 21-22. Curti F. (2006), “Le Condizioni di sostenibilità del Welfare urbano” in Curti F. (a cura di) Lo scambio leale, Officina Ed., Roma, pp.11 – 44. De Carli M. (a cura di), La libera circolazione dei diritti edificatori nel Comune di Milano e altrove, Franco angeli, Milano. Fusco Girard L. (a cura di, 1998), “La perequazione urbanistica: esperienze e questioni”, in Urbanistica, n. 109, pp. 51 – 54. Galluzzi P. e Vitillo G. (2012), “Pgt Milano, con le controdeduzioni già introdotti i correttivi alla perequazione sconfinata” in Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2012. 6

Si ritiene che ciò debba avvenire con maggior serietà rispetto a quanto sia stato fatto in Lombardia con riferimento ala questione delle aree agricole strategiche, i cui confini sono stati frutto di trattative tra Comuni e Provincie. 7 Con riferimento a tale proposta, Pileri (2012) suggerisce come riferimento la recente esperienza dei Paesi Bassi di ‘depoliticizzazione delle decisioni sull’uso del suolo’. 8 Per una trattazione più approfondita dei due casi, rispetto ai quail non si possono, comunque, nascondere alcune difficoltà si rinvia a: Steffinlogno S. (2007), Passante Verde. Studio per la riqualificazione del territorio attraversato dal Passante Verde, in Urbanistica 133/2007; Steffinlongo S. (2011), Il Passante Verde. Un parco lineare attraverso il territorio veneto, Il Poligrafo, Padova; Longo A., a cura di (2009), Un parco per la città infinita, in Urbanistica n.139/2009. Annalisa Lodigiani

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Perequazione urbanistica e crisi. Quali alternative per la tutela degli spazi aperti periurbani ?

Galluzzi P., Pareglio S., Vitillo P. (2012), “Alcune essenziali e semplici modifiche del Pgt” in Urbanistica Informazioni , n. 242, pp. 63 – 65. Galuzzi P., Vitillo P. (2008), “Il progetto della perequazione compensativa”, in Galluzzi P., Vitillo P. (a cura di), Rigenerare le città, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), pp. 23 – 50. Jacobs Harvey M. (1999), “Regolazioni basate su meccanismi di mercato in un sistema di governo decentrato”, in Curti F. (a cura di), Urbanistica e fiscalità locale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), pp. 135-150. Manfredi F., Ombellini S., Savi I. (2008) “La perequazione urbanistica nel Piano di Parma” in Urbanistica Informazioni, n. 220/2008, pp. 27 – 30. Micelli E. (1999), “La perequazione nel Piano strutturale di Cesena”, in Urbanistica Quaderni Archivio, INU, pp. 44 – 47. Micelli E. (2003), “La perequazione urbanistica per l’attuazione innovativa di piani e progetti” in Atti del XXXIII Incontro di Studio, Firenze, Ce.S.E.T. Micelli E. (2004), Perequazione urbanistica, Marsilio Ed., Venezia. Micelli E. (2012), “Micelli: “Ma quale perequazione sconfinata! Il Pgt Milano è in linea con le migliori esperienze urbanistiche” in Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2012. Pileri P., Granata E. (2012), Amor loci, Raffaello Cortina Ed., Milano. Pruetz R. and Standridge N. (2008), “What makes transfer of development rights work?: Success factors from Research and practice” in Journal of the American Planning Association, pp. 78 – 87. Roccella A. (2012), “Basi normative molto esili per la trasferibilità di diritti edificatori nel piano di Milano” in Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 30 Agosto 2012. S. Mattia S., A. Oppio A., A. Pandolfi A., (2010), Forme e pratiche della perequazione urbanistica in italia. Volume 1, franco Angeli, Milano. Scoppetta C., (2010), Gli “in-between space”Elementi caratterizzanti della metropoli contemporanea, Pubblicazioni Cittalia, (http://www.cittalia.com/images/file/Paper_Scoppetta.pdf). Stanghellini S. (2008), “Risorse pubbliche, espropri, necessità della città”, in Galluzzi P., Vitillo P. (a cura di), Rigenerare le città, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), pp. 71 – 80. Stanghellini S. (2010), “Perequazione, compensazione e incentivi per un progetto di città” in Urbanistica, n. U143, pp 68 – 87. Viganò A. (2007), “Aree agricole, Urban Sprawl e perequazione”, disponibile su: http://eddyburg.it/article/articleview/8930/1/150

Annalisa Lodigiani

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Fabriano, le sfide di una città in transizione

Fabriano, le sfide di una città in transizione Gianluigi Mondaini Università Politecnica delle Marche - Ancona Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Architettura Email: g.mondaini@univpm.it Tel. 335.7019760 Roberto Panariello Università Politecnica delle Marche - Ancona Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Architettura Email: r.panariello@univpm.it Tel. 348.3402190

Abstract Fabriano, città di circa 32.000 abitanti posta nella fascia pedeappenninica del versante medio Adriatico, è centro di un distretto produttivo caratterizzato da imprese principalmente legate all’industria dell’elettrodomestico. In termini di sviluppo, tale caratteristica ha comportato negli ultimi anni una rilevante esposizione ai fattori negativi della crisi economica e produttiva. Fabriano si trova quindi in questa fase ad affrontare il passaggio da città industriale a città dei servizi, in riferimento al bacino insediativo del territorio montano di cui è centro egemone, dovendosi cimentare con la riqualificazione di aree e volumi produttivi dismessi o mai decollati. Il quadro attuale impone l’attivazione urgente di efficaci modelli di intervento e di partnership pubblico-privato. La ricerca svolta va in questa direzione, delineando una governance a 'formazione progressiva e differita' ed ipotizzandone i meccanismi procedurali, tecnico-amministrativi: ciò con la peculiarità di definire modelli capaci di incidere nel concreto, riuscendo a reperire le risorse finanziarie necessarie. Parole chiave Programmazione ad attuazione differita, dimensione 'dinamica' della pianificazione, urbanistica concorrenziale.

Partenariato pubblico-privato: andare oltre la rigidità degli strumenti urbanistici Per effetto della crisi economica lo scenario della gestione urbana è caratterizzato dalla scarsità delle risorse pubbliche e dalla progressiva diminuzione di disponibilità private. In questo quadro gli strumenti di pianificazione ed il governo locale devono orientarsi rapidamente, ed in modo nuovo: • all’efficienza nell’uso delle risorse (economiche, ambientali ed energetiche), • alla sobrietà ed efficacia nei progetti urbani e infrastrutturali, • allo sviluppo della partnership pubblico-privato, con nuove forme di collaborazione, equilibrate, tra soggetti e interessi differenti con il coinvolgimento del più ampio numero di operatori; il tutto con strategie indirizzate ad un uso più consapevole e responsabile del territorio. Per le Amministrazioni e per la disciplina urbanistica si tratta di una sfida difficile: quella di sviluppare e sostenere la governance attraverso un nuovo modello; l’elaborazione di un progetto di città in grado, non solo di attrarre ed attivare nuovi investimenti ma, soprattutto, di modificare diffusamente i comportamenti della comunità e delle imprese, al fine di assicurare una più reale sostenibilità nei processi di uso e valorizzazione dei beni comuni. Un progetto di città futura che sappia coniugare in modo convincente la fattibilità finanziaria con i principi della sostenibilità, attraverso politiche integrate volte: • al contenimento del consumo di suolo, • all’equilibrio ecologico, al comfort ambientale ed al risparmio energetico, • alla efficienza ed efficacia del sistema della mobilità, Gianluigi Mondaini, Roberto Panariello

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Fabriano, le sfide di una città in transizione • alla cura della città pubblica esistente in quanto bene comune prezioso. E’ ineludibile però fare selezione: definire quali siano le cose davvero strategiche che devono essere finanziate, in tutto od in parte, con la spesa pubblica; risulta fondamentale che le Amministrazioni siano in grado di vagliare ciò che è realmente prioritario per farne un programma, condiviso con la comunità. Per il reperimento delle risorse private è invece necessario affrontare anche le questioni legate all’impiego, a favore della città pubblica, di parte delle rendite urbane immobiliari che le trasformazioni urbanistiche potranno / sapranno attivare.

La proposta per Fabriano La Regione Marche con la Legge 22 del 23 novembre 2011 ‘Norme in materia di riqualificazione urbana sostenibile e assetto idrogeologico e modifiche alle Leggi regionali n.34/1992 e n 22/2009’ ha inteso incentivare il miglioramento qualitativo del sistema insediativo e territoriale delle Marche. Questo obiettivo generale è declinato in diverse componenti: si intende favorire la trasformazione urbana a scapito del consumo di suolo, prevedere la creazione di spazi pubblici di qualità, la modernizzazione delle reti, il miglioramento dell’efficienza energetica, una politica integrata per i quartieri maggiormente degradati, mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e favorire la realizzazione della rete ecologico-ambientale, il tutto semplificando le procedure per le trasformazioni urbane complesse. Altro obiettivo della legge è quello di traghettare la pianificazione del territorio con questa ‘legge ponte’ fino alla definizione ed approvazione della nuova legge sul governo del territorio che superi l’ormai arretrata legge vigente, la 34/92, ancora è impostata con il classico modello PRG e Piani Attuativi. Per Fabriano, cogliendo la contestualità temporale dell’emanazione della suddetta legge con la ricerca svolta dal Dipartimento Ingegneria Civile Edile e Architettura della Politecnica Marche, l’intenzione è stata quella di comporre, sopra tale ‘legge ponte’, una serie di ulteriori opportunità procedurali per dare concretezza, attraverso più strumenti, al rilancio della governance del Comune, ai tempi della crisi, aldilà dell’entrata in vigore della nuova legge organica per il governo del territorio regionale. Non potendo redigere un Piano Strutturale, strumento non ancora previsto dalla vigente legislazione regionale, il Comune di Fabriano ha approvato, con Deliberazione di Consiglio Comunale. n.25 del 5 marzo 2012, un atto, denominato Documento Strutturale, DoSt Fabriano 2012, Le sfide di una città in transizione, un Piano di natura programmatica, ordinatorio, che lascia inalterato il regime giuridico dei suoli, così come determinato dal PRG vigente.

Figura 1. Gli strumenti, a geometria variabile, previsti dal DoSt Gianluigi Mondaini, Roberto Panariello

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Fabriano, le sfide di una città in transizione

Il DoSt 2012, sviluppato quindi su temi di natura strategica, identifica più strumenti che sostengano la governance territoriale del Comune per i prossimi anni, anche nella prospettiva dell’entrata in vigore della nuova legge regionale organica per il governo del territorio, il cui iter di approvazione ad oggi è però solo agli inizi. In sintesi, i principi guida dei metodi / strumenti proposti nel DoSt sono: • per l’intero territorio comunale: in continuità con le previsioni del vigente PRG, senza contrastarne le potenzialità ancora inespresse, si vuole comunque perseguire il contenimento del consumo dei suoli, ad invarianza della capacità insediativa, attraverso la conversione, trasferimento e densificazione delle previsioni del PRG vigente, su base negoziale, con azioni governate dal quadro strategico delineato nel DoSt; • per il Capoluogo: si propone un percorso-processo concorrenziale, a vigenza differita, che porterà alla definizione di Programmi di Riqualificazione, i cui capisaldi saranno costituiti dalle ‘invarianti di progetto’ di natura pubblica, così come definite ed individuate nel DoSt 2012 all’interno di un unico disegno complessivo, la cui realizzazione sarà posta a carico degli operatori privati, come intercettazione diretta di parte delle rendite generate dalla trasformazioni; • per le Frazioni: una fase negoziale e consensuale idonea a sviluppare, con flessibilità, le opzioni che sono state definite in modo ‘sostantivo’, cioè senza specificarne il percorso per raggiungere gli obiettivi che, comunque, sono riconducibili alla razionalizzazione della aree insediative previste e mai avviate, in relazione ad una ridefinizione degli ambiti invece consolidati dei nuclei frazionali. Rispetto alla pluralità degli strumenti che il DoSt 2012 propone è comunque possibile individuare una cifra di lettura comune a tutte le metodiche ipotizzate, sia quelle per l’intero territorio comunale che per il Capoluogo così come quelle per i nuclei frazionali; tale chiave di lettura è quella di un’ipotesi di governance a ‘formazione progressiva e differita’ che ricomprende: • una preventiva fase di programmazione ad attuazione differita; • una successiva fase di ricorso a strumenti negoziali (e consensuali) pubblico-privato e privato-privato; • una definizione conclusiva che converte le ipotesi concordate/negoziate in previsioni urbanistiche di Variante (utilizzando le vigenti leggi regionali 34/92 e 22/11 di recente approvazione). Sotto il profilo urbanistico e con particolare riferimento all’attuale fase socio-economica, si ritiene che per Fabriano siano maggiormente efficaci, più che un programma unico e bloccato, una diversificata opportunità di sistemi che potranno essere impiegati, a seconda delle circostanze che si prefigureranno, ovviamente sempre all’interno del quadro di coerenza delineato attraverso il DoSt 2012. In tal senso il DoSt analizza le criticità dell’ambito comunale e propone rispetto ad esse delle soluzioni, delineando esiti finali da raggiungere attraverso modelli che si discostano dalla rigidità imposta dal Piano Regolatore Generale: ciò nella consapevolezza che sia necessario, in un momento straordinario di transizione, individuare strumenti flessibili, dinamici, garantendo tuttavia proposte ed azioni legittime ed eque. Altra chiave di lettura è quella della sostenibilità, non solo quella ambientale, ma anche amministrativa, al fine di evitare lungaggini e contenziosi: per ogni iniziativa proposta si fa riferimento, a geometria variabile ed a seconda delle esigenze, alle due leggi regionali urbanistiche: la l.r. 34/92 e la recente legge regionale 22/11 (a quest’ultima si farà riferimento, in particolar, per le azioni di progetto sul capoluogo). Inoltre, per le azioni di accordo tra privati si farà utilmente riferimento alla disposizione che codifica nel Codice Civile la fattispecie del trasferimento di cubature tra soggetti diversi, svincolando così i diritti edificatori dalle particelle catastali dove essi sono stati generati. Per definire le procedure si è tenuto conto inoltre di recenti sentenze della giustizia amministrativa che hanno rafforzato in giurisprudenza alcuni passaggi procedurali ipotizzati anche per Fabriano, consolidandone pertanto la loro legittimità amministrativa. A tale riguardo si ritiene infatti che, oltre alle regole, chiare e razionali, particolari attenzioni vadano indirizzate alla sostenibilità amministrativa delle procedure, soprattutto quando si tratta di inquadrare, pur all’interno di un ordinamento vigente, prassi non ancora consolidate. L’intero percorso tecnico-amministrativo è stato per questo configurato in modo da limitare le possibilità dell’insorgere di contenziosi.

Gli strumenti di realizzazione: un modello concorrenziale per l’urbanistica Parallelamente alla fase di programmazione, si è quindi definita la procedura, di natura tecnico-amministrativa, per la trasformazione di quegli ambiti in cui si ritiene più necessaria ed urgente la rigenerazione urbana: uno strumento combinato che unisce i due aspetti già citati: • l’urbanistica ‘concorrenziale’ che intende dare risposta alla necessità di spostare sull’interesse pubblico una quota della rendita fondiaria, trasformandola in opportunità da governare, al fine di ottenere un incremento delle aspettative di qualità, di efficienza ambientale e di attenzione sociale degli interventi;

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Fabriano, le sfide di una città in transizione •

la pianificazione ‘differita’ che, anche attraverso i meccanismi di concorrenzialità di cui sopra, permette di finalizzare davvero nel concreto una quota di tale rendita, in direzione di esigenze collettive ben specifiche, già definite dall’Amministrazione a monte (cfr. le ‘invarianti di progetto’, nel seguito).

Questo strumento, da applicare alla parte urbana del Capoluogo, nella parte densa della città, dovrà essere attuato attraverso una procedura che subordina le trasformazioni e l’edificabilità all’offerta di: • creazione di spazi pubblici, infrastrutture, parcheggi e verde urbano, capaci di migliorare le condizioni ambientali; • conferimento al pubblico di attrezzature collettive (es.: edilizia scolastica); • conferimento al Comune di residenze sociali; • elevata qualità complessiva dei manufatti, in ragione di efficaci prestazioni termiche e di sostenibilità energetica. Elementi, questi, individuati come ‘invarianti strutturali/di progetto’, cioè esigenze territoriali/locali prestabilite: tali invarianti sono declinate attraverso elementi precisi, identificabili e misurabili (es. una scuola, una strada, ecc.), già previsti progettualmente nel DoSt. Individuate le aree potenzialmente suscettibili di dare una risposta a esigenze specifiche, si può proseguire con la fase successiva, concorrenziale e comparativa, tra i soggetti che propongono azioni di rigenerazione. In seguito si potrà poi arrivare all’effettiva attribuzione giuridica delle previsioni urbanistiche, così in concreto collegate alle proposte ritenute più valide, in termini di risposta alle necessità collettive. L’attribuzione giuridica delle previsioni, in Variante al Piano Regolatore Generale vigente, dovrà essere concessa, in esito ad un percorso di valutazione del miglior processo di trasformazione, valutato in tutti i suoi parametri quali-quantitativi, stabiliti a priori e misurabili, riducendo al massimo la discrezionalità. Sarà il Comune ad avviare una fase di evidenza pubblica con bandi, nei quali attribuirà un peso ai vari parametri in funzione delle esigenze prioritarie per la città. La procedura competitiva che ne discende metterà in concorrenza tutte le aree potenzialmente idonee alla rigenerazione senza attribuire loro una posizione di privilegio all’attivazione del bando. Verranno così formulate proposte orientate a destinare risorse per quei livelli di qualità che il Comune avrà precisato nel bando. Le azioni da attivare per stimolare la rigenerazione urbana sono definite in un ‘Programma operativo per la riqualificazione’ che ricomprende: • la delimitazione delle aree, l'assetto urbanistico, le destinazioni d'uso, gli indici edilizi e urbanistici; • le modalità di attuazione degli interventi di trasformazione; • la definizione e la localizzazione delle dotazioni territoriali nonché gli interventi di riqualificazione paesaggistica ed ecologico-ambientale (‘invarianti strutturali’); • la localizzazione delle opere e dei servizi pubblici o di interesse pubblico (‘invarianti di progetto’); • le misure volte ad attuare e incentivare il risparmio energetico e l’uso delle fonti rinnovabili; • lo schema delle convenzioni da stipulare con gli operatori privati; • i criteri per l’eventuale compensazione e/o perequazione da adottare. La procedura di gara che si è proposta per Fabriano, declinata attraverso metaprogetti su specifici ambiti, è finalizzata ad avere il massimo ritorno di pubblica utilità attraverso gli interventi privati, sempre all’interno dello scenario strategico delineato dal DoSt 2012. E’ comunque necessaria la preventiva approvazione di un Regolamento che definisca i criteri per la determinazione della prevalenza dell'interesse pubblico, considerando tra l'altro la valorizzazione fondiaria conseguente all'eventuale variante urbanistica. Si potrà così ‘aggiudicare’ la trasformazione di un ambito a chi presenta la proposta più meritevole in termini di valore socio-ambientale, di ritorno pubblico degli interventi e di qualità tecnico-architettonica. Con questo sistema, come già scritto, si possono ottenere risorse da destinare alla collettività con modalità strutturali e logiche, non occasionali, anche grazie allo spostamento di una quota della rendita fondiaria. In questo modo anche la qualità architettonica, la sostenibilità energetica nonché la qualità ambientale delle proposte, cessano di essere obiettivi vaghi o risolti soltanto con episodi isolati ma diventano il logico risultato di una procedura trasparente e razionale.

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Fabriano, le sfide di una città in transizione Tabella I. Il percorso procedurale previsto dal DoSt per il Capoluogo

Regolamento e Bando per l’urbanistica concorrenziale a seguito dell’atto di indirizzo (previsioni DoSt) Approvazione da parte del Consiglio Comunale di un Regolamento, che contenga anche un Bando tipo, in cui vengano declinati tutti i parametri di valutazione, qualitativa e quantitativa, ed i relativi pesi nell’attribuzione del giudizio rispetto alle proposte che verranno presentate dai privati nella successiva fase dell’urbanistica concorrenziale Configurazione di un Programma ad attuazione differita Tale Programma, approvato dal Consiglio Comunale in relazione alla precedente approvazione del DoSt, deve concretizzare gli obiettivi di riqualificazione individuati dal DoSt stesso, individuando gli ambiti di rigenerazione -microcittà- da sottoporre a bando per l’urbanistica concorrenziale, in base alle esigenze ritenute strategiche e prioritarie Bando/i per la valutazione dell’urbanistica concorrenziale Una volta approvati Regolamento, Bando e Programma, l’Amministrazione potrà procedere a pubblicare uno più bandi attraverso i quali, per ciascun ambito di rigenerazione -microcittà- ricevere proposte formulate dai privati Valutazione ed esiti del/i bando/i L’Amministrazione valuta le proposte attraverso una ponderazione delle stesse, attraverso una valutazione matriciale individuata sulla base del Regolamento Selezione degli ambiti / subambiti prescelti in base alle proposte L’Amministrazione individua gli ambiti sui quali le proposte sono ritenute adeguate alla trasformazione, con un maggior tornaconto alla pubblica utilità (valutato sempre in base al Regolamento): da tale selezione deriva una graduatoria delle proposte Fase negoziale: l’accordo pubblico-privato per gli impegni da assumere L’Amministrazione, una volta definita la graduatoria delle proposte, si riserva di avviare una fase negoziale di accordo procedimentale, in via prioritaria con i soggetti privati le cui proposte sono state ritenute le migliori; in questi accordi pubblico-privato saranno precisati gli impegni delle parti, fissati i conseguenti impegni di natura fideiussoria e quantificate le relative penali. PORU (l.r.22/11) o Piani Attuativi (l.r.34/92) • E’ la fase di passaggio dalla trasformazione differita alla formalizzazione degli ambiti di rigenerazione urbana ammessi a trasformazione, con la loro finalizzazione urbanistica, così come esitati dalla procedura di valutazione comunale. L’assetto dei suoli necessario per attivare le trasformazioni concordate nella precedente fase potrà essere raggiunto con uno o più specifici Piani di livello attuativo, anche in variante al PRG, da avviare con gli strumenti contenuti nel quadro normativo vigente: in via prioritaria con il PORU, se le operazioni concordate rientrano nei limiti normativi previsti altrimenti, in subordine con i Piani Attuativi in variante al PRG.

Il modello di attuazione Ormai tutti gli osservatori ed analisti del settore concordano che nel medio periodo le città costituiranno la sede di risorse e di attori su cui far leva per uscire dalla crisi. Dal governo delle città dipendono la ridefinizione e il riequilibrio di rapporti essenziali per la vita democratica; in questa prospettiva una questione-chiave è quella del rapporto pubblico/privato, visto nei termini dell'esperienza concreta che intessa la governance della città e la vita dei cittadini. Le oscillazioni ed incertezze economico-finanziarie hanno stremato lo sviluppo e indebolito le strategie di medio-lungo periodo: tutto questo riporta al centro delle politiche pubbliche la negoziazione tra operatori pubblici e privati, pur con la necessità di differenziare i ruoli e relative rappresentazione degli interessi, certamente legittimi ma da tenere ben distinti. Alla luce di queste considerazioni, l’Amministrazione Comunale di Fabriano, in questa fase ritiene di imprimere un’accelerazione sulla rigenerazione di alcune specifiche aree tra quelle in precedenza individuate dal DoSt., riservandosi poi di attivare analoghe iniziative anche sugli altri ambiti. Negli ambiti così individuati, le analisi sulle criticità maggiormente ricorrenti hanno portato alla definizione di obiettivi specifici per le trasformazioni finalizzati ad aumentare la qualità urbana e l’offerta di edilizia sociale. Per l’attuazione su questi ambiti del PORU (Programma Operativo per la Riqualificazione Urbana, strumento previsto dalla citata ‘legge ponte’ l.r. 22/11), in linea generale, le prime fasi possono essere così riassunte: • Determinazione degli ambiti per i quali avviare i programmi PORU. • Deliberazione di Consiglio Comunale. • Avviso pubblico. • Istruttoria proposte pervenute. • Deliberazione di Consiglio Comunale, in esito alla valutazione delle proposte. • Avvio della fase negoziale per la definizione del PORU .

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Fabriano, le sfide di una città in transizione

Le modalità di valutazione delle proposte dei soggetti privati Il processo concorrenziale, a vigenza differita, che porterà alla definizione dei PORU, prevede dei capisaldi costituiti dalle: • ‘invarianti strutturali’ (infrastrutture ed altri elementi ‘pesanti’ necessari al territorio); • ‘invarianti di progetto’ (dotazioni pubbliche di ‘prossimità’: servizi al cittadino: istruzione, sanità, sport e verde attrezzato, ecc…, comprensive di infrastrutture ‘immateriali’). Le invarianti sono, ovviamente, di natura pubblica, individuate preliminarmente nel DoST 2012 all’interno di un disegno organico complessivo; invarianti le cui realizzazioni saranno poste a carico degli operatori privati, in una quota parte da determinare, come forma di intercettazione diretta di parte delle rendite generate dalla trasformazioni; ciò appare quanto mai opportuno, anzi ineludibile, nell’attuale fase. L’Amministrazione Comunale deve dapprima essere in grado di valutare le proposte dei privati in concorrenza indiretta tra loro. Per questa necessità si è sviluppato un metodo di valutazione matriciale che permette di determinare le proposte più vantaggiose e con maggior ritorno per la pubblica utilità. Preliminarmente sarà necessario effettuare delle valutazioni in fase istruttoria, sui seguenti aspetti: • esame preventivo delle proposte ammissibili (coerenza alle ‘invarianti strutturali’); • valutazione in termini quali-quantitativi delle proposte (in base alle ‘invarianti di progetto’) Successivamente saranno effettuate delle valutazioni estimative sulle proposte ammesse e ritenute meritevoli (in fase di accordo negoziale preventivo al PORU), attraverso le quali calcolare il plusvalore delle trasformazioni proposte. La valutazione in fase istruttoria delle proposte presentate dovrà essere ponderata rispetto: • alla capacità prestazionale, • alla qualità urbana; delle proposte stesse. Lo strumento di valutazione matriciale dovrà garantire, in particolare: • la legittimità ed equità delle valutazioni, • la valutazione dell’interesse / tornaconto alla pubblica utilità degli interventi proposti, • la sostenibilità finanziaria degli interventi proposti, • la valutazione comparativa qualità degli interventi proposti. L’ipotesi a cui si sta lavorando è l’impiego, a geometria varabile, di una duplice valutazione: • una matrice di tipo SWOT per valutare i criteri di ammissibilità degli interventi proposti dai soggetti privati (rispetto alle ‘invarianti strutturali’). • una matrice di tipo analitico quali-quantitativa, per stimare e ponderare la validità delle proposte (rispetto alla ‘invarianti di progetto’). La matrice di tipo SWOT è ormai sviluppata in letteratura e consolidata nella prassi (pertanto non necessita di approfondimenti disciplinari) mentre per la matrice di tipo analitico quali-quantitativa, si intende elaborare un modello specifico per Fabriano che dovrà consentire di mettere in concorrenza tra loro le proposte dei privati, valutandone i diversi aspetti dell’interesse pubblico che le stesse saranno in grado di offrire. A ciascun tipo di matrice si ritiene di dover associare indicatori diversi per consentire di analizzare differenti aspetti dell’offerta dei privati. Di seguito vengono delineati alcuni elementi sulle prime matrici ipotizzate, evidenziando l’importanza di individuare un set adeguato di indicatori per ciascun tipo di fattore.

Matrice per la ‘Qualità edilizia ed energetica’ Obiettivo generale della valutazione: orientare la città al consumo zero di energie inquinanti (da consumatrice a produttrice di energia) Valutazioni analitiche sul progetto: 1. valutare l’utilizzo le tecnologie più avanzate per il contenimento dei consumi energetici, mettendole in relazione con il linguaggio architettonico; 2. valutare l’adozione sistemi passivi per il risparmio, tecnologie innovative per l’efficienza e fonti rinnovabili per la produzione di energia; 3. valutare l’assicurazione del benessere attraverso l’applicazione dei principi di bioclimatica e bioarchitettura.

Matrice per la ‘Funzionalità economica’ Obiettivo generale della valutazione: assicurare benefici collettivi ai cittadini e, al contempo, benefici economici agli investitori; più in generale, assicura la sostenibilità economica delle trasformazioni prospettate. Gianluigi Mondaini, Roberto Panariello

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Fabriano, le sfide di una città in transizione

Valutazioni analitiche sul progetto: 1. valutare il bilanciamento della qualità tecnica, dei tempi, dell'efficienza attuativa e del costo globale dell'intervento; 2. valutare la capacità dell’intervento di indurre crescita economica dell'area urbana, duratura nel tempo; 3. valutare la capacità del progetto di evitare disequilibri economici per l’amministrazione pubblica coinvolta, permettendo la copertura totale o parziale dei costi di urbanizzazione e degli investimenti necessari a rendere funzionale l'intervento, anche per stralci funzionali.

Bibliografia AA. VV. (2011), Atti XXVII Congresso INU "Città oltre la crisi". AA. VV. (2010), THE PLAN 047 N.12/2010, Bologna. AA. VV. (2009), Città pubbliche – linee guida per la riqualificazione urbana, Bruno Mondadori, Milano. AA. VV. (2008), Atti XXVI Congresso INU "Il nuovo Piano". Augè M. (2012), “La città ideale tra luoghi e non luoghi”, in Tamtàm democratico n.8/2012, pagg.106-109. Boeri S. (2011), L’anticittà, Laterza, Bari. Mondaini G. (2011), Microcities Ipo/tesi compositive per la città recente, Alinea, Firenze. Panariello R. (2012), “La città programmata. Strumenti urbanistici e crescita urbana: due velocità e due strade diverse”, in S. Cantalini (a cura di), Patchwork city, Aracne, Roma pagg.27-36. Secchi B. (2011), “Come ripensare il progetto urbano”, in Casabella n.797/2011 , pag. 100-103 Secchi B. (2013), La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari.

Gianluigi Mondaini, Roberto Panariello

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Pianificazione strategica e Fondi Strutturali: i Piani integrati di sviluppo urbano della Sardegna

Pianificazione strategica e Fondi Strutturali: i Piani integrati di sviluppo urbano della Sardegna Cheti Pira ∗ Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: chetipira@unica.it Tel: 070.6755200 Corrado Zoppi ∗ Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: zoppi@unica.it Tel: 070.6755216

Abstract Il riferimento principale di questo contributo è l’analisi dei piani strategici (PS) dei Comuni sardi e la loro attuazione tramite i piani integrati di sviluppo urbano (PISU). La classificazione che qui si adotta riferisce l’attuazione dei PS tramite i PISU alle seguenti tematiche prioritarie: riqualificazione urbana; tutela dell’ambiente; mobilità ed accessibilità urbana; promozione della cultura; disponibilità di tecnologie innovative. I risultati del contributo delineano, con riferimento all’attuazione dei PS tramite i PISU, le priorità pianificatorie, da parte dei Comuni di media e grande dimensione della Sardegna, nella programmazione degli investimenti di medio e lungo termine per l’attuazione delle politiche dello sviluppo urbano. Parole chiave Piani strategici, Piani integrati di sviluppo urbano, Fondi Strutturali dell’Unione Europea.

Introduzione I PS sono stati redatti in Sardegna da singoli Comuni o, più raramente, da gruppi di Comuni o da amministrazioni provinciali, con finanziamenti definiti: 1. dal combinato disposto del punto 1.1 della Delibera CIPE n. 20/2004, recante 'Risorse addizionali, premialità, destinazioni straordinarie e riserve', e dai criteri e dalle procedure approvate dal Tavolo Inter-Istituzionale per la 'Riserva Aree Urbane' del FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate) nel Novembre 2004, che stabilisce che una parte delle risorse allocate per ciascuna Regione dovrà essere utilizzata per la redazione di piani strategici comunali, aree metropolitane o raggruppamenti di Comuni che totalizzino almeno 50.000 abitanti (punto B.11 recante 'Interventi per pianificazione/progettazione innovativa e investimenti immateriali destinati alle aree urbane'); 2. dall’Allegato 2 della Nota n. 125/GAB del 17 Marzo 2005, recante 'Modalità attivazione risorse', dove si definisce un ampliamento della disponibilità di finanziamenti per i piani strategici.

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Il contributo è frutto della ricerca comune degli autori. Le sezioni 'Introduzione' e 'Conclusioni' sono state redatte congiuntamente. La redazione della sezione 'Situazioni ricorrenti nei piani strategici dei Comuni sardi' e delle relative sottosezioni è di Corrado Zoppi. La redazione della sezione 'Situazioni ricorrenti nei PISU come momento attuativo dei piani strategici' e delle relative sottosezioni è di Cheti Pira.

Cheti Pira, Corrado Zoppi

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Pianificazione strategica e Fondi Strutturali: i Piani integrati di sviluppo urbano della Sardegna

Sono stati redatti, quindi, una quarantina di piani, in larghissima maggioranza comunali, che definiscono il quadro strategico della progettualità relativa al contesto locale nel medio e lungo termine. Parte dei finanziamenti dall’Asse V (Città) del Programma operativo regionale (POR) della Sardegna dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea 2000-2006 vennero dedicati alla redazione dei PS, ed il naturale sbocco della programmazione dello sviluppo urbano dei PS si è configurato nello strumento programmatorio dei PISU, che costituiscono una condizione necessaria per accedere ai finanziamenti dell’Asse V (Sviluppo urbano) dell’attuale programmazione dei Fondi Strutturali (POR 2007-2013 per il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR)). Il contributo punta ad individuare gli orientamenti strategici prevalenti e ricorrenti dei PISU, cioè quali indirizzi ed obiettivi dei piani strategici sono stati efficacemente recepiti dalla programmazione regionale dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea. Questo contributo si articola come segue. Nella seconda sezione si tratteggiano alcune situazioni ricorrenti nella definizione di obiettivi ed azioni dei PS. La sezione seguente è dedicata a discutere le modalità di attuazione tramite i PISU di quanto definito nei PS, con specifico riferimento alle tematiche prioritarie richiamate sopra. La sezione conclusiva sviluppa un’analisi critica dei PISU, con riferimento alle buone pratiche che ne derivano, ed ai punti problematici, legati fondamentalmente all’aleatorietà ed all’indeterminatezza che hanno caratterizzato il processo di formazione dei PS.

Situazioni ricorrenti nei piani strategici dei Comuni sardi Le situazioni ricorrenti sono ricondotte alle tematiche prioritarie indicate nella sezione introduttiva, in quanto queste sono definite con chiarezza sia nel documento emanato dal Tavolo Inter-Istituzionale per la ‘Riserva Aree Urbane’ del FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate) nel Dicembre 2004 (Tavolo inter-istituzionale per la 'Riserva Aree Urbane' del F.A.S., 2004), che in quello, a questo complementare, della Regione Sardegna (Regione Autonoma della Sardegna, 2005). Nel documento della Regione Sardegna viene posto l’accento sul fatto che «La pianificazione strategica rappresenta un metodo di decisione collettiva su scelte future, un progetto condiviso per una città o un territorio che prefigura obiettivi strategici in un arco temporale definito e seleziona secondo un ordine di priorità, programmi e progetti condivisi. In tal senso la pianificazione strategica consiste in un’attività orientata a costruire uno scenario futuro della città a partire dalle rappresentazioni espresse dagli stessi attori locali, e si basa su un processo partecipativo in cui tutti si assumono delle responsabilità definite. Il piano strategico si configura non come un piano per la città ma come un piano della città, come nuovo strumento di governance intesa come azione che ricerca soluzioni differenziate attraverso la il coinvolgimento di una pluralità di soggetti e attori locali» (Regione Autonoma della Sardegna, 2005: 4). Nel quadro delineato da questo documento, le tematiche prioritarie della sezione introduttiva costituiscono una chiave di lettura sistematica della struttura di riferimento dei PS dei Comuni della Sardegna, chiave di lettura che consente di leggerne e comprenderne l’attuazione attraverso lo strumento dei PISU. Qui di seguito si tratteggiano alcune caratteristiche complessive del sistema degli obiettivi dei PS in relazione a queste tematiche. Gli obiettivi, tematica per tematica, si caratterizzano e differenziano per: 1. ambito territoriale; 2. livello della specificità e dettaglio del processo attuativo; 3. grado di connessione con il sistema complessivo degli obiettivi.

La riqualificazione urbana e la promozione della cultura Si individuano due riferimenti concettuali significativamente diversi per quanto riguarda l’ambito territoriale della riqualificazione urbana: da un lato l’approccio, abbastanza tradizionale e sostanzialmente in linea con il Piano paesaggistico regionale (PPR), che identifica, all’art. 47 e ss. delle sue Norme tecniche di attuazione, la riqualificazione urbana con sistemi di interventi che riguardano l’assetto storico-culturale; dall’altro, la visione olistica del territorio urbano e della sua riqualificazione, secondo la quale riqualificare significa migliorare significativamente la qualità della vita delle società locali e, quindi, identificare obiettivi e, di conseguenza, azioni, che indirizzino, in maniera integrata, problematiche legate all’edificato, con le sue funzioni residenziali, produttive e di offerta di servizi, ed alle condizioni economiche e sociali delle comunità insediate. Il PS di Sassari, ad esempio, assume un approccio olistico e prevede una 'direzione D9: trasformazione/ rigenerazione urbana' in cui la questione della riqualificazione vede gli interventi sul Centro Storico contestualmente ad un sistema di interventi che indirizzano problematiche importanti ed interdipendenti quali: risanamento idraulico del sottosuolo; collettamento dei rifiuti urbani; organizzazione dei servizi per la vendita al dettaglio all’interno del tessuto urbano consolidato, attraverso, ad esempio, centri commerciali naturali; sviluppo della cultura della residenza orientata al risparmio ed all’efficientamento energetico (Comune di Sassari, 2007: 153). Cheti Pira, Corrado Zoppi

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Il PS di Villacidro, invece, non considera la riqualificazione del Centro Storico come una questione da indirizzare alla scala urbana, ma, piuttosto, come una problematica fondamentalmente legata al recupero ed alla ristrutturazione edilizia. La riqualificazione urbana si basa su alcuni interventi puntuali finalizzati all’attuazione di ‘azioni-innesco’ attuate tramite progetti gerarchicamente ordinati in 'progetti bandiera', ‘progetti portanti’ e ‘progetti di supporto’. L’azione-innesco cui è possibile ricondurre la riqualificazione è denominata 'cantieri per il sociale', che prevede, tra i progetti, alcuni interventi puntuali per la rifunzionalizzazione di edifici all’interno ed all’esterno del Centro Storico. In questo caso, la riqualificazione non è una funzione principale della strategia del PS, ma una funzione ancillare di obiettivi strategici sovraordinati (Comune di Villacidro, 2008). A questi due estremi fanno riscontro situazioni intermedie, quali quelle identificate dai PS di Settimo San Pietro, Sorso e Stintino.

La tutela dell’ambiente, la mobilità e l’accessibilità urbana La tutela dell’ambiente e le questioni dei trasporti e della mobilità sono tematiche prioritarie trasversali e trattate in gran parte dei PS. Si tratta, generalmente, di problematiche che riguardano il territorio comunale in toto e che si prestano, proprio per il fatto che necessitano di visioni complessive del futuro del contesto locale di riferimento, a valutazioni sul grado di coerenza interna del quadro logico del sistema degli obiettivi, e, anche, sulla specificità e dettaglio del processo attuativo dei PS. Nella maggior parte dei casi la questione ambientale e le problematiche del trasporto urbano ricevono una grande enfasi, cui, però, non corrisponde una particolare attenzione, né interesse, a legare gli obiettivi inerenti a queste tematiche tra loro e con il resto del sistema degli obiettivi dei PS. Un’eccezione significativa è rappresentata dal PS di Sassari, già discusso a proposito della tematica della riqualificazione urbana, in cui la questione ambientale è affrontata in un quadro logico che la mette in stretta relazione, se, addirittura, non la identifica, con la riqualificazione urbana. Nel caso del PS di Villacidro la questione della mobilità e dell’accessibilità è a sé stante, e indirizzata dalle tre azioni-innesco 'piano urbano della mobilità', 'rilancio nucleo industriale' e 'percorsi e sentieristica'. Non è, in questo caso, trattata nemmeno la problematica della coerenza interna delle tre azioni-innesco, che sembrano rispondere ad istanze progettuali identificate come necessarie, forse, dal punto di vista dell’opportunità politica, ma non integrate in una visione complessiva anche solo della tematica dell’accessibilità e della mobilità (Comune di Villacidro, 2008: 5). Nel medesimo PS, la questione ambientale è considerata non come tematica prioritaria, ma, piuttosto, come funzionale alla realizzazione dei progetti dell’azione-innesco 'distretto agroalimentare', con una funzione esclusivamente di supporto (Comune di Villacidro, 2008: 2). Certamente un tentativo che va nella direzione dell’approccio olistico, seppure un po’ parziale, è quello del PS di Stintino, che si caratterizza, indubbiamente, per una programmazione per progetti, più che per obiettivi (Comune di Stintino, 2007) 1. Tuttavia, per ogni azione di piano, cioè per ogni progetto, si indicano con chiarezza le ragioni delle integrazioni con altri progetti, il che evidenzia un tentativo di proporre un ragionamento complessivo per indirizzare la coerenza interna del PS. Nel caso di Settimo San Pietro, in cui non si esplicita un quadro logico articolato di obiettivi, tuttavia un ruolo di notevole importanza, sia per la tutela dell’ambiente, che per l’accessibilità e la mobilità, è riconosciuto alla diffusione ed al radicamento di una forte consapevolezza culturale nella comunità locale, che si fonda, nell’idea regolativa del PS, sulla valorizzazione del settore agroalimentare e sull’implementazione dei servizi socio-assistenziali. Non è esplicitato un quadro logico del PS, ma le due valorizzazioni costituiscono, probabilmente, l’embrione di una visione strategica di lungo periodo di cui nel PS si intravvede la potenzialità (Comune di Settimo San Pietro, 2006: 67- 69).

La disponibilità di tecnologie innovative Anche la disponibilità di tecnologie innovative, intese come strumenti per migliorare la qualità della vita urbana, attraverso la promozione dell’inclusione sociale con il miglioramento delle condizione dell’accesso ai servizi pubblici alla persona, è, come la precedente, una tematica prioritaria trasversale. L’implementazione di questa tematica prioritaria può essere interpretata secondo due approcci complementari, che spesso si integrano tra loro e che hanno legami riconoscibili anche con le altre tematiche prioritarie, anche se non sempre questi legami sono esplicitati in un quadro logico. I due approcci riguardano, da un lato, il risparmio e l’efficientamento energetico, e l’aumento dell’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, e, dall’altro, la diffusione delle tecnologie informatiche e dell’accesso informatizzato ai servizi della pubblica amministrazione. Il PS di Sassari identifica queste questioni negli obiettivi di tre 'direzioni': la 'D2: ambiente', per quanto riguarda la 'pianificazione energetica integrata per una città più pulita', la 'D3: trasformazione della base produttiva', la 1

L’approccio alla programmazione degli investimenti pubblici che, dal nostro punto di vista, si configura come corretto, si fonda sulla costruzione di un quadro logico degli obiettivi, secondo la metodologia del Project cycle management (PCM): si veda, a questo proposito, Bussi, 2004.

Cheti Pira, Corrado Zoppi

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'D6: governance' e la 'D7: informazione e comunicazione' (Comune di Sassari, 2007). Gli obiettivi delle ultime tre direzioni riguardano la diffusione e l’utilizzo delle tecnologie informatiche, nell’idea regolativa secondo la quale il processo sociale di apprendimento, da parte della pubblica amministrazione e delle comunità, dell’utilità e dell’utilizzo delle tecnologie informatiche, sono condizioni fondamentali per lo sviluppo locale. Il PS di Villacidro considera questa tematica come prioritaria dal punto di vista dell’efficienza della pubblica amministrazione comunale, e prevede, senza identificare, tuttavia, in maniera chiara, i problemi della comunità locale che a questa tematica sono riconducibili, alcune azioni di piano, quali il completamento del sistema di informatizzazione degli uffici e dei servizi, la diffusione della banda larga e l’istituzione dello sportello SUAP: tutti progetti che concorrono all’attuazione dell’azione-innesco 'innovazione amministrativa'. Questa tematica prioritaria risulta meno diffusa rispetto a quelle precedentemente discusse. Ad esempio, non vi sono riferimenti in proposito nei PS dei Comuni di Stintino, Sennori e Settimo San Pietro.

Situazioni ricorrenti nei PISU come momento attuativo dei piani strategici I PISU nascono per orientare l’evoluzione e la trasformazione delle realtà urbane tramite l’analisi delle potenzialità dei territori e la definizione delle opportunità di sviluppo strategico. Essi rappresentano un insieme coordinato di interventi integrati da attuare in un’ottica di sostenibilità, di sviluppo socio-economico e di miglioramento della qualità urbana e ambientale 2. I PISU sono redatti sulla base di un format 3, costituito da diversi allegati, che la Regione Sardegna ha definito con l’intenzione di mettere a sistema obiettivi, opportunità e nuovi scenari di crescita dei territori con la visione strategica di medio termine individuata nei PS. In particolare, nell’Allegato B del format, sono identificati gli obiettivi operativi del PISU in relazione alle strategie del PS di riferimento. Si nota che il livello di specificità degli obiettivi operativi e degli interventi attuativi, rispetto ad alcune delle tematiche ricorrenti nei PS, è variabile da caso a caso. Variabile è, anche, il grado di coerenza con gli obiettivi definiti nei PS, che, in molti casi, non sono individuati in maniera esplicita, e, in altri, lo sono in maniera troppo generica. Va, anche, sottolineato che in alcuni PISU non vengono definiti interventi attuativi per tutti gli obiettivi operativi individuati, senza addurre ragioni. Su dodici PISU analizzati, quelli dei Comuni di Alghero, Assemini, Cagliari, Capoterra, Carbonia, Castelsardo, Decimomannu, Elmas, Iglesias, La Maddalena, Tortolì e Sassari, il tema della riqualificazione urbana è quello maggiormente ripreso nella definizione degli obiettivi e degli interventi, mentre i temi della promozione della cultura e del sostegno dei diritti di cittadinanza non vengono indirizzati affatto. Nel seguito, si analizzano i PISU in relazione alle tematiche, ricorrenti, della riqualificazione urbana, della tutela dell’ambiente e del miglioramento della disponibilità di tecnologie innovative.

La riqualificazione urbana In tutti i PISU analizzati è sviluppato, in termini di obiettivi operativi e interventi attuativi, il tema della riqualificazione urbana, intesa come fenomeno multidimensionale ed integrato, in cui gli elementi di riqualificazione morfologica ed architettonica si integrano con la cultura, l’economia e l’organizzazione sociale dei luoghi (Galdini, 2008). I Comuni definiscono PISU con caratteri trasversali e differenziati rispetto alla riqualificazione urbana, ciascuno privilegiante un aspetto prioritario delle strategie definite nei rispettivi PS. Gli argomenti più trattati si possono così riassumere: la riqualificazione del Centro Storico (Sassari e Villacidro), il rilancio delle periferie (Alghero), il riequilibrio dei pesi dell’edilizia sovvenzionata ed agevolata (Cagliari), la riorganizzazione ed il potenziamento della qualità degli spazi pubblici (Castelsardo). Con riferimento al grado di specificità della visione e dei progetti, si evidenzia come, nel caso del PISU di Sassari, gli obiettivi operativi siano orientati al miglioramento della qualità della vita urbana, allo sviluppo economico, all’attrattività dal punto di vista turistico del Centro Storico (Comune di Sassari,2009: 2-3), in coerenza con le idee progettuali individuate nel 'progetto scenario' del PS denominato 'processi di rigenerazione di Sassari: il Centro Storico, […]' (Comune di Sassari, 2007: 153). Gli interventi attuativi riferiti agli obiettivi operativi, nel PISU, sono definiti in maniera molto dettagliata a riguardo delle idee progettuali enunciate nel PS riguardanti la riqualificazione urbana nei suoi aspetti economici concernenti l’ambiente, l’edilizia e l’economia. Nel PISU del Comune di Alghero, l’obiettivo operativo riguardante il decentramento delle funzioni urbane (Comune di Alghero, 2010: 10) è coerente con la linea strategica 'Alghero città ambientale: promuovere la città 2

Su oltre 100 proposte presentate dalle amministrazioni comunali, circa il 25 % dei progetti sono stati selezionati per usufruire delle risorse stanziate dall'amministrazione regionale. Si veda il documento disponibile su Internet all’indirizzo http://www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=149098&v=2&c=348&t=1 [ultimo accesso: Aprile 2013]. 3 Documenti disponibili su Internet all'indirizzo: http:// www.regione.sardegna.it/ [ultimo accesso: Aprile 2013]. Cheti Pira, Corrado Zoppi

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urbana e territoriale' (Comune di Alghero, 2007: 53). Come nel caso del PISU del Comune di Sassari, gli interventi attuativi riferiti agli obiettivi operativi sono definiti in maniera molto dettagliata e riguardano specifici cantieri progettuali; essi si riferiscono esplicitamente alle idee progettuali del PS. Nel caso di Alghero, gli obiettivi operativi e gli interventi attuativi definiti nel PISU sono in connessione con le strategie dei PS, ma in quest’ultimo non sono esplicitati obiettivi specifici che riguardano l’integrazione territoriale tra Alghero e il suo territorio (Comune di Alghero, 2007: 51), diversamente dal caso del PS del Comune di Sassari dove vengono esplicitati gli obiettivi che riguardano il 'Progetto Scenario: processi di rigenerazione di Sassari: il Centro Storico […]' (Comune di Sassari, 2007: 97). Tuttavia, nel PISU di Alghero vengono descritte in maniera chiara le motivazioni che hanno portato alla definizione degli interventi attuativi, precisando le criticità e le opportunità dei singoli ambiti di intervento. Si dichiara, inoltre, che essi si pongono in continuità con specifiche azioni progettuali avviate dall’amministrazione comunale nella fase attuativa del PS (Comune di Alghero, 2010: 13).

La tutela dell’ambiente Il tema della tutela ambientale è ripreso solo da alcuni dei PISU analizzati (Capoterra, Carbonia, Castelsardo, Decimomannu, Tortolì e Sassari), dove si definiscono obiettivi operativi ed interventi attuativi più o meno in connessione con le indicazioni dei relativi PS. Nel PISU di Carbonia, per esempio, sono definiti l’obiettivo operativo ‘migliorare l’ambiente e la qualità della vita’ e alcuni interventi attuativi molto dettagliati rivolti alla promozione ed al sostegno della redazione di piani di ripristino ambientale (Comune di Carbonia, 2009a: 5-18); la connessione col sistema complessivo degli obiettivi del PS non è molto alta, in quanto in questo non vengono esplicitati obiettivi aventi ad oggetto il ripristino ambientale e la bonifica dei siti. Nel PS di Carbonia, la necessità di risanare le aree inquinate è messa in evidenza nell’analisi dei piani di settore (Piano regionale di bonifica dei siti inquinati) e nella definizione generale degli scenari (Comune di Carbonia, 2007: 538), .ma non nelle azioni individuate, caratterizzate da un’eccessiva genericità. Si può affermare, in questo caso che, di fronte all’aleatorietà che ha caratterizzato il PS di Carbonia nella definizione delle azioni per la tematica della tutela dell’ambiente, il PISU definisce, operativamente, alcuni interventi attuativi rispondenti a reali esigenze del territorio, quali, appunto, quelli inerenti le problematiche dell’inquinamento dei siti. Nel PISU di Castelsardo, l’obiettivo operativo 'tutelare e preservare gli elementi naturali che caratterizzano il territorio' e gli interventi attuativi rivolti a recuperare e valorizzare i litorali (Comune di Castelsardo, 2010: 14) sono definiti in coerenza con un obiettivo esplicitato, in maniera alquanto generica, nel PS, e cioè 'incentivare la tutela e la conservazione del patrimonio naturale'. Nel PISU di Tortoli, all’obiettivo operativo 'stipula di un accordo sovracomunale per il perseguimento di obiettivi di valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici secondo l’approccio della tutela attiva' (Comune di Tortolì, 2010: 3) corrisponde un intervento attuativo esattamente uguale all’obiettivo indicato dal PS (Comune di Tortolì, 2008: 61), e cioè 'creazione di ecocentri intercomunali a gestione unitaria' (Comune di Tortolì, 2010: 7). In tutti e tre i casi esaminati, gli obiettivi e gli interventi definiti dai PISU non sono rivolti alla pura conservazione delle risorse ambientali, quanto, piuttosto, alla 'messa in valore delle stesse' e a migliorarne le condizioni di utilizzazione e fruizione, in linea con le indicazioni del PPR (Regione Autonoma della Sardegna, 2006: 164).

La disponibilità di tecnologie innovative Questa tematica viene ripresa dai PISU con i seguenti indirizzi: l’innovazione delle imprese (Iglesias e Carbonia), la produzione e l’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili (Decimomannu e Carbonia), la promozione delle attività produttive e delle risorse locali (Elmas). Nel PISU di Carbonia è definito l’obiettivo operativo 'promuovere Carbonia quale centro d’eccellenza della sostenibilità energetica' (Comune di Carbonia, 2009a: 7), in coerenza con l’obiettivo strategico del PS 'incrementare l’attrattività del sistema locale, sostenendo, tra l’altro, l’innovazione e la sostenibilità dello sviluppo' (Comune di Carbonia, 2007: 533). Un intervento attuativo individuato nel PISU è orientato in particolare a promuovere ed incentivare la nascita di nuove realtà imprenditoriali legate agli sviluppi pratici dell’attività di ricerca nel campo delle energie rinnovabili (Comune di Carbonia, 2009b). Nel PISU di Elmas, al tema dell’innovazione non è dato lo stesso rilievo che è riconoscibile, invece, nel PS. In quest’ultimo, si individuano diverse linee di azione (Comune di Elmas, 2007: 30) all’interno dell’indirizzo strategico 'produrre', per esempio la 'localizzazione delle imprese innovative' ed il 'potenziamento del sistema della formazione e del lavoro', riprese solo marginalmente nel PISU. Qui si individua l’obiettivo operativo 'promozione delle attività produttive e delle risorse locali' i cui interventi attuativi, secondo quanto indicato nello

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stesso piano, dovrebbero perseguire l’indirizzo strategico ‘produrre’ del PS, ma, di fatto, sono individuati, nel PISU, più che come interventi attuativi, come ulteriori obiettivi (Comune di Elmas, 2010: 8-9).

Conclusioni La carenza fondamentale del quadro pianificatorio definito dai PS è la profonda cesura tra fase programmatica e fase attuativa. I PS, come messo in evidenza nella sezione introduttiva, sono stati redatti in seguito all’erogazione di finanziamenti nazionali e regionali, cui i Comuni hanno attinto, senza una particolare attenzione all’attuazione delle azioni di piano che indirizzano gli obiettivi dei quadri logici. Il rischio, sempre più concreto, dopo diversi anni dalla stesura dei PS, è che il patrimonio di analisi economiche, sociali e territoriali, e gli atti programmatori che ne sono seguiti, vadano perduti, in quanto non si sono rese disponibili risorse finanziarie adeguate. Quanto discusso in questo contributo indica una possibile direzione di riferimento per superare il dualismo programmazione-attuazione. Si vede, infatti, come, nel caso dei PISU, i contenuti dei PS siano assunti quali riferimenti del principale programma regionale finanziato dai Fondi Strutturali dell’Unione Europea, il PORFESR 2007-2013, per quanto riguarda l’Asse V 'Sviluppo urbano', la cui attuazione si basa sulle poste finanziarie delle linee di attività relative all’Obiettivo specifico 5.1 'promuovere la riqualificazione integrata delle aree urbane migliorandone le condizioni ambientali, sociali e produttive e rafforzandone la relazione con il territorio'. La concentrazione sui temi dell’Obiettivo 5.1 ha implicato che i PISU abbiano definito percorsi attuativi dei PS fondamentalmente incentrati sulla riqualificazione urbana, le tecnologie innovative e la tutela dell’ambiente con particolare riferimento ad ambiti urbani. Se, quindi, da un lato, la parziale attuazione dei PS tramite i PISU, nel quadro della programmazione regionale dei Fondi Strutturali, si configura come un caso di studio esemplare per l’operativizzazione dei PS, l’intrinseca parzialità di questa attuazione suggerisce che, nei nuovi strumenti della programmazione regionale dei Fondi Strutturali (2014-2020), in fase di definizione, possa, e forse, debba, essere riservata una particolare attenzione a quanto ancora non attuato della programmazione dei PS. L’approccio metodologico dei PISU può, a nostro avviso, per le ragioni qui sinteticamente proposte, essere efficace in questo senso. La funzione dei PS può essere individuata nell’integrazione nella programmazione dei Fondi Strutturali di forti riferimenti su cui strutturare le strategie della pianificazione territoriale implementabili tramite strumenti attuativi di cui i PISU sono indubbiamente un esempio efficace.

Bibliografia Bussi F. (2004), Progettazione e valutazione di progetti con il Quadro Logico, Disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.crotoneuropa.it/ documenti/ strumenti/ 1_Bussi_Progettazione_ E_Valutazione_Di_Progetti_Con_Il_Quadro_Logico.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Alghero (2010), Città di Alghero - Piano integrato di sviluppo urbano - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito. Comune di Alghero (2007), Alghero 2020 la città amabile un isola della qualità, un arcipelago delle relazioni, una terra delle innovazioni – Piano strategico, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.sardegnaterritorio.it/documenti/6_288_20100525113214.pdf [Ultimo accesso: 02 Aprile 2013]. Comune di Cagliari (2010), Piano integrato di sviluppo urbano: Un nuovo quartiere modello a Su Stangioni Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito. Comune di Carbonia (2007), Città di Carbonia – Piano strategico comunale, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.sardegnaterritorio.it/documenti/6_288_20100525114635.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Carbonia (2009a), Piano integrato di sviluppo urbano: Carbonia motore dello sviluppo sulcitano. Impresa, riqualificazione urbana, innovazione per l’energia pulita - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito. Comune di Carbonia (2009b), Piano integrato di sviluppo urbano: Carbonia motore dello sviluppo sulcitano. Impresa, riqualificazione urbana, innovazione per l’energia pulita - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato C– Scheda descrittiva dell’intervento: Laboratorio urbano per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, inedito. Comune di Castelsardo (2008), Castelsardo ... nel 2020 – Il piano strategico per la città – Allegato 9, Internet all’indirizzo disponibile su http://www.sardegnaterritorio.it/cittacentristorici/pianificazionestrategica.html [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Castelsardo (2010), Città di Castelsardo - Piano integrato di sviluppo urbano: Le Città di Castelsardo: agglomerazione degli ambiti urbani e valorizzazione dei centri minori - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito. Cheti Pira, Corrado Zoppi

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Comune di Decimomannu (2010), Piano integrato di sviluppo urbano: Sviluppo urbano e sostenibilità ambientale - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito.Comune di Elmas (2007), Comune di Elmas Piano strategico – Indirizzi strategici. Disponibile su http://www.sardegnaterritorio.it/cittacentristorici/pianificazionestrategica.html [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Elmas (2010), Piano integrato di sviluppo urbano - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito.Comune di Sassari (2007), Piano strategico della Città di Sassari – Progetti – Allegato 3, disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.sardegnaterritorio.it/ documenti/6_83_20100526092101.zip [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Sassari (2009), Piano integrato di sviluppo urbano: Processi di rigenerazione di Sassari - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito.Comune di Settimo San Pietro (2006), Comune di Settimo San Pietro – Piano strategico, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.sardegnaterritorio.it/documenti/6_288_20100525121636.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Sorso (2007), Il terzo passo: Il piano – Sorso città 2016 – Il piano strategico, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.sardegnaterritorio.it/documenti/6_288_20100525121717.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013].Comune di Stintino (2007), Il piano strategico per Stintino - Schede progetti, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.sardegnaterritorio.it/cittacentristorici/pianificazionestrategica.html [ultimo accesso: Aprile 2013]. Comune di Tortolì (2008), Tortolì 2020 – Il piano strategico di Tortolì e dell’area vasta – Il Documento strategico del piano, disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.sardegnaterritorio.it/ cittacentristorici/pianificazionestrategica.html [ultimo accesso: Aprile 2013] Comune di Tortolì (2010), Piano integrato di sviluppo urbano - Redazione di studi di fattibilità e progetti preliminari di opere previste nei piani strategici - Allegato B – Sintesi del Piano integrato di sviluppo urbano, inedito. Comune di Villacidro. (2008), Piano strategico del Comune di Villacidro - 7.3.1. I progetti per Villacidro: descrizione e priorità, disponibile su http://www.regione.sardegna.it/documenti/ps_Villacidro.zip [ultimo accesso: Aprile 2013].Galdini R. (2008), Reinventare la città. Strategie di rigenerazione urbana in Italia e in Germania, FrancoAngeli, Milano. Regione Autonoma della Sardegna (2005), Pianificazione Strategica - Documento integrativo delle linee guida in materia di pianificazione strategica di cui alla nota dell’Assessore Regionale degli Enti Locali, Finanze ed Urbanistica n. 125/GAB del 17.03.2005, disponibile su Internet all’indirizzo http:// www.sardegnaterritorio.it/documenti/ 6_83_20061023163522.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013]. Regione Autonoma della Sardegna (2006), Piano Paesaggistico Regionale - Relazione Tecnica Generale, disponibile su http://www.sardegnaterritorio.it/j/v/1123?s=6&v=9&c=7424&na=1&n=10 [ultimo accesso: Aprile 2013]. Tavolo inter-istituzionale per la “Riserva Aree Urbane” del F.A.S. (2004), I piani strategici per le città e aree metropolitane (punto 11.i documento Priorità e Criteri) – Orientamenti, disponibile su Internet all’indirizzo http://www.dps.mef.gov.it/documentazione/docs/all/PianiStrategici_dic2004_RAU.pdf [ultimo accesso: Aprile 2013].

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Un nuovo porto per Salerno. Dal porto storico a Marina d’Arechi. Dinamiche progettuali e prospettive di sviluppo

Un nuovo porto per Salerno Dal porto storico a Marina d’Arechi. Dinamiche progettuali e prospettive di sviluppo Mariarosaria Villani Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Architettura Email:maryvil@hotmail.it Tel: 3881855291

Abstract Il caso della costruzione della nuova struttura portuale e diportistica ‘Marina d’Arechi’ in fase di costruzione a Salerno, rappresenta un concreto esempio dell'efficacia di modelli di intervento e di partnership pubblico privato La città, ponte di mediazione tra la costiera amalfitana e quella cilentana, si è distinta negli ultimi anni per le politiche di sviluppo del territorio attuate le quali, hanno consentito una serie cospicua di interventi di trasformazione urbana, dalla creazione di nuove infrastrutture, al recupero di aree industriali dismesse. Il progetto di realizzazione del nuovo Porto turistico ‘Marina d’Arechi’, iniziato nel 2010 che verrà ultimato con la realizzazione delle opere a terra progettate dall’architetto Santiago Calatrava nel 2014, si inquadra all’interno di tali grandi trasformazioni urbane in atto nella città da ormai un decennio. In un periodo di crisi ma soprattutto di sfiducia nelle politiche urbane di trasformazione, il caso affrontato rappresenta una concreta realtà di proficua collaborazione pubblico-privato che ha condotto in tempi rapidi all’esecuzione di un’opera di grande importanza strategico-infrastrutturale. Il lavoro mira ad esporre l’iter progettuale- amministrativo che ha portato alla realizzazione dell’intervento, dimostrando come il modello del project financing abbia rappresentato, in questo caso, un valido strumento che, attraverso l’interazione pubblico-privato, ha permesso di realizzare un progetto che l’ amministrazione pubblica da sola non sarebbe stata in grado di sostenere. Parole chiave Salerno, porto, Marina d’Arechi

Salerno. Il rapporto con il mare e lo sviluppo della portualità dal secolo XIX ad oggi Nonostante Salerno sia una città affacciata sul mare, non è riuscita storicamente a fare di questa risorsa ragione di sviluppo turistico ed economico. Da un vecchio adagio secondo cui ‘se Salerno avesse il porto Napoli sarebbe morto’, è possibile comprendere l’alto potenziale inespresso della città in tal senso. L'importanza di Salerno come scalo portuale è stata difatti offuscata sin dal Medioevo dalla presenza del vicino porto di Amalfi, baluardo indiscusso del traffico marittimo mediterraneo. Fino alla fine del XVIII secolo la città di Salerno, con le sue dimensioni ridotte circoscritte dall’antica cinta muraria longobardo-normanna, che segnano il netto limite tra il centro abitato e la fascia costiera, ha ancora un rapporto ‘indiretto’ con il mare. Alla fine del XVIII secolo, a differenza di quanto accade per Napoli, il litorale salernitano appare ancora come un semplice arenile con un approdo per gli abitanti locali dediti alla pesca, privo di ogni forma di infrastruttura. Nel XIX secolo, l’assetto del nucleo storico di Salerno subisce una radicale trasformazione con l’espansione all’esterno della antiche mura urbane, sulla scorta del processo di riassetto urbano dovute principalmente a «le trasformazioni dei mezzi di produzione e di trasporto» (Choay, 1973: p.7). Sarà proprio in questa fase che verrà a definirsi la nuova principale arteria di sviluppo della città. Se infatti, il nucleo storico della città si era aggregato, sino a questo periodo, lungo l’asse trasversale est-ovest che, a partire dal castello Arechi, degradava sino al mare, a partire dal XIX il nuovo assetto urbano si svilupperà lungo Mariarosaria Villani

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Un nuovo porto per Salerno. Dal porto storico a Marina d’Arechi. Dinamiche progettuali e prospettive di sviluppo

l'arteria nord-sud ricalcando il sedime del tracciato della costruenda linea ferroviaria. I primi lavori di infrastrutturazione e collegamento, vengono compiuti attraverso la creazione della grandi arterie di comunicazione delle strade ‘della Calabria’ e dei ‘Due Principati’, che fungevano da chiusura della città rispettivamente ad oriente e ad occidente caratterizzando l'ingresso monumentale e rappresentativo alla città, con opere di «villette e boschetti di pubblico passeggio, onde rendere più decente e deliziosa l’entrata in Salerno» (Giannattasio, 1989: 6). Il primo contatto tra la città e il mare viene definito proprio dalla strada della Calabrie, che tra Piazza Portanova e la porta dell’ Annunziata, diventava via Marina, andando a caratterizzare un nuovo contatto con la fascia costiera, esclusa fino a questo momento dal nucleo storico dalla cinta muraria urbana. La costruzione di questa strada - tra il 1804 e il 1813 - pose numerose questioni di assetto urbano- questioni peraltro comuni al coevo dibattito europeo 1 che andavano della creazione di aree verdi all'ingresso principale della città, all’ espansione lungo le principali arterie di collegamento infrastrutturale, legate «all’apparizione di trasporti collettivi, studiando attentamente i nessi fra sistema murario e trasporti urbani, tra la distruzione delle mura e lo sviluppo dei trasporti» (Le Goff, 1989: 2). Nel 1873, in seguito alla distruzione di un antico muro frangiflutti situato all’altezza del Palazzo della Prefettura2, viene redatto un progetto, a cura di Antonio Blanco e Antonio Belliazzi3 per la costruzione di un tratto di banchina. Un vasto programma di opere pubbliche ma soprattutto una messe di progetti per la ricostruzione dell’ antico molo danneggiato, rappresentano le prime proposte per l'espansione della città lungo il litorale. Risulta interessante nonché emblematico ravvisare quale matrice comune a tutti i progetti di sviluppo urbano e di infrastrutturazione di fine diciannovesimo secolo l’intento di risolvere il problema dell'erosione costiera e di protezione della costa da un lato, e della costruzione della nuova cortina edilizia lungo il fronte costiero dall’altro. Mentre il progetto proposto da Agostino Fiocca per il nuovo molo risulta estremamente affine a quello redatto da Blanco e Belliazzi, nuove idee che affrontano in maniera più estesa l'espansione della città vengono proposte dai tecnici Filippo Giordano, Enrico Amaturo e Luigi Dini. Per la prima volta difatti, vengono avanzate delle proposte che, oltre risolvere il problema dell’erosione costiera, tengono conto della necessità di rapportare il nuovo fronte costruito a mare con il centro storico, con l’idea di progettare i collegamenti tra le due fasce, proponendo in tal modo una riqualificazione complessiva del centro antico. (Figura 1) Sarà solo nel 1914, con il "Concorso per il nuovo piano urbanistico per la zona orientale della città ", vinto dagli ingegneri Ernesto Donzelli e Nicola Cavaccini, che l’assetto cittadinoassumerà concretamente una nuova configurazione. Il nodo cruciale del progetto si sviluppa a partire dall’irrisolto rapporto tra città vecchia e le nuove aree di sviluppo4.(Figura 2) Risulta evidente l’influenza nonchè riferimento culturale ai coevi progetti per il piano regolatore generale di Napoli del 1910, 1914 e 1926, progettato dall'ingegnere De Simone e dalla Commissione per lo studio del Piano Regolatore Generale presieduta da Gustavo Giovannoni.5 I principi guida della pianificazione non possono non considerare che i nuovi confini «devono soddisfare completamente le necessità della città, in cui è stata espressa tutta l'energia di lavoro, dal lavoratore, al professionista, da commerciale ad industriale, abbia il diritto di ricchezza principale della casa sana» (Cavaccini, Donzelli, 1915, 7). Il piano proposto esplica chiaramente la volontà di rifiutare le tracce del passato, così come richiesto dallo sviluppo dell'economia capitalistica da un lato, ma, quasi in maniera ossimorica, di riammagliare la fascia costiera in fase di costruzione con il tessuto storico preesistente dall’altro. Sulla base di questi principi si articolerà lo sviluppo degli anni successivi, producendo un’ espansione incontrollata che ha prodotto una cesura profonda con la vecchia struttura urbana, cancellando gran parte della configurazione morfologica originale città

Il nuovo porto di Marina d’Arechi. Un esempio di project financing. Dalle dinamiche progettuali alle prospettive di sviluppo L’espansione urbana, che dopo il piano Donzelli-Cavaccini non è stata organizzata nè supportata da adeguati strumenti urbanistici capaci di gestire la crescita legata alla cogente necessità abitativa del secondo dopoguerra, ha condotto da un lato al degrado del centro antico della città, dall’altro ad uno sviluppo incontrollato della fascia costiera meridionale. «Salerno, che ha visto più che raddoppiata la sua popolazione tra il 1951 ed il 1981, non ha avuto norme urbanistiche rigorose, per cui è restata soffocata da una edificazione selvaggia che ha distrutto ogni legame del centro con la restante parte della città» (Di Stefano, 1986 : 58). Inoltre, «la vasta area occupata dalle Ferrovie dello Stato, per esempio, non ha permesso la realizzazione della parte più significativa della ‘Città 1

Cfrt. Gravagnuolo B. (1991), La progettazione urbana in Europa 1790-1960, Laterza, Bari; De Seta C., Le Goff J. (1989), La città e le mura, Laterza, Bari 2 Comune di Salerno, fascicolo 320, anno 1874, Spiaggia-Difesa e sistemazione- Progetto Blanco Belliazzi 3 Fiocca G., (1874), Poche parole sulla Banchina di Salerno dirette al Municipio e alla cittadinanza, Napoli 4 Donzelli E., Cavaccini N., (1915), Piano regolatore del nuovo quartiere orientale, Progetto degli ingegneri Ernesto Donzelli e Nicola Canavaccini, Relazione, Napoli, 9. 5 Cft. Pane A., (2008), “L’influenza di Gustavo Giovannoni a Napoli tra restauro dei monumenti e urbanistica. Il piano del 1926 e la questione della vecchia città”, in Amore R., Pane A., Vitagliano G.,Restauro, monumenti e città. Teorie ed esperienze del Novecento in Italia, Napoli,13-93 Mariarosaria Villani

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Un nuovo porto per Salerno. Dal porto storico a Marina d’Arechi. Dinamiche progettuali e prospettive di sviluppo

Nuova’»6 (Giannattasio, 1995: 38) Questo tipo di sviluppo ha contribuito ad aumentare il divario tra la città moderna, idealmente delimitata dal fiume Irno, e la parte ‘contemporanea’, sviluppatasi in maniera incontrollata lungo la costa nell’ultimo trentennio. Solo con l’ inizio della terza generazione di pianificazione della città, partendo dal sedime storico caratterizzato dall'arteria ottocentesca di sviluppo lungo l’asse nord-sud, il Piano Regolatore del 2005, a cura di Oriol Bohigas, ha previsto l'incremento dei servizi di messa in rete delle infrastrutture urbane e delle attrezzature di interesse pubblico. Il limite naturale costituito dal costone roccioso, margine di separazione tra i comuni limitrofi di Salerno e Vietri sul Mare - porta della Costiera amalfitana - e quello antropico, caratterizzato dal porto commerciale, ha fatto sì che il nuovo sviluppo urbano si sia concentrato massimamente sulla parte meridionale, sino a questo momento considerata zona marginale e degradata della città. Nel 2008, è stato presentato un progetto privato per la costruzione del nuovo porto turistico, situato a sud dei quartieri di Mercatello, Fuorni, di fronte alla Stadio Comunale “Arechi”. Il progetto prevede la costruzione di un nuovo porto turistico le cui attrezzature sono state suddivise in base alla classificazione ed ai tempi di realizzazione in opere a mare e opere a terra. Mentre le opere a mare, ad oggi in fase di ultimazione (Figura 4, Figura 5), progettate dall’ingegnere Guglielmo Migliorino rappresentano la parte funzionale del complesso, le opere a terra, progettate dall'architetto catalano Santiago Calatrava, mettono in connessione il porto con la città, definendo il valore aggiunto dell’intervento, caratterizzato dall’elevata qualità architettonica delle opere progettate. Gli elementi principali che caratterizzano le opere a terra della struttura ricettiva, che verranno dirette dall’ing. Vito Avino, constano in un parco urbano, filtro verde tra il porto e la città, la passeggiata a mare, una promenade attrezzata a verde che si affaccia sull’ edificio destinato a club nautico (Figura3), ed il ponte sospeso strallato che collega il porto foraneo con la terraferma. Le opere a mare che delineano il porto turistico, sono state studiate tenendo conto degli altri interventi di protezione costiera, presentati dagli Enti competenti, in modo da proporre un sistema integrato di protezione della fascia litoranea. L’iter programmatico seguito per la realizzazione dell’intervento è stato estremamente complesso. Il tutto prende inizio nel 20027 quando vengono approvate le “Linee programmatiche per lo sviluppo del Sistema integrato della portualità turistica in Campania”. Nel febbraio dell’anno successivo, viene stipulato tra Regione, Comune di Salerno ed Autorità portuale di Salerno il “Protocollo d’intesa per lo sviluppo e la razionalizzazione della portualità e del sistema dei trasporti via mare nell’ambito salernitano”. Dovrà trascorrere un altro anno fino all’approvazione dell’ “Atto di programmazione degli interventi sulla portualità turistica da realizzarsi in “project financing”8. Nello stesso anno, è stato approvato il Protocollo d’Intesa tra la Regione e Comune di Salerno per la realizzazione di un porto turistico sul litorale antistante lo stadio “Arechi”9. Nello stesso anno l’ATI costituita da S.C.T. S.p.A, Arechi Costruzioni S.p.A., Cicalese Impianti s.r.l., presenta una proposta di project financing per la realizzazione di un porto turistico, dichiarata di pubblico interesse10. Da questo momento altri due anni sono intercorsi dalla convocazione da parte della Regione Campania della conferenza di servizi all’approvazione del progetto preliminare.11 In seguito all’indizione della gara a procedura ristretta per l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione del porto turistico antistante lo stadio Arechi, aggiudicata all’ATI in via definitiva nell’aprile 200812, ed alla sottoscrizione della convenzione13 per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva della realizzazione e della gestione della nuova infrastruttura diportistica salernitana, è stata possibile la redazione del progetto definitivo. In seguito all’ottenimento del giudizio di compatibilità paesaggistica14, e agli altri passaggi burocratici dettati dalle

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Il riferimento alla ‘Città nuova’ immaginata nel piano urbanistico redatto da Donzelli e Cavaccini, approvato nel 1925, a causa di molte verianti significative di dstinazione d’uso per diversi lotti, ha messo in crisi il modello di città immaginato dai progettisti. 7 Approvato con delibera della G.R. n. 5490 del 15/11/2002 e n. 4463 del 8/10/2002 8 Approvato con delibera della G.R. Campania n. 466 del 19/03/2004 9 Con delibera della G.R. n. 1464 del 23/07/2004 è stato approvato il Protocollo d’Intesa tra la Regione e Comune di Salerno, sottoscritto in data 9/11/2004. 10 Ai sensi dell’art. 37 della L- 109/94 e ss.mm.ii. ora art. 156 del D.lgs. 12/4/2006 n. 163 e ss.mm.ii. 11 La Regione Campania ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n.267 del 18/08/2007, art. 12 della L.R. n. 16 del 22/12/2004 e dell’art. 14-bis della L. n. 241 7/08/1990 ha indetto una conferenza dei servizi per l’approvazione del progetto preliminare, l’approvazione della variante urbanistica e l’approvazione dello schema di accordo di programma, in data 15/09/2005 e si è conclusa in data 21/5/2007. 12 Decreto dirigenziale n. 33 del 15/04/2008. 13 L’ATI ha sottoscritto, in data 17/08/2008, con la Regione Campania (Amministrazione Procedente), Assessorato ai Trasporti – Settore Demanio e Opere Marittime – la convenzione di affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, della realizzazione e della gestione della nuova infrastruttura diportistica salernitana, ai sensi e per gli effetti della quale ha avviato la redazione del progetto definitivo per la configurazione compiuta di quanto approvato con il progetto preliminare oggetto dell’Accordo di Programma 14 Con Decreto N. 39 del 18.3.2010 Mariarosaria Villani

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discipline normative vigenti 15, si giunge fino al 2010 anno in cui, in seguito alla sottoscrizione dell’atto aggiuntivo dell’Accordo di Programma16, viene infine dato avvio alla redazione del Progetto Esecutivo. La diffidenza nei confronti dell’intervento di sponsorizzazione privata su aree pubbliche, unita ai tempi estremamente dilatati dell’iter burocratico da affrontare, fanno dello strumento del project financing uno strumento spesso evitato in favore di investimenti su aree private anche più cospicui, i cui tempi di realizzazione possono essere contenuti. Inoltre, una politica spesso di forte prudenza nell’intervenire e non interventismo sul patrimonio pubblico da parte di associazioni e cittadinanza dettata anche dal timore della cementificazione eccessiva della città per fini speculativi, costituisce ulteriore motivo di desistenza all’utilizzo di questo mezzo che invece, in un periodo di stallo del settore finanziario legato all’edilizia, potrebbe rappresentare una concreta opportunità Nel caso di Marina d’Arechi, la sua collocazione in una zona fino ad oggi marginale e decentrata della città, con la creazione di un vero e proprio gap tra il centro della città storica ed il nuovo polo turistico-ricettivo, ha rappresentato un volano di sviluppo che ha convogliato in quest’area, nei limiti dettati dall’attuale a dir poco precaria situazione economica del settore edilizio, nuovi investimenti sia privati che pubblici. L’inserimento di architettura nuova al di fuori della città consolidata, ad essa relazionata attraverso nuove vie di connessione, rappresenta la concretizzazione di un modello di città che tende sempre più spesso ad assumere i caratteri di smart city17. «La città non è solo un oggetto concepito per milioni di persone profondamente diverse per carattere e classe sociale, ma anche il risultato di numerosi operatori che cambia la propria struttura sempre per motivi specifici. Anche se in linea di principio potrebbe essere costante per un periodo, nei particolari cambia costantemente. Non c'è risultato finale, solo una sequenza continua di fasi» (Lynch: 1964: 15) ed è in quest’ottica che bisogna assecondare le sempre più celeri necessità di trasformazione dell’organismo urbano, pur nella convinzione che nulla debba essere concesso a politiche che vadano in contrasto con la tutela dei valori che attualmente lo caratterizzano.

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Con Decreto N. 39 del 18.3.2010, il Dirigente dell’Area Generale di Coordinamento - Trasporti e Viabilità - Settore Demanio Marittimo Navigazione (Porti Aeroporti Opere Marittime): - ha dichiarato conclusa la conferenza di servizi indetta dal Responsabile unico del Procedimento ex art. 14 e ss. L. n. 241/90 per l'approvazione del Progetto Definitivo; - ha preso atto, ai sensi dell'art. 14 ter, comma 6bis L. n. 241/90 e ss., sulla base delle specifiche risultanze della conferenza e delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti, della conclusione positiva dei lavori, sulla base dei pareri favorevoli e delle pronunce espresse sul progetto definitivo di cui trattasi; - ha approvato, ai sensi dell'art. 97 del D.Igs. n. 163/06 e, il progetto definitivo dell'opera di cui trattasi, i cui elaborati sono agli atti del Settore, con le prescrizioni di cui al D.D. di Valutazione di Impatto Ambientale n. 331 del 17/3/2010 e con le prescrizioni emerse nel corso delle sedute di conferenza del 30/9/2009 e 13/1/2010 giusta verbali di seduta, parimenti agli atti del Settore; - ha dato atto che il provvedimento sostituisce a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 14ter comma 9, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti alla conferenza di cui in premessa, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti. 16 In data 16/4/2010 è stato sottoscritto “Atto Aggiuntivo all’Accordo di Programma sottoscritto il 8/6/07 ai sensi dell’art. 12 L.R. n. 16/04 per la realizzazione in project financing di un porto turistico sul litorale antistante lo stadio Arechi nel Comune di Salerno”, il cui schema è stato approvato con D.G.R. n. 408 del 25/3/2010. 17 Cft. Giannattasio . P.,(2012), Modello di trasformazione urbana. Salerno versus smart city, Gangemi editore, Roma Mariarosaria Villani

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Figura 1. Salerno, il vecchio Porto agli inizi del Novecento (Foto Alinari)

Figura 2. Salerno, il piano Donzelli-Cavaccini con la creazione del molo trapezoidale e la delimitazione del centro storico.1914

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Figura 3. Schizzi di studio dell’Arch. Santiago Calatrava per il nuovo porto turistico Marina d’Arechi. Il ponte strallato che connette il porto foraneo alla terraferma e l’edifico adibito a Club Nautico. Archivio privato Ing. Avino V., (2010)

Figura 4. Vista aerea del nuovo porto turistico Marina d’Arechi. Vista verso la costiera amalfitana. Marina d’Arechi S.p.a.. Foto 2013

Figura 5. Vista aerea del nuovo porto turistico Marina d’Arechi. La relazione con la ‘città consolidata’ Marina d’Arechi S.p.a.. Foto 2013

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Bibliografia Amore R., Pane A., Vitagliano G. (2010), Restauro, monumenti e città. Teorie ed esperienze del Novecento in Italia, Napoli Choay F. (1973), La città. Utopie e realtà., Einaudi, Torino Di stefano R. (1986), Salerno. La Cattedrale di San Matteo, Cooperativa editrice, Salerno De Angelis M. (1927), Città di Salerno, VIII centenario dell’ Unione politica dalla Sicilia alla Terraferma e della fondazione del Regno d’Italia meridionale, Salerno De Seta C., Le Goff J. (1989), La città e le mura, Laterza, Bari Fiocca G., (1874), Poche parole sulla Banchina di Salerno dirette al Municipio e alla cittadinanza, Napoli Giannattasio G. (1989), Salerno e l’urbanistica, Napoli Giannattasio G. (1995), Salerno. La città moderna. Piani e progetti dall’Ottocento ai primi decenni del Novecento, Le Arti, Salerno Gravagnuolo B. (1991), La progettazione urbana in Europa 1790-1960, Laterza, Bari Giannattasio . P. (2012), Modello di trasformazione urbana. Salerno versus smart city, Gangemi editore, Roma Lynch K. (1964), L’immagine della città, Venezia, Tortolani U. (1966), Il porto di Salerno, in «Bollettino della C.C.I.A. di Salerno», dicembre 1966, n. 12, Camera di Commercio Industria e Agricoltura, Salerno, Russo M. (2011), Il progetto urbano nella città contemporanea. L’esperienza di Salerno nel panorama europeo, Clean, Napoli

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by Planum. The Journal of Urbanism ISSN 1723 - 0993 | no. 27, vol. II [2013] www.planum.net Proceedings published in October 2013


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